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he di cronac

Rivoltatela come vi pare, prima viene lo stomaco, poi viene la morale

Bertolt Brecht

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 25 GENNAIO 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Pubblicato l’intervento del pontefice per la 46esima Giornata delle Comunicazioni Sociali, dal tema “silenzio e parola”

«Zitti, c’è troppo rumore» Forte e importante messaggio del Papa sulla “società dei media” Benedetto XVI attacca l’assordante caos della comunicazione che non permette di distinguere ciò che conta da ciò che è inutile. E a sorpresa elogia Twitter: «Poche parole ma pensieri profondi» Liberati i caselli a Roma. Disagi in tutt’Italia

Un’imperdonabile frase sui laureati tardivi

Roma all’Ue: «Risolveremo il caso Tir». Un morto a Asti Il ministro Cancellieri: «Sono in corso indagini molto serie su quello che sta avvenendo». Il premier: «Prima di tutto viene la legalità, le riforme sono utili e sacrosante»

Povero viceministro Martone, che “sfigato”! di Giancristiano Desiderio

QUATTRO REAZIONI ALLE TESI DEL PAPA

remessa necessaria ma di un rigo: mi sono laureato all’età di ventuno anni e con il vecchio ordinamento. Dunque, ho le carte in regola o i titoli a posto per dire al viceministro Michel Martone che qui lo sfigato è lui. Non aveva ancora aperto bocca. Lo ha fatto ieri e meglio avrebbe fatto a tenerla chiusa e a rimandare l’esordio. Invece, nella sede dell’ex opificio a via Ostiense, il vice di Elsa Fornero ha dato fiato alla trombe: «Dobbiamo iniziare a dare nuovi messaggi culturali: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato». a pagina 16

1 P Volli:«Ha ragione, anche nel vedere 2 dentro Internet la soluzione» Binetti: «Un pontefice moderno 3 che vuole evangelizzare il mondo» Marramao: «A volte tacere 4 difende dalla disinformazione» Freccero:«Ratzinger come Mc Luhan, i cattolici sanno usare i media» ***** ***** *****

Franco Insardà e Riccardo Paradisi • da pagina 3 a pagina 5

E Monti all’Ecofin difende il decreto

Allarme Fmi: «L’Italia da sola non ce la fa» di Marco Palombi on solo lo spread, il debito pubblico e la recessione che investirà l’Europa in questo 2012, a mettere in difficoltà il governo di Mario Monti ci si mettono pure quel pugno di Tir che sta bloccando la penisola da giorni e che a Bruxelles guardano con una certa preoccupazione. E l’Fmi, che lancia l’allarme sui conti: «Da soli non ce la farete». È da poco finito un ottimo vertice europeo per l’Italia, in cui i partner dell’Ue hanno lodato abbondantemente l’azione dell’esecutivo, che si diffondono queste notizie. a pagina 7

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EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

Economia, rilancio e occupazione i focus dell’intervento al Congresso

La fase due di Barack Obama

Nella notte l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Antonio Picasso

Caduta l’Urss, troviamo una nuova unità

La lezione Usa all’Ue in cerca d’autore

arà il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione? Ipotesi assai improbabile. La campagna elettorale repubblicana è talmente sfaldata, che le percentuali di vittoria di Barack Obama, per il secondo mandato, è quasi sicura. a pagina 10

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• ANNO XVII •

NUMERO

16 •

di Francesco D’Onofrio Europa in quanto tale finirà con l’avere un ruolo significativo per l’esito stesso delle presidenziali Usa. a pagina 11

L’ WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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pagina 2 • 25 gennaio 2012

Il testo del messaggio per la 46esima Giornata delle Comunicazioni sociali, dal tema “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”

Silenzio, parola di Benedetto Nel rumore imperante riscopriamo la quiete: il Papa sfida la comunicazione contemporanea. Scommettiamo che i media non gli daranno molto rilievo? di Vincenzo Faccioli Pintozzi

CITTÀ

DEL VATICANO. Nell’attuale mondo della comunicazione «spesso l’uomo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte». Di qui la necessità di dare spazio anche al silenzio, «prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti» e per permettere “all’altro” di parlare e quindi per una comunicazione più completa.

Sono le considerazioni di fondo che Benedetto XVI esprime nel messaggio col quale illustra il tema della 46ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali - che quest’anno si celebra domenica 20 maggio “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”, reso noto ieri. Considerazioni che, nel documento papale, vengono legate al fondamentale fatto che la solitudine e il silenzio sono «spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e quella Verità che dà senso a tutte le cose. Il Dio della rivela-

Le frasi più salienti dell’intervento del pontefice

«Twitter può essere profondo» “

Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora

È importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo

è parte integrante del dialogo “ Ilesilenzio senza di esso non esistono parole dense di contenuto ” Là dove i messaggi e l’informazione sono “abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio

non può accontentarsi di un semplice “ L’uomo e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita ” essenzialità di brevi messaggi, “ Nella spesso non più lunghi di un versetto biblico,

si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità

I motori di ricerca e le reti sociali sono “il punto di partenza della comunicazione

Il Dio della rivelazione biblica “parla anche senza parole ” della grandezza di Dio, “ilNelnostroparlare linguaggio risulta sempre

per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte

l’uomo contemporaneo è bombardato “ Spesso da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte ” complesso e variegato mondo “ Nelcomunicazione della emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza umana: chi sono, cosa devo fare

inadeguato e si apre così lo spazio della contemplazione silenziosa

Silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un nuovo annuncio di Cristo

zione biblica parla anche senza parole».Silenzio e parola, scrive il Papa, sono «due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone».

«Quando parola e silenzio si escludono a vicenda, la comunicazione si deteriora, o perché provoca un certo stordimento, o perché, al contrario, crea un clima di freddezza; quando, invece, si integrano reciprocamente, la comunicazione acquista valore e significato. Il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto. Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che desideriamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci. Tacendo si permette all’altra persona di parlare, di esprimere se stessa, e a noi di non rimanere legati, senza un opportuno confronto, soltanto alle nostre parole o alle nostre idee. Si apre così uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione


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CARLO FRECCERO

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«Come McLuhan, sa usare i media»

umana più piena». Nel silenzio, poi, «si colgono i momenti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la sofferenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione intensa».

«Là dove i messaggi e l’informazione sono abbondanti, il silenzio diventa essenziale per discernere ciò che è importante da ciò che è inutile o accessorio». Per questo, scrive ancora il Papa, «è necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di ‘ecosistema’ che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni». Ciò ha senso in modo particolare nella attuale dinamica della comunicazione, dominata da internet e «orientata da domande alla ricerca di risposte. I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti». «Nel complesso e variegato mondo della comunicazione emerge, comunque, l’attenzione di molti verso le domande ultime dell’esistenza

umana: chi sono? che cosa posso sapere? che cosa devo fare? che cosa posso sperare? E’ importante accogliere le persone che formulano questi interrogativi, aprendo la possibilità di un dialogo profondo, fatto di parola, di confronto, ma anche di invito alla riflessione e al silenzio, che, a volte, può essere più eloquente di una risposta affrettata e permette a chi si interroga di scendere nel più profondo di se stesso e aprirsi a quel cammino di risposta che Dio ha iscritto nel cuore dell’uomo. Questo incessante flusso di domande manifesta, in fondo, l’inquietudine dell’essere umano

Servono «spazi privilegiati per aiutare le persone a ritrovare se stesse e la Verità» sempre alla ricerca di verità, piccole o grandi, che diano senso e speranza all’esistenza. L’uomo non può accontentarsi di un semplice e tollerante scambio di scettiche opinioni ed esperienze di vita: tutti siamo cercatori di verità e condividiamo questo profondo anelito». «Sono da considerare con interesse le varie forme di siti, applicazioni e reti sociali che possono aiutare l’uomo di oggi a vivere momenti di riflessione

e di autentica domanda, ma anche a trovare spazi di silenzio, occasioni di preghiera, meditazione o condivisione della Parola di Dio. Nella essenzialità di brevi messaggi, spesso non più lunghi di un versetto biblico, si possono esprimere pensieri profondi se ciascuno non trascura di coltivare la propria interiorità». E «come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Nel silenzio della Croce parla l’eloquenza dell’amore di Dio vissuto sino al dono supremo. Se Dio parla all’uomo anche nel silenzio, pure l’uomo scopre nel silenzio la possibilità di parlare con Dio e di Dio». «Abbiamo bisogno - sottolinea Benedetto XVI - di quel silenzio che diventa contemplazione. Da questa contemplazione nasce in tutta la sua forza interiore l’urgenza della missione, la necessità imperiosa di ”comunicare ciò che abbiamo visto e udito”, affinché tutti siano in comunione con Dio (cfr 1 Gv 1,3). La contemplazione silenziosa ci fa immergere nella sorgente dell’Amore, che ci conduce verso il nostro prossimo, per sentire il suo dolore e offrire la luce di Cristo, il suo Messaggio di vita, il suo dono di amore totale che salva».

Parola e silenzio, dunque: «Educarsi alla comunicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare, e questo è particolarmente importante per gli agenti dell’evangelizzazione: silenzio e parola sono entrambi elementi essenziali e integranti dell’agire comunicativo della Chiesa, per un rinnovato annuncio di Cristo nel mondo contemporaneo».

«I cattolici hanno imparato bene la lezione del mondo moderno» di Franco Insardà

ROMA «Per la religione cattolica il verbo fa carne, quindi, si fa anche immagine e naturalmente comunicazione». Carlo Freccero, esperto di comunicazione e direttore di Rai4 affronta con piacere il colloquio sul messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni: «In genere sono visto come un anticristo, ma nella realtà ho studiato molto approfonditamente il tema del rapporto tra la religione e i media. E ritengo la religione cattolica la più mediatica di tutte. In un recente articolo che ho scritto, per la rivista LInk, spiego perché Marshall McLuhan non poteva che essere cattolico. “La forza dell’immagine è riconosciuta nei suoi aspetti comunicativi. C’è una tradizione cristiana che autorizza, anzi promuove, l’uso dell’immagine a fini di evangelizzazione. Ma solo il cattolicesimo coniuga l’immagine con un fattore altrettanto importante: la storicità. Mc Luhan è protestante, ma non a caso diventa cattolico”». Secondo il professor Freccero il silenzio, evocato dal Papa è «il momento di maggior riflessione, il più alto per la religione cattolica, proprio del misticismo. La vera comunicazione si fa con il silenzio, non con il rumore che distrae. Nel messaggio di Benedetto XVI c’è l’aspetto autentico della catechesi cattolica, basti pensare che durante la Santa Messa c’è un momento di massima liturgia legato alla meditazione e al silenzio. Papa Ratzinger conferma di essere un grande teologo che fissa i punti fermi della dottrina cattolica». Nel suo saggio intitolato “McLuhan e il cyberpunk”Freccero scrive: «Il cristianesimo è l’unica religione che ammette la raffigurazione della divinità. Se Dio trascende l’uomo, è irrappresentabile. La sua raffigurazione in termini materiali è idolatria, come ci spiega la Bibbia nell’episodio del Vitello d’Oro. Ma nel cristianesimo Dio si fa uomo nella figura storica del Cristo. Il Verbo si fa carne. Da

questa affermazione deriva il viatico alla rappresentazione visiva del tema religioso. È perché il Verbo si fa carne che esiste la storia dell’arte occidentale. E il primo massmediologo della storia è il papa Gregorio Magno (540-60). Nei suoi primi secoli anche il cristianesimo vive il conflitto tra rappresentabilità ed irrappresentabilità dell’immagine che sfocerà nell’iconoclastia, condannata dal VII Concilio di Nicea nel 787. Gregorio Magno intuisce l’importanza della comunicazione. Il cristianesimo è una dottrina nuova ed ha bisogno di propaganda per divulgare il suo credo. Secondo la tradizione Gregorio Magno fonda le regole del canto gregoriano. E riconosce che la rappresentazione in immagini può essere utile per presentare il Vangelo a quanti non sanno leggere, ma devono conoscere gli episodi della vita di Cristo. La forza dell’immagine è riconosciuta nei suoi aspetti comunicativi. Ma non basta. C’è una tradizione cristiana che autorizza, anzi promuove, l’uso dell’immagine a fini di evangelizzazione. Ma solo il cattolicesimo coniuga l’immagine con un fattore altrettanto importante: la storicità. McLuhan è protestante, ma non a caso diventa cattolico».

E proprio partendo da Gregorio Magno si arriva a Benedetto XVI, passando per Giovanni Paolo II, tra questi ultimi due, secondo Freccero, la differenza è evidente: «Wojtyla era il Papa della evangelizzazione attraverso i media, Ratzinger è il teorico. Giovanni Paolo II è riuscito a trasformare qualsiasi cosa in eventi mediatici: dai viaggi in giro per il mondo alla sua malattia, passando per quella che è stata la sua opera di demolizione del comunismo. Mentre Benedetto XVI con le sue parole stimola la comunicazione». E al suo richiamo ai messaggi brevi di Twitter: «Basti pensare alla brevità delle preci e ai versetti della Bibbia. È molto interessante questo passaggio del Papa e dimostra come sia attuale e conosca molto bene McLuhan».


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UGO VOLLI

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«Ma in rete si può stare zitti» Nell’agorà del web, tra tanto rumore, c’è spazio per l’ascolto e il dialogo di Riccardo Paradisi

ilenzio e parola sono «due momenti della comunicazione che devono equilibrarsi, succedersi e integrarsi per ottenere un autentico dialogo e una profonda vicinanza tra le persone». Benedetto XVI nel messaggio per la 46a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, che si celebrerà domenica 20 maggio introduce il tema di quest’anno: «Silenzio e parola: cammino di evangelizzazione». Il Pontefice si concentra sulla qualità della comunicazione nella rete orientata da domande alla ricerca di risposte: «I motori di ricerca e le reti sociali sono il punto di partenza della comunicazione per molte persone che cercano consigli, suggerimenti, informazioni, risposte. Ai nostri giorni, la Rete sta diventando sempre di più il luogo delle domande e delle risposte; anzi, spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte».

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Ugo Volli, sociologo della comunicazione e sismologo del costume, autore di un libro sull’apologia del silenzio imperfetto uscito negli anni Novanta, porta a sviluppo lo spunto di Ratzinger: «Esiste un silenzio perfetto che è quello dei mistici, del cielo e della natura, un silenzio assoluto di cui è difficile parlare e di cui raramente si può fare esperienza poi nella vita quotidiana. Esiste poi un silenzio imperfetto di cui invece con un po’ di impegno e di educazione possiamo fare esperienza tutti. È quel silenzio che caratterizza un vero dialogo e un vero ascolto, che dà senso alle parole, che conferisce loro l’intelligenza nata dalla riflessione». Se vogliamo si tratta du una cosa banale anche se affatto scontata in questi tempi di chiacchiera diffusa. Riguarda l’opportunità di prendere la parola o di cederla, di ascoltare l’altro, di fare delle pause nel discorso, di pensare prima di parlare. Le pause che rendono intellegibile il discorso sono del resto fatte di silenzio.

«Il rischio è che nel sistema della comunicazione attuale – dice Volli - questi interstizi di silenzio rischiano di sparire o di essere ridotti al limite. Per questo l’intervento del Papa è ficcante ed opportuno. Il tema dell’ascolto del resto è assolutamente fondamentale anche sul terreno religioso: la massima espressione dell’ebraismo, per dire, è proprio l’ascolto. Ma questo vale ance nella comunicazione politica. Non c’è modo di raggiungere il senso di quello che si dice nè di deliberare efficacemente, o di fare un’analisi credibile se non presta ascolta alle situazioni, alla realtà, agli altri».

Ma quel’è il motivo dell’esplosione della chiacchiera diffusa, del presenzialismo mediatico e dell’ecolalia di massa? «È la caccia al proprio quarto d’ora di celebrità – dice Volli – se si pensa a facebook o al Grande Fratello assistiamo a questa ricerca ossessiva di un momento di visibilità, a una gara dove tutti parlano e nessuno ascolta». Ma non c’è solo il lato negativo. È vero infatti che sono saltati molti filtri culturali, alcuni nemmeno troppo giustificati, legati al censo, al potere, al dirigismo politico. L’effetto è quello di una maggiore libertà, un più largo accesso all’espressione pubblica attraverso i blog, i siti, i social network. Certo occorre una pedagogia che ci insegni a operare saggiamente dentro questa situazione inedita, una pedagogia che offra occasioni di moderazione e di autoregolazione». Ma si deve stare attenti anche a un eccesso di controllo, all’amministrazione dei discorsi pubblici controllata dalla politica: «Abbiamo visto che cosa hanno prodotto gli stati etici, la costruzione di consenso e ascolto obbligatori verso la figura del leader o dell’ideologia dominante. Un ordine del discorso pubblico, certo, ma a quale prezzo? Quello che è accaduto negli ultimi trent’anni è che i grandi mezzi definiti da uno a molti, come la radio nel Novecento ma anche i quotidiani, la televisione - che ave-

vano alte soglie d’accesso - si sono trasformati in sistemi che vanno da molti a molti. Dallo schema della piramide s’è passati a quello della rete. E questa è una trasformazione che riporta la comunicazione alla sua struttura naturale. Non si tratta di essere dei tecnoentusiasti piuttosto di prendere atto di un dato di fatto e d’altra parte internet non sarà mai più pericolosa e foriera di sciagure come i totalitarismi novecenteschi». È un mezzo che stiamo lentamente ma progressivamente imparando ad usare sostiene Volli: «Gli utenti impareranno a poco a poco a fruirne intelligentemente, dando spazio all’ascolto oltre all’emissione di pensieri e parole».

Nei cosiddetti social network peraltro lo spazio dato al dialogo, all’ascolto, al confronto è ampio, costituisce la stessa sostanza dell’agorà mediatica, una cosa più polifonica dei media tradizionali. E questo è interessante se la polifonia non si trasforma in tautologia. Il tema del dare spazio è quello di uscire dal narcisismo dello specchio. L’equivalente dell’ascoltare è il guardare a vedere altro e vedere l’altro».

PAOLA BINETTI

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«Anche così può evangelizzare» Questo testo dimostra la modernità di Ratzinger di Francesco De Felice

ROMA. «Mi ha colpito in modo straordinario la modernità di Benedetto XVI che accoglie, sceglie e propone delle modalità di comunicazione che in questo momento sono in voga tra i giovanissimi, come Twitter. Il Pontefice rivela una modenità dell’approccio e una capacità di recepire quelli che sono i linguaggi correnti e reincorporarli all’interno di un progetto di comunicazione ricco di valori. Insomma un Papa aperto alla tecnologia, però rivendica la responsabilità per tutti di un rispetto profondo della persona, della verità e di un rispetto profondo della sostanza della dignità umana. Si tratta di una modernità che assume un linguaggio, ma non

rinuncia alla persistenza dei valori strutturali della nostra vita». Paola Binetti sottolinea, prima di tutto, questo aspetto nel messaggio del Papa per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. E il suo richiamo al silenzio? Dalle sue parole si evince, però, chiaramente che il messaggio evangelico non debba trovare spazio grazie a modalità esclusivamente tecnologiche, ma c’è un richiamo profondo alla dimensione spirituale e al silenzio nel quale l’uomo trova Dio. Non è un silenzio afono. Non c’è contraddizione nella frase: senza spazio per il silenzio ogni comu-


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GIACOMO MARRAMAO

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«Il silenzio salva da tanti errori» Importante il richiamo alla Rete, sono questioni scottanti per tutti

l Pontefice pone una questione corretta - dice il filosofo Giacomo Marramao - e si comprende l’accento messo sul fenomeno della rete diventato ormai un medium importante della sfera pubblica. Non l’unico, non il principale ma certamente quello su cui si muove la nuova tendenza della comunicazione. Nella rete d’altra parte noi accanto a delle straordinaria possibilità di comunicazione orizzontale noi troviamo delle gigantesche e colossali provocazioni. Nella piazza mediatico-informatica questo può accadere in forme addirittura iperboliche. Dal momento che noi non possiamo questo impedire dobbiamo fare una cernita e cercare di disntinguere e discernere.

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nicazione è vuota? Assolutamente no, perché se non c’è il silenzio di elaborazione e di assimilazione per tutti noi le informazioni corrono di bocca in bocca, senza mai intercettare il cervello. Benedetto XVI fa riferimento a una sorta di ecosistema che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni. Il circuito parola, ascolto, silenzio è il circuito di una comunicazione e le immagini e suoni riguardano i nostri canali. Una sorta di bocciatura di un certo modo di fare comunicazione “urlata”? Sicuramente. Sia perché manca l’ascolta, ma soprattutto perché manca il rispetto della persona umana. Inoltre c’è spesso il rischio di strumentalizzare le situazione e i fatti, manipolando i dati per ottenere uno scopo individuale, ma che non tiene conto della oggettività e del rispetto della persona. Il Papa non ha mai disdegnato le nuove tecnologie “se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana”. Il Papa ci sorprende sempre perché ha una grande capacità di dire cose che vive in

prima persona. In pratica riempe di contenuto le nuove tecnologie, tenendo sempre chiara la dignità umana. Anche se nel suo messaggio ricorda che dalla rete spesso l’uomo contemporaneo è bombardato da risposte a quesiti che egli non si è mai posto e a bisogni che non avverte. Nella rete i quesiti si intrecciano, si moltiplicano e si rincor-

rono senza mai trovare quello spazio profondo, nel quale l’uomo si ferma per interrogarsi su quello che è il suo pensiero. Si può trovare sottoposto a un messaggio che è in contraddizione con se stesso, finendo con il dire ogni cosa e l’esatto contrario, senza ren-

dersi conto che si sta contraddicendo. La religione cattolica è anche immagine e comunicazione? Le immagini sono state per molto tempo l’ambito della catechesi. Basta pensare alla Cappella degli Scrovegni, alla Cappella Sistina, all’Abside di San Giovanni per rendersi conto come l’immagine sia stata per molto tempo il luogo della comunicazione privilegiata, con cui anche chi non sapeva scrivere riusciva a veicolare un messaggio. Anche le immagini e l’arte sono strumenti di comunicazione di valori straordinari, ma anche messaggi con i quali si fa una catechesi e una evangelizzazione continua. E il messaggio di Benedetto XVI continua su questa strada dell’evengelizzazione, ma con i mezzi moderni. Continua secondo un criterio, tecnologicamente moderno, ma che non perde mai di vista il piano antropologico. È un’evangelizzazione, cioè, che si fondamenta nella dignità dell’uomo, presentata in tutti i modi che la tecnologia ci propone. Senza avere paura dei canali diversi per diffondere il messaggio evangelico.

Il silenzio può dunque essere anche uno strumento di civiltà. Non di rado il silenzio può essere infatti una legittima reazione nei confronti del grande rumore provocato da un dibattito falsato da eccessivi e fuorvianti luoghi comuni. In questi casi tacere diventa una strategia di difesa o addirittura una risposta più eloquente di ogni altra parola, poiché aggiungere parole alla falsità non fa altro che rinforzarla». Già tempo fa Marramao si poneva però il problema di conciliare pluralismo con equilibrio: «Non bisogna rinunciare a ottenere la possibilità di costituire nuovi centri gravitazionali della comunicazione. Non basta limitarsi a criticare in maniera subalterna i grandi mezzi di comunicazione di massa, bisogna anche saperli usare nel modo giusto, vale a dire come strumenti in grado di servire una sfera pubblica e democratica all’interno della quale risulti possibile stabilire un ambito comunicativo corretto». Se il silenzio può dunque essere uno scudo d’altra parte può essere anche la spada del potere. È sul silenzio coatto che s’è sempre fondata ogni repressione culturale. In un dialogo con degli studenti di qualche anno fa Marramao diceva che «In Occidente ”comunicazione” e ”strategia” non rappre-

sentano necessariamente due campi separati. In una delle tragedie meno note di Sofocle - il Filottete - Odisseo riesce a piegare alla sua volontà il povero e credulo Filottete. Egli non utilizza nessun mezzo di coercizione o palesemente repressivo, ma fa uso di ciò che Sofocle chiama la mekané, ossia il marchingegno della persuasione, la strumentazione tecnica persuasiva. In questa tragedia la mekané viene rappresentata come la forma più sottile di bia, vale a dire di violenza: a volte la persuasione può essere più violenta della palese forza fisica. Quando si parla dell’etica comunicativa e della azione strategica come se fossero due campi separati si commette un errore: strategia e comunicazione sono da sempre intrecciate fra loro e continueranno ad esserlo. Nell’affermare che l’obiettivo dell’etica della comunicazione è quello di liberare la comunicazione stessa dai condizionamenti strumentali, noi dunque indichiamo esclusivamente una linea di tendenza.

Non si potrà mai arrivare ad una comunicazione ”angelica”, anche perché gli angeli non hanno bisogno di parlare tra di loro. Proprio per il fatto che non siamo angeli, abbiamo bisogno di comunicare attraverso le parole o le immagini - ovvero i mezzi e le tecniche di comunicazione – e in tal modo siamo sempre esposti al rischio di condizionarci e di sopraffarci. In ogni parola e in ogni immagine è simbolicamente incapsulato un elemento di potere: la consapevolezza di questo fatto è il fattore in grado di liberarci, per lo meno tendenzialmente. Maggiore diventa la nostra consapevolezza, maggiore sarà la crescita culturale e conoscitiva». Il punto è dunque quello di equlibrare libertà espressiva, che deve essere la più ampia possibile e principio di responsabilità. «Se noi avessimo una libertà deresponsabilizzata sarebbe un guaio. Più potenziale espressivo richiede più responsabilità. Occorre stabilire una relazione tra il medium, il messaggio e il destinatario del messaggio.


società

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Ancora poco chiare le motivazioni dell’agitazione sindacale: alcuni parlano dei rincari di tariffe e carburanti, ma non c’è unità

Una protesta rosso sangue Una vittima e un ferito durante il blocco degli autotrasporti che sta paralizzando il Paese. Il governo all’Ue: «Pronti a intervenire, prima di tutto ci deve essere la legalità». Ma i “padroncini” minacciano scioperi a oltranza di Gualtiero Lami a protesta dei camionisti si tinge di sangue: un autista astigiano di 46 anni, Massimo Crepaldi, ieri mattina all’alba è stato travolto e ucciso nel piazzale dello svincolo di Asti ovest intasato di lamiere e pneumatici per la protesta contro tutto e tutti degli uomini dei tir. Se fosse una guerra, si direbbe che Crapaldi è stato ucciso da “fuoco amico”: lo ha schiacciato un altro

blocco è caduto mentre cercava di impedire il passaggio a un camion che non voleva partecipare allo stop. Ma queste sono solo le punte drammatiche di iceberg di violenza, disperazione e ignoranza che sta bloccando l’Italia facendoci precipitare nel baratro del caos “alla greca”. Non a caso l’Unione europea, dopo aver visto le immagini del paese in preda a un manipolo di camionisti, ha chiesto

camion, guidato da una donna tedesca che stava ripartendo per il suo lungo viaggio dopo la notte di riposo. La vittima, per cercare di fermare il camion della donna e “costringerlo” a protestare, si è aggrappato alla portiera del mezzo ma è caduto sotto le ruote del camion, restando schiacciato. Non è chiaro, per ora, se la donna tedesca volesse comunque forzare il blocco dei tir oppure semplicemente non si sia accorta dell’uomo che voleva fermarla. Per ora è stata arrestata con l’accusa di omicidio colposo. Un incidente simile, per fortuna con conseguenze meno gravi, è successo a Fidenza, nei pressi di Parma, durante il presidio al casello sull’A1. Anche qui, uno degli animatori del

conto al governo della sua capacità di mantenere l’ordine. E Monti, in pieno Ecofin, a Bruxelles, ha risposto immediatamente, come riferiamo qui accanto. Il problema è che nella disabitudine ventennale alle regole, i nostri camionisti le norme o non le conoscono o le detestano. La situazione generale, infatti, è rapidamente precipitata. «Sono almeno un centinaio i blocchi in tutta Italia», ha spiegato alle agenzie di stampa Delfina Di Stefano dalla sala operativa della polizia stradale. Più o meno gli stessi di lunedì, anche se alcuni svincoli autostradali sarebbero stati riaperti. I blocchi però, potrebbero continuare fino a venerdì e c’è già chi teme per il

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rifornimento di prodotti freschi nei negozi. Secondo la Coldiretti le perdite ammonterebbero a «50 milioni di euro al giorno per prodotti alimentari deperibili». Va da sé che approfittando della situazione, molti commercianti – anche coloro i quali hanno i magazzini pieni di merci – hanno immediatamente aumentato i prezzi: quelli di frutta e verdura sono alle stelle non solo nei mercati ge-

Pronta una multa da 200 euro, il ritiro della patente, della carta di circolazione e il fermo del mezzo per chi continua a manifestare

nerali (quelli che risentono più del blocco dei trasporti) ma anche nei supermercati. Sempre a causa dei blocchi, comunque, ieri gli stabilimenti della Fiat di Melfi, Cassino, Pomigliano, Mirafiori e Sevel sono rimasti fermi anche al secondo turno. In particolare, i lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori in cassa integrazione straordinaria avrebbero dovuto riprendere ieri, per tre giorni, la

loro attività. Ma i disagi ormai sono intorno a tutte le grandi città: da Nord a Sud, il movimento partito dalla Sicilia (dove molti hanno voluto vederci in gioco forti interessi mafiosi) ha contagiato tutto il paese: anche a Roma è Milano ieri è stato difficile entrare. E persino in Sardegna le cose non sono andate meglio, con l’ingresso della Dogana del porto di Cagliari bloccata per tutto il giorno.

Proprio per questo, dopo le sollecitazioni del ministro dell’interno Cancellieri, ieri i prefetti hanno cominciato a muoversi. Lo stop agli assembra-

menti di tir presso i caselli autostradali all’entrata della capitale è stato deciso con un’ordinanza del Prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. «Possono creare impedimenti alla circolazione stradale – dice l’ordinanza – e comprometterne la sicurezza e interrompere un servizio pubblico». L’ordinanza, valida fino a venerdì, vieta inoltre all’interno del grande raccordo anulare e lungo tutte

le strade di accesso alla capitale la circolazione degli automezzi adibiti al trasporto di merci che non siano destinati alla distribuzione nella capitale o nella provincia. Il provvedimento, precisa la Prefettura, «si è reso necessario a seguito delle proteste della categoria che stanno avendo ripercussioni su tutto il territorio nazionale e che, come noto, stanno compromettendo il regolare approvvigionamento di beni primari per i cittadini e per le attività produttive».Vale la pena ricordare che l’inosservanza dell’ordinanza prefettizia comporterà una sanzione amministra-


società tiva pari a circa 200 euro, il ritiro della patente, della carta di circolazione ed il fermo amministrativo del mezzo. Insomma, il governo ha – giustamente – scelto la linea dura. Lo ha ribadito la responsabile del Viminale che, a tempo record, ha raccontato i fatti ai senatori: «La situazione in Sicilia è al momento in via di normalizzazio-

indicazioni date ai prefetti: «Se dovessero verificarsi strascichi della protesta che compromettano la sicurezza della circolazione e l’incolumità delle persone, i prefetti potranno, come avvenuto a Roma, far ricorso all’adozione di apposite, mirate ordinanze urgenti». Ha concluso con un po’ di contabilità spiccia tanto per spiegare quali sono i costi, in termini concreti della follia dei camionisti: per fronteggiare la protesta sono state impiegate dalle forze di polizia 1.160 unità di rinforzo, ha detto, concludendo in tono conciliante che il governo «continuerà a seguire questa vicenda con la massima attenzione auspicando che prevalga il senso di responsabilità in tutti gli attori della vicenda».

Già, ma perché protestano i

Il ministro Cancellieri: «Ci sono ancora focolai di criticità sul resto del territorio nazionale, interverremo. Sono in corso indagini»

camionisti? Non è chiaro. I più fanno riferimento al rincaro delle tariffe e della benzina, ma non c’è una linea unitaria nella gestione del caos. Diciamo che i più rivendicano il diritto alla rabbia, scaricando sugli altri cittadini la propria impotenza quando non la propria violenza. Il tutto nel dispregio assoluto di ogni basilare regola

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Dopo la partecipazione all’Ecofin auspica “un ruolo diverso” per la Bce

Monti: «Disagi previsti, liberalizzazioni sacrosante» L’Fmi lancia l’allarme: «Da sola l’Italia non ce la farà» Il premier: «Abbiamo fatto la nostra parte, serve l’Ue» di Marco Palombi on solo lo spread, il debito pubblico e la recessione che investirà l’Europa in questo 2012, a mettere in difficoltà il governo di Mario Monti ci si mettono pure quel pugno di Tir che sta bloccando la penisola da giorni e che a Bruxelles guardano con una certa preoccupazione. Così come l’Fmi, che lancia l’allarme: «Da sola l’Italia non ce la può fare». È da poco finito un ottimo vertice europeo per l’Italia, in cui i partner dell’Ue hanno lodato abbondantemente l’azione dell’esecutivo, che si diffonde la notizia che la Commissione europea ha chiesto chiarimenti a Roma sulla mezza rivolta dei camionisti che blocca la libera circolazione delle merci comunitarie. È lo stesso governo dell’Ue, poco dopo, a chiarire: «Il ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, ha assicurato al vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani, in una telefonata, che il governo italiano intraprenderà tutte le misure necessarie per porre fine ai blocchi - si legge in una nota - Quando si verificano tali ostacoli, gli stati membri dovrebbero adottare misure necessarie e proporzionate in modo che la libera circolazione delle merci sia garantita nel territorio dello Stato membro». Lo stesso presidente del Consiglio è costretto a prendere la parola sul tema al termine dell’Ecofin a Bruxelles: «Le proteste vanno esaminate caso per caso, il rispetto della legalità è qualcosa che si può e si deve esigere. Certi diritti, come quello di sciopero, sono garantiti costituzionalmente, e la stessa Unione Europea si interessa di come assicurare il libero movimento delle merci, pur nel rispetto di questi diritti. Vogliamo riformare l’Italia, nella comprensione delle categorie, ma facendo rispettare le leggi».Va bene le proteste, ma la ricreazione è finita, avverte il professore.

N

dell’interesse generale».Tutto qui, il che significa anche, al netto dei toni cortesi, un sostanziale restringimento degli spazi di trattativa con le varie lobby in Parlamento: «In questo momento tutti gli italiani fanno sforzi, ma se ci mettiamo tutti insieme i sacrifici saranno minori e il risultato di crescita globale sarà maggiore e si vedrà più presto».

D’altronde, si lascia andare Monti, le stime di Bankitalia sulle liberalizzazioni confermano che possono essere un volano per la crescita e “in quel pacchetto c’è roba vera”. È in questa visione di medio periodo che rientra anche la trattativa iniziata lunedì sulla riforma del mercato del lavoro: i temi, ha spiegato il premier, sono quelli illustrati dal ministro Fornero (più flessibilità, più tutele, diversa gestione degli ammortizzatori sociali), quanto ai tempi «saranno più lunghi di quelli della riforma delle pensioni e più brevi di quelli che in passato hanno caratterizzato le lunghissime conversazioni sul tema». E qui la situazione italiana si intreccia inevitabilmente con lo scenario nel quale l’ex preside della Bocconi svolge le sue considerazioni, un vertice europeo sul cosiddetto Fiscal Compact: «In Italia stiamo facendo la nostra parte», mette a verbale Monti, ma ora “occupazione e crescita” devono diventare «il tema al centro del dibattito europeo anziché i due corni di un dilemma». E serve pure una risposta europea alla crisi dei debiti sovrani un po’ diversa dal furore rigorista tedesco. I soldi messi nel Fondo salva-Stati vanno aumentati: «Non faccio cifre, mi limito a una osservazione: se gli importi sono di dimensione tale che i mercati li considerano credibili è probabile che non saranno mai sborsati». Tutto sta – sostiene Monti – a trovare l’accordo politico sulle regole di bilancio (l’Italia chiede che i necessari criteri di rientro del debito tengano conto del ciclo economico e di altri fattori), a quel punto “la mia percezione è che la visione, la valutazione e la posizione di tutti i soggetti in gioco sia suscettibile di variazione”. La Germania cambierà idea, insomma, quando si sentirà più sicura e allora “credo si possa assistere ad una evoluzione” anche sul ruolo della Bce: «Del resto – è la conclusione - un aspetto importante dell’evoluzione c’e’ già stato ed è quello che non ha riguardato i titoli pubblici, ma le banche con una grossa operazione di rifinanziamento condotta fra novembre e dicembre».

Accenni anche all’aumento del Fondo Salvastati: «Tutto sta nel trovare l’accordoquadro con la politica degli altri Stati dell’Unione»

ne, anche se in alcune zone dell’Isola permangono disagi», ha spiegato a Palazzo Madama Annamaria Cancellieri. Aggiungendo che ancora ci sono «focolai di criticità sul resto del territorio nazionale». Ha poi messo il dito su una piaga che brucia parecchio: sono in corso indagini per accertare la presenza di elementi della criminalità organizzata tra i manifestanti degli autotrasportatori in Sicilia. L’obiettivo è accertare «l’origine degli atti intimidatori nei confronti di alcuni operatori commerciali». Poi la ministro ha riferito delle

di convivenza civile: il danno alla libera circolazione delle persone è ormai incalcolabile. « Se la protesta dei tir non si interromperà – si legge in una nota di Confcommercio – è serio il rischio che l’interruzione di forniture importanti per le imprese e la mancata distribuzione di prodotti di largo e generale consumo alimentare possa impedire alle famiglie di poter fare la spesa regolarmente già dalle prossime ore»: un’alzata di scudi che sa un po’ di preavviso all’aumento indiscriminato dei prezzi.

Monti, però, risponde alle domande sullo sciopero dei Tir per parlare a tutte le corporazioni che annunciano battaglia sul decreto liberalizzazioni: «Siamo ben consapevoli che le misure destano opposizioni, preoccupazioni e ansie, e ci possono essere cose da guardare più attentamente. Ma in buona misura le reazioni sono previste e lo sforzo che dobbiamo fare è quello di spiegare al meglio che possiamo il contenuto e la ragione di ogni misura introdotta, di spiegare che riguarda tutte le categorie, e che ciò che ha frenato la crescita economica e che rende precaria la vita dei giovani, è stata una gerarchia di valori secondo la quale l’interesse della categoria viene prima


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arà bene riconoscere come, nell’Italia repubblicana, una “terza forza” politica sia sempre stata disattesa, e in qualche modo frustrata. La storica contrapposizione fra Democrazia cristiana e Partito comunista, con tutti i retaggi che ne sono derivati, ha sempre ostruito la possibilità di una terza via, laica ancorché cattolica: e forse chi più di tutti ne ha subito le conseguenze è stato il progetto politico di Ugo La Malfa, tanto importante quanto mai in grado di rappresentare un elettorato capace di imporsi in maniera determinante. Così anche il tentativo sostenuto a suo tempo da Ernesto Galli della Loggia (storico editorialista del Corriere della Sera) di un “polo laico”, che allora mise in cantiere l’alleanza fra repubblicani, liberali e radicali-federalisti, fu soppressa sul nascere, non arrivando nemmeno ad ottenere un 4% alle elezioni del 1989. Eppure questo viatico sembrava caldeggiato anche dall’altro grande quotidiano, La Repubblica, che in un articolo di Eugenio Scalfari negli anni Ottanta dal titolo “Terza forza terza via, per piccina che tu sia”, rilanciava proprio la possibilità intravista e sostenuta anche da Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio non democristiano in Italia. E tuttavia, nonostante gli stimoli provenienti dai due più grandi quotidiani del nostro Paese, l’aspirazione ad un terzo polo (che si configurava peraltro necessariamente laico, quindi alternativo all’ispirazione cattolica della Democrazia cristiana), non prese mai quota.

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Ma oggi, in questi primi vagiti degli anni Dieci del Duemila, qualcosa sembra essere cambiato. Stante la difficoltà e la naturale diffidenza che gli italiani nutrono per questa “terza via” - anche perché sempre in qualche modo conniventi alle “due chiese”, quella cattolica e quella comunista - sembra evidente che qualcosa sia cambiato proprio in questo senso: infatti l’aria del Terzo Polo comprende oggi l’Udc, poi Fli e l’Api di Rutelli, compreso il Partito repubblicano di Giorgio La Malfa. Ed è anche chiaro come, in questo momento, il governo Monti possa rappresentare una sorta di “terzo polo per istituzione”, vale a dire la necessaria sintesi di Partito democratico e Popolo della libertà, sostenuta e più che mai voluta naturalmente anche dal polo centrista. Pertanto, quella che una volta poteva sembrare una velleitaria proposta d’opinione, oggi si è naturalmente allargata ad una unione delle maggiori forze politiche che, al di là di un bipartitismo non bene identificato, sembrano necessariamente dover ricorrere ad essa nel momento della crisi e dell’emergenza. A cosa è dovuto tutto questo? Probabilmente anche ad un mutamento culturale, e poi al superamento delle impossibilità di dialogo anzitutto fra laici e cattolici. E se il “Polo laico”non riuscì a decollare anche a causa delle incompatibilità fra repubblicani, radicali e liberali di allora, oggi nel Terzo Polo ci sono addirittura Rutelli e Fini che, come tutti ricordano, si sfidarono come candidati della sinistra e della destra per l’elezione del sindaco di Roma, che fu vinta appunto da Rutelli (anche se Fini più tardi fu, per così dire,“vendicato”da Alemanno). Ma questo deve necessariamente farci pensare che qualcosa sia profondamente cambiato anche in tale contrapposi-

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Terzo polo, se n Per risollevarsi, l’Italia ha bisogno di superare le storiche contrapposizioni bipolari e bipartitiche. Il nuovo governo, benché sia puramente tecnico, ha tutte le potenzialità per avviare una rivoluzione politica. A patto che non si limiti solo all’economia... di Franco Ricordi

La crisi e l’emergenza (anche culturale) del Paese possono rappresentare il collante che tiene insieme le anime dei maggiori partiti zione destra-sinistra, con tutte le remore che si possano avere, assumendo nella migliore delle ipotesi un senso di “responsabilità storica” che il Terzo Polo è venuto a rappresentare per l’Italia. E tale responsabilità deve passare necessariamente per un fondamentale dialogo fra laici e cattolici, riformisti e liberali, che sono già presenti nel Terzo Polo e che, con il possibile allargamento di un centro ai settori più moderati del Pd come del Pdl, crediamo sia legittimo intravedere.

Ma tutto questo rappresenta davvero un episodio assai importante dal punto di vista politico-culturale: se infatti una volta la terza via stentava a raggiungere un 4%, oggi potrebbe arrivare intravedere un 40% del naturale elettorato italiano. E questo è dovuto

proprio alla possibilità-necessità di allargamento post-ideologico. Tuttavia ciò non significa che non ci sia o non possa esserci una fondamentale utenza culturale che stia alla base di tutto; e allora ci chiediamo: dove si può intravedere questa nuova, ancorché antica, realtà? Forse proprio questa transizione del governo Monti potrebbe essere l’occasione, per noi italiani, di fare un salto di qualità nella politica, nella migliore delle ipotesi s’intende. E certo in tale occasione, insieme al ricordo di Ugo La Malfa e dei suddetti, non può non riaffiorare l’evento che è stato giustamente considerato come l’apice della “notte della Repubblica italiana”, il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. L’assassinio di Moro da parte delle Brigate rosse nel 1978, il delitto politico contro l’uomo che più di ogni altro rappresentò l’idea di un “dialogo storico” (siamo ancora tenuti a chiamarlo con quella brutta parola, “compromesso”?) fra Democrazia cristiana e Partito comunista, rappresenta la vera tragedia della politica italiana, al seguito della quale promanano tutte le altre disfunzioni di cui soffriamo, dalla parti-

tocrazia infinita alla democrazia bloccata. Pertanto sarebbe il momento di rileggere l’esperienza politica italiana del dopoguerra proprio accostando Moro e La Malfa, nel tentativo di capire come anche le connivenze della strategia della tensione siano ormai del tutto smascherate.

E se non lo fossero, sarebbe giunta l’ora di poterlo fare in maniera definitiva. Il dialogo tra laici e cattolici, la necessità di una emergenza superiore nei confronti della storica ancorché sterile contrapposizione delle chiese, è ormai giunto al momento di più assoluta opportunità e maturazione: o adesso o mai più. Ma non si tratta certo di una sostituzione del mancato progetto bipolare con una presunta nuova Democrazia cristiana, tanto meno il progetto di un nuovo pentapartito con aperture bilaterali. Si tratta della consapevolezza di una nuova Italia in una nuova Europa, ovvero delle possibilità di una politica non più precipuamente italiana ma europeo-italiana, che tenga presente le ragioni dell’Italia in quelle d’Europa e viceversa. E sotto questo aspetto appare evidente


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non ora quando?

Il dialogo tra laici e cattolici, oggi più che mai, è evidentemente giunto al momento di più assoluta opportunità e maturazione come il problema dell’unione monetaria non potrà resistere ad una più autentica unione politica, creando un percorso verso l’Europa che non sia precipuamente garantito da quello di una Eurolandia non meglio identificata. Ecco il punto verso il quale il “Terzo Polo” deve insistere: l’unione politica in quanto unione anche politico-culturale.

Senza tale consapevolezza l’Italia rimarrà perennemente la terra dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Bianchi e dei Neri, dei Capuleti e dei Montecchi e oggi, addirittura, leghisti e sudisti. Ugo La Malfa insieme con Aldo Moro. Enrico Letta e Angelino Alfano. I leader del Terzo Polo: Francesco Rutelli (Api), Gianfranco Fini (Fli), Pier Ferdinando Casini (Udc)

Il Terzo Polo, l’ala moderata della politica italiana, si vede in questa maniera proiettato verso una naturale responsabilità e destinazione europeistica senza la quale, stando così le cose, l’Italia corre veramente il rischio della Grecia: non solamente per motivi economici e finanziari, ma anche per una autoesclu-

sione di carattere culturale, che deriva dall’impossibilità di governare il paese a fronte della litigiosità che è venuta fuori in maniera più che mai evidente proprio in questi ultimi anni del governo Berlusconi. E purtroppo va rilevato come tale litigiosità, che tutto blocca e nulla fa fun-

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zionare, sia ancora erede diretta di quella contrapposizione storica che, se una volta isolava il Pci dalla possibilità di accedere al governo, oggi rende praticamente impossibile l’esperienza di un esecutivo bipolare. Ora, se una volta tale litigiosità veniva sempre premiata (e a farne le spese era appunto il mancato decollo del terzo polo di cui sopra, e in quel caso l’aumento dell’elettorato premiava soltanto democristiani e socialisti), oggi questa dialettica e anche strategia della litigiosità non ha più ragioni di esistere, e soprattutto sarebbe un grave pericolo per l’autentica collocazione dell’Italia in Europa. L’Italia è oggi chiamata davvero a compiere un salto di qualità politico, e certamente non basterà il governo Monti, che di fatto è e vorrà essere un governo tecnico, a poter indicare in tutto e per tutto il senso di questo cambiamento. Al contrario spetterà alla nuova classe dirigente, quella degli attuali cinquantenni (senza voler passare impunemente dai settanta-ottantenni ai venti-trentenni, come qualcuno vorrebbe) l’arduo compito di afferrare questa opportunità.

È anche un problema generazionale, per intenderci, quello del dopo Silvio Berlusconi. In definitiva, crediamo che il governo di Mario Monti possa nella migliore delle ipotesi rappresentare l’inizio di questo possibile salto verso una nuova destinazione della politica italiana; ad una condizione però: che la classe dirigente italiana possa comprendere la portata culturale di questa elevazione. Si dice, tanto per fare un esempio, che far pagare le tasse agli italiano sarebbe una “rivoluzione culturale”. Siamo perfettamente d’accordo. Ma si pensa che tale rivoluzione culturale possa limitarsi soltanto ad una questione di tasse? Non sarà qualcosa di più profondo, qualcosa che leghi in maniera completamente diversa il cittadino allo Stato che andrebbe oggettivamente evocato? La coscienza degli italiani che finalmente si potessero pregiare di “pagare le tasse”, non comporterebbe già una presa di posizione completamente diversa nei confronti della società? E non sarebbe, tale coscienza, dettata necessariamente da una “situazione di emergenza culturale” nella quale, evidentemente, non abbiamo ancora capito? L’emergenza culturale della nostra epoca, che già da qualche anno andiamo denunciando, è assolutamente in simbiosi con l’emergenze politica; quindi con l’emergenza economica per la quale è stato necessario l’avvento del governo dei tecnici. Ma se anche questo governo dovesse risolvere in prima battuta i problemi economici e finanziari che ci spaventano, è evidente che senza una vera e propria rivoluzione politico-culturale, che risponda autenticamente ai motivi più profondi dell’emergenza, ci si ritroverebbe dopo pochi anni alla medesima stregua. Una situazione politico-economica finalizzata a sé stessa, che pensa sostanzialmente a far sì che il paese non vada in deafault. Ma lo vogliamo capire una buona volta che il nostro vero problema non è soltanto il default? Se il prossimo governo eletto dagli italiani potrà comprendere il senso più alto di tale emergenza, allora avremo fatto un passo avanti verso un possibile cambiamento.


mondo

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Economia, crescita e occupazione i focus dell’intervento al Congresso. Guardando alla battaglia repubblicana e al voto

La fase due di Obama Il presidente pronuncia nella notte l’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Antonio Picasso arà il suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione? Ipotesi assai improbabile. La campagna elettorale repubblicana è talmente sfaldata, che le percentuali di vittoria di Barack Obama, per il secondo mandato, alla presidenza degli Stati Uniti, è quasi matematicamente sicura. Fatto sta che quello di ieri notte è stato formalmente il suo terzo e ultimo intervento pronunciato da presidente prima della scadenza del tentennante mandato. Proprio perché molto atteso e

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anticipato su più fronti, le ripercussioni del discorso saranno del tutto minime. Le certezze però sono due. La storicità di questo discorso è nulla rispetto a quanto detto da Obama in passato. Specie in termini di contenuti. Ricordiamoci infatti l’intervento all’università islamica di al-Azhar (Il Cairo, estate 2009). Quello fu un passaggio epocale della presidenza democratica. D’altro canto, il presidente conferma le sue doti di comunicatore glamour e visionario che lo hanno portato alla vittoria tre anni fa. Nel momento in cui i giornali europei vanno in stampa, il presidente non ha ancora parlato. Il jet lag tra noi e l’America non può essere ridotto dalla carta stampata. Obama, però, ha aggirato l’ostacolo. La Casa Bianca, intuendo questo handicap, ha deciso di diffondere su internet un’accurata anticipazione dei temi trattati nel discorso ufficiale. Negli ultimi giorni, è stato lo stesso Obama a intervenire su Youtube e sul sito della sua campagna elettorale, in cui spiegava quello che avrebMitt Romney, fino alla settimana scorsa il sicuro sfidante di Obama alle presidenziali del novembre 2012 per il campo repubblicano. In apertura, il presidente nel corso del terzo discorso al Congresso di Washington sullo stato dell’Unione. Nella pagina a fianco, il movimento Occupy Wall Street e Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue

be detto. Può sembrare una trovata banale. Ma appunto per questo, ha una propria genialità, che permette al leader democratico di correre almeno una lunghezza davanti rispetto ai suoi incolori concorrenti repubblicani.

Economia e politica internazionale, ma soprattutto la prima. Anzi, solo la prima! Sono state confermate le indiscrezioni per cui Obama si sarebbe concentrato sul futuro economico del Paese. Il presidente ha cercato di dare una risposta che egli stesso si è posto in maniera implicita: dove va l’America? Il 2011 si è chiuso con una lievissima flessione positiva, soprattutto in termini di posti di lavoro. Un segnale che ha permesso alla Casa Bianca di essere un po’ più ottimista, rispetto all’intero anno fatto di vacche magre. Il trend infatti va preso con le molle. Ieri il New York Times ha ricordato che quell’8,5% di disoccupati su scala nazionale fa di Obama il presidente con il più alto numero di senza lavoro che si appresta ad affrontare un secondo mandato. Non è un record di cui vantarsi. Soprattutto perché saranno i disoccupato ad andare al voto tra una decina di mesi. I democratici lo sanno. Certo, la colpa è anche dei predecessori. Si aggiungano poi le guerre, lo tsumani e l’Europa che rischia di crollare. Obama ha tenuto a sottolineare tutti questi elementi esterni. Ma le misure preventive, affinché dal 2009 a oggi si evitasse un naufragio, sono state davvero poche. La riforma sanitaria, in particolare, ha esteso la copertura assistenziale a 32 milioni di cittadini statunitensi. In termini assoluti e storici si è trattato di un passo decisivo. Il fatto che però si sia trattato dell’appena 10% della popolazione ridimensiona per intero la norma. I democratici vogliono puntare sulla creazione di nuovo impiego nei prossimi quattro anni. Lo si è detto in sede di campagna elettorale e l’ha ribadito Obama ieri in veste di comandante in capo. Gli indici messi in evidenza dalla stampa appaiono imbarazzanti per la prima potenza economica del mondo. Il presidente ha detto

Il 2011 si è chiuso con una lievissima flessione positiva, soprattutto in termini di posti di lavoro. Un segnale che ha permesso alla Casa Bianca di essere un po’ più ottimista che è necessario promuovere gli investimenti sul manifatturiero nazionale, affinché il made in Usa torni a essere leader sul mercato globale. Ma soprattutto perché, in questo modo, aumenterebbe la domanda di forza lavoro. Il tutto incorniciato in una campagna rivoluzionaria per l’energia, volta alla promozione delle fonti alternative e a un più razionale sfruttasmento di quelle tradizionali, ma su scala nazionale. «Come ci riusciremo?» si è chiesto ancora Obama. La risposta dovrebbe giungere dal miglioramento dell’istruzione, affinché i cittadini americani più giovani riprendano in mano una potenza che si ostina a considerarsi in declino.

Dove va l’America, infatti? Verso il baratro, oppure è in ripresa e nemmeno la sua opinione pubblica se ne rende conto? Obama ha parlato schiettamente, come solo un candidato alle presidenziali, sicuro di vincere, sa fare. Si è rivolto alle telecamere non come presidente uscente (e rientrante), bensì in qualità di leader che deve vin-

cere, perché il suo compito non è ancora finito. Il destinatario del suo messaggio è stato l’uomo della middle class, quello “dal vestito grigio” e gravato dalle insicurezze lavorative del futuro prossimo, oltre che dai dubbi su come pagare il college dei figli. Si stia parlando della pancia dell’America, di un elettorato dalle abitudini raffinate, abituato a un tenore di vita che teme di non poter più permettersi. È di questi giorni un sondaggio Gallup che parla dell’appena il 13% della popolazione soddisfatta della situazione economica del Paese. C’è la consapevolezza, ma non l’intenzione di scendere a compromessi con la crisi. Il che vorrebbe dire sacrifici. L’America ha paura. Di fronte a tanta intransigenza, Obama si è guardato bene dal chiedere ai suoi concittadini di rimboccarsi le maniche. Al contrario, preferito scommettere sull’utile populismo confermando che saranno i ricchi a pagare più tasse e che il valore della responsabilità individuale – esiste ancora? E cosa vuol dire? – dev’essere ripreso e portato


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Il presidente in carica è “globale” mentre i suoi sfidanti sono “tradizionali”

La lezione all’Europa delle presidenziali Usa Una realtà consolidata “sfida” un’istituzione in divenire e le spiega come si costruisce un’unità fondamentale di Francesco D’Onofrio l risultato delle primarie repubblicane in South Carolina ha posto in evidenza ancora una volta che l’Europa in quanto tale finirà con l’avere un ruolo significativo per l’esito stesso delle elezioni presidenziali. È di tutta evidenza che quando si parla del rapporto tra Europa e Usa si finisce con lo stabilire un rapporto tra una entità realmente esistente (gli Stati Uniti d’America) ed una entità (l’Europa) che si trova in una fase istituzionale mai conosciuta nella storia dell’umanità. Il processo di costruzione dell’unità europea se non si basa infatti su Stati nazionali totalmente autonomi l’uno dall’altro, non esprime neanche un contesto che abbia compiutamente messo da parte le specifiche sovranità nazionali a favore di una tuttora indefinita“sovranità europea”. Quel che occorre porre in evidenza in riferimento a questa campagna elettorale presidenziale è il fatto stesso che si stia discutendo di una idea di Europa, che appare particolarmente significativa anche degli Stati Uniti, soprattutto alla luce dell’esperienza della presidenza Obama. Già in queste primarie, infatti, il rapporto con l’Europa ha assunto un significato specifico per la stessa vita quotidiana degli americani. Il tenore di vita dei cittadini statunitensi costituirà infatti anche questa volta l’elemento fondamentale delle scelte presidenziali degli americani, allorché essi decideranno sulla presidenza degli Stati Uniti per il prossimo quadriennio. Mai però come in queste elezioni presidenziali, il rapporto con l’Europa sta assumendo un rilievo specifico anche per la vita quotidiana degli americani stessi. Gli aspirati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti hanno infatti già affermato che non intendono impegnare in alcun modo le risorse finanziarie degli Stati Uniti per “aiutare” l’Europa a risolvere i propri problemi. Romney e Gingrich (che appaiono i due aspiranti ad oggi con maggiore probabilità di successo all’interno del Partito repubblicano per sfidare Barack Obama all’inizio del prossimo novembre), hanno infatti saldato in modo assolutamente nuovo la battaglia repubblicana per la presidenza ad una “minacciata europeizzazione”degli Stati Uniti che sarebbe già avvenuta da parte di Barack Obama. Al netto di affermazioni anche esagerate, si tratta questa volta di una questione profondamente sentita anche dall’opinione pubblica tradizionalmente meno attenta ai fatti internazionali rispetto alle questioni interne tipiche della vita quotidiana. Due appaiono le novità alle quali dobbiamo prestare particolare attenzione da italiani inseriti nel contesto del processo di costruzione dell’unità europea. Da un lato, infatti, dobbiamo essere sempre più consapevoli che la fine dell’U-

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avanti. L’uditorio di Obama è politicamente è una banderuola, in quanto sceglie chi, nel momento della campagna elettorale, gli sa promettere quel che desidera. A questo americano della strada, Obama ha detto: «Ce la faremo!» resta il dubbio se il presidente sia davvero convinto delle promesse.

Da neanche due mesi, è nelle sale cinematografiche l’ultimo film di George Clooney, “Le idi di marzo”, con cui si mette in luce il cinismo che intercorre anche tra le fila dei democratici. I progressisti americani si sono sempre vantati di non fare politica sulla pelle della gente. Non è proprio così. La realtà, rispetto alla pellicola, ha solo una differenza. L’asinello è già alla Casa Bianca ed è lì che sta consumando tutto il suo spavaldo sarcasmo nel festeggiare ben prima del tempo gli altri

quattro anni di Obama. Non è infatti con le parole di ieri, oppure con quelle di al-Azhar che il primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti d’America rimarrà a Washington fino al 2016. Non è per i successi, ancora da definire, nella ripresa economica e tanto meno in quelli di politica estera, che gli Usa non cambieranno rotta. A proposito, gli affari internazionali sono stati depennati dal discorso. Di alternative a Obama non ce ne sono. Questa è l’unica arma dei democratici. Ed è il presidente il primo saperlo. «Sono assolutamente sicuro di vincere», ha detto lunedì sera, durante una cena con 50 finanziatori. Ma, strano a dirsi, non saranno nemmeno i dollari a farlo vincere. Ecco il perché di quell’arrivederci, che si leggeva scritto sulla fronte di Obama nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione.

nione Sovietica ha concorso in modo rilevante a far mutare l’atteggiamento complessivo degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa.

La ricostruzione dell’Europa aveva infatti segnato il sostanziale avvento del primato statunitense nei suoi confronti all’indomani della seconda guerra mondiale. Basti pensare al significato stesso del Piano Marshall. Il “bipolarismo” Usa-Urss aveva in qualche modo finito con il ricondurre i rapporti tra Stati Uniti ed Europa ad una sorta di idea comune di Occidente, all’interno del quale la modernità non solo economica era rappresentata dagli Stati Uniti e la tradizione dall’Europa. L’avvento della globalizzazione ha mutato e sta mutando in profondità i rapporti tra Usa ed Europa. L’emergere di nuove grandi potenze mondiali – quali la Cina, l’India e il Brasile – ha di conseguenza mutato quella sorta di rapporto privilegiato e quasi esclusivo che ha caratterizzato a lungo i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. Dall’altro, la crisi finanziaria iniziata proprio negli Stati Uniti nel 2007 ha avuto conseguenze rilevanti per la stessa vita civile degli europei, così come la specificità europea dell’attuale crisi dell’euro sta avendo conseguenze rilevanti per la vita quotidiana negli Stati Uniti. Da un lato, una sorta di allentamento complessivo dei rapporti tra Stati Uniti e l’Europa; dall’altro, la percezione crescente di una tendenziale concorrenza degli uni e dell’altra nei rapporti con i nuovi soggetti politici particolarmente rilevanti nel contesto della globalizzazione. Basti pensare a due significativi esempi concreti: la Turchia e la Libia. In entrambi i casi l’Europa ha avuto ed ha questioni fondamentali di identità e di strategia. In entrambi questi casi gli Stati Uniti hanno avuto ed hanno una propria specifica visione. Questa visione non è necessariamente convergente con la strategia di singoli Paesi europei rilevanti (come nel caso della Germania), ed ancor più con l’ipotesi strategica stessa della identità europea che Romney e Gingrich hanno definito essere incompatibile con la stessa identità di fondo degli Stati Uniti. Questioni complesse dunque sono quelle che dovranno essere affrontate dal Presidente degli Stati Uniti, sia esso lo stesso Barack Obama confermato per un secondo mandato, sia un presidente repubblicano. Quel che occorre porre in evidenza proprio in questo contesto è il fatto che Barack Obama appare molto più immerso anche personalmente nella globalizzazione, laddove gli aspiranti repubblicani alla presidenza appaiono parlare oggi quasi esclusivamente il linguaggio della tradizione. Sembra dunque rovesciato il rapporto tra tradizione e cambiamento.

Caduta l’Urss, l’idea comune di “Occidente” che caratterizzava i due continenti è svanita nel nulla. Va ricostruita con altri mezzi


mondo

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AsiaNews lancia una campagna per il rilascio dei religiosi, la cui unica colpa è non aver aderito alla Chiesa ufficiale

Un appello alla Cina Tre vescovi e sei sacerdoti sono scomparsi o nelle mani della polizia. Devono essere liberati di Bernardo Cervellera on una lettera al presidente Hu Jintao e una all’ambasciatore cinese in Italia, AsiaNews ha deciso di domandare la liberazione di tre vescovi e di sei sacerdoti che sono scomparsi nelle mani della polizia o detenuti in prigione senza alcun processo. La loro liberazione potrebbe essere un gesto di amicizia e di auspicio verso i cattolici e gli attivisti per i diritti umani, come pure un segno di vero augurio per l’imminente Nuovo anno cinese. Qualche giorno fa infatti, il 23 gennaio, tutto il mondo in Estremo oriente ha festeggiato il Capodanno lunare: si è entrati nell’Anno del Dragone, un anno fortemente positivo e che promette molti frutti. In Cina centinaia di milioni di persone si mettono in viaggio per radunarsi con le loro famiglie: l’alba del nuovo anno è sempre festeggiata consolidando i rapporti familiari e di amicizia che rendono ancora più positivo lo sguardo verso il futuro. Per questo, domandiamo che questi tre vescovi e i sei sacerdoti possano essere ricondotti alle loro famiglie e alle loro comunità. Essi non sono mai stati accusati di nessun crimine, né hanno subito alcun processo o condanna. Eppure si trovano ai lavori forzati o sequestrati dalle forze di polizia di un Paese che è membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu e che ha firmato la Carta universale dei diritti umani. AsiaNews ha deciso di mandare anche una lettera all’ambasciatore cinese in Italia, l’on. Ding Wei, che nei giorni scorsi

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in modo ammirevole si è prestato con puntuale solerzia e cura nel servizio alla comunità cinese in Italia, dopo il tragico evento della barbara uccisione di Zhou Zheng e della piccola Joy. Avendo pianto e pregato con lui per la famiglia di Zhou, chiediamo all’on. Ding un po’ di questa solerzia e cura verso i vescovi e i sacerdoti scomparsi e imprigionati ingiustamente, anch’essi suoi connazionali e nostri fratelli. Ecco la lista dei vescovi e sacerdoti scomparsi o in prigione.

Mons. Giacomo Su Zhimin vescovo sotterraneo di Baoding (Hebei). Mons. Su, quasi 80 anni, è stato arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997. Da allora nessuno conosce né l’accusa che ha causato l’arresto, né se vi sia stato un processo, né il suo luogo di detenzione. Nel novembre 2003 è stato per caso scoperto in cura in un ospedale di Baoding, circondato da poliziotti della pubblica sicurezza. Dopo una breve e frettolosa visita dei parenti, la polizia lo ha fatto scomparire ancora fino ad oggi. Prima dell’ultimo arresto, mons. Su Zhimin ha passato a fasi alterne almeno 26 anni in carcere o ai lavori forzati, bollato come “controrivoluzionario” solo perché , fin dagli anni ’50, si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, che vuole edificare una chiesa nazionale staccata dal papa. Nel ’96 – da un luogo nascosto perché ricercato – era riuscito a diffondere una lettera aperta al governo cinese perché rispettasse i diritti umani e la libertà religiosa del

popolo. In tutto ha già speso 40 anni in cattività.

Mons. Cosma Shi Enxiang, vescovo sotterraneo di Yixian (Hebei). Mons. Shi, 90 anni, è stato arrestato il 13 aprile 2000, un venerdì santo. Di lui non si sa nulla, anche se i suoi parenti e fedeli continuano a domandare alla polizia almeno qualche notizia. Mons. Shi Enxiang ha subito lunghi periodi di carcere: dal 1957 fino al 1980, è stato costretto ai lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, fino a fare il minatore nelle miniere di carbone dello Shanxi. È stato arrestato ancora per tre anni nel 1983, poi ha subito tre anni di arresti domiciliari. Nell’89 – alla costituzione della Conferenza episcopale dei vescovi sotterranei – è stato ancora arrestato e rilasciato solo nel ’93, fino al suo ultimo arresto nel 2001. In tutto egli ha passato già 51 anni in prigione. P. Giuseppe Lu Genjun, vicario generale della diocesi sotterranea di Baoding (Hebei). È scomparso dal 17 febbraio 2006 nelle mani della polizia. P. Lu, appartenente alla Chiesa sotterranea, è stato arrestato nel febbraio 2006 insieme ad un altro sacerdote mentre incontravano un amico alla stazione ferroviaria di Baoding. L’altro sacerdote è stato trasferito nella prigione di Xushui (Hebei) e più tardi rilasciato. Invece per p. Lu, fino ad ora non si conosce il luogo dove è incarcerato. Nel dicembre 2008, i suoi fedeli hanno chiesto al governo che

Monsignor Giacomo Su Zhimin, quasi 80 anni, è stato arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997. Da allora nessuno conosce la sua sorte o il motivo del suo arresto egli venisse rilasciato almeno temporaneamente per stare vicino ai suoi genitori morenti e partecipare ai funerali. Ma nemmeno questo gesto di pietà filiale, così importante per la cultura cinese, gli è stato permesso. P. Lu ha subito altri anni di detenzione e violenze. Nel 1998, alla Domenica delle Palme, è stato incarcerato per un breve periodo (forse per non permettergli di celebrare le messe durante la Settimana Santa). Nel 2001 è stato condannato a tre anni di “rieducazione attraverso il lavoro”(campi forzati), accusato di aver condotto attività missionarie illegali che minano l’ordine sociale perché egli non aderiva all’Associazione patriottica. È stato rilasciato nel 2003. Nel maggio 2004 è stato arrestato insieme a un altro sacerdote, poco prima di dare una conferenza sui metodi naturali per il controllo delle nascite e sulla teologia morale. I due sono stati tenuti per alcuni giorni nella prigione di Dingzhou, vicino ad Anguo (Hebei). P. Zhang Jianlin, sacerdote sotterraneo della diocesi di

Xuanhua (Hebei). P. Zhang è stato portato via da personale dell’Ufficio affari religiosi lo scorso 22 giugno 2011. Fino ad ora non si conosce il luogo dove è detenuto. Anche nel luglio 2009 il p. Zhang è stato portato via dalla polizia e posto agli arresti domiciliari in un cortile legato all’edificio di un ufficio governativo. Gli era stato dato il permesso di ricevere visite. Ma è stato sottoposto a pesanti tattiche psicologiche e fisiche per costringerlo a sostenere il Consiglio dei vescovi cinesi (non riconosciuto dalla Santa Sede) e ad aderire all’Associazione patriottica. Dopo sette mesi di detenzione è stato rilasciato, ma era tenuto sempre sotto costante controllo, non poteva muoversi in libertà e gli era vietato di praticare il suo ministero Nel 2008 è stato arrestato a Nanjing, per aver tentato di andare al santuario mariano di Sheshan e partecipare il 24 maggio alla celebrazione della Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa in Cina, voluta da Benedetto XVI. Riportato nell’Hebei, ha scontato un periodo di detenzione a Xuanhua.

P. Cui Tai, sacerdote sotterraneo della diocesi di Xuanhua (Hebei). P. Cui è scomparso nelle mani della polizia dal 22 giugno 2011. Quel giorno alcune personalità dell’Ufficio affari religiosi del governo lo hanno portato via e da allora non si conosce dove sia. Egli è stato spesso arrestato e poi rilasciato. Durante i periodi di detenzione ha sofferto la fame e la sua salute è molto deteriorata. Nel 1993, subendo la condanna


mondo

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Parla mons. Savio Hon Tai-fai, segretario di Propaganda Fide

«La loro liberazione può giovare a Pechino»

«Sono martiri che con il loro sacrificio rendono fecondo il lavoro dell’evangelizzazione della Chiesa» ROMA. La Cina «dovrebbe liberare i vescovi e

Monsignor Cosma Shi Enxiang, vescovo sotterraneo di Yixian (Hebei), ha 90 anni. È stato arrestato il 13 aprile 2000, ma ha già passato circa 51 anni in galera a tre anni di prigionia, ha subito percosse e ha perso due denti. Nel 2001, a causa di un incidente stradale, la polizia è venuta a scoprire la sua identità di sacerdote e l’ha sequestrato in un luogo isolato in montagna, costringendolo a sessioni politiche e lavaggio del cervello. In seguito è stato rilasciato, ma non ha potuto mai svolgere il suo ministero in libertà, essendo sotto continua sorveglianza.

P. Liu Honggen, sacerdote sotterraneo della diocesi di Baoding (Hebei). P. Liu e altri 8 sacerdoti sono stati arrestati nel villaggio di Xinanzuo (Contea di Qingyuan, Hebei) il 27 dicembre 2006. Attualmente egli è detenuto nella prigione di Qingyuan. P. Ma Wuyong, sacerdote sotterraneo della diocesi di Baoding (Hebei). P. Ma e altri 8 sacerdoti sono stati arrestati nell’agosto 2004, nel villaggio di Suijiazhuang (Contea di Quyang, Hebei). I sacerdoti si erano radunati per festeggiare il loro primo anno di ordinazione. Almeno 20 auto della polizia sono giunte sul luogo per cer-

carli porta a porta e per arrestarli. Attiulamente il p. Ma si trova nella prigione di Qingyuan. Prima del Capodanno cinese del 2006, p. Ma è stato temporaneamente scarcerato. È stato ri-arrestato un mese dopo,dopo aver partecipato al funerale di un sacerdote di Baoding, p. Chen Baidu.

P. Wang Chengli, sacerdote sotterraneo della diocesi di Heze (Shandong). Lo scorso 25 agosto 2011, il p. Wang, 48 anni, ha subito una condanna a due anni e mezzo di “rieducazione attraverso il lavoro” (lavori forzati) perché con ogni probabilità si rifiutava di aderire all’Associazione patriottica. Per scontare la condanna, il sacerdote è stato trasferito dalla prigione di Dongming al lager di Jining, a oltre 150 km dal suo paese. Mons. Wu Qinjing, vescovo ufficiale della diocesi di Zhouzhi (Shaanxi). Dal novembre 2007 il governo costringe questo giovane vescovo a rimanere recluso nel seminario minore di Xian e limita le sue attività. Mons. Wu è stato ordinato in segreto come vescovo della diocesi ufficiale di Zhouzhi, ma senza il permesso della locale Associazione patriottica. Per questo, quando è stata resa pubblica la sua ordinazione (maggio 2006), il governo ha bloccato le sue attività e lo ha sequestrato, costringendolo a imparare a memoria i “Regolamenti sugli affari religiosi”. Gli è vietato portare insegne episcopali e di svolgere alcuna attività come vescovo. Ancora oggi si trova agli arresti domiciliari nel seminario di Xian.

i sacerdoti arrestati perché farebbe del bene anche all’immagine internazionale della Cina». Mons. Savio Hon Tai-fai, segretario della Congregazione dell’evangelizzazione dei popoli, ha commentato così la campagna di AsiaNews per la liberazione dei vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia o rinchiusi nei lager. Egli ha sottolineato che anche se il governo non dà risposte né alla Santa Sede, né ai diplomatici, né ad amici del Vaticano e della Cina, è importante che “nessuno li dimentichi”. Mons. Hon, cinese di Hong Kong, ha detto di essere «fiero della loro testimonianza. Io sono cinese e vedere questa testimonianza di fratelli miei vescovi mi riempie di gioia e di conforto». «Questi martiri – ha aggiunto - rendono feconda la nostra evangelizzazione. Queste figure rimangono sempre come modelli di eroismo davanti a tutti i fedeli nel mondo». Eccellenza, cosa pensa della richiesta di liberare questi vescovi e sacerdoti, o almeno conoscere il loro destino? Voler conoscere la loro situazione, presuppone che vi sia una forma di sistema che non lascia trapelare notizie sfavorevoli alla nazione. La risposta ufficiale del governo cinese è sempre: “Non sappiamo” , ed è quella che anche la Santa Sede ha ricevuto diverse volte. Ma quando si risponde così, si sa che queste persone essendo vescovi, uomini di fede e di fedeltà alla loro Signore, sono scomparsi per motivi religiosi. I loro familiari e i loro vicini ci danno notizie. Cosa si può fare per questi prigionieri della fede? Occorre anzitutto pregare per questi vescovi e sacerdoti scomparsi. Devo dire che io sono davvero fiero della loro testimonianza. Io sono cinese e vedere questa testimonianza di fratelli miei vescovi mi riempie di gioia e di conforto. Ma occorre anche appellarsi a coloro che detengono questi vescovi. Le autorità dovrebbero cercare di risolvere questo problema, non solo per le difficoltà che provocano nella comunità cristiana, ma per anche per quelle che provocano sulla nazione cinese. Le notizie di arresti, sparizioni, detenzioni nei lager o in domicilio coatto di vescovi o sacerdo-

ti, suonano molto male per la Cina. Se queste persone hanno fatto qualcosa di male, li si mandi in tribunale, non in prigione o in isolamento. Questo modo non risolve alcun problema e danneggia l’immagine internazionale della Cina. Ha senso tutta questa sofferenza? Secondo la nostra fede, queste sofferenze hanno un grande valore mistico di salvezza. Questi martiri rendono feconda la nostra evangelizzazione. Queste figure rimangono sempre come modelli di eroismo davanti a tutti i fedeli nel mondo. Il Vaticano continua a chiedere la loro liberazione? Ci sono due canali attraverso cui chiediamo la loro liberazione. Il primo è quello di amici, che anche se non sono cattolici, presentano richieste sui presuli scomparsi a qualche autorità. Ma la risposta è sempre quella: “Non sappiamo, non sappiamo dove siano”. La stessa risposta la ricevono i diplomatici dall’estero, il canale ufficiale. Ma anche se non si riceve risposta, chiedere è sempre buono perché stimola i dipartimenti cinesi, della sicurezza nazionale, a non chiudere il conto, facendo scadere l’immagine della Cina nella comunità mondiale. I canali sembrano essere non molto efficaci, ma ripetere la richiesta è fondamentale, perché nessuno li dimentichi. Poi è importante per esprimere l’amore della Santa Sede verso le comunità clandestine. Qualcuno dice che il Vaticano ha dimenticato le comunità sotterranee… Si dice spesso che il Vaticano si è dimenticato di loro, ma non è vero. È che la Santa Sede non può pubblicizzare tutto l’aiuto e la vicinanza verso di loro. Noi aiutiamo tutta la Chiesa e non distinguiamo fra ufficiali e sotterranei, e teniamo conto di ciò che è importante per l’evangelizzazione. È pure importante che le comunità clandestine imparino a perdonare: il martire, come santo Stefano, è anche uno che perdona. Per esempio, nel caso delle ordinazioni episcopali illecite di mesi fa, diversi vescovi ufficiali sono stati obbligati a parteciparvi. Dopo di questo molti di loro hanno chiesto perdono al Santo Padre. E il papa lo ha concesso. Anche loro devono essere magnanimi e ricostruire l’unità nella riconciliazione.

«Noi aiutiamo tutti i cattolici e non distinguiamo fra ufficiali e sotterranei. Il papa ha perdonato chi ha sbagliato»


cultura

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Organizzò ricoveri, chiamò sacerdoti anche da fuori, arruolò volontari, allestì il Lazzaretto di via San Gregorio, distribuì viveri e celebrò messe in ogni contrada

La parabola di Borromeo Un libro e una mostra celebrano l’arcivescovo di Milano e il suo “sacro zelo” nell’affrontare la terribile peste di Mario Bernardi Guardi ià nel marzo del 1576 nell’“aria” di Milano c’era qualcosa che non andava. Un vago sentore di malanni che si approssimavano: ma si pensava che la cagione dei “cresciuti funerali”come scrive Giuseppe Ripamonti nelle sue Storie Patrie fosse da attribuire ai “soliti morbi”. Un paio di mesi ancora, però, e “si fe’ palese esser contagio”. La “sinistra voce”cominciò a invadere la città, suscitando spavento anche tra i nobili che pure “apparecchiavano feste e spettacoli” per rendere omaggio ad un Principe atteso da tempo e al quale volevano dare “un’alta idea delle ricchezze lombarde”.

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Ebbene, quando si diffuse la notizia che nella zona di Porta Comasina, nel rione degli Oliari, alcuni mentre mangiavano, altri mentre stavano lavorando, erano improvvisamente caduti a terra morti e che la stessa sorte era toccata a familiari e amici che avevano cercato di soccorrerli; quando questo “infausto annunzio” arrivò nelle case patrizie, subito si interruppero i “cavallereschi ludi” e “balli e conviti si sciolsero”. Il Principe, che pure non aveva lesinato lodi alla città ambrosiana, “encomiandone le sontuose delizie” e “celebrandone il lusso molteplice”, non mise tempo in mezzo e fuggì subito a Genova, insieme al Governatore. Il Cardinale Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano dal 1538, stava tornando da Lodi e gli venne incontro un corriere per notificargli “la calamità sovrimpendente al popolo, al gregge”. Gli fu subito chiaro che in quel momento cruciale,“ogni gara di giurisdizione, ogni rivalità di poteri era sfumata, né più restava speranza altro che nell’Uomo divino”. Carlo entrò “nell’attonita città” e non poté trattenere le lacrime, scorgendo una fiumana di

gente che stava fuggendo verso la campagna, utilizzando cocchi o carri, oppure a piedi, e con la furia della disperazione. Corse allora in Duomo: qui si inginocchiò e pregò fervidamente Dio. Subito dopo, all’opera: bisognava darsi da fare, ricevere e dare le giuste informazioni, organizzare i soccorsi, visitare gli ammalati, confortare, dirigere braccia e cuori. Sollecito e infaticabile, Carlo Borromeo fu all’altezza del suo ruolo di buon pastore. Questa immagine di “sacro zelo” che viene fuori dalle Storie del Ripamonti -gran-

de “archivista” seicentesco degli eventi cittadini, si occupò anche della pestilenza del 1524 e di quella del 1630, descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi, nella quale, a figurare da buon pastore, è il Cardinale Federico Borromeo. Ovvero il cu-

nizzazione. 1610-2010. Con 62 opere d’arte inedite. Presentazione di monsignor Franco Buzzi. Il Club di Milano - Spirali, pp. 1000 - di cui 600 illustrate a colori - euro 98).

Come ricorda monsignor Buzzi, il volume è una vera e propria “enciclopedia borromaica”. A partire dal saggio di Fabiola Giancotti che racconta la vita del Santo, illuminandone i giorni, le opere, i “tratti” della personalità e della vasta missione pasto-

rale. Tutto all’insegna di una coerenza spirituale e morale e di una limpidezza di sguardo che ne fanno un uomo di Chiesa davvero “buono”, perché estraneo alla melensaggine ipocrita, all’untuoso e pigolante “buonismo”, all’“ecclesialmente corretto” un po’ farisaico che non cessa, purtroppo, di

Fu all’altezza del suo ruolo di buon pastore mettendosi subito all’opera: sollecito e infaticabile, organizzò i soccorsi confortando tutti i bisognosi gino di quel Carlo, che gli aveva trasmesso ardore di carità e “intelligenza del cuore umano”, come si evidenzia nell’episodio della conversione dell’Innominato - trova conferma in uno splendido libro da leggere, da guardare e da conservare (Fabiola Giancorti,Per ragioni di salute. San Carlo Borromeo nel quarto centenario della cano-

esser di moda. Al profilo biografico segue il “romanzo dei Borromeo”attraverso la “lettura” dello stemma e della residenza, Villa San Carlo Borromeo di Senago, che, acquistata dal cardinale Federico, custodisce affreschi ed opere d’arte. L’immagine di Borromeo nell’arte contemporanea è affidata

a 62 opere inedite esposte nella Villa, quasi a confermare la continuità di una “presenza” (“in primis” si vedano i disegni e la scultura in bronzo - che figura anche in copertina - del russo Michail K. Anikushin). C’è poi una ricca messe di testimonianze di papi e cardinali tra il XVI e il XVIII secolo, con le note di Pio X, Pio XI, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II; una selezione di scritti editi ed inediti (Tasso, Ripamonti, Manzoni, Cantù ecc. ); l’Index dell’Opera Borromeo con Glossario (circa 800 lemmi); una aggiornata Bibliografia. Ma torniamo alla terribile peste. Mentre c’è chi fugge, chi chiede aiuto alla medicina o alla superstizione, chi si abbandona alle gozzoviglie quasi volesse ribellarsi al morbo e alla morte (dalle rievocazioni del Ripamonti, Manzoni trae abbondante alimento per le terribili descrizioni contenute nei Promessi Sposi, ivi compresa la corsa all’annientamento del malvagio don Rodrigo), Carlo Borromeo “organizza i ricoveri, chiama i sacerdoti anche da fuori, arruola volontari, allestisce il Lazzaretto di via san Gregorio, apre chiese e conventi, distribuisce viveri e celebra messe in ogni contrada” (Fabiola Giancotti). Se la politica, l’amministrazione, la giustizia sono vacanti, grazie a lui la Chiesa è al massimo del suo impegno operativo. E, nonostante tutte le umane fragilità, i milanesi dimostrano di avere appreso qualcosa dalle recenti celebrazioni giubilari che hanno visto Carlo instancabile animatore.

In particolare, a render sempre più robusta la fede, attraverso le preghiere e le opere. La “scommessa della salute”- e cioè il quotidiano lavoro personale e comunitario, che ha come fine la compiuta crescita umana e spirituale, la “salute”, appunto, e cioè la “salvezza”passa per la battaglia di chi non si arrende mai. In questo modo Carlo potrà stabilire con anticipo la grande festa della

sanità da celebrare il 20 gennaio 1578, nel Tempio di San Sebastiano, restaurato e ricostruito a questo fine. Quando ai danni provocati dalla pandemia, essi, confrontati con gli altri flagelli che si erano abbattuti sul Milanese, appariranno limitati. Grazie anche al ruolo carismaticamente efficiente (o viceversa) esercitato da Carlo. Davvero una forza della natura e dello spirito questo “atleta della fede e della carità”, nato nel 1538 ad Arona in una delle più illustri famiglie del Ducato di Milano. “Per ragioni di salute”, durante i diciannove anni di lavoro nella Diocesi ambrosiana, visitò più volte città, villaggi, contra-


cultura

In queste pagine: San Carlo Borromeo; una statua che lo raffigura sita in Villa San Carlo Borromeo di Senago; un disegno del russo Michail K. Anikushin; due illustrazioni di Tasso e Manzoni

Come i cieli, l’arte deve narrare la gloria di Dio, e deve essere potenziata in ogni suo “spazio” creativo. Altrettanto debbono essere vitali le strutture destinate al culto e alla formazione. Nessun risparmio, dunque, ricorda la Giancotti, quando si tratta di costruire e ricostruire: dal Collegio di Brera a quello di Pavia, dal Seminario Maggiore al Collegio Elvetico (oggi Archivio di Stato), dalle Stelline all’ampliamento dell’Ospedale Maggiore e del Duomo, dalla Chiesa di San Fedele ai Santuari di Saronno e di Rho ecc. Ma l’“eredità” di Carlo è immensa: Come è immenso il magistero che ci trasmettono i testi del predicatore, e ai quali può attingere anche il non cre-

Nacque da una famiglia nobile, ricca, importante e potente: il padre, Gilberto, era sposato con Margherita de’ Medici

de, chiese, monumenti, luoghi di preghiera. Dovunque si dovesse intervenire - in campo architettonico, urbanistico, liturgico, sociale - volle e seppe dare opportune indicazioni. Co-

me volle e seppe valorizzare spazi od oggetti di devozione: ad esempio, il Sacro Monte di Varallo, dove, dalla fine del Quattrocento, erano state riproposte, come in Terra Santa, le stazioni della vita di Cristo. Dettò regole per l’accoglienza, l’istruzione, l’assistenza.Viaggiò, predicò, attrasse nel suo fecondo attivismo, finalizzato alla “promozione” della Cristianità, illustri collaboratori come l’architetto Pellegrino Tebaldi e il musicista Pier Luigi da Palestrina.

dente, comunque desideroso di stimoli “alti” che procedano, insieme, dalla fede e dall’intelligenza. Dalle molte omelie pronunciate dal Borromeo nei vari eventi liturgici e raccolte alla fine del Settecento da Giuseppe Antonio Sassi, prefetto dell’Ambrosiana, è tratto il corposo glossario che ci dice quanto sia attuale la “lingua” di Carlo.

Alla voce “umiltà” (humilitas è insegna della sua casata e motto personale; “umiltà” è quella di Cristo che lava i piedi agli Apostoli), ad esempio, leggiamo: “Niuna altra virtù più gradisce Dio, che l’humiltà la quale è di tanta forza che impetra perdono et gratia. Imperocché cotesta lavanda dei piedi vale non solo a prova di umiltà ma ancora a segno luminosissi-

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mo di pietà (…). Giova notare che l’umiltà ha tre gradi, il primo de’ quali è sufficiente, il secondo abbondevole e il terzo forma il compimento d’ogni giustizia. Al primo appartengono quelli che ubbidiscono e rispettano i superiori; al secondo quelli che si sottomettono anche agli uguali; al terzo coloro che non isdegnano servire anche ai loro inferiori. Nei quali tutti è manifesto che il nostro signore Gesù si è dimostrato tutto umiltà ed obbedienza”. Con un interrogativo pesante come un macigno- se Cristo, Re dei re, ci ha offerto le più alte prove di umiltà, perché non vogliamo imitarlo?- si apre un fronte di dibattito tutto “speciale”. Perché, prima di tutto, il “confronto” è dentro di noi.

Dunque, sfogliare il glossario vale anche come ricognizione personale. Il quadro è quello della sfida tra il Verbo che si fa parola, da esso “sostanziata”, dell’uomo di chiesa, e le mille parole del mondo alla ricerca di una “sostanza”. Borromeo è un santo e, come tale, “scandalosamente” esorta alla santità. Così come “materialmente” ed “emblematicamente”sembra farlo la sua mastodontica statua, campeggiante sulla collina sopra Arona. Un’immagine familiare per i piemontesi, scrive Alfredo Cattabiani, il San Carlone di rame che “alto più di 23 metri, e poggiante su un piedistallo di granito di 11 metri (…), domina la parte bassa del lago, raffigurando il Borromeo, a capo scoperto e con il robusto naso un poco incurvato, che benedice con la mano destra mentre tiene con la sinistra il codice delle costituzioni sinodali (Cfr. “Santi d’Italia”, Rizzoli, 1993, p.209 ). Dall’alto, ci sprona. Eppure, anche l’esistenza di Carlo, nato e cresciuto sotto una buona stella (famiglia nobile, ricca, importante e potente: il padre, Gilberto Borromeo, si era sposato con Margherita de’ Medici, il cui fratello Giovanni Angelo, diventato papa col nome di Pio IV, avrebbe favorito il nipote, affidandogli cariche e incarichi significativi nella Capitale), è un percorso, anche doloroso, prima di offrirsi come modello, indubbiamente grandioso. Non fu facile per il ricco farsi “povero”, per il raffinato e inquieto intellettuale, membro dell’Accademia delle Notti Vaticane (cfr. F. Giancotti, op. cit., p.37 sgg.), farsi umile pastore di anime, per l’ecclesiastico in carriera non far pesare sull’intima forza della vocazione l’orgoglio del proprio ruolo, inevitabilmente “di potere”. Ecco, nel quarto centenario della canonizzazione, riscoprire Carlo, santo “per ragioni di salute”, è restituirgli, più splendente che mai, questa ardente ed ardua gloria di “pellegrino d’Amore”.

i che d crona

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ULTIMAPAGINA Scherzando un po’ sulle parole del viceministro Martone, secondo il quale «chi si laurea dopo i 28 è un fallito»

Ministro a 38 anni, ma che di Giancristiano Desiderio remessa necessaria ma di un rigo: mi sono laureato all’età di 21 anni e con il vecchio ordinamento. Dunque, ho le carte in regola o i titoli a posto per dire al viceministro Michel Martone che qui lo sfigato è lui. Non aveva ancora aperto bocca. Lo ha fatto ieri e meglio avrebbe fatto a tenerla chiusa e a rimandare l’esordio. Invece, nella sede dell’ex opificio a via Ostiense, il vice di Elsa Fornero ha dato fiato alle trombe: «Dobbiamo iniziare a dare nuovi messaggi culturali: dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello, perché vuol dire che almeno hai fatto qualcosa». Non c’è che dire, è sempre la solita storia: è la fissa dei messaggi che fa cascare l’asino. Ma chi glielo ha detto al viceministro con il nome da cantante e con il cognome da regista che il suo ruolo è quello di “dare nuovi messaggi culturali”. Faccia l’amministratore e lasci perdere i messaggi che, come avrà visto, gli vengono piuttosto male.

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È una questione di eleganza, che non significa essere vestito come un signorino grandi firme. Significa che è una questione di buon gusto, che è una cosa un po’ più sostanziale. In fondo con la sua uscita, che poi si è prontamente rimangiato aggiungendo goffaggine a goffaggine, Martone ha voluto proporre se stesso agli italiani, alle famiglie, ai liceali, ai laureandi e a chi nella vita non vuole essere per niente al mondo uno sfigato. Lui ci fa una bella figura perché è giovane, è preparatissimo, è professore universitario ordinario praticamente da sempre perché lo era già a soli 29 anni, è autore di numerosi libri e articoli in materia di diritto del lavoro. Insomma, fa venire un po’ in mente quella simpatica scena di Troisi che aveva come vicino di casa un amico che sapeva fare praticamente tutto - a scuola, educatissimo, bravissimo in matematica ma anche in italiano e superbravo a suonare il pianoforte - e così la madre glielo indicava ogni volta come un modello da imitare: «Ma proprio vicino a me doveva abitare questo genio che non era un bambino normale ma un mostro?». Ma anche Martone con tutti i titoli universitari non è riuscito a ottenere un granché nel “governo dei professori”giacché alla fine ha ottenuto da Mario Monti - il preside, come dice Ferrara, ma un ottimo preside, riconosciamolo - solo le deleghe all’occupazione giovanile, alle relazioni industriali e alle politiche del lavoro ed è sovrastato dal ministro del Lavoro Fornero che si è presa tutto il resto, praticamente tutto il lavoro. Ieri il sito del Corriere della Sera faceva anche rilevare che il peccato originale del giovane Michel è costituito dal padre Antonio, ex presidente dell’Authority scioperi, finito sui giornali per aver partecipato a un pranzo a casa di Denis Verdini in odor di P3: Michel, già consulente del ministro Brunetta, è stato poi considerato politicamente vicino all’ex ministro del Lavoro Sacconi, ex socialista, e infatti il giovane Michel è anche membro della Fondazione Craxi. Insomma, Michel è uno che ci sa fare, anche se viene da pensare che forse qualcun altro al suo posto e con i suoi titoli e con le sue opportunità e con tutto l’ambaradan

SFIGATO spettando gli anni del ciclo di studi scelti è una buona cosa. Certo, a volte i geni sono precoci e altre volte la genialità se la prende comoda, ma ciò che qui conta è - come si dice - la media nazionale e non i suoi vertici o - come si dice da un po’ di tempo - le eccellenze. Ci si laurea troppo tardi. Anche per questo motivo si pensò, con un escamotage troppo escamotage, di istituire la laurea breve: il famoso tre più due (che non è la formula del paghi due e prendi tre ma è comunque qualcosa di molto simile). Sennonché, più la laurea è breve più gli anni di studio si allungano.

Subito dopo l’uscita (infelice), la marcia indietro: «Non ho avuto la sobrietà necessaria, ma il problema dell’età media dei laureati in Italia esiste» che ha avuto a sua disposizione magari adesso sarebbe già al posto di Mario Monti. È proprio vero, è proprio uno sfigato di lusso questo Michel Martone.Tuttavia, detto a Martone ciò che va detto a Martone, ora possiamo anche dirci tra di noi, senza per questo voler lanciare nuovi messaggi culturali che non ho mai capito bene che cosa siano, che se ci si laurea almeno ri-

Il vero problema del sistema dell’istruzione o, meglio, un problema significativo è quello dell’allungamento dello studio libresco: gli studenti che sanno fare solo quello cercano di allungarlo con il risultato che non escono mai da un processo di scolarizzazione perché temono quella cosa sempre strana e temuta del mondo che sta là fuori. Il cuore della questione dell’istruzione e dell’accademia, allora, non è l’anno di immatricolazione e quello di laurea, che ci si laurei a 21, a 28 o a 33 non è centrale - ma dieci e più anni di differenza sono una vita - mentre è determinante la consapevolezza che lo studio non debba essere necessariamente in funzione del lavoro e che, al contrario, il lavoro non è una dimensione estranea allo studio. Ecco, questo può essere un buon tema per quello sfigato di lusso che è il viceministro Martone. Almeno così non sarà tentato dal lanciare messaggi culturali e dal dire cose di cui poi si pentirà.


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