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he di cronac

Cacciate il naturale, tornerà al galoppo Philippe Néricault Destouches

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 2 FEBBRAIO 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

La serie A rischia la paralisi, scontro tra Federazione e calciatori sul calendario “spalmato” per la tv

Che fine ha fatto l’effetto serra? L’Europa bloccata dal gelo: eppure dicevano che dovevamo morire di caldo... Oltre cento vittime in Ucraina e Romania. In Italia si bloccano trasporti e servizi essenziali E gli scienziati tornano a litigare per capire se la Terra sta diventando più fredda o più calda L’AMBIENTALISTA SCETTICO

Stallo sull’articolo 18

Fermiamo gli estremisti del clima

Fumata nera sull’accordo per il lavoro

di Bjorn Lomborg l clima sempre più estremo, si dice ormai da tempo, è il motivo principale per cui si combatte il riscaldamento globale. Ormai non passa uragano o ondata di caldo senza che un ambientalista o un politico non urli al bisogno di arrivare ad un accordo sul clima. Come quello che è recentemente fallito all’ultimo vertice di Durban, in Sudafrica. Tanto clamore merita un esame approfondito. Nel 2007, l’Ipcc pubblicò uno studio sull’impazzimento del clima che ebbe grande risonanza su tutti i media. Solo due anni dopo, si scoprì che alcuni degli assiomi su cui poggiava l’intero report erano frutto non di studi scientifici dell’Ipcc, ma figli di studi di organizzazioni ambientaliste, che non avevano alcuna o quasi valenza scientifica. a pagina 4

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I sindacati e la Marcegaglia non trovano la quadratura: «Continueremo a impegnarci». La Fornero li convoca per oggi

Un rapporto “catastrofista” dell’Ipl

«No, è tutto vero: ci uccide il calore artificiale dell’Artico» «Non siamo davanti a un fenomeno normale, le temperature sono troppo rigide: è colpa degli umani e dei loro abusi» *****

a cura dell’Institute of Physics di Londra • pagina 5

L’ex ministro dell’Ambiente

«Il nemico è la green economy, che cavalca la paura per soldi» «La politica, la demagogia e i capitalisti si sono uniti per sfruttare un filone industriale che vale miliardi»

Francesco Pacifico • pagina 6

Carlo Ripa di Meana • pagina 3

Il direttore di Al Quds al-Arabi avverte: «Così si sfascia l’identità comune»

Damasco finirà come Baghdad «La repressione avvicina lo scontro etnico. E l’intervento straniero» di Abd al-Bari Atwan

L’Internazionale dei Democratici cristiani si è riunita a Beirut

a guerra civile settaria ha cominciato ad aggravarsi in Siria, mentre viene eroso sempre più il prestigio del regime assieme al suo controllo di alcune zone della capitale Damasco, e di altre provincie come Homs, Hama e Idlib. E così come nessun politologo o intellettuale ha saputo prevedere lo scoppio delle rivoluzioni della rabbia popolare contro i regimi dittatoriali, sfido chiunque fra essi, o fra coloro che dietro di essi si nascondono, a definire o a predire ciò che potrà accadere in Siria fra uno o due anni, o anche soltanto fra un mese. a pagina 10

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EURO 1,00 (10,00

Mentre la Primavera araba guarda al “modello libanese” di Paola Binetti a pochi giorni si è concluso a Beyrouth l’incontro dell’Internazionale dei Democratici Cristiani, guidata dall’onorevole Casini. Al termine, un Convegno con una vasta partecipazione di tutti i Paesi Arabi limitrofi. a pagina 12

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CON I QUADERNI)

• ANNO XVII •

NUMERO

22 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


Le Alpi non ci proteggono, e nelle prossime 48 ore la situazione peggiorerà. L’allerta di Comuni e Protezione civile

Il burian s’aggira per l’Europa Il vento della steppa è la causa del gelo che attanaglia il Continente, dove muoiono 100 persone. In Italia si bloccano trasporti e servizi di Martha Nunziata n’ondata di gelo eccezionale sta colpendo in questi giorni l’Italia e l’Europa, e durerà almeno 10 giorni. Le temperature sono da record per il nostro Paese, e scenderanno abbondantemente sotto lo zero, arrivando a toccare anche i -15 gradi al nord: saranno i giorni più freddi degli ultimi 27 anni. La colpa è di una massa d’aria gelida siberiana che si sta abbattendo nel Mediterraneo e che alimenterà un’area di bassa pressione foriera di precipitazioni a carattere nevoso su varie regioni. Il protagonista principale delle cronache meteorologiche di queste ore ha un nome musicale ed evocativo al tempo stesso: si chiama burian, un vento raro e freddo, che spira dal profondo Est dell’Europa, proveniente dalla steppa e che rimanda, etimologicamente, alla parola buriana, sinonimo, appunto, di vento gelido, di tramontana. È lui, il burian, il responsabile del crollo verticale delle temperature di mezza Europa, quella continentale, e di tutta Italia: il picco si raggiungerà, secondo le previsioni, nel fine settimana. È un fenomeno estremo, al quale noi mediterranei non siamo abituati: avviene soprattutto in quegli inverni in cui si manifesta uno scenario particolare, che i meteorologi europei definiscono “ponte di Weikoff”, dal nome dello scienziato russo Aleksandar Ivanovic Weikoff, che lo studiò per la

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L’Assocalciatori chiede una proroga, gli sponsor spingono per il calendario già fissato

La serie A rischia la paralisi, allo studio rinvii e polemiche ROMA. Disagi per i trasporti, scuole chiuse, vittime in tutta Europa. E poi rischio di carenza di farmaci, ospedali costretti a chiudere dei reparti, animali domestici e randagi nella morsa del gelo. Ma il problema, almeno qui in Italia, è quasi sempre il calcio. La Lega di serie A, con una nota pubblicata sul suo sito internet, ha infatti ufficializzato i rinvii delle partite in programma mercoledì sera a Bologna e Siena. «Sono state rinviate a causa del maltempo - è scritto nella nota le gare Bologna-Fiorentina e Siena-Catania, entrambe previste questa sera alle ore 20.45 per la seconda giornata di ritorno della Serie A Tim». Fosse tutto finito qui, sarebbe quasi da Paese normale. Ma martedì sera la sospensione di Parma-Juventus causa neve ha scatenato una valanga di polemiche: la partita forse poteva essere giocata in un altro orario, gli operai addetti alla manutenzione dei campi hanno lavorato male, è colpa delle major, è colpa degli sponsor, eccetera eccetera.Tutti sanno che sono le esigenze del calendario e delle televisioni a impoore una spalmatura dei match su una tre giorni a cavallo della fine di gennaio e l’inizio di febbraio. E le richieste di calciatori e tifosi, anche loro abbastanza confusi da questo nuovo calendario, lasciano il tempo che trovano. «Stiamo vivendo una situazione certamente eccezionale dal punto di vista meteorologico ma sicuramente vanno rivisti i calendari, magari aumentando il numero di partite in periodi dell’anno in cui il

clima è migliore». Così il presidente dell’Assocalciatori Damiano Tommasi ha commentato con l’Ansa il rinvio per il maltempo di alcune partite. Secondo Tommasi, la formulazione dei calendari va rivista, magari coinvolgendo anche giocatori e allenatori: «Va salvaguardata anche la qualità dello spettacolo - aggiunge - giocare su un campo ghiacciato o con la nebbia non è il massimo né per chi gioca né per chi assiste. I numeri poi parlano chiaro e dicono che la maggior parte degli infortuni sono all’ordine del giorno nei periodi freddi». «La legge sugli stadi va avanti da tanto tempo - conclude il presidente dell’Aic - ma non è solo questa la soluzione».

Dalla Federazione sembrano fare orecchie da mercante: «Uno dei problemi, se non il primario del calcio italiano, è di non avere stadi adeguati». Lo ha affermato il presidente della Figc, Giancarlo Abete, commentando il rinvio per il maltempo di più gare del 21mo turno del campionato di Serie A, invitando a “fare una riflessione”anche sul calendario del torneo. Secondo Abete, però, «occorrono strutture più fruibili ai tifosi e allo spettacolo del calcio, perché l’audience televisiva è fondamentale, ma lo sport vive se ci sono tifosi allo stadio». E il fatto che se ne siano resi conto potrebbe scaldare il cuore di tanti tifosi, se non fossero costretti a saltellare negli stadi con temperature da steppa siberiana in nome del guadagno a tutti i costi.

prima volta. Si origina solo quando l’alta pressione delle Azzorre si sposta verso nordest, in direzione della Scandinavia, per congiungersi con le propaggini più occidentali dell’anticiclone termico russo, che dagli Urali si affaccia verso la Russia europea e il mar Baltico. Questa singolare “unione”genera un grande ponte anticiclonico, con asse orientato da sudovest a nord-est, che dal vicino Atlantico si estende fino alla Russia europea e ai bassopiani siberiani (cioè oltre gli Urali), favorendo il richiamo e l’aspirazione delle masse d’aria molto gelide preesistenti sopra le lande ghiacciate siberiane.

In Italia, non è stata smentita la tradizione dei “giorni della merla”: le prossime 48 ore rischiano di paralizzare tutto il centro-nord, per la neve ed il ghiaccio. Stavolta le Alpi non hanno fatto da muro. Il Dipartimento della Protezione Civile ha emesso un nuovo allerta meteo valido per le prossime 24 e 36 ore: i metereologi hanno annunciato nevicate, anche in pianura, su Piemonte, Lombardia e Liguria, ma poi il fenomeno si dovrebbero estendere su Toscana, Emilia-Romagna, Marche e Umbria, ma la situazione si sta facendo decisamente preoccupante anche per il Lazio, Roma inclusa. Ma venti forti e pioggia flagelleranno anche il Sud, con nevicate in Campania, Basilicata Calabria e Sardegna fino a quote 600800 metri. La neve ed il freddo


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È tutta colpa della green economy Il nuovo business (un giro di miliardi stratosferico) cavalca la paura della gente di Carlo Ripa di Meana l gelo polare, i freddi siberiani, le decine di morti assiderati dovrebbero aprire qualche crepa nelle granitiche certezze dei predicatori del global warming. Se il pianeta si riscalda, perchè fa un freddo boia come non accadeva da 27 anni? I nostri teorici però non demordono e si sono già attrezzati a rispondere, a modo loro, al quesito. Sostengono che in realtà l’effetto serra determina un’esasperazione climatica: estati con periodi infuocati e inverni freddissimi sono le due facce della stessa medaglia. Poco conta che sino a qualche anno fa a prova dell’esistenza del global warming citassero l’eccessiva mitezza dei mesi di dicembre, gennaio e febbraio. E facessero balenare le immagini di orsi che sparivano a causa dello scioglimento dei ghiacciai. Che l’inverno sia polare o dolce poco conta: tutto dipende incontrovertibilmente – per i nostri imbonitori – dall’effetto antropico e dalla produzione di C02. Per fortuna anche in Italia ci sono studiosi molto seri. Fra i più qualificati c’è, ad esempio, il fratello dell’ex presidente del consiglio Romano Prodi. Il professor Franco Prodi sostiene da tempo una tesi molto prudente ed equilibrata. Non esclude, anzi ammette che negli ultimi cento o duecento anni il clima sia stato condizionato anche dai gas da effetto serra, ma ritiene che, accanto a questo fenomeno, ce ne siano altri che ci sovrastano e che condizionano stagioni e temperature in modo molto importante. Basti pensare ai cicli solari e alle radiazioni indotte dalle correzioni delle orbite della terra. Una

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visione questa che non ci deresponsabilizza del tutto rispetto al clima, ma che stabilisce i limiti delle nostre responsabilità. Che mette le cose al posto giusto. Aldilà di noi ci sono processi che non dipendono da noi e che non siamo in grado di controllare.

Per quale ragione dunque c’è un manipolo di focosi catastrofisti che sostengono il global warming senza tentennamenti, anche a costo di compiere delle piroette scientifiche poco serie? La tesi del riscaldamento è un punto forte a supporto della green economy. Il giro di miliardi intorno alla produzione verde è stratosferico: dagli investimenti nel fotovoltaico a quelli nell’eolico, alla valanga di denaro per i grandi depuratori che consentano di utilizzare più di prima i combustibili fossili (dal carbone alle neo scoperte scisti bituminose) a basso rischio. E poi c’è quel fiume di soldi che occorrerebbe per le famose reti intel-

della green economy. E niente è più utile per convincere un cittadino medio ad aprire il portafoglio che la minaccia degli oceani che si alzano, delle coste sommerse, delle isole che scompaiono, delle specie animali annientate. Il global warming si presta molto bene all’uso “pro domo loro” degli affaristi verdi, aiutati da demagoghi con pochi scrupoli. Dietro alla teoria del riscaldamento globale non ci sono poi solo i soldi ma anche parecchi interessi politici (Al Gore ci ha costruito una carriera) e accademici. Al vertice di Copenaghen di due anni fa l’Ipcc, la commissione internazionale sul cambio climatico, arrivò fornendo dati alterati. E per farlo aveva trovato la collaborazione di fior di scienziati: lo si scoprì grazie ad alcune email intercettate, dove si chiedeva di manipolare qualche percentuale per dare un’immagine più drammatica del futuro prossimo venturo. Una figuraccia terribile che cancellò autorevolezza e credibilità dell’Ipcc. E non solo. Un simile episodio – anche se non fosse accaduto nient’altro – avrebbe dovuto convincere tutti ad una prudente pausa di riflessione. Ma la commissione sul cambio climatico e parecchi governi – in testa quelli europei – continuarono a scegliere la strada della demagogia. I funamboli delle iperboli catastrofiste proseguirono come santoni a prevedere un futuro imprevedibile. E a dettare regole sulla cui necessità ci sarebbe parecchio da discutere.

Il global warming si presta molto bene all’uso “pro domo loro” degli affaristi verdi, aiutati da demagoghi con pochi scrupoli. E poi ci sono gli interessi politici

quindi avvolgeranno un po’ tutta l’Italia, e da Nord a Sud le regioni e i comuni si stanno attrezzando per affrontare l’emergenza delle nevicate, del gelo e soprattutto del ghiaccio sulle strade. Sono stati mobilitati mezzi spartineve e spargisale, oltre a squadre di spalatori per fronteggiare i probabili disagi alla circolazione. Anche Autostrade per l’Italia si prepara al peggio, con piani anti-neve e duemila mezzi pronti a intervenire per evitare il blocco della circolazione sulla rete autostradale. Finora comunque la circolazione stradale e quella ferroviaria non hanno subito importanti interruzioni, fatta eccezione per la riduzione di alcuni treni regionali e per il divieto al transito su alcuni tratti autostradali imposto ai mezzi di stazza superiore alle 7,5 tonnellate a pieno carico. In alcuni Comuni della Liguria e della

ligenti tanto care ad Obama. Sono tutti finanziamenti che finiscono nelle tasche di grandi gruppi europei e americani. Per la verità, più passa il tempo e più si avvicina il momento in cui, anche in questo campo, la farà da padrona la Cina, ma intanto gli italiani – tanto per fare un esempio che riguarda le nostre tasche - pagano una bolletta energetica altissima per fornire cospicui tesoretti alle imprese nostrane e internazionali (cinesi, danesi..)

Emilia le scuole sono rimaste chiuse. «Chiuso per freddo» anche un reparto dell’ospedale Molinette, a Torino, dove sono state ridotte alcune attività.

Ma la situazione potrebbe peggiorare e i disagi aumentare, ed è per questo che sono state prese importanti misure di precauzione anche per i senza tetto, aumentando il servizio di accoglienza notturna, i ricoveri,

Anche in questi giorni, ogni volta che sciorinano le temperature dell’Europa dell’Est, i nostri tg trasmettono l’opinione di un qual-

dal freddo. Le associazioni ambientaliste chiedono anche aiuto per gli animali: «Aiutiamoli a sopravvivere al freddo: gli animali che rischiano di morire in questo gelido inverno potrebbero essere veramente tanti, gli uccelli - passeri, merli, fringuelli, pettirossi, cinciallegre - ma anche gli ospiti dei canili, o gli animali esotici degli zoo e del Bioparco di Roma», abituati a vivere a temperature elevate.

Il freddo ha colpito anche il deserto del Sahara, l’Algeria e tutta l’area del Medioriente, la penisola Arabica e i Paesi dell’Asia occidentale aggiungendo posti letto per chi non possiede un tetto sulla testa. È soprattutto nelle grandi città, come Milano, Firenze e Roma, che alcune stazioni ferroviarie resteranno aperte anche di notte per consentire ai senza fissa dimora di ripararsi

L’allarme gelo è stato lanciato anche dalla Coldiretti: secondo l’organizzazione sono particolarmente a rischio le coltivazioni invernali di verdure e di ortaggi in campo aperto e anche le piante di olivo e alcune fruttifere. Anche il calcio risente dei

che super esperto che ripete sempre la stessa teoria: è tutta colpa del fatto che produciamo troppo CO2. Ce n’è uno in particolare, il professor Gianpiero Marracchi dell’Università di Firenze che tutte le sere al tg4 recita la medesima predica, giovandosi di una “spalla” di grande esperienza giornalistica come Emilio Fede. Ma il problema va ben oltre i nostri confini. Basti pensare che le conferenze internazionali sul clima – ormai ce ne sono state 17 – sono diventate gigantesche kermesse, Nashville periodiche dove sfila la retorica folk e fa bella mostra la parata dell’etnico. In compenso, il tasso di scientificità scema progressivamente. In realtà anche nel lontano passato - ci sono stati periodi di riscaldamento e periodi di gran gelo. È esistito un tempo in cui la Groenlandia – come dice il nome stesso – era una terra verde e non una distesa di ghiacci; e in cui la Scozia produceva dell’ottimo vino. Oggi - è vero - l’uomo in una qualche misura determina il clima. Ma non è solo lui a farlo. C’è qualcosa che lo sovrasta e che decide quanto e più di lui. La morale è che ci vuole maggior approfondimento, meno sicumera e più prudenza per evitare di essere gli altoparlanti più o meno consapevoli dei padroni della green economy.

disagi che il freddo polare sta causando in tutta Italia: rinviate per neve, dopo Parma-Juve di martedì, anche Siena-Catania e Bologna-Fiorentina. La situazione più preoccupante, ovviamente, è in Europa dell’est: in Carelia, nel nord-ovest della Russia il termometro ha toccato i -37 gradi, ma le temperature sono precipitate in tutto il paese: ieri -23 a Minsk e -22 a San Pietroburgo.

Negli ultimi giorni, infatti, almeno sessanta persone sono morte a causa del freddo in Polonia, Romania e Bulgaria; trenta le vittime nella sola Kiev in Ucraina, dove la colonnina di mercurio è scesa sotto i -30 gradi centigradi e 20mila persone sono state portate nei centri di soccorso e circa 500 persone sono state ricoverate per congelamento e ipotermia. Le previsioni meteo non sono buone; pro-

prio per questo molti paesi hanno deciso di dispiegare l’esercito per portare soccorso alle persone in difficoltà. In Ucraina circa 24mila persone hanno cercato rifugio in oltre 1.590 posti di soccorso; molti di loro presentavano principi di congelamento e di ipotermia.In Serbia si sono registrate, invece, tre vittime e due dispersi. Mentre in Turchia, a Istanbul, sono stati cancellati 200 voli per le abbondanti nevicate che hanno bloccato lo scalo internazionale. Ma anche nel deserto del Sahara, in Algeria e un’ondata di freddo si è registrato in tutta l’aria del Medioriente, la penisola Arabica e i paesi dell’Asia occidentale. Questo inverno è destinato ad entrare nella storia del nostro paese come quello del 1956, il “grande freddo”. O più recentemente, ma con temperature meno gelide, la straordinaria nevicata del 1985.


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l’approfondimento

L’ambientalista più scettico del mondo spiega perché non bisogna fidarsi dei media

Tanto calore per nulla «Il riscaldamento globale è una semi-bufala e adesso lo ammette anche l’Ipcc» di Bjorn Lomborg l clima sempre più estremo, si dice ormai da tempo, è il motivo principale per cui si combatte il riscaldamento globale. Ormai non passa uragano o ondata di caldo senza che un ambientalista o un politico non urli al bisogno di arrivare ad un accordo sul clima. Come quello che è recentemente fallito all’ultimo vertice di Durban, in Sudafrica. Tanto clamore merita un esame approfondito. Nel 2007, l’Ipcc (l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu) pubblicò uno studio sull’impazzimento del clima che ebbe grande risonanza su tutti i media. Solo due anni dopo, si scoprì che alcuni degli assiomi su cui poggiava l’intero report - lo scioglimento dei ghiacciai himalayani entro il 2035 o il dimezzarsi del terreno coltivabile in Africa entro il 2020 - erano frutto non di studi scientifici dell’Ipcc, ma figli di studi di organizzazioni ambientaliste, che non avevano alcuna o quasi valenza scientifica. Nonostante l’errore, l’Ipcc ha continuato ad essere una voce abbastanza affidabile nel campo delle previsioni sul tema e protagonista di numerosi dibattiti.

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Purtroppo, la produzione di dati affidabili non fa notizia. Qualche esempio: secondo l’agenzia Onu il livello dei mari dovrebbe innalzarsi entro la fine di questo secolo fra i 18 ed i 59 centimetri, mentre per gli ambientalisti questa soglia si eleva a dei metri. I media, poi, continuano a mistificare i dati, come quello del rapporto Ipcc del 2010 sui climi sempre più estremi. Il più importante quotidiano svedese, Svenske Dagbladet, in quell’occasione ha pubblicato in prima pagina un corpo umano ammonendo così i suoi lettori: «L’innalzamento delle temperature provoca sempre più vittime».All’interno, poi, due intere pagine piene di grafici per dire che delle anomale ondate di caldo avevano provocato, negli ultimi dieci anni, un incremento di decessi nel paese. Infine piccolo piccolo, quasi invisibile, il dato più importante di tutti, ovvero che si continua a morire più per le temperature polari che per quelle torride. Esattamente come segnala il report dell’Ipcc, che sì denuncia il fatto che il riscaldamento globale comporta una variazione verso l’alto dei gradi centigradi, ma al contempo sottolinea una minore incidenza di climi rigidi. Siccome la gente, ovunque sul pianeta, continua a morire ogni anno più per il grande freddo che per il grande caldo, l’impatto complessivo del riscaldamento globale in termini di vite umane è decisamente minore. Secondo le stime, a metà di questo secolo circa 400mila persone moriranno per il caldo intenso, ma un 1,8 milioni di persone in meno periranno per il grande freddo. Purtroppo per noi, delle vite salvate non fanno notizia. Lo scorso novembre, The Christian Science Monitor si è con-

centrato sugli uragani. Il fenomeno è stato associato al global warmimg sin da quando l’ex vice presidente Al Gore ha presentato il suo film An Inconvenient Truth. Il quotidiano titolava: «Per colpa del caldo ci saranno sempre più tifoni». Peccato che il report dell’Ipcc indichi con grande chiarezza che l’incremento di vittime durante gli uragani è dovuto non a una loro maggiore virulenza, ma al fatto che sempre più persone abitano in zone altamente esposte al fenomeno ed in condizioni di sempre maggiore insicurezza. Insomma, la vulnerabilità abitativa più che i gas serra è la vera colpevole delle stragi di carattere ambientale.Tanto che, sempre l’Ipcc, sottolinea come sia necessario - in termini di spesa e investimenti - intervenire più sulle strutture che sul clima.

Ma c’è dell’altro. È opinione ormai condivisa che il riscaldamento globale provochi un maggior tasso di piogge. Ecco così spiegate le recenti alluvioni in Pakistan, Australia e Thailandia. Ma l’Ipcc racconta una storia diversa, affermando che non è ancora possibile stabilire una diretta correlazione fra global warming e incremento delle alluvioni, mentre è possibile stabilire con certezza che il taglio indiscriminato di foreste e la costruzione di insediamenti abitativi vicini agli argini dei fiumi provochino un dissesto geologico in grado di peggiorare sensibilmente i danni alluvionali. Ecco perché se si vogliono davvero aiutare le potenziali vittime di future inondazioni, scrivono gli esperti dell’agenzia Onu, sarebbe il caso di ripristinare delle piane alluvionali. Anche perché un maggior tasso di precipitazioni ha anche delle implicazioni positive, visto che“regala”una riserva di acqua potabile a paesi solitamente assetati. Oggi, 2 miliardi di persone è water-stressed e sopravvive con meno di 1.700 metri cubi di acqua all’anno. Un numero destinato ad aumentare, a causa della crescita demografica, entro la fine di questo secolo a tre miliardi. Ma che proprio per la riserva d’acqua determinata dalle piogge scenderà a 1.700 miliardi. Le terrificanti storie vendute dai media sotto il cappello del global warming sono semplice narrativa. Ovviamente, questo non significa che i cambiamenti climatici non esistano e non debbano essere presi sul serio, ma come scrivono gli scienziati dell’Ipcc sull’ultimo rapporto sul clima, si posso neutralizzare o mitigare con delle appropriate politiche preventive, capaci di migliorare la qualità della vita delle persone. E questo significa che il fallimento dell’ultimo vertice di Durban non è necessariamente una cattiva notizia. Purtroppo, quando si parla di climate change i media non accettano altra notizia che la tragedia. ©www.project-syndicate.org

L’agenzia Onu continua a divulgare dati meno allarmanti. Ma nessuno li vuole vedere

Effetto serra,

dove sei?


2 febbraio 2012 • pagina 5

Le tesi di Judah Cohen e Anthony McMichael

Non vi illudete, l’Artico si scioglie Un pool di scienziati individua la causa del grande freddo che attanaglia l’Eurasia il rapporto dell’Institute of Physics ondata di freddo siberiano che sta flagellando l’Europa, a cominciare da quella dell’Est, facendo crollare nei Balcani il termometro a meno 25, in Polonia ed Ucraina a meno 27 e provocando decine di morti, non è ascrivibile a un normale fenomeno invernale. È sicuramente figlia dei cambiamenti climatici generati dal tristemente famoso “effetto serra”. Ne sono convinti gli scienziati dell’Atmospheric and Environmental Research di Lexington nel Massachusetts, dell’Università di Fairbanks in Alaska e dell’Asian MetaCentre di Singapore. Il pool di esperti ha infatti pubblicato un lunghissimo e dettagliato studio sulla rivista scientifica Erl (Environmental Research Letters) edita dall’Institute of Physics di Londra, nel quale sostengono che fenomeni estremi come quelli che si stanno vivendo sia in queste ore in Europa che nei mesi o anni (recenti) nel resto del pianeta, dai tifoni in Florida e Pakistan alle siccità in Africa, alle impressionanti nevicate in Gran Bretagna nel 2010, siano da addebitare a un indiscutibile cambiamento climatico in atto. In particolare, l’ondata di grande freddo sarebbe la diretta conseguenza della mitezza registrata in questi ultimi vent’anni durante i mesi autunnali. «È innegabile che si stia imponendo un nuovo trend climatico, che vede rigidissimi inverni a fronte di una stagione autunnale molto più mite. Ma è proprio quest’ultima la causa del gelo», scrivono gli esperti, perché il caldo straordinario imporrebbe delle oscillazioni imprevedibili a livello metereologico. Il grande protagonista, o meglio il padre di tutti i freddi, è sempre lui, l’Artico.

L’

le vittime delle mutazioni climatiche: ben 50 milioni di morti. Dalle siccità decennali alle alluvioni, alle singole stagioni particolarmente difficoltose, gli“scherzi”del clima, del tutto simili ma molto più lenti rispetto a quelli che la Terra sta vedendo in questi ultimi anni, hanno decimato popolazioni e fatto scomparire intere civiltà. La caduta delle culture, spiega McMichael, è stata spesso causata da cambiamenti climatici millenari. Un esempio è il «Grande congelamento» (che nulla ha a che vedere con le ere glaciali), un periodo di più di mille anni di temperature basse avvenuto circa 13 mila anni fa che ha cancellato buona parte degli insediamenti umani lungo il Nilo: «Dagli scheletri di quell’epoca - spiega l’esperto - si vede una proporzione insolitamente alta di morti violente, molte accompagnate dai resti di armi».

Più recente è il caso dei Maya il cui predominio del Centro America è stato minato da tre siccità durate un decennio nel periodo tra il 760 e il 920. Sempre la siccità, stavolta durata dieci anni, ha scatenato le migrazioni interne che hanno portato alla caduta della dinastia Ming in Cina nel 1600. Talvolta invece, sottolinea McMichael, bastano episodi molto più brevi per scatenare effetti devastanti. Il settore più delicato è quello dell’agricoltura, con la carestia che rappresenta il più forte fattore che porta alla sparizione delle popolazioni: sette anni di alluvioni e clima freddo in Europa nel Settecento hanno portato ad esempio ad una carestia che ha ucciso il 10% della popolazione e che ha fatto da prologo alla comparsa della peste, mentre una sola estate estremamente calda a Philadelphia nel 1793 è stata sufficiente a causare un’epidemia di febbre gialla che ha fatto decine di migliaia di morti: «Ovviamente nessuna delle antiche civiltà aveva i benefici della medicina o della tecnologia che abbiamo oggi - fa notare McMichael - ma nessuna epoca ha visto cambiamenti climatici improvvisi come quelli che vediamo adesso a causa dei gas serra, che mettono seriamente a rischio la salute e la sopravvivenza di una gran parte della popolazione mondiale». Le condizioni che hanno portato in passato alle peggiori conseguenze sono del tutto simili a quelle verso cui sta andando il pianeta, ammonisce l’epidemiologo: «L’esperienza storica mostra che cambiamenti di temperatura di uno o due gradi, soprattutto verso l’alto, ma anche verso il basso, possono compromettere le rese dell’agricoltura scrive nelle conclusioni - e influenzare il rischio di malattie infettive. Quindi il rischio per la salute nel futuro in un mondo che vede un riscaldamento indotto dall’uomo a una velocità mai vista prima è © Erl molto alto».

Negli ultimi 20 anni i mesi di luglio, agosto e settembre sono stati i più torridi di sempre

Ma questa volta per un’anomalia. «Negli ultimi vent’anni i mesi di luglio, agosto e settembre sono stati i più caldi di sempre», sostengono gli scienziati - e l’aria calda, a contatto dei ghiacci perenni, aumenterebbe precipitazioni e nevicate straordinarie, accompagnate dai crolli dei termometri, in tutta l’Eurasia. «Questa “fase negativa”- come viene chiamata da Judah Cohen, che ha guidato il pool di scienziati in questa ricerca - è tutt’altro che casuale o temporanea, perché sicuramente figlia dell’effetto serra e dunque destinata a peggiorare in futuro». Insomma, se non si interviene sulla madre di tutti i mutamenti climatici, non potrà che andare peggio. La ricerca, è anche arricchita dagli studi di Anthony McMichel, epidemiologo australiano e scienziato di fama internazionale, secondo cui i cambiamenti climatici sono diventati “di moda” solo di recente, ma in realtà rappresenterebbero un problema vecchio di decine di migliaia di anni. Che arriva alle stesse conclusioni dei suoi colleghi partendo però da prospettive diverse. E che fa un stima storica del-


economia

pagina 6 • 2 febbraio 2010

Oggi vertice tra il ministro e Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Ancora polemiche per l’esclusione di Rete impresa Italia

Lavoro, la Fornero ci riprova L’inquilina di Via Molise studia di sperimentare il contratto unico di Ichino in alcune regioni e rilancia su arbitrato e conciliazione di Francesco Pacifico

ROMA. A via Molise è corsa contro il tempo per presentare alle parti sociali un documento che rivoluzioni il mercato del lavoro. E chiudere un accordo che Monti vuole entro marzo. Perché già oggi – al vertice tra governo, sindacati e Confindustria e al quale sono state escluse, tra non poche polemiche, le altre associazioni datoriali – Elsa Fornero potrebbe annunciare le linee essenziali di una riforma epocale: accelerare l’inclusione di donne, giovani e over 50 superando l’articolo 18 in alcuni settori, sperimentare in alcune Regioni il contratto d’ingresso ideato da Pietro Ichino, fare una cernita delle troppe forme contrattuali esistenti, puntando su alcuni modelli prevalenti per evitare pericolose razionalizzazioni.

Misure che rischiano di rendere più agguerrito e soprattutto coeso il fronte che si sta creando tra lavoratori e imprese. Perché sindacati e Confindustria hanno serrato le fila per chiedere al governo interventi in

continuità con quei meccanismi – leggi cassa integrazione in deroga – che hanno attutito gli effetti della crisi, magari legandola quando sarà finita l’emergenza a strumenti, per il rimpiego, la riqualificazione e la formazione. In quest’ottica anche la battaglia di Confindustria di superare l’articolo 18 viene vista in chiave più tattica che strategica. Non a caso ieri – in un incontro preparatorio in via Veneto, nella foresteria di Confindustria – il leader Cisl, Raffaele Bonanni, ha messo sull’allarme Emma Marcegaglia, affinché non si «faccia accalappiare da discorsi che servono solo a creare polveroni e non a risolvere i problemi». Ma al vertice di questa mattina, poi, l’economista torinese è pronta a rilanciare su due temi che rischiano di acuire le distanze dalla Cgil, la quale non ha ancora digerito lo strappo sulle pensioni: l’arbitrato e l’apprendistato. La Fornero, appena può, ripete che «da parte di questo governo c’è la vo-

lontà di valorizzare il lavoro, se fatto bene, svolto da chi ci ha preceduto». E in quest’ottica si vuole muovere sia per l’arbitrato sia per apprendistato. Ieri, sul primo versante e complice un question time nel quale ha risposto a interrogazioni di Udc e Pdl, il ministro ha fatto sapere: «Ho bene presente l’importanza dell’ istituto della conciliazione e dell’arbitrato e non intende essere passiva sotto questo profilo. Nell’incontro con le patri sociali porrò la questione relativamente a questo punto sapendo che trascorsi sei mesi spetterà al ministro atti-

Bonanni: «A Emma dico: contrarissimi a modifiche che creano soltanto inutili polveroni». La Marcegaglia: «Continuiamo a lavorare per una intesa»

varsi per dare un’attuazione a questo istituto». La Fornero si è detta «consapevole dell’importanza che l’istituto della conciliazione e dell’arbitrato nelle cause di lavoro che escludano la risoluzione del rapporto di lavoro può avere nell’accelerazione di tutta la materia processuale riguardante il lavoro». Di conseguenza darà seguito alla delega presente nel collegato Lavoro e seguirà l’impostazione scelta dal vecchio governo per superare lacci e lacciuoli del mondo del lavoro, forte del fatto che Confindustria e sindacati sarebbero favorevoli a una corsia preferenziale per velocizzare i contenzioni davanti alla magistratura giuslavoristica. Il ministro, poi, ha idee molto chiare anche sull’apprendistato. «Riteniamo», ha fatto sapere ieri alla Camera, «che debba essere un veicolo di ingresso molto importante per i giovani nel mondo del lavoro. Quindi intendiamo dargli una vera connotazione di formazione professionale: non è semplice-

mente un nome, è invece un veicolo alla formazione professionale che va valorizzato necessariamente con la collaborazione delle Regioni, anche per il rispetto delle competenze che le stesse hanno».

Proprio ai governatori ha mandato a dire: «Conosciamo il loro importante coinvolgimento nell’ambito di questa materia, sappiamo anche che esiste il rischio oggettivo che le regioni vadano un po’ ciascuna per conto proprio, e quindi è intenzione ferma del ministero di attivarsi e magari di attivare presto un incontro con le regioni, esattamente per dettare qualche linea, in modo che ci sia uniformità, pur nella differente realtà delle diverse regioni, affinché vi sia una qualche uniformità nell’adozione delle regole che devono dare attuazione all’apprendistato». Nedo Poli, capogruppo dell’Udc in commissione Lavoro, ha sottolineato che «l’apprendistato è uno strumento effica-


economia

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Gelmini all’attacco: «Continuando a sostenere il governo perdiamo consenso, meglio riavvicinarci alla Lega»

Pd e Pdl divisi su tutto Berlusconi: «Irresponsabile far cadere Monti». Ma Alfano e Bersani faticano a tenere i partiti di Riccardo Paradisi Pd e Pdl il governo Monti ha tolto le castagne dal fuoco. Si certo Bersani sosteneva che il Pd le avrebbe vinte le elezioni anticipate, ma taceva che per vincerle i democrat si sarebbero dovuti alleare con Di Pietro E Vendola e non avrebbero potuto governare l’Italia avvitata nella crisi di spread e speculazione.

A

Allo stesso modo il Pdl lamentava il disarcionamento di Berlusconi, il quale rivendicava a sè una scelta di responsabilità, ma taceva sul fatto che il governo di centrodestra, diviso al proprio interno, non avrebbe retto il torchio dei mercati. Insomma i maggiori attori del bipolarismo italiano contestavano più o meno velatamente a Monti di incarnare un governo tecnico e non politico ma intanto lo sostenevano ad ampia maggioranza perchè confidavano che questo esecutivo avrebbe loro consentito un time out a bordo ring per riorganizzare

ce per consentire ai giovani maggiori opportunità di ingresso nel mondo del lavoro. L’impegno del governo su questo tema ci soddisfa. Mettere in agenda questo punto non rappresenta solo il tentativo doveroso di risolvere in concreto uno dei problemi più gravi che affliggono il nostro Paese, ma anche un vero e proprio investimento a favore delle giovani generazioni a testimonianza che l’azione dell’esecutivo offre ai cittadini anche mi-

le fila e soprattutto capire cosa fare da grandi. Ma il tempo non lavora evidentemente a favore dell’attendismo e le faglie di tensione interne invece di ricomporsi s’allargano e si esasperano, attraversando i principali nodi del dibattito politico italiano: da quello sul lavoro a quello sulla riforma elettorale passando per quello delle alleanze. È sulle pensioni che s’è consumata la rottura più profonda, ad esempio, tra Pdl e Lega ed è sul lavoro che il Pd mostra da mesi un malcelato nervosismo interno che vede fronteggiarsi i sostenitori della flex security di Ichino e quelli del welfare compatibile di Fassina. Ma è soprattutto sulle alleanze elettorali che in queste ore torna alta la tensione in Pdl e Pd. La spina nel fianco del partito di Alfano e Berlusconi resta la Lega ed è sul rapporto da instaurare con il Carroccio che s’incrociano le lame delle varie componenti del Pdl. «Siamo compatti nel respingere ogni ricatto da parte della Lega» dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni parlando delle minacce della Lega di far saltare la sua giunta se il Pdl continuerà a sostenere il governo Monti. «Ciò non toglie - aggiunge Formigoni che alle prossime elezioni sarà necessario cercare di recuperare l’alleanza con la Lega cercando magari di allargare ad altri la coalizione». Una soluzione che l’ex ministro Gelmini vorrebbe accelerare anche perché «Il Pdl sta pagando - secondo lei - un prezzo molto alto per l’appoggio a È fondamentale tentare un riavvicinamento alla Lega anche se le divergenze politiche esistono». Non c’è invece alternativa al governo Monti secondo Enrico La Loggia, presidente della Commissione parlamentare per l’Attuazione del federalismo fiscale: «In questa fase, il governo Monti è senz’altro preferibile all’ipotesi di elezioni anticipate». Peraltro, ad avviso del presidente della Bicamerale, ci sarebbero le condizioni per cui «entro la fine naturale della Legislatura, si possano

sure di crescita ed equità oltre che di rigore.L’onorevole Poli fa notare che «c’è un dato a dir poco allarmante, ovvero che i disoccupati sono più di due milioni, di cui un terzo rappresentato da giovani. Ecco perché mi sono appellato al ministro Fornero affinché sproni le Regioni ad adottare modelli uniformi di regolamentazione in materia di apprendistato evitando soluzioni a macchia di leopardo». Sul fronte delle parti sociali

realizzare alcune delle riforme costituzionali più urgenti per la modernizzazione del Paese» Un ragionamento che trova sempre più in sintonia Berlusconi malgrado i malpancismi sempre più acuti interni al partito. Togliere l’appoggio al premier Monti per il Cavaliere non solo sarebbe da «irresponsabili». E a chi gli domanda di commentare la dichiarazione di Monti che rivendica al suo esecutivo una qualità politica l’ex premier risponde diplomaticamente: «No. Non voglio intervenire su questi argomenti». Una posizione quella moderata e responsabile che non convince per niente i falchi del partito e una parte della stampa di centrodestra spingono invece per la soluzione estrema di ”staccare la spina”». Se nel Pdl non si va d’accordo nel Pd tornano a volare gli stracci. «Se le elezioni non ci sono state le colpe sono anche del Pd - dice il sindaco di Firenze Renzi - non era un’alternativa e senza un progetto credibile le elezioni non si potevano convocare». Renzi mette in guardia poi il suo partito: «Perché questo governo offrirà al centrodestra la possibilità di rifarsi una sua verginità e se dopo questa fase non verrà ridiscussa presto la linea del Pd, e se questa segreteria rimarrà inchiodata alla foto di Vasto, mi sembra scontato che il Partito democratico rischia di subire un clamoroso cappotto alle prossime elezioni». Senonché Renzi pensa che dovrebbe essere conservato il modello bipolare che significa però dover ritirare fuori dal cassetto la foto di Vasto. A proposito di sistemi elettorali, giusto per dire la grande confusione che regna sotto questo cielo. Peppino Calderisi del Pdl ha presentato una proposta di legge che riproduce l’analoga proposta di riforma del sistema elettorale sul modello spagnolo presentata da Benedetto Della Vedova il 23 marzo 2007. Il modello spagnolo, spiega Calderisi, «consentirebbe una nuova interpretazione del bipolarismo. Non avremmo né la continuazione del bipolarismo attuale (co-

«Se le elezioni non ci sono state - dice Renzi - ”le colpe” sono anche del Pd: Bersani non era un’alternativa e non aveva un progetto»

sindacati e Confindustria fanno quadrato per presentare al ministro un pacchetto che – di fatto – blindi lo status quo, rafforzando strumenti esistenti come la cassa integrazione in deroga e sviluppi meccanismi erediti dal precedente governo come l’apprendistato e il contratto di inserimento. «Un incontro utile», hanno detto alla fine del faccia a faccia, Emma Marcegaglia e i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e

me con modificazioni limitate della legge vigente) né superamento del bipolarismo (come con il sistema tedesco)». Avremmo finalmente - secondo Calderisi - un bipolarismo maturo basato su grandi formazioni politiche, con una frammentazione molto ridotta. Senonché nel Pdl c’è chi guarda al modello francese chi, addirittura si sta convincendo della bontà di quello tedesco, chi infine preferirebbe tornare a votare col vecchio e caro Porcellum, caro naturalmente a chi ha la certezza di essere di nuovo nominato in Parlamento.

Dove si registra sostanziale unità è nel voto sulle autorizzazioni a procedere: Pdl e Lega hanno votato insieme in Giunta per le autorizzazioni il no a una richiesta a procedere nei confronti del senatore Roberto Calderoli, sotto procedimento con l’accusa di aver utilizzato un aereo di Stato per finalità non inerenti a una missione istituzionale quando era ministro della Semplificazione. Niente di fatto, invece, per quanto riguarda la nuova richiesta di arresto per il senatore del Pd Alberto Tedesco, rimasto invischiato in un’inchiesta della Procura di Bari su presunte malversazioni nella sanità pugliese. La questione, che doveva essere dibattuta ieri è slittata alla riunione della settimana prossima.

Luigi Angeletti. Le parti però sono ancora lontane dal trovare un accordo sull’articolo 18 tanto che è saltato il tentativo di presentare un documento comune, sul modello di quanto fatto già nel luglio scorso. «Lo abbiamo fatto», si è giustificata la Marcegaglia, «perché non vogliamo fare la guerra dei documenti: siamo invece interessati a un buon risultato del confronto». Intanto però è chiaro il perimetro nel quale muoversi: «Dobbiamo garanti-

re le tutele dei lavoratori», fa sapere Raffaele Bonanni, «migliorando il sistema di ammortizzatori sociali che avevamo». La Camusso invece ha stigmatizzato i diktat del ministro, alla quale i sindacati oggi chiederanno conto anche per non aver varato i decreti necessari per l’avvio del credito d’imposta al Sud per chi assume donne e giovani e per l’erogazione degli aumenti previsti dalla contrattazione di secondo livello sul modello Pomigliano.


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aestro. Come spiega il famoso Dizionario Etimologico di Giacomo Devoto, viene dal latino magister, che poi è da magis, cioè semplicemente il maggiore. Forse la traduzione letterale dovrebbe ricorrere non all’italiano ma al romanesco di un famoso film di Celentano: Er Più. Il suffisso -teros sta semplicemente per altro: neutro è infatti “nessuno dei due”. E il magister era dunque, in origine, semplicemente il “maggiore di due”, e poi colui che dirigeva qualcosa. Magister equitum era infatti il “comandante della cavalleria”, il magister navium quello delle navi, il magister pecoris il pastore, il magister convivii o cenandi quello che sta a capo tavola, il magister scripturae il responsabile della dogana, il magister morum quella particolare carica della Repubblica romana nota anche come censore e la cui doppia responsabilità di addetto ai censimenti e custode della morigeratezza aveva anche funzioni di programmazione economica. E c’era anche il magister ludi: colui che dirigeva quell’attività non lavorativa che in traduzione può dare significati per noi concettualmente quasi opposti come quello di “scuola” o di “gioco”, e da cui viene comunque l’accezione di maestro che oggi in italiano è prevalente. Quello che insegna ai bambini a leggere, scrivere e far di conto. Di colui che ha competenza in arti manuali l’italiano ha però diversificato dalla stessa etimologia il termine di mastro: anche se si tratta di un vocabolo ormai in via di estinzione, proprio per la crescente scomparsa dei lavori artigianali tradizionali. Ma anche Gesù, peraltro a sua volta di professione “mastro” falegname, veniva chiamato Maestro. Maestri sono, letteralmente, i guru dell’induismo e i rabbini dell’ebraismo. “Venerabile Maestro K’ung” è la tradizione letterale di quel termine cinese K’ung fu-Tsu che nella nostra lingua è oggi diventato Confucio. È un Gran Maestro al vertice della gerarchia massonica, peraltro ripreso dall’esempio degli Ordini Monastico-Cavallereschi come quelli Teutonico, Templare, di Malta e Portaspada. Socrate, invece, disse che non voleva essere considerato un maestro: ma già l’aver fatto una simile affermazione ci indica che era quella l’etichetta che gli era stata data. Insomma, accanto al maestro della scuola elementare il linguaggio corrente riconosce l’esistenza di un Maestro di verità di più ampia portata metafisica e filosofica.

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Dirigente scolastico, Gian Leonildo Zani è stato dicente di educazione comparata e Pedagogia interculturale, oltre che contributore all’Enciclopedia Pedagogica di Laeng. Il suo Ateneo è stato però l’Università Cattolica di Brescia: un suo testo del 1999 riguardava Iniziazione e trasmissione. L’educazione fra Oriente e Occidente; un altro del 2000 Infanzia, culture, religioni; e un terzo del 2005 Educazione in Islam. Insomma, ha compiuto un lungo percorso di approfondimento del rapporto tra Educazione e Fede, al termine del quale all’età di 81 anni si è infine arrischiato a esplorare il cuore del problema. Un maestro per vivere - Maestri e discepoli nelle culture e nelle religioni è infatti il titolo di questo libro pubblicato per Il Cerchio (pp. 344, euro 22): «Il frutto di un cammino personale iniziato da molti anni attraverso letture, studi, viaggi. Al cen-

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Oh capitano, m Etimologia e trasformazioni della figura del “magister” nel nuovo lavoro di G. L. Zani «Maestri e discepoli nelle culture e nelle religioni» di Maurizio Stefanini

Da Socrate a Buddha, da Confucio a Gesù. Con un filo conduttore: «Gli interrogativi sui temi più antichi per ogni uomo» per arrivare alla verità delle cose tro gli interrogativi sui temi più antichi e importanti per ogni uomo: la religione, la fede, la cultura, il loro significato, la profondità e la verità delle cose». Ovviamente, da un punto di vista occidentale al centro c’è il Divino Maestro, Gesù. Questione delicata, proprio perché in molti hanno già considerato il Suo insegnamento alla stessa stregua di quelli di altri grandi Iniziati e Iniziatori: facendo però saltare completamente quell’aspetto della Divinità di Gesù, che per i Vangeli è irrinunciabile. D’altra parte, però, anche contrapporre il Figlio di Dio a semplici sapienti potrebbe risultare mortificante per questi ultimi. Con una certa finezza, Zani intitola il relativo capitolo a “Gesù: il regno di Dio”, ricordandolo pure come “il Dio che si è fatto uomo”.

Ma ricorda che anche l’induismo conosce come Maestro con la “m” maiuscola la figura di un dio incarnato, e

dunque proprio per questa “precedenza” divina Krishna e Gesù vengono prima di tutti gli altri. E Krishna anche di Gesù, per motivi cronologici. Figlio di Dio, ma appunto Maestro. «Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: “Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno”». «Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”». «Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, non t’importa che moriamo?”». «Gli rispose uno della folla: “Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto”». «Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri”». «E venuti, quelli gli dissero: “Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?”»... 128 volte è ripetuta la parola “maestro” nella Bibbia, e ben 60 nei quattro Vangeli. Come ci spiega Giovanni, «Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”».

«Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”».

Come ci spiega Zani, «rabbino è termine che, in origine, significava semplicemente “signore” e solo in seguito divenne l’equivalente di “maestro”, cioè di colui che, in qualità di successore e sostituto del sacerdote (che aveva perso la sua funzione peculiare), non solo insegnava la Torah scritta e orale, ma assumeva spesso anche le funzioni giudiziarie. Il rabbino era, in primo luogo, uno studioso, un uomo di cultura e l’appellativo che più gli veniva attribuito era quello di chakham saggio, (in greco sophos) ed anche zaqen, anziano (in greco presbyteros). Egli mirava a incarnare i più alti ideali etici ed intellettuali espressi nella Torah approfondendo lo studio e mettendo in pratica gli insegnamenti. Tali ideali non avevano un carattere elitario perché si presumeva che ogni uomo fosse in grado di applicarsi allo studio. Rifiutarsi significava sottrarsi a un vincolo divino, affrontarlo adempiere ad un obbligo religioso. Molti rabbini erano essi stessi sacerdoti senza peraltro che in virtù di questo ufficio fosse loro accordata una qualche autorità religiosa; la maggior parte dedicava il proprio tempo allo studio della Torah. Altri facevano uso del proprio prestigio


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mio capitano...

“La scuola di Atene”, “L’ultima cena”, Buddha e Confucio. Le loro figure, insieme ad altri maestri della storia, sono state oggetto del nuovo studio di Gian Leonildo Zani “Un maestro per vivere-Maestri e discepoli nelle culture e nelle religioni” (Il Cerchio)

«Maestri sono anche i libri cui, nei secoli, hanno attinto intere generazioni», come la Bhagavadgita per Krishna o i Vangeli per Gesù per svolgere un’azione mediatrice nei confronti del potere civile o per influenzare le attività commerciali con le proprie deliberazioni halakhiche».

L’ebraismo di oggi, quello che si definì dopo la separazione del cristianesimo e dopo che la distruzione del tempio aveva posto fine alla classe sacerdotale tradizionale, è definito spesso “ebraismo rabbinico”. Jacob Neusner, un rabbino statunitense che è a sua volta un importantissimo storico, studioso e teologo dell’ebraismo, nel 1993 immaginò appunto un confronto tra un rabbino e il rabbi Gesù in un libro che è stato pubblicato in italiano da Piemme nel 1996 col titolo Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù. Quale maestro seguire?. Lo stesso Benedetto XVI ha citato Neusner nel suo famoso Discorso di Ratisbona. «Per Neusner “non lavorare il sabato, infatti, significa più dell’adempimento scrupoloso di un rito. È un

modo per imitare Dio”; per Gesù “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”(Mc 2,27). Neusner cita l’Esodo: “Onora tuo padre e tua madre perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore tuo Dio” (20,12); per Gesù “chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12,45-50). Nel Discorso della Montagna, il messaggio di Gesù si distingue dalla fede dell’“Israele eterno”. Gesù non abolisce la Torah, ma la porta a compimento, egli la supera, ma non la viola. Due considerazioni: il dialogo del rabbino con Gesù lascia trasparire la durezza delle differenze: egli accetta l’alterità del messaggio di Gesù “e si congeda con un distacco che non conosce odio”; tale dialogo mostra, però,“come la fede nella parola di Dio presente nelle Sacre Scritture crei contemporaneità attraverso i tempi: a partire dalla Scrittura il rabbino può entrare nell’oggi di Gesù e a partire dalla Scrittura Gesù viene nel nostro oggi”».

Assieme ai due esempi di divinità incarnata Krishna e Gesù, secondo Zani gli altri Grandi Maestri dell’Umanità sono stati innanzitutto Socrate, Buddha, Confucio e Maometto. «Conosci te stesso»; «la realtà del dolore»; «la politica e

la moralità»; «l’inviato, il profeta». Una scelta in parte “soggettiva”: ma «nessuno vorrà negare che le figure prese in considerazione abbiano tracciato vie durature e rappresentino ancor oggi punti di riferimento per milioni di persone». «Maestro è colui che ha detto e dato qualcosa che non perisce e, se segno del tempo che si compie, permette di ripercorrere la storia dell’umanità». Ma maestri sono anche coloro che, pur non rivendicando lo stesso ruolo di que-

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sti Grandi Iniziatori, hanno comunque contribuito a tramandarne e approfondirne il messaggio. Aedi e rapsodi della Grecia arcaica, filosofi dell’età Attica, saggi dell’età ellenistica: gli Interpreti di Verità del mondo classico. Rabbini, monaci e sufi: Ricercatori di Sapienza e Misticismo nei grandi monoteismi. Guru, lama e tsu cinesi: Esploratori di Liberazione, Illuminazione e Salvezza nelle tradizioni orientali. «Maestri sono anche loro che conservano tradizioni, miti e riti che hanno impregnato di sé tempi lunghi e ampi spazi. È un’interpretazione chiamare maestri tali persone, ma è certo che i griots dell’Africa occidentale, alla maniera degli antichi aedi greci, hanno creato e continuano a creare epopee guerriere, dinastiche, religiose contribuendo a definire l’identità di un popolo. Così gli sciamani, facendosi aiutare dagli spiriti, hanno viaggiato a lungo nelle dimensioni dell’universo per il bene della propria gente, portatori di una cultura che oggi viene ricuperata a livello scientifico».

Ma Zani ricorda infine che «maestri non sono solo le grandi personalità, ma anche i libri cui, nei secoli, hanno attinto intere generazioni». Lo stesso insegnamento dei Maestri citati, in realtà, è stato tramandato attraverso libri: la Bhagavadgita per Krishna; i Vangeli per Gesù; le opere di Platone, Senofonte e Aristotele ma anche paradossalmente la caricatura di Aristofane per Socrate; il Canone Buddhista; i Quattro Classici e i Cinque Classici della tradizione confuciana; il Corano. E poi vi è una quantità di altri titoli, ma il saggio di Zani chiude volutamente su due testi forse non altrettanto conosciuto dal grande pubblico occidentale di oggi, ma la cui «importanza sta nell’aver concretamente avallato con autorità antiche vie o nell’avere indicato percorsi nuovi». Sono il «Libro dei tre caratteri di WangYinglin che in Cina ha formato sudditi leali» e il «Libro delle cose sensibili figurato di G. A. Comenio che ha favorito la diffusione dell’istruzione per tutti». E proprio in questo finale approdo didattico che le due figure del maestro di scuola e del maestro per vivere si ricongiungono. Spiega Zani: «L’iniziazione è un’introduzione ai valori non tanto attraverso uno studio di carattere intellettuale quanto un’esperienza e un impegno che portano l’uomo da uno stadio di vita incompleto a uno più pieno. La trasmissione si colloca in un ordine diverso poiché vi predominano la preoccupazione della conoscenza, il bisogno di conservare il passato e, per le giovani generazioni, di elaborare il futuro. L’iniziazione e la trasmissione, distinte a scopo euristico, sono metafore dell’educazione. Non mancano motivi perché il discorso si faccia pedagogico. È avvincente l’idea della pedagogia che si interessa e dialoga con la religione, la teologia, la filosofia, la storia, la storia delle idee ed appare feconda l’incertezza dei confini. Cogliere il fascino di un pensiero vuoi dire assaporare la sua profondità e l’armonia interna che la anima, quindi la coerenza e l’equilibrio. Le grandi costruzioni di idee sono anche permeate da una bellezza che illumina e da un’eleganza che conquista. Un libro accattivante è quello che fa cogliere questi elementi che sono presenti nelle ‘verità’ o nelle schegge di verità cui è dato all’uomo di accedere nella sua finitezza».


mondo

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Accorato editoriale del direttore di Al Quds al-Arabi che ammonisce il popolo arabo sui veri rischi che si stanno correndo a Damasco (primo fra tutti l’intervento straniero)

La Siria sulla via dell’Iraq Si sfalda l’identità nazionale a favore di quella settaria e confessionale. E si scivola verso la guerra civile di Abd al-Bari Atwan a guerra civile settaria ha cominciato ad aggravarsi in Siria, mentre viene eroso sempre più il prestigio del regime assieme al suo controllo di alcune zone della capitale Damasco, e di altre provincie come Homs, Hama e Idlib. E così come nessun politologo o intellettuale ha saputo prevedere lo scoppio delle rivoluzioni della rabbia popolare contro i regimi dittatoriali, sfido chiunque fra essi, o fra coloro che dietro di essi si nascondono, a definire o a predire ciò che potrà accadere in Siria fra uno o due anni, o anche soltanto fra un mese. Quando gruppi alawiti fedeli al regime attaccano un quartiere – Karm el-Zeitun (nella città di Homs, ndt.) – e massacrano una famiglia di 14 persone, tra cui 5 bambini il più piccolo dei quali non aveva più di otto mesi, non possiamo escludere che gruppi affiliati alla comunità sunnita non attaccheranno i quartieri alawiti allo scopo di uccidere alcuni dei loro abitanti per vendetta. Dopo decenni di convivenza all’ombra dell’oppressione, della confisca delle libertà, della violazione dei diritti umani e dell’infiltrazione nella società degli apparati di sicurezza del regime, ecco che assistiamo alla disintegrazione del

L

patto sociale siriano, e vediamo calare il sipario su un concetto rapidamente estintosi, il cui nome è “unità nazionale”. Poiché la pazienza ha un limite, così come la capacità di sopportazione. La Siria scivola verso il baratro iracheno, dal momento che si sta logorando l’identità nazionale collettiva a favore di identità settarie, confessionali ed etniche.

Così come l’uomo forte dell’Iraq, il primo ministro Nuri alMaliki, afferma di essere in primo luogo sciita e in secondo luogo iracheno, anteponendo

portante in questa catastrofe, e ne condividono la piena responsabilità – con il contributo di forze straniere, prima fra tutte le Lega Araba. Non voglio mettere sullo stesso piano il regime e l’opposizione, e del resto non potrei, poiché la responsabilità maggiore ricade sulle spalle del regime il quale ha spinto il paese in questo abisso senza fondo con la sua caparbietà, la sua arroganza e la sua ostinazione a barricarsi dietro sanguinose soluzioni securitarie ritenendo che, grazie alla sua forza di fronte ad un popolo debole e inerme, avrebbe po-

La Russia, quando erige barricate a difesa del regime e ricorre al veto per impedire l’imposizione di sanzioni economiche contro di esso, vuole solo alzare il prezzo delle sue richieste cioè l’appartenenza settaria a quella nazionale, in un prossimo futuro vedremo i siriani presentarsi allo stesso modo, anteponendo la fedeltà alla setta ed alla confessione religiosa alla fedeltà nei confronti della patria. Siamo onesti, e riconosciamo che la spaccatura settaria in Siria si sta allargando con una rapidità stupefacente, e che sia il regime che l’opposizione stanno giocando un ruolo im-

tuto riportare indietro le lancette della storia, e illudendosi che ciò che andò bene nel 1982, quando il regime soffocò la rivolta di Hama, sarebbe andato bene anche trent’anni dopo. Perderemo la Siria come abbiamo perso l’Iraq, e come stiamo perdendo la Libia, cosicché nel prossimo futuro la maggior parte dei paesi arabi potrebbero essere degli “Stati falliti” in cui regna il caos – il caos delle

armi, il caos settario e confessionale, il caos della frammentazione e della disintegrazione geografica. Il reciproco scambio di accuse, che impedisce di vedere questo futuro catastrofico, è una fuga dalle responsabilità, un volersi sottrarre alle sue conseguenze, ed anzi una vera e propria complicità con questo piano criminale che vuole frammentarci come nazione e come figli di un’unica fede, anteponendo i rancori e la propensione alla vendetta alla ragione ed alla lungimiranza. Siamo una nazione priva di uomini saggi – lo dico con tutta l’amarezza e il rammarico possibili – e laddove ne abbiamo, essi non godono di prestigio né di rispetto. Laddove essi esistono realmente e vogliono pronunciare una parola di verità, sono pronte per loro le accuse di tradimento, di essere agenti del nemico, di propendere per questa o quell’altra parte, e si affilano le spade contro di loro.

La Russia, quando erige barricate a difesa del regime siriano e ricorre al veto per impedire l’imposizione di sanzioni economiche contro di esso, non lo fa partendo da una posizione di principio, bensì dai propri interessi strategici, e con lo scopo di alzare il prezzo delle sue ri-

Stallo al Palazzo di Vetro, mentre continua la repressione del regime. Ieri, secondo gli attivisti, almeno 44 morti

Mosca blocca l’Onu, ma sottobanco tratta P

er il caso Siria, tutti parlano di sforzo comune. Nessuno però si arrischia a dire quale sia la meta. Ieri, con il Consiglio di sicurezza dell’Onu riunito per discutere sull’eventuale risoluzione contro il regime Baath, Russia e Stati Uniti utilizzavano le stesse frasi di circostanza. Il segretario di stato, Hillary Clinton, chiedeva concertazione nel procedere. Lo stesso faceva il vice ministro degli esteri di Mosca, Gennady Gatilov. Salvo poi, a fine giornata, riassumere la maschera da Cerbero, contro qualsiasi iniziativa ai danni del presidente Assad. L’attesa è per un documento di risoluzione che accontenti tutti. È un gioco difficile. Gli arabi hanno scarica-

di Antonio Picasso

to il raìs e non aspettano altro che marciare su Damasco. La Nato non può muovere altri carriarmatini sul Risiko mediorientale. È un impasse farmacologica in cui le forze coinvolte, una volta definiti i rispettivi obiettivi, si stanno

sia resta la grande madre protettrice del raìs e vorrebbe che la questione fosse risolta solo dai siriani, magari con un vertice ospitato al Cremlino. Entrambi gli schieramenti, del resto, hanno abbassato minimamente i toni.

All’inizio dell’anno gli Usa non escludevano l’intervento armato, magari organizzato dalla Turchia o da una forza congiunta della Lega Araba. Oggi l’opzione ha perso sensibilmente peso studiando per capire come arrivare a un compromesso. I governi occidentali sono stati chiari: via Assad e inizio di un processo di pacificazione. La Rus-

All’inizio dell’anno gli Usa non escludevano l’intervento armato, magari organizzato dalla Turchia o da una forza congiunta della Lega araba. Oggi l’op-

zione ha perso sensibilmente peso. La Russia tentenna di più.

Da un lato, sembra essersi fatta una ragione della necessità che Assad abbandoni il potere. Medvedev e Putin potranno ancora salvargli la pelle, ma non la poltrona. Dall’altro, è il documento in sé, partorito forse nei prossimi giorni dall’Onu, che non piace al Cremlino. Internazionalizzare la crisi siriana crea un precedente. La grande incognita, in realtà, è la Cina. Perché Siria per i russi significa un’alleanza storica. Pechino invece aveva investito poco nel Paese e adesso avrebbe poco da rimetterci nel vedere Assad colare a picco. Il suo modo di stare a guardare viene indicato co-


mondo

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A sinistra, manifestanti davanti al Palazzo di Vetro travestiti da Bashar al-Assad e Vladimir Putin; a destra, un oppositore siriano mostra un manifesto eloquente al mondo occidentale. In basso, Hillary Clinton assieme all’attuale presidente della Lega Araba Nabil al-Arabi chieste. Qualora le verrà corrisposto il prezzo adeguato, in questa contrattazione alle nostre spalle nel “mercato mondiale degli schiavi”, Mosca venderà la Siria e il suo regime come ha già fatto con il regime iracheno e con quello libico.

Dal canto loro gli Stati Uniti, quando adottano e sostengono l’iniziativa della Lega Araba, non lo fanno per far vincere la legittima rivoluzione popolare siriana, ma per far vincere Israele e il suo eterno progetto di umiliazione della nazione araba, e per facilitare la dominazione americana sulle ric-

Assad, ed a causa di ciò abbiamo subito minacce, veti e interdizioni. Ma ciò che ci interessa oggi è salvare la Siria, non il regime; salvarla da una sanguinosa guerra civile, dalla frammentazione geografica e dallo smembramento in staterelli in lotta fra loro. Se il presidente Bashar al-Assad amasse davvero la Siria, dovrebbe fare concessioni reali al suo popolo – od alla sua componente in rivolta – e confermare la propria seria determinazione a questo proposito. Egli dovrebbe ricordarsi che i giorni della persecuzione, della corruzione e dell’intimidazione dei cittadini siriani per

Il popolo siriano, che ha sacrificato 6 mila martiri, merita un regime democratico. E Assad, che ha portato il Paese a questa catastrofe, deve dare ascolto al grido di aiuto del suo popolo chezze della regione. Il regime siriano è un regime criminale che ha commesso e continua a commettere i peggiori massacri ai danni del suo popolo in rivolta contro l’ingiustizia, l’oppressione e la corruzione – lo diciamo a tutti coloro che hanno cavalcato tardivamente l’ondata rivoluzionaria cercando di appropriarsi dei suoi martiri, noi che ci siamo opposti a questo regime fin dai tempi del suo principale padrino, Hafez al-

mano dei suoi servizi di intelligence sono ormai trascorsi e non possono più tornare. A partire da oggi, nessun controllo da parte di questo o quel ramo di tali apparati, nessuna tortura in qualche sotterraneo lordo del sangue delle vittime. Dal canto suo, l’opposizione in tutte le sue componenti deve essere un po’ più umile, e smettere di minacciare di fare ricorso all’aiuto straniero. La Lega Araba, che è sempre stata incapace di soste-

me una scelta di essere gregario rispetto a Mosca. Forse perché i cinesi preferiscono non esporsi più del necessario nell’ennesima questione lontanissima da casa propria. Già l’Iran impegna le loro risorse diplomatiche. La Siria, per la Cina, non vale lo stesso sforzo. Non è un caso che, sempre ieri, il ministero del commercio a Pechino comunicava a tutti gli investitori connazionali che avessero interessi in Siria di far la valigia il più in fretta possibile.

Nello stesso momento nella capitale cinese, arrivava la cancelliere Merkel per trattare di questioni economiche sino-tedesche. Nel summit il leader occidentale ha cercato di riprendere la questione del Paese arabo. Il tema, però, è stato snobbato. D’altra parte nemmeno Berlino si lascia coinvolgere emotivamente dalle atrocità commesse dal rais. Al fronte intanto, è in corso una nuova operazione repressiva. Homs, da sempre città martire della rivolta, è tornata a essere cannoneggiata dalle forze regolari.

nere le questioni cruciali della nazione araba di fronte alla potenza coloniale americana ed a quella israeliana, ed anzi è sempre stata loro complice sia con il suo silenzio che con il suo sostegno indiretto ai nemici della nostra nazione, deve rendersi conto che, mentre i suoi falchi fingono di piangere la perdita dell’Iraq, caduto nell’orbita dell’influenza iraniana, essi rischiano di commettere lo stesso errore – anzi la stessa catastrofe – in Siria internazionalizzando la crisi e ricorrendo all’aiuto delle potenze straniere come hanno fatto in Iraq e in Libia.

In questi giorni stiamo vivendo la fase più buia della nostra storia, mentre i centri decisionali arabi sono sottoposti alla distruzione ed alla frammentazione – e ci riferiamo qui all’Iraq ed alla Siria e (...) all’Egitto. Il popolo siriano, che ha sacrificato 6.000 martiri, merita un regime democratico e giusto. Il regime siriano, che ha portato il paese a questa catastrofe, deve dare ascolto al grido di aiuto del suo popolo ed al lamento delle sue vittime. Tale regime, infatti, non avrà il sopravvento su questo popolo che nei trascorsi dieci mesi non ha esitato un solo istante a versare il proprio sangue per riottenere la propria dignità e la propria libertà.

glio nazionale siriano, denunciano nuove violenze contro la popolazione. Sarebbero oltre quaranta i morti di questo nuovo capitolo di scontri.

Coinvolta negli scontri anche la città di Hama, famosa per il massacro che Hafez el-Assad, padre dell’attuale presidente e altrettanto sanguinario, perpetrò contro i

sunniti locali (tra 10 mila e 25mila le vittime). L’eccidio avvenne esattamente trent’anni fa. I comitati di coordinamento locali, in pratica le cellule del Consi-

Due gli elementi poco chiari. 1) La posizione dell’esercito. Ieri un colonnello disertore ha detto che i ribelli starebbero controllando il 50 per cento del territorio nazionale. È vero? Le forze armate come sono schierate in questa offensiva? Si sa che le agenzie di intelligence restano il nocciolo duro del regime, ma i vertici degli stati maggiori? 2) L’Iran non si sa se vinca o perda. O meglio, se cade Assad, perde di sicuro. Sorprende però come gli Ayatollah non stiano muovendo una sola pedina in difesa del loro alleato. Almeno sul terreno della diplomazia. Intanto, sono spariti altri 11 pellegrini che da Teheran sono atterrati a Damasco per visitare un santuario locale. È il secondo caso, dall’inizio del 2012. Forse è bene che in Iran diffonda un messaggio per cui la Siria è off limits anche per i fedeli sciiti.


mondo

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L’Internazionale dei democratici cristiani esprime il sostegno alle nazioni arabe in cerca di pace e rilancia il dialogo tra le fedi

La Primavera di Beirut

Il Libano, multiculturale e democratico, ha aperto la strada al nuovo Medioriente di Paola Binetti a pochi giorni si è concluso a Beyrouth il Congresso internazionale dell’Icd: l’Internazionale dei Democratici Cristiani, di cui è attualmente Presidente Pierferdinando Casini. Al termine del Congresso, naturalmente riservato ai membri dell’Icd, si è svolto un Convegno con una vasta partecipazione di tutti i Paesi Arabi limitrofi, centrato su due temi di grande attualità: “La primavera araba: cambiamenti ed incertezze” e “Le sfide democratiche nella gestione del pluralismo”. Il Convegno era promosso dall’Icd insieme al Kataeb, il partito cristiano maronita di cui è attualmente presidente Amine Gemayel. Tra i relatori europei oltre a Pierferdinando Casini che presiedeva il Convegno - so-

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no intervenuti Franco Frattini, Claudio Scajola, Antonio López-Istúriz White, segretario esecutivo dell’Icd, e Wilfried Martens, attuale Presidente del Ppe. Di particolare interesse i contributi dei relatori dell’area sud-mediterranea, rappresentanti di tutto il territorio che da oltre un anno è attraversato dalla Primavera araba: Egitto, Algeria,Tunisia, Libia,Turchia. Assente la Siria, teatro proprio in quei giorni di nuovi e drammatici fatti di sangue, che hanno coinvolto centinaia di persone, tra cui molti, troppi bambini poco più che decenni. Mentre si discuteva delle cause e degli effetti di una Rivoluzione in cerca di democrazia, in Libano avveniva il passaggio di consegne al vertice della forza Unifil, con il ritorno dell’Italia al comando della missione Onu. La primavera araba –hanno sottolineato tutti i relatori- non si è conclusa con la rivolta delle diverse piazze dello scorso anno, ma continua ad animare il dibattito e la vita quotidiana delle persone che abitano quei luoghi, condividendo timori e speranze, delusioni e aspettative. Dopo l’esplosione della violenza i tentativi di normalizzazione della situazione nei vari Paesi non hanno ancora prodotto i cambiamenti attesi, come testimoniano nuove imponenti manifestazioni di protesta nella

stessa Piazza Tahrir. La situazione nello scacchiere nord-africano, che si estende fino al Medioriente, ha le caratteristiche di una situazione liquida, in costante e continua evoluzione. Le cose cambiano rapidamente, più in fretta di quanto i mass media occidentali riescano a fotografare. In Egitto i militari non riescono a gestire la situazione e si continua a sparare. La Siria pone un’ipoteca fortissima su tutto il Medioriente e su tutta l’area incombe il rischio Iran. Tra i timori più diffusi la minaccia di una guerra con Israele, che potrebbe capovolgere i tentativi di pace che si stanno facendo. Israele –ha fatto notare uno dei relatori- ha vissuto la primavera araba con una preoccupazione, che in alcuni momenti è sembrata paura, proprio perché il Paese è legato all’Egitto da interessi strategici non solo di natura commerciale. Da quando sono iniziate le proteste in piazza Tahrir il gasdotto che unisce i due Paesi è stato distrutto più volte e si sono accentuate le rispettive manifestazioni di diffidenza e di intolleranza.

Eppure il 2011 verrà ricordato come l’anno della Primavera araba. Le rivolte, con effetto domino, sono scoppiate nei Paesi islamici, a cominciare dalla Tunisia, dove Mohamed Bouazizi si è dato fuoco per protestare contro il regime di Ben Alì. E in breve si è giunti alla caduta del raìs. Così pure in Egitto dove dopo le manifestazioni di protesta e le violenze di massa in Piazza Tahrir, Mubarak ha dovuto rassegnare le dimissioni. In Libia ci sono voluti mesi di guerra per porre fine alla dittatura di Gheddafi, ucciso nell’ottobre scorso. Sono scoppiate rivolte anche in Bahrein e nello Yemen, e soprattutto in Siria, dove si continua a morire, mentre Bashar Al Assad resta al potere. In Siria le vittime ufficiali secondo le Nazioni Unite sono 5.000, mentre proseguono le violenze e il bilancio delle vittime aumenta drammaticamente, giorno dopo giorno. In tutti i Paesi arabi, complice la tecnologia e la possibilità di comunicare velocemente gli uni con gli altri, il vento delle protesta contro i

Casini ha citato Giovanni Paolo II: «La libertà religiosa è la cifra più alta della civiltà di un Paese». E oggi la nazione dei cedri sembra sempre di più un Messaggio regimi ha creato delle aspettative che stenta a soddisfare. A distanza di un anno, cosa resta di tutto ciò e come è cambiato il volto dei Paesi che ne sono stati scossi? In Tunisia, Marocco ed Egitto si sono aperte le urne e, in tutti e tre i casi, hanno spopolato i partiti islamici, facendo nascere qualche preoccupazione sul futuro del loro assetto democratico. La paura è che ai vecchi raìs se ne sostituiscano di nuovi, imponendo (più che proponendo) la sharia. Non tutti i segnali che vengono dalla Primavera araba vanno infatti in una direzione pacifica e pacificante… La compagine vincente che sembra emergere è rappresentata dai Fratelli musulmani, che in meno di dieci anni sono stati capaci di trasformare una presenza considerata più o meno terroristica in un interlocutore politico. Una cosa che molti osservatori occidentali notano con una certa perples-

sità è che questa rivoluzione sta assumendo un carattere almeno parzialmente ambiguo. «In Egitto - ha sottolineato Renato Coen (inviato di SkyTg24) - i poveri hanno fiducia in questi partiti perché rispettano la tradizione. Gli intellettuali, invece, sono spaventati». La tensione si accentua proprio perché alla violenza sul piano politico-militare si affianca una grande attenzione alle classi più povere e disagiate sul piano sociale. La povertà in mano alle componenti più violente della rivoluzione araba è un potente strumento, perché mentre accende speranze per garantire nuovi diritti, ne calpesta altri, certamente non meno importanti.

Hezbollah, il cosiddetto Partito di Dio, partito politico sciita nato proprio in Libano nel 1982, con una struttura di tipo militare svolge un ruolo importante come finanziatore di servizi sociali. Offre scuole, ospedali e servizi agricoli per migliaia di libanesi, e in questo modo guadagna spazio e visibilità nella politica del Paese. La popolazione sembra rassicurata dal cessare della violenza, a prescindere dalle effettive conquiste democratiche, che invece sembravano il vero motore della rivoluzione. L’orizzonte dei bisogni fondamentali dei popoli resta quello del contrasto alla povertà, mentre un maggior livello culturale sposta il livello di esi-


mondo di locali commerciali, in cui è possibile trovare tutte le firme internazionali più note, si affiancano i piccoli negozi più simili ad un suq di lusso, raffinato e popolare al tempo stesso. Non c’è dubbio che la pace sta producendo benessere e in alcuni casi anche ricchezza. Un benessere diffuso con una crescita importante anche sotto il profilo demografico. Sono moltissimi i bambini che frequentano le numerose scuole private, promosse da religiosi, primi tra tutti i Maroniti: nel loro liceo ci sono oltre 5000 studenti, ragazzi e ragazze cristiani e musulmani. I relatori che durante il Convegno si succedono nella tavola rotonda per tratteggiare lo scenario del proprio Paese, sottolineano la voglia di normalità che tutti i popoli chiedono a gran voce. Ma c’è anche voglia di una democrazia reale, in cui il diritto alla libertà religiosa costituisce un diritto a cui non è possibile rinunciare. Non ci può esse-

Amin Gemayel, nello scenario del mondo arabo, appare sempre di più come un ambasciatore di pace nella complessa dialettica di un dialogo sempre più complesso genza verso i confini della libertà: di comunicazione e di partecipazione ai diversi livelli della vita civile, a cominciare dalla libertà religiosa, che ha nel dialogo interreligioso una delle sue manifestazioni più concrete e verificabili. Non a caso molti intellettuali, anche tra i cristiani e forse soprattutto tra i cristiani, mostrano forti segnali di preoccupazione davanti alle nuove forme del governo dei Fratelli musulmani. Amin Gemayel in questo scenario appare sempre più come un ambasciatore di pace nella complessa dialettica di un dialogo sempre più complesso. Tutti parlano di pace, tutti vogliono la pace, tutti sanno che le diverse popolazioni aspirano solo alla pace, premessa indispensabile di ogni possibile sviluppo e di ogni fattore di crescita nei rispettivi Paesi. Ma la pace sembra tardare a venire: «I primi slogans scanditi dai rivoluzionari sono

stati: libertà, democrazia, Stato civile, diritti dell’uomo… - ha detto Amin Gemalyel - ma incombe sulle nuove Autorità il dovere di realizzare le aspirazioni dei popoli in rivolta. Il sostegno che il mondo offre ad ogni rivoluzione dipende dalla sua capacità di passare dalla repressione e dall’oppressione, dalla discriminazione in tutte le sue forme, a quella della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia; della separazione tra la religione e lo Stato, nella direzione di un cambiamento positivo». Ma questi segnali positivi sono ancora troppo timidi, laddove appaiono, e stentano ancora ad affermarsi. Diversa, a distanza di pochissimi anni, la situazione in Libano.

La ricostruzione del Libano, iniziata subito dopo la fine della guerra civile, ha assunto un ritmo e una concretezza che sorprendono. Interi quartieri del centro storico di Beyrouth sono stati ricostruiti, cercando di mantenere il massimo di fedeltà nello stile delle architetture e nell’impianto urbanistico. Si nota uno stesso identico rispetto per i luoghi di culto, siano chiese cattoliche o moschee. Mentre Beyrouth ritrova il suo aspetto di capitale moderna, alla pari delle grandi città occidentali, tutt’intorno restano i segni di un’identità dal sapore mediorientale, che conferisce alla città un fascino particolare. Ai gran-

Amin Gemayel, leader politico libanese. In alto, Beirut. Nella pagina a fianco, Pier Ferdinando Casini re pluralismo se tra i diritti civili quello alla libertà di religione non diventa un punto di riferimento costante per tutti. In questo senso il Libano appare come l’unico Paese del Medioriente in cui i cristiani hanno un diritto pienamente riconosciuto a svolgere un ruolo politico di primo piano. Stessi doveri e stessi diritti, è l’espressione che risuona con maggiore insistenza nella conversazione con il Presidente Gemayel, che per difendere questo stesso diritto ha pagato un prezzo altissimo, con la morte della madre, del fratello e del figlio. Prova evidente che i diritti, anche quando sono riconosciuti, vanno sempre difesi con una testimonianza personale esigente e faticosa. Ed è in tal senso che l’Icd, Internazionale dei Democratici Cristiani, può e deve giocare un ruolo di primo piano proprio in questa area del Medi-

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terraneo, in cui i cristiani sembrano condannati ad un esodo biblico che da decenni li vede migrare verso altre terre in cerca di pace.

La persecuzione dei cristiani in Medioriente e lungo tutto il nord Africa è un fatto che sta esplodendo in modo drammatico, anche in questa primavera araba, che sembra segnare il riaffermarsi di una cultura islamica che vive con sospetto lo stile di vita e le forme sociali che appaiono diverse dalla propria tradizione. I cristiani sembrano vivere una sindrome di spaesamento che li fa sentire estranei in un’area geografica che è appartenuta anche alla loro tradizione culturale e religiosa, come confermano le loro chiese, le loro scuole e i loro ospedali, simboli concreti di una fede che si è sempre sforzata di tradursi in segni concreti di servizio agli altri, senza discriminazioni di sorta. La migliore classe dirigente di questi Paesi si è formata nelle scuole rette da religiosi, dove il rispetto per tutte le credenze, anche se diverse dalla propria, costituisce un elemento fondamentale della formazione. La libertà religiosa ha ricordato Casini, citando Giovanni Paolo II, «è la cifra più alta della civiltà di un Paese» e il Libano in questo contesto storicogeografico costituisce lui stesso un Paese-Messaggio, che veicola al mondo intero la necessità del rispetto reciproco tra popoli diversi, soprattutto se chiamati a condividere una stessa terra in uno stesso tempo. È il principio della reciprocità che dal Libano sembra imporsi all’attenzione generale e che l’Internazionale democristiana può e deve mettere al centro dell’azione politica, soprattutto in quest’area martoriata dalla guerra. L’internazionale è nata a Santiago del Cile nel 1961 come Unione Democratica Cristiana Mondiale per creare in legame tra le varie organizzazioni democristiane internazionali alternative alle internazionali socialiste. Nel 1982 è stata ribattezzata Internazionale Democratica Cristiana, per diventare dal 2001 Internazionale Democratica Centrista e accogliere partiti democristiani e centristi. Conta più di 100 Paesi membri, soprattutto in Europa e in America meridionale, ma la scelta del Libano come sede dell’ultimo Congresso internazionale dei democratici cristiani di Centro, riflette il desiderio di includere anche i Paesi democratici

del Medioriente. Martens, presidente del Ppe, ha chiaramente ribadito nel suo intervento come il Ppe e l’Icd debbano assumersi in modo chiaro e forte la responsabilità di tutela dei cristiani in tutti i Paesi, sottolineando in modo deciso tre punti: il diritto a rimanere nella propria terra, il diritto a professare la propria fede e il diritto a partecipare alla vita politica del proprio Paese. A segnalare la necessità di accogliere una serie di suggestioni venute dalla ribellione, più ancora che dalla rivoluzione, che ha caratterizzato la primavera araba l’Icd ha voluto dedicare un’attenzione particolare alle donne, eleggendo una donna libanese, Humana, segretario generale delle donne dell’Icd. Un modo di ribaltare l’idea che le donne «non abbiano avuto un ruolo decisivo in nessuna delle grandi piazze arabe. In Libia la rivolta è stata maschile». La valorizzazione delle donne, e una loro presenza più incisiva nel tessuto sociale e politico, rappresenta un segnale di cambiamento a garanzia di una maggiore tutela della pace nei Paesi interessati dalla rivolta. Le donne in Libano costituiscono uno snodo essenziale nella organizzazione della vita sociale, e svolgono ruoli di prestigio nei diversi settori della vita pubblica. È un’altra delle prerogative che segnalano la modernità del Libano, dove le donne sono in una posizione decisamente più avanzata rispetto agli altri paesi del NordAfrica e del Medioriente, dove il mondo islamico è decisamente prevalente.

L’incontro dell’Icd a Beyrouth ha segnato dei punti fermi che possono essere così sintetizzati: un’esplicita assunzione di responsabilità dell’Icd nella tutela dei diritti civili dei cristiani in tutti i territori in cui sono oggetto di persecuzione a causa della loro fede e delle loro convinzioni. Sotto questo preciso aspetto l’Icd può e deve assumere un ruolo più coraggioso di quanto non faccia la stessa Europa, la cui voce troppo spesso resta silente, davanti alle persecuzioni e alle esplicite ingiustizie a cui sono sottoposti i cristiani; riconoscimento ad Amin Gemayel del ruolo di coordinatore dell’Icd nell’area del Medioriente e del Nord Africa. L’obiettivo è quello di proporre un modello di coesistenza e di reciproco riconoscimento, analogo a quello libanese, tra culture e fedi diverse, che permetta ai cristiani di assumere una precisa ed esplicita rappresentanza politica; infine una valorizzazione del ruolo femminile anche all’interno dell’Icd, con specifiche scelte di campo volte a smontare pregiudizi e discriminazioni, ancora pesanti in molti Paesi soprattutto di origine islamica, ma non escluse neppure in altre aree geografiche e a diversa connotazione culturale.


cultura

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Il regista statunitense si sta anche preparando a firmare il remake della pellicola italiana uscita nelle sale nel 1966

Il ritorno di Django Los Angeles dedica a Corbucci una rassegna cinematografica. Testimonial Quentin Tarantino di Orio Caldiron artigiano pericolato pronto a tutto, prolifico realizzatore di un film dietro l’altro, Sergio Corbucci è stato anche un puntiglioso professionista, in grado di frequentare con cinica disponibilità i generi più disparati, un cineasta di rara intelligenza che padroneggiava con sorniona disinvoltura i meccanismi della macchina-cinema. Al prodigioso money maker si dedica in questi giorni un omaggio nell’ambito di Los Angeles-Italia, la rassegna che la città degli angeli intitola al cinema italiano. Quentin Tarantino, che si prepara a girare il remake di Django, sarà il testimonial d’eccezione del regista, soprannominato il “Capriccione”, scomparso nel dicembre del 1990 a poco più di sessant’anni. Si era sempre divertito a fare il cinema. Sin dalla decina di film realizzati nel corso degli anni Cinquanta quando aveva cominciato alternando melodrammi, gialli, co-

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rio, ma vuol dire anche mettersi al servizio di Totò, principe dei comici e re degli incassi, reimparare da lui a stabilire il contatto con il pubblico di massa. Nei sette film che realizza con il grande attore, il regista trova la sua strada, contamina rivisitazione storica e commedia amara (I due marescialli, 1962), sterza verso il patetico (Lo smemorato di Collegno, 1962), tenta il film corale all stars (Il giorno più corto, 1963), ma non smette mai di puntare sulla parodia (Totò, Peppino e... la dolce vita, 1961, Chi si ferma è perduto, 1960, Il monaco di Monza, 1963, Gli onorevoli, 1963). Naturalmente sono parodie spudorate, in cui tutto è lecito purché sia ricondotto sul piano della caricatura assoluta, della pura astrazione comica, che fra stravolgimenti linguistici e sbeffeggiamenti surreali si accanisce distruttivamente nei confronti del modello dissolvendolo dall’interno, rendendo-

In queste pagine: un’immagine di “Django” di Corbucci; uno scatto di Quentin Tarantino; le locandine di “Che c’entriamo noi con la rivoluzione?” e “Django”; Totò e Peppino; Sergio Corbucci con Nino Manfredi e Ugo Tognazzi

Si era sempre divertito a fare il cinema. Sin dalla decina di opere realizzate nel corso degli anni Cinquanta, quando aveva cominciato alternando melodrammi, gialli, comico-musicali, riviste mico-musicali, riviste. Sono gli anni dell’apprendistato nell’ambito del cinema popolare, attraverso i quali si forma l’uomo di mestiere rivela nel forte impatto visivo la predilezione per il cinema americano. Si tratta di un cinema di stereotipi pieno di giovani padri dalla faccia proletaria, ladri travestiti da preti, equivoche fatalone che adescano i pescatori di spugne, tignosi strozzini decisi a impedire il matrimonio, bambine che hanno bisogno di costose operazioni, direttori d’orchestra che restano con le gambe paralizzate, illustri cimici che operano gratis, bestie umane che sparano all’impazzata, scellerati ricattatori che tornano dal passato, giovani disperati pronti a redimersi.

Cosa comporta a questo punto l’incontro con Totò, il primo veramente importante della sua carriera? Significa ricominciare da capo con un tipo di cinema che non si prende sul se-

lo progressivamente irriconoscibile. Si pensa a Totò e Peppino alle prese con le americane di via Veneto: “Voulez vous sedoir? Sedersi, sed up, sed up, sedez, sedez”. “Do you speak english?”.“Un petit pois”.“Escusez moi, please, s’il vous plais, da quante temp, voio, voi due, statte in Italia, cioè qui a Roma, in Romagna, in Romania, va!”. “Ehm, scusi, pleasse, noi vogliamo savoir, ove voi abitat, dov’è la vostra abit, la ches va, la ches, quando uno dice so’ stenche, voglio andare a ches, mi voglio riposere un tentino”. “Ma tu stai parlando barese, allora l’inglese lo parlo anch’io”. O a quando vanno al night club dove scambiano il “Moèt Chandon” con “Mo’ esce Antonio”, il ballo ceek to ceek con un proverbio giapponese e spengono con la tovaglia l’omelette alla fiamma. O a Totò e Macario, “santi monaci” alle prese con un cattivissimo Nino Taranto, alle loro litanie scombinate a base di “Assia Noris ora pro no-

bis, Sophia Loren ora pro nobis, Anna Maria Pierangeli ora pro nobis, Tony Curtis ora pro nobis, Curd Jurgens ora pro nobis, Brigitte Bardot, Bardot, Bri-

gitte Bardot, Bardot, Brigitte Bardot”, allo scontro con i finti frati Adriano Celentano e Don Backy che fanno la questua ballando il twist, a Moira Orfei monaca di Monza che guida le sorelle all’assalto. Nelle risentite imputature di Peppino De Filippo, nelle goffaggini da finto tonto di Erminio Macario, nelle esacerbate pedanterie di Nino Taranto, nelle repliche emunctae naris di Mario Castellani, nei duetti scespiriani di Lia Zoppelli, nei guizzanti soprassalti di voce di Vittorio De Sica, il regista ritrova la chiassosa vitalità della comicità popolare, con i suoi caratteri ribaldi, mentre Totò sta a se, è una presenza assurda, rappresenta l’imponderabile, il grottesco, l’inverosimile che sfida le certezze correnti.

L’incontro con il western rappresenta il momento forte dell’avventura cinematografica di Sergio Corbucci, quella in cui meglio si realizza l’idea del cinema come grande gioco di simulazione, spazio illusionistico del trompe l’oeil. Il cow-boy quasi cieco di Minnesota Clay (1956), che combatte l’ultima partita senza vedere l’avversario e spara ai rumori, mette in scena qualcosa di impossibile che diventa possibile grazie al cinema, il suo duello è in realtà un duello con il pubblico della sala buia. Il regista western gioca a far finta allo stesso modo di chi gioca a guardie e ladri, ai soldati, ai cow-boys, abbandonandosi alla finzione del come se. Se il segreto del western classico è l’iperbole, tanto più avvincente quanto più riesce a sembrare credibile, il contrassegno del nuovo western

all’italiana è l’iperbole di secondo grado, tanto più efficace quanto più vistosamente incredibile, esagerata, stravolta. Sin dalla prima, indimenticabile sequenza di Django (1966), il cavaliere nero che incede nel fango e nella pioggia trascinando una cassa da morto scandisce una nuova topografia dell’epos che si sbarazza della storia e si esalta nella visualità delirante, artificiosa a tutto volume, del paesaggio. Spiazzante rivisitazione della narrativa d’avventura in chiave postmoderna, suggerisce un’immagine dell’eroe che non è più in grado di modificare il mondo e di agire su di lui. Superando le prove, eliminando i nemici, lascia ogni cosa al suo posto, non muta l’assetto sociale e non pretende neppure di farlo. Scomparsa la mitologia della frontiera, siamo in una gelida no mans land, un periglioso fuori storia in cui i macabri fantasmi dei gotico rinnovano gli artifici barocchi della vicenda, moltiplicando gli eventi eccezionali, inattesi, straordinari, e la sottolineatura sanguinaria e perversa. Il film all’epoca ha un enorme successo in tutto il mondo. Quando qualche anno dopo Pier Paolo Pasolini va in Uganda per i sopralluoghi della sua Orestiade africana, non appena scoprono che è italiano per le strade tutti lo chiamano a gran voce “Django! Django!”. Il grande silenzio (1969) ricompone la liturgia visiva del nuovo western accentuando l’iconografia barbarica, estrema, di esplicita ascendenza giapponese, insieme primitiva e sofisticata. Quando infagottati nei loro cappottoni tra corazza e haute couture, i cacciatori di taglie


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e di cronach

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica) Direttore da Washington Michael Novak Consulente editoriale Francesco D’Onofrio Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Il primo incontro importante fu con Totò. Nei 7 film che realizza con il grande attore, il regista trova la sua strada, contamina rivisitazione storica e commedia amara senza abbandonare la parodia

trascinano nella neve i corpi dei morti ammazzati, sembra di ritrovare il fascino del bianco e nero con i suoi crudi contrasti, le sue cupe atmosfere. Nel paesaggio raggelato, in cui agisce una forza oscura, irragionevole, ostile, il mito solare rivela il suo cuore di ghiaccio, la trama di sopraffazione e di meschinità, di tornaconto e di accumulazione. Si avvertono i funebri rintocchi della fine, il tramonto del vecchio West con le sue illusioni, ma anche la morte per overdose di un genere che rischiava di dilapidare le sue risorse. Lo scenario è quello impietoso dell’allucinazione. Jean-Louis Trintignant è la vit-

tima destinata a soccombere. Klaus Kinski è il carnefice che, tronfio nella sua pelliccia da donna, continua a sparare freddure come se la Justine sadiana fosse andata a scuola dal maggiordomo di Wodehouse.

Il mercenario (1969) - primo capitolo della trilogia messicana che prosegue con Gli specialisti (1969) e Vamos a matar compañeros (1970) - preme sul pedale del grottesco, enfatizzando la propensione per il gioco. L’artificio è esaltato dal doppiaggese, il gergo del western indigeno, in cui la normalizzazione linguistica delle sale di doppiaggio è attraversata dagli

acri sapori della causticità romana. Il gioco si fa più scoperto, il divertimento totalmente a briglia sciolta in Che cosa c’entriamo noi con la rivoluzione? (1972), che fa irrompere nello scenario già compromesso del western messicano due attorimaschere della commedia italiana, con tutto il repertorio di biechi istrionismi e di sordide vigliaccate. Sin dall’inizio quando Gassman intona O sole mio e dice “Sono italiano”, o quando Villaggio si mette a parlare coi cavalli, o quando tutti e due dicono “Noi siamo alieni”, sembra di essere in uno sgangherato film di Totò e Peppino. Non c’entrano niente con la rivoluzione, sfruttano fino in fondo il lasciapassare dovuto ai buffoni, attraverso cui si scatena il riso parodico e si ottiene un derisorio effetto di smascheramento. Come due figure di una strip comica a puntate, rimbalzano da una parte all’altra, passano indenni attraverso un susseguirsi di disgrazie e di massacri, sprigionando la vitalità esilarante delle grandi occasioni comiche. Il dopo-western comincia con la tentazione di continuare a fare il western ritrovandolo nell’ambientazione romana d’antan, tra i buffi dal coltello facile e dal carattere ombroso. E il caso di Er più - Storia d’amore e di coltello (1971), con Celentano “Er più”di Borgo e Arena “Er più”di San Giovanni, con gli scontri tra macellai e pescivendoli in mezzo agli antichi ruderi, tremende selciate in cui ci si chiede se si deve stare alle regole soltanto per correre a infrangerle. Anche Il bestione (1974) è girato come un western non solo perché è l’avventura di due uomini in giro per l’Europa in sella ai loro camion, ma perché il taglio delle immagini, il gioco dei campi e dei controcampi, carrelli indietro e zoomate in avanti, la strategia visiva è quella maturata nell’esperienza precedente. Il linguaggio forte, scandito, preciso dell’epica picaresca è metabolizzato in un racconto on the road dagli umori sanguigni e dai robusti appetiti. Il tempo della commedia, che viene subito dopo, è ancora una volta per il regista tempo di grandi successi com-

merciali che proseguiranno tra alti e bassi anche negli anni Ottanta, in cui si moltiplicano i tentativi di rinnovare le formule dell’evasione ripescando i telefoni bianchi, la sofisticata americana, la satira di costume, il film a episodi. Ma i risultati maggiori si ritrovano forse nella commedia gialla, più vicina all’hard-boiled americano che al whodunit inglese. La mazzetta (1978) - in cui il commissario Tognazzi incalza l’avvocaticchio Manfredi alle prese con la corruzione, gli intrallazzi, la camorra - è un mystery partenopeo che si anima tra i vicoli, gli umori e i rumori di Napoli e si allarga alla fine ai chiassosi interrogativi della piazza, affidando a una sorta di pubblica rappresentazione lo svelamento dell’enigma.

Giallo napoletano (1979) prosegue con disinibita inventiva per la stessa strada rendendo esplicitamente omaggio sin dai titoli di testa a Alfred Hitchcock e a Totò, decisamente due padrini d’eccezione, due presenze sornione e beneauguranti. Quanto agli interpreti, i duetti tra Marcello Mastroianni e Peppino de Filippo sono tutti da vedere. Mastroianni è aggrondato, umbratile, gioca di rimessa. De Filippo acrimonioso e recriminante come nelle grandi occasioni. Irresistibili. Nei decenni successivi il cinema di intrattenimento continua a cambiare i cavalli, ma dinanzi all’invadenza della televisione, che accelera la carnevalizzazione dello spettacolo, c’è aria di crisi, il gioco mostra la corda. Fare il cinema industriale in un Paese in cui non c’è una vera e propria industria è sempre più difficile. Soprattutto per un regista campione d’incassi che non può permettersi l’insuccesso. Saranno i palinsesti televisivi di ieri e di oggi, dove i suoi film rappresentano un appuntamento sistematicamente ricorrente, a dare a Sergio quello che è di Sergio, illuminando con la luce lattiginosa del piccolo schermo la singolare figura del regista che sul set si divertiva troppo per sottostare alla seriosa dittatura del cinema impegnato da cui si sentiva del tutto lontano.

Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Osvaldo Baldacci, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Giuliano Cazzola, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Anselma Dell’Olio, Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Gennaro Malgieri, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Antonio Picasso, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Emilio Spedicato, Maurizio Stefanini, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Consiglio d’amministrazione Vincenzo Inverso (presidente) Raffaele Izzo, Letizia Selli (consiglieri) Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato, Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza

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ULTIMAPAGINA Diversi comuni del Belpaese hanno ancora in vigore leggi risalenti agli anni ’20: «Vietato usare la fionda»

Bocce o neve, l’Italia dei divieti

di Angela Rossi girare sul web e buttare un occhio qua e là, se ne trovano di notizie curiose ed anacronistiche. Specie nel campo dei divieti. Guardate un po’ queste chicche scoperte dal Giornale di Vicenza. Cominciamo dalle palle di neve, divertimento per grandi e piccoli che ha resistito allo scorrere del tempo ed è rimasto un gioco che ha conservato in tatto il suo fascino. Ma giocarci, o meglio tirarle, potrebbe costare fino a cinquecento euro di multa. La cifra è stata convertita in moneta corrente ma in realtà il regolamento che prevede la sanzione risale nientedimeno che agli anni Trenta. Norme i cui effetti però sono ancora attuali perché mai abrogate. Ma i divieti non si fermano certo alle palle di neve. È fatto divieto anche di giocare nelle strade con la fionda, che ormai non esiste più, e lo stesso dicasi per il gioco della trottola. Quante di noi la ricordano? Un innocuo passatempo che però catturava lo sguardo e l’attenzione delle bambine di altri tempi, ma nemmeno tanto tempo fa, ai cui occhi quel giocattolo che girava velocissimo e confondeva le figure stampate sul cono, rappresentava un divertimento ineguagliabile. Sul fronte dei maschietti invece, quanti qualche decennio fa hanno cercato e lavorato il pezzo di legno adatto sul quale montare un elastico resistente e divertirsi con i compagni? La mitica fionda, oggetto che ormai si trova solo nei ricordi.

A

Come le figurine Panini ed il loro scambio. Proseguiamo il viaggio trai divieti vari e scopriamo che, i bagnanti per poter fare un tuffo nei luoghi indicati comunque dalle autorità comunali, avranno bisogno di un costume di misure precise. E nel regolamento di polizia comunale di Valdagno, ad esempio, è vietato anche giocare a bocce nelle piazze. E chi decide di giocarci, in barba al divieto?

ASSURDI «Una multa – ha dichiarato al Giornale di Vicenza il vicecomandante del Consorzio di polizia locale “Valle Agno”, Sergio Polli - che va da 50 a 500 euro. Perché ad essere aggiornate sono solo le sanzioni. Quindi potremmo multare i barbieri che lavorano per strada o i lustrascarpe. Ma anche chi, con capannelli di persone, si ferma a chiacchierare sul marciapiede». Guardate invece cosa accade a Castelgomberto. Alcune norme sono state abrogate ma dove questo non è accaduto le leggi risalgono all’epoca del podestà. Quindi per quanto riguarda

Le multe, rivalutate con il tempo, possono arrivare a 500 euro. E i comandi di polizia municipale ammettono: «Un serio problema, da risolvere subito» le norme sull’igiene esso prevede che «ogni casa di abitazione dovrà essere fornita di focolare»; e che «dopo il tramonto non può rimanere aperto più di un accesso ad ogni casa». Ma i regolamenti non dimenticano di imporre articoli che riguardano anche l’estetica. Infatti «macellai, i salumieri e i beccai che non possono circolare in pubblico con vestiti intrisi di sangue e dovendo portare in giro i ferri del loro mestiere devono tenerli avvolti in tela» o «i bambini e le persone deficienti devono essere accompagnate per la pubblica via, né possono essere portate in giro sconvenientemente vestite». «Quello di avere atti vetusti è un problema – aggiunge Sergio Polli - di molti comuni italiani. Se non si è provveduto con una nor-

mativa successiva che ha sostituito la precedente, gli agenti potrebbero procedere rilevando la contravvenzione. Risulta necessario procedere ad un sistematico riordino - conclude ed è l’obiettivo che si è prefissato il Consorzio, per avere un’unica impronta in tutti i Comuni di valle». Dal regolamento alla cultura, nel campo del “non si può”, il passo però è breve anche in tempi recentissimi.Trieste è un esempio illuminante tanto che, qualche anno fa, lo stesso sindaco di allora ebbe a dire: «Basta con questa cultura del no se pol. A Gorizia nascono comitati contro ogni cosa: contro lo skatepark, contro l’isola pedonale, contro i bar, persino contro la sagra di Sant’Anna. Ma dove pensiamo di andare in questa maniera, opponendoci a tutto?».

Nel frattempo infatti erano nati tanti comitati contro qualcosa: da quello “Salute e Ambiente” contro le antenne di telefonia mobile o quello degli operatori economici contro il nuovo Piano traffico cittadino. Oppure quello contro l’inquinamento transfrontaliero o i gruppi che si oppongono agli schiamazzi notturni. Alcuni addirittura raccolsero 700 firme raccolte contro i gazebo dei bar. Certo nessun confronto con il regolamento che ancora vige a Valdagno e che veramente conserva divieti fuori da ogni realtà. Occorre porvi evidentemente mano ed aggiornarlo urgentemente cancellando norme ed articoli che molto senso non hanno più. A chi, oggi, verrebbe infatti in mente di andare per i boschi a trovare un ramo a forcina, poi segarlo, piallarlo e montarvi sopra un elastico di quelli spessi e poi invitare un amico a colpire una serie di lattine con quella che è diventata una fionda?


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