Reality 63

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Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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Editoriale

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Sì, cari lettori, avete letto bene, e purtroppo non ci sono refusi: alcuni giornali sono a rischio chiusura, altri a fine mese chiuderanno sicuramente, in allarme testate a tiratura nazionale. Colpa della crisi? Forse. Meno fondi per l’editoria? Probabile. Un’influenza determinante lo esercita certo il cambiamento del modo di fare e ricevere notizie. Con l’avvento di internet e gli strumenti che oggi una buona parte di noi usa, le informazioni si hanno in tempo reale e in qualsiasi luogo e situazione ci troviamo. Molti sono i blog e le riviste on-line dove tutti scrivono e dicono la loro. Dalla cronaca locale al gossip, dalle sagre ai concerti alle mostre dei grandi maestri, in rete si trova veramente di tutto, e non sempre questo è positivo. Noi piccoli editori dobbiamo spaventarci? La beneamata carta stampata è destinata a scomparire? Certo che sì, se percepiamo la rete come nemica, come nostra antagonista. Ma se sapremo capire il cambiamento, usando l’uno e l’altro in modo e per scopi diversi, forse riusciremo a superare questa crisi. Non a caso i più grossi editori mettono online i loro quotidiani. È vero, si deve fare un abbonamento o un pagamento per un’applicazione, però si ha sempre a portata di mano questo mezzo prodigioso. Certo, così come sono attualmente, i quotidiani fanno fatica ad andare avanti. Di sicuro anch’essi dovranno trovare nuove energie e apportare cambiamenti alle proprie testate. Per quanto ci riguarda, anche noi abbiamo una rivista on line, anche il nostro trimestrale lo trovate in rete sfogliabile. I contenuti sono gli stessi, però l’atmosfera cambia: alcune sensazioni si perdono e secondo noi il pathos è diverso. La rete, cari lettori, è indubbiamente utile, ci fa conoscere e girare il mondo. Forse, grazie a lei, negli ultimi anni abbiamo scoperto cose nuove e accorciato certe distanze. Ma tenere in mano, sfogliare o leggere una rivista o un buon libro ci dà l’impressione di fermare il tempo, e in un mondo sempre così di corsa, questo sospendere il tempo ci sembra un sogno.

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Sparisce la notizia


Reality

MAGAZINE D’INFORMAZIONE

Centro Toscano Edizioni Sede legale via Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Redazione casella postale 36 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel. 0571.360592 - Fax 0571.245651 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it

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Paola Baggiani, Daniela Bagnoli, Irene Barbensi, Carlo Baroni, Graziano Bellini, Andrea Berti, Nella Briganti, Riccardo Cardellicchio, Pierluigi Carofano, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Chiarolle, Francesca Ciampalini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Angela Colombini, Carmelo De Luca, Gustavo Defeo, Carlo junior Desgro, Angelo Errera, Federica Farini, Luciano Gianfranceschi, Claudio Guerrini, Paola Ircani Menichini, Matthew Licht, Marco Massetani, Nicola Micieli, Claudio Mollo, Ada Neri, Carlo Paci, Giacomo Pelfer, Paolo Pianigiani, Francisca Pifano, Alberto Presutti, Giampaolo Russo, Carla Sabatini, Domenico Savini, Gianfranco Schialvino, Leonardo Taddei, Vanessa Valiani, Valerio Vallini, Mattia Zupo.

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Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (PI) ISSN 1973-3658 Reality numero 63 - marzo 2012 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni.it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.



eality63 ARTE & MOSTRE

Sommario

Romano Masoni Il tempo si sospende

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In viaggio con Masoni Divisionismo illuminato Questo è il mio fiume Guerra de’ topi e delle rane Un’arte senza tempo Mito contemporaneo Pittori en plein air Un mondo a colori Una mostra esemplare Journey east 50 anni senza Marilyn Art Around STORIA & TERRITORIO

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Opere d’arte per un sepolcro Mommio Castello Le radici longobarde In attesa del palio Preparativi in contrada Mario Caponi Luce sulla piazza Gli albori della scienza conciaria

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Giovanni Pascoli Marco il nuotatore Myriam con la y Booking a book

MUSICA & SPETTACOLO

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Cinema alla corte degli emiri Buon compleanno maestro! La promessa oggi come ieri Cinema for peace

Insieme per Unitalsi Una vita a morsi Funky Gaut! Sedia delle mie brame La qualità della forza lavoro Sogni Una lunga storia ancora giovane Conciati ad arte Alimentazione biologica Un punto importante Aspettative conciarie Contemporaneità e futuro FGL international Hasta la Azarenka Canestro vincente Il calcio si tinge di rosa

5 SENSI

POESIA & LETTERATURA

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Teatro duemila Che festival! Diavolo d’un Mojito EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

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Ristorante. La Carabaccia I love San Francisco Pasqua in Carinzia Carnevale d’autore 2012 Winter marathon Reality moda Buffet ma con bon ton Da un amore impossibile Non solo 2012 Favole di Fedro


Parliamo di...

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viaggio con

Masoni

di Nicola Micieli

Povero questo nostro luogo, questo nostro tempo travagliato, senza accelerazioni, senza scatti creativi, perduto... perduto... e confessiamolo, pure rompipalle, schizoide, che è in linea, che fa sbavare le masse. Povera questa vocazione nostra a lasciar segni

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a argonauta dell’immaginario e della memoria, calato nella flagranza della vita in proiezione duplice e interattiva dello sguardo, a un tempo schiuso in avanti e rivolto all’indietro come quello del bifronte Giano, nel suo viaggiare Romano Masoni parte da lontano e ti porta lontano. La durata del suo andare travalica lo spazio-tempo attraversato dentro il recinto magico dell’opera. Alchemico recinto, per dir meglio, anche solo considerando la ricorrenza di materiali e qualità quali il piombo e l’oro. Che sia la pura partitura pittorica d’una tela. Che sia l’estensione accidentata di una tavola irregolare o squadrata, comunque variamente manipolata e dipinta. Oppure la piana superficie della lastra incisa, anzi passionalmente violata con la penetrazione scarnificante del segno. O sia, infine, una composita installazione, teatro della pittura e dell’opera-oggetto nel quale il procedere del viaggiatore, e il racconto che ne deriva, si sviluppa nella fisicità di uno spazio qualificato come ambiente. La pittura per Masoni ha avuto funzione e senso di viaggio sin dal primo periodo, siglato dalla partecipazione alla Quadriennale romana del 1975. Il pittore incrociava allora, dico le prime cose che mi vengono a mente, radici, carcasse, volatili feriti. Poi una quantità di disastrati oggetti, e proditorie figure “in situazione”, ognuna portatrice di una visibile alterità somatica e caratteriale. Direi la maschera del proprio ruolo e della personale degenerazione nell’esercizio di un qualche potere. Masoni si muoveva nei luoghi della quotidianità ove si consumano le normali “violenze” legate alla fatica del vivere, e quelle straordinarie discendenti dalle umane intraprese, individuali e collettive. Assieme ai resti delle creature e delle cose, ai disseccati simulacri di quelle consunzioni e agli straniti, perfino grotteschi trofei delle umane ingerenze, nel campo pittorico sovente comparivano volute, strie, brandelli delle “belle bandiere”: l’ideale, il sogno,

in un luogo di concia e di mutazione antropologica, poveri noi che decifriamo gli allarmi di questi accadimenti e i loro segreti messaggi, noi mutanti che mutiamo l’aria e le cose e la specie. Ecco che il concetto del mutante si insinua in noi, anzi, è sempre stato in noi, siamo mutanti fin dalla nascita. Romano Masoni 8

Annuncio, 1979 - Copertina del primo numero di Reality, luglio 1998.



l’arte e la poesia, e l’etica e la bellezza dei valori connotati pittoricamente dalle modulazioni della linea e dalle note sonore del colore. Elementi residuali, in fondo, pur essi: spoglie insepolte della sconfitta al confronto della prassi e della storia. Masoni le raccoglieva e le rilanciava con irriducibile ostinazione, da resistente che non vuol cedere al naufragio, nemmeno delle illusioni. Il viaggio è sempre stato per Masoni un tratto di strada ove più o meno visibili emergono i segni di altri cammini. Talché la pagina del suo diario di bordo, come vorrei intendere lo svolgimento dell’opera, ha sempre il carattere evocativo del palinsesto, la tavola che trattiene le tracce o le impronte delle scritture là succedutesi nel tempo. Non c’è navigazione nella corporeità mutagena – materia, forma e situazione figurale – della pittura e dell’incisione di Masoni, non avanzamento verso una meta, pur provvisoria quando sia stata raggiunta, che non incroci le scie di analoghi passaggi. L’artista che si nutre di segni, di illuminazioni, di allarmi, ha bisogno di captare

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Il monumento morto 2, 1981

gli echi delle loro storie, di raccogliere i relitti testimoni delle navigazioni a vista che lo hanno preceduto nel mare della vita. E quei relitti Masoni li ha puntualmente traghettati alla sponda opposta del fiume, il Lete dell’oblio. Chi come me ha memoria visiva degli studi dove Masoni ha lavorato in questi decenni, sa bene che occupati o meglio abitati dal pittore, quegli spazi sempre di risulta da altre attività, spesso conciarie, dunque fortemente segnati dall’uso, in breve si trasformavano in banchine degli approdi, in luoghi di deposito e stratificazione dei più disparati oggetti e resti abbandonati di cose e creature. Le quali attendono la mano e la formula magica che ne esprima lo spirito. In questo senso, l’attuale studio in riva del fiume, a Santa Croce sull’Arno, è certo più prossimo all’antro d’uno sciamano che a un normale, per quanto disordinato, atelier di pittore. Per non parlare dei laboratori ormai informatizzati degli “operatori artistici” più aggiornati, per i quali sono ciarpame non solo i relitti dei naufragi della vita, ma gli stessi materiali canonici che sempre hanno corredato gli studi

degli artisti. Quei reperti già visitati dal tempo, per virtù alchemica del luogo si permutavano in reliquie intrise di senso, si riconducevano a una loro animistica primordialità. E recavano tangibili le stigmate della passione, il fuoco che le aveva consumate, quando Masoni ne recuperava i brani per farne materia rigenerata del corpo pulsante dell’opera. Come nel ciclo ancora aperto Il sangue e le colpe dei Santi, davvero consacrato alla memoria d’una santità non già taumaturgica, bensì radicalmente calata nella provvisorietà dell’umano, del quale se ne fa carico integrale. Romano Masoni ha sempre saputo riconoscerle e accoglierle, quelle presenze silenti, come già parte dell’opera latente nel suo laboratorio interiore. Questo significa che l’arte richiede anzitutto la vigilanza e l’ascolto di voci che paiono flebili solo perché prevaricate dal frastuono esterno. Sottrattosi al frastuono, alle appariscenze che magnetizzano e catturano le falene sino a farle impazzire e annichilire, l’artista deve disporsi all’attesa che si verifichi l’incontro rivelatore, l’occasione capace di suscitare l’immagi-

Cartemoschicide e timbri di conceria, 1987



nario e indurlo a riprendere il viaggio. Chiamo annunci quegli indizi rivelatori, e prendo la parola, e il concetto ad essa sotteso, dal titolo di un dipinto del 1979 qui pubblicato, nel quale dall’azzurro cielo si vedono piume planare su un volto riverso, in primissimo piano. All’orizzonte striato di bandiere, in controluce, aste innalzate, bacchette o forse picche (di cavalieri, di cacciatori?) si ergono tra misteriose e minacciose. Emanazioni angeliche, quelle piume, annunci d’un lenimento possibile del male di vivere, di una possibile restituzione della grazia alla materia e alla forma degradata, che Masoni svilupperà nello straordinario ciclo del Monumento morto, prendendo lo spunto da un monumento santacrocese di Arturo Dazzi aggredito dal cancro del marmo. Masoni è avvezzo ai meccanismi analogici dell’immaginario e della memoria. Ne conosce la natura ondivaga, contigua al sogno. Ha sperimentato gli slittamenti, le levitazioni, gli avvitamenti del sogno, per il quale non vigono le leggi della fisica e la congruità della logica consequenziale. Masoni disattende regolarmente le logiche della conoscenza e della rappresentazione. Lo fa per poetica quanto carnale assunzione del dato esistenziale, non già secondando funambolismi di scuola surreale. Per questo nel suo viaggiare egli procede con andamento erratico, segue piste imprevedibili, quando pure, a giochi fatti, il perfetto controllo formale e la stringente connessione semantica della partitura parrebbero presupporre un disegno, la scelta di una rotta precisa da seguire. Invece il percorso si delinea in corso d’opera e si fissa alla sua conclusione. Non è mai dato a priori. Non c’è progetto nel lavoro di Masoni, tanto meno uno schema da applicare meccanicamente. Masoni è artista capace di seguire una pista visionaria sulla scia d’un sentore pungente, una fragranza, un profumo o anche un miasmo, indizi tutti di stati della materia e dell’essere che rimandano all’uomo e alle sue tensioni, agli slanci e ai voli, ma anche agli stornamenti e alle cadute dell’uomo. Invero i percorsi di Masoni sanno le derive dei sensi e della mente e comportano soste prolungate e immersioni. Occorrono, come osservavo, acchiti non blandi, per partire: indizi seducenti, insinuazioni, annunci. Più spesso Masoni capta gli inquietanti segnali, gli allarmi che gli giungano non da fenomeni macroscopici della natura visitata dall’invadente e perturbante “fabbrica” umana, ma da eventi minimi. Gli incidenti marginali passano inosservati alla comune sensibilità, eppure sono sintomi percepibili di un’anomalia, una disfunzione, una ferita sommersa da svelare come racconto. E Masoni la svela per quadri pittorici sempre leggibili come metafora d’un malessere che agita il cuore e la casa dell’uomo. Tali i dipinti del Reame azzurro delle mosche, il ciclo sviluppato dalla metà L’anima va, 1999

Appena crisalide già assediata, 2000



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Derive/Ombre, 2001

Auto da fĂŠ con paesaggio, 2004


degli anni Settanta partendo dall’osservazione ravvicinata di questo insetto instancabile. Straordinaria “macchina” demonizzata e perseguitata, intorno all’epica della mosca e dei suoi antagonisti il pittore costruisce un ventaglio di variazioni in tema: i Giochi al massacro, le Cartemoschide e, per estensione entomologica, la serie dei Cacciatori di api. Questa davvero esemplare rappresentazione del contrasto irrisolvibile, della perenna dialettica tra la natura nella quale si realizza l’esatta funzione, diremmo l’utopia dell’alveare, e la natura nella quale si scatenano le forze endogene, teatro di squilibri, di incrinature, di distruzioni. Romano Masoni ha sempre lavorato per cicli. Non serie ripetitive, beninteso, ma gruppi sicuramente non affollati di opere organicamente svolte intorno al tema

portante di volta in volta prescelto. In assenza di un’idea nuova, che significa poi una suggestione forte o se vogliamo un’illuminazione capace di farlo divagare con il pensiero ricaricando la tensione creativa, egli invariabilmente ha sospeso la pittura, anche a lungo. Ma non ha interrotto il suo viaggio di artista partecipe della complessità del mondo dalla postazione di Santa Croce sull’Arno, dove vive e dove sono le sue radici e la sua appartenenza culturale. Negli intervalli operativi, e non solo, Masoni si è messo in gioco in un intenso dibattito culturale e ha ideato i più ficcanti e propositivi incontri artistici, entrando nel vivo della problematica di Santa Croce sull’Arno e del comprensorio del cuoio attraversato dall’Arno. Votato alla chimica conciaria e alla lavorazione della pelle, teatro di trasformazioni economiche e culturali, Santa Croce

è divenuta nell’immaginario e nel lavoro culturale di Masoni, il luogo della grande metafora della mutazione antropologica, nella quale si specchiano la temperatura esistenziale e le frizioni culturali di almeno due generazioni italiane. Nel segno del viaggio e nel cuore di Santa Croce si è svolta a Villa Pacchiani la più recente mostra ideata e ordinata da Masoni: Questo è il mio fiume. Stazioni o tappe o soste di ispirata riflessione, sinonimi del fermarsi e dello stare non indolente o accidioso, ma rigeneratore del flusso del pensiero, e della visione che ne deriva, Romano Masoni ha chiamato stanze gli approdi ideali del viaggio lungo e attraverso il fiume della sua infanzia e della sua vita: l’Arno incrociato a Santa Croce ma “navigato”, a monte e a mare, ben oltre la terra occupata dalle concerie dove si compie la mutazione della pelle in cuoio.

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NOTIZIA

Nasco nel 1940 a Santa Croce sull’Arno. Collegio. Poi studi Classici. Non li finisco. Liceo Sperimentale, neanche un anno. Mi cerco e non mi trovo. Girovago. Leggo poesie, gioco a pallone. Mi iscrivo alla Scuola d’Arte “Simi” di Firenze. La frequento con insolita assiduità. Vi rimarrò fino al 1966. Perdo i capelli. Nasco cattolico, divento comunista, anarchico e libertario, come dire il peggio del peggio. Viaggio a Parigi. Un Classico. Torno carico come un chicco d’uva. Provo a vivere di pittura. E decido di non andarmene, di restare. Vedo Santacroce come il Luogo della mutazione. È la fica del mondo. Il posto giusto per lavorare. 1966. Conosco Dino Carlesi, poeta e critico d’arte. D’ora in avanti faremo il viaggio insieme. 1975. Dipingo una Crocifissione per la Chiesa di Sant’Andrea a Santacroce sull’Arno. Sono invitato a La nuova generazione, X Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma. 1976. Affresco una parete nella Casa del Popolo di Santa Croce. 1977. Sono invitato a Immagini del quotidiano, XIII Premio del Fiorino di Firenze. In quell’anno con Sergio Pannocchia e Coriolano Mandoli fondo la rivista di politica e cultura “Il Grandevetro”. L’ambiente e il lavoro sono i temi indagati. 1978. Enzo Carli mi invita a Il Sacro nell’Arte contemporanea che si tiene al Palazzo Arcivescovile di Palermo. 1979. Bruno Saetti mi invita ad affrescare un muro nelle strade di Dozza. 1981. Vengo Segnalato Bolaffi per la pittura da Enzo Carli. Incontro Gianni Toti, scrittore e poeta, regista e videoartista. Viene da Roma e lascerà il segno. 1982. Tengo la personale al Centro Arti Visive di Palazzo Diamanti di Ferrara. Pier Carlo Santini mi invita a Pittura oggi in Toscana, Lucca e Arezzo. 1983. Nicola Micieli mi ordina una personale all’Arsenale Mediceo di Pisa. 1984. Conosco Luciano Della Mea. Con lui farò un viaggio ad Arezzo all’Ex Ospedale Psichiatrico, dove per tre giorni ci si interroga sullo stato di salute della 180. 1985. Realizzo per il Museo della Conceria di Santacroce, nell’ambito del progetto “Nel Segno di Saturno”, la mostra Le sorprese di Ulisse. 1987. Dino Carlesi mi invita alla rassegna Voglia di pace / autori contro la violenza, che si tiene a Sesto Fiorentino e a Marzabotto. 1988. Giovanni Bonanno mi invita alla rassegna Tota Pulchra/Il Sacro nell’Arte che si tiene all’Albergo delle Povere a Palermo. 1990. Lavoro con Bobò e Lombardi gomito a gomito, chiusi per un mese in un’ex conceria. Il progetto è “Nuvolanera”. Esso si orienta tra poesia e immagine e comprende centoventi incisioni ed altrettanti testi poetici inediti di autori vari. 1991. Il Comune di Santacroce mi affida la direzione artistica del Centro di Attività Espressive di Villa Pacchiani. Manterrò quell’incarico fino al 1999. 1992. Sono presente con Nuvolanera alla mostra The Artist and the Book in Twentieth-Century Italy che si tiene al Museo d’Arte Moderna di New York. Sono invitato alla VI - VII e VIII edizione della Triennale di Incisione al Palazzo della Permanente di Milano. 1995. Tengo una personale a Palazzo Sertoli di Sondrio. 1996. Tengo una personale alle “Cannoniere” della Rocca Paolina di Perugia. 1998. Sono invitato a Artisti per Dino Campana a Marradi. In quell’anno vengo nominato Accademico per la “Classe di pittura” dall’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. 1999. Nicola Micieli mi invita a Incisione Pisana del ‘900, che si tiene alla Limonaia di Pisa e Tommaso Paloscia ad Accadde in Toscana, che si tiene a Palazzo Ducale di Massa. 2000. Con Fulvio Leoncini e Simonetta Melani fondo “La Compagnia dei Liberi Incisori e Varia Umanità”, un laboratorio aperto che si occupa di incisione e di stampa calcografica. 2001. Giorgio Trentin mi invita a il Segno e la Memoria / Italia - Slovenia, Barchessa di Villa Morosini di Mirano - Venezia. 2002. Tengo una personale al Museo Piaggio di Pontedera. 2005. Sono presente con tre opere in permanenza al Museo Magi – delle Generazioni Italiane del ‘900, a Pieve di Cento. 2007. Tengo una personale alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano. Sono fortunato. Faccio le cose che amo. Anche quelle inutili. Magari non producono denaro, ma le faccio tutte. Ho però i miei tempi, fatti di pause, di impotenza creativa, di crisi cicliche, di raffreddori tremendi, di riflessioni mortali. Insomma una palla che non vi dico. Mi sento una mina vagante. Sarà vero?

Le colpe del Santo, 2009

Un po’ errante, 2012



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TEXT Carmelo De Luca

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sempio di rinnovamento artistico in un’Italia ancora legata al passato, il Divisionismo porta una ventata di freschezza tra artisti che sperimentano la scomposizione del colore in porzioni filiformi e complementari, inventando una rappresentazione sperimentale della luce irradiante la nuova realtà della campagna, l’urbano contemporaneo, il progresso, il sociale. La mostra di Rovigo, allestita a Palazzo Roverella, curata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli, valorizza la forza innovativa del movimento esternata attraverso la produzione di Vittore Grubicy de Dragon, le cui molteplici versioni dello stesso soggetto consentono l’appropriazione meditativa della natura rappresentata con perizia scientifica, e di Plinio Novellini, famoso per i suoi paesaggi, le marine, i dipinti di figura, le composizioni a sfondo sociale o allegorico. Punto di forza del Divisionismo è l’utilizzo di tonalità luminose raggiunte mediante la creazione di piccoli filamenti di colore abilmente accostati per ottenere il senso della rappresentazione scenica ma anche intimità, così l’ideologia, la spiritualità, il simbolismo, la passione, il sentimento, si materializzano attraverso il sapiente gioco di micropennellate - chiarore. I nuovi maestri applicano le leggi dell’ottica alle proprie creazioni, ottenendo risultati sorprendentemente realistici sia nella rappresentazione della dimensione umana sia nella sua complessità emotiva. L’effetto a mosaico, i cui tasselli allungati vengono creati mediante l’utilizzo di impasti monocromatici, rivela la complessa ricerca di una luminosità soffusa oppure invasiva, capace di comunicare impressioni ed emozioni indotte dalla stessa osservazione della natura. Il periodo aureo di questa corrente artistica esterna magnificamente le caratteristiche del movimento, non a caso la migliore produzione dei suoi figli riempie le sale della nobile dimora pavese, dove le tele di Gaetano Previati amalgamano la realtà con il sogno vestendosi di delicati riflessi aurei, toccando sensazioni di alto lirismo artistico. Attraverso la rilettura della nuova pittura, tutta italiana, i curatori della mostra hanno selezionato altre opere realizzate da Giovanni Segantini, autore di dipinti dove la natura incontaminata è cari-

Mostre

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visionismo lluminato

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cata da una luce ottenuta attraverso colori corposi e inquadrature allargate, da Angelo Morbelli, capace di utilizzare gli ideali divisionisti per confrontarsi con il vero nei suoi aspetti malinconici, da Giuseppe Pellizza, sostenitore dei grandi temi del realismo sociale. Gli ultimi echi divisionisti vantano i nomi di Giacomo Balla, interprete di una ricerca pittorica marcatamente sintetica e dinamica, di Umberto Boccioni, affascinato dalla tecnica del colore filamentoso, di Gino Severini, artefice di una organizzazione spaziale del soggetto secondo precisi piani prospettici, di Carlo Carrà, sensibile ai fermenti innovativi colti tra il provincialismo imperante nell’Italia di quegli anni: la migliore produzione di questi artisti è degnamente rappresentata in mostra insieme ai maestri della Secessione Romana. (Foto concesse dall’ufficio stampa Esseci) Il Divisionismo. La luce del moderno Rovigo, Palazzo Roverella 25 febbraio - 24 giugno 2012 feriali 9.00-19.00; sabato 9.00-20.00; festivi 9.00-20.00. Chiuso i lunedì non festivi

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1. Giacomo Balla, Ritratto all’aperto, 1902 2. Gaetano Previati, Nel prato, 1890 3. Carlo Carrà, Uscita dal teatro, 1909 4. Llewelyn Lloyd, La vendemmia a Manarola, 1904

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Santa Croce sull’Arno

Qmiofiume

Mostre

uesto è il

46 artisti a Villa Pacchiani

TEXT Riccardo Cardellicchio

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gnuno, l’Arno, se lo sente suo. Soprattutto, chi l’ha vissuto da ragazzo, eppoi se lo è visto scippare dall’incultura, madre del profitto a ogni costo. Ora gli viene fatto di guardarlo e non riconoscerlo. Ora è un fiumiciattolo iroso, poco più di un torrente. Ora non ha niente a che fare con il fiume-mare dei poveri. Dei renaioli. Dei navalestri. Dei pescatori. Degli affogati. Ora non attrae, respinge. Ora scorre tra sponde che non hanno più spiagge, ma arbusti pieni di sacchetti di plastica... La memoria mi stuzzica, dolorosamente, appena entrato a Villa Pacchiani per visitare la mostra, voluta dal Grandevetro, Questo è il mio fiume. Curata da Romano Masoni, con l’aiuto di Andrea Meini e Riccardo Ugolini, è stata dedicata a Sergio Pannocchia e Ugo Garzelli, Luciano Della Mea ed Edo Cecconi - persone che ti rimangono addosso. E rimpiangi. Pittura. Fotografia. Installazioni. Suggestioni. Memorie. Se si vuole, la storia dell’Arno. Dal Falterona alla foce. Bel catalogo. Progetto grafico di Romano Masoni. Composizione e impaginazione di Marco La Rosa. Stampa Bandecchi & Vivaldi. Ufficio stampa Margherita Casazza - Toscana eventi. Il viaggio comincia con l’anteprima di Luigi Fatichi: “Copula”. L’erba d’Arno. Tempera

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e pastello. È poesia. Poi, via, un paesaggio e un altro e un altro ancora. E ancora ancora. Antonio Possenti, Antonio Biancalani, Luca Macchi, Ladislao Nocentini, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Giorgio Giolli, Valerio Comparini, Paolo Lapi, Lorenzo Terreni, Alessandro Tofanelli. Intermezzo, una scultura senza titolo di bronzo, che poi è una barca, di Bernd Kaute. La tappa successiva mi fa precipitare in un mare di ricordi. L’affogato e il tuffatore. Esplodono, nella mia mente, tragedie, un paese in lutto. Ogni estate. Mi fermo, guardo, ritorno sui miei passi. Apprezzo. Lorenzo D’Angiolo, Giulio Greco, Giuseppe Lambertucci, Tista Meschi, Nando Snozzi, Antonio Biancalani, Antonio Bobò. Poi, ecco Milena Moriani con la nave della vita. Gli affogati e i tuffatori tornano con Giorgio Giolli, Sauro Mori e Cesare Bor-

sacchi, Fulvio Leoncini, Pierluigi Romani, Gianfranco Masini, Gianfranco Giannoni, Andrea Meini, Piero Gozzani, Ugo Maffi, Mario Madiai, Romani Masoni, che ci racconta la fine di Ferdinando Costagli, rosea speranza dell’arte, annegato in Arno, a Santa Croce, nel 1899. Eppoi Stefano Tonelli, Karl-Heinz, Hartmann-Oels, Renzo Galardini, Alessandro Tofanelli. Nella terza stanza, incontro l’uomo del fiume – Giuliano Gozzini, detto il Nanino – e le rane erranti di Romano, cui segue l’allegoria di Vinicio Zapparoli. Gli ombrelli neri, uno accanto all’altro, i libri salvati ma motosi, abbandonati per terra, la carta moschicida, il materasso arrotolato, corrotto dall’acqua – installazioni di Romano Masoni, Antonio Bobò, Antonio e Federico Biancalani - mi sbattono in faccia l’alluvione del novembre 1966, quando l’Arno si vendicò delle malefatte dell’uo-


mo. Il viaggio tocca gli ex-voto, che raccontano i salvati dalle acque. Acque che, di solito, non perdonano, quelle dell’Arno. Tirano giù, un mulinello dopo l’altro. Simonetta Melani, Gianfranco Pacini, Andrea Meini, Giulio Greco, Luca Macchi, Maria Grazia Morini, Giorgio Giolli, Claudio Bernardeschi, Tista Meschi, Giuseppe Lambertucci, Ladislao Nocentini, Fulvio Leoncini, Cesare Borsacchi, Sauro Mori, Lorenzo D’Angiolo, Gianluca Sgherri, Valerio Comparini, Rose Marie Finckh, Delio Gennai, Gianfalco Masini, Paolo Lapi, Mario Madiai, Stefano Tonelli, Renzo Galardini, Stefano Ficalbi. La stanza, curata da Andrea Bastogi e Renzo Boldrini, ci attira con la sua leggerezza. Infine, ciliegina su una bella torta, il film, ritrovato e restaurato (grazie a Vivavoce), L’Arno è anche un fiume, regia di Vittorio Togliatti, nipote di Palmiro Togliatti, musiche di Luigi Nono. Girato nel 1968, rigorosamente in bianco e nero, c’immerge nell’alluvione del 1966 a Firenze e nelle conseguenze dell’alluvione sul tessuto sociale. Sulla via dell’uscita, sosto più che altrove davanti al barchino e alle nasse per pesci e anguille, che ci parlano del Padule di Fucecchio, l’area umida interna più importante d’Italia, che porta acqua all’Arno tramite l’emissario Usciana. Il sindaco e l’assessore alle Politiche e istituzioni culturali, Osvaldo Ciaponi e Mariangela Bucci, affermano, tra l’altro:

«La memoria che la mostra attiva non è solo quella dei grandi eventi che, in quanto tali, sono parte della storia nazionale. Le sue immagini, le sue fotografie rievocano “fatti” di paese e di tragedie individuali concrete». Il critico Nicola Micieli annota in catalogo: «Con la presenza per lo più silenziosa ma sorniona del fiume, un tempo la gente aveva un rapporto di confidenza e insieme di timore, diciamo di rispettosa diffidenza». Lo scrittore Marco La Rosa: «… anche stando al piccolo intervallo che ci è dato passare su questo pianeta, un rimedio ci resta per combattere il Tempo, ed è la Memoria». Romano Masoni, artista e uno dei curatori, intervistato da Ilaria Mariotti, direttrice di Villa Pacchiani, ha avuto modo d’affermare, alla domanda sulla scelta degli artisti: «Ho iniziato con gli artisti che, da un punto di vista biografico, hanno un rapporto con il fiume. Molti di loro hanno realizzato i lavori appositamente per la mostra. Ho poi scelto una serie di opere che conoscevo e che tematicamente mi sembravano perfette per costruire il percorso, il viaggio dell’Arno. In tutto gli artisti sono 46 a fronte di 46 inviti. Nessuno mi ha detto no». Esco dalla mostra. Il pomeriggio è quieto, di fine inverno. Guardo l’argine. Penso che oltre c’è l’Arno. E – confesso – mi sembra d’amarlo di più. Potenza di una mostra. (Foto Riccardo Ugolini e archivio CTE)


Batracomiomachia e xilografia

guerra topi

Arte

e delle

TEXT Gianfranco Schialvino

L

’Associazione Nuova Xilografia, che Angelo Dragone ebbe a definire «operativo cenacolo a due» (Gianfranco Schialvino e Gianni Verna), nasce nel 1987 con l’intento di promuovere la più antica forma di stampa con mostre, conferenze, seminari e con corsi di insegnamento. Nel 1997, in occasione del decimo anniversario dell’associazione, è nata SMENS, unica rivista ad essere oggi stampata con caratteri mobili e, per le illustrazioni, con matrici di legno. A Smens inviano i testi e le immagini scrittori, poeti, artisti e studiosi da tutto il mondo.

rane de’

Da anni la Nuova Xilografia propone esposizioni di Bestiari: l’esordio fu alla galleria Il Quadrato di Chieri, con presentazione di Nico Orengo; l’ultima è stata al Museo Mallè di Dronero con il titolo Bestiae. La scelta di illustrare la Batracomiomachia è stata dettata dall’affascinante storia della guerra dei topi e delle rane, molto cruda e violenta, che con le schiere armate, le battaglie, i duelli, le figure ora altere ora meschine dei protagonisti, i morti ed i feriti dilaniati lasciati sul campo, è adatta a raffigurare nei modi più pittoreschi i due eserciti antagonisti.

Gianni Verna, nella sua interpretazione a metà tra il tono aulico ed il dissacrante, sulla scia dei versi di Omero liberamente tradotti da Leopardi, ha voluto dare una forma moderna all’iconografia delle vignette. Iniziando con le Muse sulle “Eliconie cime”, raffigurate come ragazze abbigliate in abiti moderni, e, a seguire, Atena che depone l’egida per indossare un tubino bianco; la silhouette di Topolino inviato speciale di Walt Disney come osservatore; sugli scudi per spaventare gli avversari, i topi hanno la testa della medusa e le rane quella di un gatto; il principe Rubatoc-

chi «che di Marte parea la viva imago», che piomba nella mischia su una vecchia motocicletta Fulmine; per finire con i topi che, scampati allo sterminio che dei compagni hanno fatto le chele affilate dei granchi, si dirigono verso Topolinia a cercar salvezza. Le citazioni poi spaziano dal mito al Rinascimento: per il verso «Vedete colaggiù quei tanti e tanti, / emuli de’ centauri e de’ giganti?» le figure sono trat-

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te della lotta dei Lapiti; Francisco Goya è ricordato per i corpi mutilati appesi agli alberi dei Disastri della guerra; da Antonio Benci detto il Pollaiolo, Verna ha trasformato la Battaglia di nudi in una lotta tra topi e rane; infine per celebrare la vittoria delle rane sui topi è stata scomodata addirittura la Nike di Samotracia. Nell’attuale situazione artistica l’incisione è dichiaratamente in crisi, sia per la parte economica sia per quella espositiva: da decenni i Musei, anche quelli meno importanti, non allestiscono mostre di incisioni. Poche le eccezioni, Rembrandt,

Dürer e Picasso, talvolta Goya. Verna si è guardato quindi indietro di cinque secoli, per confrontarsi con gli xilografi italiani e tedeschi, Tiziano e Dürer in testa, che intagliavano tavole monumentali, con processioni di nobili e guerrieri e archi trionfali atte a riempire le stanze dei castelli. La sua scelta è di dare uno scossone alla convinzione stantia che le incisioni debbano essere piccole, rare e prezio-

se, sì da conservarsi chiuse in cartelle e cassetti. Lasciamo il piccolo formato ad un collezionismo geloso e segreto, tor-

gliano ai poster che invadono le camerette degli adolescenti rispondiamo che sì, il futuro della xilografia è proprio que-

niamo ad apprezzare i grandi fogli appesi alle pareti, magari straripanti di colore. E a chi obietta che fatte così le xilo somi-

sto, lo stesso scopo per cui è nata sette secoli fa: dare un’immagine ad un’idea, e darla a tutti, al giusto prezzo.

BATRACOMIOMACHIA

Guerra de’ topi e delle rane Traduzione dal poema greco a cura di Giacomo Leopardi xilografie di Gianni Verna mostra 24 marzo – 3 giugno 2012 Biblioteca Leopardi - Via Leopardi 14 - Recanati

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artesenza tempo

icone russe

Mostre

un’

TEXT&PHOTO Irene Barbensi

L

a chiesa greca e quelle slave hanno considerato la venerazione dell’icona come parte integrante della liturgia, a somiglianza della celebrazione della Parola. Come la lettura dei libri materiali permette di far comprendere la parola vivente del Signore, così l’ostensione di una icona dipinta permette, a quelli che la contemplano, di accostarsi ai misteri della salvezza mediante la vista. Giovanni Paolo ll, lettera apostolica Duodecimum saeculum In occidente si è soliti pensare alle icone come una realtà immutabile nel tempo e nello spazio, ma quest’arte rara e nascosta affonda le proprie radici nel mondo antico sviluppando una relazione tra forme classiche e sostrato cristiano. Quello dell’icona è un itinerario ricco di narratività, di incontri e di sorprese: scintillii che trafiggono il buio, pagine aperte che si fanno tridimensionali, fettucce flessibili che diventano figure, gocce che creano nell’acqua concentriche risonanze, dove i dettagli non sono mai gratuiti, mai puramente decorativi e hanno sempre un significato. Un viaggio che con i suoi “effetti speciali” cattura l’attenzione, fa percepire il fascino di una cultura lontana, ma nel contempo progressivamente fornisce gli strumenti per una lettura consapevole dell’icona,

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immagine sacra, “finestra sull’infinito”. Oltre le Porte Regali. Viaggio nella spiritualità delle Icone è l’esposizione di icone russe dalla collezione Belvedere S.p.A., provenienti dal Museo di Icone Russe F. Bigazzi di Peccioli che verrà inaugurata

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sabato 31 marzo alle ore 16.30 presso la ex-chiesa dei SS. Tommaso e Prospero di Certaldo. La mostra, organizzata dalla Fondazione Peccioliper con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Certaldo e dell’Associazione M.A.N., presenterà una selezione di 30 opere tra icone dipinte e di bronzo. La collezione Belvedere S.p.A., costituita nel 2007 e conservata all’interno del Museo delle Icone Russe F. Bigazzi, comprende due tipologie di icone: icone lignee datate e/o firmate dal XVIII al XX secolo (70 pezzi inclusi un Vangelo a stampa del 1903, un Analoghion e una Porta regale), i cui luoghi di provenienza sono, oltre alla Russia, l’Armenia, i Balcani, Costantinopoli, l’Estonia, Gerusalemme, la Grecia, la Lettonia, il Monte Athos, la Romania, la Transilvania e l’Ucraina; croci, icone e polittici russi di bronzo dal XV al XX secolo (75 pezzi per la maggior parte tipici della produzione dei vecchi Credenti, e che includono due icone dipinte in cui sono inscritte rispettivamente una croce e una croce con un trittico della Deesis). Le icone pecciolesi saranno esposte a fianco di uno dei capolavori di Benozzo Gozzoli. La ex-chiesa dei SS. Tommaso e Prospero conserva al suo interno gli affreschi staccati del Tabernacolo dei Giustizia-

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ti, il primo che l’artista fiorentino dipinse tra il 1464 e il 1467. Un doppio legame lega allora Peccioli a Certaldo: a Legoli, frazione del Comune di Peccioli, è conservato all’interno dell’Oratorio di Santa

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Caterina il secondo dei quattro oratori stradali affrescati da Benozzo e dalla sua bottega. Dipinto probabilmente nel 1479 è stato definito «la più toccante delle quattro cappelle stradali».

La Fondazione Peccioliper organizzerà per l’occasione una Sezione didattica, che proporrà approfondimenti attraverso attività di laboratorio per capire e divertirsi con un’arte così lontana ma che in una società multietnica può diventare strumento d’incontro e d’integrazione tra le culture dell’Europa Orientale e Occidentale. Ragazzi e adulti potranno partecipare previa prenotazione a: La magia del cirillico, Il linguaggio delle Icone, oppure a Soggetti dell’iconografia, contattando l’Associazione M.A.N. Un viaggio attraverso la spiritualità cristiana che può diventare strumento di comprensione di culture apparentemente diverse ma che affondano le proprie radici in un terreno comune. La mostra di icone sarà un’occasione per fare il punto e approfondire, ma anche dare linfa innovativa al fenomeno religioso ai nostri giorni. Per info: Fondazione Peccioliper, P.zza del Popolo 10, Peccioli, www.fondarte. peccioli.net 0587 672158 - Associazione M.A.N., P.zza Boccaccio 7, Certaldo 1. Madre di Dio in trono con quattro santi e due angeli, 1786 2. Porta Regale, XIX sec. 3. Croce da kiot con Cristo Crocifisso, santi stanti, le feste e diciannove cherubini, XIX sec. 4. San Demetrio di Tessalonica, 1893 5. Madre di Dio di Kazan, XIX sec. 6. Poilittico Dodici grandi feste. Venerazione delle icone della Madre di Dio di Tikhvin, di Vladimir, di Smolensk, del Segno, XIX sec.. 7. San Nicola Taumaturgo, XX sec.

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ito contemporaneo

Mostre

La Toscana esporta il mito della Sicilia nel Mondo

TEXT Andrea Berti

I

l Mito Contemporaneo promuove la Sicilia in tutto il mondo. C’era tanta Toscana, tanta arte di Pietrasanta con i suoi artisti e i suoi laboratori, nelle quattro prestigiose mostre di arte contemporanea promosse dall’Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Siciliana e prodotte dalla versiliese Athena Communications. Le mostre, per chi non ha avuto l’opportunità di ammirarle in Sicilia, continueranno ad essere visitabili in modalità virtuale sia attraverso il sito sia attraverso le App per iPad e iPhone. Con la Rassegna Internazionale di Scultura e Pittura i luoghi dell’antichità siciliana hanno incontrano, per la prima volta, l’espressione contemporanea del Mito e della Mitologia attraverso l’interpretazione personale e originale di quattro grandi artisti che in Toscana sono nati o sono stati adottati: il livornese Raffaele De Rosa, il siciliano ma da tanti anni ormai cittadino di Pietrasanta Girolamo Ciulla, il toscano cosmopolita Alfredo Sasso e il giapponese Kan Yasuda che in Italia, e nella Piccola Atene, vive sei mesi all’anno. Un percorso turistico, prima che artistico, culturale, storico e mitologico pensato e sviluppato tra le città di Palermo con il Teatro Politeama, AidoneMorgantina con il Museo Archeologico, Lipari e il suo Museo e Taormina con il Teatro Greco Romano, l’ex cattedrale e il centro storico che si è dimostrato capace di incentivare e stimolare appas-

sionati e turisti a scoprire il fascino dei luoghi che ospitavano le opere. In tutto oltre 100 tra grandi e medie sculture in marmo e bronzo, pitture su tela, mosaici e altri materiali. Obiettivi, secondo l’Art Director Massimiliano Simoni «pienamente raggiunti grazie ad un’efficace azione di promozione e comunicazione destinata a produrre effetti anche nel medio e lungo periodo. Solo in Italia il Mito Contemporaneo ha ottenuto l’attenzione di 5 milioni di utenti. Spagna,

5 milioni di contatti per le mostre dei “toscani” Raffaele De Rosa, Girolamo Ciulla, Alfredo Sasso e Kan Yasuda. Le mostre prodotte da Athena Communications Inghilterra, Francia, Russia, Giappone e Stati Uniti i paesi stranieri più interessati al progetto turistico-culturale in base ai dati raccolti». A conferma dell’impatto sul target inizialmente individuato (adulto 25-64 anni) i dati rilevati dall’analisi di marketing effettuata dallo studio Bachi Fascetti Associati che evidenziano il raggiungimento degli importanti obiettivi iniziali: valorizzare la Sicilia in Italia e all’estero ed attivare l’interesse per nuovi flussi turistici.

Cinquemila i cataloghi già distribuiti, centinaia le richieste arrivate solo attraverso il sito internet dove è possibile ancora compilare il modulo e ricevere direttamente a casa i volumi fino ad esaurimento (per info www.ilmitocontemporaneo. it), 1700 gli utenti che hanno già utilizzato le applicazioni per la visita virtuale disponibile e scaricabile sull’APP Store, più di 10 mila gli utenti del sito internet per quasi 30 mila pagine visitate. La diversificazione degli strumenti impiegati per la promozione, prodotto dell’utilizzo di media classici, periodici specializzati, web, multimedialità e social network, attività di sampling e direct marketing, ha permesso di raggiungere una vastissima platea di potenziali utenti interessati, operatori turistici e addetti ai lavori come galleristi, collezionisti, curatori d’arte, giornalisti e così via. Numerose le recensioni collezionate sui principali quotidiani nazionali, radio e sulle principali emittenti televisive che hanno acceso i riflettori sulla Sicilia. Ma forte è stata la penetrazione in chiave internazionale anche grazie alla presenza di Kan Yasuda che ha innescato l’attenzione del pubblico del Sol Levante; lo scultore giapponese a sottolineatura della sua caratura è protagonista a Cambridge, in Inghilterra, con la sua personale. Foto e informazioni www.ilmitocontemporaneo.it

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CONCERIA

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pittori en plein air TEXT a cura di Ada Neri

S

A

Nelle foto Edizione 2011: Pier Marco De Santi, direttore artistico del Festival Viareggio Europa Cinema, il giornalista Claudio Sottili e l’assessore alla pubblica istruzione del comune di Viareggio Lucia Accialini; sotto una partecipante al concorso

Festival Viareggio Europa Cinema; Aldo Giusti pittore; Adolfo Lippi, giornalista e regista; Claudio Marchetti, docente istituto d’arte S. Stagi di Pietrasanta; Rossella Martina, giornalista e scrittrice; Elena Martinelli docente universitario e nipote di Alfredo Catarsini; Giuseppe Paoli storico dell’arte, scenografo, pittore e scultore; Manrico Testi, presidente del Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca; Alessandro Tofanelli, regista e pittore. Tutti i partecipanti, provvisti dell’attrezzatura necessaria, dovranno presentarsi sabato 14 aprile entro le ore 8.30 presso la Sala di Rappresentanza del Palazzo Comunale di Viareggio, Piazza Nieri e Paolini, per l’identificazione e la vidimazione. La mattina stessa del concorso, il Presidente deciderà la location in Viareggio e i concorrenti avranno a disposizione 5 ore per scegliere l’inquadratura preferita e eseguire l’opera. La giuria giudicherà i lavori che saranno consegnati entro le ore 14.00 e provvederà alla proclamazione dei vincitori per l’assegnazione dei premi ai 3 migliori bozzetti realizzati. Il vincitore del primo premio avrà a disposizione 10 giorni per consegnare la propria opera compiuta che sarà pubblicata sul catalogo dell’edizione 2012 del Festival Viareggio Europa Cinema ed esposta permanentemente nell’atélier Catarsini nel Palazzo Paolina Bonaparte a Viareggio.

lfredo Catarsini nasce a Viareggio, all’ombra della Torre Matilde, il 17 gennaio 1899. Inizia a dipingere molto presto. È ancora ragazzo quando va a Parigi dove incontra Amedeo Modigliani. La sua pittura trova ispirazione dal mare, con il quale mantiene un profondo e insostituibile amore, che traduce nella suggestione offerta dalle darsene coi cantieri, le barche, le vele, i calafati, i pescatori. La sua lunga vicenda pittorica - muore a Viareggio il 28 marzo 1993 - è sempre coerente alla sua formazione, impegnata nei paesaggi, nei ritratti, nelle figure femminili, nelle nature morte. Nel dopoguerra insegna all’Istituto d’Arte Stagio Stagi di Pietrasanta ricoprendo la cattedra di Disegno dal Vero. Attento alle cose della sua terra collabora attivamente ai quotidiani e a Versilia Oggi. Tra il 1986 e il 1992 soggiorna per lunghi periodi a Lodi dove, nel ‘90, gli viene assegnato il prestigioso premio Arvini. Sue opere sono in collezioni pubbliche tra cui le Gallerie d’Arte Moderna italiane ed estere. Nel 2003 è stato riallestito il suo Atelier nelle soffitte di Villa Paolina Bonaparte a Viareggio che ha utilizzato per più di 50 anni fino alla sua morte. Una stanza ospita il suo archivio storico riordinato a cura dell’Istituto Storico Lucchese. Il suo Autoritratto del ‘34 dal settembre 2005 è andato ad arricchire la Galleria degli Uffizi. Opere della donazione della famiglia Catarsini al Comune di Viareggio sono esposte alla GAMC in Palazzo delle Muse. Ogni anno viene assegnato un premio a suo nome per la migliore opera grafico/ pittorica eseguita dal vero ex tempore con libertà di tecnica e interpretazione, riservato agli studenti degli Istituti Superiori della Regione Toscana. Dal 2012 il premio si inserisce nel progetto Cinema e Arti Visive del Festival Viareggio Europa Cinema con il tema Viareggio città del cinema.

NOTIZIA

abato 14 aprile 2012 si svolgerà l’undicesima edizione del Premio Alfredo Catarsini. Premio annuale per il miglior bozzetto grafico/pittorico eseguito dal vero extempore con libertà di tecnica e interpretazione, ideato nel 2002 a Pietrasanta, prendendo spunto proprio dal fatto che Catarsini fu docente di disegno dal vero ed era egli stesso un pittore en plein air. Il premio promosso dalla Famiglia Catarsini con il patrocinio della Provincia di Lucca e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, da quest’anno è stato inserito nel progetto Cinema e Arti Visive del Festival Viareggio Europa Cinema e anche per questa edizione sarà presente una commissione giudicatrice, presieduta da Raffaello Bertoli e composta da: Lucia Accialini assessore alla pubblica istruzione; Guido Berti, docente istituto superiore artistico di Lucca; Glauco Borella, architetto Soprintendenza di Lucca e Massa Carrara, direttore Centro Cultura Eclettica Liberty e Deco di Viareggio; Andrea Buscemi, attore, regista e pittore; Margherita Casazza, giornalista direttore rivista Reality Magazine; Ciro Costagliola, assessore alla cultura, vicesindaco e editore; Pier Marco De Santi, docente universitario, direttore artistico

Premio

Premio Alfredo Catarsini

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un mondo a

Arte

colori

TEXT Leonardo Taddei PHOTO Virginia Sobrino, Paola Rita Ledda e César Jiménez

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al 3 all’11 dicembre 2011, presso la Fortezza da Basso, si è tenuta l’VIII edizione della “Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Firenze”, che ha ospitato oltre seicento artisti provenienti da più di

La stilista spagnola Ágatha Ruiz de la Prada riceve il Premio alla carriera Lorenzo il Magnifico alla Biennale Internazionale d’Arte contemporanea di Firenze settanta nazioni. In questa importante occasione, la stilista spagnola Ágatha Ruiz de la Prada, insieme ad altre due personalità di spicco del mondo dell’arte e della cultura, José Luis Cuevas e Jeff Koons, è stata insignita del “Premio alla Carriera Lorenzo il Magnifico”, e all’interno della Fortezza è stato allestito un apposito spazio espositivo con i trenta capi più rappresentativi della sua geniale creatività. Ágatha Ruiz de la Prada y Sentmenat è la XII marchesa di Castelldosríus e la XXIX baronessa di Santa Pau y Grande de España, oltre che una stilista di fama internazionale. Dopo un inizio come pittrice, realizza a Madrid, nel 1981, la sua prima sfilata, sovvertendo i canoni che avevano contraddistinto la moda spagnola fino a quel momento. Il suo stile si delinea fin da subito come una rottura forte e decisa rispetto al pas-

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Nelle foto in alto: Ágatha Ruiz de la Prada riceve il premio Lorenzo il Magnifico da Pasquale Celona, Presidente della Biennale e della Giuria Internazionale, e da Stefano Francolini, Direttore Artistico della Biennale; in basso da sinistra: Ágatha Ruiz de la Prada con i ballerini di MaggioDanza, con i membri della Giuria Internazionale della Biennale e con una modella che indossa una delle sue creazioni.

sato: il rigore e la sobrietà vengono sopraffatti da colori accesi e fantasie giocate su forme geometriche raffiguranti lune, stelle, soli, cuori, fiori e nuvole, in un tumultuoso, potente, innovativo e vivido scenario immaginifico. La sua costante e libera sperimentazione dà vita ad abiti talmente stravaganti da poter essere considerati vere e proprie sculture surrealiste. Allarga quindi la propria produzione al design di arredamento, alle collezioni per bambini e alla linea uomo, che caratterizza con la presenza di colori accesi e, generalmente, fino ad allora,

riservati ai capi femminili, quali l’arancione, il giallo o il fucsia. Comincia a esporre le sue creazioni in tutto il mondo, come, ad esempio, in Francia, Italia, Stati Uniti, Giappone, Colombia e Santo Domingo. Celebri restano le sue esibizioni e le sue sfilate nelle città di Parigi, New York, Milano, Mosca, Bucarest. Inoltre, in occasione del trentesimo anniversario della prima sfilata, ha deciso di inaugurare una propria Fondazione, che porta il suo nome. Il “Premio Lorenzo il Magnifico”, attribuitole come riconoscimento alla carriera, non è certo il primo vinto dalla


stilista madrileña. Nel 2008 riceve infatti la “Medaglia d’oro al merito per le Belle Arti” ed il “Premio Kapital”, mentre nel 2009 viene insignita del “Premio Ambasciatrice della Moda”. Sempre nel 2009 prende parte alla “Cowparade Madrid”, evento che, curiosamente, si era già svolto a Firenze nel 2005, con il compito di disegnare stravaganti, fantasiose e coloratissime mucche per la maggiore esposizione di arte pubblica del mondo, in grado di raccogliere ben 13 milioni di euro da destinare in beneficenza. Nel 2011 disegna inoltre il trofeo della competizione ciclistica “Vuelta a España”, nota a livello mondiale. Da sempre attenta al mondo giovanile e infantile, nel 2009 presenta la sua collezione al “Pitti Bimbo” di Firenze, città con la quale ha sempre avuto un forte legame. Disegna e inaugura una serie di parchi giochi per bambini a Madrid, Siviglia, Murcia e in Galizia. Accetta anche di realizzare il vestito del personaggio Disney “Minnie” per l’organizzazione no profit in aiuto agli adolescenti “Maison de Solenn”, venduto poi all’asta da ChristiÈs insieme ai modelli di Christian Lacroix, Paco Rabanne e Cacharel. Significativo risulta inoltre il suo contributo alla discussione, in occasione della “Conferenza Internazionale sulla Nutrizione” del 2008, riguardo al tema dell’obesità infantile. In particolare, la stilista propone il disegno come strumento per prevenire questo tipo di problematica: presentare un piatto in modo divertente, aiutandosi con i colori e la fantasia, eviterebbe al bambino di ripiegare su cibi meno salutari e più dannosi. L’eccentrica moda di Ágatha Ruiz de la Prada ha appena spento trenta candeline e i suoi capi e accessori sono tuttora tra i più riconoscibili e caratteristici dell’intero panorama della moda: la forte passione per l’arte si riflette inevitabilmente su tutta la sua produzione, divenendo totalizzante. La stilista è, infatti, sempre impegnata a sperimentare nuove vie creative che uniscano arte, moda e design, curando tutta la sua produzione fin nei minimi dettagli e organizzando costantemente eventi glamour per il lancio delle sue coloratissime opere. A causa del potere altamente innovativo delle sue realizzazioni, in rete sono stati anche creati dei siti che, ironicamente, sottolineano questa sua propensione estrema verso il colore, giudicata da alcuni eccessiva. È addirittura riportata una citazione, attribuita allo scrittore spagnolo Miguel de Cervantes, riproposta in chiave moderna per definire il lavoro della stilista: Nelle foto in alto: alcune creazioni della stilista esposte alla Biennale; in basso: Agatha Ruiz de la Prada.

“ella no hace trajes, hace coloridas venganzas”, che significa, più o meno, “lei non fa vestiti, compie una vendetta, una rappresaglia di colori”. Nonostante l’evidente parossismo satirico e il tono caustico per cui è stata scelta, la frase riesce perfettamente a proiettarci nell’universo di Ágatha Ruiz de la Prada: si tratta di uno di quei casi in cui un aspro giudizio rappresenta la miglior definizione per un artista. Quando questi, che si tratti di uno stilista o meno, riesce ad essere così pionieristico e d’avanguardia, allora ha portato a compimento la propria missione, quella di provocare, attraverso la propria opera, anche il più scettico tra i critici e far vacillare perfino la più salda delle opinioni. La Biennale di Firenze è stata un’occasione unica per ammirare le sue creazioni e per scoprire il fascino di una fonte inesauribile di energia rigogliosa: “vivi pienamente, e sorridi sempre” è il perno, il fulcro creativo della marchesa Ágatha. Una filosofia di vita, una regola infallibile, una legge di un mondo tutto suo, che è riuscita a cucirsi addosso nel tempo e che è stata poi in grado di far calzare a pennello e di trasmettere a molti, nella loro quotidianità, attraverso una sferzata di vitalità e allegria. Un mondo a colori, insomma, quello che ci si palesa di fronte: il mondo variopinto e spettacolare di Ágatha Ruiz de la Prada.

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Londra, National Gallery

moss tra e emplare

Arte

una

TEXT&PHOTO Pierluigi Carofano

I

n un’epoca come quella che stiamo vivendo, fatta cioè di una sistematica attività espositiva legata tanto ai maggiori musei del mondo quanto alle più piccole realtà di provincia, la mostra Close Examination: Fakes, Mistakes & Discoveries – tenutasi ormai un anno fa presso la National Gallery di Londra – si pone felicemente quale esempio riuscito di illuminata amministrazione di un patrimonio così ricco come quello del principale museo britannico. Infatti, se sempre più di frequente capita di vedere esposizioni enciclopediche, magari con capolavori esposti in più sedi, che sfidano la resistenza di qualsiasi visitatore o, purtroppo, celebrazioni monografiche a volte “fuori contesto” – e mi riferisco a quanto avviene in Italia – che sottendono una conduzione più vicina alle produzioni cinematografiche o televisive che non ad un metodo filologico e scientifico, quanto è capitato a Trafalgar Square sotto la direzione di Nicholas Penny diventa un paradigmatico esempio di ottima attività museografica, totalmente intrinseca agli obiettivi espositivi più basilari. Sono infatti convinto che i costi di una mostra quale Close Examination: Fakes, Mististakes and Discoveries siano stati contenuti, e allo stesso tempo i risultati scientifici sotto il profilo di una maggiore conoscenza della collezione e, più in generale, degli artisti esposti di indiscutibile autorevolezza. Qualcuno potrebbe pensare che un’istituzione come la National Gallery di Londra abbia gioco facile nell’organizzare attività del genere, data l’alta concentrazione di capolavori, ma s’ingannerebbe: nel nostro Paese, da Venezia a Palermo, sono rarissime le istituzioni museali che nella loro specificità possano sentirsi limitate da un punto di vista collezionistico, e nonostante l’evidente differenza che corre tra la formazione del patrimonio di qualsiasi nostro museo e quello della galleria inglese, è nella politica di gestione dei manufatti, nell’attenzione alla vita di ognuno di essi, che si definisce maggiormente l’apprezzamento per questa mostra. Per essere più precisi, uno degli aspetti che colpisce di più al termine del percorso espositivo, è quanto lucidamente la mostra si soffermi a “lavare i propri

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Giorgione, Il Tramonto, Londra, National Gallery.

panni sporchi” in pubblica piazza: i falsi, gli incauti acquisti, gli errori di valutazione non vengono nascosti, anzi, sono posti quale mezzo e misura per andare avanti in quel complesso di attività proprie di un museo. La consapevolezza che ogni opera abbia una vita propria e una storia specifica si sovrappone alla storia e alla vita del contesto in cui è conservata; cioè alla vita e alla storia dell’istituzione museale, anche per mezzo di una chiara autocritica. In sostanza, è il riconoscimento degli errori una garanzia di rigorosa attenzione alla storia delle opere. L’altra caratteristica della mostra, questa volta posta come premessa esemplare, è la fattiva collaborazione delle diverse professionalità – nell’ordine, restauratori e diagnostici, conservatori e storici dell’arte – nella conduzione delle attività del museo. Non è un caso, quindi, che l’esposizione sia stata curata da Majorie E. Wieseman, curatrice della sezione della pittura olandese, e Ashok Roy, direttore della sezione della ricerca scientifica, ognuno dei

quali ha messo ben in evidenza i diversi piani di lettura delle sei sezioni con cui è stato suddiviso il percorso espositivo. Secondo quanto è riportato in apertura della mostra dai pannelli didattici e dall’agevole guida, l’approccio che si è voluto dare va dalla diretta visione ed esame delle opere, fino alla conoscenza delle testimonianze archivistiche – che non riguardano soltanto le più antiche vicende dei dipinti, ma anche le connessioni storiche che hanno regolato i loro rapporti con la galleria – e ai risultati delle indagini eseguite tramite i più sofisticati mezzi diagnostici, per individuare di ogni quadro le singolarità materiali. Ecco il carattere determinante ed esemplare della rassegna: dalla speculazione storico – artistica alla valutazione di documenti e dati scientifici, tutto è condotto nella consapevolezza della materialità specifica di ogni oggetto. Su queste basi è stato approntato il pieghevole prezioso tanto per il vasto pubblico di turisti che per gli studiosi: a termini quali attribution e connoiseurship si affiancano


locuzioni del tipo imprimitura, support, photomicrograph, e alle medesime esigenze risponde il video introduttivo; dove vengono illustrate le vicende che hanno portato allo sviluppo dello studio della conservazione delle opere conservate a Trafalgar Square, i tradizionali processi tecnico – artistici tanto per le opere a tempera che per quelle a olio, e i sofisticati mezzi d’indagine diagnostica oggi utilizzati nel campo della conservazione. La prima sala, in larga parte dedicata a veri e proprî falsi che nel passato hanno beffato le direzioni del museo per essere stati acquistati come autentici, pone l’attenzione sui diversi sistemi di falsificazione ed inganno. Questo tema può infatti considerarsi un vero e proprio spauracchio per i musei e collezionisti privati in ragione del fatto che la falsificazione consiste nell’opinione critica che la riflette e non nell’oggetto falsificato, emerge come questione non trascurabile là dove l’interesse per l’arte è primario e, in aggiunta, anche sistematico. Il falso, d’altronde, è un problema che studiosi e conservatori sono inevitabilmente tenuti a dover considerare ed affrontare con criteri empirici, dettati tanto da valutazioni critiche ed estetiche che attraverso il sostegno dei dati scientifici dei materiali; un problema il cui approccio è stato individuato da tempo su tali piani d’indagine e che l’oramai classico esempio del Ritratto di famiglia acquistato nel 1923 come opera della cerchia urbinate di Melozzo da Forlì chiarisce in maniera incisiva. Forse l’ambientazione così familiare alle sale del Castellare del Palazzo Ducale di Federico da Montefeltro o al ritratto del duca assieme al figlio Guidubaldo di Pedro Berruguete – Urbino, Galleria Nazionale delle Marche –, o la fenditura della tavola – antica – che corre dall’alto in basso o, ancora, il sigillo in alto a destra avranno condotto all’acquisto, che a ben vedere aveva un attribuzione di per sé fumosa, alla luce delle conoscenze all’epoca in cui il dipinto apparve sul mercato riguardo i rapporti tra Melozzo e gli artisti della corte feltresca. Inoltre, come

Falsario nello stile di Melozzo da Forlì, Ritratto di un uomo con due bambini, Londra, National Gallery.

sottolinea la mostra, alcuni elementi segnalavano l’inganno, come l’ambiguità dell’adulto effigiato e il copricapo tipico della moda femminile alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. È interessante poi notare che le qualità intrinseche al falso possono risultare la cartina tornasole per meglio comprendere i materiali e i metodi di esecuzione degli originali messi a confronto,così come sta a dimostrare il caso della Madonna con Bambino e un Angelo del Canergie Museum of Art di Pittsburgh, opera di Francesco Francia databile attorno al 1490, le cui riflettografie analizzate in parallelo a quelle della – falsa – versione esposta a Londra hanno evidenziato. La seconda sala, invece, presenta più o meno noti dipinti accumunati da modifiche posticce, ed è intitolata Transformation & Modifications. Vi sono presenti opere alle quali nel corso dei secoli sono state apportate modifiche causate da diversi fattori. Infatti, se, come per il caso dei falsi, sono esposti dipinti le cui trasformazioni, più o meno irreparabile, sono state dettate da una base d’interesse che si è venuta a creare in ragione dei gusti collezionistici delle varie epoche, allo stesso modo vengono presentati esempi di notevole spes-

sore per cui l’adattamento da essi subito vira in vero e proprio restauro. D’altronde, non si può trascurare il fatto che gli oggetti d’arte, di qualsiasi genere, siano stati sempre al centro di cambiamenti e che gli artisti abbiano sempre considerato queste azioni di modifica e manipolazione come parte del loro lavoro, tanto sulle loro opere (il caso testimoniato da Lorenzo Lotto è esemplare) che su quelle degli altri. Alla categoria degli adeguamenti fraudolenti, quindi, rientrano le modifiche al Ritratto di Alexander Mornau nella foggia del copricapo e nel fondo del quadro, tanto da essere acquistato alla fine del XVIII secolo dal Marchese di Buckingham come ritratto di Martin Lutero di mano di Hans Holbein il Giovane, per cui si può parlare certamente di contraffazione e inganno commerciale. Invece altro discorso si pone per opere di maestri assoluti, come il Tramonto di Giorgione. La tela del maestro veneto, dal suo ritrovamento al principio degli anni Trenta, fino all’acquisto da parte della pinacoteca inglese nel 1961, è stata al centro di alcuni interventi di restauro che sono stati accolti non senza polemiche. Infatti l’arbitrarietà con la quale si è proceduto alla ricostruzione della parte destra della tela, in particolare nelle figure del San Giorgio e del drago, è esemplare per valutare le finalità di recupero iconografico e compositivo che un restauro, e questo non diversamente dagli altri, si pone. Risultano perciò di grande valore i contributi pubblicati in occasione della mostra sulla storia conservativa dell’opera, che cercano di approfondire ulteriormente l’ampio e affascinante ambito iconografico degli oli del maestro di Castelfranco Veneto. In sostanza, il dipinto londinese diviene esempio tangibilissimo dei risultati di speculazione attorno al tema della conservazione, ma soprattutto del restauro come atto critico, azione indissolubilmente legata alla storia dell’opera. (1)

Botticelli, Venere e Marte, Londra, National Gallery.

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Mostre

Lido di Camaiore

ourney

TEXT Angela Colombini PHOTO Filippo Maffei

east

I

l surf è il motivo scatenante, è la benzina che alimenta il fuoco dell’eterna ricerca. Innesca il meccanismo di uno stato mentale che implica un necessario spostamento della persona verso mete lontane. Ciò significa mettersi a confronto con altre culture, altri usi e costumi, altre realtà. Journey East è una retrospettiva di momenti.

Ottobre 2011 - Viaggio in oriente: destinazione Bangkok - Thailandia, Bali - Indonesia È una raccolta di istantanee che descrivono situazioni di viaggio e tracciano un percorso visto attraverso la fotocamera che mi ha aiutato a fermare nel tempo persone, luoghi e sensazioni. Il puro piacere dell’esplorazione mi ha portato a vagare per le strade di Khao San, trascinato in luoghi sacri come il Wat Arun, per poi finire lungo le spiaggie della penisola del Bukit dove ho assistito a cerimonie hindu, ammirato luoghi mistici come il tempio di Uluwatu e immortalato le potenti onde che si abbattevano sulla barriera corallina balinese.

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Fotografie di Filippo Maffei dal 25 maggio al 3 giugno 2012 Galleria Europa - Lungomare Europa, 41 - Lido di Camaiore Opening venerdì 25 maggio 2012 ore 18.00 Orari dal lunedì al giovedì 10.00-12.30 - 16.00-20.00 Weekend 10.00-12.30 - 18:00 - 24:00 Info: www.facebook.com/filippomaffeifotografo - www.filippomaffei.it

Comune di Camaiore

CIRCOSCRIZIONE LIDO DI CAMAIORE


Filippo Maffei nasce a Empoli nel 1984. Cresce in Toscana dove incontra la fotografia nel 2003. Autodidatta fortifica la sua esperienza nella fotografia analogica grazie ad una camera oscura artigianale. Durante il 2006 documenta la nascita di un movimento underground dal quale nasce il suo primo progetto: Camera Harmonica. Attraverso questo lavoro sensibilizza la sua visione del paesaggio urbano, sviluppando un linguaggio fotografico dedicato soprattutto alla scena di strada. La passione per il surf lo spinge a intraprendere viaggi frequenti alla ricerca dell’onda perfetta; ed è proprio grazie a questa infinita ricerca che oggi dedica la sua fotografia al reportage di viaggio cercando di immortalare i momenti più significativi e lavorando d’istinto per potersi sentire sempre coinvolto nei luoghi che visita e in relazione con le persone che incontra.

PROGETTI FOTOGRAFICI 2006 Camera Harmonica www.cameraharmonica.com 2006/2009 Collaborazione con il brand Dumb Skateboards 2008 Reportage fotografico a Barcellona (street photography) 2008 Mostra fotografica presso stabilimento balneare Flora di Viareggio: “Skateboarding” in collaborazione con Dumb Skateboards. 2008 Reportage fotografico a New York City (street photography) 2009/2010 Collaborazione con il brand Analog Surf. Viaggi in Francia per il progetto Analog Vive La Cote” con l’ex campione italiano di surf Nicola Bresciani e il team Analog. 2010 Collaborazione con la rivista di settore “Mediterranean Surf Culture” 2010 Realizzazione del progetto Avanty www.avanty.it Creazione del book fotografico, cura del design del sito e produzione di loghi e grafiche. 2010 Mostra fotografica del progetto Avanty presso il Kaiman Club, Viareggio 2010 Mostra fotografica del progetto Avanty presso Par5, Milano 2010 Progetto “Anima e Corpo” reportage sulla danza contemporanea in collaborazione con la compagnia di danzatori “Maktub Noir”. Lavoro svolto al Florence Dance Center e in studio fotografico. 2010 Reportage fotografico in Marocco 2011 Reportage fotografico in Sardegna: Terra Sarda 2011 Art of Ink: una serie di ritratti dedicati all’artista tatuatore “Pepe” e ai suoi lavori. Foto realizzate interamente in analogico e stampate in camera oscura. 2011 Reportage fotografico in Thailandia 2011 Reportage fotografico a Bali e Indonesia 2012 Mostra fotografica personale: Journey east - Galleria Europa - Lido di Camaiore

NOTIZIA


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Marilyn senza

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

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i è aperta il 9 marzo presso la Galleria Getty Images di Londra una raccolta di immagini, abiti e oggetti personali per celebrare 50 anni dalla morte prematura di Marilyn Monroe. La mostra presenterà una serie di abiti e costumi originali indossati dalla icona di Hollywood, accanto a fotografie uniche. Marilyn includerà immagini dai primi anni 40 quando la Monroe era un’aspirante attrice, fino alla sua ascesa nello star system internazionale. Ad accompagnare le fotografie saranno costumi cinematografici e abiti originali dalla leggendaria collezione di David Gainsborough Roberts, proprietario di una delle più grandi collezioni di memorabilia su Marilyn Monroe in tutto il mondo. Ci saranno anche filmati che offriranno uno scorcio senza eguali sulla vita privata della star. Marilyn Monroe (vero nome

Abiti originali e immagini uniche ripercorrono la vita di una leggenda di Hollywood, in mostra a Londra per la prima volta Norma Jeane Mortenson) nacque il 1 giugno 1926 a Los Angeles, California. Durante la sua fin troppo breve vita, Marilyn, superando un’infanzia molto difficile (non conobbe mai il padre, e sua madre Gladys sviluppò problemi psichiatrici finendo in un istituto mentale) e una serie di matrimoni finiti male, riuscì a diventare l’attrice più richiesta di Hollywood, riuscendo a far incassare ai fortunati produttori dei suoi film più di 200 milioni di dollari dell’epoca. Nella mostra sarà proiettato il celeberrimo video happy Birthday Mr President realizzato il 19 maggio 1962 al Madison Square Garden, durante i festeggiamenti per il quarantacinquesimo compleanno del presidente John Kennedy. Il presidente salì sul palco e la ringraziò. Ad ascoltarla c’erano circa 15.000 persone. Il vestito che indossava Marilyn nell’occasione venne messo all’asta nel 1999, al termine della stessa il prezzo aggiudicato fu superiore a 1,26 milioni di dollari. Così come è stato messo all’asta l’orologio Rolex d’oro con incisa la frase «with love as always Marilyn» («con amore come sempre») regalato dal presidente a Marilyn. Molti di questi oggetti saranno esposti nella mostra fino al 24 maggio. Getty Images Galler 46 Eastcastle Street , London Nearest underground: Oxford Circus

Mostre

50 anni

Londra


alazzo Strozzi omaggia la pittura impressionista americana, a cavallo tra XIX e XX secolo, dedicata a una Firenze attirante cultori provenienti dal Nuovo Mondo. Il clima, il paesaggio, il patrimonio architettonico, costituiscono elementi di attrazione per gli aderenti ai nuovi canoni impressionisti del dipingere, così William Merritt Chase, John Henry Twachman, Frederick Childe Hassam e altri esponenti della scuola americana soggiornano piacevolmente nella città del giglio, intrecciando rapporti con i conterranei presenti nella patria di Dante, basti menzionare Winslow Homer, William Morris Hunt, John La Farge, Somas Eakins, e le frange innovative della pittura macchiaiola locale. La mentalità aperta di questi artisti impone la ritrattistica della don-

3 marzo 15 luglio 2012

a cura di Carmelo De Luca

URBINO Palazzo Ducale

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LA CITTà IDEALE

’urbanistica razionale, intrisa dalla filosofia ideale, rappresenta il tema della mostra ospitata nella residenza di Federico da Montefeltro, non a caso Urbino impersona la realizzazione perfetta di città-palazzo voluta dal duca. L’esposizione ripercorre l’architettura rinascimentale, nella quale funzionalità, estetica, classicità, diventano elementi di riflessione nell’arte. L’intento di aspirare a forme urbanistiche ideali alimenta il progetto di architetti e artisti del periodo, dando vita a un dibattito i cui frutti sono ben interpretati nel dipinto esposto nella Galleria Nazionale delle Marche. Di autore ignoto, l’opera racchiude il concetto di classicità, il modello della città rinascimentale, la prospettiva a scacchiera, dove gli edifici hanno una collocazione ordinata supportante il centro di simmetria

6 aprile 18 febbraio 8 luglio 10 giugno 2012 2012

della rappresentazione costituito da un elegante edificio rotondo, la cui forma circolare ne racchiude la perfezione. Il dipinto descritto rappresenta il filo conduttore della mostra celebrante la gloria umanistica urbinate tra sculture, pitture, codici miniati, medaglie, tarsie lignee, modelli, realizzati da Bramante, Raffaello, Leon Battista Alberti, Domenico Veneziano, Sassetta, Piero della Francesca, Fra’ Carnevale, Francesco di Giorgio, Luca Signorelli, Jacopo de Barbari, Mantegna, Perugino. Completano l’esposizione le gemelle Città Ideali provenienti da Baltimora e Berlino, nonché la razionalistica rappresentazione di Napoli della Tavola Strozzi.

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firenzE Museo Diocesano MANTOVA

incenzo Gonzaga rappresenta il vanto del suo casato, non a caso Mantova assurgeva agli onori delle cronache grazie agli impulsi da lui voluti nell’arte, nell’architettura, nella letteratura. In osservanza al rango, il duca promuove il bello in tutte le forme e ostenta fasto, eleganza, mecenatismo, così gli augusti saloni della reggia cittadina si arricchiscono di raffinati capolavori di oreficeria, sculture, pregevoli legni intarsiati, arazzi, affreschi, dipinti nei quali l’insigne personaggio viene ritratto con le sontuose insegne regali. Nei suoi possedimenti vedono la luce nuove architetture, rivoluzionarie per l’epoca sia nell’aspetto estetico che per la funzionalità della loro destinazione d’uso, gra-

Palazzo Strozzi

zie all’ingaggio degli architetti Giuseppe Dattaro e Antonio Maria Viani. Le giornate a palazzo scorrono piacevolmente grazie alla presenza di nomi altisonanti, basti menzionare Pieter Paul Rubens, Frans Pourbus il Giovane, Claudio Monteverdi, Torquato Tasso e altri illustri personaggi del mondo culturale: tali primati della corte ducale desteranno grande ammirazione tra i sovrani d’oltralpe. La mostra espone capolavori assoluti, tra i quali l’urna in ebano di S. Barbara, la Croce in oro regalata da Papa Clemente VIII, un pendente in oro e gemme, alcuni dipinti destinati alla “Celeste Galleria”, libri, disegni, stampe, manoscritti, realizzati per questo personaggio esuberante, vanitoso, ma dotato di una innata sensibilità per il bello.

VINCENZO GONZAGA

l’arte intorno a te

na quale mezzo divulgativo dell’emancipazione femminile d’oltreoceano rispetto a quella europea: la mostra fiorentina percorre questo ed altri aspetti partendo dalle tele di John Sargent, figura eminente nella vita intellettuale della “Firenze americana” rappresentata da poeti, scrittori, intellettuali, artisti. Questo mondo viene raccontato dalla mostra di Palazzo Strozzi attraverso l’ausilio di tele provenienti da importanti collezioni.

AMERICANI A FIRENZE

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MILANO Palazzo Reale FORLì Musei San Domenico

A

WILDT

rtista erudito e sofisticato, Adolfo Wildt rappresenta la simbolizzazione dell’arte scultorea, che prende forma attraverso la lavorazione di superfici levigate in marmo racchiudente l’evoluzione dello stile secessionista, liberty, gotico, quest’ultimo dominante nella creazione della forma. Tale concezione si rafforza in età matura, non a caso il senso della purezza simbolica diventa assoluto come dimostrano le opere caratterizzate da una elegante sintesi dei volumi, da virtuosismi nella realizzazione dei particolari, da una raffinata interpretazione personale della cultura classica. A tal proposito, l’esposizione presso i Musei di San Domenico raffronta la

e collezioni medicee vantano un numero considerevole di pregevoli opere d’arte, che hanno permesso l’affermazione dello stile fiorentino presso le corti europee, tra le quali si annoverano i famosi arazzi destinati all’abbellimento di regge cittadine, palazzi del potere, ville di campagna. I grandi manufatti colpiscono per la complessità scenica, la cura del particolare, l’utilizzo di fili pregiati d’oro, argento, seta, dalle sorprendenti cro-

16 febbraio 20 marzo 20 maggio 2 giugno 2012 2012

sua magnifica produzione con le fonti d’ispirazione, basti pensare a maestri del calibro di Cosmè Tura, Michelangelo, Bronzino, Canova, De Chirico, Klimt e altri nomi prestigiosi. La maschera, il mito, la musica, la letteratura, influenzano l’inclinazione di Wildt verso la ritrattistica come dimostrano le effigi funerarie o i busti di Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti, Toscanini e altri eroi del tempo: nelle sale dell’austero convento troverete molte di queste creazioni, assolutamente da scoprire!

firenzE Palazzo Pitti firenzE

Galleria degli Uffizi

28 gennaio 3 aprile 17 giugno 1 luglio 2012 2012

I

mie realizzate con colori graduati al fine di creare l’effetto luce-ombra. Soggetti mitologici, biblici, animali, piante, fiori, feste, personaggi di casa Medici e Valois pomposamente agghindati, rappresentano le tematiche magistralmente ideate da abili mani capaci di realizzare trame preziose. Le Storie di Giacobbe, di Fetonte, di Annibale, Cristo davanti a Erode, costituiscono alcuni pezzi pregiati presenti nella mostra degli Uffizi, celebrante la migliore produzione granducale e fiamminga. Molte opere in esposizione ritornano alla luce dopo un lungo restauro, pertanto l’esposizione fiorentina costituisce una appetitosa occasione per gli estimatori di questi delicati capolavori.

LA GALLERIA DEGLI ARAZZI

maggio alla pittura veneta che rivoluziona il concetto di paesaggio nel XVI secolo, caricandolo di una forza espressiva, dove la natura si permea di poesia, la scelta dei luoghi e delle luci aiuta nella percezione del dramma rappresentativo, come dimostrano i dipinti di Giorgione o Giovanni Bellini presenti nelle sale della reggia meneghina con opere di alto spessore artistico. Questa nuova dimensione trova vigore in Tiziano, del quale la mostra ospita L’Orfeo e Euridice, La Nascita di Adone, Tobiolo e l’Angelo, L’Adorazione dei Pastori, capace di definire il rapporto tra paesaggio e realtà, la fusione tra paesaggio e nudità, l’armonia tra paesag-

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fasti della cultura giapponese celebrati attraverso una mostra tutta fiorentina: Palazzo Pitti ospita importanti capolavori dell’arte nipponica in ogni sua sfaccettatura. Lacche, raffinati tessuti, sculture, ceramiche, pitture, calligrafia, metalli, realizzati a cavallo tra il XVI e il XIX secolo ed esposti presso il Museo degli Argenti, ostentano una sorprendente bellezza ispirata alla sintesi concettuale, alla perfezione, alla semplicità, della linea racchiudente spazi coloratissimi o adorni di materiali preziosi. L’esposizione prosegue presso la Sala Bianca della reggia medicea dove trovano dimora originali creazioni del secolo scorso tra tradizione e apertura al nuovo. La mostra si conclude presso la Galleria d’Arte Moderna, permeata dalla suggestioni italiane, in particolare

macchiaiole, per il cosiddetto giapponesismo, basti menzionare alcuni dipinti creati da Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Giuseppe De Nittis, Mariano Fortuny, palesemente intrisi di colori vivaci, dinamicità scenica, rivalutazione della linearità, insomma una chiara ammirazione per un mondo dalle innumerevoli risorse culturali.

GIAPPONE, TERRA DI INCANTI

TIZIANO e la nascita del paesaggio moderno

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gio e personaggio, in tal senso “la veduta rurale” acquista il ruolo di attrice abbandonando quello di sfondo scenico che, da sempre, aveva avuto nella pittura. Palazzo Reale affronta la tematica descritta anche attraverso altri maestri, quali Palma il Vecchio, riproduttore di una natura colorata dal tocco elegante, Cima da Conegliano, autore di appassionate vedute poetiche, Veronese, la cui pittura dorata descrive il panorama veneto quando calano i raggi del sole o l’ombra della sera è imminente, Bassano, sostenitore della realtà umile, Tintoretto, presente in mostra con il celebre Narciso. La grandezza di tali pittori risiede nell’aver saputo imprimere al dipinto una facile lettura dei contenuti dallo stridente impatto naturalistico, in particolare l’esplicazione dei sentimenti attraverso la cura rappresentativa del particolare.


Territorio

Firenze. SS. Annunziata

Opere d’arte per un sepolcro TEXT Paola Ircani Menichini

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a cappella di San Giuseppe della basilica della SS. Annunziata fu edificata nel 1451 con il titolo di San Giuliano. Il patrono, Piero di Filippo da Gagliano, vi fece dipingere da Andrea del Castagno l’affresco del Salvatore e San Giuliano. Estinta la casata nel 1580 e passato il patronato agli Ubaldini, questi vi collocarono una tavola del Gimignani raffigurante la Natività del Signore, che vi rimase fino al 1623 allorché la granduchessa Cristina

dorato, opera di Massimiliano Soldani Benzi di Montevarchi che vi riprodusse a bassorilievo il senatore Francesco e una nave a vele spiegate. Le due iscrizioni commemorative appartengono al canonico Salvini. Altre splendide opere di scultura adornano la cappella.

La cappella di San Giuseppe della Santissima Annunziata di Firenze e il senatore Francesco Feroni 2

di Lorena volle farla sostituire con un quadro di Francesco Curradi rappresentante i Cinque Santi canonizzati allora da papa Gregorio XV. Terminò con una lite l’amministrazione degli Ubaldini. I padri dei Servi di Maria ricomprarono nel 1691 il patronato del-

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la cappella e accondiscesero all’istanza avanzata dal senatore Francesco Feroni, importante personaggio del suo tempo. Nato a Empoli nel 1614 da una famiglia di tintori, il Feroni per gran parte della sua vita aveva svolto a Livorno e ad Amsterdam attività di commercio di grano e meno lodevolmente di schiavi. Collaboratore della Segreteria granducale, dopo il ritiro dal commercio aveva assunto l’incarico di Depositario Generale delle finanze pubbliche, ottenendo il marchesato di Bellavista – Buggiano – nel 1681. Anziano e desideroso di erigere il suo sepolcro nella cappella, il Feroni ne promosse i lavori di ammodernamento che iniziarono il 2 luglio 1691. Vi lavorarono i migliori artisti del tempo. Il disegno fu di Giovanni Battista Foggini e la progettazione iconografica del canonico Anton Maria Salvini. La tavola dei Cinque Santi lasciò il posto a quella del Transito di San Giuseppe assistito dalla Vergine e dal Cristo di Giovanni Carlo Loth originario di Monaco di Baviera. Ai lati furono edificati due sarcofagi ornati da due splendidi medaglioni di bronzo

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La statua di San Francesco sopra uno dei sarcofagi è opera di Giovanni Camillo Cateni di Firenze e quelle della Diligenza e della Fedeltà di Anton Francesco Andreozzi da Firenze e di Isidoro Franchi da Carrara. Sul sarcofago di fronte, il San Domenico appartiene allo scalpello di Carlo Marcellini fiorentino e il Pensiero e la Fortuna Nautica a quello del concittadino Giuseppe Piamontini. Notevoli anche i rapporti di bronzo che ornano le due piccole porte laterali, lavori di Carlo Merlini. I due putti sopra la statua di San Francesco che reggono stemma Feroni invece sono opera di Paolo fiammingo e gli altri due putti sopra il San Domenico di 5 Andrea Vaccà da Carrara. Gli angioletti di marmo nei tettucci della cupola furono eseguiti da Giovacchino Fortini e gli angeli negli angoli da Lorenzo Merlini e ancora dal Vaccà. Al modellatore Giovanni Battista Ciceri di Como è dovuta l’esecuzione degli archi dorati che adornano la cupola, sul modello del Foggini. Al di sotto della mensa dell’altare compare lo stemma della famiglia. La bellissima lampada d’argento lavorata al cesello, del prezzo di 800 scudi, fu appesa nel 1694 nell’arco d’ingresso, a rappresentare la vicinanza alla cappella della SS. Annunziata e alla sue numerose lampade votive. La cappella di San Giuseppe fu aperta al pubblico il 21 marzo 1693; il munifico patrono senatore Feroni morì poco tempo dopo, il 18 gennaio 1696. Lo splendido adornamento barocco fu ricomposto nel 1998 dall’Università Internazionale dell’Arte che restaurò anche l’affresco di Andrea del Castagno. Il Salvatore e San Giuliano oggi è coperto dal dipinto del Loth che però è fissato con una cerniera apribile a sportello e quindi in grado di far vedere l’antico dipinto quattrocentesco.

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1. La visione d’insieme della cappella di San Giuseppe della SS. Annunziata di Firenze. 2. La tela del Transito di San Giuseppe… di Giovanni Carlo Loth (1632-1698). 3. Medaglione raffigurante il senatore Francesco Feroni di Massimiliano Soldani Benzi (1656-1740). 4. Medaglione che rappresenta un veliero. 5. La pregevole lampada d’argento appesa sopra l’arco della cappella. 6. San Giuliano di Andrea del Castagno (1421 ca.-1457).

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andar per Borghi

Territorio

Lucca

Mommio Castello I vicoli che conquistarono il Vate

TEXT&PHOTO Angela Colombini

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iccolo borgo del comune di Massarosa, sorge su un crinale rivolto da un lato alle colline camaioresi, più lontano alle cime delle Apuane, mentre, dall’altro lato appaiono le distese spiagge della Versilia. Divenne paese intorno al XII secolo, quando la signoria feudale degli Ubaldi di Bozzano, eresse un castello, tipico di quel contesto storico: in alto l’edificio principale, ai piedi il borgo, fra l’uno e l’altro la chiesa – oggi Chiesa di Sant’Andrea –: un castello feudale. Mentre nasceva Mommio Castello nasceva anche la Repubblica di Lucca, che nel secolo successivo, per le mire espansionistiche verso il mare, fece rinunciare agli Ubaldi a ogni diritto feudale. Infatti nel giugno 1198 il castello del Meto, località compresa nel territorio di questa frazione, fu teatro di una furiosa battaglia tra gli eserciti lucchesi e pisani e fu distrutto per imporre la dominazione lucchese ai signorotti della zona. Mommio Castello diventò territorio del libero comune di Bozzano della Repubblica di Lucca. La giovane Repubblica si mantenne indipendente, salvo brevi periodi di occupazione fiorentina e pisana, fino al 1799, vale a dire fino a quando le grandi potenze dell’epoca, prima la Francia napoleonica, poi l’Austria asburgica, trasformarono il territorio in Ducato, annesso poi il 4 ottobre del 1847 al Granducato di Toscana.

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fettamente inserite nelle architetture del luogo. Passeggiando così per il selciato, all’ombra della memoria di un antico e imprecisabile castello, scendendo o salendo le strette viuzze che seguono il degradare delle terrazze sulle quali sorse il borgo fortificato, incontriamo antiche case e più nuove costruzioni. Ci sorprende sempre lo scorgere tra un edificio e l’altro del mare, luminoso o rosso nell’ora del tramonto.

Il personaggio

Quando, il 20 settembre 1870, le truppe italiane occuparono Roma, che venne proclamata capitale del Regno d’Italia, Mommio Castello era sotto il comune di Viareggio; con il Nuovo Stato poi nacque anche il comune di Massarosa, del quale tutt’oggi il paese fa parte. Oggi il castello non esiste più, è andato distrutto. Parte delle tracce dei contrafforti sono ancora visibili alla base di alcuni edifici che ne sono la testimonianza, assieme ovviamente alla toponomastica del luogo. Nel punto dov’era ubicato si alza adesso un edificio civile. Alcune recenti interpretazioni convergono a definirlo come casa signorile, ma anche una torre di avvistamento, cinta da una robusta muratura difensiva intorno; mura che per alcuni tratti sono ancora oggi visibili, per-

Per le strade di Mommio Castello più volte passeggiò il poeta Gabriele D’Annunzio che volle dedicare “all’Alpe di Mommio” diversi versi nelle sue Laudi. Alcuni di questi, ripresi dall’inizio del Commiato, dal libro terzo, Alcyone, sono iscritti in una targa di marmo posta sulla piazzola di arrivo al paese, a ricordare le frequenti visite del Vate. Il profondo rapporto di D’Annunzio con la Versilia è stato intenso e proficuo. Il poeta abruzzese amava questi luoghi come si evince dai suoi versi: «L’Alpe di Mommio un pallido velame / d’ulivi effonde al cielo di giacinto / come un colle dell’isola di Same / o di Zacinto. [...]» (Il commiato, Alcyone) oppure «Ma l’alpe di Mommio ha una vesta / di glauco pallore, e la Culla / sta con Montéggioli bianca / sopra un dolce golfo d’ulivi» (composizione XX, primo libro delle Laudi) Versi dotati di un’immagine assai suggestiva e potente, nel suo naturalistico tratteggio di una natura così reale e ugualmente indefinibile.


curiosità La chiesa di Sant’Andrea Protagonista della piazzetta del paese. L’origine della chiesa è molto antica. L’edificio è sicuramente di origine medioevale. Un “dittaggio” popolare vorrebbe che la Chiesa fosse stata edificata dalla contessa Matilde di Canossa. Più verosimilmente da principio, poteva essere cappella del castello e in seguito del paese o di corredo ad un ospedaletto creato per i pellegrini. Internamente è costituita da un’unica navata con altare maggiore e due altari laterali. La sua attuale forma risale agli inizi del XVII secolo. Dopo tale periodo sono state apportate alcune ristrutturazioni che comunque non hanno inciso sulla sua disposizione. All’interno un tabernacolo marmoreo riconducibile a un modello comune a diverse chiese della lucchesia, con motivi decorativi diffusi in Versilia dalla bottega di Lorenzo Stagi collaboratore del più famoso Matteo Civitali. Tra gli arredi e le opere d’arte, una tela a olio di Johannes Imbert, pittore attivo intorno al XVIII secolo, del quale sono presenti in Versilia altri dipinti. La torre campanaria, situata di fianco alla facciata della chiesa medesima, risale presumibilmente al Mille. Il suo basamento è tuttavia di epoca romana.

Madonna della Spelonca

Dal centro del paese si percorre a piedi un viottolo sterrato e dopo circa 250 metri si raggiunge una marginetta con annessa una piccola sorgente, censita dal Comune di Massarosa e inserita nella Strada delle Sorgenti, progetto che indica tutte le fonti di acqua potabile, analizzate e monitorate dal comune. La marginetta, cosidetta della Madonna della Spelonca, ha al suo interno una pittura raffigurante Maria Addolorata che sostiene il Figlio morente. Le sette spade conficcate nel petto della Vergine rappresentano i sette dolori affrontati da Maria. Un piccolo luogo sacro e incantato, molto caro agli abitanti del luogo.

Tradizioni Ogni anno nel periodo pasquale si svolge la passeggiata enogastronomica: un percorso che si snoda dalle prime case del paese, passando per le piane degli ulivi e dal borgo per finire sulla piazza principale. Nel tragitto sono disseminati vari punti ristoro dove gustare le specialità tipiche del luogo dall’aperitivo alla torta pasquale.


Valdarno inferiore

Territorio

le radici

longobarde

della nostra cultura

TEXT&PHOTO Valerio Vallini

U

na volta creata una mappa virtuale del territorio che comprende San Miniato, Santa Croce, Castelfranco e Fucecchio, ripulita con la tecnica del photoshop, da tutto l’intrico delle costruzioni, delle infrastrutture, degli agglomerati urbani che si sono assoprellati o sovrapposti a dir poco dall’inizio dell’Ottocento, si potrebbe avere una certa idea di come potevano essere questi luoghi fin dai tempi dell’alto e pieno medioevo. E se noi potessimo con una web cam inserita in un aliante sorvolare silenziosamente, partendo da San Miniato proprio dal prato della rocca, una fascia di territorio “ripulito” per una decina di chilometri di circonferenza, ci apparirebbero campagne selvatiche, colline aspre non terrazzate, pianure invase dalle golene dei fiumi – vecchi alvei naturalmente - secondo il ritmo naturale delle alluvioni e delle siccità. Dal VI al VII secolo, l’ambiente rurale, con le nuove curtes modellate sulle antiche villae romane, quindi popolato in prevalenza da coloni latini, oppose una resistenza pagana alla penetrazione cristiana fin quando, proprio con la conversione dei Longobardi1, i dominatori si posero al servizio della chiesa, divennero straordinari costruttori di pievi e di oratori, abbracciarono il credo cristiano-cattolico sia per motivi politici ma anche per convinzione profonda e superstizioso timor di Dio2. È noto che la conquista longobarda della Tuscia è stato un processo sostanzialmente ininterrotto dal 572 al 644. Con la fine del VI secolo e gli inizi del VII si consolidò la dominazione longobarda in Toscana e quindi anche nelle nostre zone come riproponiamo in modo analitico, suffragato da una vasta base toponomastica3. Le vie di comunicazione dell’Arno e la direttrice Pisae-Florentia già esistente dal 123 a. C, servirono alla penetrazione delle popolazioni germaniche le quali certamente risalirono, oltre l’Arno4, le valli dei torrenti Era, Elsa e Egola, come dimostra la presenza di numerose località di derivazione longobarda. Qui citiamo soltanto Badia a Elmo, da Adelmo, luogo detto Badia presso l’Elsa a Certaldo; Poggio Alberighi, Fucecchio. Da Alberigo;

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Vadalberi – valle Alboli a Montopoli – da Albolo; Montealprandi, San Miniato, da Hariprand; Vico Asulfi, Castelfranco di Sotto, da Asulf – 956 –; Benni – Torre Benni –, da Benno, San Miniato – Ponte a Elsa, sopra San Genesio –; Montebicchieri, da Bercher – all. a Berchard –, Berrecherius. Mons Becherii. La forma Bicchieri è spiegabile con la sola fonetica: ravvicinamento a bicchiere-i; Monte Pertuli, a S. Maria a Monte, da Berto, Perto; Cicolo, Cigolo da cui Cigoli, San Miniato; Cunighìs, da cui

Balconevisi= Valle Cuneghisi; Dodilo, da cui Montedoduli, pieve di Musciano; Emizio, da cui Ensi, influente dell’Evola; Perulo da cui Valle Peruli, in pieve di Quarazzana, San Miniato; Wall- Walari da cui Vico Walari, S. Miniato; Winizio e Winzo, da cui San Quintino. Importanti sono anche i toponimi di matrice longobarda: Scoccolino. Scocchia, Scolcari, tutti assimilabili, come afferma Salvestrini, al termine skulk, “pattuglia di esplorazione”5, nome compatibile con la posizione di questa area di confine


con i domini bizantini sulle sponde dell’Arno. Molte sono le testimonianze lasciate dai Longobardi anche in Toscana, sui nomi ad esempio, sia di persone che di luoghi. Filicaus e Tanuara sono i primi castelfranchesi di cui sia noto il nome6 . Pescia, nella Valdinievole, ha questa origine. Sono di origine longobarda anche i nomi del lago Scaffaiolo, sul crinale appenninico; la pieve di Spannarecchio a Bussotto; la via di Cafaggio7 a Chiazzano; altri Cafaggio in Vaghera e in Valdegola non lontano da Cigoli; di origine longobarda anche molte parole oggi di uso comune: greppia, panca, scaffale, staffa, stecco, sala (che allora significava casa signorile al posto della domus latina), ma anche “stracanarsi” – nel senso di stancarsi –, e poi tanfo, brace, ciuffo e tante altre! Come abbiamo accennato, nel VII secolo, in piena età longobarda, soprattutto sotto Liutprando8, fu un fiorire di oratori e cappelle costruiti anche da laici e poi assorbiti, per donazioni o testamenti dalla diocesi lucchese, soprattutto dal vescovo Peredeo. Riguardo alle pievi9, che Assumeranno comunemente tale denominazione solo nel secolo IX, ricalcavano in gran parte l’assetto amministrativo degli antichi pagi romani, la prima pieve di cui si ha notizia documentaria nel 715, è quella di S. Genesio in Vico Wallari, ubicata nel comune di San Miniato, alla sinistra dell’Elsa, lungo la Tosco-Romagnola, sorta su un’antichissima villa romana e non è escluso che l’edificio sacro fosse l’erede della chiesetta privata risalente alla seconda metà del VI secolo10. Il Vico di Wallari – dal nome di un funzionario della corte lucchese11 –, conobbe una buona consistenza demografica12. Wallari, come scrive Salvestrini, avrebbe costruito o ricostruito un piccolo e modesto edificio religioso proprio nel vico13. Allora Cigoli era probabilmente una proprietà di un certo Cicolo, in un territorio confinante o vicinissimo alle proprietà dei Cadolingi di Fucecchio.14 La pieve di Fabbrica di Cigoli, nella seconda metà del IX secolo pieve di Fabbrica dei santi Giovanni e Saturnino al Molino d’Egola15, era probabilmente una semplice chiesetta in mattoni crudi e pali di legno che sorreggevano una copertura di laterizi, come molte altre pievi della zona, prima dell’opera di ricostruzione e potenziamento per la promozione a pievi battesimali, ad opera dei vescovi di Lucca. Qui basterà ricordare a grandi linee che nel secolo VIII, la diocesi di Lucca era divisa in cinquanta pievi e si deve ritenere, come afferma L.Nanni, che l’organizzazione plebanale della diocesi lucchese risalga all’età tardo romana. Le antiche pievi dovevano pertanto corrispondere alla configurazione territoriale del “pago” romano anche se tale teoria è contestata nelle sue generalizzazioni salvo puntuali verifiche. Fu dal VIII al IX secolo, che nacquero e si consolidarono le pievi anche nel nostro

dell’XI secolo18 e le sue mura presentano ad oggi una tipologia due-trecentesca. Un diverso discorso può valere per alcune pievi e suffraganee, i cui resti hanno possenti blocchi di pietra alla base e poi mura in laterizi. Sono più che altro pievi e oratori in zone di pianura, come quelle di S. Saturnino, San Genesio, S. Tommaso a Santa Croce sull’Arno e altre, fortificate intorno al Mille, ma esistenti, secondo le fonti scritte, dai secoli VIII e X/XI. Com’è comunemente accettato, la datazione documentaria è sempre posteriore, non si sa di quanto, alla “fondazione” reale delle pievi che molto spesso subiscono battute d’arresto, ristrutturazioni, prima di raggiungere le forme, spesso solo dei resti, attualmente esistenti e visibili all’oggi. L’archeologia – e gli scavi a San Genesio sono eloquenti – potrebbe, laddove è possibile, integrare lacune e fornire risposte.

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territorio. Oltre a quella di San Genesio – 715 – e San Pietro di Mosciano, ricordata nel 746, sono attestate altre tre pievi: San Saturnino di Fabbrica – 867 –, Santa Maria di Quaraziana – 892 –, Santa Maria di Barbinaia – 89816–. “Davanti ai Saraceni si fugge, contro gli Ungari ci si fortifica”. Questo accadeva intorno alla metà del X secolo17. I castelli che sorsero nel nostro Valdarno: da Montopoli a Santa Maria a Monte, a Leporaja a Cigoli, furono costruiti sotto la paura delle scorrerie ungare? La documentazione relativa all’ edificazione dei nostri castelli lo nega senz’altro. Solo per fare qualche esempio, risale al 1026, una carta lucchese dove si nomina Leporaja come castello vicino a Montebicchieri Dini; nel 1081 è nominato il castello di Stibbio dei conti Cadolingi. Cigoli è ricordato nell’ultimo ventennio

Note: 1. Ufficialmente nel 653 sotto Ariperto, ma favorita dall’opera di Gregorio Magno con l’appoggio di Teodolinda moglie di Autari e poi di Agilulfo (già da qualche anno convertita al cattolicesimo). 2. Rituale la formula che accompagnava le donazioni fatte alla chiesa: “pro remedio anima mea”. 3. S. Pieri, Toponomastica della valle dell’Arno, Arnaldo Forni Editore, Roma, 1919, pp. 201-223. 4. N. Rauty, Il regno longobardo e Pistoia, Pistoia, Società Pistoiese di Storia Patria, 2005, p.117. Le notizie relative ai Longobardi come costruttori di imbarcazioni (artificies ad faciendum naves), si trovano nella Historia di Paolo Diacono al tempo del re Agilulfo. 5. F. Salvestrini, San Genesio, la comunità e la pieve fra il VI e il XIII secolo, p. 33, Firenze University Press, 2010, in Vico Wallari, San Genesio, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini. 6. G. Ciampoltrini e R. Manfredini (a cura di), Castelfranco di sotto nel Medioevo. I segni dell’Auser, 2010, p. 11. 7. N. Rauty, op. cit, p.111, Cafagio nel significato di selve recinte. 8. N. Rauty, op. cit, n. 11-12, p. 55; Liutprando, che riscattò le spoglie di San Agostino cadute in mano ai Saraceni, si definiva principe cristiano e cattolico. 9. A. Malvolti, Erba d’Arno, a. 1981, n. 5, p. 75. 10. F. Salvestrini, San Genesio, op. cit., pp. 34-35. 11. F. Cantini, Vico Wallari, Borgo San Genesio, in Vico Wallari, San Genesio, op. cit, p. 93. 12. Ibidem. 13. Ibidem p. 32. La pieve come emergerà dagli scavi diretti dal Dr. Cantini, è il frutto di una ricostruzione avvenuta verosimilmente verso la metà dell’VIII secolo quando si decise di promuoverla a pieve battesimale nel 763. 14. I Cadolingi erano una famiglia di origine longobarda. Vedi A. Malvolti, Il monastero di San Salvatore. 15. La prima pergamena in cui si nominano un nucleo abitato: il villaggio di Fabbrica e la sua pieve, risale all’anno 770, quattro anni prima della fine del regno longobardo ad opera di Carlo re dei Franchi. Si parla di un atto con il quale Peredeo, vescovo di Lucca, conferma una donazione di beni fatta tre anni prima (767) dal prete Liutprando al figlio di Pertulo da Fabbrica, alla chiesa di San Dalmazio. Siamo quindi agli ultimi atti del dominio longobardo che tuttavia anche dopo l’occupazione carolingia, mantenne nella zona, per quasi mezzo secolo, una notevolissima influenza politica e culturale. 16. F. Cantini, op. cit, p. 98. 17. L. Salvadori, La Storia, in La Biblioteca di Repubblica, p. 271. 18. (P. Morelli), Le colline di San Miniato Castelli e signorie immunitarie fra il X e XII secolo, p. 106. Il castello di Cigoli è ricordato nelle fonti archivistiche (Asl diplomatico, Santa Giustina).

1. La torre di Cigoli 2. L’oratorio di Cabbiano 3. La pieve di Barbinaia 4. San Genesio

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Fucecchio

in

Territorio

del

attesa

alio

TEXT Carlo Paci PHOTO www.0571foto.com

I

l Palio di Fucecchio, a metà tra rievocazione storica e appassionante competizione tra contrade. Un tuffo nel medioevo, dove affondano le radici dell’evento, che colora le vie e le piazze del centro e delle frazioni per settimane in attesa del grande giorno, quello nel quale si decide chi porterà a casa l’ambito Cencio. Il drappo, simbolo del Palio, ogni anno viene realizzato da un artista di fama nazionale. Chi non ha mai vissuto l’atmosfera del Palio non può comprendere con quanta tensione, quanta partecipazione i contradaioli attendano la penultima domenica di maggio – quest’anno si corre il 20 –. La tradizione del Palio a Fucecchio è stata ripresa agli inizi degli anni ’80, esattamente nel 1981, quando il Gruppo Donatori di sangue FRATRES, organizzò la prima edizione. Nel corso degli anni il timone della gara è passato all’amministrazione comunale fino a raggiungere l’assetto attuale con la direzione dell’Associazione Palio delle Contrade Città di Fucecchio, guidata da un consiglio d’amministrazione composto da cinque persone. Il Cda è presieduto dall’avvocato Massimo Billi, che il Palio aveva già seguito in veste di assessore nella passata legislatura, da Moreno Bozzi, impegnato anche nello sport come presidente dell’AC Giovani Fucecchio, da Claudio Giovannelli, che rappresenta la continuità con il precedente Cda, dalla professoressa Anna Maria Lotti, insegnante di musica e fondatrice della Compagnia della Bizzarria d’Amore, e da Alessio Spinelli, attuale assessore con la delega al palio delle Contrade, oltre che a sport e bilancio. È proprio Alessio Spinelli a parlarci della manifestazione 2012. «Quello di Fucecchio – ci racconta – è oramai a tutti i livelli uno dei palii equini più importanti in Italia, poichè vi partecipano oltre 10 mila spettatori, Fucecchio è al pari di Ferrara, Asti e Legnano. La corsa è quella che smuove le passioni più grandi, ma il Palio di Fucecchio non è una semplice corsa di cavalli. La sfilata storica della mattina, con oltre mille figuranti, ad esempio, è una delle più imponenti d’Italia. Ma la cosa che mi preme maggiormente sottolineare

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L’assessore Alessio Spinelli con Daniele Masala mossiere al palio edizione 2011

è che il Palio di Fucecchio non è una manifestazione fine a se stessa. Intanto ha un valore aggregativo importantissimo: centinaia di contradaioli, soprattutto ragazzi, si riuniscono tante volte durante l’anno per organizzare gli eventi e i lavori della contrada in vista del palio. Oltre a questo poi è opportuno ricordare che al palio si affiancano tanti eventi di carattere sociale, culturale e sportivo: dal torneo di calcetto delle Contrade che richiama miglia di spettatori al palazzetto dello sport, al “Palio in Gioco”, con i bambini delle scuole elementari che rievocano gli antichi giochi, alla festa dei musici e degli sbandieratori che si tiene la domenica successiva a San Candido – il patrono di Fucecchio che cade il 3 ottobre». Le corse dei cavalli, invece, non si limitano alla giornata del Palio. Già a marzo e aprile i contradaioli entrano nel clima della gara vedendo quelli che potrebbero essere i protagonisti del Palio in alcune corse organizzate proprio per valutare i cavalli. Si

tratta delle Corse di Primavera, quest’anno in programma il 18 marzo e il 29 aprile, e del Gran premio di Pasquetta che si correrà lunedì 9 aprile. Tutte le gare, così come la corsa del Palio, si corrono sull’anello in terra battuta di forma ellittica che si trova nella Buca del Palio, un’area a verde adiacente Piazza Aldo Moro. La corsa: Il regolamento della corsa, pur correndo sempre in senso orario, è variato nel corso degli anni: prima si effettuavano tre batterie da quattro cavalli con la finale a sei e la partenza in linea e con i cavalli purosangue ingaggiati direttamente dalle Contrade; a partire dal Palio straordinario del 2000 si è passati a due batterie da sei con la finale a otto e la rincorsa. L’ultima contrada estratta dà la partenza, al momento che entra tra i due canapi, sul modello di Siena. A partire dal 2002 poi si è passati all’utilizzo di cavalli mezzosangue. Le contrade: Il territorio comunale è stato suddiviso in dodici Contrade, sette nel capoluogo (Sant’Andrea, Porta Bernarda, Porta Raimonda, Ferruzza, Borgonovo, Querciola e Samo) e cinque nelle frazioni (Massarella, Torre, Cappiano, Botteghe e San Pierino). Le Contrade sono il punto principale di aggregazione del territorio. I consigli direttivi delle contrade sono composti complessivamente da circa 500 persone. Le Contrade hanno un Presidente che le rappresenta negli incontri con il Consiglio, un Capitano che ha la responsabilità diretta della Corsa e che comanda la Contrada nella settimana del Palio. Vi sono poi una serie di commissioni e responsabili delle varie aree – gadget, stalla, manifestazioni, giovani etc –. Tutte le Contrade hanno un proprio gruppo musici e sbandieratori al quale mettono a disposizione uno o più insegnanti. Organizzano vari eventi – cene a tema, spettacoli, battesimi dei Contradaioli, corse di pony ed asini all’interno dei propri territori –. Il sabato precedente il palio viene effettuata la benedizione pubblica del cavallo e la Cena della Vigilia, organizzata in ogni Contrada alla presenza del fantino e dei rappresentanti della Contrada con cerimoniali molto suggestivi.


Alle cene partecipano complessivamente circa 6.000 persone. La settimana del Palio: Il martedì mattina precedente la domenica del Palio si effettuano, presso il Centro Ippico di Torre in, le visite dei cavalli iscritti alla Corsa; i veterinari dell’associazione, basandosi su un Protocollo Sanitario, visitano accuratamente tutti i cavalli per controllare l’idoneità fisica degli stessi a partecipare alla corsa. Tutti i cavalli vengono sottoposti a controllo antidoping presso l’Università di Pisa. La sera nella suggestiva cornice di Piazza Vittorio Veneto si svolge la presentazione

do in sorte il cavallo più forte. Le Contrade nominano un Fortunello, soggetto che deve, nelle intenzioni delle Contrade, portare in sorte il cavallo vincente; appena estratto sul dorso del cavallo viene montato un manto con i colori della Contrada da parte del Fortunello e ritirato dal “Barbaresco”, la persona addetta ad accompagnare il cavallo all’esterno della piazza seguito dai contradaioli, il tutto con boati di esultanza o delusione in base alla presunta capacità del cavallo assegnato. Il giovedì e venerdì pomeriggio vengono effettuate due prove non competitive all’interno della Buca d’Andrea con fantini recanti i colori della Contrada e i cavalli assegnati. I cavalli non possono essere sostituiti mentre i fantini possono essere cambiati fino al sabato mattina. Il sabato mattina presso la Limonaia di Palazzo Corsini viene effettuata la cerimonia di iscrizione dei fantini. I presidenti accompagnati dal Gruppo Musici e Sbandieratori della Contrada salgono sul palco della Limonaia insieme al fantino che viene iscritto alla corsa e riceve il giubbino con i colori della Contrada. La domenica mattina poi è il momento del grande corteggio storico con ogni Contrada che sfila per le vie della città. In totale sono oltre mille figuranti in costume in un’ atmosfera veramente suggestiva che da Viale Gramsci, passando per Corso Matteotti, raggiungono il centro storico fino a Piazza Vittorio Veneto. del “Cencio”, il drappello dipinto che sarò assegnato la domenica alla Contrada vincitrice. Tutte le contrade entrano con le loro piccole squadre di musici e sbandieratori sulle scalinate della Chiesa della Collegiata e al termine l’artista che ha dipinto il Cencio lo consegna al Sindaco. Il mercoledì pomeriggio vengono effettuate all’interno della Buca, le corse non competitive tra i soggetti idonei. Al termine i Capitani delle Contrade selezionano i 12 cavalli che correranno il Palio. La sera in Piazza Montanelli si svolge la “Tratta”, cioè l’assegnazione a sorte dei cavalli alle Contrade. Tale sistema permette anche ai soggetti economicamente meno forti di poter sperare nella vittoria riceven-

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p C

reparativi in ontrada

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bbiamo incontrato Francesco Cinelli, artista fucecchiese, neo coreografo della sfilata storica della nobile contrada Massarella e con lui il responsabile di sfilata Paolo Oliva. Cinelli ha saputo far comprendere il suo obiettivo di come “dare voce alla sfilata storica” descrivendoci i momenti che hanno trascorso lui e tutte le persone coinvolte nel gruppo di lavoro legati da un unico “filo conduttore”che anima la vita in contrada per un anno intero. È stato proprio grazie a questo entusiasmo che le sarte con grande maestria hanno cucito l’abito che porta lo scudo di apertura nella sfilata, che le ha unite in un gruppo lavorando con passione e diletto, che le ha coinvolte nella scelta dei tessuti per realizzare al meglio i settanta costumi per la manifestazione del Palio che si tiene ogni anno a fine maggio nella città di Fucecchio. Abbiamo visto le immagini dei costumi, c’è un ritorno ai colori originari della contrada? Esattamente. È stato uno dei primi obiettivi prefissatomi. La scelta di tornare ai colori originari rosa e azzurro mi entusiasmava, non più blu e fuxia come negli ultimi anni erano stati trasformati. I colori ufficiali che inizialmente hanno creato difficoltà nell’armonizzazione dei tessuti grazie a una forte determinazione, seguita da uno studio approfondito sulla tonalità, ci ha permesso di realizzare costumi storici di un elegante effetto cromatico dal sapore “nuovo”. Volevo chiederle come nasce e come si sviluppa il tema della sfilata? Si fa una ricerca presso archivi, musei, si con-

TEXT Nella Briganti PHOTO Nicola Cioni, Alfredo Sabatini

sultano volumi storici in collezioni private, si ascoltano le diverse opinioni dei contradaioli e tramite l’assemblaggio dei diversi studi fatti si pianifica il gruppo-lavoro. Viene fatta una scelta accurata degli abiti secondo modelli originali, si curano in maniera dettagliata gli accessori, le acconciature, i colori, i tessuti, il taglio dei modelli dei costumi e infine i figuranti. Importante è la scelta delle persone che interpretano i personaggi della storia rappresentata. Infine si studiano le posizioni dei figuranti da tenere in corteo. Il risultato finale è senza dubbio di grande impatto emotivo, perché corona il lavoro svolto di tante persone che, con passione e impegno lavorano per vivere al meglio l’atmosfera paliesca. A fronte di un notevole sforzo economico e umano da parte della contrada, si arriva piano piano alla creazione della sfilata storica: i costumi e la coreografia. Riguardo ai preparativi avete intenzione anche quest’anno di aggiungere o modificare alcuni costumi? Il corteo prevede circa novanta figuranti. Quest’anno come novità ci saranno i tamburini del gruppo musici che ho dipinto con l’aiuto di alcuni ragazzi di contrada.Saranno presenti alcuni figuranti della compagnia medievale “La vergine di Ferro” di Livorno. Abbiamo realizzato costumi nuovi e tante altre sorprese, ma preferisco non dare troppe informazioni per il momento. Francesco Ci-

nelli si afferma molto entusiasta del successo riscosso alla presentazione della nuova sfilata prossima avvenuta presso la sede ufficiale della contrada Massarella, dando sfogo agli applausi e alle congratulazioni dei contradaioli presenti. Cinelli sottolinea l’importanza dando voce al più prezioso contributo per la riuscita della sfilata, le sarte. Ringrazia ufficialmente la sartoria capitanata da Licia Baronti con Luciana Morini, Liliana Morelli, Renata Tesi, Daiana Derosa, Carla Tacchi,Giancarlo Tesi, Fedora Puccioni, Zota Aurelia Elena. La fiducia da parte del presidente David Giuggiolini e di tutto il CDA riguardo l’impegno del gruppo storico e del lavoro svolto ha come obiettivo quello di esaltare non solo le capacità e le potenzialità di una contrada, ma anche quello di voler aprire i cuori delle persone, come ha sottolineato l’Assessore al Palio Alessio Spinelli: «progetti come questi valorizzano la manifestazione del Palio di Fucecchio».

Territorio

Il corteo storico: un mondo straordinario



Mario

aponi

NOTIZIA Mario Caponi (19.02.1923 - 26.01.2011) è stato un cittadino di rilievo, nato e cresciuto San Miniato, nel 1942 aveva conseguito il diploma magistrale presso l’istituto Giosuè Carducci e svolto la professione di funzionario alla Cassa di Risparmio di San Miniato, di cui ne è stato socio della Fondazione dal 1993 al 2009. Eletto nelle liste di Democrazia Cristiana, è stato consigliere comunale dal giugno 1980 al maggio 1990, inoltre aveva ricoperto il ruolo di Governatore dell’Arciconfraternita della Misericordia di San Miniato, Consigliere dell’Accademia degli Euteleti, Consigliere della Casa di Riposo “del Campana Guazzesi”, non che Presidente dell’assemblea dei soci della Fondazione Istituto Dramma Popolare. È infine stato nominato Cavaliere della Repubblica Italiana.

TEXT a cura di Ada Neri

Territorio

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San Miniato

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un anno dalla scomparsa, la città di San Miniato ha voluto dedicargli una cerimonia pubblica per presentare le sue tavole pittoriche. Mario Caponi, appassionato di storia cittadina, nel corso dei suoi 88 anni ha incorniciato con vari dipinti, luoghi caratteristici di San Miniato; palazzi, panorami, piazze e scorci che esaltano l’amore che aveva per la sua città. Nella cerimonia il Sindaco lo ha ricordato come un uomo mite, saggio e rispettoso, sempre dedito al “bene comune”, un uomo che non si è mai definito artista, tanto che i suoi acquerelli sono stati per molto tempo oggetto di cartoline che lui stesso utilizzava per gli auguri di natale, da spedire a parenti e amici. Le tavole pittoriche da lui eseguite sono testimonianza di questa sua grande capacità nel cogliere e incorniciare i luoghi più in vista, ma anche quelli più nascosti a cittadini e turisti di San Miniato; proprio per questo è stata fatta una raccolta, dove sono state individuate quattro delle immagini più caratteristiche tra i suoi numerosi disegni: Piazza Buonaparte e la Chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco, con la sua caratteristica forma triangolare, nei secoli ha assunto vari nominativi, ma ricordata da tutti come piazza dei polli, per il mercato che si teneva. Palazzo del Seminario sui cui sono ancora presenti i dipinti riportanti le sentenze dei Padri della Chiesa e a piano terra esistono ancora oggi le porte delle botteghe artigiane con la caratteristica forma a T; Palazzo Comunale e Oratorio del Loretino, quest’ultimo

prende il nome dall’immagine della Madonna di Loreto che fu posta sopra l’altare della Cappella del Palazzo Comunale, che fu invece sede dei 12 Difensori del popolo; negli anni si sono susseguite varie ristrutturazioni , ma all’interno si possono ancora ammirare gli affreschi del XIV e XV secolo. E infine la Rocca, simbolo della città, fu fatta costruire da Federico II, da cui prende il nome, quando San Miniato nel 1217 fu scelta come sede dell’amministrazione delle finanze imperiali dell’Italia e della Tuscia. Distrutta nel 1944 dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, fu ricostruita fedelmente nel 1958. Grazie al contributo economico della “Conceria Montana” di Ponte a Egola, è stata possibile la realizzazione delle 2000 cartelle, 45x30, contenti le quattro stampe in quadricromia, impresse dalla Tipografia Bongi di San Miniato. «Era un progetto di cui avevo parlato con lo stesso Caponi» ha ricordato il sindaco Vittorio Gabbanini e grazie alla collaborazione della moglie Maria è stata possibile la realizzazione. Le cartelle rappresentano un messaggio di benvenuto, saranno infatti distribuite agli sposi che celebreranno le nozze in municipio e alle delegazioni straniere in visita a San Miniato, un modo per non dimenticare uno dei nostri cittadini più rilevanti e per esaltare paesaggi e storia della nostra città. (Foto concesse dall’ufficio stampa del comune di San Miniato) Nelle foto: in alto il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini alla cerimonia di presentazione delle tavole pittoriche di Mario Caponi; a sinistra Vittorio Gabbanini e Maria Caponi.

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luce iazza sulla

TEXT&PHOTO Domenico Savini

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a prima cosa che vede, affacciandosi alla finestra, chi ha la fortuna di vivere in Piazza Santo Spirito, sono i fiori e la frutta di Rosa e Marcello. Rosa è come la fatina buona delle fiabe, quella che anche il più rigido degli inverni (vedi questo) rallegra gli occhi e il cuore coi primi rami di mandorlo fiorito o di mimosa. La sua frutta è quella del suo podere che, come da copione si chiama “Le Rose” e rosa dei fiori ci piace chiamarla. Rosa dalle belle rose e dalla bella figlia. Marcello con suo figlio Stefano sono tra i personaggi più amati e conosciuti di Santo Spirito e non solo. Da sessantacinque anni la sua famiglia vende frutta e verdura ottime, nello stesso punto della piazza, da quando suo padre, soprannominato scherzosamente “chiodo”, iniziò con il carrettino prima, motorizzato poi, diventò uno dei protagonisti di questa San Frediano e Santo Spirito che è la parte più vera, ancora più autentica della città. E poi il caffè Ricchi, anche questa una famiglia presente da oltre cinquant’anni, con caffè, ristorante e tabaccheria. A seguire il Civaiolo; il bar Volume l’ultima moda delle notti fiorentine; la mitica pizzeria ristorante Borgo Antico, l’altrettanto celebre Cabiria. Tutto è semplice e familiare; il giornalaio, il farmacista, che si è dimostrato essere poi anche ottimo musicista; la deliziosa cartolaia della “scar-

Territorio

Firenze piazza Santo Spirito

toffia” assistita dalla sua bambina che noi amiamo chiamare scherzosamente “la piccola principessa”. Negli ultimi anni si è imposto con simpatia e professionalità Pasquale Maruca inventore di Gustapanino che ha guidato coi fratelli e l’amico Juan. In seguito al grande successo di Gustapanino è nato anche Gustapizza, con ingresso su via Michelozzi, con la collaborazione dei giovani Andrea ed Eduardo. I mercatini della seconda e terza domenica di ogni mese fanno rivivere questi luoghi anche nei giorni festivi. E come non parlare dei cari padri agostiniani, padre Ivan che raduna alla bella messa della domenica mattina “vasta massa di popolo” per sentire le sue profonde prediche, o meglio lezioni di teologia. E poi la festa di Santa Rita nel mese di maggio, con la chiesa che si riempie di rose benedette e quella della Beata Giulia da Certaldo, a febbraio. Negli anni ‘50 un bel film americano ambientato a Firenze, aveva la sua scena conclusiva ambientata proprio in questa piazza. Per vederla, o meglio sentirla vivere, bisogna aspettare certe mattine molto presto in primavera o in estate, quando aprendo la finestra, il cielo diventa blu sempre più chiaro, non si sentono voci umane ma solo i suoni della natura. A poco a poco si illumina la facciata della chiesa: luce sulla piazza.

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Qualità, professionalità e una garanzia firmata

Tecnologia e reatività C N

el 1973 Elio Grasso compiuti gli studi di specializzazione conciaria, avvalendosi delle nozioni teoriche apprese, nonché dell’abilità pratica già acquisita, iniziava una carriera che lo avrebbe portato giovanissimo a fondare la propria conceria. Inizialmente la produzione si basava su mezzi vitelli adatti per pelletteria e calzatura. A metà degli anni ’80 Elio decide di cambiare la produzione: la calzatura si fa con il vitellino al vegetale. La scelta è arguta e ben calcolata: la Mangusta Pellami diviene una delle concerie piu grandi e con le tecnologie più avanzate di Santa Croce sull’Arno. Nel 1998 nella società entrano anche le giovani leve: il figlio di Elio, Andrea, dopo essersi diplomato come perito chimico, affronta un lungo stage presso un’industria chimica, per consolidare la propria formazione come conciatore e portare in azienda le proprie capacità, i freschi studi e la creatività di un giovane intraprendente. Nello stesso anno la produzione torna a utilizzare il mezzo vitello da calzatura e pelletteria: il tempo del vitellino al vegetale è finito. Nel 1999 entra in azienda anche il secondo figlio di Elio, Luca: l’azienda è al completo per un lavoro di squadra che si appresta a durare nel tempo e nelle generazioni. Oggi la conceria Tecnologie Mangusta Pellami srl è una solida realtà di Santa Croce sull’Arno con una produzione di mezzi vitelli per calzatura e pelletteria e mezzi gropponi per cintura. Una conceria giovane e dinamica, che sta al tempo con le tecnologie e le nuove trattazioni conciare. Capace di soddisfare ogni esigenza del cliente con una produzione che si rivolge al mercato mondiale con pellami per la produzione di borse, cinture e calzature sia per l’uomo che per la donna. La produzione principale è costituita da mezzi vitelli prontomoda, mentre un secondo settore dell’azienda è dedicato alla produzione da mezzi gropponi per cintura: lisci, abrasivati, lisci nappati, articoli invecchiati ed ingrassati. La conceria è sempre sul mercato, partecipando alle principali fiere mondiali del settore pellami: Linea Pelle - Bologna - e a fiere internazionali quale ad esempio quella di Parigi. Il prossimo appuntamento è a Bologna.

Stand D51-D53 Pad. 16

Conceria dal 1973 Tecnologie Mangusta Pellami s.r.l. viale Antonio Meucci 6 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 33436 - Fax 0571 381661 tecnologiemangusta@interfree it www.tecnologiemangusta.com


Leon Battista Alberti

albori conciaria scienza della

Storia

gli

TEXT Gustavo Defeo

L

eon Battista Alberti (Genova, 18 febbraio 1404 - Roma, 20 aprile 1472) è stato architetto, scrittore, matematico e umanista crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo. Un prototipo del poliedrico uomo rinascimentale che eccelle in svariate discipline a parità di merito. Frequentò personaggi rilevanti nelle arti e le scienze dei suoi tempi come Filippo Brunelleschi – con cui cementò le basi dell’architettura rinascimentale –, Donatello, il Masaccio – che lo ritrasse –. Lavorò al servizio dei committenti più importanti dell’epoca: il papato, gli Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, i Malatesta a Rimini. Tra le sue opere architettoniche si contano la Basilica di sant’Andrea a Padova, la chiesa e chiostro di Santa Maria Novella, Palazzo Rucellai a Firenze, tra altri capolavori. Come scrittore, dettò i canoni teorici che guidarono gli artisti dal rinascimento in poi, quali De statua dove definisce le proporzioni del corpo umano, De pictura dove definisce per la prima volta e in modo scientifico la prospettiva e, forse il suo capolavoro assoluto, De re aedificatoria dove definirà principi fondamentali dell’architettura moderna. Vorrei soffermarmi su un piccolo particolare della Summa delle opere di Alberti: un frammento della sua opera scritta in lingua volgare: Opuscoli Morali, nel libro terzo De Principe. In questo frammento, si dimostra l’amplissima visione filosofica che porta Alberti a considerare se la concia delle pelli fosse una scienza. Quest’opera fu edita postuma, dal notissimo matematico, diplomatico, filologo e umanista Cosimo Bartoli

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– 1503 -1572 – chi durante la sua vita tradusse dal latino al fiorentino diverse opere dello stesso Alberti. Si tratta di una discussione filosofica, dove dialogano Apollo e Socrate, e dove, senza entrare in dettaglio del processo stesso, si discorre su come avrebbero scelto il cuoio perfetto per un paio di buone scarpe. L’attributo di Scientia alla concia delle pelli desta curiosità, se consideriamo che tre secoli dopo nella seconda metà del settecento, la rinomata Encyclopédie Diderot & D’Alembert si riferisce alla lavorazione della pelle come Art du Cuir. Ecco la trascrizione di un frammento del testo in volgare fiorentino:

“…Vieni un poco quà, o Maestro, dimmi un poco se ci ti vien fantasia di voler fare un paio di buone scarpe, non penserai tu che ti bisogni per farle, havere il cuoio che sia perfetto, penserò che mi bisogni, disse colui. Socrate alhora, piglierai tu gli disse per farle qual si voglia cuoio che ti venga alle mani, o giudicherai, che sia bene scerne dei molti che tu harai, uno che sia de migliori? Giudicherò, disse, che sia bene scerne uno. Socrate alhora, in che modo, disse, conoscerai tu che quel cuoio sia buono, non anteporrai tu a gli altri quello, che mediante la esperientia, ti parrà piu accomodato, & piu a proposito? Con farne comparatione, & similitudine, accioche tu esamini ben questo tuo, & conosca quel che manchi a questo, & a quello altro, & quel che questo altro habbia di piu? Anteporrolo, disse colui. Socrate alhora, Et colui che fece quel cuoio si ottimo, crediamo noi che a caso, o pur con scientia habbi saputo fare, che quel tale cuoio non habbia difetto alcuno? Crederò disse lo artefice, che la sua sia stata scientia. Et quale scientia, disse Socrate sarà stata quella che gliene harà fatto fare, forse quella che egli si harà acquistata, & mediante lo uso, & mediante la esperientia del fare i cuoio? Quella crederò io, disse lo artefice. Forse, disse Socrate, che cosi come tu nello sceglierlo ti servivi delle comparationi, & delle similitudini, si sarà servito anco il Coiaio nel farlo delle comparationi, & delle similitudini, facendo comparationi delle parti alle parti, & dello intero allo intero, fino a tanto che il cuoio, che egli era per fare, venisse a corrispondere in tutto & per tutto alla perfettione, di quel suo cuoio che costui haveva nella memoria, o propostosi nella mente di voler fare ...”

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1. Le Tanneur, travail du Rivière dalla Encyclopédie di Diderot & d’Alembert, Art du Cuir. 2. Ritratto di Cosimo Bartoli tratto dalla sua opera “Discorsi historici universali”. 3. Masaccio – Ritratto di Leon Battista Alberti.

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Lo scaffale dei poeti

Pascoli G iovanni

(1855-1912)

TEXT a cura di Valerio Vallini

N

el centenario della morte di Giovanni Pascoli il prossimo 6 aprile, abbiamo chiesto per Reality, al poeta Marco Cipollini, ultimamente insignito del premio Stella dell’arte e profondo conoscitore della poesia di Pascoli, un’intervista che lui gentilmente ci ha concesso. Perché preferisci i Poemi conviviali al posto delle sempre citate Myricae? Ti confesso che, penso al pari di molti (dei pochi) lettori di Pascoli, ne reggo a stento la visione mollicciamente luttuosa e nichilista della vita, la diuturna lagna esistenziale, la regressione psichica, vedi i rapporti morbosi con la sorella, insomma quelle cose lì. Sull’altro piatto della bilancia pongo la sua immensa capacità espressiva e poetica, che mi desta un’ammirazione sempre rinnovata, e per la quale un poeta italico che non sente di dover imparare alcunché da Pascoli mi puzza di bruciaticcio. Ora, per me il suo libro più riuscito — ce ne sono anche di mal riusciti — in quanto meno risente del lacrimatoio autobiografico – ma il Pascoli è un mostro di mimetismo e lo insinua dappertutto, anche nelle virgole –, a parte la superba poesia latina, è appunto i Poemi conviviali, con il suo organico svolgimento tematico di mito e di storia; è dunque un poema a episodi realizzato con un’oggettività più salutare della sua lirica pura. Su testi quali Gog e Magog, un capolavoro ante litteram spengleriano, metto la mano sul fuoco affermando che sono la guglia suprema della poesia simbolista europea e, mi spiace per i francesi, i tedeschi, gli inglesi, i russi, gli spagnoli e quant’altri. E i provincialotti nostrani. E l’eredità letteraria del Pascoli come la giudichi? Pascoli fu apprezzato da grandi lettori anche all’estero, ma ovviamente non dai non italofoni, in quanto è un autore che non si può tradurre. (Fu anche detestato, da Carducci, da Croce e altri, refrattari alla sua sensibilità scivolosa e umbratile.) Quanto a novità linguistica ha senz’altro influenzato alcuni dei nostri poeti maggiori del ’900. Volendo fare un paragone, D’Annunzio non è un simbolista, come invece si sente dire al mercato, ma, casomai, un tardoromantico con un superego ciclopico, che usa ancora una parola piena e frontale. A parer mio, ha influenzato

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come prosatore d’arte (per es. il Notturno, di cui tutti si sono allora nutriti) piuttosto che come poeta; o meglio, Maia fu imitatissimo quanto a verso libero; ma Alcyone fu e resta mirabilmente inimitabile. Pascoli, al contrario di lui, è simbolista nelle viscere, pervicacemente obliquo quanto a psiche e espressività. Il suo linguaggio analogico e allusivo sta alla base del successivo Ermetismo, ben più del conclamato Mallarmé, sebbene questa discendenza non sia stata ammessa dai provincialotti nostrani che di Pascoli un po’ si vergognavano. Certamente non piaceva a Montale, che però con l’ermetismo non ha niente a che fare, o con poeti di chiaro ambito cattolico. Ma a parte la sontuosa e cangiante stoffa linguistica, sforbiciata e riusata da molti nostri lirici, è il taglio dei suoi vestiti, strenuamente classico nella struttura metrica, anche se sminuzzato nella sintassi, che non fu più di moda. Di colpo dopo di lui crollò una tradizione di cinque secoli. Oggi, poi, si spiega da sé perché il magistero pascoliano sia assente dalla nostra lirica attuale. Spiegalo meglio tu. La “callosa” sensibilità contemporanea, parlando in generale, è calibrata sul telequiz, vuole il tutto-e-subito, detesta la riflessione, l’auscultazione, la stratificazione millenaria delle grandi culture, pretende un lessico standard, usa-e-getta. Questo superficiale modo di vedere, direi retinico, nasce e si sviluppa nella seconda metà dell’800. Il suo rapido evolversi si scorge bene in pittura con i Macchiaioli, per esplodere con gli Impressionisti: il quadro va colto con un colpo d’occhio, non c’è nulla da approfondire, la verità è solo fenomenica e si attua nell’istante. E ciò valga poi per Van Gogh, Picasso e tutti gli altri. In poesia il cambiamento fu più lento, la tradizione lirica pesava di più di quella pittorica. Il discrimine fu l’inizio del ’900, e poi lo smottamento avvenne con il primo dopoguerra e, dagli anni ‘30 in poi, almeno in Italia, è stata una slavina… Il linguaggio poetico si è sempre più banalizzato, vale più la sensazione che il pensiero, la visione del mondo si è fatta solipsistica; insomma si esigono risultati immediati e democratici: ecco le centinaia di migliaia di pseudopoeti, lucroso gregge degli pseudoeditori. Oggi,

finalmente, siamo alla raschiatura del fondo: proprio non c’è più nulla. Mi fanno ridere i mass-media con il ritorno in auge della poesia. Si apprezza la lirica da foglietto dei Baci Perugina, guai a durare fatica! Si stravende un autore, se ne parla in TV, un personaggio pubblico, ma anche qui il pubblico si dimostra gregge acritico. Il fatto è che Pascoli non è un poeta semplicemente colto, bensì mostruosamente colto, con tremila anni di storia alle spalle e, questo anche nelle poesiole fatte un tempo imparare a memoria alle scuole elementari (morbidoso-morboso com’è, dev’essere vietato ai fanciullini, che influenza anche inconsciamente!). Non credo nemmeno io di essere capace di penetrare a fondo diversi suoi testi, a meno di non disporre di un’adeguata protesi filologica. Quanto a fruibilità pubblica, quindi, Pascoli è un autore morto, splendidamente cadaverico. Un classico, per l’appunto. Oggi si assiste a un diffuso, non so quanto convinto, ritorno al sacro. Pascoli può essere riletto in questa chiave? Sapresti indicare quanto di cattolicesimo c’è nella sua poesia? È una domanda finale di moda, alla Odifreddi… Direi che è tendenziosa quanto al “non so quanto convinto” e un poco incerta nella formulazione. Il sacro e la religione sono due categorie distinte. Il sacro c’è, eccome, in Pascoli, che è un vetusto pagano (cioè uomo della campagna) la cui sola religione è il culto ctonio degli antenati. È proprio del paganesimo credere nella presenza dei morti nel mondo dei vivi, che il cristianesimo ha nettamente separato. Mentre Leopardi – illuminista – fu nitidamente ateo, Pascoli – antilluminista –, come al solito è ambiguo, ma di certo non ebbe mai la speranza nell’aldilà cristiano o, se preferisci, cattolico. E dire che fu un ermeneuta fisimoso – e fallimentare – di Dante! Pascoli si macera nella sua esistenza tragica, la cui sofferenza può essere un poco mitigata dalla vicinanza dei familiari, vivi e non-più-ma-ancora vivi, dall’orticello dietro casa. Da qualche parte ha affermato che il Male è superiore a Dio. Forse era meglio per lui se fosse stato più superficiale e quindi del tutto ateo. Ma la sua enorme cultura e la sua Musa oscura – vedi i suoi Poemi cristiani – glielo impedivano.


Myricae La cucitrice L’alba per la valle nera sparpagliò le greggi bianche: tornano ora nella sera e s’arrampicano stanche: una stella le conduce. Torna via dalla maestra la covata, e passa lenta: c’è del biondo alla finestra tra un basilico e una menta: è Maria che cuce e cuce. Per chi cuci e per che cosa? un lenzuolo? un bianco velo? Tutto il cielo è color rosa, rosa e oro, e tutto il cielo sulla testa le riluce. Alza gli occhi dal lavoro: una lagrima, un sorriso? Sotto il cielo rosa e oro, chini gli occhi, chino il viso, ella cuce, cuce, cuce.

Orfano Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca. Senti: una zana dondola pian piano. Un bimbo piange, il piccol dito in bocca; canta una vecchia, il mento sulla mano. La vecchia canta: Intorno al tuo lettino c’è rose e gigli, tutto un bel giardino. Nel bel giardino il bimbo s’addormenta. La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

Arano Al campo, dove roggio nel filare qualche pampano brilla, e dalle fratte sembra la nebbia mattinal fumare, arano: a lente grida, uno le lente vacche spinge; altri semina; un ribatte le porche con sua marra paziente; ché il passero saputo in cor già gode, e il tutto spia dai rami irti del moro; e il pettirosso: nelle siepi s’ode il suo sottil tintinno come d’oro.

X Agosto San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero: cadde tra i spini; ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell’ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall’alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d’un pianto di stelle lo inondi quest’atomo opaco del Male!

e grave grave grave m’incuora: mi dice, È tardi; mi dice, È l’ora. Tu vuoi che pensi dunque al ritorno, voce che cadi blanda dal cielo! Ma bello è questo poco di giorno che mi traluce come da un velo! Lo so ch’è l’ora, lo so ch’è tardi; ma un poco ancora lascia che guardi. Lascia che guardi dentro il mio cuore, lascia ch’io viva del mio passato; se c’è sul bronco sempre quel fiore, s’io trovi un bacio che non ho dato! Nel mio cantuccio d’ombra romita lascia ch’io pianga su la mia vita! E suona ancora l’ora, e mi squilla due volte un grido quasi di cruccio, e poi, tornata blanda e tranquilla, mi persuade nel mio cantuccio: è tardi! è l’ora! Sì, ritorniamo dove son quelli ch’amano ed amo.

La Pieve Giorno d’arrivi il tuo, san Benedetto: ecco una prima rondine che svola. E trova i pioppi nella valle sola, la grande pieve, il nido piccoletto. Razzano i vetri; l’occhio del coretto nereggia sotto un ciuffo di viola: ecco la cigolante banderuola, gli embrici roggi del loquace tetto.

Poesie varie Il Vento Nell’aria grigia e morta c’è un’onda di lamento. Qualcuno urta la porta: - Avanti passi! – È il vento.

E di saluti sonano le gronde e il chiuso, dove il cielo è vaporato da un rosseggiar di peschi e d’albicocchi.

Vento del Nord che porta e neve e fame e stento: la macchia irta e contorta ulula di spavento.

E la rondine stridula risponde aliando con lievi ombre: sul prato le segue un cane co’ fuggevoli occhi.

Passano neri stormi In frettoloso oblìo, passano nubi informi.

L’ora di Barga Al mio cantuccio, donde non sento se non le reste brusir del grano, il suon dell’ore viene col vento dal non veduto borgo montano: suono che uguale, che blando cade, come una voce che persuade. Tu dici, È l’ora; tu dici, È tardi, voce che cadi blanda dal cielo. Ma un poco ancora lascia che guardi l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo, cose ch’han molti secoli o un anno o un’ora, e quelle nubi che vanno. Lasciami immoto qui rimanere fra tanto moto d’ale e di fronde; e udire il gallo che da un podere chiama, e da un altro l’altro risponde, e, quando altrove l’anima è fissa, gli strilli d’una cincia che rissa. E suona ancora l’ora, e mi manda prima un suo grido di meraviglia tinnulo, e quindi con la sua blanda voce di prima parla e consiglia,

Tutto nell’aria oscura fugge e s’invola – addio da non so qual sventura.

Sera Alla tavola siede la sorella più grande e meno triste, Ida la bionda; tutta in sé scrive, medita, cancella, come se al cuor la penna non risponda. Non s’ode intorno che lo scricchio della penna veloce. La lucerna inonda di calda luce quella chioma e quella fronte quasi d’un nimbo aureo circonda. Ma la dolce Maria sta solitaria e pensosa in disparte...Io, la speranza, mentre fumo, volar vedo nell’aria; ed ambedue, per opera d’incanto, conduco nella riposata stanza d’un bel castello che disegno intanto. Massa 1885

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Racconto

Marco

il

nuotatore

TEXT Matthew Licht

M

arco era riconosciuto come un nuotatore veloce, anzi, molto veloce. Nessuno riusciva a superarlo, nei cento metri. Marco non era così bravo a fare le corse più lunghe, ma non gliene importava niente. Nuotare veloce, per lui, era un dono. Sua madre l’aveva messo in piscina appena nato ed è partito di corsa. Anche lei aveva fatto gare di nuoto, da ragazza. Era stata anche bagnina, al mare. Sapeva cos’è l’abilità naturale. Marco si allenava tutti i giorni alla piscina comunale prima di andare a scuola. Non gli piacevano le mattine, specialmente d’inverno. Non gli piaceva doversi svegliare quand’era ancora buio fondo. Non gli piaceva arrivare a scuola stanco, tremando dal freddo, mezzo affogato e col naso pieno di cloro. Fare vasca dopo vasca non gli diceva proprio nulla. L’unica cosa che gli piaceva del nuoto, a dire il vero, era vincere gare. Più vinceva, meno se la sentiva di sforzarsi agli allenamenti. Quando Marco entrò al liceo, l’allenatore di nuoto lo iscrisse a una gara internazionale importante. Della sua squadra, solo lui era qualificato a partecipare. Così un giorno Marco salì sul treno e fece un lungo viaggio con un gruppo di persone che non aveva mai visto prima. Si sentiva un po’ sperduto e ansioso, ma trovarsi in mezzo a tanta gente diversa, diretto a un grande avvenimento sportivo

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era emozionante. Le gare sarebbero state trasmesse anche in televisione. Marco era sicuro che avrebbe vinto senza problemi. Non vedeva l’ora. Il dormitorio dove vennero ospitati gli atleti stava nella periferia di una grande città. Marco divideva la stanza con altri ragazzi, incluso un altro nuotatore, Thomas. Thomas era più grande, più alto. Era un bel ragazzo, amichevole, del tipo che sta subito simpatico a tutti. Stava simpatico anche a Marco, finché non si buttarono insieme in piscina per fare qualche vasca. Marco non aveva mai visto nessuno nuotare veloce quanto Thomas. L’acqua sembrava scostarsi per farlo passare. Marco cercò di stargli accanto almeno per cinquanta metri e fu sorpresissimo di non esserne capace. Non gli era mai successo. Stette quasi male. «Ha quasi un anno più di me» pensò. «Ha braccia e gambe più lunghe, i piedi più grossi... per forza è più forte. E poi sarò ancora stanco del viaggio.» Thomas era cittadino del paese che ospitava le gare, sicuramente non aveva dovuto passare tante ore in treno. Le gare di nuoto iniziarono il giorno dopo. Ci fu una clamorosa cerimonia d’apertura, con parate, sfilate lunghissime e bande che suonavano fanfare e inni nazionali. Le tribune e le gradinate erano affollatissime. La gente urlava, cantava e gridava nomi. Guardavano gli atleti coi binocoli,

scattavano foto. Con tutti quei flash, sembrava che dentro lo stadio fosse rimasto intrappolato un temporale. Marco vinse facilmente le corse di qualifica. Non aveva nemmeno il fiatone. Ma nella finale dei cento metri avrebbe dovuto nuotare contro Thomas. Ai nuotatori spettava un giorno di riposo prima delle finali. Marco, Thomas e altri ragazzi si stavano divertendo nella palestra del dormitorio, facendo salti su un trampolino elastico. Thomas saltava più in alto degli altri, ma dopo una capriola all’indietro atterrò male e un braccio gli rimase intrappolato nel telaio del trampolino. Gridò dal dolore e alzò il braccio, che si gonfiò come un pallone nero e blu. Lo portarono subito all’ambulatorio, dove gli fecero delle lastre. Il medico le guardò e scosse la testa. «Grave frattura dell’ulna» disse. Marco provò due emozioni quando sentì pronunciare quelle parole. Gli dispiacque che Thomas si fosse fatto male, ma sentiva già attorno al collo una pesante medaglia d’oro appesa da un bel nastro colorato. A cena, Marco aiutò Thomas a tagliare il cibo. «Peccato» disse. «Nuoti più veloce di chiunque. Avresti vinto di sicuro. Ma guarirai presto, vedrai.» «Non rinuncio alla gara» disse Thomas. «In qualche modo farò». Nello spogliatoio, Marco guardò incredulo Thomas che si copriva il braccio inges-


sato con delle borse di plastica, sigillandole con nastro adesivo e elastici. Mentre i centometristi finalisti si avvicinavano alle pedane, l’annunciatore informò il pubblico che Thomas partecipava con un braccio rotto. Impazzirono. «Sarà meglio che mi concentri » pensò Marco. «Bella figura farei, se dovessi perdere». Mettendosi la cuffia, Marco guardò lungo la sua corsia. Sputò negli occhiali e li sciacquò. C’era tanto rumore, ma non sentiva niente. Si sentiva completamente solo al mondo. Cominciò a snodarsi le braccia, le spalle, il collo. Sentiva il suo ritmo, lo scivolare nell’acqua, lo sforzo degli ultimi venti metri. Si vedeva toccare per primo il bordo della vasca, come sempre. Sentì sparare la pistola. Fece un tuffo quasi perfetto. La scossa dell’acqua fredda gli liberò dentro una sorta d’elettricità. Smise di pensare, era come se avesse spento il cervello premendo un pulsante. Era diventato una macchina nuotatrice, uno squalo umano che deve nuotare o morire. Thomas era dovuto partire già dentro l’acqua. Non poteva tuffarsi. Era un grosso svantaggio, ma il medico gli aveva detto chiaramente di mantenere asciutto il gesso e non muovere troppo il braccio rotto. Thomas aveva inventato un modo di nuotare col braccio rotto alzato come una vela. Non era bello a vedersi, ma funzionava. Nemmeno potè girarsi al solito modo. Dovette aggrapparsi al bordo della vasca col braccio buono e darsi la spinta. Nella sua corsia, Marco si prese un’ultima boccata d’aria e fece una cosa che di solito non avrebbe fatto. Guardò la corsia di Thomas per vedere come andava. Thomas gli stava quasi addosso, smuovendo l’acqua come un rimorchiatore. Marco mise giù la testa e diede il tutto per tutto. Toccò per primo il bordo, ma per un pelo. Un uomo con cronometro e fischietto gli strinse la mano e gli disse il tempo. Marco non aveva mai fatto così veloce i cento metri. Alla premiazione, il pubblico urlava e applaudiva, ma era tutto per Thomas, che sventolò il braccio ingessato e la medaglia d’argento. «È un loro concittadino» pensò Marco. «Nessuna meraviglia, se impazziscono così». Marco era felice di avere vinto, ma meno del solito. Marco si chinò dalla pedana più alta per stringere la mano non ingessata di Thomas e lo issò su. «Forse dovrei anche dargli la medaglia» pensò. Ma poi si disse, «Ho fatto del mio meglio. Thomas ne vincerà tante, di medaglie d’oro. Questa è la mia.» Quando tornò a casa, tutti gridarono e applaudirono per lui. Si congratularono, volevano guardarlo e toccarlo perché aveva vinto. La sua foto apparve sulla terza pagina del giornale. Ma qualcosa dentro Marco era cambiato. Si dimise dalla squadra di nuoto. Tornò alla piscina solo d’estate, con gli amici. Mise in un cassetto la medaglia d’oro e presto se ne dimenticò completamente. Non dimenticò mai Thomas, però. Anche perché vinse tre medaglie d’oro alle Olimpiadi e venne proclamato uno dei nuotatori più veloci della storia. Marco era tra le poche persone al mondo che potevano dire «l’ho battuto, una volta». Ma non lo disse mai. A scuola, Marco si concentrò sugli studi e scoprì di avere talento a disegnare. Si interessò fortemente all’architettura. Con pratica, riusciva ad immaginare edifici interi, da dentro e fuori e a tradurre le sue idee in cose solide. Si laureò all’università e in poco tempo fu assunto da uno studio prestigioso. Anni dopo, quando si fu messo in proprio, vinse un concorso per il progetto di una nuova piscina coperta per la sua città. Un edificio grazioso, ed è ancora lì.


Racconto

Myriam con la

TEXT Graziano Bellini PHOTO Emanuele Bertini

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alla tragedia della Costa Concordia una storia di fantasia su un reportage fotografico vero. Venerdì 13 dennaio 2012. Isola Del Giglio. Toscana. Ore 23:15. La nave Concordia si piega all’improvviso sul fianco destro. Federico viene scaraventato contro il bordo. Altre persone gli cadono addosso a causa dell’inclinazione del piano e subito sente un forte dolore al ginocchio. Riesce a guadagnare uno spazio libero alla transenna spostando con forza le due, tre persone che lo avevano travolto. Vede a pochi metri gli scogli, la terra ferma. Il giubbotto di salvataggio ce l’ha, nuotare per lui non è un problema e quindi non ci pensa due volte: si tuffa! Il ponte 4 adesso non è più tanto alto sul livello del mare perciò il tuffo non è altissimo. La forza dell’istinto disperato e l’adrenalina scatenata da quei momenti intensi lo portano a toccare gli scogli in poco tempo. Non è facile risalire. Le mani si tagliano, il ginocchio fa male. Altri naufraghi lo precedono e lo seguono in un caos di selvaggia sopravvivenza. Poi alcune mani lo aiutano, una serie di persone se lo passano tra loro come i sacchi di sabbia da mettere sugli argini durante le alluvioni. Poi si ferma. Si gira e vede quella enorme balena bianca spiaggiata lì a pochi metri da lui. Sente le urla agghiaccianti di una catastrofe. Poi i suoni spariscono all’improvviso. Come una difesa istintiva al terrore. Il freddo è la prima preoccupazione. È tutto bagnato e deve assolutamente togliersi quegli indumenti fra-

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dici. Si toglie subito il giubbotto arancione e un oggetto cade luccicando ai suoi piedi. Lo raccoglie. È una carta di identità ma non è la sua. In quella poca luce della notte e dei soccorsi improvvisati riesce a leggere il nome: Myriam Caprioti. Myriam con la ”y”. Incredibile! Incredibile coincidenza! Riconosce in quella foto la ragazza che nel pomeriggio aveva visto parlare con delle persone mentre entrambi erano seduti su una panca della Concordia, quelle che contengono i giubbotti di salvataggio. Lei specificava ai suoi interlocutori che il suo nome

era Myriam, Myriam con la “y”. La ricorda perché quel sorriso, quegli occhi lo avevano particolarmente affascinato. C’è scritto che è del 1983, 4 anni meno di lui. Di Mantova. Come ha fatto quella carta d’identità a finire dentro il suo giubbotto di salvataggio? Niente di più probabile che mentre nuotava in quello specchio d’acqua fra la nave e la terraferma, dove sta galleggiando di tutto, gli sia rimasta incastrata tra il giubbotto e i vestiti. Forse anche lei è lì, vicino a lui. Federico si guarda intorno ma non riesce a focalizzare i volti delle persone. Cade di nuovo


in una trance da angoscia che solo quel luccichio della carta di identità di Myriam aveva scosso. Deve trovare i suoi genitori e suo fratello che lui sa aver visto salire su una scialuppa prima che avesse la sconsiderata idea di ritornare in gabina a prendere la costosissima macchina fotografica che gli aveva regalato suo padre; macchina che non è riuscito a salvare dopo il tuffo in mare. Cerca di andare al porto. Ha freddo. Prova a correre ma ne viene fuori una camminata sincopata a causa delle asperità del terreno e del dolore al ginocchio. Ore 02:20 del 14 gennaio 2012. Adesso è dentro una casa illuminata dove c’è un via vai incredibile di persone. Ha una tuta blu della Champion, asciutta. Mario e la sua famiglia sono gentilissimi, stanno aiutando molti naufraghi con vecchi vestiti e del tè caldo dentro al tepore di una piccola casa adagiata sulle prime pendici della collina che scende verso il porto. Con un po’ di fortuna la ricerca della sua famiglia al porto si era conclusa felicemente ed ora sono tutti e quattro lì riuniti in quell’angolo di paradiso accogliente, mentre fuori c’è un inferno di luci gialle e rosse, di sirene ondulate e secche. Improvvisamente si ricorda di quella carta di identità. L’aveva riposta nella tasca posteriore dei jeans. Chiede a Mario dove sono i suoi vestiti. Glieli indica. Sono in un sacchetto appoggiato alle scale. Cerca i jeans e trova la carta di identità. Myriam. Sabato 18 febbraio 2012. Isola del Giglio.

Ore 13:50. Sotto la Lanterna rossa del porto Federico sta aspettando Myriam. Era stato facile trovarla: facebook! Si sono parlati mille volte attraverso la chat e attraverso interminabili telefonate in questo ultimo mese. Si sono parlati anche attraverso le stelle. Le guadavano insieme, lei a Mantova, lui a Siena. Avevano deciso che il loro primo incontro doveva essere lì. Solo lì. Sotto la lanterna rossa dell’isola del Giglio davanti a quella balena bianca abbandonata. Lì le avrebbe

consegnato la carta di identità. E per non incontrarsi prima, e rovinare tutto l’incanto del loro incontro, avevano deciso di prendere due traghetti diversi. Federico guarda due pescatori che stanno lavorando alle reti. La vita sull’isola stà ritornando alla normalità. Forse la sua sta per cambiare. Vede Myriam scendere fra la gente, la riconosce. Non le va incontro, l’aspetta lì, sotto la lanterna, come d’accordo. Si vedono. Iniziano a salutarsi da lontano. Quegli occhi, quel sorriso.

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Booking a book ‘

novitàa’ editor iali

a cura di Angelo Errera

FIABE&CUCINA

U

cci ucci è un libro di fiabe, dove gli elementi che le compongono non sono solo fate e folletti, ma veri e propri ingredienti di ricette che si possono leggere, colorare e cucinare. La rilettura dei grandi classici – da Perrault ai fratelli Grimm – in chiave gastronomica permette anche ai più piccoli di apprezzare ricette che già conoscono, avvicinandoli ancora di più al mondo della tavola: passando dalle insalate magiche, che trasformano persone in asini, alle frittate che guariscono una regina malata, al panpepato con cui si suggellano nozze principesche. Un modo singolare e divertente di raccontare la storia e il valore di ogni alimento, proponendo ai bambini un momento per leggere diverso da quello della buonanotte e trascorrere, con i grandi, ore piacevoli tra la tavola e i fornelli. Edito da Sarmus, è un’idea di Donatella Lippi, docente di Storia della medicina all’Università di Firenze e autrice di vari libri per bambini dedicati alla sana e corretta alimentazione. I disegni sono di Nicoletta Murru.

Ucci Ucci di Donatella Lippi - Edizioni: Sarnus

ROMANZO

È

la notte del 25 luglio 1956 quando la prua del rompighiaccio Stockholm si scontra con la nave ammiraglia della marina mercantile italiana, mandandola a picco. Il protagonista del romanzo è uno dei testimoni di questo terribile episodio, che si trova di fronte ad una serie di dubbi ed interrogativi che cercherà di risolvere per capire ciò che è successo. Accompagnato da Max, un giornalista in cerca di informazioni e verità e, Stella, che durante la narrazione assume ruoli diversi, a fianco del testimone. Lui che si trova sommerso da domande di chi è curioso di sapere, giornalisti inopportuni, che formulano quesiti di ogni tipo e che spesso si danno risposte senza aspettare quelle di chi magari sa. Il protagonista e testimone si trova infatti immerso in dubbi e ricordi offuscati che generano in lui visioni diverse e contraddittorie anche se tanta sarebbe la voglia di parlare, di sfogarsi e perché no di inventare cose che non ha visto. Un conflitto interiore tra la ricerca della nostra identità e di quelle certezze che sembrano venire meno, rendo il romanzo molto attuale. Aldo Rosselli, critico giornalista e narratore, scrisse Il naufragio dell’Andrea Doria nel 1987, il titolo è stato oggi cambiato in Il naufragio dall’editore fiorentino Mauro Pagliai, che lo inserisce nella collana dedicata ai grandi autori del Novecento che rischiano oggi di essere dimenticati.

IL NAUFRAGIO di Aldo Rosselli Edizioni: Mauro Pagliai Editore

ROMANZO

L

ibro di culto per la comunità gay. È l’anno 1978 e Camus è l’autore del diario che racconta i dettagli di amori “seriali” fatti di muscoli, palpeggiamenti, corpi e eiaculazioni, consumati rigorosamente con sconosciuti. Erano gli anni precedenti il momento in cui si è cominciato a parlare di AIDS. Vicende e intrighi che si svolgono nella splendida cornice di Parigi, passando da luoghi storici come i giardini pubblici dietro Notre Dame, Le Palace, la sauna del Continental e il locale in Rue des Anglais: il Manhattan, teatro di molte delle storie narrate. Arrivando anche a New York, San Francisco e Milano. L’occhio impassibile dell’osservatore sottolinea la distanza dalla pornografia e dall’erotismo, sfiorando i limiti del disgusto ma non rinunciando al piacere. Nel libro si trova la prefazione di Roland Barthes che esalta i “preparativi: l’andirivieni, le manovre, l’allerta, l’abbordaggio, la conversazione, la partenza verso la camera, l’ordine o il disordine domestico del luogo”. Pubblicato in Francia nel 1978, Tricks è stato tradotto in vari paesi, ma mai in Italia. Walter Siti, di edizioni Textus, ha creato la collana I romanzi della realtà, “referti che possano dare gli effetti di un romanzo”, dove si inserisce anche quello di Renaud Camus con la pubblicazione dei 25 ‘tricks’ dei 45 originari.

TRICKS di Renaud Camus - Edizioni: Textus


RACCONTO

È

una raccolta di undici racconti che l’autore ha scritto nel corso degli anni che vanno dal 1972 al 2002. Racconti che prendono spunto dalla vita di tutti i giorni, fatti di parole semplici, non rinunciando alla descrizione dei dettagli, che spesso rimangono in sospeso, senza una fine, per dare modo al lettore di spaziare con la fantasia. Così come il viaggio che si svolge nella campagna toscana, nella valle dell’Arno tra Firenze e Pisa, un viaggio che finisce e con lui la felicità: «Ciò che rimane è il senso di mancanza, una inadeguatezza. Non è soltanto l’inadeguatezza dell’io narrante, è l’inadeguatezza, l’ironia della storia, che Toni, nella sua concisa, ritmica prosa racconta». Il racconto è scritto sia in italiano che tedesco, tradotto da Christoph Ferber e proprio quest’ultimo sottolinea: «Parole semplici, approccio alla lingua discreto, che rinuncia alla retorica, immagini asciutte, spesso sorprendenti, frasi minime attente al piccolo, al poco appariscente – ma caratteristico –, sono il segno distintivo dello stile di Toni che, dovendo molto a Flaubert, è pur sempre eminentemente ‘toscano’ e ‘moderno’» Nel Taccuino di Toni, così come in tutti i suoi racconti, emerge il profondo interesse per l’ambiente, per la storia locale ed un lavoro non indifferente con se stesso.

TACCUINO DEL QUINTO AMORE di Aldemaro Toni

Edizioni: Editionmevinapuorger - Edizioni dell’Erba

ROMANZO

P

rotagonista di questo romanzo è una bambina di sei anni che racconta delle sue vacanze estive trascorse, come ogni anno, a Ciarra dai nonni, poiché i genitori sono originari di questo piccolo paesino del messinese ma emigrati in Germania in cerca di fortuna. Si apre quindi un cassetto di ricordi ogni volta che si torna nella terra natia, dove si riscopre la felicità dei gesti quotidiani, delle corse a pieni polmoni, del sole che brucia la terra. È un ritratto del mondo che la circonda fatto di dolcezza e antica familiarità, che rende la memoria una perla di estremo valore. Un racconto poetico che si alterna tra lingua italiana e dialetto siciliano – un piccolo glossario nelle ultime pagine aiuta a comprendere il significato dei vocaboli –, che descrive momenti di felicità intervallati a momenti di solitudine, di angoscia e paura: il padre arrestato, lo spostamento a Palermo dagli altri nonni, le molestie del nonno che la protagonista è costretta a subire e che saranno “pagine della vita” difficili da superare per poi ritrovare la felicità. Valeria Bivona nata a Messina ma fiorentina di adozione si interessa di musica e teatro per bambini, fino ad arrivare alla scrittura e alla poesia. Nta fiumara d’u’ Paisi è stata messa in scena a teatro con il nome La fiumara dove Bivona ha il ruolo di attrice principale.

‘Nta Ciumara d’ ‘u Paisi

di Valeria Bivona Edizioni: Morgana edizioni

RACCONTO

I

l libro descrive la storia di Ilaria Alpi, corrispondente del Tg3 e del suo operatore Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio, in Somalia, il 20 marzo 1994 da un comando di persone armate. L’autore ha raccolto materiale giornalistico, che racconta l’episodio accaduto e lo ha elaborato proponendolo come se fosse la giornalista stessa a descrivere gli scenari e i personaggi che hanno scandito le tappe del suo terzo e ultimo viaggio nel Corno d’Africa. Il titolo non è casuale: “Shifco” è il nome della flotta che all’apparenza sembrò essere un regalo dell’Italia ai pescatori somali, in realtà era tramite per occultare in Somalia il cosiddetto “schifo” - curioso anagramma - di rifiuti tossici e scorie radioattive. Una narrazione dal vero, immediata, scandita in frammenti taglienti come scatti di istantanea. A metà strada fra un’inchiesta e un racconto, alla ricerca di quella tremenda semplicità con cui la Somalia rivelò - a partire dalle voci dei pescatori del Puntland - tutti i segreti che nascondeva. Prodotto da Promo Music – Corvino Meda Editore, il libro di Stefano Massini, autore e regista fiorentino è divenuto anche uno spettacolo teatrale che porta lo stesso nome del testo, con Lucilla Morlacchi e Luisa Cattaneo, produzione Il teatro delle Donne, Centro Nazionale di Drammaturgia.

LO SCHIFO di Stefano Massini - Edizioni: Promo Music Corvino Meda Editore

RACCONTO

S

ognilandia, di Matthew Licht, è un libro di racconti, di vite sognate e sogni vissuti, commissionato da Otto luogo dell’arte, la galleria fiorentina di Olivia Toscani Rucellai, per la mostra Oh! Nirica. Le storie sono connesse da un filo narrativo che conduce il lettore attraverso le varie fasi dell’attenzione. Due dei racconti sono da leggere a bambini e ragazzi a cui piace sognare ad occhi aperti, o anche chiusi. Gli altri due racconti sono per adulti, ma non rigorosamente. I personaggi prinicipali sono: un ragazzino che vorrebbe conoscere per davvero il suo eroe preferito dei fumetti; un nuovo impiegato al telefono amico che fa il turno di notte; un netturbino appassionato dello Zen; e un altro ragazzo ormai 32enne a cui viene misteriosamente data la possibilità di tornare brevemente indietro nel tempo. Matthew Licht è l’autore di The Moose Show – Salt Pubs., Cambridge, Regno Unito –, un’altra raccolta di racconti che è stato candidato al Premio Frank O’Connor; e di Westways – Christoph Keller Verlag, Germania –, le avventure immaginarie dell’attrice comica statunitense. Tra breve uscirà nel Regno Unito Justine, Joe & the Zen Garbageman, presso la Salt Pubs. Sognilandia è il suo primo libro in italiano, ed è disponibile presso la galleria o dietro richiesta per via e-mail info@ottoluogodellarte.it.

Sognilandia di Matthew Licht - Edizioni: Mezz’otto luogo dell’arte


Cinema

Ambientata a Dubai l’ultima saga di Mission Impossible

Nelle foto: Actor Habib Ghuloom; Tom Cruise e S.A. Sheikh Hamdan bin Mohammed bin Rashid al Maktoum; Owen Wilson; Emanuele Crialese e Diane Fleri; Abdullah Al Kaabi; Anil Kapoor, Brad Bird, Tom Cruise, Paula Patton, Simon Pegg; Erfan Rashid con l’attore egiziano Gamil Rateb; S.A. Sheikh Mohammed Bin Rashid Al Maktoum con Tom Cruise; Actors Ranveer Singh and Anushka Sharma; Jamal Salim e Naser Al Yaqoobi

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cinema emiri Q Dubai

degli

uasi 200 film provenienti da 56 nazioni, 46 anteprime mondiali, 25 anteprime internazionali e 78 anteprime del Medio Oriente, con un montepremi complessivo di oltre 600.000 dollari. Sono questi i numeri dell’ottava edizione del Dubai International Film Festival, svoltasi nella capitale dell’emirato di Dubai sotto l’alto patronato di Sua Altezza lo Sceicco Mohammed Bin Rashid Al Maktoum. Più di trenta le lingue rappresentate, dal cantonese al catalano, per un festival sempre più internazionale. Molti anche i titoli del cinema arabo contemporaneo, con più di 70 film biografici, commedie, drammi e storie d’amore della Penisola Arabica e del Nord Africa. Più della metà di questi hanno fatto il loro debutto mondiale a Dubai, altri nove sono state anteprime internazionali. Tappeto rosso per una galassia di stelle da tutto il mondo. Owen Wilson ha ricevuto il premio Star International Variety of the Year, mentre il grande regista tedesco Werner Herzog ha ricevuto il premio alla carriera insieme all’attore egiziano Gamil Rateb. Ad aprire il festival in pompa magna ci ha pensato Tom Cruise con Mission: Impossible - Protocollo Ghost, l’ultima puntata del grande successo di azione-avventura diretto dal due volte premio Oscar dell’animazione Brad Bird, girato proprio a Dubai lo scorso anno, con la scena mozzafiato di Cruise che si lancia dal Burj Khalifa, il grattacielo più alto del mondo con i suoi 829 metri. Nella quarta parte della serie, FMI agente Ethan Hunt (Cruise) e dei suoi compagni di squadra Benji Dunn (Simon Pegg) e Jane Carter (Paula Patton) sono prescelti per entrare nel Cremlino con la missione di recuperare i documenti che contengono pericolosi codici nucleari che potrebbero portare a una terza guerra mondiale. In questo nuovo Mission: Impossible Dubai si rivela un luogo ideale per il mondo dello spionaggio; una metropoli che finora era rimasta inutilizzata dal cinema mondiale. Il festival in questa sua ottava edizione ha affinato il programma con la costruzione di prestigiosi concorsi, rafforzando la sua offerta con film provenienti da tutto il mondo. A guidare il programma World Film è stata la commedia tragica di Alexander Payne The Descendants con George Clooney, storia di un padre di mezza età che è costretto ad assumere la responsabilità delle proprie figlie dopo che sua moglie è rimasta vittima di un incidente invalidante. Tra gli americani anche Clint Eastwood con il suo J. Edgar, film biografico del famigerato ex capo dell’FBI, J. Edgar Hoover interpretato da Leonardo Di Caprio e Naomi Watts. Tra gli italiani il regista italiano Emanuele Crialese che dopo Respiro ha presentato Terraferma, dramma su un immigrato dell’isola siciliana trasformata dalle nuove realtà della globalizzazione. Ma naturalmente il DIFF è considerata la vetrina più importante per i film arabi. Il Libano come sempre ha fatto la parte del leone, questa volta con il film della regista franco-libanese Danielle Arbid, la quale ha coraggiosamente raccontato una storia d’amore realistica, intensa e passionale ambientata in questo paese, ancora oggi dominato da forti contrasti. Rimanendo sempre in Libano, da citare anche Tarek El-Bacha e Rodrigue Sleiman con Nice to Meet You, uno sguardo eccentrico alla vita quotidiana a Beirut, e Hady Zaccak con Mercedes, una cronaca della storia moderna del Libano dal punto di vista di una vettura e dei suoi proprietari. Come ormai da tradizione, il Dubai Film Festival ha ospitato un’importante iniziativa di beneficenza. Dopo alcune edizioni dell’Amfar, svoltesi durante il Festival del cinema, quest’anno la casa di orologi svizzera IWC Schaffhausen ha ospitato all’Armani hotel del Burj Khalifa una cena di gala in favore dell’organizzazione per i diritti umani Oxfam. Messi all’asta un dipinto di Picasso, un appuntamento con la star del cinema Scarlett Johansson e una lezione privata di yoga con l’attore Alec Baldwin.

alla corte

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

Veduta del Burj Al Arab


Cinema

Maestro Carlo Lizzani

buon compleanno

TEXT Carla Cavicchini

È

dell’ariete poiché è nato il tre aprile ed è, come tutti “gli arieti”, testardo, forte e fiero! Niente e nessuno lo ferma, neanche adesso che si appresta ai novant’anni. Ed è tutto un progetto, viaggi e premiazioni incluse. Carlo Lizzani. Un nome che dice tutto. Non solo regista di pellicole indimenticabili, ma anche produttore, scrittore, attore, critico e sceneggiatore per De Santis, Rossellini, Lattuada e altri registi, per i quali scrisse molto nel periodo neorealista. Direttore della “Mostra del cinema di Venezia” dal 1979 al 1982, più di dieci anni fa, ricevette dalla Università di Torino la laurea honoris causa in Scienze della

Comunicazione. Seguono onorificenze di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e Grand’Ufficiale dell’Ordine al merito sempre della Repubblica italiana. Nel 2007 ha ricevuto il David di Donatello alla carriera. Sono in automobile con lui nel caos di Roma e disponibilissimo come sempre, parla a ruota libera. Attraversa la strada una bella bruna con le labbra imbronciate che un po’ ricorda Claudia Cardinale. Osservo che lui ultimamente ha raccontato del modo così opposto di lavorare di due grandi registi: Federico Fellini e Luchino Visconti. E quindi ne parlo col “principe che ho accanto”. Fellini era fantasioso, giocherellone… al momento di mettere gli attori, anche conosciuti,

davanti alla scena già rappresentata, si eccitava tutto e… «dì quello che vuoi, parla, racconta, detta numeri, ti dò carta bianca, tanto dopo... doppiamo». Mentre Visconti era l’esatto contrario. Pignolo, perfezionista, d’una preparazione di sceneggiatura maniacale… addirittura per i film storici pretendeva che dentro l’armadio ci fossero gli abiti d’epoca seppur ben chiusi a chiave! All’ultimo festival del cinema di Roma hanno proiettato Pasolini, facendo vedere i suoi film, le sue fotografie… Anche Monica Vitti, attrice da me ben conosciuta; abbiamo lavorato tanto insieme… semplicemente straordinaria. Adesso ha problemi di salute non indifferenti. Quanto a Pier Paolo mi è molto caro. Nel Gobbo, mio film, partecipò alla sceneggiatura, eppoi anche ad un altro mio film western divertendosi molto. Sorride amorevolmente proseguendo. Era un uomo che rischiava continuamente la pelle, amava frequentare la malavita. Malavita che può essere affascinante, io ho fatto tanti film sulla delinquenza, ho conosciuto malavitosi, parlato faccia a faccia con loro, ma lui! Questa passione d’andar solo solo la notte in quei vicoli delinquenziali. Senz’altro un richiamo fortissimo che pagò come sappiamo. Anche Ninetto Davoli rivolgendosi a me: “Glielo dica anche lei dottò, che stia attento! Pensi che Ninetto fu preso dalla strada, moda che poi passò, però in quel momento cercavano il tipo “vero”, borgataro e non certamente professionista.” Parlando d’epoche passate cinematografiche, il fascismo fu capace di porre il cinema in grande risalto, anche alla, Mostre di Venezia. Secondo lei – incalzo – era un modo per distrarre dal momento crudo che attraversavano? Sì… è vero. Mi spiego: il fascismo è stato…anzi, cominciamo col dire che una cosa è stata la dittatura di Pinochet, o dei colonnelli greci, o di Franco, il fascio invece


è stata una rivoluzione modernizzatrice, però… con la destra c’era la modernizzazione, vedi la radio sempre accesa; orbene, Mussolini aveva intuito l’importanza di tali mezzi e, in questo senso, c’è stata una grande possibilità di lavorare seppur “sott’acqua”, poi, via via, uno prendeva coscienza degli altri aspetti del fascismo assolutamente negativi e pesanti. Vedi le leggi razziali, il nazionalismo e tante altre cose veramente repellenti. Bisogna però capire che la storia non è mai lineare… non è che finisce un’era e ne inizia un’altra. Il fascismo era un fenomeno pur sempre modernizzatore e, al tempo stesso però… tanto per restare in tema, Hitler regalò a un milione di tedeschi l’apparecchio radio, un mezzo moderno, ma questa non è cosa che certamente lo riscatta, chiaramente il tutto era finalizzato e, tornando a Mussolini, capì che quei mezzi potevano potenziare il regime e renderlo moderno ed interessante agli occhi del mondo. Ho toccato una “corda”a lui molto cara: la storia, tra l’altro da lui sempre ben rappresentata nei suoi film quali L’oro di Roma, Il processo di Verona, Torino nera, Mussolini: ultimo atto, Maria Josè - l’ultima regina, per la Tv e tanti altri ancora Tento una domanda “gossippara” anche se lui non è tipo da “gossip”. Le sue attrici - ha lavorato con tante splendide donne - erano capricciosette? No. Ce ne sarà stata qualcuna. Una prima donna, una che sgomitava? No. Evidentemente sono stato fortunato. Ho ben impressa la splendida e bravissima Silvana Mangano ne Il processo di Verona, penso sia stata l’interpretazione più importante della sua carriera… un ruolo straordinario. La ricordo disciplinata e d’una serietà assoluta. La conoscevo già dai tempi di Riso Amaro, io come sceneggiatore e lei nata proprio con quel film. Con Silvana c’era un grande affetto unito ad un buon rispetto reciproco. Un’altra molto brava era Anna Maria Ferrero, lavorò per me anche in Cronache di poveri amanti, calcando egregiamente anche il palcoscenico: era una donna molto molto seria. Quando girai Cattiva con Giuliana De Sio, che tra l’altro ebbe tutti i premi dell’anno, nonostante il suo buon lavoro… Giuliana subiva una forma di depressione, questa mania di autodistruzione: «me lo dica Lizzani che sono brutta, che recito come una cagna, che…» Voleva essere sempre incoraggiata, fino a che smisi di “filarla” e: «Guarda che sei bella e brava, fidati!» eppure nonostante questo, continuava a piangere. - Riflette un attimo - un fatto suo caratteriale, un grande difetto. Lisa Gastoni la lanciai con Svegliati e uccidi per il film su Luciano Lutring, il solista del mitra. Lei aveva fatto piccole cose in costume, ed era veramente brava. Pure lei autocritica, però non maniacale. No, con me le bizze non le facevano. Forse perché sapevo sceglierle. Io invece penso proprio che non si permettessero! Mi fai un sacco di domande, per chi va l’intervista? Per una rivista molto bella, si chiama Reality e la redazione è a Fucecchio, comune “a cavallo” tra Pisa e Firenze. Viene distribuita in tutta la zona del cuoio, alla Versiliana ed è in forte ascesa. Ecco che Lizzani riflette. Per Banditi a Milano lavorai con un cantante che veniva proprio dalle zone delle concerie del cuoio, Don Backy… si, nella pellicola si prestò bene a far l’attore, era adatto fisicamente e pure bravo. Disinvolto… dalle tonalità più ingenue degli altri “tipi”. Fu un’idea di De Laurentis mettere anche lui nel cast… così, per rinforzare il tutto. Volontè in quei momenti non era proprio all’apice della carriera, dopo… come sappiamo si distinse. Ma anche il “Don” se la cavò egregiamente. Don Backy girò ancora con Lizzani in Barbagia negli anni ’70 - n.d.r. I suoi progetti? Operazione Appia Antica è centrato sulla nascita dello spionaggio telefonico in Italia. Nel 1941 ci sono i nastri che registrano i colloqui tra Mussolini e Claretta Petacci: già allora venivano registrate le cose stesse dei vertici al regime. E poi ho in ponte una commedia. La storia di una giuria di un festival, le ultime 24 ore quando tutti s’accapigliano, cercano viceversa compromessi e giù di li. Chissà perché mi appare la Magnani… Inoltre - termina - ho scritto su Don Beppino Diana, prete ucciso dalla camorra nel 1994. Fu ucciso due volte in quanto la stampa locale gestita dalla camorra lo fece passare per un camorrista, per un donnaiolo, tutto meno che un prete. La mamma invece, piano piano, con coraggio e tenacia, costruisce un’associazione e, durante tutti i processi, riesce a togliere il fango da tal figura. Praticamente è la storia d’una madre. Già: Son tutte belle le mamme del mondo…


Cinema

Fratelli Taviani per San Miniato

la romessa

oggi come ieri è resistere

TEXT&PHOTO Carlo Baroni

P

erché ricordare l’uscita di un film a distanza di trent’anni? Per Ugo di Tullio dell’Università di Pisa e Amministratore Delegato di Italy Film Investments «La Notte di San Lorenzo rappresenta uno dei punti piú alti della cinematografia italiana: un film, infatti, che racchiude l’identità specifica del fare cinema nel nostro paese e proprio per questo un momento caratterizzante la storia culturale dell’Italia contemporanea che vede nei fratelli Taviani i rigorosi e partecipi narratori». Per Paolo Cocchi, scrittore, «rivedendo “La notte” a distanza di molti anni, il film mantiene intatta la sua forza poetica e realistica e le scene principali, che trent’anni fa colpivano per il loro impatto visionario e elegiaco, feroce e epico, sono ancora capaci di commuovere lo spettatore di oggi. Nemmeno il riaggiustamento della verità storica relativa alla strage di San Miniato, cui il film si riferisce, ha tolto a questa grande opera fascino e pregnanza». Mentre nelle sale italiane è in visione il Cesare deve morire fresco vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino, i cineasti Paolo e Vittorio Taviani sono stati ricordati a San Miniato per un altro

Lettera dei Taviani ai ragazzi di San Miniato per i 30 anni de La notte di San Lorenzo loro capolavoro: La Notte di San Lorenzo, appunto, realizzato dalla Rai e da Ager Cinematografica e uscito nei cinema nel 1982. Il film – che ha la sceneggiatura di Paolo e Vittorio Taviani con la collaborazione di Tonino Guerra – fu presentato in concorso al 35° Festival di Cannes, dove ottenne il premio il Grand Prix Speciale della Giuria. Il Centro Cinema Paolo e Vittorio Taviani ha

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Nella foto: Giovanna Taviani a San Miniato; in basso alcune scene del film La Notte di San Lorenzo

festeggiato quest’anniversario riproponendo la proiezione a Palazzo Grifoni che ha visto la partecipazione di oltre 120 spettatori davanti ai quali è stata letta da Giovanna Taviani una lettera toccante di Paolo e Vittorio Taviani ai ragazzi di San Miniato. Infatti, nei giorni successivi, il centro ha proposto il film ad oltre 300 studenti delle scuole superiori di San Miniato che hanno visto La Notte di San Lorenzo aiutati da Giovanna Taviani, regista, figlia di Vittorio, che li ha guidati alla scoperta delle verità nascoste, delle straordinaria attualità, dei valori universali di questo film che, anche nella proiezione pubblica per la cittadinanza, non ha mancato di commuovere. Cosi, trent’anni fa quando il film è uscito, in un’epoca di guerra fredda prima della crisi dei bipolarismo, e nello stesso tempo di crisi grave delle ideologie e delle utopie rivoluzionarie e di apparente trion-

fo della mediocrità del consumismo, il film parlava ai contemporanei ancora una volta di speranza: che dopo la notte di un mondo schizofrenico minaccioso e accecato dall’interesse egoistico, la vita potesse comunque prevalere e creare nuove opportunità. E oggi di fronte all’esplosione delle primavere arabe, nelle nuove guerre, il conflitto in Afganistan, la Libia ancora fumante questo film parla ancora di speranza. Una speranza che serve alle generazioni attuali perché non si trovino ad affrontare le nuove frontiere della violenza senza poter far tesoro dell’esperienza delle generazioni precedenti e della saggezza umana che anch’essa ha arricchito. Per questo il film ha inizio e fine con il racconto della madre al bambino. Un racconto che si svolge nella notte di San Lorenzo, una notte in cui oggi, come tanti anni fa, le stelle sembrano cadere sulla terra, promettendo nella saggezza popolare l’esaudimento di un desiderio; e parlandoci anche di un rapporto, tanto misterioso quanto reale, tra il microcosmo umano e il macrocosmo, tra il progetto della vita sulla terra e del genere umano e quello più generale dell’universo, tra la nostra personale ricerca della verità, della bellezza e dell’armonia e le leggi della vita e della morte. Queste sono le ragioni che hanno spinto il Centro Cinema – con il sostegno prezioso della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, attenta ad ogni iniziativa culturale, e ancora di più se rivolta ai giovani – a celebrare con i ragazzi di oggi la pellicola dei maestri cineasti con un progetto dal quale uscirà la pubblicazione di un libro con i pensieri, le emozioni, i racconti di quello che questi ragazzi hanno visto negli occhi di Galvano e della sua gente, in fuga dalla furia nazista, in quella corsa disperata verso i liberatori prima che la storia li riporti, ancora, verso la loro “San Martino”.


cinema peace Berlino

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

Cinema

for

O

rmai dal 2002, all’interno del festival di Berlino, Cinema for Peace promuove le tematiche umanitarie e della pace attraverso il grande schermo. Nel corso di questi 10 anni attori, registi e artisti si sono avvicendati sul podio della Konzerthall di Berlino

Angelina Jolie vince l’edizione 2012 per lanciare messaggi contro le guerre o i massacri di civili: dovunque c’è guerra, dovunque i diritti umani siano messi in discussione e calpestati, il cinema può avere un ruolo determinante nel far conoscere le ingiustizie e gli orrori commessi ai danni dell’umanità. La pellicola che segna l’esordio alla regia di Angelina Jolie , In the Land of Blood and Honey si è aggiudicata il Cinema for Peace 2012. La Jolie, premiata da Mohamed ElBaradei, ha dedicato il riconoscimento all’intera ex-Jugoslavia, spendendo parole d’incoraggiamento per una delle regioni più martoriate d’Europa. La pellicola racconta infatti le contraddizioni e la difficile vita a Sarajevo durante gli anni della guerra. Nelle passate edizioni il riconoscimento era andato a Hotel Rwanda, Good Night, and Good Luck”, Persepolis, Juno, Milk e A Message from Pandora. Tra i concorrenti di quest’anno – che si contendevano il Most valuable movie of the year 2012 – i favoriti al fianco di In the land of blood and honey di Angelina Jolie, erano Ides of March di Geroge Clooney, e Tree of life di Terence Malick. Nelle foto: Angelina Jolie e Brad Pitt ; Christofer Lee; Raul Richter e friend; Angelina Jolie e Mohamed ElBaradei; Angelina Jolie; Christofer Lee e Birgit Lee; Luc Besson; Franziska Urio e Hermann Buehlbecker

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Teatro duemila appunti per un manifesto N

el Duemila, bisogna riportare il teatro al pubblico per riportare il pubblico al teatro. In altre parole: far uscire il teatro dalle secche dell’autoreferenzialità (e delle platee vuote o semivuote). Un teatro, quest’ultimo, sedicente “necessario”, ma di fatto, troppo spesso, tale solo per chi lo fa, sul piano esistenziale ed economico, non per chi ne fruisce come spettatore. Un teatro “popolare” solo nelle etichette tardo-progressiste, ma nei fatti elitario e esclusivo. Una nuova idea di Teatro, sul versante produttivo e su quello di programmazione-ospitalità, non dovrebbe peraltro configurarsi come un ritorno all’ordine, di marca filistea, destinato a inseguire, per esigenze di botteghino, facili popolarità di derivazione televisiva o proposte al ribasso sul piano artistico-spettacolare. Oggi occorre trovare una mediazione, che non sia solo frutto di un compromesso geometrico, o di un dosaggio in percentuali fifty-fifty, fra esigenze culturali e anche pedagogiche di promozione del gusto, dell’intelligenza e anche della sperimentazione del nuovo, e popolarità della proposta. E ciò non solo per motivi economici, che pure non vanno snobbati o sottovalutati: un teatro pubblico infatti, se può e deve uscire da logiche privatistiche di mero profitto, non dovrebbe con questo – e proprio in quanto finanziato da soldi pubblici - autorizzare dissipazioni e sprechi al servizio di progetti autoriali spesso tanto megalomani quanto di dubbio valore intrinseco, e al sostentamento di carrozzoni improduttivi, sul piano economico ma anche e diremmo soprattutto su quello artistico-culturale. Il quadro di compatibilità economicofinanziarie dovrebbe dunque essere tenuto in seria e costante considerazione preventiva, in particolare nell’attuale contingenza economica: resta valido l’adagio che un buon cuoco si riconosce quando deve operare con (relativamente) pochi ingredienti.

Riconoscibilità

Il primo ingrediente essenziale del tea-

tro dovrebbe essere la riconoscibilità del progetto, la chiarezza della proposta e una sua precisa fisionomia. Il che non significa ingessare tale proposta in uno schema rigido, subordinando ogni singolo evento artistico all’ottemperanza di canoni prefissati e negandosi dunque la possibilità di digressioni stimolanti (chi scrive deve per forza ricordare gli ottimi risultati da lui ottenuti a Peccioli, dove dal 2004 in poi ha inventato e gestito il variegato festival 11 Lune, in breve tempo diventato uno dei più importanti e affollati della Toscana, con migliaia di spettatori il più delle volte entusiasti, quando i teatranti che agivano sul luogo prima di lui potevano contare su qualche decina di annoiati o volenterosi spettatori agli eventi da loro organizzati: il tutto con lo stesso identico budget a disposizione; e non si può fare a meno di sottolineare, a costo di sembrare presuntuosi, che da quello stesso festival chi scrive trovò anche le risorse per varare l’altra importante esperienza produttiva di PeccioliTeatro, compagnia di prosa circuitante ormai con successo in tutta Italia). E anche se la riconoscibilità non esclude la flessibilità e neppure la contaminazione, credo che costituiscano una garanzia di quanto sopra affermato l’esperienza e il prestigio acquisiti dal sottoscritto in lunghi anni di militanza teatrale, con collaborazioni che lo hanno proficuamente associato a personalità del calibro di Giorgio Albertazzi, Gigi Proietti, Flavio Bucci, Vittorio Gassman, Paola Gassman, Roberto Herlitzka, Nando Gazzolo, ma anche a gruppi di autentica ricerca teatrale quali il Gruppo della Rocca o il teatro del Carretto di Lucca. Riconoscibilità significa sì uscire dalla coazione a ripetere dei teatri di tradizione (Shakespeare - Goldoni - Molière - Pirandello), consapevoli tuttavia che questa necessità, tanto più cogente per un Teatro di Innovazione, non può comportare il gettare a mare o dare per scontato il grande teatro classico: che lungi dall’esaurire un cartellone, come talvolta accade, può servire da traino (immedia-

Teatro

Andrea Buscemi

tamente riconoscibile) per proposte più originali e stravaganti, anche della nuova drammaturgia. Idem dicasi per la riconoscibilità degli interpreti: pur rifuggendo la caccia al “nome” di importazione televisiva o cinematografica (per altro non sempre garanzia nemmeno di immediato ritorno al botteghino, oltre che di qualità artistica del prodotto), un progetto teatrale dovrebbe verificare, ferme restando le compatibilità economiche, la presenza in cartellone e anche in produzione di nomi di sicura e comprovata garanzia di qualità artistica, e di ragionevolmente vasta popolarità.

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Popolarità

La popolarità dev’essere infatti il secondo ingrediente di un progetto artistico. È una dimensione che occorre recuperare, pure in una fase storica nella quale la massificazione del gusto e del pensiero indotta da certa televisione, e non solo, ha di fatto sfocato, se non spappolato, il “popolare” in quanto tale, e, forse, il concetto e la nozione stessa di “popolo”. La popolarità non dovrà essere dunque una popolarità misurata in termini di audience o di cattivo gusto massificato (ma attenzione a demonizzare, o comunque svalutare per partito preso qualsiasi proposta di provenienza televisivo-cinematografica: ci sono a volte eccezioni sorprendenti), ma neppure l’utopistica “popolarità”, sovente posticcia e in malafede, di operazioni di fatto elitarie, e cervellotiche. Occorre anzi dire che il popolar-triviale televisivo ha spesso occupato uno spazio lasciato colpevolmente libero dalla proposta teatrale di élite, in una sorta di perversa operazione di divisione del target (alla tv il popolo-bue, la plebe; al teatro le élites culturalmente sensibili), dove non è ben chiaro chi abbia dato avvio al processo (forse, bisogna ammetterlo, il medium più forte e politicamente “pesante” nel sistema, vale a dire la tv), ma dove le co-responsabilità, anzi correità, sono a questo punto evidenti, quanto meno nella forma di resa del teatro a un ruolo residuale e marginale, che poi ci si è raccontati, consolatoriamente, nei termini, comunque perdenti, di una scelta aristocratica e resistenziale. Raccogliere la sfida della popolarità significa ricordare che il grande teatro classico è sempre stato in grado di parlare al popolo, senza deflettere (anzi!) dalla qualità dell’invenzione artistica. L’atout da giocare in questa sfida è il valore aggiunto dello spettacolo dal vivo, pure in un’epoca storica dominata dalla

virtualità dell’immagine, e dell’esperienza estetica più in generale. Inutile, velleitario e perdente, cercare di giocare la sfida sul terreno degli effetti speciali. Il ritorno a un vero Teatro si intende giocarlo sul piano dell’emozione e del coinvolgimento sensoriale-emotivo del pubblico: il che non significa (necessariamente) ricorrere a espedienti quali l’associare gli spettatori all’azione scenica, o escogitare esperimenti di fruizione sinestetica dello spettacolo diffondendo nella sala aromi e fragranze, propinando degustazioni e banchetti teatralizzati, chiaramente non replicabili negli spettacoli virtuali: tutte cose già viste e già fatte, senza che il teatro ne abbia tratto giovamento più di tanto, anche sul piano del richiamo sul grande pubblico. Il coinvolgimento del pubblico si dà nella capacità della proposta (autoriale, registica, interpretativa) di dire e raccontare in maniera anche non facile e scontata, ma comprensibile, ed emozionante, ciò che attiene all’uomo, di oggi e di sempre. Il primato dell’emozione, nel teatro che vogliamo, è fondamentale ed essenziale alla sopravvivenza stessa del teatro come forma specifica di espressione e di comunicazione, e lo è sempre stato fin dai tempi originari dei grandi tragici greci e della catarsi – emotiva – che col teatro si intendeva raggiungere. La mera veicolazione di contenuti anche alti e profondi (o civili, come piace dire oggi) può essere più efficacemente conseguita con altre forme espressive. E a proposito del teatro di impegno civile, di cui non intendiamo certo misconoscere il valore, occorrerebbe anche qui rifuggire da posizioni tranchant, estremiste, per cui oggi il teatro o sarà “civile” o non sarà. Non solo perché la “civiltà” o “civicità” di un discorso teatrale non attiene necessariamente al trattamento di tematiche attinte dall’attualità politico-sociale. Ma anche perché la nostra idea di Teatro intende

dare piena cittadinanza anche al teatro di intrattenimento, riconoscendo come unico criterio di selezione la qualità artistica della proposta. Insomma, è più “necessario” un buon teatro cosiddetto d’evasione, che un cattivo teatro d’impegno.

Rapporto col territorio

Il terzo essenziale ingrediente per il Teatro del Duemila dovrebbe essere oggi quello del rapporto col territorio. Noi crediamo che il teatro non professionale, amatoriale, abbia da dare, oltre che da ricevere qualcosa dal teatro professionale: in termini di spontaneità, di sorgività, di superamento di stereotipi e birignao. Se ne sono già avveduti nomi importanti del teatro non convenzionale, con risultati talvolta esaltanti, talaltra discutibili. In questo settore un’accorta direzione artistica si dovrebbe fare garante dell’attendibilità dei criteri di selezione, senza imbarcare, screditandosi, la più sgangherata compagnia amatoriale, al solo scopo di riempire la sala di amici e parenti. Ma a quella stessa compagnia chi fa teatro ha l’obbligo di fornire gli strumenti necessari al giusto approccio al “fatto teatrale” e la possibilità di una crescita culturale altrimenti difficile da compiersi autarchicamente. Proprio, come dicevamo, per valorizzare il territorio e i suoi abitanti, farli crescere culturalmente.

Laboratori di formazione teatrale

In questo senso dovrebbe essere fondamentale l’attività di laboratori di formazione teatrale condotti da teatranti esperti, rivolti a chiunque si dichiari bisognoso di imparare e di mettersi in gioco, che oggi si renda conto di quanto l’attuale televisione generalista e i suoi codici degenerati sia mortifera per la componente umana (che invece il Teatro ha ancora la forza di difendere ed esaltare, perfino in questo imbarbarito tempo che ci tocca

NOTIZIA

Anzitutto uomo di teatro, ha lavorato a fianco dei numi tutelari della Scena italiana come Mario Scaccia, Vittorio Gassman, Gigi Proietti, Nando Gazzolo, Giorgio Albertazzi, e in compagnie storiche come il Gruppo della Rocca di Torino e il Teatro del Carretto di Lucca. Nel suo percorso artistico ha diretto attori come Flavio Bucci, Tosca d’Aquino, Paola Gassman, Roberto Herlitzka, Paolo Villaggio, Oreste Lionello, Antonio Salines, Debora Caprioglio, Natalie Caldonazzo, Corinne Clery, Alena Seredova, Eva Robin’s, Rosa Fumetto, Lucia Poli, e affrontato autori come Moliere, Goldoni, Shakespeare, Beckett, Lerici, Severi,Manfridi, Tobino, Buzzati, Zavattini, Fitzsimmons, Woody Allen, Wesker, Gogol. Attore anche di cinema: Al momento giusto di Panariello, Ritorno in casa Gori di Benvenuti, Passannante di Colabona, N di Virzì, Libertas di Bulajc e fiction: Un medico in famiglia, Don Matteo, Ho sposato uno sbirro per RaiUno, Padre Pio un santo tra noi per Canale5, è emerso grazie al varietà televisivo, in particolare con le tre edizioni di Torno sabato abbinato alla Lotteria Italia su RaiUno condotto da Giorgio Panariello, e Volami nel cuore sempre su Rai Uno condotto da Pupo. In particolare, con Panariello ha condiviso anche molto percorso teatrale affiancandolo come spalla in vari recital replicati in tutta Italia con un’enorme partecipazione di pubblico, e ne Il borghese gentiluomo di Moliere, uno dei successi commerciali più eclatanti della prosa italiana degli ultimi anni. Già direttore artistico di vari teatri: Poliziano di Montepulciano, Gli arrischianti di Sarteano, I vigilanti di Portoferraio, Persio Flacco di Volterra e della televisione 50canale, nonché artefice a Pisa del recupero del cinema Lux e del teatro Rossi, nel 2005 ha fondato col sindaco Silvano Crecchi e Renzo Macelloni presidente della Belvedere S.p.a. la rassegna 11 Lune di Peccioli, avviatosi velocemente a diventare uno degli appuntamenti estivi più importanti in toscana. Dal festival è nata la compagnia Peccioliteatro, oggi una delle realtà artistiche più significative del territorio toscano e non solo, in grado di produrre e far circuitare in italia spettacoli di grande successo. Fra essi basti ricordare i più recenti, La locandiera di Goldoni, L’avaro di Moliere e Il mercante di Venezia di Shakespeare diretti e interpretati dallo stesso Buscemi con l’ensamble storico del gruppo, questi ultimi due ancora contemplati nella prossima stagione nei teatri italiani. A natale 2011 è stato sui grandi schermi italiani in Finalmente la felicità la nuova commedia di Leonardo Pieraccioni.

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vivere). Con la consapevolezza che un percorso laboratoriale siffatto spesso può formare anzitutto un buon spettatore prima che un attore. Il rapporto col territorio, inoltre, dovrebbe sostanziarsi anche nella ricerca di testi e opere capaci di raccontare il territorio, la sua storia, il suo presente: naturalmente al di fuori di una dimensione di localismo-provincialismo, nella capacità di far sì, come diceva Tolstoj, che parlando del proprio villaggio si parli dell’universo (penso alla bella esperienza del Teatro Povero di Monticchiello, che per primo ha sdoganato con successo l’urgenza di tramandare la Memoria, facendo del proprio luogo il Luogo attraverso cui raccontare l’Uomo). La ricchezza di storia e memorie del nostro territorio è innegabile, e si spera che al sottoscritto venga riconosciuta un’ostinazione nel tentare di divulgarne anche sotto la lente d’ingrandimento televisiva (coi numerosi talk show condotti su 50Canale) il portato e l’enorme importanza dei suoi significati. Significati che però la tv, per sua intima essenza, non riesce a esprimere con la debita suggestione e profondità, un campo d’azione che appartiene più facilmente al fatto teatrale. Chi scrive possiede un nervo scoperto per quanto riguarda la Memoria: è conscio che l’epoca che stiamo vivendo rischia di polverizzare l’enorme patrimonio di storia e conoscenza che sta alle nostre spalle, col quale sembra che i giovani d’oggi si illudano di non dover fare i conti, coi risultati alienanti che sono sotto gli occhi di tutti e che per la prima volta nella storia dell’umanità conferiscono ai novizi la presunzione di saperne di più di padri e nonni. Ma quei padri, e quei nonni li hanno portati sin qui, hanno lottato per loro proprio sapendo o sperando che la memoria di quanto era fatto (coi loro tormenti e difficoltà, le loro rinunce e le loro conqui-

ste) rimanesse impresso come già fu in loro dai loro padri e dai loro nonni. Oggi questo meccanismo “virtuoso” rischia di saltare definitivamente in nome di un “virtuale” che pervade le nostre giornate e coscienze, perché sempre meno si urla l’esigenza di un passo indietro. Quell’urlo può forse arrivare ancora oggi dal teatro. Forse solo dal teatro. In quanti fra i giovani oggi sanno, ad esempio, quanto fosse povero il contado nella campagna toscana ai primi del Novecento? In un modo impensabile per chi oggi possiede due telefonini, lo scooter, la tv al plasma e può mangiare abbondantemente tutti i giorni (ma il trisnonno di mio figlio Niccolò, cascinese, portava la domenica i figli sul corso a “vedere i ricchi mangiare il gelato”, e loro ne erano perfino contenti). Quanti sanno fra i giovani oggi del tributo che la Toscana dovette pagare durante la guerra, le vittime e i soprusi, della Resistenza che ne sortì, dei partigiani sui monti che contribuirono a liberarci e perciò a liberare anche loro? Ma anche dei bombardamenti americani che, in nome di una malcelata “democrazia”, bombardarono e distrussero le nostre città più belle, contribuendo a devastare la nostra Memoria? Quanti fra le giovani generazioni conoscono i fatti e i personaggi del boom del dopoguerra che promosse perentoriamente la regione perfino a livello internazionale, neutralizzando la disoccupazione e veramente arricchendo chi aveva la buona volontà di darsi da fare con ingegno e caparbietà? Momenti salienti, indispensabili per capirsi e capire dove siamo arrivati oggi, dove affondano le nostre radici, di che pasta infine siamo fatti, in barba alla globalizzazione che sembra azzerare perfino il Mistero dei

luoghi. Elemento importantissimo però è anche l’attenzione, dunque la produzione e divulgazione del Teatro classico, convinti come siamo che il genio di Shakespeare Goldoni o Moliere sia innegabilmente rimasto insuperato. E per niente inattuale. Anzi, come ho già sentenziato altre volte, Shakespeare stesso ha inventato l’Uomo, e la sua opera è la summa del racconto di esso (lo stesso, naturalmente, varrà più tardi per Moliere e poi Goldoni). Anche attraverso questi grandi si può azionare l’antenna conoscitiva delle attuali trasformazioni generazionali. Anche perché non è detto che la trasformazione ci porti per forza a migliorare. Attraverso il grande teatro classico si può ottenere il meglio rispetto ai percorsi comunicativi per l’infanzia e la gioventù: un bambino o un ragazzo che non conosce Shakespeare non può dire di conoscere il Teatro (quanti sanno, ad esempio, che Goldoni scrisse proprio a Pisa Arlecchino servitore di due padroni? O che ne La locandiera, il Cavaliere di Ripafratta fa proprio riferimento al castello che ben conosciamo? O che ne La bisbetica domata, Shakespeare ha inserito fra i protagonisti proprio un personaggio pisano? Un terreno pressoché inesauribile di suggestioni). Percorsi veramente “teatrali”, cioè di comunicazione, senza presunzioni o ostentazioni di presunte verità che allontanano invece di avvicinare. Umilmente portatori di un ruolo che si rivolge alla comunità (di cui noi teatranti abbiamo disperato bisogno, proprio per esistere), e che ci fa comunità noi stessi. Consapevoli infine del privilegio del mandato della Cultura e dello spettacolo di cui non dobbiamo essere gelosi custodi, ma generosi dispensatori.


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Spettacolo

Sanremo

che estival TEXT Daniela Bagnoli PHOTO Stefano Maffei

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nche quest’anno siamo arrivati a Sanremo, più precisamente martedì 14 febbraio, per assistere a tutte e cinque le serate del Festival. A differenza degli anni passati, per i primi giorni della settimana non c’è troppa gente, i bar, ristoranti e hotel non sono del tutto pieni, solo venerdì si arriverà a registrare il massimo dell’affluenza. La “crisi” si sente anche qui. Nonostante tutto nell’aria si sente il clima festivaliero di sempre e come ogni volta c’è grande attesa. Ormai siamo abituati a vedere Sanremo con questa veste anche se come detto prima, per i primi giorni della settimana abbiamo trascorso momenti più tranquilli rispetto a sempre. Anche in questa occasione abbiamo avuto il piacere di conoscere persone piacevolissime come Alessandro Casillo, il vincitore di Sanremo giovani e Roberto Cenci, regista della trasmissione Io canto condotta da Jerry Scotti. Alessandro è un bravissimo cantante, io e Daniela abbiamo riscontrato anche una grande semplicità e educazione. Bravo Alessandro! Le emozioni sono state come l’anno scorso di qualità e poi si sa, dal vivo Sanremo è tutta un’altra cosa. Molto bella è stata la serata con i cantanti internazionali. Josè Feliciano è stato molto emozionante. L’Adriano Celentano show ha fatto colpo. Come si supponeva è riuscito a far diventare più interessante il Festival. Polemiche ci sono state anche all’interno dell’Ariston, ma si sa: che festival sarebbe senza polemiche? Non siamo riusciti a capire se Belen avesse le mutandine o meno, una cosa è certa: la

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Nelle foto: Gianni Morandi e Rocco Papaleo conduttori del Festival; in basso le vincitrici Emma, Arisa e Noemi; a fianco varie istantanee delle serate della manifestazione;

farfalla c’era di sicuro… e poi una farfalla a Sanremo, con tutti i fiori che ci sono, è anche normale! Quest’anno abbiamo fatto amicizia con gente speciale, molto vicina professionalmente a Morandi, Celentano e ad altri artisti, che ci hanno fatto passare delle belle serate dopo il festival… magari a cena da “Vittorio”! Un Festival ok! Molto piacevole, con le sue polemiche, le sue canzoni, con Celentano, le farfalle e Lucio Dalla, che purtroppo non avremo più modo di vedere a Sanremo e neppure su altri palchi. Grazie Lucio per le bellissime emozioni che ci hai fatto pro-

vare, fin dalla nostra adolescenza. Subito dopo il Festival non ci sono state situazioni particolari da potervi raccontare. La classifica finale delle canzoni è stata apprezzata da tutto l’Ariston e poi come si sa, saranno le radio e le vendite dei dischi a decretare il vero vincitore del Festival di Sanremo 2012. Inizia da ora l’attesa per il prossimo Festival che speriamo di potervi raccontare! Perché Sanremo è Sanremo! 1. I dischi in vinile al Palafiori di Sanremo sono della collezione privata di Alessandro Benedetti di Monsummano Terme insieme a Aldo Grechi musicista ed impresario artistico a Pistoia, con la nostra rivista


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Musica

diavolod’un TEXT Claudio Guerrini PHOTO Antonio Ancarola

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ome corrispondente dall’estero di questo magazine ho sempre cercato di scrivere articoli che, seppur a volte un po’... ehm... decentrati, avessero una qualche connessione logica col territorio toscano; questa volta il giochino mi è venuto facile, molto facile. Proprio a Firenze infatti è da poco nata quella che probabilmente è la band hard rock più interessante d’Italia, al cui interno militano personaggini che del rock underground italico hanno fatto la storia, proveniendo da bands quali Machine Messiah, Killer Queen, Mantra, Fool’s Moon, Green, Suzy Q. Due chitarre“indiavolate”, tre (e dico T-R-E!) voci soliste che si intrecciano vorticosamente hanno dato vita a un gran bel prodotto, potente melodico e maledettamente accattivante! Personalmente ho adorato Fake al primo ascolto – il ritornello si insedierà nella vostra mente come il più subdolo dei tryoans – e let’s meet at Trip (Vera “Ode Rock” al Pub punto di ritrovo dei metalloni fiorentini). Seppur freschi di stampa hanno già aperto i concerti di Tygers of Pan Tang, Billy Sheehan, Stef Burns e il chitarrista Mario Assennato, storica ascia dei Killer Queen, è stato intravisto di recente a Sanremo insieme a Brian May e ha pure suonato per lui dei pezzi dei Queen!! Vi basta per comprare il CD? A me è bastato molto meno. Info: www.devilsmojito.com www.myspace.com/devilsmojito I DM sono anche su Facebook e Youtube Logo grafico di Evol McDevil

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Solidarietà

San Miniato

Unitalsi

insieme per

TEXT Vanessa Valiani PHOTO Alessandro Squilloni

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o scorso 28 gennaio ha avuto luogo a San Miniato, nella splendida cornice dell’ex chiesa di San Martino – oggi pertinenza dell’hotel San Miniato –, un’importante iniziativa benefica che ha visto coinvolti i club Lions e Leo San Miniato, Rotary e Rotaract Fucecchio – Santa Croce sull’Arno e la FIDAPA sezione San Miniato. Destinataria dei fondi raccolti l’associazione cattolica Unitalsi, sezione di San Miniato, da sempre impegnata in attività, fra cui i pellegrinaggi, tese a fornire sostegno e assistenza a malati e disabili. L’evento ha previsto una cena, cui hanno partecipato oltre centocinquanta invitati, resa particolarmente piacevole dall’esibizione live della “Rotary sband”, una formazione di dieci elementi, molti dei quali soci Rotary e, soprattutto, amanti della buona musica degli anni ’60 e ’70. In ordine alfabetico: Giorgio Bosco – il “buon presentatore”; Andrea Gnesi al sax; Paolo Giannoni alla fisarmonica, al sax soprano e al clarino; Marco Marcocci, voce “all’olio d’oliva”; Andrea Orsini - il “bravo arrangiatore”– alla chitarra; Franco Piani - “Frank” – alla batteria; Bruno Querci al basso; Marco Sansoni, il “cardiochitarrista”; Carlo Taddei alla tastiera. Le note di Mina, Lucio Battisti e dei gloriosi Beatles hanno suscitato in molti dei presenti ricordi di vita vissuta. Degna di essere ricordata l’esibizione di tre soci del Lions club San Miniato, rispettivamente il dottor Piergiovanni Vivaldi, ribattezzato per l’occasione “Johnny Santacruz”, la dottoressa Elena Pro – “usigno-

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Nella foto: alcuni componenti della Rotary sband, Giorgio Bosco, Vanessa Valiani “la voce”, Margherita Casazza presidente Fidapa, Marco Nuti presidente Lions e Paolo Giannoni presidente Rotary; nelle altre foto momenti della serata.

lo del callone”, il dottor Stefano Petrucci alias “little stone”, i quali, abbandonando ogni inibizione, si sono lanciati in una performance canora carica di sentimento e ironia, molto apprezzata dall’uditorio. Ospiti d’onore Antonio Pellegrini, presidente di Unitalsi San Miniato, in compagnia del segretario, Dario Pagni e del tesoriere, Clara Pantani. La serata si è conclusa con i ringraziamenti degli organizzatori, in particolare Marco

Nuti presidente in carica Lions club San Miniato, Paolo Giannoni, presidente Rotary club Fucecchio - Santa Croce sull’Arno, Margherita Casazza, presidente FIDAPA San Miniato. Aggiungo con piacere, infine, una breve nota personale. L’aver avuto la possibilità di operare direttamente per la realizzazione del service, in veste di cantante del gruppo, mi ha regalato emozioni che non dimenticherò mai.

Nelle foto: da destra Antonio Pellegrini presidente di Unitalsi San Miniato; al centro il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini, al tavolo con il presidente Fidapa; panoramica dell’ex chiesa di San Martino a San Miniato.




morsi

una

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TEXT Carla Cavicchini

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uando all’imprenditoria vengono accompagnate tematiche sociali, ambientali, con buona tutela nei confronti delle donna e dell’infanzia, viene fuori questa bella signora morettona dai lunghi capelli lisci, con quegli occhioni neri e lucidi e quella freneticità che la contraddistingue: Marina Salomon. Non a caso l’ascoltiamo sempre alla radio, nella fascia serale di Zapping, accanto ad Aldo Forbice. Nel 1982 ha fondato la società Altana, di cui è amministratore unico, che è oggi la maggiore azienda italiana di abbigliamento per bambini, nel 1991 ha acquisito il controllo della Doxa, leader nel settore ricerche di mercato. A Pitti - nei suoi stand - è in fibrillazione anche perché, come mi spiega con le mani giunte: «Ciccia, non farmi perdere il treno poiché a casa ho quattro figli più due adolescenti in affido e sette cani!» Ammazza, e come concilia il tutto? Lavorando moltissimo al computer e non solo quando posso: di giorno, di notte. Adesso se Dio vuole, mi è passata l’angoscia di sorvegliarli tutti da vicino. Aziende gestite da donne: ce ne sono sempre di più. Lei inoltre coniuga la moda col sociale. Che dire… le donne ci sono, sanno lavorare e io ho grandi soddisfazioni e fiducia in loro, anche quelle ai vertici, capaci di gestire il potere. Quanto a noi, mi piace parlare al plurale, distribuiamo una buona quota di profitti su progetti di utilità sociale. Inoltre, dal momento che noi “fanciulle” siamo più penalizzate poiché gestiamo!

E siamo capaci di gestire tutto con sacrifici immani, ho introdotto il telelavoro che tanto aiuta le mammine. Qual è l’arma vincente in politica, nella professione e… anche in casa? La grandissima energia che portiamo n e l l a vita e il

Intervista

Marina Salomon

distacco dal potere nel modo in cui lo vivono i maschi. E parliamo allora del femminismo… mi sembra che in tal contesto… Guarda, quando frequentavo l’università qualche volta andavo alle riunioni, però non sono tipa da pazientare troppo sui dibattiti per cui la mia generazione ha provato a costruire senza teorizzare troppo. Riconosco però che hanno tracciato la nostra storia e non possiamo rinnegarle: ci hanno preceduto. Il suo rapporto con la moda. Non è una passione personale, bensì l’umiltà di fare le cose di cui il mondo ha bisogno. Lo sa che lei a tratti mi ricorda Ghandi? Ah, si… che onore! – E scoppiamo a ridere di gusto – riprende. Tornando a sopra io posso vestirmi in modo diverso da ciò che faccio, ma ho molto rispetto del mercato e quindi l’importante è la coerenza di ogni collezione rispetto al suo target. Sono esterrefatta, nessuno mi ha mai risposto così. Davvero? Guarda, personalmente ho rinunciato a fare le collezioni da dieci anni. Prima le facevo io, poi ho imparato che il mio ruolo poteva e doveva essere un altro: quello di stare dietro le quinte. Ovvero le strategie della presidenza. O forse esperienza. C’è una socia che è anche amministratore delegato che è più giovane di me e che governa le cose. È in forma strepitosa... Sembro slanciata, ma non sono. Ho tutta la mia bella cellulite ed anche tanti rotolini che spuntano qua e là… forse perché sono felice di vivere. Soprattutto di lavorare.

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fGaut!

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

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e lo volete incontrare e non sapete come fare non vi preoccupate. Andate ad un party di Pitti o all’inaugurazione di un locale dove è previsto un dj e li lo vedrete. Perché Luca Bolognese, oltre ad essere un affermato architetto e designer di interni e complementi d’arredo per la casa, è un grande appassionato di ballo. Una passione che lo ha portato ad inventarsi un look personalissimo (lui lo definisce funky) che egli stesso realizza creando ed indossando camicie coloratissime, anelli di tutte le forme, scarpe con tacco vertiginoso ed i mitologici bastoni contemporanei che lo accompagnano ad ogni uscita mondana. Luca ha infatti creato nel corso degli anni una collezione di bastoni da far invidia ad un museo, tant’è che il Louvre appena saputo della loro esistenza ha voluto ospitarne una mostra. Ma quale è il loro significato e da dove nasce l’idea di realizzarne più di cento esemplari? Il bastone è un accessorio che ha attraversato tutte le epoche storiche: vezzo aristocratico, per classi sociali elevate, segno di potere di re e regine, simbolo magico di chiro-

Curiosità

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Luca Bolognese

manti ciarlatani o di qualificati scienziati, segno religioso di identificazione per importanti cariche religiose, ma anche sostegno utile per malati o ausilio nei lavori di classi meno abbienti. Ogni epoca ci ha tramandato, grazie alla certosina raccolta di pochi eletti collezionisti, bastoni di ogni foggia e decorazione, che rivelano uno studio cromatico, materico e formale, talmente qualificato da competere con le più note opere d’arte che siamo soliti vedere nei musei delle

Incontro con Luca Bolognese, in arte Gaut, collezionista di bastoni da passeggio nostre città. Grazie alla passione di un ristretto numero di persone Luca ha potuto ammirare bastoni popolari, ma anche regali così magistralmente interpretati da manifestarne la loro storia in quel metro scarso di altezza, sia che l’autore fosse un umile contadino o un annoiato baleniere, sia che fosse un abile artigiano al servizio di corte. Il bastone decade ad uso agli inizi del XX secolo finendo per diventare appannaggio di anziani e malati, perdendo il suo intrinseco valore decorativo. Oggi solo pochi eclettici artisti o visionari personaggi dello spettacolo lo indossano. Per Luca nasce l’esigenza propositiva di reinterpretarlo con la sua sensibilità. Progettare un bastone, equivale a creare un abito. Come lui stesso ci spiega: «il bastone è un elemento accessorio dal forte valore comunicativo, che ben si colloca tra i due settori, moda e design: dunque trade d’union tra la moda indossata e gli interni di una casa abitata». Il bastone ha comunicato in passato, ma può essere comunicazione anche oggi e conclude Luca: «I miei bastoni sono l’esplicitazione del mio io molteplice, attraverso le sue ricche espressioni decorative: il bastone può tornare senza dubbio a vivere ancora; in un epoca sopraffatta da ipertecnologia invadente il bastone

rappresenta per me la messa a terra del corpo umano, l’elemento conduttore di energia corporea al terreno; il ricordo palpabile del legame ancestrale dell’uomo alla terra. Non solo i piedi, ma anche la mano con il suo bastone».

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Scuola

delle mie

TEXT Mattia Zupo PHOTO Domenico Parnis

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it-In Florence è stato un progetto nato da un’idea della prof.ssa Elisabetta Cianfanelli, in collaborazione con IKEA e Policomunicazioni, rivolto a varie realtà educative fiorentine, destinato a valorizzare l’educazione all’arte e alle sue varie forme espressive e di comunicazione. Le 400 sedie offerte da IKEA sono state distribuite alle scuole partecipanti al progetto, le quali sono intervenute su di esse interpretando alcuni temi della società contemporanea, come ad esempio la moda, l’arte o la tecnologia, personalizzando artisticamente ogni sedia secondo un disciplinare fornito dalla faculty di SitIn Florence che ne definiva le linee guida. Le sedie così trasformate sono state poi tutte quante radunate ed esposte dal 3 all’ 11 dicembre all’interno del Padiglione Spadolini della Fortezza da Basso, in occasione di Florence Biennale 2011. L’Istituto Cellini-Tornabuoni ha contribuito al progetto con la realizzazione di 39 sedie, distribuite in sei classi scelte negli indirizzi professionali di moda e grafica. Messe a punto le linee progettuali del lavoro e definiti i materiali, l’esecuzione pratica delle opere è stata portata avanti attraverso la manualità degli allievi coadiuvati dai numerosi docenti e assistenti tecnici che li hanno seguiti nelle varie fasi, in alcuni casi fino anche al loro trasporto in Fortezza per essere esposte assieme alle altre opere d’arte presenti a Florence Biennale. Sit-In Florence ha rappresentato per il nostro istituto un momento di vera e propria didattica, grazie al quale allievi e allieve si sono confrontati con le fasi di lavoro fondamentali di ogni progetto creativo: ricerca, progettazione e realizzazione. Questo ha significato per ognuno applicare conoscenze già consolidate, nonché acquisire nuove competenze, così da rispondere alle varie problematiche che di volta in volta si sono presentate. La scuola nei giorni conclusivi del progetto si è trasformata in un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, in cui i ragazzi fra le aule e il cortile hanno tradotto in forme plastiche i progetti ideati sulla carta, talvolta a suon di martellate e pennellate di vernice.

DESCRIZIONE: L’ideazione è nata dalla fusione tra Interior Design e Fashion Design. Il rivestimento di cannucce di plastica tutto fatto a mano simula una pelliccia. L’impalcatura interna è formata da una rete metallica che fa da supporto al capospalla. Sulla superficie della sedia, impreziosita da tarsie di gigli d’oro in omaggio alla città di Firenze, è stato steso uno strato di vernice antichizzata. MATERIALI: cannucce, jersey, rete da pollaio, fili di rame, compensato, spray oro. Tutto biodegradabile Classe 5M Proff. Capuano, Del Medico ARTISTE VINCITRICI DEL PREMIO: J. Xia, J. Yang, X. Yang, C. Zheng

Hanno collaborato al progretto gli allievi delle quarte e quinte, sezione moda e grafica dell’Istituto Cellini Tornabuoni ed i professori Aglietti, Meucci, Zupo, Del Medico, Musella, Bardoni, Capuano, Tegliai, Casu, Parnis, tutti gli assistenti tecnici di laboratorio e l’esperto esterno Simone Serni. Il dirigente scolastico dottoressa Maria Delle Rose ha seguito in maniera diretta il progetto spronando gli allievi alla realizzazione di questi piccoli capolavori.


Poltrona riciclaggio Galli Natalie, Pratesi Alessandro; Angelo nero Mehnag Yrgaalem, Lule Docay, Mri Docay, Natyra Shala; Controsenso Alessia Menoni, Giulia Palumbo, Alessandro Calabrò; Da Vinci Margherita Checcucci, Xhulia Ziso, Giada Cavigli; Vanità Giada Picci, Viola Papaleo, Clarissa Roselli, Elisa Alberti; Flower bomb Ginevra Nardi, Raissa Borghi; Gioiello Francesca Bettocchi, Annalisa Diadei, Ambra Zahami, Limin Hu; La culla del genio Marco Zhou, Giulia Zheng, Liya Zhang, Ying Lin Pei; Scarpa Valentina Pizza, Liz Andrea Aspettati; Modado Laura Lombardi; Macramè Serena Bardelli; Optical Carolina Lombardo, Sofia Iodice, Camilla Pinzauti, Irene Fruzzetti; Pollock Alice Bazzoni, Cristina Vizziello, Svetlana Jankovic; Sacco a pelo Claudia Giovacchini, Francesca Cappugi, Debora Cerreti; Elettrica leopoldina Teresa Merciai, Denise Nonnis, Luisa Zagli; Oggetti Lucrezia Tufarulo, Francesca Cerbai, Agnese Lazzerini, Sofia Nardella; Matita Sofia Massiach, Guendalina Boccella, Federica Goretti, Margherita Quercioli, Margherita Masoni; Trolley Noemy Foietta, Betina Hyseni, Alessaia Lattanzio; Palazzo Vecchio Chiara Giglioli, Martina Monticelli; Just Cavalli Vanessa Agati, Glenda Greggio, Riccardo Paoli, Virginia Massi; Ossessione Soara Ciani, Giselle Niccolai, Eleonora Turingan, Damian Sequeira Esteban; Mc Queen Beatrice Malesci, Elisa Lupi, Elena Renai, Caterina Taddei; The blue swan Noemi Berti, Lucia Berti, Tatiana Mardari; Vespa Giulia Bonaccorso; Albero Franceska Gogay, Sara Nanni, Sara Dragotta, Emily Ciolli; Flora Sabina Baldini, Camilla Pratesi, Francesca Mancini, Giada Li Causi, Irene Poldi Allai; Plastic 3D Irene Focardi, Astou Haidara; Cancello aperto liberty Silvia Fabbri, Virginia Boni, Sara Sabib, Annalisa Collini.


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Sogni...

TEXT a cura di Margherita Casazza

Solidarietà

Santa Croce sull’Arno. Teatro Verdi

È

uno spettacolo suggestivo, un percorso a ritroso in un confronto tra un uomo e un bambino, dove l’uomo si racconta e dichiara paure, speranze, difficoltà e tutto ciò che si incontra mentre si cresce, nel tentativo di realizzare noi stessi.

Venerdì 2 marzo al Teatro Verdi di Santa Croce sull’Arno si è svolto lo spettacolo Sogni… di Beppe Dati, poeta e autore toscano nato nel novembre del 1950 Sul palco si esibiscono con Beppe Dati musicisti di alto livello, amici, cantanti, ballerini e attori che interpretano alcuni suoi brani; perché lo spettacolo Sogni... è anche questo: un’interpretazione di canzoni inedite e brani che lo hanno reso famoso. Dati ha infatti iniziato il suo percorso dietro le quinte di Sanremo, nel 1989, con il testo di Cosa resterà degli anni ‘80, interpretata da Raf e, è proprio da qui che impara l’affascinante mestiere dell’autore e inizia così una carriera al fianco di grandi artisti come Guccini, Marco Masini, Laura Pausini, Raf, Paolo Vallesi,

Nelle foto: da sinistra Roberto Boldrini presidente Rotary Club Empoli, Nello Mari assistente governatore distretto 2070, sua Eccellenza Monsignor Fausto Tardelli vescovo di San Miniato, Beppe Dati, Elisabetta Lami presidente Rotary Club San Miniato e Giuliano Maffei presidente Stella Maris, Federico Bertelli che si è esibito suonando l’armonica. In basso: il pubblico intervenuto alla serata.

Mia Martini, divenuti famosi anche grazie ai suoi testi. Nel suo spettacolo viene raccontato tutto questo anche attraverso aneddoti che si nascondo dietro ai suoi brani, ottenendo così un racconto che si fonde con la vita di ognuno di noi. Nella vita di Dati è da sottolineare l’importanza degli incontri avuti con Giancarlo Bigazzi, Gianni Rodari e Padre Balducci, che lo hanno spinto a scoprire e indagare sul mondo dei bambini e dei disagi. È così che nascono i suoi racconti e i suoi spettacoli dove sempre traspare la voglia di trasmettere valori alti e nobili anche ai bambini, ma soprattutto agli adulti, invogliandoli a fare beneficenza. Lo spettacolo si è svolto grazie al contributo del Rotary Club di San Miniato e di Empoli, presieduti rispet-

tivamente da Elisabetta Lami e Roberto Boldrini e con il patrocinio del Comune di Santa Croce. Il ricavato, delle donazioni è stato devoluto a favore della Fondazione Stella Maris, che da oltre 50 anni è impegnata nella ricerca scientifica per la lotta alla neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza.

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· · · · · Nella foto: la direttrice dott. Elena Marrocci, dott. Giulia Bimbi, dott. Katrin Mayer, dott. Elena Fici.

D

omenica 11 marzo 2012 si è svolta l’inaugurazione della seconda farmacia comunale di Santa Croce sull’Arno, a cui hanno partecipato il Sindaco Osvaldo Ciaponi e autorità civili, militari, e l’assessore provinciale Angelo Scaduto. Dopo varie ricerche è stato scelto il fondo posto tra viale Di Vittorio e via San Tommaso, 180 mq complessivi suddivisi in una funzionale e accogliente area di vendita di circa 80 mq, con anche disimpegni e servizi che una moderna farmacia richiede. Il progetto è stato eseguito dallo studio di design di interni Luca del Corso, che ha reso l’ambiente luminoso e accogliente. La reception ampia è sicuramente stata prevista per offrire la massima accessibilità ai clienti, così come le scaffalature suddivise per settore e reparto, in modo che l’utente possa essere libero di cer-

care i prodotti in maniera autonoma. Prodotti per la cura della persona, per l’infanzia, prodotti per l’alimentazione destinati a chi ha intolleranze, a diabetici, bambini, celiaci, nonché prodotti omeopatici e per veterinaria, prodotti di primo soccorso e tutto ciò che richiede una struttura farmaceutica efficiente al servizio del cittadino. Sarà inoltre possibile effettuare l’attivazione della tessera sanitaria, la misurazione della pressione gratuitamente, la foratura dell’orecchio nel lobo e usufruire del servizio C.U.P. con cui si possono prenotare visite ed esami medici. L’orario stabilito è stato scelto per agevolare oltre ai residenti, anche chi opera nella vicina zona industriale, sarà prevista infatti un’apertura di 12 ore continuative, dalle 8.00 alle 20.00, oltre a seguire l’abituale turnazione notturna e festiva.

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Medicina

Santa Croce sull’Arno


Figli di Guido Lapi 1951-2011

una

lunga storia ancora

giovane...

Figli di Guido Lapi ha festeggiato nel 2011 i 60 anni dalla sua fondazione. Che cos’è oggi questa storica azienda del comprensorio del cuoio toscano? È prima di tutto un Gruppo, il Lapi Group, che a partire dall’esperienza della storica azienda capofila, oltre a rafforzare la propria importanza nel tradizionale mercato del settore conciario, sia in Italia che all’estero, ha saputo anche espandersi oltre. Con quattro aziende di prodotti chimici, Figli di Guido Lapi, FGL International, Finikem e Toscolapi, per coprire tutte le esigenze del ciclo produttivo della pelle. Con Gi-Elle-Emme, la conceria che produce il tradizionale cuoio per suola. Con NPA Mosè, azienda di nobilitazione di prodotti e capi in pelle, e con l’ultima nata Emma Holmes, che produce calzature e capi d’abbigliamento in pelle “new vintage” con il brand USED. Inoltre con Lapi Gelatine, una delle due aziende italiane di produzione di gelatina per uso alimentare e farmaceutico. Ecco perché i 60 anni di Figli di Guido Lapi sono stati vissuti sotto la bandiera di Lapi Group. Abbiamo pensato che il miglior slogan per questa importante ricorrenza fosse “Noi, insieme!”. Perché? “Noi”, per allargare la ricorrenza a tutte le realtà del Gruppo e per vivere da dentro il senso di una storia lunga, ma che vogliamo sia ancora giovane… In fondo abbiamo ben 90 anni meno dell’Italia unita, che è giovanissima! “Insieme”, perché insieme come Gruppo abbiamo voluto vivere questo momento insieme anche ai nostri clienti e partner commerciali, cercando di trasmettere questa immagine unitaria sui diversi mercati. E con lo spirito di sobrietà che da sempre crediamo ci contraddistingua, abbiamo voluto celebrare i 60 anni con iniziative mirate sui giovani. Bacco, Tabacco e Cenere: un concorso della durata di tre anni sui rischi dell’alcool e del tabacco, rivolto ai ragazzi delle scuole medie del comprensorio, chiamati ad auto-produrre uno spot da “promuovere” presso i loro coetanei. Fabbriche Aperte: aderendo all’iniziativa di Federchimica per l’anno della Chimica, abbiamo aperto per due giornate i nostri stabilimenti agli studenti di un istituto tecnico del comprensorio, che hanno potuto visitare i nostri laboratori e reparti produttivi e “toccare con mano” i nostri prodotti. Ripensare alle nostre origini, è però ripensare alla Figli di Guido Lapi… Come è nata l’azienda? Nel 1884 nasce la Fabbrica di Fiammiferi di Legno di Francesco Lapi, a Santa Croce. Portata avanti dal figlio Guido, la fabbrica di Francesco Lapi arriva ad avere 100 lavoranti, tutte donne, e prosegue la produzione fino al 1925. Nel frattempo Guido Lapi inizia altre attività, anche in campo chimico. Nel 1908 la produzione di sego, ingrassi e altri prodotti per conceria. Nel 1912 apre una conceria e acquisisce partecipazioni in un calzaturificio, in una società di importazione di pelli grezze e in una ditta di trasporti. Nel 1928 prende la rappresentanza della Forestal London (tannini di quebracho e mimosa). Con la seconda guerra mondiale tutte le attività si bloccano, fino al 1951, quando i figli di Guido, Francesco, Mario e Dino, fondano la Figli di Guido Lapi. Siamo oggi alla quarta generazione dall’intraprendente Francesco Lapi della fabbrica di fiammiferi, e la quinta sta già crescendo… ecco perché la nostra lunga storia è ancora giovane! Da sempre la storia della Figli di Guido Lapi si è intrecciata con quella delle concerie che producono pelle al vegetale e cuoio per suola. In quali mercati opera oggi la Figli di Guido Lapi? Estratti vegetali e Cuoio per suola. Nel campo degli estratti vegetali la Figli di Guido Lapi grazie alla sua storica esperienza, gioca un ruolo primario nella fornitura alle aziende del settore conciario di tutta la gamma completa di tannini vegetali (Quebracho, Mimosa, Castagno, Mirabolano, Gambier, Sommacco, Tara, Vallonea e altri tannini speciali). Figli di Guido Lapi inoltre è un vero e proprio partner per i cuoifici: a disposizione dei clienti non solo la gamma completa di prodotti tecnici per le varie fasi di lavorazione, ma anche un servizio di qualità, che costituisce il vero valore aggiunto associato al nostro intervento: gestione ordini di importazione tannini, assistenza tecnica in campo, conceria sperimentale per ricerca e sviluppo articoli, laboratorio chimico per analisi su bagni e pelli, consulenze etc. In uno dei prossimi numeri di Reality faremo una piccola incursione nel mondo dei tannini vegetali, tra botanica, chimica e soprattutto curiosità. Vera globalizzazione ante litteram, i tannini sono entrati nel bagaglio di conoscenze scientifiche e internazionali della nostra gente, quando ancora l’inglese per tutti era un miraggio. Perché parlare di tannini è parlare della Toscana e dei Toscani…

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C Arte onciati ad

Società

Teatro Verdi

TEXT Giacomo Pelfer

L

a pelle conciata come una sorta di insolita tavolozza per giovani artisti. Forme e colori di un prodotto nobile, plasmati a riprodurre i contorni e le suggestioni inconfondibili di celebri opere d’arte. L’impatto è di grande suggestione. Si va da Magritte a Picasso, da Klimt a Cezanne. Sono solo alcuni degli autori che hanno ispirato i ragazzi delle scuole medie di Santa Croce e Fucecchio per il concorso “Conciati ad Arte”, momento conclusivo del progetto “Amici per la pelle” che ha coinvolto oltre 350 studenti. Un’iniziativa promossa dal Gruppo Giovani Imprenditori, insieme all’Associazione Conciatori di Santa Croce, gli enti locali e gli istituti scolastici. Un progetto pensato per riannodare i fili della cultura locale con quel prodotto, la pelle, che ha segnato la storia e la ricchezza del distretto. E dal quale ovviamente ne dipenderà il futuro. Da l’idea dei giovani imprenditori di rimettere in contatto le nuove generazioni con il mondo della conceria, per favorire anche un ricambio generazione trasmettendo quel bagaglio di conoscenze e di cultura che la pelle porta con sé. Un progetto che parte da lontano, già da novembre, con i primi incontri all’interno delle classi. Poi le visite sul campo, nelle concerie, per seguire passo passo le fasi di lavorazione, fino ad affrontare il problema dell’inquinamento, con la visita al depuratore Aquarno e nei laboratori del Polo tecnologico conciario. Infine il momento creativo, per dare finalmente forma alla pelle. Più di 80 le opere realizzate dai ragazzi con l’aiuto delle insegnanti, riproducendo celebri opere d’arte solo con la pelle messa a disposizione

Nelle foto: sopra il sindaco di Santa Croce Osvaldo Ciaponi a Teatro Verdi al momento delle premiazioni delle classi che hanno partecipato al concorso; in basso esposizione delle opere a Villa Pacchiani.

dalle concerie. «Lavori straordinari,che è davvero un peccato non vedere», sostiene Stefanella Foglia, responsabile di “Amici per la pelle”. Tutte le opere, infatti, sono già visibili al piano terra di Villa Pacchiani, che le ospiterà fino al 24 marzo, con ingresso gratuito, tutti i giorni dalle 17 alle 19. Prima dell’allestimento della mostra, le opere sono state premiate in una cerimonia al teatro Verdi di Santa Croce. Presenti i ragazzi, le insegnanti, il sindaco Osvaldo Ciaponi insieme agli assessori e i rappresentanti del mondo imprenditoriale. Un’apposita giuria ha selezionato 17 lavori, ai quali hanno lavorato 37 ragazzi, tutti premiati con una targa di riconoscimento dell’Associazione Conciatori. Saranno questi lavori, ad aprile, a rappresentare il distretto di Santa Croce a Lineapelle, dove saranno esposti assieme alle opere degli alunni provenienti dagli altri distretti conciari italiani. Un’iniziativa, sostenuta da Unic, che porterà a Bologna tutti i ragazzi coinvolti nel progetto. «Siete il vivaio del comprensorio – hanno detto al teatro Verdi Roberto Giannoni e Aldo Gliozzi dell’Asso-

conciatori -. Avete espresso una manualità e una fantasia che non ci aspettavamo: quando vi dicono che siete solo videogiochi e merendine non ci credete, perché valete molto di più». Fondamentale il supporto della Banca di credito cooperativo di Signa, che ha sostenuto l’iniziativa, oltre ovviamente alla collaborazione dei Comuni di Santa Croce e Fucecchio e dei rispettivi istituti scolastici.

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Alimentazione

alimentazione TEXT Paola Baggiani PHOTO archivio CTE

I

l grande sviluppo del biologico è avvenuto con la diffusione dei movimenti ambientalisti in particolare negli ultimi 10-15 anni, uniti alla nuova ricerca di armonia con la natura propugnata dal movimento New Age. In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un boom di prodotti naturali e del biologico; il nostro paese in questo settore è all’avanguardia, con più di 60 mila aziende” bio”: oltre un terzo delle aziende biologiche europee sono in Italia e siamo quarti nel mondo dopo tre grandi paesi come Australia, Cina e Argentina. Anche in Toscana c’è stato un grande aumento di queste aziende, siamo passati dalle 430 aziende del 1994 alle 2960 del 2005; la provincia con il maggior numero di operatori è Firenze, seguita da Siena. Sempre nella nostra regione relativamente alle ripartizioni colturali delle

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superfici sono più importanti i settori cerealicolo e foraggero; mentre gli allevamenti zootecnici più importanti riguardano bovini, ovini, suini e apicoltura. Questo trend sembra essere solo all’inizio, anche perché biologico non significa solo agricoltura, ma allevamenti e pascoli certificati e perfino industria tessile. Statistiche in base ai dati della Coldiretti SWG del 2009, affermano che ammonta al 56% la quota di coloro che comprano prodotti biologici; tra questi il 42% effettua acquisti saltuari, mentre il 14% li mette regolarmente nel carrello della spesa. Il fenomeno non è sfuggito alle grandi catene di distribuzione, con il risultato che in tutti gli ipermercati troviamo tra gli scaffali un reparto naturale. Quella che fino a pochi decenni fa era soltanto una tendenza d’elite o di inguaribili ecologisti, oggi è un vero fenomeno

di business. Gli alimenti biologici sono prodotti alimentari ottenuti dall’agricoltura biologica; l’agricoltura biologica applica tecniche produttive che escludono l’uso di prodotti chimici di sintesi nelle varie fasi della coltivazione, trasformazione e stoccaggio. Sono vietati perciò diserbanti, insetticidi, funghicidi, fertilizzanti e concimi, coloranti e conservanti non naturali, cioè prodotti sintetizzati in laboratorio; vengono utilizzati prodotti derivati dal mondo naturale – animale, vegetale, minerale –. Le tecniche di produzione biologica sono rispettose dell’ambiente, permettono di salvaguardare e mantenere il territorio senza inquinare e senza compromettere delicati ecosistemi, evitando anche lo spreco di risorse naturali. Questo tipo di coltivazione ha lo scopo di preservare da una parte l’equilibrio dell’ecosistema in tutte le sue com-


ponenti e dall’altra parte quello di garantire la qualità nutrizionale degli alimenti. Gli alimenti vengono lavorati, trasformati e confezionati senza l’utilizzo di coloranti, conservanti e additivi a meno che non siano tra quelli autorizzati da una apposita lista dell’Unione Europea – per esempio ossigeno, azoto, pectina, farina di semi di carrube, acqua, sale, alcool, etc. –. È vietato sottoporre i prodotti biologici o i suoi ingredienti a trattamenti con radiazioni per aumentarne la conservabilità. Altre caratteristiche dell’agricoltura biologica sono la messa al bando degli OGM (organismi geneticamente modificati) e la rotazione delle colture. Gli alimenti biologici se da una parte hanno garanzie di sicurezza conseguenti all’assenza di sostanze additive o estranee, sono però maggiormente soggetti alla formazione di muffe e tossine che ovviamente sono un rischio per la salute dell’uomo: un caso classico è quello dei cereali come il mais che se non vengono trattati con pesticidi, specifici possono produrre aflatossine, cioè sostanze altamente cancerogene. Per gli animali la filosofia biologica privilegia l’allevamento all’aperto; le norme impongono che gli animali abbiano a disposizione spazi per muoversi liberamente e siano nutriti con mangimi che contengano alimenti di sintesi ridotti al minimo; sono banditi gli antibiotici e i trattamenti artificiali per facilitare la crescita. Un prodotto Bio può essere definito tale se almeno il 95% dei suoi ingredienti arriva da coltivazioni biologiche; sui prodotti devono comparire il Logo Biologico Europeo, una spiga verde sullo sfondo blu della bandiera dell’Unione e il nome di un organismo di controllo autorizzato. Il controllo delle produzioni biologiche in Italia viene effettuato da appositi organismi riconosciuti e autorizzati dalla CEE. Non basta infatti che un’azienda dichiari di seguire le regole dell’agricoltura e dell’allevamento bio: deve provarlo sottoponendosi a un preciso programma di verifiche. In Italia la produzione biologica si concentra soprattutto nei settori di frutta, ortaggi, latticini, carni e derivati dei cereali. A giustificare la conversione verso l’alimentazione biologica ci sono svariate motivazioni: nei prodotti biologici il rischio di contaminazione da sostanze chimiche di sintesi così come quello da organismi geneticamente modificati, è quasi inesistente. I prodotti biologici sono ottenuti con metodi che rispettano i ritmi della natura in quanto evitano tecniche artificiali che forzano e/o riducono i tempi di crescita e sviluppo, garantendo in tal modo non solo un equilibrato contenuto di sostanze nutrienti, ma anche una elevata qualità organolettica. I cibi biologici solitamente sono più saporiti e gustosi, mentre è ancora controversa l’ipotesi che siano mediamente anche più nutrienti, in virtù di più alte concentrazioni di vitamine e minerali; secondo alcune ricerche, rispetto agli alimenti coltivati in modo tradizionale, i vegetali bio contengono una maggiore quantità di antiossidanti (carotenoidi e flavonoidi), anche se spesso il loro aspetto è meno perfetto e quindi poco appetitoso per il pubblico, ormai abituato a mele e pomodori lucidissimi e senza imperfezioni! Negli ultimi anni il biologico da prodotto di “nicchia” è diventato un prodotto di largo consumo. Questo è stato possibile grazie a vari canali di commercializzazione che vanno dalla vendita diretta dove generalmente il produttore realizza nella stessa azienda agricola uno spaccio per la vendita dei propri prodotti, a mercati e fiere, negozi specializzati, vendita on-line, e naturalmente alla grande distribuzione organizzata. I prodotti biologici hanno un costo più elevato dei prodotti tradizionali di circa un 20-50 per cento in più: tra un prodotto biologico e uno “normale” tuttavia non può e non deve esserci un’enorme differenza di prezzo, perché ciò significa o che la produzione è così complessa che sarebbe impossibile da replicare su larga scala o che chi vende biologico vuole specularci sopra! Attenzione a non cadere nell’equivoco per cui i prodotti tradizionali, che non si fregiano di un etichetta bio, siano per contrapposizione alimenti di serie B, poco salutari e zeppi di sostanze chimiche. La legge italiana infatti stabilisce limiti strettissimi per l’impiego di queste sostanze come additivi, conservanti e coloranti. È importante che il consumatore sia sempre consapevole di ciò che va ad acquistare, sia quando si parla di cibi che derivano dall’agricoltura biologica, sia per quelli che si ottengono dal sistema tradizionale. Giusto e equilibrato è l’atteggiamento di chi non idealizza né l’uno, né l’altro settore, in quanto come abbiamo visto esistono dei vantaggi e degli svantaggi da entrambe le parti.


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a Punto Pell srl, viene fondata nel 1984 da Luciano Cinelli attuale amministratore della società, nel 1993 viene affiancato dalla figlia Cassandra e nel 1997 dal genero Alessandro.L’azienda che ha il proprio magazzino di 1200 mq. e 1000 mq circa di piazzale in via Sozzi 5, una traversa della più conosciuta via del Bosco, dispone di ampia scelta di pellami a stock, soprattutto per calzatura e pelletteria. Inoltre a disposizione della clientela ci sono anche pellami prettamente economici, quali spaccature vegetali e pellame di vario genere e colore. Oggi, grazie ad una crescita costante, la Punto Pell srl è riconosciuta nel settore del pellame a stock come punto di riferimento importante in Italia.

Nelle foto: la sede; il genero Alessandro, responsabile vendite nel magazzino; il nipote Marco, magazziniere; Luciano Cinelli, responsabile acquisti nel suo ufficio; Alessandro, Cassandra, responsabile amministrazione, con Luciano nell’ufficio amministrativo.

Il pellame acquistato viene da noi selezionato scrupolosamente in modo da poter offrire varie soluzioni alla nostra clientela. La pelle asseriata dopo essere stata controllata viene o accollata a mazzi e sistemata nei vari scaffali o sistemata su appositi pianali per poi essere venduta a stock. Il pellame misto economico viene suddiviso in articoli, sistemato in appositi scatoloni e venduto al kg. In questo caso può essere scelta anche la singola pelle per una vendita a stock. Possiamo offrirne una vasta gamma di colori e spessori

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TOSCOLAPI Srl nasce nel marzo 2002 per fornire un servizio qualificato e appropriato alle moderne e sempre più stringenti necessità del mondo industriale nell’approvvigionamento ed utilizzo dei propri prodotti chimici. La società è frutto di una significativa alleanza tra due aziende con oltre 50 anni di esperienza, la Figli di Guido Lapi SpA e la Toscochimica SpA, rispettivamente leader nel settore della concia e del tessile. Oggi la TOSCOLAPI compie 10 anni e collabora con i più importanti produttori nazionali e internazionali; tra i più significativi: Alder, Basf, Clariant, Ercros, Esseco, Kemira, Lanxess, Nuova Solmine, Quadrimex, Solvay, etc. Dispone di depositi nel Comprensorio del Cuoio toscano e in quello del veneto nella Valle del Chiampo, con strutture per stoccaggio sia di prodotti in polvere che liquidi, garantendo qualità ed efficienza nei servizi. Si propone ai clienti quale partner attento alla sicurezza – salute – ambiente – alle innovazioni del mondo chimico, di supporto, con la propria esperienza e conoscenza, per risolvere i problemi imposti dalle nuove normative e dalle esigenze lavorative. Partner in Federchimica, nel 2011 anno internazionale della chimica ha aderito a “Fabbriche Aperte” con le scuole di settore, iniziativa che sarà ripetuta anche in futuro.

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spettative

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l via Lineapelle a Bologna: ad aprile sipario alzato sulla più importante rassegna mondiale della pelle, affiancata dai settori accessori, componenti, sintetico, tessuti e modelli per calzatura, pelletteria, abbigliamento e arredamento. 1042 espositori coinvolti ed un fermento diffuso tra i conciatori del distretto di Santa Croce che sperano di raccogliere dall’appuntamento riscontri positivi e risposte importanti agli articoli che proporranno. Oggi come ieri, nel solco di una tradizione che si fonda su lavoro e talento, impegno e sacrificio, sempre all’insegna della qualità. La qualità che produce i suoi frutti, pur nel contesto delicato di un’economia mondiale che vede calare i consumi con riflessi critici inevitabili su diversi settori. Speranze, certezze, interrogativi, aspettative del settore conciario: ad illustrarle è Franco Donati, presidente dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno, che ce ne fornisce uno spaccato nitido. «Il settore - afferma Donati - dopo un grossa flessione produttiva che ha caratterizzato la fine del 2008 e quasi tutto il 2009 ha visto momenti di forte ripresa nel 2010. Questo trend positivo è proseguito nel 2011, che ha visto il mondo delle grandi firme tornare ad usare la nostra produzione». Quali sono i motivi alla base di questa tendenza? La nostra produzione continua ad atte-

conciarie TEXT&PHOTO Carlo junior Desgro

starsi su standard di qualità di assoluta eccellenza, sia sotto il profilo del contenuto-moda che sotto quello della capacità delle nostre aziende di fornire servizi fondamentali, come nella predisposizione

Il presidente Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno Franco Donati traccia un bilancio dell’andamento del distretto conciario in vista del prossimo appuntamento fieristico di Bologna dei campionari o nelle forniture sempre più frammentate che richiedono un forte dispendio di energie. La crisi ha certamente messo a dura prova il nostro comprensorio, che però è riuscito a mantenersi vitale grazie alla capacità degli imprenditori di ristrutturarsi continuando ad investire nelle loro aziende e riuscendo a dare servizi puntuali e qualificati. Non ci sono state, contrariamente ad altri settori chiusure eclatanti ed anche grazie al sistema del credito che ci ha sostenuti abbiamo retto fino alla ripresa. Non per tutti la ripresa è stata uguale: ci sono aziende che sono ritornate ai fatturati pre-crisi mentre per altre la strada è stata più in salita. Complessivamente però il distretto ha ripreso vitalità. Che risposte stanno arrivando per il settore conciario in questa prima fase del 2012 e che tipo di andamento sta avendo il mercato? In questo inizio del 2012, nonostante l’entusiasmo dei nostri clienti ed in particolare delle grandi firme che pure hanno chiuso i bilanci del 2011 con utili a due cifre, stiamo notando un rallentamento negli ordinativi. L’aria della recessione che si respira e le promesse di tempi duri per i consumi che si leggono sulla stampa, spingono le grandi firme alla cautela negli acquisti e pur venendo da una stagione di

Intervista

Lineapelle Bologna

incremento delle vendite i clienti mirano a ridurre la possibilità di avere rimanenze e quindi ordinano poco, almeno per partire con la stagione, aggiornando poi gradualmente gli ordinativi. Questa politica di cautela incide indubbiamente in modo negativo sulla nostra possibilità di programmare il lavoro perché per soddisfare al meglio le esigenze della clientela, siamo costretti ad acquistare la materia prima, per poter garantire le probabili forniture successive ed anche il prezzo, dato che la pelle è soggetta ad enormi sbalzi. Quindi i conciatori, per la prossima stagione invernale, che impegna questi primi mesi dell’anno, sono attualmente in possesso solo di una parte degli ordini sperati e già si devono caricare dei costi delle eventuali e possibili ulteriori forniture. L’appuntamento di Lineapelle a Bologna segue gli altri importanti eventi fieristici che a Milano e Parigi hanno già dato indicazioni utili al settore: quali aspettative vengono riposte nella manifestazione di Lineapelle? Sia a Milano che a Parigi abbiamo riscontrato ancora interesse ed entusiasmo nei nostri clienti, per questo siamo fiduciosi che anche la stagione invernale nella quale sono attualmente impegnate le nostre aziende, possa avere ulteriori ordinativi. A Bologna andiamo con buone speranze, contando che continui ad esserci entusiasmo nella nostra clientela. Noi, come sempre, ci siamo impegnati al massimo per creare campionari al top delle aspettative. La stagione Primavera-Estate rappresenta una fetta più piccola nel lavoro delle nostre aziende perché la pelle ha un maggiore utilizzo nella stagione invernale tuttavia il nostro sforzo di ricerca e di proposta continua ad essere altissimo. A Bologna numerosissime sono le aziende di Santa Croce che espongono il loro prodotto per la scarpe, le borse e per l’abbigliamento. La nostra presenza qualifica la fiera e coltiviamo la speranza che anche questo clima di crisi generale incombente non intacchi la possibilità di continuare a fare il nostro lavoro prezioso per il mondo della moda.

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Industria

Pitti Shoes a Classe Toscana

Cf

ontemporaneità e uturo

TEXT Luciano Gianfranceschi PHOTO Mauro Rossi

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he cosa significano un paio di scarpe nuove? Comunicazione. Ecco perché anche se ne abbiamo tante paia che ci piacciono, stiamo attenti di volta in volta a quale mettersi: le calzature sono un messaggio che non passa inosservato – osserva Simone Ferri, uno dei titolari della società Piesse srl e aggiunge – l’ha detto un cliente asiatico al Micam 2012, davanti a una calzatura della primavera estate 2013 con il nuovo marchio “Classe Toscana”, per calzature da uomo con la linea comfort della costruzione California, nato per effetto di una sinergia commerciale con un altro importante calzaturificio della zona. Una calzatura così fa davvero l’abbigliamento di chi la calza. Qual è la particolarità? Il prodotto finale è una scarpa in pellame pregiato, molto flessibile, bella comoda, con suola molto leggera. Così ha suscitato un buon successo per il mercato asiatico, per noi un’apertura verso un mercato che in questo particolare momento economico caratterizzato da una fase di stagnazione dei consumi interni rappresenta un obiettivo primario. Il calzaturificio era già conosciuto per il marchio “Pitti Shoes”, che ha fatto storia dagli anni ’80 in poi. E che tuttora è sulla facciata della nuova sede. Abbiamo proposto nello stand in fiera a Milano modelli nuovi, sono piaciuti ai nostri clienti che ci hanno fatto visita inte-

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In alto 1: da sinistra Giampiero, Simone, Franco Ferri e Liliano Massoni. Nella pagina a fianco 2: dott. Roberto Fabbioli e Simona Ferri.

ramente. La collezione comprende nuove scarpe drive, classiche, sportive, una varietà di offerte. Ma tutte con la stessa costante: la qualità del pellame, l’artigianalità della tradizione, la garanzia dei nostri controlli ai metodi contemporanei in tutte le fasi di costruzione della scarpa.

Contemporaneità e futuro, per un calzaturificio in gran rilancio, ma anche storico. Il marchio che ci ha fatto conoscere è stato Pitti Shoes – interviene Giampiero Ferri, uno dei fondatori –. Tanto è vero che all’estero non mi chiamavano Ferri, bensì signor Pitti; come il cognome della storica famiglia fiorentina, che dà il nome anche a Pitti Uomo, la più importante rassegna di moda maschile. Ovviamente il nostro marchio Pitti Shoes, registrato in tutto il mondo, che esiste fin dal 1979, contraddistingue un prodotto calzaturiero all’avanguardia. E il coraggio d’investire, in un momento come questo? Lavoriamo con marchi internazionali, e firme famose che sono nelle migliori vetrine.

Piesse Srl Via Pistoiese n.47/49 50054 Fucecchio (FI) Tel. 0571 261948 - 0571 243811 Fax 0571 261699 www.pittishoes.it

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L’andamento economico-finanziario ci permette di ripagare gli importanti investimenti strutturali effettuati, e di questo siamo contenti, ci salva la qualità della lavorazione. I clienti hanno confermato gli ordini della passata stagione con un 20% in più. Ci danno fiducia, ci stimolano a crescere. Abbiamo investito economicamente sul territorio, siamo giovani – continua Simone, con a fianco il fratello Franco, e in amministrazione la sorella Simona insieme a Liliano Massoni – puntiamo a continuare a lavorare bene. Dal gennaio 2012 vi siete trasferiti in frazione Le Botteghe. Qual è stata l’esigenza del trasferimento?

Per la produzione made in Italy, dove si trova chi sa ancòra lavorare la scarpa tradizionale? I pellami sono italiani, il montaggio è in Italia, la lavorazione è qui; tutto made in Italy. Chi è rimasto è perché lavora di qualità, per buoni articoli. Comunque siamo sempre pronti a insegnargli come vogliamo il prodotto – continua Simone - con l’esperienza che mio padre Giampiero ha da oltre quarant’anni. La differenza è tra farlo, e farlo bene. Questa è una zona qualitativa, anche per aggiunteria e suolifici. Mancano le fabbriche, ma chi è rimasto è perché lavora bene. Alle pareti, vecchie targhe con oltre 20 anni

Gli addetti sono una venticinquina di persone, è però cresciuto lo spazio operativo per organizzare meglio il lavoro. Era indispensabile per certe lavorazioni, e inoltre necessitava una sede nostra, idonea alla ricezione dei clienti, con sala campionaria, uffici riservati. Occorreva una location, ora l’abbiamo. Qual è la specialità della casa? Al 90%, scarpe da uomo. Dal mocassino, allo sportivo alla sneakers, al drive, al classico e a questa nuova costruzione California. Inoltre a fare la differenza sono i materiali: le pelli e il cuoio sono i migliori, del distretto industriale di Santa Croce sull’Arno.

d’attività: il marchio Pitti quando è nato? Nel 1979 si partì, dopo che avevamo già lavorato con altri; la calzature Pitti Shoes sono nate in via Tea e cresciute in via della Querciola. Aver rivisto sull’ammiraglia del ciclismo Monsummanese il marchio Pitti Shoes ha fatto piacere agli sportivi. È stata una rivincita, lo sport ci è sempre piaciuto, recentemente ci hanno chiesto una piccola sponsorizzazione – conclude Giampiero Ferri - e non abbiamo detto di no alla passione della domenica, soprattutto se espressione di un team giovane che identifica perfettamente i valori della nostra azienda.

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TEXT Francisca Pifano

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e consultiamo un vocabolario della lingua Italiana, alla parola ecologia troviamo la seguente definizione: “branca della biologia che studia i rapporti fra gli organismi viventi e l’ambiente circostante, specialmente al fine di limitarne o eliminare le conseguenze negative.” Il termine fu coniato da Ernst Haeckel – 1866 –, un biologo tedesco, che la definì come “l’indagine sull’insieme di relazioni tra un animale e il suo contesto, organico e inorganico, comprendente anche le relazioni positive o negative con gli altri animali o le piante con cui viene a contatto”. Negli anni ‘60/‘70 gli ambientalisti portarono alla ribalta questo termine dandole però un significato diverso e non del tutto corretto. Per il movimento sviluppatosi in quel periodo, “ecologia” era sinonimo dello “studio dell’inquinamento” e questa tendenza ha continuato a manifestarsi fino ad oggi. Infatti, pur non essendo sinonimi, i termini ecologia e ambiente sono usati spesso insieme: questioni ambientali come cambiamento climatico, inquinamento delle acque o energia rinnovabile fanno notizia e sono diventati ormai concetti importanti nella vita di tutti i giorni. Nel senso comune, quindi, parlare di “ecologico” significa parlare di qualcosa che non inquina, che non è dannoso per l’ambiente che ci circonda e, di conseguenza, neppure per l’uomo. Nel corso degli anni l’industria e il grande pubblico hanno preso coscienza dei danni provocati da cattive abitudini del passato: la ricerca scientifica ha evidenziato come fosse possibile migliorare l’utilizzo di alcune sostanze e come fosse necessario eliminarne altre, il tutto per preservare l’ambiente. Molte persone, però, perce-

piscono la chimica e l’industria chimica come pericolose per l’ambiente, anche se in realtà è grazie alle scoperte scientifiche nel settore chimico che sono stati creati materiali “amici” dell’ambiente che preservano la qualità e lo stile di vita che vogliamo. In occasione dell’Anno Internazionale della Chimica – 2011 – le ditte del Gruppo Lapi, FGL International, Figli di Guido Lapi, Toscolapi e Finikem, hanno cercato di dare un piccolo contributo per dimostrare che la chimica non è così pericolosa come sembra e partecipando alla manifestazione denominata “Fabbriche Aperte” proposta da Federchimica durante, la quale, le aziende su menzionate hanno aperto le porte agli studenti dell’Istituto C. Cattaneo di San Miniato (PI), indirizzo chimico-conciario. I ragazzi sono stati accompagnati in una vera e propria visita guidata nei reparti produttivi e nei laboratori: i luoghi in cui la ricerca e la produzione si svolgono coniugando sviluppo, innovazione e rispetto per l’ambiente. Anche il settore conciario si trova negli ultimi anni a dover gestire le proprie attività produttive cercando di conciliare le esigenze di produzione, con le sempre più pressanti normative ambientali, che richiedono una gestione più attenta e competenze sempre più qualificate e specifiche. Parole come “sostenibilità”, “ecocompatibile”, “sostanze proibite”, fanno ormai parte del vocabolario del conciatore e sono ormai una necessità sempre più attuale e stringente. In questo panorama la FGL International SPA, che ha sempre assistito le aziende conciarie nello sviluppo tecnologico e produttivo, grazie alla sua consolidata competenza nella formulazione e individuazione di prodotti per ogni tipo di

Industria

FGL international processo conciario, si è data un ambizioso obiettivo: proporre modelli di processi con una serie di attività integrate che aiutino e supportino il cliente in tutti gli aspetti espliciti e impliciti che servono a realizzare un prodotto “moderno”, cioè apprezzato dal mercato e rispettoso delle regole ambientali. Uno dei progetti sviluppati ha portato alla individuazione di un processo denominato Releasys®, che consente di ottenere pellami metal free con notevoli vantaggi anche dal punto di vista dell’impatto ambientale. Il processo, finanziato in parte dalla Regione Toscana, è stato applicato a tipi diversi, per origine e natura, di pellame – bovino, ovino, suino, bufalo, etc – destinati alla maggior parte degli utilizzi quali: calzature, abbigliamento, arredamento, arredo interno auto e accessori. Si ottiene: l’assenza di metalli, il rispetto dei requisiti richiesti da marchi ecologici e, soprattutto, innovativi comportamenti dei prodotti a fine vita in termini di biodegradabilità, con vantaggi sui costi sociali dello smaltimento e possibili utilizzi dei ritagli e degli scarti di lavorazioni della pelle, come ausiliari nel settore dei fertilizzanti; con la riduzione del quantitativo di rifiuti come scarti e un ulteriore vantaggio sulle quantità e sui costi di smaltimento. Ma le attività della FGL International non si sono certo fermate. Infatti la FGL International dopo il successo ottenuto con il metodo Releasys® – concia metal free - presenta sul mercato una nuova categoria di prodotti per la riconcia delle pelli: la Linea Zero, una linea appunto ecologica, in quanto permette l’eliminazione di sostanze nocive: zero formaldeide e zero fenoli. La nuova serie di prodotti denominata Zero ha l’ambizione di presentarsi sul mercato come una novità assoluta. Si tratta di una serie prodotti in grado di dare al conciatore le armi per poter produrre tutta l’articolistica richiesta dalla tomaia all’abbigliamento, il tutto praticamente esente da fenolo o formaldeide libera. Ogni giorno i laboratori di analisi chimico/fisica e la conceria sperimentale della FGL si impegnano in questa ricerca di prodotti sempre più “ecologici” ottenendo dei risultati di cui andare fieri. Nella foto: i ragazzi dell’istituto C. Cattaneo e i responsabili delle aziende chimiche del Gruppo Lapi

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Azarenka hasta

Sport

la

TEXT Marco Massetani

S

e fosse una squadra di calcio sarebbe un “undici” straordinario e probabilmente anche imbattibile. Undici, appunto. Come i tennisti che dopo aver giocato il torneo internazionale juniores di Santa Croce sull’Arno sono saliti sulla vetta più alta del Mondo. La lista dei “magnifici 10” già parlava da sola: Thomas Muster, Marcelo Rios, Yevgeny Kafelnikof, Gustavo Kuerten, Martina Hingis, Amelie Mauresmo, Kim Clijster, Ana Ivanovic, Dinara Safina e Caroline Wozniacki. A questi si è aggiunta da poco anche Victoria Azarenka, la 22enne di Minsk specialista del cemento, capace di vincere già tre titoli in questo avvio di 2012 – Sidney, Australian Open e Doha – e di diventare la reginetta del circuito femminile. E pensare che la bionda bielorussa Victoria, fisico da modella e “nobile” treccia come chioma, al pari di altre sue colleghe divenute poi famose nel professionismo aveva perso al primo turno nell’edizione 2004 del torneo santacrocese per mano dell’azzurrina Giulia Gabba, salvo poi vincere Australian Open e Us Open Junior nella stagione successiva e diventare top player anche tra le junior. Sempre più forte dei suoi attestati di torneo selettivo e tecnicamente di primo ordine nel panorama mondiale, considerato tra le prime cinque tappe al mondo under 18 sulla terra rossa – ora che l’Orange Bowl è tornato a giocarsi sull’argilla di Plantation –, il Torneo internazionale juniores “Città di Santa Croce”. Mauro Sabatini scalda i motori per l’ormai imminente edizione 2012, che sarà in programma dal 14 al 20 maggio – 12 e 13 le gare di qualificazione – sui cinque campi del Cerri, alla periferia più verde della cittadina del cuoio. La storia di questa prestigiosa kermesse – che venne messa in piedi la prima volta nel 1979 dallo storico dirigente Mauro Sabatini come appuntamento del circuito ETA (European Tennis Federation) per poi diventare nel 1990 tappa del circuito ITF (International Tennis Federation) e di acquisire dal 1992 la prestigiosa qualifica di gruppo uno – è davvero la storia del tennis giovanile divenuto poi celebre agli occhi del mondo.

In trentatre edizioni hanno partecipato oltre quattromila ragazzi e ragazze di varie nazionalità. Dei “numeri uno” passati da questi campi abbiamo già detto, ma è bene non dimenticare i tanti talenti divenu-

Dal 14 al 20 maggio a Santa Croce il torneo di tennis dei numeri uno ti ugualmente celebri nel tennis che conta: dall’argentina Gabriela Sabatini, che a Santa Croce disputò nel 1984 il suo primo torneo italiano, all’australiano Richard Fromberg che vinse l’edizione 1987, passando per le russe Elena Dementieva e Vera Zvonareva, gli argentini Guillermo Coria, David Nalbandian e Juan Martin Del Potro; e ancora il britannico Andy Murray, il serbo Janko Tipsarevic, lo svedese Robin Soderling, la ceca Petra Kvitova, un’altra seria candidata a salire sul podio più alto WTA. Il segreto di questo successo che si consolida anno dopo anno? Un forte appeal temporale quale warm-up del Bonfiglio di Milano e un’organizzazione perfetta,

ben articolata e oliata – un mix di giovani e senatori con alla guida il direttore del torneo Francesco Maffei – che ha saputo gestire un’eredità difficile e delicata, rilanciando però con stile l’immagine di una manifestazione che vanta un assoluto livello tecnico di partecipanti e una genuina ospitalità offerta, sono i suoi tratti distintivi. Caratteristiche che ancora fanno sì, che proprio da Santa Croce sull’Arno il team ITF – operante sotto l’egida della Federazione Internazionale Tennis ITF sostegno degli atleti appartenenti ai Paesi più poveri – programmi annualmente di inaugurare il proprio tour europeo che si snoda nelle tappe successive di Milano, Charleroi, Parigi, Rohaempton, concludendosi nientemeno che sull’erba di Wimbledon. Come ricorda quella storica maglietta grigia ideata dall’artefice di questa bella favola sportiva, Mauro Sabatini, anche lui un “numero uno” nel suo campo: “Before reaching the green grass of Wimbledon, I played the famous Santa Croce sull’Arno”. Col passare degli anni quello che sembrava uno degli slogan più maccheronici e pretenziosi del circuito sembra rivelarsi una superba profezia. Parola dell’imbattibile “undici”.

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a Mens Sana Basket prestigioso premio edizione 2012

Pegaso per lo sport

TEXT&PHOTO Marco Massetani

Sport

canestr vincente M

ens sana in corpore sano. Il 13 febbraio scorso a Firenze, nel Salone Brunelleschi dell’Istituto degli Innocenti gremito all’inverosimile di sportivi, è davvero sembrato che la famosa massima di Giovenale abbia trovato una sua consacrazione. E non solo perché ad essere premiata con la statuetta del Pegaso per lo Sport 2012 è stata proprio la Mens Sana Basket Siena, una delle più antiche, gloriose e vincenti società di basket italiane, la storica polisportiva dove fu maestra Ida Noemi Pesciolini, ovvero colei che introdusse la pallacanestro in Italia, trascrivendo le regole del gioco e presentando la “palla al cerchio” per la prima volta al Concorso Ginnico di Venezia del 1907. Oltre a celebrare i fasti dell’attuale Mens Sana sponsorizzata Montepaschi, il Pegaso è apparso quest’anno un riconoscimento in piena sintonia con i valori sportivi custoditi dalla regione Toscana, capace di lanciare lo scorso giugno una “carta etica dello sport”, composta da 15 articoli che affermano il diritto di tutti a fare sport per stare bene, che definiscono la pratica dello sport “componente essenziale nel processo educativo” e la lealtà, ovvero il fair play, fondamentale in ogni disciplina sportiva sia a livello dilettantistico che professionistico. La passerella sul tappeto rosso del Salone Brunelleschi è spettata alla Mens Sana Basket Siena, l’invincibile armata dei canestri – sei scudetti, sette Coppe Italia, tre Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe –. A rappresentare a Firenze questa ricca bacheca è stata la squadra al gran completo, il coach Simone Pianigiani, il presidente Ferdinando

Un momento della premiazione del Pegaso per lo Sport 2012 all’Istituto degli Innocenti di Firenze

Minucci, e tutti i giocatori. I riflettori si erano precedentemente orientati sui finalisti del Pegaso 2012, tutti giunti ex aequo al secondo posto: la ginnasta pratese Marta Pagnini – per lei c’era il direttore tecnico della Nazionale di ginnastica ritmica, campione del mondo per la terza volta consecutiva, Marina Piazza – i giovani calciatori della Fiorentina, accompagnati dall’amministratore delegato Sandro Mencucci, e, lo schermidore senese disabile Matteo Betti, uno dei favoriti ai Giochi Paralimpici di Londra 2012. A consegnare i 127 premi in una serata condotta con gusto ed ironia da Vittorio Betti e Gianfranco Monti, sono stati gli assessori Salvatore Allocca e Riccardo

ALBO D’ORO PEGASO PER LO SPORT

1996 1998 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2008 2009 2010 2011 2012

medagliati toscani ad Atlanta ’96 nove atleti medagliati toscani a Sydney ’00 Franco Ballerini Simone Vanni (‘Fair play’a Angelo Di Livio) Giuseppe Papadopulo (‘Fair play’ alla società di calcio Cappiano Romaiano) Aldo Montano (‘Fair play’ a Yuri Chechi) Cristiano Lucarelli (‘Fair play’ a Alfredo Martini) Elena Gigli (‘Fair play’ a Paolo Bettini) Elena Megli (premio giuria), Lorenzo Bicchi (premio web) Luca Agamennoni (Pegaso speciale a Cesare Prandelli) Acf Fiorentina (6 premi speciali) Giulia Fornai (6 premi speciali, 1 premio speciale alla memoria) Mens Sana Basket Siena

Nencini, il presidente del Coni Toscana Paolo Ignesti e quello del Gruppo Toscano Giornalisti Sportivi Ussi Franco Morabito. Presente anche l’ex ct azzurro Alfredo Martini, che parlando dei Mondiali di ciclismo 2013 assegnati alla Toscana, ha spiegato come questi siano un riconoscimento importante per la tradizione che questa Regione vanta nello sport ed anche un giusto tributo alla memoria di un grande atleta e uomo quale Franco Ballerini. Non solo sport e trofei, ma anche attenzione viva sui temi sociali. Il Pegaso per lo Sport 2012 è stata l’occasione per lanciare un messaggio forte ai Comuni toscani colpiti dalle recenti alluvioni. L’assessore Allocca è intervenuto durante le premiazioni per annunciare che la Regione destinerà 360 mila euro ai comuni di Aulla, Licciana Nardi e Minucciano – i cui sindaci erano presenti alla cerimonia del Pegaso – colpiti dall’alluvione dello scorso ottobre per la ristrutturazione di impianti sportivi danneggiati: «Come tutte le volte che la nostra regione è stata aggredita da una disgrazia – ha detto Allocca – anche per l’alluvione in Lunigiana è subito scattata la gara di solidarietà. Lo sport ci insegna a rialzarci dopo una sconfitta ed è proprio quello che tutta la Toscana ha fatto anche in questa occasione». Lo diceva sempre Giovenale: l’odore dei soldi è buono, qualunque sia la loro provenienza.

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Lega Pro

il calcio

Sport

si tinge di

TEXT&PHOTO a cura della redazione

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hi l’ha detto che calcio e donne non vanno a braccetto? In Lega Pro, ex serie C, le quote rosa sono numerose e tante sono state le iniziative dedicate alle donne. Rose rosse non è solo il titolo di una celebre canzone, ma un’iniziativa della Ternana, società di Prima Divisione di Lega Pro, che le ha regalate alle tifose. Maschi contro femmine non è solo il titolo di un film di successo, ma anche lo slogan della partitella che si è giocata a Perugia. Il club umbro insieme alla Grifo Calcio femminile, ha organizzato una triangolare per ricordare Chiara, la giovane amica e tifosa della Grifo Calcio femminile scomparsa prematuramente lo scorso 8 febbraio alla tenera età di 16 anni. La formazione rosa è scesa in campo con gli Allievi e i Giovanissimi del Perugia Calcio. Altre società come il Benevento o il Bassano in occasione delle gare della domenica, dopo l’otto marzo hanno messo il biglietto per lo stadio al costo simbolico di un euro. Per ricordare, tornando indietro nel tempo, una partita storica, disputata il 23 novembre scorso ad Assisi, tra Italia Lega Pro e Nazionale olimpica Palesti-

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rosa

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nese. Il match fu diretto da Silvia Spinelli, che arbitra in Prima Divisione, coaudiuvata da assistenti per una terna in rosa. In Lega Pro ci sono oltre 100 quote rosa: donne presidenti, segretari, addette alla sicurezza, responsabili marketing e amministrazione. Il rosa è anche il colore che caratterizza una buona parte della comunicazione delle società. Ci sono mamme, fidanzate, mogli, single e laureate: tutte Under 40 e con denominatore comune, la passione per il pallone. A volte, a dire la verità, il loro entusiasmo per il pallone non è lo stesso di quello quello dei mariti o fidanzati. Sono 14 le quote rosa nella comunicazione dei 77 club della Lega Pro che fanno squadra. Sono Gaia Simonetti, responsabile Comunicazione Lega Pro, Iris Travaglione (Benevento), Rossella Sambuca (Arzanese), Letizia Lavorini (Borgo a Buggiano), Chiara Balloni (Gavorrano), Barbara Locatelli (Pergocrema), Rosanna Fella (Perugia), Laura Casetta (San Marino), Martina Iogna (Portogruaro), Martina Aliboni (Carrarese), Veronica Tra-

montana (Siracusa), Elena Francesconi (Viareggio), Elisa Di Padova (Savona) e Vanessa Paola (Vigor Lamezia). Sociale e solidarietà scendono in campo ogni domenica con le iniziative dei club e, il calcio in Lega Pro vede anche le donne impegnate in prima linea. Ma il pallone può essere oggetto di “litigi” tra le mura domestiche. «Mio marito non ha mai guardato una partita di calcio- dichiara Gaia Simonetti, responsabile comunicazione Lega Pro- portarlo allo stadio è la sfida più difficile». Lontani i tempi in cui Rita Pavone cantava Perché perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone… 1. L’Italia Lega Pro in Palestina, in prima fila si vede Gaia Simonetti, responsabile Comunicazione Lega Pro. 2. La trasferta inglese dell’Italia Lega Pro da sin verso destra Vittorio Angelaccio, responsabile Marketing Lega Pro, Gaia Simonetti, responsabile Comunicazione Lega Pro, Antonio Rizzo, team manager Italia Lega Pro, Archimede Pitrolo, vicepresidente Lega Pro, Mario Macalli, presidente Lega Pro, Luigi Munari, medico.


Sensi

di Margot

In ogni istante della nostra vita siamo ciò che saremo non meno di ciò che siamo stati Oscar Wilde

(1854-1900) poeta


Ristorante La Carabaccia

Piaceri di palato

Riflessioni gastronomiche lungo la costa livornese

Text&photo Claudio Mollo


L

ui, Emanuele Vallini è uno chef dai tanti punti fermi in quanto a filosofia culinaria, una mano interessante, che firma piatti di notevole valore aggiunto. Una cucina che non scivola mai, che non va mai oltre certi limiti, buona, equilibrata e ricca di sapore. «Io nasco con la cucina di mare – dice Emanuele – alimento che amo profondamente e che nel tempo ho cercato di conoscere sempre più, lavorandolo in tutti i modi possibili e immaginabili, poi è arrivata la carne e anche con questa ho iniziato un interessante percorso alimentare e tecnico, fino ad arrivare a lavorare con piacere e successo ogni parte dell’animale, “quinti quarti” compresi, di cui molti dei miei piatti portano il segno». Emanuele lo potete trovare in giro per il mondo a portare il suo messaggio gastronomico oppure nella cucina del suo ristorante La Carabaccia, a Bibbona, a tre chilometri circa dal litorale livornese, dove insieme alla moglie Ornella, che si occupa della sala, gestisce un intimo e accogliente locale nel quale trovano posto pochi clienti, accolti sempre con grandi cure e attenzioni.

Dalla cucina fa capolino anche Mirko Verardi secondo di Emanuele, che lo affianca e lo sostituisce quando non è presente, dimostrando quindi di aver assimilato molto bene la filosofia culinaria di Emanuele. Per l’approvvigionamento del pesce la vicina costa offre molte opportunità, per la carne i fornitori sono almeno tre, vicini o più lontani, ma sempre toscani. Il ristorante La Carabaccia esiste ormai da 8 anni e si trova proprio a due passi dalla culla dorata dei grandi vigneti e vini di Bolgheri, vicinissimo anche alla Val di Cornia e a Montescudaio, in un bellissimo crocevia enologico fatto di ottimi Vermentini bolgheresi e grandi vini rossi delle tre DOC, che fanno da pregiata cornice ai suoi piatti. In carta, la scelta non manca davvero. Il menu viene cambiato spesso, a parte alcuni piatti ai quali la clientela è particolarmente affezionata e che quindi, alternandoli, Emanuele lascia volentieri in carta. Ma un passetto indietro per capire meglio da quali esperienze arriva Emanuele va fatto, e allora partiamo proprio dalla Scuola Alberghiera frequentata all’Isola d’Elba, dopo la scuola arrivano i primi lavori stagionali in zona e raggiunti i 18 anni, parte con Valtur, in giro per l’Italia ma so-

prattutto estero. Dopo l’esperienza con Valtur, lo aspetta una bellissima esperienza ad Arenzano in Liguria, al lavoro per il Marchese Adorno Cattaneo, proprietario dell’Hotel Punta San Martino. Dopo Arenzano arriva Portofino, dove proprio nella piazzetta lavora per 4 anni come secondo di cucina nel Ristorante Puny. Poi ancora Liguria e poi altre esperienze con gli hotel della catena Orient Express, insomma

i contatti con tante filosofie culinarie e i tanti modi di interpretare la cucina non sono mancati, forieri di quello che poi sarebbe stato il suo esordio come chef/ patron dell’attuale ristorante. Da otto anni a questa parte, anche molte comparse in TV: Prova del Cuoco, Linea Verde e altre emittenti.

Viene chiamato spesso anche su importanti navi da crociera, per le quali organizza bellissimi show cooking, dal mediterraneo al resto del mondo. A bordo di queste navi però, Emanuele porta solo ed esclusivamente la cucina della sua Carabaccia, con tanto di prodotti toscani, vini compresi. Lo scorso settembre il suo primo grande debutto nella grande mela, a New York, presso un organizzazione italo americana e quest’anno a gennaio altra tappa per un’importante cena realizzata per prestigiosi ospiti italoamericani newyorkesi. Uno sbocco personale e professionale, quello degli Stati Uniti che Emanuele sta cercando di tenere caldo e incentivare sempre più. Quindi, riassumendo… Bibbona, La Carabaccia, Emanuele Vallini e la sua cucina. Idee gastronomiche, riflessioni culinarie e una piacevolissima accoglienza, da provare, da non perdere; e poi, fatemi sapere!

Ristorante LA CARABACCIA Via della Camminata Est, 15 - 57020 Bibbona - Livorno - Tel. 0586 670370


I SAN FRANCISCO I

San Francisco rappresenta quel genere di amore che non si dimentica, d’altra parte lasciarsi coinvolgere emotivamente è cosa certa grazie alle variegate peculiarità che la caratterizzano. Luogo di tradizioni, sperimentazione artistica, libertà di pensiero, groviglio di razze perfettamente integrate, la Città pullula di numerose attrazioni da visitare comodamente grazie alla sua estensione relativamente contenuta. L’incantevole baia, sormontata dal famoso Golden Bridge (quest’anno compie 75 anni e le iniziative per festeggiarlo sono tantissime), costituisce un richiamo irresistibile per i numerosi visitatori che annualmente visitano San Francisco, in effetti il celebre Ponte è una perfetta meraviglia della tecnologia architettonica con i suoi 2,7 km di campata attraversanti un paesaggio caratterizzato dalle alture dell’omonima insenatura e dal blu intenso del mare; tali acque proteggono l’arcigna isoletta di Alcatraz, sede di quel rinomato carcere echeggiante “illustri” criminali, leggende, aneddoti, ora aperto alle visite guidate. Scontato il consiglio sul mezzo da adoperare per il tour: il celeberrimo Clabe Car, vanto del trasporto urbano sin dal XIX secolo, consta di storiche carrozze gremite da turisti estasiati nell’ammirare il panorama dalle decantate colline e, prima di scorrazzare per le strade della

metropoli, ci si può rifocillare presso i caratteristici locali che affollano Fisherman’s Wharf, il popoloso rione ricco di chioschi specializzati nell’elaborare gustosi frutti di mare, ma anche di musei (da menzionare quello della Marina Militare, quello delle cere, il Wax Museum), mentre per gli amanti dello shopping griffato, Union Square rappresenta una tappa obbligata grazie alla presenza di lussuose boutiques, costeggianti la piazza e le vie limitrofe. Se la nostalgia assale la vostra mente, troverete conforto presso il quartiere italiano di North Beach, caratterizzato da deliziosi locali emananti le tipiche energie del Vecchio Continente, delle quali in verità molti quartieri di San Francisco sono impregnati. La Città è famosa per l’eccletismo architettonico, come dimostrano le costruzioni cinesi di Dragon’s Gate, ricco di negozi esotici e templi, la zona hippie di Haight Ashbury o Alamo Square, caratterizzata da un piccolo parco circondato dalle più belle painted ladies, le famose case Vittoriane! Una lunghissima lista di teatri, gallerie, biblioteche, associazioni, rappresentano il vanto di questa realtà aperta alla cultura in ogni sua sfaccettatura, come dimostrano le prestigiose istituzione del San Francisco Museum of Modern Art, Asian Art Museum, De Young Museum, Palace of Honor, meritate glorie di una cultura che sostiene il bello e la sua conservazione. In osservanza al suo carattere cosmopolita, la city vanta uno stuolo di chefs provetti capaci di soddisfare tutti i palati, grazie a una gastronomia mescolante prodotti freschi del luogo, creatività, cucina internazionale, e agli innumerevoli ristoranti adatti ad ogni genere “di tasca”! Ma non è finita, in quanto questo luogo meraviglioso è celebre nel mondo per il brulicare di posticini animanti la vita notturna, basti ricordare la zona racchiusa tra South Market e Mission Districts ospitante i club alla moda, dove ascoltare musica dal vivo, jazz, blues, swing. Per gli amanti dello sport, non c’è che l’imbarazzo della scelta, infatti le iniziative gratuite promosse dagli addetti al settore sono veremante tante. Ah, per informazioni dettagliate sulla frenetica vita di San Francisco consultate il sito www.onlyinsanfrancisco.com eccezionale!

TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa Master Consulting


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ecantare le meraviglie della Carinzia attraverso le parole è decisamente riduttivo, in effetti questo ridente territorio rappresenta un piccolo eden in terra, dove la natura si è particolarmente prodigata nel “partorire” una figlia cosi bella. Il paesaggio incontaminato, ricco di una prolifica vegetazione alpestre, circonda romantici laghi, tortuosi torrenti formanti scenografiche cascatelle, fiumi navigabili, arcigne vette innevate. Un contesto così variegato si presta molto bene per praticare gli sport più disparati e, in effetti, la Carinzia è degnamente attrezzata per il ciclismo, la pesca, sport acquatici, nordic walking e, sopratutto, lo sci in tutte le sue varianti. Visitare questo lembo d’Austria vuol dire anche immergersi nella cultura, non a caso la regione è costellata da musei, fortezze, castelli, chiese, splendide cittadine ricche di monumenti. Basti menzionare Klagenfurt con la sua architettura rinascimentale, Villach celebre per essere centro internazionale di musica e opera, Ossiach con l’austero maniero medievale adibito a suggestivo scenario per rappresentazioni teatrali, Millstatt brulicante di manifestazioni e sede di una importante abbazia benedettina, Bleiburg con il suo celebre Werner Berg Museum. Visto che a breve si celebra la Santa Pasqua, la Carinzia diventa una meta appetibile grazie, anche, alle attrattive caratterizzanti tale festa. Basti ricordare il tintinnio assordante ottenuto con artificiosi strumenti, manovrati dai bimbi del luogo, sostituenti il mutismo delle campane volate idealmente a Roma, per poi tornare in patria a lodare la Resurrezione di Cristo, ma anche i falò del sabato santo rischiaranti i borghi, il suggestivo pellegrinaggio, di ben 16 ore, tra le montagne del massiccio centrale, la sua famosa gastronomia. Tra le tante ghiottonerie, tipiche delle prossime festività, l’Osterbutter incarna il dolce per eccellenza, una gustosa miscela riecheggiante le vecchie tradizioni fatte di una cucina manuale, prodotti autoctoni, maestria. La ricetta di questa prelibatezza è un groviglio di papavero, noci, uva passa, cannella uova, zucchero, rum, sapientemente miscelati e cosparsi dall’ottimo burro dei Monti Nockberge artisticamente modellato grazie all’ausilio di opportuni stampi. Dal gusto inconfondibile, il “Burro di Pasqua” viene consumato insieme al Reindling (altra prelibatezza con base di pasta dolce lievitata e ripieno eterogeneo), uova al kren, prosciutto. Allora signori, si parte?

Pasqua in Carinzia TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa agenzia Eidos


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Carnevale d’Autore 2012

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Alla conclusione della manifestazione, anche quest’anno sono stati decretati i vincitori, le nuove idee del Comitato, presidenziato da Mauro Dell’Unto, hanno dato un buon esito. L’intero centro è stato coinvolto con varie iniziative. Il colore e la vivacità delle maschere, ha rallegrato il pubblico nonostante il maltempo, la partecipazione è stata numerosa. Le targhe assegnate sono: 1 Carnevale di domani targa in ricordo di Daniela Peschiara alla “coccinella” del gruppo la Nuova Luna-Noemi Landi; 2 Maschera in pelle targa Reality e Associazione conciatori alla “cascata di luce” del gruppo il Nuovo Astro-Alessandra Ugolini; 3 Maschera Carnevale d’Autore all “Americano” del gruppo gli Spensierati-Vittoria Rosati; 4 Maschera ecologica targa Geofor al “Tappo di sughero” del gruppo gli SpensieratiRoberta Chiti; 5 Roberto Giannoni e Margherita Casazza consegnano targa ricordo in pelle, realizzata da Mariachiara Marcori, al presidente del comitato Mauro Dell’Unto; 6 Maschera caratteristica targa in memoria di Adum Masoni alla”Massaggiatrice cinese” del gruppo il Nuovo Astro-Annamaria Bottoni; 7 Gruppo vincitore del carnevale d’Autore2012 targa Umberto Cambi consegnata al presidente degli Spensierati; 8 Premiazione Miss Coriandolo 2012 indetto dal quotidiano la Nazione, vince Anisia Deidda del gruppo il Nuovo Astro, premia Gabrile Nuti; 9 il presidente Zingoni Stefano con targa e stendardo. (Foto di Riccardo Lombardi)

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WINTER MARATHON

19-22 GENNAIO 2012 di Angelo Errera Ha raggiunto la 24° edizione la maratona che percorre lo splendido paesaggio delle Dolomiti del Brenta. Partendo da Madonna di Campiglio si sono svolte le gare di regolarità per l’assegnazione del Trofeo. 158 è il numero dei partecipanti alla competizione partita il 20 gennaio accompagnata da grande divertimento, che ha visto come protagonista indiscusso la neve, che già dalla sera della prima giornata è tornata a imbiancare le strade della Winter Marathon. Oltre 400 km da percorrere in dodici ore, con il valico di 11 passi alpini e con il raggiungimento della vetta del Passo Pordoi a 2.239 metri di altitudine, una disputa spettacolare che si conclude nella giornata di sabato con l’assegnazione dei due premi che prevedono lo svolgersi della gara sull’esclusiva location del Lago Ghiacciato di Madonna di Campiglio: il Trofeo MotorStorica, riservato alle vetture scoperte anteguerra e il Trofeo Tag Heuer-Barozzi, per i primi 32 classificati della Winter Marathon della sera prima. È uno spettacolo suggestivo, una corsa contro il tempo riservata a un massimo di 200 vetture d’epoca a trazione anteriore e posteriore, scandita da 40 prove cronometrate che si articolano tra ambienti e percorsi difficoltosi ed ostili e che rendono lo svolgimento della gara molto spesso un’incognita, con necessità anche di utilizzo di percorsi alternativi. Fotografie di Photo Pierpaolo Romano 2012 Fotografie Renè Photo Collection Per classifica generale www.wintermarathon.it


Reality

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Moda Primavera

di Chiarolle

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e collezioni, si presentano come sempre grintose per colori dettagli e stampe, rendendo la scelta ampia e alla portata di tutte le donne. Abiti, soprabiti e trasparenze sono presenti nelle collezioni della prossima primavera estate 2012, che vede il ritorno anche di cappe, mantelle e body da scoprire e mettere in evidenza. Le collezioni per la primavera si presentano, come ogni anno, con colori pastello: cipria, rosa, giallo vaniglia, blu e carta da zucchero; predominano nelle vetrine di ogni città con la differenza che quest’anno cambierà il modo in cui indosseremo e abbineremo questi colori. Alcuni consigli: Abbinare i colori pastello con tonalità flou come l’arancio neon, il giallo fluorescente; optare per i jeans e i pantaloni slim fit in tonalità tenui come giallo, rosa, blu pallido, verde menta, da indossare già da ora con la giacca invernale. Molto divertente è l’abbinamento dei colori pastello con scarpe dai colori accesi come il rosso e il bluette. Ma per essere veramente alla moda indossate colori pastello con scarpe in argento, oro o altre tonalità metalliche. Tra le proposte, non mancheranno i jeans, in vari modelli da mettere nelle più svariate situazioni, più inte- ressanti i jeans a campana e a palazzo da vestire con zeppe e tacchi alti. Ma anche shorts, jilet, giacche e gonne tutto nell’intramontabile tessuto jeans. Per coloro che non possono fare a meno del denim, avranno l’imbarazzo della scelta tra cappellini, borse, scarpe, bikini e accessori di tutti i tipi. Protagonista assoluta della moda estate 2012 sarà la stampa floreale con tonalità fredde spesso su fondo bianco o nero. La tendenza per la stagione sarà quella di abbinarla con altre stampe floreali, meglio se leggermente diverse tra loro. Sportmax già nella collezione precedente proponeva look multi-floreali abbinando pantaloni con stampe floreali a giacche e bluse con fiori.

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e tendenze per le collezioni uomo primavera - estate 2012 saranno sicuramente quelle di eliminare tutto ciò che risulta essere strutturato e formale. Protagoniste saranno invece giacche sfoderate, pantaloni dalla linea morbida, maglioncini di cotone e colori tenui mescolati al blu scuro. Sarà quindi uno stile informale e casual, ma comunque decoroso e ricercato, ottimi come riferimento lo stile Armani e Tommy Hilfiger da mischiare insieme. Il primo perché esalta le linee morbide, decostruite e comode. Il secondo perché definisce perfettamente lo stile informale ma per bene. I consigli: l’utilizzo del trench corto in nylon o cotone impermeabile nei colori blu, bige, grigio-bianco ghiaccio. Pantaloni dritti ma anche con le pinces, morbidi sopra e stretti al fondo, nei colori beige, grigio chiaro, blu scuro da abbinare con il mocassino in cuoio o con quello morbido e scamosciato come quelli proposti da Gucci e Tod’s.

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e proposte per la collezione bimbo sono piene di tessuti e colori diversi, con abbinamenti che vedono il nero con colori accesi. Quella dei bambini è una moda sempre più vicina e simile a quella degli adulti. Ci saranno le stampe con i personaggi dei cartoni animati, sia per le bimbe che per i maschietti, ma anche le felpe con cappuccio, pantaloni con le tasche, le camice a quadri e le scarpe sportive ultra comode per uno stile tutto made in USA. Per il mare non mancheranno le righe bianco e blu in stile marinaio, le salopette, le sahariane e i pantaloni safari. Sempre ispirandosi alle collezioni degli adulti, vedremo anche per i più piccoli lo stile flower e hippy con t-shirt coloratissime, jeans ‘a campana’, fasce per capelli, bandane e infradito. (Foto www.ilgufo.it )

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Buffet

oda bon ton ma con

a cura del Maestro di cerimonie Alberto Presutti

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l momento dell’aperitivo, sicuramente, costituisce una piacevole parentesi d’incontro e di nuove conoscenze e il buffet, in particolare, è divenuto, sempre più, il punto di attrazione mondano e sociale, dei vernissage presso le gallerie d’arte, citato in calce ai cartoncini di invito, quale ragione in più, per presenziare. Ma, apertosi il buffet, purtroppo, come uno sciame impazzito, tutti gli invitati all’evento, spessissimo si producono in un assalto inverecondo alle tartine, ai bignè, alle fette dei dolci e delle torte salate, bevendo, anzi, taluni sbevazzano, senza ritegno alcuno, come nessuno di loro mai farebbe a casa propria o già di semplici conoscenti. Il Bon Ton e l’educazione di ciascuno degli invitati diviene meno che pallido ricordo, ed ecco coloro che si piazzano davanti al tavolo del buffet, ancorandosene fermamente, e ingollandosi senza ritegno, o coloro che, sgomitano in continuazione pur di giungere nelle vicinanze di qualcosa di commestibile, magari infilando a mo’ di serpente guizzante, il braccio tra gomiti e ulne altrui. La mancanza totale di Bon Ton si evince, poi, dal fatto che dall’apertura del buffet, tutti s’ignorino tra loro, non c’è più amico o collega, ma solamente una fame che pare atavica, sotto l’occhio oramai rassegnato dei camerieri che disperatamente provano a far fronte a tanta voracità. Mangiare, invece di abbuffarsi. Rispettare gli altri, invece di prevaricarli. Riempirsi il piatto con poco, per dare a tutti la possibilità di scegliere e non doversi contentare di ciò che resta nei vassoi. Bere con misura e non credersi all’osteria. Il buffet non è una mensa ma un momento per socializzare tramite il cibo. Il buffet, con la sua scenografia enogastronomica, anche se talvolta pauperistica, eccita un desiderio di fame compulsiva che si traduce nella morte del buon gusto e del buon senso, e soprattutto, un simile rimpinzarsi è irriverente per i tanti che muoiono davvero di fame!

www.albertopresutti.it


da un amore impossibile può nascere un

fiore TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová

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aro a un poeta, come Montale o a Ovidio, che ne narrò le prime vicende (Metamorfosi IV, 283), questo bellissimo fiore nella mitologia greca prende il nome da un giovane, per sua disgrazia perdutamente innamorato, e

come colorante che nelle ricette delle nostre cucine. Chi non ha mai assaggiato un risotto alla milanese? Il tipico colore giallo deriva da una componente degli stami del fiore, la “crocina”. Il nome zafferano deriva dall’arabo “jafaran”, trasfor-

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Montale, Ossi di Seppia mai ricambiato, della ninfa Smilace; per levarlo dagli impicci e dalle pene del mondo, gli dei misericordiosi lo trasformarono nel fiore omonimo, mentre la ninfa crudele veniva mutata in salsapariglia (Smilax aspera), dalle verdi foglie spinose a forma di cuore. Ma non tutte le fonti sono concordi con questa storia. Negli antichi rituali il croco era il fiore che veniva sparso sul letto degli sposi, ma veniva gettato anche nei roghi funebri. Stava nel mezzo, fra la vita e la morte, come simbolo infinito della rigenerazione. È il primo ad apparire e a sorprenderci, nel lento sciogliersi del grande gelo invernale, forando la terra gelata con la dura scorza esterna dei suoi getti, desiderosi di trovare il sole. Non è raro vederlo uscire da sotto la neve. Appartiene alla famiglia della iridacee, piante erbacee perenni, tipiche per la infiorescenza a forma di coppa. Il genere “crocus”, definito da Linneo nel 1753, è diffuso nell’area mediterranea e si presenta in circa 80 specie, in parte create dai botanici olandesi e in parte presenti in natura. Il più famoso è il “crocus sativus”, da cui si ricava dalla notte dei tempi lo zafferano, che è una spezia utilizzata sia

mato dal persiano “sahafaran” derivante dalla parola “asfar” che significa molto semplicemente “giallo”. Nel medioevo lo zafferano era, con il pepe, la spezia di maggior pregio. All’occorrenza si usava come moneta, insieme e al posto dell’oro. E non si scherzava con i falsari: è nota la vicenda di un commerciante di pochi scrupoli, tale Jobst Findenken di Norimberga, che si recava di persona a L’Aquila per comperare lo zafferano locale, celebre in tutta Europa, e poi lo mescolava con altri tipi di minor pregio. Fu scoperto e il 27 luglio 1444 venne bruciato vivo, insieme al prodotto contraffatto. Alla moglie fu risparmiata la vita, ma dovette cambiare aria e mestiere… Il paese europeo che oggi lo produce in maggiore quantità è la Spagna; in seconda battuta ci siamo noi, ma con cultivar particolari, che si mantengono in vita con la passione di coltivatori irriducibili e, forse, fuori dal tempo. Nell’industria alimentare vengono utilizzati prodotti provenienti da paesi come l’Egitto o l’Iran, caratterizzati da prezzi bassi, come dalla qualità non eccelsa. Infatti solo

con particolari procedure manuali, che si tramandano da generazioni, è possibile ottenere lo zafferano della qualità degna di comparire nelle cucine degli chef più famosi, come quello che si coltiva a l’Aquila o più vicino a noi, a Fucecchio e a San Gimignano, ricca di torri. Ma al di là del valore commerciale, legato da sempre a questo bellissimo fiore, a noi piace ricordarne l’origine che si perde nella fantasia degli uomini. L’amore, sempre l’amore, delizia e disperazione, quando è impossibile, fa nascere comunque le cose più belle che stanno intorno a noi. E in quel dolcissimo e tenace spuntare dei crochi, c’è tutta la disperazione di un giovane greco di nome Croco, perdutamente innamorato della sua Smilace. Che, come a volte succede, non lo degnava nemmeno di un pensiero…


© Foto Alena Fialová


Speciale astrologia

Non solo 2012 L

’ anno 2012 rappresenta il capro espiatorio delle peggiori profezie. Dai Maya in poi, ogni congettura ha tinteggiato l’annus horribilis semplicemente come una… fine. Eppure, spesso dal male nasce anche il bene, poiché ad ogni cambiamento corrisponde una fase di distruzione del “vecchio” per lasciare spazio alla magnificenza e alla luce del “nuovo”. L’inizio di una nuova era, di una svolta fatta finalmente di più amore, di meno consumismo e materialismo, a favore della spiritualità e del bene universale. Benvenuto all’anno 2012 e alla New Age, “Era dell’Acquario”. È su questo pilastro che la trasformazione prende forma, chiudendo l’attuale “Era dei Pesci”, iniziata con la nascita di Gesù Cristo, rappresentata appunto dal simbolo del pesce. L’età acquariana, di imminente avvio nell’anno 2012, si esprime attraverso correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative: un rivoluzionario equilibrio postmoderno, alla ricerca di una sintesi tra Coscienza Collettiva (Acquario) e Coscienza Individuale (Leone, ”Età dell’Oro”), dove l’essere umano possa finalmente fare pace con se stesso riscoprendo il suo centro (conosci te stesso), in bilanciamento mentale tra i due emisferi cerebrali (razionalità e sentimento), elemento maschile e femminile, con una riscoperta del potere dell’empatia e delle emozioni. La strada per una nuova luce dell’anima. Il 2012 può essere paragonato a un’orchidea, fiore simbolo del segno zodiacale dell’Acquario: sinonimo di armonia, di perfezione spirituale, come la purezza e l’innocenza dei bambini. Orchidea, in occidente emblema di amore inteso come sentimento unico e duraturo nel tempo. La Toscana regala specie di orchidee che popolano a sorpresa le sue campagne. Alcune richiedono pazienza per essere trovate, altre sono molto diffuse durante il periodo di fioritura. Le orchidee spontanee della Toscana sono in grado, immagazzinando considerevoli riserve nutritive, di sopravvivere anche in condizioni poco favorevoli ai piedi delle gole di montagna. Sul Monte Pisano, dal mese di marzo fino a giugno, i vostri occhi potrebbero scoprire dischiudersi una di queste (magiche) orchidee. E l’anno 2012 non è mai stato così perfetto per essere il primo passo verso una novella e brillante felicità. Fuori il coraggio di cambiare. Ora.

di Federica Farini


Gocce di rugiada nella tiepida primavera di Toscana

Ariete

Toro

Gemelli

Quando il manto dell’inverno lascia spazio al fiorire primaverile, ecco accoglierci il segno zodiacale dell’Ariete, simbolo di fuoco e impeto, che nelle vite anteriori ha realizzato atti di coraggio, maturando forza fatta di slancio ed entusiasmo impulsivo. Le dure condizioni di vita, che spesso il primo segno ha ereditato da karma anteriori, lo hanno reso tenace interiormente, al prezzo di un egoismo che in questa esistenza lo deve condurre a lottare con lucidità e distacco, canalizzando la grande energia che ha maturato in senso benefico. Perfetto per l’Ariete il fiore della lavanda, resistente sempreverde mediterraneo, dal profumo fresco, che attenua il furore e l’aggressività del segno. La Toscana dedica a questa magica fragranza una festa, spesso allegramente celebrata nei borghi antichi della sua terra, come nella zona di Lucca (San Martino in Greppo), che accoglie festosamente le sue svariate proprietà terapeutiche rilassanti e aromatiche in molteplici prodotti, aromi e sapori tipici.

Quando la primavera matura in tutto il suo incontenibile splendore, ecco l’abbraccio del caldo segno zodiacale del Toro, che dal karma del passato ha ereditato un profondo attaccamento nei confronti dei beni materiali e dell’amore, che su questa terra deve imparare a vivere con meno possessività, evitando di rimpiazzare i sentimenti con le soddisfazioni materiali, in favore di una fiducia meno razionale nei confronti del destino, sopportando con costanza e pazienza al fine di arrivare in fondo ai propri impegni, grazie alla riflessione ed alla prudenza, che talvolta appare inesauribile e talora si sprigiona invece improvvisamente. Emblema del secondo segno il grande Niccolò Machiavelli (Firenze, 3 maggio), politicofilosofo “rinascimentale”, intelligenza sottile ma anche spregiudicata, rivoluzionario metodologico e culturale, che diede valore al mondo umano e all’agire politico in una prospettiva di rigorosa immanenza, dove la comprensione storica si trasforma nella base per l’azione, per l’arte della politica sulla realtà.

E quando l’estate germoglia in giugno, ecco irrompere la verve del segno zodiacale dei Gemelli, che nelle vite anteriori ha sviluppato qualità mentali in maniera considerevole, approfondendo innumerevoli discipline e argomenti, forse troppo dispersivamente e superficialmente, tanto che nella vita attuale dovrà prima di tutto diventare più focalizzato, misurato e maturo, incanalando quel brio e quella vitalità che gli è propria a favore di opere tangibili e durature, trasformandosi da eterno fanciullo in adulto intelligente e consapevole. Tipica dell’energia del terzo segno l’esplosione della natura dalla primavera all’estate, nel volo degli uccelli e delle farfalle, nel ronzio degli insetti e nel polline dei fiori. Gemelli come tonalità gialla, colore del sole, che stimola e sviluppa l’intelletto-Mercurio in tutte le sue forme più creative (immaginazione, arte, originalità), favorendo indipendenza, diplomazia e flessibilità. La Toscana lo omaggia del limone toscano (Citrus lemon), dalla pianta rigogliosa e sempreverde, dal fogliame di color verde intenso, con fiori molto profumati, e una ricetta estrosa e stravagante come solo i Gemelli sanno essere: i cantucci al limone, variante dei famosi biscotti tipicamente preparati con mandorle, rimpiazzate qui da un leggero e piacevole sapore e profumo di limone.


Il Regno del leone Una volta divenne Re un leone che non era focoso, né crudele e nemmeno violento, ma era piuttosto mite e giusto… anche se cosa assai rara. Durante il suo regno venne convocato un raduno di tutti gli animali affinché reciprocamente si potesse porre fine alle malefatte che ancora imperavano nonostante il leone mansueto e giusto. Il lupo con la pecora, la pantera con la zebra, la tigre con il cervo, il cane con la lepre e così via... Una volta convocati gli animali e di fronte gli uni agli altri, nel bel mezzo dell’assemblea, chiese e ottenne la parola una lepre che molto soddisfatta affermò: «Ho sempre sognato che si verificasse questo giorno», ovvero, disse la timida lepre, «il giorno in cui anche i deboli potessero far paura ai potenti e prepotenti».

MORALE Quando in uno stato regna la giustizia e tutti cercano di amministrarla con equità, anche gli umili dormono sonni tranquilli.

Favole di Fedro


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Centro Toscano Edizioni


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