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Editoriale

Una storia in soffitta Clara è lì davanti alle scale, immobile e in silenzio, ha un attimo di esitazione, si fa coraggio, sale le scale, apre la porta ed entra in una grande stanza piena di polvere, ma anche di ricordi, di emozioni. È la soffitta di casa sua, o meglio, di casa dei nonni, dei genitori, la casa dove lei è nata e cresciuta; in quei cento metri di spazio vi sono cento anni di ricordi, cento anni di storia, la storia della sua famiglia. La cosa gli dà “uggia”, ha paura di tornare indietro con i ricordi, non perché brutti, anzi, ma pensare al passato le dà un sensazione di insicurezza, debolezza. Da bambina quando combinava qualche guaio, scappava e si nascondeva in soffitta. Un grande lucernario permetteva al sole di illuminare completamente il suo nascondiglio, quella era la sua sala giochi dove poteva giocare con le vecchie bambole della mamma, la sua biblioteca dove leggeva i libri di narrativa del nonno e di storia del padre. In quella stanza i suoi desideri cercavano la realtà. Oggi Clara vive in un mondo denso di impegni: famiglia, figli, lavoro. Si sta accorgendo che le manca il tempo per se stessa; ha voglia di svagarsi, di fuggire, ha bisogno di nascondersi. Eccoci, è dentro! Oggi la stanza non è molto illuminata; un grosso albero non permette alla luce di un tempo di entrare, ma vede bene. Il suo sguardo cattura gli oggetti: ”Che bello, guarda quante cose: le mie prime scarpine, i vestitini di sangallo..., guarda il completino blu di mio fratello; giacca, pantaloncini corti... si indossava con rigorosi calzini lunghi e scarpa allacciata, il mio orsacchiotto Tati, i miei pattini, la mia prima letterina al fidanzatino, i libri del ginnasio...” Clara trova anche il suo diario, o meglio pensa che lo sia, in realtà riconosce la scrittura di sua madre Elsa, nelle pagine a seguire addirittura quelle di sua nonna Evelina, non è il suo diario, non sa se leggerlo. Si decide, lo legge. Passano i minuti, sul suo viso un’ombra, forse una smorfia, scende una lacrima, Clara è commossa. Elsa: “... il momento è difficile, ma grazie alla famiglia, alle nostre origini e tradizioni ce la faremo!” Evelina: ”...abbiamo passato le guerre, la fame, le incertezze, cara figlia passeremo anche questi momenti, importante è restare uniti!” Improvvisamente un raggio di sole entra nella stanza, ritorna piena luce, il suo viso si illumina, si scorge un sorriso, ha capito, sa cosa deve fare, prende dalla borsa una penna e scrive: “Miei cari, da oggi anch’io scrivo su questo diario!”



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La testa del Profeta La nuova stagione di prosa... Musica per Anima Moni Ovadia, il corpo che recita la musica Faust’o: l’uomo che non sorride mai All’ombra della Capannina Architettura e contemporaneità

Eventi

Un giorno a L’Aquila Una corsa per la vita Laboratorio Isotech La carta ILA

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Economia

Territorio

Sommario

San Genesio in Vico Wallari Viaggi nella Toscana Granducale... Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana Virginia Galilei, figlia di Galileo Le compagnie laicali nella Livorno... Incanto di Pienza Meglio un Brunelleschi in Torre... Vittorio Sereni

L’intelligenza ecologica Un salotto letterario a Pisa Amourang La calcolosi biliare tra scienza, fede e folclore Venezia 66, il ruggito di pace del Leone d’Oro L’anima spogliata, un turco a Roma Un’estate Versiliana

Convegno: REACH e CLP Dreaming Fashion Da Parigi alla Toscana Lo sport dei re della Persia Lapo Gaetani Lovatelli Testimonianze: adozione, la seconda nascita

Le Vetrine

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Società

Arte

David Fedi - ZEB Il Potere e la Grazia Luoghi d’esperienza Cantiere Simon Benetton Sospensioni Silenziosi ciclopi Elena Roncoli 40 anni di amicizia Piero Di Cosimo

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Ristorante Enoteca Del Duca Mostra Mercato Nazionale del tartufo bianco... 22 Pinocchiatori entrano a Prato Reality Eventi Storia d’amore e di viole Eco e Narciso

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Reality MAGAZINE D’INFORMAZIONE Editore: Centro Toscano Edizioni srl Sede legale: via Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Redazione: casella postale 36 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico: via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Recapiti: Tel. 0571.360592 - Fax 0571.245651 info@ctedizioni.it www.ctedizioni.it Direttore responsabile: Margherita Casazza - direzione@ctedizioni.it Direttore artistico: Nicola Micieli Redazione - redazione@ctedizioni.it Studio grafico - lab@ctedizioni.it Abbonamenti - abbonamenti@ctedizioni.it Text: Alessandra Casaltoli, Andrea Berti, Andrea Cianferoni, Angela Colombini, Angelo Errera, Anna Celai, Brunella Brotini, Carla Cavicchini, Carla Sabatini, Carmelo De Luca, Claudio Guerrini, Claudio Mollo, Cristiana Borchi, Domenico Savini, Federico Ghimenti, Filippo Lotti, Francesca Ciampalini, Francesco Bacchereti, Gianpaolo Russo, Giuliano Valdes, Gloria Nobile, Graziano Bellini, Ilaria Degl’Innocenti, Letizia Bertini, Luca Gennai, Luciano Gianfranceschi, Maria Rita Montagnani, Matthew Licht, Nicola Micieli, Paola Ircani Menichini, Paolo Pianigiani, Patricia, Patrizia Bonistalli, Raffaello Bertoli, Sara Taglialagamba, Serena Marzini, Stefania Catastini, Tamara Frediani, Valerio Vallini.

Photo: Alena Fialová, Archivio CTE, Emma Leonardi, Foto Novi Livorno, Giovanni Rastrelli, Lauro Lenzoni, Laura Milani, Marco Bonucci, Marco Bruni, Riccardo Lombardi, Robert Tyson, Roberto Zucchi, Samuele Pucci, Sergio Borghesi, Sergio Borghi.

Stampa: Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (Pi)

ISSN 1973-3658 Reality numero 53 - settembre 2009 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007

© La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni. it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


David Fedi Zeb

La maschera e il volto di Nicola Micieli foto opere Foto Novi Livorno

CENNI BIOGRAFICI

Una esecuzione pittorica rigorosamente manuale, di una pulizia e meticolosità strabilianti, da paziente virtuoso in grado di attingere pennellata su pennellata, strato su strato, risultati tecnici cui normalmente si accede con l’uso dei media fotografici ed elettronici, e relativi procedimenti a stampa David Fedi, in arte Zeb, è nato a Livorno nel 1966. Ha studiato all’Istituto d’Arte di Pisa ed al Liceo Artistico di Firenze. La prima personale nella sua città natale nel 1995. Hanno scritto di lui, tra gli altri, Luca Beatrice, Raffaela Maria Sateriale, Roberto Russo e Nicola Micieli. ESPOSIZIONI PERSONALI 1995 Progetti interni, Granfesta, Livorno 1997 Studio 10, Coira, Ginevra (CH) 1998 Studio G Arte Moderna e Contemporanea, Milano 1999 ”Contaminazioni Diabolike”, Guastalla Arte Moderna e Contemporanea, Livorno 2002 David Fedi pittore, Factory, Livorno 2003 David Fedi pittore, Factory, Livorno 2009 “Diabolikamente. Ambiguità e contraddizione”, Castello dei Vicari, Lari (Pi) ESPOSIZIONI COLLETTIVE 1996 Centro Multimediale Laura Gottardi, Livorno; Premio Arte Mondadori, Milano 1997 Arte Fiera, Bologna, stand Guastalla Arte Moderna e Contemporanea; Miart Milano, stand Guastalla Arte Moderna e Contemporanea; Comic - Art, collettiva con Andrea Di Marco e Fulvio di Piazza 1998 Arte Fiera, Bologna, stand Guastalla Arte Moderna e Contemporanea; Miart Milano, stand Guastalla Arte Moderna e Contemporanea; Reggio in Arte, Reggio Emilia, stand Guastalla Arte Moderna e Contemporanea 2004 Province d’Arte - Livorno, Consiglio Regionale, Firenze 2005 Keith Haring (6 artisti ed un pulmino), Galleria Giannone, Pisa 2006 Omaggio Pop, Ecomuseo dell’Alabastro, Castellina Marittima (Pi); Futuribile, Italiamo, Livorno 2008 Perché io no?, Villa Valdisonzi, Crespina (Pi) 2009 VedoQuadro - cento artisti nel formato trenta per trenta, Villa Pacchiani Santa Croce sull’Arno (Pi) e Piombino (Li); Incontri, Camuglianonumerodieci, Ponsacco (Pi)

Un suono breve e perentorio, un monosillabo fulminante: Zeb! Sa più di onomatopea da fumetto che di nome d’arte. Di fatto, rimane facilmente impresso. Anzi: si incide in profondità nella memoria. Come la zeta di Zorro. David Fedi, che l’adottò parecchi anni fa, ed è riuscito a mantenere a lungo segreta la propria identità, non ha mancato la sfida del suo pseudonimo: lanciare un segnale, tambureggiare una sigla, far presupporre, dietro la maschera di Zeb, una presenza in grado di “forare”, come recita il gergo televisivo, lo schermo sovraffollato, il muro rumoroso in cui consiste la (in)comunicazione urbana. Forarlo per far passare una qualche pillola di controinformazione, sotto specie di aforismi, motti di spirito, osservazioni critiche, considerazioni esistenziali. Poca cronaca politica e molta provocazione nei suoi messaggi consegnati ai muri, secondo la prassi del graffitismo metropolitano, ma con un rispetto assoluto dei paramenti murari storicamente o, in ogni caso, formalmente o simbolicamente qualificati; e un netto predominio del codice verbale su quello visivo. Ho detto poca cronaca politica – nel senso sia della corrente polemica logoverbale che invade e contamina gli spazi relazionali, sia della satira grossolana fondata sul turpiloquio – e molta provocazione. Provocatoriamente politico, nell’epoca della comunicazione a consumo e di consumo, trovo il messaggio a fondo filosofico che impone di sostare e invita a interrogarsi e a riflettere. I livornesi impararono presto a conoscere Zeb, e nel corso degli anni si sono messi in attesa sempre più allertata – qualcuno, forse, con qualche trepidazione – delle uscite del suo singolare “giornale” murale. Che ha conquistato una visibilità e un pubblico, ha fatto opinione, o meglio: ha spesso fornito in sintesi la materia per esprimere un’opinione, aggiungendo non pochi argomenti al repertorio labronico delle arguzie ficcanti e spiazzanti, delle sentenze lapidarie


Il pensatore, acrilico su tavola, 64 X 25 cm, 1998

David Fedi - Zeb per Reality


capaci di arrivare al nocciolo delle questioni e di sostituire, nella brevità, un intero discorso e un giudizio. Ma per Zeb, evidentemente, non era sufficiente. Non gli pareva di aver raccolto abbastanza al banco verbovisivo, lui che aveva fatto dei muri livornesi il proprio pensatoio e la propria tribuna, quando tempo fa scriveva: “È ventiduanni ‘he mi sembra di parla’ co’ muri”. Che vuol dire: di parlare con chi non mi sente e non può rispondermi. Parlo al tempo passato perché l’intervento sull’afonia della comunicazione non è di oggi, ma anche per una evenienza nel frattempo maturata. Il fatto è che da più di un anno i muri di Livorno si sono oscurati, compreso quello di delimitazione del porto già fresco di restauro e di tinteggiatura, sul quale io stesso lessi una sua tempestiva dichiarazione di intenti che mi sembrò un bel nodo concettuale: “Su questo lunghissimo ber muro Zeb non ci scriverà mai”. Difatti mai ha aggiunto verbo alla sua proposizione, né mai altri graffitari – se non erro – hanno osato profanare quel muro dichiarato inattingibile, nella sua purezza, alla umoralità del segno e alla velleità della comunicazione. Da un anno Zeb si e eclissato, e con lui David Fedi. Non si sa per quale motivo, né verso quale destinazione, se un approdo c’è stato a un viaggio che sarà forse irreversibile, o forse è ancora in corso, per scelta o per deriva. Della sparizione di Zeb si sono interessati gli inquirenti preposti e persino una nota, non sempre inconcludente – oltre lo spettacolo – trasmissione televisiva. Tutte le ipotesi sono aperte, compresa quella romantica o maledettistica della Legione Straniera. I familiari, naturalmente, attendono almeno un suo segno liberatorio, se non un ritorno. E chi può, in cuor suo, non caldeggiare la loro speranza? Tra le altre possibilità, c’è chi ha pensato a una fuga per non ben configurabili ombre persecutorie, di ordine non solo psicologico. A me non spiacerebbe l’ipotesi, dato il personaggio e la sua vocazione artistica, di una sparizione ad arte, appunto: di una performance concettuale giocata sulla sottrazione fisica dell’artista, e dunque della sua parola e della sua immagine. Ma non saprei dire se David Fedi fosse capace di concepire e “mettere in scena”, detto paradossalmente, la propria eclisse. Dirò meglio: non so se rientrasse nell’arco della sua riflessione di comunicatore l’ipotesi dell’oscuramento, della sottrazione, dell’estinzione, come una sorta di rito dell’oscuramento e della discesa praticato per rivelarsi, infine, nella propria identità di artista, tolto lo schermo di Zeb, il provocatore logoverbale che dichiarando di aver lungamente parlato con i muri, aggiungeva che da quei muri per vent’anni si era fatto conoscere dalla gente, ma non era ancora riuscito a portare la gente a vedere i suoi dipinti. Quelli che lui considerava la visibile forma del suo immaginario e del suo pensiero. Poiché nella pittura David Fedi riconosceva la propria immagine, il proprio volto. Ma quale volto ha la pittura di Zeb? Diciamo intanto che Zeb ha dipinto sin qui un centinaio di opere, non più. Lo ha fatto con uno stile neopop che sin dall’inizio apparve maturo, ed è rimasto nel tempo sostanzialmente stabile, giocato su tre temi di fondo che variamente trattati, costituiscono anche i suoi essenziali referenti culturali. E sono: le citazioni e le manipolazioni da Roy Lichtenstein, l’ascendente del suo linguaggio pittorico mediato al fumetto e della forma oggettivata e depotenziata di espressività; le analoghe operazioni dal conterraneo Amedeo Modigliani, l’artista assediato dalla vita e dal mito della bellezza inattingibile; infine, e maggiormente estesa rispetto alle altre, l’assunzione di Diabolik,


TRA STORIA E CRONACA Ho conosciuto David nel novembre 2007 presentatomi dall’editore Michele Quirici di Pontedera. Tra me e David, magicamente, fu subito simpatia ed anche empatia, come quando uno spettatore si trova di fronte ad un’opera d’arte. Io lo spettatore, lui l’opera d’arte. Ambiguo ma non equivoco, persona ma anche personaggio. Dietrologo nato, riservato e schivo. Dissacrante e originale nelle celeberrime scritte fatte per anni sui muri della sua Livorno, alcune ormai cancellate, altre ancora ben visibili. Tutte rimaste, comunque, nella memoria della città. Profondo e originale nei dipinti. Niente al caso. Tutto seguito minuziosamente, passo dopo passo, dall’idea alla sua realizzazione. Nel 1992 un libro delle sue vignette che gli aprì le porte del “Maurizio Costanzo Show” dove, però, non fu più richiamato perché era “troppo scomodo”, diceva. Possessore di ottime capacità tecniche, ma anche e soprattutto creativo. Lui, toccato dalla mano divina del pensare e del sentire e quindi del fare. Mi mostrava orgogliosamente, una ad una, le sue opere consegnate al tempo. Ne percorreva, scansionandole con gli occhi e con lo sguardo, furbo ed attento, la genesi e lo sviluppo, con amore, indicandone pregi e difetti. In una atmosfera intrigante ed accattivante ripercorreva interiormente anche le sofferenze di quel periodo, i sacrifici, i sentimenti ora ritratti, impressionati, irrimediabilmente inglobati nel dipinto. Riflessioni sul mondo, sull’essere e sull’esistere. La sua più grande amarezza era quella di essere incompreso. E per questo, forse, non ha lasciato che il destino fosse se stesso, lasciandolo al suo indelebile corso. Era solo. Solo tra i suoi pensieri, immerso tra i suoi libri letti e da leggere e tra i suoi appunti. Tutto gli andava stretto e lui cercava un suo mondo pieno di fantastiche fantasie artistiche per vincere la solitudine. Dal maggio 2008 ha deciso – così vogliamo pensare – di dare un taglio netto alla sua vita e si è reso irreperibile. Da allora ad oggi la storia del fantomatico Zeb è diventata cronaca. Così il ritrovamento della sua auto sulla scogliera del Romito, vicino Livorno, su quella strada famosa per il film “Il sorpasso” di Dino Risi a ridosso delle scogliere a picco sul mare. Si è parlato della peggiore ipotesi, il suicidio. Pensiero al quale gli amici, la famiglia ed io stesso non solo non vogliamo credere ma che riteniamo un’ipotesi inverosimile, perché è vero che David può essere, come ha detto qualcuno, “un’anima tormentata che mal si adatta ai severi schemi imposti dal vivere di questa società”, ma non un uomo che decide di farla finita, con un colpo di testa: troppo intelligente per decidere di togliersi la vita, di cui aveva molto rispetto, anche per alcune esperienze dolorose che aveva vissuto in famiglia. Per capire meglio la storia dobbiamo fare un passo indietro e cominciare da un imprecisato giorno di maggio del 2008 e da quell’ultima telefonata fattami, in cui mi parlò di minacce. Stava scrivendo un libro che avrebbe dovuto raccontare la sua vita, ad occhi aperti e fuori dai denti, con nomi, personaggi, date, luoghi, incontri e forse a qualcuno questo non andava a genio. Tutto cominciò con la scritta allo stadio di Livorno dopo le elezioni dell’aprile 2008: “Ha vinto il peggio perché il meglio è uguale a loro”. Dopo pochi giorni accanto a quella scritta apparve un target in rosso. Era preoccupato, in tensione, come se avesse timore per qualcosa o per qualcuno e si sentiva braccato. Poi è sparito nel nulla. Una scomparsa che non ha risposta. Il caso Zeb è approdato anche a “Chi l’ha visto?”, la trasmissione di Rai 3 che si occupa delle persone scomparse e che ha seguito la vicenda di David Fedi. E da lì niente di rilevante se non una traccia in Corsica, tutta da verificare, come da verificare il pensiero di alcuni che lo vogliono arruolato nella Legione Straniera. Nell’agosto del 2008 il mio viaggio in Romania, a Bucarest, a cercare quella ragazza, Cristina, che aveva avuto anni fa rapporti con David e alla quale era ancora legato da rapporti epistolari costanti. E anche da lì niente. Tutto quello che è successo dopo è fatto solo di flebili tracce, segnali sbiaditi di Zeb che però non trovano riscontri certi. A parlare di lui oggi solo le scritte sui muri, i suoi dipinti e noi, che aspettiamo, imperterriti, il suo ritorno. Filippo Lotti


l’eroe cartaceo consacrato al furto, a protagonista di un ciclo non di storie minime a una o più inquadrature, magari multiple, ma di vere e proprie dissezioni e deformazioni e ibridazioni della sua immagine. Il tutto con una esecuzione pittorica rigorosamente manuale, di una pulizia e meticolosità strabilianti, da paziente virtuoso in grado di attingere pennellata su pennellata, strato su strato, risultati tecnici cui normalmente si accede con l’uso dei media fotografici ed elettronici, e relativi procedimenti a stampa. A questa certosina applicazione di David Fedi sulla tela corrisponde la scrupolosa cura che Zeb poneva nella scelta delle parole, nelle citazioni, nei significati e nei rimandi dei testi della sua comunicazione murale, dove la componente visiva è peraltro secondaria. Quale volto ha dunque la pittura di Zeb? La risposta implica oggi il beneficio di inventario, poiché è difficile leggere il corpus dei dipinti di Fedi senza mettere in conto la sua sparizione. So che lo scioglimento di quell’evento, del quale non conosciamo la motivazione o la causa, né il modo del suo compiersi, potrebbe destituire di fondamento ipotesi interpretative diverse da quelle legittimate dalle peculiari proprietà linguistiche, dalle qualità formali e dai contenuti figurali delle immagini. Nell’ottica condizionata, eventualmente velata e distorta della sparizione, non sembrerà senza significato che il personaggio centrale della mitografia di Fedi sia stato il fantomatico Diabolik: una maschera in calzamaglia, una silhouette


abbrunita nei controluce dalla quale gli occhi spiccano come taglienti lame. Di Diabolik conosciamo e ci affascina l’immaginazione esatta e finalizzata, la capacità di previsione e di progetto, l’efficienza operativa, la versatile disposizione a risolvere gli imprevisti e i problemi. Conosciamo e ammiriamo la sua capacità di disciplinare il pensiero e di controllare le emozioni; nei suoi confronti sospendiamo il giudizio morale. Il tutto in funzione del crimine? Per questo lo ammiriamo, e presupponiamo che lo abbia ammirato David Fedi? No, il crimine è solo il pretesto, il movente narrativo. Serve per mettere in moto il meccanismo dell’intelligenza, per esemplificarne il funzionamento e l’inesauribile ventaglio delle possibili applicazioni nella catena dei casi polizieschi che l’ispettore Ginko non saprà mai spezzare con la cattura. Diabolik è una maschera dell’intelligenza, come lo è della realtà il fumetto in sé e nelle riduzioni di Lichtenstein e di Fedi, come lo sono della bellezza le figure e i nudi di Modigliani. Impenetrabile è in verità il volto di Diabolik, e nella corrispondenza di Fedi, quello della pittura. Per svelare quel volto, ma credo nel timore di scoprirlo inesistente, David Fedi ha sottoposto la maschera di Diabolik a mille filtri e alterazioni. Lo ha sezionato, allungato, deformato con strane e improbabili anamorfosi e ottiche distorsioni. Ne ha mappato la figura su una quantità di diagrammi, di istogrammi, di codici lineari e di modulazioni ondulari. Ne ha scomposto l’insieme e ne ha messo in risalto un aspetto, sovente polarizzandone lo sguardo da cui sembra muovere l’azione e a cui occorre eventualmente risalire per un accesso possibile all’identità del volto, che vuol dire dell’animo. E qui sospendo il ragionamento, in attesa che David Fedi ritorni e riprenda la ricerca del proprio volto, dietro la mascera di Diabolik, giocattolo non neutro nelle mani di un artista.


Interviste

ZEB

TEXT&PHOTO Filippo Lotti

Il suo essere, il suo sentire Intervista anomala senza penna o registratore. Proposi a David Fedi di rilasciarmi un’intervista e lui ne fu entusiasta. Gli presentai una serie di domande, ma lui volle rispondere con calma, rifletterci su, e si prese tempo per leggerle e per, come direbbe lui, studiarle. Era meticoloso anche in questo - oltre che nella sua pittura -, rigoroso. Pensava - ne sono certo - che dall’intervista dovesse venir fuori la sua anima, la sua parte più nascosta, il suo vero essere, il suo sentire. E così è stato. Cominciamo con i tuoi studi, la tua formazione culturale ed artistica. L’autodisciplina dell’autodidattismo. Ti ricordi come è nata la tua passione per l’arte? In famiglia c’è stato qualcuno che ti ha indirizzato verso la pittura? Il mio babbo era un artista … io non potevo fare altro che il mestiere più difficile al mondo: il pittore. Quando ti sei formato come pittore? Una volta una donna mi disse: “David, te non sei come un bimbo di tre anni ma come un bimbo di un anno, che è nel massimo della sorpresa della magnificenza del sogno di questo mondo”… quindi da sempre! Ti ricordi il tuo primo quadro? Il primo quadro lo feci su cartone telato, ad olio: un cavaliere nero del signore degli anelli - avevo nove anni -, come dire: qui sono tutti spettri! Ti ricordi la tua prima esposizione? Sì, vinsi anche il primo premio. Chi sono stati, se ci sono stati, i tuoi maestri? Il mio guru oltre che amico è stato lo scultore Vitaliano De Angelis (artista livornese, ndr). Lui mi ha trasmesso con la sua sola presenza la cosa più importante: l’emotività della pazienza, confermata e definita da un altro mio amico, un “film vivente” che ha fatto tutta la seconda guerra mondiale nei sommergibili. Le influenze pittoriche hanno condizionato la tua pittura? All’inizio la metafisica e il surrealismo e poi, anche se non è pittorica, l’iconografia del fumetto. Come nascono i tuoi quadri? Da soli, il pittore vero ha già scritto prima di fare. Come realizzi un quadro? Con disciplina, concentrazione e paReality

zienza. Hai mai avuto difficoltà nel portare avanti un quadro? Tanto quanto è difficile avere disciplina, concentrazione e pazienza. Queste tre parole ormai le potrebbero anche scancellare dal vocabolario mondiale, visto che quasi nessuno ha una frazione delle tre. Quando senti che un tuo quadro è un quadro? Quando realizzo qualcosa che non ci capisco nulla nemmeno io, alcuni l’ho capiti dopo anni. Poi ci sono i dipinti realizzati con consapevolezza ma quando poi qualcosa viene facile va subito abbandonata per ritornare nel mistero e nel sogno. Hai mai distrutto o buttato un quadro? Sì, qualche volta, ma per motivi tecnici, non perché non andava bene, infatti dopo l’ho rifatto uguale, più o meno…

Cosa caratterizza un buon dipinto? Quando anche un ignorante ci rimane davanti esterrefatto. Nel momento creativo segui un progetto ben definito o, semplicemente, improvvisi? È un progetto ben definito, profondo, occulto… Qual è la mole della tua produzione in termini quantitativi? In media quanti quadri dipingi in un anno? Questa domanda ha più senso se viene fatta ai mercanti d’arte. Cos’è, secondo te, l’originalità? È naturalmente essere se stessi, con la consapevolezza però degli stati mentali realizzati fino ad ora. Hai mai collaborato con altri artisti? No Hai fatto incontri significativi per la tua crescita artistica e professionale? Certo, come potrebbe essere altrimenti.


I Quale peso ha il retroterra culturale nella creazione artistica? Ha il peso di creare come minimo la tua avanguardia. Come reagisce la realtà livornese alla tua pittura? Con invidia, gelosia, indifferenza, snobismo e paura. Quindi sono sulla strada giusta, vuol dire che funziona… Quali sono stati i tuoi modelli pittorici, gli artisti che hanno contribuito a creare il tuo stile? Della pittura contemporanea Roy Lichtenstein, ma lui era un artista, io sono solo un pittore. Che differenza c’è tra artista e pittore? L’artista pensa solo all’invenzione, il pittore va dietro solo agli stati emotivi e sentimentali. C’è un momento che consideri più significativo nella tua arte? Sì, quando ho fatto il primo quadro con la “contraddizione”. Le arti si influenzano? Alla fine non si inventa nulla… C’è un’opera che senti come più rappresentativa? Se sì, qual è? Quella appunto con la contraddizione; è il primo tentativo di fare l’anima archetipica che non è né uomo né donna. Altra opera significativa è il primo d’aprés di una donna di Modigliani. A chi si rivolge veramente la tua arte? A tutti i dannati. Chi è David Fedi? Un aborigeno e un indiano messi insieme, che è venuto per… I tuoi pregi e i tuoi difetti… Né pregi né difetti… mi basta saper digiunare dell’orgoglio… Che cosa è per te l’arte? È la funzione trascendente fra il bene e il male… Cosa rappresenta per te la pittura? Uno strumento offensivo-difensivo contro il nemico, come disse Picasso. Qual è il filo conduttore che accomuna i tuoi lavori? Smascherare… smascherare… Perché dipingi Diabolik? Perché è un’icona conosciuta, altrimenti la maggior parte delle persone non te lo guardano nemmeno, poi perché sbagliare è umano, perseverare è diabolico, e poi perché ho una pazienza diabolica… almeno per ora! A proposito dei tuoi soggetti predilet-

ti, posso chiederti le ragioni di queste scelte? Perché è l’archetipo dell’eroe che lotta contro il male. Quale visione hai della donna? Se non sono impazzite si crogiolano nella mediocrità e nell’ignoranza, e gli sembra anche di essere furbe… E la visione dell’uomo? È un cretino che non sviluppa la sua parte femminile, cosicché non trova empatia nella donna che lo fa appunto giustificare a fare la furba, e poi come al solito gli interessa il potere e il denaro per “trombare” quelle impazzite più belle… Cosa pensi dell’arte contemporanea degli ultimi 20 anni? La maggior parte se non son corrotti, son solo dei mediocri che hanno fatto funzionare solo gli artisti ed i pittori dovrebbero dire chi sono gli artisti ed i pittori, no i critici quasi tutti corrotti, o peggio i mercanti o peggio ancora gli imprenditori dell’arte… L’affermazione di un pittore dipende da episodi casuali o va perseguita? Perseveranza… perseveranza… perseveranza… Pensi che Internet possa contribuire a diffondere le opere d’arte, a farle conoscere ad un pubblico più vasto? Non c’è nulla di male a farsi conoscere

con tali mezzi, anzi, basta continuare a fare l’opera come si deve anche se ti conosce e la vuole tutto il mondo. Cosa hanno cambiato le nuove tecnologie digitali nella creazione artistica, se hanno cambiato qualcosa? I sogni non sono digitali, la spiritualità non è digitale, l’essenza non è digitale. Si possono usare ma bisogna stare attenti a non sparirci dentro. Oltre che pittore disegni vignette… Già… le vignette, con queste stai un po’ più in superficie ma a volte l’ironia ha bisogno di non essere troppo profonda e complicata come nella pittura; e il male davanti all’ironia è disarmato… E oltre a questo, da oltre vent’anni, scrivi anche sui muri di Livorno, conosciuto con lo pseudonimo di Zeb… Vent’anni… mi conoscevano da anni per le scritte e non è bastato a farli venire a vedere i dipinti… figuriamoci se non avevo nemmeno fatto le scritte. Secondo te, le scritte sui muri sono una forma d’arte? No, almeno le mie. Sono solo provocazioni per iniziare un dialogo, una discussione su di un problema. Cosa vuol dire Zeb? In arabo vuol dire cazzo! Progetti per il futuro. E chi l’ha mai conosciuto il futuro… David Fedi e Filippo Lotti

Reality


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Nell’antico Borgo Medievale di Lari, ai piedi del Castello, si trova una “antica osteria”. L’ambiente, frutto di un accurato restauro, è particolarmente intimo ed accogliente. La gestione è della famiglia Diari che da oltre 30 anni si dedica con passione alla tradizione ed alla tipicità della cucina locale e toscana nel modo più vero ed autentico possibile; utilizzando prodotti stagionali del territorio, si fondono tradizione e creatività mantenendo intatti i sapori di una volta. La cantina, in grado di soddisfare i più esigenti esperti ed appassionati, conta circa 350 etichette. I vini in prevalenza pisani e toscani, ma con etichette di qualità di tutte le regioni d’Italia, vengono conservati in una vecchia cantina in pietra e tufo che una volta serviva da via di fuga per gli abitanti del Castello, alla quale si può accedere dalla saletta dell’osteria.

!NTICA /STERIA AL #ASTELLO IL SAPORE DELLA STORIA Piazza Matteotti 9/13 - Lari - Pisa - Italy Phone +39 0587 687868 - Mobile +39 329 2088155 info@anticaosteriadilari.it


Mostre

Il Potere e la Grazia L

TEXT Carmelo De Luca

a mostra evidenzia il legame tra Stato e Chiesa attraverso la secolare influenza papale percepibile nella lotte per le investiture, nella ripresa socio-economica del XII secolo ad opera di una rinnovata spiritualità per il nascere di nuovi ordini monastici, la triste istituzione del tribunale dell’Inquisi-

A Roma “Il Potere e la Grazia. I Santi Patroni d’Europa” fino al 10 gennaio 2010 zione, il nepotismo, la vendita delle indulgenze, la Controriforma, sino ad arrivare ai nostri giorni. Insomma, l’esposizione romana sintetizza la storia dell’occidente cristiano nel suo cammino fondato sull’incontroscontro con la religione, raccontato attraverso la venerazione di sette grandi Santi, protettori d’Europa, che hanno ispirato le arti, la religiosità, la politica nel difficile rapporto tra potere temporale e spirituale. Così bellissime tele di Van Eyck, Meneleing, Mantegna, Del Sarto, Van Dyck, Tiziano, Veronese, El Greco, Guercino, Caravaggio, Murillo, Tiepolo, Ingres permettono un affascinante viaggio nel tempo e nella cultura dei nostri avi. E, ancora, il visitatore può deliziarsi dalla vista di codici miniati, tavole medievali, diademi, paramenti, suppellettili, che raccontano storie di conversioni, persecuzioni, battesimi, battaglie, fede e amore per Dio. Museo di Palazzo Venezia Via del plebiscito 118 ROMA Tel. 066 9994319 7 ottobre 2009 10 gennaio 2010

In alto: Andrea del Sarto, San Giovanni Battista, 1521. Sotto da sinistra: Agostino Carracci, Estasi di Santa Caterina, XVI secolo; Luca Giordano, Crocifissione di San Pietro, 1690.

Reality


Mostre

Luoghi d’esperienza

Mauro Staccioli a Volterra EDIT Angela Colombini PHOTO Sergio Borghesi, Sergio Borghi, Robert Tyson

V

olterra rende omaggio a Mauro Staccioli con una grande mostra che coinvolge luoghi, piazze e spazi museali all’interno della città e del territorio circostante con 20 installazioni-sculture, concepite appositamente, ambientate nel paesaggio, che andranno a disegnare una sorta di anello intorno alla città. La mostra, inaugurata nel mese di settembre, rimarrà aperta fino all’8 novembre 2009 mentre le opere ambientali saranno visibili sino a settembre 2010. Staccioli focalizza l’attenzione sulla vita

Un dialogo con il territorio che esalta il rapporto tra uomo e paesaggio e l’ambiente urbano compiendo un’importante passo verso un nuovo modo di concepire la scultura. Il progetto all’interno di Volterra porta le opere in spazi pubblici come nelle sale della Pinacoteca in Palazzo Solaini con piccole sculture, disegni, maquette e fotografie che illustrano il lavoro dell’artista, il suo percorso e il suo personale approccio alla scultura; sotto le logge di Palazzo Pretorio dove è riproposta la mostra “Mauro Staccioli: pensare la scultura”, curata dal

Reality

Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, incentrata sul metodo ideativo e progettuale dell’artista. È allestita infine una sala nella struttura cinquecentesca del Palagione, dove sono esposte le fotografie di Robert Tyson che documentano l’attività dell’artista in California. Contemporaneamente l’artista crea un inedito dialogo con il territorio grazie a nuovi interventi. Le sculture, installate in più fasi tra maggio e giugno 2009, sottolineano tempi e luoghi di un paesaggio in cui storia, cultura e lavoro umano si incontrano sollecitando la memoria stessa dell’autore. Staccioli ha individuato una serie di luoghi di interesse storico-culturale con il desiderio di riportare alla luce l’identità di una comunità ma anche l’identità di un paese, l’Italia, le cui radici affondano in un passato che ha plasmato le città, le campagne e lo sviluppo stesso della società. La scelta dei luoghi ha tenuto conto non solo della percezione degli spazi ma anche del loro essere tracce tangibili di una civiltà, di una collettività. E’ in questo senso che ha scelto di sottolineare la chiesa di San Dalmazio - edificio cinquecentesco che segnò parte della storia della città di Volterra - oppure di porre in risalto criticamente

la piccola pieve di Corbano, del X secolo, ormai ridotta a rudere, o di ridare voce alla Fattoria di Lischeto e alle Ville di Pignano e Roncolla. L’interesse poi per alcuni luoghi legati alle esperienze dell’infanzia dell’artista si apre alla considerazione della conformazione geofisica di un territorio plasmato da secoli di sapiente lavoro contadino, di attenta cura e conoscenza della terra. Grazie all’attenzione che viene posta proprio allo studio morfologico dei luoghi, queste opere si caratterizzano come presenze fisiche che generano nuove e inattese considerazioni. Il comitato scientifico della mostra è formato da Gillo Dorfles, Enrico Crispolti, Massimo Bignardi, Marco Bazzini, Maria Laura Gelmini, insieme ad Alessandro Togoli e a Sergio Borghesi che ha curato anche il ricco catalogo edito da Damiani Editore. L’evento è promosso da Generazioni in Arte e Fotoimmagine, con il contributo della Banca e della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, con il supporto delle gallerie Il Ponte di Firenze e Niccoli di Parma, è sostenuto dalla Regione Toscana e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Volterra.


M

cenni biografici

Nella pagina precedente dall’alto: Tondo pieno, 2009; Anello, 1997-2005; Piramide, 1972-2009; Corbano, 2009. In questa pagina in alto: Barriera, 1968-2009; Mauro

Mauro Staccioli nasce nel 1937 a Volterra e si diploma all’Istituto d’Arte nel 1954. Nel 1960 si trasferisce in Sardegna dove intraprende l’attività di insegnamento e fonda il Gruppo di Iniziativa. Nel 1963 si trasferisce prima a Lodi e successivamente a Milano; assumerà l’incarico di direttore del Liceo Artistico di Brera nel 1974/75 e 1978/79 e successivamente del Liceo Artistico Statale di Lovere (BG). Dopo un primo periodo in cui sperimenta la pittura e l’incisione, dalla fine degli anni Sessanta si dedica alla scultura, concentrandosi sul rapporto tra arte e società e sviluppando l’originale idea di una scultura che si pone in stretta relazione con il luogo. Nel 1972 Staccioli matura l’idea di organizzare una serie di “sculture-intervento” nella

città di Volterra; la mostra “Sculture in città” segna una svolta aprendo agli spazi urbani quel che fino ad allora era relegato solo negli spazi chiusi di gallerie e musei. Da questa mostra prende corpo la manifestazione Volterra ’73 curata da Enrico Crispolti che sancisce l’inizio di un nuovo modo di intendere la scultura. Alla Biennale di Venezia del 1978 realizza il celebre Muro, una parete di cemento di 8 metri che ostruisce la visuale del viale d’accesso al Padiglione Italia ponendosi quale segno critico e provocatorio. L’artista sviluppa fin da principio un linguaggio caratterizzato da una geometria essenziale e dall’uso di materiali semplici come il cemento e il ferro. Negli anni Ottanta, dopo aver realizzato una grande installazione in

Staccioli; Omaggio a Giovan Paolo Rossetti, 2009; Portale, 2009; La Boldria, 2009; Al bimbo che non vide crescere il bosco, 2009.

cemento nel parco di Villa Gori a Celle di Santomato (PT), il lavoro di Staccioli riscuote una crescente attenzione all’estero. Le sue “idee costruite” trovano infatti collocazione in Germania, Gran Bretagna, Israele e Francia. In questi anni nascono opere che sfidano gli equilibri statici generando effetti di straniamento nell’osservatore. Negli anni Novanta l’artista continua a sperimentare nuove forme. In anni recenti la feconda ricerca di Staccioli si è concretizzata in diverse installazioni in Italia e all’estero. Ancora in corso sono invece i lavori per un grande intervento a Motta D’Affermo, in provincia di Messina, e per l’ex miniera di Carbonia. Staccioli vive e lavora a Milano e Volterra.

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Arte

Cantiere Simon Benetton ono trascorsi ormai alcuni anni da quando l’Assessorato alla Cultura della città di Pontedera ha adottato la formula del cantiere come momento di incontro tra i cittadini e l’ arte contemporanea. Questo genere di esperienza ha come fine il coinvolgimento del territorio che indubbiamente ne esce intimamente valorizzato e culturalmente arricchito, in quanto attraverso una collaborazione virtuosa fra diverse istituzioni crea momenti di riflessione e di educazione al gusto per l’arte contemporanea e alla comprensione dei suoi linguaggi e raggiunge ampie fasce di pubblico. Dall’incontro con l’artista, la sua poetica ed il frutto del suo lavoro la città nel suo insieme matura una percezione che più volte è stata definita dinamica: sfondato il muro di diffidenza che troppo spesso l’arte al giorno d’oggi crea intorno a sé, ognuno è spinto naturalmente a cercare di fare propri i messaggi, i valori e le sensazioni di cui l’opera è portatrice. I primi ad essere coinvolti sono i ragazzi delle scuole di ogni livello attraverso laboratori e lezioni tenute dall’artista e

fuoco ferro forza forma

da professori, ma anche la cittadinanza viene stimolata alla riflessione dai numerosi eventi ad essa dedicati: mostre, workshop, installazioni per le vie del centro e conferenze. Dopo Baj, Trafeli, Canuti e Nespolo, quest’anno Pontedera ospita lo scultore Simon Benetton, artista trevigiano di fama mondiale: figlio d’arte - il padre è il celebre scultore Toni Benetton - dalla metà dagli anni Settanta, ha presentato numerose mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero, dove ha ricevuto vari riconoscimenti per le sue opere forgiate in metallo, nel quale l’artista ha affiancato negli ultimi anni il cristallo lavorato a scheggia fino a formare opere dal forte impatto emotivo, definite “opere di luce” o “opere sonore”. Invitato più volte alla Biennal International des Deportes en La Bellas Artes, ha partecipato a festival e convegni internazionali ed ha ricevuto commissioni in tutto il mondo, da Brindisi a Bonn e da Toronto a Fukuroi.

A Pontedera il Cantiere Simon Benetton: Fuoco, ferro, forza, forma si è aperto ufficialmente con l’installazione nei luoghi più significativi della città di undici sculture, che immediatamente hanno intrapreso un dialogo con il territorio urbano che le circonda: la luce traspare dalle fenditure lavorate nella sottile lamina di ferro, le cui forme si armonizzano con quelle della città. Novello Efesto, Simon Benetton può essere definito un demiurgo, un alchimista che con ferro e fuoco plasma un mondo parallelo sublimando la materia che, alla fine del processo creativo, sembra volersi innalzare naturalmente verso la sfera celeste o raggiungere mondi lontani, siano essi reali o appartenenti alla sfera dell’emozionale. A queste prime sculture nella primavera del 2010 se ne aggiungeranno altre che andranno a formare il prezioso nucleo di una mostra che si terrà presso il Museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli”.

Fino al 31 ottobre presso il Centro per l’Arte Otello Cirri è allestita la mostra: Gabrio Ciampalini. Demiurgo di un universo artistico per il nuovo millennio ORARIO dal lunedì al sabato: 9.00/13.00 - 16.00/19.00 / domenica: 16.00/19.00 INFO Centro per l’Arte Otello Cirri - Via della Stazione Vecchia, 6 - 56025 Pontedera (PI) Tel. 0587 57282 - e-mail: silvia.guidi@comune.pontedera.pi.it

EVENTI in corso

S

TEXT Letizia Bertini / PHOTO Marco Bruni

Reality


Reality

Sospensioni Opere di Antonio Bobò

In

TEXT Patrizia Bonistalli

concomitanza con “Effetto Venezia”, consueta celebrazione che ogni anno in agosto attrae numerosi visitatori, la filiale della Cassa di Risparmio di San Miniato nell’antico quartiere di Livorno è rimasta aperta oltre l’ordinario orario di sportello per accogliere e presentare la mostra “So-

CARISMI PER L’ARTE : le opere di Antonio Bobo’ esposte nella filiale di Livorno della Cassa di Risparmio di San Miniato spensioni” di Antonio Bobò, un’antologia di opere materialmente sospese sotto le volte della banca, dell’artista di origine livornese. L’esclusivo e originale evento espositivo ha celebrato l’avvio del progetto CARISMI PER L’ARTE. La Cassa di Risparmio di San Miniato, perfettamente integrata nel tessuto sociale e culturale non solo come organizzazione preposta alle attività economiche o finanziarie, si è posta appunto come soggetto propugnatore e custoReality

de dell’incontro benefico del cittadino con l’arte, in tal modo completandosi nella propria veste di gruppo storico e significativo fortemente congiunto al proprio territorio. Inaugurata il 3 agosto e conclusasi il 31 agosto, la mostra si è presentata come una piccola silloge, per l’allestimento della quale la Cassa di Risparmio di San Miniato si è affidata alla direzione artistica di Margherita Casazza. Antonio Bobò esordisce giovanissimo nell’attività pittorica, intraprendendo dal 1966 un intenso percorso espositivo e segnalandosi tra gli artisti più interessanti di nuova generazione. Pittore, ma anche grafico, coltiva inoltre la tecnica dell’incisione, s’interessa di ceramica e si orienta all’approfondimento delle opportunità d’espressione dei materiali. Nelle sue Sospensioni vi è una quiete che non è assenza, dove attese ed indifferenze si spengono; agganciare in alto le opere è un prendere le distanze fino a trovare un nuovo riordinato sostegno: non si tratta di una pausa forzata quanto di un riflessivo innalzare in aria le idee a favore di nuove e decise espressioni. L’arte si rivolge con un certo distacco alla realtà, s’innalza rispetto al sigillato

L’arte è il punto d’incontro con le nostre suggestioni e crescente decadimento. In particolare, in questa singolare ricorrenza l’arte si fa trovare inaspettatamente oltre i luoghi canonici nei quali siamo soliti incontrarla. Plaudita ed encomiata, la mostra ha fieramente dato il benvenuto al precipuo messaggio di CARISMI PER L’ARTE, rivolto a compiacere la sensibilità del cittadino perfino in uno spazio ed in una circostanza insolita volgendolo a riscoprire la propria aspirazione verso l’arte. In queste pagine alcune opere di Antonio Bobò che sono state esposte presso la filiale di Livorno della Cassa di Risparmio di San Miniato. Nella pagina successiva a destra dall’alto: Margherita Casazza direttore di Reality, il direttore di filiale Gabriele Bracci, il direttore di area Mauro Favati, Antonio Bobò e il presidente della Cassa di Risparmio di San Miniato Prof. Avv. Lucia Calvosa; Margherita Casazza, Antonio Bobò e il vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di San Miniato Chiara Rossi; il direttore generale Piergiorgio Giuliani con il direttore di filiale Gabriele Bracci; il presidente Lucia Calvosa e il critico d’arte Nicola Micieli; il pubblico presente.


lArte

CARISMI per

L’inaugurazione

Un pensiero ad Antonio Bobò La tua Arte rapisce lo sguardo, suscita stupore e riempie il cuore. Tutto con te, nasce e rinasce, un oggetto non ha un solo perché, ma una serie infinita; ogni forma può trovare cento cammini o forse più, per dare emozioni a chi la guarda. Scoprire o riscoprire strade della vita mai osservate, suscitare domande e perché; vedere la realtà in altri modi. Trovare o ritrovare la passione, l’amore per l’Arte. La tua creatività mostra mille sfaccettature, ma che dico, molte di più: dalla pittura alla scultura tutto diventa musica nelle tue mani. Ti posso proprio dire Antonio: la tua conoscenza ha arricchito la mia conoscenza. Margherita Casazza Reality


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Mostre

A n t o n i o

B o b ò (Livorno 1948). Pittore e Incisore, con interessi per la scultura e la ceramica, espone dal 1966. Lavora per cicli tematici. I più recenti sono orientati alla ricerca e allo studio dei materiali e agli interventi sugli spazi, sempre ritornando però alle sue esigenze pittorico-narrative. Importante il sodalizio stretto nel 1982 con Romano Masoni, Nicola Micieli e con gli artisti e gli intellettuali animatori del circolo del Pestival e del Grandevetro a Santa Croce sull’Arno (Pisa), con i quali realizza rassegne e mostre tematiche, curando iniziative editoriali, edizioni d’arte, design book e interventi socio-culturali. Numerose le personali e compresenze: al Museo Pecci di Prato, al Moma di New York, alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, al Museo della Permanente di Milano, al Museattivo Costa di Genova, al Museo Rosaia di La Spezia. Inoltre: Palazzo della Signoria di Firenze, Sporting di Montecarlo, Palazzo Ducale di Colorno, Museo Nuova Era di Bari, Fringe Visual di Melbourne, Palazzo Sormani di Milano, Famagusta Gate di Cipro, Limonaia di Pisa, Palazzo Pretorio di Volterra, Palazzo Ducale di Massa, Accademia del Disegno di Firenze, Museo dell’Informazione di Senigallia, Cultural Centrum di Anversa, Museo Ponzone di Cremona, Palazzo della Signoria di Jesi, Castello Pasquini di Castiglioncello, Rocca Paolina di Perugia, Palazzo Pinucci di Firenze, con opere in collezioni pubbliche e private.

In alto, un fotoritratto di Antonio Bobò. Qui sopra, ancora alcune immagine delle opere presenti nei locali della filiale, a Livorno, della Cassa di Risparmio di San Miniato. A sinistra, Antonio Bobò.

Reality


Arte

Silenziosi ciclopi Franco Adami

D

TEXT Nicola Micieli

ue importanti eventi correlati, l’uno in corso, l’altro previsto per la prossima estate, segneranno con grande visibilità, anzi in modo propriamente “spettacolare”, la presenza dello scultore Franco Adami nella sua Toscana. Il primo, partito nel luglio scorso, è l’installazione nell’area a prato antistante l’aerostazione di Pisa, di sei monumentali sculture in bronzo patinato, tirate con la purezza dei volumi sintetici propria al linguaggio plastico dell’artista. L’operazione si inscrive nel progetto Scolpire l’Opera, coordinato da Alberto Bartalini per conto della Fondazione Festival Pucciniano. L’insediamento temporaneo dei silenziosi “ciclopi” nel verde recinto, e dei progetti grafici in gigantografia collocati negli interni dell’Aeroporto Galilei, fa, in un certo senso, da anteprima e da proscenio alla stagione lirica della prossima estate a Torre del Lago. Che si preannuncia importante, incentrata com’è su La fanciulla del West, l’opera della quale nel

2010 ricorre il centenario della prima rappresentazione, al Metropolitan Opera House di New York. Del capolavoro americano di Puccini Franco Adami curerà le scene, che ci dicono già ideate e probabilmente a un certo stadio di definizione, ma su questo argomento non trapelano indiscrezioni. Confesso la mia curiosità circa le soluzioni che l’artista adotterà. Si tratta difatti di una storia d’azione e di una partitura in apparenza lontane dalla visione scultorea di Adami, che si ispira a una sorta di moderno totemismo nel quale gli ascendenti da Brancusi, da Pevsner, da Zadkin e su cui si fonda il linguaggio di Adami, la cui formazione è essenzialmente francese, si coniugano con una più antica memoria dei primitivi romanici. Ossia la scaturigine della ripresa scultorea italiana, e pisana in particolare, dopo i secoli della decadenza. Per esempio Biduino Pisano, il cui severo fonte battesimale che si trova nella Pieve di Calci, sicuramente avrà suggestionato il giovane Adami, nativo del civilissimo borgo pedemontano. Ebbene, appaiono come assorbite nella contemplazione e nella meditazione d’un tempo remoto, primordiale e a suo modo metafisico, le figure zoomorfe e antropomorfe da Adami ridotte alla fissità di linee e piani e volumi esattamente tagliati e ordinati in architetture rigorosamente simmetriche. Figure che pure rimandano al mondo contemporaneo, non mancando persino di una connotazione robo-

tica, per il loro consistere di parti d’un design geometrico e meccanico, che le proietterebbe oltre il tempo presente. C’è da scommettere che anche l’opera americana di Puccini, nella versione scenica di Franco Adami, attingerà una sorta di dislocazione temporale, di echeggiamento mitico, che è poi il


A sapore dell’epopea. Ma questa è una mia supposizione tutta da verificare. In attesa della messa in scena, oltre che il prato dello scalo pisano, dal luglio scorso le sculture di Adami abitano anche il parco scultoreo di Torre del Lago, ulteriore momento di Scolpire l’Opera che appare una rilevante peculiarità del Festival Pucciniano: l’incontro tra l’opera lirica e quella plastica chiamata a qualificare e interpretare uno spazio d’ambientazione al racconto musicale, di edizione in edizione affidandosi a scultori di prestigio internazionale, e sin qui scelti tra le presenze attive nel territorio versiliese, quali Pietro Cascella, Igor Mitoraj, Kan Yasuda e Franco Adami, appunto. In attesa dell’evento teatrale, dun-

que, per molti mesi a Torre del Lago le sculture di Adami fungeranno da numi tutelari della scena naturale del Massaciuccoli. A Pisa,

in uno spazio aeroportuale di puro servizio, deputato al transito e alla sosta di attesa tra due voli, dove non sembra si possa agglutinare un’immagine delle strutture e delle cose che lo renda luogo identitario (e si parla non a caso, ma impropriamente, di non-luogo), le sculture di Adami sono senza dubbio presenze stranianti, più di altre che nella medesima collocazione le hanno precedute. Al pari delle figure totemiche dell’Isola di Pasqua, sono presenze che guardano lontano, ma impongono la sospensione dell’andare, e dunque una riflessione, un raccoglimento al viaggiatore che ne colga la fissità dello sguardo remoto e si domandi la ragione del loro ergersi come custodi di un’area sacra.

Reality



Arte

Nel segno del sogno L

Elena Roncoli

a duplicità e l’ambivalenza dell’immagine costituiscono la sostanza fondamentale del sogno. Questo ruolo primario consente al sogno trasposizioni infinite, permettendogli di creare e di trovare il suo doppio poetico. Questo è il segno del sogno. Perché infine l’immagine coinvolga l’anima intera, essa deve prima interamente sconvolgerla. “Come sono vicini, dice il filosofo, in un’acqua tranquilla la superficie e il fondo. Profondità e superficie si riconciliano. Più l’acqua è profonda, più lo specchio è chiaro. La luce esce dagli abissi. Il sognatore sogna la propria profondità…” L’artista-sognatore, sognando la propria profondità si porterà nell’anima e per tutto l’arco della sua esistenza le innumerevoli devastazioni inferte dalle acque della vita. Il linguaggio che ne deriva, non parla solo di quiete e di tranquillità, perché il sognatore è colui che fin dall’infanzia tenta di tamponarle cicatrizzandole con la forza del pensiero creativo, che però può essere talvolta dirompente e persino nefasta. Pertanto quando diciamo che gli artisti sognano ad occhi aperti è vero, perché essi vivono in un mondo che favorisce loro tale situazione.

Reality

Infatti tutti noi prendiamo visione del mondo creativo di un artista tramite l’elaborazione del suo sogno. Mi riferisco, in questo caso, al sogno delle forme di Elena Roncoli, un’artista che col sogno vive in una osmosi chimica e spirituale, tanto ne è impregnata la sua “materia” mentale e artistica, da divenire essa stessa come persona fisica, la personificazione del proprio sogno. Così essa si trasforma in una sorta di “ostetrica” di immagini e visioni che porta alla luce i propri sogni. E allora viene da chiedersi: ma che cos’è dunque il sogno, se non un portatore di care illusioni, un morboso sentir con l’immaginazione, oppure un’immaginazione ossessiva di cose impossibili o credute tali? Ma il sogno, dice il poeta, è anche l’infinita ombra del vero. Allora ci domandiamo, con la Roncoli, come può il sogno essere ombra se proprio quest’ultima per assumere forma ha bisogno di un piano solido su cui concretizzarsi? Quello che succede all’interno dei meccanismi dell’inconscio è un mistero. Di sicuro la parte sognante di Elena è come un calarsi dentro a questi meandri cerebrali, al centro di queste zone buie dell’animo umano “per vedere di

TEXT Maria Rita Montagnani più” ed elaborare, organizzare, intuire, corteggiare quasi, la scintilla creativa del proprio sogno per poi, in uno stato oserei dire di ebbrezza totale, farla resuscitare e portarla alla luce. Eppure, la Roncoli non rivela, non svela le cose fino in fondo, ma forse le esprime in forme visibili solo per “velarle di più”. Essa sa che quando sul palcoscenico della vita non resteranno più sogni, resterà solo un’incisione, un guizzo, una figura, un segno, appunto, come a testimoniare ancora per molto tempo l’essenza sognante di questa breve, breve avventura terrena. Perché l’uomo, ci ricorda Pascal, per la sua insufficienza a se stesso si attacca alle cose, ma le cose gli sfuggono per il passare del tempo, per le vicende del mondo, per la morte. Allora, se l’uomo non ha altro sostegno più alto delle cose, si sente orribilmente straziare. La potenza dell’immaginario e dunque del Sogno, è allora la sua unica salvezza.

Sono terra che torna alla polvere. Sono polvere che torna alla terra. Voglio piantare nella terra I miei sogni più fragili Per farli diventare la radice Che nessuno estirperà. Il mio amore e la mia morte.

Neri Tancredi


Arte

Quarant’anni di amicizia H

TEXT Raffaello Bertoli

a percorso il Novecento e ha cercato di capire tutti gli ismi di questo secolo di rivoluzioni e involuzioni artistiche, senza dimenticare il senno della sua lunga vita d’artista. È uno dei più interessanti pittori di tradizione toscana. Nacque infatti a Viareggio il 17 gennaio del 1899. Da ragazzo volle andare a Parigi, per

Una continua ricerca tra pittura, poesia, grafica e sperimentazione conoscere Amedeo Modigliani e gli inesausti tumulti di idee che sovvertivano i canoni dell’arte. Nel 1907 Braque e Picasso avevano dato vita al Cubismo; il 27 febbraio del 1909 Marinetti pubblicò sul Figarò il primo manifesto futurista e nel 1910 si era messo mano all’strattismo. Anche Alfredo Catarsini aderì al Futurismo, ma soltanto al secondo, quando fu invitato alla Quadriennale romana e alla Biennale di Venezia. Affrontò e sperimentò tutti gli ismi, ma non si lasciò coinvolgere. Era interessato al groviglio di ricerche che

Reality

Alfredo Catarsini caratterizzarono, in bene e in male, il secolo, ma sapeva tornare sempre alla sofferta poetica delle darsene viareggine, dei calafati, dei maestri d’ascia, dei marinai e delle loro donne orgogliose. Ideò il Riflessismo e il Simbolismo meccanico, momenti ancora da approfondire, ma da artista sapiente non perdeva mai di vista i canoni estetici e i canoni etici, amava il mestiere, tanto aborrito nel nostro tempo, e ne era maestro. Insegnava infatti disegno dal vero, con serietà e coscienza, nei glorioso Istituto d’Arte Stagio Stagi di Pietrasanta. Tutta la pittura viareggina mutuò qualcosa da Lorenzo Viani e anche Catarsini ne fa attratto, ma l’Espressionismo di Viani era suggestionato dall’Espressionismo nordico degli Ensor, dei Munch dei Permeke, dei de Vlaminck, mentre Catarsini sentì profondamente l’Espressionismo mediterraneo della Scuola Romana, che Longhi chiamò “di Via Cavour”. E sopratutto Catarsini seguì l’impulso della autenticità spirituale, a ridosso delle mode e del progresso, ma incasellato in questo o in quel movimento. È sempre lui qualsiasi cosa faccia. Disegna, dipinge, scrive, studia, spe-

rimenta, critica e mantiene dritta la prua da buon timoniere. L’Amministrazione Provinciale di Lucca gli ha dedicato un dibattito “Catarsini tra poesia e ricerca” a 110 anni dalla nascita. Al dibattito hanno partecipato, insieme a me, due illustri critici, Enrico Dei e Nicola Micieli, nonché la professoressa Elena Martinelli nipote dell’artista. È importante infatti riprendere l’ap-


A profondimento dell’opera di Alfredo Catarsini scomparso il 28 marzo 1993, della sua inesausta ricerca e di tutto il fondamentale nucleo della pittura toscana deI Novecento, al di fuori delle effimere esperienze innovatrici. E questo sarà ancora una volta il punto di partenza per un riesame globale dell’Arte contemporanea, sceverando il grano dal loglio, al fine di riordinare più giuste collocazioni critiche.

Da sinistra: il Vice Presidente della Provincia di Lucca e Ass. al Turismo Patrizio Petruzzi, il critico d’arte Nicola Micieli, la professoressa Elena Martinelli, il critico d’arte Enrico Dei e il professore Raffaello Bertoli

Alfredo Catarsini

Alfredo Catarsini nasce a Viareggio, all’ombra della Torre Matilde, nella casa che fu di Ippolito Ragghianti, il 17 gennaio1899. Inizia a dipingere molto presto. Fu Lorenzo Viani ad “istigarlo” alla pittura e, giovanissimo, conobbe Amedeo Modigliani a Parigi. Fu tra gli artisti del secondo Futurismo, con Balla, Boccioni, Depero, Dottori, Fillìa; successivamente con Carrà, Michahelles, Rosai, Sironi, Soffici e Thayaht. Nel ‘39 vince il Premio “Cremona” e nel ‘40 - ‘41 rappresenta l’arte Italiana ad Hannover. Nel 42 è invitato alla XXIII Biennale di Venezia; nel ‘43 è alla IV Quadriennale romana. Dopo la guerra, partecipa alle Biennali del ‘48 e del ‘50 e alle Quadriennali del ‘52, del ‘56 e del ‘59. Nel dopoguerra insegna all’Istituto d’Arte “Stagio Stagi” di Pietrasanta ricoprendo la cattedra di Disegno dal Vero. Dinamico e instancabile, contribuisce attivamente alla vita culturale versiliese, scrive sui quotidiani e su Versilia Oggi e Versilia Ieri. Nel 1969 pubblica il suo primo romanzo “Giorni Neri” ambientato in lucchesia nel periodo dello sfollamento e della Resistenza. Tra il 1980 e il 1992 soggiorna per lunghi periodi a Lodi dove, nel ‘90, gli viene assegnato il prestigioso premio “Arvini”. Fu protagonista schivo e imbronciato. Il suo studio di Palazzo Paolina a Viareggio fu al centro del dibattito di idee e di intenti per oltre quarant’anni. Per onorare la grande e lunga amicizia che lo ha legato a Leonida Repaci fin dalla nascita del Premio, fu scelta una sua “Darsena” del periodo del Riflessismo come manifesto del 70° anniversario del Premio Viareggio Repaci. Nel 2003 è stato riallestito nelle soffitte del Palazzo il suo Atelier utilizzato per più di 50 anni fino alla sua morte. È possibile visitare il suo studio restaurato che ospita opere, foto e il suo archivio storico riordinato a cura dell’Istituto Storico Lucchese. Firenze lo ha ricordato nel 2005 con una mostra retrospettiva curata da Antonio Paolucci e Raffaello Bertoli “Alfredo Catarsini, il pittore toscano dell’emozione” a Palazzo Panciatichi. Il suo “Autoritratto del ‘34” dal settembre 2005 è andato ad arricchire il Museo degli Uffizi. L’8 settembre 2006, a 62 anni di distanza dal lontano 1944 quando Catarsini ebbe l’incarico di eseguire gli affreschi dell’abside, grazie all’interessamento del Parroco Don Rodolfo Rossi, è stato inaugurato il restauro degli affreschi che Alfredo Catarsini aveva eseguito nella Chiesa parrocchiale di S. Martino in Freddana: la stessa comunità ha promosso la ripulitura degli affreschi. Nel mese di maggio di ogni anno viene assegnato il premio a lui intitolato a tre studenti degli Istituti Superiori della Provincia di Lucca vincitori del concorso di “Disegno e Pittura dal vero extempore” che si tiene a Viareggio.

Reality


Arte

Piero Di Cosimo

TEXT Sara Taglialagamba

Ingegno astratto e multiforme

F

iglio di Lorenzo di Piero d’Antonio, un artigiano di modesta condizione, Piero nacque nel 1461 ed entrò nel 1480 come apprendista nella bottega di Cosimo Rosselli, che - come dice Vasari - gli portò amore come a un figliuolo e da cui erediterà il nome con cui è noto. Nel 1481 Piero è a Roma

Espresse la sua arte in scene capaci di rievocare un’atmosfera sospesa e mitica insieme al maestro per lavorare agli affreschi parietali della Cappella Sistina su commissione di papa Sisto IV e rientra a Firenze nel 1483. Come maestro autonomo, lo stile di Piero di Cosimo si rivela influenzato da Domenico Ghirlandaio e Luca Signorelli, ma sarà l’influsso prepotente di Filippino Lippi a conquistarlo e ad orientarlo in uno stile originale, fantastico, capriccioso ed irrequieto, pur se caratterizzato da preziosismi minuziosi, capaci di evidenziare, con precisione analitica, ogni dettaglio. Per unificare la scena utilizza un delicato luminismo tonale, che invade le forme e dona all’immagine quell’effetto atmosferico, quasi sospeso ed onirico, preso a prestito da Leonardo. Insieme a Filippino Lippi, Piero di Cosimo può essere, infatti, definito come un’artista irrequieto, sensibile agli sconvolgimenti di fine secolo. Espresse il suo ingegno astratto e difforme in scene capaci di rievocare un’atmosfera sospesa e mitica: non sono i reperti antichi ad interessarlo al pari degli altri artisti a lui contemporanei, ma l’evocazione di quell’età mitica degli antichi in cui si intessevano in maniera indissolubile le vite degli uomini e degli dei, la vita e della morte. Le fonti mitologiche, tramandate da Ovidio nelle Metamorfosi, diventavano la fonte ideale alla quale attingere. In questo modo è possibile ritrarre la bellissima Simonetta Vespucci, figlia del nobile Reality

genovese Gaspare Cattaneo, come Cleopatra (Chantilly, Museo Condè). La figura di Simonetta ben si prestava ad essere eterizzata nella dimensione del mito: fu sposa a quindici anni di Marco Vespucci ma riuscì a conquistare ben presto la corte fiorentina grazie alla sua esuberante bellezza tanto da essere definita la “La Sans Pareille”. Sarà celebrata dal Poliziano e da Botticelli, che la dipinse in seguito, sotto le vesti della dea dell’amore, nella Nascita di Venere e nella Primavera. Oltre ai favori della corte Medicea, conquistò ben presto anche il cuore di Giuliano De Medici che, durante la giostra del 1475, vinse lo stendardo dipinto dal Botticelli che raffigurata Atena con i tratti della giovane. L’amore con Giuliano fu però interrotto per la morte della giovane il 26 Aprile 1476, probabilmente a causa di tubercolosi. Piero di Cosimo fissa il profilo perfetto della bionda Simonetta nel ritratto a mezzo busto stagliato contro un paesaggio luminoso e tempestoso al tempo stesso. L’attenzione si catalizza nel primo piano sulla figura, quasi scultorea, della giovane effigiata, grazie ai virtuosistici tocchi luminosi di derivazione fiamminga, capaci di donare una nota cromatica vivace e un’attenta resa descrittiva, che tocca apici di perfezione nella definizione minuziosa delle ciocche di capelli intrecciati nell’elaborata acconciatura e adornati da gioielli. Al collo della giovane un aspide e una collana si intrecciano, tanto che la pelle fredda del serpente sembra unirsi, quasi in una fusione metamorfica, con le maglie squamose della collana in oro che ne ripetono il disegno. L’allusione ai destini che si intrecciano, per amore, dei due amanti non po-

trebbe essere più chiara. L’opera si pone però come un ritratto molto particolare: non un ritratto di tipo convenzionale, secondo l’uso diffuso del tempo, di voler fissare le fattezze della sposa come dono nuziale, ma un ritratto post-mortem, a cui probabilmente alludono i presagi funerei che incombono sul destino della fanciulla: la presenza del velenoso rettile, l’incombente nube tempestosa all’orizzonte e l’albero spoglio che si staglia vicino al profilo cesellato della donna. Proprio il serpente potrebbe leggersi come l’elemento chiave della composizione perché simbolo riferito alla negazione dell’immortalità a causa della morte, visto che il rettile non è raffigurato nell’atto di mordersi la coda (uroboros). Tuttavia,


A

La morte di Procri, c. 1500, Londra, National Gallery

paradossalmente, l’eternità è assicurata a Simonetta dall’identificazione del mito che, attraverso le opere che la ritraggono, vincono la morte. La stessa atmosfera mitica è raffigurata nel dipinto della Morte di Procri (Londra, National Gallery). Figlia di Eretteo, re di Atene, Procri sposò Cefalo: il marito mostrava fedeltà verso la moglie nonostante le insistenti richieste di Eos, dea dell’aurora. Cefalo, a sua volta, volle mise alla prova la fedeltà della moglie sotto mentite spoglie, la quale, a seguito della ferrea insistenza Procri, cedette alle lusinghe dello sconosciuto che si rivelò essere il marito. Per la vergogna

Procri fuggì a Creta, dove divenne l’amante del re Minosse che gli recò in dono una lancia magica, che non mancava mai il bersaglio, e un cane, che catturava sempre le prede, doni ricevuti da Artemide. I due coniugi in seguito si rincontrarono ma, durante una battuta di caccia, Cefalo accidentalmente colpì Procri, che si era nascosta dietro un cespuglio, con la lancia magica uccidendola. La favola mitologica sarebbe dunque un’allusione alla morale coniugale di guardarsi bene dalla gelosia. La natura è indagata con occhio attento nella sua più accurata e precisa realizzazione: quasi con intento ca-

talogatorio, il pittore descrive una rigogliosa natura in fiore che si apre fino all’orizzonte, realizzato con lo sfumato tipicamente leonardesco, quasi un velo impalpabile che dona quell’atmosfera sospesa di sogno, uno stato onirico che si presta ad essere contemplato. Infatti, il dramma si consuma in una dimensione senza tempo: il pianto del fauno e del cane, sul corpo senza vita della giovane distesa al centro dell’immagine, si traduce in un canto d’amore che, come nel dipinto precedente, eternizza l’amore di due amanti cristallizzandolo nel mito, rendendolo immortale e vincendo la morte.

Reality


Capolavori dal Museum of Fine Art di Boston

Da Rembrandt a Gauguin a Picasso

FERRARA

Da Velasquez a Murillo

20 settembre 2009 10 gennaio 2010 Palazzo dei Diamanti Tel. 0532 244949

PAVIA

Il secolo d’oro della pittura spagnola nelle collezioni dell’Ermitage

Boldini nella Parigi degli Impressionisti

tutta l’arte intorno a te a cura di Carmelo De Luca

ART AROUND

RIMINI

Una occasione irripetibile per ammirare capolavori dell’arte europea negli ultimi cinque 10 ottobre 2009 secoli. Tintoretto, 14 marzo 2010 Tiepolo, Canaletto, Castel Sismondo Murillo, El Greco, Piazza Malatesta Velásquez, Tel. 0422 429999 Rembrandt, Manet, Cézanne, Van Gogh e altri nomi blasonati testimoniano con le loro opere il sentimento religioso, la nobiltà e l’intimità del ritratto, la natura morta, gli interni, il nuovo paesaggio, insomma sei importanti tematiche per dimostrare che la pittura rappresenta un bene universale da stimare, ammirare, amare, rispettare. Tra le molte meraviglie presenti in mostra, assolutamente da non perdere il ritratto di Edmondo e Teresa Morbilli di Degas, una straziante deposizione del Veronese, il ritratto cubista di donna realizzato da Picasso. Sì signori, è proprio il caso di dirlo: tutta l’arte è intorno a voi!

La maestria di un artista raccontata attraverso le dinamiche pennellate ritraenti una suadente Parigi di fine ottocento, che evidenziano uno stile personale apprezzato da molti luminari di quel tempo. Numerose le tele in esposizione, dalle brillanti tavolette ad evocazione storica di gusto esotico, settecentesco, naturalistico, sino ad arrivare alla celebre ritrattistica della quale Boldini rappresenta una fulgida apoteosi. Ma la mostra propone soprattutto il realismo analitico intriso nelle vedute cittadine d’oltralpe, nei delicati personaggi che animavano caffè e teatri parigini, nelle tenere campagne costeggiate dalla Senna o dalla Manica, dotate di una intensa luce, sino ad arrivare ai famosi interni d’atelier: un vero scorcio di vissuto quotidiano.

Gli splendori della pittura spagnola tra 500 e 600 testimoniano l’originalità stilistica, espressiva, tecnica, che hanno strabiliato Carlo V, Filippo II e molte scuole europee del vecchio continente. Zurbaran, De Ribera, Murillo, Velasquez, esponenti dell’arte di corte, decoratori dell’Escorial rappresentano il gotha di un risveglio culturale universalmente riconosciuto, come dimostrano le 50 opere esposte nelle sale dell’austero maniero visconteo. Dotate di sontuose cornici barocche, le belle tele selezionate per la mostra racchiudono soggetti sacri animati da una penetrante essenzialità, dolcezza spirituale, magnifica regalità dei personaggi e, ancora, nature morte, paesaggi, scene di genere testimoniano la grandezza dell’arte iberica, le sue innovazioni, le relazioni con le correnti europee. Per i cultori del “Siglo de Oro”, l’evento pavese rappresenta una ghiotta occasione da non perdere.

9 ottobre 2009 17 gennaio 2010 Castello Visconteo Via XI Febbraio 35 Tel. 0382 33853


Lo stile dello Zar

PRATO

LARI (PI)

Una magnifica simbiosi tra tessuti, moda, pittura racconta le relazioni che la Russia ha avuto con l’Italia dal XIV al XVII secolo. Agli occhi dei visitatori, certamente estasiati da cotante meraviglie, sete, broccati, damaschi, abiti di corte, ori scintillanti, raffrontati con importanti dipinti coevi e nei quali l’abito ha un ruolo di primissimo piano. Produttrici, creatrici, maestre di questi capolavori sono state le manifatture italiane e grandi pittori del nostro ridente Stivale: la mostra pratese intende illustrare la considerazione che la corte dell’aquila bicipite ha avuto nei riguardi del nostro primato creativo. Importanti prestiti, provenienti dall’Ermitage, dal Puskin, dal Museo Statale Russo, da prestigiose istituzioni italiane, sfoggiano l’opulenza presso i palazzi degli zar, così il sontuoso guardaroba di Pietro il Grande, bellissimi tessuti, vasellame di nobile metallo, pregevoli tele di Tiziano, Bordon, Parodi, Sustermans, Cigoli lasciano, per la prima volta, la loro dimora di S. Pietroburgo, Mosca, Firenze, Genova, Venezia, per essere ammirati con altre rilevanze artistiche presso la ridente città di Prato.

19 settembre 2009 10 gennaio 2010 Museo del Tessuto Via S. Chiara 24 Tel. 0574 611503

Il Muro, vent’anni dopo. Quasi come Dumas Prosegue la rassegna d’arte contemporanea dal titolo “Prospettive diverse” grazie all’impegno del comitato 8 novembre 2009 organizzatore LariArte, che da quest’anno si avvale della 8 dicembre 2009 collaborazione di Filippo Lotti come direttore artistico. Castello dei Vicari Questa esposizione, patrocinata dal Comune di Lari è fatta in Tel. 333 3197384 collaborazione con l’associazione turistica “ViviLari”, l’associazione www.lariarte.it culturale “Il Castello”, “FuoriLuogo – Arte Contemporanea” lariarte@live.it e con l’associazione culturale “La Ruga”, e realizzata con il contributo dell’”Antica Osteria al Castello” di Lari e di “Europroget” di Ponsacco. La mostra, con opere di pittura, scultura, fotografia ed installazione, riunisce una trentina di artisti che ricordano il Muro di Berlino a vent’anni dalla sua caduta. La mostra è corredata da un catalogo, curato da Filippo Lotti, con tutte le opere riprodotte e con l’introduzione critica di Cristina Olivieri. L’inaugurazione sarà ripresa da Toscana Tv per la trasmissione “Incontri con l’Arte”, il programma ideato e condotto da Fabrizio Borghini. Inaugurazione 8 novembre 2009 ore 17.30. Orario di apertura: dal martedì al venerdì ore 15.30 19.00; sabato e domenica ore 10.30 - 12.30 e 15.00 - 19.00 - Chiuso il lunedì - Ingresso libero.

Inganni ad Arte

FIRENZE

Meraviglie del trompe l’oeil dall’antichità al contemporaneo

16 ottobre 2009 24 gennaio 2010 Palazzo Strozzi Piazza Strozzi Tel. 055 2776461

L’ingegnosa creazione di un’arte, al limite tra verità e inganno, raccontata attraverso la pittura, preziosi vasi camuffati da animali o piante, meravigliosi tavoli intarsiati a mo’ di prensili, fantastiche vedute da finte finestre e tanto altro. Le rinascimentali sale di Palazzo Strozzi offrono una coinvolgente immersione nel mondo della finzione d’autore di grande impatto visivo. Un fattore comune spesso pervade questo particolare genere artistico: l’illusionistico sostegno strutturale che, esorbitando oltre il limite architettonico, muove le figure, dona luce chiara e intensa, rende sfavillante il colore, toglie peso alla materia. Moltissimi i capolavori in mostra, non a caso si spazia dalla pittura romana ai sublimi capolavori di Mantegna, Tiziano, Veronese, Pistoletto, Pisani, Fenezman. Ah, l’esposizione fiorentina permette di ammirare il famoso Scarabattolo del Gran Principe Ferdinando dei Medici e, per la prima volta in Italia, le opere della scuola realista statunitense.

la vetrina di Reality


Archeologia

San Genesio in Vico Wallari A

TEXT&PHOTO Valerio Vallini

considerare lo sfacelo, il tritume, lo sconquasso che emerge da sottoterra allo stato attuale degli scavi condotti dalla squadra di archeologi diretti dal Dott. Cantini, si deduce che i sanminiatesi nel 1248 devono avercela messa tutta perché di San

Dagli scavi emergono realtà straordinarie dalla metà del VI secolo a.C (età etrusca), al basso Medioevo del XIII secolo Genesio e di Vico Wallari non rimanesse traccia. La città dei vicari imperiali come ha scritto Paolo Morelli in un suo saggio del 1985 “San Genesio e due improbabili follie” (Erba d’Arno n°19, pag.46), saccheggiò più volte San Genesio e le ragioni erano senz’altro geostrategiche e politiche. Tutti quei traffici sulla via Francigena, all’incrocio con la via Romana, a due passi dall’Elsa e dall’autostrada d’acqua rappresentata dall’Arno, erano un serio pericolo all’egemonia imperialsaminiatese. Non potendo assoggettare quel centro, orgoglioso caposaldo lucchese, bisognava distruggerlo dalle fondamenta. E così fu fatto. Oggi grazie alle indagini archeologiche condotte a partire dal 2001 da Federico Cantini, San Genesio, che si trova in pianura nella parte orientale del territorio del comune di San Miniato, riemerge in tutta la sua profondità storica e nella sua ampiezza e potenza territoriale. Afferma Cantini, guidandoci in una escursione fra gli scavi: “Parlare di San Genesio fino a quasi un decennio fa, era un po’ come parlare di un “fantasma”. Era noto agli storici perché oltre che essere stato sede di diete imperiali è ricordato nell’itinerario di Sigerico (nel 990) come una delle stazioni della via Francigena. Poco e altro si sapeva e niente di certo sulla sua ubicazione.” Reality

Riguardo alla ubicazione di San Genesio chi scrive è testimone di una vasta emersione in superficie, proprio intorno alla chiesetta e nei campi adiacenti, di frammenti significativi di vario genere. Sarebbe bastato da parte di esperti grattare un po’ intorno all’oratorio e dare retta all’iscrizione di Pietro Bagnoli che si trova ancora oggi sulla facciata del medesimo. Si legge: Ubi sacellum hoc, hisque in agris, pagus


fuit olim insignis Vici Wallaris nomine prius; deinde a sancto Genesio…che tradotto recita: dov’è questa tomba e in questa campagna fu un borgo già nominato Vico Wallari, poi San Genesio…). Ma prevalse una diversa corrente di pensiero che portò ad esplorare sui poggi circostanti, privando San Miniato della priorità della scoperta che è da attribuirsi al Museo Archeologico della Ceramica di Montelupo che operava sulla zona fin dagli anni Ottanta del Novecento. In un convegno in Palazzo Grifoni a San Miniato del 1 dicembre del 2007, promosso dal Centro Studi sulla Civiltà del tardo MedioEvo, a cura di Federico Cantini (Università di Siena) e Francesco Salvestrini (Università di Firenze), la realtà di San Genesio fu esposta e rivelata da relazioni qualificate fra i quali ricordiamo, oltre a quelle dei curatori, gli interventi di Paolo Morelli dell’Istituto Storico Lucchese sez. Valdarno, di Giulio Ciampoltrini della Soprintendenza Archeologica della Toscana, di Anna Benvenuti dell’Università di Firenze. Già in quel convegno si affermò: “Le indagini archeologiche hanno consentito di scoprire anche ciò che preesisteva alla pieve e al borgo medievale. Sotto di essi sono emerse le tracce di una capanna di fine IV - inizi III a.C. e di una struttura di età romana abbandonata nel corso del V secolo. L’area fu poi utilizzata per impiantarvi una grande necropoli con tombe a fossa e a cappuccina ed un mausoleo. Proprio il mausoleo sarà riutilizzato per costruire un piccolo edificio di culto nel corso della seconda metà del VI secolo. Intorno alla chiesetta, in età longobarda, si sviluppa poi un abitato fatto di case di legno, che nella seconda metà del VII secolo saranno affiancate dalla nuova chiesa pievana di San Genesio. Ad oggi, anno 2009, ulteriori scavi - si legge in una pubblicazione – curata da Cantini – hanno riportato alla luce tracce di una frequentazione dell’area che dall’epoca etrusca ( metà del VI secolo a.C.), giunge all’età romana e tardo antica quando viene impiantata una grande necropoli. Ma è con il periodo

longobardo che troviamo i resti di un villaggio, noto alle fonti scritte come Vicus Wallari (nel 715), dove si lavorano metalli e si producono brocche in ceramica dipinta. Si tratta già da allora di un centro legato a Lucca per il controllo della viabilità stradale e fluviale del Valdarno inferiore. Alla fine del VII secolo viene costruita una nuova chiesa: la pieve di San Genesio, una struttura di eccezionali dimensioni: (35x17 m) che ospiterà nel suo cimitero anche una giovane donna sepolta con un denaro carolingio coniato a Tours in Francia. Con l’XI secolo il complesso religioso è ingrandito. Intorno si stende il borgo fatto di case di terra. Tra queste, lungo la via Francigena sono stati trovati i resti di una taverna. Nel pozzo del chiostro sono state trovate brocche dell’XI-XII secolo. Nuove diete imperiali saranno tenute proprio a San Genesio nel corso del XII secolo e alla fine del secolo sempre nel borgo sarà firmata la Lega Guelfa fra i rappresentanti delle città e delle grandi famiglie signorili della Tuscia, che si opponevano all’impero. La fortuna dell’abitato inizia però a vacillare all’inizio del XIII secolo: nel 1216 l’imperatore Federico II dona il borgo ai sanminiatesi e nel 1236 il pontefice concede alla chiesa del castello di San Miniato il diritto di battesimo e sepoltura, che fino ad allora erano stati prerogativa della pieve di valle (leggi San Genesio ndr). Il borgo, ormai indebolito, sarà definitivamente distrutto dai sanminiatesi nel 1248.” “Ciò che è emerso – sottolinea Cantini – non è che una parte dell’antico borgo. Se avremo i mezzi per proseguire i lavori, ci potranno essere sorprese e il sito archeologico potrà rivelarsi in tutta la sua estensione e ricchezza di manufatti e reperti.”

Nella pagina precedente dall’alto: San Genesio, navata laterale e cripta; particolare dell’altare murato. In basso a sinistra: Don Luciano Niccolai, l’Assessore alla cultura di San Minato Chiara Rossi, il Vescovo di San Miniato Fausto Tardelli, il pittore Luca Macchi, il Dott. Federico Cantini e l’Ing. Roberto Masoni. In questa pagina dall’alto: il Dott. Federico Cantini; una veduta aerea della Pieve di San Genesio, il pozzo medievale del chiostro; la cripta.

Reality


Storia

800

Viaggi nella Toscana Granducale

L

a collana dedicata ai viaggi storici Le Tracce, di Antiche Porte editrice di Reggio Emilia, da qualche anno propone inediti diari di viaggio scritti da personaggi che percorrono l’Italia dei secoli passati. Tra qualche settimana uscirà il decimo volume, quinto della “serie” di quelli che propongono i tour di Francesco IV d’Austria Este. Si tratta di un “appuntamento” speciale in quanto ricade nel 150° della fine dei ducati emiliani e di quello, più a sud, di Firenze. Per questo esso conterà viaggi nelle principali città italiane, allora anche capitali di Stato.

Reality

Da documenti originali dell’epoca scritti da Francesco IV d’Austria d’Este

In questo numero di Reality vi proponiamo alcune pagine, tratte dalla collana, inerenti luoghi toscani. Questa volta si parla della Garfagnana. Il signore di Modena, durante i suoi spostamenti visita anche la Toscana Granducale Eccolo in Garfagnana, giovedì 9 aprile 1818: partimmo, Ferdinando ed io accompagnati dal Governatore Marchese Giuseppe Molza, e dall’ingegnere Miotti, da Castelnuovo di Garfagnana alle ore 7. La mattina a cavallo con bel tempo prendendo la strada d’Aulla per Camporgiano. Passando sotto al Monte Alfonso, passammo alle 7 ½ ore pel villaggio di Filicaja; e alle 8 ore per quello di Poggio distante tre miglia da Castelnuovo. Ivi al Poggio si divide la strada quella a sinistra va a Vagli di sotto, che sono altre 3 miglia fin là e a destra, ossia diritto andammo a Camporgiano che è pure 3 miglia dal Poggio e 6 da Castelnuovo e vi giunsimo alle 9 ore, andando di passo. Il paese che traversammo è bello, variato, essendo paese di collina, fertile, ben coltivato. Ci fermammo nella rocca a veder la bella vista di quelle vallate abitate, a veder l’abitazione del giudice, le prigioni che sono buone… Alle 9 ¾ ore partimmo a cavallo da Camporgiano, passammo pel villaggio di Petroniana, che è a 1 ½ miglio da Camporgiano alle ore 10 1/2. E alle 10 ¾ ore per S.

Donnino altro villaggio ½ miglio da Petroniana. Poi passammo il Serchio, in un luogo ove il fiume corre fra scogli e ove v’era un ponte, ma rovinato ed ora si passa colle bestie a guado e gli uomini su un’ascia. Ivi gli abitanti bramerebbero un ponte, ma è un poco dispendioso dovendosi fortificar la base da una parte e farlo alto, perché il fiume Serchio alle volte gonfia assai e viene impetuoso. Passato il Serchio, alle 11 ore, subito passammo pel villaggio di Sala, lontano ¾ di miglia da S. Donnino; e alle 11 ½ passammo per Gragnana, che è un miglio da Sala. Il paese, da Camporgiano a Gragnana, è bello, coltivato, si va sempre nella valle del Serchio, che non è angusta i monti sono più colline che monti, a castagneti, parte a vigne e parte coltivate, le cime a bosco. Il terreno non è grasso un poco sassoso pure [nonostante] produce. La strada è quasi piana, stretta, non troppo buona, solo atta per cavalcare e anche per questo abbisogna di riattamenti. Il paese è discretamente popolato, la popolazione svegliata, industriosa, robusta ed astuta, ma però nel totale buona, attaccata al Sovrano e al paese, ma non amano pagar tributi: l’inverno molti vanno nelle Maremme toscane o in Corsica a cercarsi da lavorare e vivere. Da Gragnana vi sono due strade per andar in Lunigiana: l’una più a destra che va per Giunchignana e l’altra più a sinistra che va per Capoli, noi presimo questa


e giunsimo alle 12 ¼ ore a Capoli, che è 1 ¼ miglio da Gragnana. Capoli è un piccolo villaggio, dopo cui salimmo subito per circa 1 ½ miglio sulla catena del Monte Tea, che è una catena di monti non alti che divide la Garfagnana dal paese Lucchese di Minucciano e da Albiano e quindi anche dalla Lunigiana. Giunsimo alla cima del monte Tea verso 1 ora dopo mezzodì, la salita è dolce, non v’è vera strada, ma il monte è incolto a pascolo senza bosco onde si passa dappertutto. Sulla cima ci fermammo un poco a vedere la bella vista, dominando il paese di Minucciano, parte della Lunigiana e si vede fino al mare verso Sarzana e la Spezie. Di là scesimo più d’un quarto d’ora a piedi per una strada ossia sentiero sassoso, erto e cattivo, facendo andar a mano i cavalli e così giunsimo ad Albiano alle ore 1 ½ che è circa 1 miglio dalla cima del Monte Tea ed in un piccolo villaggio Lucchese, della Podesteria di Minucciano. Da Albiano continuammo ancora per un miglio lungo il fiumicino l’Auletta, che nasce dai monti di Tea e sbocca nella Magra, presso Aulla, e giunsimo alle 2 ore al villaggetto detto Pieve Vinacciara, ove comincia il confine Toscano della Podesteria di Fivizzano e che è al fiumicino Auletta il quale porta molta e grossa ghiaia e la strada va fra la ghiaia nel letto del fiume. Ivi ci vennero incontro a cavallo i Signori Deputati di Lunigiana per complimentarsi, cioè i Signori Agnini di Pallerone, Galleotti di Licciana, Spadoni di Podenzana, Ravani Notaro di Bibola, il Marchese Tommaso Malaspina e il Marchese Federico Malaspina ed ivi a Pieve Vinacciana trovammo i cavalli di Lunigiana ordinati per noi di cambio. Onde cambiati cavalli subito, andammo a cavallo con quel seguito pel letto e per la ghiaia del fiume Auletta, che corre tortuoso fra colline o monti a bosco, in stretta valle. Ivi tornò a Castelnuovo il Governatore, Marchese Giuseppe Molza che era con noi. Partimmo da Pieve Vinacciara alle 2 ¼ ore e dopo 1 ¼ miglio di strada, essendo andati d’un buon passo, e trottino coi cavali freschi giunsimo a Casoli alle ore 2 ¾ passate, che è un villaggio toscano fra le colline o monti bassi, che sono parte coltivati, parte a bosco, luogo ameno di molta caccia. Noi entrammo in Gragnola che è un villaggio grossetto che ha due porte, case discrete, strade strette, ma selciate. La Lunigiana è visitata nel giugno 1818. Dopo di aver ben riposato a Fivizzano, udito ivi messa in casa Fantoni, fatto collazione partimmo da Fivizzano a cavallo coi nostri cavalli di Castelnuovo alle ore 10 ½. Alle 11 ½ passammo per Soliera che è a 3 ½ miglia buone da Fivizzano, cioè dopo un breve miglio v’è il villaggio dopo un altro miglio il villaggio [manca nome] e dopo ½ miglio Soliera. Ivi sul ponte passammo l’Aulletta, alle 12 ore passammo per Cesarana (che è 1 ½ miglio da Soliera) alle 12 3/ 4 per Tendola (che è ½ miglio da Cesarana) e fra Cesarana e Tendola è il confine della comune di Fosdinovo di Lunigiana Estense col Fivizzanese e alle 1 ½ ora giunsimo a Fosdinovo. Da Tendola a Fosdinovo sono 2 miglia. La strada da Fivizzano a Soliera è buona, quasi piana, però stretta e non carrozzabile. Da Soliera a Cesarana si sta facendo e così da Cesarana a Tendola, da Tendola a Fosdinovo non si è fatto niente, è un poco montuosa, erta ma da cavalcare non cattiva. A Fosdinovo mi aspettò il Delegato di governo in Lunigiana, Mignani; smontai alla casa della Giusdicenza, ove pranzai avendo spedito prima Sterpin dal Re, a Sarzana ove seppi che era arrivato, per saper quando veniva.


Storia

Pietro Leopoldo A

Granduca di Toscana

TEXT Tamara Frediani veva da poco sposato l’Infanta di Spagna Maria Ludovica di Borbone e compiuto diciotto anni da circa due mesi, quando in seguito alla morte del padre, Pietro Leopoldo fu chiamato a succedere al padre nel governo del Granducato; era il secondo esponente della dinastia lorenese alla guida della Toscana, dopo che nel 1737 con la morte di Giangastone, la famiglia Medici si era estinta.

Un abilissimo uomo politico, dominato dalla volontà di governare uno stato nel quale la ragione fosse sovrana, uno stato che per essere credibile doveva essere giusto e umano Figlio di Francesco Stefano e di Maria Teresa d’Austria, Pietro Leopoldo era cresciuto leggendo le opere dei più illustri autori illuministi del tempo, Rousseau, Montesquieu, Beccaria. Era dominato dal profondo desiderio di realizzare nella società quella modernizzazione e quei cambiamenti che aveva appreso e condiviso durante la sua formazione, per migliorare concretamente la realtà. Fin da subito lavorò in questa direzione: dopo aver organizzato il funerale in effige per il padre, primo atto ufficiale del suo governo, si occupò di una lettura che proprio Francesco Stefano gli aveva consigliato. Si trattava del Discorso sopra la Maremma di Siena pubblicata nel 1737 da Sallustio Bandini, un prete senese, che possedeva una casa a Massa Marittima. Quest’opera, che si rivelò poi fondamentale per lo sviluppo della Toscana, aveva come scopo quello di denunciare la difficile situazione maremmana. Questa terra infatti era per la maggior parte composta da una zona Reality

paludosa, piena di zanzare e quindi di malaria, che costituiva la principale causa di mortalità della popolazione residente. I campi erano per la maggior parte abbandonati, senza possibilità perciò di ricavarne da vivere. In questa opera Bandini proponeva come rimedio di lasciar operare la natura stabilendo poche e semplici leggi a portata di pastore, di non vessare la popolazione con le consuetudini medievali; auspicava una maggiore circolazione delle merci e soprattutto consigliava una importante azione di bonifica. Secondo Bandini c’era bisogno che i cambiamenti riguardassero tutta la società maremmana, se si voleva mutare la situazione, e scorgeva nell’agricoltura il principale e più importante settore sul quale intervenire. Pietro Leopoldo cominciò a studiare in che modo fosse possibile concretizzare le idee di Sallustio Bandini e nel 1766 incaricò Leonardo Ximenes, importante geografo e scienziato di recarsi in Maremma per capire quali provvedimenti era necessario adottare. Ma questo non era l’unico luogo dove la situazione era difficile e da migliorare. Il granduca si occupò della rinascita dell’agricoltura in tutta la Toscana. Pensava infatti, come tutti gli illuministi, che essa fosse alla base della ricchezza di uno stato e soprattutto delle migliori condizioni di vita dell’uomo. A Firenze qualche anno prima, proprio in virtù di questa forte corrente di pensiero e di studi, era nata un’importante accademia di agricoltura, il Circolo dei Georgofili, che esiste ancora oggi ed ospita una ricchissima biblioteca di storia dell’agricoltura. Una delle caratteristiche principali di Pietro Leopoldo fu la volontà di conoscere nel dettaglio la realtà che lo circondava. Fece indire un censimento per capire la composizione e il numero reale della popolazione, così come fece indire una denuncia del bestiame, in modo da avere una idea esatta della forza lavoro.

Dato il numero altissimo di poveri riscontrato, dette inizio ad una serie di provvedimenti per la realizzazione di opere pubbliche, necessarie sia ai bisogni dello Stato ma anche per garantire la sussistenza a chi non aveva niente per vivere. Un esempio è la strada che va da Pistoia all’Abetone, che metteva in collegamento la montagna pistoiese con l’Emilia Romagna. Proprio all’Abetone è ancora oggi visibile il simbolo che scelse Pietro Leopoldo per ricordare e simboleggiare i concetti razionali da lui sostenuti, la Piramide. Il granduca fu famoso anche per il suo controllo: spesso vestito comunemente prendeva il cavallo e girava da solo per lo Stato, controllando che tutto funzionasse a dovere. Fu un sovrano molto aperto con la popolazione, tanto da fissare un giorno di ricevimento per i suoi sudditi a Palazzo Pitti. Nel periodo in cui fu Granduca di Toscana, molti furono gli interessi ai quali si dedicò, in particolare la lettura, i viaggi e la musica. Nell’aprile del 1770 invitò a Firenze uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, austriaco anch’egli, che all’epoca aveva solo quattordici anni, Wolfgang Amadeus Mozart. Entusiasta di ogni novità, e pieno di curiosità, era affascinato in particolare dall’Inghilterra; nel 1768 fece tradurre l’opera del capitano inglese John Byron, protagonista di un viaggio di esplorazione fino allo stretto di Magellano. Una delle azioni più importanti di tutta la sua opera riformatrice fu senza dubbio la riforma della legislazione criminale toscana, attuata attraverso l’emanazione della Legge di riforma criminale del 30 novembre 1786. Vennero aboliti in primo luogo i mezzi di


S tortura e la pena di morte, la mutilazione delle membra, ma anche il reato di lesa maestà, e la confisca dei beni. Ispirato dall’opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, Pietro Leopoldo ebbe una particolare attenzione per l’istituto carcerario. Era convinto che la detenzione avesse senso, solo se attuata in termini rieducativi. Per questo la pena, che doveva essere certa come teorizzava Beccaria, doveva essere scontata attraverso il lavoro coatto. I detenuti furono ad esempio utilizzati per compiere le bonifiche in Maremma. Pietro Leopoldo si dimostrò un abilissimo uomo politico, dominato dalla volontà di governare uno stato nel quale la ragione fosse sovrana, uno stato che per essere credibile doveva essere giusto e umano. Negli anni del suo governo tutti si sentirono coinvolti, responsabili e protagonisti. Questa fu la grande forza di Pietro Leopoldo, l’aver vissuto le idee illuministiche, facendo di Firenze e del Granducato uno dei maggiori “laboratori illuministici” del Settecento europeo. Nel 1790 alla morte del fratello Giu-

seppe II, fu costretto a fare ritorno in Austria per succedergli come Imperatore. Lasciò in eredità il governo del Granducato al figlio Ferdinando III d’Asbugo che tentò di proseguire l’opera ben intrapresa dal padre. Note Appunti del corso di Storia della Toscana Moderna. Lezioni del Prof. Giovanni Cipriani, Firenze 2001. Didascalie Nella pagina precedente: Pietro Leopoldo, granduca di Toscana. In questa pagina in alto: Pompeo Batoni, L’imperatore Giuseppe II e il Granduca Pietro Leopoldo. Sotto a sinistra: Wilhelm Berczy, Pietro Leopoldo di Lorena con la famiglia granducale, 1781. A destra: un ritratto di Pietro Leopoldo.

Reality


Storia

Virginia

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TEXT Luciano Gianfranceschi

figlia di Galileo

na vivace bambina di 9-10 anni di nome Virginia prende in mano un cannone-occhiale appena realizzato dal padre, ritenendolo un giocattolo. E se il genitore aveva puntato il cannocchiale all’orizzonte, la piccola lo indirizza al cielo per vedere il Paradiso. Era scritto nel suo oroscopo di nascita, circa quattro

Sappiamo bene che il genitore perfezionò il cannocchiale: ma quanta importanza ebbe la bambina nel puntarlo al cielo? secoli fa: «laborum et molestarum patientem, solitariam, taciturnam, parcam, propri commodi studiosam, zelopitam». In effetti, paziente alle fatiche e alle cose spiacevoli, solitaria, taciturna, moderata, studiosa del proprio carattere, gelosa. La curiosità è che l’oroscopo l’ha fatto Galileo Galilei, e che la figlia, con il nome di suor Maria Celeste, (celeste, da cielo), trovò a 16 anni il paradiso in terra facendosi monaca di

Reality

clausura nel convento delle clarisse di San Matteo in Arcetri (Firenze). All’epoca - nel Rinascimento - non vi era differenza fra astronomia e astrologia: gli astronomi come Galileo, calcolavano quali stelle emergessero sull’orizzonte al momento di una nascita e ne ricavavano l’influenza astrale sul neonato. Un oroscopo fatto da Galileo per la figlia è visibile presso il Museo di storia della scienza, a Firenze. Il futuro scienziato, nato a Pisa (nell’anno 1564), da ragazzo si era trasferito nel capoluogo toscano (1574), spostandosi poi all’età di 28 anni all’università di Padova, come insegnante di matematica incaricato dalla Repubblica Veneta. In quegli anni conobbe Marina Gamba, con la quale visse in case separate, senza mai sposarsi: nacquero tre figli, Virginia e Livia, divenute monache, e Vincenzo, l’unico legittimato. Fu proprio in maniera così leggendaria, grazie alla figlia, che Galileo puntò il cannocchiale in alto, verso le stelle? Lo tramandano oralmen-

te. E ne è stato fatto uno spettacolo teatrale intitolato “Celeste”, dalla compagnia fiorentina “Il piccolo principe”, per insegnare ai giovani studenti qualcosa di fondamentale: è bene seguire il ragionamento anche se incontra scetticismo. Infatti lo scienziato ebbe il coraggio di mettere in dubbio le verità della propria epoca, fondando la scienza moderna che grazie a lui è nata in Italia. Ed è a suo merito che il 2009 è l’anno mondiale dell’astronomia, proclamato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per la ricorrenza del quattrocentesimo anniversario delle prime osservazioni di Galileo Galilei con un cannocchiale. L’iniziativa si deve all’astrofisico Franco Pacini, che sei anni fa, quale presidente dell’Unione Astronomica Internazionale (IAU), sollecitò alle Nazioni Unite questo anno galileiano. E da settembre 2009 fino all’aprile 2010, sarà avviato l’Anno del telescopio, un programma di attività didattiche per seguire gli stessi eventi


astronomici osservati 400 anni fa da Galileo, ripetendo le osservazioni con telescopi amatoriali. L’Anno del telescopio si propone di avvicinare i giovani e gli studenti alle esperienze e ai metodi usati da Galileo sia nella costruzione del telescopio astronomico, sia nel suo uso alla scoperta del cielo. Ora nei giovani si coltiva il pensiero scientifico, ma ai tempi di Galileo… Nell’estate 1609 mostrò ad alcuni senatori della Repubblica di Venezia il cannocchiale (di appena 9 ingrandimenti). Lo stupore fu enorme. Eppure non mancò chi obiettava che “la lente deforma la realtà”. Regalato il cannocchiale al Doge, realizzò il telescopio: con il quale, tornato a Firenze, scopre i satelliti di Giove, che chiama Astri medicei in onore del Granduca Cosimo II de’ Medici. Il telescopio conferma anche le rivoluzionarie teorie di Nicolò Copernico: la Terra non è immobile al centro dell’universo, ma ruota su se stessa e attorno al sole. Nonostante l’obiezione che nelle sacre scritture si legga “Giosuè fermo il sole. Dunque il Sole si muove e la Terra sta ferma”. Fermo nella propria convinzione, Galileo pubblicò nel 1625 il libro Dialogo sopra i due massimi sistemi, che fu insieme la sua grandezza di scienziato e la sua rovina di uomo. Era il dialogo tra uno che spiegava novità… e l’altro che non voleva capire! Il papa Urbano VIII gli aveva concesso di divulgare la nuova teoria copernicana in latino, e come un’ipotesi. Invece Galileo pubblicò il testo non nel latino dei dotti, ma in italiano affinché tutti sapessero. Inevitabile che, pur settantenne e quasi cieco, venisse processato al tribunale dell’inquisizione a Roma nel febbraio 1633, minacciato di tortura, costretto ad abiurare (cosa che fece, testardo convinto, borbottando sùbito dopo, “eppur si muove” la terra). Ma fu condannato al carcere a vita, e per penitenza a recitare una volta la settimana i sette salmi. Finalmente, questo 2009 è stato l’anno della sua riscossa mondiale. Ne sarà contenta – e dovrebbe averne merito - anche suor Maria Celeste, che conosciuta la condanna, scrisse al padre “l’intenzione di assumersi l’onere della recita dei salmi penitenziali”. Fece propria la condanna per amor filiale, oppure a causa di quel cannocchiale puntato al cielo da bambina, si sentiva… parte in colpa?


Territorio

Le “compagnie laicali” nella Livorno del Granduca Pietro Leopoldo

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TEXT&PHOTO Paola Ircani Menichini

Una piccola città, circondata da alte mura, ecco come appariva Livorno nel Settecento1. Cosmopolita e tollerante, era ammirata dai viaggiatori che la dicevano elegante (Charles de Brosses), ben regolata, con le strade grandi, le case dipinte di fresco, con tanta pulizia da per tutto (J. Gaspar Goethe) mentre la popolazione faceva sentire a proprio agio (George Berkeley)2. Favorita dai Medici, doveva la sua ricchezza al commercio marittimo di scalo e di spedizione, e all’esportazione delle manifatture toscane. I livornesi - che erano il popolo, il ceto medio e il clero erudito o dedito alle opere di carità - si sentivano orgogliosi della loro città e delle sue tradizioni religiose, delle quali circa una quarantina di Compagnie laicali erano parte significativa. Formate da laici devoti, si chiamavano congregazioni se orientate all’educazione religiosa e al culto, confraternite se praticavano opere di carità o di pietà e centurie se formate da cento persone. Quasi tutte si appoggiavano agli Ordini religiosi nelle cui chiese poteva esservi un altare dedicato: gli Agostiniani di S. Giovanni, i Minori Osservanti della Madonna, i Teatini di Montenero, i Domenicani di S. Caterina, i Cappuccini della Trinità, i Trinitari di S. Ferdinando; invece avevano sede in Collegiata le congregazioni della SS. Concezione e del Mantenimento della Messa dopo mezzogiorno. Durante le adunanze, le liturgie, o l’assistenza agli infermi e il trasporto pubblico dei defunti sul cataletto, i confratelli si vestivano con le cappe, il cappuccio e la buffa e portavano i segni distintivi, il gonfalone e le torce. In accordo con lo statuto, eleggevano gli ufficiali annuali, tra i quali i più importanti erano il governatore, i consiglieri e il camarlingo (l’economo). Inoltre amministravano i beni e compilavano i registri contabili. Leggendo quelli conservati all’Archivio di Stato di Livorno si scoprono belle ed eleganti scritture, precisione e rispetto per la propria associazione.

Reality

Di queste compagnie, i fondatori erano stati a suo tempo semplici benefattori, enti ecclesiastici o particolari (ad esempio S. Antonio da Padova della nazione portoghese) o categorie sociali come gli ortolani (S. Maria Assunta a Montenero), i bombardieri della Fortezza (S. Barbara), i pizzicagnoli (S. Bartolomeo), gli osti, i locandieri, i pasticceri, i vinattieri (S. Liborio e S. Martino), i giovani di banco e commessi dei commercianti (S. Matteo), i calzolai (S. Crispino e Crispiniano), i facchini di dogana e del porto (Suffragio delle anime del Purgatorio). Significativi i fini sociali e di devozione: le opere di pietà per gli infermi e i defunti (S. Sebastiano della Misericordia), il culto (le compagnie sopra citate, SS. Nome di Dio, Vergine dell’Umiltà, SS. Sacramento e S. Giulia, S. Giuseppe da Leonessa), l’insegnamento della dottrina cristiana ai bambini e ai catecumeni (Purificazione di Maria Vergine e anime del Purgatorio), il riscatto degli schiavi (SS. Trinità) e l’assegnazione della dote alle ragazze povere (S. Anna, Natività di Maria, S. Rocco) perché potessero degnamente sposarsi o monacarsi come suore velate corali o converse (il grado inferiore). Riguardo alle doti, per la compagnia di S. Anna, ammontavano a 20 pezze ciascuna ed erano frutto di elemosine e donazioni. Si assegnavano per la festa del 26 luglio tramite sorteggio da una borsa con delle pallottole contenenti i nomi delle ragazze; il giorno dopo la fanciulla estratta assisteva alla Messa cantata e faceva le sue devozioni, confessandosi e comunicandosi. Dal 1761 ricevette in più una veste formata da 10 braccia di saia arcimperiale turchina, un nastro di seta bianca e un velo bianco biffato. Anche la congregazione di S. Matteo segnava nei suoi registri le collette annuali e le elemosine dei privati: tra i nomi di donatori quello dell’avvocato Pietro Michon, dell’abate Galletti, di Orazio Mei

maestro di cappella. Tra le spese annotate: la biancheria lavata da Teresa Fabre monaca della SS. Nunziata, i lavori dei falegnami, dei ricamatori e dei paratori per le pianete e gli arredi di broccato, il noleggio delle setine da Dorino setaiolo per l’addobbo della chiesa nelle feste, le candele portate dal curato Soldani, l’opera del pittore Calocchini, il libraio Carlo Giorgi, l’affitto pagato da Giuseppe M. Michon operaio camarlingo dell’opera del Duomo per la stanza sopra la sede all’episcopio, il rinnovo dell’autentica della reliquia di S. Matteo. Il 21 settembre 1777, festa del santo titolare, fu fatta la spesa della cioccolata, dei biscotti e dell’assistenza d’uomo perché intervenne il proposto della Collegiata mons. Baldovinetti. Nel 1783, quando i Barnabiti lasciarono Livorno, si pagò a p. Emanuele Vidani, proposto del collegio di S. Sebastiano, l’onorario per i discorsi serali fatti; p. Flaminio dei Minori Osservanti lo sostituì l’anno dopo. Anche la Compagnia della Natività di


Maria, per citare un altro esempio, celebrava solennemente le sue feste particolari, oltre a fare le Quarantore a ottobre e altre esposizioni in varie sedi, compresa quella degli ufficiali di dogana. Per la ricorrenza principale dell’8 settembre comprava la mortella e i mazzetti di timo da mettere davanti alla chiesa per profumare l’entrata e forse così coprire l’odore di stalla dovuto ai cavalli e ai muli di carrozze e carretti di città. I suoi registri ricordano un camposanto nella sagrestia della chiesa e il muratore chiamato per lo sterro della sepoltura di un confratello o di un familiare. Tanti i nomi di soci e benefattori: Filippo Pomier La Comba, Pietro Audibert, Guglielmo Escudier, Francesco Ara arabo (iscritto nel 1782), Iacopo Sgarallino, Odoardo Long inglese (iscritto nel 1783) e altri. Le cappe erano di roano (bruno rossiccio), e, per i ragazzi, di costanzina turchina. Mantenute sempre in ordine, si rinnovavano spesso; quelle vecchie a volte erano vendute ad altri confratelli, come Giovanni Cecconi della compagnia della Natività del Gabbro che nel 1782 viaggiò fino a Livorno per comprarne una. C’era poi Anna Angiolini, la domestica che cuciva le cappe e i bottoni, lavava la biancheria e puliva, mentre un organo aveva il suo organista in Carlo Antonio Vaselli, stipendiato mensilmente, e il coro il suo capo cantore in Domenico del Tronco. Si parla anche di un pellegrinaggio a Montenero fatto nel 1782 e della relativa organizzazione3. La visita a Montenero aveva un suo cerimoniale anche nello statuto degli Ortolani: il 15 agosto per l’Assunzione di Maria, gli uomini e le donne, accompagnati da un sacerdote e con a capo una fanciulla vestita di turchino con il velo bianco, attraversavano in processione la città, cantando litanie e salmi; arrivati al Santuario, presentavano sei candele al loro altare dell’Assunta e l’offerta di 10 scudi4. Nel 1785 le Compagnie laicali del granducato di Toscana furono soppresse e i loro beni inglobati nella Cassa Ecclesiastica istituita per soccorrere il clero e le parrocchie più poveri. Ai livornesi non piacque questa riforma, voluta dal proposto della Collegiata mons. Antonino Baldovinetti, consigliere del granduca Pietro Leopoldo. Con la rivolta di S. Giulia il 31 maggio 1790 ne imposero il ripristino in città; il loro numero però non fu più quello di prima. NOTE Questo articolo è estratto dal testo di una conferenza tenuta il 18 giugno 2009 nella parrocchia di S. Matteo di Livorno. È intervenuto il vescovo S. E. mons. Simone Giusti; un ringraziamento al parroco don Matteo Gioia e ai sigg. Bruno Ferri e Vittorio Passetti per l’organizzazione. 2 PAOLO ROGNINI, La città di Livorno vista dagli eruditi del passato, in «Rivista di Livorno», n. 61, 2007. 3 Archivio di Stato di Livorno, Inventario 21, e nn. 322, 352, 672. 4 GIOVANNI GELATI, La Madonna e i Livornesi, in «Due secoli di presenza vallombrosana a Montenero», Genova, 1992, pp. 100, 101. 1

DIDASCALIE Nella pagina precedente in alto le opere di misericordia, alla maniera di B. Poccetti, disegno di Antonio Fedi, sede dell’Arciconfraternita della Misericordia, Firenze. In basso la pianta della città e del porto di Livorno, sec. XVIII, in «La Toscana dei Lorena», Roma 1991. In questa pagina in alto: la chiesa di S. Giulia, oratorio della compagnia del SS. Sacramento e S. Giulia, ancora oggi esistente (da Stradario storico di Livorno, numero speciale della «Rivista di Livorno», 1986).


Territorio

TEXT&PHOTO Giuliano Valdes

C’

Palazzo Piccolomini, gioiello d’architettura medievale (Bernardo Rossellino)

Lo splendido paesaggio naturale della Val d’Orcia

è un pezzo di Rinascimento, sulle colline incantate della Val di Chiana che sovrastano la Val d’Orcia, là tra le crete aride e battute dal sole, dove gli svettanti cipressi orlano le stradelle poderali fiancheggiate dai vigneti, in una trama di morbidi mammelloni dissodati e di campi coltivati, ora dorati dal grano in estate avanzata, ora verdeggianti, ora marroni di grezza, intensa terra. Lungo la Via Cassia, in un paesaggio naturale reso ancor più suggestivo dalle interazioni umane (il Kulturlandschaft tanto caro ai geografi tedeschi), Pienza si offre alta su un poggio, alla destra idrografica dell’Orcia, quasi un baluardo di case e antiche mura a dominio della sottostante vallata. La cittadina è una mèta ricercata dagli appassionati dell’urbanistica, della cultura e delle innumerevoli memorie storiche del luogo. Mai la definizione di “Città d’Autore” è stata più azzeccata: Pienza è di

Il Duomo con il pozzo, entrambi progettati dal Rossellino

Scorcio verso il campanile del Duomo

fatto il frutto della scommessa fatta da un papa umanista, che intese in tal modo dare spazio e forma al mo-

Una Città d’Autore, frutto della scommessa di un papa umanista che volle creare un modello ideale di città dello ideale di città, quale da tempo si stava dibattendo ed affermando nelle corti rinascimentali. Fu così che

Bernardo Rossellino, allievo di Leon Battista Alberti, si accinse a trasformare l’antico borgo di Corsignano in quello che oggi resta un modello insuperato di città del Rinascimento. Dove un tempo (attorno al IX sec.) sorgeva un castello, già sotto la giurisdizione degli abati di San Salvatore (Monte Amiata), si sviluppò il nucleo di Corsignano, gravitante nell’orbita senese. Qui, in seguito, si affermò il potere dei Piccolomini. Da questo casato nacque (1405) quell’Enea Sill turrito profilo del Palazzo Comunale

La bellissima facciata della Pieve di Corsignano

Reality

Il singolare campanile della Pieve di Corsignano (secc. XI-XII)


L’interno di un “Caciaio” Un dipinto di Matteo di Giovanni all’interno del Duomo

Un’insegna del prodotto più tipico di Pienza

vio, destinato a divenire papa con il titolo di Pio II (1458). Tra il 1459 ed il 1464 (anno della scomparsa del pontefice), il Rossellino dette forma al proprio ideale di città, coniugando le nuove istanze rinascimentali al preesistente sostrato urbano medievale. Il risultato appare oggi chiaro nell’unitarietà della Piazza Pio II, nel prospiciente Corso Rossellino e nei palazzi che vi sorgono, non semplici elementi di architettura, ma “attori” di un geniale canovaccio, messo in scena da un regista illuminato. Del resto ovunque, passeggiando per Pienza, si scorgono tanti tasselli che compongono questa mirabile creazione urbanistica. Dai più bei palazzi al superbo Duomo, dalle tre porte civiche, fino ai vicoli dai nomi curiosi o romantici (Via Fortuna, Via Amore, Via Bacio, Via Buia), per non dire delle vie più anonime, tutte ben curate, linde, d’aspetto grazioso, gentile ed invitante. Dovunque scorgerete i segni del tempo: dappertutto le antiche pietre delle case parlano, insieme ai lastricati delle strette stradine, o alla pavimentazione in laterizi, magistralmente disposti a

spina di pesce. Un consiglio ai turisti: lasciate l’auto appena fuori della cittadina (il centro è, ovviamente, off limits per le auto) e dedicatevi alla scoperta di Pienza senza fretta, apprezzandone gli innumerevoli tesori d’arte, architettura e urbanistica. Non mancate, poi, di affacciarvi alle suggestive panoramiche che si dischiudono proprio alle spalle del Duomo o lungo la strada che conduce alla Pieve di Corsignano (da vedere assolutamente!). Nelle giornate limpide lo sguardo abbraccia tutta la Val d’Orcia fino al maestoso impianto vulcanico del Monte Amiata. Un ultimo consiglio è d’obbligo per tutti, ma in particolare modo per i golosi: se i prodotti tipici (tra gli altri, gli spaghettoni locali, detti pici) e gli splendidi vini di questa terra nobile e generosa sono una tentazione, lo squisito “cacio” di Pienza è un must da non perdere! Date un’occhiata e lasciatevi tentare dall’insuperabile pecorino che occhieggia, fresco o stagionato, ma sempre profumato e invitante, dalle innumerevoli botteghe poste lungo il Corso Rossellino.

Cartografia Carta stradale del territorio dell’Agenzia per il Turismo “Chianciano Terme Val di Chiana” (1:100.00), Editing Studio Pisa 1997-2007


Territorio

Meglio un Brunelleschi in Torre che un pisano all’uscio… TEXT&PHOTO Serena Marzini

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empo fa mi sono imbattuta in una livornese che mi ha spiegato cosa stesse dietro la frase del pisano all’uscio... svelandomi l’arcano. Semplicemente i fiorentini madavano i pisani a riscuotere le gabelle per conto loro nei vari possidementi

Vicopisano... un gioiello incastonato tra Il Monte Serra e l’ex palude bientinese territoriali. E probabilmente questa sorte toccò anche a Vicopisano. Punto geograficamente strategico commercialmente, data la sua posizione a ridosso dell’Arno, fu sottoposto ad un incessante assedio per la disputa del suo predominio. Dopo varie alternanze governative tra Pisa e Firenze, la città, fedele alla Repubblica Pisana difesa da forti mura e protetta dalle acque del Fiume Serezza e dell’Arno, capitolò per fame dopo nove mesi di assedio fiorentino che aveva condotto una pesante rappresaglia a colpi di bombarde, catapulte, torri mobili e arieti. I fiorentini entrarono così in possesso di un centro sulle acque del fiume dal quale potevano controllare gli scambi fluviali, i flussi dei pellegrini, dei mercanti e i raccolti delle campagne. Verso la metà del ‘400 i fiorentini cominciarono a pianificare un progetto basato sulla difesa militare per scoraggiare gli attacchi dei nemici costruendo una città fortezza inespugliabile ,costituita da una spessa cinta muraria e da torri di avvistamento ben organizzate. La Torre più caratteristica è quella fatta costruire nel 1435 dall’architetto Brunelleschi dopo la conquista del 1406 della cittadina pisana. La Torre a cui si arriva costeggiando la strada che porta a Palazzo Pretorio Reality

è adesso di proprietà privata, ma visitabile consultando gli orari affissi davanti alla Biblioteca Comunale. Sulla parte Nord est, è stata edificata la Torre del Soccorso e la Torre del Cavaliere, oggi amichevolmente chiamata da tutti “ La Rocca”, situata sulla sommità del colle con un percorso fortificato ed un cammino di ronda che lo unisce. Le due torri sono molto simili tra loro: la struttura è in conci di pietra regolari. Vi è poi la Torre delle quattro porte il cui nome deriva dalla particolarità delle quattro porte che ognuna


aprendosi ad una facciata della torre, ne danno una caratteristica inconsueta, offrendo sì l’accesso al paese, tuttavia vincolato e controllato dalle imposizioni delle autorità del borgo stesso. Le quattro aperture della torre sono ogivali. Da notare lungo le mura, torri e case sparse, quest’ultime con una struttura simile alle torri. Ciò a sostenere la validità di alcune ipotesi tra cui: la possibilità di essersi prestate a simbolo di importanti famiglie, l’esaltazione della potenza del borgo o la precedente esistenza di una più non riscontrabile cinta. L’impressione che si ha arrivando a Vicopisano è quella di un paese immerso nel verde dove si trovano scorci, vicoli e testimonianze che fanno da specchio alla bellezza della sommità del colle e dei filari dei tigli che cingono il centro. Merita una visita il “Palazzo pretorio“ con stemmi araldici alle pareti e con una corte interna ristrutturata molto bella.

La parte antica del borgo è costituita da case che insieme formano un piccolo gigante di roccia che va a confondersi con gli angoli, le curve strette e le romantiche scalinate. Poi basta fermarsi, scattare una foto e tutto resta intatto, nel tempo, e neanche il vento con la polvere scalfisce il momento. La Torre del Brunelleschi, rimane alta a salutare ogni arrivo, congedando ogni partenza, e la bandiera a campo rosso che appare da lontano non è più il simbolo di appartenza, ma punto di vetta da cui la curiosità si perde alle pendici dei Monti Pisani.


Lo scaffale dei poeti

Vittorio Sereni Poeta del riserbo e di tenerezze improvvise TEXT Valerio Vallini PHOTO da “Poesia” anno II numero 4

ittorio Sereni nacque a Luino, sul Lago Maggiore, nel 1913. Si trasferì con la famiglia prima a Brescia, poi a Milano, dove si laureò in Lettere con una tesi su Guido Gozzano e dove strinse amicizia con gli allievi dei filosofo Antonio Banfi (Paci, Anceschi, ecc.) e frequentò altri poeti e letterati: Solmi, Quasimodo, Sinisgalli, Gatto, Bo e altri. Dedicatosi all’insegnamento, nei tardi anni Trenta collaborò con le riviste d’area ermetica (area dalla quale si tenne poi, secondo una sua intervista nei “Castori”, sempre a latere) fra le quali Il Frontespizio, Letteratura, Campo di Marte e Corrente, per le cui edizioni pubblicò nel 1941 i versi di Frontiera (il titolo allude alla collocazione del paese natale, al confine tra Italia e Svizzera. Richiamato sotto le armi, fu di passaggio a Santa Croce sull’Arno nel dicembre del 1942, come testimonia una sua bella poesia: Risalendo l’Arno da Pisa; nei 1943 venne catturato sul fronte siciliano e di qui trasferito nei campi di prigionia di Orano e di Casablanca. Rientrato in patria alla fine della guerra, riprese l’insegnamento (fino al 1952), poi entrò nell’ufficio stampa della Pirelli, quindi fu alla Mondadori in qualità di direttore letterario. Frattanto nel 1947 aveva pubblicato i versi del Diario d’Algeria, ispirati all’esperienza della prigionia. Seguirono un volume di prose, Gli immediati dintorni (1962), e altri di versi: Gli Strumenti umani (1965), Un posto di vacanza (1973), poi raccolto con altri versi inediti in Stella variabile (1973-1981). Importanti anche le sue traduzioni poetiche da R. Char, W. C. Williams, G. Apollinaire ed altri. Morì a Milano nel 1983. Reality

Quando Sereni nel dicembre del 1942, “Risalendo l’Arno da Pisa” si affacciò alla nostra Santa Croce, scrisse una poesia già distante dall’ atmosfera ermetica, che nel finale recitava così: “Poi venne una zazzera d’oro/ su un volto nebbioso./ Fu un giorno di fine d’anno/ nel torvo tempo di guerra/ a Santa Croce sull’Arno./” Ho cercato interrogando alcuni anziani chi poteva avere memoria, in una Santa Croce del 1942, di una zazzera bionda, e questa mia velleità consapevole è naturalmente affondata nei limi d’Arno. Non importa. Apprendo con felicità che a Vittorio Sereni è stato intitolato un “Largo” e me ne compiaccio. Il lettore si chiederà a qual fine io insista su questa mia nota personale, questo affetto per Sereni, voglio dire per la sua poesia. E’ una poesia, come scrive Dante Isella, che usa “una lingua studiosamente parca, riduttiva, che si colloca nel solco della lezione più di Ungaretti e del primo e miglior Quasimodo, che non di Montale.” Che si colloca, lo dico con parole mie, nella dimensione della “poetica degli oggetti” contrapposta alla “poetica della parola” di stampo ermetico. Con l’ermetismo Sereni, lo ripetiamo, ebbe una rapporto molto a latere. E’ vero che conobbe Carlo Betocchi e che si vide pubblicare due poesie in un numero di Frontespizio nel 1937 in una Firenze allora centro vitale di cultura e di idee di cui com’è arcinoto, le Giubbe Rosse furono un polo attrattivo. Diversissimo, sia per filosofia che per stile, dal fiorentino Mario Luzi del quale era uscito nel 1935 il suo primo libro di versi La barca, Sereni ebbe sempre il concetto di una poesia nata dalla prosa, con cadenze colloquiali e pacate. “Poeta del riserbo e di tenerezze improvvise – come lo descrisse Domenico Porzio in un’intervista su Panorama del 22 marzo del 1982- con Gli Strumenti umani, ha dato secondo me una poesia veramente nuova nel clima di quegli anni sessanta che avevano visto le velleità dei Novissimi, lo “splendido manierismo” del Pasolini di Poesie in forma di rosa, le raccolte Una volta per sempre e L’ospite ingrato di Franco Fortini, Una vita in versi di G. Giudici, Nel magma di Mario Luzi, solo per fare alcuni titoli esemplari. In anni che preparavano la contestazione violenta che scoppiò nel 1967/68, in Sereni lo spirito di contestazione delle forme letterarie e politiche “si raggruma – scriveva L. Baldacci in Le idee correnti, Vallecchi, 1968 – nel suo dettato folto di ragioni morali, in quel suo procedere a incastro, sicché lo stile è il segno diretto di quel rovello.” Ma le ragioni della poesia sono da ricercarsi soprattutto nell’altezza e nel ritmo del canto. A questo proposito mi sento di citare la parte finale di Amsterdam che il poeta scrisse imbattendosi per caso nell’abitazione-rifugio di Anna Frank. “/Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale/ continuavo a cercarla senza trovarla più/ ritrovandola sempre./ …”


Dal “Diario d’Algeria”

I VERSI

RISALENDO L’ARNO DA PISA

Se ne scrivono ancora. Si pensa a essi mentendo ai trepidi occhi che ti fanno gli auguri l’ultima sera dell’anno. Se ne scrivono solo in negativo dentro un nero di anni come pagando un fastidioso debito che era vecchio di anni. No, non è più felice l’esercizio. Ridono alcuni: tu scrivevi per l’Arte. Nemmeno io volevo questo che volevo ben altro. Si fanno versi per scrollare un peso e passare al seguente. Ma c’è sempre qualche peso di troppo, non c’è mai alcun verso che basti se domani tu stesso te ne scordi

O mia vita mia vita ancora ansiosa d’un urbano decoro... Se case e campi diventano vacui se assurde si fanno le voci e il velo sollevare non sai più, è tua quella bruma, tristezza foriera a ritroso dalle foci d’una sua grigia bellezza. Poi venne una zazzera d’oro su un volto nebbioso. Fu un giorno di fine d’anno nel torvo tempo di guerra a Santa Croce sull’Arno.

Posto di vacanza, edito nel 1972 sull’Almanacco dello Specchio, “rappresenta a un tempo – come scrisse V. Mengaldo – la coscienza e la crisi dei motivi più profondi elaborati nel dopoguerra.” Un ritorno quindi al clima di Frontiera. Per me, al di là del passo triste, quasi desolato, vale la bellezza di certe immagini: “/L’ombra si librava appena sotto l’onda:/ bellissima, una ràzza, viola nel turchino/ sventolante lobi come ali./” …/ - il mare incanutito in un’ora/ ritrova in un’ora la sua gioventù-/… Con Stella variabile, uscita per i tipi di Garzanti nel 1982 un anno prima della morte, che comprende poesie dal 1965, il poeta accentua il giudizio sull’esistenza. Lontano il clima della “strada di Zenna”, / i minimi atti, i poveri/ strumenti umani avvinti alla catena/ della necessità, la lenza/ buttata a vuoto nei secoli,/…Qui più che dare risposte apre strade e ipotesi. Con spirito laico canta perfino il muezzin ascoltato a Luxor, canta della morte e dell’eternità, della speranza e della poesia.

Nella pagina precedente e in alto in questa pagina due immagini di Vittorio Sereni. Sopra: un’immagine di Luino sul Lago Maggiore.

dicembre 1942

NON SA PIU’ NULLA E’ ALTO SULLE ALI Non sa più nulla, è alto sulle ali il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna. Per questo qualcuno stanotte mi toccava la spalla mormorando di pregar per l’Europa mentre la Nuova Armada si presentava alla costa di Francia. Ho risposto nel sonno: - È il vento, il vento che fa musiche bizzarre. Ma se tu fossi davvero il primo caduto bocconi sulla spiaggia normanna prega tu se lo puoi, io sono morto alla guerra e alla pace. Questa è la musica ora: delle tende che sbattono sui pali. Non è musica d’angeli, è la mia sola musica e mi basta -. Campo Ospedale 127, giugno 1944

Da “Gli strumenti umani” ANNI DOPO

DALL’OLANDA A portarmi fu il caso tra le nove e le dieci d’una domenica mattina svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra lungo il semigelo d’un canale. E non questa è la casa, ma soltanto - mille volte già vista sul cartello dimesso: «Casa di Anna Frank». Disse più tardi il mio compagno: quella di Anna Frank non dev’essere, non è privilegiata memoria. Ce ne furono tanti che crollarono per sola fame senza il tempo di scriverlo. Lei, è vero, lo scrisse. Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale continuavo a cercarla senza trovarla più ritrovandola sempre. Per questo è una e insondabile Amsterdam nei suoi tre quattro variabili elementi che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi tre quattro fradici o acerbi colori che quanto è grande il suo spazio perpetua, anima che s’irraggia ferma e limpida su migliaia d’altri volti, germe dovunque e germoglio di Anna Frank. Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam…

La splendida la delirante pioggia s’è quietata, con le rade ci bacia ultime stille. Ritornati all’aperto amore m’è accanto e amicizia. E quello, che fino a poco fa quasi implorava, dall’abbuiato portico brusìo romba alle spalle ora, rompe dal mio passato: volti non mutati saranno, risaputi, di vecchia aria in essi oggi rappresa. Anche i nostri, fra quelli, di una volta? Dunque ti prego non voltarti amore e tu resta e difendici amicizia. QUEI BAMBINI CHE GIOCANO

Da “Stella variabile”

un giorno perdoneranno se presto ci togliamo di mezzo. Perdoneranno. Un giorno. Ma la distorsione del tempo il corso della vita deviato su false piste l’emorragia dei giorni dal varco del corrotto intendimento: questo no, non lo perdoneranno. Non si perdona a una donna un amore bugiardo, l’ameno paesaggio d’acque e foglie che si squarcia svelando radici putrefatte, melma nera. «D’amore non esistono peccati, s’infuriava un poeta ai tardi anni, esistono soltanto peccati contro l’amore». E questi no, non li perdoneranno.

POETI IN VIA BRERA: DUE ETA’ Ci vuole un secolo o quasi -fiammeggiava Ungaretti sulla porta della Galleria Apollinaireci vuole tutta la fatica tutto il male tutto il sangue marcio tutto il sangue limpido di un secolo per farne uno… (Frattanto sul marciapiede di fronte a due a due sottobraccio tenendosi a due a due odiandosi in gorgheggi di reciproco amore sei ne sfilavano. Sei)

Reality


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ANALISI CHIMICHE IGIENE AMBIENTALE CONSULENZA ALLE IMPRESE AGENZIA FORMATIVA

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Libri

L’intelligenza ecologica TEXT Patrizia Bonistalli

no con i nostri corpi (tinture, prodotti, sostanze, plastica), un elenco interminabile di elementi quotidiani che possono produrre migliaia di effetti devastanti quando entrano in contatto con i recettori del nostro corpo. Una sorta di etichetta del prezzo aggiuntivo si cela dietro ogni oggetto che compriamo: sono i costi che paga il pianeta, e non troppo più tardi la nostra salute. Occorre un’informazione trasparente e un radicale cambiamento conoscitivo,

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isvegliare un’attenzione e una consapevolezza nei riguardi dell’ambiente è congiuntamente un privilegio ed un concetto complesso. L’essere umano è partecipe nell’evolversi dell’esistenza e corresponsabile dello stesso processo da cui ha avuto origine. In una società scalpitante, fortemente incentrata sul consumo e reduce da imponenti rivolgimenti di pensiero, la sconnessione imprudente tra l’uomo e la natura crea, tuttavia, una recinzione che ci porta ad isolarci e ci impedisce di valutare le conseguenze delle nostre azioni. Daniel Goleman, psicologo statunitense laureato ad Harvard, noto autore di Intelligenza emotiva (1995), nel suo “Intelligenza Ecologica” lancia un forte comunicato: c’è un intelligenza che ha appreso che funzioniamo con le stesse leggi della vita di cui siamo parte; l’essere umano può sviluppare sia la consapevolezza dell’impatto che ha ogni sua azione, sia la capacità di cogliere le molteplici concatenazioni ed effetti che da essa ne derivano. Il progresso ci ha recapitato quelle che noi definiamo un’enorme quantità di facilitazioni, concrete e tangibili, ma troppo spesso senza alcun riguardo per l’impatto naturale. Oltre centomila sostanze interagisco-

e ci dà una mano a capire quali sono i rischi, a porre maggiore attenzione alle conseguenze delle nostre abitudini di spesa quotidiana, all’impatto

A volte sono custodite in noi le risorse che ci salvano sulla nostra salute e su quella dei nostri figli. Tutti noi in quanto consumatori, sostiene l’autore, abbiamo il potere di favorire le serie produttive più giuste; riciclare, comprare prodotti biologici, usare lampadine a basso consumo, sono solo per iniziare alcuni tra i gesti più semplici. Per affrontare le difficoltà presenti e le sfide future che ne concernono, i problemi non possono essere affrontati da un unico soggetto, ma richiedono la collaborazione e l’interazione. Nell’auspicabile percezione di compiere prossimi gradini evolutivi la tutela del nostro habitat è oggi tra le più impellenti emergenze.

che ci permette di reagire con ripudio ad una sostanza od agente chimico. Goleman riassume schiettamente le reciprocità tra i diversi elementi, che si ripercuotono a catena nel sistema vivente e ne determinano il funzionamento; in seguito, si dispiega in una persuasione convincente secondo cui l’essere umano può davvero sviluppare la coscienza dell’impatto ambientale dei diversi prodotti e favorire l’innovazione eco-compatibile. Risolvendo l’espressione simbolica “Intelligenza ecologica” Goleman intende soprattutto fornire un’educazione, ci tocca nei concetti più semplici, ma profondi, Reality



Letteratura

Pisa Un salotto letterario I

TEXT&PHOTO Alessandra Casaltoli

l piacere della letteratura, il gusto della compagnia. “Aggiungi un posto a tavola”, cantava Johnny Dorelli in quel celebre musical che da questa canzone prende il titolo, ed è anche il leitmotiv delle belle serate letterarie che Mariangela Casarosa, poetessa, scrittrice, provetta fotografa, offre ai suoi ospiti una volta al mese, quando apre il suo salotto ad altri scrittori, poeti, giornalisti o semplicemente amanti della letteratura, nonché della buona compagnia. Mariangela ha aggiunto una poltrona nel suo salotto e gentilmente ci ha concesso di intervistarla.

Belle serate letterarie passate alla PinkHouse Come nasce l’idea del Salotto letterario Pinkhouse e quando. L’idea del Salotto è nata negli anni ‘90, quando, per combattere la solitudine, essendo rimasta vedova e non avendo figli, ho avuto l’idea di frequentare e riunire persone con i miei stessi interessi: fotografia, pittura, poesia, narrativa. Iniziai ad organizzare riunioni a casa mia, piccole feste e gli artisti presenti erano numerosi già allora. Per questo tipo di persone ciò che conta sono le qualità intellettuali e morali, la disponibilità a partecipare alla vita culturale in comune ed il parlare d’arte. Vuoi parlarci del tuo percorso artistico? Verso il ’93, dopo quattro anni di concorsi fotografici ed incontri con i fotografi pisani, ritornai all’antico amore, la scrittura. Mi iscrissi a dei corsi di scrittura a Pisa e poi studiai per due anni a Lucca, frequentando un Master di scrittura creativa tenuto dal Prof. Julio Monteiro Martins. Dopo sei libri editi di poesia, ho iniziato a scrivere racconti e romanzi. Ne ho pubblicato uno nel 2007 con l’ETS “Mariel rideva da sola”. In tre mesi abbiamo esaurito le copie. Quello che chiamo ‘il se-

condo salotto’ è iniziato nel 2003 ed è tuttora in vita, anzi gode di ottima salute. Il nome ‘Pinkhouse’ viene da un vecchio scherzo di una mia collega inglese, che per gioco mi chiamava così, traducendo il mio cognome. Come sono strutturate le serate letterarie del Salotto? Il Prof. Antonio Pardi ed io stessa, siamo la voce critica del salotto, in passato anche la Prof. Paola Pisani Paganelli. Ci riuniamo una volta al mese, il giovedì a casa mia dopocena. Nei primi due anni abbiamo trattato ogni volta un argomento di scrittura creativa: l’incipit, la struttura, il punto di vista, il dialogo, lo stile, il finale, fino a parlare delle case editrici, degli agenti letterari, dei concorsi. Oggi invece le serate sono basate sulla presentazione in anteprima dei libri pubblicati dagli autori ospiti. Il Prof. Pierantonio Pardi e talvolta la Prof.ssa Paola Pisani Paganelli sono la voce critica del salotto, i presentatori, coloro che introducono l’opera da presentare. Poi c’è un intervallo che io definisco ‘godereccio’, con spuntini, dolci, bevande. La serata prosegue con letture di altri ospiti e dibattiti, spesso molto animati, ma in modo costruttivo. Il clima è sempre molto gioioso. Vuoi parlarci di questi due coadiutori del salotto? Alla scrittrice Paola Pisani Paganelli piace rovistare tra le pieghe di storia e microstoria pisana e lucchese, per un salvataggio memoriale di un milieu provinciale denso di fatti, personaggi, luoghi, curiosità, atmo-

sfere, con un taglio fra lo scanzonato e l’affettuoso. Ha pubblicato Storie dell’Arno, La spesa in Piazza, A Marina sul trammino, Ranieri, il santo dell’acqua, Matilde Calandrini ieri e domani, Ritratto di Elena: la beata Guerra e le Zitine. Pierantonio Pardi insegna letteratura italiana all’ITAS “Gambacorti di Pisa”. Ha esordito nella narrativa nel 1983 con il romanzo Bailamme; in seguito ha pubblicato, con altri autori, Le vie del meraviglioso, Il filo d’Arianna, Cicli e tricicli, Graaande... prof! Ha diretto e organizzato corsi di scrittura creativa i cui testi sono poi stati pubblicati su tre antologie: Scrittura mista, Ultima spiaggia, Caffè ristoro. È direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS). Il Pinkhouse ha rapporti con istituzioni, riviste, case editrici, altri salotti o gruppi letterari? Sì, negli ultimi due anni il Salotto Pinkhouse è stato invitato a partecipare a manifestazioni in cui abbiamo letto al pubblico poesie e brevi racconti. Abbiamo realizzato serate al centro Maccarone, alla Leopolda, alla Libreria Feltrinelli e più volte siamo stati ospitati alla Biblioteca Comunale. Abbiamo rapporti anche con la casa editrice ETS, dove ho pubblicato e presentato il mio primo romanzo “Mariel rideva da sola”. I prossimi appuntamenti del Salotto. Da Maggio, una volta al mese, oltre che in casa mia a numero chiuso, il Salotto si riunirà nella saletta Momus, presso l’editore Felice, al pubblico. Reality


Racconto

Amourang TEXT/ PHOTO

I

l Motel Sea Empress si trova proprio sulla spiaggia. Nonostante tutte le norme concernenti la stesura delle fondamenta, l’architetto (che immaginavo come un tipo occhialuto, vestito con indumenti estivi e con un taglio a spazzola) voleva che la sua opera avesse la sabbia tra le dita dei piedi e prendesse di petto le onde. Prodigò perciò non pochi dettagli nautici sul locale, tra cui una balaustra tubolare color acquamarina lucente che avvolgeva il motel, a cui non mancava neanche una prua – una specie di sporgenza di cemento dalla quale gli ospiti potessero osservare l’orizzonte, la vista dei grattacieli pacchiani della Florida e lo scroscio delle onde direttamente sottostanti durante l’alta marea. L’acqua salata e il costante sbattere delle onde hanno quindi danneggiato un po’ l’edificio. Mia moglie Zabba sentì parlare del motel da un suo collega nel favoloso mondo dello spettacolo in cui lavora. Mi disse che avevamo bisogno di fare una pausa; di andare fuori città per un po’. Il che è sempre una buona idea, per quanto mi riguarda. Si guardò bene dall’assalirmi con la notizia che la sua vecchia amica Nibs ci avrebbe raggiunti durante questo ponte vacanziero finché non stavamo ispezionando la nostra stanza, ovvero la nostra suite. Ci avrebbe raggiunti tra poco, infatti. “Cosa? Perché? E perché non me lo hai detto?” “Perché avresti detto di no, per questo non ti ho detto niente.” Sotto questo aspetto aveva ragione. Non è che abbia qualcosa di specifico contro Nibs. Il problema è che tra noi esiste un’attrazione negativa reciproca. Ma Nibs e Zabba sono state bambine insieme; il loro legame dura da quarant’anni e sembra indissolubile.

Reality

Amourang Amourang Amourang Vi proponiamo un racconto a puntate di Matthew Licht scrittore americano nato a Firenze

Da bambine si sono scelte quei nomi buffi– nomi buffi che sono rimasti. Sospetto abbiano qualcosa a che vedere con una canzone di Captain Beefheart e un’infatuazione con la calligrafia[1] ma non ho indagato troppo su questa questione, o su altri loro misteri da ragazzine. Ecco quello che, di colpo, mi sarebbe toccato: un muro di complicità fanciullesca, d’intimità femminile. Avrei trascorso il weekend a fare la parte dell’uomo invisibile, dell’uomo cattivo che si assume le colpe di tutti gli uomini, dell’uomo tuttofare. “E voglio che tu mi prometta di essere gentile, perché Nibs sta attraversando un brutto momento.” Il modo in cui lo disse insinuava: sii civile o saremo ai ferri corti per molto, molto tempo. “Certo che sarò gentile; non ti preoccupare. Cosa c’è questa volta che non va?” C’è sempre una crisi

nell’esistenza caotica di Nibs. “Ti ricordi di Tom? Beh Tom è morto.” Quello che ricordo di Tom è che non mi piaceva molto nemmeno lui. Nibs sembrava così contenta e orgogliosa quando me lo presentò come suo marito. “Vedi? Ho trovato un uomo. Tu pensavi che non sarebbe mai accaduto. E devo dire che regge molto bene il confronto con tipi come te.” O forse è ciò che immaginavo pensasse Nibs quando vide che stringevo la mano a Tom. Ecco quest’uomo, Tom: mezza testa più alto di me, bello, vestito bene senza ostentazioni, godeva di enorme successo in qualche arcano ramo del mondo del cinema – forse montatore degli effetti sonori? Nibs delirava dalla felicità e, di conseguenza, ero di umore volubile e non disposto a farmelo piacere. E adesso scopro che è morto. Incidente? Overdose di coca? Non ho nemme-


no chiesto. Inutile dirlo, il dolore di Nibs fu un cataclisma. Potevo solo chiedermi perché non ne avevo sentito parlare prima che si decidesse di fare questa breve vacanza spontanea. Io e mia moglie avevamo un paio d’ore di tempo rimaste come coppia prima dell’arrivo della sua migliore amica, la vedova novella. Zabba si precipitò sulla spiaggia. Io presi la macchina e me ne andai alla ricerca di un negozio di liquori. Pensai che delle piña coladas e birre messicane con una spruzzata di lime sarebbero stati cruciali per rendere i prossimi giorni tollerabili. Mi stavo immaginando una nebbia sbiancata di sole in cui due donne chiacchieravano e si scambiavano le loro emozioni mentre io me ne stavo spaparanzato sulla sabbia o mi buttavo nell’acqua per essere sbattuto qua e là dalle onde brevi ma persistenti.


Medicina

La calcolosi biliare L

TEXT Brunella Brotini

a diagnosi di calcolosi biliare risale al 1924 con l’avvento della colecistografia, ma tale patologia è antichissima: sono stati trovati calcoli biliari in alcune mummie risalenti al 1500 a.C. Ippocrate ed Aristotele conoscevano

Presso Greci, Etruschi e Romani il fegato era considerato una riproduzione del mondo in miniatura, ma l’arte della ricetta medica lasciava molto spazio alla fantasia l’ittero, ma nei loro scritti non c’è riferimento ai calcoli. Si suppone che anche Alessandro il Grande soffrisse di calcoli. Presso Greci, Etruschi e Romani il fegato era considerato una riproduzione del mondo in miniatura, attingevano medicamenti dal regno animale vegetale e minerale, ma l’arte della ri-

Reality

tra scienza fede folclore

cetta medica lasciava molto spazio alla fantasia. In caso di coliche addominali ricorreva all’arobrosia, nove sostanze vegetali impastate con miele, stemperate nel vino e fatte bollire, oppure si appoggiava sulla parte dolente una pietra detta sarcofago, oppure si usava l’oppio o si andava alle Terme. Più tardi il celebre Galeno, di origine greca, indica la Teriaca come rimedio per tutti i disturbi epatici. La composizione di tale panacea comprendeva la carne di vipera, il giaggiolo, la rosa secca, la cannella, lo zenzero, la valeriana, il vino, il miele. Il medico descrive anche vari tipi di ittero, affermando che piccoli corpi estranei simili a chicchi di melograno potevano ostruire il dotto biliare. In Cina si usavano l’oppio e il bambù. Presso gli Inca peruviani si bloccavano le coliche con la coca mentre presso gli Aztechi si usavano visceri caldi apposti in loco, integrando il tutto con riti magici e stregoni. Nel Medioevo la Teriaca continuò ad avere molti sostenitori tra i medici, compreso il medico arabo Avucenna e la famosa Scuola Salernitana, anche se molta importanza fu data alle gemme preziose, opportunamente ridotte in polvere e sciolte nel miele o nel vino. Oppure portate al collo, tenute in bocca o apposte sulla parte dolente. Tra queste l’acquamarina, la giada, il corallo, il berillo. Molto usata la farmacologia vegetale: rosmarino, ortica, carciofo, assenzio, cicoria, rabarbaro, olio di oliva, indicate appunto nella patologia epatica e di cui ci sono arrivate le ricette tuttora in uso. Nel Rinascimento si utilizzarono come terapia i metalli perché si riteneva fossero in sintonia con con le energie cosmiche e Paracelso indicò per la cura della litiasi biliare la limatura di rame, oro e ar-

A fianco un’immagine di Galeno. Nella pagina successiva in alto un’immagine di Vesalio e sotto dell’abate Kneipp. L’interno di antiche terme


gento una volta ogni due giomi. Per curare l’ittero consigliava un ciondolo d’oro (il giallo dell’oro al pari del giallo dell’ittero secondo la teoria della “similia similibus curantur”). Sempre di moda la Teriaca. Proseguono però gli studi scientifici relativi alla patologia epatica con Fernel che compie una descrizione clinica della sintomatologia e con Vesalio, grande medico anatomista. Nel 1700 ritorna in auge come terapia il vino che serve da solvente a parti essiccate di piante medicinali ed è nel 1800 che viene eseguita la prima colecistectomia (Berlino 1882), anche se vengono pubblicati ancora consigli di cure più o meno scientifiche, tipo le cure dell’abate Kneipp, basate su applicazioni idroterapiche (compresse calde di decotto di fiori di fieno da applicare sul basso ventre per rimuovere gli ingorghi del canale biliare). Consigliate anche le cure di acque a Chianciano e Montecatini. Nel 1900 la colecistografìa prima e la ecografia dopo permettono una diagnosi rapida e indolore della calcolosi biliare la cui asportazione oggi avviene quasi sempre in laparoscopia. Se i calcoli sono piccolissimi si può tentare la loro dissoluzione con l’impiego di farmaci e cioè l’acido ursodesossicolico: a tal proposito è curioso ricordare che in Cina questo acido, componente principale della bile dell’orso, è utilizzato come epatoprotettore già da secoli. Come chicca finale ricordo un rimedio popolare in uso anche da noi contro l’ittero: far ingoiare al paziente tre pidocchi vivi (o cimici) chiusi dentro un’ostia. Poiché il rimedio veniva somministrato all’insaputa del malato, quando se ne accorgeva, preso dall’ira, vomitava la bile con grande suo sollievo: questa la spiegazione della cura!


Edizioni: Sperling & Kupfer

MEDICINA

Ne sappiamo poco e ne utilizziamo solo il 10%, eppure è l’organo più importante che abbiamo: capire come funziona è un viaggio avventuroso e affascinante. Scritto con stile chiaro e accattivante, questo libro è una lettura appassionante e piena di rivelazioni, come una puntata di Superquark: in che modo è possibile non perdere i ricordi, quali sono le strategie per mantenere giovane e attivo il cervello, come prevenire le malattie degenerative, qual è il rapporto tra caratteristiche cerebrali e criminalità... Il libro contiene inoltre una vera chicca, il test per stabilire il proprio quoziente intellettivo.

Edizioni: Equitare

Roberta Ravello Cavalli inutili?

INCHIESTA

Questo libro, che inizialmente colpisce per l’ampia galleria fotografica, documenta la condizione dei cavalli abbandonati o diventati “inutili”. Il più delle volte gli equini vengono immessi nel circuito della macellazione, legale o clandestina, in quanto si tratta della soluzione più redditizia. Se però i cavalli provengono dal mondo delle corse e dell’agonismo, ci sono forti probabilità che si tratti di animali trattati farmacologicamente, le cui carni costituiscono un rischio per i consumatori, sia umani che animali... La Ravello esamina le leggi e le normative vigenti al riguardo, ma espone anche i principi che dovrebbero regolare il rapporto, vecchio di trentamila anni, fra uomo e cavallo, in luogo dello sfruttamento a cui questo animale/compagno è spesso sottoposto. Infine ricorda le varie alternative possibili: oltre alla macellazione esistono il pascolo, l’affido, utilizzi diversi, insomma scelte più umane che tengano conto della dignità e del valore di questo amico dell’uomo.

Maria Rita Montagnani Il Grande Ascoltatore Edizioni: CTedizioni

RACONTO

novità editoriali assolutamente da possedere

booking a book

Ubaldo Bonuccelli e Fabrizio Diolaiuti Intervista al cervello

Questo libro che in realtà è un poemetto, è un’opera non in versi, ma in prosa poetica. Il taglio è aforistico,il tono affabulatorio, la struttura visionaria e il suo terreno è quello del METAXY, del regno intermedio. Dunque un ibrido letterario-poetico, immerso in un medium d’ambiguità e ambivalenza mentali, dove fluttuano storie, circostanze e possibilità che, spinte fino al loro estremo immaginario, risultano infine del tutto verosimili e realistiche, poiché portatrici dello stesso non-sense di cui è intessuto l’umano esistere... (dalla prefazione dell’autrice)


Maria Giovanna Granata Una strada senza sconti Edizioni: Tagete Edizioni

Questo libro non l’ho scritto per gioco, anche se la vita lo è; avevo bisogno di snocciolare tante verità nascoste in un racconto che è tutto tranne fantasia. È la realtà vissuta sulla mia pelle in un momento storico della mia vita dov’è entrato un jolly. Il suo nick name non l’ho scelto io, ma lui, quest’uomo stupendo a cui posso dire grazie per esserci, per avermi insegnato a camminare. Per aver dato un senso alla mia esistenza. Questo libro è un modo per dirgli grazie di esistere...

BIOGRAFICO CUCINA

GUIDE

Un viaggio nella Versilia gastronomica vale sicuramente la pena di essere fatto, per conoscere attraverso i profumi e i sapori di questo spicchio di costa italiana, i suoi vizi e le sue virtù, i personaggi, a volte singolari, che diventano gli artefici di una cucina molto conosciuta per la sua schiettezza e per la sua creatività... (dalla prefazione di Claudio Mollo)

Nella cucina molecolare si rimescolano le carte. Alimenti freschissimi e di ottima qualità acquisiscono, attraverso il processo di cottura, una forma diversa e, abbinati a prodotti strutturanti naturali, assumono una veste nuova. Questa cucina seduce con il suo aroma intenso, ma sorprende anche per la bellezza delle sue forme. Questo approccio alla cucina dal lato scientifico ha provocato un gran dibattito, non sempre supportato da informazioni precise e aggiornate. Questo libro mira a far chiarezza fornendo descrizioni dei principali prodotti e delle tecniche impiegate nella produzione di drop e caviale finto, arie e alimenti estrusi, leccalecca e zucchero filato. Permette di scoprire anche come mettere in tavola elementi affumicati, oleosi o dolci e anche come ottenere, con l’azoto liquido, effetti scenografici strabilianti.

a cura di Gianluca Domenici Versilia Gourmet Edizioni: PennaBlu Edizioni

NOVITÀ:

TUTTI I RISTORANTI DELLA VERSILIA

Rolf Caviezel Canti del caos

Edizioni: Bibliotheca Culinaria

Vito Bollettino Il Ciliegio di Zio Luigi

GIALLO

Edizioni: Tagete Edizioni

Estate torrida. Due ragazze e due ragazzi spagnoli scomparsi nelle campagne lucane. Intanto a Scannagalline, sotto l’ombra del ciliegio di zio Luigi viene scoperto il corpo di Valentino, con la testa fracassata. Dopo frenetiche ricerche i quattro ragazzi vengono ritrovati legati e torturati all’interno di alcune grotte, solo Estrella e Shiem si salvano. I due casi trovano rapida soluzione. L’ispettore Trivigno non è per niente convinto. Un maledetto tarlo rosicchia il suo cervello, prima quasi impercettibile, poi sempre più vorace fino a prendere il sopravvento sopra ogni altro pensiero. I due casi nasconderanno misteri inaspettati? Solo l’intuizione e la caparbietà dell’ispettore riusciranno a risolvere in una sola settimana una trama intricata e ricca di colpi di scena.

la vetrina di Reality


Cinema

Venezia 66. Il ruggito di pace del Leone d’Oro

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TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

a oltre venti anni la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia non apriva i battenti con un film italiano, per di più in concorso. La superproduzione Baaria da 25 milioni di euro, regia di Giuseppe Tornatore, prodotto e

La Mostra premia due film pacifisti: “Lebanon” dell’israeliano Samuel Maoz e “Women without men” dell’iraniana Shirin Neshat distribuito da Medusa, nelle sale a partire dal 25 settembre, è il film che il regista premio Oscar di “Nuovo Cinema Paradiso” avrebbe sempre voluto fare, l’opera più intima e personale nella quale vengono raccontate le vicende di una famiglia siciliana attraverso tre generazioni: da Cicco al figlio Peppino al nipote

Reality

Pietro. Sfiorando le vicende private di questi personaggi e dei loro familiari, il film evoca gli amori, i sogni, le delusioni di un’intera comunità vissuta tra gli anni Trenta e gli anni Ottanta del secolo scorso nella provincia di Palermo. E l’apertura in grande stile al palazzo del Cinema del Lido, con gran parte del cast del

film tra cui gli esordienti Francesco Scianna e Margareth Madé, non poteva che essere affidata ad una siciliana d’eccezione: Maria Grazia Cucinotta, madrina anche della serata conclusiva del festival. Il cinema italiano era presente alla Mostra con ben 4 titoli in concorso, oltre al già annunciato “Baarìa”: “Il Gran-


de Sogno” di Michele Placido con Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Luca Argentero, Silvio Orlando e Laura Morante, “Lo Spazio Bianco” di Francesca Comencini, con protagonista Margherita Buy; e “La Doppia Ora”, opera prima di Giuseppe Capotondi, prodotto dalla Indigo Film, con Filippo Timi e Ksenia Rappoport. Alla “Sconosciuta”, madrina di Venezia lo scorso anno è andata la coppa Volpi come migliore interpretazione femminile, mentre Jasmine Trinca è stata premiata come migliore attrice esordiente con il Premio Mastroianni. L’Italia, in realtà, torna dal festival con un magro bottino. Nessun film italiano è stato mai considerato quest’anno in lizza per la vittoria del Leone d’Oro, assegnato ad unanimità dalla giuria presieduta dal regista Ang Lee, e di cui faceva parte Sandrine Bonnaire, Luciano Ligabue, Sergei Bodrov, Sandrine Bonnaire, Joe Dante, Anurag Kashyap e Liliana Cavani, al film israeliano “Lebanon” di Samuel Maoz un vero e proprio grido di denuncia contro le atrocità della guerra arabo-israeliana viste dagli stessi protagonisti - i soldati - all’interno di un carro armato. Leone d’argento per l’iraniana Shirin Neshat con il quartetto di donne in cerca di riscatto in “Women without men”. Sul fronte americano, Eva Mendex, ex modella di origini cubane si è contesa il tappeto rosso della passerella con la bellissima Diane Kruger protagonista di “Mr Nobody” a fianco dell’emergente canadese Sarah Polley. La sempre affascinante Julian Moore è stata invece notata per la superba interpretazione di “A single

man” debutto alla regia dell’ex enfant prodige di Gucci, lo stilista Tom Ford, insieme all’attore britannico Colin Firth il quale però ha convinto i giurati aggiudicandosi la coppa Volpi come miglior interprete maschile interpretando un depresso professore universitario americano che non sopporta di sopravvivere alla morte del proprio compagno. L’Osella per la miglior scenografia è andata a Sylvie Olivè per il visionario film “Mr. Nobody” di Jaco Van Dormael, tornato al cinema dopo 13 anni dal suo “L’ottavo giorno”. L’Osella per la migliore sceneggiatura a Todd Solondz per il doloroso e caustico film “Life during wartime”, seguito ideale dell’indimenticabile “Happiness”, che avrebbe potuto ricevere anche altri riconoscimenti, meritatissimi. Infine il premio speciale della giuria se lo è aggiudicato il turco Fatih Akin che con “Soul Kitchen” ha regalato sorrisi e speranze trasformando una bettola di periferia di Amburgo in un luogo di integrazione. Tra gli eventi più esclusivi della Mostra, organizzati dalla instancabile pr romana Tiziana Rocca, i party al Casinò di Venezia in onore di George Clooney per il film “The man who stared at goals” alla presenza della nuova fiamma Elisabetta Canalis e quello per Sylvester Stallone, giunto al Lido per ricevere il premio Jaeger Le-Coultre “Glory to the Filmmaker”.

Nella pagina precedente in alto: il Cast di Baaria. Sotto: Maria Grazia Cucinotta; Tom Ford, Julianne Moore e Colin Firth; George Clooney. In questa pagina in alto: Xenia Rappoport, Giuseppe Capotondi, Filippo Timi; Sergio Castellitto; Shirin Neshat; Silvester Stallone. Nella foto grande a destra Paris Hilton. Qui a fianco dall’alto: Matt Demon; Nicolas Cage; Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca.


Interviste

L’anima spogliata

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TEXT Carla Cavicchini

Un turco a Roma

erzan ha ucciso Ambra! E lei gliene è talmente grata, che, dopo aver lavorato in “Saturno contro”, quando la chiamavano ‘Robertaaaaaaaa”! sollazzava tutta! Metafora? Mah, fate voi, si vive anche di questo per schiarire la vita! Avrete già intuito che stavolta sul piatto della bilancia c’è Ferzan Ozpetek, regista turco, ormai naturalizzato italiano. E la cosa non gli dispiace proprio! Dicono che i ‘tipi’ dell’ Acquario’ siano eclettici e fantasiosi, dotati di mente fervida, e, sinceramente…i suoi film lo confermano Qualche tito-

Intervista a Ferzan Ozpetek a Firenze per presentare un volume a lui dedicato lo? Bagno Turco del 1997, poi Harem Suarè, Le fate ignoranti, Cuore Sacro, La finestra di fronte, Saturno contro, ed altri ancora. Lo osserviamo alla libreria Feltrinelli in via de’ Cerretani a Firenze per la presentazione del libro: ”Ferzan Ozpetek. A occhi aperti” edito da Mondadori; il primo volume monografico a lui dedicato. Nello sguardo leggiamo tutta l’antica saggezza millenaria turca: un misto di candore,legato a tanto esotismo, nonché una forte espressività velata da malinconia. O forse è l’aria buona che lo rende simile, e quindi correggo, mettendo al posto della malinconia, un inquietudine che lo porta a spaziare su tutto l’universo. Questo poiché i suoi film sono come viaggi, una sorta di tappeto volante…ove lui accoglie tutti i suoi spettatori, verso un viaggio immaginifico avvolto da miriadi di stelle, con quella mezza luna ‘punteggiata’, così particolare, che ammalia tutti noi. Permettemi per favore un po’ di digressione, ma egli, colle sue ‘sopraciglione’ scure in cui spiccano due occhioni languidi, uniti a calma, gestualità e riservatezza, ispira l’arte del dono, o forse culto della libertà, e della fratellanza, in un ottica molto intima. Ha appena compiuto cinquant’anni, ed Reality

è sereno, rilassato, forse perché il suo essere regista di culto, (è molto amato dal pubblico e dai suoi attori) lo ha portato a livelli altissimi, come del resto lo confermano gli incassi, i ‘mille’ riconoscimenti internazionali avuti, ed anche le critiche. Lo scorso 2008 il Moma di New York (non tutti riscuotono simile fama), gli ha tributato una retrospettiva di tutti i suoi film… scusate se è poco! Secondo noi poiché egli, mefistofelico, (Ferzan pardon!) riesce a tirar fuori l’anima: la buca, la piega, la contorce, la plasma, la morde, ma soprattutto, la spoglia, mettendo a nudo i suoi personaggi! Vestito completamente di bleu, da testa a piè, solo le scarpette da ginnastica presentano squarci bianchi. Ma… qualche difettuccio glielo troviamo? Sembra che sia spendaccione, ma generosissimo con gli amici. Ghiotto e pauroso. Di cosa? Delle malattie! E secondo noi questo è strano, perché si trova perfettamente a proprio agio, in quel delicato equilibrio ove tradizione e ribellione, (si può dire peccato?) combaciano. Ma facciamo parlare lui, poiché son tante le domande che lo incalzano, ed egli risponde cortesemente, sorridente, quasi sussurrando, in maniera soave, come il proprio nome, Ferzan, che racconta di una luce che non si spegne mai, rimanendo accesa in eterno. La cucina! Si, proprio la cucina, la sua, grande, spaziosa, dove la mostra spesso nei film, qual rapporto profondo ed altamente simbolico. Racconta che con la pellicola ha un rapporto molto personale, è pigro, ama girare vicino casa, però ci mette un entusiasmo pazzesco, anche se qualche passante osserva ”ma perché non vanno a lavorà?” “Questo – spiega – poiché il cinema è visto come divertimento e non fatica”. Gli chiedono se ama l’arte: ”Come no! M’incanto davanti ai quadri e li faccio pure! Un gallerista voleva fare una mostra in merito ma…no, no, già mi metto troppo in discussione coi miel film”. Le donne… “Le racconto con grande sensibilità, il prossimo lavoro verterà sulla ten-

sione tra due fratelli, ove l’elemento femminile corale, diventerà appunto protagonista”. Gli chiedono di Isabella Ferrari, vera icona sensuale mentre girava col maglione estivo da uomo ne “Il giorno perfetto”. “È una creatura plasmabile, e questo è importante per i registi. Di me – e ride – osserva che sono tenero e nello stesso tempo burbero. Ma vedo che siete molto interessati al mondo cinematografico:bene! Dico subito che non amo gli effetti speciali, prediligo la costruzione lineare, anche casta, e spesso escono sorprese.” “Cuore Sacro” è stato e tutt’ora lo è, un lavoro forte e sofferente; un film, hanno raccontato, che anticipava i tempi. Quanto a “Le fate ignoranti” …penso che oggi non si potrebbe fare più. E’ un film che dà e regala grandissime emozioni a tutti, attori e pubblico. Me compreso. Ma non è tutt’oro ciò che luccica. Per Harem Suarè c’era indecisione… sentivo ringhiare intorno, poi, all’uscita, fu veramente un buon successo. Ma questo può succedere… che dite? Sa-


pete, sono un uomo che crede molto alla fortuna: le cose giuste al momento giusto, e credo molto alle coincidenze: aprire e chiudere le strade, e racconto questo, perché spesso il film segue le coincidenze! Prosegue mentre continuiamo ad ascoltarlo piacevolmente: ”ovunque si parla di crisi, anche cinematografica, penso che sia fondamentalmente di idee e di pensiero. Proprio dalla crisi possono uscire cose belle, di me osservano che faccio cinema d’autore, e che sono ben seguito grazie alle tematiche attuali. Non voglio fare lezioni sociologiche, per carità! Ma proprio “Le fate ignoranti” aprì orizzonti illimitati,(dopo vi racconto una storiella in merito) e pensare che partì da una cosetta mia! Purtroppo esiste poca apertura mentale, non è facile aprire spazi, confini, io però su questo insisto molto”. La storiella. Ah, sì, sì. Quest’ultimo film che ho appena menzionato, dopo averlo visto un mio amico avvocato, lo fece vedere alla mamma. A lei piacque, e lui… proprio in quel frangente gli confessò d’essere gay”. Si ode un sussulto. Senz’altro “Le Fate” furono terapeutiche. Adesso gli domandano come si vive a Roma. “E’ una città particolare, gli stranieri non la vivono certamente bene, però ci sono anche privilegi, e, in tutto questo, i media condizionano non poco. Porto un esempio: la capitale è intollerante per chi non è italiano… e non lo è invece per quella che passa in minigonna! No, non ci siamo, l’intolleranza nei confronti dello straniero porta intolleranza nella società” Finalmente è mio. Non è stato facile avere tale privilegio, tanto che ho stretto patti con Lucifero. Cosa ci dice dell’Italia? “In Italia sono venuto nel ’77. A Perugia, per imparare l’italiano, poi, Firenze. Era divertente, adoravo Dante Alighieri, e non dormivo mai nella mia stanza ammobiliata. E parlavo l’italiano meglio di ora”. E della Turchia cosa racconta? “Ci sarebbero mille cose da raccontare, rapportandola all’Italia ricordo cantanti famosi in tutto il mondo e quindi nella mia terra ascoltavamo spesso Peppino Di Capri, Iva Zanicchi,…la grande tradizione italiana esportata all’estero” Ci parla d’Istanbul? “E’ rimasta poco di quello che era. Ricordo il suono delle campane, i muezzin, i greggi, gli armeni…un luogo residenziale che adesso è rovinato; ma succede spessissimo. Uscivo di casa quasi con gli slip per andare al mare… e quella greca che vendeva il pesce. La mia è stata un’infanzia molto culturale…c’erano molti greci in Turchia, ci scambiavamo di continuo le pietanze .Mia nonna, fumava con quell’anello pieno di tabacco mentre lo portava alle mani. E beveva pure cognac! Ci torno spesso, mia madre che ha 84 anni e per me è la cosa più importante. A mio padre ho regalato invece la mia laurea. Mi sento spesso anche con la mia insegnante di geografia, al Liceo, ma anche insegnante di vita. Una dottrina che ho ancora ben in testa. Amavo studiare, meno la matematica... Ho ancora ben impresso il film “Il portiere di notte”, oggetto d’interesse ma anche di scontri”. Lei sembra così sereno… pacato, guarda fisso negli occhi al contrario di altri… “E perché non dovrei farlo? La mia serenità me la costruisco giorno per giorno, curo e coltivo amicizie ed amori, che per me durano sempre. Inoltre ho un rapporto meraviglioso col mio compagno. Che altro?” No… non è proprio il caso di dire: ”Mamma… li turchi!”


Un’estate Versiliana TEXT Andrea Berti / PHOTO Lauro Lenzoni, Samuele Pucci, Emma Leonardi

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a Versiliana si conferma, anche in questo difficile 2009, il principale polo estivo teatrale e culturale italiano, e tra le pochissime realtà in Italia con la forza di incrementare le presenze. A trainare il Festival promosso dalla Fondazione La Versiliana e dal Comune di Pietrasanta, socio fondatore

Un punto di riferimento per la cultura in Toscana assieme alla Banca Versilia Lunigiana e Garfagnana, verso un bilancio finale addirittura in controtendenza rispetto al quadro generale culturale e turistico nazionale e locale, e rispetto al 2008 che già era stato esaltante, il boom del Caffè (+ 10 mila presenze) al quale hanno partecipato in tutto 211 ospiti e della Versiliana dei Piccoli (+ 2 mila presenze) assieme alla stagione teatrale che ha “retto” molto bene chiudendo con 30 mila spettatori e un incasso complessivo di circa 800 mila euro con la prosa e la danza a scandire il trend positivo (+16%) spalmato su 37 appuntamenti teatrali. In crescita anche gli introiti derivanti da sponsor istituzionali e tecnici (+17%) e dall’attività delle passeggiaReality

te nel Parco. In tutto hanno varcato il cancello del Parco della Versiliana per assistere agli incontri pomeridiani, agli spettacoli serali e alle altre attività: 110 mila spettatori-presenze. Il 10% circa in più rispetto al 2008. Il bilancio della manifestazione è stato presentato dal Presidente della Fondazione La Versiliana, Massimiliano Simoni, dal Direttore Artistico, Simone Martini e dal conduttore, Romano Battaglia. Tra gli indicatori che hanno permesso al Festival di chiudere in positivo la collaborazione con il Festival Pucciniano, la riapertura della Villa, le migliorie nella zona del Caffè della Versiliana e il nuovo teatro all’aperto. Di assoluta qualità gli eventi teatrali con 8 spettacoli da “tutto esaurito” (“Grease” due volte, “Momix” tre volte, il concerto di Cristiano De Andrè, Enrico Brignano e Anbeta ToromaniJose Perez) e 5 prime nazionali (“Don Giovanni…e le sue donne” di Tinto Brass, “Ilprimobacio.com”, “Je Me Souviens”, “La Locandiera” e “Yest”) che hanno spinto il cartellone alla crescita della prosa e della danza (+16%). Un cartellone che ha sposato alla perfezione il classico, che sin dalla nascita della Versiliana caratterizza il palinsesto teatrale con la migliore prosa prodot-

ta in Italia e i migliori interpreti - basti pensare a Moni Ovadia e la sua rivisitazione di “Shylock” e a Luca De Filippo in “La dodicesima notte” o ancora a Corrado Tedeschi nel discusso e affascinante “Don Giovanni” di Brass e la “Locandiera” con Mirandolina-Eva Robin’s - al nuovo teatro, rivolto ai giovani, con i volti televisivi, conosciuti e riconoscibili dalle grandi masse e per questo popolari (Riccardo Scamarcio in versione Mozart su tutti), fino agli evergreen “Grease”, “Momix” e “Kataklò” che non hanno bisogno di presentazioni. Da segnalare il Galà Pucciniano-Premio Martini che è riuscito, in soli due anni, a diventare evento centrale per produttori, distributori, attori, registi e addetti del teatro e che per l’occasione ha visto premiata Lina Wertmuller con il “Premio alla Carriera” (gli altri premi a Raffaello “Lello” Vianello e Maria Amelia Monti) e il debutto mondiale di Catherine Deneuve insieme a Michele Placido che è riuscito, nonostante le critiche, a ribadire e rinforzare il concetto che in Versiliana, come in pochi altri posti al mondo ancora, c’è il coraggio di investire ed affrontare grandi sfide. Ricordiamo tra i protagonisti di questa lunga e suggestiva stagione la signora


Eventi della danza Luciana Savignano con il “Balletto di Milano”, Raffaele Paganini con la “Compagnia Nazionale di Roma”, il Maestro Giorgio Albertazzi, Lindsey Kemp con la sua “Cenerentola” dalle tinte Burtoniane e ancora le canzoni di Enrico Ruggeri, Ivano Fossati, Ornella Vanoni, la musica dolce di Ludovico Einaudi e le risate di Sabina Guzzanti, Antonio Cornacchione, Gioele Dix ed Enrico Brignano. Non è mancata l’operetta con il sempre presente “Il Paese dei Campanelli” e nemmeno i musical. Come non sono mancate, come da tradizione, le realtà nuove del panorama nazionale e regionale rappresentate in questa edizione da “Tradanza Company” lanciata dal Festival proprio lo scorso anno e i “Botega”. E’ stato un teatro per tutti i gusti. Vario, popolare, leggero ma anche di qualità, impegnato e raffinato. Eccezionale il balzo del sito internet www.laversilianafestival.it che rispetto al 2008 ha totalizzato 9 mila visitatori diversi (nuovi utenti) in più (17444 visite a luglio e 15753 ad agosto). In tutto sono state 2 mila e 500 circa le pubblicazioni tra testate locali, regionali nazionali, internazionali (New York Times, Le Figarò, El Pais, Le Monde, Daily News, Bild per citarne solo alcuni) e web mensili e settimanali a grande tiratura (65 pubblicazioni in tutto) che mai, come quest’anno hanno dato visibilità e parlato del Festival. Un successo, quello della trentesima edizione, che appartiene a tutti – come ha ricordato il Presidente Simoni - Amministrazione Comunale, Fondazione La Versiliana, partner, sponsor, soci, dipendenti e collaboratori a vario livello. La Versiliana è ogni stagione un successo di tutta la città. La Fondazione ringrazia tutto il Consiglio di Amministrazione e di Indirizzo della Fondazione, il Comune di Pietrasanta, la Banca del Credito Cooperativo della Versilia, Garfagnana e Lunigiana, Fondazione Cassa Risparmio di Lucca, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Comune di Forte dei Marmi e tutti i soci della Fondazione che ci hanno sostenuto, ai conduttori, allo staff e a tutti coloro che hanno lavorato a vario titolo e a varia professionalità nell’ambito della trentesima edizione del Festival. E ancora un ringraziamento alla Skp Global Security Group che ha garantito il servizio di vigilanza e sicurezza al Caffè e alla Versiliana dei Piccoli. Nella foto qui sotto: Carla Cecconi Braccialini, Margherita Casazza, Marta Marzotto e Elisabetta Rogai.


Teatro

La testa del Profeta A

TEXT Francesco Bacchereti / PHOTO Foto Elle

ncora una volta un puro, un giusto viene sacrificato sull’altare del potere e dell’ intrigo politico. Ed è proprio l’intrigo politico il sottile tema scelto per la LXIII Festa del Teatro di San Miniato, svoltasi dal 24 al 29 Luglio. Il testo selezionato per l’occasione è “La testa del Profeta” di Elena Bono, un dramma dai risvolti Machiavellici tra i primi lavori teatrali della scrittrice, risalente al 1965. Nel cast, tra gli attori troviamo Massimo Foschi, per la nona volta a

In scena a San Miniato la celebre vicenda biblica della decapitazione di Giovanni Battista San Miniato, laddove la regia è stata affidata al giovane Carmelo Rifici, che nel 2007 diresse con successo “Il nemico” di Julien Green. La testa del Profeta narra la celebre vicenda Biblica dell’arresto e della successiva decapitazione di Giovanni Battista, considerato da molti il precursore del Cristo. In questo dramma i personaggi agiscono con fredda lucidità, sfiorandosi finemente in alcuni passaggi

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e scontrandosi brutalmente in altri. Sono animati unicamente dai loro turpi scopi personali; non c’ è spazio per la passione e viene posto come unico scopo il potere, in tutte le sue varie sfaccettature, per mezzo di una lodevole, ma in alcuni tratti, eccessiva eleganza narrativa. La scena si apre con un dialogo squi-

sito ed accurato tra il Sacerdote del Sinedrio, Anna (Marco Balbi) ed il Ministro di Erode, Cusa, (Davide Lorino) inizialmente un sostenitore del Profeta. Il dialogo viene interrotto dall’ ingresso in scena della violenta Erodiade, (Carlotta Viscovo) agitata dalle grida scomposte della folla, allorché ritenuta adultera dal Profeta per aver sposato il fratello di suo marito Filippo. Nella scena seguente emerge ancor più con vigore l’ intrigo. Erodiade ed Anna stringono un vile accordo con il Legato Romano Mamerco Scauro, (Emiliano Masala) al fine di uccidere il Profeta e ristabilire i “giusti” equilibri; ed è proprio in questo frangente che magistralmente entra nel vivo della scena la


“piccola” ed “innocente” Salomè, (Francesca Porrini) che riferisce del complotto al Ministro Cusa. Quinci, l’iniziale, seppur precaria stabilità, crolla: Il profeta deve morire. Il dialogo successivo tra Cusa ed Erode offrirà agli astanti l’apice drammatico dell’ intera opera. Cusa, da abile politico, cerca di convincere Erode dell’essenzialità della morte di Giovanni e lo fa con avvincenti giochi di parole e con una eccellente similitudine sul “necessario”. Intravede nella giovane Salomè, animata da una naturale bramosia di essere considerata adulta e rispettata, il tramite necessario per ottenere La testa del Profeta; ritenuta perfetta per lo scopo dallo stesso Cusa, in quanto lontana da ogni vincolo morale e remota dalla sua giovinezza, solo apparente. E’ risaputo che i serpenti più velenosi sono adornati da candide vesti e Salomè incarna a pieno lo stereotipo classico del lupo vestito da agnello, che incanta Erode con una sublime danza, chiedendogli infine la Testa di Giovanni. Erode ed il Profeta diventano così gli inconsapevoli protagonisti del medesimo inganno. In tutto questo, il Profeta non appare mai, come a sottolineare che la scena non è il suo spazio. Rimane al buio della sua cella, al riparo dalla bruttura e dalla politica; protetto, come esclama Erode, in attesa che si manifesti la Volontà di Dio. Lontano dal Potere, è l’uomo che agisce in nome della Sua smisurata Fede, andando volontariamente incontro alla morte ed offrendosi agli altri personaggi come vittima sacrificale. Nella precedente scena del banchetto emerge però un glorioso paradosso: la coscienza e la passione, unite alla volontà di far trionfare la Giustizia, prendono vita e si manifestano nelle parole del folle, del buffone Abba Dima, (Nicola Stravalaci) che tenta inutilmente di convincere gli invitati a salvare il Profeta, offrendo in cambio la sua vita, ma il buffone verrà frustato ed il Profeta decapitato. Come recita William Blake “ogni uomo è in potere dei suoi fantasmi fino al rintoccare dell’ ora in cui la sua umanità si desta” l’umanità di Erode però emerge in ritardo, dando vita al suo dramma personale. Come lui stesso esclama: “Nessuno ho amato quanto lui. Era tutto quello che non potevo piegare né comprare […] Era tutto quello che in qualche tempo…in qualche luogo, ho sognato d’ essere”. Lo ammira, quasi lo invidia per la sua nobiltà d’ animo che si contrappone bruscamente con la sua turpitudine. I due personaggi, se pur in antitesi tra loro, vivono la medesima tragedia interiore ed è proprio nel rimorso di Erode che si manifesta la Volontà di Dio. Il testo della Bono, se pur inveterato ed in alcuni tratti obsoleto, offre al pubblico alcuni eccellenti spunti di riflessione, interpretati e resi moderni dall’ abile regista Carmelo Rifici e dai valenti interpreti. La scelta dei costumi, delle musiche ed accessori, che rimandano al Ventennio, (ormai divenuto il contenitore di tutte le brutture italiane), danno un tocco attuale e fresco ad un testo vetusto, evitando, con intelligenza, di poter dare una precisa connotazione storica al Dramma interiore e all’ intrigo politico, segni tangibili in ogni epoca storica. Ammiro fortemente lo sforzo del regista e degli attori compiuto per avvicinare la platea ai contenuti del testo, sperando che in futuro vengano scelte opere più recenti e contemporanee, più vicine ai drammi quotidiani del popolo, che non sempre si riassumono in “Dio si o Dio no”.


Domenica 22 Novembre

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IL VANGELO SECONDO PILATO

Lunedì 30 Novembre

di Èric-Emmanuel Schmitt, traduzione di Stefania Micheli, adattamento di Glauco Mauri, regia di Glauco Mauri, con Glauco Mauri e Roberto Sturno

Teatro e Società

Glauco Mauri e Roberto Sturno riportano per il secondo anno sulle scene italiane: Il vangelo secondo Pilato, di Schmitt “uno spettacolo da vedere per emozionarsi e ripensare”. Nato come romanzo, dopo un eccellente successo editoriale, l’autore ne ha fatto una versione teatrale in due parti: la prima La notte degli ulivi - ovvero Confessione di un condannato a morte la sera del suo arresto” è prologo e antefatto della seconda Il vangelo secondo Pilato.Eric-Emmanuel Schmitt in una decina d’anni è diventato uno degli autori francesi più letti e più rappresentati al mondo. Per il teatro, tra le numerose opere: Il visitatore, Il libertino e Variazioni enigmatiche, quest’ultimo testo rappresentato dalla Compagnia Mauri Sturno nel 2000 e portato in tournée per due intere stagioni teatrali. Il vangelo secondo Pilato. L’ultimo giorno della Pasqua Ebrea. Ponzio Pilato viene a conoscenza che Gesù, lo stregone di Nazareth, è scomparso dalla sua tomba. Per evitare che il furto sia strumentalizzato politicamente, Pilato conduce l’inchiesta e tenta di ritrovare il cadavere. Ma Gesù riappare. Vivo! Rifiutando l’irrazionale, cercando una soluzione logica al mistero, Pilato setaccia Gerusalemme. Interroga Erode, Erodiade, i discepoli, i dottori, il gran sacerdote del Tempio, quindi, distrutto dai fallimenti, parte sulle vie della Galilea. Ma più procede, più il mistero diviene fitto...

di Neil Simon, con Mariangela D’abbraccio e Elisabetta Pozzi, regia di Francesco Tavassi

LA STRANA COPPIA

La più brillante commedia del drammaturgo americano con Mariangela D’Abbraccio e Elisabetta Pozzi, nei ruoli principali. Fiorenza è il ritratto della perfetta donna di casa, moglie e madre esemplare, tuttavia con molte nevrosi. Olivia è già divorziata, terribilmente disordinata e sola. Tra loro nasce una convivenza esilarante, una strana coppia, appunto, con esiti inimmaginabili. Brillante e ricca di colpi di scena, “La strana coppia” è una commedia quanto mai attuale che porta il pubblico ad identificarsi, coinvolgendolo totalmente ma anche con profonde riflessioni.

Teatro Stabile di Sardegna/Diablogues

PENSACI GIACOMINO!

“Un lavoro audacissimo”. Così Pirandello descrive al figlio Pensaci, Giacomino!, la commedia scritta per Angelo Musco, che ci fa divertire nel guardare da vicino legami familiari paradossali e tumultuose relazioni con un perbenismo di facciata. Audacissimo è infatti l’intreccio che fin dalla stesura dell’omonima novella da cui il testo teatrale prende spunto, Agostino Toti, vecchio professore di liceo anticonformista ante litteram dichiara la sua intenzione di “vendicarsi” contro il governo sposando una ragazzina giovanissima che beneficerà a vita della pensione che lo Stato sarà costretto a versarle in quanto sua vedova. Per qualche anno il professore permette alla giovane moglie e al suo amante di incontrarsi nella sua casa, fa da nonno al bimbo nato dalla loro relazione beandosi della felicità conquistata con questa inattesa famiglia e ostentando indifferenza per le reazioni scandalizzate della gente di fronte a un inequivocabile, inaccettabile ménage à trois.

Venerdì 15 Gennaio Arca Azzurra Teatro

DECAMERONE. AMORI E SGHIGNAZZI da Decamerone di Boccaccio, libero adattamento di Ugo Chiti

Amori e Sghignazzi percorre con leggerezza le pagine del grande autore, celebrandone i repentini passaggi dal comico al tragico, dal satirico al filosofico. Nella grande commedia umana, tre grandi forze si confrontano, governando le sorti del mondo: Fortuna, Ingegno, Amore. Chiti isola quindi quattro novelle dove beffe, travestimenti, doppiezze, amori assoluti, sacrifici estremi diventano materia drammaturgica e gioco squisitamente teatrale. Tutti, uomini e donne, in quella grandiosa commedia umana che è il Decamerone, si muovono passando dal comico al tragico con lussureggiante invettiva. Uomini e donne colti in un perenne movimento che è equilibrio e balletto, rappresentazione reale e metaforica della vita osservata con occhio sarcastico e dolente assieme”.

Procope Studio/La Contrada Teatro Stabile di Trieste

ITALIANI SI NASCE

di Maurizio Micheli, Tullio Solenghi e Stefano Disegni, regia di Marcello Cotugno, con Tullio Solenghi, Maurizio Micheli e altri 6 attori

Mercoledì 6 Gennaio

di Luigi Pirandello, regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi, con Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Ester Cucinotti, Giovanni Moschella, Antonio Lo Presti, Margherita Smedile, Francesco Pennacchia, Eleonara Giua

Martedì 15 Dicembre

La nuova stagione di prosa Teatro Verdi di Santa Croce sull’Arno (Pisa)

Compagnia Mauri Sturno

Micheli e Solenghi, con la complicità di due amici, di buone riletture e di sfiziose canzoni, propongono Italiani si nasce. E postillano “e noi lo nacquimo”, implicito omaggio al genere del varietà teatrale che, stagionato almeno quanto “l’Unità Nazionale”, rimane a tutt’oggi una ispirazione irresistibile. L’azzardo è quello del raccontare con l’occhio critico di oggi il carattere degli italiani nel tempo. Il racconto attraversando i secoli si sofferma su protagonisti altolocati della storia ma anche sulle più umili comparse. Scopriremo così che tutti sono accomunati dallo stesso irresistibile denominatore comune: l’italianità. I due protagonisti, Micheli e Solenghi, coadiuvati da una compagnia di altri sei attori, si caleranno nel funambolismo dei personaggi, per ripercorrere attraverso caratterizzazioni, trucchi, dialetti, travestimenti, le mille identità necessarie a raccontare i loro ITALIANI. Del resto loro, Italiani lo “nacquettero”…


Teatro Associazione Teatrale Pistoiese Argot Produzioni

Mercoledì 27 Gennaio

APPUNTAMENTO A LONDRA

I CASI SONO DUE

di Armando Curcio, con Diana Oris, Carlo Giuffré e Angela Pagano

Roma Spettacoli

DANTE LEGGE ALBERTAZZI

con Giorgio Albertazzi, Ilaria Genatiempo, Federica Michisanti, Cristiana Polegri, Armando Sciommeri Un incontro intimo tra due fiorentini innamorati della vita e delle donne che conferma e rinnova un’antica e duratura sinergia artistica in grado di sfidare precedenti e contemporanei illustri con una modalità espressiva sempre inedita.

La storia che si racconta è un’acuta e profonda riflessione sul tema dell’identità e sulla vita segreta delle persone. Lo spettacolo è anche un’indagine sui valori dell’amicizia e dei sentimenti, su quel sottile filo che ci lega come esseri umani, come attrazione profonda dell’uomo per l’altro da sé. Due amici d’infanzia e gioventù, entrambi peruviani, si ritrovano a Londra dopo molti anni durante i quali non avevano avuto più contatti. Nel loro incontro rivivono il passato, mescolando bei ricordi con brutte storie che credevano oramai sotterrate o delle quali, forse, ignoravano l’esistenza. Un teatro fortemente ispirato dalla letteratura in uno scambio fertile tra i diversi linguaggi espressivi.

Santo Rocco & Garrincha In collaborazione con Nuovo Teatro Nuovo, Teatro Stabile dell’Umbria

IL POPOLO NON HA IL PANE? DIAMOGLI LE BRIOCHE

Martedì 2 Marzo

Sabato 13 Marzo

Venerdì 5 Febbraio

Uno spettacolo che affonda le radici nella grande tradizione del teatro napoletano, per mantenere vivo nella coscienza e nel cuore degli spettatori, con un marchio costante e inconfondibile di intelligenza critico-storica, il patrimonio di questo meraviglioso repertorio. Un capolavoro di comicità praticamente irresistibile, di scintillante malinconia. La commedia narra di un barone che ritrova il figlio illegittimo molto più vicino di quanto non pensasse: è il suo cuoco scansafatiche, riconosciuto, alla fine, grazie ad una “voglia” inconfondibile. Finale a sorpresa, come si conviene.

di Mario Vargas Llosa, regia di Maurizio Panici, con Pamela Villoresi, David Sebasti

di Filippo Timi e Stefania De Santis, con Lucia Mascino, Luca Pignagnoli, Marina Rocco, Paola Fresa, Filipo Timi

La scenografia, tra luccichini, pizzi e merletti, racconta di un reame attuale, forse ci troviamo ad una festa molto esclusiva o al Moulin Rouge, o ad un rave, nella favola di Alice nel Paese delle meraviglie con una gigantesca regina di cuori, uno spazio in cui, il maestro, regista, attore e autore offre. Siamo guidati nel sottotesto di Shakespeare dove i fronzoli formali, lasciano il posto alla sostanza, senza prendersi troppo sul serio.

Reality


Musica

Musica per Anima ’ C

TEXT Claudio Guerrini

è Paolo Tofani... e poi c’è Krshna Prema Das. Paolo è stato negli anni ’70 il chitarrista degli Area, il gruppo più innovativo, concettuale e dirompente che la storia della musica Italiana abbia mai avuto. La musica degli Area, seppur radicata nella realtà storica e sociale di allora, apriva anche con forza all’indifeso ascoltatore spazi meditativi che lo portavano a porsi

Tra suoni etnici e tecnologia avanzata domande; gli Area non sono mai stati INNOCUI. Va detto che in quel periodo c’era una predisposizione della gente a farsi inquietare dalla musica, a usarla come viatico per porsi domande nuove. Paolo di quel gruppo ha determinato il suono, non solo quello della chitarra - è lui che ha introdotto negli Area i sintetizzatori, - e ne è forse stato, in una lotta tra titani, il pittore sonoro più lucidamente visionario. L’unico personaggio con cui mi viene in mente un paragone concettuale è Peter Gabriel. Uscito dal gruppo, Paolo ha iniziato la sua nuova vita da Devoto negli Hare Krshna col nome di Krshna Prema Das musicando e cantando (e ha una voce splendida, tra l’altro) testi sacri in sanscrito all’interno di spazi musicali avvolgenti conditi da sonorità innovative (già intorno agli anni ’90 usava una chitarra midi); successivamente, forse

anche grazie a collaborazioni con icone della musica indiana come il percussionista Zakir Hussain e il flautista Hariprasad Chaurasia, ha iniziato uno studio dei Raga indiani, aprendosi(ci) nuovi sentieri da percorrere... Meraviglioso il CD Future Raga, totalmente strumentale in cui si cominciano ad intravedere nuove influenze, ma si sentono ancora richiami dell’esperienza Area. Coi Devoti KPD ha girato tutto il mondo suonando ovunque; il suo progetto Krshna Vision è diventato in breve tempo di dimensioni planetarie, un punto di riferimento per i Devoti di tutto il pianeta, (pensare che con gli Area non credo fossero andati al di là di Parigi e Lisbona). L’esigenza di un suono proprio lo ha portato ad una ricerca personale di circa 5 anni che è sfociata nella creazione di uno strumento nuovo, la Trikanta Veena, una chitarra a tre manici: il primo con le corde di risonanza stile Sitar, il secondo con le corde da chitarra ma che ugualmente risuonano, e il terzo con 13 corde piu’ distanziate con cui lavorare con l’arpeggiato con la destra e il tapping con la sinistra. Il suono, credetemi, è uno dei più affascinanti ed autentici che abbia sentito in vita mia, e lo strumento porta Paolo a suonare in modo più vicino al mondo orientale. È sulle colline piacentine, dove vive attualmente lontano dalla frenesia degli appuntamenti mondiali e dai ritmi operativi dei templi che il suo spirito ha trovato spazi e tempi opportuni per aprirsi ulteriormente a nuove energie creative, dando alla luce Radical Raga vol. 1 “Essence” e vol. 2

“Pure Magic”: il primo completamente realizzato con la Trikanta, tra suoni antichi e vicini al tempo stesso e il secondo realizzato col Santoor, strumento tradizionale indiano. Ciò che oggi rende la vita di Paolo diversa riguarda essenzialmente il fatto che il suo cammino di ricerca - sempre a scopo personale - viene condiviso, assieme alla sua incredibile esperienza musicale, con gli altri attraverso i SEMINARI, in cui si affronta la realtà musicale analizzando i suoi legami con l’etnia, con la tecnologia, con lo spirito, con la dimensione live e quella in studio... un’esperienza unica che non può che arricchire chi ha la fortuna di parteciparvi. Reality: ”E la chitarra elettrica?” Paolo Tofani: “Beh, adesso sta ritornando fuori, ho ancora la Casio Midi a cui ho fatto sgaloppare il manico e ci ho montato sopra degli EMG meravigliosi, mi è tornata voglia anche dei suoni potenti…“ Come dicevo, c’è Krshna Prema Das, ma c’è anche Paolo Tofani.

Per trovare i CD ed ascoltarne delle anteprime: http://www.cdbaby.com/Artist/KrsnaPremadas Contatti: Mobile +39 3356429267 http://www.youtube.com/krishnaprema http;//www.myspace.com/tofanipaolo http://www.irinaryabokon.eu/Paolo_Tofani_brochure.pdf

Reality


Interviste

Il corpo che recita la musica Moni Ovadia

G

TEXT Ilaria Degl’Innocenti

rande artista, uomo di spettacolo che, con la sua personale e raffinata ricerca artistica ha intrattenuto il numeroso pubblico con alcuni brani tratti dalle Storie e leggende chassiche di Martin Buber (Vienna 1878 - Gerusalemme 1965) e dai Racconti e dai Dia-

Ama definirsi “Un ebreo di origine bulgara, non ortodosso, di formazione marxista, vegetariano e soprattutto con un’identità nomade” ri di Franz Kafka (Praga 1883 - Kerling 1924) nella suggestiva cornice della Piazza dei Guidi, adesso riqualificata dall’accattivante e coinvolgente architettura magnetica di Mimmo Paladino. Stimato uomo di cultura, attore, musicista e regista per i suoi lavori attinge dalla cultura Yiddish e mittleuropea: è l’unico nel suo genere nono solo in Italia, ma anche in Europa. Ci parli delle sue esperienze e quando è venuto in contatto con il mondo dell’arte e dello spettacolo. Da dove ha iniziato il suo percorso?

Io vengo dalla musica, ho intrapreso così la strada dello spettacolo. Il mio primo approccio è avvenuto quando sono entrato in contatto con Roberto Leydi, già da tempo impegnato con musica etnica, un vero maestro che mi ha influenzato moltissimo e con il quale ho lavorato a lungo. La musica tradizionale mi ha affascinato fin da subito, in particolare quella dell’area balcanica. Il suo interessamento alla compagine teatrale, quindi avviene successivamente al suo passato da musicista. Come si è concretizzato il suo avvicinamento a questo modo di produrre arte? Mi sono interessato al mondo del teatro attingendo dalla mia esperienza passata, cercando di coniugare teatralità e musicalità. Ho esordito nel 1984, poi l’incontro con Tadeusz Cantor, il pittore, scenografo e regista teatrale polacco, per me è stato fondamentale.

Da lì è iniziata una preziosa collaborazione e anche un’amicizia. Come interpreta il modo di fare teatro? Il mio approccio non è di tipo classico, costituito dai soliti dogmi e stereotipi. Sono interessato a ciò che è rottura, interruzione con le convenzioni, sia nel modo di recitare che nei copioni da seguire. Il mio intendere teatro è libertà, intesa come l’avere autonomia di interpretazione. Attori che recitano non solo con le parole, ma anche con il linguaggio del corpo. Il corpo deve ‘recitare’ la musica, estrarre le emozioni e suscitare curiosità nel pubblico. Ci sono scrittori dai quali ha tratto ispirazione? Franz Kafka è quello più significativo per me, uno che io considero trai i migliori del novecento, soprattutto per i rapporti con il mondo ebraico. Reality


Musica

FAUST’O

F

TEXT Luca Gennai

L’uomo che non sorride mai austo di anni 23 dimorante a Cesano Maderno, in via Giordano Bruno dove esercitava la macelleria Moncalvese, è andato via di casa della sua matrigna Maria, il 25 febbraio. Vestiva di chiaro con calzoncini corti, berrettino rossastro, camicia sport rosa, scarpe gialle alte. Chi avesse notizie dello scomparso è pregato di tenerle per se, in modo da permetterci di annunciare ancora la sua scomparsa. È nel 1978 che leggo questo strano messaggio con foto sulla rubrica di annunci di un settimanale musicale dell’epoca “Ciao 2001”e da quella settimana, viene pubblicato regolarmente nella rubrica, fino all’apparire nella rivista una pagina pubblicitaria riguardante un nuovo artista dal nome FAUST’O, il titolo dell’album “Suicidio” (CGD). Estetica e Violenza psicologica sono i due argomenti principali che hanno radici in tutti i brani di questo primo lavoro, titoli come: “Godi”, “Bastardi”, “Benvenuti tra i rifiuti” e i relativi testi lo fanno notare subito. E’ un disco intellettuale dai temi violentemente metropolitani. Fratello di D.Bowie, Eno, L.Reed, Roxy Music. E questo è solo l’inizio. Negli anni successivi 1979 e 1980 usciranno gli Lp “Poco Zucchero” e “J’accuse… amore mio” che completano una prima trilogia: in questi due album il suono e i testi si spingono ancora più in là, nell’oscurità, nella musica sintetica

Reality

post punk tanto da farlo accostare discograficamente a D.Bowie del periodo Berlinese, agli Ultravox, John Foxx e G. Numan. Lavora con musicisti italiani di talento come

Fausto Rossi “Ritorna Visibile” con “Becoming Visible” A. Radius, O.Avogadro, M.Paoluzzi ecc. Un anno di pausa e di nuovo una grande sorpresa, l’album “Out Now” 1982, lavoro cupo quasi to-

talmente strumentale di dilatazioni ambientali, con la meravigliosa “The sound of my wall” declamata e appena sussurrata. Per la discografia Italiana è davvero oltre avere un personaggio di tanto spessore. Sempre nel 1982 con una nuova etichetta pubblica semplicemente l’album ”FAUSTO” di impatto più composto ed elegante (tanto da fare qualche apparizione televisiva in festival in voga in quell’anno) narrante le sensazioni di un anima perennemente in conflitto. Tre anni dopo 1985 arriva “Love Story”, un lavoro ancora più radicale, interamente cantato in inglese e di matrice Joy Division, un album coraggioso e non poco ipnotico. Il 1992 è l’anno che per la prima volta lo si vede presentarsi col suo vero nome Fausto Rossi, è l’album del cambio, sonorità avvolgenti , languide e autunnali pervadono questo nuovo capitolo, i testi mettono ancora più in vista la personalità imbarazzante dell’artista. Emotivamente toccante è il capolavoro.1985 è l’anno del cd “L’Erba”, un album duro rock blues. E’ un percorso intellettuale nei valori dell’uomo. Nel 1997 esce invece l’album più aspro, dai testi lunghi e sofferti, privi di ritornello evocanti folli immagini. Certamente uno dei più duri lavori discografici che la musica italiana abbia partorito. Fausto Rossi con freddezza e disperazione canta il mondo di oggi. Poi il silenzio che dura una decina di


anni. Q u e s t a primavera 2009 finalmente un nuovo fiore sboccia, sorpresa, si chiama “Becoming Visibile” e cosi Fausto “Ritorna Visibile” è nei negozi con questo cd, la voce è ingentilita, ha un suono molto acustico ed essenziale, pianoforte suonato timidamente, suoni di chitarre sparse, sogni, appunti personali e amore, chi si aspettava da Fausto Rossi effetti speciali rimarrà deluso, pare quasi profetico per i tempi stiamo vivendo. Un lavoro introspettivo, più sereno, scarno e senza ritmica. Fausto Rossi è l’uomo, il cantautore che di nuovo in questo 2009 ci stupisce per regalarci lavori musicali che sono sempre di estrema fattezza, finalmente è nuovamente tra noi… speriamo che questa volta persone nuove se ne accorgano. Il numero uno nel cantautorato italiano post 77.


Spettacolo

All’ombra della Capannina A

TEXT Domenico Savini / PHOTO Samuele Pucci

ll’inizio del novecento uno scrittore francese creò un’opera fondamentale nella letteratura mondiale, di tutti i tempi. Si tratta di un romanzo monumentale in piu volumi; nel secondo, che è forse la parte piu bella, si tratteggia la vita di una nota località di villeggiatura nel nord della Francia; via via che viene descritta la parte finale del soggiorno, la descrizione diventa piu bella e piu vicina alla realtà dei tempi.

La “Grande Signora” del mare e della notte dal 1929 ci fa ancora ballare Le spiaggie che via via si spopolano i villeggianti piu rari e radi che stringono sempre piu le amicizie fra loro; i proprietari degli Hotel e degli stabilimenti balneari, sempre piu amabili e affabili, quasi a voler trattenere, al di là dell’interesse personale, i clienti ancora con loro, per non voler chiudere improvvisamente l’Estate. Non c’è posto in Italia che si possa paragonare a tutto questo come Forte dei Marmi.

Immaginiamoci un giorno di settembre, i rari ombrelloni, poche persone, i nostri amici bagnini che ci invitano a pranzo sulla spiaggia, dove la fine dell’Estate è un pretesto, volere ancora raccontarsi qualcosa è la verità. Nel 1929, quando quì, oltre il centro cittadino verso Sud, c’erano solo dune, una donna intuì l’importanza dell’intrattenimento degli ospiti, comprò una capanna di poco conto sul mare e ne creò quello che in seguito sarebbe stato un mito. Ammetto di non sapere se prima di quella data esistessero locali da ballo al Forte: in un “Carnet Mondain” del 1927 che mi ha fornito il principe

Ludovico Rospigliosi, sono riportati decine di nomi degli ospiti illustri in quell’estate in Versilia, moltissimi romani e fiorentini quasi tutti in vacanza al Forte; ma non si parla di locali da ballo. Forse solo negli alberghi piu grandi c’èra la possibilità di un’orchestra nelle sale.

Nella foto qui a fianco: Margherita Casazza, Guglielmo Giovanelli Marconi, Elettra Marconi, Giuseppe Ferrajoli, Domenico Savini, Oletta Citterio. Nella pagina seguente in alto Domenico Savini. In basso Simona Ventura, madrina della serata per gli ottanta anni della Capannina, con Margherita Casazza, direttore di Reality

Reality


Dal 1929 sono passati 80 anni; la metà di questo tempo, da quando ero poco piu che bambino, da 40 anni ogni anno, nel mese di agosto quasi ogni sera torno alla Capannina. Prima, da liceale e da universitario, il periodo era molto piu lungo, legato all’estate intera. Da metà giugno a metà settembre la Capannina era aperta ogni sera. Per me è il grande tempio dei ricordi, la cattedrale delle memorie più belle dell’Estate. E gli amori? Avete mai pensato che gli amori nati e sbocciati e cresciuti qui hanno un sapore particolare? Molti, quasi tutti, pensandoci, mi capiranno! E la fine dell’Estate? Quando si poteva ottenere di restare un pò di più perchè “era l’ultima sera al mare”... E’ il 27 Agosto, vigilia di Sant’Ermete, patrono del Forte. La “Grande Signora” del mare e della notte si è agghindata per festeggiare i suoi ottant’anni: centinaia di palloncini bianchi formano il fatidico 80. Grande serata, Gherardo e Carla Guidi, custodi della Signora che ha 80 anni e ci fa ancora ballare, ci offrono un bellissimo tavolo e Champagne Francese: “La storia della Capannina siete voi!“ ci dicono. Gli amici Giuseppe Ferrajoli, Elettra Marconi, Guglielmo Giovanelli ed Io, ci sentiamo parte di questa storia: 40, 50, e piu anni sempre qui; non diciamo piu oltre, ne più da quanto! Il 28 sera, Sant’Ermete, al bagno Dalmazia, ospiti di Marco e Veronica Galeotti, con la magia dei fuochi. Poi tutti al vicino Marechiaro dove si balla fino all’una. E poi? Finita la musica dei Bagni, finita la serata? Certo che no! Tornati a Dalmazia tutti ballano ancora fino a mattina con le musiche che vengono da dentro la grande sala, e che incombe con le sue luci, le sue canzoni, i suoi ricordi. All’ombra della Capannina... à l’ombre... “à l’ombre de jeunes filles en fleur”.

Reality incontra Simona Ventura

Il 27 agosto 2009, in occasione della festa finale per gli 80 anni della Capannina, Simona Ventura ha fatto da madrina alla serata. La showgirl ha avuto il compito di tagliare la mega torta illuminata da 80 candeline con il patron Gherardo Guidi. Partita come valletta di Giancarlo Magalli a fine degli anni ’80 nel p ro g r a m m a “Domani sposi” la Ventura si è avvicinata al mondo del calcio nel ’90 raccontando, per Telemontecarlo, i mondiali di calcio, per poi tornare in Rai alla “Domenica sportiva”. Ma è a “Mai dire gol” che conquista la simpatia del pubblico in tandem con Claudio Lippi, Teo Teocoli e Antonio Albanese, senza dimenticare due edizioni di “Scherzi a parte”e il Festivalbar. La notorietà arriva con “Le iene”, per poi esplodere con “Quelli che il calcio…”. L’anno dopo (2003) la consacrazione con “L’isola dei famosi” e nel 2004 la conduzione del Festival di Sanremo accanto a Gene Gnocchi. Il quadro è completato nel 2008 con il talent show “X Factor”.


Solo il meglio del cinema a cura di Kirilla COMMEDIA

show reel

Taking Woodstock

Regia: Ang Lee Distribuzione: Bim Data di uscita: 9 Ottobre 2009 Disperato per il fatto di non sapere come aiutare i genitori, indebitati sino al collo e vicini a perdere il motel che gestiscono. Elliot Theichberg approfitta della mancata concessione degli spazi per un concerto musicale nella cittadina di Wallkill, chiamando l’organizzazione ed offrendo il motel come base d’appoggio ed il terreno di un loro vicino per svolgere la manifestazione e ricavare il denaro per saldare i debiti dei genitori. Non può certo sapere che sta contribuendo alla realizzazione del più grande concerto rock che sia mai stato realizzato...

Up

ANIMAZIONE

Regia: Pete Docter, Bob Peterson Distribuzione: Walt Disney Data di uscita: 15 Ottobre 2009

THRILLER

Un venditore di palloncini di 78 anni, Carl Fredricksen, realizza finalmente il suo sogno quando collega migliaia di palloncini alla sua casa e vola via per raggiungere le zone selvagge del Sudamerica. Tuttavia, scopre quando é ormai troppo tardi che il suo peggiore incubo ha partecipato di nascosto al viaggio: un bambino di 9 anni eccessivamente entusiasta di nome Russel, che é anche un Esploratore della Natura...

Nemico Pubblico

Regia: Michael Mann Distribuzione: UIP Data di uscita: 6 Novembre 2009 L’affascinante storia di uno degli uomini considerati dal Federal Bureau of Investigation, negli anni ‘30, tra i più pericolosi d’America, John Dillinger. Gangster e rapinatore di banche, più volte riuscito ad evadere dai carceri dove lo rinchiudevano, fu alla fine catturato grazie ad un enorme sforzo dell’istituto governativo che lo assicurò definitivamente alla giustizia...


Dente

(Ghost) 2009 Cd (5° rist.) Lp (vinile bianco)

Bucket. Fracula

(Surfin’ki records) Lp 2009

Memorie e Violenze di Sant’Isabella Ultimo Attuale Corpo Sonoro

Un bel debutto su Lp tra l’altro molto particolare, da un lato le 12 traccie musicali e nel lato b una serigrafia in tre esemplari di differente colorazione. Sono un duo M.Patrizio Marrone e Valeria Grafio che dall’Italia si sono trasferiti in Svezia ed incidono per l’etichetta pisana Surfin’ki Recorords, con un Sound vintage che ricorda molto da vicino la scena “Electro Pop 80” e la “New Wave”, in particolare si respira arie dei Devo.

la musica che ci piace

L’amore non è bello è il terzo cd del cantautore Giuseppe Peveri in arte Dente, dotato nei testi dei brani di una sana dose di cinismo che sfocia in un espressione di giochi di parole e stravaganti racconti., L’ironia che emanano i testi ci da un cantautore molto cabarettistico, spesso avvicinato a un nuovo Lucio Battisti per la semplicità delle liriche. Un album che ha vinto il premio Italiano Musica Indipendente 2009.

juke boxe

L’amore non è bello

(Manzanilla musica e dischi/Audioglobe) 2009

ascoltare

Quaranta minuti e quattro anni di impegno, questa è la dicitura che appare sul cd di U/A/C/S una band di Verona che ci consegna un lavoro molto complesso e che prende lo stomaco. Grandi sia le atmosfere sonore post-rock che il recitato dei primi 3 brani incentrati sulla morte tragica di P. P. Pasolini, e le tracce dedicate al poeta Turco Nazim Hikmet, che ha passato un ventennio in carcere per aver denunciato massacri contro il popolo Armeno. Poeti emarginati dalla società. Una Band di infinito coraggio.

xax

VipCancro Sono un quartetto Toscano che si rifà alle sonorità dello spettralismo e alle avanguardie sonore. La musica che esce dal 33 giri (stampato in 150 copie) e dalle loro performance ha un impatto potente sull’ascoltatore, grazie all’abilità del quartetto di darci rumore che diventa suono prolungato all’infinito riuscendo cosi a farci entrare in vortici Mantra Cosmici. Hanno un suono che sembra salire ma non ha mai l’esplosione che si crede arrivare. Un Ambient Isolazionista con la voce trattata come un drones chitarristico.

a cura di Luca Gennai

Lp (Liscarecords) 2009

la vetrina di Reality


Architettura e Contemporaneità ANCHE NELLA CAMPAGNA TOSCANA TEXT Stefania Catastini

“Reinterpretazione, integrazione, rispetto dell’ambiente, relazione con l’esterno sono le linee guida che cercano soluzioni alternative con materiali classici e non” Per suggerire un’alternativa Due progetti di ristrutturazione che prendono le mosse dalla preesistenza di un annesso agricolo a carattere rurale e tentano di perseguire una diversa interpretazione spaziale mantenendo fedeltà a una struttura originaria. In entrambi gli interventi l’architetto non cerca la simbiosi con ciò che ha trovato ma sperimenta una reinterpretazione che passa attraverso il riuso di materiali tradizionali (pietra,cotto e legno) fino ad arrivare all’uso di resine, vetro, lamiere microforate e stirate. Le abitazioni vivono del contatto con il paesaggio; il rapporto tra esterno e interno si realizza attraverso le grandi aperture, ove possibili, che aprono squarci verso la campagna. La continuità dell’interno è denunciata dalla presenza di doppi volumi che creano spazi ben definiti ma allo stesso tempo liberi e flessibili. Per calcare maggiormente il senso di fluida unitarietà sono stati scelti colori in tono o leggermente sottotono presenti sull’imbiancatura esterna, interna, sui pavimenti in resina (casa Manfredi) e sui soffitti. Tutto questo permette di creare un senso di continuità tra gli ambienti e l’esterno fornendoci un risultato che in maniera molto pacata regala un omaggio alla contemporaneità preservando il valore etico dei fabbricati.

C A S A

M A N F R E D I

CASA MANFREDI Nei bagni delle camere padronali l’arredo è essenziale e perfettamente integrato con la struttura originaria. Qui, come in tutta la casa i pavimenti sono in resina, la stessa usata anche negli esterni.

Il soggiorno è un grande spazio con soffitti alti anche fino a 6 metri e grandi aperture sul paesaggio.


Il doppio volume mette in risalto l’altezza interna e il rapporto della grande apertura con l’esterno.

Particolare della porta di ingresso realizzata in lamiere stirata.

CASA MANCINI Visione d’insieme esterna dove si evidenzia la “vasca verde” creata per gestire i dislivelli generando spazi di vita all’aperto.

Il pergolato esterno (legno lamellare e plexiglas) segna l’ingresso principale alla casa creando lo spazio esterno principale nel quale sostare e godere del panorama. La pietra graffiata utilizzata per l’esterno, come anche per la parete principale interna, ha un leggero colore rosato che richiama i toni del mattone.

Particolare del rivestimento interno in pietra.

La parete centrale in pietra contenente il camino dialoga con i colori usati per le imbiancature del soffitto, delle pareti interne ed esterne ed il cotto.

C A S A

M A N C I N I


Ambiente

REACh e CLP un nuovo Regolamento

TEXT Dr.ssa Anna Celati e Dott.ssa Cristiana Borchi

D

opo aver introdotto il Regolamento CE 1907/2006 (noto come REACh), nuova disciplina sulla commercializzazione delle sostanze chimiche in funzione della loro pericolosità, l’Unione Europea ha completato il quadro normativo sulle sostanze chimiche con l’introduzione del nuovo Regolamento 1272/2008 relativo a Classificazione Etichettatura ed Imballaggio delle sostanze pericolose noto con l’acronimo derivato dall’inglese CLP (Classification, Labeling, Packaging) pubblicato in Gazzetta Europea il 31/12/2008.

Il 22 ottobre a Villa Dianella (Vinci - Firenze) si svolgerà un Convegno organizzato da LABOSTUDIO S.r.l. Tale Regolamento recepisce, secondo un processo di “building block approach” (ovvero con la possibilità di escludere dal sistema di classificazione alcune categorie di pericolo non ritenute rilevanti), il più ampio Sistema mondiale noto come GHS (Globally Harmonized System). Essendo un Regolamento la sua entrata in vigore non è assoggettata alla necessità di emanazione di alcuna Direttiva di recepimento da parte degli Stati Membri ma entra in vigore automaticamente 20 giorni dopo la data della sua stessa pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea. Il nuovo Regolamento modifica ed abroga la direttiva 67/548/CEE, riguardante classificazione, etichettatura di sostanze pericolose, e la 1999/45/CE, riguardante la classificazione ed etichettatura dei preparati pericolosi, recando inoltre modifiche al Regolamento (CE) 1907/2006. Reality

In particolare l’Allegato VI del Regolamento 1272/2008 riporta due liste:

P P

una comprendente tutte le sostanze classificate con i limiti imposti del Regolamento stesso (riprende tra l’altro quanto previsto dal GHS); l’altra comprendente tutte le sostanze con classificazione relativa della abrogata Direttiva 67/548/CEE.

La scelta di sopprimere l’Allegato I della Direttiva 67/548/CEE e la sua sostituzione con l’Allegato VI del Regolamento 1272/2008 deriva dall’opportunità di avere un unico corpo normativo per le classificazioni ufficiali delle sostanze e, poiché la lista delle sostanze è una lista “aperta” (cioè soggetta ad adeguamenti derivanti dal progresso tecnico) ciò permette di modificare le due liste contemporaneamente senza necessità di emanazione di Direttive di recepimento. Però, poiché l’applicazione del Regolamento CLP avverrà in un periodo compreso tra due e nove anni, è necessario che restino valide le classificazioni della 67/548/CEE. In riferimento al periodo transitorio, il Ministero del Lavoro della Salute e delle Politiche Sociali ha precisato quanto segue:

P P

Per quanto riguarda la classificazione delle sostanze e delle miscele è facoltativa l’adozione del nuovo sistema CLP contestualmente all’uso obbligatorio del vecchio sistema fino al 1.12.2010 per le sostanze e fino al 1.06.2015 per le miscele. Dopo tali date è obbligatorio l’adozione del nuovo sistema di classificazione contemporaneamente all’utilizzo del vecchio sistema di classificazione fino al 2015. Dopo tale data sarà valido solo il nuovo sistema di classificazione CLP. (vedi GRAFICO 1) Per quanto attiene l’etichettatura è possibile scegliere tra vecchio e nuovo sistema fino al 1.12.2010 per le sostanze e fino al 1.06.2015 per le miscele. Successivamente ci sarà obbligo di adozione del nuovo sistema. Comunque, per tutte le sostanze immesse sul mercato prima del 1.12.2010 e per tutte le miscele immesse sul mercato prima del 1.06.2015 ci sarà la possibilità di mantenere la vecchia etichettatura rispettivamente fino al 1.12.2012 e al 1.06.2017. (vedi GRAFICO 2)


GRAFICO 2

GRAFICO 1

A

SOGGETTI INTERESSATI Destinatario delle nuove regole di classificazione, etichettatura e imballaggio è chiunque, all’interno della filiera, produca/ immetta sul mercato/ acquisti/ utilizzi una sostanza o una miscela: infatti, poiché subiranno sostanziali modifiche i simboli di pericoli

e frasi di rischio, nonché consigli di prudenza, ciascun “addetto ai lavori” rischierà di non comprendere il tipo di sostanza o miscela con cui avrà a che fare se non sarà stato preventivamente informato in merito alle novità. Per cui, chiunque manipoli o utilizzi sostanze o miscele o chiunque assol-

va al compito della redazione della documentazione complementare ad esse, necessita di conoscere in maniera più che sufficiente le novità imposte dal nuovo Regolamento. Infine, ma non come ordine di importanza, urge la necessità di controllare le schede di sicurezza di sostanze e miscele poiché cambiano i limiti entro i quali una sostanza o una miscela possono essere definite pericolose o meno, come pure cambiano i criteri di classificazione per alcuni classi di pericolo. Sarà necessario quindi affidarsi al giudizio di esperti in materia al fine di verificare la veridicità delle informazioni contenute nelle attuali schede di sicurezza le quali, prima o dopo, dovranno essere trasposte al nuovo Regolamento. Per qualsiasi informazione in merito e per far fronte ad ogni richiesta in materia il personale di Labostudio S.r.l. è a disposizione. Vi diamo inoltre appuntamento all’evento che sull’argomento la nostra società Labostudio s.r.l. organizzerà il 22 ottobre 2009.

Reality



Moda

Dreaming Fashion il successo della moda eco-compatibile TEXT Patricia / PHOTO Giovanni Rastrelli

U

NOVITÀ

na mente brillante determinata nel realizzare i propri sogni trova le grandi ispirazioni che danno origine a nuove espressioni; è sintomo di uno spirito giovane e creativo la cui saggezza, del resto, non può che riconoscersi addirittura nell’opportuno riguardo verso le cose e le persone che la circondano. Un gruppo di ragazzi da tutta Italia, impegnati nel campo della moda, ha partecipato al primo Concorso Nazionale Giovani Stilisti “DREAMING FASHION” con un sogno veramente grande e sorprendente: un progetto ambizioso che prevede l’utilizzo di materiali ecocompatibili per la realizzazione di capi d’abbigliamento. La moda è ricerca di nuove soluzioni d’effetto, studio di fresche sembianze: gli ingegnosi e giovani stilisti si sono adoperati ad acquisire e ricercare materiali eco compatibili per realizzare capi ed accessori sbalorditivi, amalgamando il loro slancio creativo con il rispetto per l’ambiente. Nella splendida cornice di Piazza del Popolo a San Miniato il 5 settembre alle 21.30 si è tenuto il defilé dei finalisti della prima edizione del concorso: una serata incantevole, che ha puntato l’accento sui giovani e sulle loro abilità straordinarie, intrisa di presentazioni e di modelli originali e inaspettati. Il reperimento di materiale eco-compatibile non è stato un percorso semplice: tuttavia gli stilisti sono concretamente riusciti a produrre creazioni esclusive, abiti casual, sportivi e anche da cerimonia, realizzati in tessuti e pellami trattati biologicamente, con materiali insoliti e tradizionalmente tra-

scurati. Ad aggiudicarsi il premio di € 2000 la vincitrice Valentina Ferrarsi, da Monastero Bormida: il premio le è stato consegnato dalla madrina del concorso Regina Schrecker. A Krystal Chavez, da Milano, è stato assegnato il Premio CNA Federmoda Pisa per il design, consegnato da Gianluca Bertini; Giuly Venturi di Amelia (TR) ha ricevuto il Premio Provincia di Pisa alla creatività dalla consigliera provinciale Alessandra Starnini; ad Elena Biscotto da Zermeghedo (VI) è stato infine conferito il Premio del Comune di San Miniato per il figurino, consegnato dal sindaco Vittorio Gabbanini. Se l’universo della moda costituisce un trascinante richiamo alla creatività ed al cambiamento, esso diviene infine gesto e necessità quotidiana che s’interfaccia con le nostre esigenze e il nostro stile di vita. In tale occasione i ragazzi hanno saputo intelligentemente dimostrare che la moda può essere ecocompatibile e non dannosa per la salute nostra e del nostro territorio. Fuori concorso sono state presentate alcune produzioni singolari: tra le altre, una linea di borse PIEL Y VINO realiz-

zata con pelle a concia 100% vegetale, tinta con uve del vino rosso IGT TOSCANA Villa Guardatola, grazie alla collaborazione con il “Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale. Dreaming Fashion dunque, meravigliosa e ben strutturata opportunità di visibilità per i giovani talenti, si è chiusa trionfante con tre premiati e un vincitore, e con il grande plauso da parte della foltissima folla incuriosita e compiaciuta. Nulla togliendo allo stile più mirabile, la moda ecocompatibile ci ha regalato accostamenti e movenze fantasiose resi in capi unici, concepiti dalla personale interpretazione di chi ricerca l’originalità e al contempo sostiene l’ambiente. Dal 1 novembre 2009 sarà visibile e scaricabile il bando per l’edizione 2010 di Dreamig Fashion sul portale della moda REPORNET (www.reportnet.it).

NETFASHION

Ad ottobre un nuovo canale tv streaming di moda, spettacolo e cultura in diretta o possibilità di on-demand con spazi dedicati a interviste, sfilate, curiosità, presentazioni di libri, inaugurazioni di mostre e tanto altro ancora...

Reality


M

VALENTINA FERRARIS KRYSTAL CHAVEZ

Reality


M

GIULY VENTURI ELENA BISCOTTO

Reality



Creatività

Da Parigi alla Toscana il sogno diventa realtà P

ercorrendo alcune stradine del Marais, nel cuore di Parigi, mi ritrovo come per incanto in un delizioso atelier di oggetti artigianali: “la fée Orphélie l’a fait”, un nome che ha del meraviglioso come le creazioni che ospita.

Un dono prezioso “fatto dalla fata” Giorgia, la sua ideatrice, accoglie i visitatori catturati dal profumo di dolcetti locali e infusioni aromatiche. Mi stupisce notevolmente ritrovare in uno dei quartieri più affascinanti della capitale francese, un’oasi di paradiso italiano. Giorgia, infatti, nasce a Mogliano Veneto, un paesino della provincia di Treviso. Negli ultimi anni decide di trasferirsi a Padova per seguire i suoi studi di psicologia, ma solo lo scorso anno approda nella ville lumière per un soggiorno di studio. Di lì a poco la decisione, tutta casuale, di realizzare un grazioso laboratorio in cui il genio del créateur prende forma nei numerosi oggetti artigianali: orecchini, portachiavi, spille e borse. Alla base di ogni creazione si nasconde un’attenta ricerca del materiale acquistato un po’ in tutta Europa: Parigi; Ostende (Belgio); Stuttgart (Germania); Murano, le cui perle in vetro provenienti da questa piccola isola veneta, risultano particolarmente apprezzate dalla clientela francese; il cuoio toscano, e ancora stoffe extraeuropee molto pregiate che catturano l’attenzione per un meraviglioso alternarsi di vivaci colori in sintonia con le tendenze del momento. L’origine multietnica dei materiali favorisce la mise en oeuvre di oggetti semplici, ma eleganti allo stesso tempo, creati ad hoc per qualsiasi richiesta. “Ciò che cerco in ogni composizione, - mi spiega Giorgia – è di riuscire a combinare l’eterogeneità delle sue parti, con le peculiarità di ogni singo-

TEXT&PHOTO Valentina Guerrini

la persona che le indosserà. I tempi di progettazione e di lavoro, - prosegue - non sono mai costanti: posso trascorrere anche ore intere davanti a minuscole e insignificanti perline prima di essere soddisfatta della mia creazione. Dopotutto l’artista aspetta sempre la giusta ispirazione per creare le sue opere più belle. E la parte d’ artista che c’è in me fa sì che quando decido di mettermi all’opera non so mai cosa ne verrà fuori. Le mie creazioni sono il frutto di una passione che mi ha fatto scoprire il piacere e il gusto nel comporre materiali diversi, per assistere con continuo stupore, al risultato a cui giungo, il mio bijou, un piccolo gioiello..” Quando ti sei resa conto che questa tua passione sarebbe potuta diventare una vera e propria attività? “Ho cominciato un po’ per gioco quando ero piccola cucendo a mano delle borsette per la mamma e per le amiche, in un secondo momento ho cominciato a realizzare dei bijoux artigianali per alcune mostre di beneficenza, assieme a dei corsi per giovani apprendisti. Oggi creo modelli su misura per ogni persona che desideri indossarli”. È davvero curioso, infatti, ritrovarsi davanti ad una moltitudine di oggetti e rimanere affascinati da tutti questi capolavori senza distinzione alcuna. Gli orecchini, ad esempio, sembrano pensati per diverse tipologie di donne: sognatrici, eccentriche, ambiziose, timide: ognuna ritrova il suo sti-

le in qualche creazione. La tentazione di acquistarli tutti è davvero forte, ma ecco che Giorgia mi mostra la sua boîte à boutons dove “custodisce” i suoi materiali più incantevoli: un regalo pre-

zioso, ci rivela: “ogni viaggio che faccio arricchisce questa scatola di materiali diversi che poi verranno abbinati armoniosamente non tanto seguendo una moda precisa, ma cercando di captare le esigenze delle mie clienti”. Le creazioni di Giorgia vengono anche esposte in alcuni negozi della capitale francese, primo fra tutti il By Luna in rue St. Antoine, nei pressi della Bastiglia, ma la maggior parte di essi vengono ordinati durante i numerosi mercatini locali, durante qualche vendita privata, oppure ritrovando le sue creazioni su Facebook “Fatto Dallafata”. Per contattarla personalmente potete scriverle a: fattodallafata@hotmail.it Reality


Sport

Lo sport dei re dalla Persia a Viareggio per la prima Polo Beach Cup

L’

TEXT Andrea Berti

evento organizzato da Versilia Viareggio Congressi in collaborazione con Comune di Viareggio e Polo Club Firenze. Manuela Clerici, Presidente Viareggio Versilia Congressi: “Destagionalizzare: la parola d’ordine”.

Tre giorni tra sport, mondanità, glamour, spettacolo e divertimento Il Polo dalla Persia a Viareggio. Lo sport dei Re arriva per la prima volta nella storia in Versilia sulla spiaggia del “Principe di Piemonte”, il più prestigioso ed elegante stabilimento balneare in stile liberty della Toscana, che ospita, dal 9 all’11

Reality

ottobre, la prima edizione della “Polo Beach Cup” organizzata da Viareggio Versilia Congressi (info su www.viareggiocongress.com) in collaborazione con il Comune di Viareggio e Polo Club Firenze. Un grande evento sportivo e mondano che unisce il fascino di uno sport che ha radici antichissime nell’Oriente e a quello agonistico della competizione con la partecipazione di giocatori e cavalli da tutta Italia. Ma il Polo a Viareggio è anche classe, glamour, passione, coraggio, spettacolo e divertimento con quattro teams in gara (Polo Club Firenze, Principe di Piemonte, Moonlocker e Hotel Esplanade) arrivati nella città del Carnevale per sfidarsi e vincere quella che

sarà anche la prima edizione a livello mondiale di una Coppa giocata sulla spiaggia da giocatori non-professionisti. Non c’è solo il prestigio in palio. C’è la storia. Tra i player da tenere sott’occhio l’imprenditore Salvatore Ferragamo che guiderà il team del Polo Club Firenze e l’attore Roberto Ciufoli che del Polo è un grandissimo amante, oltre che validissimo interprete. Attesi, nell’arco della tre giorni, migliaia di appassionati (ingresso gratuito) polisti e non ad affollare la tribuna e il campo gara che sarà realizzato sulla spiaggia dello stabilimento balneare assieme al Villaggio del Polo, aree espositive, aree per i cavalli dove potranno “riscaldarsi” prima di entrare in azione, e numerosi stand legati all’arte del cavallo e al gioco del Polo griffati da importanti partner e sponsor. Non manca proprio nulla per chi ama, o è semplicemente curioso, questo sport e i cavalli. Il Polo, come detto, sarà anche un evento ricco di momenti di mondanità con la cerimonia di investitura dei giocatori, la sfilata in Piazza Puccini, la serata di Gala all’Hotel Principe di Piemonte alla presenza di autorità e personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport, e naturalmente le partite, in


S tutto quattro, distribuite tra venerdì, sabato e domenica, giorno ultimo della finalissima tra i due teams vincenti. Spazio anche allo spettacolo con i passi di “Dressage” a cura di Alessandro Benedetti e lo show “Cavalli e Ballerine” di Silver Massarenti con il suoi cavalli andalusi. E già si parla, visto il crescente interesse, di calendarizzare il Polo; inserirlo nel palinsesto degli eventi estivi “per allungare la stagione”. E’ l’obiettivo di Manuela Clerici, Presidente del Viareggio Versilia Congressi che ha voluto il Polo a Viareggio, e che sin dal suo insediamento ha puntato, soprattutto a livello congressuale (il Centro dispone di quattro sale per ospitare 1000 congressisti ed è tra le strutture al top in Italia, per qualità dei servizi e personale, mentre lo stabilimento è l’unico in Toscana ad avere la “Bandiera Blu”), su un turismo autunnale-invernale. A Viareggio non è solo primavera-estate. “Abbiamo tutte le carte in regola per promuovere e produrre turismo anche nei periodi più difficili dell’anno. Il Polo sarà una di queste carte. E’ solo una

data zero; un primo esperimento che vogliamo ripetere nel 2010 perché intorno all’evento si è manifestato un interesse e un’attenzione di livello nazionale notevoli che possono contribuire, e ne sono certa, al nostro progetto di destagionalizzazione. Non a caso abbiamo scelto ottobre, l’autunno, e non la primavera. A dare maggiore forza all’appuntamento l’esclusività di un torneo che sarà giocato sulla spiaggia da giocatori non professionisti. E sarà anche il primo realizzato sulla costa tirrenica. A Viareggio la stagione riparte ad ottobre”.

Reality



Interviste

Lapo Gaetani Lovatelli

L

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo apo, due anni fa ha inaugurato Galeffi, un ristorante dall’originale concept. Ce ne può parlare? La mia avventura nel settore della ristorazione nasce due anni fa con l’apertura di Galeffi, ristorante a Montevarchi (Firenze) realizzato dai vecchi magazzini dell’industria farmaceutica Galeffi, di proprietà della famiglia di mia madre, Letizia Benini. Particolarmente importante fu l’invenzione, nel 1872, dell’effervescente Galeffi, un granulato studiato per rinfrescare e aiutare la digestione. L’azienda, dopo un seco-

Il rampollo toscano, figlio del famoso winemaker Gelasio, promuove l’eccellenza dei prodotti tipici del nostro territorio lo di attività, venne ceduta a Manetti & Roberts, nel 1992. Per circa 15 anni i magazzini, adiacenti all’abitazione nella quale viviamo insieme a mia madre, mia moglie Gemma e i nostri 4 figli Michelangelo, Gregorio, Eleonora, Virginia, sono rimasti inutilizzati fintantoché non mi è venuta l’idea di aprire un ristorante che ricordasse l’antica atmosfera dell’industria farmaceutica. In alcuni ambienti, ad esempio, abbiamo utilizzato come carta da parati, la carta

da imballo delle industrie Galeffi. Abbiamo anche fatto riprodurre sulle pareti dei vecchi strumenti per analisi chimiche, cliniche e microscopiche. La cucina che proponiamo è tipica toscana e del Valdarno. Francesco Pasquini il nostro chef, è molto bravo a cucinare sia la carne che il pesce. Questa estate, invece , insieme agli amici Lorenzo Castoldi, Duccio Di Giovanni e Gianlorenzo Mazzanti, ho rilevato la gestione di Momoyama, ristorante giapponese nel cuore di Oltrarno, a Firenze. Adiacente al ristorante sorge il Museo d’Arte Contemporanea Ernesto Galeffi. Il Museo Ernesto Galeffi, allestito nel 1996 in occasione dei dieci anni dalla scomparsa di mio zio, è collocato in una palazzina adiacente a villa Galeffi. Nel museo, donato dalla famiglia di mia madre al Comune di Montevarchi, sono raccolti dipinti, sculture, bronzi, gessi e una selezione di disegni che mostrano l’evolversi della ricerca artistica di mio zio, ponendo in luce il periodo storico nel quale egli visse. Il suo percorso artistico inizia come disegnatore, mantenendosi per molti anni estraneo a qualsiasi manifestazione pubblica fino alla fine degli anni Quaranta, quando presenta le proprie opere con lo pseudonimo di Chiò in omaggio all’artista giapponese Hokusai. Negli anni Cinquanta estende la sua ricerca pittorica all’astrattismo, collaborando con Fiamma Vigo e la galleria “Numero” di Firenze. Nel 1957 scopre la scultura e nel 1961 si dedica al tema dei “Fedeli d’amore”, una setta medievale coltissima alla quale pare essere appartenuto anche Dante. Suo padre Gelasio è considerato tra

i più conosciuti e apprezzati winemakers a livello internazionale. Che rapporto avete e cosa le ha insegnato? Mio padre mi da sempre dei buoni consigli sulla scelta dei vini per il ristorante, nel quale abbiamo una buona selezione di vini rossi e bianchi, che spaziano dal Brunello di Montalcino agli Chardonnay, dall’Amarone di Valpollicella al Nero d’Avola di Planeta. Non solo vini toscani ma anche piemontesi e siciliani. Ho una buona conoscenza dei vini e devo dire che in questo sono stato molto agevolato dalla frequentazione di mio padre, il quale è consulente dei più importanti produttori e collezionisti a livello mondiale. Ha sviluppato dei contatti che nessun’altra persona ha. Al Vinitaly, per esempio, la più importante manifestazione del settore, quasi tutti lo fermano per salutarlo, chiedergli qualche consiglio o per invitarlo nelle loro aziende. Mio padre ha imparato a conoscere i pregi e i difetti del vino in relazione alla trasformazione del gusto del consumatore. Ha perfezionato le sue conoscenze sul campo, lavorando molto negli Stati Uniti, dove è tuttora consulente per grandi personalità del mondo dell’industria, della finanza e del cinema. Reality



Adozione

Adozione. La seconda nascita Testimonianze

L

TEXT Patrizia Bonistalli

a personalità dell’essere umano non si determina tanto dall’apporto trasmesso dall’eredità, quanto dall’ambiente e in particolare dal contesto familiare in cui egli vive; nel nucleo domestico si formano gli aspetti primari del suo essere. Per un bambino abbandonato, privato di una famiglia che se ne prenda cura, nulla è più urgente che essere quanto prima giuridicamente tutelato in una nuova e

Tutti i bambini hanno il diritto di essere figli stabile famiglia. Dall’esperienza di chi ha compiuto la scelta di adottare, che significa dare una famiglia ad un bambino, emerge proprio quanto il contributo affettivo abbia un ruolo decisivo sullo sviluppo della persona e costituisca le fondamenta della soggettività. Merita veramente, come Giovanni Paolo II rifletteva in uno dei suoi meravigliosi incontri con il popolo, che simili gesti di umanità siano continuati-

vamente sostenuti e legalmente disciplinati. Il rapporto che scaturisce tra i genitori adottivi e i loro figli, per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica, è un riferimento imprescindibile laddove vi siano ferite da rimarginare. Per contro, infatti, la mancanza di una relazione rassicurante è negativa ed ha in molte occasioni pesanti e an-

che irreversibili risonanze sull’evoluzione soggettiva degli individui, che saranno gli abitanti della società futura. L’impegno delle famiglie adottive ad accogliere un bambino abbandonato è un appello per la società tutta alla generosità e alla forza d’animo. Nessuna struttura pur validamente organizzata ad accogliere bambini privi di custodia può partecipare saldamente all’accrescimento di una personalità quanto invece possono dei genitori consapevoli. L’ambiente in cui il bimbo cresce, il suo contesto educativo e affettivo, gioca un ruolo determinante nello sviluppo delle qualità soggettive, pur esistendo caratteri ereditari che possono influenzare le capacità intellettive. In seno ad una famiglia, dove i genitori sono pronti ad assicurare un legame affettivo intimo e costante ed accettare la personalità del bambino, senza essere condizionati da presunte congenite ereditarietà, i bambini negati hanno la possibilità di recuperare la sorgente di realizzazione e gioia che nessuna istituzione assistenziale è in grado di offrire. Reality


Solidarietà

Un giorno a L’Aquila U

TEXT&PHOTO Graziano Bellini

Graziano Bellini consegna le chiavi al Direttore Generale dell’ ASL de L’Aquila

n viaggio importante richiede un orario di partenza importante: le 4 del mattino del 27 Luglio 2009. C’è una missione di solidarietà da compiere. Dobbiamo consegnare quattro moduli abitativi alla città de L’Aquila per conto dell’Associazione Conciatori del comprensorio toscano del cuoio. I moduli prefabbricati sono stati acquistati grazie alle offerte degli imprenditori conciari di Santa Croce sull’Arno, Fucecchio e Castelfranco di Sotto i quali, nonostante la

Cronaca di un viaggio di solidarietà per conto dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno nel capoluogo abruzzese colpito dal terremoto crisi economica, non hanno voluto far mancare il loro sostegno alle popolazioni colpite dal sisma del 6 Aprile. Il risultato della raccolta dei fondi è stato soddisfacente tanto da permettere la realizzazione di un piccolo quartiere adibito ad uffici e laboratori per il Dipartimento Prevenzione e Igiene Pubblica all’interno del Distretto Sanitario del capoluogo abruzzese. Mi accompagnano in questo viaggio alcuni volontari della Misericordia di Santa Croce sull’Arno guidati dal loro presidente Marconcini Alessandro. La direzione della Misericordia ha contribuito in modo determinante alla realizzazione di questo progetto con il loro appoggio organizzativo e logistico

Reality Graziano Bellini mostra l’articolo dedicato a L’Aquila pubblicato sul numero 52 di Reality

I responsabili dell’ASL de L’Aquila insieme alla delegazione dell’Associazione Conciatori e Misericordia

senza il quale questa operazione di solidarietà non sarebbe stata possibile. Con le nostre auto raggiungiamo i Tir che trasportano i prefabbricati sull’autostrada mezz’ora prima dell’arrivo e procediamo in colonna fino all’uscita per L’Aquila. Vogliamo raggiungere il luogo di destinazione tutti insieme cosi da assistere alle operazioni di scarico e posizionamento dei moduli e successivamente effettuare la consegna delle chiavi nelle mani del Direttore Generale della Asl de L’Aquila. Quando ci apprestiamo ad entrare in

questa città silenziosa e vuota ci prende a tutti un velo di emozione. Il nostro convoglio raggiunge il Distretto Sanitario intorno alle 9 del mattino e, grazie all’abilità degli autisti dei Tir, in poco tempo i prefabbricati sono scaricati e posizionati a terra a formare un quartiere funzionale per quelle attività sanitarie che non hanno più dei locali dove operare. Intanto il sole e il caldo di questa giornata estiva si fanno sempre più implacabili mano a mano che il tempo passa ed è sotto questa calura che intorno alle ore 13


S consegno ufficialmente le chiavi dei moduli abitativi nelle mani del Dr. Roberto Marzetti Direttore Generale della Asl de L’Aquila il quale ci ringrazia calorosamente a nome di tutta la città con parole sentite e sincere, aggiungendo anche che “senza il vostro aiuto, senza gli aiuti esterni, noi aquilani da soli non potremmo farcela”. Anche lui, come decine di migliaia di suoi concittadini, questa mattina si è svegliato in una tendopoli, si è fatto la barba in uno specchio di fortuna, ha indossato la giacca ed è andato incontro ad un’altra giornata difficile con grande dignità. La stessa dignità che abbiamo riscontrato nella delegazione di responsabili del Distretto Sanitario che successivamente ci accompagnano a visitare il centro della città fino a Piazza Duomo dove in quel momento dei Vigili del Fuoco, davvero ammirevoli sotto quel caldo torrido, stanno preparando la copertura provvisoria della chiesa delle Anime Sante. A proposito di loro, una delle frasi che raccolgo durante la giornata è questa: “Non troverete mai nessuno a L’Aquila che parla male dei Vigili del Fuoco”. Successivamente i nostri amici ci portano nei paesi di Pianola e Pettino dove alcuni crolli di abitazioni e di edifici vanno oltre l’immaginazione bizzara della fantasia tanto sono devastanti, rappresentandoci cosi visivamente quanto sia stata tremenda la forza distruttrice di quella scossa delle 3,36 del 6 Aprile 2009. Durante le ore passate insieme, i nostri ospiti ci hanno raccontato anche le loro personali esperienze di quella notte: di come la violenza delle scosse abbia scaraventato di sotto a letto uno di loro e che, impossibilitato a trovare un equilibrio in piedi sia arrivato strisciando allo stipite della porta mettendosi poi ad urlare a squarciagola in mezzo a quel frastuono senza avere più controllo su se stesso; di come i componenti di un’intera famiglia si siano trovati tutti contemporaneamente fuori dalle loro camere e si siano messi a correre lungo il corridoio mentre il battiscopa saltava via come spinto fuori da una forza invisibile e le pareti scricchiolavano paurosamente con forti rumori sinistri. La pacatezza, la serenità, l’umanità con le quali ci raccontano le terribili sensazioni provate in quei momenti svelano il loro desiderio sincero di renderci partecipi alle loro vicissitudini e alle loro sensazioni, di condividerne le emozioni. Parlarne per esorcizzare la paura. Quella notte qualcosa si è rotto per sempre da quelle parti, oltre ai muri degli edifici. C’è il fondato timore che niente sarà più come prima perché è veramente compromesso tutto il tessuto urbano. Non c’è un solo edificio che non abbia lesioni più o meno gravi. Le erbacce hanno preso possesso delle strade, dei marciapiedi, dei giardini e dei balconi come se tutto fosse abbandonato da molto tempo in un silenzio surreale. Una città fantasma dove a nessuno è permesso di circolare. Loro, gli aquilani rimasti, ce la stanno mettendo tutta per ridare vita alla loro città ma i danni strutturali sono talmente gravi che anche i più ottimisti dubitano che la città sia ricostruita come era prima, dove era prima. Se si aggiunge poi la sensazione che gli aquilani non vedono progredire i lavori di recupero del centro storico, a dispetto delle notizie che invece passano in televisione, il quadro si fa certamente più desolante. Allo stesso tempo, come augurio di speranza, alla fine della giornata ci fanno visitare una delle nuove “new town” edificate con case antisismiche, a pannelli di legno o di cemento, costruite su piattaforme speciali progettate per resistere a forti terremoti. Anche qui però i timori e i dubbi che questi futuri sobborghi si trasformino in ghetti periferici fanno da contrasto alle fiduciose aspettative di chi è senza un tetto. Alle 19 ci salutiamo e riprendiamo la strada di casa. Ritorniamo alla sede della Misericordia di Santa Croce sull’Arno all’una di notte, senz’altro molto stanchi, senza dubbio più ricchi. Da oggi anche noi ci sentiamo un po’ aquilani.

I prefabbricati in viaggio sui tir

Cupola della chiese delle Anime Sante Il primo piano di questa casa a Pianola non esiste più

Reality Vigili del Fuoco a lavoro in Piazza del Duomo


Solidarietà

Una corsa per la vita EDIT Angelo Errera

U

na piazza colorata di arancione, almeno 15.600 persone radunate in Piazza della Signoria per la VII edizione di CORRI LA VITA, la manifestazione che unisce in un unico momento sport e solidarietà. Sono stati raccolti ad oggi oltre 250.000 euro, di cui ben 40.000 solo nell’asta battuta ieri sera da Christie’s a Palazzo Gerini - generosamente messo a disposizione dalla marchesa Sveva Cavalletti - con gli oggetti d’arte donati dagli antiquari presenti alla XXVI Biennale dell’Antiquariato di Palazzo Corsini. Raccolti in piazza nella mattina della corsa quasi 20.000 euro. La gente ha voluto lo stesso iscriversi anche se ormai erano esaurite le magliette, a dimostrazione di quanto ormai CORRI LA VITA sia nel cuore dei fiorentini. Dopo il saluto del Sindaco Mattei Renzi, tra le ovazioni del pubblico presente ancora emozionato per la bella partita di ieri sera della Fiorentina contro il Livorno, Cesare Prandelli ha dato il via alla corsa competitiva. Subito dopo la partenza, l’intera

Reality

mattinata è trascorsa in piazza Signoria con l’intrattenimento dal palco di Alessandra Maggio di Lady Radio e di Gianfranco Monti e con le esibizioni della Fanfara dei Carabinieri, dei Granatieri di Sardegna e dei Bandierai degli Uffizi. Sono intervenuti Barbara Cavandoli, Assessore allo Sport del Comune di Firenze, Bona Frescobaldi, Presidente del Comitato Organizzatore di CORRI LA VITA, Ida Cipparrone, Presidente LILT - Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, Firenze, Marco Rosselli Del Turco Consulente Scientifico di CORRI LA VITA, Elena Lacquaniti, Direttore Generale ISPO, Donatella Bartolozzi, Presidente FILE - Fondazione Italiana di Leniterapia, Jacopo Nori Responsabile Unità Senologica dell’Ospedale Careggi a Firenze. Sebastian Frey ha premiato i primi tre classificati uomini e le prime donne arrivate alla corsa competitiva. Il portiere della Fiorentina si è detto “piacevolmente sorpreso di trovare una piazza così partecipe per una manifestazione di cui aveva sempre sentito parlare bene, ma vederlo è tutta un’altra cosa.


Allarga il cuore vedere tante persone accorrere alla richiesta di aiuto per chi è meno fortunato di noi”. Primo classificato tra gli uomini il marocchino Er-Rmili Said, classe 1963, grande atleta degli anni Novanta e vincitore nel 2008 della maratona del Mugello. Per le donne prima classificata Denise Cavallini, classe 1979.

In più di 15.000 a Firenze per unire sport e solidarietà con la VII edizione di “Corri la Vita” Secondo e terzo classificato: per gli uomini Daniele Del Nista, classe 1985 e Massimo Mei, classe 1983; per le donne Annalaura Mugno, classe 1987 e Emma Iozzelli, classe 1966. Tutte e tre le donne classificate fanno parte del Gruppo Sportivo Lammari di Lucca. Con il contributo di quest’anno, Jacopo Nori, responsabile dell’unità senologica dell’Ospedale di Careggi, ha annunciato che potrà acquistare il mammografo digitale del valore di circa 100.000 euro, apparecchiatura con indubbi vantaggi per la diagnosi precoce e la cura del cancro. Gli altri due progetti a cui verranno destinati i fondi raccolti da CORRI LA VITA sono il sostegno dell’attività del Ce.Ri.On (Centro di Riabilitazione Oncologica presso Villa Le Rose di Firenze) per il recupero psico-fisico delle donne operate, e di File (Fondazione Italiana di Leniterapia) per il miglioramento della qualità di vita di pazienti oncologici a prognosi infausta. Nella pagina precedente sulla sinistra alcuni momenti della corsa. In basso a sinistra il Comitato di Corri la Vita. A destra un numeroso gruppo di partecipanti di Santa Croce sull’Arno (Pisa). In questa pagina in alto: Sebastian Frey e i primi classificati. Sotto la squadra della Fiorentina.



Aziende

Laboratorio Isotech Delta Consulting

L

TEXT Dott. Federico Ghimenti (Direttore Organismo Formativo)

a Isotech s.r.l., partner operativo di Delta Consulting s.r.l., è una società con sede in Santa Croce sull’Arno - certificata UNI EN ISO9001, ISO14001, EMAS, SA8000 - che opera nel settore industriale della progettazione, costruzione,

Isotech s.r.l. partner operativo di Delta Consulting s.r.l., opera nel settore industriale della progettazione, costruzione, installazione e messa in funzione di impianti elettrochimici e meccanici ad evoluta tecnologia installazione e messa in funzione di impianti elettrochimici e meccanici ad evoluta tecnologia, impiegati nel riciclo delle acque di processo produttivo e nel recupero energetico. Il fondatore delle due società, Dott. Giovanni Ghimenti, dopo essere stato responsabile per anni di validi laboratori di analisi chimica sparsi in tutta Italia, nonché collaboratore abituale del Prof. Francesco Ciardelli

- Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale di Pisa -, agli inizi dell’anno ha deciso di realizzare un proprio laboratorio di analisi e ricerche chimico ambientali, rendendolo rapidamente operativo. Il laboratorio, con sede nella nuova area industriale di Pontedera (PI), via G. Del Guerra 24, è una struttura dotata delle più moderne tecnologie ed apparecchiature per l’esecuzione di analisi chimico-fisiche al servizio delle industrie, delle piccole e medie imprese e enti pubblici per la protezione dell’Ambiente e la tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Correlata all’attività principale, con riferimento specifico al settore industriale conciario, vengono svolte altre tipologie di analisi, quali: - caratterizzazione chimico-fisica delle pelli e del cuoio - definizione colorimetrica superficiale dei pellami ante e post rifinizione con certificazione del prodotto finito - caratterizzazione di miscele gassose, liquide e solide per la determinazione della composizione chimica e delle proprietà tecnologiche - cerificazione di rispetto dei limiti previsti per l’eventuale presenza o meno di contaminanti residuali indesiderati

Per ulteriori informazioni consultare il sito internet www.isotechweb.com oppure contattare la segreteria: tel. 0571367551

Reality


Formazione

La Carta ILA: opportunità per la propria formazione

A

TEXT Francesca Ciampalini & Carla Sabatini

lcune province della Toscana hanno attivato con le risorse del Fondo sociale Europeo, una carta di credito formativo. La carta serve a finanziare la partecipazione ad iniziative formative di vario tipo, che siano coerenti con il percorso formativo e con gli obiettivi professionali della persona richiedente.

Per informazioni: Fo.ri.um. in via del Bosco , 264/f S.Croce sull’Arno (PI) Tel 0571/360069 www.forium.it - info@forium.it Netaccess in via Pacinotti, 2 S. Croce sull’Arno (PI) Tel 0571/366980-367755 - cell. 3484405321 www.netaccess.it - info@netaccess.it rente con esse l’esito sarà sicuramente positivo) ci verrà chiesto di presentare la documentazione relativa al corso prescelto e ci verrà consegnata una carta ricaricabile che, a titolo totalmente gratuito, ci consentirà di ricevere fino a 2.500 euro a fondo perduto (cioè che non dovremo mai restituire) per pagare il percorso formativo prescelto. La CARTA ILA prevede però delle limitazioni che variano da provincia a provincia, in alcune province l’accesso è limitato alle sole donne con contratto atipico o disoccupate, in altre è limitate ai disoccupati, indipendentemente dal sesso. Per la provincia di Pisa ad esempio saranno ammessi al finanziamen-

to prioritariamente i disoccupati/ inoccupati in età compresa tra i 30 e i 55 anni, con precedenza per le donne, i lavoratori in mobilità e gli extracomunitari. La CARTA ILA è una bella opportunità per potenziare la propria formazione ed è quindi utilissima per proporsi in modo maggiormente competitivo nel mercato del lavoro: la nostra preparazione è il nostro vero passaporto per il lavoro, cerca un corso adeguato alle tue esigenze ed alle tue motivazioni ed aspirazioni e richiedi le schede dei corsi che puoi seguire presso la nostra sede e richiedi un appuntamento al centro per l’impiego della tua città.

English Business English Course Patente Europea del Computer ECDL Addetto Informatico con competenze in ECD e Web Design Tecnico Qualificato Editor Multimediale Arte della Vendita

Reality

I CORSI

Come funziona la CARTA ILA? Il meccanismo di funzionamento è molto semplice: ci si reca presso il centro per l’Impiego della propria città, si chiede un appuntamento per un colloquio per ottenere la CARTA ILA. Il consulente di orientamento ci chiederà allora quali sono i nostri obiettivi, quale corso vorremmo frequentare e perchè. In caso di esito positivo del colloquio (se le nostre motivazioni sono chiare e ben espresse ed il corso è coe-


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Sensi

di Margot

Se c’è un peccato contro la vita, è forse non tanto disperarne, quanto sperare in un’altra vita, e sottrarsi all ’implacabile grandezza di questa

(Albert Camus)


Piaceri di palato


Ristorante Enoteca Del Duca

di Claudio Mollo

Cucina toscana di pregio ensieri e suggerimenti dedicati agli amanti della cucina Toscana, una cucina dove il carattere si unisce all’eleganza proponendo prelibatezze adatte a tutti i palati. A Volterra, dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio sotterraneo, si sale nella piazza soprastante e si raggiunge la via che porta in Piazza dei Priori - a sinistra; guardando invece a destra si individua subito il Ristorante Enoteca Del Duca. L’ambiente è elegante e confortevole, composto da una sala principale e una seconda più piccola. In estate si può mangiare all’esterno in un cortile situato dietro il locale, immerso nel verde. Genuino Del Duca insieme con la moglie Ivana, gestiscono ormai da anni questo ristorante che rappresenta per Volterra un indiscutibile punto di riferimento per tutti coloro che apprezzano la ristorazione di qualità. Nei loro piatti una costante ricerca del buono, con prodotti provenienti da artigiani locali di cui la zona è davvero

ricca. Le radici abruzzesi e la presenza ormai decennale nelle terre pisane, propongono una cucina, più Toscana, molto interessante, misurata e attenta a mediare il gusto forte di un cinghiale alla volterrana o sfiziosa, nel proporre indimenticabili terrine di selvaggina in abbinamento a confetture o riduzioni appositamente studiate. Insomma, chi predilige la carne cucinata ad arte si può imbattere quotidianamente in porcellini e agnelli provenienti da piccoli allevatori locali, selvaggina da penna e come già detto cinghiali cacciati nelle campagne pisane. Interessanti proposte anche per quanto

riguarda i salumi, provenienti da animali selezionati di cui Genuino segue p e rsonalmente l’allevamento e stagionati in parte in zona, in parte in Abruz-

zo, come lo splendido p r o s c i u t t o crudo, tagliato rigorosamente al coltello, con più di 30 mesi di stagionatura. Il grande attaccamento alla stagionalità, oltre alle verdure che danno vita a molti dei piatti presenti nel menu, fa poi arrivare sulle tavole del locale funghi porcini e tartufo bianco delle balze, soltanto quando questi due pregiati alimenti sono davvero disponibili. In abbinamento ai piatti, una carta dei vini da studiare attentamente per non lasciarsi sfuggire le tante etichette presenti, oppure chi è più esperto, il vino può andare a sceglierlo personalmente nella suggestiva cantina adattata in un cunicolo di tufo con ingresso dalla sala principale del locale. Al centro delle attenzioni di Genuino, c’è però un vino speciale, al quale lui tiene tantissimo, il suo Merlot “Marcampo”; frutto di notevoli fatiche in una terra, quella delle balze volterrane, difficile per una vigna. Ma nonostante tutto lui è riuscito a creare un buon prodotto, in un piccolo appezzamento di terreno che ogni anno produce circa 5.000 bottiglie, quasi tutte vendute all’interno del locale o all’affezionata clientela del suo nuovo agriturismo che porta il nome del vino, a 2/3 chilometri da Volterra nel versante pisano in posizione panoramica e adiacente agli stessi vigneti. Con la figlia Claudia in sala, e pochi altri collaboratori la famiglia Del Duca, rappresenta una delle eccellenze della cucina pisana, più volte premiata e

Ristorante Del Duca Via di Castello, 2 56048 VOLTERRA – PI Tel. 0588 81510 - Fax 0588 92957 www.enoteca-delduca-ristorante.it delduca@sirt.pisa.it

chiamata a rappresentare la provincia di Pisa in eventi e manifestazioni di carattere nazionale e internazionale. Un locale da inserire tra le soste di chi si aggira per le terre di Toscana alla ricerca della buona cucina, della tradizione nel piatto, dei sapori che hanno fatto grande la nostra regione, per provare, oltre alla cucina, l’accoglienza che un ristorante come quello di Genuino e Ivana riesce ad offrire.


XXXIX Mostra Mercato Nazionale del Tartufo Bianco di San Miniato

Un antico detto popolare, ancora oggi insegnato ai bambini della campagna sanminiatese, dice che fra Doderi, Montoderi e Poggioderi, tre siti di cui rimane traccia nei documenti medievali dell’Archivio Storico di San Miniato, c’è un vitello d’oro. Parrà strano, ma in quel triangolo nella Valdegola sta il cuore della zona tartufigena sanmniatese. Il Tartufo Bianco delle Colline Sanminiatesi, una zona geografica di produzione che si estende verso la campagna pisana interna, è il Tuber Magnatum Pico, il Cibo dei Re, il fungo sotterraneo più pregiato, che si trova, a pochi centimetri di profondità, in un numero limitato di aree predilette dalla natura per la particolare, quasi misteriosa combinazione di fauna forestale e di sostrato geologico. Anche quest’anno torna, come ogni anno, l’appuntamento con il Tartufo Bianco di San Miniato che animerà le piazze e il centro storico della cittadina toscana. Durante gli ultimi tre week end di novembre (14/15 – 21/22 – 28/29) San Miniato sarà la meta preferita per le migliaia di estimatori e di amanti di questo particolare fungo dalla vita brevissima. Infatti la raccolta del tartufo a San Miniato è fissata nei mesi di ottobre, novembre e dicembre. Tre week end all’insegna del gusto e del buon vivere e alla scoperta di territori ancora incontaminati.

XXXIX Edizione Mostra Nazionale del Tartufo Bianco delle colline sanminiatesi Giorni della mostra: 14/15 - 21/22 - 28/29 Novembre 2009 Orario: dalle ore 09,00 alle ore 18,30 Dove: San Miniato (PI) - centro storico e piazze attigue Servizio navetta per accesso a centro storico di San Miniato Informazioni: Ufficio Turismo - Piazza Del Bastione - Tel.0571/418739 www.cittadisanminiato.it


22 PINOCCHIATORI ENTRANO A PRATO I nuovi locali di Decor - Atelier in Prato in occasione dell’inaugurazione hanno ospitato nello spazio all’aperto la mostra 22 PINOCCHIATORI IN NOTTURNA. Opere realizzate in monotipo inciso e stampato a pressione manuale con colori ad olio da Antonio Bobò con la partecipazione scritta dagli amici Pinocchiatori: Romano Masoni, Simonetta Melani, Sergio Gargari, Nicola Micieli, Dino Carlesi, Fulvio Leoncini, Giacomo Bisso, Umberto Falorni, Ivo Lombardi, Roberto Diddi, Andrea Biancalani, Gianfalco Masini, Alessandro Gigli, Tiziano Zerbinati, Sergio Pannocchia, Marco La Rosa, Roland Cuffari, Tiziana Basili, Sergio Vivaldi, Michele Feo, Lucia Mancioppi. I padroni di casa Raffaella Di Francesco e Guido Biancalani, titolari di Decor - Atelier in Prato, che si occupa di architettura di interni, alta decorazione ed arredamento, hanno accolto i loro ospiti in una cornice molto piacevole e la serata è stata deliziata non solo dalle prelibatezze culinarie, ma anche da una introduzione di Nicola Micieli e da una lettura su Pinocchio di Marco La Rosa.


a cura di Andrea Cianferoni

Event

Eventi

Eventi

venti

Il ritorno della cucina di famiglia ha decretato il successo della XVII edizione del concorso culinario “A tavola sulla spiaggia”, svoltasi a Forte dei Marmi. Il dolce al caffè con panna montata e croccantino alle mandorle di Maria Luisa Luisi si è aggiudicato il primo premio. Successo anche per la panzanella di Lorena Fiorini, classificata prima nella categoria antipasti, mentre Flavia Borghese con il gazpacho si è aggiudicata il premio come miglior primo. Nella foto: Lorena Fiorini

Golden Paradise, una vera e propria festa tropicale, il tema dell’ultima edizione del Bal de l’Eté, evento internazionale organizzato a Montecarlo da Catherine Colonna di Stigliano con il supporto di un vasto comitato internazionale, sotto l’alto patrocinio del Principe Alberto di Monaco in favore dell’ordine di Malta Monegasco. Nella foto: Giovanni Brosadola Pontotti e Diana Vladyschina

“Alessandro Poma (1874 – 1960), un artista a Villa Borghese” è il titolo della mostra che si è svolta nella galleria antiquaria di Paolo Antonacci in via del Babuino a Roma. Molti i collezionisti e appassionati d’arte antica, invitati da Benedetta Lignani Marchesani, colti in ammirazione delle 60 opere tra Pastelli, carte, olii inediti, del raffinato artista biellese che agli inizi del secolo soggiornò nella “Casina di Raffaello” a villa Borghese, da lui amata e ritratta. Nella foto: Paolo Antonacci con Maria Rosaria Omaggio

Cocktail a bordo piscina, buffet di specialità toscane nelle scuderie e animazione di giocolieri nel giardino della tenuta “La Costanza” a Vecchiano (Pisa) per i fortunati 400 ospiti di Claudio e Daniela Gioia, in occasione del debutto in società della loro figlia Laura.

L’Assemblea dell’Associazione Dimore Storiche Italiane ADSI si è riunita a Firenze per una quattro giorni di visite, convegni e pranzi nei palazzi storici fiorentini. I partecipanti, circa 500, in rappresentanza degli oltre 4000 soci, proprietari di antichi palazzi, castelli e ville, hanno fatto il punto della situazione sulle leggi di tutela e hanno lanciato l’allarme sulle Residenze d’Epoca, metà delle quali abusive.

Presentato con un raffinato cocktail organizzato da Luca Fisichella dello Studio Tempi Moderni nella suggestiva cornice delle Pagliere di Porta Romana a Firenze, il calendario dell’Att Associazione Tumori Toscana, che compie dieci anni. Realizzato in 10000 copie e in vendita anche on line sul sito www.associazionetumoritoscana.it per finanziare le attività di assistenza domiciliare dell’Att, il calendario ritrae personalità del mondo culturale, sportivo e imprenditoriale toscano. Nella foto: Johanna dal Pero e Claudia Pianetti della Stufa

Il Messico sbarca a Villa Mercadante, elegante villino liberty nel cuore del quartiere Parioli, per un esclusivo party organizzato dal prefetto Gianni Ietto e dalla Consorte Maria Romana. Ad allietare gli ospiti un’orchestra messicana e un buffet decisamente piccante. Nella foto: Elettra Marconi con Maria Romana Ietto

Carlo XVI Gustav e la regina Silvia, dopo oltre tre secoli, sono tornati in visita ufficiale a Bologna e nella cittadina dell’appennino tosco emiliano Sasso Marconi per omaggiare la figura di Guglielmo Marconi, inventore della radio, insignito cento anni fa del premio Nobel dal nonno dell’attuale sovrano. Ad accogliere i sovrani, oltre alle autorità cittadine e al presidente della Guglielmo Marconi Foundation, la figlia Elettra ed il nipote Guglielmo Giovanelli Marconi. Nella foto: la Regina di Svezia acconta da Elettra Marconi


Vintage Style. Questo il tema prescelto da Alessandra Guidi di Bagno per festeggiare il proprio compleanno a villa degli Angeli, splendida dimora nella campagna romana, insieme alla sorella Arabella, al padre Alessandro e a una nitrita schiera di aristo amici tra cui Guglielmo Giovanelli Marconi, Raimondo Visconti di Modrone, Francesco Ruspoli, Giovanella Gaetani d’Aragona.

Sfilata di beneficenza all’hotel Hassler di Trinità di Monti in favore dei progetti della Roberto Wirth Fund, organizzazione no profit che si occupa dei bambini sordi e sordo ciechi. Tra le modelle che hanno sfilato indossando gli abiti e gioielli di Angeletti, Cerfontaine e Chantecler Elena Baudi di Selve, Guglielmina Carabba Tettamanti, Olimpia Colonna, Elisabetta Imperiali, Chiara Leonetti, Elisabetta Notarbartolo, Flaminia Patrizi Montoro, Olimpia Schiavone Panni, Beatrice Tamburi, Margherita Tamraz Federici, Elena Valentino. Nella foto: Guya Viola di Campalto con le ambasciatrici Nargis Ganieva, Giulistan T. Khamzayeva, Olga Pojarkova e Jonine Colonna

Grande successo per la linea di marmellate Principe di Scilla, presentate a Lecce dall’ex concorrente dell’Isola dei Famosi, Fulco Ruffo di Calabria. La linea di marmellate prevede sei gusti: arancia con whisky e cioccolato, limone e menta, gelatina di tè alla mandorla, cedro, pompelmo con ananas e ciliegie, gelatina di infuso di frutti di bosco. Tutti prodotti con basso contenuto zuccherino e confezionati in barattoli che hanno come dicitura Principe di Scilla e che si possono trovare nelle migliori gastronomie italiane. Nella foto: Fulco Ruffo di Calabria

Grande successo per l’appuntamento mondano riservato alle signore, il Ladies day di Arezzo. Tra i momenti più divertenti il concorso di cappelli, nel quale le aretine ma anche le straniere giunte all’Equestrian center, hanno sfilato sul campo in erba sfoggiando curiosi ed eleganti cappelli. Estremamente appassionante ed emozionante la partita di Polo di Cavalleria Toscana.

La finale regionale del concorso “Il Più Bello d’Italia”, presieduta da Domenico Savini, ha incoronato alla discoteca La Bussola di Focette Gabriele Marzi, 22 enne di San Giovanni Valdarno. La manifestazione, abbinata al concorso femminile Miss Grand Prix, è considerata come trampolino di lancio per una carriera nel mondo dello spettacolo e della moda. Gionatan Giannotti, concorrente lo scorso anno, si è fatto notare per la partecipazione alla trasmissione Uomini e Donne di Maria De Filippi.

“Ten Years of Taste and Style” è il titolo della mostra fotografica organizzata da Nespresso e Vogue Italia nella boutique Nespresso di Piazza San Lorenzo in Lucina per celebrare il decimo anniversario italiano del modaiolo caffè. Oltre 500 ospiti, invitati da Benedetta Lignani Marchesani, hanno potuto ammirare le macchine Essenza, Le Cube e la nuovissima Citiz, diventate ormai oggetto del desiderio.

Nozze fiabesche nel castello di Antoing, in Belgio, tra il principe Edouard de Ligne la Tremoille e l’attrice italiana Isabella Orsini. Tra gli ospiti, arrivati da tutto il mondo, Violante Placido, testimone della sposa, i principi Ruspoli, Giovanelli, Ferrajoli, Massimo Gargia e lo stilista Renato Balestra. Gli sposi vivranno tra Roma, Parigi e il magnifico castello della nobile famiglia belga. Nella foto: Edouard e Isabella de Ligne la Tremoille

Le lampade Tiffany dello storico bar dell’hotel Locarno, sotto il glicine centenario del giardino liberty, le sonorità musicali di Damiano Mazzarella e il suo Salotto42 (premiato come miglior lounge bar d’Italia) hanno fatto da cornice all’inaugurazione del nuovo bar “Salotto Locarno”, in via della Penna a Roma, fortemente voluto da Caterina Valente, proprietaria dell’albergo, nel quale si fondono charme Belle Epoque e contemporaneità. Salotto Locarno è il luogo ideale per degustare tutte le sere della settimana aperitivi cool e golosi light dinner preparati dal rinomato chef Andrea Fusco.

Inaugurazione in grande stile per l’Hotel cinque stelle lusso Il Salviatino, a Fiesole, sulle colline di Firenze. Buffet a base di pesce, carne, fritti e gustosissime pizze calde sfornate fino alla mattina per gli oltre 600 ospiti internazionali invitati dalla divina pr fiorentina Moreschina Fabbricotti. Nella foto: Moreschina Fabbricotti con Domenico Savini e Giuseppe Ferrajoli


Storia d’amore e di viole di Paolo Pianigiani / foto Alena Fialová

È

fra i fiori che annunciano la Primavera. Uno dei pochi ad avere il coraggio di uscire con il primo addolcirsi del clima invernale. Cantato dai poeti in testi che ci hanno accompagnato sui banchi di scuola, da Pascoli a Leopardi, a Dino Campana, che con questo colore ha dipinto tante poesie

Dagli amori di Giove un regalo per gli uomini: le viole dei suoi Canti Orfici. Per arrivare ai giorni nostri, quando Gino Paoli ha tinteggiato di viola tutti i soffitti degli innamorati. Ma non tutte le viole sono “viola”; ce ne sono circa 500 specie e ciascuna ha profumo, colore e caratteristiche proprie. La Viola del Pensiero, o “Viola Tricolor”, per esempio, che i francesi chiamano “Pensée”, non ha profumo e collega al tema del ricordo questo timido fiore. E c’è la “Viola mammola”, la più diffusa fra le nostre campagne, dal profumo intenso e l’aspetto delicato. “Mammola” sta per fanciulla, a dirla coi latini. Napoleone la elesse a suo simbolo imperiale, contrapponendolo al giglio reale dei Borboni. I suoi partigiani si riconoscevano, nei loro incontri, esibendo una viola. Il giorno che fu fatale al grande piccolo imperatore, il 5 Maggio, è in qualche modo rappresentato, secondo alcuni autori in vena di creatività, dai 5 petali che compongono il fiore. Ma la prima origine delle viole si perde nei lontani miti dei Greci, laddove tutto ebbe inizio e dagli amori infiniti di Giove. Ecco in breve come andò. Un giorno Io, figlia di Inaco, re di Argo e della ninfa Melia, mentre rientrava alla casa paterna, fu fermata da Giove che, dopo essersi presentato, le dichiarò immediatamente il suo amore e le propose di stabilirsi nel bosco lì vicino, dove nessuno l’avrebbe molestata, dal momento che era sotto la protezione del Re degli dei e dove lui avrebbe potuto andare a trovarla ogni volta che lo desiderasse. Io, turbata da quelle parole, iniziò a fuggire; ma Giove, non volendo rinunciare a lei, la inseguì sotto forma di nube e la fece sua. Giunone si accorse dell’ennesima scappatella dell’insaziabile consorte e come sempre, invece che con il marito, se la prese con l’amante di turno. La trasformò in giovenca e la lasciò a pascolare in un prato. Giove però aveva fantasia e poteri illimitati; assunte le forme di un toro, continuò a incontrare tranquillamente la sua bella Io. Per nutrirla in maniera adeguata, inventò lì per lì il fiore della viola, che subito riempì di profumo soave e tappezzò il prato dove viveva la giovenca. Giunone allora mise di guardia il gigante Argo, a lei devoto, che aveva 100 occhi e tutto vedeva, anche perché dormiva con 50 occhi per volta e quindi niente poteva sfuggirgli. Giove, per nulla scoraggiato, inviò Mercurio che con uno dei suoi trucchi fece addormentare completamente il malcapitato gigante e lo buttò di sotto da una rupe, uccidendolo. Giunone compensò il fedele Argo, mettendo i suoi 100 occhi sulla coda del pavone, l’animale a lei sacro. Ma per ripicca tutta femminile dette istruzioni a un tafano di quelli proprio tremendi di tormentare la povera e assolutamente incolpevole Io. Dopo aver vagato per tutta la Grecia, la giovenca passò il mare recandosi in Africa. Quel mare, in suo ricordo, si chiama ancora oggi “Ionio”. Giove, avendo compassione di Io, fece infine la pace con la moglie, promettendole che non avrebbe mai più rivisto l’amante a 4 zampe. E Io finalmente tornò nelle sue belle forme originarie e visse tranquilla la sua vita fra gli uomini. A noi, da tutta questa complicata vicenda, son rimaste in regalo le viole.


Foto Alena Fialovรก


Miti e Leggende

M

olto tempo fa, vivevano le Ninfe, bellissime fanciulle, vestite di veli impreziositi da fili d’oro e d’argento. Esse avevano lunghissimi capelli, che pettinavano specchiandosi nei laghetti e nei ruscelli. Amavano ballare e cantare e la loro voce era talmente melodica che incantava chiunque le sentisse. Oltre alle Ninfe, c’erano anche i Satiri, giovani fannulloni, sempre pronti a divertirsi ed uno di loro si chiamava Pan. Pan, era il dio dei pastori, il suo aspetto era orribile e deforme; al posto dei piedi aveva due zoccoli da caprone, il suo viso era rugoso e le sue orecchie erano appuntite. Inoltre sulla fronte, aveva due corna da capra che lo rendevano pauroso. Pan trascorreva intere giornate a suonare il suo flauto fatto di canne e spesso cantava. Un giorno, egli udì una bellissima voce provenire da un cespuglio; subito si mise a sbirciare e vide una bellissima Ninfa che raccoglieva fiori. Il suo nome era Eco e Pan, fu talmente incantato dalla sua bellezza che le si avvicinò e disse: “Oh, stupenda creatura, tu sarai la mia sposa!”. Eco rimase terrorizzata alla vista di quell’essere mostruoso e subito corse via urlando e pregando Pan di lasciarla in pace. Ma Pan non smetteva di inseguirla e la Ninfa cercava di nascondersi nel bosco, finché sfinita trovò una caverna ed entrò per rifugiarsi. Eco era innamorata di Narciso, un bellissimo giovane, che amava la caccia, e, ancora piena di spavento incominciò a chiamarlo sperando che accorresse in suo aiuto. Eco lo chiamò per ore ed ore, ma Narciso non arrivava. La povera Ninfa trascorse così giorni e giorni nascosta nella buia caverna chiamando continuamente il suo amato, ma inutilmente. Narciso, aveva un cuore arido ed era talmente pieno di superbia e fiero di sé che non aveva attenzioni per nessuno tranne di sé stesso. Un giorno, mentre cacciava, udì le invocazioni di Eco e, quando capì dalla voce che si trattava di lei, si avvicinò alla caverna e disse: “Devo continuare la caccia, non posso perdere tempo... poi per una Ninfa” e proseguì. Gli dei, che dall’Olimpo avevano visto il comportamento di Narciso, decisero che una simile crudeltà non poteva rimanere impunita.Così decisero che, Narciso, dal cuore di pietra, dovesse provare sentimento soltanto per sé stesso e per la sua bellezza. Trascorsero giorni e intanto faceva molto caldo e, il giovane, stanco e assetato si mise in cerca di uno stagno per dissetarsi. Quando lo trovò si sporse per bere e vide la sua immagine riflessa nell’acqua e, sbalordito esclamò: “Che sublime bellezza, non posso più vivere senza che essa risplenda continuamente nei miei occhi”. Narciso s’innamorò all’istante di sé stesso e da quel momento rimase fermo immobile senza mai staccare il suo volto riflesso nello stagno, come in preda ad un incantesimo. Intanto il sole iniziava a calare e Narciso cominciava a perdere le forze, non riusciva a muoversi e il suo viso piano piano impallidiva sempre più. Rimase così a lungo finché non morì.

Eco e arciso




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