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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658
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771973 365809
20151
Anno XVII n. 1/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00
Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario
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EDITORIALE
Cin Cin alle novità D
uemilaquindici, anno denso di anniversari e ricordi: dalla stesura della Magna Carta alla nascita di youtube, dalla battaglia di Waterloo alla fine della seconda guerra mondiale. Ma vanno ricordate anche importanti nascite. Per tutto il mondo antico basti Dante Alighieri, padre della lingua italiana e autore della Divina Commedia. Per il secolo scorso mille nomi vengono a mente; tra gli altri, l’attore e cantante internazionale Frank Sinatra, il nostro amato e compianto regista Mario Monicelli, l’altro grande regista e scrittore Pier Paolo Pasolini. E che dire dei soli 150 anni trascorsi dall’abolizione della schiavitù, con un emendamento alla Costituzione americana? Questi citati sono solo alcuni degli anniversari del 2015, che è anche un anno molto importante per il nostro Paese. Alla grande kermesse internazionale dell’Expo di Milano, dedicata all’alimentazione mondiale e allo sviluppo sostenibile, tra poche settimane potremo vedere un’Italia in grande. I nostri prodotti culinari e artigianali faranno da padroni e le nostre tradizioni e cultura affascineranno il mondo intero. Nonostante le difficoltà affrontate e gli ostacoli che abbiamo dovuto superare, proietteremo verso il mondo intero la nostra natura. L’auspicio è che l’Expo determini un indotto positivo per tutti. Molti vorranno essere a Milano per visitare i padiglioni e conoscere le proposte dei diversi Paesi, ma anche per farsi conoscere e cercare nuove opportunità. Una serie di possibili eventi nell’evento, dunque, di occasioni per crescere offerte a tanti operatori e imprenditori di diversi settori, intorno alla tematica dell’alimentazione e dei suoi portati. Oltre agli ormai consueti appuntamenti di Lineapelle a Milano e dei Festival toscani, quest’anno Reality sarà presente ad Expo 2015: la nostra collaboratrice Federica guiderà un piccolo staff di visitatori curiosi e interessati, che cercheranno di entrare nel vivo dell’evento, e chissà che non si riesca anche a fare di più. Non vogliamo anticipare le nostre novità, però ci sembra giusto, pur essendo un piccolo magazine, essere presenti a un evento così importante, anche perché il nostro comprensorio rappresenta, nel campo della moda, una delle eccellenze italiane, poiché i nostri manufatti vengono scelti dalle migliori firme del settore. E potremmo ripetere il discorso a proposito di un’altra eccellenza italiana e segnatamente toscana sulla quale Reality punta lo sguardo con sempre maggior attenzione: la viticoltura e la cultura del vino che non solo idealmente sono argomento importante tra gli altri che verranno affrontati in Expo 2015. Avevamo altri e più ambiziosi progetti da introdurre con le pagine di Reality, ma non abbiamo ricevuto adeguato sostegno, almeno per ora. Dunque non anticipiamo nulla. Diciamo solo che noi con grande pazienza e caparbietà andiamo avanti perché il nostro scopo e fare del vino di qualità, anche se poco, ma il più inebriante possibile. Allora che dire? Cin cin, santé, prosit, salute, e andiamo avanti!
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MAGAZINE
Centro Toscano Edizioni
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Centro Toscano Edizioni srl Sede legale Largo Pietro Lotti, 9/L 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel e fax 0571 360592 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it Text Luvi Alderighi, Paola Baggiani, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Carmelo De Luca, Cristina Di Marzio, Angelo Errera, Federica Farini, Annunziata Forte, Eleonora Garufi, Roberto Giovannelli, Matthew Licht, Roberto Mascagni, Paola Ircani Menichini, Nicola Micieli, Ada Neri, Paolo Pianigiani, Silvia Pierini, Fernando Prattichizzo, Elena Profeti, Giampaolo Russo, Stefano Stacchini, Leonardo Taddei.
Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658
In copertina: Umberto Buscioni Aurelia, 1993-95, olio su tela cm 62x50 Foto di Alessandro Paladini
Reality numero 75 - marzo 2015 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007
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SOMMARIO
ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 21 22 25 28 30
In viaggio con Buscioni Pietro Parigi 60esimi di secondo Gli occhi dell’anima San Sebastiano Frottage
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Dante e le stelle di Almagesto Salvare la memoria? Si deve In viaggio tra i nettari toscani Non di solo cibo si parli Made in Italy Di vegetali mi voglio nutrire
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L’arte in Italia Lettere da un matrimonio Pùgia per un fratello Novità editoriali Vienna Nei giardini di Firenze
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SOMMARIO
spettacolo EVENTI economia società COSTUME 64 66 69
Cinema per la pace Il principe gioca a polo Progetto Kazi
70 72 74
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Il fiero poeta Giosuè Carducci Capelli taglio corto quest’anno Mode di moda
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Come vestirà il 1953? Cravatta, che passione! Alle pareti un ventaglio di colori
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A
artista
Angelo di mezzanotte 2003-2005 pagina a fronte Moto su cielo, 1967-68
in
viaggio con
Buscioni
Nicola Micieli
È bene finire in gloria, mettersi, dietro alle spalle, le nostre stagioni, i nostri inganni, galleggiare allegramente sapendo, in verità, che tutto è stato allogato nei nostri cuori. Il passato non ha rancori, perdona tutto quello che siamo, ci sono amici dalla nostra parte, siamo seri: che orrore pensare che una moltitudine distratta dovesse accorgersi di noi, che la nostra anima dovesse far trapelare i suoi segreti. Quanto più il tempo reale è impietoso, furibondo, fugge via, tanto più la nostra divinità ci ha accreditati di un tempo infinito. Nei momenti di grazia il tempo passato si dilata a dismisura, restiamo padroni di una età metafisica. Oggi ho cento anni in più di quelli che dimostro.
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ul presupposto teorico della percezione atomistica della luce, nel quarto libro del De rerum natura Lucrezio definisce i simulacra “membrane staccate dai corpi”: non ombre vane, bensì sostanze visibili che con la loro pur tenue fisicità, attraversano lo spazio e investono i sensi, nel modo in cui dalla scena dei teatri antichi i velari diffondevano nell’ambiente circostante i loro vividi colori, o le vetrate filtravano la luce diffondendola, spiritualizzata, nelle cappelle absidali e nelle navate delle cattedrali gotiche. La pittura di Umberto Buscioni fa pensare a un teatro di simulacri, a un luogo consacrato alla simulazione della vita nella manifestazione e nella dinamica delle forme figurate. Teatro animato da uno sguardo eccezionalmente fervido e capace, già negli anni Sessanta, di intrecciare con assoluta semplicità – ma sicu-
C’è un fuoco che lambisce ombre e figure, un riverbero che illumina le nostre speranze, che brucia nelle ore di mezzanotte, nei trasalimenti dei nostri abbandoni. Si dà il caso che tutto sia fiamma che percorre, incessante, le nostre più profonde ragioni. Umberto Buscioni
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ro discernimento e, dunque, senza cadute di gusto o retorica narrativa – garbatissimi idilli, tenere storie tra i diversi involucri o apparenze delle cose. Favoleggiava, poniamo, di congiungimenti tra camicie sotto sventolanti bandiere e labirintici intrecci di cravatte sciorinate con una sorta di loro serico erotismo tessile, di trame e temi decorativi offerti con un piacere a suo modo vicino alla matissiana voluttà della forma/colore, che si dischiude piena alla penetrazione della luce. (Ma Buscioni inclinava alla grazia ariosa della levità, più che alla materia sontuosa intrisa di colore). Nell’universo visionario di Buscioni, sulla scena pittorica sempre abitata dai simulacri delle persone e delle cose, non mancano i lucreziani “velari” che riverberano luci colorate sulle sacre e profane icone. Dalle conformazioni nucleari e riduzioni pop
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Vestizione del mattino, 1965 Grande scarpa e calzino, 1967 pagina a fronte Aiuto, le bottiglie 1968
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Caduta degli angeli ribelli 1983-1984
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dei primi anni Sessanta, agli attuali paramenti stellari calati sulla terra, ai vagheggiamenti edenici da età dell’oro, alle meditazioni sul tempo e alle apparizioni e colloquiali incontri tra manichini e indumenti sostitutivi dell’uomo. Le esili forme trascorrono con moto preferibilmente obliquo e fluttuante, talora precipitando sotto specie di angeli ribelli scacciati dall’empireo cielo, talaltra ascendendo con la leggerezza degli aquiloni, docili al capriccio del vento. O ancora danzando sinuosamente con l’ardore rapinoso del fuoco, che «bello et iocundo et robustoso et forte» illumina per noi la notte. Ogni elemento formale, tendenzialmente in metamorfosi, sembra tendere all’apparenza dell’aria e del fuoco, se non ad acquisirne le proprietà, a farsi volatile, cangiante. Mano a mano che Buscioni elabora il proprio universo visivo e mette a punto il relativo repertorio linguistico, arretra il senso della pesantezza, rientrano gli attributi fisici connessi al campo gravitazionale, sin quasi a dissolversi con le “marmorizzazioni”
(intorno al ’74, referente il Salviati) o a tradursi in un trionfo di figure eteree, di puri involucri o vesti a fitte pieghe da paramenti barocchi, che compaiono sullo scorcio degli anni Settanta e domineranno negli Ottanta. Buscioni governa in chiave metaforica la partitura pittorica che finge oggetti che presuppongono presenze che implicano contesti umani e quotidiani. La pittura, insomma, sta alla camicia come la camicia sta all’uomo, e l’uomo rimanda a un tempo e a una civiltà di cui l’oggetto stesso raffigurato è testimone. Un metalinguaggio, in definitiva, è la catena delle metafore. Nel gioco delle parti l’immaginario di Buscioni non si fa evasivo e divagante né inutilmente involuto, dato che sempre si impone la risoluzione della cantabilità pittorica su ogni altra implicazione del meccanismo visivo. Gli oggetti e magari le loro tracce o scie tendono a una loro privilegiata traducibilità pittorica, secondando un’inclinazione alla sobrietà e alla limpidezza della partitura che è dato costitutivo di Buscioni, un tratto innato della cultura nel quale è stata
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giustamente indicata la persistenza della tradizione toscana. La quale, del resto, in un suo “Glossario” – mirabile raccolta di meditati aforismi e illuminazioni – pubblicato nel 1992 con una nota limpida di Mario Luzi, è da Buscioni riferita alla stessa topografia e alla luce del luogo dove si è nati e che costituisce l’atto primo, direi la fisiologia dell’educazione estetica. In ragione della latente traducibilità pittorica, i brani degli oggetti potevano persino divenire puri morfemi o cifre grafo-pittoriche spendibili per comporre partiture a loro modo astratte, per quanto risalenti a motivazioni d’ordine ideale o anche critico che poi retrocedono di fronte alle acquisizioni formali. Come nel caso della splendida serie delle “bottiglie” (1968) che segnano la demarcazione della stagione pop da Buscioni vissuta con modi peculiari, in sintonia di intenti con Barni e Ruffi nel sodalizio che Cesare Vivaldi tempestivamente individuava e documentava come Gruppo di Pistoia. Sullo scorcio degli anni Sessanta e ai primi dei Settanta, dunque, quando
Combustione con ombra, 1991
Fuoco notturno, 1993 pagina a fronte Visione di San Giovanni, 1988
isola i morfemi del suo stringato lessico grafo-pittorico, Buscioni avvia una personalissima indagine sui codici della pittura, come elaborazione sia di patterns formali desunti per sintesi dalle icone delle sue bandiere e cravatte e altre stoffe decorate, sia di testi dal repertorio iconografico della tradizione pittorica, specie toscana e manierista. Egli avvia così un viaggio eleggendo a oggetto non più le cose per ricavarne “pellicole”, ma la pittura per indagarne la “pelle”, come dire l’essenza sua fenomenica, il lucreziano simulacro. Il corpo, la fisicità della pittura. I nuovi simulacri hanno assunto dunque l’aspetto di vere e proprie figure (e nel proseguo, con analoga funzione testimoniale e favolistica, alle figure si alterneranno i loro indu-
menti, i contenenti per i contenuti, il fuori per il dentro, i simulacri per la flagranza corporale), personaggi che tentano la rappresentazione del dramma della vita quotidiana, discendendo dall’ambito domestico o da una qualche pala d’altare o affresco, magari dei prediletti manieristi toscani, dal Pontormo al Beccafumi al Rosso. La scena è ormai luogo d’azione per angeli ribelli e arcangeli, evangelisti e santi, vergini annunciate e vergini addolorate, e per cariatidi, figure di Orfeo e di Leda e altre creature del mito pagano e cristiano, egualmente partecipi di una rappresentazione che è insieme mistica e animistica, vorticando il cielo e la terra intorno ai personaggi, o meglio intorno a quel che delle loro vestigia si condensa
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allo specchio della visione, metafore di una condizione umana di marginalità e di confino, e implicitamente del ruolo dell’artista che dei simulacri è l’evocatore ispirato. Lo stare delle figure sulla poltrona di vimini (un recupero dall’iconografia personale degli anni Sessanta), è una costrizione che fa scattare il bisogno di sciogliersi dai lacci della realtà fenomenica: un’ansia di liberazione, un desiderio di fuga che si traduce nella combustione delle forme e si propaga d’intorno a divorare pareti e tendaggi, ove si tratti di interni; a sconvolgere la totalità dello spazio negli esterni. Una sorta di febbre o di sacro furore pervade ogni cosa, e non è arbitrario scorgervi il segno di un’alta passione creativa che si consuma sulle testimonianze dell’arte non meno che sui simboli della realtà quotidiana, in modi che costituiscono un’accezione assai singolare della post-modernità, perfettamente in linea con la distinzione e l’autenticità dell’intera vicenda creativa di Buscioni. L’artista “rivisita” senza alcuna nostalgia antiquariale i segni e i simboli della propria storia di pittore, dunque della storia della pittura alla quale nel tempo egli ha guardato come ai modelli elettivi del proprio immaginario. Laddove altri esercitano il gioco metalinguistico delle citazioni, delle assunzioni anacroniste di modelli, Buscioni mette in scena il dramma laico della passione, la rappresentazione profana di una forma colta nello stato transitorio tra l’esserci e l’estinguersi, che è una sorta di autoritratto d’artista spogliato della maschera fisiognomica, reso carne pulsante e spirito della pittura. Nell’atto del dipingere, dunque, si compie come una sorta di rito sacrificale, di discesa nell’imo e di elevazione che è, in realtà, un perpetuare in sintesi estrema e nel “corpo” concreto della pittura, per segni e forme e colori di eccitato fervore, l’atto o il processo del generarsi e del dissolversi dell’immagine. Nella quale è il segno d’un bergsoniano vitalismo (e non c’è una memoria boccioniana sottesa nell’ondulare delle forme che si moltiplicano e trascorrono sullo schermo delle opere anche recenti?), di un sotteso simbolismo della forma che simula una possibile compenetrazione dell’Io nella totalità dell’Essere.
Ascolto dell’ora 2002-2007 Sera di fine agosto 2004, particolare
www.umbertobuscioni.it
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mberto Buscioni è nato a Bonelle (Pistoia) il 13 luglio 1931. Egli lavora come ceramista fino al 1963, quando lascia il lavoro, si sposa e parte per un lungo viaggio in Marocco che lo terrà lontano dall’Italia per circa un anno e durante il quale Buscioni lavora ad opere stilisticamente vicine a quelle del Gruppo Cobra. Nel 1964, tornato in Italia, decide di dedicarsi a tempo pieno alla pittura. L’artista in questo periodo abbandona lo stile ‘‘informale’’ per dirigersi verso un’arte di chiara influenza surrealista. Nello stesso anno, l’incontro con Barni e Ruffi segna un momento di grande
importanza ed evoluzione artistica per Buscioni, che entra a far parte del Gruppo di Pistoia e ad esporre i propri lavori. La sua tavolozza si arricchisce di cromie vive e nitide, mentre il disegno si fa più sintetico. Buscioni interpreta in modo del tutto personale la Pop art, cantando oggetti della vita quotidiana. Nel 1965 la Galleria Jolly di Pistoia organizza per l’artista una personale, mentre nello stesso anno egli espone con Barni e Ruffi presso la Galleria Vigna Nuova di Firenze. Nel 1966 Buscioni è alla Galleria Flori di Montecatini con una personale, mentre il 1967 è l’anno delle esposi-
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zioni, con i restanti componenti del Gruppo di Pistoia, alla Selected Artists Gallery di New York, alla Staatsgalerie Moderner Kunst di Monaco e alla Galleria La Nuova Loggia di Bologna. Agli inizi degli anni ’70, al pari degli altri compagni di avventura, Buscioni si allontana dal Gruppo di Pistoia per indirizzarsi verso nuove sperimentazioni artistiche, che si riconducono a sensibilità di stampo informale e al recupero, soprattutto a partire dagli anni ’80, della tradizione manierista con chiari riferimenti all’arte del Pontormo. Attualmente l’artista vive e lavora a Serravalle.
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ARTE
Pietro
Parigi
l’ideale savonaroliano del grande incisore fiorentino
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ietro Parigi, autentico protagonista dell’arte incisoria italiana del XX secolo, è ricordato per la sua proverbiale modestia, la sua testimonianza di fede cristiana, la sua collaborazione alle iniziative culturali del mondo cattolico. Ampio spazio alla sua arte è stato riservato dai Francescani di Santa Croce a Firenze, presso il cui Chiostro Pietrino aveva frequentato dal 1907 al 1910 la Scuola Professionale di Arti Decorative. Nel dicembre 1945 Eugenio Pucci pubblica per l’editore Vallecchi l’opera Un maestro di vita. Savonarola, in cui tesse le lodi del Priore di San Marco, ritenendolo «un uomo santo, il figlio più grande della Chiesa, il più grande profeta del Rinascimento, un mistico, un forgiatore d’anime, un rinnovatore della coscienza politica, morale e religiosa degli italiani». Sulla copertina è raffigurata un’incisione di Pietro Parigi, naturalmente senza che l’autore venga citato. Dalla storia cono-
Fra’ Girolamo Savonarola
sciamo l’avversione tra Francescani e Domenicani, quell’avversione che il Papa Alessandro VI seppe utilizzare, inducendo Francesco di Puglia e per lui Giuliano Rondinelli a sfidare nella prova del fuoco in Piazza Signoria il
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Savonarola e per lui il frate Domenico da Pescia. Chi ai nostri giorni riconsideri la sfida, non può non rimanere colpito da due eventi: il fuoco fu spento da un acquazzone e in quello stesso giorno morì il monarca francese Carlo VIII, protettore del Savonarola. In attesa di una revisione storica della Chiesa sull’opera e sul supplizio di Savonarola, vogliamo sottolineare come l’ideale savonaroliano sia stato coltivato da Pietro Parigi, anche se tale interesse non è mai stato presentato al pubblico. Infatti, Pietrino incise in quel periodo un legno, specificamente sul tema Savonarola, in cui rappresentò il pagamento dei debiti da gioco in una bisca dell’800. Come mai? Sappiamo che Savonarola tuonava contro il gioco d’azzardo e che la Signoria intervenne con decreti, i quali impedivano ai giovani sotto i 24 anni di giocare a dadi e a carte, riducevano l’ammontare delle poste e proibivano alcuni dei giochi più rischiosi. Anche Sant’Antonino Pierozzi, arcivescovo di Firenze, fece di tutto per porre un argine alla manìa del gioco, che era fonte di guai e di tristissime esperienze familiari, oltre a comportare continui insulti alla divinità. Come noto, l’arte di Pietro Parigi affonda le radici nella realtà quotidiana dei semplici e degli umili, ma con un respiro di spiritualità ampio e alto. Negli anni ’40 Pietro Parigi si pose unitamente ad altri cattolici e intellettuali fiorentini del tempo, nell’opposizione al sistema fascista, insieme ai fautori di Giorgio La Pira che frequentavano Piazza San Marco. Nel ’45, quindi, realizzò questa xilografia su Girolamo Savonarola e sul gioco d’azzardo, biasimato dal Savonarola, ambientandolo in una bisca del secolo precedente.
Fernando Prattichizzo
Savonarola e il gioco d’azzardo, xilografia
Xilografia rappresentante il dramma di Miguel Mañara di Oscar V. de L. Milosz tratto da San Miniato la Festa del Teatro, 1971
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scatto d’arte
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esimi
di secondo Mario Mulas su Roberto Gasperini
Stefano Stacchini
La foto in testata è di Eva Mulas
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’immagine possiede un linguaggio primitivo e universale che sopra alle culture e agli idiomi descrive senza parole una porzione di realtà. È un po’ come lo zucchero nei muscoli. La sua assimilazione è immediata. Eppure, a volte immagini diverse suscitano le stesse emozioni; altre volte la stessa immagine ne stimola diverse. Si può pensare quindi che un’immagine possieda una magia invisibile che a un livello di fruibilità ancora più semplice, sfugge alla pura descrizione del suo contenuto. Un’anima insomma. Un inizio a venire. L’immagine esiste per essere guardata e ogni sua più piccola porzione è nuda, si mostra sfacciatamente, consapevole di essere parte di un tutto ma con la dignità individuale di chi sa che il tutto senza di lei è più povero. Il particolare. Il buio e la luce poi la fanno uscire dal piano in cui si trova costretta e le conferiscono il corpo che non ha. Il colore infine ne interpreta l’umore, ci racconta del suo stato d’animo e del suo profumo. Quando poi l’immagine si fa fotografia allora indossa un altro vestito e dal taglio si capisce la sua eleganza. Dal taglio ci arriva il racconto di come è stata guardata prima di essere còlta e ci disinforma sulla sua esatta collocazione spaziale. Propone una certa quale ulteriore astrazione dicendoci come è stata estratta dal suo contesto raccontandoci dove si è posizionato l’osservatore. Il taglio nella fotografia è la figura retorica che nella scrittura chiude certi sensi e ne esalta altri. Quando il fotografo decide di spingere il dito sull’otturatore ha già digerito tutto ciò e lascia che il suo sguardo attraverso l’obiettivo inda-
ghi solo dove la sua sensibilità sa arrivare. Il fotografo allora ruba l’intimità. Mario Mulas ha gli occhi pieni di immagini e attraverso uno scatto fotografico di volta in volta ne cede una, se ne priva. Col passare del tempo paradossalmente diventa sempre più povero fino a lasciare per ultima, come tutti del resto, l’immagine della sua intimità, che però non sarà mai in grado di rubare a se stesso. In queste pagine si trovano descritti infinitesimi di vita congelata, fotogrammi subliminali di un film che scorre così lentamente da non poter essere catturato nemmeno con tempi lunghissimi. La traccia incorporata sa di trementina e di vernice ancora in tubetto, di potenzialità inespres-
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sa, di gravidanza non ancora portata a termine. O ancor prima, sa dell’atto di un concepimento. Un Roberto Gasperini che deve ancora avvenire. Il suo Bios originario che ancora non si è attivato. Un movimento che sfugge al suo libero arbitrio perché partito ancor prima di essere avvertito. Tutta la sua creatività – fate orchi giardini palazzi – in un sessantesimo di secondo. In queste immagini c’è un’ipotesi, un “se” condizionale legato al tempo. L’alchimia di una combinazione possibile anche se poco probabile: che in esse prendano corpo le energie di Roberto, presenti e invisibili, disvelandole chissà quando, come su una carta non impressionata lasciata nella bacinella dello sviluppo all’infinito.
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anniversario
gli occhi dell’anima
cinquant’anni fa moriva Giuseppe Viviani
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isse di sé, Giuseppe Viviani: «sono timido come i bovi: loro perché vedono tutto ingrandito con l’oblò sottomarino dell’occhio, io per la fantasia che dilata le forme, le cose come il lievito misterioso dell’oppio». Ma aggiungeva d’essere in egual misura temerario, capace di deflagrare come la polvere da sparo, i cui grani mostrano, posati sulla mano, l’innocenza dei semi dei fiori, mentre possono dilatare «l’aria e le cose». Non c’è modo migliore per figurare la qualità esplosiva e insieme mitissima, la miscela di candore e malizia, di semplicità e di raffinatezza che è il mondo di Viviani, «principe di Boccadarno», come si proclamò non senza ironia nell’Autoepigrafe, lui che aveva imbandito nella topografia poetica tra Pisa e Marina la “commedia” degli amari
incanti, delle sospese malinconie, degli slanci e degli scarti d’umore. E si era fatto cantore di una cronaca quotidiana dilatata, apparendo in bilico tra realtà e sogno («un piede sul suolo, un altro nel vuoto» diceva di lui Cocteau), ma in verità partecipando come pochi nel Novecento italiano, con sincerità e palpitazione lirica, a una vicenda umana e popolare che è una giostra di malinconie e di rapimenti, di ironie e di sarcasmi, di tenerezze e di crudeltà che non possono venir liquidate entro i termini vernacolari d’un bozzettismo di genere. Che aspirano legittimamente a una rappresentatività culturale europea, per la composita valenza linguistica e poetica di cui si nutrono, e che va dall’espressionismo a connotazione lirica al sottile nonsense d’estrazione magica più che surreale; dalla sottile allusività erotica alla dilatazione metafisica della minuta realtà quotidiana; da un realismo d’apparenza primitiva a un metalinguismo capzioso, esercitato sulla sostituzione della realtà
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con i suoi simulacri, le sue impronte, le sue forme analogiche. La biografia di “Bepi” ci consegna un uomo spigoloso e umorale, ben più tagliente di quanto non lasci indovinare l’ironia che lievita con i segni dolcissimi e persino languidi delle lastre, e che forse nei dipinti si rivela in più decise tinte, divenendo graffiante sino al sarcasmo sicché il tono diffusamente elegiaco delle acqueforti si variega e si innerva, nella pittura, di sapide osservazioni critiche. Un uomo, nondimeno, sensibile a ogni scarto del sentimento, capace di registrare le trepidazioni dell’animo nella gamma inesauribile dei grigi e dei neri modulati con impareggiabile sapienza grafica sulle lastre, e gli empiti impulsivi del sangue nei valori espressivi del colore che dai registri tonali più controllati sa impennarsi alle acute acidità dei timbri. In molti dipinti, difatti, più immediata è la restituzione dell’hic et nunc esistenziale, laddove lo specchio dell’acquaforte instaura una sorta di sospensione temporale
Nicola Micieli
Autoritratto, 1964 litografia Autoritratto con gamba ortopedica, 1950 litografia da ‘‘6 · 7 · 2’’ Interno di un caffé, 1950 olio su tela
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Gamba sul tavolo, 1939 incisione Autoritratto, olio su tela collezione Carlo Pepi Il vespasiano, 1956 incisione Cocomero, foglia e alabastrini sul tavolo, 1939 incisione
e fenomenologica, traducendo in rarefazione poetica la concretezza del racconto che nell’immagine pittorica, per contro, àncora l’osservatore alla flagranza di una storia. Magari una storia di cani e gelatai, di omini e uccelli che figurano interne visioni di solitudine: quelle dello stesso Viviani del quale dichiarano, altresì, l’ansia struggente di assolutezza, l’esclusiva e irriducibile partecipazione emotiva a ogni pur minimo accadimento: l’insorgenza tumultuosa di un amore, l’appercezione d’un fremito d’ali alla posta di caccia, la ricognizione curiosa e trasfigurante di una bizzarra, stranita chincaglieria che include alcune ricorrenti e ambigue “reliquie” domestiche, oggetti che dal piano privato scattano alla rappresentatività dell’emblema, diventano presenze dolcemente ossessive, insinuanti: stimolatori visivi e memoriali per intriganti viaggi entro i misteri dell’immaginario. Complice la raffinatezza del segno, che da deposito lievissimo d’una venatura trinata sa farsi morbido e formicolante brano tissurale, sulla lastra massimamente funzionano da attivatori psicologici le gambe ortopediche e le giarrettiere, le foglie di fico e i dolci pasquali, i battisteri di alabastro e gli stampi da caccia, strani oggetti che potremmo inventariare tra le cose care e patetiche di pessimo gusto, se Viviani non le investisse di un’identità formale che le rende nuclei lirici evocativi di più sotterranei depositi, se non le usasse maliziosamente come trappole tese alla nostra sensibilità decadente.
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Ecco! a mezzo secolo dalla scomparsa del risentito e “spigoloso” maestro pisano, occorre dire che se ne deve assumere integralmente l’opera, compresi gli sparsi scritti, e ovviamente l’intero catalogo dei dipinti, la cospicua produzione litografica che occupa la parte terminale della vita di Viviani e il corpus delle incisioni, incluse le xilografie giovanili che costituiscono un piccolo ma vigoroso laboratorio formativo, utile per individuare alcuni nuclei genetici delle puntesecche e delle acqueforti. Non è più sufficiente accostarsi al solo Viviani incisore – caposaldo, con Luigi Bartolini e Giorgio Morandi della calcografia italiana del Novecento – prescindendo dalla multiforme sua personalità di artista e dai presupposti poetici dai quali la forma
grafica trae alimento: il mondo marginale e struggente, risentito e lirico che celebra sulle deserte spiagge di Marina di Pisa, nelle lande di spogli giardini o di piazze ove s’ergono monumentali vespasiani, la precipitazione delle glorie e delle vanità mortali, nella visione insieme stupefatta e disincantante d’un pessimista che cerca nella verità poetica del linguaggio una speranza di salvezza e di riscatto.
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Gli occhi, 1961 litografia Il cane, 1962 litografia
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FOCUS
San Sebastiano racconto per immagini di Francesco Botticini Paolo Pianigiani
Tabernacolo di San Sebastiano, Museo della Collegiata di Empoli. Foto di Alena Fialová
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a bottega fiorentina dei Botticini, fondata da Francesco (1446-1497) e continuata dal figlio Raffaello, fu a più riprese attiva nel contado, lasciando alcune opere di particolare rilievo nelle chiese intorno a Firenze. Francesco era stato allievo di Neri Di Bicci, e nei suoi lavori riprendeva spesso la maniera da altri maestri, in particolare dal Botticelli e dal Verrocchio. A Empoli fu chiamato dai Capacci per dipingere un grande tabernacolo nella cappella di famiglia, nell’allora Pieve di Sant’Andrea di Empoli, dedicato a San Sebastiano. Fu un lavoro importante, che vide anche l’intervento dello scultore Antonio Rossellino, che realizzò la scultura in marmo collocata al centro, fra i due angeli splendidamente dipinti. Nella predella, al di sotto della scena principale, il Botticini dipinse la storia del Santo, con un taglio quasi cinematografico, in quattro scene particolarmente vivaci. Sebastiano era nato a Milano da padre francese (di Narbona) e da madre milanese. Convertitosi in giovane età, scelse la carriera militare per poter aiutare i cristiani, durante la persecuzione di Diocleziano, avvenuta intorno al 300 d.C. Trasferitosi a Roma, fece subito carriera, raggiungendo i più alti gradini dell’esercito imperiale, fino ad arrivare a quello di capo della guardia scelta dell’imperatore. Approfittando del suo ruolo, poteva impune-
mente confortare i martiri e provvedere alla loro sepoltura. Due fratelli gemelli, Marco e Marcelliano, erano stati arrestati perché non volevano abiurare la loro fede e il padre Tranquillino aveva ottenuto una proroga di 30 giorni prima dell’esecuzione, sperando di convincerli a cambiare idea e a salvare la pelle. Intervenne anche la madre, con le mogli e i figli al seguito. Quando stavano per cedere, intervenne Sebastiano, qui dipinto con la sua divisa di capo delle guardie imperiali, rossa con bordi di ermellino, a convincerli della bellezza del martirio e a rafforzarli nella loro fede. Uscito così allo scoperto, fu arrestato e portato al cospetto dell’imperatore che lo condannò immediatamente a morte, per mano dei suoi stessi soldati. Legato a una colonna, venne trafitto dalle frecce e abbandonato come morto in aperta
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campagna. Ma Sebastiano, recuperato ancora in vita da una matrona romana di nome Irene, tornò ben presto in piedi e, anziché sparire prudentemente dalla circolazione, pensò bene di tornare dal suo imperatore per convincerlo a cambiare atteggiamento verso i cristiani. Questa volta Diocleziano, per levarselo di torno, lo fece ammazzare a colpi di mazza e gettare nel Tevere. Questa è la vicenda terrena di San Sebastiano, patrono dei vigili urbani, degli arcieri e per conseguenza ultima dei produttori di spilli. Nello svolgersi delle quattro scene dipinte, rimane da notare il cagnolino bianco sempre presente ai fatti, e la presenza della Colonna di Traiano, che riporta immediatamente a Roma lo svolgersi dei fatti. Da notare anche la citazione diretta del balestriere posto alla sinistra nella scena centrale, che ricarica l’arma infilando il piede nell’apposita staffa, simile ai due, celeberrimi, messi dal Pollaiolo nel suo Martirio di San Sebastiano, oggi a Londra, ma dipinto per la chiesa della S.S. Annunziata di Firenze nel 1475. Piacque moltissimo agli empolesi l’opera di “Cecco da Firenze”, tanto da richiamarlo in Pieve per dipingere il grande Tabernacolo dell’Altar Maggiore, con i santi patroni Giovanni e Andrea. Questa volta senza scultura di marmo, ma con un bel ciborio, di cui si è persa però ogni traccia.
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Foto © Alena Fialová
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visibile parlare
Frottage come dipingere il Disegno
Roberto Giovannelli
Roberto Giovannelli, Cygno vespro suavissimo, 2007, libro dedicato ad Antonio Rivanio, frottage, grafite su carta Magnani in filigrana Corona cm 49x34 (Raccolta Archivio di Stato, Firenze) Roberto Giovannelli, Bolle di sapone, spolvero in nero vite su carta cm 70x50 Roberto Giovannelli, Bolle di sapone 36, 2008, frottage in grafite e colore litografico su carta cm 70x100 Roberto Giovannelli, … obiit hoc marmore… , 2007, foto di lapide nel portico della chiesa di Santo Stefano, Firenze
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foglio l’Iconologia di Cesare Ripa come fosse un album di preziose figurine e a un certo punto trovo la descrizione allegorica del Disegno, o meglio “Dissegno”. Come dipingere il Disegno? E in contrappunto (penso tra me) come disegnare la Pittura? Si genera un gioco di parole e di antitetiche sponde che si rincorrono all’infinito per ritrovarsi all’infinito amabilmente congiunte nello stesso punto. Così la mirabile allegoria prende corpo nell’immaginazione: il disegno del Disegno, quale evanescente mutevole figura sospesa tra i miei occhi e il foglio. Lascio alla mano e al suo prolungamento in appuntito stilo fissarne il sembiante: ecco «Un giovane d’aspetto
nobilissimo, vestito d’un vago e ricco drappo, che con la destra mano tenghi un compasso, & con la sinistra uno specchio. Si potrà dipingere il Disegno, per esser padre della Scultura, Pittura & Architettura, con tre teste uguali e simili, & che con le mani tenghi diversi istromenti convenevoli alle sopradette arti ...». Immaginario pittorico Una traiettoria mentale, un’idea in forma di serpeggiante segno mi trafigge il petto come freccia allo sbando. S’insinua lacerante questo dardo d’Amore ad iniettar veleni evocanti femminei bagliori, sottili trame, fecondi prati di Venere, eburnei lucori, intricati chiaroscuri, sfumati profili di un sogno addensati attorno alla ferita, come se al posto del cuore (proprio nel punto fisico del cuore) si formasse un gorgo. Un liquido mulinello risucchia la mia fisicità soggiogata da uno stato di languore e di grazia che prorompe in segno, una condizione che pare allargare lo spettro della percezione, acuminando i sensi, conducendoli verso una vasta sonorità
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Roberto Giovannelli, Antonio Rivanio… date lacrymas date flores…, 2008, frottage, grafite su carta cm 100x70 Roberto Giovannelli, Viandante, 1990, olio e grafite su tela cm 235x160 Roberto Giovannelli, Sognare Cennino, 1984, olio su tela cm 135x145
sentimentale (frottage). è uno stato molto simile – forse equivalente – a quello di un atto di amore, amore sotteso alla strutturazione dell’immaginario pittorico, come se la primaria energia che forgia e governa le forme si attingesse dal Caos, un incredibile groviglio come quello mirabilmente descritto nel primo canto delle Metamorfosi d’Ovidio: Pria che’l ciel fosse, il mar, la terra, e l’foco, era il fuoco, la terra, il ciel, e’l mare: ma ‘l mar rendeva il ciel, la terra, e ‘l foco, deforme il foco, il ciel, la terra, e ‘l mare: Che ivi era e terra, e cielo, e mare, e foco, Dov’era e cielo, e terra, e foco, e mare: La terra, il foco, e ‘l mare, era nel cielo, nel mar, nel foco, e nella terra il cielo.
tolto a voi non cantò nel momento del trapasso canterà in eterno, in eterno pianto dalle Muse Le parole che lo ricordano ondeggiano al vento, impresse in un drappo tenuto dalla Morte. Poco distante un disegno apparentemente più lieve, tratto da un’incisione di Giuseppe Rosati, accompagna l’eterno sonno di Giovanni Vladislao de Donin. L’immagine rappresenta un fanciullo che, seduto su un teschio, tiene in mano una conchiglia dalla quale soffia bolle di sapone: ... Vano è ‘l disegno, e l’opra d’huom mortale, Ecco l’esempio del fanciul, ch’indarno S’industria: e ‘l faticar nulla gli valle.
Vanitas In un raro libriccino intitolato In quanti modi si possa morire in Italia, dove Luigi Morandi classifica i sinonimi dell’andare a ricevere il premio finale delle proprie virtù, ne trovo di nobili, di familiari, di scherzevoli. Ma tra quelle centosettanta locuzioni non ve n’è una che pareggi la sottigliezza visiva e concettuale dell’iscrizione impressa nella lapide terragna che la tradizione vuole disegnata da Giovan Battista Foggini per il pistoiese Antonio Rivanio, castrato dalla voce soave come il canto del cigno; un cigno che se non cantò nel momento del trapasso, canterà in eterno, in eterno pianto dalle Muse nel solitario portico della chiesa di Santo Stefano a Firenze. ANTONIO RIVANIO CYGNO VESPRO SVAVISSIMO DATE LACRYMAS DATE FLORIS AMICÆ CHARITES IDEO VOBIS SVBLATVS QUIA IN MORTE NON CECINIT DICTVRUS DOMINO CANTICVM IN ÆTERNITATE OB • A • SAL • MDCXXXVI • V • ID • DEC VIX • A • LVII
Spargete lacrime, portate fiori o amiche Grazie ad Antonio Rivanio soavissimo cigno al tramonto, poiché
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L’arte in italia
LA ROSA DI FUOCO
L’ARTE DI FRANCESCO
19 aprile 19 luglio 2015
30 marzo 11 ottobre 2015
Ferrara
FIRENZE
Palazzo dei Diamanti
Galleria dell’Accademia
bologna
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cavallo tra XIX e XX secolo, Barcellona vive un intensissimo fermento coinvolgente società, cultura, politica grazie all'avveniristica Esposizione Universale, che catapulta la Città verso l'espansionismo economico-industriale. In quegli anni, "La Rosa de Foc" partorisce un inarrestabile movimento fatto di poeti, artisti, musicisti, tra i quali spicca il giovane Picasso dal tratto penetrante e prossimo all'esodo verso la sospirata Parigi, la cui produzione è ospitata in mostra insieme a quella di Ramon Casas, Santiago Rusiñol, Isidre Nonell. Le sale espositive raccontano egregiamente quegli anni attraverso tavolozze caleidoscopiche, sprazzi di vita notturna dalle tonalità acidule, blu forti esprimenti inquietudine interiore, senza trascurare l'architettura di Gaudì, grafica, arredi, gioielli, ceramiche e sculture, insomma un unico fuoco a tutto tondo.
Da Cimabue a Morandi Felsina Pittrice 14 febbraio 17 maggio 2015
ttraverso forme artistiche disparate, la purezza spirituale predicata da Francesco rivive nella Galleria dell’Accademia attraverso prestiti eccezionali: il corno del sultano egiziano Malik-al-Kamil ne è testimonianza. L’arte del pennello annovera una nutrita schiera grazie alle medievali Tavole Cuspidate pisane e quelle provenienti dalla Cappella Bardi in Santa Croce, creazioni realizzate dal Maestro di San Francesco, un affresco staccato prestato dalla Chiesa francescana di Udine. L’operato missionario in Oriente trova supporto nelle Epistolae et relationes della Biblioteca Apostolica Vaticana insieme a reperti scoperti in Terra Santa, Siria, Cina. La scultura testimoniata da Nicola Pisano, Andrea della Robbia, Tullio Lombardo, arti minori, capolavori della stessa Galleria completano il percorso espositivo dedicato al carismatico Poverello d'Assisi.
Palazzo Fava
elle splendide sale affrescate dai Carracci e dalla loro scuola, sarà possibile ammirare duecento opere provenienti da chiese, istituzioni e importanti collezioni private, che illustrano, nel loro insieme, quanto di più significativo in campo artistico la città di Bologna ha realizzato nel corso di oltre sette secoli, mettendo in risalto quella specificità che l’ha resa uno dei centri più importanti della storia dell’arte italiana ed europea. La mostra è significativamente dedicata a Roberto Longhi. Una sorta di viaggio dalla fine del Duecento al Novecento: da Cimabue a Giorgio Morandi, quest’ultimo consacrato proprio da Longhi come il primo pittore italiano del suo tempo. L’esposizione è anche un omaggio a Carlo Cesare Malvasia, e alla sua Felsina pittrice, una delle fonti più importanti e autorevoli per la storia della conoscenza della pittura bolognese dal Medioevo all’età barocca.
IL MEDIOEVO IN VIAGGIO 20 marzo - 21 giugno 2015
FIRENZE
Museo del Bargello
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edenzione, gloria, ricchezza, tutte medievali, rivivono nella mostra fiorentina dedicata al viaggio. Attraverso oggettistica e raffigurazioni artistiche riaffiorano antiche esigenze che fecero muovere potenti, credenti, curiosi, letterati grazie al patrimonio del Bargello, Musée de Cluny, Museum Schnütgen e Museu Episcopal de Vic. In 5 sezioni, l’esposizione scava nei meandri di questo aspetto storico attraverso carte e piante geografiche, il pellegrinaggio coadiuvato da interesanti oggetti portati dai penitenti, guerre religiose, politiche affaristiche realizzate oltreconfine, corredi adoperati nei viaggi da regnanti, feudatari, nobili spose. Tra i numerosi piccoli capolavori presenti nelle sale, segnaliamo preziose miniature, una rara tasca in cotone, una croce pettorale risalente alla prima crociata, scarselle, tre magnifiche selle in avorio scolpito.
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Carmelo De Luca
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POTERE E PATHOS 14 marzo 21 giugno 2015 FIRENZE Palazzo Strozzi
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a perfezione ideale ricercata nella figura umana, espressione riflessa del divino, sintetizza l’interiorità racchiusa nella scultura greca. Già in età arcaica, Kourus e Kore manifestano una bellezza
LE ISOLE INCANTATE 20 marzo 25 ottobre 2015 Isola Bella (Lago Maggiore) Palazzo Borromeo
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iapertura in grande stile per l'isolano Palazzo Borromeo grazie alla bella mostra sul vedutismo pittorico nei territori governati dalla blasonata famiglia principesca, con particolare attenzione al Lago
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assoluta plasmata da delicata interiorità, raggiungendo forme naturalistiche tese a produrre un uomo ideale, equilibrio etereo tra realtà, sublimazione, perfezione. Il periodo ellenistico vede il bronzo protagonista assoluto nella scultura di grandi dimensioni, esternazione stupefacente del dinamismo scultoreo e psicologia interiore. Palazzo Strozzi celebra l'apogeo dell'arte greca ospitando ben 50 capolavori provenienti da prestigiose istituzioni museali italiane e straniere con prestiti decisamente eccezionali, basti menzionare l'Apollo Kouroi del Louvre e quello Pompeiano, l'Apoxyomenos viennese con la copia uffiziana in marmo, Erma di Dionisio e Doriforo concessi da Paul Getty Museum e Napoli. L'evento rappresenta una occasione unica per ammirare il gotha assoluto nel panorama artistico antico, attraverso il quale il visitatore sarà in grado di capire contesto politico, geografico, storico in cui le opere sono state concepite. Dopo la permanenza fiorentina, la mostra sarà ospitata in America presso il Paul Getty Museum di Los Angeles e la National Gallery di Washington.
Maggiore. Sapientemente restaurate per l'occasione, le settecentesche "Delizie" create da Francesco Zucarelli rappresentano i "pezzi forti" della esposizione, riuscite creature dove il realismo documentario sposa felicemente l'allegoria. Ad onorare i preziosi dipinti, gli ambienti espositivi ospitano delicate tele realizzate da mani collaudate, ne sono degna rappresentanza Gaspar Van Wittel e Luigi Ashton, che hanno saputo cogliere l'essenza plasmante le Isole Borromee, sinonimo di incanto per i tanti viaggiatori del Grand Tour promosso nel seicento dal pastore anglicano Gilbert Burnet. La mostra accoglie documenti figurativi e testimonianze letterarie, con particolare attenzione agli arcinoti giardini di Isola Bella voluti da Vitaliano VI Borromeo perché «potesse servire alla casa per farsi amici e stima», paragonati a meraviglie dell'antichità oppure strumento per metafore fantasiose. Naturalmente Rocca di Angera, Castelli di Cannero, i possedimenti di Cesano Maderno, Senago, Peschiera Borromeo trovano degno spazio grazie a opere vedutistiche molto interessanti.
PIERO DELLA FRANCESCA 14 marzo 14 giugno 2015 Reggio Emilia Palazzo Magnani
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eggio Emilia omaggia Piero della Francesca, colui che ha rivoluzionato arte e architettura elaborando nuove forme essenziali plasmate dalla purezza propria delle geometria euclidea, come
ENZO SCIAVOLINO OPERA INCISA DAL 1963 AL 2014 27 marzo 7 giugno 2015 RIVOLI Casa del Conte Verde
ampiamente documentato nell'opera scritta De Prospectiva Pingendi in visione presso Palazzo Magnani, che presenta al pubblico il maestro nelle vesti di matematico e disegnatore. Le sale espositive ospitano l'intera produzione teorico-grafica dell'artista grazie a prestiti provenienti da mezz'Europa, insomma un’occasione unica per capire a fondo un genio vissuto nel Rinascimento. L'evento reggino ne celebra i fasti attraverso opere grafiche, l'affresco staccato di San Ludovico da Tolosa, dipinti realizzati da importanti maestri vicini al suo pensiero, basti menzionare Lorenzo Ghiberti, Domenico Ghirlandaio, Antonio da Sangallo il Giovane, Giovanni Bellini, Baldassarre Peruzzi, Michelangelo. Manoscritti, disegni, dipinti, medaglie, sculture, opere a stampa, incisioni, tarsie, maioliche, ispirate dal famoso De Prospectiva Pingendi, presenti in mostra, aiutano il visitatore a comprendere l'eredità umanistica di Piero, colui che ha centralizzato uomo, arte, architettura, costringendo a sudditanza gli insegnamenti medievali votati alla sola dimensione intimistico-religiosa del mondo.
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’Amministrazione Comunale della Città di Rivoli da alcuni anni intende privilegiare e celebrare le eccellenze rivolesi. Nelle sale della Casa Verde rende ora omaggio allo scultore Enzo Sciavolino, con una mostra dedicata alle sue incisioni nell’occasione dell’uscita, presso CTEdizioni, del volume Enzo Sciavolino. Opera incisa 1963-2014, catalogo generale che registra oltre duecento titoli. Le incisioni di Sciavolino documentano cinquant’anni di studi e continue sperimentazioni. Il segno scandisce il tempo della storia, dei miti, delle emozioni. Vi è in questi fogli l’essenza di un’intera vita, una costante ricerca attraverso le emozioni, i sogni. Il linguaggio grafico di Sciavolino comunica la sofferenza, l’angoscia, l’amore con un apporto iconografico che è racconto/testimone del vissuto, della storia, degli scontri ideologici, infine un ulteriore veicolo di accesso al mondo poetico di un artista che non finisce mai di stupire.
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elle Sale Fabiani di Palazzo Medici Riccardi saranno esposte le opere dell’artista pisana Paola Vallini dal titolo Le vie del ritorno. È un’opposizione tra sentimenti, sensazioni, suggestioni, pensieri contrastanti che turbano per la loro compresenza e per la difficoltà ad amalgamarsi. La ricerca artistica è divenuta per Paola Vallini una ragione di vita. Il capoluogo toscano l’ha vista protagonista in molte altre occasioni, anche se questa è la prima personale nella città di Firenze e fa seguito a una sua importante rassegna in Senegal, dove l’artista ha acquisito nuova linfa artistica e inesplorati percorsi pittorici da intraprendere.
Tre approdi lungo l’Arno erranauti da Firenze al mare 14 febbraio 15 marzo 2015 santa croce sull’arno Villa Pacchiani
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quelli che arrivano, quelli che restano, quelli che vanno. Tre approdi lungo l’Arno da Firenze al mare un progetto di: Comune di Pisa, Comune di Santa Croce sull’Arno, Villa Romana in collaborazione con Regione Toscana realizzato nell’ambito di ‘‘Toscanaincontemporanea 2013’’. Essi presentano nella doppia sede i progetti nati dall’incontro, dallo scambio e dalla relazione tra di loro e con le tematiche affrontate durante le due tappe precedenti del progetto. Differenti per età e formazione, provenienza e ricerche, gli artisti hanno declinato le tematiche del progetto arrivando a formalizzazioni che, tuttavia, mettono in evidenza direttrici comuni.
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l Palazzo Pretorio di Certaldo ospita per tutto il 2015 un importante ciclo di mostre all’insegna dei quattro elementi: Acqua, Fuoco, Aria, Terra. Il titolo #4elements1palace diventa anche l’hashtag col quale gli organizzatori comunicano i loro messaggi culturali e promuovono il territorio attraverso le nuove tecnologie. Palazzo Pretorio sarà metaforicamente cullato dall’acqua, scaldato dal fuoco, reso etereo dall’aria, saldamente collocato sulla terra: una tematica pensata e declinata con i temi di EXPO 2015. Sono stati invitati a esporre 4 artisti della nostra epoca, che trasferiranno nelle sale della prestigiosa sede la loro poetica analizzando i quattro elementi. Idea dell’assessore alla Cultura Francesca Pinochi, sviluppata dai curatori Filippo Lotti e Roberto Milani della Casa d’arte San Lorenzo.
Viaggio nel mondo dell’arte Abbiamo incontrato Francesco Baronti Silvia Pierini
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entre il livornesi preparano i festeggiamenti del centenario della squadra di calcio, a tal proposito, il 10 febbraio, è stata organizzata una festa a Palazzo Pancaldi dove hanno partecipato i calciatori, i dirigenti e alcuni sponsor amaranto. Il ricavato della cena è stato devoluto alle associazioni Onlus F.O.P. Italia e Four for Africa, che si occupano rispettivamente di malattie rare infantili e della costruzione di scuole e pozzi in Africa. In quella occasione sono state vendute alcune magliette con impressa una serigrafia dell’artista Francesco Baronti. Francesco nasce da padre livornese e madre portoricana; vive, viaggia e lavora in Africa, in Italia e a Puerto Rico. Durante la sua infanzia passata in Somalia con la famiglia, vive un’esperienza che costituirà per lui un forte ed importante percorso formativo. Nel 1995 si iscrive alla facoltà di Belle Arti di Firenze; inizia nel 2000 il suo percorso espositivo. Espone al
museo Magi 900 di Pieve di Cento con artisti di fama mondiale e partecipa nel 2011 alla 54a Biennale di Venezia nel Progetto “Padiglione Italia nel mondo”. Il suo progetto artistico è dedicato alla letteratura fantastica di tutti gli scrittori “visionari” che hanno raccontato a modo loro, favole e novelle per ragazzi. Il suo modo di dipingere e un racconto legato al sogno e a personaggi immaginari che nascono dalla genialità del suo pennello.
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mpoli come un grande teatro, per una città mai vista prima d’ora. Un nome, uno e trino, per una manifestazione che attrarrà tantissimi appassionati nel centro storico. Appuntamento il 28 e 29 marzo. Gli ideatori e organizzatori delle due manifestazioni ludiche più importanti di Empoli, Ludicomix e Mattoncini a Palazzo, lasciano Palazzo delle Esposizioni per coinvolgere l’intero centro storico della città, allo scopo di offrire un week-end di gioco, divertimento e cultura ludica. Ingrediente fondamentale per raggiungere questo obiettivo è stata la disponibilità dell’Amministrazione Comunale pronta a credere fortemente nella potenzialità di questa manifestazione e a farla propria, inserendola ai primi posti nel calendario degli eventi empolese del 2015. L’obiettivo è coinvolgere sempre più il centro cittadino, di rivitalizzarne il tessuto con sempre più iniziative di
richiamo, anche turistico, per farne un unico, grande e colorato teatro. I palcoscenici saranno le tre grandi Piazze: della Vittoria, del Popolo, Farinata degli Uberti e importanti edifici e complessi storici: Chiostro degli Agostiniani, Teatro il Momento, Palazzo delle Esposizioni, Palazzo Pretorio.
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Scrittori e dintorni
Lettere
da un matrimonio Livia Veneziani ed Ettore Schmitz alias Svevo Paolo Pianigiani
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crittore di profondità e sconfitte, di ironie e banalità quotidiane. Che per simboli e riferimenti diventeranno universali. O almeno presero il succo di quello che gli uomini sul finire dell’Ottocento erano e stavano diventando. Il primo ad aver intinto il pennino di scrittura italiana nelle ricerche di un professore di nome Freud. Nessuno si sarebbe accorto dei suoi libri, se per la ventura delle cose un giovane esule irlandese non gli avesse dato lezioni
di inglese a Trieste, divenuta patria improbabile per tutti e due. Parlo di Svevo e di Joyce, naturalmente. Ma com’era lo scrittore triestino, prestato alle lettere dall’industria delle vernici sottomarine, brevetto dei suoceri, i ricchi Veneziani? Era un uomo come tutti, anzi, se possibile, un po’ peggiore: pieno di limiti, di gelosie, di piaggerie, di piccole incapacità che ce lo rendono umano e ancora più vicino. Non abbiamo bisogno di eroi, ci servono persone normali. Ebbe la fortuna di avere accanto una donna straordinaria, Livia. Che si arrabbiò moltissimo quando il marito le comunicò che Joyce avrebbe rubato il suo nome e i suoi lunghi capelli per descrivere il fiume di Dublino, l’Amnis Livia, trasfigurato in Anna Livia Plurabella, uno dei personaggi del Finnegans Wake. Non voleva che il suo nome venisse fatto da due lavandaie, come accade in quello splendido capitolo del libro. Ma che gli protesse sempre le spalle e lo sopportò pazientemente (quasi sempre) ben oltre la sua esistenza terrena, terminata per le strade di Motta di Livenza, di ritorno da Bormio, in un incidente stradale. Era il settembre 1928, Ettore aveva 67 anni. Solo qualche mese prima, a Parigi, con la regia di James Joyce, si era tenuta al Pen Club la sua apoteosi, la prima conferma europea del suo riconoscimento di scrittore. Da allora in poi sarà Livia a occuparsi della fama del marito, fedele custode di memorie e desideri, rimasti in sospeso. Ma un aspetto non secondario e altrimenti sconosciuto, delle più profonde gallerie del pensiero e del carattere di Ettore, nel dettaglio Aron Hector Schmitz, lo scrittore con due
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anime, lo troviamo nelle semplici lettere private che i due coniugi si scambiarono quando, per motivi di salute, la bella Livia si recava a passare qualche settimana a Salsomaggiore Terme, allora agli albori della fama di centro termale. I problemi affiorarono fin dall’inizio, quando il marito si accorse che Livia si era portata dietro gioielli e vestiti più adatti ad eventuali incontri galanti che alle cure salsobromoiodiche. Civetteria tutta femminile, ma segnale devastante nella testa del marito, di 14 anni maggiore d’età e di poca fiducia. Livia scriveva in francese, come facevano tutte le signore di buona famiglia, Ettore nel suo italiano un po’ datato, si direbbe manzoniano, pochissimo contaminato dalle novità novecentesche. E furono litigi e ripicche, per non dire le pacificazioni e le distanze. Ma vediamone una, dal libro Livia Veneziani Svevo, la vita e le lettere, Ibiskos Editrice Risolo, 2014, per avere un’idea della vita normale fra persone così diverse. Avremo di Svevo una visione nuova, più umana. E per quanto possibile, più vera. E di Livia un’immagine di donna ferma nelle sue convinzioni, spiritosa e poco propensa al ruolo di moglie ubbidiente e passiva.
Foto di Italo Svevo nella maturità Matrimonio civile fra Ettore e Livia Pagina a fronte: Lettera di Livia del 7 giugno 1900 Livia Veneziani con i capelli sciolti (dal Fondo Svevo Fotografie) Ritratto di Livia Veneziani di Arturo Rietti, 1895
Salsomaggiore. 29 maggio 1898
Mio carissimo Ettore, ho ricevuto la tua lettera del 27 e sarebbe stato meglio per me non averla mai ricevuta. Vado subito all'argomento principale. Non sono gelosa vero? Ma te l'ho detto l'altro giorno, se ti sapessi in fallo guai a te. Non sarei mai più tua per la vita. Ecco che non penso che ai baci del nostro rivederci, soffro come una bestia a stare qui senza di te, e per punirmi dei miei crimini e vendicarti di un male che non ho fatto, tu pensi a tradire la fede data, arrivi a desiderare un'altra donna, un'altra che conosci, che ti sembra desiderabile! E veramente troppo sai, mi vuoi spingere all'estremo. Sappilo: tutta la gioia di rivederti è svanita, al contrario ho paura invece di rivederti, giacché esito e non so che fare. Tu avrai il diritto di guardarmi negli occhi e di conoscere la verità, se ho guardato o meno qualcuno. Lo posso giurare liberamente fin da oggi: non soltanto non ho pensato ad alcuno, ma nemmeno guardato. E tu? Sei giunto a desiderare, a fissare il tuo desiderio su qualcuna; dici che è solo la ripugnanza che ti ha trattenuto. È una misera scusa. E vieni a raccontare questa storia a me! Davvero fremo. Benché la ripugnanza ti trattenga. La ripugnanza è solo una parola. Hai pensato ad un'altra, hai desiderato un'altra, sei colpevole, molto colpevole. Mai tale idea avrebbe dovuto entrarti in testa! È l'impressione che ti ha lasciato Crime d'amour di Bourget, che a te ti ha spinto. Ma ricordati bene che non sono per te quello che Armand era per Hélène. Il mio amore è profondo e sincero e credevo nel tuo. Sono dunque io che dovrei vendicarmi e non tu. Vendicarti
di che? Mio Dio; del fatto che tengo a riconquistare la salute perduta? Ma tu sai quanto ho sofferto, dovresti essere il primo ad aiutarmi invece di tormentarmi in questo modo. Perché è tormento quello che subisco da parte tua da quando sono qui. Se puoi pensare ad una diversa da me per soddisfare cattivi desideri, è che non sai amarmi, il tuo amore consiste in gran parte di un egoismo mostruoso. Ecco tutto. Se mi reciti una commedia per svegliare la mia gelosia, è male, fai molto male ad agitarmi in questa maniera quando avrei tanto bisogno di calma e di pace. Te lo dico e te lo ripeto: se ti sapessi colpevole, mai più sarei tua; e per me sappilo sei già per metà colpevole. Non esiste una mezza onestà. O si è onesti o non lo si è, e un cattivo pensiero è una colpa come una cattiva azione. E osi chiudere la tua lettera con queste parole: «se ci sono delle parole meno dolci, cancellale» Ma è tutta la lettera che dovrei cancellare. Pensi dunque di darmi una prova d'amore dicendomi che vuoi tradirmi per vendicarti di me?! Veramente non so come comportarmi verso di te. Sei anche grandemente colpevole sotto un altro punto di vista: conoscendoti non dovevi a nessun costo lasciarmi partire senza di te. Io non ti conoscevo così. Quando il medico mi ha detto che avrei trovato in questi bagni una guarigione sicura e radicale, ho pensato: è un grande sacrificio, ma devo farlo per Ettore stesso che non può trascinarsi appresso una moglie sempre malata. E non mi hai capita per niente; quando piangevo perché sentivo il mio cuore spezzarsi per dover partire, mi hai detto: non capisco perché tu pianga, e non pensavi che ai brillanti che avevo nella borsa. Più tardi quando ti dicevo: sarei contenta che venissi, ma pensa alla spesa, mi vedevo eroica di mettere un freno al tuo viaggio qui, mi sacrificavo, e come! e sai quale è stata la ricompensa. Malgrado tutto avevo sempre una segreta speranza, fino a ieri sera, che saresti venuto. Ieri sera, prima di ricevere la tua lettera, dicevo: «Se adesso, al ristorante, vedessimo entrare i nostri mariti che cosa faremmo? Io emetterei un grande grido e gli salterei al collo davanti a tutti». Ho emesso un grido, ma non era di gioia sicuramente; la tua lettera è stata una doccia fredda; vedi che ottieni l'effetto contrario a quello che desideri. Adesso vado a Messa, è Pentecoste. Vado a pregare Dio, lo Spirito Santo di scendere in me e di illuminarmi. Livia
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racconto
Pùgia 2
per un fratello
Matthew Licht
A
ttaccai discorso, dicendo che anche mio fratello era stato nei Marines, che non ci vedevamo da anni, ma avevo l’idea che era lì, a Venice, vicino alla spiaggia. Forse lui lo conosceva. L’uomo mi guardò così profondamente negli occhi da sconvolgermi. Poi fissò lo sguardo su un punto tra la partita di baseball in tivù e la finestra del bar. Là fuori, le onde rovistavano la sabbia nel buio. Disse che non ce l’avrei mai fatta, nei Marines, non avrei sopportato l’addestramento. Come faceva uno come me ad avere un fratello Marines? La mia storia non lo convinceva. Continuai ad offrirgli da bere, cercai di scioglierlo. Alla fine disse che c’era un fratello – voleva dire un fratello del Marine Corps – che si teneva a parte, che non aveva il vizio del bere e che si era dato un nome da indiano. Di solito, i Marines non ti prendono per il culo. Semmai, ti fanno il culo. Basandomi sulle informazioni fornite dal Marines ubriacone, presi a battere le strade attorno a quel bar. Guardavo nomi sulle porte, accanto ai campanelli, cercando Cavallo Pazzo, Squanto, Nuvola Rossa, Chingatchgook. Su di un casello postale davanti un recinto di legno bianco non lontano da Venice Boulevard stava dipinto Shiva Das con uno stencil militare. Mi diedi
quasi una pacca sulla fronte quel tipo d’indiano. Aprii il cancelletto, sperando che non sarei rimasto subito dilaniato da una muta di Rottweiler denutriti e di cattivo umore. Bussai alla porta verde pensando che magari ad accogliermi sarebbe stata la canna d’un fucile automatico. Aprì Jack. Credo che mi riconobbe, ma la sua reazione non fu calorosa. Non che avessimo avuto un rapporto stretto, ma secondo me ci sarebbe voluto qualcosa di più d’un “Ehi, ciao,” mormorato, e una stretta di mano senza la stretta, e senza che lui mi guardasse negli occhi. Quando Jack mi presentò sua moglie Wanda, lei mi saltò addosso e strinse forte con braccia e gambe. “Ma sei vivo!” Jack le aveva raccontato che la sua famiglia era stata annientata in una sciagura ferroviaria. Un’altra volta, la sua tragedia famigliare era il risultato di un catastrofico maxitamponamento sull’autostrada. La storia cambiava sempre, e le veniva spesso da pensare. Wanda disse che dovevo per
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forza stare con loro, che lo squallido motel a Hollywood poteva fare senza di me per qualche notte. Jack disse sì, certo – ma non sembrò illuminarsi del significato cosmico della nostra riunione. Non c’era una stanza per gli ospiti. Passai alcune notti sul malridotto sofà sul terrazzino al retro della casetta. Era bello sentire l’oceano, vedere le stelle e poi l’alba. Sentii solo pochi spari, e distanti. Mio fratello ed io non parlammo tanto. Wanda parlava per tutt’e due, e oltre. Jack, che una volta veniva considerato completamente pazzo, era diventato sereno. Lo fissai, lo guardavo in faccia, e non sembrava dargli noia. Rispondeva alle domande dirette. Il suo lavoro consisteva nel creare nuovi giochi che si potevano giocare sul televis o re
di casa, quando la gente si stancava dei programmi e non aveva voglia di andare in losche sale giochi. La cosa non mi sembrava interessante, ma Jack mi assicurò che quei giochi sarebbero diventati estremamente popolari. Una pallosissima partita di ping-pong al rallentatore lo rese quasi volubile. Mi chiese cosa ci facessi, in California. Quando risposi che volevo diventare una stella del cinema, rise a squarciagola. Dopo varie notti all’aperto, gli spari sempre più numerosi, forti e vicini, e dopo tutta la ciacola ininterrotta di Wanda, annunciai che dovevo tornare a Hollywood. Jack mi sorprese, chiedendomi di fare quattro passi con lui prima che partissi. Andammo lungo uno dei finti canali di Venice, dove in passato finti gondolieri ruffianavano lavori di comparse. Il sentiero era polveroso, cosparso di rifiuti. Sull’acqua opaca del canale galleggiavano anatre e cigni. Era facile sbirciare dentro le case. Jack si fermò, sembrava che stesse guardando un grosso sciattone che faceva delle riparazioni ad un vecchio camion, oppure lo saccheggiava per parti di ricambio. La radio funzionava ancora, e trasmetteva una monotona canzone rock. Stetti accanto al mio strano fratello. Non stava guardando il meccanico, che sembrava un bradipo obeso. Guardava l’acqua sporca del canale. Gli misi una mano sulla spalla. Mi aspettavo quasi che lui si divincolasse, o che se la scrollasse di dosso. Sentii una massa di muscoli privi di tensione. Jack disse, «È qui che è successo. È qui che vidi.» «Cos’è successo, fratellone? Cos’hai visto?» «Shiva che danzava, attorniato dal fuoco. È sorto da questo canale per dirmi che avevo dimenticato me stesso.» «Wow,» dissi. Che altro dovevo dire? Ci sedemmo sull’erba caccolosa al bordo del canale e contemplammo il flusso lento e fangoso con quell’inno
heavy metal come colonna sonora. Il sole calava verso l’oceano, e tutte le polveri sottili e metalliche sospese nel cielo di Los Angeles divennero un grande, lucente, abbagliante, letale schermo cinematografico. Mi girai per godermi lo spettacolo. Jack sembrava aspettare che Shiva si facesse rivedere. Avevo sentito di Shiva, e di alcuni altri dèi hindù. C’era uno che sembrava un uomo-scimmia, un altro era un elefante trippone e bonaccione, e una delle dèe era una bamboccia rosa che suonava lo sitar. Più che altro, avevo sentito di Krishna, il ragazzo blu, cui seguaci dalle teste rapate distribuiscono pasti vegetariani a gratis. Jack sembrava un ottimo candidato per diventare un fedele di Krishna, ma invece si era beccato la febbre di Shiva. Come il ping-pong in tivù, Shiva gli sciolse la lingua. L’aveva visto due volte, disse. Ebbe la prima visione nel Vietnam. Shiva danzava sopra una risaia all’alba, grande quanto la Statua della Libertà. Gli scivolò di mano il mitra. Fissò Shiva che danzava l’universo, distruggendolo allo stesso tempo con violenza ultrasolare. Jack tornò all’elicottero per riferire al comandante che Dio era il fuoco. Gli valse una licenza psichiatrica. Il suo plotone venne annichilito da fuoco amico poco dopo che Jack era stato riportato, più o meno nella camicia di forza, in USA. Dichiarò di non avere famiglia, quindi fu ricoverato nell’istituto psichiatrico militare. Vi rimase un anno. Shiva apparve per portarlo via dal Vietnam. Si è rivelato un’altra volta per dirgli di mettere radici a Venice e cercare di ricordare chi fosse. Non gli sembrava bizzarro né illogico. Shiva non era obbligato a rimanere a casa sua in India. Poteva parlare con individui mortali, se desiderava. Shiva non comparve quella sera, o non direttamente. Venne freddo. Le notti di Los Angeles sono inaspettatamente gelide. Ci alzammo e ci dirigemmo verso casa sua, al buio.
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Volevo montare nella mia nuova Buick usata e tornare a casa-albergo, a Hollywood. Mi saltò all’occhio un brandello di carta arancione sul sentiero. Alla luce d’un lampione, vidi che era un pacchetto vuoto di quelle puzzolenti sigarette indiane chiamate bidis, roba che si vende nei negozi hippie. Stampata sopra, in rosso, c’era la sagoma di Shiva danzante, circondato da fiamme. Lo mostrai a Jack. Fece cenno di sì con la testa, ma non disse nulla. Nel loro bungalow, Wanda stava preparando un curry vegetariano. Rimasi a cena, dopotutto. Piu tardi, quando Wanda era andata a letto, mio fratello ed io ci incamminammo verso la spiaggia per guardare le onde al chiaro di luna. Volevo vedere Shiva emergere dal Pacifico, chissà che spettacolo. Aspettammo, tremando dal freddo, fino all’alba. Ma Shiva non si fece vedere. C’è un tempio induista a Hollywood, un piccolo edificio bianco nascosto tra folte palme su una collina che sovrasta una curva dell’autostrada. Gente dalla pelle scura cura il giardino e tira fuori gli idoli nei loro giorni di festa. Uno di questi, Kali, mi parla. Non intendo che usa parole, oppure che abbia una voce, ma sento il suo potere. Non puoi scegliere la tua famiglia, e nemmeno puoi scegliere i tuoi dèi. Jack, che conosce Kali molto meglio di me, la chiama Madre. La faccia di Madre è un temporale di occhi rossi sgranati e grosse zanne bianche. Ha otto possenti braccia, e stringe strani machete a zig-zag in quasi tutte le mani. Porta al collo una ghirlanda di teste umane appena mozzate. I suoi pùgia, cioè le sue feste, sono occasioni solenni, con musica da funerale, tamburi attutiti. Madre può fare qualsiasi cosa. Non conosce disciplina, non si trattiene nelle orrende cose che fa. Agisce senza ragione, e non c’è alcuna possibilità di propiziarla o pacificarla. Madre è la dea pazza, e la temo. Ma farà di me una stella del cinema. So che lo farà.
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NOVITà EDITORIALI
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epistolario
er la prima volta vengono proposte in questo libro, interamente tradotte in italiano, le lettere che Livia Veneziani Svevo scrisse al marito dalle località termali dove lei si recava ogni anno a inizio estate. L'epistolario originale, in francese, ben conosciuto dagli esperti, è conservato al Museo Sveviano di Trieste. Le missive offrono un ritratto di Livia, la sua personalità, la sua educazione e svelano l'aspetto privato di Ettore Schmitz, il suo essere un uomo terribilmente geloso, che vive malissimo l'assenza della moglie, lavora di fantasia e immagina ipotetici seduttori comparire a ogni angolo. La seconda parte del volume che è la ristampa del quaderno Vita di mio marito, nato a corollario dell'omonima mostra su Livia Veneziani allestita nella vecchia sede del Museo Sveviano a Palazzo Biscrini (21 marzo 2001 al 31 gennaio 2002). Materiali complementari, in particolare per la disamina che alcuni saggi fanno del carteggio, da cui emergono il contesto sociale, la città borghese e imprenditoriale, le amicizie, risvolti familiari e i riferimenti biografici rintracciabili in molte pagine di Svevo.
S
racconto GIAMPIERO POGGIALI BERLINGHIERI 1968-2014
L POGGIALI BERLINGHIERI 1968-2014
ISBN 978-88-89033-21-5
788889 033210
€ 60,00
MORGANA
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oprannominata “La Divina” da suo nonno, in omaggio a Sarah Bernhardt, Sarah Nour el-Din, la protagonista del romanzo, nata a Beirut, e cresciuta negli anni difficili della guerra civile. Eppure lei non si abbatte, non perde mai, anche nelle situazioni più difficili, la sua smagliante voglia di vita e il suo desiderio di piacere. Nelle trasgressioni dell’adolescenza – la prima sigaretta, il primo bacio, la ribellione verso la severa matrigna, la scoperta dell’eros – e nell’età adulta – in cui affronta il fallimento del proprio matrimonio, la perdita del figlio e l’internamento di una sorella – Sarah rimane profondamente se stessa e, anzi, decide di raccontare, senza pudori e senza remore, la sua storia. Dopo il successo di La Traduttrice finalista al National Book Award, firma un altro ritratto straordinario di figura femminile, in un romanzo che sa toccare i toni alti della felicità e quelli cupi della malinconia.
’ampia falcata di Poggiali Berlinghieri lungo cinque decenni è stata un susseguirsi di cicli operativi, ognuno dei quali, pur compiuto e autonomo, appare legato al precedente da rilevabili nessi formali. Pagina dopo pagina, attraverso immagini e testimonianze critiche, è qui documentata la vicenda dell’artista Giampiero Poggiali Berlinghieri. Dipinti, sculture da modelli in legno costruite con profilati d’acciaio o gettate nel bronzo; pittosculture in legno dipinto con inserti di altri materiali naturali, sintetici, tecnologici. Sculture/oggetto concepite in funzione ambientale, d’arredo, d’uso, che comportano un design di base, come sempre quando è in gioco la terza dimensione. Infine gli assemblaggi e le installazioni del fantasioso ideatore e costruttore di “macchine” – anche interattive e a coinvolgimento per lo più ludico – nelle quali procedimenti artistici tradizionali e moderne tecnologie convergono e si risolvono in perfetta integrazione formale.
Livia Veneziani Svevo La vita e le lettere AA.VV.
Editore Ibiskos Editrice Risolo
IO, LA DIVINA
di Rabih Alameddine traduzione di Licia Vighi Bompiani
poggiali Berlinghieri 1968-2014
di Nicola Micieli e Alessandra Borsetti Vernier Morgana Editore
arte
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n’infinità di oggetti di ogni tipo (abbigliamento, libri, documenti, foto, apparecchi, ricordi…) ci sommerge all’interno di abitazioni e uffici sempre più piccoli e ci soffoca. Col risultato che non troviamo mai quello che davvero ci serve. Nel libro che l’ha resa una star, la giapponese Marie Kondo ha messo a punto un metodo che garantisce l’ordine e l’organizzazione degli spazi domestici… e insieme la serenità, perché nella filosofia zen il riordino fisico è un rito che produce incommensurabili vantaggi spirituali: aumenta la fiducia in se stessi, libera la mente, solleva dall’attaccamento al passato, valorizza le cose preziose, induce a fare meno acquisti inutili. Rimanere nel caos significa invece voler allontanare il momento dell’introspezione e della conoscenza.
cURIOSITà
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Il magico potere del riordino
di Marie Kondo Vallardi
Angelo Errera
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Vien
cartolina
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una città a portata di tutti
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ituata nel nord-est dell’Austria e attraversata dal Danubio, Vienna è composta da 23 distretti, il primo dei quali è costituito dal centro della città. Molto romantica e pittoresca, è caratterizzata da numerose zone verdi (il parco del Prater ne è un esempio) e giardini curati nei minimi dettagli. La sua storia ha inizio con gli insediamenti romani del 100 d.C., dei quali ancora oggi possiamo vedere i resti presso la Hofburg, e prosegue in età medievale con Carlo Magno fino ad un’eccellente fioritura dopo la sconfitta dei Turchi. Nel 1740 salì al trono
Maria Teresa, prima imperatrice, la quale governò per 40 anni, spostò la residenza imperiale nel palazzo di Schonbrunn da lei fatto costruire alla periferia di Vienna, e contribuì a rendere la città una capitale artistica di primo piano, favorendo in particolar modo la musica. Gli ultimi anni del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento furono, però, segnati dagli effetti devastanti delle guerre napoleoniche; solo nel 1848 con l’abdicazione di Fernando I in favore del nipote Francesco Giuseppe (che regnò per 68 anni), Vienna venne investita da una nuova rivoluzione, in questo caso urbanistica e artistica. Si imposero le musiche di Brahms e nel 1869 venne inaugurata l’Opera. Nei primi del Novecento con la “Secessione viennese”, artisti come Gustav Klimt e Koloman Moser lasciarono la loro indelebile impronta nella storia dell’arte. Con la prima e la seconda guerra mondiale, Vienna dovette affrontare un altro periodo buio, ma con l’avvento della democrazia e l’installazione delle principali organizzazioni internazionali (ONU, OPEC, AIEA) ci fu un rapido sviluppo economico e politico. Nel 1995 l’Austria ha aderito all’Unione europea e oggi Vienna è una delle capitali più visitate dal turismo internazionale. Il centro storico della città, con tutte le sue bellezze architettoniche, è stato dichiarato dall’ UNESCO patrimonio dell’umanità. La tranquillità, la pulizia, l’alta qualità della vita di questa stupenda città è testimoniata da un’indagine dell’Economist, che ha posizionato Vienna seconda (preceduta da Vancouver in Canada) nella classifica delle città più vivibili del mondo e prima assoluta per la qualità di vita. Molti sono i luoghi
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d’interesse da visitare: la Cattedrale di Santo Stefano, l’Opera, il Rathaus, il Castello di Schonbrunn, il Belvedere, la Hofburg; inoltre destano molta curiosità nel visitatore affamato d’arte, il Mumok (il museo d’arte moderna situato nel MuseumsQuartier) e l’Albertina (museo che spesso ospita mostre dei pittori più famosi al mondo). Da non dimenticare anche le innumerevoli pasticcerie storiche e le caffetterie dove è possibile sedersi in tutta tranquillità e gustare ottimi dolci tipici o caffè con panna montata respirando atmosfere d’altri tempi.
Luvi Alderighi
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intervista
con il Garden Club
nei giardini di Firenze visite ai giardini privati e alla mostra della Camelia Domenico Savini
Marchesa Vittoria Gondi (New Press Photo - Firenze)
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e piazze di Firenze sono un museo. Quella intitolata San Firenze (nome che deriva da san Fiorenzo) è dominata dall’omonima chiesa barocca progettata, nel 1667, dall’architetto Pier Francesco Silvani. La facciata in pietra forte è di Ferdinando Ruggeri (1715). Davanti si erge la mole, monumentale ma elegante, del Palazzo Gondi. Lo edificò Giuliano da Sangallo nel 1489 per Giuliano di Lionardo Gondi, che prese come esempio altri importanti capolavori di edilizia signorile in città. Siamo ospiti della
marchesa Vittoria Gondi, dove, in un elegante e comodo salotto dello storico palazzo, la conversazione svaria serena e appagante. Lei, marchesa, è presidente del Garden Club di Firenze. Come svolge questo ruolo? Sono presidente dal 2008 e seguo assiduamente le attività della nostra associazione, tuttavia sono molto aiutata da un membro del Consiglio Direttivo e segretario, Antonietta Luchinat. Ospito ogni anno il ricevimento per gli auguri natalizi ai soci accompagnato da un’esposizione di alberi di Natale addobbati dalle socie oppure di tavole natalizie imbandite. Lo scorso anno, per cambiare, abbiamo organizzato una conferenza sui Presepi e le varie manifatture italiane, accompagnate da una mostra sulla rappresentazione della Nascita di Gesù, seguìta a marzo dalla Mostra della Camelia. Organizziamo le conferenze nella sede dell’Accademia dei Georgofili, perché sono Presidente degli Amici dei Georgofili: una piccola ma laboriosa associazione che riunisce quanti sono appassionati di agricoltura e a vario titolo in essa impegnati e attivi. La competenza territoriale del Garden fiorentino è relativa anche al territorio di questa Provincia? Sì. La competenza del Garden Club Firenze comprende anche la nostra Provincia. Nelle province toscane ci sono altri Garden Club, ma solo quello di Livorno è unito alla nostra associazione nazionale A.G.I. (Associazione Giardini Italiani). Quanti soci avete attualmente nel pie’ di lista? Fra questi ci sono dei giovani? Attualmente abbiamo 200 soci, di
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cui alcuni onorari. I giovani sono pochi, ma nel nostro caso l’età non fa la differenza: tutti i soci sono molto attivi. Ricevete dei contributi anche da Enti pubblici, oppure finanziate le vostre attività soltanto con l’importo delle quote sociali? Non riceviamo nessun contributo pubblico, finanziamo tutte le nostre attività con le quote associative e molto volontariato. Il Garden Club è un’associazione culturale senza scopo di lucro, che ha come oggetto sociale non solo lo studio e l’attenzione per i fiori, ma si propone la conservazione e la conoscenza dei giardini, sia pubblici che privati, la salvaguardia del paesaggio e la tutela dell’ambiente. Quando ha scoperto, marchesa, questa sua passione per il giardinaggio, e come ha cominciato, è il caso di dirlo, a “coltivarla”? Sono sempre stata vicina alla terra e ai giardini. Mio nonno era un antiquario convertito all’agricoltura, mio padre imprenditore agricolo e io, che ho lavorato un periodo nella moda, ho iniziato a occuparmi di agricoltura altresì per aver sposato un imprenditore agricolo a sua volta figlio di imprenditore agricolo. Perciò l’agricoltura è il tema principale in famiglia. Mio marito produce principalmente vino nella Tenuta Bossi nel Chianti Rufina; io, invece, aiuto nella conduzione mio figlio Lapo, che è imprenditore agricolo a titolo principale dell’azienda della mia famiglia, la “Fattoria di Volmiano”, nel territorio di Calenzano. Produciamo principalmente olio extravergine biologico, franto a freddo con macine di pietra. Si affiancano a noi, nei vari cómpiti, i
nostri figli Gerardo e Lapo. Dunque, una passione ereditata? «È vero. Ho ereditato questa passione da mio padre Alfredo Citernesi, ma il mio personale rapporto con la campagna e il rispetto per le nostre 20.000 piante di olivo non è soltanto contemplativo. Mi hanno ispirato un libro di ricette, realizzate unicamente con olio di oliva: La natura in tavola - Fattoria di Volmiano: ricette e segreti, pubblicato dalle edizioni Sarnus». In quale città italiana fu fondato il primo Garden Club? «Nel giugno del 1956 – spiega la marchesa Vittoria Gondi – Flaminia Goretti Spect, appassionata di giardinaggio, ritornando a Firenze dopo un lungo viaggio negli U.S.A., riportò l’idea di fondare, anche da noi, un club per gli appassionati della botanica. Si riunirono a Palazzo Serristori dodici amici appassionati giardinieri, che si impegnarono a coinvolgere un certo numero di aderenti. Erano persone molto differenti fra loro: vi era Marie Blanche Viviani della Robbia, la prima imprenditrice agricola toscana e nota scrittrice di due libri di successo: La mia fattoria nel Chianti e L’ora dei ricordi, nei quali Marie Blanche raccontò la sua passione per l’agricoltura e l’amore per la sua terra». «Gli altri fondatori – continua la marchesa Gondi – furono il marchese Piero Grossi, esperto botanico, appassionato coltivatore di orchidee, la cui serra era famosa in tutt’Italia, e Flaminia Goretti Spect, la massima esperta di Iris e fondatrice della Società Italiana dell’Iris. Gli altri sodali furono la contessa Sofia Serristori, la principessa Lucia Ginori Conti, la marchesa Ginori Lisci e la marchesa Metella Pianetti della Stufa che tutti ricordano per i suoi libri di cucina. Fu nominata Presidente la Lucia Ginori Conti e segretaria la marchesa Teresa Stiozzi Ridolfi, che è stata la colonna dell’Associazione per tanti anni». La prima sede del Garden Club di Firenze fu in Palazzo Strozzi, perché un Consigliere, l’ingegner Taccini, come Presidente dell’Azienda Autonoma del Turismo mise a disposizione una sede istituzionale. Teresa Stiozzi Ridolfi, colta botanica, ma pratica organizzatrice, programmò conferenze e visite esclusive. Nel 1968, alla presidente Lucia Ginori Conti successe la marchesa Cristina Pucci di Barsento, proprietaria dello splendido giardino di Granaiolo, in parte disegnato da Gae Aulenti, che rimase alla guida dell’Associazione fino al 1997; quindi fu eletta Presidente la contessa Emanuela Lovatelli Ricasoli. Infine la marchesa Gondi, proprietaria di
un giardino all’interno del chiostro dell’antico convento di San Matteo in Arcetri, dove presero il velo le due figlie di Galileo Galilei: Suor Maria Celeste e Suor Arcangela. Qui fioriscono le rose fino a Natale, come documenta una bella lettera di Suor Maria Celeste inviata a suo padre. Da trent’anni il Garden Club organizza la Mostra della Camelia nata da un’idea di Teresa Stiozzi Ridolfi e di Claudia Pianetti della Stufa, tutt’oggi la responsabile. Per molti anni la mostra si è svolta nella Loggia Rucellai in Via della Vigna Nuova, successivamente nell’atrio di Palazzo Budini Gattai, in via dei Servi e dal 2007 nel cortile di Palazzo Gondi. Ma in occasione dei cinquant’anni anni di attività, nel 2006, la mostra fu ospitata nella spettacolare casamuseo di Frederik Stibbert. Il legame che ha unito la mostra al museo è la magnifica armatura giapponese di Hosokawa Tadaoki, modellata nel XVII secolo, che porta come ornamento frontale dell’elmo la camelia Higo dei Samurai. Le camelie recise donate dai soci sono selezionate e catalogate sotto la guida della Vice Presidente Claudia Pianetti della Stufa e della giornalista botanica Maria Novella Batini. Una giuria premia le varietà più belle e rare, oppure le composizioni più eleganti spesso eseguite dalla contessa Maria Teresa Guicciardini. La Mostra della Camelia, che ha un crescente successo di pubblico, da qualche anno è stata spostata nel rinascimentale cortile di Palazzo Gondi, dirimpetto al Palazzo Vecchio. Altre piante di camelie provengono dai giardini Guicciardini, Torrigiani, Corsini, Villa di Gamberaia, inoltre dal Giardino Segreto di Boboli e dal parco Bardini. Dal giardino di Wanda Ferragamo, la più appassionata fra i cameliofili fiorentini e propietaria di una vasta collezione di camelie, giunge la “Camelia Gialla”, a lei regalata dalla Principessa Imperiale giapponese Takamado. Avvalendosi di un’agenzia di viaggi il Garden Club fiorentino promuove gite con visite ai giardini privati, aperti esclusivamente per i soci, e conferenze dedicate soprattutto alla creazione e manutenzione del verde. «In occasione dello scorso Natale – la marchesa Gondi ci informa – abbiamo organizzato una conferenza all’Accademia dei Georgofili sui tessuti dimenticati, ma ora di grande attualità, tipo l’orbace e il casentino, da noi usati per allestire una piccola mostra con capi di abbigliamento realizzati dalla maestra artigiana Irma Schwegler». L’attività del Garden Club è animata dalle socie proprietarie di piccoli
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giardini ornati da splendide camelie antiche o da rare varietà moderne. Importante è la cooperazione del Comune perché gentilmente ci concede le camelie di Palazzo Vivarelli.
Camellia è una pianta della famiglia delle Theaceae, originarie delle zone tropicali dell’Asia. Il nome del genere, scelto dal botanico svedese Linneo, deriva da quello latinizzato del missionario gesuita Georg Joseph Kamel (1661-1706), che per primo importò la pianta dal Giappone.
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STORIA
Dante e le stelle
di Almagesto Nel 750° anniversario della nascita del poeta Paola Ircani Menichini
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ante Alighieri fu profondamente appassionato di astronomia 1. Ebbe per maestro Brunetto Latini e dal “Tesoro” apprese quanto era possibile sapere delle scienze del suo tempo. Conobbe l’opera di Guido Bonatti, insigne astronomo e scrittore del “Liber decem continens tractatus astronomiae”. Fu amico e rivale dello studioso Francesco Stabili detto Cecco d’Ascoli, del quale non condivise gli errori legati all’astrologia e alla magia. Anche la sua città apprezzava e coltivava con fervore lo studio dell’astronomia in tempi che professavano un forte interesse per la matematica e la fisica. Leonardo Fibonacci, pisano, tra 1202 e 1228 aveva introdotto in Italia e in Europa gli elementi dell’al-
gebra. Nel 1230 compariva, tradotta in latino dall’arabo, l’importante opera di Claudio Tolomeo, l’Almagesto, che poi fu perfezionata da Alfonso X re di Castiglia (le “Tavole alfonsine” del 1256) e diffusa tramite il compendio “De Sphaere Mundi”, di Giovanni di Sacrobosco (John of Holywood britannico). Dante seguì sempre l’Almagesto, quando parlò della scienza prediletta. Ne riprese la visione dei cieli, la concezione della sfericità della terra, e lasciò da parte le teorie più irrazionali e meno profonde come le relazioni degli astri con i miseri fatti umani. Per le stelle ebbe tanta simpatia da usarle per chiudere le cantiche della Divina Commedia. Sentiva con Ovidio come veramente Dio avesse dato all’uomo un aspetto sublime e gli avesse imposto di ammirare il cielo e di volgere la fronte al firmamento. Essendo esso il cantico più bello di tutti, si apprestò a esplorarlo e a descriverlo con il suo straordinario viaggio poetico. Iniziò la sua meravigliosa ascensione dal Purgatorio che collocò in una montagna agli antipodi di Gerusalemme. La città santa allora era pensata come centro della superficie terrestre e, secondo Tolomeo, si trovava a 31° e 40’ di latitudine boreale. Il Purgatorio invece era nella latitudine australe con lo stesso meridiano e orizzonte. Quindi – osserva il Poeta - due persone situate nei due punti opposti e orientate in modo uguale avrebbero considerato l’eclittica (il percorso apparente che il Sole compie in un anno) in modo anch’esso antitetico: “Come ciò sia, se ‘l vuoi poter pensare, / dentro raccolto, imagina Siòn / con questo monte in su la terra stare /
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sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn / e diversi emisperi; onde la strada / che mal non seppe carreggiar Fetòn, / vedrai come a costui convien che vada / dall’un, quando a colui da l’altro fianco, / se lo ‘ntelletto tuo ben chiaro bada”. [Se vuoi capire come ciò sia possibile, immagina con grande concentrazione che Gerusalemme e il Purgatorio stiano sulla Terra, in modo tale che entrambi hanno un unico orizzonte, ma diversi emisferi (perché agli antipodi); per cui vedrai che il cammino del sole deve procedere da una parte per chi è a Gerusalemme e dall’altra per chi è qui, se il tuo intelletto comprende chiaramente»] 2. Con i sublimi versi - “dolce color d’oriental zaffiro” 3 - inizia l’ascesa. Di fronte all’est il Poeta vede alzarsi la costellazione dei Pesci. Essa indica l’ora siderale XVII del giorno 7 aprile al meridiano del Purgatorio, secondo il punto equinoziale nel 1300 e la posizione del sole prossimo al tramonto. Poi si volge a destra e osserva il polo australe. Quattro magnifiche stelle risplendono nella parte occidentale del meridiano: è la Croce del Sud che secondo l’Almagesto si trovava sotto al ventre e presso ai piedi del Centauro. Oggi è osservabile fino al 27° parallelo nord e rappresenta la controparte australe del Grande Carro boreale (Orsa Maggiore). Dante, a conoscenza della sua particolare posizione, infatti volge lo sguardo al settentrione e nota che il Carro, distinguibile fra la VIII e la XIV ora siderale del Purgatorio, non è più visibile alla XVII ora. Al principio del canto IX, il Poeta ricorda anche l’aurora lunare, cioè “la concubina di Titone antico” che “s‘imbiancava al balco d’oriente”.
Siamo sempre nella parte australe della terra e tra le lucenti gemme di un diadema frontale fatto a forma di serpente, parla di Antares, stella di prima grandezza, osservabile oggi anche dall’emisfero boreale fino al 64° parallelo nord. La descrizione della Via Lattea invece si trova nel Paradiso: “Come distinta da minori e maggi / lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo / Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi …” [Come la Via Lattea, la Galassia la cui natura fa dubitare i più saggi, biancheggia tra gli opposti poli celesti, punteggiata da stelle di maggiore e minore splendore…]4. Né manca l’accenno alla sapienza infinita del Creatore che dette all’equatore celeste e all’eclittica la disposizione relativa : ”E come cerchi in tempra d’oriuoli / si giran sì, che ‘l primo a chi pon mente / quieto pare, e l’ultimo che voli” [E come i cerchi dentati degli orologi ruotano in modo tale che il primo sembra fermo, mentre l’ultimo è velocissimo…]5. Dante ricorda poi lo spostamento delle stagioni rispetto ai mesi dell’anno e come occorra una riforma del calendario che tenga conto della rivoluzione tropica del sole (il tempo che il sole impiega da un equinozio di primavera a quello successivo, cioè 365d, 5h, 48’ e 46”): “Ma prima che gennaio tutto si sverni / per la centesma ch’è là giù negletta…“ [Ma prima che gennaio esca del tutto dall’inverno per la centesima parte del giorno che è trascurata sulla Terra…]6. In uno dei punti più alti del viaggio infine contempla i cieli eterni e con essi la bontà suprema, la felicità divina, la sincerità e la verità nello squisito sentire della sovrumana giustizia, nella comprensione della sapienza e
dell’amore infiniti. Dalla visione del cielo di Almagesto e dai suoi sette pianeti (Luna compresa), ritorna alle miserie di questa vita e ad uno sguardo amato: “Col viso ritornai per tutte quante / le sette spere, e vidi questo globo / tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante / e quel consiglio per migliore approbo /che l’ha per meno; e chi ad altro pensa / chiamar si puote veramente probo. / Vidi la figlia di Latona incensa / sanza quell’ombra che mi fu cagione / per che già la credetti rara e densa. / L’aspetto del
tuo nato, Iperione, / quivi sostenni, e vidi com’ si move / circa e vicino a lui Maia e Dione. / Quindi m’apparve il temperar di Giove / tra ‘l padre e ‘l figlio: e quindi mi fu chiaro / il variar che fanno di lor dove / e tutti e sette mi si dimostraro / quanto son grandi e quanto son veloci / e come sono in distante riparo. / L’aiuola che ci fa tanto feroci, / volgendom’io con li etterni Gemelli, / tutta m’apparve da’ colli a le foci; / poscia rivolsi li occhi alli occhi belli” [Con lo sguardo osservai tutti quanti i sette pianeti e vidi questo globo (la Terra) così piccolo che sorrisi del suo aspetto vile; e approvo il giudizio di chi lo considera poca cosa, e colui che rivolge i suoi pensieri ad altro (al Cielo) si può davvero definire un uomo virtuoso. Vidi la figlia di Latona (la Luna) luminosa e priva di quelle ombre che attribuii falsamente alla maggiore o minore densità. Lì potei fissare l’aspetto di tuo figlio, o Iperione (del Sole), e vidi come Mercurio e Venere si muovono in cerchio accanto ad esso. Qui vidi l’aspetto temperato di Giove tra Saturno e Marte, e mi fu chiara la variazione della loro posizione astronomica; e tutti e sette i pianeti mi si mostrarono nella loro reale dimensione e nella loro velocità, e nella reciproca posizione celeste. La piccola Terra che ci rende così feroci, mentre ruotavo insieme alla costellazione eterna dei Gemelli, mi apparve nella sua interezza dalle cime delle montagne fino alle foci dei fiumi; poi rivolsi i miei occhi a quelli, bellissimi, di Beatrice] 7.
Note 1 Accenni alle dottrine astronomiche della Divina Commedia, discorso di padre Giovanni Antonelli (Candeglia, Pistoia 1 ottobre 1818-Firenze, 14 gennaio 1872) delle Scuole Pie di Firenze, edito in “Dante e il suo secolo”, Firenze 1865. 2 Purg IV, 67-75. La parafrasi di questi versi e dei successivi è tratta da http://divinacommedia. weebly.com 3 Purg. I, 13 4 Par. XIV, 97-99. 5 Par XXIV, 13-15. 6 Par XXVII, 142-143. 7 Par. XXII; 133-154.
Dante, Virgilio, Catone l’Uticense e le quattro stelle della Croce del Sud, disegno di O. Amadio tratto da G. Castelli, La Divina Commedia di Dante Alighieri ampiamente tradotta in prosa per uso del popolo italiano, Milano 1910 Agnolo Bronzino, Ritratto allegorico di Dante, 1530, Washington, National Gallery La disposizione dei cieli secondo il sistema tolemaico, Andrea Cellarius, Orbium Planetarum Terram Complectentium Scenographia, Amsterdam, 1660 (1708) Albrecht Dürer, Immagine del cielo meridionale, Norimberga, 1515
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STORIA
salvare
la
memoria ? si deve la storia di Giulia e Geremia, medaglie d’oro
Graziano Bellini
Il presidente Napolitano appunta sul petto di Carlo Ficini le Medaglie al Valore Civile dei coniugi Ficini
è
un dovere mantenere viva la memoria da trasmettere alle future generazioni. è un dovere mantenere viva la memoria soprattutto per quegli eventi tragici del passato che hanno causato atroci sofferenze e dilanianti dolori alle persone più umili, agli innocenti della Storia. Questo perché, non è mai scontato dirlo, sia possibile riconoscere gli errori storici già commessi così da non doverli più ripetere. Sono passati 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e la memoria non deve e non può esaurirsi con la scomparsa dei sopravvissuti e dei testi-
moni di quei fatti. Molti ci hanno lasciato e purtroppo, un giorno non lontano, li avremo persi tutti. Ma la memoria possiamo tenerla viva a lungo ugualmente. Basta volerlo. Come ha fatto la famiglia Ficini di Fucecchio. L’evento tragico è il seguente. è il 18 agosto 1944, venerdi, poco prima di cena, quando due tedeschi delle SS entrano nell’appartamento al n.10 di Via Donateschi a Fucecchio, passando dal retro dove una granata aveva aperto giorni prima un varco nel muro di recinzione dell’orto. In quell’appartamento vivono due famiglie molto legate fra loro: i Ficini e i Francini. Geremia Ficini con la moglie Giulia e il figlio Mario; Dante Francini con la moglie Margherita e i figli Mario e Emma. Mentre gli adulti di queste famiglie cercano di che sopravvivere procurandosi i viveri necessari e di difendere la loro casa dalle continue razzie dei tedeschi, i ragazzi si nascondo sempre più spesso in una cantina adibita a rifugio posta proprio sotto l’abitazione, a pochissimi metri da dove sono appena passati quei due tedeschi. I ragazzi hanno fatto in tempo a nascondersi in quel rifugio. Dante, al loro arrivo, è scappato su in soffitta. Sono rimasti al piano terra Margherita, i coniugi Ficini e Gigi, lo zio ottantenne parzialmente infermo. I nazisti chiedono da mangiare. Mangiano e bevono. Soprattutto bevono molto. Alla fine della cena uno di loro afferra per un braccio Margherita, allora 37enne, e con forza la trascina nella stanza adiacente con l’intento di abusarne, chiudendosi la porta alle spalle. L’altro tedesco, rimasto nella prima stanza, estrae la pistola per tenere a bada i coniugi Ficini. Nella stanza chiusa si sta consumando la violenza su Margherita la quale grida e lotta. A
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quel punto Giulia Ficini, di fronte alle strazianti grida di dolore della carissima amica provenienti dall’altra stanza, non resiste e si avvicina al tedesco di guardia per cercare di dissuaderli dal compiere quel gesto così violento ma questo, con una reazione del tutto imprevista, le spara un colpo a bruciapelo. A quel punto il marito Geremia Ficini, vedendo la moglie colpita, si alza di scatto da dove è seduto per soccorrere la moglie ma il tedesco spara anche a lui facendolo cadere sul corpo della moglie. Intanto nella stanza accanto viene portata a termine un’altra violenza ed è Margherita Petrucci stessa che ce lo racconta: «Mi prese violentemente per un braccio e mi trascinò in un locale attiguo e dopo avermi percossa con pugni e calci, mi imbavagliò con un lenzuolo e gettatami a terrà mi violentò. Nonostante fossi imbavagliata io gridai al soccorso ma finii per calmarmi perché terrorizzata da 2 detonazioni e dalla voce di mio marito (Dante, che le urlava dalla soffitta da dove sentiva tutto, ndr) che mi scongiurava di subire l’oltraggio per salvare la vita. Debbo aggiungere che il tedesco, per calmare i miei gesti di ribellione, mi puntò la rivoltella alla tempia sinistra minacciando di farla scattare se io mi fossi ribellata. Infatti la rivoltella rimase puntata alla mia tempia per tutto il tempo durante il quale soddisfece le sue insane voglie. Successivamente mi tolse il bavaglio e raggiunse il compagno, invitandolo a soddisfarsi a sua volta ma questi rifiutò. Dopo quanto sopra i due tedeschi se ne andarono obbligandomi ad accompagnarli fino alla porta dove ironicamente mi ringraziarono augurandomi la buona notte». Ora vediamo come ha vissuto que-
sto tragico episodio Mario Ficini, il figlio 22enne delle vittime. Mario era costretto a nascondersi perché per lui c’era sempre il rischio di essere prelevato dai tedeschi e portato via. Passava più tempo nel rifugio-cantina che fuori. Dal 1° di agosto aveva preso l’abitudine di tenere un diario dove segnava a matita tutto ciò che accadeva in quell’angolo di vita di una Fucecchio bombardata e martoriata. Questo diario, che Mario stesso ritroverà 59 anni dopo, è alla base della memoria conservata e trasmessa di quell’evento, memoria prima familiare e poi collettiva. Ricordi di avvenimenti tragici che faranno da triste presagio all’Eccidio del Padule di Fucecchio. Mario Ficini pubblicherà un libretto tratto da quel diario con il titolo «Assassinio prima di una strage» proprio per mantenerne viva la memoria e donerà il manoscritto al Comune di Fucecchio. Alla data del 18 agosto 1944 lui annota solo queste poche parole: «Alle 20,15 due tedeschi passano dall’orto e vengono in casa. Io, Alberto (un suo amico n.d.r.) Emma e Mario (i figli dei Francini n.d.r.) corriamo nel tunnel. Dante in soffitta e Margherita rimase su. Dopo aver “conversato” con i miei genitori, questi due demoni prendono Margherita e sparano, uccidendoli, mio padre e mia madre. Anche Dante, nel frattempo disceso dalla soffitta, viene fatto segno ad Arma da fuoco. Sono le 20,40. Veniamo chiamati su da Dante e constatiamo la tragedia.» Come vediamo, solo poche righe e parole fredde e scarne come è comprensibile davanti ad un blocco emotivo per una tragedia cosi grande. Soltanto successivamente Mario Ficini aggiungerà altri dettagli, ogni volta che avrà occasione di ricordare con grande dolore la perdita così violenta dei suoi genitori: «All’improvviso sentii un urto disperato di Margherita. Mi si gelò il sangue. Non fu difficile in-
Pagina del diario Il luogo, via Donateschi 10 a Fucecchio Pianta dell’abitazione disegnata a mano da Mario Ficini
tuire cosa volevano da lei. Anche mia madre s’intromise ‘‘Non lo fate, non lo fate!’’. Poi tre colpi di pistola e quindi silenzio di tomba. Alla fine di tutto Dante gridò con voce angosciata che potevamo uscire dal rifugio. Mi prefiguravo la tragedia. Quando s’alzò la botola vidi i miei genitori a terra, uno sull’altro, come fosse una croce.» Mario Ficini ha trascorso tutta la sua vita nel doloroso ricordo di quella perdita e con il desiderio di non voler mai far dimenticare quel sacrificio. La moglie Lisena e i figli, Giuliana, Rossella e Carlo, hanno continuato quest’opera di salvaguardia della memoria. In particolar modo coinvolgendo l’Amministrazione Comunale nel fare richiesta al Ministero degli Interni per il riconoscimento della Memoria al Merito Civile dei loro avi Geremia Ficini e Giulia Salvadori nei Ficini, riconoscimento che è stato poi concesso con tanto di medaglie d’oro consegnate direttamente dalle mani dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Quel giorno a Roma ero cosi emozionata – racconta la figlia Giuliana – che mi
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tremavano le gambe da non riuscire a camminare, tanto che dissi a mio fratello Carlo di andare da solo a ricevere i conferimenti perché io non ce la facevo». Anche Carlo era particolarmente emozionato in quel mo-
mento dove veniva riconosciuto un alto valore civico a quei racconti che aveva ascoltato da suo padre. Mario se ne è andato 3 anni fa ma la sua volontà di non voler disperdere la memoria è stata premiata. Adesso anche una piccola piazza a Fucecchio è dedicata ai suoi genitori. Per tutta la sua vita aveva conservato, in quella che lui chiamava la “cassetta della memoria”, una ciocca dei capelli della mamma e i proiettili sparati quel giorno. Questi cimeli cosi preziosi gli sono stati messi nella tomba da sua figlia Giuliana per continuare il viaggio insieme. I suoi familiari portano avanti con grande dignità questi ricordi proprio perché quei sacrifici siano di esempio a tutti e ci facciano capire quanta disumanità possa generare una guerra, qualunque ne sia la motivazione. Una delle nipoti di Mario Ficini è stata chiamata Giulia, come la bisnonna che quel giorno perse la vita. Un altro modo indelebile per conservare la memoria. (foto di Graziano Bellini)
Le citazioni sono tratte da: Assassinio prima di una strage di Mario Ficini Morte in padule, 23 agosto 1944: analisi di una strage di Claudio Biscarini.
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Il suono morbido di un sughero che viene stappato dalla bottiglia ha il suono di un uomo che sta aprendo il suo cuore
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William S. Benwell
Foto Š Alena Fialovå
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Tuscany 53
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itinerari
Vigneti Vernaccia di San Gimignano
in viaggio tra i nettari toscani Carmelo De Luca Carlo Ciappina
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aesaggio abbellito da mano umana: Montepulciano si identifica in questo connubio grazie a un territorio traboccante di rilevanze artistiche ed una natura decisamente strepitosa. La caratteristica estensione a serpentina, racchiusa da possenti mura medievali, ne fa un unicum prezioso. Il mirabile tessuto architettonico testimoniante una storia plurisecolare. Basti menzionare la Cattedrale dedicata all'Assunta ed i suoi tesori o l'arcinota S. Biagio, riuscita opera rinascimentale di Antonio da Sangallo il Vecchio, al quale si devono alcuni importanti palazzi. L'alto lignaggio montepulcianese si respira anche nei celebri vigneti, ai cui vini rossi è stato conferito il titolo di "Nobi-
le". Dopo 24 mesi di maturazione e ben 36 per la blasonata Riserva, Prugnolo Gentile al 70% altre selezionatissime uve vigilate dal Consorzio partoriscono il DOCG. Come da tradizione, lo scorso febbraio è stata presentata nella locale Fortezza la stellata passerella dedicata al Nobile 2012, al Riserva 2011 e agli altri vini autoctoni. Riprendiamo il tour puntando verso nord-ovest, dove si è attratti da un’altura con cinta muraria ospitante un groviglio di altissime torri, che ostentano fieramente il glorioso passato di S. Gimignano. Passeggiare tra le vie cittadine ci riporta nel passato grazie al susseguirsi di palazzotti gentilizi, eleganti finestre ad arco acuto, romantiche piazzette
Piazza Duomo di San Gimignano
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Vino Nobile di Montepulciano
lastricate, portoni finemente scolpiti, che preannunciano la scenografica Piazza con il Duomo che custodisce affreschi di Taddeo di Bartolo, Bartolo di Fredi, Benozzo Gozzoli, Lippo Memmi, e il possente Palazzo del Podestà. Nei dintorni troneggiano lussureggianti vigneti, i cui chicchi generano pregiato nettare giallo paglierino denominato Vernaccia, in onore del vitigno prevalente all'85% con aggiunte di altri a bacca bianca non aromatizzata. L’invecchiamento a 11 mesi in cantina e tre in bottiglia conferisce al vino riflessi dorati, sentore di pietra focaia, gusto armonico, sapido, asciutto. Ideale per abbinamenti con pesce, formaggi freschi, cucina mediterranea all'olio extra vergine d'oliva. Vernaccia DOCG ha presentato a esperti e curiosi le novità 2014 e Riserva 2013 nel corso di due intense giornate febbraine. Più a nord, lussureggianti paesaggi collinari fanno da cornice a pievi plurisecolari, romantici borghi, rilevanze rinascimentali, sontuose ville d'epoca, vestigia etrusco-ro-
Piazza Grande di Montepulciano
mane e notorie realtà urbane chiamate Montelupo Fiorentino, Fiesole, Lastra a Signa, Bagno a Ripoli, Rignano sull'Arno, Pontassieve e, a sud-est, Montespertoli, S. Casciano Val di Pesa, Certaldo, Barberino Val d'Elsa, Incisa, Figline Val d'Arno, Pe-
Vigneti del Chianti
lizzo moderato del legno, il colore brillante conferiscono unicità al vino autoctono di questa importante sottozona. E sì, le pregiate bottiglie in questione sono cugine strette del Chianti DOCG di un meraviglioso colore rosso rubino tendente al gra-
etichette Chianti Colli Fiorentini
Uve del Chianti
lago a Reggello. E creanti un unicum architettonico-paesaggistico. Anche questi luoghi ameni possiedono vocazione vinicola DOCG conosciuta col nome di Chianti Colli Fiorentini per il legame indissolubile con Firenze. Il Sangiovese sposato con alcuni vitigni toscani, la corporatura equilibrata, i profumi freschi, l’uti-
14 e 15 febbraio presso le Ex Manifatture Tabacchi, meraviglioso esempio di archeologia industriale, che per la prima volta ha visto coinvolto il grande pubblico "acchiappato per la gola" grazie al vitigno sangiovese e a ricette culinarie elaborate da
nato con l’invecchiamento, ottimo per carni rosse alla griglia, mentre il Riserva è perfetto per selvaggina e formaggi stagionati. Naturalmente la sontuosa corte di sua maestà il Chianti, comprendente le province di Firenze, Prato, Pisa, Livorno, Arezzo, è stata degnamente omaggiata durante le anteprime dello scorso
Slow Food. Sempre nel capoluogo toscano, la Fortezza da Basso ha coronato l'ennesimo successo ottenuto da Buy Wyne by Toscana Promozione, che tradizionalmente apre la kermesse delle anteprime: ben 282 produttori "all'attacco" per favorire l’incontro tra Toscana del vino e trade internazionale!
Castello di Poppiano
Vigneti Chianti Colli Fiorentini
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EVENTO
non di
solo cibo si parli
Milano Food Festival, in attesa di Expo 2015
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e il buongiorno si vede dal mattino, il Milano Food&Wine Festival, svoltosi dal 7 al 9 febbraio 2015 presso l’ex Fiera Milano City, ha davvero dimostrato di avere l’oro in bocca. è stao come prepararsi al meglio e allenare fantasia, papille gustative e business per la saga di gusti, colori e soprattutto sapori di quella che si preannuncia essere la stagione-inno dell’alimentazione e della nutrizione come risorse per la vita del nostro pianeta. Si tratta di Expo Milano 2015, manifestazione mondiale che da maggio a ottobre attende nel capoluogo oltre 20 milioni di visitatori. Se la tradizione è il cuore della nostra civiltà, è camminando tra i vivaci stand di Milano Food&Wine Festival che si evince in maniera più che palpabile e curiosa l’evoluzione del concetto di food come qualità di vita. Nato nel 2011 da un’intuizione di Helmuth Köcher e Paolo Marchi, Presidente e Fondatore del Merano WineFestival (da più di 20 anni punto di incontro di professionisti e appassionati del pianeta vino), l’evento milanese traduce in tangibile realtà l’incontro tra produttori, giornalisti, operatori e pubblico in nome di degustazioni e spettacoli a tema cucina: piatti enogastronomici preparati da 19 chef invitati da Paolo Marchi (ideatore del congresso internazionale di cucina e pasticceria d’autore Identità Golose, come parte della manifestazione) più 300 vini da abbinare, selezionati da Köcher, con ispirazione al tema “Sapori e colori di Expo”, acquistabili presso il ristorante del Festival. All’interno del ConviviumLab (piacevole novità di questa edizione) lo spazio viene dedicato agli showcooking, dove i temi del food cavalcano
differenti “universi” che si integrano e portano a scoprire le differenze ma anche le complementarità di questo mondo. Gli spettatori godono di “artisti del palato” pronti a esaltare sapori e tradizioni dalla punta al tacco del nostro stivale: dalla cultura del pesto all’arte della tavola di Margherita Marzot, agli aperitivi dello Street Food con tocchi di Perù, al costante Leitmotiv di Grana Padano (tra i partner), fino alla Tavola di Guatteri, gastronomo e consulente food che fonde la cultura regionale milanese con quella giapponese, per concludere con il cioccolato di Lola Torres e la Pasticceria di Loretta Fanella. Anche l’Alta cucina Vegana non fa mancare la sua presenza, nell’attualità che unisce il rispetto per l’etica alla salute: aperitivi a base di seitan, gluten free e con quinoa e tofu. II focus dei prodotti della Regione Toscana vive nell’incontro tra Bolgheri e Montalcino: Poggio al Tesoro e Poggio San Polo. Il primo con il progetto Bolgheri, cultura e forte identità nei vini delle uve coltivate con tecniche innovati-
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ve sui 70 ettari nell’area geografica di Castagneto Carducci (ricca di querce da sughero, corbezzoli, pini domestici e marittimi), che rendono unico un prodotto come il Cabernet Franc, grazie anche alla lungimiranza del precursore vignaiolo Walter Allegrini, valpolicellese amante di Bolgheri e fautore fin dall’inizio delle diversificazioni merceologiche del marchio.
Federica Farini
Taglio della forma di Grana Padano di stagionatura 24 mesi, puro e malleabile per realizzare la dimostrazione Eugenio Roncoroni e Beniamino Nespor (Ristorante Al Mercato Milano) con i piatti: Burger Bar, New Milanese Sandwich - Noodle Bar, Thai Dumplings - Taco Bar, Taco Scomposto. Alice Delcourt (Ristorante Erba Brusca Milano) con piatti “verdi”: Cavolini di Bruxelles affumicati, pancetta, salsa yogurt ed erba brusca – Carciofi, limoni verdi sotto sale, pistacchi, menta, spinaci all’olio - Zuppa di Prezzemolo, aringa, mela verde. Domenico Della Salandra (Ristorante Taglio Milano) con i piatti: Tartare alla vecchia Milano – Risotto al Pomodoro – Panna cotta, crumble di cioccolato e caffè. Abbinamenti dei vini presentati da Helmuth Köcher
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Poggio San Polo si lega invece all’indissolubile connubio con il Brunello di Montalcino: l’eccellenza nel mondo di quel Sangiovese Grosso dal colore scuro degli acini che dà il nome al vino di indubbia eccellenza, sancita dal 1980 nella sua denominazione DOCG. È dalle parole di Silvia Allegrini, appartenente alla famiglia che è alla guida di entrambe le aziende, che si evincono impressioni positive sull’affluenza e sul livello del pubblico del Festival: «un flusso costante e ben distribuito, composto da una clientela privata preparata e attenta alla conoscenza del prodotto da assaggiare.». Importante per Silvia Allegrini sottolineare l’eco-sostenibilità del progetto di Poggio San Polo, come principio etico ma anche come necessità per traghettare aziende e prodotti verso il futuro, grazie all’unione tra passato e innovazione: «dall’attenzione per l’ambiente delle cantine, rese autonome a livello energetico, al packaging delle bottiglie a basso impatto ambientale (etichette in carta riciclata), all’uso di bottiglie in vetro leggero, ai tappi di sughero riciclati, alle innumerevoli tecniche e procedure
biologiche legate alle coltivazioni di entrambi i Poggi». Poggio al Tesoro rappresenta per l’intera famiglia Allegrini una nuova sfida aziendale, che si innesta sul passato con l’inserimento di moderni vigneti piantati ex novo, in un’attenta ricerca delle varietà più adatte, intento che esprime in pieno quella vocazione di chi come la famiglia Allegrini, svolge con passione questo lavoro. Anche Nicola Lenci Fattoria di Magliano - racconta la sua positiva impressione sull’affluenza di pubblico al Festival, importante per l’azienda per relazionarsi in questa sede con il consumatore finale e non solo con gli esperti del settore. Due i prodotti di spicco della casa: il Morellino Heba doc «che vuole porsi come un vino di qualità ma gioioso e fruibile tutti i giorni» e il Poggio Bestiale IGT, dall’aroma fruttato e floreale. Per Lenci e Fattoria di Magliano l’innovazione è la chiave di volta capace di tradurre le antiche competenze nel linguaggio del futuro, come avviene nel progetto in corso di sperimentazione (tra i primi in Italia) di una parte della cantina: l’affinamento dei vini in piccoli vasi vinari di cemento. Tradi-
zione e innovazione come cavalli di battaglia anche per Grillesino della Compagnia del Vino, legata alla famiglia Antinori. Antonello Calandri (Responsabile commerciale Italia e Svizzera) sottolinea come il Festival rappresenti una buona occasione di incontro del consumatore finale, prevalentemente giovane come fascia di età: «l’innovazione non passa solo dal prodotto, ma anche da come lo si presenta e commercializza: tecnologia uguale comunicazione e internazionalizzazione come chiave per il successo.». Vino di punta del brand presso la manifestazione il Ciliegiolo Maremma Toscana IGT, un classico che prende il nome dalla parola “ciliegia” nella similitudine della forma dell’acino (grande e rosso), “un vino semplice da consumare, a bassa gradazione, perfetto per chi rifugge dall’acidità dei bianchi.”. Ma Milano Food&Wine Festival affianca la qualità della terra toscana anche alla scelta dei partner ufficiali: fornitore dell’Olio in Cucina il Frantoio di Santa Tea (famiglia Gonnelli), artigiani di questa risorsa dal 1585. Anche Cecchi si distingue per il secondo anno consecutivo tra le aziende di Identità Golose, con uno spazio ad-hoc dedicato alle degustazioni dei vini. Presente al Festival anche l’azienda agricola toscana Bertarello, con i suoi olii naturali tra cui il “Caninese” – dal basso grado di acidità, aroma fruttato intenso, erbaceo e nota piccante con sensazioni finali di salvia, anice e erbe selvatiche – l’“Itrana” - alle note verdi di pomodoro e sentore di carciofo, delicato e poco piccante. Il 10 febbraio chiude in bellezza la parte più “v.i.p.” di Identità Golose, con la finale italiana del talent San Pellegrino “Young Chef 2015”: una giuria di celebri chef (tra i quali anche Carlo Cracco, Ernesto Iaccarino e Davide Oldani) ha eletto tra i dieci finalisti italiani il giovane cuoco che il prossimo giugno sfiderà all’interno di Expo Milano 2015 le migliori promesse under 30 provenienti da tutto il mondo. Il suo nome? Lo scoprirete solo… mangiando.
Banca in Toscana dal 1830
carismi.it 59
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ALIMENTAZIONE
MAD E IN I TALY
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tarocchi di tutto il mondo, unitevi!
Leonardo Taddei
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l marchio commerciale Made in Italy indica, al giorno d’oggi, un prodotto interamente progettato, fabbricato e confezionato in Italia, e in base a uno studio di mercato, realizzato dall’azienda KPMG, esso rappresenta il terzo al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa. L’espressione è nata in lingua inglese, proprio così come la conosciamo adesso, ed è stata impiegata, a partire dagli anni Ottanta, dai produttori italiani nell’ambito di un processo di rivalutazione e difesa dell’italianità dei loro manufatti, al fine di ridurre la falsificazione della produzione artigianale ed industriale del Bel Paese nei quattro tradizionali settori dell’agroalimentare, dell’arredamento, dell’abbigliamento e delle automobili, meglio noti come le quattro A. I prodotti italiani stavano guadagnando, infatti, una sempre più crescente fama all’estero, ed il vantaggio commerciale che ne derivava rappresentava un’appetibile fetta di mercato per i produttori stranieri. Le qualità generalmente riconosciute al prodotto italiano, riguardanti l’eleganza, l’ottima realizzazione e cura
dei dettagli, la fantasia delle forme e del disegno, nonché la provenienza da settori industriali tradizionali molto conosciuti, primo fra tutti quello della moda, richiamavano una grande attenzione da parte dei compratori fuori dai confini nazionali. La più autentica ed efficace difesa di tali prodotti era rappresentata proprio dall’innalzamento del livello di protezione contro la contraffazione: l’inganno conseguente ad un impiego improprio di indicazioni che rivendicavano un’origine italiana per prodotti che non avevano i requisiti per vantarla, penalizzava gravemente la nostra industria manifatturiera, che cominciava già a soffrire per la concorrenza, spesso sleale, di nazioni emergenti e per le forme di parassitismo che ad essa si legavano. A causa dell’incremento vertiginoso di contraffazioni, a partire dal 1999 molte associazioni, tra le quali l’Istituto per la Tutela dei Produttori Italiani, compresero l’importanza di tutelare, almeno all’interno dei nostri confini nazionali, il marchio Made in Italy, e di regolarne l’impiego tramite leggi statali: fino a quel momento, apporre la bandiera italiana, la dicitura Italy o Made in Italy su un prodotto era, infatti, possibile per riferirsi anche solo alla parte imprenditoriale del produttore, mentre quella manifatturiera poteva essere svolta ovunque. È soltanto del 2009, però, il primo decreto legge, per la precisione il nº 135 del 25 settembre, contenente un articolo a vera e propria tutela del marchio, il n°16, che riporta esplicitamente il titolo Made in Italy e prodotti interamente italiani. Secondo quanto regolamentato, solo i prodotti totalmente fatti in Italia, e quindi cioè ivi progettati, fabbricati
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e confezionati, potevano e possono tuttora fregiarsi delle diciture Made in Italy, 100% Made in Italy, 100% Italia o Tutto italiano, in qualsiasi lingua siano esse riportate, con o senza la bandiera nazionale, punendone ogni abuso. Fu a seguito di questa introduzione che molte aziende iniziarono ad utilizzare anche il marchio DMI, Designed & Manufactured in Italy, giudicato maggiormente esplicativo e quindi più rappresentativo per l’export italiano. Oltre a queste azioni e ad altre attività di tutela svolte da alcune Aziende ed Enti privati che disciplinano
il settore secondo propri protocolli e certificazioni, a livello istituzionale Agroqualità S.p.A ha iniziato da tempo ad operare per sostenere la produzione nei settori dell’agroalimentare, dell’ambiente, del turismo, dell’artigianato artistico e tradizionale e della valorizzazione del Made in Italy, avvalendosi di organismi terzi, come RINA Services, che certificano la qualità dei prodotti. Sfortunatamente, le iniziative in materia, spesso originate dalla contingenza della situazione del momento e, quindi, prive di un disegno unitario, non sempre sono state caratterizzate da una sufficiente organicità, almeno pari alle buone intenzioni che ne stavano alla base. Ciò è dovuto soprattutto all’ingerenza del Codice Doganale Comunitario, che prevale su ogni altra eventuale disposizione nazionale e prevede che i prodotti che hanno subito lavorazioni in paesi diversi debbano ritenersi originari dell’ultimo in cui hanno subito una sostanziale trasformazione. Ed anche la contraffazione si è dunque dovuta adeguare: come si suol dire, “fatta la legge, trovato l’inganno”. I casi più celebri, paradossalmen-
te, appaiono agli occhi degli italiani come buffe e strampalate imitazioni, ma purtroppo ingannano i consumatori stranieri con nomi evocativi di un’italianità inesistente: spuntano quindi sui mercati esteri il “Parmesan” spagnolo, il “San Daniele Ham” prodotto in Canada, il “Chianti” californiano ed addirittura i pomodori “San Marzano” statunitensi. Questo fenomeno è stato ribattezzato italian sounding, cioè qualcosa che ricorda vagamente il nome dei prodotti nostrani, ma che non ne contraffà realmente il marchio, non costituendo, almeno per il momento, una violazione delle leggi in vigore. Un palese raggiro che si traduce, però, in lauti ricavi: per la precisione, soltanto nell’Unione Europea ben 21 miliardi di euro, contro i 13 dei prodotti originali. Come afferma la vicepresidente di Confindustria per l’Europa, Lisa Ferrarini, l’italian sounding «va combattuto con strategie di marketing e valorizzazione del prodotto italiano, attraverso la difesa dei marchi e delle denominazioni d’origine». La strategia di Confindustria è quella, cioè, «di sensibilizzare i consumatori esteri sul prodotto realmente italiano, e va attuata con estrema determinazione. L’appello di Confindustria alla commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione è che segnali anch’essa al governo la priorità e l’urgenza di identificare una soluzione di compromesso che permetta finalmente l’approvazione definitiva della norma del Made in Italy». Ciò renderebbe più agevole anche la penetrazione dei nostri prodotti sui nuovi mercati che si stanno aprendo grazie alle sempre migliori condizioni di vita di molte nazioni che un tempo erano considerate ancora sottosviluppate, e la globalizzazione dell’economia potrebbe, nonostante alcuni inevitabili svantaggi, permettere all’Italia di competere su tali mercati riscuotendo il successo che merita,
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ma soltanto a patto che il consumatore sia adeguatamente informato e reso consapevole sulla reale qualità e provenienza dei vari prodotti che si troverà di fronte al momento dell’acquisto.
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ALIMENTAZIONE
di
vegetali
mi voglio
nutrire una scelta alimentare e di vita Paola Baggiani
L
a dieta vegetariana ha origini antichissime; alcuni paesi vantano una lunga tradizione vegetariana, in particolare l'India, dove il 40% della popolazione è vegetariano. Nei paesi occidentali e più ricchi, solo negli ultimi decenni si è maturato interesse verso queste diete con una loro diffusione crescente; ad esempio negli USA dove il 5% della popolazione è vegetariana, o in Germania dove la percentuale sale al 7%; ma è l'Italia che raggiunge il primato europeo con una percentuale del 10%. Molte sono le ragioni che spingono a compiere questa scelta, determinata anche dallo scalpore suscitato da vicende come la “mucca pazza”, l'influenza aviaria e i numerosi episodi segnalati di maltrattamenti e delle pessime condizioni degli animali negli allevamenti intensivi. La maggior parte delle persone diventano vegetariane per motivi ideologici e etico-morali; per altri è una scelta filosofico-religiosa sulla scia delle religioni orientali; altri perché la ritengono una dieta efficace e salutare. Le diverse posizioni sono rafforzate da motivazioni ecologiche
inoppugnabili per un miglior utilizzo delle risorse; ciò in relazione all'enorme impatto ambientale che ha avuto il crescente aumento del consumo della carne negli ultimi decenni. L'allevamento consuma il 70% di tutte le terre agricole, il 30% di tutta la superficie terrestre; persino il 70% di quella che era la foresta amazzonica è diventato pascolo. Un ettaro di terreno coltivato a soia produce fino a 1800 chili di proteine vegetali; dalla stessa superficie utilizzata a pascolo si ottengono solo 60 chili di proteine animali. Quindi riconvertendo all'agricoltura le aree dedicate al pascolo sarebbe un grande contributo per risolvere la fame nel mondo! Nella grande famiglia del vegetarianesimo si possono far rientrare diversi modelli alimentari: La dieta Vegetariana abolisce qualsiasi tipo di carne e pesce, molluschi e crostacei; i latto-ovo-vegetariani consumano latte, formaggi e uova; i latto vegetariani escludono le uova; gli ovo-vegetariani consumano le uova ma escludono latte e derivati. Dieta Vegana o Vegetaliana è uno stile alimentare che prevede il consumo di soli alimenti di origine vegetale come verdura, frutta, cereali e legumi, eliminando qualsiasi cibo di origine animale, compresi i derivati. Oltre alle principali diete vegetariane ci sono modelli alimentari a base vegetale meno diffusi, come Dieta Fruttariana a base di frutta, frutta secca e semi; oltre alla frutta vengono consumati anche alcuni ortaggi a frutto, come pomodori, peperoni, zucchine, melanzane. Dieta Crudista Vegana che ammette solo l'uso di alimenti crudi come frutta, verdura, semi, cereali, perché sono “vivi” mentre la cottura (oltre
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40°) distrugge le sostanze attive dei cibi. Deve distinguersi dalla dieta Crudista non Vegana in cui si consumano latte e persino la carne e il pesce crudi. Dieta Eco-Vegana, simile alla vegana impone il consumo di alimenti vegetali provenienti da coltivazioni biologiche. Molti prodotti usati nelle diete vegetariane sono diffusi in tutto il mondo come pane, pasta, riso, fagioli, altri sono assenti in una classica dieta occidentale e appartengono alle tradizione di paesi asiatici o sud americani. Ad esempio troviamo cereali come quinoa, kamut, miglio, preparazioni a base di cereali come cous-cous, bulgur, soia o prodotti a base di soia come tofu, alghe alimentari, condimenti come miso e tamari, e questo configura le diete vegetariane come multietniche e senza barriere. La dieta vegetariana, associata ad uno stile di vita salutare, e opportunamente pianificata dal punto di vista dei macro e micro nutrienti è in grado di ridurre il rischio di numerose malattie come il sovrappeso e l'obesità per il consumo di cibi a bassa densità calorica e l'alto apporto di fibre. Nel diabete la dieta ricca di carboidrati complessi migliora il controllo della concentrazione ematica del glucosio. Nelle dislipidemie e nelle malattie cardiovascolari, le diete vegetariane per il basso contenuto di grassi saturi e per l'apporto notevole di antiossidanti e di acido alfa linolenico e di altri fitocomposti che agiscono come agenti antinfiammatori, sono in grado sono in grado di ridurre l'aggregazione piastrinica e la formazione di trombi, con una riduzione di circa il 25% del rischio di mortalità per cardiopatia ischemica rispetto ai non vegetariani. Fra i vegetariani è stata riscontrata
una minore incidenza di alcuni tipi di tumore come quello del colon-retto, dello stomaco, della prostata, della vescica e del linfoma non Hodgkin; tra i fattori protettivi delle diete vegetariane l'abolizione del consumo di carni e l'alto consumo di fibra. Rimane invece controverso il rapporto tra alimentazione vegetariana e altri tipi di tumore. I regimi vegetariani possono però comportare anche dei rischi di carenze nutrizionali in relazione a vari minerali e vitamine, come il ferro, il calcio, la vitamina D e la B12. Per quanto riguarda il ferro, l'assorbimento di questo minerale dipende dalla forma in cui esso si trova nell'alimento: il ferro emico che si trova negli alimenti di origine animale è meglio assorbito di quello non emico presente nei vegetali, inoltre l'assorbimento del ferro diminuisce se associato alle fibre per la presenza in esse di acido fitico. La vitamina B12 è presente unicamente negli alimenti di origine animale, si trova in quantità sufficiente nel latte e nelle uova; i vegani e altri vegetariani stretti vanno sicuramente in carenza e quindi è consigliato loro l'uso di cibi fortificati e di un supplemento vitaminico di B12. La mancata assunzione protratta nel tempo di questa vitamina porta a gravi conseguenze come l'instaurarsi di anemia megaloblastica e danni irreversibili a carico del sistema nervoso. Il calcio è spesso carente nella dieta dei vegetariani, sopratutto dei vegani che eliminano anche il latte e i formaggi; tra i vegetali buone fonti di calcio sono i cavoli, i broccoli, la rucola e le cime di rapa, e alcune spezie come salvia, rosmarino e basilico. Inoltre nei vegani che non si espongono in maniera sufficiente alla luce solare spesso si associa una carenza di vitamina D, importante per l'assorbimento intestinale del calcio. La carenza di calcio facilita la demineralizzazione ossea e favorisce specie nel soggetto femminile l'osteoporosi. Possono essere presenti inoltre deficit di acidi grassi omega3 presenti in quantità modesta nelle alghe e nella frutta secca; dello zinco il cui assorbimento similmente a quello del calcio e del ferro è inibito di fitati dei
vegetali. Potrebbero verificarsi anche carenze proteiche nei regimi vegani o vegetariani stretti dato che negli alimenti di origine vegetale mancano uno o più aminoacidi essenziali. Tutte queste possibili carenze, come già detto, sono tanto più probabili, quanto più la dieta è ristretta come nelle diete vegane o le diete crudiste o fruttiste che sono inadeguate in periodi particolari della vita come l'infanzia. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che le diete vegane molto restrittive comportano un alto rischio di deficit nutrizionali, ritardi nelle crescita e dello sviluppo psicomotorio e pertanto vanno sconsigliate nella primi anni di vita . Anche nella gravidanza e nell'allattamento e nell'anziano, le diete devono essere correttamente pianificate e integrate con l'assunzione di cibi fortificati e di integratori, per soddisfare le richieste nutrizionali ed evitare gravi carenze ed effetti avversi. Una particolare attenzione va rivolta
agli adolescenti che scelgono improvvisamente una dieta vegetariana sopratutto se è molto restrittiva; tale scelta può spesso camuffare un disturbo del comportamento alimentare.
Nello sport le diete vegetariane sono adeguate grazie al loro elevato contenuto in carboidrati e al basso contenuto di grassi, anche se può essere necessaria una supplementazione con aminoacidi essenziali e carnitina. Una dieta vegetariana adeguatamente pianificata da un punto di vista dei nutrienti è sicuramente benefica e in grado di prevenire numerose patologie cronico-degenerative; la scelta di un regime dietetico vegetariano dettata da varie motivazioni di natura etica, religiosa, economica o salutista è sempre da rispettare, ma non vanno trascurati i danni e le carenze nutrizionali ai quali può andare incontro l'organismo. è necessario evitare il “fai da te” e le notizie superficiali e false diffuse da riviste e da internet, ma rivolgersi ad un nutrizionista che elabori una dieta equilibrata e personalizzata capace di coniugare al meglio la scelta etica con tutti i vantaggi per la salute che la dieta vegetariana può dare.
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CINEMA
cinema
per la
pace
Festival del Cinema di Dubai un ponte per il dialogo tra occidente e mondo arabo Andrea Cianferoni
Dubai Il direttore Abdulhamid Juma con Rosci Diaz Asha Bhosle
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entodiciotto film provenienti da 48 paesi, in 34 lingue, tra cui 55 prime mondiali e internazionali. Sono questi i numeri di un festival del cinema che mai come quest’anno ha rappresentato un ponte tra mondo occidentale e mondo arabo, anche alla luce dei recenti attentati terroristici di Parigi che hanno causato vittime e feriti, creando commozione e reazioni in tutto il pianeta. Il cinema serve anche a questo, mettere in moto la mente e far riflettere sulle sfide per una civile e pacifica convivenza tra popoli. Ad aprire la serata di gala dell’edizione di quest’anno il provocante regista James Marsh con il suo La teoria del tutto interpretato da Eddie Redmayne, la storia del giovane Stephen Hawking, celebre fisico, astrofisico e cosmologo dell’Università di Cambridge che cerca di trovare un’equazione unificatrice per spiegare la nascita dell’universo e come esso sarebbe stato all’alba dei tempi. Nel discorso di apertura
il direttore del festival Abdulhamid Juma ha elogiato la capacità che il festival ha avuto di creare una cultura cinematografica fiorente nella regione arabica, incoraggiando il talento, coltivando la crescita e promuovendo lo sviluppo nel settore della cinematografia. Il Dubai Film Festival accoglie ogni anno nella avveniristica e confortevole struttura congressuale di Madinat Jumeirah, registi provenienti da tutta la regione arabica con una piattaforma che consente di mostrare il loro lavoro agli ospiti internazionali. Diff è un’esperienza culturale unica che ha anche permesso al mondo di far vedere che cosa è realmente Dubai e gli Emirati Arabi Uniti. Tra i giurati dell’edizione di questo anno il vincitore del Golden Globe Emily Blunt che ha assegnato il premio IWC consistente in cento mila dollari al regista kuwatiano Abdullah Boushahri per il suo “The Waters”. Gli altri giurati il produttore e regista americano Lee Daniels, l’olande-
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se Leonard Retel Helmrich, il regista algerino algérien Malek Bensmaïl, l’attrice Virginia Madsen et l’attrice e regista libanese Nadine Labaki.Tra i premiati per la loro carriera pluridecennale il noto attore egiziano
Nour El-Sherif protagonista di oltre 100 pellicole, e l’attrice e cantante indiana Asha Bhosle che nel corso della sua carriera ha registrato più di 12000 canzoni per 850 film. Tra le iniziative dell’ultima edizione The Global Gift Gala, una serata di raccolta fondi, in collaborazione con Dubai Cares ed Eva Longoria Foundation, Sunrise K’ Foundation e Global Gift Foundation che si è svolta nello spazio White Dubai alla presenza di più di 400 ospiti tra i quali Tariq Al Gurg, Khurshid Vakil, Hani Ramzi, Amr Mostafa, Nadine Labaki, Lee Daniels, Bassem Youssef, Mohammed Saeed Harib, Ali Mustafa, Andile Mandela, Waed, Walid Toufic, Rami Al Ali e Ali Younes. L’evento è iniziato con una performance della cantante americana Cody Wise che ha cantato ‘It’s My Birthday’, insieme all’attore libanese Walid Toufic. Oltre 400 mila dollari sono stati raccolti durante la serata con l’asta condotta dal noto battitore Hugh Edmeades. Tra i lotti battuti due biglietti di business class donati da Emirates Airlines per il Monaco Grand Prix, durante il quale il fortunato assegnatario potrà ammirare il gran premio dallo yacht di Eva Longoria. Una scultura di Lorenzo
Quinn battuta per 55 mila dollari. Un cristallo di Swarovski disegnato da Ali Younes, venduto per 45 mila dollari. Una lezione di cucina insieme allo chef stellato Wolfgang Puck, battuta per 35 mila dollari. Molto apprezzato un vip package alle corse di cavalli di Royal Ascot e una macchina fotografica Leica. Durante la serata assegnati anche due premi: The Global Gift Humanitarian Award consegnato a Mohammed Al Ansari, Chairman e Managing Director di Al Ansari Exchange, mentre il Global Gift Excellence Awards è stato consegnato ad Ahmed Ashmawi.
Mohammed Rashid Buali e due ospiti Nour El Sherif Mohamed Karim Asha Bhosle e lo Sceicco Mansoor bin Mohammed bin Rashid Al Maktoum Rosci Diaz Marc Forster, Emily Blunt e Georges Kern e un’ospite Tariq al Gurg ed Eva Longoria Malek Bensmail, Leonard Retel Helmrich, Nadine Labaki, Virginia Madsen, Lee Daniel Sceicco Mansoor bin Mohammed bin Rashid Al Maktoum con Nadine Labaki
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EVENTO
Il Principe gioca a polo con Harry d’Inghilterra disputata la Royal Salute Cup Giampaolo Russo
Il principe Harry e Nacho Gigueras Jackie Stewart Abdulla Ben Desmal, Malcolm Borwick, il principe Harry e Saeed Bin Drai Il principe Harry
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er celebrare la quarta edizione del torneo di polo Royal salute e il decimo anniversario dell’associazione Sentebale, che si occupa di bambini disagiati e malati, il mondo dell’alta società anglosassone si è dato appuntamento al Ghantoot Racing & Polo Club di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, per un torneo di polo benefico. Tra i presenti gli attori inglesi Dan Stevens e Sienna Guillory. Sentebale è stata fondata dal principe Harry d’Inghilterra e dal principe Seeiso del Lesotho in memoria delle loro madri. Tra gli obiettivi dell’associazione c’è l’assistenza di bambini affetti da Hiv (la seconda causa di morte in Africa) e quelli orfani delle madri attraverso programmi di sostegno nei centri di assistenza ed educazione dislocati su tutto il territorio del Lesotho, uno dei paesi più poveri del continente africano. Uno studio di Sentebale dimostra
che una volta scoperto che i bambini sono affetti da Hiv, vengono immediatamente isolati dal nucleo familiare, spesso già con gravi problemi
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sociali ed economici, per il pericolo che essi possono rappresentare per il diffondersi della malattia. Sentebale aiuta i piccoli nel loro percorso
Lo Sceicco ereditario con il principe Harry Gala dinner Nacho Figueras, Delfina Blaquier, Malcolm Borwick Il principe con i falconieri Delfina Blaquier
attraverso un supporto psicologico e sociale. Sentebale, in lingua Lesotho significa “non mi dimenticare”. Insieme al noto brand di Scoth whisky Royal, Salute creato nel 1953 per l’incoronazione della Regina Elisabetta II, rappresenta un’importante realtà, tanto che nel 2010 ha ricevuto il premio “Miglior Pratica” dalle Nazioni Unite per essere “effective, having ethical soundness, cost effective, relevant, innovative and sustainable.” Attualmente Sentebale sta crostruendo il Mamohato Children’s Centre in Lesotho, una struttura di accoglienza che sarà ultimata entro il prossimo anno e che servirà da esempio per gli altri paesi con le stesse problematiche. Oggi non è più una condanna a morte essere Hiv-positivi; ma solo il 25% dei circa 40.000 giovani che vivono con l’Hiv in Lesotho accedono ai farmaci anti-virali. Di conseguenza, ogni giorno molti bambini muoiono a causa di una non corretta comprensione delle giuste cure da seguire.
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“C’è qualcosa che va oltre a un lavoro eseguito a regola d’arte... ci sono la dedizione al risultato e il piacere del compimento...”
PROGETTO KAZI • Il progetto mira a migliorare lo sviluppo delle competenze interculturali sul luogo di lavoro • È indirizzato ai lavoratori stranieri, colleghi e supervisori/datori di lavoro. • Il corso formativo combinerà sia un apprendimento in presenza che a distanza. Sarà basato su metodologie di apprendimento attivo. • La formazione potrà avvenire sul luogo di lavoro, attraverso corsi di formazione professionale e linguistici indirizzati ai lavoratori stranieri. ATTIVITÀ PRINCIPALI Relazione generale sull’analisi dei bisogni; Studio sulla formazione interculturale sul luogo di lavoro Attività di disseminazione Incontro tra nazioni partner il 29/30 Gennaio a Santa Croce sull’Arno. Nei due giorni di meeting i rappresentanti delle nazioni partners hanno ricevuto il benvenuto del sindaco Giulia Deidda e il saluto del vice direttore dell’Associazione Conciatori Aldo Gliozzi e hanno visitato la conceria Nuova Osba di Santa Croce sull’Arno. Da gennaio 2015 i partner organizzeranno corsi di formazione che saranno effettuati sia in presenza che in E-Learning. La formazione, sperimentata sui diversi target group, grazie ad una grande varietà di esercizi pratici, si rivela un utile strumento per garantire un approccio interculturale, consentendo ai partecipanti di arrivare al cuore del problema. Inoltre, rafforzerà le motivazione dei lavoratori facendo sì che si identificano con gli obiettivi della società. Inoltre, questo programma aiuterà i partecipanti a sviluppare la loro capacità di relazionarsi con i colleghi di lavoro/ collaboratori italiani e a migliorare le loro relazioni sul posto di lavoro. Il corso online sarà caricato sulla piattaforma Moodle ed è strutturato in tre moduli indipendenti. I partecipanti possono scegliere di frequentare i due moduli che ritengono più
progetto hanno eseguito traduzioni e adattamenti dei seguenti materiali: • Sviluppo della versione elettronica dell’ I-PACK. • Sviluppo della versione faccia a faccia dell’ I-PACK • attività di disseminazione • Questionario di gradimento del programma formativo. • Opuscoli, manifesti e oggettistica del progetto sono ora disponibili.
utili. I tre moduli riguardano diversi aspetti della ‘‘competenza interculturale’’ dovuta al fatto che tale competenza non è una singola competenza, ma una serie di competenze diverse, atteggiamenti e attitudini. Ogni unità nei moduli di formazione online comprende materiale informativo e video, così come link e altre fonti utili. Alla fine di ogni modulo è previsto un test con il quale verrà valutato se il livello di apprendimento previsto è stato raggiunto. A tutti i partecipanti che concluderanno con successo i moduli sarà rilasciato un attestato di frequenza. Alcuni dei risultati attesi: • descrivere cos’è la competenza interculturale dando possibili esempi di incomprensioni dovute all’inconsapevolezza, sia nella vita privata che sul posto di lavoro. • Descrivere alcune delle dimensioni più comuni di differenze interculturali e adottare un atteggiamento da seguire per cooperare con persone di nazionalità diverse su diversi aspetti, come lo spazio personale, individualità rispetto a collaborazione, mostrare emozioni, importanza del tempo, ect ... • Esporre le differenze interculturali tra il paese di origine e quello ospitante e spiegare come risolverle o minimizzarle. Durante gli ultimi mesi i partner del
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Attività di disseminazione Tutti i partner hanno svolto attività di disseminazione. Inoltre, ulteriori informazioni sono state pubblicate mediante i social network, come Facebook, Twitter e LinkedIn, dove è stata posta una domanda sul termine “integrazione”, invitando a considerare se questo termine è sufficiente a descrivere il processo di adattamento dei lavoratori stranieri o qualcosa di simile a un “reciproco adattamento” sarebbe più appropriato. PASSI SUCCESSIVI • Sviluppo di un manuale sulla consapevolezza interculturale e competenza rivolto ai lavoratori stranieri e i loro colleghi. Sarà prodotto in ogni lingua nazionale e in inglese. • Traduzione del Questionario di gradimento del programma formativo • Controllo e verifica della funzionalità del corso sulla piattaforma Moodle • Avvio della fase di sperimentazione. • Prossimo Incontro transnazionale in Italia. PARTNERS FORIUM , Italy: www.forium.it - info@forium.it Folkuniversitetet, Sweden: www.folkuniversitetet.se ingmarie.rohdin@folkuniversitetet.se Verein Multikulturell, Austria: www.migration.cc office@migration.cc IDEC SA, Greece: www.idec.gr - info@idec.gr SANTURBAN, Spain: www.santander.es proyectoseuropeos@ayto-santander.es Website: www.kaziproject.eu
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MODA
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come vestirà
1953
il
i nostri accessori entusiasmano gli americani Roberto Mascagni
Appena ventenne, il geniale Roberto Capucci diventerà un’icòna della Moda internazionale
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irenze, Palazzo Pitti. Per la prima volta nella sontuosa Sala Bianca della reggia medicea, dal 22 al 26 luglio 1952 Giovanni Battista Giorgini presenta la Quarta sfilata di Alta Moda Italiana. All’ingresso del palazzo montano la guardia gli armigeri del Calcio Storico Fiorentino: ammiratissimi nei loro smaglianti costumi cinquecenteschi. Secondo il programma, il 22 sfileranno i modelli di Alta Moda realizzati da Antonelli, Capucci, Carosa, Ferdinandi, Giovanelli-Sciarra, Polinober. Il 23 Marucelli, Vanna, Veneziani, Cotonificio Val di Susa (presentato da Vanna), Lini e Lane (presentato da Veneziani), infine Italviscosa, presentato da tutti i disegnatori. Il ventenne Roberto Capucci è l’“enfant prodige” della stagione, che «imprime ai suoi modelli un’aria fresca e scanzonata, che innamora». Le sue creazioni, confezionate con i tessuti a mano della fiorentina Tessitura di Rovezzano e quelli dell’Antico Setificio Fiorentino, entusiasmano. Il 25 l’attesa e la curiosità dei compratori – i buyers –, diventa palpabile quando sono annunciati gli abiti sportivi (sportswear) e quelli di boutique: presentati da Pucci, Mirsa, Avolio, Vanna, Bellini, Gaber e Amelia; Spagnoli suscita la generale ammirazione presentando tre vestaglie in leggerissima lana angora: una rosa, una bianca e una celeste, aperte su bianche camicie da notte. Emilio Pucci, sottolinea la stampa, «spicca per il gusto deciso e intensamente coloristico, con abiti già destinati alla futura estate, e già venduti, si dice, “a scatola chiusa” in America». Il 26 è il giorno delle creazioni di Brioni, Effe Zeta, Possenti, Val di Tevere, Formenti, Glaus, Eliglau, La Tessitrice
dell’Isola. Il vestiario chiamato boutique ha dimostrato che la maglieria, finora un primato viennese, sarà conteso dagli italiani. Giacche e cappotti interamente in maglia e diversamente colorati, variamente bordati in colori vivaci, presentano dati di praticità ed eleganza adatti alla vita moderna. Il merito è dei modelli di Emilio, Mirsa, Avolio, Brioni, Possenti, Formenti; Eliglau propone un leggero tessuto di lana dipinto a mano con un procedimento speciale che consente una produzione dal costo relativamente basso, tessuti che sono stati usati anche dalla Casa Veneziani. Un successo. Il Corriere della Sera scrive (25 luglio): Giorgini è «il creatore e l’animatore irresistibile delle fortunate presentazioni di moda italiana che due volte l’anno chiamano qui dall’America qualche centinaio di grandi acquirenti sviando per una settimana il loro itinerario che, una volta, non aveva altra mèta al di fuori di Parigi. Parigi non è sempre Parigi». E prosegue: «Nella Sala Bianca di Palazzo Pitti stavano i compratori americani, i rappresentanti della stampa internazionale, i sarti, le sarte, gli invitati, tutto un curioso
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mondo elegante e competente, critico e raffinato, bottegaio e aristocratico (…). Poche città in Italia (e nessuna certo in Europa) si prestano a manifestazioni come questa che si chiude domani. Essa ha arricchito l’Italia di dollari meritati e guadagnati con le mani e con l’intelligenza e ha diffuso ancora una volta il buon nome di una genialità artistica e artigiana che è tra le più abili del mondo». Ci si domanda: cosa attira il mercato, soprattutto quello americano, alle sfilate fiorentine e in genere all’acquisto e alla diffusione del prodotto moda italiano? Risposta: il prezzo e il buon gusto, la fantasia e l’invenzione dovute alle mani anonime di artigiani che sanno cucire, tagliare, ricamare meravigliosamente, e la qualità dei materiali per confezioni che essi hanno presentato per la prima volta: fibre naturali e fibre artificiali. Mentre si ricorda ancora il pieno successo ottenuto dai nostri più importanti creatori lanieri, invitati a Londra alcuni mesi prima insieme con altri quaranta produttori lanieri giunti da ogni parte del mondo, a Firenze si impone anche la bellezza dei tessuti serici di Como e delle sue lavorazioni; si ammirano gli accessori che completano l’eleganza e caratterizzano un abito o la “personalità” di chi lo indossa: come le scarpe o le borsette. Suscitano meraviglia l’abbigliamento per lo sport e la maglieria. Stupiscono alcune sottane tessute con la semplice paglia: una delle vette del successo e delle vendite fra la clientela americana, cui non sfugge la qualità dei materiali ottenuti da fibre naturali, o da quelle artificiali: colorate o stampate o dipinte a mano, perfettamente disegnate, con ispirazioni che incantano i compratori.
Ogni Casa di mode ha la sua formula, ma su un punto sembrano tutti d’accordo: vestire le donne nel modo più femminile possibile, restituendo loro quella grazia che con la guerra avevano perduta. (Ai giorni nostri, di quel “messaggio” che raccomandava di «vestire la donne nel modo più femminile possibile», non è arrivata nemmeno l’eco). Gli atelier si sono impegnati per far “riscoprire” alle donne gli abiti leggeri. La sarta Germana Marucelli, milanese di adozione ma fiorentina di origine (i Marucelli sono una storica famiglia di Settignano) proclama: «Non più vestiti di cartone, la morbidezza dei tessuti è essenziale alla valorizzazione della femminilità. Gli uomini abbracciano più volentieri una donna vestita di seta che una donna vestita di cartone». I cappotti sono prevalentemente sciolti, le gonne “a sacco” valorizzano le donne snelle; le applicazioni in lana, velluto e taffetà, tutti a quadri, variano gli abiti da mattina. Sono apprezzati gli impermeabili di Glaus e di Brioni, e sempre di Brioni è molto ammirata la giacca ¾ in lana cammello, dal bel taglio classico. Insieme con abiti e cappotti femminili, Brioni presenta cappotti maschili di uguale taglio, suscitando l’entusiasmo dei buyers americani. (Uno “smoking” di Brioni in tessuto nero, è stato direttamente chiesto in esclusiva da New York). Inoltre Brioni propone alle donne modelli e tessuti maschili, ma elegantissimi. L’affermazione dell’impermeabile si deve alla guerra terminata da pochi anni, a quegli indumenti complementari alle divise militari. Il modello più diffuso è quello a “trench”, un tipo di impermeabile con cintura a imitazione di quello dell’esercito inglese. Infatti il suo nome viene dall’inglese
trench coat ossia “cappotto da trincea”. (Memorabile quello indossato dall’attore Robert Taylor, protagonista insieme con Vivien Leigh di un film di grande successo: Il ponte di Waterloo. Realizzato nel 1940, alla sua popolarità contribuì anche il tema musicale del film noto in Italia come Il valzer delle candele). Quasi ogni Casa presenta tessuti di una determinata ditta: qualcosa di simile a quello che succede a Parigi dove i sarti più importanti sono finanziati dalle industrie tessili. Quando Dior aprì nel 1946 il suo atelier a Parigi, poté farlo con il sostegno finanziario di Marcel Boussac, il re del cotone. Ci si rende conto che la concorrenza italiana non può essere fatta sul piano delle stravaganze, ma usando le nostre migliori risorse: cioè i tessuti del nostro artigianato e della nostra industria: quelli della ditta Lini e Lane (di Rivetti), del cotonificio Val di Susa (unico rappresentante torinese alla rassegna), quelli di Vally, il nuovo “tropical” Zenith usato anche per gli abiti maschili «che venivano presentati in pedana con una sfilata a coppie molto indovinate». (L’uomo appare soltanto nel ruolo di “accompagnatore”). La stampa auspica «un’intesa tra case di moda e ditte di tessuti, perché questa unione non potrà soccombere alla concorrenza». Sotto questo nome intanto si affaccia alla ribalta internazionale la Spagna, che a Madrid prepara una mostra collettiva e individuale. (La Spagna non è ritenuta ancora tecnicamente capace di soppiantare Parigi e l’Italia, ma propone prezzi che, per ora, sono la metà di quelli italiani). Lini e Lane presenta un leggero tessuto di lame dipinto a mano con un procedimento speciale che consente una produzione dal costo relativamente
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basso, tessuti che sono stati usati dalla Casa Veneziani. Roseman ha realizzato su telaio a mano tessuti di purissima lana, ottenuti con una lavorazione a “stuoia” che ricorda la stoffa rustica. Eliglau propone jersey di lana stampata a colori diversi, accolti con successo. Il cotonificio Val di Susa espone il tessuto “Popelin Zenith”, con motivi Principe di Galles, rigato in due toni di grigio impiegato dalla Casa Vanna per tailleurs e abiti sportivi. Nelle novità tessili si sono imposti gli abiti del sarto e abile tagliatore Remo Gandini, realizzati con lana e seta, lane a pelo lungo e corto, i velours melangés. Contemporaneamente si svolge nei saloni del Grand Hôtel la mostra-mercato dell’artigianato dedicato ai tessuti e agli accessori della moda: bijoux, scarpe (con tacchi alti), borse, cappelli; scialli con lunghe frange. È una tappa obbligata per i compratori e i giornalisti. Un giornale di New York titola: Le sfilate di moda italiana: il meglio in accessori. Gli oggetti esaltano le capacità creative dei nostri artigiani: sono ornamenti per il collo, le braccia e gli orecchi, realizzati in leggerissima ceramica, variamente trattata per modellare animaletti, fiori, foglie, catene, soprattutto forme astratte. Infine, le indossatrici liberatesi dai modelli proposti per l’inverno successivo, hanno indossato gli abiti da sera. Predominano i tessuti leggeri: chiffon, georgette, tulle e dentelle. I toni sono smorzati come il grigio e lo “champagne”; o accesi come il “rosso coreano”, il “verde veronese”, l’azzurro di Capri, che ricorda lo zàffiro. Questi abiti si completano con mantelli enormi in velluto o in broccato. Sembrano tramontate le scollature, e vengono proposti spallini e le scollature che scoprono ampiamente la schiena.
I figuranti del Calcio Storico Fiorentino sono di guardia davanti agli ingressi di Palazzo Pitti
La Sala Bianca, come si presentava in una fotografia del 1961, nel corso di una sfilata di Alta Moda Italiana organizzata da Giovanni Battista Giorgini. È il medesimo colpo d’occhio che nel luglio 1953 apparve al folto pubblico internazionale formato dai buyers, i giornalisti e dagli ospiti seduti ai lati della pedana, sulla quale, ritmicamente, si alternavano le indossatrici. (Fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo - Firenze www.newpressphoto.it)
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simbolo
cravatta
Arturo Lini
che passione Una cravatta bene
Margherita Casazza
Stefano Cecchi
annodata è il primo passo serio nella vita
Oscar Wilde
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ome ricorderete, nel numero di dicembre avevo raccontato come nasce la cravatta e un po’ della sua storia. In questo numero, come promesso, vi racconteremo un po’ di curiosità sulle cravatte... Nel 1700, presso le corti, l’antenata della cravatta stava crescendo evolvendosi in modo molto particolare. Si attraversava un’epoca ricca di merletti e cominciavano ad apparire fiocchi azzurri e gialli. Questi colori avevano un profondo significato, l’azzurro era sinonimo di nobiltà, la seconda rappresentava il potere. Pensate che in Cina chi osava sfoggiare il giallo veniva addirittura decapitato. Vari esperti si sono cimentati in studi più o meno seri relativi alla cravatta: ne risulta che la cravatta riveste il ruolo di bandiera esibita dall’uomo per comunicare le proprie emozioni ed i propri desideri, di essere, di apparire. I grandi decisionisti si riconoscono dai motivi rigati, i diplomatici di alto livello privilegiano i modelli con stampe griglia di staffe e catenelle.
I colori e le fantasie possono influenzare il vostro e altrui umore e diventare imbarazzanti in determinate situazioni. Mi riferisco soprattutto alle cravatte Regimental, che non devono essere confuse con le cravatte a righe. Dal punto di vista estetico sembra che non ci siano troppe differenze, ma i loro significati lo sono. Le cravatte regimental sono originarie dei club e dei college inglesi. Indossare una cravatta con i colori di un reggimento, di un college o di un club è indice di appartenenza a tali istituzioni. Gli stranieri comprano questo genere
David Nieven
La cravatta nera è tipica di personaggi abituati alle tenebre e che non vogliono comunicare nulla di sé, spiazzando così l’interlocutore. Molti rampanti banchieri di Wall Street optano invece per il giallo acidulo della “power tie”. Gli altri scivolano su tranquilli beige. I “polka dot”, quelli che volgarmente chiamiamo pois, sono un melange fra chi non vuole svelarsi ma desidera emergere facendo contenti tutti. Infine i modelli “conversational” ovvero creati per favorire l’approccio: esempi immediati sono i piccoli disegni che riproducono un hobby, come le forbici per il giardinaggio, le pipe per i fumatori o i collezionisti, le automobiline e via dicendo. Da qualche metro non si distinguono i disegni, ma una volta vicini saltano all’occhio. E possono diventare motivo di scambio di vedute, magari con la semplice domanda di una signora come “per quale motivo ha fatto questa scelta?”
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Giuseppe Lambertucci
Emilio Patrizio
di cravatte senza conoscerne il significato, creando imbarazzo a colui che indossando una cravatta con colori di un famoso club di cui non è affatto membro, potrebbe incontrare un cliente d’affari inglese appartenente a un club rivale. Gli inglesi conoscono molto bene i colori utilizzati dai club, pertanto il rischio di fare una gaffe, soprattutto in Gran Bretagna, è piuttosto alto. Riporto alcune curiosità sui significati della scelta del colore della cravatta: rosso = playboy, infedele incallito azzurro = nobiltà, disponibilità e rilassatezza blu = poca fantasia verde = riposante, tranquillo, è scelto dai politici centristi. Sembra che più di altri capi di abbigliamento essa rappresenta arma di sicurezza, simbolo fallico, ma soprattutto specchio fedele di se stessi. Una cravatta annodata in un modo piuttosto che in un altro, rivela il nostro umore e il nostro atteggiamento. Si dice che colui che indossa una cravatta dal nodo grosso ed allentato sia gioviale e di buon cuore, mentre, un uomo dal nodo piccolo e stretto sia egoista, avaro e poco comunicativo. Mentre per i disegni e le fantasie delle cravatte caratterizzate da motivi geometrici, come quadri strisce o piccoli disegni, potrebbero indicare l’aspirazione all’ordine. Le strisce sembrano denotare uno
Oscar Wilde
sforzo organizzato, il desiderio di seguire una linea, da qui le ben note cravatte “reggimentali” britanniche dalle strisce trasversali. Le strisce larghe possono rivelare persone di carattere esuberante, mentre quelle sottili possono essere indizio di mente incline alla precisione e alla meticolosità. In genere più grande è il disegno, maggiore è l’impegno fisico: si potrà scegliere una cravatta con disegni grandi per una gita in macchina, mentre una con disegni piccoli per andare in ufficio. Più di qualche altro accessorio, dunque, la cravatta è anche un’affermazione del proprio “IO”, della propria personalità, poiché è il più chiaramente visibile degli indumenti. Quindi cambiare la cravatta significa, anche, cambiamenti di stati d’animo e di idea. La lunghezza standar della cravatta si aggira attorno ai 150 cm, anche se non è raro trovarla lunga 165 cm. Il perché di questa lunghezza è da ricercare in due fattori principali: l’altezza di colui che la indossa ed il tipo di n o d o adottato. La prima incide molto sulla lunghezza della cravatta, in quanto, una volta indossata ed annodata, per vestire al meglio, deve arrivare all’altezza dei pantaloni. La seconda, influisce in misura maggiore, semplicemente perché più il nodo sarà elaborato e più tessuto impegnerà, rendendola più corta. È importante ricordare che una cravatta, per vestire perfettamente, deve nascondere la striscia verticale di bottoni della camicia. La cravatta comunica continuamente, eliminarla sarebbe un po’ come smettere di parlare. David Nieven diceva «Ditemi che ho sbagliato una battuta, ma non che ho sbagliato cravatta» e, considerato che possedeva tre stanze zeppe di cravatte, sicuramente aveva una precisa idea di ciò di cui parlava. Oscar Wilde scrive nella sua opera L’importanza di chiamarsi Ernesto la frase storica e densa di significato: «Una cravatta bene annodata è il primo passo serio nella vita». Nelle prossime uscite di Reality del 2015 parleremo di stoffe, colori, fan-
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tasie, simbologie, modi di indossarle e personaggi del mondo che hanno fatto della cravatta un proprio segno distintivo incontrerete inoltre alcuni originali interpretazioni della cravatta dovuta ad artisti contemporanei, attinte a una cospicua collezione della quale anticipiamo qui pochi esemplari.
Gianfranco Pacini
Mauro Rea
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design
alle pareti
un ventaglio di colori come rendere camaleontica la vostra casa Annunziata Forte & Cristina Di Marzio
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on l’arrivo della primavera, si avverte in molti un desiderio di cambiamento che è declinato in molti modi. C’è chi questo desiderio di rinnovamento lo rivolge alla propria casa. Il desiderio è legittimo e il suo soddisfacimento auspicabile, ma in tempi di crisi bisogna raggiungere il giusto equilibrio tra volere e potere e, soprattutto, spendere al meglio quel che si può. Per dare nuovo appeal alla propria dimora senza attuare cambiamenti radicali, quindi onerosi, bisogna porre l’accento su elementi particolari in grado di fare la differenza. Dopo aver deciso cosa cambiare, sarà importantissimo come procedere. Un tocco di colore alle pareti funziona sempre quale elemento d’innovazione. Non occorrono “dosi massicce”, ma è importante individuare un colore che funzioni da fondale per il resto dell’ambiente e lo valorizzi. A ogni modo, la scelta del colore è solo un primo passo. Occorre ora trovare la giusta tonalità. In ciò la sensibilità dell’architetto che lavora con spazi, colori e materiali tutti i giorni, sarà fondamentale. Giocare d’azzardo è possibile, ma allora bisogna tenere a portata di mano un barattolo di vernice bianca per azzerare decisioni non adeguatamente ponderate e dettate dal “fai da te”. Sì al colore, dunque, ma anche a superfici trattate in maniera materica e con tecniche particolari, che aggiungeranno un tocco di ricercatezza alla nostra parete colorata. In alternativa alle vernici, possiamo colorare le pareti applicando carte da parati di “nuova generazione”: bellissime, resistenti ed economiche, facilmente lavabili ed estremamente durevoli. è così che grandi marchi hanno interpretato con eleganza e raffinatez-
za questo classico dell’arredamento. Altri elementi dell’arredamento che rinnovati garantiscono un sicuro effetto, nuove atmosfere e piacevoli sensazioni, sono i tessuti. Le nostre scelte
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possono spaziare dai tessuti optical ai damascati, dai tweed alla seta moirè. Ai disegni con rapporto fisso, si affiancano fantasie nuove a schema libero e la riproduzione di immagini fuori scala. Possiamo giocare e scegliere motivi e materiali e oggi c’è un grande ritorno di classici tessuti del passato rivisitati in chiave contemporanea, nei colori come nelle dimensioni. Abbiamo infatti fatto cenno ai “fuori scala”, cioè all’ingrandimento dei motivi decorativi dei tessuti che quando adoperati, rifanno sicuramente la stanza. Se deciderete di dare un tocco di colore rinnovando i vostri tendaggi, un consiglio che possiamo dare a tutti è quello di non lesinare sulla quantità: meglio optare per un tessuto meno prezioso, ma scelto da un occhio attento nelle giusta tonalità di colore e nel giusto materiale, che rivolgersi a stoffe più dispendiose per poi lesinare sul metraggio. Corrediamo queste brevi note con una serie di immagini che speriamo suscitino la vostra curiosità e mettano in moto il vostro personalissimo desiderio di cambiamento.
foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz
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grafologia …Il poeta è un grande artiere, / Che al mestiere / Fece i muscoli d’acciaio: / Capo ha fier, collo robusto, / Nudo il busto, / Duro il braccio, e l’occhio gaio.
Giosuè
A
ndiamo a studiare la scrittura di un altro “toscano illustre”, il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906: Giosuè Alessandro Giuseppe Carducci, che trova i natali a Valdicastello di Pietrasanta, il 27 luglio del 1835. Il padre medico, Michele Carducci, da giovane fu un cospiratore rivoluzionario. Il piccolo Giosuè mostra da subito un carattere ribelle, selvatico, amante della natura, tiene in casa una civetta, un falco e un lupo. D’altro lato però il padre dispone di una discreta biblioteca, in cui si riflettono le predilezioni classico-romantiche e quelle rivoluzionarie. Qui Carducci può leggere l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, la Gerusalemme liberata e conoscere la Storia romana e quella della Rivoluzione francese. La famiglia di Carducci vive in povertà ma Giosuè che non può frequentare le scuole, impara ugualmente il latino grazie alle lezione private di un sacerdote e del padre. Per motivi politici il padre è costretto a spostarsi varie volte con la famiglia sino ad approdare nel 1849 a Firenze. Qui Giosuè cominciò a frequentare il liceo acquisendo una sempre più sorprendente preparazione in campo letterario e retorico. Nel 1853 si iscrisse alla Normale di Pisa alla Facoltà di Lettere, dedicandosi allo studio anima e corpo, con quell’amore estremo di cui già aveva dato prova negli anni precedenti. L’umore però variava a seconda dei giorni, ogni tanto la porta era aperta in segno di accoglienza, e i compagni chiassosamente entravano. Non si negava talvolta lunghe fuoriuscite per la città con gli amici, e appassionate serate al Caffè Ebe, dove si riunivano alcuni intellettuali pisani e il futuro vate dibatteva appassiona-
tamente per ore di politica e letteratura bevendo il ponce. D’altra parte, i normalisti lo ammiravano e gli volevano bene, consci inoltre del fatto che quando si avvicinavano gli esami era opportuno “tenerselo buono”. Nel 1856 conseguì la laurea in filosofia e filologia. Carducci aveva la vocazione per l’insegnamento pubblico, inizia subito a fare il Professore mentre non avrebbe mai voluto pubblicare i suoi componimenti poetici. Fu convinto dagli amici, a causa dei debiti contratti. Si era sempre opposto a “prostituire” i propri versi per un pubblico che, secondo lui, non li avrebbe compreso. Nel 1859 si sposa con Elvira Menicucci, dalla quale avrà cinque figli. Ma sono gli anni cruciali del Risorgimento: Carducci indica chiaramente la propria appartenenza ideologica alla fazione che voleva l’Italia unita e il ricongiungimento con il Piemonte, in opposizione agli obiettivi dei filo-granducali propugnatore di un ritorno alla libertà municipale. Nel 1860 gli viene affidata la cattedra di Eloquenza italiana, in seguito chiamata Letteratura italiana presso l’Università di Bologna, dove rimarrà in carica fino al 1904 quando fu costretto a lasciare l’insegnamento per motivi di salute (muore nel 1907 per cirrosi epatica). Riveste alcune cariche politiche: fu eletto deputato al Parlamento e senatore. Fu membro del Consiglio Superiore dell’Istruzione. Dette in questo contesto prova del proprio temperamento incorruttibile e volto unicamente al bene della scuola del futuro. Per questo, spesso e volentieri, respingeva personaggi caldamente raccomandati dalle Facoltà di appartenenza e particolarmente “protetti”. Non risparmiava neppure gli amici. Riceve nel 1906 il
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Carducci
Premio Nobel per la letteratura, ma il poeta, già ammalato, non si recò a Stoccolma, limitandosi a ricevere in casa propria l’ambasciatore di Svezia in Italia. « Non solo in riconoscimento dei suoi profondi insegnamenti e ricerche critiche, ma su tutto un tributo all’energia creativa, alla purezza dello stile ed alla forza lirica che caratterizza il suo capolavoro di poetica » (Motivazione del Premio Nobel) La scrittura Carducci si stacca dal modello dell’epoca: lo semplifica inserendo alcune personalizzazioni, le forme sono angolose, gli ovali stretti e appuntiti. Il movimento è dinamico ma cadenzato, come una marcia. Troviamo però anche gesti più liberi: lanci, colpi di frusta, finali acuminate. L’inclinazione è marcata, la tenuta del rigo ascendente. Lo spazio è pienamente occupato come un campo di battaglia affollato. I collegamenti tra lettere sono assidui. Quella del Carducci è la scrittura del bilioso, secondo le tipologie Ippocratiche utilizzate dalla Scuola grafologica francese, rivela l’indole passionale e idealista di un uomo fiero e battagliero, più d’azione che intellettuale, che si sente investito di una missione civile. Una natura non conciliante come mostrano gli angoli, la durezza del grafismo, le taglienti acuminazioni, le mazze. Non manca tuttavia la capacità di venire a patti con la realtà, di mediare questa passionalità attraverso la cultura: finali frenate, spazio tra parole, sforzo di non intricare nonostante i prolungamenti in alto e basso, qualche gesto regressivo.
Maria Laura Ferrari
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tendenzA
capelli
taglio corto quest’anno Eleonora Garufi
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iondi, mori, lisci, ricci, lunghi o corti. Indiavolati o chiome da salice piangente, insomma, se non l'avete ancora capito la Moda Primavera di Reality è dedicata ai capelli. Sulla nostra testa ci sono circa 150.000 capelli che crescono con una media di 1,3 cm il mese e che definiscono, caratterizzano e danno l'espressione finale ai nostri volti. Cornice dei lineamenti, il capello è storicamente un fattore estetico di culto e seduzione nonché estremamente significante dal punto di vista simbolico e culturale. I capelli servono ad esprimere ciò che siamo e quel che vogliamo essere. Secondo le antiche civiltà i nostri capelli sono l'estensione dei nostri pensieri, forse è vero o forse no. Certo è che sono un grande strumento di comunicazione per quanto riguarda la nostra personalità: abbiamo snaturato la nostra chioma dalla sua funzione biologica, decorandola, colorandola e tagliandola dandole quindi, inevitabilmente, una connotazione sociologica. Il nostro parrucchiere di fiducia diventa il nostro confessore personale e più che un diploma in taglio e colore, dovrebbe avere una laurea in psicologia per ascoltare i nostri problemi e darci il giusto consiglio per il look più adatto al nostro viso. Infatti il taglio dei capelli e un cambio di colore, specialmente quando avvengono in maniera drastica e repentina, sono significanti di cambiamenti radicali nella persona stessa: nuovo fidanzato, nuovo lavoro, nuovo approccio alla vita o magari qualche rinuncia. I dettagli dell'acconciatura, della
“scalatura”, della frangia o del ciuffo ci raccontano invece note più intime: un appuntamento, una nota caratteriale dolce piuttosto che spigolosa. Insomma dimmi come porti i capelli e ti dirò chi sei! Per l'avvicinarsi della primavera c'è un vero e proprio manuale di cura dei capelli che possiamo sintetizzare in pochi punti nodali, per rimanere in tema: stravaganza moderata meglio un taglio corto liscio è meglio che riccio colori vivaci e a base di miele acconciature vintage immancabile frangetta Se fin'ora non hai mai tagliato i tuoi capelli mantenendo una lunga chioma lucida con la divisa nel mezzo, questa primavera è il momento di cambiare.
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Il vintage investe i saloni di bellezza: acconciature con boccoli cadenti, incastri di fiori e divisa laterale segnano già i look delle ultime passerelle. Il must dell'anno è il taglio corto: dal semplice caschetto, al sofisticato carrè, passando per i boyish, tagli da ragazzo, che garantiscono sensualità e romanticismo dalle sfumature aggressive rock. E per il colore si spiazza dalle ciocche rosa e turchese, a tonalità miele e ramate. La frangetta? L'importante è sapere che non tutti i visi sono adatti a questo taglio, quindi non devi farla solo perché pensi di essere catapultata nel “meraviglioso mondo di Amelie”! Adesso non ti resta che decidere per quale taglio sei adatta, a meno che tu non abbia un diavolo per capello, avrai tutto il tempo perchè ogni nodo venga al pettine e per trovare il miglior taglio adatto a te.
CURIOSITà
mode di moda pillole sulle tendenze 2015
Vegan
Time
re matu u sf 0 5 film gio: il ri g di
c'è E poi Cattelan Eleonora Garufi
N
ell'era dell'attenzione, del ritorno alla terra e ai prodotti bio, trova spazio la cucina vegana. Se qualcuno è vegano per moda, c'è invece una vera comunità culinaria di vegani che abolisce totalmente dalla dieta qualsiasi prodotto animale o da esso derivati. Una rinuncia ai sapori? No. Piuttosto la scoperta di una dimensione alimentare più sana, a prova però di portafogli.
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e il libro aveva sbancato ogni classifica di lettura per il suo contenuto al peperoncino coinvolgendo donne e uomini di tutte le età, l'attesa per il film è incandescente. In uscita in Italia per il 12 febbraio, sembra aver già sbancato tutti i botteghini. A questo punto speriamo che valga la pena.
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a quando è il presentatore indiscusso di X Factor, Alessandro Cattelan è come il prezzemolo, ovunque. Dalla tv alla Radio fino al cinema. Torna ora su SKY Uno la seconda stagione del suo late night show accompagnato dalla presenza musicale degli Street Clerks. Un po' night club, un po' confessionale, sempre gremito di interessanti ospiti con una conduzione sopra gli schemi. Tutti i giovedì in seconda serata, su Sky Uno. Ci piace!
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Anno XVII n. 1/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00