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BUON NATALE A TUTTI ARRIVEDERCI IN EDICOLA A MERCOLEDÌ 28

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 24 DICEMBRE 2011

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

La crisi pesa più del previsto sulle feste di fine anno. Ma non diminuisce il consenso per il governo Monti

Più poveri, ma più italiani Un Natale contraddittorio: impauriti dalla crisi ma di nuovo uniti Otto milioni le persone in grave difficoltà: il 13,8% della popolazione. I salari crescono meno dell’inflazione. Raddoppia il ricorso alla Caritas. Eppure cresce anche la fiducia in noi stessi Due kamikaze fanno 40 vittime nella sede dei servizi

SVOLTE ESISTENZIALI

La Buona Novella? È la grande voglia di aria nuova

Damasco brucia. Attacco suicida al regime di Assad C’ Violenti boati nel cuore politico e militare della capitale. La polizia e la sicurezza attribuiscono l’attacco ad Al Qaeda: sarebbe stato arrestato anche un complice degli attentatori che si sono fatti esplodere

di Paola Binetti

era da tempo aria di crisi nell’aria, come un vento gelido che nonostante i mesi estivi raffreddava le nostre speranze e congelava i nostri sogni, eppure c’era tempo di attesa, con una speranza soffusa che qualcosa sarebbe dovuto accadere. segue a pagina 4

SVOLTE POLITICHE

Cambierà tutto solo se Pdl e Pd lasceranno Bossi e Di Pietro di Enrico Cisnetto a pacificazione politica, merito intrinseco del governo Monti, è già finita? Così sembra, solo 40 giorni dopo le dimissioni di Berlusconi e l’inizio l’era dei “tecnici” che, oltre ad evitare all’Italia di finire in default, aveva il compito di chiduere la stagione della “guerra civile”. a pagina 6

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Pierre Chiartano • pagina 18

«Ma la crisi ha ucciso il welfare familiare» «I figli di oggi non potranno essere, domani, dei padri rassicuranti» Francesco Lo Dico • pagina 3

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Passa un decreto milleproproghe “ridotto”

Fermati gli sfratti, aumenta il canone Rai Nel provvedimento anche sette milioni per Radio Radicale Francesco Pacifico • pagina 7

parola chiave Bambino

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La Natività ci parla della condizione dei bambini nel mondo

Parla il diplomatico Usa Dennis Ross

«Il dopo Assad? Vi spiego perché è già cominciato» di Bernard Gwertzman on una violenza che cresce e che ha fin qui causato più di cinquemila vittime in Siria, è «quasi inevitabile» che il regime del presidente Bashar al Assad crolli. Lo afferma Dennis Ross, già consigliere esperto per il Medioriente del presidente Obama: «Quando un regime dipende esclusivamente dalla coercizione, sai anche che non potrà durare a lungo». La migliore speranza per il Paese risiede nel movimento d’opposizione guidato dal Consiglio nazionale siriano che, secondo l’esperto Usa, sarebbe aperto e non settario. Ma anche se il regime s’è piegato alla Lega araba, la strage continua. a pagina 20

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gue a(10,00 pagina 9CON EUROse1,00

Parla il sociologo Marzio Barbagli

I QUADERNI)

Il telefono azzurro di Gesù Cosa è cambiato dalla Grotta di ieri a quelle di oggi di Sergio Valzania e non vi convertite e non diventate come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» ammonisce Gesù in Matteo 18,3, creando un parallelo di non facile comprensione fra la conversione e la riconquista di una condizione di apparente incompletezza. Il concetto è presente in tutti i vangeli, fatto di per sé significativo. «Lasciate che i bambini vengano a me» ripetono con le stesse parole Marco e Luca. a pagina 22

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• ANNO XVI •

NUMERO

249 •

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


Gli italiani che versano in grave disagio economico sono ormai più di otto milioni: il 13,8% della popolazione

Miseria e Nobiltà

La Cei denuncia: raddoppia il ricorso alla Caritas. L’Istat parla di crollo dei consumi e contrazione dei salari. Eppure nel Paese cresce una nuova dignità nazionale di Riccardo Paradisi e richieste di intervento nelle nostre parrocchie sono raddoppiate» dice il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Parla di Genova Bagnasco, della sua arcidiocesi colpita come il resto del Paese dall’avvitarsi della crisi - il caso Fincantieri è paradigmatico ma è nell’intera Italia che gli enti assistenziali sono pressati dai bisogni indotti dalla nuova povertà. È il combinato disposto tra crisi sistemica recessione e crescente disoccupazione a rendere il disagio sociale sempre più stringente. E basta dare un’occhiata ai dati Istat per farsi un’idea del trend reale dell’economia tra caduta dei consumi e contrazione dei salari.

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A novembre su base annua, la forbice tra l’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie (+1,5%) e il livello d’inflazione (+3,3%), su base annua, ha toccato una differenza pari a 1,8 punti percentuali. Si tratta del divario più alto almeno dal 1997, che aggiorna il precedente ’record. Il dato sulla fiducia dei consumatori in dicembre poi è il minimo dal gennaio 1996. L’indice diminuisce a dicembre da 96,1 a 91,6. Il peggioramento è diffuso a tutte le componenti ed è parti-

colarmente marcato per il clima economico generale, con il relativo indice che passa da 83,1 a 77,2. L’indicatore relativo alla situazione personale degli intervistati scende da 101,6 a 97,3.

Anche l’indice che misura le previsioni a breve termine segna un marcato calo, scendendo da 88,9 a 82,9. Quello relativo alla situazione corrente passa da 102,2 a 98,4. Calano, in particolare, i saldi relativi alle valutazioni prospettiche sul risparmio (da -72 a -85) e sulla convenienza all’acquisto di beni durevoli (da -87 a -99). Peggiorano anche le aspettative di disoccupazione (il saldo passa da 80 a 86) e quelle generali sull’economia italiana (da 46 a -55). Il peggioramento della fiducia è diffuso in tutte le ripartizioni ed è particolarmente marcato nel Nord-ovest e nel Mezzogiorno. Che la situazione sia drammatica lo annunciava già l’ultimo rapporto Caritas risalente allo scorso ottobre dove i dati purtroppo parlano molto chiaro. Gli italiani in situazione di povertà relativa sono 8milioni e 272 mila, equivalenti al 13,8% dell’intera popolazione. Risultano povere il 9,8% delle famiglie con un figlio, il 15,6% delle famiglie con due figli e il 27,4% delle famiglie con 3 o più figli.

La povertà assoluta coinvolge il 5,2% degli italiani: ben tre milioni e centomila persone con punte nel meridione di 7,7% della popolazione. Le persone impoverite in caduta verso condizioni ancora più precarie poi, secondo i dati Eurostat, sono pari al 25% della popolazione italiana. D’altra parte su 16 milioni di pensioni Inps erogate nel 2010 il 50% era costituito da assegni inferiori a 500 euro. Cifre preoccupanti e sopra la media euro-

pea: secondo i parametri Eurostat sono a rischio di povertà o esclusione sociale il 24,7% degli italiani contro il 21% dell’area euro e il 23% dell’Ue a 27 paesi. Un fattore di moltiplicazione del disagio economico è naturalmente la disoccupazione. Nel corso del 2010 la popolazione attiva è diminuita di 153 mila unità, -0,7 rispetto al 2009 mentre è aumentata la disoccupazione di lungo periodo

dal 44,4% al 48%. Sono aumentati anche i lavoratori atipici malgrado una vulgata che li vorrebbe in diminuzione.

Il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il picco del 27,8% mentre l’incidenza percentuale dei giovani che non studiano e non lavorano sul totale dei giovani è pari al 20,5% superiore alla media europea (14,7%). «C’è una difficoltà in atto, crescente – dice il cardinale Bagnasco – cresce il numero delle persone che si rivolgono ai centri di ascolto, le altre associazioni, le mense per i poveri. Nello stesso tempo anche la generosità delle comunità cristiane e della gente in genere mi pare si sia risvegliata». Insomma più poveri ma anche più solidali. Necessariamente più solidali. Ancora cinque anni fa del resto il fantasma della povertà non si aggirava per l’Italia, era anzi così lontano questo antico e rimosso ricordo da esaltare stili di vita di esibita autosufficienza. Non è più il caso, come è evidente e nessuno si sente al riparo dai marosi della crisi. «Le Caritas diocesane continuano a segnalare un progressivo aumento del numero di persone, soprattutto di italiani, che si presentano ai centri di ascolto e ai servizi Ca-


la crisi italiana

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«È la morte del welfare familiare» «I figli di oggi non potranno essere padri rassicuranti», dice il sociologo Marzio Barbagli di Francesco Lo Dico

ROMA. Il sedicesimo rapporto sulla povertà della Caritas conferma le sensazioni che ogni italiano raccoglie da qualche tempo direttamente dalla vita vissuta: tra il 2009 e il 2010 è aumentato il numero di poveri, che da quota 7 milioni e 800mila sono arrivati a 8 milioni e 272mila. Particolarmente significativo, a cascata, il numero delle famiglie cadute nell’indigenza: altre centomila nell’ultimo biennio. Perché l’istituzione familiare, vera pietra fondativa della nostra Repubblica, sembra erodersi sempre di più? E che cosa ne sarà, ora che la difficile situazione finanziaria chiama padri, madri e giovani a ulteriori sacrifici? «La grande storia della famiglia italiana sembra correre rapidamente verso l’epilogo», commenta Marzio Barbagli, ordinario di Sociologia all’Alma Mater di Bologna per oltre trent’anni. «In declino negli ultimi venti anni», spiega il professore, «la tradizione della mutua solidarietà che è stata l’asse portante della nostra società volge verso dinamiche nuove, che mettono a dura prova il patto generazionale sui cui si sono sorrette per mezzo secolo le nostre famiglie». Professore, sempre più italiani scivolano verso la povertà e si rivolgono alla Caritas. Moltissimi sono giovani precari che i genitori non riescono più a sostenere. Anche le famiglie alzano bandiera bianca? Il sistema familiare italiano è in difficoltà da almeno vent’anni e si avvia a diventare una tradizione residuale. Il divampare della crisi ha accelerato un mutamento in atto da tempo. Quali sono le ragioni di questa brusca evoluzione? Si è disintegrato anno dopo anno il piccolo welfare interno a ogni famiglia. Quel patto generazionale tra genitori e figli, fondato sull’assistenza reciproca nel tempo, ha subito forti scossoni in ragione di elementi demografici ed economici. Nella seconda metà ritas» si legge ancora nell’ultimo rapporto dell’ente assistenziale che conferma il trend denunciato dal presidente della Cei. Rispetto al 2007 si registra un incremento complessivo pari al 42,5%. L’impennata più grande al sud dove si arriva ad aumenti del 58% e al centro: 45%. Al nord va meno peggio: 27.1%. Nel corso degli ultimi 4 anni sono inoltre aumentati i problemi abitativi, concausa determinante nella crescita delle richieste di sussidi economici (più 80,8%). Ma aumenta anche l’erogazione di beni primari della Caritas: più del 40,8%. I centri di erogazione di beni primari sono in Italia 1936, pari al 66.6% di tutti i servizi di con-

del Novecento, l’Italia è riuscita a mettersi alle spalle la miseria attraverso il lavoro, che faceva dei figli un bene prezioso. I sacrifici per allevarli venivano poi compensati da questi una volta divenuti adulti, in una sorta di staffetta generazionale. Un modello che si è retto, ha spiegato in molti suoi saggi, fino a quando è sopravvissuta la cultura contadina del risparmio. Che cosa è successo dopo? Il tasso di natalità è sceso in picchiata, è diminuito il potere d’acquisto, i giovani precari si sono visti privati della possibilità di avere prospettive certe, l’aspirazione al benessere ci ha indotto ad accettare standard di vita molto meno favorevoli. La solidarietà sostenuta dal risparmio è arrivata pian piano alla bancarotta. E il cuore pulsante di questo antico patto generazionale ha quasi smesso di battere. Come sarà possibile fronteggiare altri sacrifici in questo clima di disfacimento? Il pensiero corre ai giovani indignados che non accettano di pagare la crisi?

trasto della povertà economica (13,6% di tutti i servizi rilevati dal censimento). A metà del 2011 si evidenzia la presenza di 806 nuove iniziative diocesane anticrisi attivate

Il conto dovremo pagarlo tutti per rimettere in sesto il Paese. La maggior parte degli italiani sa che è necessario ingerire la medicina. E tuttavia il governo attuale sta cercando di rimediare alle molte diseguaglianze che si sono sedimentate negli ultimi anni.

«È venuta meno la solidarietà tra generazioni sostenuta dal risparmio. Un modello che ci ha permesso di risorgere nel Dopoguerra» Manca la forza motivante che induce ad accettare i sacrifici, ha detto il Papa. Un discorso che vale soprattutto per i giovani. Sarà difficile, per loro, accettare l’idea della rinuncia, dopo essere stati spinti al consumo sfrenato da una continua induzione alla spesa.

il raggio d’azione della povertà economica si sta progressivamente allargando e coinvolge un numero crescente di persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno. «Per le

Su 16 milioni di pensioni erogate nel 2010 il 50% era costituito da assegni sotto i 500 euro. Nell’ultimo anno la popolazione attiva è diminuita di 153 mila unità. Cresce la disoccupazione negli ultimi tre anni presso 203 diocesi, il 93 per cento delle diocesi italiane. Tra queste ben il 60 per cento ha avviato un progetto di microcredito. La novità che emerge dall’analisi della Caritas sullo stato del Paese nell’anno in corso è che

nuove famiglie povere la povertà non è sempre cronica, ma rappresenta una situazione episodica del proprio percorso biografico. Non è il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una

È una giusta osservazione. Presso i giovani la cultura della rinuncia non è affatto diffusa. E anche più rara è l’abitudine al risparmio. Non soltanto perché il modello oggi imperante è quello del consumo a tutti i costi, ma anche perché la diffusa impossibilità ad accedere al mondo del lavoro, rende il risparmio impossibile, ed erode anno dopo anno le ultime risorse familiari che hanno sostenuto i figli. E di riflesso aumentano gli italiani alla mensa della Caritas, e il numero di volontari che li assistono. Il mondo dell’associazionismo svolge un ruolo insostituibile ed è in grande crescita. È un grande patrimonio, ma questo non deve in alcun modo diventare il surrogato di serie politiche di welfare. Ha qualche misura urgente da suggerire? Bisogna aumentare il numero di asili nido, promuovere l’occupazione femminile che in Italia ha uno dei tassi più bassi d’Europa, ridare ai giovani e ai lavoratori in genere adeguate reti di protezione. In poche parole, serie politiche di occupazione. Senza le quali non c’è risparmio, né consumo, ma sempre meno lavoro. Quanto inciderà su questi precari equilibri la riforma delle pensioni? Da una parte è apprezzabile che si sia colmato il divario significativo che separava i lavoratori di vecchia data da quelli giovani. Dall’altra si è innalzata la soglia di pensionamento delle donne. Una misura che creerà forti contraccolpi negli equilibri del piccolo welfare familiare italiano. A differenza degli uomini, e comunque in misura molto più significativa, le donne in pensione hanno sempre giocato un ruolo indispensabile nelle dinamiche degli equilibri domestici.

instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavoro, le relazioni famigliari e l’insufficienza del sistema di welfare».

Un quadro molto chiaro alla Chiesa italiana e dal quale Bagnasco non intende distogliere lo sguardo: «Lo sappiamo – continua ancora Bagnasco - la situazione è seria, preoccupante per le famiglie, in particolare per i giovani in particolare ma anche per gli anziani. È un Natale in cui dobbiamo da una parte continuare a pregare e intensificare la nostra preghiera, perché il signore Gesù bambino doni a tutti noi un supplemento di sapienza, di saggezza, per poter affron-

tare da una parte queste difficoltà insieme, nella solidarietà più stretta tra gli uni e gli altri, dall’altra avere più sapienza per poter decidere le cose che in questo momento devono essere decise per il bene delle persone delle famiglie e per lo sviluppo del Paese». Ora et labora dicevano però i padri benedettini. Assieme alla preghiera e alla solidarietà servono anche politiche economiche mirate e invertire la recessione. Mettere mano a una politica dei salari come propone da giorni la Cisl. Il ministro Elsa Fornero ha detto di non essere sorda a questo invito. Se ne dovrebbe convincere anche l’impresa. Fra poco è un altro anno e si vedrà.


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la crisi italiana

La Buona Novella 2011? segue dalla prima Un evento capace di capovolgere una situazione incancrenita di oscura diffidenza, per cui era difficile sapere realmente come stessero davvero le cose, sepolte da una melassa di falso ottimismo. La percezione della pesante ambiguità che si respirava fino a poche settimane fa faceva stare tutti con l’animo sospeso di chi, pur sperimentando una sorta di impotenza, crede che Qualcosa di meglio sia possibile. Crede che il nostro Paese meriti la sua buona novella, il lieto annuncio che una tappa si è conclusa e può cominciarne un’altra, che richiederà sacrifici, ma che promette cieli nuove e terre nuove. Parlando con la gente in questi ultimi giorni si respira questa timida speranza e ci si fanno gli auguri per le prossime feste natalizie all’insegna di questo cauto, ma concreto ottimismo. È possibile ricominciare, dare un senso a sacrifici, che sembrano assumere un contorno sempre più preciso e sempre più pesante, ma non inutile. È il mistero della buona Novella: la fatica resta e forse diventa ancora più graffiante, ma c’è spazio per accogliere con gioia il senso di una nuova Speranza. È uno strano Natale quello che conclude questo difficile anno del 2011.

Il Natale della svolta nel sistema politico e nel sistema sociale, sul piano economico e su quello culturale. Forse anche sul piano spirituale dove si sente emergere con prepotenza il desiderio di tornare all’innocenza di certi valori e di certi comportamenti, troppo frettolosamente archiviati dopo averli bollati come ingenuamente moralistici. Eppure la gente ha voglia di tornare a credere nell’onestà e nella generosità, nella trasparenza di una condotta che non ha nulla da nascondere, e nella semplicità di una sobrietà lieta, nonostante le rinunce. È il Natale in cui si sente l’urgente bisogno di ritrovare tra i doni le buone vecchie virtù di una volta, quei capisaldi dell’etica pubblica che sono parte integrante del lieto Annuncio che il Signore ha portato al mondo. A cominciare dalla Pace, che gli angeli promettono agli uomini di buona volontà e che rappresenta ancora oggi il desiderio più profondo di ognuno di noi, ma anche una forte chiamata alla responsabilità personale. Una politica pacificata richiede ogni giorno di più una rinnovata buo-

na volontà. Il Paese sembra aver accettato con un misto di speranza e di rassegnazione il cambiamento di Governo che segnala una discontinuità senza precedenti con i governi precedenti.

Il passaggio dal primato della politica a quello della tecno-competenza, finora mai sperimentato nella vita parlamentare, è un potente indicatore della profonda trasformazione che si sta determinando nella forma mentis degli italiani. Se dovessimo individuare tre valori chiave che oggi sono al centro delle aspirazioni del nostro Paese, potremmo fare riferimento all’incrocio tra saggezza, sobrietà e solidarietà. Per contribuire a creare bene comune occorre mettersi al centro di questo crocevia. La sapienza rappresenta la garanzia di un saper fare bene le cose, la sobrietà la lotta decisa agli sprechi e alla corruzione, la solidarietà il segno concreto di una ritrovata umanità nel nostro vivere civile. C’è un forte desiderio di respirare un’aria nuova in fatto di valori, nonostante la crisi, o forse proprio per la crisi. Anzi in questo senso la crisi può essere un’opportunità preziosa per quel salto di qualità, per cui forse da soli non avremmo mai preso una sufficiente rincorsa. C’è nel Paese la nostalgia di chi ha sperimentato momenti migliori, mentre ora percepisce uno strano senso di instabilità morale che crea disagio e un oscuro senso di pessimismo. Eppure nel chiaroscuro di questi sentimenti nel fondo c’è una luce, si intuisce una sorta di buona stella che potrebbe guidare i nostri passi. Saggezza, sobrietà e solidarietà, sembrano valori nuovi, ma sono antichi come è antico il Natale e per questo speriamo di ritrovarli nel prossimo Natale come doni ai piedi dell’Albero. Poco più di 2000 anni fa i Magi hanno portato in dono al Bambino Gesù la loro saggezza, i pastori la loro sobrietà e tutti insieme, a cominciare da Maria e da Giuseppe, la famiglia di Gesù, la solidarietà necessaria per accogliere Dio che entrava nella storia dell’umanità. Era un tempo di crisi anche quello. Ci si poteva sentire stranieri in Patria, perché Roma, la massima potenza del tempo, faceva sentire la sua autorità su tutto il Medioriente e in particolare sulla Palestina. Gli interessi dell’impero romano imponevano agli ebrei condizioni accettate solo per il timore di nuove e più feroci persecuzioni. Un esercizio del potere aspro ed ingiusto, in

Una grande voglia di aria nuova di Paola Binetti

Anche Cristo è nato durante una crisi: sobrietà, saggezza e solidarietà sono i doni migliori di questo Natale. Gli unici di cui abbiamo davvero bisogno cui il prezzo più alto era pagato soprattutto da chi aveva meno possibilità di opporsi o di ribellarsi, ma forse credeva anche che fosse giusto fare proprie quelle indicazioni e sottoporsi a quelle richieste. Un’obbedienza virtuosa che sperava in un esercizio altrettanto virtuoso dell’autorità. Per la povera gente non era facile spostarsi da un paese all’altro; era difficilissimo trovare casa, tanto più se c’era un bambino in attesa. E se riusciva a trovare un alloggio, era privo delle più elementari condizioni igieniche, mancava il riscaldamento ed era scontato dover sperimentare il freddo e il gelo dell’inverno. In quel contesto gli animali sembravano più solidali degli stessi uomini, come accadde per il bue e l’asino più famosi della storia. In definitiva una crisi a tutto campo, compresa la violenza fisica che obbliga Giuseppe e Maria a fuggire verso l’Egitto, come potenziali perseguitati politici. Il ri-

schio per Erode era un Bambino appena nato. In quel primo Natale della storia c’era crisi economica e crisi dell’identità nazionale, ma nel cuore di molte persone non c’era crisi di valori e di prospettive. Ognuno sembrava saper bene cosa fare, nonostante le difficoltà, perché Dio entrando nella storia stava trasmettendo a tutti la pace e la serenità necessaria per far fronte alle difficoltà, senza risolverle al posto degli uomini, senza sostituirsi a loro. Un percorso difficile, punteggiato di ostacoli e incomprensioni, con un approdo apparentemente fallimentare, mentre in realtà segnava il vero punto di snodo per l’umanità: il trionfo dell’Amore. È il comandamento nuovo che Dio fatto uomo trasmette a tutti gli uomini: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, non a parole, ma con gesti concreti legati alla quotidianità della nostra esperienza. Ce ne dovremmo ricordare più spesso.Nonostante


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Diversi capolavori dell’arte italiana che hanno illustrato la natività di Cristo, l’avvicinarsi dei Magi e la Sacra famiglia. Da sinista “L’Adorazione dei Magi”, affresco di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova e altre opere sempre del grande maestro perugino

un esordio del Governo positivo, anche se duro, si respira un clima in cui si alternano un cauto ottimismo e un pessimismo strisciante, che sembra esplodere davanti alle prime contraddizioni. Sembra mancare sicurezza nelle scelte e determinazione nel perseguirle.

È accaduto recentemente con la promessa, vissuta da molti come una minaccia, delle liberalizzazioni e davanti al fantasma dell’articolo 18. È difficile in questo Natale e nella prospettiva dell’anno nuovo trovare il giusto equilibrio tra il fragile benessere a cui non sappiamo rinunciare e il desiderio di essere più generosi con le generazioni future, a cui potrebbe mancare anche il necessario, mentre noi, nonostante tutto, a volte inseguiamo il superfluo. Si sente in questi giorni una maggiore prudenza nell’affrontare le spese natalizie. Decisamente fuori moda lo shopping compulsivo degli ultimi anni; e chi ne è vittima paga anche il prezzo di una sanzione sociale, per un comportamento giudicato inadeguato e irresponsabile. Essenziale invece è il tam tam della comunicazione orale sulla maggiore o minore convenienza di comprare in un luogo o nell’altro. Una sorta di solidarietà virtuale che aiuta a mettersi nei panni degli altri per orientare complessivamente il flusso degli acquisti. Sta diventando di moda anche il regalo vintage, che fino a poco tempo fa era bollato come riciclaggio di cattivo gusto. Oggi si cerca anche tra le cose belle che si posseggono quelle che si possono regalare ad amiche e persone care, nella speranza di far loro piacere e nella certezza che spesso si tratta di un regalo di migliore qualità. Il donovintage cercato tra le proprie cose e regalato con affetto, confezionandolo con cura, senza bluffare con etichette di dubbia provenienza, sembra contribuire a restituire a questo Natale il sapore delle cose semplici. Il senso del-

l’omaggio dei pastori, che presi alla sprovvista hanno portato in dono ciò che avevano, senza crearsi problemi, mettendosi semplicemente in gioco, con l’autenticità di chi non vuole apparire più o meglio di quanto non sia. Ma anche con la generosità di chi si priva di qualcosa che gli appartiene, senza chiedersi se potrebbe essere indispensabile per lui o per la sua famiglia. È lo slancio del cuore, di chi non fa troppi calcoli, magari perché ha poco da calcolare, per cui si “limita”a dare ciò che ha, qualcosa di suo; un modo di dare qualcosa di sé, più prezioso di un qualunque oggetto acquistato. Il dono di sé, per scelta e in mancanza di altre possibilità, è una delle dimensioni più belle da coltivare nel Natale di quest’anno: ripartire dalla sobrietà per recuperare l’umiltà del proprio modo di essere. D’altra parte se questo tempo ci appare difficile, il futuro a breve termine non sembra proprio che sarà più facile. L’Istat ha gelato l’entusiasmo degli italiani: la ripresa infatti sembra lontana, perché il PIL del terzo trimestre ha un segno negativo ed è a 0,2%. L’ultima volta che il PIL ha avuto il segno meno è stato il quarto trimestre del 2009 e allora era migliore di quello attuale, perché si era fermato a - 0,1%.

I dati Istat hanno immediatamente fatto risalire di dieci punti lo spread e hanno determinato un calo di Piazza Affari. La diagnosi dell’Abi (Associazione bancaria italiana) è stata amaramente lucida, ammettendo per la prima volta con chiarezza che c’è un “quadro recessivo”, mentre per il 2013 è prevista una sostanziale stagnazione. Per gli esperti a minare la crescita del PIL è soprattutto la riduzione dei consumi delle famiglia, della Pubblica Amministrazione e quindi degli investimenti. È il grande paradosso dell’economia, per cui, quando la famiglia italiana e la pubblica amministrazione sembrano imboc-

care la via virtuosa della sobrietà, il PIL scende. Quello che dovrebbe essere valutato come un segnale di prudenza, che pone un argine agli sprechi e al rischio della corruzione viene letto sostanzialmente come un segno di sfiducia della famiglia italiana nei confronti dell’andamento dell’economia. In un Natale in cui le famiglie italiane tornano a risparmiare, perché le loro risorse si sono assottigliate, dopo aver fatto da ammortizzatori sociali negli ultimi tre anni, sembra che i loro comportamenti virtuosi generino il rischio recessione. E la BCE, preoccupata che la riduzione dei consumi confermi il rischio recessione, stanzia 500 miliardi

Abbiamo bisogno di ritrovare il gusto del silenzio in questo Natale 2011, perché dobbiamo ritrovare lo spazio e il tempo necessari per riflettere con cuore nuovo sui fatti e sulle cose che ci circondano per prestiti illimitati a tre anni al tasso dell’1%. In questo modo intende contrastare i rischi della stretta creditizia alle imprese e alle famiglie europee, il cosiddetto ”credit crunch”. Una paradossale facilitazione a far spendere chi di fatto non ha più risorse a cui attingere, un messaggio in controtendenza alla rinnovata sobrietà delle famiglie. Negli ultimi tempi le banche da tempo non concedevano facilmente credito e questo ha obbligato a rivedere il proprio stile di vita, a tagliare, in modo più o meno lineare, ciò che sembrava superfluo per evitare un indebitamento diventato nei fatti impossibile. Molte famiglie italiane hanno ricominciato ad essere sobrie, per ridurre il rischio di diventare povere. Ma hanno imparato anche il valore della generosità e della solidarietà, indispensabili per andare incontro agli altri, prevalentemente, ma non esclusivamente nell’ambito della vita di famiglia. Ora qualcuno preoccupato della bilancia dei pagamenti nazionali, sta valutando come concedere un credito che faccia spendere di più senza consentire di guadagnare di più. Tocca al buon senso della famiglia scoprire quanto e quando convenga ricorrere a un credito offerto a condizioni così agevolate per fare degli investimenti oppure quando questo credito può trasformarsi in una trappola. La tredicesima si è rivelata quest’anno più povera e non è riuscita a coprire neppure i classici pagamenti di fine d’anno. I figli più grandi,

spesso laureati, a 25-30 anni, stentano ancora a trovare lavoro. Sono totalmente a carico della famiglia, anche per quel minimo di autonomia a cui finora hanno fatto fronte con lavoretti, forse poco qualificati, ma sufficientemente remunerativi, per consentire di affrontare le spese personali e uscire con gli amici. All’orizzonte non ci sono concorsi, le imprese mettono in cassa integrazione, i negozi assumono un carattere sempre più familiare e lasciano a casa dipendenti e collaboratori. La pensione dei nonni copre sempre meno le spese della badante, e non riesce a far fronte ai costi di un imprevisto legato alla salute che diventa sempre più fragile. Se le famiglie sapranno ricorrere al credito agevolato concesso dalla BCE per incoraggiare i figli ad avere spirito di iniziativa, a costruirsi responsabilmente il loro futuro sarà stata una buona scelta. Ma se l’opzione è volta solo ed esclusivamente ai consumi, allora meglio conservare la benedetta sobrietà da poco riscoperta e rinunciare a vivere al di sopra dei propri mezzi. Una sobrietà senza solidarietà verso le nuove generazioni è semplice avarizia. Manca di saggezza, mentre noi abbiamo bisogno di tornare a declinare insieme questi tre valori, se vogliamo recuperare la nostra antica cultura e la nostra bella tradizione umana e cristiana.

Abbiamo bisogno di ritrovare il gusto del silenzio in questo Natale 2011, perché dobbiamo ritrovare lo spazio e il tempo necessari per riflettere con cuore nuovo sui fatti e sulle cose che ci circondano. È necessario ripartire dalla contemplazione del mistero divino con le sue apparenti contraddizioni per capire cosa fare nel prossimo futuro, su quali valori investire se vogliamo recuperare pace e serenità, senza ridurli banalmente a slogan da biglietto natalizio. Ripartire dal Natale di oltre 2000 anni fa forse può insegnarci ad apprezzare di più le cose vere, come la ricerca di Dio che ha guidato i Magi e i pastori, e l’amore della famiglia e nella famiglia che ha avvolto la nascita del Bambino. Può ridarci il gusto di una sobrietà apprezzata come valore e non subita come rinuncia, in una tensione morale positiva che si sottrae al fascino perverso di un consumismo mai sazio. Può ricordare alla politica la necessità di una gestione più sobria del potere, per sottrarsi alla tentazione di imporre i carichi più pesanti alle fasce sociali più deboli, solo perché hanno meno strumenti per farsi sentire. Può ricordare a tutti noi che si può essere felici anche con poco, ma che un Natale senza la gioia del dono di sé fatto agli altri è davvero un povero natale. È l’antico messaggio che Dio entrando nella storia consegna a tutti gli uomini di buona volontà.


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la crisi italiana

La “pacificazione” imposta dalla crisi e dai tecnici sembra già finita. Invece serve un altro scatto da parte della politica

La fase tre

La manovra appena approvata, ha detto Monti, contiene già le indicazioni economiche per lo sviluppo. Ora serve il passaggio ulteriore: chiudere la stagione «di lotta e di governo» con cui i partiti vogliono condizionare il premier di Enrico Cisnetto a pacificazione politica, merito intrinseco del governo Monti, è già finita? Sono passati solo 40 giorni da quando Berlusconi si è dimesso ed è iniziata l’era dei “tecnici” che, oltre ad evitare all’Italia di finire in default, aveva come compito quello di porre fine ad una stagione politica contrassegnata dalla non più tollerabile guerra tra le opposte fazioni del bipolarismo armato. Eppure, il “fermi tutti” che aveva fatto tirare un sospiro di sollievo agli italiani, stomacati da quello scontro senza senso e senza sbocco, e sembrava piacere persino agli stessi contendenti, stanchi di recitare un copione sempre uguale, ha già lasciato il posto ad una “ammuina” di stampo pre-elettorale che preoccupa chi, come il sottoscritto, leggeva nell’esperienza del governo Monti anche e soprattutto una transizione virtuosa verso la Terza Repubblica, cioè una fase del-

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la vita politica finalmente pacificata e in cui l’articolazione dei partiti e delle loro alleanze sia dettata dalla diversità degli obiettivi programmatici.

Non mi stupisce il fatto che anche l’Idv abbia raggiunto la Lega sul fronte dell’opposizione, anzi lo considero la certificazione del buon fondamento della linea dell’esecutivo. Mi preoccupa che la posizione populista di Di Pietro e Bossi – che si presume, peraltro a torto, abbia la capacità di attrarre molto consenso – induca Pd e Pdl a cimentarsi in una folle rincorsa per evitare di perdere contatto con la società, nella presunzione appunto che il contrasto a provvedimenti cosiddetti di “lacrime e sangue”in nome dell’equità violata o comunque poco praticata, paghi molto di più che l’apprezzamento del rigore che ci ha fatto scampare un pericolo ben più grave ed oneroso. E i segnali di questi mal di pancia sono ogni

giorno sempre più evidenti, tanto che hanno indotto il governo a qualche tentennamento e ripensamento di troppo (eccessivi perché alimentano nel Paese l’idea che davvero il problema della manovra sia la scarsa equità e l’aver osato troppo, o anche solo l’ardimento di volerlo fare, e questo favorisce chi grida e spinge a gridare anche chi vorrebbe farne a meno). Per carità, la manovra ha ricevuto come previsto la fi-

Solo il Terzo Polo sembra sostenere lealmente l’esecutivo

ducia sia alla Camera che al Senato. Ma nello stesso tempo la gran parte di chi ha votato a favore non ha resistito alla tentazione di giocare col fuoco – con la lodevole eccezione del Terzo Polo, anche se non in proprio tutte le sue componenti – comportandosi come se si fosse già in piena campagna elettorale.

Si poteva criticare? Certo, ma non ne ho sentito uno che lo facesse in modo costruttivo e portando elementi di significativa diversità d’impostazione. Semmai, si è fatto l’eco alle sconclusionate urla della Lega circa la caduta della democrazia in Italia per via dell’esistenza stessa di questo governo. Tanto che il Capo dello Stato ha ritenuto di dover pesantemente intervenire sull’argomento. Può darsi che nel farlo, come dice qualcuno, abbia oltrepassato il confine, ma va anche detto che non è più tollerabile l’accusa di delegittimazione democratica che viene rivolta ad un esecutivo che gode di un voto parlamentare larghissimo. Altra cosa, invece, è contestare la mancata liason con un voto popolare. Che non ci sia stata è un dato di fatto, ed è legittimo dolersene. Ma se la contestazione si basa sulla presunta violazione del diretto mandato popolare al presidente del


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Cgil, Cisl e Uil sul piede di guerra: «Senza ritocchi alle pensioni impossibile accordo sul lavoro»

Milleproroghe leggero contro le pressioni dei partiti

Blocco degli sfratti, aumento del canone Rai e mega contributo (sette milioni) a Radio Radicale nel provvedimento varato dall’esecutivo di Francesco Pacifico

ROMA. Quarantott’ore prima gli era toccato richiamare Pdl e Pd a una maggiore responsabilità. Ieri ha voluto serrare le fila tra i suoi ministri, che pagano – soprattutto sul versante della comunicazione – una certa inesperienza politica e ridefinire al meglio le priorità. Mario Monti non ama che si facciano distinzioni tra “la fase due” e la ”fase uno” del suo governo, convinto com’è che non ci possa essere sviluppo senza stabilità finanziaria. Eppure si prepara alla fase più difficile del suo incarico, sapendo che fino a quando non presenterà un pacchetto incentrato sulla crescita, i mercati continueranno a penalizzare l’Italia. Lo conferma lo spread tra Btp e Bund ieri risalito a 500 punti, ormai stabilmente in zona rossa; con i rendimenti del nostro decennale vicini all’8 per cento. Non a caso ieri il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, dopo aver visto il premier, è uscito dal suo ufficio con la convinzione che «c’è una grande determinazione a procedere sul versante della crescita e noi naturalmente siamo d’accordo: la fase uno senza la fase due sarebbe monca». Così, incassato il sì alla manovra da 35,9 miliardi di euro, Monti lavora nell’ultima parte dell’anno per preparare al meglio le prossime mosse su liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro e misure per la crescita, in un’agenda che dovrebbe annunciare alla conferenza stampa di fine anno e che sarebbe stata limata anche ieri in un lunghissimo Consiglio dei ministri, nel quale non ci è soffermati soltanto sul Milleproroghe e sul rifinanziamento delle missioni.

Una linea sposata anche dai partiti che appoggiano il governo: per il Terzo Polo l’hanno chiarito senza se e senza ma Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, entrambi ieri pomeriggio in visita di cortesia a Palazzo Chigi. Infatti l’ex presidente della Camera ha sottolineato che «l’Udc non ha né proteste né richieste da fare al presidente del Consiglio.Va solo assecondato, aiutato. Abbiamo parlato delle questioni interna-

Casini: «L’Udc non ha né proteste né richieste da fare al presidente del Consiglio. Va solo aiutato» zionali, del problema delle liberalizzazioni e del rilancio dell’economia. Oggi è il momento di aiutare Monti, perché aiutare questo governo significa aiutare gli italiani».

Nella sede dell’esecutivo aveva fatto capolino nella primissima mattinata una delegazione del Pdl con il segretario Angelino Alfano e i capigruppo di Camera e Senato Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri. I tre, pur garantendo piena collaborazione al premier, si sono presentati con non pochi paletti per l’azione dell’esecutivo. «All’incontro», spiega Gasparri, «c’è stato un clima moto collaborativo, anche perché il premier ha sempre riconosciuto che senza l’appoggio dei partiti non potrebbe andare avanti. Ma a

noi stanno a cuore capitoli come le liberalizzazioni, il Sud, la ricerca, il mercato del lavoro sull’onda di quanto fatto dal ministro Maurizio Sacconi, perché non si può intervenire sui tassisti senza prima legiferare sulle autostrade o sui servizi pubblici locali. Eppoi c’è la partita di riforma dei trattati, che va seguita con molta attenzione». Approccio totalmente opposto dai sindacati. A 48 ore dalla promessa di Mario Monti di contrattare con le parti i nuovi ammortizzatori sociali e il sistema di tutele per dipendenti e autonomi, questa mattina, e in una conferenza congiunta, Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti manderanno un messaggio molto semplice in direzione di Palazzo Chigi: senza ritocchi alla riforma delle pensioni (soprattutto sul versante dei lavoratori in mobilità) e interventi sulle fasce più deboli sarà impossibile trovare accordo sul mercato del lavoro. Il governo fa spallucce e va per la sua strada, come dimostra l’approvazione di un Milleproroghe dai contenuti molto ristretti, che ha finito per non essere il decreto Omnibus degli anni scorsi. Non è caso nella nota ufficiale di Palazzo Chigi si è rivendicata la scelta di aver «approvato un ridotto numero delle proroghe», tanto da chiosare: «Pertanto, il decreto non può più essere denominato “Milleproroghe”». Non si sa se questo annuncio basterà a soffocare le brame dei partiti, che almeno ufficiosamente speravano nel decreto di fine anno per rifinanziare alcuni capitoli di spesa tagliati attraverso le tre manovre approvate dal Parlamento nel 2011. Fatto sta che il governo ha mantenuto quanto annunciato nei giorni scorsi, visto che nel testo le misure presenti sono molte poche: vengono prorogati fino al dicembre 2011 gli sfratti già esecutivi, la possibilità per i medici di svolgere la libera professione intramoenia al di fuori delle strutture pubbliche, l’accatastamento dei fabbricati rurali, l’introduzione della nuova fiscalità al sistema di gestione associata per i piccoli Comuni.

Prorogate per sei mesi le missioni all’estero già programmata, mentre slitta al 2 aprile 2012 l’avvio del sistema di ricognizione ambientale Sistri. E se con il provvedimento vengono stanziati 7 miliardi per Radio Radicali, la novità più impopolare rischia di essere l’aumento del canone che passa per il 2012 a 112 euro.

Consiglio, allora non ci siamo più. Perché semmai fuori dai binari della Costituzione c’era la pretesa, invalsa in questi anni, di trasformare la (forzata) indicazione sulla scheda di un candidato premier in una vera e propria nomina diretta, che non c’è perché il capo del governo viene indicato dal presidente della Repubblica ed eletto dal Parlamento. Dunque è specioso considerare arbitraria la scelta fatta a suo tempo da Napolitano di verificare se esistesse un’alternativa alle elezioni anticipate, ed avendola trovata di aprirle un varco nel mare dell’irragionevolezza dei protagonisti del bipolarismo malato.

Dunque, mettiamo i puntini sulle i: il governo Monti nasce ed agisce in piena legittimità democratica, così come è legittimo avversarlo per quello che fa. È invece politicamente riprovevole l’atteggiamento di accoppiare il voto parlamentare favorevole con il massimo di critica, per di più del tutto demagogica. Chi vuole le elezioni anticipate abbia il coraggio e si assuma la responsabilità di votare contro il governo, invece di evocarle per poter lucrare sia dal lato della responsabilità (abbiamo votato la fiducia) che da quello della contestazione (troppe iniquità, se va avanti così andiamo alle elezioni). Sui partiti di lotta e di governo si è eretto il bipolarismo della Seconda Repubblica, ora se si vuole fare la Terza occorrono forze politiche fondate su altri modelli. Sia chiaro, in questa fase di transizione, è bene che esplodano tutte le contraddizioni, e se questo portasse alla spaccatura di Pd e Pdl, ben venga una loro scomposizione e una successiva ricomposizione su altre basi: da un lato i moderati e i riformisti, che avendo a cuore le sorti del Paese appoggiano lealmente e con grande intensità politica il governo, dall’altro gli oltranzisti e i massimalisti, che possono (debbono) andare a tenere compagnia a leghisti e dipietristi. Ma se invece nel Pdl prevalesse la tesi del restiamo uniti e recuperiamo il rapporto organico con la Lega, e nel Pd continuasse il finto unanimismo che fin qui ha consentito a Bersani di rimanere segretario passando senza soluzione di continuità dalla “fotografia di Vasto” (lui, Di Pietro e Vendola) al dialogo con Casini e Alfano, allora il rischio – mortale –sarebbe quello sprecare l’occasione della transizione e di tornare alla vecchia pratica politica, quella che ci ha portato dritti dritti ad un passo dal fallimento. Facciamo voti perché il 2012 ci riservi tutt’altro. Per intanto, buon Natale. (www.enricocisnetto.it)


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la crisi italiana L’Osservatore: «Il papa non è pessimista o stanco, è aderente alla realtà»

rammatica veduta, a buio e lampi, quella abbozzata giovedì dal Papa parlando alla Curia in vista di questo Natale di crisi. “Benedetto XVI non è pessimista né stanco” ha scritto l’Osservatore Romano, ma “radicato nell’essenziale” e “aderente alla realtà”. Va detto però che le sue parole ci hanno posto davanti a un “essenziale” e a una “realtà” percepiti per bagliori confliggenti ed è forse nel sentimento di questo conflitto il vero messaggio del Papa: come a dire che siamo nei dolori del parto.

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Crisi economica, crisi dell’Europa, crisi della fede sono stati i temi incalzanti del discorso, svolti senza alcuna glossa accomodante e qui c’è un elemento di veracità di cui va dato atto. Non ha indicato rimedi o riforme ma ha segnalato due fuochi di speranza ai quali volgere lo sguardo nel cercare una “risposta alla crisi della fede”: i giovani che ha incontrato a Madrid in agosto e la vitalità del cristianesimo africano che ha rivisto nel Benin in novembre. I giovani e l’Africa: applicandomi da decenni alle parole dei Papi, vedo un segnale forte, quasi avventuroso nella scelta di queste due speranze, che sono – ognuna a modo suo – metafora di un’attesa inerme, come del resto non può non essere quella del Natale che si appunta a un neonato. I giovani e l’Africa, cioè gli esclusi dalla ripartizione delle risorse e da ogni calcolo economico immediatamente praticabile, coloro che ci appaiono senza futuro. C’è una radicalità in questa opzione che va colta. Benedetto come profeta disarmato che invita a uscire dal ripiegamento degli egoismi e a scommettere sulla fede, direi sulla nuda fede e su qualcosa che a essa straordinariamente somiglia per debolezza e forza tra loro unite: la gioia dei giovani e la vitalità del giovane cristianesimo africano.

Speranza nella crisi, la profezia di Benedetto Africa e giovani: ecco la strada giusta per riscoprire la gioia della fede cristiana di Luigi Accattoli

– invita a “portare gioia e speranza” con l’annuncio del Salvatore, ma questo annuncio si rivolge, in Europa, a un’umanità ripiegata nella difesa degli “interessi personali” che “oscura la conoscenza”. Per il Papa la crisi economica e finanziaria “in ultima analisi si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continente”. Altre volte Papa Ratzinger ave-

Lampi e buio ci abbagliano fin dalle prime parole di Papa Benedetto: il Natale – egli dice

della Pace del 2009), mentre l’altro ieri è sembrato preoccupato dei poveri che la crisi sta rendendo ancora più poveri e nelle sue parole sembrava di scorgere un’eco dei nostri telegiornali che vengono istruendoci su quanto la crisi stia gravando sui più bisogni: “Anche se valori come la solidarietà, l’impegno per gli altri, la responsabilità per i poveri e i sofferenti sono in gran parte indiscussi, manca spesso la forza motivante, capace di indurre il singolo e i grandi gruppi sociali a rinunce e sacrifici”.

C r is i

va parlato dell’immoralità speculativa di una “finanza appiattita sul breve e brevissimo termine” (Messaggio per la Giornata

e c o n o m ic a , crisi dell’Europa e crisi di fede, dice in sequenza il Papa, avvicinando spregiudicatamente le punte di questo tridente. Di passaggio ci ricorda come nel nostro continente “le persone che vanno regolarmente in chiesa diventino sempre più anziane e il loro numero diminuisca conti-

ra, la penitenza, la conversione. Di nuovo niente sconti.

Ed ecco un nuovo passaggio brusco, dalla nostra desolazione all’annuncio della speranza che può venire dall’Africa: “In questo senso – dice subito dopo l’accenno alle riforme ‘inefficaci’– l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile”. “Tedio dell’essere cristiani”: memorizziamo queste parole. Nell’enciclica Spe Salvi (2007) citando una “profezia” di Kant Benedetto si era chiesto se l’umanità europea considerasse ancora “degno di amore” il cristianesimo. Tedio e disamore: sono le due punte acuminate della riflessione del Papa teologo sulla scristianizzazione dell’Europa. Dicevo che in questo dramma della gioia e del tedio di credere Benedetto mette in scena anche i giovani di Madrid, che hanno rivelato “un modo nuovo dell’essere cristiani”, caratterizzato dall’entusiasmo come quello africano: “La fede rende lieti a partire dal di dentro”. Sapevamo già che Papa Ratzinger tutto concentra sulla sfida della fede ma il discorso alla Curia ha il pregio di porsi a prologo didascalico di una serie di appuntamenti già stabiliti che daranno corpo, nel giro di un biennio, alla strategia

Il pontefice non fa sconti all’umanità: «La preghiera, la penitenza, la conversione sono le chiavi di accesso per tornare all’incontro con Cristo e riscoprire la bellezza dell’amore» nuamente; come ci sia una stagnazione nelle vocazioni al sacerdozio; come crescano scetticismo e incredulità”. Nessuno sconto ci offre in questa descrizione.

La diagnosi poi è più severa della denuncia: “Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se a essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”. Molti infatti sostengono che si debbano fare riforme per rimediare allo svuotamento delle chiese, ma il Papa teologo ritiene che per prima debba venire una riconquista della fede. Ma come? “Grazie all’incontro con Cristo”: la preghie-

papale: l’avvio delle attività del Cortile dei Gentili e del Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, che è già avvenuto nei mesi scorsi; il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che si farà il prossimo ottobre; l’Anno della Fede, nel cinquantesimo dell’inizio del Vaticano II, che andrà dall’ottobre del 2012 al novembre del 2013.

“Che cos’è una riforma della Chiesa? Come avviene?” ha chiesto Benedetto a se stesso e alla Curia e ha dato una risposta netta, tagliente: avviene per recupero della fede. O essa torna ardente, come in Africa e tra i giovani, o la partita è già persa. Questa è l’idea del Papa: una riforma della Chiesa per recupero della fede. Per recupero, in particolare, di una “gioiosa passione per la fede”. www.luigiaccattoli.it


mobydick

INSERTO DI ARTI E CULTURA DEL SABATO

Due film per le feste: “Il figlio di Babbo Natale” della premiata ditta d’animazione inglese Aardman, ed “Emotivi anonimi”, commedia francese dagli accenti fiabeschi sui timidi patologici

LE AVVENTURE DI ARTHUR CHRISTMAS di Anselma Dell’Olio

utti conoscono persone che non parlano facilmente con gli altri, o che non entrano volentieri in una stanza piena di gente, anche se non sono estranei. Poi ci sono persone talmente afflitte dal timor panico a ogni uscita dai loro luoghi sicuri, che arrossiscono, balbettano, inciampano, sudano e soffrono abissi di vergogna. E ci sono quelli in cui il terrore di confrontarsi con gli altri porta a fughe e svenimenti. È il caso dei due protagonisti di Emotivi anonimi, un film francese che affronta le conseguenze della timidezza patologica. Angélique (Isabelle Carré, Il rifugio, Les bureaux de Dieu) è una giovane cioccolataia disoccupata. È socialmente impacciata, raggelata all’idea di un colloquio di lavoro. Frequenta un gruppo di Emotivi anonimi, simile a quelli di alcolisti, una forma di autoterapia collettiva. In incontri regolari, persone con gravi dipendenze o handicap psicologici (gioco d’azzardo coatto, shopping irrefrenabile, disturbi dell’alimentazione) si aiutano a vicenda a recuperare un rapporto più sano e equilibrato con se stessi e con il mondo. Grazie al sostegno dei suoi amici terapisti, Angélique trova il coraggio di presentarsi a una piccola fabbrica di cioccolata in cerca di personale.

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Il padrone Jean-René (Benoit Poelvoorde, Coco avant Chanel L’amore prima del mito, Niente da dichiarare, Kill Me, Please), biondo fragola come Angélique, è vittima della stessa disfunzione, ma nessuno dei due sogna di confessare all’altro la propria angoscia. Il colloquio termina con l’assunzione della ragazza - che preferirebbe morire piuttosto che definirsi cioccolataia - come venditrice, il peggiore dei posti per una timida. Lei prima lavorava per il Chocolatier Mercier, celebre per la qualità del prodotto, ma solo il titolare sapeva che era Angélique la pasticciera responsabile per le squisitezze in vendita. Si era inventato un eremita votato all’anonimato; così lei preparava i suoi cioccolatini a casa e li portava come «messaggera» del sant’uomo. Poi Mercier, l’unico a sapere la verità, è morto; così la ragazza si trova costretta a convincere i negozianti a comprare i cioccolatini dell’azienda di Jean-René, tra l’altro sull’orlo della bancarotta. Il regista e sceneggiatore JeanPierre Améris dirige con mano ultraleggera una commedia romantica spiritosa, delicata e velocissima (76 minuti). Emotifs anonymes ha spopolato in patria, facendo incassi spettacolari. La storia si snoda intorno agli incidenti di percorso in cui incappano i due timorosi, comici e accattivanti, anche grazie al perfetto casting dei protagonisti. Un’altra ragione per la riuscita di una confezione aerea come la chantilly, è che Améris ha sofferto d’attacchi di panico; ad esempio se arrivava tardi a scuola, non riusciva a entrare in classe. Ha trovato rifugio e guarigione nel buio delle sale cinematografiche, scoprendo anche la sua vocazione. Nel 2000 il regista ha frequentato le riunioni di E.A., raccogliendo testimonianze che gli sono servite nella stesura del copione. Jean-René è in terapia con uno psicoanalista comportamentale (Stéphan Wojtowicz) che ogni settimana gli dà i compiti a casa («Tocchi qualcuno»). Infatti il paziente invita a cena la nuova dipendente, perché glielo ha ordinato il medico (e perché gli piace).Al ristorante lui si scusa e corre in bagno con la cartella. Le situazioni sociali gli creano un tale stress che è costretto a portarsi sempre vari cambi di camicia. Ma l’indumento fresco non gli basta; scappa via in preda al panico, lasciando la ragazza sola a tavola. Dietro comportamenti stravaganti ma non misteriosi, il film cela una natura sovversiva. In controluce, è leggibile il disagio che chiunque ha nell’affrontare un nuovo rapporto intimo, o uno che potrebbe diventarlo. In Emotivi anonimi, il subbuglio che in individui «normali» è presente ma recondito, soppresso (paura del prossimo, del futuro, di amare, di non piacere, dell’abbandono, della noia), si somatizza all’ennesima potenza. Fuggire da quello che si desidera ardentemente (pleasure anxiety in gergo psianno IV - numero 45 - pagina II

le avventure di arthur

coanalitico) è un fenomeno che può celarsi nei comportamenti più diversi e dissimulati. Nel film sono palesi. Il rapporto sensuale con la cioccolata non è centrale, come in Chocolat di Lasse Hallstrom, ma piuttosto la brama (longing) di superare la vigliaccheria autoreferenziale per potersi concedere il lusso irrinunciabile di amare riamati. La calibrata sceneggiatura è di Améris con Phillipe Blasband (l’originalissima Irina Palm con Marinanne Faithfull). La leggiadra colonna sonora di Pierre Adenot asseconda l’effetto fiabesco del racconto. Ci sono due o tre interludi canori di Angélique e poi di Jean-René, un affettuoso omaggio a Gli ombrelli d Cherbourg di Jacques Démy.

christmas

anziano irrequieto e pepato, ha sempre pronta la battuta beffarda e tagliente. La storia parte dalla sempiterna domanda dei ragazzini svegli: «Ma come fa Santa Claus a recapitare i regali a tutti i bambini del mondo in una notte?». La stanza dei bottoni, ossia mission control (archivio dei giocattoli richiesti, smistamento dei regali, indirizzario, rotte, eccetera) è una meraviglia. Se si chiudono gli occhi per un solo istante, si

large e fianchi da serpente, capelli a spazzola e l’attitudine a comandare di un sergente maggiore acerbo e senz’anima. Il fratellino Arthur è il suo opposto: romantico sognatore innamorato del Natale e della tradizione millenaria di famiglia. È però un ragazzo mingherlino, imbranato, che mai riesce a portare a termine un compito senza fare disastri. È persino negato per l’avvolgimento pacchi (e qui sento un’affi-

Arthur Christmas (titolo originale) è Il figlio di Babbo Natale, una gustosa strenna in 3D della premiata ditta d’animazione innità totale con il nostro eroe). Ora è nel «Reparto lettere a Babbo Natale».

glese Aardman (Galline in fuga, Wallace e Gromit, la maledizione del coniglio mannaro, premio Oscar 2005, e il meraviglioso Giù per il tubo, 2006). Il gruppo di Bristol, celebre per l’umorismo sardonico british e la tecnica d’animazione stop-motion con figurine d’argilla (plasticine), si era già cimentato con la computer grafica (Cgi) con Giù per il tubo, in società con la Dreamworks (Shrek, Madagascar, Kung Fu Panda, Il gatto con gli stivali). Dopo il divorzio dagli studi di Spielberg and company, gli Aardmen sono volati da Bristol a Burbank, California per lavorare in Cgi con la Sony Animation (Surf’s Up - Il re delle onde, 2007, Piovono polpette, 2009). Il risultato è una delizia. Arthur è il figlio più giovane di Babbo Natale, la cui famiglia, in gergo corrente, è «disfunzionale». In casa coesistono con vari livelli d’attriti Mamma Natale, dolce e assennata, il figlio maggiorenne Steve, sbruffone, prepotente e l’erede naturale del babbo ormai vecchiotto. Nonno Natale, un

perde qualche dettaglio, grazie all’abbondanza di disegni geniali a tema in ogni angolo dello schermo. È divertente sapere che i piccoli disegni della stanza di Arthur, addetto alla lettura delle richieste a Babbo Natale, sono stati dipinti per la maggior parte dai figli della squadra di produzione. Di elfi ce ne sono circa un milione, addetti alle varie mansioni dell’operazione segreta: elfi operativi, paramedici, ascoltatori, postini, missione di controllo, unità speciale Babbo Natale, equipaggio, timonieri, tecnici internet e altri ancora. E tutti sono dotati di unguento per lubrificare le canne dei camini, per ovvie ragioni. È la vigilia di Natale, i bambini emozionati sono già a letto sognando la felicità del risveglio; al Polo Nord fervono i preparativi. Babbo, un po’ stanco e senza l’energia d’un tempo, ha affidato le operazioni strategiche al primogenito Steve. Il prossimo indossatore del completo rosso è un aitante giovanotto con spalle extra-

Al ritorno dalla missione natalizia, eseguita con la supertecnologica e immensa nave spaziale, carica di elfi, Babbo e regali, con Steve che si pavoneggia alla console, Arthur scopre che non è stato recapitato il regalo di una bimba, una bicicletta rosa. Corre a comunicare la ferale notizia, ma nessuno gli dà retta. L’erede designato lo schizza, «Che sarà mai un solo regalo saltato? Se ne farà una ragione». Il Babbo esita, ma stanco, ambisce al meritato riposo dopo la fatica più usurante dell’anno. L’unico alleato di Arthur, che ritiene inammissibile il primo errore blu della storia fami-

gliare - un bambino deluso - è Nonno Natale. Bisbetico, burbero e canzonatorio, il vecchietto all’aceto è convinto di avere ancora colpi in canna.Vuol dimostrare che il vero dominus della famiglia è sempre lui. Proibito l’uso della nave spaziale, il nonno tira fuori della naftalina la vecchia slitta di legno e ci attacca le renne, ormai ben riposate. (Ce n’è una vecchissima, con un collare anti-grattamento, da non perdere). Le avventure di Arthur, il nonno, la renna rachitica e un’adorabile elfa di nome Bryony (doppiata da Ilaria Latini, bravissima) sono il cuore del film: esilaranti, rocambolesche, emozionanti e infinitamente inventive. La colonna sonora è perfettamente intonata e allegra.Alla fine del film parte un’incisione inglese della canzone d’epoca Make Someone Happy. Il copyright dello stile sprechstimme della versione, semplice e struggente, è dello stupendo attore, cantante e comico Usa d’origini salernitane, Jimmy Durante (1893-1980). Il film è così bello da perdonargli la maliziosa caricatura dell’americano sbrasone che è la figura di Steve, simil marine, palestrato e falso efficiente. È la vendetta dell’ex Impero britannico contro i barbari coloni del Nuovo mondo, che l’ha sfrattato da un continente e poi rimpiazzato come prima potenza mondiale. Il doppiaggio non è male, anche se vengono i singulti pensando alle voci originali: James McAvoy (Arthur), Jim Broadbent (Babbo Natale), Imelda Staunton (Mamma Natale) e (sob) sopratutto Bill Nighy (Nonno Natale). Chiunque abbia ascoltato la voce di Nighy, più scultura che suono, sa cosa si perde. La mancanza di voci caratterizzate nei film animati è una vecchia questione irrisolta in Italia (Bryony a parte). Non importa, il film è da non perdere.


MobyDICK

arte

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ossiamo anche permetterci di non sapere più chi è stato Luigi XIII, il Re di Francia invasore d’una Lorena (che non era Francia, allora, ma semmai contesa contrada, anche artistica, tra Francia e Renania, Italia e Paesi Bassi) nevralgica enclave appetita dall’Impero, straziata da guerre, carestie, epidemie, e che noi potremmo immaginare oggi come uno di quei campi di battaglia dilaniati da violenze, sangue, alabarde e smembramenti, minuziosamente raccontati da Jacques Callot, sodale di de La Tour. Accanto al meraviglioso incisore lambiccato Bellange (forse suo maestro) in quella misteriosa Lunéville che ci appare, alla distanza, come una cittadina benedetta o stregata dalla fantasia visionaria della pittura secentesca.

vi dettagli, alcuni ne sono morti, come il valente Jacques Thuillier, cui il grande studioso (e riscopritore di sue opere disattese) Pierre Rosenberg dedica un affettuoso saggio di riepilogo in catalogo, un catalogo denso d’interventi, nonostante la sobria presenza di due soli quadri - L’adorazione dei pastori e San Giuseppe Falegname - inviati dal Louvre al sindacoso Palazzo Marino di Milano. E nonostante lo stesso Rosenberg fulmini, nel suo intervento, tutti i recenti cataloghi «in declino», pletorica raccolta superflua di saggi «più o meno interessanti, troppo spesso inutili o fuori tema».

P

Allora, chi fosse Luigi XIII, pazienza, ma certo un gesto emblematico e geniale, almeno uno, dobbiamo riconoscerglielo. Quando ebbe nella propria regale stanza da letto il San Sebastiano, contorno e fulminato, dell’ex nemico-lorenese de La Tour, commissionatogli durante la terribile peste del 1633, non solo si disse finalmente appagato, ma volle che tutte le altre tele precedentemente accaparrate e convogliate in quella sala, chissà a quale prezzo di violenza e ruberie, lasciassero mogie in processione le sue sale, per far trionfare un unico vincitore e permettergli un solo, luminoso e numinoso, confronto, intimo e assoluto, esclusivo, con quella luce fioca e incandescente e crudemente crepuscolare del santo militare-martire, perseguitato e trafitto, d’innanzi al suo tirannico cospetto. Manzoniana autocritica penitente? Non siamo moralisti. Anche il pittore (a scorno della sua pittura magnificamente pietistica e impregnata di misticismo francescano) non pare certo fosse «uno stinco di santo», anzi, nevrotico, dispotico, feroce in famiglia e scapestrato, non meno dei proverbiali Cellini o Schedoni, Salvator Rosa o Caravaggio. È curioso che d’un pittore di cui dovremo presto riconoscere e ammirare (in ginocchio) l’arte sublime d’evocare una serenissima pax divina in terra («Dio tra gli uomini», ha detto benissimo e semplicemente lo Chandelar, a proposito di quell’assente, trasognato ma intensissimo bambinello infagottato, che sogna forse d’essere Cristo, ma è ancora felice d’essere un neonato poppante in terra, appagato come un Luigi XII collezionista), ebbene un pittore così rasserenante (e dal pacificato caravaggismo, invece gridato e convulso, dei suoi contemporanei) sia poi stato nella vita un manigoldo brutale, capace di «rendersi odioso

IL DANDY che sapeva raccontare Dio di Marco Vallora alla città» e di ostentare un dandismo sprezzante, tra levrieri e privilegi, come un D’Annunzio di terzo livello. «O come se fosse lui il signore del luogo, e spinge le lepri nel grano degli altri e lo guasta». Curioso, salvo testimonianze forensi di proteste cittadine, non abbiamo quasi nessun al-

tro documento su di lui (è stato in Italia? Ha visitato Roma? O ha frequentato solo il caravaggismo di ritorno, nelle contrade nordiche olandesi devote al dettaglio? Ma è possibile allora che non abbia mai sentito la necessità di proporre una natura morta, lui così perfetto nell’illuminare scabri dettagli

Chi l’avrebbe mai detto che Georges de La Tour, “poeta del silenzio”, pittore rasserenante, vertice del Seicento francese, fosse nella vita un manigoldo brutale, sprezzante nell’ostentare i privilegi... Due suoi capolavori - il “San Giuseppe falegname” e “L’adorazione dei pastori” in mostra a Milano

simbolici nelle sue scene sacre? Si vedano gli oggetti di falegname del vecchio San Giuseppe in mostra, o quella vivida ciotola di terracotta, che la modesta pastora porta in dono, quasi fosse un mago proletario). I non pochi attenti studiosi dediti a de La Tour si scannano ancora, su questi pur decisi-

Realtà che questo denso catalogo cerca di evitare. Esemplare del resto, e non è una sorpresa, l’intervento di Anna Ottani Cavina, che già gli aveva dedicato, in anni pionieristici, un importante saggio di coraggiosa accoglienza, nei Maestri del Colore, studiando questo vertice «astraente e intellettualistico del Seicento francese» e oggi riuscendo a rileggere, con occhi sgombri, scene «che acquistano sacralità e altissima temperatura spirituale» dipingendo soltanto «l’inazione, il silenzio, il vuoto, talvolta» (e magari due tratti nudi di rosso, che fan pensare alle ascisse craquelé di Mondrian). Certo, è paradossale dover veder in coda, e pressati, e travolti delle opere così intime e raccolte e sospese, come questi due capolavori del «poeta del silenzio», tra commenti e spieghe sommarie. Il San Giuseppe operaio al succhiello, che sarchia una profondità di croce, stanco, piegato, piagato di vecchiaia varicosa, visitato nella bottega dal suo semplice, angelicato figliolo, galleggiante nella notte, stranita da un ovattato, rumoroso silenzio (e reso più etereo, asessuato, immateriale, da quella luce di semplice pan cotto della candela, che in controluce radiografa i suoi ditini, non proprio immacolati. E che sguardo consapevole e segreto e tremebondo il vecchio padre putativo getta, di soppiatto, verso quella fonte di calore, che sa poterlo scaldare ancora per poco e che illumina un temibile prossimo futuro più che dolente). Oppure quell’intangibile bambinello, che un poco russa soave, «senza ciglia, la fronte bombata», osservava Taine, credendolo Le Nain, imprigionato dall’attenzione tesa e pregna di preoccupazione d’un gruppo di pastori solidali, e solo il tremulo agnellino ha il coraggio di avvicinare il suo muso, per sottrarre un filo di erba, senza sapere ancora d’esser divenuto mistico, «quello» pasquale. Georges de La Tour a Milano, Palazzo Marino, fino all’8 gennaio 2012


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partire dal concilio di Nicea, la tradizione cristiana presenta l’opera dei quattro evangelisti nell’ordine Matteo, Marco, Luca e Giovanni. La moderna ricerca biblica ci dice però che la cronologia delle redazioni è stata leggermente diversa: il testo più antico risulta essere quello attribuito a Marco. Fra le ragioni che hanno fatto preferire la successione accolta dai padri conciliari c’è l’apertura del vangelo di Matteo con la genealogia del Cristo, incipit che è sembrato naturale ai primi ordinatori per la sequenza delle narrazioni della vita di Gesù. Anche Luca presenta in 3, 23-38 l’elenco dei progenitori di Gesù, ma lo fa a narrazione avviata. Questo dipende dall’attenzione dedicata dall’evangelista ai fatti che precedettero la nascita del Cristo e alla diversità della comunità alla quale si rivolgeva, formata in prevalenza da gentili. Matteo invece scrive soprattutto per gli ebrei convertiti al cristianesimo, per i quali la discendenza di Gesù, in particolare quella davidica, riveste un significato particolare. Le due genealogie presentano differenze anche notevoli, fra le quali spicca, a fronte della sequenza rigorosamente maschile presente in Luca, l’inserimento in quella

A

il paginone

MobyDICK

Ecco perché la storia di abnegazione, disponibilità al sacrifico, ubbidienza e fedeltà della semplice spigolatrice di Moab, raccontata in un Libro della Bibbia, anticipa la vita del Cristo nel testo di una genealogia, quasi un legame di continuità. Mentre il libro di Rut si chiude con la genealogia di David, bisnipote dell’eroina, il vangelo di Matteo si apre con quella di Gesù. Inoltre la vicenda di Rut è una storia di dedizione, di disponibilità al sacrificio, di ubbidienza e di fedeltà, così da farne una sorta di anticipazione della vita del Cristo, e in questa chiave è stata spesso letta e commentata dalla patristica. In questa prospettiva Rut è una figura anticipatrice di Cristo e risulta di particolare importanza il fatto che si tratti di un personaggio femminile, come la moderna teologia femminista ha giustamente sottolineato. Il testo del Libro di Rut è breve, quattro capitoli per un totale di 85 versetti. La sua traduzione non è complessa; lo stesso rimangono aperti

A lei si deve l’esistenza di re David e della tradizione che ne discende fino a Gesù. E solo a lei si attaglia un termine che indica forza, generalmente usato al maschile di Matteo di due figure femminili: Betsabea moglie di David e Rut moglie di Booz ma soprattutto protagonista di un libro della Bibbia al quale la liturgia ebraica riserva un posto di rilievo.

Il Libro di Rut è infatti uno dei cinque rotoli, megillot, ossia uno dei testi che vengono letti in occasione delle feste maggiori. Il Cantico dei Cantici a Pasqua, il Libro di Rut a Pentecoste, che nella tradizione ebraica ricorda il dono della Torah, le Lamentazioni in occasione della memoria della distruzione del Tempio, Qohelet per la festa delle Capanne, collegata ai quarant’anni trascorsi nel deserto, e infine il Libro di Ester, letto a Purim. Un ulteriore ed evidente collegamento tra il vangelo di Matteo e il Libro di Rut consiste proprio nella presenza anno IV - numero 45 - pagina IV

significativi problemi di interpretazione relativi al genere letterario nel quale il racconto va inserito per una comprensione corretta delle intenzioni dell’autore, attraverso le quali sarebbe possibile determinarne fra l’altro la data di composizione. Occorre aggiungere che la tradizione ebraica colloca il Libro di Rut, associandolo ai Proverbi, in una posizione diversa nella sequenza biblica rispetto a quella adottata dai cristiani che lo inseriscono invece nella continuità storica, ponendolo quindi dopo i Giudici. In questo modo viene accolta l’ipotesi della reale esistenza del personaggio rigettando l’alternativa del racconto morale. La vicenda narrata nel Libro di Rut è lineare e attraversa fin dall’inizio alcuni luoghi tipici del racconto biblico. Si tratta essenzialmente di una

storia d’amore. La futura suocera di Rut, Noemi, lascia Israele insieme al marito a causa di una carestia e va a stabilirsi in terra di Moab, che altri passi della Scrittura segnalano come particolarmente ostile al popolo di Dio. Lì Noemi ha due figli che sposano due donne del luogo, Rut e Orpa.

Ambedue le unioni si rivelano sterili. A seguito alla morte prematura di tutti i componenti maschili della famiglia, alla notizia della cessazione della carestia in Israele, Noemi decide di tornare alla propria città di origine, Betlemme di Giuda. La città segnala un collegamento non secondario della vicenda di Rut con la nascita di Gesù. Le due nuore si offrono di accompagnare Noemi, che tenta di farle desistere sostenendo che per loro non esiste un futuro insieme a lei. Ha successo solo con Orpa. Rut rimane sulle sue decisioni e le conferma con parole nette: «Dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò io e vi sarò sepolta» (Rt 1, 16-17). Una scelta radicale e definitiva, una dichiarazione di piena disponibilità con la quale si chiude l’antefatto della storia vera e propria, che si svolge a Betlemme di Giuda. Lì la giovane ma non più giovanissima Rut per vivere e dare da mangiare anche alla suocera, va a spigolare nel campo di Booz, che la nota non per la sua avvenenza quanto per l’impegno che mette nel lavoro. L’uomo manifesta in diversi modi il suo benvolere per la donna, che racconta a Noemi quanto sta accadendo, di quali attenzioni sia oggetto. Si viene allora a scoprire che fra Booz e Noemi esiste una parentela. Tale legame familiare potrebbe far scattare una serie di norme, sul contenuto delle quali gli esegeti hanno dibattuto a lungo, la cui applicazione potrebbe portare persino a un matrimonio fra Rut e Booz. Inizia qui la parte più controversa del libro. Noemi consiglia a Rut di farsi bella,

La nostra sa annunciata d di Sergio Valzania truccandosi e indossando gli abiti migliori, e di andare nell’aia di Booz la notte, mentre sono in corso i festeggiamenti per il raccolto. Dopo aver aspettato che il padrone si sia ritirato al termine di abbondanti libagioni, che ne abbiano attenuato la lucidità, Rut deve accostarsi a lui e cogliere l’occasione per «scoprirgli i piedi». La formula nasconde appena un riferimento sessuale. Rut sembra ubbidire anche questa volta alla suocera, solo che l’incontro notturno con Booz non ha il tono furtivo e quasi lascivo che sembra prepararsi. Raggiunto l’uomo, Rut non cerca di sedurlo contando sulla sua ebrezza, peraltro relativa. Al contrario dichiara la propria identità e l’intenzione di sollecitare la sua benevolenza in vista di una stabilizzazione del loro rapporto parentale. Booz è affascinato dalla schiettezza della donna e decide di sposarla, dopo aver ottemperato ai complessi doveri giuridici che tale decisione comporta. Questa volta le nozze di Rut si rivelano feconde, nasce un figlio, Obed, che nella genealogia conclusiva del libro si rivela essere il padre di Iesse

e quindi il nonno di re David. Nel Libro di Rut i riferimenti all’attività di Dio sono discreti, ma costanti.

Il suo agire non appare mai in piena evidenza, con interventi che sconvolgono le situazioni esistenti, ugualmente i protagonisti sono sempre consapevoli della sua presenza; quello che fanno è riferito al Signore, del quale riconoscono la potenza e la giustizia, mentre ne chiedono la benedizione. Negli 87 versetti del libro il nome di Dio, in forme diverse, ricorre 22 volte. Al suo arrivo a Betlemme di Giuda Noemi racconta come sia stato il Signore ad averle inflitto «grande amarezza» (Rt 1,20), avendo «testimoniato contro di lei» (Rt 1,21). Allo stesso modo sono le donne della città a complimentarsi con lei per il felice esito della vi-


alvezza da Rut cenda con le parole: «Benedetto il Signore, il quale oggi non ti ha fatto mancare un riscattatore» (Rt 4,14). Nella visione dell’autore del Libro di Rut l’agire umano e quello divino procedono dunque paralleli. La libertà di uomini e donne non è intaccata e loro restano responsabili delle loro opere in un mondo che però è regolato in ogni sua parte dalla volontà divina. È Rut con il suo lavoro, con la sua forza di carattere e con la sua sincerità a indurre Booz a farne la propria moglie, come è quest’ultimo a risolvere con rettitudine le questioni legali connesse al matrimonio.

Tutto si svolge però all’interno della solida cornice della potenza e dell’amore di Dio, dei quali Rut e Booz sono consapevoli e ai quali si sforzano di adeguarsi con i loro comportamenti. Proprio nella descrizione dell’integrarsi del grande progetto divino con quelli personali e limitati dei singoli uomini e delle singole donne il Libro di Rut risulta di particolare efficacia. Come accennato gli interpreti moder-

ni hanno discusso a lungo su quale sia il genere letterario al quale il Libro di Rut appartiene e persino su chi ne debba essere considerata la vera protagonista, se Rut o Noemi. Riguardo alla seconda questione, per il senso che essa può avere in relazione a un testo risalente a oltre duemila anni or sono, l’indicazione di Rut nel titolo del libro dovrebbe essere sufficiente a fugare ogni dubbio in merito alle intenzioni degli estensori e di quanti ne hanno garantito la trasmissione. La ricchezza di tracce del Libro di Rut negli scritti ritrovati nelle grotte di Qunram ha confermato l’importanza che a esso veniva attribuita nella tradizione giudaica antica. Sul genere letterario invece dovremo rimanere nel dubbio, soprattutto per la difficoltà che abbiamo ad applicare a un testo così antico categorie cognitive che ci sono proprie. Contrapporre un testo storico a un racconto edificante è operazione moderna, che confina con lo sforzo di riconoscere appieno le modalità di ricezione da parte degli antichi di testi letterari fondativi come l’Iliade e l’Odissea. All’interno di questo problema si colloca una delle questioni centrali del racconto, ossia la nazionalità non ebraica di Rut. L’eroina viene ripetutamente indicata come moabita, originaria di Moab, una regione confinante con Israele e come si è detto tradizionalmente ostile a esso per motivi che comprendono l’ambito religioso. Nel Deuteronomio, dove vengono fissate le leggi fondamentali del popolo ebraico, nei confronti dei moabiti sono usate parole durissime, almeno in apparenza definitive: «L’Ammonita e il Moabita non entreranno nella comunità del Signore; nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore» (Dt 23,4). Un passo dei Numeri fornisce una spiegazione di questo divieto: «Israele si stabilì a Sittim e il popolo cominciò a trescare con le figlie di Moab. Esse invitarono il popolo ai sacrifici offerti ai loro dei, il popolo mangiò e si prostrò davanti ai loro dei» (Nm 25,1-2). La moabita è dunque nella Torah la straniera che induce al tradimento del Dio di Israele, per la quale non sembra valere l’ammonimento del Deoteronomio «Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto» (Dt 10,19). Uno dei problemi centrali del Libro di Rut, della sua interpretazione e persino della sua da-

tazione, sta dunque in questo: nell’individuazione del messaggio che esso intende comunicare riguardo allo straniero. La questione ha grande importanza nella storia di Israele e delle sue molteplici rifondazioni, fra le quali spicca quella successiva al ritorno dall’esilio babilonese, e ne ha se possibile una ancora maggiore in quella del cristianesimo, quando si posero gli interrogativi relativi al suo rapporto di continuità con l’ebraismo e alla sua possibile apertura nei confronti dei gentili. Quella di Rut è infatti una storia di perfezione collocata al di fuori del retaggio di Israele, che riecheggia la figura di Melchisedek, il sacerdote del Dio altissimo che benedice Abramo nel momento fondativo di Israele stesso, in Genesi 14,17-20. I filologi sottolineano che Rut viene definita con il termine hayil. Si tratta di una parola che ricorre oltre duecento volte nella Bibbia, sempre a indicare la forza e la capacità militare degli uomini. L’unica volta che il termine è associato a una figura femminile è nel Libro di Rut; l’eroina non viene presentata come bella, al contrario a esempio di Ester della quale viene esaltato il fascino; le qualità di Rut sono morali, di determinazione e di fedeltà, di dedizione e questo accresce il suo valore esemplare.

Nella tradizione cristiana si è quindi affermata la considerazione del Libro di Rut come rappresentazione dell’intera storia della salvezza, guidata da Dio ma compiuta con la collaborazione delle donne e degli uomini. Matteo sembra avvertire fin dall’inizio del suo vangelo che a tale opera di salvezza i gentili non partecipano come ultimi arrivati, ospiti di una storia altrui, ma in quanto protagonisti essenziali della sua formazione, attraverso passaggi decisivi. Il progetto di Dio riguarda tutta l’umanità, senza distinzione. L’esistenza stessa di re David e della tradizione che ne discende fino al Cristo dipende dalla fedeltà e dall’abnegazione di una semplice spigolatrice moabita. Davanti a Dio la storia dell’umanità non è quella dei potenti. Le modalità dell’incarnazione di Gesù non sono una novità nel suo modo di considerare donne e uomini, rappresentano piuttosto una conferma della sua attenzione puntuale al destino di ciascuno di noi. Nei nostri presepi non stonerebbe la presenza discreta di Rut la moabita.

Riletture

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La vita al tempo della bicicletta di Leone Piccioni

resso l’editore Longanesi due libri di notevole interesse: una novità e una ristampa. Laura Bosio ci aveva dato nel 2007 un bel romanzo, di tratto drammatico, Le stagioni dell’acqua. Ora in Le notti sembravano di luna, mi sembra che attinga a piene mani a esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autrice, con molto garbo, con bella scrittura, con una dolcezza capace di contrapporsi pur brevemente all’ansia e alla drammaticità degli avvenimenti di ogni giorno. Protagonista una deliziosa bambina, poi adolescente che si chiama Caterina e che di cognome fa Guerra. Guerra come Learco Guerra il grande ciclista italiano, rivale di Binda, negli anni Trenta. E Caterina ha la passione della bicicletta: vorrebbe pensa da bambina partecipare in futuro a un Giro d’Italia. Ha anche la passione delle bambole che veste con divise da corridore. Da notare anche la figura del padre operaio, che ha avuto un incidente sul lavoro, che ogni tanto portava Caterina in fabbrica a rendersi conto della durezza di quel lavoro. E c’è anche la figura della madre, meno evidenziata che però dà un grande dolore a Caterina quando, per un po’ di tempo, aveva abbandonato la casa comune. Passa veloce Caterina in bicicletta, si alza dritta sui pedali, si porge al vento e aumenta più che può la velocità, provando a correre anche senza appoggiare le mani sul manubrio. I cugini erano sempre invitati alle sue esibizioni «mentre Caterina sulla Chiorda d’argento, danzava, volteggiava, pedalando dritta come un pennello senza tenere le mani sul manubrio, mettendo i piedi sul sellino in piena corsa, sedendosi sul cerchione posteriore, persino impennando la ruota anteriore e sollevando la bicicletta a monociclo, più leggera dei corridori che disegnava». Finisce l’infanzia: Caterina non è più una bimba: è una ragazza, una bella ragazza che ha davanti a sé tutta la vita e tanti nuovi pensieri in testa. Comincia un’altra vita: la bicicletta è messa da parte. Di un grande scrittore la ristampa longane-

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Giovanni Comisso siana: (1895- 1969). Longanesi ha il merito di ristampare via via le sue opere. Fervente interventista partecipò alla prima guerra mondiale e poi seguì D’Annunzio nell’impresa di Fiume. A Fiume si svolge la maggior parte di questo libro dal titolo Il porto dell’amore. La sua prima opera narrativa del ’24, ristampata già nel ’28 con il titolo Al vento dell’Adriatico - Il porto dell’amore, ha la prima parte composta da una ventina di racconti assai gratificanti. Certo non è ancora il grande Comisso di La mia casa di

Caterina sulle orme dei grandi corridori nel romanzo di Laura Bosio e l’impresa di Fiume secondo Giovanni Comisso campagna del ’58 o dei Giorni di guerra del ’30. Ma la sua prosa già scintilla. L’impresa di Fiume ebbe un breve risvolto eroico e poi si trasformò in una grande festa con gli arditi che conducevano una vita spensierata, tra donne, notti passate in bianco, gite nei dintorni. Anche da Fiume Comisso con un compagno compie una bella gita sulle coste dei Morlacchi, «contenti che un venticello fosse disceso a promettere di portarci via dalla città di cui oramai eravamo stanchi». Ma ci sono anche momenti di dolore fisico e morale. Una volta «la probabilità di un male demolitore mi si presentava straziante… la carne non mi doleva e la mia situazione non era peggiore di altre già sorpassate, anzi scopersi la possibilità d’una dolcezza incredibile». Ma siamo alla fine dell’avventura: il governo italiano decide di fare attaccare militarmente Fiume dall’esercito e dalle navi da guerra. Ci sono combattimenti, morti: «si voleva cacciarci da quella città che ci apparteneva per averla presa e goduta fino a limiti estremi».


MobyDICK

Teatro

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spettacoli

di Bruno Giurato

È Natale, regaliamoci anche un po’ di stupidità

di Enrica Rosso rendete un giorno qualsiasi - beninteso fino al 22 gennaio - in un orario qualsiasi tra le 15 e le 23. Non importa che età avete, se siete soli, con i figli dei vostri figli, o con gli amici venuti da altre città. Non cambia se fuori piove o nevica o se splende il sole. Andate a cuor leggero e senza preoccuparvi di quanto denaro avete in tasca, tutti sono benvenuti e l’aria di festa assicurata. Dove? Al primo festival di Family Artentainement di Roma Capitale, voluto e promosso dall’Assessore alle Politiche Culturali e del Centro Storico, Dino Gasperini e organizzato da Zètema Progetto Cultura. C’era una volta un tempo per incontrarsi, uno spazio emotivo per stare insieme a raccontarsi e ad ascoltare gli altri, a conoscersi insomma. C’è ora C’era una volta ospitata negli spazi del Macro La Pelanda, non lontano dallo storico monte dei Cocci, un’isola di serenità e bellezza per ricrearsi. Qui l’arte la fa da padrona e vi accoglie con un ricco carnet di proposte intonate al periodo natalizio. Tutto gira intorno alle fiabe: la mostra realizzata con tecniche diverse, pittura, scultura e fotografia da artisti italiani e stranieri; la musica, il cinema di animazione con le creazioni di Luzzati e Gianini e Bozzetto, ma in particolare il teatro. Un palco, appositamente costruito all’interno della Galleria delle Vasche, quanto basta per connotare lo spazio e farlo divenire luogo magico del raccontare: ecco è qui che hanno luogo le proposte teatrali. In anteprima nazionale ci sono da segnalare le letture spettacolarizzate delle Fiabe regionali italiane raccolte e scritte da Italo Calvino e Guido Davico Bonino negli anni Settanta nel volume Le più belle fiabe italiane (Mondadori), un inestimabile tesoro di cultura popolare poco conosciuto. A queste si sommano le letture proposte dalle Biblioteche di Roma a opera dei vo-

bellissimo essere qui. Ed è bellissimo che sia Natale. Perché se fino a stasera alle 20 qualcuno può ancora prendersi il lusso dell’affanno - girare per l’ultimo negozio aperto cercando l’ultima strennina - da domani in poi tutto viene consegnato a una strana calma, tutto rientra nel novero del già fatto. Il tempo è irrimediabilmente scaduto. Qualcuno avrà le campane (financo tibetane), qualcuno avrà delle zampogne: comunque suoni lunghi per un magnifico stop, dove la sveglia, l’ufficio, il capo (o la capa, anche nel senso encefalico o lobotomico) sono impaccati d’oblio. È bellissimo Natale se si sfugge alla macchina, non solo della produttività ma anche del divertimento. Se ci si permette un po’ di stupidità: tipo aver comprato il cd di Michael Bublè e metterlo su facendo finta di credere ai suoni anni Cinquanta, allo swing e naturalmente a Babbo Natale. O tipo mettere su Bocelli e fare finta di credere che canti davvero come un grande lirico. O, meglio di tutti, mettere su Lioness di Amy Winehouse e fare finta che non sia un disco di amabili scarti. Facciamo finta che, quindi, e impacchiamo anche il noioso senso critico. Ci sono altri dischi in offerta: Aqualung dei Jethro Tull, cofanetto per il quarantennale. The Smile Sessions dei Beach Boys, che contiene il dietro le quinte del famoso album dei californiani, quelli di Surfin’ Usa e Good Vibrations. Tre inediti e tutti i classici dei Rem di Michael Stipe sono invece presenti in Part Lies, Part Heart, Part Truth, Part Garbage 1982-2011. Insomma, conta metter su qualcosa di allegro. E dimenticare: cioè un regalo anche un po’ sciocco, mentre il passato si impacca e si butta dalla cima dell’anno. È bellissimo essere qui.

È

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Jazz

zapping

Se il Babau fa

autocoscienza lontari del servizio civile dell’Associazione Cartastraccia, mentre Saverio Deodato proporrà il suo Piccolo Principe da SaintExupéry. Divertimento assicurato con lo spettacolo interattivo I Mentecattori di e con Fabrizio Sabatucci e Francesco Venditti presentato in prima assoluta; protagonisti i custodi di un museo che spendono il tempo smontando le fiabe per giocare con i loro personaggi. I fratelli Accettella, con le loro strepitose marionette, ci introdurranno alle Storie di draghi, invece con lo spettacolo Un disegno da favola scopriremo come nasce una favola dal punto di vista delle immagini grazie a un illustratore infiltrato tra agli attori di Gocce di Arte. Non meno spettacolari per quanto insolite si preannunciano essere le sfide a colpi di pennello che titolano Arte in 12 mosse. Le opere

realizzate durante le performances da alcuni degli artisti presenti verranno messe all’asta e il ricavato sarà destinato all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Il 22 gennaio alle 19 una chiusura «da paura» sarà affidata a Enrico Lo Verso interprete e regista di L’uomo nero racconta di Valeria Arnaldi (curatrice dell’intero festival), ovvero la vera storia di uno dei personaggi meno amati dai bambini che - forse confidandoci le sue paure - avrà finalmente l’occasione di riscattarsi. E ancora un’infinità di laboratori teatrali tematici per grandi e piccini che frutteranno eventi spettacolari, insomma una scorpacciata di creatività per tutti.

C’era una volta…, Macro Testaccio - La Pelanda, Roma, fino al 22 gennaio 2012, ingresso gratuito, info: 06 0608

Sfumature spagnole a Orvieto d’inverno

orse il miglior regalo di Natale per gli appassionati di jazz è quello di passare gli ultimi giorni di questo 2011 a Orvieto dove fra quattro giorni inizierà la 19ma edizione di Umbria Jazz Winter. Non solo la città umbra è splendida, ma sono da visitare le molte decine di borghi dei dintorni, ricchissimi di straordinarie testimonianze storiche e artistiche. Il festival, come da diciannove anni a questa parte, coprirà il periodo 28 dicembre-1° gennaio. E come è ormai consuetudine concerti a ogni ora del giorno fino a tarda notte, ma non solo. Presentazioni di libri, soprattutto sul jazz italiano che ha fatto, in questi ultimi anni, uno straordinario balzo in avanti tanto che i nostri musicisti sono ormai considerati fra i migliori del mondo. A Orvieto dunque avremo modo di riascoltare in situazioni diverse, Paolo Fresu, Danilo Rea, Fabrizio Bosso, Rita Marcotulli, Enzo Pietropaoli, Pietro Tonolo, Tino Tracanna, Attilio Zanchi e due stelle del jazz di sempre Renato Sellani e finalmente Franco Cerri. La Lydian Sound Orchestra, inoltre, ricorderà invece lo storico concerto che Thelonious Monk

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di Adriano Mazzoletti diede alla Town Hall di New York il 28 febbraio 1959. Assenza ingiustificata invece, viste le sue grandi capacità di solista e arrangiatore oltre che di leader, il sassofonista Maurizio Giammarco. Speriamo che il direttore artistico di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta si ravveda e inviti Giammarco a una delle prossime edizioni dei suoi festival. Ma quest’anno Umbria Jazz Winter è dedicato anche a musicisti dell’aerea latino-americana con i tre pianisti Gonzalo Rubalcaba, Michel Camino e Chano Dominguez. Cubano il primo, dominicano il secondo, spagnolo di Cadice, dunque europeo, il terzo. A completare la spanish tinge di questa edizione anche l’argentino, ma ormai romano di adozione, Javier Girotto che ha saputo dare una nuova veste al tango. Molto atteso il duo Michel

Danilo Rea, ospite della 19ma edizione dell’Umbria Jazz Winter prevista a Orvieto dal 28 dicembre al 1° gennaio 2012

Camillo-Danilo Rea, visto lo straordinario successo che ebbero Chick Corea e Stefano Bollani, nella scorsa edizione. Forse Corea e Bollani, come Bollani e Solal sono per temperamento più affini che non Rea e Camillo. L’attesa comunque è grande. Il sapore spagnolo quest’anno pervade un po’ tutto il festival. Anche Fabrizio Bosso e Paolo Fresu si sono lasciati tentare, il primo con il Latin Mood Sextet, il secondo con l’Alborada String Quartet. E poi come di consueto Gospel e Blues e

soprattutto il Jump and Jive dei Good Fellah, per trascorrere in allegria qualche ora. Per chi non avesse la possibilità di recarsi a Orvieto, ecco un piccolo, ma prezioso regalo. Un libricino, a cura di Stefano Zenni, uno dei nostri più qualificati musicologi, Il secolo di Louis Armstrong. Nuovi studi e ricerche nel centenario della nascita 1901-2001 pubblicato da «I quaderni di Jazzit», la rivista di Luciano Vanni. In un formato 15x20, in poco più di 170 pagine, al costo quasi simbolico di 10,00 euro, Zenni ha raccolto scritti di illustri colleghi su argomenti poco noti o inediti dell’opera di uno dei grandi musicisti del Novecento. Fra i molti argomenti trattati, alcuni di grande interesse, «I manoscritti di Louis Armstrong depositati al copyright» di David Chevan, ma anche «Il solismo di Armstrong tra note tenute e ribattute e secondary ragtime: uno zibaldone di ritmi» di Luca Bragaglini oppure «Armstrong compositore: la riscoperta degli inediti». Il jazz si sa, è una musica in continua evoluzione, ma è anche una musica che non si finisce mai di scoprire.


MobyDICK

Narrativa empi di consuntivi e di regalstrenne e libri-oggetto. Non è riprovevole nemmeno tra gli addetti ai lavori sbirciare tra i consigli per i regali utili, tra cui ricadono, bontà loro, anche i libri. Forse anche per non far mancare la nostra voce, o solo per una pigra inconsapevolezza, ecco una sorta di chiusura d’anno che vuole essere di suggerimento ma anche di bilancio. I titoli oggi sono tre e non solo di narrativa. Come prodromo alla lettura di due romanzi recenti si vuole apporre un classico appena ripubblicato che ha percorso tutto il secolo scorso come traccia e sottotraccia degli studi sul romanzo. Garzanti ha infatti appena ripubblicato Aspetti del romanzo di Edward M. Forster, nell’edizione del 1991 con prefazione di Giuseppe Pontiggia. All’approccio tecnico e teorico sulla narratologia così in voga nel Novecento, Forster oppone una lettura riflessiva del perché scrivere romanzi, tipica dello scrittore che avrà epigoni illustri in altri romanzieri da Carver a Kundera. Gli aspetti del romanzo che indaga lo scrittore di Passaggio in India sono legati ai testi dei classici quanto agli elementi sostanziali: vicende e personaggi prima di tutto. Il romanzo ha la sua peculiarità nell’essere «intensamente umano», e proprio su questa umanità senza limiti che esprime la narrazione

libri

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Filosofia

Umanità senza

limiti

Edward M. Forster sostiene che peculiarità del romanzo è l’“intensamente umano”. Come sanno bene Margaret Mazzantini e Valeria Parrella… di Maria Pia Ammirati scegliamo, a chiusura d’anno, due romanzi intensi e densi d’umano, scritti non a caso da due romanziere, perché non si dimentichi che il Duemila si avvia, sul fronte dei consuntivi, a dare una lettura di marcato segno femminile. Margaret Mazzantini pubblica con Einaudi Mare al mattino, un breve romanzo binario centrato, attraverso una voce narrante esterna, su due personaggi. Una storia che affronta con vigore la

Storia contemporanea, e cioè la vicenda libica dalla cacciata degli italiani negli Cinquanta da Tripoli fino alla morte del rais Gheddafi («era quello il delitto d’Ottobre»). La brevità del testo non dà respiro alla storia di Farid e di Vito, due anime verrebbe voglia di dire, che vagano in un testo dove l’elemento primario è l’acqua o meglio il mare. C’è il mare tra la Libia e le prime coste isolane d’Italia, c’è il mare da attraversare per gli italia-

ni che per la prima volta nell’ondata migratoria del ’38 vanno a cercare la fortuna e il lavoro nello sbarco di Tripoli, ancora mare quando «gli assassini italiani» verranno cacciati, e poi c’è il mare di Farid, il mare della morte e dei barconi che lasciano le coste desertiche per il sogno occidentale. Vito è figlio di Angelina, italiana tripolina ammalata d’Africa, Farid è figlio di Jamila e del deserto libico. Farid è destinato al mare, a morire di stenti nella traversata, Vito a proseguire il suo viaggio nel mondo del benessere e dell’orrore. L’umanità di Lettera di dimissioni (Einaudi) di Valeria Parrella è tutta dentro la contemporaneità di un’Italia satura e traboccante, priva ormai di direzioni e di indirizzo morale, chiusa e presa dentro mali e vizi che sfondano nel mal costume. Clelia è l’io narrante di una trasformazione che è mutazione, il passaggio da un’età, nemmeno così lontana, in cui i nonni avevano patito il freddo e la guerra, in cui il dolore era una rappresentazione materiale dell’esistenza, apparteneva alla mancanza. Fino all’oggi dove il dolore è quello profondo dell’instabilità psicologica. Clelia è una donna moderna, si direbbe, cioè risolta economicamente e con un bagaglio sentimentale vario. Una donna che prova l’ebbrezza del cinismo e dello sradicamento per compiere la sua trasformazione che la porterà alla lettera di dimissioni, non certo dimissioni dalla vita ma da una certa vita nella quale Clelia vede che «le cose non si compiono all’improvviso, ma all’improvviso le vedi nel loro intero».

Il pozzo di Talete e l’antagonismo fra vita e pensiero di Maurizio Ciampa o per mestiere mi occupo del fatto che viviamo in tempi pericolosi». Il mestiere è quello dello scrittore, del narratore. Ed è Don DeLillo, certamente uno delle grandi figure della letteratura di questi decenni, l’autore di Underworld, è DeLillo, in un recentissima intervista a La Stampa, a collocare nella pericolosità del nostro tempo il suo impegno letterario. Mi chiedo se anche i pensatori, filosofi, teologi, siano altrettanto capaci di registrare, come sensibili sismografi, le telluriche irrequietezze, le crepe, le lacerazioni o le ansie del tempo. Non sempre è accaduto. Spesso la filosofia si è distratta… Proprio ai suoi inizi, Talete di Mileto cade in un pozzo perché aveva «gli occhi rivolti al cielo», provocando le risa di una giovane che assiste alla scena. Il filosofo Hans Blumenberg, in anni non lontani, ha ragionato su quella caduta e su quelle risa, e cioè sull’antagonismo fra pensiero e vita. E oggi? Che cosa possia-

«I

mo ricavare dalle riflessioni più recenti? Il pensiero va verso la vita o da essa si tiene a distanza? Il libro di Giuseppe Cantarano (I giorni della vita, Editrice San Raffaele, 19,00 euro) si assume il peso di questa domanda. «Se gran parte della filosofia contemporanea si è chiusa in una sterile astrazione - scrive Cantarano -, diventando arida analisi di se stessa, è perché le sue domande non solo hanno rinunciato alla radicalità dell’indagine filosofica. Ma non toccano più la nostra vita. Non la sfiorano. Non la incrociano. Non la scuotono. Non ne indagano i temi essenziali». Una filosofia dunque in letargo, inerte o forse semplicemente intimidita dalla pervasiva affermazione della tecnica, incapace comunque di guardare al fermento della vita, d’interpretarne il movimento, di toccarla appunto. Un grande geografo, un geografo-filosofo come erano i primi geografi, Franco Farinelli, dice che oggi si è aperto un abisso fra il funzionamento del

Breve viaggio in una serie di testi che rispondono alle domande dell’uomo

mondo e la sua spiegazione. Il libro di Giuseppe Cantarano lancia ponti in questo abisso, pronuncia parole dove si estendeva una lastra di silenzio, tornando a esplorare gli antagonismi che segnano il nostro tempo: individuo, società e potere, tecnica e politica, tempo ed eternità, che Cantarano non legge come problemi della filosofia, ma come domande dell’uomo. La filosofia deve raccogliere queste domande, se non vuole precipitare nel pozzo come è accaduto a Talete. Altre domande, e drammatiche, decisive: «Che è successo alla morte? Che cosa è diventata? E che cosa sta succedendo alla vecchiaia, parente prossima della morte? Ma la domanda diviene subito: chi siamo diventati noi?». Sono le domande che troviamo nel libro di Luciano Manicardi, Memoria del limite (pubblicato da Vita e pensiero, 10,00 euro), viaggio di esplorazione in quel territorio ancora abbastanza sconosciuto che è la società post-mortale, dove la denaturalizzazione della morte, grazie alla elaborazione delle tecnologie della vita, sembra avere per effetto la deumanizzazione dell’uomo.

Ma il libro di Luciano Manicardi non è una semplice analisi di nuove modalità sociali. Quella domanda (Chi siamo diventati noi?) è davvero la stella che orienta il suo cammino. Chi è l’uomo senza la morte? E cioè senza il limite che costituisce l’umanità dell’uomo. «Il vivente - dice Manicardi - è tale solo a condizione di essere mortale: muore solo ciò che vive, mentre ciò che non muore, neppure vive». Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore sapiente, dice il Salmo ricordato da Manicardi per indicare il filo sottile che lega la morte al senso. Un filo che percorre anche il libro di Umberto Curi, Via di qua (Bollati Boringhieri, 16,50 euro), esercizio d’apprendimento della morte che percorre l’intera cultura d’Occidente dai greci fino alla modernità e oltre. In più di un punto i due libri, quello di Manicardi e quello di Curi, s’intrecciano. La citazione estratta da Rilke (bisogna imparare a morire, ecco in che cosa consiste tutto il vivere) che Umberto Curi mette a significativo compendio del proprio libro suona molto vicina al Salmo 90 ricordato da Manicardi.


Camera con vista

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Natale regalate un libro». Ripetiamo volentieri anche noi questo spot pubblicitario. Ma il punto è: quale libro? Troppo facile precipitarsi in libreria all’ultimo momento afferrando l’ennesima proposta del marketing editoriale, i soliti primi in classifica, l’ultima riflessione giornalistica sui danni della politica, la mortifera eleborazione preelettorale del deputato o del sindaco, l’inutile ma tanto glamourous manuale di cucina. Facciamo uno sforzo e regaliamo un libro utile, nel senso un grande libro, uno di quei libri che possono davvero cambiare la vita, la testa, il cuore delle persone e che si danno per scontati, già letti, stranoti. Salvo poi entrare in una classe, magari di liceo classico o di un qualsiasi corso di scrittura affollato di laureati a spasso, e scoprire che: «Tolstoj? Chi era costui? Ah, sì, uno che ho letto da piccolo e che ha scritto una storia su una tizia che si buttava sotto a un treno…».

«A

E allora cominciamo proprio da lui, dal più grande fra i grandi. Magari, visto che siamo a Natale, saltando d’un balzo la Karenina e Guerra e pace, per proporre un piccolo non tanto noto titolo, Il vangelo di Tolstoj (Quattroventi edizioni: sarà complicato trovarlo, ma senza un po’ di sacrificio che regalo natalizio è?), autentico manifesto della nonviolenza, annuncio di liberazione non in attesa del mondo soprannaturale, ma molto terrena. È la riflessione, partendo dalle Beatitudini e dal Discorso della montagna, «dalle perle» dei Vangeli cristiani epurati dalle contaminazioni, su un modo diverso di concepire la vita e politica. Un libro durissimo contro il ruolo della Chiesa e le manipolazioni degli Stati, il libro di un uomo, uno scrittore, un pensatore, un essere tormentato, che cerca nel superiore insegnamento di un altro uomo, Gesù Cristo, il segreto di una convivenza umana possibile e degna. Ho l’impressione che, nonostante il parlare che se n’è fatto in relazione a una nuova «rivoluzionaria» traduzione, quella di Renata Colorni che ha svolto un lavoro certosino di precisione fino a cambiare il titolo dell’opera monumento di Thomas Mann, La montagna magica (Meridiani Mondadori), ho proprio l’impressione, dicevo, che pochi si siano applicati a leggere o rileggere questo capolavoro della letteratura mondiale. Qualcuno (io fra questi) pur accettando le spiegazioni inoppugnabili di Colorni sui cambiamenti, si sarà addolorato a dover dire addio a quel titolo tanto musicale e fascinoso (La montagna incantata), i più fortunati che sanno il tedesco la leggano assolutamente in originale. Gli altri, se non vogliono spendere tanto, riusciranno a trovarla ancora (per esempio in Internet: ho controllato) nella vecchia dignitosissima edizione (traduzione di Ervino Pocar) Corbaccio. Ma insomma regalate (soprattutto ai giovani) questo romanzo epocale in cui il protagonista Hans Castorp, nel protet-

MobyDICK

ai confini della realtà

Le Beatitudini secondo

Tolstoj

di Sandra Petrignani to universo di un sanatorio fra le montagne, passa attraverso varie iniziazioni per trovare un suo (precario) equilibrio. Ve lo spiego con le stesse parole di Mann, quando nel ’39, andò a raccontare la sua opera agli studenti di Princeton: «Fate il favore di leggere il libro sotto questo angolo di visuale: troverete al-

ganno, Adelphi ripubblica in un unico volume curato da Luigi Reitani, i cinque romanzi autobiografici dell’austriaco Thomas Bernhard, tutti relativi alla giovinezza e pubblicati in anni diversi: L’origine (Un accenno) del 1975, La cantina (Una via di scampo) del ‘76, Il respiro (Una decisione) del ‘78, Il freddo (Una

Sfuggendo al marketing editoriale, si raccomanda, per il regalo dell’ultimo minuto, di andare sul classico. Che in termini di libri, vuol dire un testo capace di cambiarti la vita, la testa e il cuore. Tre nomi per tutti: quello del grande russo, Thomas Mann e Thomas Berhard

lora che cosa sia il Graal, il sapere, l’iniziazione, quel “supremo” che non solo l’ingenuo protagonista, ma anche il libro stesso va cercando». Anche con meno ambizioni lo si può leggere semplicemente per farsi attraversare per sempre dalla potenza di certe immagini: una per tutte, l’ingresso nella sala da pranzo del sanatorio di madame Chauchat, la seduttiva signora che strega Castorp, ogni volta lasciando che la porta a vetri sbatta dietro di lei a sottolineare il suo arrivo. Quello sbattere, come una musica grandiosa, risuonerà indelebile nelle vostre teste rendendo comprensibile, senza bisogno di spiegazione alcuna, cosa sia la grande letteratura. Col titolo Autobiografia che può trarre in in-

segregazione) dell’81, Un bambino dell’82. Cito quest’opera per l’attualità della ristampa, ma di un autore come Bernhard si può leggere qualsiasi libro senza pericolo di sbagliare. È identico a se stesso sempre, la potenza della sua voce inesorabile (come la mancanza di a capo e di capitoli), il respiro avvolgente del suo dire senza pause, la visione della vita e dell’uomo che illumina il buio, e solo quello, l’«ombra» junghiana insomma, odio, rancore, senso di umiliazione e sarcasmo che mai alleggerisce la tensione, ma di più la scandisce e precisa, ne fanno un autore unico e gigante, meravigliosamente letterario eppure impastato di verità assoluta. Eppure è lui il primo ad avvertire (nella Cantina): «Per tutta la vi-

ta ho sempre voluto dire la verità, anche se ora so che erano menzogne».

Farò un’unica deroga al principio che mi sono data di andare sul classico, per così dire, per segnalarvi il libro di un autore italiano, Osvaldo Guerrieri, dedicato a una città,Torino, attraverso i suoi illustri abitanti. Infatti il volume s’intitola I (Neri torinesi Pozza) ed è una galleria di personaggi, da Cavour a Macario, da Francesco Cirio a Helenchen König (la inventrice della bambolina Lenci), da Gianni Agnelli al magico Gustavo Adolfo Rol, all’oscuro fenomenale barone Marcel Bich a tantissimi altri. Tanti racconti leggeri e sorprendenti su glorie nazionali che abbiamo in tanti casi colpevolmente dimenticato e che ricostruiscono la storia di una città e in parte di tutta l’Italia. Anzi, ci sono pagine in questo libro che aiutano concretamente a capire da dove veniamo e che cosa possiamo forse tornare a essere. Voglio citare l’autore che traccia il ritratto di un suo personaggio: «Bich è stato l’uomo che ha rivoluzionato il XX secolo in silenzio, senza enfasi, tenendo lontani i giornalisti, i banchieri, i tecnocrati, i quali, ciascuno a proprio modo, avrebbero voluto ficcare il naso e allungare le mani su quel laboratorio di Clichy, appena fuori Parigi, dove fu creata la penna che ha cambiato il modo di scrivere dell’umanità e, successivamente, il rasoio e l’accendino che avevano nella formula “usa e getta”la propria irrinunciabile caratteristica». Peccato che fosse emigrato in Francia!


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g Una provocazione: scegliere tra assegno mensile o rimborso di tutti i contributi I GIOVANI E LA POLITICA La politica, da sempre, tende ad aggiornarsi, ammodernarsi e, così facendo, cerca di tenere il passo con le nuove generazioni. Basti pensare ad alcune personalità dell’età classica come Cicerone e Seneca. Il primo iniziò a 16 anni a servire lo Stato durante la guerra sociale; a 25 intraprese la professione forense; a 30 anni si vide eletto come questore della città di Lilibeo (l’odierna Marsala). Il secondo appoggiò e guidò l’ascesa e il governo di Nerone, divenuto imperatore a 14 anni. Se vogliamo guardare a personalità più vicine a noi, basti pensare che Alcide De Gasperi, a soli 30 anni, fu eletto al parlamento austriaco tra le file del Partito popolare trentino. Questi esempi dimostrano che la politica deve coinvolgere le nuove generazioni. La cultura politica, si suole sentir dire, mal si coniuga con la cultura giovanile dei nostri tempi. Nulla di più falso fu detto: infatti, specie negli ultimi vent’anni, la decadenza di una politica non più tale ha portato molti giovani a schierarsi con alcune forze, per poter dare testimonianza a chi sta fuori e a chi sta dentro alla dialettica politica. A chi sta dentro si vuole testimoniare fiducia ed impegno: impegno dimostrato anche dalle attività svolte sul territorio concretamente, con o senza associazioni particolari, quali, ad esempio, i Circoli Liberal, Fuci ed Azione Cattolica. A chi sta fuori si testimonia l’integrità e la sincera cooperazione per il miglioramento della realtà sociale. L’attività svolta dai giovani in politica è una pietra miliare: ragazzi appassionati, interessati ed attivi sono la linfa vitale di un rinnovamento, anche generazionale, fin troppo agognato. Ed il fatto che, in molti partiti e molte associazioni politicoculturali e cattoliche attive sul territorio, aumentino i tesseramenti di giovani al di sotto dei 30 anni, è la prova concreta dell’interesse delle nuove generazioni per la politica nel senso più puro del termine: interesse e cura della società. E guai alle classe politica, onde reiterasse quello stereotipo vergognoso di politica sterile, che la fa apparire come casta intoccabile ed inviolabile e che, quindi, allontana i giovani e il cittadino dalla politica. La politica, scriveva De Gasperi, è una missione, la nostra missione! E nessuno può riuscire nelle missioni se mancano le forze giovani, sincere ed autentiche. Riccardo Galioto COORDINATORE NAZIONALE GIOVANI CIRCOLI LIBERAL

Date una pensione ai giovani È un fatto che oggi molti giovani si sentano truffati dallo Stato a causa del sistema pensionistico. Questo perché, calcoli alla mano, si sono resi conto con sbigottimento che una volta andati in pensione – se mai ci andranno – riceveranno indietro molto meno di quanto hanno versato, per effetto del meccanismo di calcolo contributivo e della tarda età a cui verrà loro concesso di mettersi a riposo. In breve: hanno capito di essere stati raggirati. Chi investirebbe 100 con la certezza di riavere indietro 80 o anche meno? La verità è che, per le giovani generazioni, quelli che vengono definiti “contributi previdenziali” altro non sono che tasse mascherate (non così per chi è andato in pensione col retributivo: nel suo caso il versamento dei contributi ha rappresentato un investimento più che fruttifero). Tutto questo è profondamente immorale. Se volessimo agire davvero secondo giustizia, dovremmo restituire alle nuove generazioni ciò che è stato loro sottratto: la verità e il futuro. E per prima cosa dovremmo offrire loro la possibilità di scegliere il proprio destino, introducendo un nuovo sistema previdenziale che consenta, raggiunta l’età pensionabile, di “aderire” o “non aderire” al trattamento pensionistico. Chi opterà per la seconda soluzione rinuncerà a ogni forma di pensione ottenendo in cambio la restituzione dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa, ovviamente rivalutati e comprensivi degli interessi maturati: proprio come se si fosse trattato di un prestito concesso allo Stato. Questa sarebbe vera equità: offrire una libera scelta tra un sistema pensionistico in molti casi non più vantaggioso e la piena disponibilità dei propri diritti. Proviamo ora a

CONTRO LA CHIESA ACCUSE INGIUSTE La campagna sull’Ici contro la Chiesa cattolica è solo un pretesto per portare avanti interessi di parte. Oggi ci sono interessi molto forti di gruppi economici, soprattutto nel settore dell’assistenza e della sanità, che non vogliono concorrenti caratterizzati da un modo di fare diverso da quello del lucro. Per conquistare un mercato si sta facendo un’operazione culturale con il risultato di portare la gente comune a pensare che la vera lobby sia la Chiesa.

Gianluca Tripodi

PRIMA LE BANCHE, POI LE PERSONE? Pare che la Banca centrale europea ha erogato alle banche commerciali 489 miliardi a tre anni, con un tasso di interesse pari all’1%. Ciò significherebbe la salvezza per molte di queste che erano nell’incipiente difficoltà di disporre di liquidi, ma

immaginare cosa potrebbe accadere a chi decidesse di rinunciare alla pensione. Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che il signor X abbia versato in 40 anni lavorativi 10.000 euro di contributi l’anno, per un totale di 400.000 euro. Con questi soldi, rivalutati e fruttiferi, egli potrebbe per esempio acquistare degli immobili, darli in locazione e in tal modo assicurarsi la sua “pensione”; senza contare il valore dei suddetti immobili, di cui si ritroverebbe proprietario e che lascerebbe in eredità ai figli, se ne avrà. Monti, o i futuri governi, saranno chiamati inevitabilmente a confrontarsi di nuovo con la questione delle pensioni, perché allo stato attuale nulla è stato risolto, salvo introdurre dei palliativi. Anche perché non potrà reggere a lungo la bugia che oggi va di moda raccontare, ossia quella secondo la quale sarebbero i nonni o i padri, con le loro pensioni, a contribuire al mantenimento di tutti quei giovani il cui reddito – quando hanno la fortuna di averlo – consente loro a malapena di sopravvivere. In questo caso la verità non è stata storpiata ma addirittura capovolta. Basta domandarsi: chi paga le pensioni dei nonni e dei padri? La risposta è fin troppo ovvia. No, io non credo che si arriverà tanto presto a una riforma pensionistica veramente equa, che consideri anche le ragioni delle nuove generazioni e di quelle future: non perché non vi siano soluzioni praticabili, del tipo di quella da me avanzata, ma perché sarebbero soluzioni erosive dei privilegi esistenti, “troppo” giuste. E questo non è un paese giusto. Non è un paese per giovani.

Gianluca Barbera

anche l’onere di rientrare nel tempo prefissato, per evitare ulteriori indebitamenti che poi aggraverebbero la crisi. Tre anni per risolvere i problemi delle banche con i sacrifici dei cittadini che si troveranno restrizioni per mutui, conti correnti, finanziamenti e fondi: ce la faremo?

Bruno Russo

TASSE E INDIFFERENZA PER I PADRI SEPARATI La manovra Monti prevede la detrazione Imu sulla prima casa (da 200 fino a 400 euro). L’aumento della detrazione è di 50 euro per ogni figlio residente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Ciò non riguarda i padri separati (come se non fossero padri) dato che la legge 54/2006 non prevede, in caso di divorzio, la doppia residenza dei figli (come se non fossero figli). L’Istat però dice che nel 90 per cento

L’IMMAGINE

REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)

CHI HA DI PIÙ, DIA DI PIÙ Senza demagogia. Aiutiamo i più deboli. Il governo deve fare la sua parte: chi ha di più, deve dare di più. Altrimenti non ce la facciamo, altrimenti non ci sono né pace né giustizia. La nostra cultura per crescere ha bisogno di azioni limpide, chiare ed eque. In modo tale che tutti possiamo riprendere ad avere fiducia.

IL BENESSERE PSICOLOGICO DEI PAZIENTI ONCOLOGICI

VENERDÌ 27 - ORE 11 - ROMA PALAZZO FERRAJOLI Consiglio Nazionale Circoli Liberal

VINCENZO INVERSO COORDINATORE NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Antonio Santoro

Gianni Giusti

APPUNTAMENTI GENNAIO

BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO

dei casi sono i padri separati che devono lasciare la casa famigliare (sui cui pagano il mutuo, o addirittura di eredità!), e devono trovarsi una nuova dimora. Dunque, dopo il dramma la beffa. Certo 100 euro non sono la fine del mondo e sono poca cosa rispetto ai 200mila della casa forzosamente requisita e donata alla ex o ai 500-600 al mese in assegni (che vorresti sostituire con la tua presenza, ma ciò non è concesso). Insomma era tanto per far capire quello che la società oggi ci riserva: bastonate e indifferenza. Ci auguriamo venga presto il giorno in cui si accorgeranno di noi padri separtati e soprattutto dei nostri figli.

Il motore di Babbo Natale Da quando, nel dicembre del 1823, furono menzionate come aiutanti di Santa Claus in un’anonima poesia The night before Christmas pubblicata su un quotidiano statunitense, le renne sono considerate il “motore” della slitta di Babbo Natale. E non a caso. Secondo gli esperti, questi mammiferi possono percorrere oltre 5mila chilometri in un anno, raggiungendo anche 80 chilometri all’ora di velocità

Scoprire di avere un tumore, cambia radicalmente e improvvisamente la vita delle persone. La psiche si modifica e deve comunque convivere con un estraneo che accetta e cerca di combattere oppure rifiuta. Di conseguenza si modificano i rapporti con la famiglia perché un male così inevitabilmente, rende più fragili psicologicamente. Il lavoro può diventare un grande alleato che distrae, entusiasma, stimola ed aiuta a combattere la malattia, altre volte può rappresentare un peso insormontabile. Ecco allora che un supporto per la mente e l’anima è più che mai necessario. Deve entrare in campo la psicoterapia o la psico-oncologia, per permettere ai pazienti di confrontarsi sulla loro nuova vita con esperti nel settore. Bisognerebbe istituzionalizzare in ogni ospedale un servizio di psico-oncologia. Sarebbe importante come lo sono le terapie mediche.

Alessandro Bovicelli


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sangue a Damasco

I due ordigni sono esplosi a poche ore dall’arrivo degli osservatori della Lega Araba La tv di Stato: opera di Al Qaeda. Sul web i dubbi degli attivisti (e non solo)

Siria, è l’ora delle bombe Duplice attentato kamikaze nella capitale contro le sedi dei servizi di sicurezza. Almeno 40 morti di Antonio Picasso morti sono stati oltre una quarantina. Per i feriti si è superata la centinaia. L’obiettivo era una delle sedi centrali dell’intelligence siriana a Damasco. Gli attentatori sembra che siano morti con l’esplosione. Subito sono scattate le manette per una persona sospetta. La dinamica dei fatti porterebbe a dare ragione al governo siriano, che in qualità di vittima, ha dichiarato essere stato colpito da un gruppo terroristico affiliato ad al-Qaeda. Tuttavia, sono altrettanto immediate le obiezioni che si possono avanzare a questa accusa. Quanti, nel corso di quest’anno di rivoluzioni nel mondo arabo, sono stati gli attacchi riconducibili al terrorismo jihadista? E quante le volte che i regimi hanno sbandierato questo spauracchio a mo’ di vittime di un fenomeno molto più popolare e non elitario com’è, invece, al-Qaeda?

I

le agenzie siriane vicine al presidente Assad sostenevano che gli attentatori fossero di origine libanese: salafiti scappati dai campi profughi di Tiro o Sidone. Questi, dopo aver varcato confini strutturalmente precari e oggi in pratica senza controllo,

avrebbero approfittato del caos generale per colpire al cuore il regime. Un episodio simile è già capitato. Era il 27 settembre 2008, quanto Fatah al-Islam colpì una moschea sciita nella capitale siriana, uccidendo così 17 fedeli. Il gruppo palestinese,

Il Libero Esercito Siriano, organizzazione militare dove sono confluiti i soldati disertori in lotta contro il presidente Bashar, ha fatto sapere di essere estraneo agli attentati

di impronta jihadista, ha sempre dato filo da torcere a tutti i suoi avversari, dalle forze armate libanesi ad Hamas. A questo punto, se il Paese coinvolto nell’attacco di ieri non fosse la Siria, potremmo davvero prendere per buona questa prima analisi. Fatah al-Islam avrebbe sapientemente sfruttato la crisi, mostrando le sue note qualità di destabilizzazione. Peccato che, a Damasco, quando la mano sinistra del partito Baath è in azione, quella destra ne è totalmente all’oscuro.

Può essere che faccia altrettanto, oppure che stia manovrando per fermarla. Il regno degli Assad laico – ma molto opportunista in materia religiosa – è sempre stato un coacervo di imperscrutabili sotterfugi, inganni e cospirazioni. Non a caso ieri, proprio mentre si leggeva delle teorie governative sulla responsabilità di al-Qaeda, Abdelkarim Al Rihawi, responsabile della Lega per i diritti umani nel Paese, intervistato dalla Cnn, sosteneva che tra le vittime vi fossero molti uomini al momento agli arresti perché oppositori politici. Una parola va poi spesa sull’obiettivo colpito: la sede di una delle agenzie di intelligence più

Dove prima c’era bin Laden oggi si riunisce una pletora di suoi delfini, tutti avidi di quella poltrona lasciata vuota. Possibile che, nel mezzo di un interregno, si riesca a colpire uno dei Paesi più a tenuta stagna di tutto il Medioriente? Almeno così era la Siria fino a pochi mesi fa. Ieri,

efficienti al mondo. Quale genio o fortunato shahid potrebbe sognare di arrivare in auto di fronte a un quartier generale così succulento, parcheggiare la propria auto imbottita di esplosivo e poi schiacciare il detonatore? Per inciso: le auto erano due. Nessuna perquisizione, parcheggio immediato e due esplosioni andate entrambe a segno. Uno po’ troppo per la semplice fortuna. Nel frattempo, il Libero esercito siriano, organizzazione che riunisce il sempre crescente numero di disertori dalle forze filo presidenziali, si è dichiarato estraneo ai fatti. Da altre parti, giungeva il mormorio sull’eventualità che siano state proprio le barbe finte del presidente a organizzare l’attacco. Un po’ per

Fuggita a maggio a Londra con i tre figli e il tesoro di famiglia, la ex paladina dei diritti umani non spende una parola per il suo Paese

Il silenzio di Asma, la first lady del deserto è un personaggio chiave, in questa triste vicenda siriana, di cui non si parla mai. E che cerca di scivolare nell’oblio ed essere dimenticato. È Asma al-Assad, la first lady siriana. La donna che nemmeno due anni fa annunciava in una conferenza pubblica a Damasco (evento impensabile solo cinque anni fa) di volere più Ong sul suolo siriano e un maggiore coinvolgimento della società civile nella vita pubblica. E che invece a Maggio è “scappata” in Gran Bretagna assieme ai tre figli avuti da Bashar e, si dice, con il tesoro di fa-

C’

di Luisa Arezzo miglia. L’unico squarcio su questo esilio è opera di un giornalista dell’Independent, che meno di un mese fa è riuscito a farle

glia di Fawaz Akhras, noto cardiologo siriano e di un’impiegata del consolato inglese ad Homs, una doppia laurea in

Classe 1975, figlia di un cardiologo siriano, ha una doppia laurea in informatica e letteratura francese, e un’altra honoris causa in archeologia alcune domande sui massacri in corso nel suo Paese, non ottendo alcuna risposta ma solo uno sguardo gelido e - questo il commento dell’intervistatore - «come paralizzato». Classe 1975, fi-

informatica e letteratura francese, una honoris causa in archeologia, ma dal 1997 al 2001 alla Deutsche Bank e alla J.P. Morgan, ha sempre voluto essere una vera first lady. Con un ruolo

vero, insomma, e non solo da regal consorte.

D’altronde, il suo matrimonio aveva suscitato non poco scalpore. Erano ancora i tempi in cui le folle siriane acclamavano il presidente (asceso alla guida del Paese dopo la morte del fratello Bassel in un incidente d’auto) con slogan di questo tipo: «Bashar, ti diamo la nostra anima e il nostro sangue! C’è un solo Dio e Assad è il suo amore». Tempi in cui “il dottorino” (Bashar voleva diventare un oculi-

sta) aveva deciso di proclamare una nuova stagione di riforme economiche e cambiamenti per il paese. Persino Bush Junior nutriva speranze in quell’uomo dall’aspetto composto, ma moderno, che aveva convinto tutti di poter trascinare la Siria in una nuova era, chiudendo con il governo monopartitico dei Baath. Il matrimonio con la bellissima Asma, di religione sunnita, osteggiato però dalla sorella e dalla madre di Bashar e rivelato al pubblico solamente dopo le nozze, sembrava confermarlo. «Bashar al-Assad si sposava fuori dal clan. Affron-


sangue a Damasco Sono almeno quaranta le vittime e più di cento i feriti del duplice attentato che ha colpito le sedi dei servizi di sicurezza siriani a Damasco. Lo ha riferito la tv siriana Dunia, che ha già annunciato l’arresto di una persona sospettata di aver preso parte all’attacco. La tv di Stato siriana, finora l’unica fonte di informazione sulla strage, afferma che uno dei kamikaze alla guida dell’autobomba ha colpito l’ingresso esterno della sede della Sicurezza dello Stato. Sotto, Asma al-Assad, la first lady siriana, che da maggio si è rifugiata in Gran Bretagna eliminare un numero consistente di manifestanti, un po’ anche per passare come vittime agli occhi della comunità internazionale. Un attentato con effetto napalm insomma, perpetrato per sfrondare le strade e liberale dei quei fastidiosi manifestanti che insistono a berciare contro il presidente, da oltre otto mesi e che, pur con cinquemila morti nelle repressioni, non demordono. Assad, o chi per lui, potrebbe aver pensato: «Proviamo a tenerli in casa facendo loro credere che c’è al-Qaeda».Terrorismo sì, ma psicologico. Ecco allora che trova ossigeno la considerazione avanzata dall’Unione dei coordinamenti in Italia per il sostegno della rivoluzione siriana. I rappresentanti dell’opposizione al Baath ricordano come, ne-

tava l’opposizione nello scegliere Asma, perchè lei era sunnita e lui alawita», spiegava il biografo ufficiale della famiglia presidenziale. E lei, definita da Vogue «La Rosa del deserto» per la sua eleganza e bellezza, aveva subito fondato Firdos, il Fondo per lo sviluppo rurale integrato della Siria, di fatto la prima Ong siriana per lo sviluppo agrario. Poi è arrivata la Primavera araba: partita dalla Tunisia si è estesa in Siria nell’arco di poche settimane.

E lei è rimasta a fianco del marito, senza prendere posizione nei confronti dei manifestanti, senza mai tentare di fermare almeno pubblicamente - il bagno di sangue. Fino al giorno della sua partenza per la Gran Bretagna con i tre figli avuti da Bashar (essendo nata in Inghilterra, Asma ha la doppia cittadi-

Le esplosioni «sono state progettate dal regime, proprio come sostenuto dal Consiglio nazionale siriano» ha detto l’ex primo ministro libanese Saad Hariri sulla sua pagina Twitter gli ultimi giorni, dall’Iraq alla Siria siano stati registrati numerosi ingressi di persone sospette. Si pensa affiliati all’organizzazione sciita di Muqtada al-Sadr, quella che già aveva sconvolto i piani degli Usa a Bagdad. Sadr è, si sa, uno stipendiato dell’Iran. In tal senso il teorema sarebbe: Teheran supporta Damasco, con un attentato a firma sciita irachena. Nel frattempo vi si insinua pure Hezbollah. Ieri la prima a dare la notizia dell’attacco è stata al-Manar l’emittente del

Partito di Dio, basata a Beirut. Così facendo, la filiera di responsabilità si allunga a tal punto che è impossibile ricondurla a un unico soggetto.

Tutti colpevoli, nessuno punibile. O meglio, il capro espiatorio è la più estranea alla vicenda: alQaeda. Non è poi una coincidenza il sopraggiungere giovedì dei primi nove rappresentanti della Lega arava, inviati nel Paese per osservare la situazione politica. In un contesto di sicurezza im-

provvisamente collassato, è più facile giustificare misure preventive anti-liberali. La Lega araba è entrata in un Paese minato. Non le era necessario mandare i suoi missi dominici per constatare che c’è una guerra civile in corso. Decine, centinaia di video girati con i telefonini e caricati in rete documentano la tragica contabilità di morte della repressione. A Damasco, d’altra parte, serviva un motivo attendibile, onde evitare l’accusa di crimini contro l’umanità. Quale soluzione migliore – e più sbrigativa – se non un attentato per placare qualsiasi polemica? Insomma, l’ipotesi che l’esplosivo sia arrivato dall’Iran ha anch’essa una sua motivazione. È comunque paradossale come,

nanza). Che poteva anche essere vista come una fuga, se non fosse per quel patrimonio di svariati miliardi che sembra essersi portata con sé. E a quel punto la scelta del silenzio, come se tutte le affermazioni fatte sulla libertà fino a quel momento altro non fossero che vuote menzogne. Uno specchietto per le allodole occidentali, più che una vera apertura alla democrazia. «Le ho chiesto cosa ne pensasse delle migliaia di morti voluti dal regime in Siria, il suo paese - ha scritto Alastair Beach nel suo articolo - e ordinati da suo marito. Dei terribili massacri, della situazione negli ospedali, delle torture inflitte anche ai bambini. Ma lei non mi ha risposto. Anzi mi ha guardato gelida come se la cosa non la riguardasse». «Era come se le stessero raccontando una storia normale, ordinaria», ha dichiarato un

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proprio con la smobilitazione degli ultimi Gi statunitensi, il quadrante iracheno stia tornando caldo. Dovremo rimpiangere l’exit strategy di Obama e chiedere al Pentagono di fare inversione a U? Non è da escludere. Del resto, quel che sta succedendo a tra Bagdad, Kurdistan e altre aree interne della regione è ignoto ai più. Ora che l’attenzione è tutta sulla Siria – cosa ottima per la scenografia di un attentato – in molti ne approfittano per risolvere annose questioni. Vedi il caso di Ankara che, ancora prima di detronizzare Assad – come farà per desiderio di Nato e mondo arabo – sta decimando il Pkk. Oppure la strada irachena si trasforma in un agevole transito per aiutare il Baath, dall’Iran in particolare e dalla nebulosa sciita in generale.

È Teheran una delle due roccaforti diplomatiche su cui la Siria può fare ancora affidamento. La seconda è Mosca. Entrambe, tuttavia hanno i loro problemi domestici – scriveva ieri Foreign Affairs – il che può costringere Assad a sbrigarsela da solo. Un’ultima chiosa sulla Turchia – solo perché l’attentato offre lo spazio per un’analisi di maggiore respiro – la nuova crisi con la Francia per la questione genocidio degli armeni non semplifica le cose. Ad Ankara serve il placet della Nato per fare il lavoro sporco in Siria. E se ieri l’ambasciatore turco a Parigi è stato richiamato a casa, significa che a scricchiolare è tutta l’Alleanza atlantica, non solo i rapporti franco-anatolici. Dopo la Libia e tutta la primavera araba, evidentemente a Bruxelles non sanno che pesci pigliare. E forse nemmeno a Washington. Ankara ha le idee chiare, ma le può mettere in pratica solo previo consenso unanime. Se manca questo, la Siria resta abbandonata a se stessa: con la sua guerra civile e gli attentati di non molto chiara origine. anonimo testimone del breve colloquio.

Per il direttore del Council of Arab- British Understanding la sua freddezza ha una ragione: «Qualunque sia la sua visione delle cose, è completamente paralizzata. Non c’è nessuna possibilità che il regime possa autorizzarla a dar spazio alla voce dei dissidenti. Potete scordarvelo». Ma Asma al-Assad non è una donna qualunque, non è una first lady bella e muta. ha sempre parlato, si è sempre spesa per la giustizia e la libertà. Dunque sta anche lei tradendo il suo popolo? Oppure sta cercando solo di salvare i suoi figli, come alcuni insinuano, o restare a fianco di suo marito? Nessuno può dirlo con certezza. ma oggi i manifestanti la odiano. Perché sulla sua incapacità di agire pesano oltre cinquemila vittime.


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sangue a Damasco

Parla Dennis Ross decano della diplomazia Usa in Asia e Medioriente ed ex consigliere di Obama (che ha abbandonato)

«Il dopo Assad è già iniziato»

Il Cns è la futura guida del Paese. E i sauditi sperano nel contagio dell’Iran di Bernard Gwertzman on una violenza che cresce e che ha fin qui causato più di 5mila vittime in Siria, è «quasi inevitabile» che il regime del presidente Bashar al Assad crolli. Lo afferma Dennis Ross, già consigliere esperto per il Medioriente del presidente Obama. «Quando un regime dipende esclusivamente dalla coercizione, sai anche che non potrà durare a lungo», ha affermato Ross. La migliore speranza per il Paese risiede nel movimento d’opposizione guidato dal Consiglio nazionale siriano che, secondo l’esperto Usa, sarebbe aperto e non settario.Anche se i siriani hanno accettato la proposta della Lega araba di inviare degli osservatori nel Paese, la strage continua.

C

Sembra incredibile che più di 5mila persone siano state uccise nei nove mesi dall’inizio della rivolta. Ma quanto è importante la Siria per l’evoluzione di tutto il Medioriente? «Occorre guardare le cose da prospettive molto differenti. In primo luogo, se si guarda solo a quello che è stato definito come il Risveglio arabo, vedi un leader (Bashar al Assad) che di fronte al desiderio della gente di un cambiamento pacifico, decide che la risposta giusta sia quella di metter in piedi una sorta “macchina di morte”, per citare la definizione del re saudita. Ciò che vediamo è qualcuno che resiste al cambiamento e si è preparato ad usare ogni mezzo a disposizione per fare strage dei propri concittadini. Per non cambiare. È la misura di quanto sia mutata questa regione, tanto da far votare le sanzioni alla Lega araba». L’ha sorpresa l’intervento della Lega araba? È qualcosa che sarebbe stato semplicemente impensabile, anche solo un anno fa, ed è un altro segnale della nuova realtà dell’area. Era impossibile per i membri della Lega restare a guardare – senza far nulla – il regime siriano ammazzare la propria gente, nella maniera in cui lo stava facendo. Il primo punto è inserire la vicenda all’interno del contesto del Risveglio arabo. Per ciò che riguarda il comportamento di un regime che vuole resistere e per le reazioni del contesto regionale che non può assistere passivamente agli eventi». Pare che l’Iran sia molto preoccupato per il destino della Siria, il miglior alleato arabo di Teheran. È vero? «Non c’è dubbio che gli iraniani considerino la Siria come un alleato strategico, un canale e un veicolo per la fornitura di armi ad Hezbollah in Libano. Ciò che accade in Siria è fondamentale per gli equilibri di potere generali di tutta la regione in relazione all’Iran. Ecco

perché gli iraniani hanno fatto tutto il possibile per sostenere il regime di Damasco, nel tentativo di resistere. E spiega anche perché l’Iran sia così screditato nella regione in questo momento. Non è solo fuori sintonia con tutto ciò che sta accadendo nella regione, nel suo insieme, dal momento che la gente ha alzato la testa e la voce, pone delle domande e vuole essere ascoltata. L’Iran ovviamente non ha interesse a dare voce ai propri cittadini, ma è anche assolutamente determinato a cercare di mantenere al potere il regime di Damasco che serve gli interessi iraniani, anche se è così distruttivo per quelli del popolo siriano». Il Consiglio per la cooperazione dei paesi del Golfo ha trovato unità sulla vicenda siriana e ha espresso preoccupazione sull’Iran. Direi che siano i sauditi a spingere in questa direzione, perché si sentono minacciati da Teheran, giusto? Sì. Ci sono due aspetti di questa vicenda.Teniamo presente che la repressione più dura del regime siriano è avvenuta durante il Ramadan. Per i sauditi, in particolare, stare in disparte e non far sentire la propria voce, mentre il regime siriano combinava tutto ciò durante il sacro digiuno era semplicemente impensabile. È in quell’occasione che il Re Abdullah usò il termine di“macchina di morte”per descrivere ciò che stava accadendo. È lo stesso regime che acuendo le divisioni settarie è sempre di più responsabile per il conflitto interconfessionale. Quando il regime di Assad cadrà Comunicazione di avvenuto rilascio Autorizzazione Unica n.191 del 11.07.2011

Si comunica che la REGIONE PUGLIA Servizio Energia, Reti ed Infrastrutture Materiali per lo Sviluppo,ha rilasciato alla società Margherita srl l’Autorizzazione Unica alla costruzione ed all’esercizio di un impianto fotovoltaico della potenza di 9,987 MW,delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili alla costruzione dell’impianto stesso,da realizzarsi nel Comune di Candela(FG) in località “Giardino”,ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n.387/2003. Margherita srl

«La violenza aumenta perché il regime ha dichiarato guerra al suo popolo». E questo, dopo un primo periodo di risposta pacifica, comincia ad armarsi sempre più – sembra inevitabile che succeda – sarà un grosso danno per l’Iran. I sauditi e gli altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo vedono la situazione attraverso questa lente». Abbiamo un’idea su chi succederà ad Assad? «Questo è un regime che contava esclusivamente sulla forza e non potrà durare a lungo. Ma rispondo alla sua domanda su chi verrà dopo. Se si guarda al Consiglio nazionale siriano (Cns) e ai comitati di coordinamento locale, si vede che rappresentano una sezione trasversale della società siriana. Il fatto interessante dell’opposizione è che non è settaria.Assad sta cercando di dare un’immagine dell’opposizione contraria, che in realtà è quella del regime che sta soffiando sulle divisioni confessionali ed etniche ed è sempre più responsabile del conflitto interno». Quando si sono verificate le prime dimostrazioni in Si-

ria, a Daraa lo scorso marzo, molti esperti della regione pensarono che Assad avrebbe compiuto alcune riforme e le cose sarebbero tornate alla calma poco dopo. Perché ha scelto invece la linea dura? «Il grande paradosso sta nel fatto che lui si è presentato come un uomo di avanguardia, un riformista, una persona moderna: ha convinto molte persone che quella fosse la sua vera identità. Anche se non era proprio questo il caso, ha ottenuto comunque almeno il beneficio del dubbio da parte della popolazione siriana. All’inizio, data questa operazione di immagine che lo disegnava moderno e pronto per aprire la Siria al mondo, ha fatto qualche riforma di minor conto e si è mostrato disposto e determinato a modernizzare la Siria, sia politicamente che economicamente. Mi chiede il perché della repressione: alla fine di tutto, l’immagine che aveva creato si è dimostrata per quella che è veramente. Un’immagine e basta, che non riflette la realtà». Alcuni pensano, suggeriscono che sia stato suo fratello Maher – capo della Guardia repubblicana – a convincerlo a usare le maniere forti… «Io non ci credo. Ha dominato su un regime molto corrotto che dipende dal fatto di operare in una determinata maniera: aprire realmente la società avrebbe minac-


sangue a Damasco A destra, rifugiati siriani in Turchia. Sotto, Nabil el-Araby, portavoce della Lega araba e Dennis Ross, diplomatico Usa di lungo corso. A sinistra, Bashar al-Assad ci sono alcune persone che in Siria, per molto tempo, si sono sentite parte del regime. Questo ha offerto loro un pezzo della torta e la stabilità: oggi non esiste più stabilità e la torta è sparita. La conseguenza delle sanzioni si inizia a sentire con più forza, rendendo chiaro che non c’è possibilità di costruirsi un futuro in Siria fino a che al potere ci sarà questo regime. La chiave che possiamo usare, noi e altri insieme a noi, è rendere chiaro che sia inevitabile che Assad deve andarsene. Ma non solo questo: è inevitabile che l’opposizione – che arrivo a identificare come quel movimento guidato dalla Cns – rappresenti il futuro. Più diventa chiaro che è questo il modo in cui il mondo

i che d crona

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Esperto di Golfo e Medioriente è un diplomatico Usa di lungo corso

Un inviato molto speciale per le missioni impossibili ennis Ross classe 1948 è un diplomatico americano di lungo corso. Ha attraversato amministrazioni di diverso colore politico, da quella di Bush padre, come direttore del Policy planning del dipartimento di Stato, alla Casa Bianca di Bill Clinton, dove ricoprì l’incarico di consigliere per il Medioriente. Fino ad essere inviato speciale del segretario di Stato Hillary Clinton per il Golfo Persico e l’Asia sudoccidentale. È stato uno dei promettenti “ragazzi” cresciuti con Paul Wolfowitz ai tempi dell’aministrazione Carter. Con il campione della destra repubblicana, Ronald Reagan, ha servito nel National security council pur essendo legato ai democratici. Questo tanto per citare solo alcuni dei numerosi incarichi ricoperti. Una carriera caratterizzata dunque da competenze riconosciute al di fuori delle bandiere politiche. Interessi concentrati sull’area del Golfo, ma Ross ha operato in tutto il Medioriente. Nel 1995 fu protagonista dell’accordo tra Israele e i palestinesi (Interim Agreement on the West Bank and the Gaza Strip) sui Territori. Ha lavorato agli accordi di pace tra Gerusalemme ed Amman. È stato uno dei pilastri della politica estera mediorientale del presidente Obama (che ha abbandonato poco tempo fa). Uno dei punti più delicati di cui si è occupato è la spinosa vicenda sul destino di Gerusalemme est, reclamata come capitale dai palestinesi e negata come tale dal governo di Gerusalemme. Riuscì, durante la premiership israeliana di Ehud Barak, ad ottenere una importante apertura su questo punto. Un risultato che solo un diplomatico di razza come Ross avrebbe potuto ottenere.

D

ciato l’intero sistema. Questa è la cosa che Assad non era preparato a fare. Ecco perché non era preparato al contenimento delle proteste». Oggi Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, si è schierato con forza a sostegno del regime siriano. Finirà anche lui nel calderone del discredito? «C’è già stato, non necessariamente per gli sciiti in Libano ma in tutta la regione.Confrontiamo l’immagine di Nasrallah nel 2006 con quella di oggi: all’epoca, dopo la guerra con Israele, era visto come l’incarnazione della resistenza, un eroe per tutta la regione che riusciva a unire anche linee settarie. Oggi è invece un leader puramente settario, e possiamo vedere le sue fotografie che vengono bruciate in Siria. Ha cercato di presentarsi come se avesse una sorta di purezza, come se fosse un’incarnazione della giustizia, mentre oggi è considerato uno strumento degli iraniani. Ma non si possono conciliare le immagini della giustizia e del massacro degli innocenti in Siria: questo sostegno lo ha smascherato e lo ha rivelato per quello che è». Qual è in tutto questo la posizione degli Stati Uniti? Possono fare qualcosa? «Gli Stati Uniti sono stati attivi nel lavorare per costruire una pressione contro il regime siriano che, insieme all’isolamento, ha reso chiaro che c’è un prezzo economico da pagare. Chiaramente

considera la Cns, più questa visione risuonerà anche all’interno della stessa Siria. E coloro che non sono certi su come possa diventare il futuro del Paese, saranno confortati dal fatto che questo gruppo non è settario ma inclusivo, un gruppo che sa che il futuro della Siria deve essere caratterizzato da tolleranza, inclusione e progresso di base». Alcuni rapporti dicevano all’inizio della crisi che i cristiani in Siria erano allarmati. Erano preoccupati all’idea che gli islamisti potessero prendere il potere e rifarsi su di loro. Queste paure stanno scemando o mi sbaglio? «La bilancia si gioca proprio lì. Non c’è dubbio che, per un periodo, nella comunità cristiana la preoccupazione sia stata molto alta. E una delle ragioni per cui è necessario che il processo di cambiamento acceleri e che questo regime se ne vada è che, più la situazione continua così, più violenta diventerà per tutti. Le dimostrazioni contro il regime, all’inizio, erano pacifiche. Ora la violenza sta aumentando perché, parlando francamente, ci troviamo davanti a un regime che ha dichiarato guerra alla sua propria popolazione. Il Cns sta cercando di portare avanti e sottolineare un approccio non violento alla situazione. Ma si trova davanti un regime che rende sempre più difficile minimizzare la violenza all’interno della Siria».

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BAMBINO

Cristo si manifesta nelle sue sembianze, perché prossime a quelle di Dio sono le qualità che caratterizzano la condizione dell’infanzia. Che non è una parte accessoria della nostra umanità ma, al contrario, necessaria ed essenziale. Per questo non dobbiamo relegare nel passato quella meravigliosa occasione che ci è stata concessa

La Grotta di oggi e quella di ieri di Sergio Valzania e non vi convertite e non diventate come bambini, non entrerete nel regno dei cieli» ammonisce Gesù in Matteo 18,3, creando un parallelo di non facile comprensione fra la conversione e la riconquista di una condizione di apparente incompletezza. Il concetto è presente in tutti i vangeli, fatto di per sé significativo. «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Chi Dio. non ac-

«S

coglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso» ripetono con le stesse parole Marco (10,15) e Luca (18,17). In Giovanni la questione viene posta in maniera più complessa, attraverso il dialogo fra Gesù e Nicodemo, collocato all’inizio del vangelo in 3, 19. La questione in gioco è quella della necessità di una rinascita in spirito dopo quella fisica, nella carne. Un passaggio difficile, che all’inizio risulta addirittura incomprensibile a Nicodemo, il solo però che può condurre all’ingresso nel regno dei cieli. L’episodio è posto dall’evangelista in grande rilievo: è il primo atto di predicazione di Gesù, immediatamente successivo al miracolo delle nozze di Cana e alla purificazione del Tempio. Esiste quindi un privilegio nella condizione del bambino, a essa appartiene un carattere di superiorità sui grandi. Il bambino non è un adulto imperfetto, un essere umano dalle capacità ancora ridotte, segnato da un limite, inabile a fare quello che solo in seguito sarà alla sua portata. Al contrario gli appartengono po-

tenzialità che il tempo gli farà perdere, di cui l’adulto dispone solo come residui, memorie, brandelli di una modalità esperienziale per molti versi superiore a quella di cui dispone in età matura, che gli viene chiesto di recuperare.

L’occhio del bambino è in grado di vedere cose che lo sguardo dell’adulto non capta più, o per percepire le quali deve costringersi a un’attenzione faticosa. Gli insistiti perché dei bambini mettono in crisi strutture esplicative consolidate, chiedono ragione del mondo a chi pensa di conoscerlo e se ne scopre ignorante. Le capacità affettive del bambino non sono sofisticate e selettive, ma sono asso-


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per saperne di più Benjamin Spock Il bambino, come si cura e si alleva Vallardi Enzo Bianchi Il pane di ieri Einaudi

hanno detto Gesù Se non vi convertite e non diventate come bambini, non entrerete nel regno dei Cieli.

Giovenale Il bambino ha diritto a tutto il rispetto.

Carlo Maria Martini Il Natale. “Pur nella tristezza dei tempi” Morcelliana

C.G. Jung Se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo prima esaminarlo bene e vedere se non è qualcosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi

Giuseppe Pontiggia Nati due volte Mondadori

Novalis Dove sono i bambini c’è un’età dell’oro.

Lucia Rizzi Fate i bravi! 0-3 anni Mondadori

Rousseau La sola abitudine che si deve lasciar prendere al bambino è di non prenderne nessuna.

Jorge Luis Borges Finzioni Adelphi

Winston Churchill Non c’è, per nessuna comunità, investimento migliore del mettere latte dentro ai bambini.

Sergio Valzania Bambine, e io sgrido il cane Solfanelli Editore

Vladimir Nabokov I quattro Vangeli Edizioni San Paolo

lute, prossime a quelle di Dio, che ama tutti senza limiti. Il rapporto con i genitori, con la mamma in particolare è esemplare nell’esperienza d’amore. Il bambino è curioso, aperto e ottimista, gli sono sconosciuti il razzismo e le avversioni che maturano nella crescita e nelle difficoltà ad accettarsi come esseri limitati. Si può affermare con sicurezza che nel bambino si rendono concrete, visibili, le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Ogni genitore sperimenta con stupore imbarazzato la fiducia incondizionata che il figlio ripone in lui nei primi anni di vita, considerandolo capace di affrontare e risolvere ogni problema che si ponga. In questo modo fornisce insieme una testimonianza di fede e una lezione di umiltà. Nessuno si ritiene degno di una così smisurata fiducia, eppure essa viene rivolta a tutti quelli che intraprendono il misterioso cammino della maternità e della paternità. Il bambino incarna la speranza, è qualcosa di più di un simbolo del futuro, lo è in senso materiale, lo porta in sé e lo manifesta in ogni occasione. Quando un adulto osserva un bambino, sa di guardare attraverso di lui in un tempo che non gli apparterrà, in una stagione diversa da quella che attraversa oggi e l’augurio che essa sia migliore del presente sgorga sincero. Il bamGesù tra i fanciulli: “Sinite parvulos venire ad me”. In alto, una immagine del film di Trauffaut “Gli anni in tasca”. Nella pagina a fianco: scene da “Dick Tracy” ed “E.T.”

Un bambino è la forma più perfetta di essere umano.

Occorre riconquistare uno sguardo sul mondo che un tempo è stato anche nostro, quando fede, speranza e carità si concretizzavano nel nostro solo esistere. Una riflessione che il Natale ci suggerisce...

bino rende capaci di benedire. La carità, nel senso completo di amore, è stimolata dal bambino che nello stesso tempo la offre nei gesti più semplici: nella ricerca di un abbraccio o anche solo nel sorriso aperto e sdentato di un neonato.

La festa di Natale sottolinea tutto questo, ci invita a una piccola riflessione su di un grande tema. Ci chiede di guardare alla forme che Dio ha scelto per incontrare l’uomo. L’incarnazione è un evento cosmico, che trascende le dimensioni della creazione. Nella messa di Natale leggiamo l’inizio del vangelo di Giovanni, dove è scritto che «In principio era il Verbo, per Lui e per mezzo di Lui tutte le cose sono state create». Accettando di vivere l’esperienza della creatura, il Creatore l’ha condotta a una nuova esistenza. In questo accadimento fondativo c’è una componente che la critica letteraria definirebbe minimalista, anche se ogni passaggio divino dentro e prima del tempo è decisivo. Gesù non si incarna in un uomo maturo, non esce dal deserto pronto alla sua missione di predicazione e di sacrificio. Percorre tutta la vita fin dall’inizio e vuole che conosciamo il suo passato, ce lo mostra e ce lo racconta.Viene al mondo bambino perché l’essere bambini è una parte necessaria, non accessoria della nostra umanità, un dono ulteriore che ci viene fatto. Quello che ci viene chiesto con insistenza è di non relegare l’occasione meravigliosa che abbiamo vissuto al passato, di non considerarla come una fase incompleta, di preparazione alla nostra vita

«vera». Al contrario dobbiamo impegnarci a conservarne il ricordo, a vitalizzarlo negli incontri che abbiamo con i bambini, a sforzarci di porci al loro livello quando ci offrono l’opportunità di essere loro compagni di gioco, senza immaginare in quelle circostanze di abbassarci. Piuttosto si tratta di riconquistare uno sguardo sul mondo che è stato anche nostro. Quello di tornare come bambini ci viene proposto come un traguardo, non una mutilazione. Quando i discepoli chiedono a Gesù «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?» (Mt 18.1 e seg.), il Cristo risponde anzitutto con un gesto, chiama a sé un bambino e propone lui come esempio per chi“«arà il più grande nel regno dei cieli». Il discorso prosegue con due ammonizioni «chi accoglie anche uno solo di questi piccoli in nome mio, accoglie me» e «chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare». Il rapporto fra i bambini e Gesù è proposto nei due sensi, prima in quello della rappresentanza, chi li accoglie in nome di Cristo accoglie direttamente il Cristo, e poi dichiarando una intimità privilegiata con loro, indicati come «questi piccoli che credono in me», come a dire che tutti i bambini sono vicini a Dio. La loro fiducia nel mondo ne fai dei credenti perfetti. Ogni uomo e ogni donna nasce fra le braccia del Signore e solo per sua scelta se ne allontana, ma Lui aspetta con pazienza il momento del nuovo incontro.


ULTIMAPAGINA Data morta nel terribile tsunami del 2004, l’adolescente indonesiana torna a casa. Era rimasta vittima di una schiavista

Mary Yuranda, la bambina di Luisa Arezzo l miracolo di Natale che commuove l’Indonesia ha un nome e un cognome: Mary Yuranda. E anche un soprannome, Wadi. Fino a ieri il suo nome figurava nella lunga lista delle vittime dello spaventoso tsunami che il 26 dicembre 2004 si è abbattuto sulle coste del sud est asiatico provocando oltre 230 mila morti. E la famiglia la piangeva assieme a sua sorella, anch’essa inghiottita dalle onde assassine, annegata il giorno di Santo Stefano assieme a migliaia di altre persone. Aveva solo 8 anni, Mary, quando sparì fra i flutti. Ma la catastrofe naturale la risparmiò, gettandola però su spiagge lontane, troppo lontane dalla sua casa per poterle permettere di ritrovarla. Ci pensò una signora a soccorrerla, ma non per spirito di carità e solidarietà. La donna, una sorta di moderna strega di Hansel e Gretel, la curò per poi mandarla a mendicare per le strade vestita di stracci. Facendo di Mary la sua piccola schiava. Poi il racconto si complica: forse la ragazza è riuscita a scappare, forse la “strega“ si è mossa a compassione e l’ha lasciata andare. Fatto sta che ieri Mary è riapparsa viva e vegeta a Meulaboh, il suo villaggio nel territorio autonomo di Banda Aceh, all’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. È riapparsa, ma senza memoria. Rifugiatasi in un bar del paese, e da tutti confusa per una mendicante perché vestita di stracci, è stata notata dai presenti. Che le hanno chiesto chi fosse. «Mi chiamo Mary, abitavo qui», ha detto la ragazza oggi quindicenne, «ma non ricordo né come si chiamano i miei genitori né dove abitano». Il silenzio è sceso nel bar e a quel punto un ricordo, tenuto nel caldo della memoria e risparmiato dallo choc dello tsunami, è stato svelato.

I

E Mary ha detto di rammentare il nome del nonno, Ibrahim. Incredibile ma vero - visto che Ibrahim in quell’area è un nome diffuso, come dire Mario in un paesino italiano, l’anziano è stato rintracciato e fatto chiamare. Ma era passato tanto tempo: il giorno della sua scomparsa “Wadi” era una bambina di otto anni e adesso una adolescente di quindici. Ma il nonno si ricordava che la nipotina aveva alcune voglie sull’addome, un neo e una cicatrice sul viso, sopra il sopracciglio. Se l’era fatta a sei anni. Un’assurda mappa dei segni, è vero, ma sufficiente a riconoscerla. Ad avere la certezza che quella ragazza senza memoria fosse proprio la piccola Mary. E a quel punto il miracolo è diventato realtà, la festa è cominciata nell’incredulità generale, mentre il padre Tarmius e la madre Yusnidar venivano chiamati di corsa. Si può solo provare ad immaginare cosa quell’attimo abbia significato per quella famiglia, vittima di un lutto immenso (alcuni siti riportano che avrebbero perso tutti e tre i figli la notte maledetta dello tsunami, altri “solo”due su tre).

RITROVATA La quindicenne ha raccontato di essere stata liberata da una donna che l’aveva costretta a mendicare per le strade di Meulaboh, vicino a Banda Aceh Gli abbracci e i pianti per quella figlia morta e resuscitata. Per quella figlia che ha raccontato loro di essere stata portata dalla corrente fino alla spiaggia di un altro villaggio, dove è caduta nelle grinfie di una donna che, dopo averla salvata, l’ha costretta a chiedere l’elemosina per tutto il tempo trascorso. Fino al giorno in cui forse è stata convinta (o forse si è solo distratta...) a lasciarla andare. Fuga o partenza che sia, Mary si è messa in marcia e ha fatto l’autostop per tornare a casa: un tassista si è impietosito e l’ha raccolta, mettendo fine all’odissea e riportandola al suo paese. Un villaggio che lo tsunami aveva colpito durissimamente, nella regione di Banda Aceh, che ancora piange oltre ventimila vittime.

Erano le 8 di mattina del 26 dicembre 2004 quando un terremoto di magnitudo 9.3 della scala Richter, uno dei più forti della storia degli ultimi cento anni, generò uno tsunami di dimensioni spaventose capace di colpire moltissime coste dei paesi che si affacciano sul-

l’Oceano indiano. L’epicentro del sisma, localizzato al largo della costa nord-occidentale dell’Isola di Sumatra, alla profondità di circa 10 km, venne originato dalla subduzione della placca indiana, in movimento verso NordEst, sotto la placca di Burma. A causa del terremoto, il fondo del mare sopra la faglia si sollevò di qualche metro generando un’onda anomala che doppiò l’isola di Sumatra e viaggiando alla velocità di 700 km orari raggiunse, in poco più di un’ora e mezzo, le coste della Thailandia dove seminò morte e distruzione fra i locali e sulle spiagge frequentate da moltissimi turisti occidentali, addentrandosi poi per centinaia di metri all’interno. Lo stesso avvenne negli arcipelaghi delle Nicobare e poi lungo le coste indiane. Circa due ore dopo, l’onda arriva sulle coste dello Sri Lanka, provocando un’ecatombe tra le popolazioni costiere e poi raggiunge anche quelle indiane. Le isole Maldive, a più di duemila km ad ovest dall’epicentro, sono colpite dall’onda dopo circa tre ore e, infine, nella tarda mattinata vengono raggiunte anche le coste africane della Somalia e del Kenya. 230 mila morti è il bilancio ufficiale, ma è ormai certo che le vittime sono state molte di più, probabilmente 300 mila. Persone inghiottite dal mare, che non hanno mai più fatto ritorno a casa. Tranne Mary, che dopo sette anni è riapparsa. «Un miracolo», scrivono i giornali indonesiani. Che fa sognare tutti.


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