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ISSN 1827-8817 10128

he di cronac

Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice

Charles Bukowski 9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 28 GENNAIO 2011

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Viene fuori uno scenario di pressioni e intimidazioni che avvolgono, minacciandola, la figura del primo ministro

Il premier sotto ricatto È questa la novità politica che emerge dalle ultime carte. Ma la giunta della Camera le rinvia a Milano: «Siete incompetenti». Bossi ammette: «Un pasticcio, complica le cose» EFFETTO PARALISI

di Marco Palombi

Oggi a Todi parte il Polo per l’Italia

Ora è meglio per tutti andare a votare di Savino Pezzotta uella che si apre oggi a Todi è una fase importantissima per la politica italiana. Voglio sottolineare subito che le realtà che insieme convergono qui – Unione di Centro, Futuro e Libertà per l’Italia, Alleanza per l’Italia, Movimento per le Autonomie e Liberal-Democratici – si uniscono per formare un coordinamento parlamentare, non un partito vero e proprio. Bisogna, su questo tema, fare uno sforzo di chiarezza per non dare di nuovo adito a problemi che si sono già presentati. Non siamo a Todi per fare una fusione: siamo qui per individuare alcuni obiettivi comuni per fare opposizione, in modo da aiutare questo Paese da quella situazione in cui alcuni personaggi lo stanno facendo precipitare. a pagina 8

Q

Un intero Paese è ostaggio della sua paura

ROMA. «Quindi il Pdl punta a farlo assolvere per infermità mentale?». Il cinismo del demimonde politico romano, si sa, non è facile ad essere scalfito: per questo ieri il partito del premier non ha fatto in tempo a cambiare linea difensiva in Giunta per le autorizzazioni che la battuta s’è diffusa nel Transatlantico semideserto di Montecitorio. Risultato: la giunta ha detto: «È competenza del Tribunale dei ministri». a pagina 2

di Enzo Carra irruzione del presidente del Consiglio nello studio dell’Infedele Gad Lerner è la prova di quanto lo interessi “tenersi buona” la sua igienista dentale. «È stato un bel gesto da parte sua» ha concesso ieri l’igienista al Corriere della Sera. Ciò naturalmente non esclude che vi sia bisogno di altri “gesti”perché i rapporti tra i due non si guastino nuovamente. Il presidente del Consiglio sa bene quanto possa essere rischiosa un’indagine penale, quanto possa dividere indagati e testimoni, aprendo conflitti tra chi per anni ha vissuto la stessa vita. Il Cavaliere lo sa, essendo questa una materia che, insieme a tv e politica, è tra quelle che ha più frequentato in tutti questi anni. È comprensibile che in questo momento cerchi di evitare troppe contraddizioni.

L’

Nuova battaglia su Montecarlo. Il Senatùr: «L’ex leader di An lasci Montecitorio»

Caos al Senato: il Pdl si sfoga su Fini Frattini fa il postino di Santa Lucia Il ministro degli Esteri dice: «I documenti che arrivano dai Caraibi sono veri» e nell’Aula scoppia la bagarre. La maggioranza chiede le dimissioni del leader Fli ma l’opposizione risponde: «È solo un diversivo» Riccardo Paradisi • pagina 5

segue a pagina 2

Il prestigioso ex direttore dell’Aiea, si candida a guidare la transizione al Cairo

Torna El Baradei, l’anti-Mubarak Un’altra vittima in Egitto. Nel Maghreb si teme l’effetto domino di PIerre Chiartano

Parla Stefano Silvestri

«Ecco perché dobbiamo sostenere le rivolte»

effetto domino continua in tutto il Medioriente. Dalla Tunisia le piazze si stanno agitando in tutti quei Paesi dove la crisi economica ha reso più fragili le dittature. Dopo che l’Interpol mercoledì aveva spiccato un mandato d’arresto internazionale nei confronti dell’ex presidente tunisino, Zine el Abidine Ben Ali, e di sei suoi familiari, sembra che si siano definitivamente rotti gli argini. Mentre in Egitto torna El Baradei e si candida per il dopo Mubarak. a pagina 10

L’

seg1,00 ue a p(10,00 agina 9CON EURO

• ANNO XVI •

«Ecco chi non vuole cambiare Napoli»

di Luisa Arezzo

di Franco Insardà

ROMA. Stefano Silvestri analizza la situazione

L’immagine della spazzatura nel centro di Napoli è da poco sparita dalle prime pagine e la città torna a far discutere per il caso primarie. Umberto Ranieri, sconfitto con sospetti, dice: facciamo un passo indietro. a pagina 6

in Nord Africa e Medioriente: «Da tempo c’è un’insoddisfazione notevole, specialmente in quei paesi dove formalmente c’è una struttura democratica, anche se le elezioni sono controllate difatto ci sono situazioni dittatoriali, però formalmente sono repubbliche democratiche». a pagina 11 I QUADERNI)

Parla Umberto Ranieri

NUMERO

19 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


la polemica

prima pagina

Il Cavaliere e la «confessione» impossibile

pagina 2 • 28 gennaio 2011

L’intero Paese è ostaggio della sua paura di Enzo Carra segue dalla prima Evitare che tra un interrogatorio e un verbale, tra un’intercettazione e l’altra, non saltino fuori troppe ammissioni che poi sarà difficilissimo cancellare con altrettante ritrattazioni. Il Cavaliere sa che in un’inchiesta giudiziaria, per usare un aggettivo caro all’igienista dentale, ognuno pensa al suo didietro;“flaccido”o no che sia. Insomma, chi ha più da perdere, cioè il Cavaliere, non è detto che riesca a turare ogni buco (absit iniuria verbis) aperto da altre o altri. I danni poi se ci sono già stati è difficile ripararli. Difficile riparare incaute, dal punto di vista cavalleresco, dichiarazioni al pm di questa o quell’interprete del bunga bunga e contabilità delle prestazioni sessuali occultate tanto poco da non sfuggire alla polizia giudiziaria. L’indagine avanza e avanza anche il ricatto. Quando la consigliera regionale-igienista lamenta che “lui” non l’ha chiamata e, quindi, lei gli farà “prendere paura” ci siamo già, o perlomeno questo è uno dei tanti episodi che rendono cupa e minacciosa per il cavaliere una storia di ordinaria deboscia.

Il presidente del Consiglio ha paura. Con l’esplosione di un sistema che lui stesso ha organizzato insieme a lemuri pronti a tradirlo, oggi c’è l’affanno di star dietro alle richieste. C’è la nipote di Moubarak che chiede soldi. E ne ottiene. C’è chi, forse, si accontenterebbe di restare al caldo, a Milano due, negli appartamenti che “lui” ha fatto mettere a disposizione delle sue amiche. Ecco, però, non ci sono più né amici né amiche quando si rischia in proprio. E, a differenza di “lui”, non si ha niente da perdere. Un presidente del Consiglio ricattato ha una sola possibilità per sfuggire al ricatto, dire la verità. Confessarsi davanti al popolo. Raccontare quel che è successo nelle notti di Arcore, e di Roma. Avere il coraggio di fornire una versione meno incredibile del “fidanzamento” che gli avrebbe impedito di partecipare attivamente ai festini ai quali partecipava. A quel messaggio nessuno ha creduto. Se dicesse la verità potrebbe anche smettere di pagare. Gli italiani sanno già di cosa si tratta: in gran parte minimizzano o addirittura non credono a quel che scrivono i giornali e riferiscono alcuni (soltanto alcuni) telegiornali. Questa situazione piuttosto che sconsigliare il Cavaliere dal compiere il grande salto, dovrebbe piuttosto agevolarlo. Una società permissiva, fortemente influenzata dalla cultura Mediaset, capirebbe, anzi apprezzerebbe, la sincerità. L’altra, moralista e pregiudizialmente avversa sarebbe comunque colpita da una confessione nella quale la fragilità umana del Cavaliere verrebbe alla luce. Se non altro verrebbe eliminato quel clima di ipocrisia e complicità che trasuda dalle interviste e dalle intercettazioni delle ragazze. Anche noi saluteremmo con gioia la fine di quell’odioso balletto al quale dànno vita professioniste della danza del ventre con occhiate furbesche e dichiarazioni concordate con gli avvocati e, magari, da questi con gli emissari del Cavaliere. Se avesse il coraggio della confessione, il presidente del Consiglio tornerebbe ad essere un uomo libero. Ma non lo farà, arroccandosi con la sua legione di avvocati e cortigiani a difesa di un potere che sta perdendo.

Qui c’è in palio la vita e la morte. Se fosse il Cavaliere a prevalere sull’«ingente mole degli strumenti di indagine» (come li ha giustamente definiti il presidente della Cei) del pool di Milano, questo ufficio potrebbe, diciamo dovrebbe seriamente interrogarsi sulla propria capacità di svolgere il lavoro al quale è chiamato. Sarebbe la sconfitta, definitiva, di quel pool, e di quel modo di investigare. Se fosse il presidente del Consiglio a perdere, per la prima volta in diciassette anni, un set del duello con le toghe, questa sarebbe anche la sua fine. La fine di un sistema che, ingeneroso e sbagliato che sia liquidarlo così, passerebbe alla storia come il regime del bunga bunga.

il fatto A maggioranza, la Giunta respinge gli atti a Milano: «Non siete competenti»

Il fattore Minetti

Le minorenni che gli chiedono soldi, l’ex igienista che non si sente protetta, il meeting per una comune difesa: il caso Ruby ha fatto un salto di qualità di Marco Palombi

ROMA. «Quindi il Pdl punta a farlo assolvere per infermità mentale?». Il cinismo del demi-monde politico romano, si sa, non è facile ad essere scalfito: per questo ieri il partito del premier non ha fatto in tempo a cambiare linea difensiva in Giunta per le autorizzazioni che la battuta s’è diffusa nel Transatlantico semideserto di Montecitorio. In mattinata, infatti, il Popolo della Libertà ha deciso di non puntare più sul fumus persecutionis (tradotto: i pm di Milano ce l’hanno con Berlusconi) per impedire la perquisizione negli uffici di Giuseppe Spinelli, l’ormai famoso cassiere del presidente del Consiglio, ma di sollevare conflitto d’attribuzione alla Corte costituzionale sulla competenza della procura meneghina. Spiegato in italiano vuol dire questo: secondo i deputati di maggioranza Silvio Berlusconi ha sì telefonato in Questura interferendo nell’arresto della minore Karima el-Mahroug, ma lo ha fatto nella sua qualità di presidente del Consiglio e quindi, se reato c’è, spetta al Tribunale dei Ministri appurarlo e non a quello di Milano. «Perché?», si chiederà il lettore. Perché Silvio Berlusconi era davvero convinto che la ragazza fosse la nipote di Hosni Mubarak, il presidente egiziano, e dunque come premier ha inteso tutelare i rapporti bilaterali con un importante paese del Mediterraneo. Alla fine, ovviamente, questa è stata la linea votata dalla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio per 11 voti contro 8 (due assenti nella minoranza: Rossomando del Pd per malattia, Consolo di Fli perché pensa che abbia ragione il Pdl):

le carte, dunque, saranno rinviate alla procura di Milano e intanto la Consulta dovrà decidere di chi sia la competenza a processare il premier. In realtà, adesso la decisione dovrà essere ratificata anche dall’Aula della Camera, dove – c’è da scommetterci – la maggioranza vecchia e nuova farà quadrato attorno alla nuova linea difensiva. Tralasciando le diverse versioni date dalla stessa minorenne marocchina sulla questione (ad Alfonso Signorini, su Canale 5, ha detto di non aver mai detto di essere imparentata con Mubarak), la scelta affidata alle parole di Mauro Paniz in Giunta rischia di esporre il premier a prese in giro devastanti. La battuta sull’infermità mentale non è rimasta a lungo nel chiacchiericcio da divanetto. Il capogruppo di Idv alla Camera Massimo Donadi, per dire, l’ha subito fatta sua: «Un presidente del Consiglio che mette in gioco il suo prestigio, la sua onorabilità, oltre che la reputazione dell’intero Paese, forzando le decisioni della Questura abbindolato dalla storiella sconclusionata di una procace ragazzina non significa altro che affermare che Berlusconi è un povero mentecatto, incapace di discernere tra il vero e le balle più colossali». Sempre ieri un gruppo di parlamentari radicali scherzava sull’idea di presentare un’interrogazione al governo per sapere se, all’epoca, qualcuno a palazzo Chigi avvisò l’ambasciata egiziana della difficile situazione in cui si trovava la nipote del loro presidente.

Resta che, al di là dell’accertamento dei reati e persino della competenza a mettere sotto inchiesta


l’intervista

«Sì, ora è un premier sotto ricatto» Antonio Baldassarre è durissimo: «O le Camere lo sfiduciano o resta solo... il buon senso» di Francesco Capozza

ROMA. Dalle nuove carte trasmesse dalla Procura di Milano alla Giunta per le autorizzazioni della Camera emerge che anche un’altra minorenne partecipava alle feste di Arcore. Secondo i tabulati telefonici questa ragazza, nata nel 1991, era nella villa del Presidente del Consiglio in Brianza il 13 dicembre 2009. Le nuove 227 pagine giunte ieri a Montecitorio innervosiscono ulteriormente gli ambienti vicini al premier accentuando, si mormora, anche l’imbarazzo del Colle. Perfino Umberto Bossi, l’ultimo alleato rimasto accanto a Berlusconi, ha dovuto ammettere che «lci sono nuovi pasticci che complicano le cose». Il fatto è che i documenti spediti mercoledì dalla Procura di Milano alla Camera sembrano mostrare un premier «ricattabile» (dalle ragazze, soprattutte che chiedono soldi in cambio del silenzio e che poi vengono “edotte” direttamente dal Cavaliere su che cosa devono dire) e forse anche direttamente ricattato (dalle minori, prima di tutto, che potrebbero metterlo nei guai). Una situazione politicamente nuova, perché Silvio Berlusconi non è un cittadino qualunque bensì un capo di governo che a questo punto rischierebbe di mettere a repentaglio oltre al proprio onore e al proprio denaro, anche gli interessi dello Stato. E della comuntà. Una questione che riguarda anche i poteri e il ruolo costituzionale di chi deve garabntire l’inte-

grità delle istituzioni. Questi interrogativi, dunque, abbiamo girato al professor Antonio Baldassarre, presidente emerito della Corte costituzionale che non ha mai fatto velo (anche accettando incarichi di prestigio come la Presidenza della Rai) alla sua vicinanza ideale con il centrodestra. Professor Baldassare, che ne pensa di questo ennesimo “macigno” che piomba sulla vita privata del premier? Innanzi tutto vorrei precisare che non intendo parlare dell’argo-

Sul reato contestato a Berlusconi è chiaramente competente il tribunale comune: non esercitava le sue funzioni

mento se non in termini giuridici e, se del caso, costituzionali. Va bene professore, ma secondo lei è ravvisabile una qualche motivazione costituzionale che induca il premier ad un passo indietro? No. Qui si parla solamente di un passo politico che non c’entra nulla con la Costituzione. Questa si affida al buon senso degli organi supremi del potere uno dei quali è la figura del primo ministro. Per affidarsi al buon senso, certo, bisognerebbe esserne provvisti...

il presidente del Consiglio, un dato che risulta evidente a chiunque guardi a questa vicenda senza paraocchi è l’estrema ricattabilità dell’uomo che ha in mano i fili della nazione. Il problema si affacciò già ai tempi dell’affaire D’Addario e del giro di escort assai costose messe a disposizione del premier dall’equivoco Giampiero Tarantini, un tipo sotto inchiesta per corruzione, ma anche per faccende di droga all’interno del suo circo Barnum politico-sessuale. Quanto è libero nelle sue scelte un uomo che deve tenere nascoste così tanti aspetti della sua vita privata? La domanda era sensata allora e lo è ancora oggi. Anzi, forse ha acquistato una sua plastica necessità di fronte ai “cinque milioni” che Ruby sostiene di aver chiesto al premier per stare zitta (senza contare il foglietto con i soldi ricevuti e da ricevere trovato a casa sua), nella furia economicista delle ragazze che parlano al telefono dei soldi del “vecchio” che potrebbero non arrivare più, nelle buste di banconote con scritto “Silvio B.” trovate a casa delle giovani perquisite il 14 gennaio, nella convocazione ad Arcore di tutte le belle testimoni il giorno successivo.

Non c’è proprio nessun cavillo giuridico che possa portare alle dimissioni di Berlusconi? A mio avviso no. Si è molto discusso in questi giorni dell’articolo 54 della Costituzione, ma ogni lettura sarebbe partigiana e bisogna attenersi a quello che c’è scritto sulla Carta. Il premier deve dimettersi solo se sfiduciato dalle Camere o da una di queste il resto, come già detto, risiede nel suo personale buon senso. Lei è tra quelli che credono che sia competenza del Tribunale dei ministri indagare sul Rubygate? Ho dei seri dubbi a riguardo. Credo piuttosto che sia competenza della magistratura ordinaria.Vede, il tribunale dei Ministri giudica un componente dell’esecutivo per gli atti svolti nell’esercizio delle sue funzioni. Io credo che l’accusa di concussione sia rivolta invece a Silvio Berlusconi come cittadino e non nell’esercizio delle funzioni di primo ministro. D’altronde una telefonata diretta al questore di Milano può essere stata fatta solo per chiedere un favore ad un uomo da parte di un uomo e non da parte di un’istituzione. Almeno lo voglio sperare.... Gli uffici del premier dovrebbero essere a disposizione degli inquirenti? Su questo deciderà la Camera dei deputati, che è l’organismo di cui fa parte il deputato Berlusconi. Se si tratta di uffici effettivamente preposti al lavoro istituzionale del deputato e Presidente del Consiglio allora ben venga che la Camera neghi l’accesso ai magistrati, se

re te e me in Parlamento perché dice: bene me le sono levate dai coglioni, lo stipendio lo paga lo Stato», «fa finta di non vedere le chiamate», «se mi chiama vengo ad Arcore, ma ci vengo coi miei avvocati». Non si vorrebbe esagerare, ma in un paese serio si discuterebbe anche della possibile «eterodirezione» di queste signorine. Psicosi da Guerra Fredda? Può essere, ma va almeno ricordato che recentemente un paio di filmati hard hanno portato alle dimissioni, in Russia, di un viceconsole bri-

invece emergesse che si tratta di centri di smistamento di benefici privati, beh ecco, la situazione sarebbe diversa... È vero, come qualcuno dice, che quello che accade nelle residenze private del premier è come se accadesse a Palazzo Chigi? Sì, questa tesi è fondata. Le residenze del Presidente del Consiglio godono di uno status giuridico e sono sottoposte a controlli da parte di servizi di sicurezza tali che vengono equiparate ad una qualsiasi delle altre sedi istituzionali del capo del governo. Come vede un giurista il fatto che il presidente del Consiglio sia ricattabile? Da quello che sta emergendo dalle intercettazioni sul caso, mi pare che emerga un vulnus politico più che giuridico. Il premier è ricattabile ed attaccabile politicamente, non certo costituzionalmente, come ho già avuto modo di spiegarle. Costituzionalmente non c’è nessuna strada obbligata se non la sfiducia di una delle due Camere.

(o forse l’ha difesa a spada tratta anche irrompedo da Lerner proprio per questo?). La 25enne consigliera regionale, però, ha bisogno di ben altro che delle buone parole del Cavaliere: è indagata per sfruttamento della prostituzione e, se di mezzo non ci fossero politici, probabilmente sarebbe già sotto custodia cautelare. Cosa potrebbe dire la ragazza di fronte alla minaccia del carcere? È questa la preoccupazione che circola dentro al Pdl e nel cerchio stretto del presidente del Consiglio. Chiave di volta di questo passaggio sarà la decisione della giovane rispetto all’invito a comparire ricevuto dai pubblici ministeri. Attorno a palazzo Chigi, intanto, tutto sembra precipitare: gelosie, invidie e rabbia circolano tra le giovani donne coinvolte, oggi stritolate dalla pressione mediatica, lo spettro della cocaina baluginato nei verbali arrivati alla Camera (ieri condannato a 8 anni per direttissima il fidanzato di Marysthelle Polanco, valletta Mediaset ed assidua ad Arcore), Emilio Fede che denuncia per diffamazione il suo ex caposcorta (un carabiniere che ha messo a verbale di aver riaccompagnato a casa da Arcore le ragazze procacciate al premier dal direttore del Tg4), Il Giornale che si dedica al “metodo Boffo”o “Mesiano” contro Ilda Boccassini usando una storiella un po’ scollacciata di trenta anni fa. «Mi sembra che l’entità dei fatti che viene fuori da Milano sia veramente inquietante», sostiene Pier Ferdinando Casini: insomma, «C’è un problema di dimissioni, ma di certo non riguarda Fini».

La Giunta cambia strategia e lascia cadere l’ipotesi della «persecuzione giudiziaria». A questo punto spetterà alla Consulta stabilire chi dovrà processare il Cavaliere

Ancor più urticante da questo punto di vista è però l’incredibile sfogo telefonico di Nicole Minetti che si scopre, improvvisamente, mero oggetto di piacere e per di più anche scaricata dal suo mentore: «Mi ha rovinato la vita», «è un vecchio e basta», «si comporta da pezzo di merda», «pensa solo al suo culo flaccido», «a lui gli fa comodo mette-

tannico e di un consigliere d’ambasciata statunitense. Qualcuno può garantire, per dire, che nei suoi viaggi dall’amico Putin il presidente del Consiglio si sia attenuto a rigorosi codici di comportamento? È un dubbio legittimo visto che il capo del governo non pare essere attento alla biografia delle donne di cui si circonda: ha o no scambiato, secondo quanto dice, una sbandata marocchina per la nipote di Mubarak?

Quanto all’inchiesta, va segnalata almeno un’ultima cosa. È su Nicole Minetti che pare puntare la strategia della Procura milanese: è lei l’anello debole della catena, nonostante negli ultimi giorni Berlusconi abbia preso a difenderla a spada tratta


pagina 4 • 28 gennaio 2011

l’approfondimento

Il quotidiano Usa interroga Federico Varese, Chiara Volpato, Clare Watters, Molinari, Stille, Monda e Eloisa Morra

Sex and Democracy

Perché gli italiani tollerano ancora Berlusconi? Gli americani non lo capiscono e il New York Times ha chiesto a un gruppo di commentatori di casa nostra di rispondere. Il Cavaliere è l’evoluzione naturale della politica-spettacolo di Maurizio Stefanini ederico Varese, docente di criminologia a Oxford e autore di un libro che spiega come fanno le mafie a conquistare il territorio: «È l’élite che decide». Chiara Volpato, docente di psicologia sociale all’Università di Milano Bicocca: «Il ruolo decorativo delle donne». Alexander Stille, figlio nato a New York e americano di quell’Ugo Stille che tra una nascita a Mosca e una morte a New York da corrispondente del Corriere della Sera fece a tempo (per cinque anni) a essere direttore dello stesso Corriere, ma egli stesso giornalista e autore di un libro su Berlusconi che si intitola significativamente Il Sacco di Roma: «Un peccato che non può essere perdonato». Maurizio Molinari, corrispondente della Stampa: «Mancanza di opzioni politiche». Eloisa Morra, collaboratrice del Women’s International Perspective: «Una realtà distorta». Antonio Monda, collaboratore di Repubblica e docente alla NewYork University

F

e alla Tisch School of Arts: «Abbracciando il neo-paganesimo». Clare Watters, candidata al Ph.D. in Studi Italiani all’Università di Birmingham: «Sfidando Berlusconi». Non è che gli americani quanto a politici in odore di Bung Bunga si siano mai tirati indietro: dalla ragazza sulle ginocchia di Gary Hart, allo Studio “Orale” di Bill Clinton. Ma anche noi italiani li abbiamo sfottuti in quelle circostanze: facendo anche fior di dibattiti intellettuali sulle radici puritane che spingevano gli elettori Usa a preoccuparsi delle vicende sessuali dei loro leader, piuttosto che della loro capacità di governare. È anche giusto che siano ora loro a renderci il Bunga Bunga per focaccia. Anche con il dibattito appena ospitato dal New York Times sul tema: «Perché l’Italia tollera Berlusconi?». Che una differenza importante, appunto, è questa. Hart dovette infatti ritirarsi dalla contesa elettorale, e Clinton dovette chiedere scusa in pubblico. Il Cavaliere, invece,

dà a volte l’impressione di credere che potrebbe prendere perfino più voti di prima, dopo il Rubygate.

Di ciò, il giornale icona del progressismo Usa non riesce a capacitarci. «Decadenza e democrazia in Italia», è il titolo. Poiché gli stereotipi sono sempre reciproci, come da noi quando gli Usa combinano qualcosa finiamo sempre per ritirare fuori i pistoleri del Far West e i Padri Pellegrini che davano la caccia alle streghe a Salem, anche

Più che critiche, dall’inchiesta traspare un senso di sgomento

per loro evidentemente diventa una tentazione irresistibile evocare Caligola e i Borgia (che peraltro erano spagnoli). Però, «il futuro politico del Cavaliere, almeno per il momento, sembra sicuro». «Le intercettazioni di alcune conversazioni telefoniche suggeriscono che Berlusconi ha avuto rapporti con la ballerina di nightclub Karima elMahroug da quando questa era minorenne». Ballerina di nightclub, qua, sembra già una concessione impegnativa, ma se non altro dimostra che il New York Times non è necessariamente prevenuto in senso negativo. Tuttavia, «secondo gli ultimi sondaggi, meno del 50% degli italiani chiede le dimissioni premier». Insomma: «Perché gli italiani - in particolare le donne - tollerano le buffonate di Berlusconi da così tanto tempo?».

Avessero chiesto all’autore di queste note, la sua risposta sarebbe stata: «Colpa vostra! Avete fatto venire in testa ai nostri politologi e politici l’idea virtuosa di imitare il vostro sistema

politico, tra presidenzialismo, federalismo e bipolarismo maggioritario. Ne è saltata fuori ‘sta roba». L’italiano anglicizzato Varese rovescia invece la frittata, argomentando l’esatto contrario di quello che ripete Berlusconi, sulle élites che cercano di fargli le scarpe contro l’elettorato che lo ama. Al contrario, in Italia «sono le élites a decidere». In una «democrazia matura i leader del Pdl avrebbero suggerito a Berlusconi di fare un passo indietro per il bene del partito. Ma in Italia lui possiede il suo partito», Insomma: «Gli italiani potrebbero essere arrivati al punto di rottura ma non le élites economiche, sociali e politiche». La vera l’anomalia è il partito-azienda: d’altronde determinata dal modo in cui i partiti tradizionali sono stati distrutti con Tangentopoli. E questa d’altronde la semplice osservazione che fa Molinari. «Dopo la distruzione della Dc è stato Berlusconi ad assumere la rappresentanza dei moderati», e finora «l’opposizione è stata incapace di sfidarlo su temi quali la


28 gennaio 2011 • pagina 5

Nuova controffensiva della maggioranza: «La carte che arrivano dai Caraibi sono vere»

Il Pdl si sfoga su Fini. E Frattini ringrazia Santa Lucia Caos tra i senatori sulla casa di Montecarlo. Bossi chiede le dimissioni del presidente della Camera. L’opposizione: «È solo un diversivo» di Riccardo Paradisi er distogliere l’attenzione da un fuoco (Ruby-gate e allegati) se ne accende un altro. È quanto sostiene l’opposizione in riferimento alla risposta del ministro degli Esteri Franco Frattini a un’interrogazione del Pdl in Senato sull’affaire della casa di Montecarlo.Vicenda che aveva investito il presidente della Camera Fini la scorsa estate. In realtà quello della casa di Montecarlo è un faldone rimasto sempre aperto, un ferro tenuto sempre ben

P

polemica che investì anche una presunta manipolazione del documento e quindi la sua autenticità e da alcuni organi di stampa si era indicato anche un presunto ruolo di organi dello stato in tali attività. Ecco la ragione per cui a suo tempo - dice Frattini - ritenni di chiedere non ovviamente una rogatoria, ma un chiarimento puro e semplice alle autorità di Santa Lucia circa la genesi e l’autenticità del predetto documento replicato da organi di informazione in Italia

Rutelli: «Inopportuno che il Senato polemizzi con il presidente di Montecitorio» caldo dalla stampa di centrodestra e battuto senza posa dagli esponenti del Pdl che hanno continuato a chiedere con alterna intensità le dimissioni di Fini dalla presidenza di Montecitorio.

Dimissioni che il Pdl assieme alla Lega, torna a chiedere dopo l’intervento al Senato del ministro Frattini. Il titolare della Farnesina ha riferito che il primo ministro di Santa Lucia conferma l’autenticità del documento pubblicato dai giornali circa la proprietà della casa di Montecarlo intestata ad una società offshore che fa riferimento a Gianfranco Tulliani, cognato del presidente della Camera: «Qualche settimana fa ho ricevuto la risposta dal primo ministro di Santa Lucia il quale, allegando il documento, me ne ha certificato l’autenticità e l’autenticità dei dati contenuti, sia la lettera, sia il documento allegato sono stati da me inviati per delle valutazioni alla procura della Repubblica di Roma dove c’è ancora un fascicolo aperto sulla vicenda». Frattini, dunque, non ha rivelato i contenuti della documentazione ora sottoposta a segreto istruttorio, essendo stata acquisita dalla Procura ma ha chiarito che non si tratta di una rogatoria quanto di ”un chiarimento puro e semplice”. Ecco il motivo della sua richiesta al governo di Santa Lucia dei documenti relativi alla casa ex An di Montecarlo. Frattini cita la polemica che investì una mistificazione della lettera del ministro della Giustizia di Santa Lucia sul coinvolgimento di Giancarlo nella società offshore proprietaria dell’immobile. «Vi fu una

e non solo in Italia, onde fugare dubbi, indiscrezioni, retroscena». A mettere il carico da undici un altro grande accusatore di Fini, Francesco Storace, il cui partito aveva denunciato il presidente della Camera per i modi con cui era stata acquisita e venduta la casa di Montecarlo, di proprietà di An. «Se nemmeno quanto emerge oggi dalle dichiarazioni d Frattini, è sufficiente per far dimettere il presidente della Camera, è evidente che Fini conta su protezioni enormi» Eppure Frattini non riesce a fugare tutti dubbi e i sospetti. L’opposizione si ritrova unita contro la decisione del presidente del senato Renato Schifani di dichiarare ammissibile l’interNella cartina, indicata dalla freccia, lo stato di Santa Lucia (nei Caraibi, di fronte al Venezuela) che ha rivelato al ministro Frattini la verità sulla casa di Montecarlo

rogazione del Pdl sulla documentazione proveniente da Saint Lucia: «Quello che sta per avvenire - dice Francesco Rutelli - non avrebbe mai dovuto avvenire per la correttezza dei rapporti che dovrebbe esserci tra Camera e Senato. Non è opportuno che il Senato si occupi in maniera trasversale di polemiche politiche della Camera». Anna Finocchiaro (Pd): «Non è possibile piegare l’Aula ad una esigenza di natura politica e del tutto assolutamente insignificante per i problemi del Paese».

«Un’inusuale solerzia», quella del governo su questa interrogazione, evidenziata da Pasquale Viespoli del Fli, il quale pure non lascerà l’Aula quando parla Frattini. E Giampiero D’Alia dell’Udc sottolinea: «L’ammissione di questa interrogazione è un atto di indecenza dal punto di vista istituzionale, che viola il regolamento del Senato e apre la strada ad un conflitto istituzionale. Il presidente del Senato, ammettendola, è venuto meno al suo ruolo di imparzialità». Pdl e Lega non solo si schierano con Schifani. – «il Governo, nella sua piena autonomia, ha espresso la propria volontà di rispondere oggi all’interrogazione. La Presidenza non poteva che prenderne atto – ma tornano a chiedere con forza le dimissioni di Fini: «Dalle parole di Frattini il governo di Santa Lucia ha confermato quanto si disse sulla proprietà dell’immobile. Il presidente della Camera collegò le sue decisioni ad alcuni fatti, perciò....». Il Pdl ritiene sempre piu’ stringente il nodo dell’incompatibilità di Gianfranco Fini con il ruolo di presidente della Camera. È questa anche la linea trapelata al termine dell’incontro fra il premier Silvio Berlusconi e i vertici del Pdl: continuare a chiedere le dimissioni di Fini, in quanto esiste un ’problema politico di compatibilità on il suo ruolo da presidente della Camera». E la linea resta la stessa lanche sul caso Ruby: la bufera passerà, il governo va avanti.

disoccupazione, l’immigrazione o l’energia». Pur su un tono in apparenza più moralista, «un peccato che non può essere perdonato», Stille è di fatto anche lui d’accordo sul vuoto di opposizione. Spiega inoltre agli americani che, sebbene gli italiani si siano in qualche modo assuefatti agli scandali «allo stesso modo in cui gli occhi si adattano all’oscurità», è pure vero che anche in passato «non hanno mai ritenuto che la condotta privata di un politico debba avere implicazioni pubbliche importanti». Anche Monda opina che in fondo Berlusconi è in piena sintonia con il carattere degli italiani: «Che diffidano del giudiziario almeno quanto apprezzano il suo edonismo». Insomma, l’idea ampiamente diffusa che i giudici ce l’abbiano con Berlusconi non per desiderio di giustizia ma per partito preso, «non deriva solo dalla propaganda di Berlusconi».

Insomma, a parte il commento un po’ più originale di Varese, gli uomini interpellati trovano in fondo quel che accade abbastanza logico. Più critiche invece le donne. La Volpato, in particolare, individua il problema «nel ruolo decorativo in cui donne e minori sono degradate nei media di Berlusconi», che «cementifica la posizione di subordinazione delle donne nella società italiana». A questo punto, ci si potrebbe interrogare sul come il Bunga Bunga non possa essere diventato da parte delle stesse donne una paradossale forma di emancipazione. Della serie: senza le scorciatoie berlusconiane, avrebbe potuto una donna italiana diventare ministri prima dei cinquant’anni? Senza dire esattamente questo, è però in questa direzione che va Eloisa Morra. Se la prende col forte ruolo di Berlusconi nei media, ma poi riconosce: «Le donne che lo difendono vogliono mantenere la loro rilevanza politica e il loro privilegio economico». Anche se poi ci sono state le “centinaia di donne” che hanno messo ma maglietta con la frase di Rosy Bindi: «Signor Presidente, non sono una donna a sua disposizione». A chiudere il dibattito Clare Watters: «I sondaggi non mentono, ma non ci danno un quadro completo. Ci sono molti italiani che combattono Berlusconi e gli effetti che lui ha sull’Italia». E anche lei ha messo il dito sulla piaga della mancanza di un’opposizione credibile. Purtroppo, ha pure indicato tra i fermenti positivi il “V-day” di Beppe Grillo. Gli americani non ci avranno forse capito granché, anche perché non si è azzardata a dare una tradizione stile “Fuckoff Day”. Ma l’italiano, apprezzerà subito il rischio che con proposte del genere solo l’età avanzata del Cavaliere, Don Verzè permettendo, ci affrancherà dal morire berlusconiani.


diario

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La Fiom a Bologna fischia la Camusso

Fiat: utili record e debito dimezzato

BOLOGNA. Il segretario della Fiom Maurizio Landini è tornato a chiedere lo sciopero generale dalla piazza di Bologna, ma quando sullo stesso palco è stato il suo turno, Susanna Camuso non ha fatto alcun accenno allo scioperò. Così dalla piazza sono partiti i fischi, in particolare dal centro dove erano anche radunati molti studenti che hanno partecipato allo sciopero della Fiom. «Sciopero generale» era lo slogan ribadito in continuazione. Ha continuato a gridarlo al megafono anche un operaio in prima, tanto che il segretario bolognese dei metalmeccanici, Bruno Papignani, è dovuto scendere dal palco per chiedergli di smettere. Insomma, nel complesso l’accoglienza della piazza alla Camusso è stata fredda.

Giallo sull’acquisto dell’A.S. Roma

TORINO. Ritorno all’utile nel 2010 per il gruppo Fiat: 600 milioni di risultato netto contro una perdita di 848 milioni, in miglioramento di un miliardo di euro se si escludono gli oneri atipici. Dei 600 milioni di risultato netto, 222 sono relativi a Fiat Post Scissione e 378 milioni a Fiat Industrial. Il consiglio di amministrazione, che ha approvato i conti dell’esercizio, proporrà un dividendo totale per il 2010, per le tre classi di azioni di Fiat Spa, pari a 152 milioni di euro (escludendo le azioni proprie): un’enormità, per gli azionisti. L’indebitamento netto industriale si è quasi dimezzato scendendo a 2,4 miliardi. I ricavi 2010, infine, sono ammontati a 56,3 miliardi di euro, in crescita del 12,3% rispetto al 2009.

ROMA. Bocche cucite a Palazzo di Giustizia sulle indiscrezioni secondo le quali sarebbero state emesse due ordinanze di custodia cautelare nei riguardi dell’agente della Fifa Vinicio Fioranelli e dell’imprenditore tedesco Valker Flick, già interessati all’acquisto della AS Roma. Sulla vicenda la procura di Roma ha aperto da tempo un fascicolo ipotizzando il reato di aggiotaggio. A Fioranelli si contesta di aver diffuso notizie false circa l’interessamento suo e di Flick. Ciò determinò tra l’aprile e il luglio del 2009 un sensibile aumento delle azioni della società. Le indagini avrebbero accertato che nonostante venissero propalate le notizie circa un interessamento all’acquisto della Roma, la società rappresentata da Fioranelli in realtà non aveva capitali.

Umberto Ranieri, “sconfitto” alle primarie del Pd, annuncia: «Anche se passa il mio ricorso potrei non candidarmi»

«Ecco chi non vuole cambiare Napoli»

Il centrosinistra, senza Sel, riunito a Roma per decidere si è riaggiornato a martedì di Franco Insardà

Mentre si attende la decisione del Comitato dei garanti del Pd campano aumenta la lista dei candidati alternativi del centrosinistra alle comunali di Napoli: dal magistrato Raffaele Cantone, alla giornalista Lucia Annunziata, fino allo scrittore Roberto Saviano. Tutti, però, hanno finora declinato l’invito

ROMA. L’immagine della spazzatura nel centro di Napoli è da poco sparita dalle prime pagine, anche se stando alle dichiarazioni allarmate dell’assessore napoletano all’Igiene Paolo Giacomelli ci tornerà presto, ed ecco salire agli onori della cronaca i brogli alle primarie del Partito democratico per la scelta del candidato sindaco. Una vicenda che ha costretto i vertici del Pd napoletano a congelare il risultato e indotto il segretario nazionale Pier Luigi Bersani ad annullare l’assemblea nazionale prevista per sabato proprio a Napoli. Il tutto mentre il “vincitore” Andrea Cozzolino grida al complotto, lo “sconfitto” Umberto Ranieri ricorre, come da regolamento, al Comitato dei garanti del partito e Sinistra Ecologia e Libertà, che ha sostenuto Libero Mancuso, prende le distanze. Senza contare la lista dei candidati “alternativi“ che si ingrossa ora dopo ora: il magistrato Raffaele Cantone, la giornalista Lucia Annunziata e lo scrittore Roberto Saviano.Tutti declinano e il Pd, in evidente stato confusionale, ha riunito ieri i partiti del centrosinistra che hanno partecipato alle primarie napoletane, con la defezione di Sel, senza riuscire a trovare la quadra e riaggiornandosi a martedì prossimo.

E giusto per agitare ancora di più le acque arriva l’intervista di Antonio Bassolino all’Espresso, in occasione dell’uscita del suo libro ”NapoliItalia”, nella quale l’ex governatore denuncia: «In diversi ambienti del Pd si sono illusi che isolandomi, io e il Pd diventassimo cose staccate. È stata

un’illusione e un errore». Contro il bassoliniano Andrea Cozzolino ha dovuto fare i conti Umberto Ranieri, responsabile del Pd per il Mezzogiorno, dai tempi del Pci su posizioni opposte all’ex sindaco di Napoli: quelle miglioriste. Ma Ranieri rifugge dall’idea che si sia trattato di una sfida tra miglioristi e bassoliniani: «Non so se si possano assimilare le primarie ai confronti interni al Pci in anni ormai molto lontani. Ho cercato, invece, di interpretare la voglia a di lottare contro i metodi di conduzione della vita pubblica inaccettabili, contro la degenerazione della politica a Napoli, e su questo ho trovato molti consensi e forze disponibili a impegnarsi. Questo è stato il senso della mia battaglia e

i consensi giunti alla mia candidatura da parte di tante persone disponibili a battersi su questo terreno, lo dimostrano».

Ma come è possibile che il Partito democratico abbia svolto le sue primarie a Bologna, e prima ancora a Milano, senza problemi mentre a Napoli si è arrivati alla denuncia di irregolarità al Collegio dei Garanti? Secondo Ranieri «a Napoli c’è un problema che si manifesta in ogni cosa che si cerca di fare. Anche in una giornata importante come quella delle primarie che vedono tante migliaia di napoletani partecipare al voto. C’è un decadimento della politica e una corruzione diffusa della vita pubblica che necessitano un cambiamento avvertito co-

me necessario, a quale si oppongono alcuni gruppi». Eppure le primarie sono state uno degli elementi di novità del Pd salutati con maggiore entusiasmo, ma Umberto Ranieri pur riconoscendo che «sono uno strumento importante che consente una partecipazione significativa dei cittadini a delle scelte», ritiene che «occorre rivedere il meccanismo e perfezionarlo introducendo delle regole stringenti, altrimenti, soprattutto nel Mezzogiorno, si precipita nei guai che si sono verificati a Napoli. Sono necessari elenchi di elettori del centrosinistra, in modo da scongiurare che la scelta del candidato sia determinata da simpatizzanti del centrodestra. Controlli e regole tassative che mettano tutti i

candidati sulle stesso piano, anche per quel che riguarda le risorse finanziaria da impiegare per la campagna elettorale».

Pochi giorni di prima del voto i quattro candidati alle primarie hanno posato insieme sorridenti per una foto di rito, ma i malumori e i sospetti erano evidenti. «Ho sperato sempre -– dice ancora Ranieri – in comportamenti leali e rispettosi di quelle poche regole che soprintendono allo svolgimento delle primarie. A un certo punto della campagna elettorale ho cominciato ad avvertire che si fosse in presenza di diffusi comportamenti contraddittori rispetto ai principi di lealtà e di correttezza. Non pensavo, però, che assumessero le dimensioni che


28 gennaio 2011 • pagina 7

Cattolici contro Premier: ipotesi di successione

Napolitano: «Populismo e razzismo germe della Shoah» ROMA. «Il primo germe distruttivo della Shoah è stato ed è quello dell’intolleranza, del nazionalismo e del populismo che si traducono in demonizzazione e odio del diverso e dello straniero. Ci fu la persecuzione infatti anche contro i Rom e i Sinti. È necessario vigilare perché questo germe non si riproponga anche nei Paesi che si sono dati Costituzioni democratiche». È il monito lanciato dal presidente della Repubblica nel suo intervento al Quirinale in occasione del Giorno della memoria. «I principi», ha proseguito Giorgio Napolitano, «devono farsi vivere, devono sempre richiamarsi perché siano pienamente rispettati. Non si può mai apprezzare abbastanza lo studio e l’approfondimento della mostruosa vicenda della Shoah. Conta sapere e ricordare non solo cosa accadde, ma come ci si arrivò». Napo-

litano ha citato «la criminale degenerazione del totalitarismo nazista e le orrende degenerazioni conobbe anche l’altro totalitarismo del Novecento, quello sovietico». «Nulla poteva motivare, se non un cieco razzismo, l’espulsione decretata dal fascismo degli ebrei e delle loro comunità dal consorzio civile italiano», ha aggiunto il presidente, il quale ha ricordato inoltre il contributo che gli ebrei diedero all’Unità d’Italia come «patrioti risorgimentali».

hanno avuto nella realtà. Forse sono stato troppo fiducioso».

votato gli chiede di fermarsi per evitare danni irreparabili al Pd Ranieri replica: «Santangelo sbaglia. Il danno all’immagine del partito l’ha creato chi si è lasciato andare a pratiche e comportamenti disdicevoli, non certo chi si propone di sanare le anomalie che si sono prodotte».

E così a urne chiuse Ranieri ha deciso di far intervenire i garanti del Pd per chiarire lo svolgimento della consultazione. «Mi auguro che i garanti siano messi nella condizione di lavorare bene, conducano la loro indagine, così come è previsto dal regolamento, e possano giungere a delle conclusioni che dovranno essere rispettate. Lo dobbiamo ai tanti cittadini che hanno partecipato a queste primarie». Sull’accusa di “un patto segreto tra Cozzolino e Fulvio Martusciello, uno dei possibili candidati del centrodestra, precisa: «Lo deciderà il Consiglio di garanzia». Ma subito dopo aggiunge: «L’idea di affidare alle decisioni del consiglio di garanzia del partito la scelta del candidato al sindaco non mi sembra una soluzione giusta. Quindi confermo la mia intenzione, in ogni caso, di ritirare la candidatura. Anche se le conclusioni dovessero confermare quello che io penso sia accaduto nella realtà e sancire il mio successo avrei molte esitazioni ad accettare di candidarmi». A chi poi, come l’ex assessore regionale alla Sanità nella giunta Bassolino Mario Santangelo, dichiarando di averlo

Ranieri: «Le primarie sono uno strumento importante, ma occorre rivedere il meccanismo»

MINISTERO DELLA DIFESA COMANDO REGIONE MILITARE NORD Ufficio Amministrazione Corso Vinzaglio, 6 10121 Torino

AVVISO La presente pubblicazione è effettuata per conto di tutti i Comandi Militari dell’Esercito dislocati nelle Regioni Piemonte, Valle D’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche e nella provincia di L’Aquila. Ai sensi del D.P.R. 20/08/2001 n. 384, D.M. 16/03/06, D.P.R 19/4/2005 n. 170, il Comando Regione Militare Nord – Ufficio Amministrazione - Corso Vinzaglio n. 6 - 10121 Torino, in qualità di Ente delegato a predisporre l’elenco delle imprese qualificate, rende noto che sul sito http://www.esercito.difesa.it/root/bandi/bandi.asp sono pubblicati i settori/categorie merceologiche per le quali durante l’anno 2011 è previsto, presumibilmente, il ricorso alla procedura ad economia per acquisizione di beni, esecuzione lavori, appalto servizi, le informazioni necessarie per la presentazione della domanda di iscrizione e modulo di domanda previsto. Informazioni esclusivamente a mezzo posta elettronica: infoalbo@rmnord.esercito.difesa.it. IL CAPO DEL SERVIZIO AMMINISTRATIVO: Ten. Col. co.com Gaetano SIMONETTI

g i u d i z il e t t e r ep r o t e s t es u g g e r i m e n t i

Nelle foto: dall’alto Umberto Ranieri, Pier Luigi Bersani, Andrea Cozzolino e Antonio Bassolino

Usando i consueti toni pacati, molto rari di questi tempi. Umberto Ranieri ricorda di aver «raccolto un risultato quantitativamente apprezzabile del quale non posso non essere soddisfatto. In tanti ambienti che mi hanno sostenuto ho avvertito la forte volontà di avviare un cambiamento nei metodi e nei modi in cui è stata governata la città di Napoli. Lo spettacolo di questi giorni rischia di scoraggiare queste nuove energie, soprattutto se il Pd non scegliesse di condurre la battaglia sul terreno che ho indicato sarebbero scoraggiate». Ranieri lancia due messaggi uno al suo partito e l’altro al centrodestra. Al Pd dice: «Ho condotto una battaglia per una svolta politica e per la moralità, ho avuto consensi significativi, e continuerò questo percorso con la stessa determinazione che ho messo in questi ultimi mesi. Se il Pd sarà in sintonia con questa battaglia bene, altrimenti si troveranno altri modi e altre forme per condurla, perché è una battaglia per gli interessi di Napoli». Avverte il centrodestra che «può gongolare quanto vuole, ma non rappresenta certamente una coalizione in grado di raccogliere l’ansia di rinnovamento diffusa tra i napoletani. Lo abbiamo verificato alla Provincia e alla Regione, dove pur vincendo, non sta dando una buona prova di governo. Starei attento a dare per vincente il centrodestra alle comunali di Napoli. Anche se per la coalizione di centrosinistra i rischi di perdere sono reali, visto che non è capace di produrre uno sforzo profondo di rinnovamento e di mutamento del personale politico, dei metodi e dello stile con il quale si amministra la città».

La conferenza episcopale, nella persona del Cardinale Bagnasco, ha criticato duramente certi atteggiamenti morali che poco sono consoni alle alte cariche politiche. Appare chiaro il riferimento al recente scandalo che ha come protagonista Silvio Berlusconi; indagato per prostituzione minorile. Bisogna evidenziare che la presa di posizione dei cattolici non è netta, come se la Chiesa di Roma non voglia chiudere con l’attuale maggioranza, ma auspichi semplicemente l’avvento di un nuovo Premier. Quest’ultima prospettiva potrebbe essere la più praticabile, in considerazione del fatto che la maggioranza delle forze politiche presenti in Italia, non sembra avere interesse a ritornare alle urne. I problemi giudiziari che attanagliano il presidente del Consiglio, rendono proibitiva la governabilità. L’Italia ha bisogno di riforme, la crisi economica non sembra cosa passata, almeno negli effetti che si manifestano sul tenore di vita degli italiani. Silvio Berlusconi non possiede più la caratura morale e il prestigio indispensabili per condurre un esecutivo in grado di riscuotere il consenso bipartisan necessario per effettuare le grandi riforme. Temporeggiare significa continuare a ledere la dignità dell’Italia all’estero e sterilizzare quegli ideali liberali e riformisti necessari per salvaguardare il Paese dal baratro. Ritengo sia da scartare l’ipotesi di Giulio Tremonti a Palazzo Chigi, vuoi perché lo stesso Berlusconi ha mostrato contrarietà alla candidatura dell’attuale ministro dell’Economia, vuoi perché, in effetti, sarebbe come consegnare il Paese alla Lega. Nella rosa dei nomi ci sarebbe anche un grande amico del Cavaliere, ovvero Gianni Letta. Quest’ultimo potrebbe traghettare l’Italia sino al 2013. Si tratterebbe comunque di un governo politico e non tecnico che rispetterebbe la volontà delle urne.

Fabrizio Vinci

L’IMMAGINE

La strana coppia A prima vista potrebbero sembrare madre e figlio, ma Emma - a sinistra - è un ghepardo (Acinonyx jubatus), e accanto a lei c’è un giovane leone (Panthera leo) che l’ha scambiata per la propria mamma

L’AGRICOLTURA NON SPRECA L’ACQUA Non è sufficiente ribattere puntualmente, ma bisogna dare una risposta di sistema a chi, per evidente pregiudizio culturale o non conoscenza, insiste nell’accusare l’agricoltura di consumare troppa acqua. Stiamo approntando questa risposta e, insieme alle organizzazioni professionali agricole e ad autorevoli rappresentanti del sistema territoriale, nonché con l’ausilio scientifico del mondo accademico, daremo un valore al beneficio ambientale apportato dall’irrigazione e che è ben rappresentato da almeno due questioni di grande importanza per il futuro della stessa vita, quali la ricarica delle falde acquifere ed il contrasto alla loro salinizzazione.Va anche ricordato che dalla disponibilità irrigua dipende l’84% di quel made in Italy agroalimentare indicato, da una recente ricerca, come il secondo motivo, dopo il patrimonio artistico e territoriale, per il quale un turista sceglie di soggiornare in Italia. Non è certo l’agricoltura a minare la qualità dell’acqua, anzi sono i campi a rischiare di essere vittime di inquinamenti derivati da altri settori produttivi! In campagna, per altro, grazie all’innovazione tecnologica e al miglioramento delle pratiche agronomiche, è notevolmente diminuito l’utilizzo della risorsa idrica; ciò risponde alla richiesta delle imprese di migliorare la competitività nel mercato delle produzioni agricole e poi l’acqua in agricoltura viene usata e non consumata, perché restituita integra allo stesso ambiente, dal quale viene prelevata.

Massimo Gargano, Presidente Anbi

FEDERALISMO FISCALE E NON FISCALISMO FEDERALE Sono d’accordo con il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliari, quando dichiara: «affinché il federalismo fiscale non si trasformi in fiscalismo federale - come si teme da più parti - occorre almeno che nel decreto legislativo in materia di federalismo municipale sia introdotto il principio, già previsto per il federalismo regionale, secondo il quale l’esercizio dell’autonomia finanziaria non può comportare, da parte di ciascun comune, un aumento della pressione fiscale a carico del contribuente».

Massimo Annunziata


il paginone

pagina 8 • 28 gennaio 2011

Bisogna dare una risposta forte e sdegnata, prima che sia troppo tardi, ai fes

Ora è meglio a

uella che si apre oggi a Todi è una fase importantissima per la politica italiana. Voglio sottolineare subito che le realtà che insieme convergono qui – Unione di Centro, Futuro e Libertà per l’Italia, Alleanza per l’Italia, Movimento per le Autonomie e Liberal-Democratici – si uniscono per formare un coordinamento parlamentare, non un partito vero e proprio. Bisogna, su questo tema, fare uno sforzo di chiarezza per non dare di nuovo adito a problemi che si sono già presentati. Non siamo a Todi per fare una fusione, come hanno già fatto altri: siamo qui per individuare alcuni obiettivi fondamentali e comuni per fare opposizione, adesso che siamo all’opposizione, in modo da aiutare questo Paese da quella situazione in cui alcuni personaggi lo stanno facendo precipitare.

Q

Se guardiamo e leggiamo i giornali di queste ore ci rendiamo conto del precipizio: con il “caso Ruby” tutto è crollato. Ecco perché io ritengo e spero fortemente che da Todi – oltre a giudizi programmatici – possa uscire anche una forte e sentita indignazione morale: perché se ci ostiniamo ad andare avanti “politicando politicando” non andiamo e non andremo da

Al primo punto del nuovo coordinamento parlamentare ci deve essere il problema dei giovani e dell’occupazione nessuna parte. Ma se commettiamo errori programmatici, a mio parere, come quello della sfiducia “personale”nei confronti del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi non facciamo soltanto un errore politico, ma diamo ossigeno e un vantaggio al governo di cui Bondi fa parte, ovvero quello guidato da Silvio Berlusconi. Dobbiamo cambiare rotta immediatamente, dobbiamo avere una coerenza vera in termini programmatici e in termini di obiettivi, che metta in difficoltà e chiami a responsabilità coloro che hanno oggi la maggioranza in questo Paese.

Fatto salvo tutto quello che deve essere fatto salvo – la presunzione di innocenza dovuta a ogni cittadino italiano, una considerazione sui giudici e sui pubblici ministeri che forse hanno calcato e stanno calcando la mano – quello che è emerge è uno schifo. Noi non possiamo e non dobbiamo fare delle sviolinature per cambiare i termini: lo schifo va trattato come schifo, e questo è quanto. Noi da Todi dobbiamo dire che Silvio Berlusconi deve dare le dimissioni. E da Todi lo dobbiamo dire al Paese, in maniera netta e in modo chia-

La riunione del Terzo Polo a Todi: nasce una realtà importante per i giovani e il futuro del Paese di Savino Pezzotta ro e inequivocabile. Perché non è possibile che ci si prenda in giro su temi come la difesa della vita – chi la difende, chi non la difende – e poi ci si alzi in piedi con la presunzione di difendere questa situazione. Perché le dichiarazioni che leggo in questi giorni mettono in dubbio tutte le dichiarazioni rese su altri argomenti: non mi vengano a dire che è una questione privata, perché questa situazione di privato non ha nulla.

Quando una persona chiunque essa sia - ha un ruolo pubblico, le sue vicende diventano pubbliche. Soprattutto quando qualcuno “collegato”a quelle vicende veda poi il proprio nome sopra una delle tante liste elettorali del Paese. Credo inoltre fermamente che, da Todi, dobbiamo dire queste parole in modo chiaro ma abbiamo il dovere poi di iniziare un altro discorso, quello dei giova-

ni. Lo dico e lo ripeto per tre volte. Noi dobbiamo dire alle generazioni di giovani italiani, ai ragazzi di questo Paese, che siamo una sponda seria.

Dobbiamo sottolineare con serietà che i loro problemi sono i nostri, che i loro problemi sono i problemi di tutto il Paese e che, soprattutto, è arrivato il momento per loro di scendere in campo. In questo modo diventiamo un’alternativa seria, un’aggregazione – un coordinamento, una convergenza – di forze in grado di cambiare la nazione italiana. Se non riusciamo a fare questo passo, se non riusciamo a capire che i ragazzi sono il futuro di tutti e continuiamo a parlarci addosso noi “vecchietti” che veniamo dalla prima o dall’ante-Repubblica, non ne tiriamo fuori nulla di nulla. Questo è lo snodo vero per chi vuole cambiare questo Paese: parlare con i


il paginone

stini di Berlusconi. Stanno facendo crollare il Paese sulle proprie fondamenta

andare a votare giovani, confrontarsi con i loro problemi, dare visioni e alternative alla questione del lavoro che oggi è disastrosa.

Bisogna tornare a parlare di merito e di occupazione possibile, dobbiamo dialogare con quei ragazzi che – per trovare una collocazione decente per le loro professionalità – sono costretti ad andare all’estero. Quelle giovani leve sono rappresentano un depauperamento duplice per l’Italia: in primo luogo perché, con il loro esodo, perdiamo cervelli e intelligenze che potrebbero contribuire al miglioramento del nostro Paese; in se-

Non si può sostenere che quelli di Arcore siano affari privati del premier. Tanto più che qualche nome presente nell’inchiesta è stato eletto condo luogo perché i soldi per la loro formazione sono stati erogati dall’Italia. Ovviamente, se vogliamo parlare con serietà del problema dei giovani dobbiamo affrontare con serietà anche l’enorme problema del debito pubblico: perché non è giusto ed è suicida – come sistema Paese – lasciare ai ragazzi i debiti che abbiamo accumulato noi. Dobbiamo fare gli sforzi e i sacrifici necessari per fare in modo che questo gigante non se lo ritrovino sulle spalle. Io credo – dato che si parla tanto del sistema fiscale – che se noi sgravassimo dal peso fiscale l’intero mondo dell’occupazione giovanile qualche buon passo avanti si fareb-

be, invece di fare tutte le manfrine che si sono verificate negli ultimi giorni. Dobbiamo fare in modo che i giovani possono andare a lavoro senza preoccuparsi del peso fiscale. Credo che sarebbe anche giusto assumersi il peso della loro assistenza previdenziale: sgravare il lavoro dei giovani da tutti i balzelli che gli si sono accumulati sopra in tutti questi anni. Per farlo si dovrebbe riequilibrare la situazione generazionale del Paese, redistribuendo alcune delle risorse accumulate e destinate per gli anziani a favore dei giovani. Un’operazione ovviamente dura per tutti, ma necessaria. Questi significa cambiare. Bisogna poi trovare una formula per spiegare quale tipo di crescita vogliamo vedere realizzato per il nostro Paese, avendo anche a mente che le condizioni che si sono verificate a livello internazionale e globale non chiedono soltanto una crescita di vecchio tipo, una crescita “punto e a capo”. Il mondo di oggi e il sistema che lo governa chiede ai Paesi una crescita che sia eco-sostenibile, che abbia cura dell’ambiente e che abbia a cuore anche la qualità del vivere. Questo significa incominciare a far passare in termini positivi (e non negativi) non l’austerità, di cui mi importa molto poco o nulla; ma la sobrietà, che in termini pratici significa l’uso “buono” delle cose “buone”.

Per fare tutto questo noi dobbiamo andare alle elezioni, dobbiamo tornare a votare. Tenere il nostro Paese imbrigliato e legato ai festini di Berlusconi significa uccidere l’Italia. È meglio andare a votare.

Parte oggi la prima “due giorni” dei moderati

I dati del convegno nizia oggi a Todi il primo Coordinamento Nazionale dei parlamentari italiani ed europei del Terzo Polo. Più di cento deputati fra gli eletti nelle liste dell’Unione di Centro, Futuro e Libertà per l’Italia, Alleanza per l’Italia, Movimento per le Autonomie e LiberalDemocratici si confronteranno per due giorni allo scopo di costruire una nuova realtà politica, in grado di confrontarsi con il bipolarismo in pieno crollo del panorama politico italiano.

I

In alto, Pierferdinando Casini. A destra, Gianfranco Fini. Nella pagina a fianco, Francesco Rutelli

I lavori avranno inizio alle ore 11 con le relazioni di Ferdinando Adornato, Mario Baldassarri, Linda Lanzillotta e Giuseppe Reina, cui seguiranno gli interventi liberi dei parlamentari e dei leader nazionali di Udc, Fli, Api, Mpa e Liberaldemocratici sino alla chiusu-

ra, prevista intorno alle ore 14 di sabato. Attesa per gli interventi dei leader dei partiti, che dovrebbero dividersi fra oggi e domani. Non è prevista la partecipazione di ospiti esterni, anche per il grande numero di deputati che hanno confermato la propria presenza all’incontro.

L’incontro di Todi è il tradizionale appuntamento di politica interna della Fondazione liberal, che si aggiunge a quello di politica estera che si svolge a Venezia e al summit di Siena sulle questioni economiche di maggior interesse per il Paese. Il Segretario regionale Udc del Veneto, Antonio De Poli, commenta: «Stiamo assistendo alla nascita di qualcosa di bello ed importante».

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mondo

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Per Stefano Silvestri, presidente dello Iai, l’Occidente naviga a vista. Mentre dovrebbe prendere posizione. E in fretta

La rivolta? Sosteniamola Appoggiare la primavera mediorientale significa arginare la minaccia islamica di Luisa Arezzo ffetto domino nel mondo arabo: l’onda della protesta in Nordafrica, che dopo la fuga del tunisino Ben Ali ha raggiunto e infiammato l’Egitto (ieri nuovi scontri, vittime e il ritorno di El Baradei, il premio Nobel ex direttore dell’Aiea pronto a fare il capofila della rivolta), si sta estendendo a macchia d’olio in Algeria, Libano,Yemen e Siria. Seppure in forme diverse. Una primavera rivoluzionaria che sembra aver colto di sorpresa le cancellerie occidentali, incerte nelle loro risposte (di sostegno oppure no) e in una certa misura anche gli stessi regimi coinvolti. Come è stato possibile? È questo che tutti si chiedono. Noi abbiamo rivolto la domanda a Stefano Silvestri, presidente dell’Istututo Affari Internazionali (Iai) e consulente sia per ministero degli Esteri che per quelli della Difesa e dell’Industria. Professore, cosa sta succedendo? Accade che da tempo c’è un’insoddisfazione notevole, specialmente in quei Paesi dove formalmente c’è una struttura democratica anche se le elezioni sono difatto controllate e le realtà di stampo dittatoriale. Il denominatore che accomuna tutti è la crisi economica. Parliamo di Paesi che hanno grossi problemi di urbanizzazione, troppi giovani educati e disoccupati e dove l’evoluzione del regime si pone con urgenza perché hanno regimi ossificati, basti pensare all’Algeria dove la rivoluzione dell’Fln si è ossificata completamente in un regime di tipo burocratico poliziesco. Così era in Tunisia, così è in Egitto, dove adesso si aggiunge anche la prospettiva di perennizzare il regime attraverso la successione repubblicana di padre in figlio, cosa che è già avvenuta in Siria (e che dunque spiega i

E

disordini in quel Paese). Tutto questo ha fatto sì che la gente, dopo che la rivolta in Tunisia ha dimostrato di poter fare crollare un regime apprentemente forte e con la polizia ai suoi ordini, o quantomeno disfarsi del suo dittatore (poi se il regime durerà o meno è ancora tutto da vedere) ha preso coraggio. Un ruolo importante lo hanno però avuto anche i Media, al Jazeera in testa...

Assolutamente sì. Sono finiti i tempi in cui le uniche informazioni arrivavano dalla Bbc o dalla Tv francese. Oggi ci sono tv - come al Jazeera per l’appunto - fatte da arabi, in lingua araba e fruite dal mondo arabo. E che avendo un’agenda favorevole a questi mutamenti di regime, danno voce agli oppositori, in particolare a quelli islamici e islamisti, ma anche a quelli democratici laici. Non bisogna poi sottovalutare i social

«Che questi regimi resistano o crollino si è arrivati a un punto di non ritorno: o cambiano in maniera sostanziale o si avviano a diventare Stati falliti. Ecco perché bisogna aiutarli» network, come Facebook e Twitter (i giovani urbanizzati ed educati di cui parlavo prima e che hanno accesso a internet). Assistiamo a una combinazione di fattori che rendono più facile questo tipo di mobilitazione utile a scuotere i regimi fossilizzati. Una domanda circola in tutte le cancellerie occidentali: bisogna sostenere le proteste o restare a guardare quel che accade? È una protesta inevitabile: non so se avrà successo, ma certamente le cancellerie tentennano perché non capiscono come evolverà. Essendo spontanea e dunque poco organizzata la protesta ha colto di sorpesa i governi di mezzo mondo. È interessante notare come si sia ricaduti in uno schema anni Sessanta, in cui gli Stati Uniti appoggiano il processo di democratizzazione e i Paesi europei sono spavenati come all’epoca della decolonizzazione. Una paura che gli fa commettere grossi errori di valutazione. Perché è chiaro che sia che questi regimi resistano o crollino si è arrivati a un punto di non ritorno: o cambiano in maniera sostanziale o si avviano a diventare stati falliti. Dunque cosa bisognerebbe fare?

Appoggiarli. Certo, nella misura in cui restino dei movimenti di democrazia aperta e laica, non perché escludano gli islamici, ma perché riescano a non farsi travolgere da essi. Non è facile. Molti osservatori sono allarmati dalla possibile presa di potere del fondamentalismo islamico. Il rischio che i movimenti islamisti possano inserirsi in un panorama così instabile è forte, ma non va neanche esagerato. Ho letto analisi francamente eccessive. Prendiamo la Tunisia: il partito islamico non è troppo forte e poi è abbaIn alto: immagini della protesta ieri al Cairo. A destra: i presidenti Mubarak (Egitto) e Saleh (Yemen) e il premier algerino Ahmed Ouyahia

stanza laico. Così è un po’in tutto il Maghreb. Altra cosa è l’Egitto, patria dei Fratelli Musulmani (dalla cui costola più a sinistra è nata al Qaeda, la sua pecora nera). Ora il problema è che anche in Egitto ci sono forze e partiti più laici, però se non li appoggi lo scontro sarà sempre più fra un regime sempre meno credibile e gli islamisti, che alla fine, grazie alle moschee, agli appoggi internazionali e ai finanziamenti sauditi, saranno gli unici veramente organizzati. In una situazione del genere è miope dire no al mutamento. Bisogna invece cercare di indirizzarlo.


mondo

28 gennaio 2011 • pagina 11

Il Nobel per la pace si candida a guidare la transizione al Cairo

Il ritorno di El Baradei per battere Mubarak

In Egitto, Yemen, Tunisia e Algeria piazze in rivolta a Beirut continua il braccio di ferro Hariri-Hezbollah di Pierre Chiartano a protesta continua in tutto il Medioriente. Dalla Tunisia le piazze si stanno agitando in tutti quei Paesi dove la crisi economica ha reso più fragili le dittature. Dopo che l’Interpol mercoledì aveva spiccato un mandato d’arresto internazionale nei confronti dell’ex presidente tunisino, Zine el Abidine Ben Ali, e di sei suoi familiari, sembra che si siano definitivamente rotti gli argini. La protesta infatti è scoppiata anche nello Yemen: ieri migliaia di persone sono scese in strada a Sana’a per chiedere la fine del regime del presidente, Ali Abdullah Salehi, al potere dal 1978. «Dopo 30 anni di potere, basta!», è uno degli slogan urlati dai manifestanti, convocati dal Forum dell’opposizione. In Egitto, dove ieri è morto un ragazzo, sembra arrivato il momento del rientro del grande escluso dalle ultime elezioni: El Baradei. Da quando sono cominciate le proteste contro il regime di Mubarak, gli arresti compiuti dalla polizia sono almeno mille. La dissidenza promette nuove manifestazioni, nonostante la repressione messa in atto dalle autorità, mentre El Baradei, l’ex direttore generale dell’Aiea sceso in politica, spinge il faraone Mubarak a farsi da parte e si candida per «guidare la transizione». E il presidente egiziano si dice «pornto al dialogo». Oggi l’ex diplomatico sarà in piazza a fianco dei manifestanti. Anche il capo della diplomazia dell’Unione europea, Catherine Ashton, ha chiesto alle autorità egiziane di «rispettare» il diritto dei loro cittadini a manifestare pacificamente. A Suez una folla di manifestanti ha appiccato il fuoco al palazzo del governo, tentando di dare alle fiamme anche la sede locale del Partito nazionale democratico al potere. «Non risulta in Egitto il coinvolgimento, né in ferimenti né, peggio, in aggressioni di nostri connazionali». Lo ha riferito il ministro degli Esteri Franco Frattini, ieri, in Senato.

L

attraverso i quali è comunque possibile accedere al social network dall’Egitto. Su Twitter il dissidente Ayman Nour, icona della libertà di espressione, imprigionato per quattro anni fino al 2009 e capo del partito El Ghad, ha affermato di aspettarsi nuove manifestazioni, oggi, dopo la preghiera musulmana del venerdì. La lunga scia del malcontento risale su fino all’estremo lembo orientale del Mashreq. Nella Siria del giovane Assad, Facebook è stato bloccato per timore di proteste. Le autorità siriane hanno inibito l’accesso al social network, secondo quanto scrive il quotidiano arabo Asharq al-Awsat, per evitare che nel Paese si organizzino manifestazioni antigovernative come quelle che da settimane scuo-

Dal Maghreb al Mashreq le popolazioni colpite dalla crisi e dalla mancanza di libertà reagiscono al cattivo governo delle dittature creando le premesse per un grande cambiamento politico

Ieri a Il Cairo è rientrato El Baradei. E fino a poche ore prima Hillary Clinton si spendeva ancora a favore di Mubarak. È miopia anche questa? El Baradei può diventare il capo dell’opposizione? El Baradei è un ambasciatore. E per quel che mi riguarda non ho mai visto nessun diplomatico trasformarsi in un capo popolo. Detto questo e nonostante le difficoltà, El Baradei potrebbe rappresentare una momentanea soluzione di compromesso e permettere il rafforzamen-

si i governi non hanno messo in campo politiche operative su come gestire le crisi una volta esplose. Sembrano navigare a vista, offrendo risposte di cortissimo respiro. Non bisogna dimenticare che ancora pochi giorni fa alcuni Paesi sostenevano Ben Ali. Una cecità diplomatica enorme. Errare è umano, ma perseverare è diabolico! Quali sono gli scenari più probabili? Mi auguro che questo tipo di processo prosegua in maniera ordinata e non ci sia una crisi completa dello Stato. In fin dei

«L’Occidente si è diviso come negli anni ’60: da un lato gli Usa che appoggiano il processo di democratizzazione e dall’altro l’Europa impaurita come ai tempi della decolonizzazione» to di una nuova leadership. Il problema qual è? Che Mubarak è in grado di bloccarlo, mentre non è in grado di fermare gli islamici. Dunque diventa fondamentale capire quanto l’Occidente sia disposto ad appoggiare l’ex capo dell’Aiea e quanto il presidente egiziano voglia opporsi agli eventuali desiderata occidentali. Nessuno aveva previsto la primavera del mondo arabo. Come è possibile? Si era sempre detto che erano regimi fragili, ma era imprevedibile stabilire quando sarebbero implosi Poteva succedere l’anno scorso oppure il prossimo. Il punto è che a fronte delle anali-

conti in Tunisia c’è stata una crisi di governo molto grave, ma la struttura dello Stato è rimasta in piedi: polizia, forze armate e burocrazia sono ancora al loro posto. Certo, non riusciranno a indire le elezioni entro 60 giorni (e questo è un rischio per la transizione), ma se riuscissero ad organizzarle in tre mesi e le urne decretassero la nascita di un governo democratico e laico, sarebbe un ottimo segnale: per l’ Egitto, l’Algeria e per il futuro di quei Paesi. Non per i regimi al momento in carica. Altro discorso se parliamo di Yemen, dove se crolla il regime crolla lo stato. Per il semplice fatto che lì il regime è lo Stato.

Il network hacker pro-Wikileaks, Anonymous, ha lanciato il guanto di sfida al governo egiziano sul fronte della censura web, minacciando attacchi informatici ai siti web istituzionali. «Se non garantirete libero accesso a tutti i media e le informazioni nel Paese attaccheremo i siti del governo», si legge in un comunicato del gruppo, che definisce il governo del Cairo «criminale», bollandolo come «nemico del popolo e dunque anche nostro». Twitter ha confermato di essere ancora oscurato nel Paese: «È bloccato solo il Dns (Domain name system)», spiegano gli esperti di Anonymous mettendo in rete gli indirizzi ip

tono l’intero mondo arabo. E si sono registrati disordini anche in Algeria. L’impennata dei prezzi di prima necessità ha provocato una scia di proteste in diverse città, con due morti e molti feriti. Per riportare la situazione alla normalità il governo ha deciso di ridurre i prezzi di alcuni prodotti. Intanto in Libano continua il braccio di ferro tra il premier uscente Saad Hariri e gli uomini di Hezbollah. Najib Mikati il premier incaricato dal presidente Suleiman di formare il nuovo governo ha visto ieri una presa di posizione del leader sunnita che ha ventilato la possibilità di passare all’opposizione. La coalizione «14 marzo» che sostiene Hariri aveva anche chiesto a Mikati un impegno chiaro a sostegno del Tribunale speciale dell’Onu per il Libano (Tsl), prima di sciogliere la riserva sulla sua eventuale partecipazione al nuovo esecutivo. Gli osservatori temono quindi che – sotto le pressioni di Hezbollah – Mikati sospenda i finanziamenti al tribunale o ritiri i giudici libanesi che ne fanno parte, annullando di fatto la cooperazione di Beirut con il Tsl


quadrante

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Uganda, ucciso leader dei gay

Obama, record negativo di ascolti

KAMPALA. Il più importante attivista ugandese per i diritti dei gay è stato ucciso a Kampala. Il suo nome e la sua foto erano apparse lo scorso novembre accanto a quelle di altri 100 omosessuali su una sorta di lista nera messa a punto da un quotidiano omofobo, il Rolling Stone (niente a che vedere con l’omonima rivista musicale). David Kato, 43 anni, che si era opposto alla legge sulla pena di morte per i gay (definita «odiosa» da Obama) è stato ucciso «verso le 13», ha detto il suo avvocato John Onyango. Un uomo sarebbe entrato nella sua abitazione e lo avrebbe colpito alla testa. L’organizzazione per il rispetto dei diritti umani ha chiesto al governo ugandese di avviare «un’inchiesta imparziale sull’omicidio».

WASHINGTON. Record negativo di audience per Barack Obama nel suo secondo discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato martedì davanti al Congresso. Secondo il rilevamento Nielsen, il presidente americano ha avuto il più basso numero di tv sintonizzate sul suo discorso dall’insediamento nel gennaio 2009: complessivamente meno di 42,8 milioni, con una perdita secca di 5,2 milioni rispetto a quelli totalizzati nel 2010, che furono 48 milioni. Ancora più impietoso è il raffronto con il discorso d’esordio, pronunciato dal presidente Usa davanti al Congresso il 24 febbraio di due anni fa: allora lo seguirono oltre 52,4 milioni di tv. Lo scarto tra allora e adesso supera dunque i 9,6 milioni.

India, cacciato rettore riformista NUOVA DELHI. Il rettore della famosa università islamica di Deobandi, nel nord dell’India, considerata “la scuola dei talebani”è stato costretto alle dimissioni per la sua politica di riforme. Ghulam Mohammed Vastanvi, eletto lo scorso 10 gennaio alla guida dello storico seminario Darul Uloom Deoband, il più grande al mondo dopo l’università di Al Azhar del Cairo e conosciuto come “la fabbrica delle fatwa” (famose quelle sulle donne), si è dimesso dopo le manifestazioni di protesta dei suoi studenti che contestavano la sua decisione di introdurre materie scientifiche e informatiche nel programma di studi che è oggi esclusivamente basato sull’insegnamento della shari’a, la legge coranica.

È giallo sullo stato di salute dell’ex presidente, da mercoledì ricoverato in ospedale “per accertamenti di routine”

Mandela, il Sudafrica trema Il governo lancia un appello alla calma. Winnie esce in lacrime dalla clinica di Antonio Picasso uarisci presto Madiba!», si legge in un cartello incorniciato dai fiori e lasciato da una scolaresca fuori dal Milpark Hospital di Johannesburg, dove Nelson Mandela è ricoverato da mercoledì. Madiba, è questo il nome della tribù di appartenenza dell’ex Presidente africano. I media e l’opinione pubblica nazionale amano approcciarsi all’eroe dell’Apartheid, con questo nickname, a ricordare le tradizioni claniche, ma soprattutto attribuendogli affettuosamente una sorta di ruolo da nonno di tutto il Paese. Da tempo sulla salute del 92 enne timoniere dell’emancipazione razziale si sono fatte illazioni e congetture. Con la sua ultima apparizione pubblica, l’11 luglio 2010 alla finale dei mondiali di calcio, sono venuti meno gli sforzi per tenere lontani i riflettori dall’anziano leader. Mandela in quella occasione è apparso in tutta la sua debolezza senile. Una regressione fisica comprensibile, vista l’età. Come oggi si tende a sottolineare. D’altra parte, negli ultimi anni, di Mandela si è cercato di parlare sempre con una certa discrezione. Quasi a non voler disturbare i suoi“anni azzurri”. Nel 2004, Mandela ha abbandonato la completamente la vita politica. Allora aveva già 86 anni. Come Capo dello Stato ha servito il suo Paese dal 1994 al 1999. Secondo le testimonianze dei suoi collaboratori e dei suoi amici, il ritiro dalla scena pubblica ha provocato una veloce regressione delle condizioni di salute dell’anziano leader. Tuttavia, fino all’appuntamento della Coppa del mondo l’estate scorsa, i rumor non erano mai stati confermati. La scelta di mostrarsi pubblicamente sei mesi fa, ammettendo la propria debolezza ha posto ancora una volta il leader sudafricano sul podio dei grandi uomini. Soprattutto fra quelli consapevoli di essere solo uomini. Alla stregua di Giovanni Paolo II, Mandela non ha nascosto la propria sofferenza. Ne ha fatto una questione assolutamente naturale, che deve essere accettata con serenità, da lui e da tutto il Paese. «Tutti noi vorremmo che Madiba

Trasportato d’urgenza da un volo militare e ricoverato a Johannesburg, Mandela, già premio nobel per la pace, ha 92 anni. Sulle sue condizioni di salute vige il massimo riserbo ma nei pressi dell’ospedale staziona una folla di giornalisti. Ieri molti familiari e compagni di lotta gli hanno reso omaggio

«G

vivesse per sempre, ma sappiamo che non è possibile», ha detto il vescovo Desmond Tutu, seguendo i dettami del suo fraterno amico. «L’ho visto la scorsa settimana e devo ammettere che la sua salute è fragile», ha anche aggiunto.

Tutu, così, ha preso atto della precarietà della salute di Mandela e ha cercato di condividerla con i suoi connazionali. Nel frattempo, ieri, l’ex moglie di Mandela, Winnie Madikizela-Mandela, accompagnata dal figlio maggiore Mandla, è uscita in lacrime dalla clinica dov’è ricoverato quest’ultimo. A dispetto del divorzio, l’unità familiare nel clan Madiba resta un punto di forza. Lo hanno dimostrato le lettere che Mandela si è scambiato con i propri familiari durante i suoi 27 anni di carcere. Il leader dell’anti-apartheid

è stato arrestato una prima volta nel 1960. Tre anni dopo, giunge la condanna definitiva, per l’attività di guerriglia organizzata contro il regime segregazionista. Mandela, a quei tempi, ha promosso un impegno armato che Johannesburg, appoggiata dall’Occidente, ha considerato né più né meno che un’attività terroristica. Oggi, le lettere private sono state da poco raccolte e pubblicate, con il titolo Conversation with myself. Da queste, emerge un genuino desiderio di restare uniti di fronte alla sofferenza. E infatti, in questo momento, come allora, la famiglia Mandela si trova stretta intono al cuore grande patriarca. Significativo è, a questo proposito, il fatto che, quasi contemporaneamente alla visita di Winnie, sia giunte l’attuale moglie Graça Machel e la figlia di questa, Josina, accompagnate dall’as-

sistente personale di Mandela. Inoltre, alcuni compagni di lotta contro il regime razzista hanno reso visita al Premio Nobel per la Pace. Protagonisti della storia sudafricana, come Albertina Sisulu, membri del governo e dirigenti dell’African National Congress (Anc), il partito di governo di cui Mandela è stato per decenni la guida carismatica al quale si è iscritto nel lontano 1942. Sono stati visti entrare nell’istituto anche alcuni esponenti delle Forze Armate e, nel primo pomeriggio, un veicolo militare ha fatto il suo ingresso nell’area riservata del parcheggio posteriore. Questo ha fatto pensare che l’ex presidente stesse per essere dimesso. Le parole di Tutu e le lacrime dell’ex moglie, tuttavia, smentiscono gli ultimi comunicati stampa dell’Anc, tali per cui Mandela sarebbe stato sottoposto


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e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Cuba, arresto lampo (una notte) per Guillermo Farinas

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri

L’AVANA. Arresto lampo per Guillermo Farinas, fermato mercoledì insieme ad altri 15 oppositori a Santa Clara, nel centro di Cuba, durante una protesta contro lo sgombero di una famiglia da una abitazione e rilasciato dalla polizia a distanza di 24 ore. Forse anche per il tam tam che, a livello internazionale, si era già messo in moto a favore del dissidente cubano. Dal 1995, Farinas - in gioventù membro dei corpi scelti della rivoluzione di Fidel Castro - ha compiuto 23 digiuni per testimoniare il suo dissenso al regime. Nel 2006, il suo sciopero della fame durò sei mesi: il dissidente chiedeva l’accesso libero a Internet per tutti i cubani. In quell’occasione, le autorità mediche lo alimentarono per endovena, ponendo fine così alla sua protesta. Lo scorso anno l’ultima protesta, con un digiuno protrattosi per 136 giorni per chiedere la liberazione dei prigionieri politicii. Farinas - il minore di due fratelli e padre di una bambina

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

di otto anni - psicologo di 48 anni, ha fondato nel 2005 l’agenzia Cubanacan Press, che ha diretto da casa sua e dove lavorano dieci persone che pubblicano notizie sull’opposizione. Nell’ottobre dello scorso anno, Farinas è stato insignito del prestigioso premio Sakharov dal Parlamento europeo. È il terzo cubano ad aver ricevuto il premio, dopo Osvaldo Paya nel 2002 e le Damas de Blanco nel 2005.

Da sinistra: l’ex moglie Winnie Madikizela-Mandela, messaggi d’auguri all’ospedale e Desmond Tutu

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato

unicamente ad alcuni ordinari controlli medici. È evidente che la situazione è più grave delle prese di posizione ufficiali.

A parte qualche caso isolato di sciacallaggio della notizia, il Sudafrica sembra vivere questo momento con composto dolore. La settimana scorsa, l’Anc ha smentito categoricamente Twitter sulle cui chat si è letto della morte già avvenuta dell’ex leader. Si è trattato di un parossismo mediatico che ha scosso l’opinione pubblica, indignata da questa strumentalizzazione. Lo spirito del Sudafrica, invece, può essere sintetizzato proprio in quel «guarisci presto Madiba!» che i bambini hanno lasciato fuori dal Milpark, diretto al loro grande“nonno”. Molti webzine nazionali hanno seguito questo esempio e hanno invitato i propri lettori a inviare un messaggio all’ex Presidente. Se di un’operazione giornalistica si tratta, bisogna riconoscerne la delicatezza. La stampa nazionale, va ammesso, ha fatto quadrato intorno al suo eroe. Si è limitata a pubblicare le dichiarazioni del vescovo Tutu e i migliaia di messaggi di solidarietà. Nessuna congettura quindi, nessuna notizia sottobanco. Nel frattempo, la polizia ha eretto un cordone di sicurezza intorno all’ospedale, dove telecamere e macchine fotografiche non sono ammesse. Esemplare è il caso di tre reporter cinesi che erano riusciti a sgattaiolare dentro l’istituto di cura: sono stati acciuffati dai poliziotti che hanno

“Madiba” avrebbe avuto problemi respiratori, ora sotto controllo. Ma Jacob Zuma sarebbe pronto a rientrare da Davos confiscato le loro macchine fotografiche e li hanno riaccompagnati all’uscita, con l’ammonimento a non sfidare ulteriormente la sorte. I giornalisti, come l’opinione pubblica sono tenuti minutamente informati. L’Anc ci tiene a non far passare per notizia quel che non è vero. Anche il presidente Jacob Zuma, in questi giorni a Davos per il World Economic Forum, ha lanciato un appello alla calma. Il fatto che per ora non si parli di un suo rientro anticipato viene interpretato come un segnale rassicurante sulle condizioni di Mandela. «Tutti noi sappiamo che Madiba ha 92 anni e quindi che non è più così giovane. Come sudafricani, però, lasciamo che i medici svolgano il proprio lavoro», si legge in un comunicato del movimento. La scomparsa di Mandela non fa paura al Paese. É una ferita che la-

cera il cuore di tutti, ma, come ha ragionato Tutu, bisogna prepararsi al peggio. L’uscita di scena del leader dell’Anc non lascerebbe un vuoto di potere e non provoca alcun scossone politico.

È la perdita però, per il Sudafrica e per l’intero continente, di un mito del Novecento. La sua perseveranza durante i quasi trent’anni di segregazione e la lotta per costruire una nuova Africa hanno fatto da esempio alle nuove generazioni. Quello che potrà succedere durante il post-Mandela non è un terremoto all’interno dei palazzi e delle istituzioni. Il Sudafrica si raccoglierà in un lungo e passionale lutto collettivo, in cui verranno ricordati sia l’eroe dell’apartheid sia tutti i suoi compagni di lotta che, caduti in passato, non hanno potuto vivere il risultato del proprio sacrificio. Nel momento in cui il cuore di Madiba cesserà di battere, il Sudafrica tornerà a vivere le emozioni della sua storia. Nel dolore del momento, ci si accorgerà della gioia ottenuta con la vittoria dell’uguaglianza e dell’emancipazione razziale. I sacrifici e le violenze subite, anche dalla comunità bianca, avranno il sapore di un ricordo passato. Un ricordo che è stato sostituito dalla pace. Il Sudafrica, forse, non ha ancora raggiunto quel progresso e quel benessere sperati vent’anni fa. Senza subbio, però, con Nelson Mandela ha scritto una pagina di storia essenziale per tutta l’umanità.

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cultura

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Riletture. In questa commedia romantica, il drammaturgo inglese si supera in termini di raffinato misticismo, sempre unito a un profondo senso estetico

Dal non-essere all’essere Viaggio nel «Racconto d’inverno» di William Shakespeare, forse l’opera più ricca d’azione (e contraddizione) del Bardo di Franco Ricordi iamo in pieno inverno, e la fantasia shakespeariana non può che correre verso il grande Winter’s Tale, anche perché qui la vicenda fantastica sembra in certi momenti davvero superare la realtà: la geografia shakespeariana trova in questa grande romance il suo punto più alto d’azione e contraddizione. Siamo per metà in Sicilia e per metà in Boemia, una Boemia col mare, pur fortemente mitteleuropea. Leonte, Re di Sicilia, ha invitato il suo amico Polissene, re di Boemia, presso la sua reggia. Ma la permanenza di questi è davvero un po’ lunga, si parla addirittura di “nove mesi”, una durata che certo crea il sospetto che possa esserci stata una tresca fra l’ospitato re e la moglie di Leonte, Ermione. I due coniugi hanno già un figlio, di nome Mamilio, che Leonte spesso chiama «vitello mio». Ma Ermione è di nuovo incinta e, di fronte alle reiterate insistenze perché Polissene rimandi la partenza, ecco che si insinua il sospetto da parte di Leonte. Questi è un personaggio quasi ancestrale, non a caso re di quella terra di Sicilia tanto bella quanto drammatica anche nelle sue vicissitudini storiche: Leonte sembra una via di mezzo fra Otello - al quale assomiglia per l’irruenza della gelosia - e Re Lear, di cui ricorda la veemenza anche linguistica; e quando il sospetto comincia ad ingigantirsi nulla potrà più fermarlo.

S

Impressionante è soprattutto la battuta del I atto, quando ormai egli è certo di essere cornuto, e che quindi il figlio nel grembo di sua moglie non sia il suo: il suo fidato servo Camillo cerca di dissuaderlo da questa malsana convinzione, ma come la «corrente del mar pontico» di cui parla Otello, anche la sua mente è ormai determinata verso una sola dimensione di sospetto che, ormai, è divenuto certezza. E quando Camillo si oppone a tale idea, Leonte risponde con una battuta che ci trascina con violenza in quello che più volte abbiamo definito “pieno nichilismo shakespeariano”: «Non sono niente i bisbigli? E il curvarsi

guancia a guancia, lo sfiorarsi dei nasi, il baciarsi con l’interno delle labbra?».

«Arrestare con un respiro la corsa del riso - segno infallibile dell’onestà che si spezza? Premere piede su piede? Rintanarsi negli angoli? Bramare che gli orologi siano più veloci? Le ore minuti, mezzogiorno mezzanotte? E tutti gli occhi accecati dalla cataratta tranne i loro: soltanto i loro perché il male ri-

La resurrezione di Ermione, che sembra lasciare in questo lieto fine un’incompiutezza, è una grande attestazione del mistero teatrale manga non visto? E questo è niente? Ebbene, allora il mondo e tutto ciò che contiene è niente. Niente è il cielo che sovrasta, niente il Boemia, mia moglie è niente. E niente nasce

da tutti questi niente se questo è niente». (I, 2, 284/296). Certamente, una delle dichiarazioni shakespeariane più forti e determinate, quasi una netta anticipazione di quello che Emanuele Severino ha dichiarato essere la follia del mondo occidentale, l’essenza del nichilismo causato nella fede per il divenire, laddove l’essere e l’ente vengono ridotti ovvero identificati al “niente”. E qui comincia la tragedia di Leonte che, acce-

cato dalla gelosia, sconvolgerà tutta la sua vita proprio “per niente”, per quel sospetto che poi si rivelerà infondato.

Tanto da indurre alla fuga il suo amico Polissene, ma non prima di aver fatto arrestare la moglie, causando anche la morte del povero figlio Mamilio (il suo “vitello”, cui tanto assomigliava), e lo smarrimento della nuova figlia partorita anzitempo da Ermione che, raccolta dal vecchio e fido Antigono, verrà chiamata Perdìta (allusione a “perduta”in lingua italiana). Tutti cercano di convin-

cere Leonte dell’innocenza della moglie, fino ad interrogare addirittura l’Oracolo di Delfi (e si fa chiara in tale situazione l’analogia con il mistero di Edipo, anche nell’ambientazione montuosa e inquietante del nostro invernale Racconto).

Ma l’Oracolo rassicura: Ermione è casta, Polissene senza colpa, Camillo un suddito fedele, Leonte è un tiranno geloso; la sua bambina innocente concepita onestamente e il re vivrà senza erede, se quello perduto non sarà ritrovato. Tuttavia Leonte non crede nemmeno all’Oracolo ma, proprio in quel frangente, entra un servo ad annunciare come il figlio Mamilio, provato da ciò che divide padre e madre, è morto improvvisamente. Solo allora Leonte si dispera e si pente della sua assurda gelosia ed arroganza, una hybris peggiore di quella di Edipo. Viene giustamente incalzato dalla serva Paulina che alla fine comunica come la stessa Ermione, svenuta alla notizia della morte del figlio, non abbia resistito all’evento e sia deceduta. Contro Ermione era stato indetto un processo-farsa, che rivelava soprattutto l’incomunicabilità e la crisi del linguaggio coniugale che già in Otello Shakespeare ha elaborato: «Voi, signore, parlate un linguaggio che io non comprendo. La mia vita sta nel mirino dei vostri sogni, e io ve l’abbandono», così si era espressa all’incalzare del marito. Ma qui subentra anche l’elemento protofemminista della vicenda, laddove tutto è dipeso dal fatto che Ermione avesse convinto Polissene a rimanere in Sicilia e Leonte, tra il serio e il faceto, le avesse detto: «Non hai mai parlato più a proposito». «Mai?», risponde Ermione, rivendicando magari le possibilità di sensatezza dell’eloquenza femminile. E anche la scarsa considerazione della donna spinge Ermione a cercare una relazione di amicizia con Polissene, al quale “stringe la mano”. Ma proprio quell’atteggiamento sarà fatale, il fatto che in ogni maniera l’amicizia fra uomo e donna sia e rimanga qualcosa di sospetto, immancabilmente diverso fra l’a-

micizia dello stesso sesso. E se riconosciamo in tanti personaggi shakespeariani un rapporto di amicizia - si pensi ad Antonio e Bassanio, Romeo e Mercuzio, Bruto e Cassio, ma anche Desdemona ed Emilia, Cleopatra e Carmiana, anche se spesso subentra il sospetto di omosessualità - lo stesso non si può assolutamente dire per quello che riguarda l’amicizia eterosessuale.

In Shakespeare, verrebbe da dire, l’amicizia fra uomo e donna è impossibile. È un aspetto che riguarda, evidentemente, anche il conflitto di coppia che, da La bisbetica domata in poi, si incrementa sempre più. Si potrebbe pensare che l’attrazione fra uomo e donna sia


cultura

A sinistra, un’illustrazione di William Shakespeare. Nella pagina a fianco, un’immagine della sua commedia romantica “Racconto d’inverno” (titolo originale: “The Winter’s Tale”). Qui sopra, Mary Riley e Richard Baird nell’omonimo film “The Winter’s Tale”. A fianco, alcune copertine delle diverse edizioni del “Racconto d’inverno” del drammaturgo inglese

troppo forte, ancorché “legittimata”, per poter concedere che fra sessi diversi nasca una relazione amichevole. È quello che avviene in questo caso tra Florizel, figlio di Polissene, e Perdìta, la ragazza 16enne figlia di Leonte ed Ermione che è stata salvata, e che tutti credono una pastorella, anche se il suo aspetto e la sua grazia sono degni di una principessa quale essa è. Sono infatti passati 16 anni, è entrato in scena per la prima volta nel teatro shakespeariano il Tempo, presentandosi come Coro, e ha tracciato quasi una teoria della relatività per spostare l’azione e, con sé stesso, lo spazio. L’attrazione fra i due giovani, così forte e irreversibile, ricorda quello che verrà nella commedia ultima, La

Tempesta, tra Ferdinando e Miranda. Ma anche in questo caso, analogamente a quanto già visto per Romeo e Giulietta, l’amore giovanile tende sempre a superare ogni riferimento storico e politico: e lo fa, coerentemente anche in questa occasione, passando per una messa in crisi del proprio essere, come afferma Florizel: «O io sarò tuo, mia luce, o non sarò di mio padre. Perché io non posso essere mio, né niente per nessuno, se non sarò tuo».

E dalla seconda scena del IV atto il tono e l’atmosfera del Racconto sembrano cambiare, un po’ in tutti i sensi. All’inverno subentra la primavera, i canti e le feste dei pastori in montagna, lo stravagante per-

sonaggio di Autolico, a metà tra Falstaff e il Lancillotto gobbo del Mercante di Venezia, un fool divertito ancorché ladro, e un lieto fine che solleva dall’amarezza degli eventi cui abbiamo assistito. Tuttavia non siamo propensi ad interpretare teologicamente, come avallato da altri, l’evento della resurrezione di Ermione. Non si tratta di una “grazia ricevuta”, ma di una “resurrezione estetica” che coinvolge in un senso metateatrale il linguaggio dell’autore. La scena seconda del V atto ci informa come la fedele serva di Leonte Paulina (che aveva sempre difeso l’integrità e la purezza di Ermione, di cui nel frattempo Leonte si è convinto pentendosi amaramente), avesse custodito una statua della

28 gennaio 2011 • pagina 15

Regina, scolpita addirittura da quel «raro maestro italiano che è Julio Romano» - altro errore evidente, e per alcuni anche voluto da Shakespeare. L’autore ha fatto Ermione «così vicina a Ermione che se uno le parla, dicono, rimane con la speranza di una risposta...». Pertanto, riunite nuovamente le famiglie di Sicilia e Boemia, essendo Florizel e Perdìta divenuti marito e moglie, si recano nella casa di Paulina a contemplare il miracolo di tale statua. Ma proprio qui si avvera il miracolo dell’arte, alla medesima stregua del Tempo e dell’Amore: Leonte riconosce subito come la statua di Ermione sia straordinaria, non solo per la perfetta somiglianza, ma anche per «qualche ruga in più» di come fosse sua moglie 16 anni prima.

«Tanto maggiore l’abilità del nostro artista, che fa passare sedici anni e la crea come se vivesse ora». Leonte, Polissene e tutti gli altri credono di essere ingannati dall’arte, per quanto la verità sembri far respirare quella statua, ma Paulina lentamente e magicamente farà vivere quell’opera d’arte. Che si svelerà anzitutto per riabbracciare la figlia perduta, e per ritrovare l’amore del marito che l’aveva ripudiata. E certo in questa scena c’è un misticismo che si unisce al senso estetico: sembra che la resurrezione sia il teatro stesso, la possibilità che hanno i morti di parlare. E sicuramente la scultura, la più teatrale e forse la più erotica fra le arti, si fa direttamente attrice e diviene l’incarnazione della dramatis persona che era stata data per morta. Pertanto la resurrezione di Ermione, che sembra lasciare il Racconto in questo lieto fine in cui si percepisce un senso di incompiutezza, è in realtà una delle più grandi attestazioni del mistero teatrale: un ulteriore passaggio, che stavolta avviene dal non-essere all’essere.


ULTIMAPAGINA

Paolo Pagliaro, editore salentino, ha vinto contro il monolite del Nord che trasmetteva illegalmente nel Meridione

L’uomo che spense la Padania di Vincenzo Faccioli Pintozzi on si tratta di razzismo, o tanto meno di censura: la questione è che non si può entrare in casa delle persone per offenderle. È questo il punto corale dell’azione legale con cui Paolo Pagliaro – imprenditore nel campo delle telecomunicazioni, editore di realtà molto note nel Meridione italiano e “anima”del movimento che vuole il Salento regione indipendente – ha bloccato Radio Padania. Quanto meno, ne ha fermato il messaggio razzista e xenofobo nelle frequenze della sua regione. La vicenda è nota, ma vale la pena riassumerla: lo scorso 24 gennaio, il Ministero dello sviluppo economico ha accolto il ricorso proposto dal gruppo Radio Rama (guidato appunto da Pagliaro) e ha disposto che l’impianto acceso da Radio Padania ad Alessano non è autorizzato in quanto interferisce con le trasmissioni di altre radio preesistenti.

N

A liberal Pagliaro spiega, con giustificato orgoglio: «Abbiamo spiegato alla Lega Nord che da qui non si passa, che i salentini ed il Salento non sono colonizzabili, che qui le loro bandierine non stanno in piedi. Non posso che evidenziare la mia amarezza per non aver ricevuto dall’onorevole Matteo Salvini, direttore di Radio Padania, neanche una telefonata per tentare di comporre bonariamente la questione». Lo stesso Salvini non ha ancora risposto a un invito, presentato qualche giorno fa, che Pagliaro rilancia tramite liberal: «Venga con la famiglia a trascorrere le vacanze nel Salento. Sarà mio ospite, e avrà modo di imparare qual-

LADRONA da attacchi contro i meridionali, i rom, gli omosessuali: insulti qualunquistici e inaccettabili». La questione è un pizzico più complessa perché riguarda proprio l’impianto di una legge che, riprende Pagliaro, «è stata raggirata da quella radio. In pratica un editore accende una frequenza e, se questa non riceve reclami entro 90 giorni, il ministero gliela concede ad libitum. Nel caso padano, però, capita spesso che vengano accese e subito dopo spente delle frequenze che – ovviamente – non possono ricevere reclami. In questo modo, ho avuto notizie da colleghi che parlano di frequenze ottenute e poi rivendute o subappaltate. Una storia da “padani ladroni”». Nel caso salentino, la magagna è venuta fuori quasi per caso: «Con questo modo barbaro di procedere, usurpano anche frequenze già occupate o contigue, come nel caso nostro. Per questo abbiamo dato battaglia». Pagliaro porta avanti un progetto ben più complesso: il riconoscimento dell’indipendenza della regione Salento, un iter

L’imprenditore porta avanti una battaglia ancora più ambiziosa, l’indipendenza del Salento: «Non è secessionismo, siamo orgogliosi dell’Italia. Ma anche stanchi dei soprusi alla nostra terra» cosa in più sulle terre e sulle persone che la sua radio offende con frequenza impressionante». Perché il punto è proprio questo: «Radio Padania sfrutta una legge “ad personam”, da considerare illiberale e incostituzionale, che le attribuisce la qualifica di radio comunitaria. Come si possa considerare “comunitaria” una radio che non fa altro che inneggiare alle tesi dei padani è un mistero. È infarcita quotidianamente

legislativo previsto dalla Costituzione che porta avanti con caparbietà: «Il Salento è stufo di essere una terra arata coi soprusi e con la violenza. Perché questa terra è orgogliosa ed ha storie e tradizioni proprie, non legate alla Puglia. Noi non siamo secessionisti, non vogliamo staccarci da questa Italia di cui siamo orgogliosi: vogliamo soltanto mettere un freno a situazioni vessatorie, che fermano i fondi per la regione a Bari e portano avanti una mentalità da saccheggio delle nostre terre che francamente non siamo più disposti a tollerare».

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla questione all’inizio di febbraio; dopo di che, questo coraggioso editore ha intenzione di indire un referendum per far parlare il popolo e permettere ai salentini di «essere fabbri del loro destino. Siamo una regione ricca, che potenzialmente – unendo le province di Lecce, Brindisi e Taranto – diverrebbe per estensione l’undicesima di Italia. Ma ripeto: niente secessioni. L’inno italiano viene programmato sulle nostre reti due volte al giorno». Insomma, niente a che vedere con la Lega.


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