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ISSN 1827-8817

20211

mobydick ALL’INTERNO L’INSERTO DI ARTI E CULTURA

he di cronac

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 11 FEBBRAIO 2012

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il fenomeno di un premier che sta facendo tornare l’Italia protagonista nel mondo

Ora è davvero SuperMario È iniziato lo sciopero generale Dalla Casa Bianca Ha conquistato Ma i partiti Nuova guerriglia a Wall Street l’America non lo temano: ad Atene. e all’Onu: ma non ancora sfruttino Merkel: «Il default tutta l’Italia il suo successo è stato davvero un tour trionfale. sarebbe devastante» L’Unione continua ad alzare la posta Gli Stati Uniti N B per un accordo sul debito: «Deve scendere al 120% del Pil». hanno scelto Nella capitale greca manifestazioni lui per «salvare ma anche atti di vandalismo. Quattro ministri lasciano il governo l’Europa» di Papademos: «Tagli insostenibili» QUELLI CHE FRENANO

VERSO LE RIFORME

di Riccardo Paradisi

di Osvaldo Baldacci

on c’è dubbio che l’azione di Mario Monti sullo scenario europeo e americano abbia riscosso un successo straordinario. Dopo il credito acquisito in Europa ora sono gli Usa a dedicargli parole di elogio. Sembra quasi un processo di santificazione mediatica e politica che in Italia produce un effetto straniante.

ros sta per brothers. Uno dei videogiochi più famoso di tutti i tempi sta dando il soprannome a una gloria nazionale: il vero SuperMario ce l’abbiamo noi. Ma SuperMario non è da solo nel videogame. Ha un fratello, appunto, Luigi, e molti altri amici contro cui gareggia nelle prove più assurde, ma con i quali spesso collabora.

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Antonio Picasso • pagina 3

Enrico Singer • pagina 6

Neve, vittime e disagi al Centro

L’allarme del cardinale Zen

Mezza Italia muore di freddo

Attenti, Pechino vuole lo scisma

di Gualtiero Lami

di Joseph Zen Ze-kiun

on è stata la tempesta annunciata, ma la neve ha creato molti disagi soprattutto sulle autostrade in tutto il Paese. Abruzzo, Marche, Molise e Basilicata sono state le regioni più colpite dalla neve caduta ieri. A Roma una senzatetto è stata trovata morta.

l Governo di Pechino non ha cambiato uno iota nella sua politica religiosa di oppressione; vuole avere assoluto controllo delle religioni e, nel caso della Chiesa Cattolica, vuole staccare in modo radicale la Chiesa in Cina dall’obbedienza alla Santa Sede.

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EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

• ANNO XVII •

NUMERO

I

29 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


il mondo, la crisi

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Eroe negli Usa. Ma non in tutta l’Italia La stampa estera lo chiama salvatore dell’Euro. Da noi c’è chi continua a frenare di Riccardo Paradisi on c’è nessun dubbio che l’azione di Mario Monti sullo scenario europeo e americano abbia riscosso un successo straordinario. Dopo il credito acquisito europei ora sono gli Stati Uniti – dal presidente Usa Obama al Time – a dedicargli parole di elogio. Sembra quasi un processo di santificazione mediatica e politica che in Italia produce un effetto quasi straniante considerata l’abitudine di questo Paese a una bassa considerazione internazionale.

N

Certo, come è stato rilevato da più di un commentatore c’è in questa beatificazione americana di Mario Monti anche un interesse strategico molto concreto. Gli Stati uniti temono infatti che una retrocessione italiana e più in generale europea porti il continente a un default generale sul modello greco, uno scenario che produrrebbe conse-

guenze catastrofiche anche sugli Stati Uniti come in un colpo di ritorno della crisi del 2008. Ma d’altro canto c’è anche il reale riconoscimento delle competenze e dell’esperienza del premier italiano al quale gli americani affidano le speranze di una riforma della governance europea rispetto al rigorismo senza crescita e senza ammortizzatori di marca tedesca. Una linea che ora rischia di innescare una generale recessione. Ma se all’estero è appunto in corso d’opera l’edificazione di un’apologetica montiana – sta facendo cose straordinarie ha detto Obama, il potenziale salvatore d’Europa lo definisce Time - in Italia le resistenze, le diffidenze quando non addirittura le opposizioni frontali alla politica del Premier, sono forti e consistenti. A parte la lega di Bossi che nella polemica contro Monti e il ”collaborazionismo” di Berlusconi punta sull’elettorato scontento

del Pdl e a parte la polemica quotidiana dell’Idv, che agisce nel centrosinistra in maniera speculare alla Lega, anche nei partiti che appoggiano Monti sono presenti sacche di tenace e malcelato scontento.

È vero si registra in queste ore la conversione di alcuni falchi antimontiani: da Daniela Santanché all’ex An Altero Matteoli. Ma un conto sono le versioni ufficiali un conto è il sentire più diretto. Espresso ad esempio dai quotidiani d’area Pdl come Libero, il Giornale e il matteoliano Secolo d’Italia. Se infatti Belpietro dalle colonne di Libero chiede al Cavaliere di silurare il governo delle tasse e mandare a casa Monti il Giornale alterna le aperture di Feltri con gli affondi di Sallusti che appena ieri - per dire - accusava Monti di voler ortopedizzare l’anima degli italiani. E così Il Secolo d’Italia che ieri

prendeva per i fondelli il premier chiamandolo ”Il salvatore del mondo”, anche se poi nell’editoriale si aggiungeva del “mondo economico”. Per non parlare del centrosinistra. Dove il Pd appoggia il governo ma senza lasciare che giorno passi senza avvertimenti riguardo i confini da tenere su riforma del lavoro e welfare. D’altra parte chi ha ascoltato il comizio - old style - dei leader delle principali sigle sindacali giovedì a Roma ha sentito nei confronti di Monti critiche durissime. Bonanni, Angeletti e Camusso hanno accusato il governo di non saper dove guidare il paese, di non difenderlo dalle pressioni internazionali, di far pagare ai soliti noti il peso della crisi con liberalizzazioni selettive tese a salvare banche e poteri forti. Le stesse critiche che ribollono nella pancia del paese. Questo per dire che nemmeno a Monti riesce di essere profeta in patria.

Le ragioni del successo della visita alla Casa Bianca nelle opinioni di Sergio Romano, Stefano Silvestri e Giacomo Vaciago

Monti, l’anti-Merkel

L’entusiasmo e l’appoggio di Obama al nostro premier si inseriscono nella strategia internazionale di Washington. Verso la rielezione di Francesco Lo Dico

ROMA. «L’uomo più importante d’Europa», «quello che ha nelle mani il destino dell’economia mondiale», e addirittura «un nonno dalla voce dolce e gli occhi sorridenti». A scorrere i giudizi dedicati dalla stampa americana alla tournée a stelle e strisce di Mario Monti, sembra di assistere al battage di un kolossal hollywoodiano. Ma lo scrosciare degli applausi è di solito in America proporzionato al numero di dollari che ci si attende di mettere in tasca. E se anche il presidente Obama pronuncia il nome di Mario con toni suadenti – nell’amabile cornice della Casa Bianca rischiarata da un caminetto – è chiaro che siamo in presenza di un endorsement collettivo senza precedenti. «Monti è l’uomo di Washington. Gli Usa gli attribuiscono poteri taumaturgici perché confidano che possa essere l’uomo giusto per restituire serenità all’Europa, contrastare il rigorismo della Merkel, e quindi dare ossige-

no anche all’economia americana», spiega a liberal il presidente dell’Istituto affari internazionali, Stefano Silvestri. «Obama ha bisogno che il Vecchio continente torni a essere pacificato e si metta alle spalle la crisi. E adesso che è rinfrancato dall’uscita di scena di Berlusconi, il presidente americano sa che l’Italia è tornata a contare, e può sedere al tavolo di Francia e Germania con ben altra autorevolezza», commenta Silvestri. E le molte fanfare risuonate all’arrivo di Monti a Washington, devono avere avuto inoltre una certo eco anche sulla televisione di casa Merkel. «Gli Stati Uniti», concorda il presidente dell’Iai, «contano di recapitare attraverso Monti un messaggio alla Merkel. Da mesi gli Usa non nascondono la loro impazienza.Vogliono che si torni a parlare di crescita, e il pro-

fessore è il giusto alleato per tentare di imprimere una svolta alla crisi».

Ma nel nuovo caminetto italo-americano, covano per Sergio Romano anche i segnali di un mutamento di prospettiva. «Gli Usa si sono resi conto del rischio del collasso della zona euro soltanto da poco tempo», osserva l’editorialista del Corriere della Sera. «E ora che Barack Obama si ritrova in piena campagna elettorale ha l’enorme bisogno che l’Europa si rimetta in moto affinché gli Stati Uniti ritrovino smalto sui mercati. Perché un presidente americano sia riconfermato, è strettamente necessario che i conti pubblici siano in salute». Come spiegare quindi l’assalto ai titoli sovrani, di cui i fondi di investimento americani sono stati protagonisti indiscussi? «Fino a un certo momento»,

risponde l’ex ambasciatore, «gli Stati Uniti hanno percepito i problemi di Eurolandia come frutto di singole condotte pericolose ininfluenti nel contesto generale del Vecchio continente. L’Irlanda, la Spagna e il Portogallo sono state viste come occasioni di guadagno, come l’opportunità di sfruttare le debolezze di singoli Stati. Da quando invece hanno capito che la crisi dell’euro ha una dimensione collettiva, potenzialmente catastrofica anche per l’economia americana, l’atteggiamento è mutato. Sottratta l’Italia dal bersaglio degli speculatori, il prossimo obiettivo sarebbe stata la Francia. E a quel punto il gioco si sarebbe fatto troppo pericoloso, anche per chi è abituato a certi azzardi». E Monti è quindi diventato una sorta di cinghia di trasmissione di questa “fase due”. «Il nostro premier», con-

ferma Romano, «si è presentato a Washington dopo aver fatto cose notevoli, con uno stile sobrio e rigoroso che ha fatto dimenticare il predecessore e forte di un ampio consenso parlamentare. E l’accoglienza trionfale è speculare ai violenti attacchi rivolti per anni a Berlusconi. È una regola della politica internazionale, in fondo. Prima si rampogna duramente il Paese reprobo, e poi, se si rimette in riga lo si elogia con la massima enfasi. Dalla retorica del negativo si è passati alla retorica del positivo». E Monti può tornare in Europa, forte di tanti panegirici. «Il professore non esce davvero rafforzato dall’incontro con Obama», annota Sergio Romano, «ma questi entusiasmi avranno molta presa sui mercati perché – ormai lo sappiamo bene – gli investitori sono molto emotivi e usi a investire a seconda dei venti».


La capitale finanziaria e l’Onu accolgono il premier

L’europeo che sa parlare anche a Wall Street Nancy Pelosi: «È l’uomo giusto per superare la crisi». Fortificata la fiducia del Belpaese sui mercati mondiali di Antonio Picasso a ragione il New York Times: «La faccia fa la differenza». Sul breve periodo non si ricorda una visita di un premier italiano in Usa così positivamente echeggiata come quella di Monti in questi giorni. La linea di analisi è unanime. Berlusconi non ha mai ricevuto un apprezzamento così spontaneo dall’amministrazione Obama. E forse nemmeno altri leader europei. I vertici dell’epoca Bush non sono neanche menzionati. L’orgoglio italiano ci guadagna. Ma anche la nostra economia. Il che è ancora più importante. La finanza infatti è ipersensibile a comportamenti di facciata. Soprattutto se sono poi sostenuti da un qualcosa di concreto. A riceverne beneficio è un po’ tutta l’Unione europea. Il presidente del consiglio è sbarcato a Washington già incensato dal Time che lo salutava come il possibile traghettatore dell’economia comunitaria verso acque più tranquille. Non è poco, visto che solo tre mesi fa lo stesso magazine indicava l’Italia come un pericolo per la stabilità dell’Ue.

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E l’economista Giacomo Vaciago, ragiona sui possibili scenari di questa nuova santa alleanza tra Washington e Roma. «Si tratta soprattutto di un importante evento mediatico», avverte il professore, «che non cancella d’incanto i nostri problemi. È la prima volta che un presidente del Consiglio italiano entra alla Casa Bianca, e la cosa non è certo secondaria. Ma l’incontro a due non ha determinato nessuna agenda e va letto piuttosto come un messaggio alla Merkel. La Germania non è più filoamericana da tempo, e Monti può essere per Obama un ottimo interlocutore, nel tentativo di riequilibrare la governance europea in senso più collegiale». Come dice Time, è Monti che salverà l’Europa? «Se lo farà non sarà da solo, ma in collaborazione con l’altro Mario che sta alla Bce. Sia Monti che

Obama sono d’accordo su un concetto: salvare l’Italia significa salvare l’Europa, ma anche viceversa». Perché questo improvviso cambio di strategia? Giacomo Vaciago lo spiega in pochi punti. «Pian piano Washington ha capito che la crisi della Spagna significava collasso dell’euro e quindi problemi per il dollaro e quindi di nuovo recessione in America. E oggi non è un caso che lo spread sia tornato sotto il livello di guardia. Lo spread significa Stati Uniti, e se il nostro è calato ciò vuol dire che Oltreoceano non ci vedono più come il problema ma come la soluzione. Da ieri il benessere del dollaro dipende anche da noi, ma in positivo. Una bella coincidenza d’interessi, in effetti. Perché ora gli interessi della finanza Usa coincidono con i nostri, e quindi con quelli dell’Europa che conta».

L’inversione di tendenza non si limita alle copertine e ai titoli osannanti. Fanno piacere al Paese, questo sì. A Monti come persona non si sa. Quel sorriso pacato che sfoggia a Roma e all’estero non è chiaro se sia di circostanza oppure di flemmatica soddisfazione. All’italiano ricostituito nell’amor patrio piace pensare che il nostro premier sia l’esempio di un società civile competente. Ed è infatti per l’autorevolezza della persona che Monti è stato ricevuto in guanti bianchi da Obama. Così come viene ascoltato in sede europea. Anche da quei Merkel e Sakozy così sprezzanti nella loro diffidenza verso le possibilità che l’Italia possa ripartire. Bene, con Monti non solo sembra che questo sia possibile. Ma pare che le sue idee e analisi meritino di essere ascoltate e seguite pure all’estero. Di fronte a quel caminetto alla Casa bianca, si è seduto un leader italiano esperto delle crisi economiche e propositivo nelle idee di risoluzione. Le sue argomentazioni sono state ascoltate al Peterson Institute. I raffinati analisti di Washington sanno che sul loro pulpito la predica montiana avrebbe fatto un certo effetto. Si è trattato di una cascata di complimenti e pacche sulle spalle. «Il presidente Monti è un economista molto rispettato che ha tutte le carte in regola per gestire le sfide», ha detto Nancy Pelosi, leader dei democratici alla Camera. «Sia nel garantire stabilità e crescita dell’economia globale, sia nel perseguire e sconfiggere le reti terroristiche, o nel rispondere al riscaldamento globale, Italia e Stati Uniti sono alleati ed amici». Ieri mattina l’ambasciatore Usa a Roma, David Thorne, ha postato su Twitter: «La fiducia espressa dal Presidente Obama per l’Italia

rafforza le nostre relazioni bilaterali». Bene, tutto questo è ottimismo. Il problema è che se si andasse avanti così, si rischierebbe di esserne nauseati. Soprattutto perché i problemi strutturali dell’economia italiana si stanno affrontando tra mille difficoltà. Troppa grazia dagli Usa quindi? Forse no. C’è del sano realismo sia tra chi scrive in America, sia tra i nostri governanti. Il New York Times infatti riconosce che il debito pubblico italiano è uno scoglio ancora da affrontare. Importanti sono anche le riforme anticipate e adesso attese. Monti dal canto suo l’ha detto: salvare il Paese si può, ma non in 24 ore. Anche perché chi sta peggio di noi non si è arrestato nella parabola discendente.Vedi la Grecia. Tuttavia alla finanza globale importa l’ottimismo. I numeri delle piazze affari danno il segno positivo se i leader politici si presentano con un volto fresco e sorridente. Wall street in tal senso lo conferma. Ieri Monti si è affacciato alla borsa di New York forte del successo avuto a Washington. Le reazioni non potevano essere che positive. Tutto questo sarà da tradurre in termini di occupazione e crescita industriale. Ma anche qui non mancano le buone idee. Lo stesso è successo per la politica estera. Quella più geopolitica, che non semplicemente economica. Sia alla Casa Bianca quanto all’Onu, la posizione dell’Italia appare come una carta da non sottovalutare. E il discorso non è relativo solo alle basi Nato. Di queste si è parlato. Ma guai a chi le tocca! La continuità dell’alleanza non può essere incrinata da sterili localismi. Anzi, in questo senso siamo a un’evoluzione epocale. Washington ha sottolineato il nostro ruolo di leadership in Afghanistan. Finalmente! Dopo tanti anni di impegno in sicurezza e ricostruzione, le Forze armate e la cooperazione italiane ricevono un esplicito encomio.

L’ambasciatore David Thorne ha postato su Twitter: «La fiducia espressa dal Presidente rafforza le nostre relazioni bilaterali»

Quello che interessa davvero alla diplomazia d’oltre oceano – inclusa quella del Palazzo di Vetro – è se e come l’Italia possa avere un ruolo propositivo in Medioriente. Una terza o addirittura una quarta via. Obama non vuole ascoltare gli interventismi frettolosi in Siria promossi da Cameron. Teme che Londra possa prendere un abbaglio, come ha fatto Sarkozy in Libia. D’altra parte, dall’indolenza all’ignavia il passo è breve. Ed è uno spazio sufficiente perché i russi vi possano mettere le radici. Ecco perché l’Italia è ascoltata. Lo sarebbe anche la Turchia, ma si è esposta già troppo. Anche qui però il nostro successo è della classe dirigente. Monti, Terzi e Di Paola hanno realizzato una troika competente che deve essere interrogata. Sono i rispettivi mestieri precedenti di questi tre ministri a fare del nostro Paese un interlocutore irrinunciabile. Da copertina del Time appunto.


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il mondo, la crisi

Anche il celebre videogioco «Supermario» suggerisce che non si vince da soli ma con il contributo degli «amici»

Orgoglio, non invidia

I partiti non devono temere il successo internazionale di Mario Monti (né quello gemello di Draghi): piuttosto, devono sfruttarlo per tornare protagonisti. La riforma elettorale e quella istituzionale sono i veri banchi di prova di Osvaldo Baldacci ros sta per brothers. Uno dei videogiochi più famoso di tutti i tempi sta dando il soprannome a una gloria nazionale: il vero SuperMario ce l’abbiamo noi. Ma SuperMario non è da solo sullo schermo. Ha un fratello, appunto, Luigi, e molti altri amici contro cui gareggia nelle prove più assurde, ma con i quali spesso collabora anche per superare le sfide più difficili. Anche il fratello di Supermario ce l’abbiamo noi in questo momento, e non potremmo pensare a una squadra più forte: non è un SuperLuigi, ma un vero e proprio altro SuperMario. Ovviamente stiamo parlando di Mario Monti e Mario Draghi, e non lo diciamo noi per vezzo o vanto. Ormai SuperMario (Monti) è tale per tutta l’Europa e tutto il mondo.

B

Il riconoscimento è unanime, al di qua e al di là dell’Atlantico. Time gli ha dedicato

la copertina, Obama lo ha elogiato come colui che può salvare l’Europa, è stato accolto da trionfatore a Wall Street e all’Onu, i suoi successi sono esaltati dagli altri leader europei, e persino nell’ostica Gran Bretagna. In questi stessi giorni sono altrettanto unanimi gli elogi per l’azione dei primi cento giorni di Mario Draghi alla Banca Centrale Europea. Con dei leader così, con un carisma fondato sui fatti, l’Italia può stare tranquilla. O quasi. Il consolato Mario-Mario in realtà è appena all’inizio, ma sta già dando i suoi frutti, e sono frutti pesanti: quello che sta cercando di imporre infatti è un cambio di mentalità e di conseguenza un cambio di marcia. Gli effetti concreti sono ancora tutti da vedere e verificare, sia negli aspetti pratici sia nella capacità di durare nel nuovo modello di essere italiani. Per ora è que-

stione di direzione, di imprinting che è stato dato. Ed è qualcosa di molto importante. Anche perché stiamo parlando di politica e soprattutto di mercati, e sappiamo bene come nel mondo di oggi queste realtà siano potentemente influenzate dalla percezione, forse più ancora che dai fatti. Se la percezione che i SuperMario riescono a trasmettere

Come ha detto Casini, «questo esecutivo è davvero un vanto da rivendicare»

è di serietà, capacità, efficienza, efficacia, beh, tutto questo ha già di per sé dei risvolti concreti, positivi. Però, come insegna il videogioco, da soli non si combina nulla.

L ’ u o m o s o l o al comando può valere nello sport, ma anche nel ciclismo esistono i gregari senza i quali non si fa nulla. Nell’antica Roma esisteva il dittatore, che gli stessi cittadini evocavano nei momenti di maggior crisi, o vero terrore, per salvare il bene supremo dello Stato e della stessa vita dei cittadini. Il dittatore aveva potere assoluto, anche sui consoli, anche di vita e di morte. Ma durava in carica sei mesi al massimo: anzi, a missione compiuta deponeva il grado e tornava al suo campo (Cincinnato docet). Di tutti questi begli esempi di videogiochi e di storia ben noti ai bambini, a volte paiono dimentichi i

grandi. E così c’è il rischio che i meriti e i riconoscimenti collezionati dai nostri SuperMario, e nello specifico dal premier Monti in particolare, vengano trasformati in un’illusione salvifica che scarica ogni responsabilità su chi sta ben lavorando, lasciando però priva di responsabilità il resto della classe dirigente. Non è così che funziona. Se Mario Monti e il suo governo sono la squadra della provvidenza, cioè coloro che al momento giusto sono potuti intervenire per salvare le cose, il mito dell’uomo della provvidenza inteso come uomo forte che ci pensa tutto lui, beh, quello è appunto un mito.

Non voglio neanche ritirare in ballo gli ovvi pericolo democratici insiti in questa costante tentazione italiana. Quello che qui oggi voglio sottolineare è che la cosa non


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La strategia di Berlusconi è chiara: intestarsi gli eventuali successi del governo Monti

Ma io vedo troppo ottimismo: questa volta è vietato illudersi

Dicono che tra Pdl e Pd ci sia già un accordo: come si fa a pensare che gli stessi attori del bipolarismo da guerra possano anche abbatterlo? di Enrico Cisnetto alma. C’è in giro un malriposto ottimismo circa il fatto che i partiti, e in particolare Pdl e Pd, stiano trovando o addirittura abbiano già trovato un accordo per fare una nuova legge elettorale. Berlusconi che fa il conciliativo e nega di volersi ricandidare per palazzo Chigi, la Santanchè che s’intesta il governo Monti, Bersani che predica la necessità di addolcire gli eccessi del maggioritario, i bipolaristi di un tempo che sembrano diventati agnellini votati alle virtù del confronto e del dialogo: insomma, tutto farebbe immaginare che i protagonisti della Seconda Repubblica abbiano finalmente capito che occorre voltar pagina, e per non essere spazzati via dalla discontinuità prodotta dal governo Monti intendono produrne una loro cambiando la legge elettorale come premessa per dare il via ad un nuovo sistema politico. Io, invece, dico: calma.

C

Non si tratta di essere scettici a tutti i costi, e d’altra parte nessuno più del sottoscritto ha militanza più lunga nel “partito” della Terza Repubblica e dunque spera che tutto questo sia vero. Ma occorre essere realisti, e tenere bene a mente che coloro che oggi trattano il cosiddetto “ritorno al proporzionale” – che poi la definizione è sbagliata, perché nessuno pensa ad una modalità di voto come quella della Prima Repubblica, ma semmai a quella praticata con successo da decenni in Germania – sono gli stessi che fino a ieri hanno incarnato e difeso il bipolarismo armato e che a suo tempo hanno votato la legge “porcata” contenente il premio di maggioranza. Stefano Folli ha giustamente evocato il ricordo della bicamerale presieduta da D’Alema del 199798, quando le intese per il cambiamento della Costituzione già raggiunte furono stracciate da Berlusconi perché il maturare di altre convenienze lo indusse a far saltare il tavolo. Sono d’accordo: oggi al Cavaliere conviene intestarsi il merito di aver fatto nascere il governo Monti che ci sta sistemando molti problemi e apparire così, specie agli occhi di Napolitano, come uomo responsabile capace di mediazione; ma domani lo scenario potrebbe essere cambiato e risultare più utile fare diversamente. Dunque, attenzione agli effetti ottici: non si scambi la ragionevolezza di oggi con la firma di un accordo domani. Anzi, escluderei che prima delle prossime amministrative di fine maggio succeda alcunché di sostanziale. Perché se è vero che ora i sondaggi sono più negativi per il Pdl che per il Pd, è altrettanto vero che il test sarà ben più importante se darà la misura del distacco dei cittadini dalla politica, sia attraverso le astensioni sia con il premio a liste civiche e soggetti nuovi.

interna si profila, come nel caso del Pd, subito s’intravede il pericolo di spaccature e scissioni.

Anche ai tempi della Bicamerale, alla fine prevalsero gli interessi di parte e il nuovo disegno dello Stato fu abbandonato Per questo non vale la pena, in questa fase, di correre dietro alle ipotesi uscite da dialoghi fino a ieri impensabili (come quello tra Cicchitto e Franceschini) e di impelagarsi in discussioni sulle diverse tecnicalità di misurazione del voto. Anche perché semmai il percorso deve essere inverso: definire che tipo di sistema politico-istituzionale l’Italia ha bisogno in questa fase storica, e poi dotarsi di una legge elettorale che sia funzionale. E su questo fronte, a parte un generico raffreddamento verso il bipolarismo, o meglio verso la sua versione italiota, e un ancora acerbo innamoramento di un sistema di gosimil verno grande coalizione, finora si è visto ben poco. Non solo non c’è traccia di un possibile accordo, ma non c’è neppure l’avvio di un minimo di dibattito. I partiti, entrati nel cono d’ombra proiettato su di loro da Monti e dal suo governo, non sono attraversati da alcun fremito progettuale, e quando la discussione

Tanto che Bersani , con il solito stop and go, è costretto a dire che «non si può andare alle elezioni proponendo il governissimo», perché si rende conto che il distacco dallo schema della contrapposizione dei due poli non è affatto maturato e che il suo partito non dispone di un progetto condiviso di società da proporre agli italiani a prescindere dalle alleanze preventivamente stabilite con cui affrontare le elezioni. E fintanto che non si sarà definito cosa serve al Paese e quale ruolo devono avere i partiti nel costruirlo, sarà difficile che chi porta la responsabilità del fallimento della Seconda Repubblica possa davvero essere protagonista della nascita della Terza. Poi, per carità, non poniamo limiti alla Provvidenza, divina o laica che sia. Ma farsi illusioni no, sarebbe sciocco e anche controproducente. (www.enricocisnetto.it)

funziona proprio. Nessuno può risolvere i problemi da solo. Non esiste bacchetta magica, e anche Harry Potter ce la fa solo grazie agli amici. Se in casi eccezionali un po’ di decisionismo è reso utile dall’urgenza, e ovviamente questo viene semplificato dall’attribuire maggiori responsabilità a un gruppo ristretto di persone, ben venga. Ma tutto naufragherà al più presto nel nulla se non è l’intero sistema Paese a reagire, a mettersi in scia sulla direzione intrapresa, a sostenere lo sforzo di risanamento. Ben venga dunque che abbiamo SuperMario, ma bisogna sempre ricordare che è ben più fortunato quel Paese che non ha bisogno di eroi. Piuttosto, ha bisogno di una classe dirigente. E qui giungiamo infine al tasto dolente di questi tempi. I partiti. Ben venga un loro serio protagonismo. I partiti sono l’anima democratica della Repubblica. Sono il canale per la partecipazione dei cittadini alla vita delle istituzioni. Sono l’unico mezzo attraverso cui possa funzionare la politica nel suo senso nobile. Hanno delle grandi responsabilità, per l’oggi e per il domani. Bene ha detto ieri Casini che il governo Monti è un vanto che alcuni devono rivendicare, perché non è lì per caso bensì per l’impegno rivolto al rinnovamento da parte prima di tutto dell’Udc e del Terzo polo.

Questa rivendicazione e questo impegno portati avanti fino ad adesso devono essere la guida anche per il futuro. Siamo in una fase del tutto nuova dell’Italia, una di quelle fasi di politica straordinaria in cui si traccia il percorso per il futuro. I partiti politici e la classe dirigente non si possono adesso tirar fuori, nascondersi, essere timidi. Devono essere i veri coprotagonisti di questa fase, svolgere il loro ruolo di catena di trasmissioni tra istituzioni e cittadini, in entrambi i sensi. E farsi promotori di una visione di società, una visione politica, che è all’origine del loro stesso essere e che invece non è permessa più di tanto a chi in questa fase è tenuto ad avere una visione soprattutto tecnica. Bene quindi SuperMario, che Dio ce lo conservi, ma un bene necessario è adesso l’assunzione di responsabilità di tutta la classe dirigente italiana, quella politica soprattutto. I partiti devono essere coprotagonisti dell’impegno del governo e della rinascita dell’Italia, collaborando e qualche volta anche competendo e così contribuendo a formare una linea nazionale migliore. Come gli amici di SuperMario nel videogioco.


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il mondo, la crisi

Mercoledì prossimo la riunione straordinaria dell’eurogruppo. E intanto la destra annuncia che domenica voterà contro il pacchetto

Il crac di Atene fa paura

Merkel: «Un default greco provocherebbe danni incalcolabili» Ma l’Unione continua ad alzare la posta per un accordo sul debito di Enrico Singer

ltri cinque giorni di passione per la Grecia, con le strade già invase di nuovo dai manifestanti e con la fronda che cresce anche nei partiti sulle misure da prendere. E altri cinque giorni di passione per l’euro che soltanto da una soluzione dell’estenuante crisi greca potrà ritrovare la stabilità perduta. La valutazione del piano di risanamento del governo di Atene è stata rinviata a mercoledì prossimo. Il pacchetto dei provvedimenti presentato in ex-

A

L’attuale rapporto tra il debito pubblico e il Pil supera ormai il 160 per cento. Deve scendere al 120 tremis l’altra sera dall’esecutivo di Lucas Papademos con la speranza di strappare il via libera agli aiuti europei è stato giudicato insufficiente dai ministri delle Finanze degli altri Paesi di Eurolandia. Prima di tutto perché deve ancora essere approvato dal Parlamento: il voto è atteso per domenica e fino a quel momento il piano non è altro che un elenco di buone intenzioni. Poi perché al conto totale dei tagli al bilancio mancano ancora 325

milioni di euro: quelli che la Ue chiedeva di realizzare con una riforma delle pensioni che nessuno ha avuto il coraggio di mettere in cantiere e che, adesso, devono essere trovati con altri risparmi. Da quando, a tarda notte, Jean-Claude Juncker, ha annunciato che «non c’erano gli elementi per sbloccare i 130 miliardi della seconda fase degli aiuti alla Grecia» e ha convocato la riunione straordinaria dell’Eurogruppo per il 15 febbraio, è cominciato il balletto delle previsioni. Quelle degli ottimisti – Commissione europea in testa – che giudicano inevitabile il rinvio, ma sono convinti che alla fine l’accordo ci sarà, e quelle dei pessimisti che ipotizzano altri possibili problemi in arrivo che potrebbero anche mettere in forse il carattere definitivo dell’appuntamento di mercoledì.

I timori più forti, e non è certo una sorpresa, arrivano dalla Germania. Ieri, di ritorno da Bruxelles, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, ha partecipato con Angela Merkel a una riunione a porte chiuse con i gruppi parlamentari conservatori ai quali non ha nascosto le sue perplessità sul progetto presentato dal governo greco. Uno dei partecipanti alla riunione ha riferito che, secondo Schaeuble, gli impegni della Grecia non abbasserebbero il debito ai livelli considerati sostenibili dalla troika (Ue,Bce, Fmi) che ha condotto le trattative con il governo Papademos. L’attuale rapporto tra il debito

Secondo giorno di sciopero generale, disagi in molte città e paese paralizzato

Migliaia in piazza contro l’austerity. Scontri e lacrimogeni di Laura Giannone ale la tensione sociale e politica ad Atene dove la destra estrema (Laos) al Governo decide di non firmare il piano di austerità e di dimettersi, mentre nelle piazze sfocia la violenza. Scontri ad Atene tra manifestanti e forze di polizia si sono verificati ieri nell’ambito delle proteste coincise con lo sciopero indetto venerdì e sabato dai sindacati contro i tagli decisi dal governo Papademos per poter ottenere i 130 miliardi di aiuti. La televisione di Stato ellenica ha mostrato immagini di giovani dimostranti, col volto

S

coperto da cappucci ed elmetti, intenti al lancio di pietre, mattoni e molotov contro la polizia presso la piazza di Syntagma, dove si trova il palazzo del Parlamento e dove le forze dell’ordine hanno risposto con l’uso di gas lacrimogeno.

Almeno una persona è stata arrestata ed è stato segnalato un ferito. Poco più in là oltre 17 mila persone sfilavano pacificamente e senza incidenti. L’ennesimo sciopero generale di 48 ore, questa volta indetto contro le nuove misure di austerità che il go-


il mondo, la crisi pubblico e il Pil greco supera il 160 per cento e l’obiettivo concordato con Atene è di ridurlo almeno al 120 per cento entro il 2020. In base ai calcoli del ministro delle Finanze tedesco, invece, con il piano fin qui elaborato, al massimo il rapporto tra debito e Pil scenderà al 136 per cento nel 2020. Un risultato deludente che renderebbe necessarie nuove iniezioni di prestiti: un’eventualità che Berlino non vuole nemmeno prendere in considerazione. Schaeuble avrebbe anche rivelato che Fmi, Banca centrale europea e Commissione si accontenterebbero di una riduzione del debito greco a quota 125 per cento. Ma anche con questo ridimensionamento dell’obiettivo da raggiungere, al piano greco mancherebbero ancora 10-11 punti percentuali da tagliare al totale del debito pubblico per renderlo sostenibile. In termini monetari, questo significherebbe trovare altri 20 miliardi di euro di risparmi, oppure aumentare di 20 miliardi l’entità degli aiuti e su questa ipotesi il “no” di Schaeuble è stato tassativo.

Angela Merkel nella stessa riunione si è limitata a un giudizio politico generale: ha detto che sarebbe «molto pericoloso» lasciare che la Grecia precipitasse in default perché questa evenienza potrebbe scatenare «conseguenze incontrollabili» per tutta la Ue e per l’euro. La schiera degli ottimisti è guidata dal presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, che cerca di gettare acqua sul fuoco. «Sono fiducioso sul raggiungimento di una soluzione la prossima settimana. Questa è estremamente importante prima per la Grecia e per i suoi cittadini e poi per l’intera area euro», ha detto ieri Barroso che ha poi lanciato l’ennesimo appello ai politici di Atene e dell’Eurozona perché sia trovata l’intesa sul piano di salvataggio. Ma la verità è che a Bruxelles sono ormai in pochi a fidarsi delle rassicurazioni che arrivano da Atene. Lo stesso Jean-Claude Juncker ha definito «fondamentale» la riunione interlocutoria dell’Eurogruppo del-

Centinaia di incappucciati hanno attaccato la polizia con lancio di molotov, sassaiole e mattoni

Sopra, la Cancelliera Angela Merkel. Sotto il premier greco Papademos. In apertura: la guerriglia che ieri ha bloccato le piazze di Atene

verno deve varare per ottenere un nuovo prestito dall’Unione Europea e il Fondo monetario internazionale, è stato proclamato dai principali sindacati del Paese - la Gsee (che raggruppa i lavoratori del settore privato), l’Adedy (che rappresenta i dipendenti del settore pubblico), e il Pame (quello vicino al Partito Comunista). In migliaia hanno aderito e il Paese è completamente paralizzato: fermi tutti i trasporti pubblici (autobus, metropolitane e treni), attraccate ai porti navi e traghetti, sbarrate scuole e ospedali, dove sono stati garantiti solo i servizi di pronto soccorso. Serrati anche i tribunali, le banche, le sedi delle autonomie locali, come pure i musei e i siti archeologici. Ma benché lo sciopero sia avvii stasera alla sua conclusione, la protesta è lungi dal fermarsi. Domani pomeriggio, giorno della votazione in Parlamento del disegno di legge per le nuove misure, alle 17 è stata convocata una nuova manifestazione di massa. La tensione ha contagiato i mercati dell’ Eurozona che hanno perso quasi tutti terreno, compresa Wall Street.

l’altra sera: può sembrare un controsenso, ma Juncker ha detto che se non avesse convocato l’incontro dei ministri finanziari di Eurolandia, «non ci sarebbe stato probabilmente nemmeno l’accordo che Papademos è riuscito a ottenere dai principali partiti greci». Come dire che i politici greci si muovono soltanto quando sono costretti a farlo da qualche ultimatum. Che arrivi da Berlino o da Bruxelles.Tra l’altro, il commissario agli Affari economici, Olli Rehn, ha annunciato che la Commissione europea «rafforzerà le missioni tecniche» per l’assistenza all’attuazione del programma di risanamento in Grecia. Questa «azione di supporto», che era stata sollecitata in particolare dalla Germania, è già cominciata e, secondo Rehn, vi partecipano anche esperti di diversi Stati europei che cooperano con le autorità greche specialmente per riorganizzare il fisco, per preparare le privatizzazioni e per controllare l’uso dei fondi europei. Non siamo ancora a quell’ipotesi di “commissariamento” del governo di Atene che alla vigilia dell’ultimo vertice europeo era stata lanciata dai maggiori giornali tedeschi – che l’avevano presentata come un’idea di Angela Merkel provocando anche le proteste di Lucas Papademos – ma è un segnale evidente delle riserve europee sull’affidabilità delle promesse del governo greco.

Ad Atene, ieri, si sono riuniti i gruppi parlamentari dei due maggiori partiti che sostengono Papademos per discutere il pacchetto delle misure concordato dal premier con i leader del Pasok e di Nea Democratia. Tanto tra i socialisti che nel centrodestra c’è una consistente fronda contro questo piano che passerà subito all’esame del Parlamento. Il voto è previsto – se non ci saranno complicazioni – per domenica sera e già si fa il conto dei possibili franchi tiratori. Nel Pasok di George Papandreou potrebbero essere almeno 20 i parlamentari che non voteranno a favore dell’accordo e, tra loro, ci saranno anche degli ex ministri del precedente governo a guida socialista. Ci potrebbe essere anche uno dei viceministri dell’esecutivo di Lucas Papademos: si tratta di Yannis Koutsoukos che si è già dimesso dal governo giudicando il piano «doloroso per i lavoratori». Koutsoukos è un ex sindacalista ed era viceministro del Lavoro. Papandreou si è appellato alla responsabilità dei parlamentari, ha difeso l’accordo e ha detto che, senza i 130 miliardi di aiuti europei, la Grecia va «matematicamente verso il fallimento», come ha spiegato più volte il ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos, anche lui socialista. Ma la conta ci sarà soltanto domenica e non è escluso che coloro che voteranno contro saranno espulsi dal partito. Anche per Antonis Samaras, il leader di Nea Democratia, non mancano le

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difficoltà in vista dell’approvazione del disegno di legge in Parlamento. Il problema è che in Grecia sono previste le elezioni politiche anticipate subito dopo la Pasqua ortodossa che, quest’anno, cadrà il 15 aprile. Nea Democratia, che nelle ultime elezioni del 2009 era stata battuta dal Pasok, sente vicina la rivincita: tutta la gestione della crisi da parte dei socialisti ha spostato i favori dell’opinione pubblica verso il partito conservatore che, proprio per questo, però, non vuole sottoscrivere misure troppo impopolari. L’esito del voto di domenica in Parlamento, secondo gli osservatori politici greci, non sarebbe comunque in pericolo. Il ministro dell’Economia, Evangelos Venizelos, lo ha detto senza troppi giri di parole. «Domenica la Grecia si gioca la partita finale per rimanere nell’euro, oppure no». È una partita di credibilità, prima di tutto. Perché la via del risanamento sarà lunga. Forse seguirà più i tempi temuti da Schaeuble per ridurre la massa del debito che quelli indica-

Papandreou: senza i 130 miliardi di aiuti europei, si va «matematicamente verso il fallimento» ti nel piano di Lucas Papademos. Ma la Ue si attende soprattutto una dimostrazione di volontà. Altrimenti avrà gioco facile il “partito dei duri” che non esce ancora allo scoperto, ma che si rafforza nel gruppo dei Paesi più virtuosi di Eurolandia: dalla Germania alla Danimarca. È il partito di chi è convinto che il risanamento della moneta unica non passa soltanto per le nuove regole previste dal fiscal compact, ma che ci vuole anche un gesto esemplare. Che l’uscita della Grecia da Eurolandia – nel caso la Grecia non riuscisse a rispettare gli impegni – sarebbe, sì, uno scossone terribile, ma sarebbe anche un segnale molto preciso ai mercati del risanamento dell’euro che si rafforza con le nuove regole e va avanti soltanto con chi è in grado di seguirle. È una posizione estrema che la stessa Angela Merkel non condivide, tanto che ha difeso la permanenza della Grecia tra i Paesi di Eurolandia anche nella riunione di ieri dei gruppi CduCsu. Ma è una posizione che, da qui ai prossimi mesi, con l’Eliseo che è in bilico tra Nicolas Sarkozy e François Hollande (che ha già promesso di rinegoziare il fiscal compact) e con le elezioni in Grecia a metà aprile, potrebbe anche guadagnare consensi. Mercoledì prossimo – quando Mario Monti sarà a Strasburgo in visita al Parlamento europeo – a Bruxelles nella riunione dei ministri dell’Eurogruppo si deciderà un passaggio-chiave di questo confronto.


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società La nuova ondata di maltempo ha creato molti problemi alla circolazione

ROMA. Una giornata con il naso all’insù aspettando la neve. Che regolarmente è arrivata un po’ dovunque, dall’Umbria al Lazio, dall’Abruzzo al Molise alla Basilicata, con il suo corredo di gelo, disagi e in alcuni anche tragedie. A Roma, intanto, una senzatetto è morta. Si tratta di una romena di 42 anni, trovata senza vita all’interno di una grotta naturale in via Orciano Pisano, in zona Trullo, dove aveva trovato riparo per la notte. Proprio a Roma, comunque, dove si temeva un altro venerdì nero come quello della scorsa settimana, almeno in un primo momento l’ha fatta da padrona la pioggia, più che la neve: la città – come diceva Gianni Alemanno – era preparata. Il sindaco aveva invitato i cittadini a lasciare a casa le automobili sprovviste di catene o gli scooter; peccato che contemporaneamente abbia quasi azzerato i trasporti pubblici. Ancora una volta i cittadini hanno dovuto fare da soli in una città che sem-

Un paese al gelo tra vittime e paura A Roma si continua a morire di freddo. Caos e proteste sulle autostrade bloccate di Gualtiero Lami

blizzard ed è arrivato, rendendo problematici i collegamenti con le isole. Sotto controllo, invece, almeno nella mattinata e nel pomeriggio la circolazione dei treni: Fs avevano previsto una serie di soppressioni di treni locali e nel pomeriggio hanno diramato un comunicato nel quale segnalavano la «perfetta riuscita del piano antineve». Anche in questo caso, comunque, c’era da aspettare la notte per poter cantare vittoria davvero… Tornando alle vittime, il caso più assurdo è capitato a Cagliari presso l’ospedale Santissima Trinità. Qui un uomo di 44 anni, ricoverato da alcuni giorni per una polmonite, è uscito dal reparto in pantofole e pigiama per fare una passeggiata ma è stato trovato morto assiderato in un vialetto a pochi metri dalla struttura. Per un paziente debilitato dalla malattia, e privo di una adeguata copertura, anche una breve passeggiata al freddo è stata fatale, hanno spiegato dall’ospedale.

Il disagio, la memoria e le illusioni secondo Raffaele La Capria

«La neve non è un romanzo» di Riccardo Paradisi

Il vento forte ha tempestato le coste al Centro e al Sud, rendendo difficili i collegamenti con le isole brava un fantasma bagnato. Nel momento in cui questo giornale va in stampa, i fiocchi si sono fermati alle porte della Capitale creando problemi soprattutto sulle strade. Mentre la neve caduta nelle periferie est e nord è parsa meno preoccupante di quella di sette giorni fa. Ovviamente, si temeva in peggioramento della situazione per la notte. Gravi disagi ci sono stati in particolare sul Grande Raccordo Anulare dove alcuni tir hanno ignorato il divieto di circolazione restando bloccati. Ma tutta la rete stradale italiana ieri ha vissuto momenti molto difficili con ben 1300 chilometri di autostrade imbiancati!

Problemi gravi ci sono stati anche lungo le coste, a causa dei venti forti: si attendeva il

ROMA. IlVesuvio imbiancato: un vulcano coperto di neve che s’affaccia su quella scheggia di paradiso terrestre – visto dall’alto – che è il golfo di Napoli. Una visione tra il fiabesco e il metafisico avuta da Raffaele La Capria nella prima adolescenza grazie a uno sguardo lanciato da Posillipo in un’epoca - siamo negli anni Trenta del Novecento - dove la percezione comune era ancora aperta alla magia del reale è alla base del suo La neve del Vesuvio: «In un lontano prodigioso giorno del 1939 i ragazzi che giocavano nel cortile del Palazzo Donn’Anna, a Posillipo, affacciandosi dai tre archi sul mare videro con sorpresa la cima del Vesuvio tutta coperta di neve. Il Vesuvio non pareva più il Vesuvio con quel cappuccio bianco, era fantastico, lieve e librato come un miraggio nella trasparenza azzurra dell’aria». La neve del Vesuvio è un libro del 1988. Più di vent’anni fa, un periodo in cui sono cambiate ancora molte cose. La neve adesso è tornata a Napoli, ha persino imbiancato la Sicilia, ha coperto Roma. Come avvenne nel 1985, un tempo in cui La Capria stava probabilmente meditando il suo libro. Allora i romani trassero però da quell’evento atmosferico straordinario più motivi di allegria e di divertimento che di lamento per un disagio che s’è rivelato drammatico. E che ha innescato polemiche velenose. Sporcando la neve, si potrebbe dire. Oggi è diverso insomma. Diversa la situazio-

ne, diverso anche lo sguardo di La Capria sulla neve. «Una volta l’arrivo della neve dava allegria a tutti – dice lo scrittore napoletano - adesso sta diventando un incubo.Tanto che l’incombenza della situazione prevale su qualsiasi sentimento». L’effetto che fa la neve oggi a La Capria, da anni trasferitosi a Roma - dove si attende un fine settimana di tormente - è completamente smagato. Niente reverie, niente tempo perduto da rimeditare. Quello dello scrittore sulla neve è oggi uno sguardo spinto al massimo grado di realismo. Non è il caso di farci letteratura sopra: «Non voglio fare estetica su questi eventi atmosferici che si sono tradotti in disagi drammatici per la gente, che hanno sollevato polemiche asprissime, che hanno isolato migliaia di persone nei paesini dell’interno, costringendole a disagi atroci. Ci sono anche dei morti per questa situazione. Non si può applicare una percezione estetica o narrativa a quanto sta accadendo». Niente letteratura dunque. La Capria preferisce attenersi al grado zero della metafora: sono cambiati i tempi? O semplicemente le stagioni? «A me non piace vedere in ogni cosa un presagio, carpire i segni dei tempi. Per mio carattere e cultura non lo faccio. Ripeto: quello che accade è la difficoltà logistica di portare gli aiuti.Vorrei concentrarmi solo su questo. Non voglio simboleggiare, lo troverei addirittura di cattivo gusto».

Un paziente dell’ospedale di Cagliari, reduce da una lunga polmonite, ha sfidato il freddo ed è morto Infine, privo di quella vergogna che avrebbe dovuto impedirli di prendere posizioni pubbliche altro che per difendersi dalle accuse gli rivolgono numerose procure, ieri è ricomparso dal nulla anche Guido Bertolaso. «Grazie neve, per averci aiutato a capire che la Protezione civile ci serve», ha scritto sul suo sito web. Poi ha ironizzato sulle «diatribe inutili» sui disagi a Roma e ha attaccato i suoi successori dicendo che «la gente muore assiderata per le strade perché nessuno è andata a soccorrerla». Quel che non ha scritto Bertolaso è che la Protezione civile trasformata in associazione pubblica a gestione privata per organizzare i cosiddetti grandi eventi (con annessi sospetti affari di famiglia) è opera sua. Non della neve.


mobydick

INSERTO DI ARTI E CULTURA DEL SABATO

Tre nomination all’Oscar per il film fortemente voluto dalla Close. Mirabile nei panni di una donna che si fa credere uomo per sopravvivere dignitosamente nell’Irlanda dell’800

IL SEGRETO DI ALBERT IL SOGNO DI GLENN di Anselma Dell’Olio

lenn Close ha realizzato il sogno di una vita nel portare Albert Nobbs sullo schermo; è ampiamente premiata dalle tre nomination all’Oscar del film diretto da Rodrigo Garcia. Nel 1982 era lei l’eponimo/a protagonista, nella commedia minimalista adattata da Simone Benmussa per il palcoscenico, dal racconto fine Ottocento di George Moore La vita singolare di Albert Nobbs. Per la sua interpretazione, Close vince un Obie, il massimo premio per le opere Off-Broadway. Da allora, la ex Crudelia De Mon si adopera per ripetere l’exploit di incarnare una donna che vive da uomo sullo schermo, con una sceneggiatura revisionata da lei stessa con John Banville, Istvan Szabo e Gabriella Prekop. Moore, poeta, scrittore e drammaturgo irlandese, predecessore e ispiratore di James Joyce, scrisse una disamina della repressione sessuale in chiave realista, la rimozione/sublimazione della pulsione erotica. Il titolo della raccolta di racconti di Moore è infatti Vite celibi. Il testo teatrale sposta l’accento su questioni di identità sessuale, e sull’imperio patriarcale e classista che condiziona i personaggi, in primo luogo Albert.

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il segreto di albert, il sogno di

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mette gli occhi su Helen (Mia Wasikowska, Jane Eyre, e la piccola ginnasta della serie In Treatment), una servetta ventenne amabile e graziosa.

Dopo i tanti premi accumulati, Close riceve la sua sesta candidatura all’Oscar per il ruolo di Nobbs, che quattordicenne decide di travestirsi da uomo per poter lavorare come maggiordomo, dopo anni di apprendistato. Arrivato all’elegante Morrison’s Hotel, il piccolo, esile, buffo «omino» non desta alcun sospetto, né tra i colleghi, né tantomeno tra gli ospiti altolocati dell’albergo, per i quali la servitù è, in ogni caso, invisibile. Non che sia particolarmente mascolina. Sembra un tipico ometto assessuato: piccino, timido, compassato, la voce anonima e leggera. È chiusa nel suo abito nero d’ordinanza, bombetta nera in capo, ombrello arrotolato in mano quando esce. Ha un buffo incedere alla Charlot e per la cultura del suo tempo è semplicemente un eccentrico e per alcuni un freak.

Per i lavori di mantenimento un giorno arriva da fuori Hubert, imbianchino alto e robusto. La signora Baker (Pauline Collins, l’indimenticabile Sarah Moffat di Upstairs, Downstairs della Bbc e di Shirley Valentina - La mia seconda vita, 1969), l’esigente e comandina padrona di Morrison’s, chiede al mite, riservato servitore di ospitarlo in camera sua per la notte. Nobbs cerca invano di svincolarsi. Si viene licenziati nella Dublino dell’epoca anche solo per essere scivolati sulla neve ghiacciata con le valigie di un ospite, figurarsi per aperta disobedienza alla proprietaria. Albert aspetta che Hubert s’addormenti per infilarsi nel letto condiviso interamente vestita. Persona pulitissima, una pulce la costringe a strapparsi di dosso il busto restrittivo, svegliando l’ospite e rivelando il segreto a lungo custodito. Albert scongiura Hubert di non tradirla e le racconta la sua storia. Figlia illegittima di una donna aristocratica o dell’alta borghesia, la neonata è affidata a una certa signora Nobbs, stipendiata per crescerla con il proprio nome, a patto di non rivelarle mai l’identità della famiglia d’origine. La madre adottiva muore lasciando in eredità solo una fotografia della vera madre, che l’orfana conserva come un santino. Adolescente abbandonata a se stessa, subisce uno stupro di gruppo da parte di una banda di bulletti. È allora che decide di travestirsi da uomo, una difesa contro maschi predatori e il lasciapassare per un impiego decente, superiore a quello di sguattera o serva, pagate molto meno. Alla richiesta di conoscere il suo vero nome di battesimo, il viso di Albert diventa una maschera congelata; è smarrita come uno scolaretto impreparato all’interrogazione in classe. Non se lo ricorda neanche più il suo nome femminile, tanto ha cancellato la sua anno V - numero 5 - pagina II

Solo che Helen si è invaghita del sensuale tuttofare Joe (Aaron Johnson, il John Lennon di Nowhere Boy), bellimbusto che s’inventa riparatore di caldaie per lavorare da Morrison’s, dopo il licenziamento dall’albergo precedente per aver fatto cadere i bagagli di un indispettito cliente. La questione di classe non è mai lontana dalle

vera natura. Alla fine Hubert si confessa a sua volta sbottonando il camice: sotto i ruvidi panni non nasconde un pancione da bevitore, ma due angurie da odalisca di Rubens. Aveva sposato un ubriacone molesto; anche lei adotta il travestì per sfuggire la violenza e mantenersi. Interpretato dalla bravissima Janet McTeer (Tideland di Terry Gilliam, Come vi piace di Kenneth Branagh), Hubert è assai convincente come maschio. McTeer, alta un metro e ottanta, domina fisicamente la minuta Close. L’attrice irlandese ha giustamente avuto pure lei la nomination per il ruolo: come miglior attrice non protagonista. C’è chi considera il primo tempo la parte migliore del film - o qualunque scena con McTeer. C’è del vero. Ma l’imbianchino ha un’altra rivelazione da fare, ancora più stravolgente per il bloccato, isolato, solitario, probabilmente frigido maggiordomo: è sposato con Cathleen (la deliziosa Bronagh Gallagher), compagna e moglie in tutti i sensi.

Dopo una visita alla loro casetta, colpito dalla grazia e dal calore dell’anomala convivenza (per prudenza Hubert veste panni maschili anche in casa), Albert ha un’illuminazione: forse anche lui può aspirare a una vita meno grama, sempre a contare mance e risparmi accumulati negli anni, nascosti sotto una doga di legno dell’impiantito. Sono circa 600 sterline, sufficienti per aprire una piccola attività - una tabaccheria è l’ideale - e mettere su «famiglia». Incoraggiato da Hubert, Nobbs

preoccupazioni della storia. «Molte persone vivevano in questo modo per sopravvivere», scrive Moore all’epoca. Nobbs, seppur respinta è una nata bene, che al massimo lucida l’argenteria. Al primo incontro accusa Hubert l’operaio di averle attaccato le pulci. Tra gli avventori di Morrison’s ci sono quattro giovani aristocratici, due uomini e due donne (tra cui Jonathan Rhys Meyers, in un ruolo poco incisivo) che fanno scambio di coppie in senso omosessuale. Molti sanno che essere gay era reato a quei tempi; ma non lo era il lesbismo, si dice, poiché la regina Vittoria non ne concepiva l’esistenza. Inizia la goffa corte di Albert a Helen, spinta da Joe ad accettare di uscire con Nobbs per cavargli soldi e regali. Lei è troppo cotta del ragazzo, ingenua e moralmente fragile per opporsi al raggiro. Joe le promette che se lei riesce a sfilare il denaro per il viaggio a Nobbs, la porterà con sé in America per sfuggire il loro destino di miseria. Quando il

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maggiordomo fa vedere a Helen il fatiscente locale a due piani da ristrutturare come esercizio-alloggio, la ragazza non è certo lusingata e sbotta: «È tutta la vita che cerco di sfuggire topaie come questa!». Nobbs, però, lesto a carpire desideri e ubbie di chi potrebbe nuocergli, è troppo chiuso, ignaro dei propri sentimenti intimi, per decifrare il cuore del prossimo.Vuole semplicemente costruire una vita simile - forse non identica - a quella di Hubert. Vuole una Cathleen che lo accudisca teneramente, gli faccia compagnia e che gli dia il cambio dietro il bancone della futura tabaccheria quando è necessario. Conta e riconta i suoi risparmi e insegue Helen senza badare ai segnali chiarissimi di rifiuto. Anche qui è in gioco la questione di classe: è sicuro di offrire a Helen un futuro infinitamente migliore, una promozione sociale, rispetto a ciò che l’aspetta con il sexy analfabeta Joe. Arrivano la febbre tifoidea e poi una scena madre tra il triangolo amoroso che sconvolge tutti i giochi. Nel finale si sente il profumo del

della Carica dei 101, Le Divorce di Merchant-Ivory e Il caso von Bulow di Barbet Schroeder. È carica di premi anche per il suo lavoro in teatro e per serie tv di qualità. Ha girato 9 vite di una donna e Le cose che so di lei sempre con Rodrigo Garcia, il competente regista di molti episodi di In Treatment e altre serie tv di qualità. Sembra impossibile nominarlo senza ricordare che è il figlio di Gabriel Garcia Marquez. È un artista che ama le donne e sono loro gli autentici gioielli di questo film, senza dimenticare il dottor Holloran di Brendan Gleeson (Un poliziotto da Happy Hour, infelice titolo italiano del divertente The Guard con Don Cheadle, e il superbo In Bruges con Colin Farrell).

volontarismo femminista, eppure l’impalcatura regge, più che altro sulla recitazione.

film con Daniel Radcliffe protagonista dopo Harry Potter, The Woman in Black di prossima uscita, e tanti altri. C’è la crisi, le piccole distribuzioni (e non solo) cercano di risparmiare, ma la disaffezione del pubblico per il cinema sul grande schermo non può che aumentare se si tratta con tanta superficialità un film con tre canditature all’Oscar (la terza è per il trucco). Se possibile, cercate di gustarlo in originale con i sottotitoli, ma è da vedere.

Close ha avuto le cinque precedenti nomination all’Oscar per il suo primo film, Il mondo secondo Garp con Michael Caine, per Il grande freddo di Lawrence Kasdan, Il migliore con Robert Redford, Attrazione fatale con Michael Douglas e per Le relazioni pericolose di Stephen Frears. Restano nella memoria, oltre alla Crudelia

Ora è d’obbligo parlare del difetto più grave e doloroso del film: l’edizione italiana. Non tanto per le voci, per quel che si riesce a capire, ma per la registrazione del sonoro. All’anteprima per la stampa, il suono è risultato «intubato», termine usato per una colonna sonora alonata, non cristallina, probabilmente mal mixata (il mixage è il delicato intreccio delle varie piste in un’unica colonna: musica, effetti sonori, voci) che appiattisce il dialogo e rende difficile sia comprenderlo, sia distinguere una voce dall’altra. È un vero peccato, e non sembra una questione dell’audio in sala (Anica) dove si tengono quantità di anteprime stampa senza incorrere in questo problema guastafilm. Dispiace segnalarlo alla benemerita VideaCde, che distribuisce film indipendenti di valore quali Jane Eyre, Il pasto nudo, il primo


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musica

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I grandi Maestri in ottanta pagine di Marzia Marandola el 2010 la prestigiosa casa editrice di arte e architettura Electa ha lanciato una nuova collana intitolata «Aeta Monografie» e dedicata ai grandi maestri dell’architettura moderna e contemporanea: da Brunelleschi a David Chipperfield. L’iniziativa, che assume il senso di una sfida coraggiosa alla crisi economica e ai suoi riflessi negativi sulle vendite di libri, è stata voluta e ideata da Francesco Dal Co, celebre storico dell’architettura e direttore della più diffusa rivista italiana di settore Casabella. Fino a ora la serie prevede 15 volumi, di cui 7 sono già in libreria e gli altri in programmazione: i titoli alter-

N

una Lectio Magistralis viene dunque fissata e diffusa in un libro, elegante e illustrato con coerenza e rigore. La collana infatti si pone in audace controtendenza già nell’immagine grafica ed editoriale: poiché alle accattivanti pagine patinate e variopinte dei periodici di architettura e delle monografie da edicola, che siamo soliti sfogliare, contrappone una veste grafica e iconografica lineare e prosciugata.

Eleganti, con un sapore vagamente retrò, prevalentemente in bianco e nero, cioè nei toni che esaltano la sostanza profonda dell’edificio, i volumi esibiscono una grafica essenziale e incisiva

In tempi di crisi, Electa sfida il mercato con una collana innovativa che chiama riconosciuti esperti internazionali a illustrare l’opera di celebri architetti del passato e del presente. Da Palladio a Vasari e Alberti, da Le Corbusier a Chipperfield nano grandi architetti del passato come Palladio o Giorgio Vasari e protagonisti recenti come Gunnar Asplund o Otto Wagner.

La novità della collana consiste oltre che nella sofisticata eleganza grafica che si coniuga con un formato snello e agile, tipograficamente impeccabile, nell’abilità di ricondurre bibliografie sterminate (come quella di Palladio!) a una sintesi meditata e pregnante, che rispecchia la natura dei testi, anch’essi sintetici e chiari, redatti dai maggiori specialisti dell’argomento, selezionati tra gli studiosi di tutto il mondo. I più riconosciuti esperti internazionali di architettura sono chiamati a illustrare, in meno di 80 pagine, il profilo intellettuale e l’eminenza progettuale del genio costruttore a cui hanno dedicato diversi decenni di studi e su cui hanno scritto testi imprescindibili. La solenne unicità di

che rimanda ai testi intramontabili di fondatori della storia dell’architettura. La collana ha debuttato con il volume di Harry Francis Mallgrave, professore all’Illinois Institute of Technology, dedicato allo straordinario architetto viennese Otto Wagner (1841-1918), che ha impresso il segno della modernità sul volto della vecchia capitale del declinante Impero asburgico, edificando opere emblematiche come le pionieristiche stazioni della metropolitana che richiesero 70 collaboratori di studio per la progettazione esecutiva e furono realizzate a partire dal 1896, quando altre linee metropolitane in Europa erano ancora in costruzione. Oltre a opere divenute pietre miliari dell’architettura moderna, come la Cassa di Risparmio Postale (1903-1912) o la casa ad appartamenti sulla Linke Wienzeile, detta la Majolikhaus, per le floreali ceramiche decorate che rivestono la facciata. L’effetto cromatico in questo edificio è talmente insito all’immagine architettonica da giustificare l’eccezionale inserimento nel

volume di alcune immagini a colori. Per il volume dedicato a Giorgio Vasari (15111574), Claudia Conforti, professore a Roma Tor Vergata, che il giornale online art.historicum.net ha definito winner of the Anno Vasari in riferimento alle molteplici manifestazioni organizzate per il V° centenario della nascita del grande artista aretino, ha ritracciato i caratteri innovativi e le forti valenze costruttive e urbanistiche degli edifici vasariani, con particolare riguardo agli Uffizi. Analogamente Donata Battilotti, dell’Università di Udine, studiosa di lungo e glorioso corso di Andrea Palladio (1508-1580), ha saputo far rivivere l’estro prescrittivo e il genio ideativo del grande architetto veneto, attraverso un’analisi puntuale e comparata del linguaggio architettonico e di quello teorico. Alla contemporaneità ci riporta il volume di Fulvio Irace del Politecnico di Milano, già curatore della Triennale di Milano, dedicato a David Chipperfield. Architetto londinese, classe 1953, portato alla notorietà per la ristrutturazione del Neues Museum di Berlino (1997-2009), il progettista sa declinare con garbo incisivo l’eleganza minimalista di un linguaggio sofisticato che agisce sulla materia architettonica attraverso sintetici e controllati interventi. L’austera e innovativa lezione architettonica e paesaggistica dello svedese Gunnar Asplund (1885-1940) è riproposta dall’appassionata lettura di Nicholas Adams del Vassar College, che ne sa riconnettere l’azione, tra tradizione e modernità, tra luogo e contesto, alla grande rivoluzione culturale dell’Europa del Novecento.

Il genio assoluto dell’architettura nuova impersonato da Le Corbusier è l’oggetto di una sottile e innovativa interpretazione, sinteticamente quanto chiaramente dispiegata da Juan José Lahuerta dell’Università di Barcellona, che sottrae il grande svizzero ai ridondanti, che sembravano ormai irrimediabili, luoghi comuni della critica contemporanea. L’ultimo volume da poco uscito è dedicato a Leon Battista Alberti (1404-1472) e scritto da Francesco Paolo Fiore, professore dell’Università di Roma La Sapienza, direttore della fondazione Alberti di Mantova. Il profilo complesso e sfaccettato del geniale umanista genovese di nascita, ma fiorentino di adozione, viene brillantemente ricomposto da Fiore in una narrazione rapida quanto efficace, che illumina il ruolo anticipatore del protonotario apostolico e architetto erudito, nelle corti italiane del XV secolo, attratte dalla magnificenza costruttiva della grande tradizione romana, cui si chiede legittimità e continuità ideologica.


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onte Primosole (Piana di Catania), 13 luglio 1943. L’«invasione angloamericana dilaga». Eppure, «alla gente di Sicilia la guerra sembra sempre un’eccentricità forestiera. Così ecco che ad accompagnare ogni raffica di mitragliatrice con cui accogliere il nemico si leva una voce in lingua spagnola, quasi a voler canzonare con l’idioma di un vecchio invasore quello nuovo: Beso a usted las manos. In fondo, per chi ha modo di godersela al culmine del combattimento la guerra è pur sempre un’esercitazione pratica di memorie scolastiche e letterarie lasciate a casa insieme alla giovinezza. E l’approccio a quel campo di battaglia fu al tempo stesso esotico assai e molto liceale».

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Ce ne sono di giovani, fieri e feroci, ad accogliere i «liberatori». Perché se «la guerra rovina in disonore per gli italiani, con Roma capace solo di ciondolare tra il rosso della vergogna e il livido dell’impotenza», qui, «tutti i militi cercano carne da scannare, una pronta vendetta, un riscatto: come sta facendo un docente dell’Orientale di Napo-

il paginone giovane docente, il guerriero non è una invenzione letteraria. O meglio, dietro l’invenzione letteraria di uno dei romanzi più belli, più creativamente suggestivi e, al tempo stesso, più appassionatamente testimoniali apparsi in questi ultimi anni (Pietrangelo Buttafuoco, Le uova del drago, Mondadori, 2005), sta un personaggio in carne e ossa, sangue e spirito. Sta ancora, dunque trasmette ancora un magistero e una lezione di stile, anche se Alì degli Aliminusa, ovvero, il professor Pio Filippani-Ronconi, insigne orientalista, si è spento l’11 febbraio 2010. A rendergli omaggio, un gruppo di discepoli-testimoni in un libro pubblicato dal Cerchio (L’orientalista guerriero, a cura di Angelo Iacovella, introduzione di Gianfranco de Turris, 245 pagine, 25,00 euro). Ma prima torniamo al profilo fascinosamente disegnato da Buttafuoco attraverso la veridica «finzione» narrativa. Leggiamo: «È terribile il suo tocco in combattimento: ha una sorta di divinazione con la morte, che lo adotta come magnete, e lui, puntuale, trascina nell’orrido dell’annienta-

Fu volontario nelle Waffen-SS e difese quella scelta fatta per combattere e per medicare con il ferro “le ferite dell’Italia prostrata dal tradimento” li, giovane dai modi patrizi e dal nome di Alì degli Aliminusa, raggiante come un cobra quando, in quell’asiatica circostanza alle porte di Catania, stana il suo primo paracadutista britannico. Lo avvolge in mezzo giro di coltello e lo consegna alla fine in un istante, sussurrandogli un formale: Yes, sir. Ripete la scena a ogni raffica che spara. È lui quello del Beso a usted las manos». Lui, Alì degli Aliminusa, il patrizio, il

mento tutta la ferraglia nemica. Si fa largo tra gli spettri, il patrizio Alì: come se per ogni morto che butta nel carniere ne vedesse l’anima sbucare dalle narici. A mo’ di negromante, si lecca rapidamente la punta delle dita bagnate di sangue: così raccon-

tano i catanesi che combattono con lui. E quel continuo saluto, Beso a usted las manos, era forse destinato ai fantasmi che fabbricava di volta in volta, con la mitragliatrice, con il coltello, con la pistola». Siamo di fronte a una immagine che indubbiamente sconvolge per la sua assoluta scorrettezza. Ebbene, va detto subito che all’insegna dell’«assoluta scorrettezza» si è svolta tutta la vita di Pio Filippani-Ronconi. Uno studioso dalla straordinaria esuberanza intellettuale. Come ce ne sono stati pochi nel Novecento. E un guerriero.

Nato in Spagna da ceppo nobile, stravagante e avventuroso (il padre aveva venduto i beni di famiglia per andarsene in Patagonia, a portare il bestiame a cavallo dall’Atlantico al Pacifico), Pio ha un’adolescenza tumultuosa, si confronta da italiano con un mondo ricco di colori e di umori, sentendosi un po’caballero e un po’ hidalgo, approda sul suolo nazionale portandosi dietro un turbinìo di emozioni, è pronto ad aprirsi a mille altre visto che siamo nei «ruggenti» anni del Fascismo, divora i libri ma è anche un cultore dell’educazione fisica nel senso più compiuto del termine, dunque nietzschianamente sa che «il corpo ha un suo spirito» e che non è male saper anche tirare di boxe (in seguito, praticherà con successo diverse arti marziali), sogna un futuro eroico e al tempo stesso è attratto dalla più vorticosa conoscenza, soprattutto dallo studio delle lingue, delle loro radici sacre, del loro articolarsi in miti, riti, simboli di smagliante pienezza. Di lingue, lo straordinario allievo di Giuseppe Tucci (per le religioni dell’India e del Tibet) e di Henry Corbin (per la mistica islamico-persiana) arriverà a conoscerne quaranta: dal turco al greco, dallo spagnolo antico al persia-

Lo Zarathu guerrie di Mario Bernardi Guardi no, dal sanscrito all’arabo, dal tibetano al cinese, dal norreno ai principali idiomi indoeuropei estinti o viventi. Dunque è, per dir così, naturale che, dotato di sì vivido ingegno, il giovane laureato in indologia che abbiamo visto trasfigurato tra i resistenti (ma dall’altra parte della barricata…) nel romanzo di Buttafuoco, abbia una prestigiosa carriera universitaria (professore ordinario di Religioni e Filosofia dell’India all’Istituto Universitario Orientale di Napoli), con decine di traduzioni e saggi (ricordiamo Upani\\\u015Fad antiche e medie, tre volumi, BorinA sinistra, Pio FilippaniRonconi anziano e da giovane, arruolato nelle Waffen-SS. A destra, “L’Atmosphere” di Camille Flammarion. Sopra, lo swastika, simbolo già presente nell’antichità. In alto, Buddha

anno V - numero 5 - pagina IV


Affabile, polemico, spiritoso, docente amatissimo e disponibile. Illustre orientalista, allievo di Tucci e di Corbin, in nome della “terribilità dell’azione” visse all’insegna dell’“assoluta scorrettezza” che lo rese per sempre straniero in patria. A due anni dalla morte, ritratto di Pio Filippani-Ronconi (a partire da una raccolta di saggi a lui dedicati)

ustra ero

ghieri 1960-’61; Storia del pensiero cinese, Boringhieri 1964; Canone buddista. Discorsi brevi, Utet 1968; Ismaeliti e Assassini, Editiones Basilienses Thoth 1973; II ed. Il Cerchio, 2004), ampi riconoscimenti all’estero, centinaia di interventi e conferenze ecc. ecc.

Davvero uno studioso di alto rango, il nostro professore dal fiero cipiglio guerriero. Ma anche un gentiluomo di quelli che non hanno biso-

MobyDICK

gno di ostentare i «magnanimi lombi», dunque amabile e affabile, vivace, polemico, spiritoso, ironico, pronto alla battuta (nelle sue conversazioni passava dai «piani alti» al sermo cotidianus, tanto che ricorreva con frequenza, a liquidare la pavida mediocrità di tutti i conformisti, l’espressione «non me ne importa un fico secco»). Ancora: docente autorevole ma non autoritario, vera e propria miniera di cognizioni, intuizioni, suggestioni, ma anche persona di disarmante umanità nonché prof. sempre disponibile, e per questo amatissimo dagli allievi. Lo confermano le testimonianze - e in particolare quella di Marika Guerrini che, più di ogni altro, ci fa rivivere l’emozionante esperienza di un incontro che diventa fondamentale e fondante per la formazione intellettuale e spirituale - contenute in L’orientalista guerriero (ma si vedano anche gli scritti raccolti in Aa.Vv. Anima-libro. La vita dialogante di P.F.R., prefazione di Federico Prizzi, introduzione di Claudio Bonvecchio, NovAntico Editore, 239 pagine, 20,00 euro). Lo attesta la lunga intervista rilasciata ad Angelo Iacovella, nella quale si parla di massimi e minimi sistemi con la stessa raffinata e arguta nonchalance. E ci sono poi i saggi dove più marcato è l’impegno vòlto a ricostruire una identità spirituale, da quello di Ezio Albrile dedicato alle suggestioni gnostiche presenti nello studioso («Per Filippani-Ronconi lo gnosticismo esulava dalle ordinarie, aride categorie storico-religiose, per trasformarsi in un modo d’essere, una modalità vivente a cui attingere linfa esperenziale») a quello di Marco Rossi che con dovizia di documenti e di buoni argomenti ricostruisce l’ambiente dell’esoterismo romano nel secondo dopoguerra, le frequentazioni di Filippani-Ronconi con Evola, Scaligero, Colazza e le sue collaborazioni alle svariate riviste fiorite nell’area esoterica, iniziatica, tradizionalista. Che è anche un serbatoio di militanza politica o, se si preferisce, antipolitica dal momento che si colloca «a destra della destra», tra gli «esuli in patria», per dirla con Marco Tarchi, o gli «stranieri in patria», per dirla con Gianfranco de Turris. Un aspetto, questo, che non va dimenticato: la scelta della «parte sbagliata» compiuta in guerra e ribadita nel dopoguerra. Nel caso di FilippaniRonconi con un’aggravante visto che fu volontario nelle

Waffen-SS. La foto - rintracciabile in Rete - che lo eterna in divisa germanica con tanto di runici contrassegni gli costò nel 2000 la collaborazione, appena avviata, col Corriere della Sera. Che si può fare contro il «passato che non passa» e che pesa? Secondo lo studioso non c’era proprio nulla da fare: lui era stato quel soldato e non era per nulla pentito. E non intendeva giustificarsi quando raccontava: «In quei frangenti non fu tanto importante la scelta di campo - anche se per noi il tema della fedeltà era determinante - quanto il fatto puro e semplice di continuare a combattere. Il ferro avrebbe meditato le ferite dell’Italia prostrata dal tradimento. Combattere significa continuare a esistere. Come in un nuovo Medioevo i disarmati divennero schiavi delle decisioni altrui; gli armati, se non altro, ebbero la possibilità di morire col ferro in pugno, decentemente».

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altre letture di Riccardo Paradisi

Se s’arrabbiano i bamboccioni amboccioni che vogliono il posto fisso vicino a casa. Da Padoa Schioppa al ministro Cancellieri passando per Brunetta e Martone va di moda il calcio dell’asino al giovane italiano, ridotto a stereotipo del fannullone matrizzato. La realtà è un’altra e la raccontano Antonio Schizzerotto, Ugo Trivellato e Nicola Sartor in Generazioni diseguali (Il Mulino, 487 pagine, 34,00 euro). Dalla seconda guerra mondiale i giovani subiscono un arretramento nelle condizioni di vita e nelle aspettative future. Il volume valuta gli effetti delle politiche pubbliche e delle scelte di bilancio degli ultimi cinquant’anni sulle condizioni di vita delle nuove generazioni che le stanno pagando sulla loro pelle. E se s’arrabbiassero?

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L’inutile macello si poteva evitare inutile macello». Così Benedetto XV definì la prima guerra mondiale, il conflitto che ha cambiato la storia del Ventesimo secolo e che ha innescato anche la seconda guerra mondiale. Ebbene, poteva essere evitato quel massacro spaventoso? Quell’orrenda guerra di trincea protratta per anni? William Mulligan in Le origini della prima guerra mondiale (Salerno editrice, 348 pagine,19,00 euro) sostiene che il conflitto fu tutt’altro che il risultato inevitabile della politica internazionale nei primi anni del Novecento e suggerisce che vi furono forze potenti che operavano a favore del mantenimento della pace purtroppo risultate soccombenti per le mene delle caste militari aiutate da una cultura improntata all’isteria nazionalista.

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Ma perché le Waffen-SS? Perché erano un esercito «europeo»: di fronte a fiamminghi, tedeschi, valloni, scandinavi gli italiani «dovevano dimostrare di essere i migliori di tutti in ogni senso e in ogni campo». E poi c’era l’elemento mistico: la «terribilità nell’azione» e il richiamo primordiale che vedeva l’esistenza di un Ordine «come quello dei Cavalieri Teutonici o dei Portaspada» al centro dell’«Unità combattente», con tanto di richiami alle «esperienze delle varie Thule-Gesellschaften nate dopo la prima guerra mondiale» e alle «discipline meditative riportate in Europa dalle varie missioni delle SS in Tibet alla fine degli anni Trenta». Infine, vi era la possibilità «di sperimentare in prima persona il livello addestrativo e combattivo delle forze armate germaniche». Nazismo magico più frenesia militarista? Affermazioni folli e scandalose di un alieno? Il massimo del politicamente scorretto? Ma Zarathustra è sempre eccentrico. E così parlò, piaccia o non piaccia, Alì degli Aliminusa Pio Filippani-Ronconi.

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Filosofia dell’a b c rascrizione di una parte di un corso tenuto da Henri Bergson al College de France nel 1902-1903 sulla storia dell’idea di tempo, il saggio Sul segno (Textus edizioni, 124 pagine, 11,00 euro) annuncia i temi fondamentali della metafisica bergsoniana, quale sarà presentata nel saggio-manifesto del 1903, Introduzione alla metafi-

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sica. In queste pagine si assiste a una discussione della tematica del segno. Assumendo come filo conduttore del suo discorso l’analisi del segno alfabetico Bergson individua le caratteristiche principali del segno: generalità, performatività e fissità. Le lezioni di Bergson sono accompagnate da una nota di Arnaud François, che le contestualizzano all’interno dell’opera complessiva del filosofo.

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Educare al tempo della paura ual è il ruolo dell’educazione in un tempo che ha smarrito una chiara visione del futuro e in cui l’idea di un modello unico e condiviso di umanità sembra essere il residuo di un’era ormai conclusa? Quale ruolo dovrebbero rivestire gli educatori ora che i giovani vivono una profonda incertezza rispetto al loro futuro e i progetti a lungo termine sono diventati difficili, le norme tradizionali meno autorevoli e s’espande il multiculuralismo? Di fronte all’abisso di incertezza alcuni giovani si ritirano nella regressione, entrando nel regno della rete, dell’acool o delle droghe; altri si danno alla violenza e al saccheggio consumistico come accaduto a Londra. In Conversazioni sull’educazione Zygmunt Barman (Erickson, 146 pagine, 12,00 euro) riflette sulla situazione dei ragazzi di oggi e sul ruolo degli educatori e sulle aspre sfide della società del rischio.

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Camaldoli un codice attuale orenzo Ornaghi, Andrea Riccardi, Giampaolo Crepaldi, Raffaele Bonanni riflettono su Il codice di Camaldoli che oggi ripubblicano le Edizioni Lavoro (141 pagine, 14,00 euro). Nel luglio 1943 un gruppo di intellettuali cattolici si riunì presso il monastero benedettino di Camaldoli per confrontarsi e riflettere sul magistero sociale della Chiesa. I partecipanti sentivano la necessità di fissare i principi fondamentali del pensiero sociale cattolico. Spunti, idee, valori di quel manifesto, a lungo obliati, sono tornati d’attualità oggi che si parla di un ritorno dei cattolici organizzati in politica. E del resto due degli introduttori di questa nuova edizione del Codice camaldoliano fanno parte del nuovo governo Monti di transizione. Un auspicio a un maggior influenza cattolica nel discorso pubblico.

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Teatro

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spettacoli

FACCIAMOLA FINITA con la truffa del playback di Bruno Giurato

di Enrica Rosso i dice che i marinai scelgano la vita in mare aperto perché sulla terraferma si sentono oppressi da un orizzonte sempre uguale. Esistono uomini in grado di costruire i loro sogni entrando nella pelle degli altri e abbracciandone empaticamente le urgenze seppure non ne condividano l’esperienza di vita reale, ma il confine tra sogno e realtà è sfuggente, a volte ingannatore. Emilio Salgari si fece credere capitano di marina per tutta la sua esistenza - breve e conclusasi tragicamente con un gesto da marziano - (cinquantatreenne si tolse la vita facendosi harakiri in un boschetto della collina torinese). Lasciò in eredità al mondo una moglie exattrice ricoverata in manicomio e quattro figli (dai nomi non meno esotici dei suoi personaggi: Omar, Nadir, Romero e Fatima) morti come lui anzitempo di morte violenta o di malattia. Estorta da editori aguzzini, la sua produzione romanzesca a suon di tre libri l’anno ha segnato la storia della letteratura regalando personaggi che hanno nutrito l’immaginario di intere generazioni. Ora il Teatro Stabile di Roma diretto da Gabriele Lavia, nel centenario della sua morte, riconosce a Salgari, mettendolo in voce, quel potenziale fantastico che già rapì e fece sognare milioni di lettori in tutto il mondo. Abbiamo assistito al Teatro Argentina, al primo dei quattro capitoli di circa un’ora in cui si articola e sviluppa Il Corsaro Nero nella messa in scena in prima assoluta diretta da Pierpaolo Sepe. Laddove l’unica scenografia concessa è un considerevole sbilanciamento del palcoscenico che cancella la zona centrale della platea e la impresta agli interpreti, ci accoglie, voluto dallo scenografo Francesco Ghisu, inevitabilmente a sipario aperto, un tavolaccio di legno modello 15 uomini sulla cassa del morto, evocativo trampolino di lancio dell’intera vicenda.

er il Sanremo che comincia nel giorno di San Valentino le speranze musicali sono quelle che sono (anche se speriamo in una smentita dei fatti). Tutto bene, anzi meglio del solito, per carità, sul versante del gossip: da settimane la macchina funziona a pieno regime, e finora si è parlato di soldi, Celentani, femmine più o meno scosciate, comici più o meni idioti. Di musica quasi niente. Se non per il fatto che come ospite non ci sarà Stevie Wonder: 500 mila euro risparmiati, visto che se ne dovranno dare da 300 a 750 mila al Molleggiato. Tutto per il meglio, quindi. Anche perché immaginiamo che il meraviglioso Wonder sarebbe approdato sul palco a fare la solita comparsata in playback, oltre a subire qualche domanda in inglese stentato. Ed ecco il punto, Wonder o non Wonder. Ma è mai possibile che all’evento più importante (nonostante Xfactor è ancora così) della musica italiana gli ospiti possano, e a volte debbano, cantare in playback? Gli addetti ai lavori ricordano negli anni Ottanta un Peter Gabriel sconcertato nel venire a sapere che avrebbe dovuto far finta di cantare. Visto che il playback viene usato ormai solo in certe trasmissioni televisive low budget e su qualche piazza di liscio (vergogna, anche le canzoni da argine del Po dal vivo sono tutt’altra storia), non sarebbe il caso di abbandonare la pratica barbara, provinciale, e anche un po’ truffaldina del playback? Un ballerino può far finta di ballare? Un calciatore di giocare? Ma un ospite, specie un big straniero, può ammanire al pubblico italiano un sacchetto di perline e paccottiglia, come se ci si trovasse in una sorta di terra di nessuno. E in parte è vero: l’Italia musicalmente in un certo senso è una terra di nessuno. Ma resta il fatto che il playback per chiunque salga sul palco dell’Ariston, e per i milioni di spettatori tv è uno sconcio. E deve finire.

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Jazz

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Il Corsaro Nero da Salgari a Pepe Pochi elementi, ma d’impatto, si aggiungeranno a illustrare gli avvenimenti; una buona soluzione per movimentare e suggerire i luoghi dell’azione senza stravolgere nulla. Il resto è affidato all’illusione delle luci che colorano la platea rendendola alla bisogna selva o mare e al commento musicale, pressoché costante, che più che altro isola l’azione. Una messa in scena estremamente sobria che asseconda la potenza immaginifica delle parole nell’adattamento di Francesca Manieri. Una grande austerità di sentimenti dimostrano anche gli interpreti in scena, vestiti da Annapaola Brancia D’Apicena, fisicamente ben aderenti ai rispettivi ruoli, a cominciare da Marco Foschi che impersona Emilio di Roccabruna alias il Corsaro Nero ai filibustieri tutti: Francesco Ferrieri, Giovanni Granatina, Mario Pietramala, Federica Rosellini (in questo episodio im-

pegnata nel ruolo del notaio), Diego Sepe e Nicola Sisti Ajmone. Alla fine «il lupo di mare mangerà i lupicini di terra» ma senza troppo scomporsi. Numerosi i giovanissimi spettatori in sala, un poco perplessi. Probabilmente, dato l’orario pomeridiano scelto per la presentazione, presumevano un racconto più spettacolarizzato, che neppure a noi sarebbe risultato sgradito, sul piano visivo. Oggi pomeriggio sempre alle 17 sarà la volta del quarto e ultimo capitolo della saga e domani con inizio alle ore 16 un’occasione, al momento unica, per assistere alla maratona dei quattro episodi intervallati da 20 minuti di pausa ciascuno.

Il Corsaro Nero, Roma, Teatro Argentina, oggi e domani, ingresso gratuito, info: tel. 06 684000311 - www.teatrodiroma.net

Antonio Faraò, un talento da Hall of Fame

e riviste italiane che si occupano di jazz, sia quelle a stampa, che le virtuali, ma anche qualche istituzione «delegata» al jazz dalle pubbliche amministrazioni, non hanno mai pensato di dar vita a una Hall of Fame dedicata ai nostri migliori musicisti. Negli Stati Uniti, di queste «Sale della celebrità» ne esistono per il jazz, per il rock e diverse discipline sportive. In Francia, nel 1955, è stata fondata l’Académie du Jazz i cui «accademici» sono scelti fra le più alte personalità della cultura jazzistica e non solo. Oltre a Boris Vian, le cui fantasiose improvvisazioni alla cornetta sono conservate in qualche raro disco, inizialmente ne fecero anche parte Jean Cocteau e i compositori George Auric e Henri Sauguet. Fra la Hall of Fame e l’Académie di Jazz esiste un differenza, ma i criteri sono simili. Per la prima, ogni anno viene scelto un nome da tramandare

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di Adriano Mazzoletti ai posteri. Per la seconda, sono i componenti dell’Accademia stessa che stabiliscono, dopo vivacissime discussioni, i vincitori delle varie categorie. Non giornalisti e critici specializzati come invece avviene nei normali referenda sia in Italia che all’estero. Quest’anno l’Académie ha votato quale miglior musicista europeo per il 2011 il sassofonista friulano Francesco Bearzatti, che ha ottenuto riconoscimenti anche nel Top Jazz della rivista Musica Jazz dove, ai primi posti, accanto a Bearzatti, si sono classificati anche Franco D’Andrea, Rita Marcotulli e i nuovi talenti Fulvio Sigurtà e Giovanni Falzone. Scorrendo le varie classifiche in cui è suddiviso il Top Jazz italiano, brilla l’assenza del pianista Antonio Faraò, del quale è stato appena pubblicato l’ultimo album, Domi, con il contrabbassista Daryll Hall e il batterista

francese Dede Ceccarelli. Dieci composizioni dello stesso Faraò che si rivela pianista di altissimo livello. Sul valore di questo strumentista romano

non possono esistere dubbi. I numerosi dischi da lui incisi negli ultimi venticinque anni lo confermano. È invece la sua opera di compositore raffinato che coniuga la consuetudine afro-americana con la tradizione romantica europea, a emergere da quest’ultimo lavoro che avrebbe meritato una menzione più che favorevole. Ciò che infine colpisce negativamente è che in questi Top Jazz non sono menzionati e, visto l’impostazione del referendum non potrebbe essere diversamente, i grandi musicisti del passato, i cui nomi molto raramente appaiono sulle pagine delle pubblicazioni specializzate. Una Hall of Fame potrebbe dunque dare il giusto riconoscimento a quei musicisti italiani che ci hanno lasciato o che non sono più in attività, le cui opere meritano di essere ricordate e tramandate. Antonio Faraò, Domi, Cristal, Distribuzione Harmonia Mundi


MobyDICK

Anticipazioni uesta non è la storia di una donna d’altri tempi, ma di una donna di oggi che è vissuta in tempi che paiono molto lontani. Scrittrice, poetessa, partigiana, medaglia d’argento al valor militare, moglie del politico e scrittore Emilio Lussu… ecco, di Joyce è giusto cominciare a dire questo, anche se lei odiava essere presentata come «la moglie di». D’altra parte, per il suo amore sconfinato verso un uomo col quale condivise lotta politica, passioni culturali, avventure e disagi, si fece sempre chiamare Joyce Lussu. Superando così le sciocchezze del femminismo di facciata, il formalismo che nulla modifica nell’essenza di una persona. Era orgogliosa di dichiararsi Lussu: non era un rinnegare il suo nome «da ragazza», ma l’essere sempre vicino al suo Emilio, più anziano di lei di 22 anni, al suo «compagno di trent’anni… le nostre vite sono intrecciate come i vimini del canestro…», come si legge in una sua poesia scritta quando lui morì, nel 1975.

libri

11 febbraio 2012 • pagina 15 “Femme à la chemise” di Picasso. Sotto, Joyce Lussu e la copertina del suo “Portrait”. In basso, la poetessa col marito Emilio Lussu

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Joyce, nata nel 1912 a Firenze (ma di origine marchigiana), ha rappresentato la donna nuova del secolo. Quella che sosteneva che la regina della casa, la moglie o la convivente non doveva essere «palla al piede» per l’uomo e per se stessa. In più: «Se fossi rimasta a casa ad aspettarlo, l’avrei annoiato». Vuole, fortemente vuole - e questa sua ribellistica volontà viene condivisa da Lussu costruire un rapporto nuovo uomo-donna, si batte, sia durante la guerra sia dopo, per sottrarre le donne dal confino psicologico nel quale sono scaraventate da tutti, socialisti e comunisti compresi. Lei che ha fatto il servizio militare a Londra, lei che fu partigiana attivissima, lei che non rinunciava mai a interrogarsi anche sul rapporto inter-generazionale, lei che criticò fortemente molte femministe d’anteguerra confluite in movimenti autoritari se non razzisti, lei che ha avuto l’ardire d’essere femmina «in prima linea» e non caricatura di donna che stando nelle «retrovie» s’illude d’incidere sulla storia, ebbene, Joyce Lussu ha sempre inteso porre tra sé e il mondo lo spazio della libertà. E rivendica questa sua posizione in Portrait, svelta e pungente autobiografia proposta dall’editore L’asino d’oro (148 pagine, 12,00 euro), in libreria dal 17 febbraio e di cui parliamo in anteprima. Fiorentina, dicevamo, ma discendente da una famiglia nobile (Salvadori Pa-

sofo napoletano «diceva che la donna ha un intelletto inferiore a quello dell’uomo, con capacità di analisi ma non di sintesi, d’immaginazione ma non di fantasia». Aggiungendo però: «Ma tu sei un’eccezione». Joyce s’infuria ancora di più. Così come di fronte al suo «sempilicistico panico del proprietario terriero» dinanzi all’incubo maxista: «Le sue reazioni erano primordiali, come se nei suoi ottantamila volumi non avesse trovato nulla che servisse ad affrontare ragionevolmente le novità della storia che viveva: la Rivoluzione d’Ottobre, il fascismo». Tuttavia tra loro non mancò mai la cordialità affettuosa.

La vita in trincea di Joyce Lussu Per trent’anni è stata al fianco di Emilio, e con lui in una speciale “corrispondenza di amorosi sensi” ha condiviso ideali, battaglie, scelte. Poetessa e saggista, autenticamente donna prima che femminista, il suo ritratto in una pungente autobiografia postuma, prossimamente in libreria di Pier Mario Fasanotti leotti) che aveva legami parentali con personaggi anglosassoni di rilievo, tra cui un deputato. Il nome vero è Gioconda Beatrice. Suo padre, il conte Guglielmo, un liberale, nel 1906 si trasferisce da Porto San Giorgio a Firenze. Docente universitario ricco di cultura ma materialmente povero, viene picchiato dagli squadristi. Di qui le peregrinazioni in Svizzera (fino al ’34). Ecco la formazione così poco provinciale di Joyce: parla diverse lingue, studia privatamente, prende la maturità in Italia, si laurea in Lettere alla Sorbona di Parigi e in filologia a Lisbona. Ad Heidelberg segue le lezioni del filosofo Karl Jasper. In Germania s’accorge che l’«abbaiare» sguaiato di Hitler non è un caso isolato. Le fanno ribrezzo i giovani «machi e teutonici», fanatici del mensuren (rito del duello). Giovani che avrebbero indossato le lugubri ed eleganti divise naziste: «… le facce avevano la stessa espressione arrogante… la loro ottusità mi sconvolse… forse la cultura che mi serviva avrei dovuto cercarla da un’altra parte». Prima del soggiorno in Germania frequenta la casa di Benedetto Croce, al quale fa leggere le sue poesie. Con lui ha il coraggio di discutere ad alta voce, soprattutto quando il filo-

I suoi compagni di idee e lotta politica le affidano compiti di staffetta. Doveva cercare Emilio Lussu, l’intellettuale fondatore del Partito Sardo d’Azione, colui che fuggì assieme a Carlo Rosselli dall’esilio di Lipari nel 1929. L’incontro: «L’amore era stato immediato e totale… nella deflagrazione interiore innestata dal primo sguardo c’era già tutto». Insieme costituiscono un «consortium omnis vitae, evitando che l’abitudine anneghi nella camera matrimoniale». Si sposeranno nel 1944 nella Roma liberata dai nazisti poco prima della nascita del figlio Giovanni. Forzatamente girovaghi nell’Europa sotto il tallone di ferro dei tedeschi, sono d’accordo, perfettamente d’accordo che ognuno possa, anzi debba, seguire propri percorsi e inclinazioni. In prima linea, ma non sempre e necessariamente insieme. «Il vero amore per la casa non è un amore patrimoniale - scrive Joyce nelle sue memorie - si può avere una casa anche facendo vita randagia… cambiavamo casa come si cambia un cappotto, ma ogni stanza era sempre una casa». Uniti, entrambi, alla formazione partigiana Giustizia e Libertà, di stampo socialista. Dopo aver assistito alla resa della Francia alle truppe del Reich («Parigi cadde senza che un solo cecchino sparasse sui tetti»), dopo aver rabbrividito vedendo «le simmetrie impeccabili da corpo di ballo» dei nuovi (ma provvisori) vincitori, il viaggio verso il Sud. Lei sempre attiva: «Sono una donna, non una donnetta. Se c’è da fare la guerra, la faccio anch’io». Infine la guerra cessa. Emilio Lussu, autore di Un anno sull’Altopiano (che ispirerà il film di Rosi Uomini contro) e di altri libri, diventa ministro. Joyce è contenta. Molto meno però a fare la «signora di sua eccellenza». Ed ecco che s’inventa, lei poetessa e saggista, un nuovo incarico: scovare in varie parti del mondo i poeti che debbono essere tradotti per essere sottratti all’oblio, artistico e umano. Scopre, e traduce (passando tra varie lingue) il turco Nazim Hikmet, l’angolano Agostino Neto, poeti curdi, albanesi, vietnamiti, africani, mediorientali in genere. Viaggia senza sosta, anche per tenersi lontana dallo sdegno che prova verso «i compagni maschilisti» dell’Italia del dopoguerra. Alla morte del marito, lei ormai nonna, lascia Roma per le Marche. Ma va spesso nella Sardegna dell’amato Lussu. Muore nel 1998. Fiera di una vita in trincea.


ai confini della realtà I misteri dell’universo

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a matematica è un campo vastissimo delle scienze, si stima che siano stati scritti circa centomila libri e quattro milioni di articoli. Le prime opere sistematiche risalgono al quinto secolo a.C. - un lavoro in sanscrito tradotto da Subhash Kak sulla matematica della musica - e hanno avuto sviluppi nell’epoca classica in Occidente per merito di studiosi greci, mentre va notata l’assenza di quelli romani. Ricordiamo in particolare l’opera di Euclide a noi pervenuta intatta, costituita non solo da libri di geometri ma anche da un complesso e misterioso libro sui numeri; le opere di Archimede quasi tutte perdute (pare che avesse avuto l’idea del calcolo infinitesimale, poi sviluppata da Newton e Leibnitz); l’opera di Diofanto sulle curve quadratiche e sulle speciali equazioni a coefficienti interi dove si cercano soluzioni intere. Di Diofanto recentemente sono stati ritrovati quattro libri perduti nella biblioteca della moschea di Mashad, città sacra iraniana, più nota per i suoi cinquemila corani. Ricordiamo un’altra opera in sanscrito dell’epoca di Giustiniano, tradotta anch’essa da Kak, dove viene introdotto il metodo per la soluzione di sistemi di equazioni lineari noto ora come metodo a eliminazione e di solito attribuito a Gauss... metodo che fu anche utilizzato dai cinesi oltre mille anni fa.

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Venendo ai tempi più recenti di Newton e Leibnitz, assistiamo allo sviluppo del concetto di funzione e delle sue proprietà, dalle quali si arriva naturalmente alle equazioni differenziali, classificate generalmente in ordinarie (Odp), e alle derivate parziali (Pde). Quelle relative alle derivate parziali trattano di problemi in più variabili e sono classificate in prima approssimazione in ellittiche (per problemi di equilibrio, ad esempio nascenti nelle costruzioni), in paraboliche (relative alla diffusione del calore, chi scrive ne analizzò una che nasce nello studio dei reattori nucleari), iperboliche (relative ai moti dei fluidi; un campo questo assai complesso con molte questioni aperte). Quelle ordinarie sono più semplici - si fa per dire - e appaiono ad esempio in problemi di vibrazione di una corda e in problemi di evoluzione nel tempo di un certo fenomeno. In questo campo rientrano le equazioni di moto di corpi nei campi gravitazionali, quindi dei pianeti e loro satelliti, o di sonde spaziali una volta che sia cessato l’effetto propellente. Tali equazioni sono essenzialmente quelle derivate da Newton, risolubili in modo semplice solo nel caso d’interazione fra due corpi; Newton credeva di poterle risolvere anche nel caso di tre corpi, per spiegare in dettaglio il moto della luna, ma non riuscì, ottenendo quasi un esauri-

MobyDICK

L’algoritmo di Trigiante

di Emilio Spedicato mento nervoso. È ora noto che il problema a tre corpi non ammette una soluzione «in forma chiusa» e ha un’incredibile complessità, si scoprono sempre comportamenti imprevisti e ritenuti impossibili, come orbite a forma di otto, dove i tre corpi s’inseguono avvicinandosi e allontanandosi, senza mai toccarsi... Per i problemi che non hanno so-

cosiddetti metodi di Runge-Kutta e sono ancora oggi quelli usati dalla maggioranza degli astronomi, non a conoscenza degli sviluppi ulteriori. Questi metodi generalmente funzionano bene, ma in vari casi non sono accurati per previsioni su lunghe distanze temporali. Ad esempio recentemente sono stati testati una dozzina

breria scientifica di metodi di calcolo) e passò poi all’Università. Il suo interesse ha riguardato in particolare le ODE, dove ha ottenuto risultati straordinari, guidando anche un team di ricercatori di alta qualità. Uno dei suoi risultati più importanti in pratica è dato da un nuovo algoritmo per la soluzione di equazioni differenziali, in cui, tenendo conto in modo più raffina-

Ricordo del matematico italiano, docente di analisi numerica all’Università di Firenze, da poco scomparso. Esperto di Ode (ordinary differential equation) ha avuto il merito di fornire un nuovo procedimento sistematico di calcolo per risolvere le equazioni differenziali luzione in forma chiusa, necessitano algoritmi di calcolo numerico, dei quali va studiata la complessità, l’accuratezza numerica, le proprietà di convergenza (ovvero di avvicinare veramente la soluzione...). Questo è campo della cosiddetta analisi numerica, che ha avuto i primordiali sviluppi nell’Ottocento e prima della seconda guerra mondiale, sviluppi divenuti tumultuosi con la disponibilità dei calcolatori, creati all’inizio per scopi in parte militari e secondo l’architettura disegnata dal grande John Von Neumann. All’inizio del Novecento i metodi numerici migliori per le Ode (ordinary differential equation) erano i

di codici standard per lo studio del moto dei pianeti, valutando le posizioni stimate a 2000 anni dopo oggi e prima di oggi. I risultati sono tutti diversi, il che significa che stabilire date sulla base di eclissi registrate nel passato è una operazione poco credibile.

D o n a t o T r i g i a n t e , ordinario di analisi numerica all’Università di Firenze, è stato uno dei maggiori analisti numerici italiani, e persona per cui ho avuto grandissima stima per le qualità scientifiche e per le qualità umane; la sua curiosità di persona colta lo volgeva anche a studiare problematiche esterne al suo campo. Di origine pugliese, lavorò agli inizi nell’Ibm (la quale aveva prodotto forse la prima li-

to delle informazioni sul problema, ottiene una soluzione assai più precisa che con i metodi tradizionali. Qui ricordo come il professor Cordani dell’Università di Milano, uno dei maggiori specialisti in Italia di meccanica celeste, venuto a conoscenza mio tramite del metodo suddetto, lo applicò a un difficile problema, quasi non credendo che si potesse ottenere una soluzione così accurata. Donato Trigiante è scomparso lasciando un grande vuoto, dopo una lunga lotta contro un tumore, e da poco avendo lasciato l’università. Ha un figlio laureato in chimica e appassionato della matematica, dove ha ottenuto un fondamentale risultato relativo al cosiddetto problema dei quattro colori.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g

Sto con Casini e Bersani: ora vogliamo scegliere i nostri politici

LA DIMENSIONE POLITICA DEI CATTOLICI (II PARTE) L’ultimo ventennio rappresenta un’occasione sprecata o forse un’ulteriore conferma dell’incapacità del bipolarismo di rappresentare le molteplici complessità della società italiana. Troppo riduttivo, grezzo e muscolare per riuscire ad esercitare la necessaria complessa mediazione tra posizioni spesso distanti anche se non antitetiche. Troppo invischiato dalla perversa logica amico/nemico, dalla contrapposizione ad ogni costo. Una logica da hooligan della politica che è stata sì capace di polarizzare il popolo italiano ma a quale prezzo è sotto gli occhi di tutti evidente. Nella fase attuale quale dovrebbe essere la posizione dei cattolici? A mio parere è necessario recuperare il messaggio del Concilio Vaticano II che affida la concreta determinazione della dottrina sociale a due fattori: a) all’autonomia dei laici; b) alla specificità delle Chiese locali. Dai laici e dalle parrocchie deve ripartire l’impegno dei cattolici nella realtà sociale. In verità tale impegno non è mancato in questi anni. È mancata, invece, la dimensione politica di questo impegno. La capacità, attraverso la mediazione culturale, di riuscire con un rinnovato “compromesso costituzionale” a far lievitare le masse che, invece, appaiono oggi sempre più pericolosamente secolarizzate e relativizzate. Un compromesso costituzionale ha però bisogno di interlocutori/mediatori realmente rappresentativi e dunque forti. In quest’ottica da Todi, a mio parere, parte l’impegno dei cattolici a dialogare fra loro ed a restare uniti. A superare le differenze che paradossalmente fanno il gioco di coloro i quali hanno tutto l’interesse a vedere “diviso” il mondo cattolico. Ignazio Lagrotta C O O R D I N A T O R E RE G I O N A L E CI R C O L I LI B E R A L PU G L I A

Leggo sul vostro giornale che si parla finalmente della riforma elettorale. Pier Ferdinando Casini e Pier Luigi Bersani sembrano determinati ad andare in fondo, e coinvinti che sia arrivato il tempo di porre fine a un disastro chiamato Porcellum. Penso che finalmente si dia retta a un’esigenza che noi cittadini avvertiamo da tempo. Siamo stufi di vedere il nostro voto buttato dalla finestra, a tutto vantaggio di personaggi spesso non all’altezza delle grosse sfide che attendono il Paese. La politica deve fare in modo che la democrazia torni ad avere senso.Troppi personaggi senza meriti abbiamo visto sfilare in questi anni, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Se si chiede agli italiani di fare sacrifici, di impegnarsi per ricostruire il Paese, di rinunciare a quei privilegi come le pensioni e il lavoro fisso, il mondo della politica ha il dovere di lasciare spazio ai più meritevoli. Tutti gli italiani hanno voglia di trovare un punto di riferimento, perché il Parlamento di nominati con il quale ci troviamo ad avere a che fare oggi, ci fa sentire soli. Non sappiamo a chi manifestare i nostri bisogni, e non abbiamo il potere di mandare a casa chi ci delude.Vogliamo finalmente contare qualcosa.

Mariano Cirillo

UNA PICCOLA RIVOLUZIONE: IL CERTIFICATO SUBITO Basta con le file e il tempo perso per le “scartoffie”: nella Pubblica Amministrazione è l’ora del “real time”, cioè il certificato subito, in tempo reale. La burocrazia telematica, grazie all’impulso del decreto sulle liberalizzazioni, permetterà l’accesso ai certificati on line, validi dal momento stesso in cui, ad esempio, comunichiamo un cambio di residenza. Una piccola rivoluzione, sia pur tardiva. L’ha annunciata il ministro della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi: «la vera novità del provvedimento è che si potranno fare molti più documenti online. Le anagrafi si connetteranno tra di loro online e si “parleranno”tra di loro. I documenti inoltre avranno effetto immediato».

Angelo Colli

di avere un grave difetto, quello di non conoscere la grave realtà sociale ed economica italiana; alcuni sembrano venuti dalla luna piuttosto che dalle Università. Ha cominciato la ministra Fornero con la proposta di riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha continuato il viceministro Martone con l’affermazione che chi a 28 anni non è laureato è uno sfigato, ha proseguito l’altro giorno Mario Monti sostenendo che il posto fisso è una monotonia. Sono affermazioni che, da un lato, fanno preoccupare per i provvedimenti che adotterà nel prossimo futuro il governo Monti e che, dall’altro, rivalutano, almeno in parte, i politici (almeno quelli di centro-sinistra). Essi hanno tanti difetti ma almeno hanno l’accortezza di non urtare la suscettibilità dei tanti italiani colpiti dalla crisi economica.

Franco Pelella

LE AFFERMAZIONI DEI GOVERNANTI URTANO LA SUSCETTIBILITÀ DEGLI ITALIANI

A PROPOSITO DI “MARIUOLI”

Sono uno dei tanti italiani di sinistra che, dopo il buio berlusconiano, ha salutato con soddisfazione l’avvento del governo tecnico. E le prove che fino ad ora ha dato questo governo non sono disprezzabili. Il fatto che esso goda della stima di tanti governanti, dei mercati e di molti italiani non è un risultato da sottovalutare. Ma i componenti del governo stanno dimostrando

Il prossimo 17 febbraio ricorreranno vent’anni da quello stesso giorno del 1992, in cui con l’arresto in flagranza del socialista “mariuolo” (così definito da Bettino Craxi) Mario Chiesa, presidente allora del Pio Albergo Trivulzio di Milano, ripreso con una microtelecamera dall’imprenditore Luigi Magni, mentre gli consegnava 7 milioni di lire, assicurandogli che gliene

L’IMMAGINE

REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)

Vi siete mai chiesti da cosa dipende il senso dell’orientamento? Sicuramente da diverse funzioni cognitive come percezione, attenzione e memoria, e di conseguenza coinvolge molte regioni cerebrali. In particolare, l’ippocampo, situato nel lobo temporale, è responsabile della memoria spaziale e consente di crearsi una mappa mentale dell’ambiente. In uno studio coordinato dallo psicologo Giuseppe Iaria, dell’Università della British Columbia (Canada), si è visto che i soggetti più abili nell’orientarsi, hanno un ippocampo più strutturato ed efficiente. Ma si può migliorare con l’esperienza: in una ricerca dello University College di Londra, si è osservato che nei tassisti l’ippocampo posteriore è più sviluppato, specie in quelli che lavorano da più tempo. Esiste, infine, una differenza tra gli uomini e le donne, nel senso che gli uomini hanno un migliore senso dell’orientamento. C’è da dire anche che i due sessi usano strategie diverse: gli uomini creano una rappresentazione generale dello spazio, le donne si affidano a specifici punti di riferimento.

avrebbe portati altri 7. Dopo qualche minuto, la porta dell’ufficio di Mario Chiesa si spalancò ed entro il pm Antonio Di Pietro scortato dai militari dell’Arma, chiedendogli spiegazioni su quei 7 milioni. Chiesa gli rispose: «Sono miei», e Di Pietro gli replicò: «No, quelli sono soldi nostri». Quei 7 milioni di lire furono il sassolino che formò la valanga di Mani Pulite, che portò alla ribalta non episodi isolati di corruzione, bensì un sistema efficiente e generalizzato di riscossione di tributo illegale su ogni transazione o concessione nella quale il “pubblico” fosse parte in causa. Infatti, tutti i partiti ed i loro emissari lucravano su tutto: sugli appalti, sui progetti, sui permessi per un’opera, sulle forniture, sull’approvazione persino di una determinata legge, su tutto ciò che comportasse o facilitasse un flusso di denaro.“Mariuoli”ve ne sono stati tanti nella screditata dirigenza politica italiana. Per fortuna che ora abbiamo al governo una “teocrazia bancaria” che, al di sopra di ogni sospetto, saprà, forse, svolgere con la benedizione del Presidente Napolitano, e con il sostegno tripartisan in Parlamento, un elevato e anche unico in Europa “tecnicismo economico” e, speriamo, di moralizzazione della vita pubblica, di cui c’è tanto bisogno.

FERMARE LA PROMOZIONE DEL GIOCO D’AZZARDO PRESSO I MINORI

Venerdì 2 marzo - ore 11 Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 - Roma

VINCENZO INVERSO COORDINATORE NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Questione di... ippocampo

Angelo Simonazzi

APPUNTAMENTI

CONSIGLIO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

LE VERITÀ NASCOSTE

A nascondino sott’acqua La platessa ha fatto del mimetismo la sua arma nella lotta per la sopravvivenza. La sua forma piatta allungata e la livrea bruna con sfumature variabili dal giallo al rosso le permettono di confondersi con la sabbia e la ghiaia dei fondali. Ma non solo: gli occhi della platessa sono entrambi sullo stesso lato del corpo. In questo modo, adagiandosi sulla sabbia, mantiene intatta la sua capacità visiva

Non è accettabile che i Monopoli di Stato patrocinino una campagna multimediale di promozione del gioco d’azzardo presso le scuole e i minori (“Giovani e gioco”), una campagna che parlando di gioco responsabile di fatto promuove tra i minori il gioco d’azzardo e irride chi non lo pratica, come denunciano cinque associazioni sociali di primo piano. Il gioco d’azzardo è comunque vietato ai minori, ed è noto quanto grandi siano gli interessi della criminalità organizzata in questa industria.

Bartolo Ippolito


mondo

pagina 18 • 11 febbraio 2012

Incontri al vertice fra l’ex presidente Jimmy Carter e la Guida suprema del Fjp, Mohammad Badie. Gli islamisti non sono più il nemico

Un anno dopo Mubarak Washington e i Fratelli Musulmani cercano un accordo. Il Raìs è ormai dimenticato di Salah al-Nasrawi preparativi sono finalmente terminati per la lungamente attesa instaurazione di rapporti diretti tra gli Stati Uniti e la Fratellanza Musulmana, il maggiore gruppo islamico dell’Egitto. Il partito “Libertà e Giustizia” (Fjp) dei Fratelli Musulmani ha ottenuto quasi la metà dei seggi alle elezioni della camera bassa del parlamento, le prime dopo la cacciata di Hosni Mubarak l’11 febbraio scorso. Diversi funzionari statunitensi – tra cui la seconda più alta carica diplomatica del Dipartimento di Stato, William Burns – si sono recentemente incontrati con i leader dell’Fjp. L’ex presidente americano Jimmy Carter, largamente considerato come un emissario

I

Morsi come un’opportunità per rafforzare la speranza degli Stati Uniti che il nuovo governo egiziano sosterrà i diritti umani, i diritti delle donne e la tolleranza religiosa, e rispetterà il trattato di pace tra Egitto e Israele. Un funzionario americano che ha preferito rimanere anonimo, ricorrendo a un linguaggio scevro da finezze diplomatiche ha affermato che il dibattito verteva su «come gli Stati Uniti, la Banca Mondiale e il resto della comunità internazionale possono aiutare la fragile economia egiziana a riprendersi dopo la rivoluzione dello scorso anno». Traduzione: Washington è pronta a sostenere un governo guidato dai Fratelli Musulmani ed a continuare

Stati Uniti, Banca mondiale e il resto della comunità internazionale possono aiutare la fragile economia del Cairo a riprendersi dopo la rivoluzione. L’importante è non cominciare a mercanteggiare di Washington per la diplomazia segreta, ha incontrato la Guida suprema dei Fratelli Musulmani, Mohammad Badie, il suo numero due e principale stratega del gruppo, Khairat ElShater, e il leader dell’Fjp Mohamed Morsi. Gli incontri sono stati definiti «storici». Certamente essi sottolineano un cambiamento fondamentale nella politica americana nei confronti degli islamisti in Egitto, a lungo scansati come “paria”dagli Stati Uniti i quali hanno dato la precedenza all’autocrazia di Mubarak, un alleato disponibile reclutato da Washington per promuovere i propri interessi regionali.

In un momento in cui la diplomazia mediorientale degli Stati Uniti è impantanata in una situazione di stallo riguardo al programma nucleare iraniano e alle paure di una nuova guerra che potrebbe interrompere le forniture petrolifere, l’ascesa degli islamisti innescata dalle rivoluzioni della Primavera araba sembra assumere un ruolo centrale nella politica estera degli Stati Uniti nella regione. Il portavoce del Dipartimento di Stato Victoria Nuland ha definito la discussione tra Burns e

a fornire assistenza economica e militare all’Egitto, a condizione che il movimento islamico si attenga alla piattaforma moderata che ha promosso fin dalla caduta di Mubarak, che prevede fra l’altro un chiaro impegno a rispettare il trattato di pace del 1979 con Israele.

Tuttavia, sembra che ci sia una bella differenza di “enfasi” nella versione che i Fratelli Musulmani hanno dato delle discussioni dietro le quinte, le quali hanno incluso un incontro supplementare tra Badie e l’ambasciatore americano in Egitto, Anne W. Patterson. Secondo due dichiarazioni pubblicate sul sito web della Fratellanza, Badie avrebbe detto a Carter e Patterson che gli Stati Uniti dovrebbero «rispettare la volontà del popolo» egiziano e «trattare con i suoi rappresentanti eletti». Egli ha anche insistito sul fatto che Washington dovrebbe cambiare la sua politica nei confronti della Palestina, definita la «grande causa del mondo arabo e islamico». Morsi, nel frattempo, ha affermato di aver detto a Burns che i rapporti fra Stati Uniti ed Egitto «devono essere equilibrati». Traduzione: 1) gli Stati Uniti do-

vrebbero gestire le proprie relazioni con l’Egitto in primo luogo attraverso i canali dei Fratelli Musulmani, essendo questi ultimi la forza politica più ampia e influente nella fase postMubarak in Egitto; 2) sebbene il movimento onorerà gli accordi di Camp David con Israele fino a quando lo riterrà necessario, esso non abbandonerà i palestinesi; 3) Washington dovrebbe smettere di dare per scontato l’appoggio dell’Egitto, e dovrebbe trattare su un piano di parità con il paese governato dalla Fratellanza. Nonostante la contesa verbale e l’assenza di chiarezza, resta il fatto che Washington, costretta dai cambiamenti determinati dalla Primavera Araba, sembra aver avviato un processo volto a creare un rapporto sostenibile, e probabilmente una divisione dei compiti, con i Fratelli Musulmani.

Sono finiti i giorni in cui i Fratelli Musulmani erano uno spauracchio. Ed è benvenuto il pragmatismo, famoso strumento diplomatico americano per bilanciare i rapporti e gli interessi con i nemici ideologici del passato. I flirt tra gli Stati Uniti e gli islamisti non sono una novità. Durante la Guerra Fredda, i gruppi islamici ricevettero sostegno e anche fondi dagli Stati Uniti allorché entrambi erano impegnati contro i comunisti, gli esponenti della sinistra e i panarabisti. Durante l’amministrazione Carter vi fu un matrimonio temporaneo tra gli Stati Uniti e gli islamici che raggiunse il suo apice in Afghanistan, quando questi due protagonisti si unirono per combattere i sovietici. L’amministrazione Obama ha finora mantenuto un basso profilo riguardo ai colloqui con i leader della Fratellanza, sollevando interrogativi fondamentali riguardo alla possibilità o meno che gli Stati Uniti abbiano già messo a punto una strategia coerente, con un orientamento chiaro su come trattare con l’Egitto governato dagli islamici nella fase successiva alla Primavera Araba. Interrogativi in gran parte senza risposta rimangono anche riguardo al tema più generale della strategia complessiva de-

gli Stati Uniti nei confronti degli islamici. I Fratelli Musulmani sono in qualche modo un’internazionale islamica, i cui membri si estendono dall’Indonesia al Marocco, e ci si può domandare se Washington sia disposta a riconoscerli anche come il principale gruppo che parla a nome degli islamisti di tutto il mondo. Nessuno sa come si evolverà questa nuova “storia d’amore” fra gli Stati Uniti e gli islamici, ma, se si rivelerà un matrimonio di convenienza, le conseguenze complessive e i risultati macroscopici del nuovo approccio prag-

sione di Mohamed ElBaradei di rinunciare alla sua candidatura presidenziale è stata una protesta sia contro la mancanza di direzione da parte di Washington sia contro gli insuccessi della giunta militare nella gestione del periodo di transizione.

I contatti con i Fratelli Musulmani in Egitto, inoltre, non dovrebbero essere un mero esercizio di dialogo diplomatico finalizzato esclusivamente a mettere in evidenza la tradizionale agenda americana in Medio Oriente: essenzialmente richiedere la pace con Israele in cam-

La decisione di El Baradei di ritirarsi dalla corsa presidenziale è stata una protesta sia contro la mancanza di supporto da parte di Washington sia contro gli insuccessi della giunta militare matico di Washington saranno certamente più sfumati. Il ruolo di Washington nell’Egitto dell’era successiva alla Primavera Araba dovrebbe essere quello di sostenere un’agenda democratica definita a livello locale. Nel contesto dell’Egitto e del Medio Oriente di oggi, questo significa che Washington dovrebbe evitare tattiche e manovre che indeboliscono e compromettono il fronte democratico. I democratici egiziani si sentiranno traditi se si troveranno ostacolati da un nuovo muro di interessi e di unilateralismo da parte di Washington. La deci-


mondo

11 febbraio 2012 • pagina 19

Durissima la Turchia: «Assad è il nuovo Milosevic»

Escalation ad Homs, stallo all’Onu Mosca: «In Siria forze speciali di Qatar e Gran Bretagna. Ma Londra smentisce di Luisa Arezzo

Sopra, l’ex presidente Usa Jimmy Carter con la guida suprema dei Fratelli Musulmani Mohammad Badie. A sinistra, il diplomatico William Burns. Sotto, Hosni Mubarak e disordini al Cairo. A destra, un tank ad Homs

bio di un buon rapporto d’interesse con Washington. Gli Stati Uniti dovrebbero smettere di guardare all’Egitto attraverso la lente di Israele, e perciò evitare di subordinare la loro assistenza economica all’Egitto a una serie di condizioni legate alla percezione che lo Stato israeliano ha della pace.

Quanto ai Fratelli Musulmani, almeno una cosa è certa: che il risultato del dialogo con gli Stati Uniti si trasformerà in un “pastrocchio strategico” se il nuovo approccio non sarà guidato da una visione chiaramente ponderata e basata su saldi principi che porti l’Egitto verso il futuro. Una delle lezioni della rivoluzione del 25 gennaio è che il cambiamento può aver luogo anche senza l’America. L’altra lezione è che la pressione per un governo democratico ora crescerà, qualunque cosa Washington faccia o non faccia. I Fratelli Musulmani rappresentano sia un programma politico nazionale che un movimento nella storia dell’Islam, e dovrebbero essere attenti sia agli imperativi strategici dell’Egitto che alla necessità di realizzare gli obiettivi rivoluzionari di pane, libertà e dignità. La loro legittimazione non deve essere definita e ottenuta attraverso contrattazioni e compromessi, ma piuttosto lavorando duramente per realizzare gli obiettivi della rivoluzione e le aspirazioni degli egiziani. © Medarabnews

entre la comunità internazionale è sempre più divisa sulla crisi siriana, nel Paese si continua a morire. La giornata di ieri è cominciata con un duplice attentato ad Aleppo, la seconda città del Paese, dove sono morte 28 persone (fra cui dei bambini) e ne sono state ferite almeno 235. Gli ordigni sono esplosi contro la sede dei servizi segreti militari e contro una caserma delle forze di sicurezza. Il Libero Esercito Siriano, le forze dell’opposizione ad Assad formate da soldati disertori, si è spaccato sulla responsabilità. Il comandante del Les, il colonnello Riad al Asad, avrebbe rivendicato l’azione con l’agenzia Efe, sostenendo che si tratta di «una risposta al bombardamento del regime contro Homs». Dopo poco un portavoce dello Stesso Les, il colonnello Maher Nouaimi, sentito dalla France Press, ha invece accusato il regime di Assad di essere responsabile del massacro: «Lo hanno fatto per distogliere l’attenzione da quello che stanno facendo ad Homs», la città martire in cui sono stati uccisi secondo gli attivisti oltre 450 persone, di cui una cinquantina solo ieri.

M

Ad Homs, infatti, i carri armati di Assad hanno nuovamente preso d’assalto alcuni dei sobborghi, già martellati dall’artiglieria nei giorni scorsi. Mentre gli attivisti antiAssad denunciano che i soldati stanno effettuando dei rastrellamenti casa per casa.

Sul fronte diplomatico c’è la condanna dell’Ue: il presidente del Consiglio, Herman Van Rompuy, ha accusato il regime di Assad di esseri macchiato di «oltraggiose ed inaccettabili atrocità contro il suo stesso popolo». Da Riad ha fatto sentire la sua voce il sovrano saudita, re Abdullah, secondo il quale il veto posto sabato scorso da Russia e Cina alla risoluzione

Un attentato ad Aleppo semina decine di vittime, mentre a Roma c’è stato un tentato blitz all’ambasciata: 12 arresti del Consiglio di Sicurezza che chiedeva a Assad di farsi da parte in Siria «fa vacillare la fiducia del mondo nelle Nazioni Unite». Ma l’affondo più aspro è del ministro degli Eteri turco, Davutoglu, in visita a Washington: «Avremmo voluto che Assad fosse il Gorbaciov della Siria e, invece, ha scelto di essere il Milosevic siriano». La Russia, infine, non arretra di un passo dal sostenere senza remore il regime di Bashar el Assad. Il vice ministro degli Esteri, Serghei Ryabkov, ha accusato l’opposizione di portare sulle sue spalle «la piena responsabilità di non voler far migliorare la situazione» e l’Occidente di essere loro «complice nell’infiammare la crisi», spingendo gli attivisti verso un aperto conflitto armato.


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grandangolo Un intervento del vescovo emerito di Hong Kong

La Chiesa in Cina è sull’orlo di uno scisma. Aiutatela! La grave denuncia del cardinale Zen: «Il governo di Pechino non ha cambiato la sua politica oppressiva, vuole avere l’assoluto controllo delle religioni e, riguardo ai cattolici, vuole liberare la Chiesa cinese dall’obbedienza alla Santa Sede». Fermare questa deriva è possibile. Soprattutto smettendo di essere tolleranti verso i nemici della fede di Joseph Zen Ze-kiun esidero anzitutto dichiarare tutto il mio rispetto per il grande zelo dei miei amici della Comunità di Sant’Egidio e del mio caro amico Gianni Valente di 30Giorni nei riguardi della Chiesa in Cina. Voglio confermare anche la mia riconoscenza per la loro lunga amicizia nei miei riguardi. Siccome però da un pò di tempo non cercano più di incontrarmi ed io trovo qualcosa di preoccupante in quello che fanno e dicono nei riguardi della nostra cara Chiesa in Cina, credo che sia cosa più proficua che io entri in questa pubblica conversazione attraverso la parola stampata prendendo spunto dall’articolo di Gianni Valente su 30Giorni (9/2011): Intervista con Giovanni Battista Li Su Guang, vescovo coadiutore di Nanchang. Dopo averlo letto con attenzione non riesco a conciliare le bellissime parole di monsignor Li con il fatto (riportato anche sul giornale), che il 14 luglio scorso sua eccellenza abbia partecipato alla ordinazione episcopale illecita di Huang Binzhuang di Shantou.

D

Mi domando anzitutto: perché la Comunità di Sant’Egidio debba invitare a quell’incontro internazionale persone come monsignor Li che sono dal punto di vista ecclesiale gravemente compromesse. Ovviamente, vengono accolti con grande cordialità, il che va bene, e con onore, il che non va bene. Domando poi perché Gianni Valente debba intervi-

stare simili persone, quando si sa che non sono libere di dire quello che pensano. Come può mons. Li Suguang affermare che «la Chiesa in Cina non ha cambiato un solo iota dalla tradizione apostolica», quando non molto tempo prima ha partecipato (forzato o meno) ad un atto che gravemente ferisce l’unità della Chiesa dopo recentissimi chiari richiami della Santa Sede sulla gravità di simile atto.

Forte la polemica contro la Comunità di Sant’Egidio per aver invitato monisgnor Li Su, «gravemente compromesso» C’è evidentemente una situazione dolorosa in Cina e tutti siamo ansiosi di fare qualcosa per venire incontro a quei nostri fratelli. Ma il problema è: fare che cosa? Perché da noi si dice che “con il buon cuore si possono fare cose cattive”, cioè nocive a quelli a cui abbiamo intenzione di fare del bene. Per poter discernere che cosa è oggettivamente bene e che cosa non lo è nella

presente situazione, bisogna anzitutto concordarci su come leggere questa situazione. Mi pare che tutti dobbiamo essere d’accordo nell’ammettere, come afferma il Santo Padre nella sua Lettera del 2007 che la situazione della Chiesa in Cina è anormale soprattutto perché non i nostri vescovi, ma organismi estranei alla Chiesa – Associazione Patriottica, Ufficio per gli Affari Religiosi – stanno guidando la nostra Chiesa. Quasi cinque anni dopo la pubblicazione della Lettera, questa realtà non sembra per niente cambiata. Perché?

Da una parte, il Governo di Pechino non ha cambiato uno iota nella sua politica religiosa di oppressione; vuole avere assoluto controllo delle religioni e, nel caso della Chiesa Cattolica, vuole staccare la Chiesa in Cina dall’obbedienza alla Santa Sede. Da parte nostra, purtroppo, qualcuno non ha accolto sinceramente la Lettera del Papa. Anzi, ha osato manometterla nella sua presentazione, nella traduzione in cinese, e nella sua interpretazione, per cui si è sorvolato sull’ecclesiologia, che invece era stata sottolineata dal Papa, e si è tendenziosamente interpretato l’incoraggiamento del Santo Padre alla riconciliazione come se fosse un invito ad un indiscriminato “travaso” delle due comunità: quella sempre più assoggettata al Governo e quella che era andata in clandestinità per evitare tale soggezione. Lungi da me qualunque giudizio mora-

le sulle persone in quello che ho detto e sto per dire, ma ovviamente molti errori sono stati commessi negli anni recenti.

Il cardinale Josef Tomko, quando è stato fatto Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, aveva già molta esperienza di partecipazione alle sollecitudini del Santo Padre per la Chiesa universale. Questa esperienza, unita alla sua provenienza da un Paese comunista, lo rendeva molto preparato a capire la situazione della Chiesa in Cina. Data poi la politica di apertura di Pechino, gli arrivavano molte informazioni sulla situazione, che gli consigliarono opportuni provvedimenti ovviamente approvati dal Santo Padre. Oltre alla sua prioritaria premura per la comunità clandestina, si era aperto ad una grande comprensione degli anziani vescovi della comunità ufficiale, ordinati illegittimamente in situazioni veramente difficili e sotto grave pressione. Nell’accogliere le loro petizioni di legittimazione, egli richiedeva il consenso del vescovo clandestino (se esisteva nella stessa diocesi) oppure l’opinione dei vescovi clandestini viciniori. Nelle diocesi dove esisteva un vescovo clandestino, questi veniva confermato come Ordinario, mentre quello ufficiale veniva legittimato come Ausiliare. Naturalmente, questa dipendenza canonica era reale in situazioni particolarmente favorevoli, come a Wuhan, mentre altrove essa rimaneva come affermazione di diritto, anche se in realtà i due non erano


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in grado di consultarsi nell’esercizio del loro ufficio pastorale. Simili disposizioni venivano praticate quando giovani candidati, eletti nella comunità ufficiale, si credevano in dovere di chiedere l’approvazione della Santa Sede prima dell’ordinazione episcopale. Nel 2000, il cardinale Tomko, avendo compiuto 75 anni, a norma dei canoni andò in pensione. Nello stesso tempo, all’interno della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, avvenne un completo cambio di personale. La mancanza di esperienza e di expertise causò un vuoto di pensiero e di provvedimenti. La linea iniziata dal cardinale Tomko andò avanti per forza d’inerzia, ma senza quella accuratezza con cui era cominciata. Molti membri della comunità clandestina si lamentava-

La comunità clandestina, che stava fiorendo, adesso corre il rischio di morire di scoraggiamento no che troppo facilmente si legittimavano i vescovi ordinati illegittimamente e si approvavano i nuovi candidati, mentre alla comunità clandestina non si davano più nuovi vescovi quando gli anziani pastori venivano a mancare. Il successore del successore del cardinale Tomko (Ivan Dias, ndr.) aveva l’esperienza di aver lavorato insieme al cardinale Casaroli. Purtroppo questo, che poteva essere un suo punto forte, risultò invece una limitazione, in quanto egli credeva che l’Ostpolitik del famoso cardinale avesse operato miracoli nei Paesi comunisti dell’Europa dell’Est, mentre si sa che almeno il cardinale Wyszy\u0144ski e Papa Woyti\u0142a non erano dello stesso parere e molti ecclesiastici di quei Paesi criticavano severamente tale politica. Il cardinale Casaroli diceva che bisognava cercare se non un modus vivendi, almeno un modus non moriendi, ma in realtà

la fede di quelle Chiese deperiva. Veniamo alla realtà in Cina. Nella convizione che non si poteva porre resistenza allo strapotere del Governo assolutista, si è adottata una strategia di compromesso, se non ad oltranza, almeno in misura preponderante. E che cosa vediamo ora? Vediamo che la comunità clandestina che pure allora fioriva, adesso corre il rischio di morire di frustrazione e di scoraggiamento, perché sembra trascurata e considerata inconveniente dalla Santa Sede. La comunità ufficiale sembra viva e vegeta con le sue chiese aperte piene di fedeli e con i suoi vescovi, molti dei quali con doppia approvazione cioé del Governo e della Santa Sede, ma qual è la vera realtà? Una doppia vittoria? Quando Gianni Valente voleva far sembrare che tutto andava bene perché molte ordinazioni episcopali avevano avuto la doppia approvazione, io ho messo un punto interrogativo in quanto c’era da sospettare che nelle trattative fosse stata la Santa Sede a cedere più che non la controparte cinese.

Dopo molta accondiscendenza da parte della Santa Sede, il Governo cinese non mostra alcuna volontà di rispettare la natura essenziale della Chiesa Cattolica, come viene accettata pacificamente in tutte le parti del mondo civile. Difatti, al primo caso in cui l’approvazione della Chiesa tardava ad essere concessa, il Governo ha proceduto di nuovo unilateralmente ad una ordinazione illegittima a Chengde (novembre 2010), seguita da altre due, una a Leshan (giugno 2011) ed una a Shantou (luglio 2011). Il Governo cinese ha così mostrato di non avere alcuna intenzione di cambiare la sua politica religiosa. Davanti a tali atti di sfida, che hanno tradito la sua sincera volontà di dialogo, alla Santa Sede non rimane che ritornare sulla linea della chiarezza. Non si può perciò accusare la Santa Sede di chiusura. Riflettendo sul recente passato, si è potuto constatare che una politica troppo accondiscendente non otteneva il desiderato contraccambio da parte del Governo e che nel frattempo l’errata compassione ha indebolito la Chiesa al suo interno. Perfino il Santo Padre, ha lanciato l’allarme sulla possibile infiltrazione

di elementi opportunisti nelle posizioni direttive della Chiesa. Non si poteva indugiare più. Il cambiamento di rotta è stato visibile a tutti nelle recenti prese di posizione di fronte alle ultime due ordinazioni illegittime. Comprendo come coloro che credevano in una doppia vittoria nella precedente situazione di compromesso ora pensino che la Chiesa sia in errore per la sua posizione ferma e chiara e che loro giudicano essere chiusura. Per chi, specialmente attraverso Internet dall’interno della Cina, ha il polso su come il popolo fedele vede gli avvenimenti, la linea di chiarezza e fermezza è stata sapiente e necessaria per riconquistare la fiducia di molti che si sentivano smarriti davanti a vescovi che, pur in comunione con la Santa Sede, compivano atti contro l’unità della Chiesa senza che la Santa Sede prendesse seri provvedimenti. Infatti, in passato, la scomunica contemplata nel Codice di Diritto Canonico è stata sovente richiamata, ma non fatta valere concretamente. Ovviamente la situazione attuale è ben differente da quella di qualche decennio fa. Paragonare i presenti vescovi della Chiesa ufficiale con, per esempio, la venerata figura del defunto vescovo Li Duan, tradisce una completa ignoranza dei fatti. Qualcuno ha fatto apparire lo scrivente come uno che allegramente applaudisce al lancio delle scomuniche. Ma i fatti registrati nella storia possono provare che io sono stato tra i primi, vent’anni fa, a patrocinare la causa di quelli della comunità ufficiale. Ho perfino dichiarato davanti all’augusta Assemblea Sinodale per l’Asia che in Cina c’era una sola Chiesa.

Ma oggi non ne sono più così sicuro. Sappiamo certo che quei nostri fratelli sono oppressi dalle minacce e dagli allettamenti del Governo, ma davanti al problema così fondamentale dell’unità della Chiesa Cattolica il nostro dovere è di incoraggiarli al coraggio, come pure ha fatto tante volte il Santo Padre. Sarebbe falsa compassione mostrare che i loro cedimenti siano giustificabili. Ora invitare ad incontri all’estero vescovi compromessi in atti oggettivamente distruttivi della unità della Chiesa sembra molto sconveniente, perché in tali occasioni riceveranno verosimilmente solo atti gentili di incoraggiamento che poi verranno anche abusati come approvazione, da parte del resto della Chiesa, del loro operato. Intervistarli, poi, equivale a far parlare gente che non è libera di dire la verità e che diranno solo cose che favoriscono la causa del Governo. Il fatto è che siamo sull’orlo di uno scisma, con queste ripetute dichiarazioni di voler fare una Chiesa indipendente e di continuare ad ordinare vescovi senza il mandato pontificio. Penso di poter dire che il vero bene per la Chiesa in Cina è di tornare alla sua vera natura come data dal suo fondatore Gesù Cristo e come esposta nella Lettera del Papa alla Chiesa in Cina, cioè, ad essere veramente Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Il vero bene per la Chiesa in Cina non è di consolare gli oppressi perché rimangano nella loro ambigua situazione, ma di incoraggiarli ad uscirne. Il vero bene per la Chiesa in Cina non è di continuare a mercanteggiare con organismi non solo estranei ma chiaramente ostili alla Chiesa, ma di mobilitare vescovi e fedeli a disfarsi di questi. Sto parlando di cose impossibili? Tutto è possibile a chi vuole rimanere fedele ai disegni di Dio, dal quale viene la forza agli umili e il coraggio ai deboli.

e di cronach

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parola chiave SPIRITO

L’invisibile è ciò che conferisce senso e dignità al visibile e al materiale, che altrimenti rimane prigioniero della voragine del tempo che continuamente lo divora. Percepirlo non è privilegio dei pochi che raggiungono la santità o di chi è capace di sviluppare un talento artistico di prima grandezza. È una chiamata alla partecipazione rivolta a tutti…

La realtà materiale non ci basta più di Sergio Valzania e non si vede vuol dire che non c’è. Un’affermazione che sembra incontrovertibile: la base di ogni atteggiamento razionale nei confronti della realtà. Al più si può dissertare sulla potenza delle apparecchiature che si possono rendere necessarie per consentire la visione, anche la semplice traccia di una particella vissuta una frazione infinitesimale di secondo.

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Forse però questo modo di «vedere» le cose non è altro che il punto di arrivo di un lungo percorso di fede, dello sforzo volontario e protratto nel tempo di creare una gerarchia nelle percezioni, il cui esito consiste nel negare l’esistenza a entità che pure percepiamo con evidenza almeno pari a quella che ci viene trasmessa dai nostri sensi. Il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto, l’affetto e l’ostilità, la noia e il divertimento sono problematici, ma si presentano nel corso della nostra vita con caratteristiche di realtà assoluta. Reagiamo alla loro azione nello stesso modo nel quale siamo portati a comportarci di fronte a eventi fisici. «Quelle parole sono state per me come un pugno nello stomaco». Di

più, spesso riconosciamo nelle componenti etiche o estetiche di un oggetto o di un’azione il tratto fondamentale, qualificante di essi.Tutti i film sono sequenze di suoni e immagini della durata variabile fra gli 80 e i 120 minuti, ma alcuni ci piacciono mentre altri ci annoiano. Allo stesso modo tutti i quadri sono fatti di colori distribuiti in modo irregolare sopra un supporto di tela o di legno, ma solo alcuni vengono considerati dei capolavori di grande valore, anche economico: gli altri sono relegati nell’ambito degli oggetti di scarso interesse, nel migliore dei casi puramente decorativi. Allo stesso modo le azioni, e il giudizio che ne diamo, non si riducono a quanto i nostri sensi percepiscono. La loro valutazione in particolare è legata a usi, regole di comportamento, atteggiamenti e attitudini che danno loro un carattere. Ben diverso è pagare distrattamente l’acquisto appena fatto o donare a chi ne ha bisogno gli ultimi soldi di cui si dispone. Eppure il gesto materiale può risultare identico.

Nella sua Introduzione al Cristianesimo Benedetto XVI scrive che «la fede cristiana

comporta l’opzione per cui l’invisibile è più reale del visibile». Credo che la parola chiave di questa affermazione sia opzione. Il futuro Papa - all’epoca della redazione del libro era ancora il cardinale Ratzinger - è attento nello spiegare che la preferenza per l’invisibile rispetto al visibile non è un atto sconsiderato o una scelta drammatica di limiti dell’assurdo, dettata da una fede granitica, dalla determinazione di opporsi all’evidenza del mondo. Tutt’altro, è solo un modo diverso e forse più consapevole di considerare la propria esperienza, fin da quella quotidiana. La ragione viene usata per riconoscere il limite insito nell’uomo, diviene lo strumento attraverso il quale acquisire la consapevolezza della necessità di un affidamento, di compiere una scelta libera di quale percorso si intende effettuare, di ciò in cui si intende credere. Dato che la fede viene percepita come necessaria ed esiste anche se la si aggrappa con determinazione a rifiutare esistenza all’invisibile.

Né la consapevolezza di un invisibile trascendente contrasta con quanto di meglio è capace di dire il pensiero scientifico


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per saperne di più

hanno detto Galileo Galilei

Joseph Ratzinger Introduzione al Cristianesimo Queriniana

Le cose sono unite da legami invisibili: non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella.

Anselm Grun Gesù, immagine dell’uomo Il Vangelo di Luca Queriniana

L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore.

Antoine De Saint-Exupéry

François Mauriac Amare qualcuno significa vedere un miracolo invisibile agli altri.

Gerhard Lohfink Dio non esiste! Gli argomenti del nuovo ateismo San Paolo

John Buchan Un ateo è un uomo che non ha mezzi invisibili di sostentamento.

Jonathan Swift La visione è l’arte di vedere le cose invisibili.

Erwin Schrodinger Che cos’è la vita? Adelphi

Guido Ceronetti Dove tutto è enigma (storia, natura, cosmo) la certezza dell’insolubilità pone un invisibile seme di speranza.

Piergiorgio Odifreddi Sergio Valzania La via lattea - Un ateo impenitente e un cattolico dubbioso in cammino verso Santiago de Compostela Longanesi

moderno, che giustamente rifiuta di limitare l’ambito della ricerca e nello stesso tempo confessa, parola bellissima, i propri limiti senza arroganza. Riconosce il proprio fondamento metodologico nell’attenzione rivolta al misurabile senza pretendere che tutto lo sia. Non confonde la serena consapevolezza di aver realizzato grandi scoperte con la pretesa di poter svelare ogni mistero del creato. Studiare il mondo, scoprirne i meccanismi, è una forma altissima di preghiera che sarebbe prima di tutto sciocco corrompere con pretese prometeiche. Il crollo della Torre di Babele fu dovuto alla pretesa dell’uomo di farsi Dio, primo peccato e fondamento di tutti gli altri. Nel Vangelo di Luca, in 10 38-42, c’è un episodio nel quale il tema del rapporto fra il mondo dei sensi e quello spirituale viene affrontato in maniera semplice e lineare. La collocazione immediatamente successiva alla parabola del Buon Samaritano sottolinea come non si tratti di un invito a rifiutare il mondo quanto a comprenderlo e viverlo nel modo più completo. Nel suo cammino verso Gerusalemme, Gesù si ferma presso due sorelle, In questa pagina: la percezione visibile e invisibile secondo Escher, De Chirico e Harry Potter. A fianco: l’uomo invisibile, protagonista di un celebre film tratto dal romanzo di H.G. Wells. In apertura, il Papa

Marta e Maria. La prima si dedica alle attività che sono necessarie ad accogliere l’ospite, la seconda invece «sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola». Marta si risente di questo atteggiamento di apparente pigrizia di Maria e protesta con Gesù stesso, chiedendogli di invitare la sorella a darle aiuto nello sbrigare le faccende di casa. Una richiesta che a un primo avviso può sembrare logica e addirittura doverosa. C’è sempre del lavoro da fare, il mondo chiama con le sue mille urgenze e chi se ne fa carico vede l’attenzione per altro come una perdita di tempo. Il dedicarsi a qualcosa che non c’è, dato che non cade sotto la percezione dei nostri sensi. Gesù risponde quasi divertito alla richiesta che gli viene rivolta. L’incipit delle sue parole, con la ripetizione del tut-

José Saramago È vero che le cicale cantano, ma è un canto che viene da un altro mondo, è lo stridore dell’invisibile sega che sta tagliando le fondamenta di questo.

Nell’ambito dell’etica e dell’estetica si producono quei cortocircuiti fra la materia e lo spirito che caratterizzano la nostra esperienza umana. Una rete ricca di contraddizioni che è il pregio della vita

to insolita nei vangeli del nome della persona cui si rivolge «Marta, Marta», carica di affetto e di delicato rimprovero esprime tutta l’amicizia del Cristo per la donna, ma quello che segue non lascia spazio al dubbio «ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una sola c’è bisogno; Maria si è scelta la parte migliore, che non le verrà tolta». L’invisibile che prevale sul visibile, con la precisazione del fatto che la cura della propria persona spirituale, della propria anima, dà frutti che non vanno mai perduti. Il messaggio potrebbe sembrare di natura esclusivamente religiosa, ma i valori laici e civi-

li che vi sono insiti non possono essere trascurati. Del resto alla radice del cristianesimo si trova una visione dell’uomo, il percorso che propone è la valorizzazione e non la mortificazione del suo essere. Nell’ottica dell’incarnazione è l’invisibile, il soprannaturale, a conferire senso e dignità al visibile e al materiale, che altrimenti rimane prigioniero della voragine del tempo che continuamente lo divora. Il creato, l’ambiente nel quale ci troviamo a vivere acquista il suo pieno valore in quanto è il luogo nel quale Dio ha deciso di incontrare le sue creature e di farlo attraverso la condivisione.

È nell’ambito dell’etica e dell’estetica che si producono per tutti quei cortocircuiti fra la materia e lo spirito che caratterizzano la nostra esperienza umana. Non si tratta del privilegio di pochi che raggiungono la santità o sono capaci di sviluppare un talento artistico di prima grandezza. La chiamata fondamentale è infatti quella a partecipare all’amore di Dio, come tutti gli uomini e le donne sperimentano nel corso della vita attraverso i molteplici rapporti di affetto che ciascuno prova. Una rete ricca di contraddizioni ma che rappresenta la componente di maggior pregio della vita.


ULTIMAPAGINA Costato oltre 700 milioni di euro, decollerà lunedì dalla sua base di lancio nella Guyana francese

Con il missile Vega l’Italia va di Mario Arpino ega, il nuovo lanciatore europeo, è pronto sulla rampa per il suo primo volo. Lunedì prossimo, decollando dalla sua base di lancio nella Guyana francese, con il lancio di qualificazione metterà in orbita il Lares, un satellite scientifico dedicato allo studio di alcuni fondamenti della fisica gravitazionale e della scienza della terra, AlmaSat-1, un microsatellite per dimostrazione tecnologica, e sette nano- satelliti di forma cubica – infatti sono chiamati CubeSat – costruiti per scopi scientifico-didattici da alcune Università. Hanno dieci centimetri di lato e una massa di circa un chilo. Uno è stato costruito dagli studenti del Politecnico di Torino, un altro dall’Università La Sapienza di Roma e gli altri cinque da altrettante Università europee. Il “piccolo”Vega (è alto 30 metri e pesa 138 tonnellate), con il relativo sistema di lancio e di controllo, completa così la capacità europea di “accesso allo Spazio” già acquisita sulla base equatoriale di Kourou con il grande Ariane 5, di progettazione e realizzazione francese, ed il vettore intermedio Soyuz, di concezione russo-sovietica ma europeizzato su licenza. La realizzazione del sistema, che consiste nel lanciatore, nella relativa infrastruttura terrestre di lancio e di controllo e nel “carico pagante”, è il risultato di gare internazionali emesse una decina d’anni or sono dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa)e vinte da due Società italiane, la Elv di Colleferro (Gruppo Avio), che ha progettato e realizzato il vettore, e la Vitrociset di Roma che, in qualità di capo-commessa, ha progettato e realizzato il segmento terrestre. Il sistema che, come si è detto, parla italiano, vede la compartecipazione di sette nazioni (Italia, Francia, Spagna, Germania, Belgio, Svizzera, Svezia e Olanda), ma è l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) a fornire il 65 per cento del finanziamento, ovvero circa 500 milioni su un costo globale di oltre 700 milioni di euro. Con questo progetto il nostro Paese dimostra di aver raggiunto a livello scientifico, tecnologico e industriale la capacità di sviluppare, gestire e controllare attività di grande complessità come riconosciutamente sono la realizzazione e il lancio di un vettore spaziale.Tra tutte le nazioni europee, dentro e fuori l’Unione, sino ad oggi solo la Francia poteva vantare questo primato.

V

Vediamo di che si tratta. Il lanciatore, e di conseguenza tutto il sistema, nasce da tecnologie altamente innovative. Basti dire che il primo stadio, il P.80, per la prima volta in un lanciatore di simile dimensione è costituito da un unico involucro di fibra di carbonio, riempito con 80 tonnellate di combustibile solido. Il secondo e il terzo stadio, chiamati Zefiro 9 e Zefiro 23 perché riempiti rispettivamente con 9 e 23 tonnellate di combustibile solido, come il P.80 sono stati realizzati a Colleferro per poi essere trasferiti a Kourou via nave da Livorno. Idem per il quarto stadio, propulso da combustibile liquido, che contiene tutta “l’intelligenza”, ovvero l’avionica avanzata che pilota il sistema di guida e di controllo connesso con tutte le altre componenti del vettore e, fino al

IN ORBITA momento del lancio, con il segmento terrestre. Tutto il sistema è tarato per lanciare da due a quattro vettori all’anno, mentre il Vega ha un potenziale di crescita nella spinta dei motori per consentire, in futuro, carichi ben superiori ai 1.500 chilogrammi attualmente autorizzati. In questo contesto non è male rimarcare che il Direttore dei Lanciatori dell’Esa è un italiano, l’ing. Antonio Fabrizi mentre, nello stesso ambito, italiano è anche il capo del team di coordinamento responsabile dell’intero programma, l’ing. Stefano Bianchi.Tutti sanno cosa sia un lanciatore e cosa sia quella piattaforma spaziale che chiamiamo satellite: in effetti sono la parte “brillante” del sistema. Pochi sanno, al contrario, cosa sia il segmento terrestre, elemento abilitante per l’accesso allo Spazio delle altre due componenti. Possiamo dire che il segmento

Il progetto è il risultato di gare internazionali emesse una decina d’anni or sono dall’Esa e vinte da due Società italiane, la Elv di Colleferro e la Vitrociset di Roma terrestre è tutto ciò che permette al lanciatore di essere montato correttamente, rifornito, controllato, lanciato e seguito sia nella traiettoria atmosferica che in quella spaziale. Per quanto riguarda il satellite in orbita, questo segmento rappresenta tutto ciò che serve per posizionarlo e mantenerlo in traiettoria, seguirlo, ricevere, disseminare e validare i dati trasmessi. Per il Vega, assieme alle subcontraenti (principalmente la Carlo Gavazzi Spazio e , inizialmente, la Rheinmetall italiana)Vitrociset ha realizzato a Kourou la rampa di lancio, la stazione di assemblaggio e verifica del lanciatore ed il banco di controllo dedicato. La meccanica operativa della campagna di lancio è grossomodo la seguente. Le componenti del vettore, che, a differenza di Soyuz, si mon-

tano verticalmente l’una sull’altra all’interno della stazione di assemblaggio, torre mobile alta 45 metri e pesante oltre 1.000 tonnellate, vengono prima testate singolarmente e, successivamente, come sistema. Questa fase dura diverse settimane. Per ultima, viene montata la componente che ospita il carico pagante – in questo caso i satelliti – assieme ai dispositivi per il rilascio fasato. Quando tutto è pronto, stabilita la finestra temporale di lancio comincia il conto alla rovescia, che altro non è se non l’ultima serie di controlli e di azioni abilitanti.

Due ore prima del lancio la torre mobile, che in effetti finora è stata la“casa”del lanciatore, viene fatta arretrare su binari di circa 70 metri, lasciandolo isolato in posizione di lancio, ma ancora collegato al sistema di terra con una sorta di cordone ombelicale. Nove secondi prima del lancio anche questo si stacca, e da questo momento il vettore è in grado di assolvere la missione. Al banco di controllo resta solo la responsabilità di azionare il dispositivo di autodistruzione in caso di malfunzionamento e seguire i dati telemetrici, ma dopo otto minuti di fase atmosferica la componente con il carico è già in orbita. Non è stata un’impresa di poco conto, e l’Italia, dove molti sembrano convinti che tutto vada sempre male, deve esserne orgogliosa. Come lo deve essere per essere stato il terzo Paese dopo Urss e Usa a mettere in orbita un satellite, negli anni Sessanta, dalla piattaforma San Marco ancorata la largo della costa kenyota, in un’impresa allora spettacolare guidata dall’ingegnere Luigi Broglio. Per continuare poi con tutta una serie di imprese volute dall’Asi e realizzate dalla nostra industria, come il “satellite al guinzaglio”, la piattaforma scientifica Beppo.Sax, il motore da apogeo Iris, il laboratorio Spacelab, lo strumento Ams per lo studio dell’interazione materia-antimateria, la cupola ed i moduli automatici abitativi e da trasporto per la Stazione Spaziale Internazionale. Certo, al giorno d’oggi forse non sono iniziative che fanno audience. Così, per far sapere al nostro pubblico distratto che sulla Stazione c’erano contemporaneamente in orbita due astronauti italiani c’è voluta la presenza sui teleschermi del Santo Padre e del Presidente della Repubblica. Dopo questa augusta lezione, lunedì vedremo se stiamo migliorando.


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