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Letture tratte dal libro Ferite a morte di Serena Dandini
from Opera 28 Fiera di esserci! Volontari per il cambiamento – Meeting del Volontariato settembre 2018
15.9.2018 • Fiera del Levante, Nuova Hall di via Verdi Presenta: Rita Sarinelli, presidente dell’associazione Progetto Donna Letture: a cura dell’attrice Anna Longano accompagnata dall’arpista Lucia Pavone
[Lettura 1]
Rita Sarinelli
Progetto Donna. Già la parola dice tutto, “progetto”, perché in realtà siamo un gruppo di donne – e anche di uomini, perché nella nostra associazione ci sono anche soci uomini, che hanno voglia di fare insieme e di costruire insieme dei rapporti. Può capitare a tutti di bisticciare in famiglia, ma c’è una differenza fra le parole discussione, conflitto e violenza. Questo è importantissimo. Di discutere discutiamo tutti, con i colleghi, con il coniuge, con i figli, con gli amici e le discussioni stesse possono essere anche costruttive, discuto non per distruggere ma per costruire. Il conflitto, invece, è quando qualcuno discute e sembra che ci sia qualcosa che non si può risolvere, ma si è sempre in due a parlare. Mentre con la violenza a parlare è uno solo. Noi oggi parliamo soprattutto della violenza verso le donne, il femminicidio. Questa parola viene dall’America Latina, quando ci furono stragi di donne e minori che venivano torturati e uccisi. Noi, come associazione, vogliamo far capire, fin dalla scuola dell’infanzia, cosa significhi non andare d’accordo con un compagno o prendere in giro una compagna che ha qualche diversità fisica, e quindi far capire che c’è il rispetto per le differenze. Le differenze sono sia di genere che sociali o fisiche. Questo è il lavoro che noi facciamo e portiamo avanti con tanto impegno.
Siamo un gruppo di professioniste, siamo un gruppo di donne creative: musiciste, scrittrici, poetesse. L’associazione Progetto Donna non può occuparsi soltanto delle violenze, si occupa anche delle pari opportunità. Perché è violenza anche quando una ragazza, che faticosamente si laurea, va ad un colloquio di lavoro e le viene chiesto se è sposata e se ha intenzione di farlo e, soprattutto, se ha intenzione di fare figli. Anche questa è violenza e non rispetto delle leggi. È violenza anche quando il datore di lavoro mi costringe a fare delle ore in più rispetto a quelle che mi vengono poi pagate. A tal proposito, non posso non ricordare, le donne a cui siamo molto vicine e con cui portiamo avanti la battaglia contro il caporalato femminile.
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Di violenze, nella nostra società, ce ne sono diverse. C’è stata una ragazza, l’anno scorso, che in un liceo mi ha chiesto: «Che importanza ha oggi, nel nostro territorio, un’associazione femminile? Ormai le donne sono tutte emancipate». Io a questa ragazza ho risposto che in realtà, ieri come oggi, le donne hanno bisogno di determinati spazi, per potersi incontrare, lavorare e portare avanti una propria progettualità che sia condivisa da tante e le ho spiegato anche, tramite vari esempi, di quante donne sono ancor’oggi uccise in paesi come l’India o l’Afghanistan. Ho conosciuto personalmente ragazze che provenivano dai quei territori e che sono scappate perché dovevano per forza sposare la persona che il loro padre voleva fin dai 10 e 12 anni: questa è violenza.
È importante, a nostro avviso, che nel nostro territorio ci sia una associazione femminile che, soprattutto, sia una associazione democratica, aperta a tutti, apolitica o apartitica, perché quello che facciamo è già politica sociale. Per noi è importante lavorare in rete, crediamo che, quando si fa un progetto, bisogna coinvolgere altre associazioni del territorio, non soltanto le associazioni vicine ma anche andando oltre. C’è una rete ben precisa, quella dei “centri anti violenza”, che in Puglia funzionano bene. Un’altra cosa e lascio la parola: nei centri antiviolenza di Monopoli si è costituita una équipe che lavora con gli uomini e per gli uomini. Come salviamo la donna dalle violenze e dagli abusi nella vita quotidiana, così dobbiamo aiutare il coniuge e costruire una cultura diversa.
Le letture sono tratte dal libro di Serena Dandini Ferite a morte. È una raccolta di lettere originali di donne che purtroppo non ci sono più, sono state uccise. Noi portiamo le letture di questo libro nelle scuole e spesso vediamo i ragazzi commuoversi.
[Lettura 2]
Rita Sarinelli
Lunedì scorso ho partecipato ad un gruppo di elaborazione del lavoro che facciamo nei centri antiviolenza. All’interno di questo gruppo, vi erano delle donne che avevano subito loro stesse violenza e parlavamo del dolore che si prova quando le donne ci raccontano determinate cose. Noi, ovviamente, incitiamo le donne ad andare a denunciare tutto quello che subiscono, ma devono essere fortunate, perché non tutti gli psicologi o i carabinieri sono preparati. Una donna ci ha detto che è andata a denunciare dai carabinieri ed oggi è una donna libera, però il carabiniere le disse, la prima volta che lei andò a denunciare atti di violenza: «Signora, lei non è né la prima né l’ultima. Le consiglio di andare a casa, faccia l’amore con suo marito e vedrà che
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passerà». Questa donna non si è mai dimenticata della risposta di questo carabiniere. È molto difficile uscire dall’abisso della violenza ed è altrettanto difficile trovare persone che possano realmente darti una mano e accompagnarti. Perché non servo solo io, non serve solo l’avvocatessa del centro antiviolenza, non serve solo il carabiniere, è insieme che dobbiamo formarci. Dovrebbe essere obbligatorio per tutti gli operatori e i carabinieri sul territorio avere formazione su questo argomento: devono sapere tutti che cosa significa subire violenza. Vi assicuro che chi realmente può capire che cos’è la violenza, il non avere la libertà di azione nella propria casa, è solo una donna che l’ha subita in prima persona la violenza. Non a caso, all’interno dei nostri gruppi di auto-aiuto, mettiamo sempre una donna che è riuscita a uscire da quel problema e che, dopo un percorso di formazione, è diventata un’operatrice di sostegno.
Quindi ascoltate bene queste lettere che riprendono la quotidianità. Iniziamo a porci delle domande: come mai questi uomini, questi ragazzi sono così violenti? Come mai diventano aggressivi? Probabilmente non tutte noi, anche quelle che vanno d’accordo con il coniuge, siamo al corrente di cosa significhi avere una reale relazione affettiva. Nessuno ce lo insegna; a scuola non si fa l’elaborazione delle proprie emozioni, si studiano solo le materie, non si elabora la crescita interiore di ogni bambino o ragazzo. Io dico sempre ai ragazzi giovani che è importantissimo elaborare i propri vissuti e le proprie emozioni, è importante capire cosa significhi “relazione affettiva”. Solo così possiamo cambiare il nostro livello culturale. La cultura non è soltanto la nostra capacità di integrarci, che è comunque importante; la vera rivoluzione culturale sta dentro di noi, solo così possiamo cambiare. Tante cose rimangono dentro di noi, sia in noi adulti sia nei giovani, perché se noi adulti non elaboriamo e non riusciamo a trasmettere il valore dell’affettività e dell’amore non possiamo fare la morale ai ragazzi. Non c’è più la fisicità nei rapporti umani, non c’è più l’abbraccio, non c’è contatto e non essendoci questo non c’è più l’ascolto sia delle parole che del corpo, perché il non verbale racconta molto di più del verbale.
[Lettura 3]
Rita Sarinelli
Penso che sia una novità che ci sia, nel mondo del volontariato, un’associazione che si occupa del tema della violenza. Noi cerchiamo di avvicinarci anche alle associazioni di volontariato che si occupano dei ragazzi diversamente abili, perché molte donne e molte mamme che hanno dedicato tutta la vita a questi ragazzi hanno bisogno di aiuto. Dedicare la propria vita al
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proprio figlio significa, per molte donne, annientarsi. Questo mondo lo conosco: ci sono tante coppie che si lasciano, la loro relazione affettiva finisce, quando il ragazzo diversamente abile diventa adolescente. Intervenite se volete.
Intervento 1 (Giovanni Montanaro)
Posso soltanto dire questo. Sto seguendo il “Progetto Donna” da un po’ di tempo e il tema che porta avanti è forte. Proprio oggi si legge sul giornale l’ennesimo atto di violenza, e proprio per questo motivo il CSV è impegnato all’interno delle scuole e vi siamo accanto, invitandovi alle iniziative che continueremo a fare nella scuola. Grazie per quello che fate.
Intervento 2 (Angelica, CSV San Nicola)
Quando, soprattutto nelle scuole, le ragazze adolescenti iniziano ad avere il primo rapporto affettivo, quali sono i primi segnali, che le nostre figlie devono riconoscere, di una relazione sentimentale estremamente possessiva e gelosa? Ad esempio, al CSV abbiamo avuto molte ragazze che facevano il servizio civile, e quando le chiamavamo sul cellulare rispondevano i loro fidanzati per loro. È un atteggiamento terribile; però, molto spesso, le nostre figlie adolescenti non riconoscono che la gelosia non è amore ma possessività. Quindi, volevo chiedere: quali sono i primi segnali di una relazione possessiva?
Rita Sarinelli
L’educazione alla relazione affettiva vale per i figli, per le figlie, per tutti. Il problema non è arrivare agli adolescenti – che ti dicono questo, anche –; ma addirittura, dalla scuola dell’infanzia si incomincia a parlare di diversità, e ciò significa che il bambino ha già introiettato qualcosa di sbagliato. Il problema è che quel bambino, o bambina, non fa altro che interpretare quello che ha visto in famiglia. La ragazza che fa rispondere il suo ragazzo al cellulare, probabilmente, ha avuto un tipo di educazione tale. I ragazzi assorbono tutto e per la ragazza diventa un atteggiamento normale: probabilmente l’ha visto fare anche dal papà. Basta anche solo un nostro piccolo errore, e i ragazzi lo assorbono.
È importante ascoltare il proprio corpo, parte da lì la conoscenza in noi; io sono certa di me stessa, del mio corpo e della mia unità psicofisica, il mio corpo non mi tradirà se io lo so gestire. Per risolvere questo tipo di problemi bisogna parlare con i ragazzi, perché se a 15 anni ho certi atteggiamenti con il mio ragazzo o la mia ragazza, vuol dire che ho confuso l’amore con la
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possessività, ho confuso l’amore con la gelosia. Una ragazza che non va più a scuola di danza perché il ragazzo non vuole, ad esempio, sta distruggendo la parte più bella della sua vita.
Molte mamme, quando sanno che le loro figlie hanno un ragazzo a 14 o 15 anni, sono contente perché sono tranquille che la figlia esca con un bravo ragazzo, e questo è uno stereotipo sbagliato. A quell’età bisogna avere un gruppo di amici, anche perché poi non c’è un consultorio per adolescenti (altro problema). L’équipe del consultorio dovrebbe andare nelle scuole; l’adolescente non andrà mai al consultorio familiare, anche perché, essendo minorenne, deve andare accompagnato da un genitore. Le cose da fare sono diventate tantissime ed è fondamentale andare nelle scuole a parlare con i ragazzi, questa è la base – lo dico sempre –; sono anni che lo facciamo e continueremo a farlo.
[Lettura 4]
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