2011_06_15

Page 1

he di cronac

10615

Amoreggiate con le idee

finché vi piace; ma quanto a sposarle, andateci cauti Arturo Graf

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 15 GIUGNO 2011

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Un’intervista di Enrico Letta rischia di rilanciare la vecchia idea del “carrozzone” di stampo elettorale

La sinistra ci casca ancora

Presa dall’euforia, prepara una nuova “gioiosa macchina da guerra” Già per due volte ha costruito “coalizioni Arlecchino” che si sono rivelate incapaci di governare. Eppure insiste nello stesso errore: un’alleanza da Vendola a Fini. Perseverare è diabolico... SERVONO NUOVE IDEE

Da Pontida alla verifica, il premier si gioca tutto

L’illusione neo-ulivista

Caos Lega-Pdl: tutti contro tutti (specie Tremonti) Il superministro ventila la possibilità di una riforma fiscale. Tosi s’arrabbia: «Non pagheremo più per i bunga bunga». Alemanno invece se la prende con il Carroccio: «Basta minacce»

di Savino Pezzotta risultati elettorali hanno reso evidente che si è avviata una fase nuova che chiede sia data una risposta alla domanda di cambiamento: basta con i personalismi. a pagina 3

I

Cacciari, De Giovanni e Pombeni

Parla il veltroniano Giorgio Tonini

«L’Unione non fa «Ammucchiate? la forza. Serve No, stavolta un vero progetto» si deve governare» Prima un programma, poi le alleanze, dicono i politologi

Il fantasma della paralisi scuote ancora i sogni di gloria del Pd

Franco Insardà • pagina 4

Riccardo Paradisi • pagina 5

Riccardo Paradisi • pagina 6

Si rinnova un fenomeno che mancava da quattro anni: dopo un’ora, buio totale

Show della Luna (in prima serata) Dalle 21,22, un’eclissi totale da record: durerà cento minuti

Ritorno alla lezione di Piccioni

di Maurizio Stefanini ’a luna rossa mme parla ’e te,/ Io lle domando si aspiette a me,/ e mme risponne: “Si ’o vvuó’ sapé,/ ccá nun ce sta nisciuna...”/ E i’ chiammo ’o nomme pe’ te vedé,/ ma, tutt’’a gente ca parla ’e te,/ risponne: “È tarde che vuó’ sapé?! Ccá nun ce sta nisciuna!...”». Luna Rossa: la canzone di Vian e De Crescenzo, cantata tra gli altri da Claudio Villa e da Renzo Arbore, ha dato poi il nome a ben sei barche italiane che hanno partecipato alla famosa America’s Cup. a pagina 14

«E

gue a (10,00 pagina 9CON EUROse1,00

La biografia di un leader

Casini ricorda «quell’Italia che aveva una classe dirigente» Pierre Chiartano • pagina 15 I QUADERNI)

• ANNO XVI •

NUMERO

114 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 15 giugno 2011

prima pagina

Ricomincia il balletto di polemiche e distinguo tra i moderati e gli estremisti che “dovrebbero” far parte della stessa coalizione

Il Pd alla terza illusione

Anche “Avvenire” avvisa: «La macchina da sberle riguarda tutti». Eppure Vendola e Di Pietro fanno già a gara per intestarsi la vittoria di Marco Palombi

ROMA. In politica accade spesso. La vittoria e la sconfitta vengono raccontate non in base a quel poco di verità che consentono la condizione umana e il cervello di ognuno, ma con un di più di malafede e conflitto di interesse che rende le chiacchiere del giorno dopo quasi più insopportabili di quelle del giorno prima. Quella che un tempo fu la sinistra radicale, per dire, ha accolto il risultato dei referendum come fosse una dichiarazione preliminare di voto a suo favore in attesa delle politiche. Non è una buona idea, perché il voto ai partiti e agli schieramenti non segue le logiche cartesiane di una richiesta di abrogazione, e non è una buona idea nemmeno pensare che 27 milioni e dispari di italiani abbiano impiegato una ventina di minuti della loro vita per la bella o la brutta faccia di questo e di quello. Per altro, ieri l’Avvenire ha ricordato che se il risultato dei referendum rappresenta una «sberla», come ha ammesso Calderoli, si tratta di una sperla per tutto il sistema dei partiti: nessuno escluso. Eppure ha già preso avvio la corsa, prima ancora di serie e scientifiche analisi del voto, a trarre dai referendum strategie politiche che non siano la mera constatazione del malumore del paese e le risposte sui singoli temi. I due che più, essendo referendari della prima ora, tentano di intestarsi i voti di domenica e lunedì, sono Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Curiosamente, però, se la strategia dei due è la stessa, la tattica sembra essere opposta: il primo vuole fare dei referendum il trampolino di lancio della sua candidatura alla premiership, il secondo ne esce col tentativo di darsi un’immagine moderata ed ecumenica con palesi strizzate d’occhio all’elettorato conservatore (una prateria in termini di consensi nell’immediato dopoBerlusconi). L’orizzonte necessario del primo è il perimetro della fu gioiosa macchina da guerra, quello del secondo solo il cielo dei suoi desideri.

«Il centrosinistra deve leggere con attenzione il dato del voto referendario: c’è lì dentro una spinta alla partecipazione in prima persona», dice il presidente della Puglia facendo un riferimento nemmeno troppo velato alle primarie, il cavallo di Troia con cui spera di prendersi il Pd senza neanche combattere: si afferma, sostiene, «un’idea anti oligarchica della democrazia e la voglia di coniugare le domande della vita alla buona politica». Soluzione: «Il centrosinistra non può che produrre un’alleanza col popolo dei referendum e mettere al centro del programma di alternativa la difesa e la tutela dei beni comuni. Questa mi sembra la strada maestra che può liberarci dal berlusconismo». Da quel marpione

Gli «ulivisti» dimenticano l’analisi di D’Alimonte delle amministrative

Ma contando i voti la sinistra non ha brillato ROMA. La sinistra continua a cantare vittoria ma sembra non aver letto bene i numeri. Come invece ha fatto Roberto D’Alimonte, studioso di flussi elettorali, che all’indomani delle elezioni amministrative ha dimostrato come, a parità di seggi in 118 Comuni campione, la sinistra fosse passata dal 44,4% delle Regionali del 2010 a 43,2% del 2011. Più marcata la sconfitta del centrodestra, secondo questo studio, che era passato dal 45,5% delle Regionali al 38% secco del 2011. Come si ricorderà (ne abbiamo parlato proprio mercoledì della scorsa settimana) il risultato più clamoroso alle amministrative è stato proprio quello del Terzo Polo, passato dal 6,4% delle Regionali al 9,9% delle Comunali. «Occorre prima di tutto precisare ci ha detto il professor D’Alimonte che nel mio studio non ho parlato di Terzo Polo, ma di partiti che fanno riferimento a quell’area politica, perché in alcune realtà si sono presentati alle elezioni con liste autonome. Queste formazioni, soprattutto al Sud e nei comuni non capoluogo sopra i diecimila abitanti, hanno ottenuto un buon risultato».

In particolare, la ricerca di D’Alimonte scorporava anche i dati per area geografica segnalando un buon recupero della sinistra al Nord (dal 43,3% al 47,7%) a fronte di un crollo di oltre dieci punti per la destra (dal 49,4% al 39,2%). Più clamoroso il dato dei centristi al Sud che sono arrivati al 15,8 per cento (rispetto al 9,8 del 2010), fino ad arrivare al 19, 8 per cento (contro il 10,8 del 2010) nei 51 comuni non capoluogo, con il 12 per cento (rispetto all’8,9) nei dieci capoluogo. Ebbene, le percentuali reali ot-

tenute dal Terzo Polo hanno smentito le analisi precedenti al voto, ma non colgono di sorpresa il professor D’Alimonte: «Ad aprile con il mio Centro italiano studi elettorali avevo già evidenziato questa tendenza. Infatti alla domanda sulle intenzioni di voto sulle coalizioni il 14,7 per cento aveva espresso la sua preferenza al Terzo Polo. Un risultato contestato da molti, ma che poi rivela una tendenza confermata dal voto». Insomma, il panorama politico è in pieno sommovimento, ben al di là dei trionfalismi di queste ore. Per esempio, la settimana scorsa l’istituto di ricerca Crespi Ricerche, diretto da Luigi Crespi, ha presentato l’ultimo sondaggio effettuato sulle intenzioni di voto degli italiani che evidenzia da una parte il centrosinistra in testa con il 44,8 per cento delle preferenze, seguito dal centrodestra con il 41,4 per cento, mentre il Terzo Polo è dato all’11,3 per cento, con l’Udc al 6,5 per cento, Futuro e Libertà al 3 per cento, l’Api all’1 per cento e l’Mpa allo 0,8 per cento. Analisi che trova d’accordo anche il professor D’Alimonte: «Nonostante io sia un bipolarista convinto devo ammettere che esiste un disagio nell’elettorato e di conseguenza c’è la ricerca di qualcosa di diverso dai due poli. La campagna elettorale per la Camera con un sistema elettorale come questo, dove si utilizza strumentalmente l’argomento del voto utile, il terzopolismo rischia di contrarsi se non riuscirà a darsi un’identità, un leader e delle scelte chiare. In questo scenario invece per il Senato, se non cambia la legge, il Terzo Polo diventa decisivo. Perciò ho la sensazione che Berlusconi tenterà di modificare il sistema elettorale del Senato con la proposta di legge Quagliariello che prevede la ripartizione proporzionale dei seggi su base nazionale e non più regionale».

pubblicitario che è, il nostro, giusto in questi giorni sta procendendo in consiglio regionale – dopo sette anni di promesse a vuoto – alla ripubblicizzazione dell’Acquedotto pugliese: tutto fumo, visto che oggi quell’azienda è sì una Spa, ma a completo capitale pubblico, e che per di più fornisce probabilmente il peggior servizio in Italia in termini costi-benefici.

Di Pietro, come detto, è invece il Papa buono dei referendum: si rifiuta persino di chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi nonostante tra i quattro quesiti quello integralmente suo – il legittimo impedimento - sia un completo atto di sfiducia alla premiership del Cavaliere e alla sua compulsione psicotica alla produzione di leggi ad personam (peraltro a dimostrazione di come rispetta i risultati delle urne, il nostro a breve ne farà approvare un’altra: la prescrizione breve).

Casini avverte: «In questo momento, il compito delle forze d’opposizione è quello di costruire un’alternativa che poi possa governare» Eppure l’ex pm di Mani pulite s’è fatto moderatissimo: «Quando sento i leader del centrosinistra sostenere che è ‘una vittoria nostra’, penso sia una grande forzatura. Se domani mattina andassimo a votare non ci sarebbe un travaso di questi voti nel centrosinistra: dobbiamo rispetto a quegli elettori che non ci voterebbero o non ci voterebbero ancora, ma che sui temi concreti hanno avuto il coraggio di scegliere». Di Pietro, addirittura, si presenta come mallevadore «dell’alternativa a questo governo»: «So bene che questa alternativa sarà possibile se conquistiamo la fiducia della maggioranza degli elettori e non con politiche d’odio». Insomma, è il messaggio, sapete che so fare il cattivo, adesso fate conoscenza con la mia parte buona. «Vuole candidarsi pure lui alle primarie», è il parere di Beppe Fioroni. Ovviamente esultano senza soluzione di continuità pure i Verdi («abbiamo conquistato un pezzo di destra») e la della sinistra Federazione (Pdci+Rifondazione), convinti questi ultimi in particolare che l’elettorato italiano – dopo un abbondante sessantennio di conservatorismo – abbia improvvisamente cambiato di segno a favore di “politiche di sinistra vera”.

Anche il Pd, per quanto in maniera diversa, si lascia andare all’esultan-


prima pagina

15 giugno 2011 • pagina 3

Occorre aprire una stagione davvero nuova

State attenti all’utopia neo-Ulivista di Savino Pezzotta risultati elettorali hanno reso evidente che si è avviata una fase nuova che chiede sia data una risposta alla domanda di cambiamento: basta con i personalismi. Il Paese, le famiglie, il lavoro al centro delle attenzioni di tutta la politica. In questa situazione vanno valutati con molta attenzione i contenuti dell’intervista odierna al Corriere della Sera di Enrico Letta perché evidenziano la necessità di avviare un percorso che porti a costruire una nuova risposta politica a quanto sta emergendo nel Paese e nella società. Occorrerà però evitare ogni illusione neoulivista per costruire qualche cosa di veramente innovativo per la politica italiana.

I

za. Il solitamente cauto Enrico Letta, per dire, ieri sul Corriere della sera scomodava nientemeno che “la presa della Bastiglia”: “Anche quella fu, come i referendum, una cosa nata quel giorno, con degli obiettivi che poi sono passati alla storia”. Forse la gioia elettorale fa un po’ premio sulle opinioni del vicesegretario democratico, tra i più convinti “privatizzatori” nel centrosinistra. Per l’intero stato maggiore del Pd, in sostanza, il risultato delle urne prefigura già un modello di alleanza politica comprendente anche il Terzo Polo, tutte le forze cioè che si sono schierate per il voto. «Noi diciamo che pur vincendo le prossime elezioni non avremmo intenzione di governare senza di voi», ha detto lunedì a Pier Ferdinando Casini la (ex) pasionaria ulivista Rosi Bindi: «Non si può fare da soli e i nostri elettorati lo hanno dimostrato». Pierluigi Bersani si dice ormai «pronto alla sfida del voto», ma senza spiegare ancora chi sarà il candidato premier («conta solo il progetto») e quale l’alleanza. Il fatto è che le incertezze so-

no troppe e proprio i referendum lo dimostrano. Se l’alleanza elettorale con IdV e SeL è naturale, il problema si aprirebbe sul programma: ora, per dire, serve una proposta legislativa che limiti i possibili danni del quesito sui servizi pubblici locali, che con una scelta massimalista rischia di legare le mani agli enti locali e costringerli forzosamente a gestire servizi per cui non hanno fondi.

Sopra e in alto, due momenti della festa di lunedì, a Roma, dei promotori dei referendum. A destra, Enrico Letta. Nella pagina a fronte, il leader centrista Pier Ferdinando Casini

L’Udc, ovviamente , è spettatore interessato: l’esito della consultazione ha detto poche cose certe, una delle quali è che Silvio Berlusconi è in grande difficoltà. «Compito delle forze di opposizione è costruire un’alternativa», ha detto ieri Casini: «Bisogna fare un passo avanti perché dire no a Berlusconi non basta. Noi lavoriamo a programmi per cambiare l’Italia». Opzioni tutte aperte insomma, anzi quasi tutte: «Non è nel novero delle possibilità», è stata infatti la risposta ai cronisti che gli chiedevano se era pronto a tornare nel centrodestra una volta che il Cavaliere avrà passato la mano.

Non basta però limitarsi ad indicare delle formule o delle alleanze politiche, quello che serve e che emerge dai dati referendari è un cambio di clima politico e la messa in campo di una proposta programmatica chiara e condivisa, capace di mettere al centro la questione di un nuovo modello di sviluppo che costruisca concrete occasioni di lavoro, offra speranza ai giovani e alle donne, che attui un nuovo rapporto tra pubblico e privato, che concretamente sostenga la famiglia e le relazioni sociali e comunitarie. Questioni che andrebbero approfondite con attenzione e senza abbandonarsi a radicalismi o semplificazioni come quelle messe in campo dall’attuale Governo.

Il lavoro non è solo una semplice questione di remunerazioni o di imprenditività, ma porta in sé un profondo significato etico

Il lavoro non è una semplice questione di remunerazioni o di imprenditività, ma porta in se un profondo significato etico che non può essere sottovalutato e che si interseca con quello di un modello di sviluppo che punti sulla risorsa umana e sulle capacità coesive dei corpi intermedi. Cosi come il tema della famiglia che richiama non solo l’esigenza di sostegni sociali ed economici, ma implica questioni antropologiche molto chiare. Sono convinto che in questa fase le forze non populiste dovrebbero avere il coraggio di affrontare le questioni del Paese, del suo rapporto con l’Europa e la sua collocazione nel mediterraneo con un maggior spirito di dialogo e di ricerca di convergenze. Bisogna agire anche per evitare che le forze che sostengono il Governo non si arrocchino in difesa di Berlusconi, ma si coinvolgano in una strategia dialogante che porti a un Governo realmente riformatore e capace di gettare le basi per un nuova fase di sviluppo economico e sociale del Paese.


pagina 4 • 15 giugno 2011

l’approfondimento

Il miscuglio tra riformisti e antagonisti ha già perso nel 1996 e nel 2006. Ma la sinistra sembra non essersene accorta

L’Unione non fa la forza Perché questa volta dovrebbe funzionare una «coalizione Arlecchino» che ha già fallito in passato? «Bisognerà partire dal programma e solo dopo parlare di alleanze», dicono Massimo Cacciari, Biagio De Giovanni e Paolo Pombeni di Franco Insardà

ROMA. L’euforia di queste ore dei partiti di opposizione rischia di tramutarsi nell’ennesimo flop di governo che ha caratterizzato le esperienze di centrosinistra della Seconda Repubblica. Mette sull’avviso il politologo Paolo Pombeni: «In questo caso l’Unione rischia di fare la debolezza, non la forza. Stiamo vivendo una situazione simile a quella del referendum sul divorzio e sulla preferenza unica. Un conto è il consenso referendario e altra cosa è la formazione reale di alternative».

aver chiuso definitivamente il capitolo Berlusconi. Ci sarebbe da discutere se questo sia avvenuto per merito dei partiti della sinistra, ma direi che fisiologicamente il ciclo è chiuso e la prossima volta non sarà Berlusconi il candidato premier del centrodestra. Dall’altra parte non si sa nulla e la situazione e più confusa che mai. È ovvio che in qualunque coalizione il Pd è il partito di maggioranza relativa, che abbia una sua strategia di alleanze e nel merito di contenuti è altamente improbabile».

Per Massimo Cacciari

La pensa diversamente il professor Biagio De Giovanni, secondo il quale «e si prende alla lettera quello che dice Bersani la situazione dovrebbe essere diversa dall’Unione del 2006. Il segretario del Pd ha, cioè, annunciato di non voler partire dall’alleanza, ma dal progetto. E una precisato il programma si vede chi è d’accordo. Si tratta, indubbiamente di

non «c’è altro da fare che riproporre una coalizione tipo l’Unione per vincere le elezioni, poi si vedrà. Al posto di Bersani, dopo questi risultati, farei così per il momento. Si è creato un piano inclinato incredibile che va sfruttato». L’ex sindaco di Venezia ritiene comprensibile l’euforia delle opposizioni: «Non è poca cosa

una tesi politicamente coraggiosa, ma certamente diversa da quella di mettere tutti insieme intorno a un tavolo e per accontentare tutti partorire un programma di circa 280 pagine come quello di Prodi del 2006».

Il problema è, secondo Pombeni.che «non ci sono alternative e nessuno sa quale è la soluzione. L’unica sarebbe la “Grandissima coalizione”, ma in questo caso farebbero fatica sia l’e-

strema sinistra sia il Terzo Polo a spiegare ai propri elettori questa coalizione, ma sarà interessante vedere come faranno a salvare parte del loro elettorato che, sicuramente, non condivide questa scelta. Le parti estreme dovrebbero rinunciare alle loro posizioni radicali. L’analisi di Avvenire è condivisibile, perché questo è stato un referendum contro un modo di fare politica, più che contro la politica della maggioranza».

Sull’analisi della situazione

Pombeni: «Una cosa sono i referendum, altra cosa le reali alternative»

del centrodestra concordano tutti. Massimo Cacciari mette in evidenza che «questi risultati che tutto sono, fuorché merito di qualcuno, l’unica cosa certa è la fine del ciclo di Berlusconi. Ad onor del vero l’unica eccezione è rappresentata da Giuliano Pisapia, perché, contro tutti, ci ha creduto fin dal primo minuto e aveva capito meglio di altri il livello di saturazione raggiunto dai cittadini nei confronti di Berlusconi. Gli

altri raccolgono soltanto il crollo fisiologico e psichico del Cavaliere. Parlo anche di crollo psichico perché non si spiegherebbero altrimenti gli errori incredibili commessi negli ultimi mesi. Lascerei stare l’analisi dei dati elettorali, in politica ha ragione chi vince. Certamente la sinistra ha avuto un grosso risultato, amplificato dal referendum, ma dire che sia un suo merito ci andrei cauto».

E De Giovanni aggiunge: «Dopo tante sconfitte l’euforia appare giustificato. Bisognerebbe, però, chiarirsi che cosa è la sinistra: è Di Pietro, Vendola o Bersani. Senza dimenticare che questi referendum hanno messo in evidenza una serie di movimenti, dai grillini a tutti gli altri, destinati prima o poi a sciogliersi come neve al sole, ma che hanno contribuito a formare una costellazione di oppositori inserita in una crisi verticale, quanto improvvisa, di Berlusconi come persona. Non


15 giugno 2011 • pagina 5

Almeno una parte del centrosinistra sente ancora il peso del fantasma del 2006

«Nessun ritorno al passato, stavolta bisogna governare»

Parla il veltroniano Giorgio Tonini: «No a una coalizione dalle mille anime. Dobbiamo lanciare una proposta che riguardi tutto il Paese» di Riccardo Paradisi nrico Letta sembra avere già in mente lo schema, secondo lui vincente, per le prossime elezioni politiche: il Pd al centro, a destra l’Udc e a sinistra Idv, Sel e compagnia eventuale. Naturalmente il leader di questo schieramento, partorito dalla mente del vertice del Partito democratico, sarebbe Pier Luigi Bersani. Giorgio Tonini, esponente del Pd di area veltroniana, ha meno certezze e più dubbi sulla coalizione da mettere in campo per battere Berlusconi. Anche se lo persuade l’idea di Bersani di mettere in campo una proposta rivolta indistintamente a tutta l’area berlusconiana. Perché, dice, «non si tratterebbe comunque d’una riedizione dell’Unione». Scusi Tonini ma che differenza c’è tra la santa alleanza che dovrebbe vedere insieme un fronte che va da Casini a Vendola e l’unione prodiana che ha battuto Berlusconi ma che poi è stata incapace di governare? Guardi io penso che se la proposta, per ora abbozzata dal segretario Bersani, fosse la pura e semplice riedizione della vecchia Unione sarebbe una proposta destinata a non funzionare. Il punto è che non si tratta di questo. Bersani è stato chiaro ha impegnato il Pd a una proposta che riesca a trovare una sintesi capace di fare d’uno schieramento eterogeneo una coalizione politica. Per questo servono una visione del Paese e un progetto di governo sul quale sfidare tutti i possibili interlocutori Era la stessa ambizione dell’Unione: fare la sintesi tra le diverse componenti…. Non è la stessa cosa: il vizio di origine dell’Unione era proprio l’incapacità di fare sintesi, la cui immagine plastica è quel programma di trecento pagine che era stato il frutto di una mediazione verbale fatta di parole più che di contenuti, di delegazioni pletoriche protese alla ri-

E

cerca di un minimo comune denominatore. Minimo nei contenuti e massimo nelle astrazioni che servivano semplicemente a mascherare la debolezza della proposta dell’azione di governo. Che infatti s’è rivelata tale Insomma la differenza stavolta dovrebbe essere fatta dalla proposta che verrà dal Pd Durante la segreteria di Veltroni noi la chiamavamo vocazione maggioritaria. È il Pd che deve elaborare una proposta

«Vendola deve decidersi se da grande vuole fare Joschka Fischer o Lafontaine» aperta e chiara, a partire dalla quale si selezionano i compagni di strada. Questo a me sembra la strada maestra lungo la quale si dovrà individuare una leadership magari selezionata dalle primarie. Ricordo che la sera dei ballottaggi delle amministrative Prodi disse: «Guardate che se non saremo in grado di proporre una visione in positivo potremmo avere delle sorprese dagli italiani». Dalla vocazione maggioritaria alla vocazione egemonica? Non userei la formula ”vocazione egemonica”che è una brutta espressione. Io penso a una leadership nel senso anglosassone del termine, compiutamente democratica, che si gioca sul consenso. Del resto scusi il Pd è di gran lunga il maggior partito dell’opposizione, esercita la sua forza, è una cosa diversa da nutrire ambizioni egemoniche da avanguardia autoritaria. Le alleanze si fanno attorno ai partiti maggiori e gli altri possono condizionare. Vendola non appare molto intimorito dal fatto che il Pd sia il maggior partito dell’opposizione. Milano è solo l’ultimo caso di primarie vinte da lui contro di voi.

Pisapia non è un esponente del Pd è vero ma è ascrivibile al grande fiume del riformismo italiano e su questa lunghezza d’onda ha fatto la campagna elettorale a Milano. Dove il Pd ha avuto un ottimo risultato di lista. Detto questo non voglio eludere l’obiezione: si deve vedere se il Pd traina o viene trainato. Dipende tutto da questo. Lei parla di sintesi ma che sintesi è possibile trovare, abbia pazienza, sulle posizioni di politica estera tra Bersani e Vendola? Sulla Libia il leader di Sel non ha esitato un secondo a schierarsi su posizioni di pacifismo intransigente. E del resto quello per lui giustamente è un valore non negoziabile. Su certe questioni come la politica estera il Pd non può fare accordi ambigui. Del resto abbiamo punti di riferimento precisi: da un lato il magistero di Giorgio Napolitano, dall’altro l’esempio del presidente Obama, il grande leader democratico internazionale. Avendo queste due stelle fisse c’è da costruire le scelte politiche quotidinae. Poi sta agli altri capire. Non sarebbe più semplice, lineare e coerente con una vocazione compiutamente riformista cercare un’intesa al centro uscendo dalla sindrome del non avere nemici a sinistra? Si tratterebbe di una sfida e di un rischio ma anche d’un messaggio finalmente chiaro ai moderati italiani Guardi io credo che con Veltroni il Pd abbia consumato una cesura netta con l’esperienza precedente. Però da allora sono successe alcune cose. La più importante è l’emersione della leadership di Vendola e la nascita di Sel da una scissione di Rifondazione comunista, rompendo con Ferrero e Diliberto proprio sull’opzione governativa. E quello è stato un passaggio importante e significativo. Poi non tutti i passaggi di Vendola sono stati coerenti. Il punto è: Sel da grande vuol essere Fischer o Lafontaine? Se vuole essere Fischer non deve chiudersi nella trincea del movimentismo ma deve inseguire il Pd in una gara al rialzo per il riformismo.

dimentichiamo che il Pdl è il partito che ha vinto le elezioni regionali dappertutto, questa volta, però, credo che le vicende private del Cavaliere abbiano giocato un ruolo decisivo nella mobilitazione. Basti pensare alla manifestazione delle donne di qualche mese fa, dopo la vicenda Ruby. È scattata una scintilla nella società non tanto legata alla questione delle tasse, giustificata in parte dalla crisi mondiale scontento, ma al carisma personale di Berlusconi, messo in discussione. Se si rilegge Weber si capisce come i grandi poteri carismatici, proprio per le loro caratteristiche, non fondati su governabilità e competenza, ma sul rapporto personale impressionante tra il capo e il suo popolo. Quando sulla figura del capo si addensano nubi di varia natura cade quel rapporto mitologico con il popolo che gli attribuisce ogni tipo di responsabilità. La gente ha l’impressione che Berlusconi non sia più in se e c’è un punto di caduta personale molto molto potente della quale le opposizioni stanno approfittando».

Il Partito democratico, secondo Pombeni, dovrebbe essere «il naturale beneficiario di questo vento nuovo, ma nella realtà non ha abbastanza vele per catturarlo. Manca a una eventuale coalizione alternativa il centro che produce l’ideologia necessaria. affiancata da un leader che la renda popolare. Per fare un esempio penso a Tony Blair e al new labour o a Romano Prodi del 1996». Il professor De Giovanni analizzando gli ultimi sondaggi dice: «Su tutto c’è l’incognita su che cosa succederà nel centrodestra alla caduta di Berlusconi, posto che non esiste neanche la fenomenologia di questa caduta. Ma a ragionare a bocce ferme sul peso dei partiti si evidenzia che i due blocchi, centrodestra e centrosinistra, sono fermi intorno al 42 per cento e poi c’è il Terzo Polo. E sono proprio i centristi il punto di svolta dell’intera vicenda. Gli ultimi sondaggi danno i due partiti di maggioranza relativa degli schieramenti, Pdl e Pd, sotto il 30 per cento a significare che il 60 per cento dell’elettorato è convintamente bipolarista. Il dato significativo è, però, rappresentato da quel 10/12 per cento del Terzo Polo che diventa determinante. E se l’uscita di Berlusconi dovesse essere non patologica i centristi si troveranno in un bell’imbarazzo a dover convivere con un pezzo di sinistra fricchettona che ha vinto i referendum. Siccome ritengo Casini uomo di intelligenza politica rilevante, immagino che non possa interpretare il proprio ruolo come quello di un’ancella della sinistra destinata a stravincere. L’Udc culturalmente e per tradizione non può essere incardinato in questo tipo di alleanza».


politica

pagina 6 • 15 giugno 2011

Il titolare dell’Economia capro espiatorio della sconfitta: assediato anche dal Carroccio. Mentre il sindaco di Roma e Formigoni mordono il freno

Tremonti prova a salvarsi

Prima apertura del ministro alla riforma del fisco. Ma tra Lega e Pdl è sempre più caos: Tosi contro Berlusconi, Alemanno attacca Bossi di Riccardo Paradisi e sconfitte, si sa, non aiutano a unire, piuttosto allargano le faglie che già dividevano. Adesso nel Pdl, dopo l’uno-due amministrative-referendum, è il momento del tutti contro tutti e del tutti contro uno. Si perché ora sembra esserci anche un capro espiatorio deputato a caricarsi sulle spalle le cause dei mali che hanno colpito il centrodestra. Stiamo evidentemente parlando di Giulio Tremonti che tutti a parole hanno sempre lodato per il rigore con cui ha tenuto in ordine i conti ma che al tempo stesso tutti hanno sempre di fatto avversato e cordialmente detestato per i “no” senza complimenti opposti alle richieste di finanziamento per ministeri e provvedimenti.

per Tremonti: «La riforma fiscale serve e su questo la Lega incalzerà Tremonti». Tremonti capisce l’antifona e fa una mossa. Intervenendo all’assemblea della Confartigianato tiene le posizioni ma fornisce almeno una bozza della sua idea di riforma fiscale: «Non si può fare la riforma fiscale in deficit – dice il ministro dell’Economia – sarebbe una contraddizione rispetto all’impegno morale che tutti i governanti devono avere in questo periodo».

L

Avversato e detestato a partire proprio dal premier Silvio Berlusconi che ricostruzioni credibili descrivono esasperato dai continui condizionamenti di via XX settembre e ormai seriamente tentato di sacrificare il suo titolare approfittando anche della tensione che da settimane corre tra Tremonti e la stessa Lega. Il partito con cui il ministro ha fatto sempre sponda e che ora invece punta, assieme al Pdl, il dito su colui che viene definito ”il responsabile dell’immobilismo che ha causato le sconfitte”. Se non fosse già stato abbastanza nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Maroni è tornato a rinnovare l’invito a Tremonti di prendere l’iniziativa: «Questo è il momento di fare le cose. Ci sono difficoltà, c’è la crisi economica, ci vuole coraggio, oltre alla prudenza». Maroni ricorda anche che sono stati presi «degli impegni con gli elettori nel programma di governo, uno di questi è la riforma fiscale. Se andiamo a rileggere quel programma, il primo punto era un fisco per le imprese e il secondo un fisco per la famiglia. Il governo deve avere il coraggio di fare scelte popolari o impopolari, ma che vanno nella direzione giusta». Parole che vengono battute dalle agenzie quasi in contemporanea con quelle che il presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini pronuncia all’assemblea della sua associazione: «Sui contribuenti italiani pesano 54 miliar-

di di maggiori imposte rispetto alla media Ue. Gli imprenditori sprecano in burocrazia fiscale 36 giorni lavorativi l’anno, il 43% in più dell’Ue. Serve un riequilibrio della pressione fiscale su imprese e lavoro, meno adempimenti, più fiducia tra Stato e cittadini». Tra gli esponenti del Carroccio Maroni è il più aggraziato nel formulare minacce al governo e a Tremonti in particolare. Il capogruppo della Lega alla Camera, Marco Reguzzoni, batte

addirittura i pugni sul tavolo: «I primi ad arrabbiarci se non facciamo le riforme, siamo noi...la base della Lega rappresenta il pensiero del gruppo dirigente». La Lega non fa passi indietro sulla riforma fiscale: «Noi abbiamo un programma di governo che prevede la riforma fiscale e questo va realizzato. Tremonti ha detto che bisogna studiare perché i conti tengano. Non è una cosa facile, ma si deve fare». La realtà è che la Lega è terrorizzata dall’appun-

tamento di Pontida, teme la contestazione della base, è stanca di fare il partito di governo. Anche perché starsene buoni non paga più. Il sindaco di Verona Tosi arriva a cavalcare addirittura il risultato del referendum in chiave antiberlusconiana: «I cittadini si sono stufati di sentire parlare di toghe rosse e bunga bunga. Una parte di elettori è andata a votare contro Berlusconi. Qualcuno andava a votare solo per quello». Ma Tosi ne ha anche

Ma il debito torna a crescere Ad aprile ha raggiunto quasi 1880 miliardi

ROMA. Nuovo record del debito pubblico ad aprile. Il dato, pubblicato sul «Supplemento di finanza pubblica» al Bollettino statistico della Banca d’Italia, ha raggiunto quota 1.890,622 miliardi di euro. Il precedente top era stato toccato a gennaio a quota 1.879,992 miliardi. A marzo il debito pubblico era risultato pari a 1.868,265 miliardi, mentre ad aprile dell’anno scorso si attestava a 1.815,385 miliardi. Il 2010 si era chiuso a 1.843,015 miliardi. Il debito pubblico italiano ha segnato un incremento del 2,5% dalla fine del 2010, quando si era attestato a 1.843 miliardi. L’aumento, in valore assoluto, è stato di 47,6.miliardi. Il confronto con il mese di aprile del 2010 consente anche di calcolare che in un anno il debito è aumentato di 75,2 miliardi di euro. L’incremento, in questo caso, è del 4,14%. Intanto, crescono le entrate fiscali che fanno segnare un +6% nel periodo gennaio-aprile. Il gettito, secondo i calcoli della Banca d’Italia al netto dei fondi speciali della riscossione, si è attestato a 111.056 milioni di euro, rispetto ai 104.794 milioni dello spesso

periodo del 2010, con un incremento che sfiora appunto il 6% (5,97%). Buono il risultato di aprile: l’incasso è stato di 27,5 miliardi, in aumento del 9,32% rispetto ai 25,122 miliardi dello stesso mese dell’anno scorso.

Il Bollettino di Bankitalia segnala anche il balzo a 114 miliardi del debito pubblico degli enti locali, che sfiora così il record assoluto di 114,040 miliardi toccato a maggio 2010. Il debito ”locale” ha segnato dall’inizio dell’anno una crescita di 3 miliardi, pari al 2,7%, mostrando un trend di crescita superiore al 2,5% segnato dal debito globale delle amministrazioni pubbliche. A trainare la crescita è il ’’rosso’’ cumulato delle regioni insulari, del Centro e del Nord-Ovest. Nelle isole si è arrivati a 9,5 miliardi di debito, 476 milioni in più dalla fine di dicembre, che significa un +5,2% dall’inizio dell’anno.

Il ministro delinea dunque la sua ipotesi di nuovo sistema fiscale. Un sistema più semplice, «possibilmente articolato su non più di cinque imposte in cui molti tributi minori possono essere concentrati». Poi continua: «Credo siano giuste tre aliquote Irpef, le più basse possibili». Dito puntato quindi contro gli sprechi: «basta assegni a chi ha il suv e remunerazioni dei politici da far rientrare nella media europea. Domani, (oggi per chi legge Ndr) – annuncia il ministro – i dati dei risultati tecnici sulla riforma verranno inviati al premier e ai ministri». Secondo il ministro, inoltre, «tre sono i principi con cui si può modificare la


15 giugno 2011 • pagina 7

Mario Draghi ieri ha tenuto un forte discorso di fronte al Parlamento europeo rilanciando la necessità di coniugare rigore e crescita. Così ha esposto il suo progamma dopo l’investitura ufficiale a nuovo presidente della Bce

Draghi si presenta: «Salveremo l’Euro» Il governatore a Bruxelles: «Rigore e crescita. Ma non dite che sono diventato tedesco» di Alessandro D’Amato

ROMA. La Bce deve garantire la stabilità dei prezzi, l’Euro è un successo e un default della Grecia sarebbe una catastrofe. Un Mario Draghi in grande fortma, durante l’audizione al Parlamento europeo per la sua designazione a presidente della Banca Centrale Europea, manda segnali precisi all’establishment europeo. Segnali di forte continuità con la “filosofia” tedesca (l’accenno alla stabilità e non alla crescita), un messaggio agli euroscettici di tutti i paesi, e una precisa presa di posizione rispetto alla crisi greca, e a chi vorrebbe farne una nuova Lehman Brothers.

«La Banca centrale europea deve perseguire il suo mandato istituzionale, di garantire la stabilità dei prezzi, senza lasciarsi dirottare da questo obiettivo né dal perdurare della crisi sui debiti di alcuni paesi né dall’abnorme dipendenza delle banche nei confronti dei rifinanziamenti della Bce», ha detto Draghi. Bisogna evitare, ha aggiunto, che le pressioni rialziste sui prezzi finiscano per creare un deterioramento anche delle generali attese di inflazione nell’area. In ogni caso, ha detto Draghi, i costi di un default della Grecia «sarebbero superiori ai vantaggi» e c’è il rischio di «un contagio diffuso» a tutta l’eurozona. «Come già espresso più volte dalla Bce, condivido la contrarietà alle ristrutturazione del debito sovrano. Va rilevato che i costi sarebbero più alti dei benefici, ci sarebbe un aumento del deficit primario (del paese in delogica del prelievo: figli e natalità, lavoro e giovani», e aggiunge: «Credo vada combinata l’etica delle intenzioni con l’etica della responsabilità». Un attacco anche alla Sprecopoli della politica italiana: «Tutti gli incarichi politici e pubblici vanno remunerati per esempio come la media europea basta limitarsi ai paesi dell’area euro». Un abbozzo, niente più, ma è un segnale

fault o in ristrutturazione, ndr) e poiché le banche sono tra i possessori di titoli di Stato, si dovrebbe ricapitalizzarle», ha continuato. «Tra l’altro vorrei ricordare che mentre abbiamo imparato, ma non del tutto, a gestire il fallimento di una banca, non sappiamo niente su cosa accadrebbe con un default di un paese sovrano», ha poi aggiunto, forse facendo scorrere un brivido lungo la schiena dei presenti.

Sul tema dell’euro, come successo per l’Europa il quasi-neo presidente della Bce ha detto: «Gli scambi fra i paesi dell’Eurozona si sono rafforzati e si è raggiunta una stabilità dei prezzi, con l’inflazione sempre sotto al 2% in 12 anni di moneta unica». Insomma, secondo Draghi «l’euro funziona nonostante la crisi e l’aumento del prezzo del petrolio, ha mantenuto la rotta durante la crisi e senza l’Unione economica e monetaria la risposta economico/finanziaria non sarebbe stata così rapida e sarebbe stato impossibile avere un coordinamento. Alla base della forza dell’Unione economica e monetaria c’è l’indipendenza della Bce». In ogni caso, la credibilità conquistata dalla Bce «non è scontata». «Abbiamo evitato il crollo del sistema finanziario e garantito la stabilità dei prezzi», ha ricordato Draghi. «Oggi però l’Eurotower deve progressiva-

per sedare i venti di guerra che levandosi da tutto il Pdl si concentrano sul ministero dell’Economia. È l’ora dell’assedio a Tremonti dunque ma è anche il momento dei regolamenti di conti e del rompete gli indugi per gli aspiranti alla successione alla leadership del centrodestra. L’analisi del voto referendario del governatore Roberto Formigoni è in realtà un j’accuse senza appel-

mente far rientrare le misure straordinarie di sostegno alla liquidità». «La crisi del debito sovrano è un test per le istituzioni europee; la sorveglianza europea delle politiche nazionali di bilancio evidentemente è stata inadeguata» in quanto «non c’erano delle regole vincolanti». Ora la crisi globale ha accentuato i rischi finanziari e le debolezze europee. Secondo Draghi per uscire dalla crisi del debito sovrano «non ci sono scorciatoie», serve «un’attuazione completa dei piani di aggiustamento».

E c’è stato anche il tempo per qualche siparietto: una europarlamentare dell’Alde ha chiesto a Draghi cosa pensasse della campagna contro della stampa tedesca nei suoi confronti, dicendosi felice che la candidatura abbia superato le resistenze di Berlino e la frattura fra Nord e sud Europa. Draghi ha ringraziato per la domanda e ricorda: «Molti giornali tedeschi fino a tre mesi mi rappresentavano con gli stereotipi del piatto di pasta o la pizza. Ma in questi mesi io, che non parlo spesso in pubblico, ho ripetuto quello che ho ripetuto per tutta la mia vita: l’importanza della sensibilizzazione dei prezzi, argomento verso cui sono sensibile proprio perché da italiano conosco bene certe situazioni: in Italia negli anni ’70 inflazione era al

«L’Italia degli anni Novanta stava peggio della Grecia di oggi. Eppure, quella volta ci salvammo...»

lo alla classe dirigente del Pdl: «Le urne ci hanno dato un responso chiaro: se le cose dovessero rimanere così gli elettori ci abbandoneranno». Anche Gianni Alemanno alza la voce. L’obiettivo è la Lega ma il messaggio è rivolto anche al Pdl e a Berlusconi: «Da Pontida non esca fuori una provocazione contro Roma perché reagiremo con estrema durezza. Non è solo la Lega che può

20%. La mia attenzione al bilancio nasce dal fatto che ricordo e conosco la situazione degli anni 90 in Italia». Che, ha ricordato l’attuale inquilino di Palazzo Koch, era peggiore di quella della Grecia attuale: «Ma all’epoca gli investitori credettero al nostro piano, per questo ci salvammo».

A Draghi è toccato anche respingere le accuse di conflitto di interesse per il suo passato alla banca d’affari Goldman Sachs. «Ho agito con integrità, non ci sono stati favoritismi», ha detto. «Riguardo alla mia attività alla Goldman Sachs ricorderò che gli accordi tra la stessa Goldman e il governo greco sono stati avvisati prima che arrivassi alla Goldman Sachs. Non ho mai avuto a che fare con questi accordi né prima e né dopo. Peraltro alla Goldman mi sono occupato del settore privato non di quello pubblico». D’altronde, Draghi ha spiegato di non essere portatore alcun conflitto di interesse per aver lavorato in una grande banca di investimento: «ho passato sei anni in Bankitalia e il controllo della vigilanza dimostra il contrario: chiedetelo ai banchieri italiani se sono troppo gentile o leggero con loro e se come presidente del Financial Stabilii Board sia stato troppo gentile con le banche». E anche qui, a qualche Popolare e a un paio di big della finanza nostrana devono essere fischiate le orecchie. Ma alla fine, comunque, per il neo-presidente c’è stata una giusta ovazione: un altro tassello verso Francoforte.

porre condizioni c’è anche un partito romano ed una realtà laziale che sono altrettanto in grado di porre condizioni». Il partito romano… Siamo insomma alla frattura geografica oltre che politica. Ma la strategia di Alemanno è ormai chiara e se ne fa latore anche il Secolo d’Italia, quotidiano organico all’asse ex aennino Alemanno-Matteoli. Il Secolo muove addirittura un accusa a

Berlusconi «Il grande comunicatore non comunica più. Il ”ghe pensi mi” alla fine lo ha stremato. Un partito dura più a lungo di un leader perché è più difficile abbattere una moltitudine che un uomo solo». Sempre che questo partito duri senza Berlusconi, e non si sciolga, come vagheggiava Fabrizio Cicchitto qualche giorno fa, negli undici partitini di cui è composto il Pdl.


il paginone

pagina 8 • 15 giugno 2011

Romani, celti, babilonesi ma anche indios, cinesi e indù. Da sempre il fenomeno ha aff

’a luna rossa mme parla ’e te,/ Io lle domando si aspiette a me,/ e mme risponne: “Si ’o vvuó’ sapé,/ ccá nun ce sta nisciuna...”/ E i’chiammo ’o nomme pe’ te vedé,/ ma, tutt’’a gente ca parla ’e te,/ risponne: “È tarde che vuó’sapé?! Ccá nun ce sta nisciuna!...”». Luna Rossa: la canzone di Vian e De Crescenzo, cantata tra gli altri da Claudio Villa e da Renzo Arbore, ha dato poi il nome a ben sei barche italiane che hanno partecipato alla famosa America’s Cup. Ma in origine è un fenomeno ottico di rifrazione che si attua durante le eclissi di Luna. Quando il nostro satellite non è più raggiunto dalla luce diretta del Sole, ed è invece illuminato dall’altra luce che passa attraverso l’atmosfera terrestre come in un prisma che sparpaglia in tutte le direzioni il blu-violetto, e manda su di esso appunto il rosso. Che può essere complicato dalla colorazione di quella parte della superficie terrestre sulla quale insistono i raggi che sono riflessi sulla Luna, che a seconda se consiste in oceani o deserti o foreste o che altro, possono dare tonalità impreviste. Dal marrone al rame. «Luna rossa,/ chi mme sarrá sincera?/ Luna rossa,/ se n’è ghiuta ll’ata sera/ senza mme vedé». E la Luna rossa rivedremo appunto stasera: in un orario accessibile a tutti, visto che la fase massima si svolgerà tra le 21,22 per finire alle 23, 03. Insomma, spettacolo in prima serata. Il massimo oscuramento, secondo gli esperti, alle 22.12, quando il nostro satellite attraverserà il centro del cono d’ombra proiettato dalla Terra nello spazio. Uscita dalla “zona oscura”: pochi minuti dopo la mezzanotte.

«E

Unico cruccio degli astrofili: la posizione della Luna, che sorgerà bassa e avrà quindi una modesta altezza rispetto all’orizzonte. La luce del crepuscolo serale non favorirà dunque l’osservazione della prima parte del fenomeno, mentre sarà ben visibile la parte centrale e finale. È dalla notte tra il 3 e il 4 marzo del 2007 che non si assisteva a un’eclissi, e per osservarne un’altra bisognerà aspettare fino al 28 settembre 2015. Ma i 100 minuti della sua durata ne fanno addirittura la più lunga degli ultimi 100 anni. Dunque, un evento memorabile. Anche se non più arcano, come ai tempi in cui le eclissi di sole e lune erano considerate fenomeni di natura inquietante. Intendiamoci: in realtà già i babilonesi ne avevano compreso il meccanismo in modo scientifico, ed avevano determinato quel ciclo determinato saros. 18 anni e 11 giorni, durante i quali si verificano 41 eclissi di Sole e 29 di Luna. E le pur misteriose rovine di Stonehenge ci fanno intuire che probabilmente i cicli delle eclissi potevano essere calcolati anche prima. Una tavoletta d’argilla siriana ha comunque registrato un’eclissi solare del 5 marzo 1223 a.C., una pietra irlandese ne ha registrata un’altra del

Spettacolo in Tra le 21,22 e le 23,03 di stasera, assisteremo a una splendida eclissi totale di Luna di circa 100 minuti. La prossima, il 28 settembre del 2015 di Maurizio Stefanini 30 novembre 3340 a.C., e i cinesi hanno registrazioni per 4000 anni ininterrotti. Però a noi uomini di tempi tecnologici, piace immaginare che i nostri antenati non altrettanto illuminati se la facessero sotto, ogni volta che i dischi del cielo iniziavano a spegnersi in modo irregolare. Oppure, che ne approfittassero per compiere magie e incantesimi. Un’eclissi ad esempio, nel Medioevo fantastico descritto nel film del 1985 Ladyhawke, «la notte senza il giorno ed il giorno senza la notte», permetteva al capitano Navarre-Rutger Hauer e alla bella Isabeau-Michelle Pfeiffer di scampare al maleficio di un vescovo satanista che li aveva condannati a diventare lui lupo di notte e lei falco di giorno. Un’eclissi, nel Medioevo ancora più fantastico descritto da Mark Twain nel romanzo del 1889

Un americano alla Corte di Re Artù, dava modo all’ingegnere del Connecticut Hank Morgan, riportato da una botta in testa nell’anno 528, di impressionare i locali, scampando in extremis da una condanna al rogo: un trucco per impressionare i primitivi che in letteratura era stato già usato nelle Miniere di Re Salo-

Il massimo oscuramento, secondo gli esperti, avverrà alle 22.12, quando il nostro satellite attraverserà il centro del cono d’ombra proiettato dal nostro Pianeta nello spazio

mone di Henry Rider Haggard; che in seguito sarebbe stato ripetuto in un fumetto di Tintin; ma che in effetti era stato realmente usato da Cristoforo Colombo con gli indios nel suo quarto viaggio. Quest’ultimo caso, vero, proprio con un’eclissi lunare; e non solare, come nei precedenti episodi fantastici. Racconta comunque Plinio il Vecchio che era stato nel 585 a.C. Talete di Mileto il primo a riuscire a prevedere un’eclissi: e di lì sarebbero nate la filosofia e la scienza dell’Occidente.

Ancora nella fantasia: alla Trentanovesima Eclisse, nell’omonimo film del 1980, la faraona egizia Kara cerca di reincarnarsi nel corpo della figlia dell’archeologo interpretato da Charlton Heston. Ancora nella realtà: un’eclissi


il paginone

15 giugno 2011 • pagina 9

fascinato, influenzato e spesso anche impaurito intere civiltà di ogni parte del mondo

n prima serata pure di luna nel 413 a.C demoralizzò a remoto. Ancora oggi a ogni annuncio tal punto il superstiziosissimo generale astronomico le autorità cinesi sono coateniese Nicia durante l’assedio di Sira- strette a lanciare una campagna fra mecusa che, racconta Polibio, i nemici ne dia e organi di partito per “educare la approfittarono per attaccarlo e distrug- popolazione” all’evento, e evitare fenogere il suo esercito. Fantasia: Topolino e meni di “panico e reazioni ingiustificala rivolta delle ombre è una storia del te”. Anche per gli astrologi birmani l’e1960 di Missaglia e Carpi, in cui le om- clissi annuncia scontri e rivolte sociali. bre stufe di essere schiavizzate in per- Quanto alla mitologia indù, lì si chiamamanenza dagli esseri umani che sono no rispettivamente Rahu e Ketu la testa perennemente costrette a seguire deci- e del busto del demone che ingoierebbe la luna e il sole, causando dono di ribellarsi approl’eclissi. Gli indiani, cofittando di una favorevole munque, quando il fenocondizione atmosferica meno termina corrono provocata da una eclissi; subito a farsi un bagno e bisognerà provocare nelle acque dei fiumi saun’altra eclissi artificiale, cri, per purificarsi di ogni per rimettere le cose a poinfluenza maligna. Per sto. Realtà: davvero il 12 essere più sicuri, sarebbe ottobre del 1605 un’eclissi anche meglio evitare di di Sole su Palermo procucinare e mangiare. vocò un fuggi fuggi geneQuanto alle donne incinrale, con angosciate invote, è meglio che si chiudacazioni alla clemenza divina. In Cina è una tradino dentro: l’India è ormai zione popolare radicata una potenza informatica, che ogni eclissi annunci automobilistica e atomiTra le 21,22 e le 23,03 una disgrazia: se non ca, ma continua ad esserdi stasera, eclissi totale cambia una dinastia o vi articolo di fede che i non muore un imperatore, di Luna di circa 100 minuti. “raggi invisibili” delle La prossima, come minimo può venire eclissi causino malformail 28 settembre 2015 un’inondazione o un terzioni al nascituro. Non è

poi superstizione ma dato storico accertato che eclissi si siano verificate nel corso di diverse battaglie. Appunto, medi e lidi si combatterono nel 585 a.C., proprio in occasione dell’eclissi prevista da Talete sul fiume Halys, nell’attuale Turchia. «Nel sesto anno ebbe luogo una battaglia in cui accadde l’eclissi», racconta Erodoto. «Quando il combatti-

L’unico cruccio degli “astrofili” è la posizione che assumerà la Luna, visto che sorgerà piuttosto bassa e quindi avrà una modesta altezza rispetto all’orizzonte mento era ormai iniziato, improvvisamente il giorno divenne notte. E questo mutamento del giorno, Talete di Mileto lo aveva predetto agli ioni fornendo anche l’anno dell’evento. I lidi tuttavia e i medi, quando in pieno giorno si videro sovrastati dalla notte, cessarono il combattimento e furono entrambi molto desiderosi di fare la pace fra loro». Dopo

ben 15 anni di guerra tra Aliatte II di Lidia e Ciassare dei medi, si pensò a un presagio mandato dagli dei affinché la lotta terminasse. La figlia di Aliatte Arieni venne allora data in sposa al figlio di Ciassare Astiage, e il fiume Halys venne ad essere definito come il confine fra i due regni. E poiché le date esatte delle eclissi possono essere calcolate, è quello l’evento storico più arcaico di cui ci è nota la data con tale precisione: 28 maggio 585. Secondo la Nasa, l’eclissi si verificò sull’Oceano Atlantico alle coordinate 37.9°N 46.2°W e il percorso della penombra raggiunse l’Anatolia sud-occidentale nelle ore della sera; il fiume Halys è proprio dentro il margine d’errore per il delta-T fornito.

Poi ci fu appunto la già citata spedizione ateniese contro Siracusa: che segnò l’inizio della fine per la potenza di Atene. E la battaglia di Pidna tra romani e macedoni, 28 giugno 168 a.C.: che pose fine all’indipendenza macedone. E la battaglia di Crécy, 26 agosto 1346: il cui massacro di cavalieri francesi da parte degli arcieri inglesi è considerato dai più come il principio della fine per la civiltà feudale. E la caduta di Costantinopoli, il 29 maggio 1453: esattamente una settimana dopo l’eclissi di luna interpretata come cattivo auspicio dagli assediati; anche se, in realtà, il colpo finale venne quando Maometto II per far entrare la flotta nel Corno d’Oro aggirando la gigantesca catena che ne chiudeva l’ingresso fece passare le navi via terra lungo una passerella di legno di 2 chilometri, e gli attoniti bizantini ricordarono la profezia sulla fine della Seconda Roma «quando le navi avessero navigato sulla terra». Solo più di recente le eclissi hanno cominciato a passare alla storia come occasioni di arricchimento scientifico. Ad esempio, l’eclissi solare che si verificò il 29 maggio 1919 in Africa, e che fu osservata da una spedizione di due gruppi di astronomi britannici. Un gruppo, guidato dall’astrofisico inglese Arthur Eddington, documentò l’evento scattando fotografie su 16 lastre, di cui, in seguito allo sviluppo, soltanto due si rivelarono utilizzabili. Ma bastarono. Misurando attentamente la posizione delle stelle vicine al disco solare eclissato, fu possibile infatti rilevare uno spostamento medio di 1,6 secondi d’arco rispetto alla loro posizione normale: un valore molto simile a quello previsto di 1,75 secondi d’arco. Il fenomeno che giustificava tale spostamento era la deflessione della luce che attraversa un campo gravitazionale. E quindi, ci fu la prima conferma sperimentale di uno degli effetti previsti dalla teoria della relatività generale pubblicata tre anni prima da Albert Einstein. «E ’a luna rossa mme parla ’e te,/ Io lle domando si aspiette a me,/ e mme risponne: “Si ’o vvuó’ sapé,/ ccá nun ce sta nisciuna...”/ E i’ chiammo ’o nomme pe’ te vedé,/ ma, tutt’’a gente ca parla ’e te,/ risponne: “È tarde che vuó’ sapé?!Ccá nun ce sta nisciuna!...”».


mondo

pagina 10 • 15 giugno 2011

La deputata del Minnesota Bachmann, eroina del Tea Party, sfrutta il primo dibattito Tv dei repubblicani per annunciare la sua candidatura alla Casa Bianca

È l’ora di Sarah e Michele Belle, abili e spigliate. E da ieri ufficialmente ex amiche. E adesso tutti aspettano la contromossa della Palin di Luisa Arezzo arah Palin e Michele Bachmann fino a ieri erano, almeno nominalmente, alleate, incarnando al contempo due dei più nuovi e promettenti volti del partito repubblicano e le madrine del movimento ultra conservatore del Tea Party. Entrambe telegeniche e con seguaci fedeli, le due donne sono tra i volti preferiti di Fox News - emittente televisiva dichiaratamente schierata. Toste e battagliere era forse inevitabile che arrivassero allo scontro, perché le leggi della politica soprattutto se ci si misura con una scadenza impegnativa come le elezioni presidenziali per la Casa Bianca nel 2012 - non concedono spazio sufficiente a due prime donne. Che la Palin ambisse a correre per la presidenza non era un mistero, benché ancora non sia scesa ufficialmente in campo. Che Michele

S

fosse determinata a fare altrettanto (c’era sì stata qualche allusione in merito, ma nulla di così dirompente) non era chiaro a nessuno. Almeno fino a lunedì sera, quando in diretta televisiva dagli studi della Cnn e in prima serata, Michele ha rotto gli indugi annunciando la sua candidatura. Se eletta alle primarie, insomma, Bachmann, immediatamente trasformata nell’anti Palin, sarebbe la prima donna a correre per la poltrona di presidente nella storia degli Stati Uniti. «Alle primarie repubblicane, non abbiamo mai avuto due donne candidate così dinamiche», ha detto il governatore dell’Iowa, Terry Branstad, «sarebbe interessante».

Belle, abili con i media, spigliate e sempre dalla battuta pronta, Michele e Sarah sembrano in realtà due cloni. A parte gli occhiali e l’età, la prima ha 55 anni, la seconda solo 47, Bachmann e Palin sono i due simboli della destra bianca religiosissima e ultraconservatrice che si candida a spodestare Barack Obama.Tutte e due amano la famiglia e hanno cinque figli. Come altre Grizzlie Mums, sono cresciute fuori dai

piani alti del partito repubblicano. Da anni sono le eroine del Tea Party, riuscendo sinora a evitare con cura dissapori e polemiche a distanza. Ma quella stagione di collaborazione tra loro lunedì sera è definitivamente tramontata con l’annuncio di Michele Bachmann al primo dibattito tra candidati repubblicani nel New Hampshire.

Una mossa a sorpresa, con cui la deputata del Minnesota ha anticipato sul tempo l’ex governatrice dell’Alaska. Mentre Mitt Romney vola sui sondaggi, Sarah ancora non ha deciso il da farsi. E dire che l’attesa attorno a lei resta altissima, visto che le è bastato salire su un pullman per uno stravagante giro negli States per attirare i media su di lei. Però in tanti cominciano a dubitare sulle sue reali aspirazioni. Ed Rollins, un vecchio analista repubblicano, ha scritto quello che in tanti pensano, ma nessuno ha il coraggio di dire pubblicamente: «Bachmann è come La Palin, ma molto più intelligente». Nel giro di poche ore, il sito che appoggia Sarah, Conservative4Pain ha preteso che la Bachmann «prendesse formlmente le di-

In alto, un frame del dibattito dei sette candidati del Gop alla Cnn. A sinistra, Obama e in grande Sarah Palin. A destra Michele Bachmann

stanze da questo commento idiota». Inutile dire che Michele non ha battuto ciglio, evitando con cura ogni riferimento all’amica, oggi - inutile precisarlo - sua strenua rivale.

Eppure pubblicamente, le due eroine del Tea party fino a pochi giorni fa non hanno fatto altro che lodarsi vicendevolmente. Di più: l’ex governatrice dell’Alaska ha partecipato alla campagna elettorale della Bachmann in Minnesota, sostenendola in tutti i modi. Oggi invece, i due schieramenti si guardano

I sette candidati del Gop, in prima serata sulla Cnn, impallinano “il boss” della Casa Bianca

Tiro al bersaglio contro Obama di Laura Giannone ette candidati repubblicani alla presidenza americana (Michele Bachmann in realtà non lo è ancora, ma ha detto di avere presentato richiesta alla commissione elettorale e che l`annuncio ufficiale arriverà a giorni), domande poste dagli americani via Facebook e Twitter, due ore di dibattito in prima serata su Cnn, di fatto un tiro al bersaglio contro il presidente Barack Obama. Il botta e risposta di Goffstown, in New Hampshire (il primo degli Stati dove si terranno le primarie repubblicane e cruciale per la vittoria), si è sostanzialmente concluso con un pareggio. I candidati - almeno quelli finora noti (non si sa ancora per esempio se l`ex governatrice dell`Alaska Sarah Palin finirà per

S

candidarsi o se Donald Trump si presenterà come indipendente) - lunedì sera hanno fatto un giro di prova per scaldare i motori in attesa di fare veramente sul serio. Il test era importante soprattutto per Mitt Romney, che aveva saltato il precedente dibattito in Sud Carolina: sconfitto da Obama già nel 2008, l`ex governatore del Massachusetts aveva bisogno di prendere le distanze dal presidente (sulla sanità innanzi tutto, visto che la sua proposta per lo stato che guidava è stata criticata perché troppo simile a quella di Obama) e di verificare la tenuta del vantaggio che ha rispetto ai rivali (i sondaggi lo danno al 24 per cento, in rialzo dal 17 per cento di maggio e 8 punti più di Palin). Poi c`era la sfida nella sfida, quella tra

la deputata del Minnesota Michele Bachmann, Herman Cain, uomo d`affari della Georgia ed ex amministratore delegato della catena di pizzerie Godfather`s Pizza e l`ex senatore della Pennsylvania Rick Santorum: sono quelli con le posizioni più estreme, i preferiti dal partito ultraconservatore del Tea Party, i nomi meno noti e quelli meno esperti.

E poi c`erano i veterani, Newt Gingrich, ex presidente della Camera, il deputato del Texas Ron Paul e Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota, che per altro ha strappato uno degli applausi più fragorosi quando ha detto che sarebbe favorevole a una legge che rende volontaria l`affiliazione sindacale sul posto di lavoro («il Governo non


15 giugno 2011 • pagina 11

carriera politica della Palin. Fino alla decisione di lasciare, nel 2009, la carica di governatrice dell’Alaska. Sempre secondo Realclearpolitics.com, sarebbe stata la Palin stessa a contattare il regista Stephen Bannon per proporgli questo progetto, da molti interpretato come il preludio alla sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali.

con sospetto. I sostenitori di Palin considerano Bachmann una versione povera dell’ex candidata alla vice presidenza; mentre quelli della Bachmann credono che la Palin non abbia una carriera politica paragonabile a quella della loro beniamina. Alcuni commentatori politici hanno speculato sul fatto che il tour dei siti storici del New England ( la zona nordorientale degli Stati Uniti) su un autobus intrapreso di recente dalla Palin sia stato organizzato per danneggiare gli sforzi della rivale. Michele e suoi assistenti, però, hanno sempre affermato di ignorare le mosse di Sarah. «Le nostre scelte sono originali e svincolate dalle decisioni degli altri candidati», ha affermato la deputata repubblicana del Minnesota aggiungendo, «considero Palin un’amica e la ri-

deve dirci di che organizzazione dovremmo fare parte»). Tutto si è svolto secondo copione, con poche scintille, nessuna punzecchiatura ma complimenti reciproci: «qualunque candidato su questo palco sarebbe un presidente migliore di Obama», ha detto Romney, che ha aperto il fuoco contro il Presidente, soprattutto sull`occupazione, il suo tallone d`Achille (in maggio il tasso di disoccupazione è salito al 9,1 per cento, nessun presidente dalla Seconda Guerra Mondiale in poi è stato rieletto con un dato superiore al 7,1 per cento). Incessanti gli attacchi: «Obama non andrà oltre il primo mandato» (Bachmann), «non mi viene in mente una sola cosa giusta che abbia fatto per l`economia» (Paul), «è contro l`occupazione, contro le aziende, contro l`America» (Gingrich), «ha sbagliato e ha fallito su tutti i fronti» (Romney). In buona sostanza i candidati repubblicani hanno preso le distanza praticamente da qualunque posizione finora presa dall`amministrazione Obama, dalla riforma sanitaria («non è sostenibile da un punto di vista finanziario», ha detto Pawlenty,

spetto. Ma non credo che siamo intercambiabili. Penso che ciascuna di noi porti qualcosa di unico alla competizione elettorale». Rispetto a Sarah, Miche-

Se passasse questa soluzione, il senatore potrebbe essere, insieme al sottosegretario, il vero vincitore di tutta la partita di queste settimane le è stata negli ultimi tempi più fredda e celebrale, preservando la propria immagine dal tritacarne dei media. In questo

«la abolirei», ha fatto eco Romney), ai matrimoni tra persone dello stesso sesso («penso che il matrimonio sia fra un uomo e una donna», ha detto Bachmann) e alla guerra in Afghanistan («bisogna riportare i soldati americani a casa il più presto possibile», ha detto Romney), dall`aborto all`immigrazione e al ritorno della «Don`t ask don`t tell», la legge che consentiva agli omosessuali di servire nell`esercito a patto di non dichiarare apertamente le proprie preferenze sessuali e che è stata abrogata dal presidente Obama.

Una delle domande più controverse della serata: bisognerebbe indagare più a fondo sui musulmani che vivono negli Stati Uniti? Cain, che si era espresso in questo senso nei giorni scorsi, dice che alcune domande andrebbero fatte, il mormone Romney pensa invece che «le persone di ogni confessione religiosa devono essere benvenute negli Stati Uniti». Divertenti intermezzi sono state le domande a bruciapelo che il moderatore del dibattito, John King, ha posto ai

modo s’è ravvicinata all’establishment del Grand Old Party, senza però rinnegare le sue origine movimentiste.

Solo così può sperare di piacere alle varie anime della “grande tenda repubblicana”e cercare di andare avanti nella corsa a ostacoli che sono le primarie. E adesso che la “singolar tenzone” è partita, tutti gli occhi sono puntati sulle prossime mosse dell’ex candidata alla vicepresidenza di John McCain. Stando a quanto riporta il sito Realclearpolitics.com a fine giugno, in Iowa (il primo Stato chiamato a votare alle primarie del Gop) verrà presentato The Undefeated, un film documentario incentrato sulla vita e sulle tappe che hanno costellato la

candidati. Elvis Presley o Johnny Cash? Bachmann non sceglie: «entrambi, sull`iPod ho Christmas with Elvis». BlackBerry o iPhone? Ron Paul sceglie il primo. Dancing with the stars o American Idol? Gingrich preferisce il secondo. Jay Leno o Conan O`Brien? Santorum è indeciso: «probabilmente Leno, ma non guardo nessuno dei due, mi dispiace».“Deep dish”o “thin crust”(due tipi di pizza fatti a Chicago)? “Thin dish”, scherza Cain. Piccante o no? Piccante, senza dubbio, dice Romney. Coca-Cola o Pepsi? Pawlenty sceglie la prima. Un’atmosfera scherzosa che di fatto evidenzia un parterre del Gop ancora abbastanza debole, ma determinato a smontre Obama. Reduce da una brutta sconfitta al Congresso, che ha appena vietato l’utilizzo di fondi per le operazioni militari americane in Libia. Un voto figlio del malcontento del Congresso dopo la decisione di Obama di non consultare i parlamentari per l’inizio delle operazioni militari nello scorso mese di marzo.

La scesa in campo dell’ex governatrice dell’Alaska, «modificherebbe gli equilibri» ha detto uno degli alleati più stretti della Bachmann al Congresso, il deputato repubblicano dell’Iowa, Steve King, «Palin sarebbe però solo uno dei candidati che lottano per i voti dei repubblicani più conservatori». Resta il fatto che secondo l’ultimo sondaggio della Gallup, l’ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney, e l’ex governatrice dell’Alaska sono i due candidati preferiti tra gli elettori indipendenti che guardano con favore i repubblicani. Secondo il sondaggio, il 17 per cento degli elettori intervistati voterebbero Romney alle prossime primarie repubblicane per scegliere il candidato che tenterà la scalata alla Casa Bianca, mentre il 15 per cento voterebbe per l’esponente del Tea Party. Resta dunque da vedere se il prossimo test confermerà questa tendenza o mostrerà l’impennata della Bachmann. Sarah Palin, c’è da starne certi, non resterà a guardare. Ma intanto entrambe un risultato lo hanno ottenuto: hanno messo in ombra tutti i candidati maschi del Gop.


pagina 12 • 15 giugno 2011

grandangolo Si apre un altro conflitto fra Gerusalemme e Beirut

Leviatano, il gigante energetico che cambierà il Medioriente Un enorme deposito di gas e petrolio, oltre 700 miliardi di metri cubi, scoperto a tre miglia di profondità al largo di Haifa. È il più grande mai trovato nel Mediterraneo, ed è conteso da Turchia, Cipro, Siria, Libano, popolo palestinese e Israele. Che lo rivendica in toto, visto che “vale” 100 anni di energia. Ma i libanesi non ci stanno di Martha Nunziata uando Thomas Hobbes scrisse The Leviathan, nel 1651, non avrebbe mai immaginato che, quasi quattro secoli più tardi, quella stessa metafora della rappresentazione dello Stato si sarebbe adattata benissimo alla geopolitica. L’iconografia biblica del mostro, un drago marino che sorregge un pastorale e una spada, il potere spirituale e quello temporale, che il filosofo britannico immaginava inscindibili nella sua concezione dello Stato, è tornata di stretta attualità, dopo la scoperta di un altro Leviatano che, come il gigante da cui prende il nome, potrebbe sconvolgere e ridisegnare l’assetto politico ed economico di tutto il Nordafrica e del Medioriente. Un gigantesco deposito di gas e petrolio, oltre 700 miliardi di metri cubi di risorse energetiche, scoperto da un consorzio di quattro imprese (l’americana Noble Energy e le israeliane Delek, Avner e Ratio Oil Exploration), a tre miglia di profondità, 130 km al largo di Haifa. È il giacimento più importante tra quelli rinvenuti negli ultimi dieci anni, e il più grande mai trovato nel Mediterraneo: the Leviathan, il Leviatano, appunto.

Q

Un giacimento che è ambito da molti pretendenti: Israele, Cipro, Turchia, Siria, Libano, e, ovviamente, dai palestinesi. Un quantitativo energetico enorme, sufficiente a soddisfare il fabbisogno di Israele per 100 anni, perché il giacimento di riserve di idrocarburi si trova in ac-

que israeliane, almeno secondo il governo di Netanyahu, che si sente spalleggiato dalle potenti lobbies petrolifere statunitensi. Ma il Libano rivendica, per sé, almeno un terzo di queste risorse. Una diversità di vedute sufficiente, da sola, ad innescare una crisi politica in un’area nella quale gli equilibri sono già estremamente precari. Quella del Leviatano è una scoperta che non arriva inaspettata, perché Israele, ma anche Siria e Libano sono da tempo impegnati nello studiare e scandagliare il territorio che copre l’intero“arco siriano” (dal Delta del Nilo fino alle alture

Chi lo sfrutterà passerà da Paese importatore di materie prime a Stato autosufficiente del Golan, passando per Israele, Libano e Territori Palestinesi), alla ricerca di giacimenti di risorse energetiche. Lo conferma Ali Haidar, l’unico geofisico libanese, docente di scienze geologiche all’Università Americana di Beirut,

in un incontro al caffè francese del quartiere di Gemayel, in pieno centro di Beirut. «Il Libano - dice a liberal - ha cercato risorse naturali nel proprio territorio fin dalla metà degli anni ‘60, perforando diversi pozzi, sia sulla terraferma sia off-shore. A quel tempo il primo ministro libanese era Rafik Hariri che non era in buoni rapporti con la Siria: Hariri aveva in progetto di esplorare il Libano da una parte, ma le truppe siriane occupavano il resto del paese, così le sue esplorazioni si diressero verso il mare, più che verso la terraferma, anche perché, a suo tempo, il presidente siriano Hafez Assad aveva fornito al Libano il proprio appoggio, attraverso la compagnia petrolifera siriana, con tutti i mezzi possibili».

«Dopo l’abbandono del Libano da parte delle truppe siriane, - continua Haidar - e nel periodo in cui il Governo era presieduto dal Salim el-Hoss, abbiamo proseguito il lavoro in Libano, ipotizzando un piano per il futuro, tracciando le linee dove ci sarebbero dovute essere nuove trivellazioni, e, attraverso un accordo con la Spectrum abbiamo analizzato, dal punto di vista geologico, tutta la costa libanese. L’analisi di questo “reticolato”ci ha indotto ad ipotizzare la presenza, nel mare di fronte al Libano, di possibili giacimenti di gas naturale potenzialmente interessanti». A quel punto, però, il problema era quello di tracciare i confini delle acque terri-

toriali tra lo Stato ebraico e il Paese dei cedri, che formalmente sono ancora in guerra, ed il confine che li divide è uno dei più caldi del mondo. Due paesi che non intrattengono rapporti diplomatici: si rese necessario, quindi, l’intervento delle Nazioni Unite, alle quali il Libano presentò la propria documentazione, al contrario di quanto fece Israele.

Un problema, quello dei confini tra i due paesi, tuttora irrisolto, come conferma per Liberal il Generale Pietro Luigi Miglietta, Comandante del contingente italiano di stanza in Libano, per la missione Unifil2: «Sul mare esiste oggi solo un allineamento di boe messo unilateralmente da Israele, non riconosciuto dal Libano». La questione invece non si pone per Cipro che ha definito i limes marittimi e si è accordato con Israele per lo sfruttamento delle risorse e anche perché sarà un paese fondamentale per lo Stato ebraico, in futuro, per le esportazioni. La Turchia invece appoggia il Libano: una strategia comune per limitare le pretese di Israele. Il problema del bacino del Leviathan è semplice, per così dire: Israele non riconosce la documentazione libanese, e ne ha prodotta altra, di natura commerciale, dalla quale risulta che tutto il giacimento cadrebbe nella propria exclusive economic zone. «Noi non possediamo conferma Haidar - i documenti della società americana che ha esplorato i fondali per Israele, la Noble Energy, ma le


15 giugno 2011 • pagina 13

Bashar al Assad e Mahamud Ahmadinejad i primi a congratularsi con il premier

L’ombra di Hezbollah si allunga sul nuovo governo. Ma la Ue sfida Mikati di Valerio Iafrate a prima telefonata di congratulazioni è arrivata al presidente libanese Michel Suleiman direttamente dal suo omologo siriano Bashar el Assad, mentre il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, ha giudicato la formazione del nuovo governo libanese «un passo importante, che consentirà di opporsi alle atrocità del regime sionista», cioè Israele. Ban Kimoon, il Segretario generale dell’Onu, ha definito «un importante passo verso la fondazione di un governo funzionale» la lista dei ministri presentata da Najib Mikati, mentre Catherine Ashton, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, non ha perso tempo nel ricordare al nuovo esecutivo che l’Ue «si aspetta che il nuovo governo rispetti gli obblighi internazionali del Libano, comprese quelle derivanti dalla risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza e sul Tribunale speciale per il Libano» (fonti giudiziarie sostengono che entro luglio verrà emesso l’atto di accusa nei confronti dei mandanti dell’omicidio dell’allora premier Rafiq Hariri, ucciso nel 2005 da un kamikaze sciita professatosi esponente di Hezbollah). Molti analisti credono che questo sia il motivo dell’accelerazione della formazione del governo, insieme all’impossibilità di poter fronteggiare, senza un esecutivo, la crisi che sta attraversando la Siria e che potrebbe avere pesanti ripercussioni soprattutto nei riguardi di Hezbollah. L’esecutivo proposto da Mikati, dopo cinque mesi di trattative, è a maggioranza sciita, con Hezbollah, Amal e gli altri partiti filosiriani a giocare un ruolo preponderante con 19 ministri su 30: 17 appartengono alla coalizione 8 Marzo, 11 al cristiano Aoun, 2 ad Amal, 2 ad Hezbollah, 1 al partito filo siriano e 1 altro al gruppo sunnita che non si riconosce nella leadership di Hariri. A questi vanno poi aggiunti 2 ministri del Presidente Suleiman, 6 vicini al premier Miakti, 3 legati ai drusi di Jumblat e due indipendenti. Ma a poche ore dalla sua formazione il nuovo esecutivo libanese (atteso ora alla verifica del Parlamento) fa già discutere, all’estero e in patria, al di là della persino ovvia solidarietà incassata da Siria e Iran, in nome, soprattutto, dell’opposizione al “comune nemico”Israele. È proprio la massiccia presenza di esponenti di Hez-

L

carte idrogeologiche del mediterraneo orientale dimostrano che la struttura di Leviathan è distribuita tra i due paesi». C’è chi, però, come il politologo libanese Saad Kiwan, ipotizza una strumentalizzazione politica del Leviatano anche da parte di Hezbollah, il partito armato al potere nel paese dopo le elezioni: «Leviathan - dice Saad, per liberal - è una scusa per mantenere e giustificare Hezbollah armato. Nel suo ultimo discorso pubblico, a marzo, Nasrallah, riferendosi al giacimento, ha parlato del “nostro petrolio” e della resistenza. Non

L’Italia potrebbe diventare il “distributore” di gas naturale per tutta l’Europa. Un ruolo strategico fondamentale possiamo difendere il petrolio ed il nostro gas con la cravatta», ha detto. Hezbollah si dice pronto a una nuova guerra se Israele dovesse cominciare ad estrarre gas sui confini discussi.

La nostra è una classe politica - continua - che sostiene questo orientamento, e chi gioca in prima persona questa partita è il Presidente del Parlamento, che favorisce la politica di Hezbollah e dei siriani. E per questo motivo il governo israeliano ha rallentato il piano industriale di estrazione». Anche perché le compagnie di estrazione hanno paura

di una guerra per il gas, di eventuali nuovi scenari di crisi nell’area, legati allo sfruttamento dei giacimenti, e di contenziosi legali per le concessioni e per le licenze di sfruttamento che già sono state rilasciate unilateralmente da Israele. E la valutazione dei rischi sempre più alti di atti di terrorismo contro gli oleodotti e contro le piattaforme in mare hanno determinato un rallentamento delle estrazioni e del programma di produzione previsto entro il 2012. Il punto focale della questione, comunque, è che, una volta in grado di sfruttare il Leviathan, Israele e, in misura minore, il Libano (se verrà raggiunto un accordo) si trasformeranno da paesi importatori di materie prime a paesi autosufficienti dal punto di vista energetico e, soprattutto, esportatori, alla ricerca di nuovi clienti ai quali vendere il gas.

Questo elemento potrebbe incidere profondamente nella politica di Israele e nei rapporti con i paesi vicini: la trasformazione del gas e, soprattutto, la sua distribuzione, necessitano di impianti e di sistemi di trasporto che dovranno essere costruiti in aree assolutamente sicure, per evitare rischi di attentati ai danni delle strutture. Israele, perciò, dovrà necessariamente intrattenere buoni rapporti diplomatici con tutti i paesi dell’area. Ma chi comprerà il gas da Israele? Non l’Egitto, non l’Iraq, non la Libia, non l’Arabia Saudita, non il Libano, non Cipro, che accoglierà solo gli oleodotti (e ci sono già trattative in corso) ed è difficile, se non impossibile, che Giordania e Siria diventino clienti di Israele. Allora chi? La Turchia? «Ci sarebbe il problema - dice Haidar di dove far passare i gasdotti, e il gas non può essere trasportato con facilità a grandi distanze. Perciò Netanyau ha bisogno di recuperare i suoi rapporti anche con Erdogan, e sarà un percorso lunghissimo. E quindi il consumatore ideale è l’Europa». E l’Italia? «L’Italia - secondo Haidar avrà un ruolo strategico fondamentale nella vicenda, potrebbe diventare il “distributore”di gas naturale per tutta l’Europa. Il Leviatano non potrà che aumentare il peso politico dell’Italia nel Mediterraneo, sempre che il Libano e Israele si mettano d’accordo».

bollah a preoccupare non solo le forze moderate dell’area mediorientale, ma anche gli Stati Uniti, che considerano da sempre il “partito di Dio”nulla più che un’organizzazione terroristica camuffata da coalizione politica. Ma Mikati ha voluto dare un segnale distensivo alle reazioni, almeno a parole: «Il fatto che Hezbollah e i suoi alleati siano in maggioranza – ha detto, prima di partire per l’Umrah, un breve pellegrinaggio di ringraziamento alla Mecca – non significa che il Libano scivolerà nel radicalismo per quanto riguarda le sue relazioni con la comunità internazionale».

Un ruolo difficile, quello a cui è chiamato in questo particolare momento storico Nasrallah ed il Libano, che assume sempre di più una posizione geopolitica rilevante, in uno scenario dove il risveglio arabo ha infuocato le piazze da Tunisi al Cairo, da Amman a Damasco, passando per Tripoli e Sana’à. E allo stesso tempo l’esecutivo è sollecitato al suo interno a redimere questioni sociali: come la riforma del diritto di famiglia, soprattutto in merito al matrimonio tra confessioni diverse, la riforma della Costituzione, con la piazza che chiede una nuova legge elettorale e più diritti per le donne. Che non hanno approvato le scelte del premier, deluse dalla mancata presenza nel governo (non c’è nessuna donna tra i 30 ministri). «È un passo indietro lungo la strada della parità», ha dichiarato Zoya Rouhana, portavoce dell’organizzazione Kafa, sottolineando come «il Parlamento di Beirut, che non si riunisce da gennaio, deve ancora esprimersi su diverse leggi che riguardano le donne, come quella sulla maternità». Le ha fatto eco l’attivista Nadine Moawad, che, dalle pagine del quotidiano libanese The Daily Star, ha tuonato: «Credo che questo nuovo esecutivo sarà talmente impegnato a far fronte agli attacchi delle Forze del 14 marzo dal non avere neanche il tempo di affrontare questioni fondamentali, come quella dei giovani e delle donne, dell’elettricità e dell’acqua…», che nel precedente governo di Hariri erano due. Da questo punto di vista il passo indietro c’è stato. Indubbiamente.


pagina 14 • 15 giugno 2011

Pubblichiamo di seguito alcuni brani dei discorsi che lo statista, ex ministro e fondatore della Democrazia cristiana, Attilio Piccioni, tenne durante la sua carriera politica. I brani sono tratti dal libro di Gabriella Fanello Marcucci “Attilio Piccioni, la scelta occidentale. Vita e opere di un padre della Repubblica” (Liberal edizioni), presentato ieri presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma e di cui parliamo nell’articolo qui a fianco.

SULLA NATURA DEI POPOLARI (1920) I popolari sono estranei al conflitto. Estranei perché nelle masse metallurgiche essi sono minoranza, perché i popolari sono fondamentalmente antisocialisti. Estranei, non contrari. Quasi tutti i nostri organizzati bianchi hanno partecipato alla presa di possesso e lavorano nelle fabbriche alle dipendenze dei Consigli di fabbrica. [ … ] Questa rivoluzione parziale non ha bisogno di Treves, di Turati, di Modigliani, di Graziadei [ … ] La folla è sola. Essa agisce nella fede di Lenin, con bandiera rossa, in nome di idealità generali. [ … ] Conclusioni? Nessuna. È però certo un fatto. Il socialismo ufficiale è ora alla sua tremenda prova. Ha assunto tutte le responsabilità che prima aveva l’alta borghesia ricca e astuta. Esercisce, contro tutte le difficoltà pratiche, economiche e sociali, la più difficile industria. Vedremo. Ma è certo anche un altro fatto. L’industrialismo e l’affarismo, i fabbricatori di miliardari e di milionari «a grande vitesse» in un Paese povero e dissanguato come l’Italia, sono definitivamente morti [… ] L’industria di domani sarà più onesta. [… ] Oggi i rapporti socialieconomici sono profondamente modificati tra classe e classe. Oggi c’è una realtà: l’occupazione della fabbriche da parte delle maestranze. I rapporti giuridici tra capitale e lavoro domani saranno completamente diversi. [ … ] I popolari debbono augurarsi che il movimento avvenga senza tumulto. Il processo storico ci induce a credere che non già con ripieghi e con aggiustamenti provvisori si ristabilirà la pace sociale. Essi non salverebbero niente. Soltanto col passaggio della responsabilità del potere alle forze del lavoro si arriverà a salvare l’Italia e l’Europa da una rovina anarchica. Bisognerà che il nostro partito, per la sostanza programmatica e per la spiritualità cristiana di cui è tutto impregnato difenda il popolo dall’avvelenamento comunista. Il comunismo [ … ] segnerebbe l’arresto di ogni umano e civile progresso, la stasi, la barbarie. Invece dob-

biamo avere la certezza che il genere umano, illuminato da una profonda educazione, che non può essere che quella segnata dalla dottrina di Cristo, andrà sempre più avanti nelle vie del progresso [ … ] Per questo noi siamo persuasi che sarà un bene generale l’avvento al potere politico e sociale delle classi lavoratrici. Noi siamo antisocialisti, perché siamo avversi, radicalmente alla concezione materialistica della dottrina marxista. Ma, osservatori dei grandi fatti che si verificano in questi giorni, non possiamo trascurare l’importanza del movimento che il socialismo ha impresso alle forze proletarie organizzate.

«Lo Stato sia la vera casa degli italiani» Natura dei popolari, gestione pubblica e privata dei servizi, semplificazione e concretezza nel linguaggio politico. Ritorno alla lezione di Attilio Piccioni di Attilio Piccioni

CONTRO LA GESTIONE PUBBLICA DEI SERVIZI (1920) Ricordate quando lo Stato riscattò le tre grandi reti ferroviarie? Un’organizzazione sindacale socialista chiese insistentemente e con metodi fino a quei tempi inusitati, il riscatto, ossia chiese che i ferrovieri con le ferrovie passassero allo Stato, per eliminare i sopraprofitti dei capitalisti azionisti. Ma questi non ci rimisero proprio niente e trasferirono i loro capitali (che lo Stato refuse) a impieghi più redditizi. Lo Stato diventò ferroviere. Ma il ferroviere non diventò particella dello Stato. Ne diventò il servitore; le ferrovie diventarono parassitarie. Supponiamo che le industrie metallurgiche siano riconosciute dalla Commissione d’indagine per la metà passive (siderurgia e parte della metallurgica propriamente detta), passive per l’economia nazionale ma utili per impedire la disoccupazione di numerosa massa di operai e allora ecco i sindacati rossi e scarlatti chiedere il protezionismo alle mammelle dello Stato; ecco lo Stato divenire sovventore, provveditore e principale consumatore in quei rami industriali; di là alla statizzazione il passo è breve [ … ] È socialismo di Stato. È la nazione d’impiegati. È il determinismo burocratico, l’immensa caserma, il Leviatano mostruoso. SULLA SEMPLIFICAZIONE E LA CONCRETEZZA NEL LINGUAGGIO POLITICO (1944) [ … ] bisogna sforzarsi di ricondurre la storia e più che mai la prassi politica entro confini di semplicità e linearità. Perché, prima di tutto non è vero che i problemi che sostanziano di sé qualsiasi seria azione politica siano tanto astrusi e complicati; sovente anzi accade che le discussioni che ci si fanno intorno, le analisi troppo capillari, le teorizzazioni sofistiche che li complicano e li aggrovigliano per poi, dopo tanto affanno di con-


cultura

15 giugno 2011 • pagina 15

e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Presentata ieri alla Fondazione Sturzo di Roma la biografia dello statista

Quando l’Italia aveva una vera classe dirigente

Casini, Forlani e Folli ricordano il leader Dc che si diede il compito di ridare una rappresentanza alla società di Pierre Chiartano

ROMA. «Fu un grande uomo, un grande statista, un grande cattolico e un grande politico». Così ieri Arnaldo Forlani ha affettuosamente voluto ricordare l’ex ministro, ex vicepresidente del Consiglio, fondatore e leader della Democrazia cristiana Attilio Piccioni. L’occasione è stata la presentazione della biografia di Gabriella Fanello Marcucci Attilio Piccioni, la scelta occidentale.Vita e opere di un padre della Repubblica (Liberal edizioni), presentato ieri presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma alla presenza del leader centrista Pier Ferdinando Casini, del politologo Stefano Folli e dell’autrice del libro Gabriella Fanello Marcucci.

«Un

lavoro

Folli. Insomma, la storia di molti politici democristiani finiti poi nel tritacarne di una lotta ideologica senza esclusione di colpi – vedi il caso giudiziario Montesi che determinò la fine politica di Piccioni – andrebbe riscritta, secondo le tesi dei realtori intervenuti alla presentazione della biografia del politico democristiano. Una classe dirigente, quella cresciuta all’ombra di don Luigi Sturzo e più ancora – nel caso di Piccioni – di Alcide De Gasperi, che farebbe impallidire per inconsistenza quella attuale. Nel lavoro svolto nella Costituente, Piccioni puntò su due argomenti principe: «regionalismo e ruolo strategico dei comuni, vista la tradizione storica delle municipalità nel nostro Paese. Facendo anche alcune annotazioni assai lungimiranti. La prima sull’inutilità delle Province e la seconda sulla pericolosità del correntismo in seno al partito» ha sottolineato Casini. Grande cultura istituzionale e politica, moderatismo come attenzione alle differenze culturali, capacità di sintesi. Piccioni incaranava i migliori valori della Dc del tempo. Un partito nato per rappresentare un grossa parte della società italiana, partendo dal concetto d’interclassismo che avrebbe permesso di fare fronte alla sfida comunista. La scelta occidentale del politco cattolico e popolare fu in linea con la politica di De Gasperi, ma in alcune fasi arrivò a superarla. «Fu Piccioni a spingere Il presidente del Consiglio a mettere il Pci fuori dal governo d’allora e a porre termine alla collaborazione con Togliatti» ha sottolineato Folli. E

Fu lui a spingere perché De Gasperi rompesse l’alleanza con il Pci di Togliatti

difficile quello fatto dall’autrice: ricostruire una pagina importante della storia italiana, quando ormai si è persa ogni memoria del tempo. Ma un Paese senza radici non può avere un futuro. Chi è venuto oggi a questa presentazione non è dunque malato di nostalgia», sono le parole iniziali dell’intervento di Pierferdinando Casini. La figura di Piccioni cresciuto nella Torino di Gobetti e Gramsci, è «un esempio della migliore classe dirigente che guidò l’Italia della ricostruzione nel secondo dopoguerra» ha poi commentato Stefano Folli. «Non era di destra» per il moderatore, Francesco Malgeri, e «guardava ai primi movimenti operai nelle fabbriche con interesse» ha sottolineato ancora

torsioni dialettiche, tornare a riproporli nei loro iniziali termini, chiari, semplici, comprensibili. In secondo luogo, di fronte ai problemi veramente complessi e difficili, il compito del politico è precisamente quello di semplificarli e verificarli, e di saper scorgere in essi ciò che vi è di essenziale e di enuclearlo rapidamente per concentrarvi l’attenzione che ne indichi la soluzione. [ … ] Ora si tratta anzitutto di vivere, di sopravvivere, cioè di non morire di fame, di freddo, di epidemie; si tratta di ricostruire le case, i campi, le botteghe degli artigiani, le officine, le fabbriche, e di attivizzarle. Questa è una necessità pri-

Qui sopra, Attilio Piccioni. In alto, Pier Ferdinando Casini, Arnaldo Forlani e Stefano Folli. Nella pagina a fianco, Piccioni insieme con Aldo Moro

l’approccio moderato e interclassista del poplarismo cattolico bene interpretato dal leader cattolico era come il fumo negli occhi rispetto al radicalismo togliattiano che aveva bisogno di costruire un’egemonia culturale nel Paese. Gli stessi motivi che portarono il leader comunista «ad attaccare Gobetti definendolo – ha continuato il politologo – parassita delle cultura». Si stava dunque preparando la tempesata che poi avrebbe stroncato la carriera politica del politico democristiano e forse anche la corsa verso «il Quirinale».

La cultura politica di quel tempo ricco di speranze e di voglia di riprendere un cammino democratico dopo la dittatura, sarebbe un antidoto contro «il pagmatismo senza ideali che a volte porta alla spasmodica ricerca solo di un pezzo di potere» ha poi sottolineato il leader centrista. Evidenziato da tutti i relatori l’antifascimo di Piccioni – nel periodo tra il 1922-26, quando ancora la dittatura cercava il consenso dei cattolici – che lo portò a criticare le scelte del Partito popolare, quando decise di entrare nel governo con Mussolini. «I paletti messi dai popolari come condizioni all’ingresso nella maggioranza non erano sufficentemente chiari per Piccioni». Una posizione critica che lo fece entrare nel mirino del regime.

mordiale, è un’esigenza di tutti e di ciascuno, e tale che si impone a ogni partito serio e consapevole come condizione sine qua non di ogni sua ulteriore attività. Accanto a questa si pone un’atra necessità: di ricostruire, in una integrale struttura modernamente democratica, lo Stato, concepito come la più grande casa ideale di tutti gli italiani, alla cui fondazione tutti debbono dare il loro contributo, che deve essere capace di accogliere, con generosa ospitalità e con pari diritti, tutti. [ …] Bisogna invece richiamare in vita quella che amiamo chiamare politica semplice, intendendo dire politica chiara, lea-

le, oggettiva, fattiva. Il sottinteso più o meno ermetico, la scaltra furbizia più o meno deteriore, la sovversione o inversione delle condizioni della realtà, i miraggi teoretici e astratti non dovrebbero più complicare, appannare, aduggiare i dati della attuale vita pubblica, così semplici e così imperiosi.

Direttore da Washington Michael Novak Consulente editoriale Francesco D’Onofrio Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica) Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Osvaldo Baldacci, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Anselma Dell’Olio, Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Jacopo Pellegrini, Antonio Picasso, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Emilio Spedicato, Maurizio Stefanini, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato, Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747 Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.” “AP - Associated Press” Tipografia: edizioni teletrasmesse New Poligraf Rome s.r.l. Stabilimento via della Mole Saracena 00065 Fiano Romano Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1 Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118 Abbonamenti 06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 06.69924088 - 06.6990083 Fax. 06.69921938 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


ULTIMAPAGINA Chi è Vincenzo Lo Meo, nuovo sindaco della città-simbolo della Sicilia

Nasce la Bagheria del futuro. E stavolta non è di Franco Insardà

eppuccio Tornatore era mio compagno di classe al liceo classico. Era seduto al primo banco e io al secondo, uno dei giochi che facevamo spesso era quello di dare dei pugni dietro alle spalle, partendo dall’ultimo banco, e spesso lo graziavo. Gli passavo anche i compiti, ma era un po’ svogliato, interessato ad altre cose, e in quinta ginnasio fu bocciato». Vincenzo Lo Meo, nuovo sindaco di Bagheria, si gode l’affermazione elettorale in quello che, fino a lunedì pomeriggio, era considerato il feudo del ministro Saverio Romano, ricordando le giornate trascorse con il regista di Baaria. «Peppuccio aveva in testa il cinema ed era anche un appassionato di fotografia. In italiano era molto bravo, gli piaceva tantissimo fotografare, scrivere e raccontare storie e aveva grandi capacità relazionali. La sua vita l’ha passata nei cinema a proiettare pellicole, come ha stupendamente raccontato in Nuovo cinema Paradiso. Facevamo lunghe passeggiate al corso della città ed era piacevole confrontarsi con lui perché aveva, già all’epoca, una profondità di pensiero notevole. Baaria è stato il più bel regalo che ha fatto alla sua città, noi lo abbiamo apprezzato in ogni sua sfumatura, gli siamo davvero grati e peccato che non sia stato compreso appieno. Ha saputo restituire sullo schermo lo spirito della nostra gente, lo stesso che è ancora oggi vivo nella nostra città». La mente va al corso di Bagheria con il piccolo Peppino che corre e la sua corsa diventa

«P

Pdl, Pid e Forza del Sud, Bartolo Di Salvo. Una vittoria che ha fatto dire a Pier Ferdinando Casini, complimentandosi con il presidente dei senatori Udc e segretario siciliano, GianPiero D’Alia: «Lo straordinario successo ai ballottaggi in Sicilia simboleggiato per tutti dalla vittoria a Bagheria, dimostra che il Terzo Polo è decollato nella regione e che si possono prospettare nuove forme di collaborazione con il Pd, davanti ad una pretesa di autosufficienza assai arrogante del Pdl e dei suoi alleati. Per il senatore del Pd, Giuseppe Lumia: «Il ballottaggio ci dimostra che l’alleanza Pd-Terzo Polo in Sicilia è decisiva». E Nino Lo Presti, de-

Qui sopra, un’immagine di Villa Cattolica a Bagheria. Sotto, il regista Giuseppe Tornatore che alla propria città ha dedicato un film. In basso, il nuovo sindaco, Vincenzo Lo Meo posso negare che la mafia esiste, ma la maggioranza dei miei concittadini è gente onesta e perbene. Fino agli anni ’80 è stato un centro importante, uno dei più fiorenti dell’intera Sicilia, per la produzione e la commercilizzazione dei limoni. Il boom dell’edilizia lo ha trasformato in un grosso centro dell’hinterland palermitano, senza una sua economia. Il progetto della

UN FILM putato di Futuro e Libertà aggiunge: «Bagheria è il comune dove si trova il collegio elettorale del ministro Saverio Romano, la sua roccaforte è stata finalmente espugnata».

Vincenzo Lo Meo, un passato in Forza Italia, assessore e consigliere comunale a Bagheria e poi consigliere provinciale per due volte è consapevole di aver fatto una scelta coraggiosa e importante: «Sono andato via da Forza Italia, perché non ero d’accordo con la gestione del

mia amministrazione è quello di trasformarlo in un polo di servizi per l’area metropolitana».

Nelle idee del sindaco c’è un posto anche per il suo famoso compagno di scuola: «C’è ancora la location di Baaria e cercheremo di trarre vantaggio da questo regalo che Tornatore ci ha voluto fare, trasformandola in un’attrazione turistica e per farla di-

Nella città di Guttuso, Dacia Maraini e Tornatore l’Udc è stato il protagonista di una affermazione che va nel segno del cambiamento che attraversa il Paese e che il Terzo Polo sta interpretando egregiamente volo, mentre la scena è attraversata da un uomo senza gambe che corre sulle mani. Un’immagine di una Sicilia, che non corre sulle sua gambe tagliate, ma che, pur di correre usa le braccia, un modo per togliersi di dosso i problemi che la affliggono.

Così nella città che vanta tra i suoi figli illustri, oltre a Tornatore, Renato Guttuso e Dacia Maraini l’Udc è stato il protagonista della vittoria di Vincenzo Lo Meo. Una affermazione che va proprio nella direzione di cambiamento che sta attraversando il Paese e che il Terzo Polo sta interpretando egregiamente. Con il 55 per cento dei voti Lo Meo, appoggiato da Udc, Pd e Mpa, ha sconfitto il candidato di

partito e mi sono ritrovato nel progetto moderato e riformista dell’Udc che guarda ai valori della famiglia e della cristianità. Casini è venuto a sostenere la mia candidatura sia nel primo turno che nel ballottaggio e lo ringrazio, così come ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato, a cominciare dal Pd». Il cinquantaquattrenne sindaco di Bagheria è un dirigente del Corpo forestale, sposato con tre figli, ci tiene a precisare che il suo è «l’ottavo comune della Sicilia con oltre cinquantottomila abitanti, a tredici chilometri da Palermo. Conosciuto, purtroppo, oltre che per i suoi figli illustri anche per fatti di cronaca. In molti casi si tratta di luoghi comuni, non

ventare uno strumento per il rilancio della città. Ho intenzione di contattare Peppuccio per avere un’aiuto per organizzare un festival del cinema a Bagheria». Mentre è al telefono con liberal si interrompe per salutare un concittadino: «Mi scusi, oggi è giorno di ringraziamenti in città, domani (oggi per chi legge) sarò a Roma per incontrare il presidente Casini. Poi mi metterò al lavoro per la mia città. Mella mia giunta ci saranno quattro donne, un segnale di rinnovamento rispetto al passato per dare speranza a Bagheria».


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.