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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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20161

Anno XVIII n. 1/2016 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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EDITORIALE

Il mare d’inverno I

l mare d’inverno. Non è il titolo d’una canzone; o meglio: lo è, ma non mi riferisco a quello. Non è neppure una licenza poetica, mica voglio far rivoltare qualche decina di persone nella tomba! È una semplice riflessione di come sia bello il mare in quel periodo. Certo, con la calda stagione tutto è agevolato: si gira in libertà, ci si rinfresca con grandi bagni e ci si asciuga al sole, si prende la tintarella, mentre il mare è calmo. D’estate, per il gran concorso di gente, le spiagge sono affollate e spesso piene di caos. Non è il massimo per chi ama immergersi nell’ambiente marino, ma occorre avere pazienza, perché specialmente per noi italiani, il turismo è fonte di ricchezza e non possiamo farne a meno. Però il mare d’inverno è tutt’altra cosa: una fresca brezza ti sfiora il viso; con la burrasca onde giganti si scaricano sulla spiaggia deserta dove si passeggia benissimo. Io ci vado spesso perché mi piace raccogliere legnetti depositati dal mare sulla riva, per poi dilettarmi in decorazioni d’arredo. Lo scenario è stupendo e si respira un’aria satura di iodio. Qualcuno passeggia sulla spiaggia o gioca con il cane mentre i gabbiani volano nell’aperto cielo o posano tranquilli qua e là, sulla battigia. In molti il clima delle spiagge invernali suscita un senso di malinconia e di smarrimento, che per altri si fa addirittura ansioso. Sarà perché induce un ripiegamento non sempre pacificante su se stessi, nella propria intimità, tanto che l’ambiente viene percepito come una specie di gabbia che non consente di muoversi nella piena libertà corporale e di partecipare l’animazione del contesto estivo. In gabbia ci stanno gli uccellini, gli animali feroci e qualche rappresentante della specie “homo ferinus”, invero pochi rispetto ai tanti che vivono “coperti”, esercitano in incognito o si danno alla macchia. A parte le eccezioni, per quanto numerose, la generalità degli uomini non vive più in gabbia, in regime di schiavitù. Noi siamo liberi, non vi pare? Lo siamo certamente rispetto alle grate delle prigioni e ai ceppi che stringevano i piedi degli schiavi. Però metaforiche catene ancora ci legano. Siamo condizionati non dal potere di uomini o donne, ma da stili di vita, atteggiamenti, pregiudizi. Senza rendercene conto, noi oggi siamo intrappolati in gabbie d’oro, che ci portano sempre di più a possedere e ad accumulare. Dovremmo preoccuparci solo di ciò che veramente ci occorre, non alla massa di cose che il sistema dei consumi ti fa credere che siano necessarie. Il consumismo non è sinonimo di progresso, badate bene, e il modello di società che propone è un mondo di illusioni. Come dicevo, anche i pregiudizi ci ingabbiano, ci chiudono in noi stessi e nella nostra ignoranza, ci fanno credere che sia giusto solo quel che noi consideriamo tale, senza tener conto degli altrui pensieri ed esigenze che, in fin dei conti, non ci riguardano personalmente e dunque non ci interessano. Se ci recassimo più di frequente sulla spiaggia d’inverno, a osservare il volo libero dei gabbiani e ascoltare il fragore delle onde mentre si passeggia lungo la battigia, forse più facilmente potremmo trovare, oltre ai tesori portati dalle mareggiate, un equilibrio nelle nostre scelte di vita e nelle nostre considerazioni del valore delle cose.

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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina: Figura seduta vetroresina cm 35x25x25

Reality numero 79 - marzo 2016 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2014 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

www.ctedizioni.it info@ctedizioni.it 6


SOMMARIO

ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 25 28 30 32 35

In viaggio con Franchi GAMC Dove nasce l’arte La nascita di un mito In missione nel contado Ceramicando con Zapparoli Cadere nel cielo Buon viaggio, Sergio

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Il Giardino di Boboli 50 Ville e castelli di Toscana 52 Borghi toscani 55 56 Camminare, una scoperta senza fine La vasca 58 Voltare pagina 59 March 61 London Film Festival 62

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L’Incanto e il Peso dei Giorni XV edizioni Premio Catarsini L’arte in Italia Libri prigionieri con Manzella Vade retro trasgressore livornese! Fermo, prego, sorrida un po’!

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SOMMARIO

spettacolo EVENTI economia società COSTUME 64 66 68 70 73

Zoolander Teatro Niccolini Tra la vanga ed il fucile Cenerentola spensierata Bontà, disinteresse, pacifismo

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86 Bianco, rosa, turchese, verde pallido Cassandra 89 Tutti ai fornelli 90 Cialdoni rinascimentali 92 La salute? Si gioca a tavola 93 Mimosa di moda 94 Antiche pillole di primavera 95

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Un flash sul 2015 Drunk Turtle Kazi Arte a tutto tondo Artista per caso? Galà anni Trenta Non solo fashion week

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artista

in

viaggio con

Franchi

Nicola Micieli

Amo la scultura perché è concreta, in senzo fisico. La posso abbracciare, accarezzare, percorrerla visivamente da tutti i lati sorprendendomi ogni volta della sua mutevolezza. Nelle visioni da lontano, dal basso, dall’alto, negli scorci m’incanto nel suo armonizzare, attraverso la luce che la rivela, con l’ambiente che l’accoglie divenendo essa stessa luogo e ambiente. Nel suo divenire raccoglie e registra tutti gli stati d’animo che si provano nel realizzarla, emozioni, soddisfazioni e fallimenti, fatiche e gioie, finché non decido che lei esiste e non può essere che così. Franchi, 2016

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l solare gineceo scultoreo di Franco Mauro Franchi approdava nell’estate 2014 a Livorno, accolto a Villa Trossi, che ha il mare a vista nel cannocchiale della strada. Si metteva in scena – e non è un modo di dire, considerando l’interazione che nello spazio non neutro si verifica tra le partiture scultoree e il contesto segnato da evidenze naturali e architettoniche – la prima personale, invero di ampio respiro, che lo scultore teneva nella propria città. Veniva da dire: finalmente! Nella geografia delle installazioni di Franchi mancava, difatti, una cospicua e certo propiziatrice “invasione” livornese, dopo che le sue veneri matriarcali

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erano state protagoniste di numerose esposizioni temporanee e collocazioni permanenti in siti e contesti storici e museali di grande prestigio, non solo italiani. Ad attestare la considerazione internazionale di cui gode la scultura di Franchi basterebbe già, tra le altre, la mostra tenuta nell’ormai lontano 1991 in Svizzera, dove peraltro egli è di casa. Lo accoglieva allora, come più volte negli anni avvenire, la Fondation Gianadda di Martigny, nelle cui sale hanno sostato sempre e solo autori viventi d’alto profilo e maestri storici fondativi della scultura moderna. Nel seguito, tra gli altri memorabili approdi, ricordo l’allestimento


Rosa, vetroresina, cm 140x100x110, Teatro Romano di Fiesole

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del 2006 nel giardino del Museo Archeologico di Firenze disseminato di reperti del mondo antico, segnatamente etruschi e romani. Con i quali le veneri matriarcali di Franchi intrecciavano – come nel 2013 sarebbe accaduto nella Villa Medicea di Cerreto Guidi e al Teatro Romano e Museo Archeologico di Fiesole, e l’anno dopo nella villa ottocentesca della Fondazione Trossi Uberti a Livorno, appunto – silenziosi ed empatici colloqui, svelando la loro vocazione a secondare l’onda lunga delle propagazioni ed evoluzioni e a raccogliere e rilanciare le sottese consonanze delle civiltà artistiche. Gli appassionati di dietrologia avranno forse sospettato chissà quale recondita motivazione dietro la prolungata assenza, o per meglio dire la presenza sporadica e frantumata della scultura di Franchi nel “teatro” livornese delle mostre. Penso che i medesimi dietrologi considerino i livornesi, noti per essere amatori e cultori della pittura, scarsamente interessati alla scultura, e non da oggi. Cosa non vera, se si guarda al volto della città che gli scultori, non solo locali, hanno variamente segnato nel corso del Novecento. Lo sa chi ha cominciato a studiare e a volte svelare i non pochi e non irrilevanti scultori – ricordo Tarrini, Guiggi e De Angelis, il maestro di Franchi, tra i primi che mi vengono in mente – già attivi nel territorio livornese, per lo più attestati su una pur diramata linea di continuità della tradizione classica, sulle linee e gli sviluppi della ripresa scultorea italiana operata da Arturo Martini e Libero Andreotti. Non configurandosi, beninteso, alcuna riduzione in qualche modo localistica del linguaggio plastico e dello stile che contrassegnano in modo inequivocabile la forma scultorea di Franchi, dalla postazione litoranea di Rosignano dove è nato e abita, e quella d’entroterra di Carrara, nella cui Accademia tiene cattedra di scultura, avendo lo sguardo aperto sulla più sensibile e avvertita scultura contemporanea, ma anche giustamente attento alle voci sommerse ma ancora percepibili e suadenti della scultura antica e moderna, dai padri etruschi ai greci, da Maillol a Degas, Franchi è oggi sicuramente tra i pochi della sua generazione che nel panorama italiano rappresentano

Figura seduta, vetroresina, cm 100x50x60 Villa Trossi, Livorno pagina a fronte Bagnante, bronzo, cm 91x140x100 Aurora, vetroresina, cm 78x106x76 Villa Trossi, Livorno

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Figura seduta, bronzo, cm 130x125x90, lungomare Livorno


Due figure sulla spiaggia, pastello su carta, cm 100x70

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pagina a fronte Femme assise pastello su carta intelata, cm 180x150

Figura raccolta vetroresina, cm 45x80x50 Teatro Romano di Fiesole

e qualificano in modo vigoroso e fecondo la scultura toscana e implicitamente la scultura livornese. Nessun retroscena, ma solo il favore dell’occasione, nella lunga attesa che le bronzee veneri matriarcali approdassero in folla nella terra di Franchi, nella città che, al contrario delle apparenze, l’opera degli scultori l’ha sempre apprezzata, come dimostrano i loro non pochi inserti pubblici registrati dal Cinquecento in poi. Tra i quali è augurabile che se ne aggiunga uno dello stesso Franchi, quale deposito degli attuali approdi. Magari la Bagnante approdata come le altre a Livorno, ma al contrario delle altre fermatasi poco oltre la battigia – le spalle al mare da dove proviene e dove idealmente riprenderà a navigare, perché al mare appartiene la sua natura insulare – a crogiolarsi al sole e salutare i passanti. Il grande ritardo d’una degna rappresentazione livornese andava dunque colmato, ed è stato fatto in modo pertinente al carattere e adeguato alla portata dell’artista, che è scultore dalla testa ai piedi e sin nel midollo. Spirito e corpo immersi e realizzati nella scultura. Le veneri approdate a Livorno coprivano un arco temporale di trenta e più anni. Non poche le versioni in vetroresina di opere a scala ambientale collocate in spazi pubblici e privati in Italia e altrove nel mondo. Alle quali si aggiun-

gevano, in stretta correlazione dei maestosi impianti, degli arditi scorci prospettici e posture, delle dilatate volumetrie, alcuni grandi dipinti e più numerosi disegni dei quali discorreva in catalogo della mostra voluta dalla Fondazione Trassi-Uberti, Veronica Carpita, alle cui penetranti osservazioni c’è poco da aggiungere. Mi limito qui solo a segnalare come nella specificità tecnica e linguistica che li rende autonomi, i dipinti e i disegni svelano davvero la mano e direi la forma mentis dello scultore, essendo talora addirittura preparatori della scultura. Nel senso che una certa conformazione trovata falcando senza ripensamenti la linea volumetrica, suggerisce la trasposizione, ovviamente non omografa, nella scultura. Specialmente le carte vergate di carbone, sanguigna e pastello, colorate a liquide e come assorbite o decantate velature di colore, paiono cartoni da pittura parietale evocativa di altra e più lontana dimensione del tempo. E non sfuggirà come queste veneri solitarie o raccolte in piccoli gruppi, quando non siano modelle in posa, sono regolarmente riprese in ambienti marini sullo sfondo variamente azzurrato dell’acqua e del cielo. Vi sono scogli dintorno e scogli paiono esse stesse nel paesaggio che naturalmente le include. Mi piace pensare che non siano estranei alla gestazione di questi rapimenti e

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sopori e ostensioni e colloqui ancillari, voglio dire delle loro maestose conformazioni, gli scogli di lungocosta livornese a Franchi confidenti, da Calafuria a Castiglioncello; e che da quegli scogli idealmente le veneri scorgano e vagheggino gli scogli di lungocosta e insulari della Grecia e dell’esteso Mediterraneo. La mostra livornese consentiva dunque di apprezzare intera l’estensione e la portata del lavoro compiuto da Franchi in quella che insisto a chiamare, e so che la formula appare desueta, la “scultura scolpita”. Ossia eseguita procedendo esclusivamente a “cavare” (secondo l’etimo) il “soverchio” michelangiolesco dal blocco compatto oppure – come più spesso usa fare Franchi – modellando la creta o altro materiale che si aggiunge o si toglie secondo necessità. In ogni caso, e nel caso di Franchi senza alcuna deroga che non sia la sbozzatura sommaria dei blocchi marmorei di particolare mole, si presuppone la conduzione diretta dell’opera: vera e propria partecipazione corporale dalla quale solamente la scultura assume il respiro e la carnale sensibilità ed espansione dell’organismo plastico. Che è cosa ben diversa dalle partiture scultoree formalmente ineccepibili e magari squisite, la cui sigillata perfezione denuncia una discendenza essenzialmente mentale. Rispetto alla quale


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non intendo esprimere qui un giudizio discriminante di valore o di legittimità, dato che le vie della scultura sono infinite. Intendo solo segnalare un’appartenenza del lavoro di Franchi alla grande tradizione della scultura moderna, che reca inequivocabilmente i segni e il fiato, dunque gli umori e la vibrazione emotiva dell’uomo. Non è certo tautologico parlare di “scultura scolpita” oggi che alla categoria della scultura si ascrive qualsiasi inserimento o collocazione di oggetti che determinino anche virtualmente una relazione nello spazio. Il che comporterebbe per lo meno una diversa designazione nominale. Le giunoniche ancelle che popolano pressoché incontrastate l’iconosfera di Franchi, si insediavano nel parco e nelle sale di Villa Trossi come a un approdo. Non è impropria né meramente letteraria la metafora marinara della traversata delle acque tirrene, che in figura di opulente deità terrestri, le sculture compivano dalla loro ideale scaturigine mediterranea. Sbarcare e acclimatarsi è stato un solo momento. Il tempo di riconoscere e occupare ognuna la propria postazione, isolata ma in interfaccia, dunque interagente con le altre, ripetendosi qui quel gioco dei colloqui già rilevato. Ciò accade perché ogni scultura è essa stessa un “luogo” circondato da una sua aura, un riverbero, un alone di luce che è il riflesso o meglio il rilascio della luce solare assorbita. È la personificazione della terra, la sacra rappresentazione in figura ancillare della terra che ci ha generati e alla quale ritorneremo. La Grande Madre arcaica e arcana dell’antica religione della terra. Le veneri di Franchi sono state propriamente definite “isole”; aggiungo che viste insieme, formano un disseminato arcipelago che vorrei dire erratico. Nel senso che invitano alle partenze e agli approdi dell’immaginario. Sembra che astanti o variamente sedute, sdraiate ad accogliere nella pienezza sciorinata del corpo la luce o immerse nel sonno, e nel sogno di una nuova navigazione, ognuna di loro abbia sempre abitato il sito o la stanza, il luogo nel quale sosta, lei che viene da lontano. E in ogni luogo del lontano dove la conduce il destino, posata sulla terra dalla quale par generata, le membra raccolte, il busto sostenuto dalle braccia poderose come enfiate colonne, abbia lo sguardo non perso nel vuoto, bensì mirato a un pur indefinito punto oltre l’orizzonte. Dove vorrà condurre l’osservatore incantato. foto di Irene Franchi Maternità, vetroresina, cm 175x81x100 Villa Trossi, Livorno

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Franco Mauro Franchi è nato nel 1951 a Rosignano Marittimo (Livorno) dove risiede ed opera. Ha compiuto gli studi artistici presso l’Istituto Statale d’Arte di Lucca e l’Accademia di Belle Arti di Firenze sotto la guida degli scultori Vitaliano De Angelis e Oscar Gallo, maestri fondamentali nella sua formazione tecnica e linguistica. Nel 1976 entra, come assistente, alla Scuola di Scultura di Oscar Gallo, presso l’Accademia fiorentina e vi resterà fino al 1989, anno in cui vince il concorso nazionale a Cattedre, classificandosi al primo posto. Gli viene così assegnata la Cattedra di Scultura dell’ Accademia di Belle Arti di Foggia che terrà per un anno. Ottenuto il trasferimento su quella di Bologna vi resterà fino al 2000, anno in cui gli viene assegnata la sede di Carrara, Accademia dove tuttora svolge il suo magistero tenendo i corsi di Scultura del Triennio

e del Biennio, curando altresì la specialistica relativa alla fonderia artistica. Ha partecipato a numerose e prestigiose rassegne d’arte, come la Quadriennale di Roma e la Biennale di Venezia, la collettiva d’arte “Le avventure della forma”, palazzo Mediceo, Seravezza, LU. Ha vinto premi, come “Premio Albacini” Accademia di San Luca in Roma. Ha tenuto numerose esposizioni personali, come quella alla Fondazione Pierre Gianadda, Martigny (Svizzera), al Museo Archeologico di Firenze, alla Villa Medicea di Cerreto Guidi, a Fort Barraux in Francia, personale di scultura all’aperto Museun Anna Norton garden Sculpture di Palm Beach Florida, personale di scultura, disegni e acqueforti “Isole” Cecina, “La lanterna della pittura”, personale di sculture e disegni, a cura di Alfonso Panzetta, Rocca Possente di Stellata, Bondeno (Ferrara), Villa Frabboni a San Pietro in Casale Bologna, personale di

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scultura e disegni, Villa Medicea, Cerreto Guidi (Firenze), personale di disegni e Sculture a cura dell’associazione culturale Il Valore del Segno, Centro per l’Arte Diego Martelli, Castiglioncello, museo e parco Archeologico di Fiesole “Sogni Mediterranei”, mostra in spazi civici del comune di Pontassieve, personale antologica “Approdi alla Grande Madre” alla Villa della Fondazione Trossi Uberti di Livorno. Ha eseguito opere monumentali per spazi pubblici e privati in Italia e all’ estero, come in Piazza Francia a Firenze, Piazza della Libertà a Cecina, Rue Du Forum Martigny CH, Villa Gerbé a Miami USA e Raifukudai Mine Yamaguchi in Giappone. Lavora con eguale partecipazione la pietra e il bronzo, esprimendo un senso della forma ampia e solare, che aspira a rappresentare, nell’immagine predominante della donna, la forza vitale che pervade l’universo.

Mediterranea vetroresina cm 190x135x120 Teatro Romano di Fiesole


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museo

GAMC

Viani e le collezioni comunali viareggine

Alessandra Belluomini Pucci

GAMC Lorenzo Viani Palazzo delle Muse Piazza Mazzini 55049 - Viareggio tel. 0584-581118 e-mail: gamc@comune. viareggio.lu.it ww.gamc.it Orario: 1° settembre - 30 giugno dal martedì alla domenica dalle ore 15.30 alle ore 19.30 dal 1 luglio al 31 agosto dal martedì alla domenica dalle ore 18.00 alle ore 23.00 lunedì chiuso

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a politica del governo di una città deve proporsi obiettivi ambiziosi recuperando il senso profondo dell’azione culturale come impegno per la trasformazione dell’esistente, per il dispiegamento di tutte le potenzialità di una città, per il miglioramento della vita di una cittadinanza. Una città ha bisogno di coltivare le sue memorie per costruire il futuro su basi solide, per restituire agli abitanti un’identità collettiva fondata su valori condivisi. Viareggio ha una straordinaria tradizione che rischiava di disperdersi nella trascuratezza e nell’oblio. Nel primo piano dell’ottocentesco Palazzo delle Muse, nei suoi bellissimi ampi spazi è stata inaugurata, nell’aprile del 2008, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lorenzo Viani”. In un nuovo spazio interamente dedicato all’arte, che occupa una

superficie di 1600 metri quadri, la GAMC si appresta a diventare uno dei più interessanti poli espositivi a livello internazionale grazie ad un ricco patrimonio costituito da oltre tremila opere, provenienti, soprattutto, da donazioni di privati e dalle acquisizioni del Comune di Viareggio. Nel 1925 l’Amministrazione acquista il capolavoro di Lorenzio Viani, la Benedizione dei morti del mare, ma la realizzazione della collezione pubblica avviene nel 1979 con l’acquisizione di cinquanta opere della collezione Varraud-Santini e nel 1993, con l’accoglimento della donazione Lucarelli. Questi passaggi stimolarono l’Amministrazione a istituire, nel 1994, la Pinacoteca Viani allestita nelle sale del piano terra di Villa Paolina. La realizzazione del museo incentivò nuove e importanti donazioni concesse dagli eredi di illustri artisti del territorio come Alfredo Angeloni, Vinicio Ber-

Lorenzo Viani, Benedizione dei morti del mare 1914-1916, olio su tela Enrico Baj, Generale 1972, litografia colorata con applicazioni

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ti, Uberto Bonetti, Alfredo Catarsini, Moses e Nello Levy, Renato Santini, che andarono a congiungersi con la prestigiosa collezione del Premio Viareggio, creata negli anni Settanta e Ottanta, e a un rilevante numero di opere afferenti alla collezione comunale costituita da singole e multiple donazioni.


Nel 2000, in seguito al desiderio di donare la cospicua collezione di opere d’arte, manifestato dal senatore Giovanni Pieraccini e dalla moglie Vera, viene avviata la progettazione del nuovo museo presso Palazzo delle Muse. La donazione Pieraccini si compone di 2019 numeri, il corpus delle opere rappresenta una interessante rassegna sulle maggiori ricerche artistiche del XX secolo tra pittura, scultura e grafica. Oltre settecento gli artisti presenti nella raccolta Pieraccini, una variegata antologia che spazia dagli Impressionisti (Manet, Pissarro, Morisot, Gauguin, Bonnard, Signac) alle Avanguardie storiche (Pablo Picasso, Juan Mirò, Marc Chagall, Paul Delvaux, Max Ernst, André Masson, Natalia Gonciarova, Max Klinger, Sonia Delaunay) alle correnti contemporanee (Sebastian Matta, Man Ray,

Alechinski, Appel, Cesar, Dubuffet, Calder, Lichtenstein, Oldemburg, Arp, Vasarely). L’arte italiana del ‘900 è rappresentata in numerosi suoi aspetti da Felice Casorati ad Afro, da Giovanni Fattori a Giuseppe Capogrossi, da Giorgio De Chirico a Enzo Cucchi, da Ottone Rosai a Mimmo Rotella a Piero Dorazio, Giulio Turcato, Umberto Mastroianni, Pietro Consagra. La GAMC, inoltre, presenta la più importante raccolta pubblica di Lorenzo Viani (1882-1936): il corpus dell’artista viareggino complessivamente ammonta a 103 pezzi fra cui 18 matrici xilografiche e l’unica scultura ad oggi nota del Maestro, esponente dell’Espressionismo europeo. Il percorso museale si presenta oggi scandito in due sezioni, la collezione permanente, nell’ala nord e la collezione temporanea, nell’ala sud, dove a rotazione vengono presentate le numerose donazioni e le mostre temporanee. Nell’impossibilità di esporre tutte le opere e per consentire di ammirare il copioso patrimonio, interamente pubblicato sul sito www.gamc.it, è stata realizzata, nel percorso museale della Galleria, una saletta che

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ospita l’Archivio digitale interattivo. Una postazione multimediale, realizzata dal Laboratorio di Robotica Percettiva della Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa, dove è possibile ammirare tutte le opere di proprietà comunale attraverso una sofisticata applicazione che permette di osservare, con immagini ad alta definizione, i minimi dettagli di ogni singola opera. L’Archivio Digitale interattivo non solo offre la possibilità di ammirare le opere conservate nei depositi, ma è anche uno strumento importante per poter creare percorsi didattici tematici rivolti alle scolaresche e al pubblico interessato. La GAMC è una grande realtà artistica e culturale destinata ad accrescere il ventaglio di risorse del nostro territorio. Una preziosa vetrina sull’arte italiana ed europea del XX secolo con non pochi riferimenti al panorama artistico di Viareggio e della Versilia. Una duplice fisionomia che consentirà alla GAMC sia di proporsi come centro museale internazionale, grazie ad opere di notorietà mondiale, sia di documentare l’identità culturale della nostra comunità.

Luigi Boille, Senza titolo 1967, olio su tela Lorenzo Viani, Volto Santo 1913-1915, tempera e olio su tela Lorenzo Viani, Scolara al banco 1920, acquerello su carta Afro (Afro Libio Basaldella) Pozzuoli, mezzotinto a colori


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MUSEO

dove nasce

arte

l’ Ada Neri

Pietrasanta. Museo dei Bozzetti

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hi attraversa i loggiati del cinquecentesco convento di Sant’Agostino a Pietrasanta, si trova circondato da un gran numero di bozzetti e generi stilistici che vanno dal Novecento al Contemporaneo. Ma che cos’è il bozzetto, cosa rappresenta? È l’idea originaria, il progetto dell’opera, il work in progress della scultura che, una volta realizzata, va a collocarsi in varie parti del mondo. Visitare questo Museo è un’esperienza quanto meno originale, un po’ come vedere un albero dalla parte delle radici. È un viaggio all’origine dell’idea creativa prima che si fissi nella forma definitiva dell’opera. Un’immersione nei linguaggi dell’arte, tra sensibilità ed esperienze culturali di scultori di diversa provenienza e maturità ed un’inaspettata scoperta del procedimento tecnico e del prezioso lavoro degli artigiani locali. Il bozzetto infatti spinge l’osservatore a comprendere il processo della nascita di una scultura, come, quando, insieme a chi e dove quella forma è stata plasmata. Se li osserviamo vediamo che possono essere di vari materiali, ma soprat-

tutto sono di gesso. Le loro misure variano da pochi centimetri ad alcuni metri e si definiscono “bozzetti” se in scala diversa rispetto all’opera finita e “modelli” se in dimensioni reali. Parlano una lingua arcana e trasmettono storie che coinvolgono ed emozionano perché celano vite di artisti e artigiani indissolubilmente legate all’arte. Se abbiamo un po’ di pazienza – ogni bozzetto è accompagnato da un QR code che fornisce le informazioni – di ciascuno possiamo cogliere aspetti particolari che ci fanno meglio comprendere la scultura e i suoi nessi. Facciamo degli esempi. Un bozzetto ci può raccontare il momento creativo, l’immaginario del possibile, ciò che l’artista pensa di plasmare nella materia più nobile. Il raffronto fra bozzetti di artisti diversi che riguardano il medesimo soggetto, può indicarci le differenti cifre stilistiche, la con-

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cezione, l’equilibrio, la forza espressiva nell’affrontare un certo tema. Facendo un confronto con l’opera finita, possiamo vedere le difformità, le coincidenze, il diverso rapporto di scala, oppure quanto non ha trovato forma nella scultura ed è rimasto solo nel sogno dell’artista, magari per le modifiche al progetto richieste dalla committenza. Altri gessi possono portare i segni della realtà del lavoro degli scultori e dei loro collaboratori artigiani. Sono segni legati al dato materiale, tecnico e operativo, quali chiodi e punti segnati nel gesso per riportare le misure nella traduzione in opera, o linee per sottolineare l’andamento delle forme. Poi c’è il diverso modo di lavorare degli artisti, con bozzetti appena “abbozzati”, o con modelli perfettamente corrispondenti nelle forme e nelle dimensioni. Altre implicazioni: un bozzetto può essere pensato indifferentemente in qua-


lunque materiale o specificatamente per uno di essi – marmo, bronzo, terracotta, mosaico – e di conseguenza può riportare indicazioni scritte a matita, tagli per le forme e così via… Possiamo dire che la casistica è infinita, in quanto ogni espressione si genera attraverso un processo originale e individuale che coinvolge soggetti e situazioni diverse. Ma come è nato il Museo? Nei primi anni Ottanta la critica d’arte, giornalista e fotografa danese Jette Muhlendorph, ebbe l’idea di costituire una raccolta di gessi per testimoniare il legame di Pietrasanta col marmo delle Alpi Apuane e l’arte della scultura, illustrare la creazione e realizzazione di un’opera in marmo e in bronzo partendo da un bozzetto, valorizzare generazioni di artisti ed artigiani che qui praticano scultura e documentare le indelebili tracce che essi hanno lasciato. Il primo nucleo del museo si formò quando, in seguito all’organizzazione di rassegne sull’attività degli artisti in Versilia in rapporto ai laboratori locali, alcuni scultori e artigiani donarono alla città i bozzetti e i modelli esposti. Contemporaneamente nacque il Documentart, un apposito archivio fotografico e documentario. Nel 1984 venne ufficialmente istituito il Museo e nel 2007 fu intitolato a Pierluigi Gherardi, artefice della nascita e della crescita del Museo e degli Istituti Culturali del Comune di Pietrasanta. Il Museo è ospitato nel suggestivo complesso di Sant’Agostino e la sua attività si inserisce nell’ambito dell’organizzazione degli Istituti Culturali comunali. La ricchezza di aspetti che possono essere presi in considerazione partendo dal bozzetto danno vita a continui progetti di ricerca ed eventi che ne trasmettono i risultati. È una realtà vivace con una collezione sempre in crescita – conserva oltre 700 bozzetti – e con uno stretto contatto

con gli artisti e gli artigiani della città che partecipano con generosità alla vita del Museo. Visti gli spazi ristretti, il Museo espone al pubblico solo una parte del proprio patrimonio e mostra virtualmente l’intera collezione nel totem collocato lungo il percorso. L’intento è sempre quello di valorizzare e divulgare le più importanti testimonianze artistiche della scultura moderna e di riflesso di indagare la figura dell’artigiano, compagno di lavoro inseparabile dell’artista. In poche parole, aggiungere un tassello alla costruzione della storia “materiale” della scultura. Nel Museo sono conservati i bozzetti di scultori internazionali a partire dall’inizio del Novecento al contemporaneo – tra gli altri Davide Calandra, Antonio Bozzano, Edoardo Rubino, Pietro Bibolotti, Jacques Lipchitz, Francesco Messina, Leone Tommasi, Henri Georges Adam, Isamu Noguchi, Carlo Sergio Signori, Emile Gilioli, Costantino Nivola, Alicia Penalba, Gigi Guadagnucci, Pietro Consagra, Pietro Cascella, Cesar, Beverly Pepper, Maria Papa, Arturo Carmassi,

Augustin Cardenas, Niki De Saint Phalle, Dani Karavan, Gio’ Pomodoro, Giuliano Vangi, Fernando Botero, Jean Michel Folon, Jorgen Haugen Sorensen, Romano Cosci, Novello Finotti, Anna Chromy, Barryi Flanagan, Helaine Blumenfeld, Igor Mitoraj, Ivan Theimer, Kan Yasuda, Hanneke Beaumont, Maki Nakamura, Nall, Nicolas Bertoux, Maria Gamundi, Cynthia Sah, Giuseppe Bergomi, Girolamo Ciulla, Gilbert Lebigre, HeunSun Park, Gustavo Velez e tanti altri ancora – inoltre bozzetti della produzione tradizionale – arte classica, sacra, funeraria – e alcune esemplificazione delle tecniche di lavorazione artistica – marmo, bronzo, mosaico, terracotta, modellatura in creta, formatura in gesso. Ideale prosecuzione all’aperto del Museo è il Parco Internazionale della Scultura Contemporanea, costituito da opere monumentali donate dagli artisti e poste in spazi pubblici. L’ampio percorso si snoda tra strade, piazze e giardini della città e, assieme alle botteghe artigiane, alle numerose gallerie e alle grandi mostre stagionali sulla piazza del Duomo e nella chiesa di Sant’Agostino, conferisce alla città una connotazione tipica che le vale il nome di “piccola Atene” della Versilia.

Per informazioni c’è un bellissimo sito http:// www.museodeibozzetti. it/ dove è possibile anche un tour virtuale.

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ARTE

la nascita d’un mito

Michelangelo e il marmo delle Apuane

È

Michelangelo che ha fornito al mito delle cave apuane la più potente certificazione, fin dal suo primo viaggio a Carrara, nell’autunno del 1497. Appena ventiduenne, lo scultore aveva avuto commissione di realizzare un gruppo marmoreo raffigurante la Pietà dal cardinale Jean de Bilhères de Lagraulas, conosciuto anche come il cardinale di San Dionigi, all’epoca ambasciatore di Carlo VIII alla corte di papa Alessandro VI. Si era pertanto recato sull’antica cava del Polvaccio per procurarsi il blocco di marmo di cui aveva bisogno, dando avvio a quei rapporti intensi, difficili, burrascosi con i cavatori di Torano, di Miseglia, di Colonnata che caratterizzeranno tutte le future collaborazioni fra lo scultore e gli uomini delle “Vicinanze” carraresi. Le numerose lettere del Buonarroti, insieme ai “Ricordi” che diligentemente l’artista annotava, restituiscono la

complessa e sofferta vicenda di un uomo costretto a misurarsi con la montagna, con l’imprevedibile natura e consistenza dei giacimenti, con l’inaffidabilità degli uomini, con la violenza delle passioni e degli interessi, con la prepotenza del potere. E il mito si alimenta nella visione della grande edicola di Fantiscritti, che suggerisce all’artista l’idea di scolpire un colosso in una parete nuda delle Alpi Apuane, così grande da poter essere visto anche da lontano dai naviganti. Un’idea, un’intenzione: non una leggenda, perché di questo suo irrealizzato progetto parla Ascanio Condivi nella biografia di Michelangelo, scritta quando lo scultore era ancora in vita e dallo stesso approvata. E Condivi ricordava che anche in tarda età l’artista si rammaricava di non aver mai portato a compimento quel suo sogno di marmo. A Carrara tornava nel maggio del 1505, per procurarsi i blocchi necessari alla realizzazione della fastosa e monumentale sepoltura del papa Giulio II, che lo aveva chiamato in Vaticano all’inizio di quello stesso anno affidandogli il prestigioso incarico. Il secondo soggiorno di Michelangelo a Carrara durò circa otto mesi. Tutti i marmi destinati alla sepoltura di Giulio II erano stati trasportati a Roma, e facevano bella mostra di sé sulla piazza della basilica di San Pietro. Purtroppo di lì a poco il papa, per vari motivi, cambiò proposito. Cominciò con il non dare udienza allo scultore che chiedeva il rimborso dei danari già anticipati per l’acquisto dei marmi e per i noli delle barche, finché un giorno, cacciato dall’anticamera del papa da un palafreniere, indignato e furibondo

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Michelangelo fuggì da Roma e fece ritorno a Firenze. Poi, cedendo alle insistenze del Vaticano e della Signoria di Firenze, nel dicembre del 1506 incontrava il papa a Bologna. Otteneva il perdono ma anche un ingrato compito: quello di realizzare una sua statua colossale in bronzo, che lo tenne impegnato per circa due anni nella città assediata e minacciata dalla peste. Tornato a Roma, sperava di poter riprendere il lavoro della sepoltura, ma Giulio II lo mise a dipingere la volta della Cappella Sistina, iniziata nel maggio del 1508 e terminata ai primi di ottobre del 1512. Nel febbraio dell’anno successivo moriva Giulio, il papa guerriero. L’erede, Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, dette subito incarico a Michelangelo di progettare di nuovo la tomba dello scomparso e di realizzarla entro sette anni. A Carrara lo scultore tornava nel mese di luglio del 1516 e poi nel

Costantino Paolicchi

Ricostruzione del progetto di Miche­langelo del 1505 per la tomba di Giulio II (De Tolnay, 1954) La cava del Polvaccio nel bacino marmifero di Torano (foto P. E. Chelli) Torano, Anonimo sec. XVII, ASM, Biblioteca 49-30 (aut. min. n. 109). Nel bacino marmifero di Torano, a monte del paese, sono situate le cave di Sponda e Polvaccio che fornirono molto marmo a Michelangelo

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mese di settembre con la prospettiva di rimanervi a lungo. Prende infatti a pigione la casa di Francesco Pelliccia posta in prossimità del duomo. Ha bisogno di marmi per portare a termine il lavoro della sepoltura di Giulio II. Ma ha bisogno di marmi anche per un altro prestigioso incarico: la realizzazione della facciata della chiesa fiorentina di San Lorenzo. Questi due progetti rappresenteranno le grandi “tragedie” della vita di Michelangelo. Era accaduto che il nuovo papa Leone X (Giovanni de’ Medici), in occasione della sua fastosissima venuta a Firenze il 30 di novembre del 1515, aveva pensato di legare il proprio nome ad un’opera prestigiosa a vantaggio della sua città, e aveva pertanto deciso di far realizzare la facciata incompiuta di San Lorenzo, la chiesa della famiglia Medici in gran parte progettata dal Brunelleschi. Molti architetti e artisti di chiara fama, tra i quali Giuliano da Sangallo e Raffaello, predisposero subito dei disegni, ma Michelangelo – avuto sentore della cosa – si attivò prontamente e preparò una serie di schizzi. Alla metà di dicembre del 1516 si recò da Carrara a Roma per eseguire di persona un disegno della facciata, che ottenne l’approvazione del pontefice. A questo punto inizia una delle vicende più tormentate della vita del grande scultore. Per realizzare entrambe le opere negli ultimi mesi del 1516 si trova a Carrara, dove stipula una serie di contratti con i cavatori e predispone ogni cosa per il trasporto dei marmi a Firenze, perché era nelle sue intenzioni portare avanti il lavoro nella sua città, in uno studio che farà costruire in via Mozza. Il papa Leone X e il cardinale Giulio de’ Medici, futuro papa Clemente VII, faranno di tutto per costringere Michelangelo ad abbandonare i suoi abituali fornitori di Carrara e portar-

A. Puccinelli (1822-1890), Michelangelo nelle cave di Carrara, Palazzo della Prefettura, Massa (foto Archivio Bessi) Michelangelo, progetto di alzato della facciata di San Lorenzo (progetto finale), Casa Buo­narroti, Firenze Raffaello, Ritratto di papa Leone X, 1516-1520, Galleria degli Uffizi, Firenze

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si nel Capitanato di Pietrasanta per dare avvio alle nuove cave dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Sarà un braccio di ferro durissimo che alla fine costringerà lo scultore a trasferirsi a Seravezza nel marzo del 1518. Sarà proprio Michelangelo a fornirci le prime descrizioni di Seravezza e delle sue montagne, dove si dannerà l’anima per circa due anni a “… domesticare i monti e ammaestrare gli uomini”, logorando le proprie energie in una prova impossibile per i mezzi di cui disponeva: aprire una strada lungo una valle profonda per raggiungere l’Altissimo, la mon-

tagna sacra dei Liguri Apuani, dove lui stesso aveva scoperto vasti giacimenti del marmo più candido e più docile allo scalpello che uno scultore potesse mai sperare. Quella montagna straordinaria era diventata la sua ossessione: nelle pareti precipiti (che D’Annunzio, secoli dopo, assimilò idealmente al “…ventoso peplo di Nike”, apportando alla mitopoiesi apuana nuove fantastiche visioni) e nelle profondità dell’Altissimo Michelangelo sentiva palpitare “…un popolo di statue addormentate”, per usare un’altra immagine dannunziana. In realtà lo scultore

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fece di tutto, prima di venire a Seravezza, per ottenere dall’Opera di Santa Maria del Fiore una deliberazione che lo autorizzasse, per tutta la vita, a cavare gratuitamente marmo statuario dal Monte Altissimo. Poi sappiamo com’è andata. Sappiamo che la strada iniziata da Michelangelo fu portata a compimento dal duca Cosimo I più di quarant’anni dopo il “breve” di papa Leone X del febbraio 1520, che sollevava l’artista di Caprese dall’incarico della facciata di San Lorenzo. E la seconda grande tragedia della sua vita s’era così consumata.

Le cave di Trambiserra, aperte nel 1518 da Michelangelo Buonarroti (foto C. Paolicchi) La chiesa di San Lorenzo a Firenze agli inizi del Novecento (foto Alinari) Il monte Altissimo in prossimità della Polla. Il ravaneto è pieno dei detriti di escavazione della cava della Mossa, attiva al momento in cui è stata scattata la fotografia, ca. 1994 (foto C. Paolicchi)


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ARTE

in missione nel contado Francesco Botticini di Firenze Paolo Pianigiani

Francesco Botticini, Tabernacolo di San Sebastiano, Museo Parrocchiale di S. Andrea, Empoli. nella pagina a fianco: Francesco Botticini, Madonna con Bambino, attorniata da due angeli e i Santi Benedetto, Francesco, Silvestro e Antonio Abate. Metropolinan Museum di New York

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uesta volta vi racconto la storia di due tavole d’altare, dipinte da Francesco Botticini (1446-1497), fiorentino, fondatore di una bottega di pittori, continuata dal figlio Raffaello. Francesco era figlio di Domenico, anche lui pittore, ma specializzato in “naibi”, cioè nella illustrazione di carte da gioco, diffusissime nei palazzi e nei castelli dell’epoca. Non ha lasciato un’impronta troppo personale nella storia dell’arte, addirittura il Vasari scambiò una parte della sua produzione con quella del più celebre Sandro Botticelli, al quale si avvicinava con l’amore per il dettaglio nella natura e nelle figure, con la resa idealizzata dei volti angelici. A Empoli realizzò due tabernacoli d’altare, a distanza di tempo. Ci interessa qui il primo, dipinto per una cappella del lato sinistro della Collegiata, dedicata a San Sebastiano. Due bellissimi angeli, insieme ai donatori, fanno da cornice alla scultura in marmo di Antonio Rossellino. La storia del Santo è narrata, nei particolari, nella predella, che è stata

oggetto di un altro articolo già pubblicato su Reality (n. 75, marzo 2015). L’altra tavola, una Madonna con bambino e Santi, fu dipinta da Francesco per la compagnia della Madonna della Croce, per la loro cappella della chiesa di San Salvatore, a Fucecchio. La base in legno fu commissionata all’artigiano locale Lorenzo di Bartolo, fatta in casa insomma, e poi mandata alla bottega fiorentina per navicello. La somma concordata fu di 80 fiorini d’oro, pagati a rate dai confratelli in natura, in ragione di tante staia di grano corrispondenti alla somma pattuita. Nel 1783 la Compagnia venne soppressa da parte del Granduca Pietro Leopoldo, seguace dei dettami del Vescovo di Pistoia Sebastiano de’ Ricci. Passò fra le proprietà del Capitolo della Collegiata di Fucecchio e da lì, ridotto a ben poca cosa dal tempo e dall’incuria degli uomini, nel 1856 fu venduto dai preti al collezionista pisano Giuseppe Toscanelli. Nella sua collezione rimase fino al 1883, quando fu venduto dalla casa d’aste milanese Giulio Sambon, dopo essere stato esposto al teatro fiorentino Politeama, appositamente affittato per l’esposizione delle opere della collezione Toscanelli. Dopo essere approdato a Londra, la tavola passò alla collezione di Carl Hamilton fino al 1938, per poi essere acquistata da George Hann, che nel 1961 la regalò al Metropolitan Museum di New York, come lascito in memoria della madre Annie. Dal 1996 la tavola di Francesco Botticini è in qualche modo tornata a casa; una copia fotografica su tavola fa bella mostra di sé sulla parete di destra della ex cappella della Madonna della Croce sul Poggio Salamartano.

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Dal Tabernacolo di San Sebastiano dipinto per Empoli intorno al 1480 e la Pala d’Altare di Fucecchio, commissionata nel 1495 passano 15 anni, e restano intatte le caratteristiche peculiari del pittore fiorentino, con l’amore per i dettagli naturalistici, la capacità quasi calligrafica di riprodurre i tessuti, la disposizione delle figure nello spazio alla ricerca, ancora acerba, dei rapporti che altri maestri porteranno alla perfezione. Ormai incombe il pieno Rinascimento, che risplenderà presto nel mondo con il trio delle meraviglie, Leonardo, Raffaello e Michelangelo.


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ARTE

ceramicando con Vinicio Zapparoli

Nicola Micieli

Stazioni dell’Allegoria dell’Arno, 2013 La ceramica esce dal forno Le varie forme della vita, 2015

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a ceramica, si sa, è figlia della terra e del fuoco: della mutazione propriamente alchemica che nelle più intime fibre della terra si compie all’abbraccio e alla compenetrazione ardente del fuoco. Nel crogiolo della fornace la materia plasmata dalle mani dello scultore, riceve dal fuoco che la possiede, il suggello della vita nella durevole forma ceramica, luogo della sua identità artistica. Come dal grembo inseminato di Tellus Mater germina la vita. Come dalla fucina fumigante e fiammeggiante nelle latebre etnee ed eolie, Vulcano forgiava le saette di Giove e le armi degli eroi. La scultura in ceramica di Vinicio Zapparoli in vario modo, sotto specie formale e simbolica, celebra la primaria, stringente e struggente relazione tra la

terra e il fuoco, la passione dalla quale derivano le metamorfosi della materia e gli inneschi vitali, nel laboratorio alchemico della natura generatrice. Nel proprio laboratorio Zapparoli dà forma e smalto a maschere, figurati calici, composte, anzi mutagene opere plastiche nelle quali natura e cultura, realtà e immaginazione si incontrano e si ibridano dando luogo a organismi e oggetti e fantastiche creature. Si intitola Le varie forme della vita una scultura in ceramica di lunga gestazione, infine compiuta nel 2015, con la quale Zapparoli poneva e risolveva le componenti concettuali e le traduzioni visive del tema terra/fuoco nella sintesi figurale dell’uovo, archetipo di proiezione cosmica della cellula e della vita. Un guscio d’uovo che sta per il pane infornato della terra e oblungo e deformato in mutazione, trasversalmente spaccato per la natività implume del pulcino, al culmine ferito per la natività vaginale umana, e in basso il cretto dal quale traspare il fuoco che ancora lo abita e lo alimenta. Sul versante delle metamorfosi ignee, tra le altre opere conformate a totem d’una certa barbarica ridondanza di figure emblematiche in complementare funzione ornamentale, due si distinguono per l’esplicita intenzione rappresentativa del tema. La prima è La ciminiera (2014), imponente scultura consacrata dal fuoco nella fornace all’aperto di La Rotta a Pontedera, quale memoria storica di un luogo nel quale le parole impastare, modellare, asciugare, cuocere, sfornare i laterizi erano correnti del linguaggio, e della fatica, di uomini e donne piegati al lavoro lungo il fiume. Zapparoli traduce la ciminiera della fornace, alla cui base colloca una maschera guerresca che pare forgiata da Vulca-

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no, nella figura emblematica d’un dragone slanciato verso il cielo, dalle cui fauci spalancate, come dal cratere d’un vulcano, all’apertura del forno mobile sprigionavano lingue infiammate che parevano provenire dalle viscere della terra, appunto. Serpente e orifiamma, dunque: creatura simbolica di collegamento tra la terra e il cielo. Il titolo della seconda, La terra genera mostri (2011), rimanda all’occasione espositiva per la quale è stata concepita, sul tema della follia, che è poi per Zapparoli il tema del “guardare oltre” ovvero accecato dei folli, sguardo visionario che dai recessi d’ombra del profondo, e qui letteralmente dalle magmatiche viscere del figurato vulcano, erutta un’analoga, vieppiù mostruosa, come dire meravigliosa figura


di dragone dalle irte fauci spalancate, che reca sul proprio corpo, come adagiate, appese, inserite, parzialmente inglobate, infine quali reliquie deposte alle falde del cratere, le testimonianze ed i simboli dell’umana passione e della storia. Merita segnalare, tra gli altri elementi morfologici del linguaggio di Zapparoli, quello di più evidente rimando geologico che ricorre in molta parte della sua scultura in ceramica, sino a farsi vero e proprio tratto stilistico. Mi riferisco non solo alle pur frequenti asperità crestate, agli squarci e incrinature, ai coaguli e alle inclusioni materiche del corpo plastico verificabili nelle opere sulle quali abbiamo indugiato. Penso ancor più alla modulazione plastica delle masse per scanalati andamenti ondulari, che suggeriscono la forma come fossero isoipse e costituiscono il tema stilistico in opere “anomale” quali la gigantesca Cravatta (2013), le numerose maschere antropomorfe che di quella conduzione paiono rivestirsi come fossero bendate, infine, sotto specie di acqua corrente, in quella straordinaria Allegoria dell’Arno (2013) qui non riproducibile che in alcune poche stazioni. Si tratta di una scultura in itinere lungo il corso del fiume, capolavoro concepito in sequenza filmica e narrativa, ogni cui tratto è un quadro e una situazione di vita e di morte, dalla fonte configurata come vagina della terra alla foce che è il paterno mare del suo dissolversi.

La cravatta, 2013 La terra genera mostri, 2011 La ciminiera, 2014

foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz

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mostrA

cadere nel cielo Francesco Gurrieri

Roberto Giovannelli, febbraio 2016, studio per obelisco con Frammenti celesti, olio e lamina oro su terra cotta, cm 100x26 Lo studio dell’artista, con Autoritratto. Roberto Giovannelli, 2013, Portatore di paesi, olio su tavola e lamina oro in cornice dorata, cm. 30x25.

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a Valdinievole è la più silenziosa, la più dolce, la più incantevole delle valli toscane. Da Coluccio Salutati al Giusti, al Fucini e Ferdinando Martini, è riuscita a rimaner fuori dalla virulenta occupazione turistica manifestatasi altrove così che, ancor oggi, affacciandosi da Mosummano Alto o dalla terrazza di Massa Cozzile è ancora possibile godere di un paesaggio che ben ritroviamo negli sfumati di Leonardo. Così, passata Serravalle e la Torre di Castruccio, prima di arrivare a quella città di “nuova fondazione” voluta dal Granduca Pietro Leopoldo e progettata da Gaspero Maria Paoletti, oggi nota come Montecatini Terme,

si traversa il territorio di Pieve a Nievole. Qui, adagiato a godere del sole “a bacìo”, c’è lo studio di Roberto Giovannelli, di un artista vasarianamente formatosi, fra la pittura, la scultura, le biografie e la letteratura artistica. Ma Giovannelli è, soprattutto, un genius loci, davvero un’entità naturale e soprannaturale oggetto di culto e legata a un luogo: la Valdinievole, appunto! Infatti, anche se ha insegnato all’Accademia di Firenze, di Bologna, di Carrara e si è formato alla Rijksakademie di Amsterdam, siccome nullus locus sine Genio, alla fine, è proprio qui, nella silenziosa Valdinievole, che possiamo ancora godere di uno studio d’artista, di una conversazione, di una riflessione filologica quieta e appagante. È ciò che ho provato io, recentemente, in visita in questo atelier dove gli olii, le tempere, i pastelli, le sculture, sono un tutt’uno con le monografie d’arte, con i trattati, con i tanti appunti che accompagnano i suoi studi e i suoi amori, da Giovanni da Sangiovanni al meno noto artista dell’Ottocento. Già, Giovanni da Sangiovanni, un artista considerato “secondario” fino ad alcuni decenni or sono (se pur nobilitato dai lontani studi del Giglioli e della Banti), tanto da mandarne quasi in malora le meravigliose lunette del portico della Santa Maria della Fontenuova; lunette che, come dimostra l’ultimo omaggio del Giovannelli, devono essere state determinanti per la sua vocazione artistica e per la sua “cifra” espressiva: ritengo infatti che il tondo degli Uffizi di Giovanni Mannozzi da Sangiovanni – Apollo e Fetonte – sia da considerare il paradigma dell’intera sua ispirazione. La geometria compositiva, la delicatezza cromatica, la postura delle figure

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Il Museo d’Arte Contemporanea e del ‘900 Villa Renatico Martini di Monsummano Terme (PT) ospiterà dal 19 marzo al 12 giugno 2016, la mostra di Roberto Giovannelli Cadere nel cielo curata da Paola Cassinelli. Nella Sala delle Colonne circa 50 opere (disegni, modelli, prime idee, taccuini, incisioni, dipinti di piccole e grandi dimensioni) testimoniano aspetti di un percorso poetico dagli anni ’80 a oggi, maturato nell’alveo del disegno, della fabulazione, di criteri narrativi strutturati in uno spazio di cosmica improbabilità. Tra le opere esposte, quali suggestioni visive legate alla terra d’origine dell’artista, la Valdinievole, si trovano alcune lunette ispirate ai dipinti di Giovanni da San Giovanni nel portico di Santa Maria della Fontenuova a Monsummano Terme. Nel corso dell’esposizione, sabato 28 maggio, come elemento complementare alla propria ricerca e percorso creativo, Roberto Giovannelli presenterà il suo nuovo volume Memorie di un convalescente pittore di provincia. Appunti autobiografici di Niccola Monti, pittore pistojese, scritti dal 1839 al 1841; il volume sarà accompagnato dall’esposizione di una serie di opere grafiche del pittore eccentrico protagonista del Neoclassicismo toscano.


fanno di quest’opera quasi l’apparato generativo della vasta e pur sempre meditata pittura (intellettuale) del nostro Artista. Ma cosa fa del linguaggio di Giovannelli una continua affascinante vibrazione poetica, distinguendola, ad esempio, da compagni di viaggio a lui non lontani come Roberto Barni o Andrea Granchi? La risposta

Giovannelli, che in alcuni suoi disegni di umili oggetti recupera infatti la nitida definizione del segno di tradizione antica, ma soprattutto sembra far propria l’attitudine spirituale a coltivare l’immaginazione lirica che gli fa eleggere l’atelier domestico a ‘cantuccio’ pascoliano o a scontroso osservatorio del mondo oltre la siepe. I giovani estatici in ammirazione del

la troviamo in un passo autobiografico di una lettera scritta a Pier Carlo Santini nel 1976: “Tra le maniere di esprimersi il disegno e la pittura, le tecniche più antiche della rappresentazione, sorelle della luce e delle ombre (generate dalla mente e dal cuore della giovane di Corinto), sono quelle che formano la sostanza più autentica della mia capacità di comprendere e di comunicare ; sono l’anima della mia intuitiva percezione del mondo e i mezzi istintivi del mio linguaggio. La consapevolezza del rapporto reciproco esistente fra tutte le arti, della loro possibilità di combinarsi nelle maniere più diverse, la cognizione che – ars una, species mille – la pittura nelle traiettorie della vita contemporanea non è la sola maniera di fare arte visiva, suscita in me una determinazione ancora più forte nel seguire la strada della pittura, un fascino grande e dichiarato nei confronti della suprema povertà di questa silente (volubile e naturalmente infedele) ‘Arte Bella’”. Mutuo da Carlo Sisi (Ecfrasi) il richiamo all’eleganza della scrittura pittorica di Giovannelli: “La quieta astrazione dei dipinti di Bugiani ha dunque accompagnato la formazione di

firmamento, protagonisti di alcuni suoi quadri, come pure l’esile uomo che traguarda dall’edificio in bilico nello spazio immisurabile e silente evadono da quel recinto rassicurante e introverso, ma pur sempre ancorando l’infinito desiderato ai canoni di un’esperienza terrena fatta di conoscenza e di misurazioni, di analisi logica e di meditate ecfrasi, di seste e di matite colorate. Un vento primaverile scompiglia le forme e i colori di risorgente ansia di imbrigliare l’attimo, di trattenere un lembo della veste di Artemisia, di cogliere l’inesprimibile essenza d’una ‘lucciola errante’”. Così si torna alla poesia in Valdinievole e a quell’”attraversare e interrogare la contemporaneità con una visione colta e raffinata, che è attenta a un ideale classico di bellezza che l’artista declina con ironia e leggerezza” (Vezzosi). Si torna ad un angolo di mondo ancora quasi incantato, quasi incontaminato, testimone ultimo di un’Arcadia perduta, che avremmo voluto frequentare e che Giovannelli, appunto, ci ripropone con la discrezione, la leggerezza, l’eleganza della sua “scrittura pittorica”. E di ciò dobbiamo ringraziarlo.

Roberto Giovannelli, 2016, Intorno al Miracolo dei pescatori, di Giovanni da San Giovanni in Santa Maria della Fontenuova a Monsummano, olio su cartone (bozzetto), cm 58x27, lunetta in cornice dorata Roberto Giovannelli, 1990, Soffi di lampi, olio su tela, cm 150x200. Roberto Giovannelli, 1985, Nubi, nubi volanti, olio e grafite su tela, cm 225x150

La villa Renatico Martini, oggi proprietà comunale, sorge poco fuori Monsummano Terme, in località Renatico, sulla strada che sale al castello. Fu costruita per Ferdinando Martini intorno al 1887 su progetto dell’architetto Cesare Spighi, secondo il gusto eclettico del secondo Ottocento toscano. L’edificio è un parallelepipedo su due piani, caratterizzato da un doppio ordine di finestre e da una scalinata d’accesso a doppia rampa. Al suo interno è ospitato il “ Mac,n”, Museo di arte contemporanea e del Novecento di Monsummano Terme inserito nella Guida ai musei della Toscana del ‘900. Villa Renatico Martini Via Gragnano, 349 Monsummano Terme (PT) Tel. e fax +39 (0)572 952140 museoarte@comune.monsummano-terme.pt.it

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il progetto


BUON VIAGGIO, SERGIO IL VIAGGIO DI SERGIO VACCHI NELLA PITTURA È STATO SICURAMENTE UN ATTRAVERSAMENTO DELLA SOGLIA TRA LA CONSAPEVOLE PRESENZA, QUI E ORA, NEL REALE E LA SCONFINATA ESTENSIONE PSICHICA E FISICA DELL’IGNOTO. EGLI HA SEMPRE DIPINTO QUEL CHE NON CONOSCEVA. UN VISIONARIO MERCURIALE, INCLINE ALLA FILOSOFICA E DÜRERIANA “MELANCHOLIA”. PITTORE DI SINGOLARE ECCENTRICITÀ E INTUITIVA PREVEGGENZA, È STATO UN VIAGGIATORE DEI LABIRINTI DELLA MENTE, FREQUENTATORE RABDOMANTICO DEI SUSTRATI PSICHICI. NELLA STAGIONE INFORMALE SI MUOVEVA CON LO SPIRITO DELL’ESPLORATORE SPELEOLOGO, IRRESISTIBILMENTE ATTRATTO DALLA CONCRETEZZA DELLA MATERIA IN ACCEZIONE PRIMIGENIA, IN QUANTO ANCORATO AI RADICALI BIOLOGICI DELLA FORMA. CON IL SUO GESTO SCARICAVA ENERGIE PULSIONALI, PROVOCANDO FIBRILLAZIONI E PULSAZIONI VITALI DELLA MATERIA AGGLUTINATA IN EMBRIONI VAGAMENTE ANTROPOMORFI. CON LA RIPRESA FIGURATIVA, PRIVILEGIAVA L’IMMAGINE DI MATRICE ESPRESSIONISTA IN PECULIARE ACCEZIONE ESISTENZIALE, INDAGANDO IL VERSANTE PIÙ SOTTERRANEO E IRTO DI IMPLICAZIONI ANTROPOLOGICHE, ANCHE DI TIPO ESOTERICO E CON LA TENSIONE VISIONARIA DI SEMPRE. NEL SUO VARIEGATO PERCORSO FIGURATIVO HA SCRUTATO CON LUCIDA EBBREZZA, PER CAVARNE BAUDELERIANI “FIORI DEL MALE” E LA MAGICA INQUIETANTE BELLEZZA DELLE APPARIZIONI CREATURALI ANCHE DOMESTICHE, IL CONO D’OMBRA OVE SI INTORPIDA IL SENTIMENTO DELL’ESSERE E DOVE L’IMMAGINARIO PREFIGURA IL LUOGO DELLA SOGLIA TRA IL VISIBILE E L’INVISIBILE, TRA IL QUI E L’ALTROVE.

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GRAZIE PER I TUOI DONI, E CHE LA TERRA TI SIA LIEVE. ORA CHE HAI ATTRAVERSATO LA SOGLIA, BUON VIAGGIO, SERGIO!

N.M.

REALITY


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MOSTRA

BIGI

“L’Incanto e il Peso dei Giorni”

Alex Paladini

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ietrasanta ospiterà la mostra del Maestro Rinaldo Bigi, L’Incanto e il Peso dei Giorni dal 19 marzo al 29 maggio, nell’ambito del programma espositivo 2016 del Comune. Sviluppata grazie al prestigioso supporto della Fondazione Henraux, la mostra si configura come un “omaggio” ad un artista fortemente radicato al territorio versiliese dove, oltre ad aver vissuto ed operato nell’intero arco della sua vita, nel corso degli anni sono state collocate in sede permanente svariate sue opere monumentali. Le sue opere saranno esposte nelle sale del Chiostro e nella Chiesa di

Sant’Agostino mentre le opere monumentali verranno collocate nella adiacente piazza del Duomo. La mostra si articola in un percorso che riunisce lavori realizzati nell’ultimo decennio, e mira a mettere in luce tanto la padronanza dell’artista nelle varie tecniche della pittura e della scultura, quanto a narrare la profonda evoluzione e l’affinamento poetico affrontato dal maestro, dove il colore sempre gestito con sapienza, passa da una iniziale spregiudicatezza ad un uso via via più intimo e drammatico. Passando dai pastelli su tela di grande formato ai disegni su carta di di-

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mensioni più contenute, dalle sculture da interni in marmo, bronzo e gres fino alle opere monumentali, la selezione di 60/65 opere, alcune delle quali messe a disposizione da prestigiose collezioni private, è stata operata al fine di accompagnare il visitatore in quel mondo onirico ed ironico che da sempre Rinaldo Bigi racconta attraverso il suo lavoro, e di quanto questo dialogo fatto di personaggi, animali, oggetti, storie e ambienti fantastici sia contemporaneamente presente nella scultura come nelle opere pittoriche. L’introduzione della Mostra sarà a cura di Philippe Daverio.


premio

XV edizione Premio Catarsini A

lla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Viareggio, il 16 febbraio si è inaugurata l’esposizione temporanea delle ope-

re donate dai figli del maestro Catarsini al Comune di Viareggio nel 2001, nucleo composto da trenta titoli fra dipinti, disegni e grafiche, che narra-

no la produzione artistica dell’artista viareggino articolata in molteplici soggetti – nature morte, ritratti, darsene – e documentano l’evoluzione pittorica del pittore che sfocerà nell’adesione del Riflessismo e Simbolismo meccanico. Lo stesso giorno ha avuto luogo anche l’edizione 2016 del Premio annuale al miglior bozzetto grafico/pittorico, eseguito dal vero ex tempore con libertà di tecnica e interpretazione, riservato agli studenti degli istituti superiori della Hotel Termeregione Marconi Toscana, dedicato al pittore Alfredo Catarsini, concorso ideato e Montegrotto Terme (PD) promosso dalla Famiglia Catarsini in collaborazione con il Comune di Viareggio, con il patrocinio del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana e della Provincia di Lucca, con relativa premiazione dei tre migliori bozzetti selezionati dalla giuria del premio.

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Hotel Terme Marconi Montegrotto Terme (PD)

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Angelo Errera

Lo studio del pittore Alfredo Catarsini Gli organizzatori, giuria e alcuni studenti partecipanti al premio

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L’arte in italia

Carmelo De Luca

Il Simbolismo

FRANCO FONTANA

ECCENTRICA NATURA

6 febbraio 2016 10 aprile 2016

29 gennaio 2016 11 aprile 2016

MILANO

Seravezza

TORINO

Palazzo Reale

Palazzo Mediceo

Palazzo Madama

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Arte in Europa dalla Belle époque alla Grande guerra 3 febbraio 2016 5 giugno 2016

edicata a uno dei movimenti artistici che hanno marcato il passaggio dall’Ottocento al Novecento, segnando il superamento della rappresentazione oggettiva della realtà e approdando a una dimensione intimamente soggettiva. Un percorso suggestivo e affascinante accompagnerà il visitatore in mostra, disseminato di opere straordinarie realizzate da quegli artisti che, nel corso della loro vita, hanno abbracciato il movimento simbolista. L’esposizione mette per la prima volta a confronto i simbolisti italiani con quelli stranieri grazie a circa un centinaio di dipinti, oltre alla scultura e una eccezionale selezione di grafica, provenienti da importanti istituzioni museali italiane, europee e da numerose collezioni private. Si tratta di opere mai viste in Italia, non a caso stanno già generando una grande aspettativa fra pubblico e critica.

uova edizione di “Seravezza Fotografia” dedicata a Franco Fontana ed i suoi colori, protagonisti tra i leggendari paesaggi, che acquisiscono una trasformativa vitalità grazie agli accostamenti cromatici, permettendone di scrutare l’invisibile in una realtà arrendevole alle sue variopinte interpretazioni, esteriorizzate attraverso gli stati d’animo di chi si approccia all’opera. Paesaggi, piscine, mare, polaroid degli anni Ottanta, immagini realizzate per il progetto “Expo: vista d’autore” rappresentano le sezioni presenti in mostra, supportate da un eterogeneo cartellone legato alla rassegna. In effetti le Scuderie Granducali ospitano Giacomo Donati con “Privilege of life”, il Gruppo Fotografico Iperfocale supportato dalla mostra “Falsi d’autore”, gli allievi di Franco Fontana con “Quelli di Fontana”, la collettiva del Circolo Fotografico “L’Altissimo”.

na mostra racconta l’eccentrica natura ritratta da Bartolomeo Bimbi per la famiglia Medici, che lavorò alla corte del Granduca Cosimo III, tanto amante delle piante e dei loro frutti da seguirne coltivazione e crescita. Appassionato di fruttiferi, fece arrivare nuove specie e varietà da tutto il mondo, iniziando insieme al botanico di corte, Pier Antonio Micheli, un grande lavoro di catalogazione sistematica organizzato per specie, stagione, provenienza. Bartolomeo Bimbi, insieme a Micheli, documentò così in straordinari dipinti la diversità vegetale e colturale tra Seicento e Settecento. Il frutto di questo grande lavoro di catalogazione scientifica è un corpus di opere unico nel panorama pittorico italiano. A completare l’esposizione anche trenta raffigurazioni in cera provenienti dal Museo della Frutta Francesco Garner Valletti di Torino.

il Polittico della Santa Croce APRILE 2016 - LUGLIO 2016 FIRENZE

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Galleria Palatina

itorno nella antica dimora per il polittico dedicato alla Santa Croce. Proveniente dallo Städel Museum, l’altarolo fu dipinto da Adam Elsheimer, pittore dedito alle composizioni di ampiezza monumentale con tematiche vicine alla comunione uomo-natura e al dotto culturale, nelle quali la luce diventa elemento unificante dal preciso valore psicologico. In passato, il dipinto fece parte della collezione voluta dal Granduca Cosimo II e colpisce per il ruolo altamente simbolico svolto dalla Croce sacra, non a caso la narrazione inerente ritrovamento ed adorazione è delegata agli scomparti di costellamento. L’opera ha trovato dimora presso la Galleria Palatina, dove è stata ricomposta nella sua interezza, supportata da un accurato corredo didattico dedito alle sue vicissitudini comprendenti storia, dispersione, ricomposizione realizzata da documenti d’archivio.

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Fece di scoltura di legname e colorì 21 MARZO 2016 28 agosto 2016 Firenze Galleria degli Uffizi

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irca cinquanta opere di gran pregio indagano sull’importanza rivestita dalla scultura in epoca rinascimentale. È in tale epoca che questa espressione individuale, prima asservita all’architettura,

GLI ETRUSCHI MAESTRI DI SCRITTURA 19 MARZO 2016 13 luglio 2016 Cortona MAEC

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reziosi reperti, provenienti da importanti istituzioni museali, approdano a Cortona per approcciare il visitatore all’antica scrittura

assurge ad arte liberale fondata su conoscenze matematiche e letterarie, regina incontrastata tra le forme espressive caratterizzanti il primo Quattrocento. La mostra esamina la scultura lignea policroma nella Firenze rinascimentale pullulante di arcinote botteghe, presso le quali contatti culturali, intellettuali, tecnici, artistici, tra luminari presenti in città, ne implementa il valore intrinseco. Il recupero della maniera classica, in verità mai dimenticata dalla romana Florentia, diventa fonte di ispirazione per il nuovo attraverso un linguaggio sperimentale con elementi distintivi rispetto al passato, del quale Donatello e Brunelleschi ne incarnano la paternità. Molte le meraviglie presenti nelle sale espositive, tra le quali si distingue la sofferenza quasi composta del Crocifisso realizzato da Michelozzo per la Chiesa di San Niccolò in Oltrarno, l’estatico San Sebastiano proveniente dalla fiorentina Sant’Ambrogio, scolpito da Leonardo del Tasso, e la cui policromatura si deve all’arcinoto Filippino Lippi, Santa Maddalena in preghiera creata dal monaco don Romualdo di Candela e dipinta da Neri di Bicci.

degli Etruschi risalente all’VIII secolo a.C. che, nonostante i progressi della sua lettura, ancora risente di una parziale comprensione nei significati legati alle parole. Testi brevi, spesso ripetitivi, e la scomparsa dei supporti letterari certamente non aiutano a svelare in toto l’essenza legata a questo affascinate idioma. Tale clima non scoraggia tuttavia gli studiosi che, nel corso degli anni, contribuiscono nel rendere sempre meno segreta una affascinante civiltà, supportati dalle epigrafi scoperte di recente a Lattes (Montpellier) e dalla lunga Tabula Cortonensis, naturalmente presente in mostra. Nata dalla collaborazione tra il parigino Louvre, MAEC e Museo Henri Prade di Montpellier, la mostra esalta a pieno diritto una lingua impostasi nell’Italia centro-settentrionale grazie a conquiste, scambi culturali, commercio con le principali civiltà di estrazione mediterranea. L’esposizione vanta prestiti eccezionali, basti menzionare il Cippo di Perugia, le Lamine di Pyrgi, la Mummia di Zagabria, oltre ai testi più lunghi sinora scoperti, la cui presenza illustra i grandi progressi attuati nella grammatica e sintassi della lingua etrusca.

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LO SPLENDORE DI VENEZIA 23 GENNAIO 2016 12 giugno 2016 Brescia Palazzo Martinengo

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enezia raccontata attraverso la manualità artistica dei maestri vissuti tra XVII e XIX secolo, omaggio alla città che in assoluto è stata immortalata nella pittura. Importanti pittori raccontano una moda iconografica, chiamata vedutismo, ritraenti una Venezia dall’architettu-

fra (m)menti livornesi 4 FEbbraio 2016 28 aprile 2016 LIVORNO Museo Civico Giovanni Fattori

Silvia Perini

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er gli amanti dell’arte ma non solo, il museo civico Giovanni Fattori di Livorno, ha inaugurato un ciclo di conferenze che si alterneranno fino ad aprile. Titolo dell’iniziativa: Fra (m) Menti livornesi con appuntamenti a cadenza settimanale, il giovedì’ alle 17 in punto. L’iniziativa coinvolge molti studiosi livornesi che, attraverso la presentazione di aspetti particolari o poco

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ra fantastica, animata da tradizioni impresse in dipinti di fattura eccezionale, così personaggi appartenenti alla Commedia dell’Arte o in costumi d’epoca, regate con tanto di Bucintoro, Carnevale, la Festa dedicata al Redentore diventano scenografico supporto per un assetto urbano già carico di contenuti artistici. Divisa in sezioni, la mostra vanta nomi eccezionali, ne sono degno lignaggio Canaletto con le sue rappresentazioni percettive e studiate nella luce per coglierne particolari prospettici in osservanza alla razionalità illuministica, Guardi e la sua Venezia a mo’ di capriccio, aperta in orizzonti larghissimi oppure centralizzata sui particolari, dove la luminosità risalta il vissuto architettonico urbano. Naturalmente Bellotto respira nelle tele trasudanti equivalenze pittoriche della realtà, complesse, accurate, esatte nell’osservazione urbanistica, accompagnato da altri nomi illustri, quali Gaspar Van Wittel, Luca Carlevarijs, Michele Marieschi, Francesco Albotto, Jacopo Fabris, Johan Richter, William James ed altri pittori ottocenteschi.

noti della propria città, testimoniano l’interesse di una Livorno sempre più vocata alla ricerca storica per una migliore comprensione del presente. Ma vediamo nel dettaglio il calendario. Il 3 marzo appuntamento con il cantastorie Pardo Fornaciari, il 10 marzo sarà dedicato a Vittore Grubicy, il 17 marzo alla famiglia Castelli, il 31 marzo a Livorno contemporanea. Giorno 7 aprile appuntamento nella sala degli specchi, mentre il 14 aprile si parlerà’ di Fattori e il Giappone. Ultimo appuntamento in rassegna giovedì’ 28 marzo, sempre all’interno della suggestiva sala degli specchi e il 14 aprile si parlerà di Fattori e il Giappone. Ultimo appuntamento in rassegna giovedì 28 marzo sempre all’interno della suggestiva sala degli specchi. All’interno del Museo Civico “Giovanni Fattori” sono inoltre esposte opere di pittori toscani ed i suoi ex Granai ospitano mostre temporanee (tra le ultime, si segnala quella del pittore Mario Madiai). Nei dintorni, il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo custodisce tesori marini ed un percorso didattico avveniristico, il Museo Mascagni ospita oggetti ed un ricchissimo epistolario appartenuti all’illustre concittadino, luoghi delle “Nazioni”, che popolarono Livorno, testimoniano memorie religiose e culturali.


DA KANDINSKY A POLLOCK. La grande arte dei Guggenheim 19 MARZO 2016 24 LUGLIO 2016 Firenze Palazzo Strozzi

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ra gli anni Venti e Sessanta del XX secolo, l’arte crea capolavori assoluti manifestanti un chiaro ponte culturale, relazionale, dialogale tra Europa ed America. Palazzo Strozzi celebra quell’epoca ruggente espo-

Materia Prima 19 marzo 2016 30 giugno 2016 montelupo

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ccellenza italica nel settore ceramica, Montelupo Fiorentino possiede un importante museo ad essa dedicato. Questa sua peculiarità plasma la città di una riconoscibilità in senso storico e artigianale, che trova proseguo nella ricerca sperimentale caratterizzante l’arte contemporanea. Tale è lo scopo di Materia Prima,

nendo ben 100 capolavori raccolti presso le arcinote collezioni Guggenheim newyorkesi e veneziane. I moderni Marcel Duchamp, Man Ray, Max Ernst, gli informali Lucio Fontana, Emilio Vedova, Alberto Burri, Jean Dubuffet si confrontano armonicamente con il gotha d’oltreoceano grazie a Jackson Pollock, Marc Rothko, Wilhelm de Kooning, Alexander Calder, Roy Lichtenstein, Cy Twombly, attraverso dipinti, sculture, incisioni, fotografie dalla fattura ineguagliabile. La mostra racconta il nascente movimento avanguardista appartenente al Vecchio Continente, che trova linfa vitale nella rivoluzionaria scuola americana, magicamente esternato attraverso opere rappresentative raccolte con amore dall’inossidabile coppia PeggySolomon e supportate da prestiti di musei internazionali. Nata dalla collaborazione tra le Fondazioni Strozzi e Solomon R. Guggenheim, l’esposizione vuole essere anche un tributo alla signora Guggenheim che, proprio nei sotterranei del principesco palazzo fiorentino, mostrò nel lontano 1949 i suoi “gioielli di famiglia”, prima di custodirli definitivamente “nel caveau della Serenissima”.

articolata in varie sezioni, due all’interno del Palazzo Podestarile e una, Sculture in città, con opere collocate all’esterno a segnare un percorso itinerante urbano. Palazzo Podestarile ospita una mostra di carattere storico, incentrata sull’eredità lasciata da Leoncillo a una serie di scultori Giuseppe Spagnulo, Luigi Mainolfi, Giacinto Cerone, Giuseppe Ducrot – che, come lui, hanno utilizzato la ceramica quale strumento richiamante una materia originaria, informe. Le sale espositive ospitano anche Project Room, a cura di Lorenzo Cianchi, con interventi di artisti under 35 – Cristian Frosi, Diego Perrone, Irene Lupi, Nero/ Alessandro Neretti, Morgane Tschamberg – ispirati dal concetto di wunderkammer, così la sala museale classica con vetrine vuote si trasforma in una vera e propria camera delle meraviglie. Per Sculture in città sono stati invitati sette artisti contemporanei, Ugo La Pietra, Hidetoshi Nagasawa, Fabrizio Plessi, Gianni Asdrubali, Loris Cecchini, Bertozzi & Casoni, Lucio Perone, a lavorare simbioticamente con artigiani e maestranze locali al fine di ideare progetti per opere artistiche in ceramica.

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STORIA/E

libri prigionieri con Manzella

1916-1918. Nei lager austro-ungarici della Grande Guerra

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o ritrovato la geografia dei lager austro-ungarici della Grande Guerra nelle date autografe scritte sui libri che il sottufficiale prigioniero Tito Manlio Giovanni Manzella (Catania 1 gennaio 1891 - Roma 19 febbraio 1966) ricevette in dono o acquistò nei vari campi di concentramento, usando cartemonete speciali, fra il 30 marzo 1916 e il 18 settembre 1918, data della sua liberazione. Sulla vita di Titòm (così lo chiamavano i figli giornalisti Igor, Myriam, Mirko; per me era, alla russa, ‘Dieda’, cioè ‘nonno’) ho pubblicato ricordi

diale lo stanno raccontando le riflessioni degli specialisti corredate dalle fonti di allora: giornali, lettere, diari, romanzi, poesie, articoli, immagini,

archivi, oggetti. Gli orrori, le stragi, le sofferenze delle anime e dei corpi sepolti vivi nelle trincee, ma soprattutto la follia delle classi dirigenti, dei comandi militari e degli eterni gruppi di potere economico (questi ultimi ancora oggi brindano giurando sul neo-vangelo intitolato Mors tua pecunia mea!), emergono senza i veli dell’elegante retorica patriottica tardo-ottocentesca. Qui non ne scriverò perché mi preme mostrare

Vania Di Stefano

Calendario di Guerra 1916 Tessera di riconoscimento di T. Manzella Timbro del deposito di libri in Mauthausen Cartamoneta del lager di Osffyasszonyfa Timbro della Croce Rossa austriaca Disegno dell’ingresso al lager (Osffyasszonyfa?)

e documenti nel quotidiano La Sicilia, descrivendo il giovane poeta, il ragioniere emigrato in Germania, il collaboratore del Corriere di Catania, il soldato, l’insegnante di lingua tedesca nei ginnasi, lo scrittore; ma sul progetto di una mostra dedicata ai libri della sua prigionia, non potevo che anticiparne qui l’idea, confortato dall’interesse di Nicola Micieli, raffinato artefice di esposizioni, curatore di una rassegna (colpevolmente inedita) di ‘ritratti’ del libro, inteso come creatura viva, sorgente perenne di quell’immaginazione che sa essere salvifica perché è mentale, dunque libera, non seriale e tanto meno tecnologica, virtuale, pubblicitaria, consumistica. Il centenario del primo conflitto mon-

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ra un inverno mi sento annientare dall’angoscia! Io non ne posso più! Sono vecchio! Non ho conchiuso più nulla. Non ne posso più! Vi bacio! Vi stringo al mio petto. Sogno sempre di voi, le cose più belle e le cose più brutte! È un’ossessione, un disperare e sperare continuo!”. Durante la lunga reclusione, paradossalmente molto fortunata perché privilegiata dal grado, la biblioteca illuminò la notte delle morti quotidiane, favorendo la convivenza di lettori e carcerieri, gli uni e gli altri partecipi della comune, fragile condizione umana e rispettosi delle regole imposte da circostanze liberticide. Stando ai manoscritti, non poco di quel che allora abbozzò e in parte pubblicò negli anni successivi maturò sulle pagine degli oltre 150 volumi posseduti, 53 dei quali della collana Universal Bibliothek (Lipsia), 5 della Bibliotheca Romanica (Strasburgo). Li ho schedati e ordinati secondo la data di acquisizione sì da percorrere, a un secolo di distanza e lager dopo lager, l’itinerario di lettura o di semplice consultazione curiosa (sporadici i segni di matita e rare le postille). Non mancano le dediche di compagni di prigionia e di donatori italiani, come Virginia Boggio Lera. Il fratello Gesualdo Manzella Frontini gli spedì Osservazioni e massime di Georg Christoph Lichtenberg, poi gli procurò un “abbonamento al pane” tramite la Croce Rossa svizzera (una circolare proponeva 2 chili settimanali per 5 franchi), iniziativa salvifica quando la fame iniziò a galoppare sui cavalli dell’apocalisse, azzannando anche gli ufficiali e stremando i carcerieri.

il già evocato valore del libro, fonte di apprendimento e di terapeutica riflessione, compagno di prigionia e onirico strumento di fuga (dal sogno però ti ridestavano le copertine e le pagine marcate con sinistre timbrature rosso-sangue). Catturato nella notte fra il 26 e il 27 marzo 1916 durante un pattugliamento sul fronte di Gorizia, dopo una breve permanenza a Castel di Lubiana e a Mauthausen (sede di un deposito di libri selezionati), il 20 novembre, scriveva a casa da Osstffyasszonyfa (Ungheria): “lavoro e studio le lingue, scrivo e penso a voi”, ma il 3 luglio 1917, conclusasi la decima battaglia dell’Isonzo, l’umore è mutato: “leggiamo i giornali austriaci i quali riportano tutto dai nostri giornali, anche i comunicati di Cadorna... da due mesi non so far più nulla, né leggere né scrivere. Incretinisco, sono ossessionato! Se penso di dover passare qui anco-

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Prevalgono gli autori di lingua germanica fra cui Martin Luther, Froben Christoph von Zimmern, Paul Rohrbach, Leopold Freiherr von Chlumecký, Bruno Busse e molti altri. Sono tradotti in tedesco esponenti celebri della letteratura europea, ad es.: Cervantes, Gogol, Andersen, Sologub. Accanto alle antologie poetiche si segnalano mono-

grafie e raccolte di fiabe, genere letterario preferito: ve ne sono di austro-ungariche, russe, tedesche, svizzere, albanesi, bulgare, serbe, croate, cinesi. Non mancano classici come La Chanson de Roland e le biografie, in maggioranza di musicisti: Bach, Händel, Haydn, Cherubini, Meldessohn, Chopin, Cornelius, Brahms. I manuali, le grammatiche,

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i dizionari e i testi di linguistica spaziano fra tedesco, ungherese, inglese, spagnolo, russo. Interessanti due almanacchi bellici e pubblicazioni che stigmatizzano il ruolo politico dell’Italia. Celebrare i libri di questa inconsueta, rara biblioteca sarà utile per mostrare la sola possibile via di fuga da ogni mostruosa macelleria bellica. A dispetto dei mortali angeli sterminatori non mancheranno mai antichi e nuovi libri salvifici, capaci di farci superare persino le attuali, vitalissime, disarmate, subdole guerre invisibili di matrice bancaria, borsistica, burocratica, oligarchica, politica, psicopatica. Tra le pagine ingiallite di allora e le pagine bianche non ancora stampate si perpetuerà per scripturam quel privilegio straordinario, chiamato vita, che ci fa umani, pensanti e necessariamente solidali, spingendoci, se possibile, a condividere in amicizia questo fugace soggiorno terreno.

Luogo e data di prigionia: 1 (Castel di Lubiana) Luogo e data di prigionia: 2 (Osffyasszonyfa) Esemplare della Universal Bibliothek Dedica di Virginia Boggio Lera e timbro della censura Caricatura degli avversari dell’esercito astro-ungarico Edizione delle favole dei fratelli Grimm Luogo e data di prigionia: 3 (Spratzern) Luogo e data di prigionia: 4 (Amstetten) Baracche (Osffyasszonyfa?) acquerello di a. Prestinenza Libro satirico sugli Italiani Raccolta di saghe austroungariche


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STORIA

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vade retro trasgressore livornese

La lista dei reprobi alla porta della Collegiata. 1716 Paola Ircani Menichini

F. Zucchi, Veduta di Livorno, in Lo stato presente di tutti i paesi e popoli del mondo di T. Salmon, Venezia 1751. Livorno con le sue mura pentagonali nello sfondo di uno dei dipinti della serie Storia del pastore, conservata nel santuario di Montenero.

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ivorno fino al 1806 fu giurisdizione ecclesiastica dell’arcidiocesi di Pisa e una buona parte dei documenti prodotti fino a quel tempo si trovano nell’archivio diocesano della città sull’Arno. Tanti manoscritti qui conservati sono inediti e importanti dal punto di vista della ricostruzione della storia della città. Ad esempio un grosso faldone contenente attestati di battesimi, matrimoni e morti delle parrocchie sottoposte, custodisce anche un foglio, quasi più unico che raro, che riporta notizie curiose su alcuni “trasgressori” di disposizioni religiose 1. Parliamo dell’elenco di coloro che a Livorno avevano trascurato di “adempire al precetto della comunione pasquale” e che “continuando nella loro empia contumacia per tutto il dì 30 del corrente mese d’agosto si dichiareranno incorsi nell’interdetto dall’ingresso della chiesa, privi della partecipazione ai SS. Sacramenti et, in evento di morte, la sepoltura ecclesiastica”. Il foglio era da affiggere alla porta della Collegiata e reca la data del 19 agosto 1717 stile pisano, da retrodatare al 1716. Le firme sono del cancelliere Giovanni Francesco Soto, del messo arcivescovile Girolamo Cornacchini, e di Orazio M. Boccacci coadiutore a Livorno (le ultime due del 22 agosto). Il documento si rivela interessante soprattutto per gli appassionati della storia della gente comune e della toponomastica cittadina del passato. Leggendone il contenuto, però, l’animo è preso anche da una viva pietà per le persone che vi sono scritte, poiché si tratta di poveri esseri umani dalla vita più sfortunata che ostile ai precetti religiosi. Questi i nomi dei “trasgressori” riportati nel foglio:

«M. Bernardina Valentini abita nel Sette dietro a’ Greci, e va al bosco a far legna Francesco Stecchi carraio sta a dormire da’ Tre Re Luvigi Perazza facchino e Giuseppe Galli – ambedue stanno a dormire nella casa dell’Ottoboni vicino a’ PP. della Madonna a terreno Matteo Picchiotti va mendicando per Livorno e per lo più sta alla porta della chiesa de’ PP. Giesuiti Guglielmo Attival fiamingo abita in via San Giovanni, in casa del Danielli e di bottega sta di contro all’ospizio de’ PP. Teatini Giorgio Nobili abita in via Grande accanto alla Ferrau Pietro Giulianelli sta in via Saponiera vicino al Leoncin’ d’Oro Domenico Murli ultimamente abitava nella locanda del Palazzetto e faceva il servitore Domenico Giovannini abita in via del Cupido nella casa ove è il forno Gabbriello Martini sta in via del Cupi-

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do di casa vicino a detto forno Giovanni Battista Zucchi figlio d’un calzolaio abita in Pescheria vecchia nelle case isolate Francesco Venzano sta alla Baracca della Trippa alla Marina Antonio Gentilini va mendicando per Livorno e per il più si trattiene dall’aquavitaio di Piazza dell’Erba Bartolomeo Baroncini perrucchiere abita in via de’ Cavalieri al primo piano nella casa livellata del Chelli Francesco Fabbri sellaio lavora dal Pantalone e abita nella locanda del Ciarpani in via Cavalieri Stefano Bietti manovale sta in casa dell’Attias dalle stalle al secondo piano Antonio Sandri detto il Figlio della vedova Maddalena fa il magnano, sta da’ Carri della notte in casa dell’Attias ebreo sopra il Carraio Santi Tonini mezzano sta in via dell’Olio sopra il Caffè nella locanda del Pucinelli Gisola Pucinelli moglie di Bartolo-


meo fruttaiolo sta in via dell’Ebrei nel terreno de’ Fremura Giovanni Bresciani diamantaio sta dal Casone de’ Tedeschi Pietro Pavolo Pietrucci pittore sta in Venezia nuova da’ Castellani Giovanni Manini navicellaio sta in Venezia nuova Iacopo Martora barchettaiolo sta in Venezia Nuova dal Fosso piccolo Giovanni Niccola Ferrari fruttaiolo alla Marina». Il foglio elenca in totale 25 persone che, statisticamente parlando, rappresentano una porzione minima della popolazione residente a Livorno. In città infatti abitavano circa 24000 individui dei quali quasi una metà erano non cattolici e quindi non coinvolti nei precetti della Chiesa 2. Il mestiere dei trasgressori è indicato accanto alla maggior parte dei nomi. Si tratta di piccoli artigiani nel ramo dei trasporti con barca, navicello, cavallo o mulo, ospiti di locande e alberghi e forse commercianti, oppure di gente che si arrangia andando a raccogliere legna nel bosco, facendo intermediazione, facchinaggio, manovalanza o stando a servizio. Un fiammingo gestisce una bottega, altri praticamente chiedono l’elemosina. I mendicanti stazionano presso le chiese e spesso, come il Gentilini, si spostano dal venditore di acquavite per “tirarsi un po’ su”. Un diamantaio, un pittore, un parrucchiere sono invece lavoratori con una specializzazione e, crediamo, richiesti per la loro opera. Questo perché Livorno deteneva una discreta ricchezza grazie al commercio marittimo e manteneva una società borghese di varie nazioni, attiva e desiderosa di presentarsi bene nella

cura della persona e delle proprietà. Per quanto riguarda la toponomastica, il foglio cita alcuni luoghi dei quartieri racchiusi almeno in parte dalle mura “pentagonali” progettate nella seconda metà del secolo XVI dall’architetto Bernardo Buontalenti. Allora si era voluto costruire una “Città Ideale del Rinascimento”, che oggi si cerca di riscoprire e … un po’ si rimpiange. Pochi luoghi citati nel foglio sono rimasti nello stradario moderno: ritroviamo l’Attias che è uno dei centri di spicco, anche se del tutto trasformato, la via San Giovanni, che è una delle più antiche della città, la Venezia Nuova con i suoi fossi, la via dei Cavalieri (di Santo Stefano) e la via Grande. Sono invece scomparse o hanno cambiato nome la Pescheria Vecchia un tempo alla fine di via del Giardino (tra via Fiume e via Tellini), via del Sette, dal percorso simile al numero sette (presso la SS. Annunziata dei Greci Uniti e via delle Galere), via degli Ebrei dietro il Duomo (via di Franco), Piazza dell’Erba sede del mercato (piazza Cavallotti), via Saponiera, via del Cupido, via dell’Olio, le ultime tre situate tra Piazza Grande, via Grande e via San Francesco, e battezzate con il titolo delle locande qui presenti. Altri alberghi-osterie ricordati direttamente nel foglio del 1716 sono i Tre Re, il Leoncino d’Oro, il Palazzetto, il caffè del Pucinelli, il Pantalone e la locanda del Ciarpani in via Cavalieri. La loro presenza indica ancora una volta una città-emporio commerciale, frequentata da persone che vanno e che vengono e che cercano di fare affari. Un Casone dei Tedeschi invece sembra essere un palazzo, dimora stabile di

un buon numero di questi nordeuropei impiegati nei traffici o nelle botteghe. Anche vicino alla Fortezza Vecchia si trovava un ospizio. Era di proprietà o almeno di uso dei Padri Teatini che dal 1669 erano subentrati ai Padri Gesuati nella custodia del Santuario di Montenero e delle loro dipendenze 3. Dicevamo di come la Livorno “pentagonale” sia ormai scomparsa. Quella di oggi è grande e allungata, rifatta e ampliata dopo l’ultimo conflitto mondiale. La città del passato però sopravvive nel percorso di alcuni fossi, in alcuni rari monumenti, nelle vecchie cartoline, nelle mappe militari, nei dipinti nei quali appare sullo sfondo o nei documenti di archivio, editi o inediti, come il nostro “elenco di trasgressori”. Note 1. Archivio arcidiocesano di Pisa, Duplicati battesimi, matrimoni, morti, dall’anno 1711 all’anno 1717, 6. 2. E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana…, alla voce Livorno, p. 755, anno 1745, totale popolazione 28040 persone, di cui 10154 eterodossi ed ebrei; S. Zingoni, Insediamenti industriali a Livorno, in «Rivista di Livorno», anno II, n, 1, gennaio 1987, p. 11: nel 1715 risultavano 24.432 abitanti. 3. P. Vigo, Montenero … Livorno 1902, cap. IV, nota 43 “Siffatto ospizio i Gesuati possedevano nel Castello di Livorno al Canto del Leone e confinante colla Via maestra, con i beni dello Spedale di S. Antonio, col Cimitero di S. Maria e Giulia e colle case di Girolamo Fancella da Lucca, fino dal secolo XVI”.

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Il foglio dei “trasgressori” conservato nell’Archivio diocesano di Pisa. Michael Sweerts, Antonii de Bordes e il suo servitore, ca 1648, Washington D.C., National Gallery of Art. De Bordes era un mercante olandese dimorante a Livorno.


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storia

fermo prego sorrida un po raccomandazioni di rito prima dello scatto

Moreno Vassallo

Satira storiografica di Felix Nadar in volo su pallone aerostatico intento a fotografare Parigi Cinque macchine in legno a forostenopeico realizzate da Moreno Vassallo (fotografia di Moreno Vassallo)

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maggio 1887. Le giornate fiorentine dei Reali d’Italia, Umberto e Margherita di Savoia, iniziate il 12 con l’inaugurazione della nuova facciata del Duomo di Firenze (architetto Emilio De Fabris) proseguono con la visita alla Prima Esposizione Internazionale di Fotografia, allestita, come abbiamo riferito nel precedente articolo, nella brunelleschiana sede dell’Ospedale degli Innocenti, in piazza della SS. Annunziata. La curiosità dei fiorentini per questa recente forma di espressione artistica è vivissima e richiama una folla di visitatori, molti arrivati da ogni regione d’Italia.

Fra i numerosi espositori nazionali si distinguono, ammirati, i fratelli Alinari: Leopoldo, Giuseppe e Romualdo, attivi dal 1852 e titolari della prima ditta fotografica ammessa al servizio dei Musei Vaticani e del Louvre. (A cominciare dal 1839, l’archivio dei fratelli Alinari si arricchirà di oltre 5 milioni di immagini, diventando, nel corso dell’Ottocento e del Novecento, la fonte più estesa al servizio dell’editoria artistica italiana). Non mancano i fotografi giunti dall’estero, qualcuno già celebre. Per esempio il parigino Nadar, pseudonimo di Gaspard-Felix Tournachon, dal 1848 caricaturista per “Le Charivari”, il primo giornale quotidiano satirico pubblicato nel mondo (1837). Nadar è pioniere della fotografia e appassionato di volo aerostatico, di cui espone, a Firenze, le sue prime foto aeree parigine. Durante la sua intensa vita professionale svolta nel suo studio di Boulevard des Capucines a Parigi, ritrasse i personaggi del suo tempo. Furono suoi clienti il poeta Baudelaire, l’anarchico Bakunin, lo scrittore Champfleury, il pittore Delacroix, lo scultore Dantan, l’incisore Gustave Dorè, lo scrittore Nerval. Persino Victor Hugo fotografato sul letto di morte. La fama di Nadar come ritrattista lo impegna, proprio durante l’appuntamento fiorentino, nell’allestimento di una camera oscura per ritrarre quanti desiderano farsi fotografare versando un’offerta a favore delle Opere Pie. Altri fotografi hanno messo a disposizione tre visori stereoscopici con duecento vedute, che si possono osservare pagando 20 centesimi destinati alla beneficenza. Nella rassegna figura un altro nome di spicco: quello di Abel Niepce (nipote di Nicefore Niepce, inventore, insieme con Daguerre, del procedimento

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chimico che portò alla prima fotografia: il dagherrotipo). Egli cercò di riprodurre immagini a colori (fino ad allora le fotografie erano unicamente monocromatiche) e di realizzare incisioni col metodo fotomeccanico. Ma il processo che lo collocò nella storia della fotografia è relativo alla fotosensibilizzazione delle lastre di vetro poiché con i metodi precedenti si faceva uso di supporti quali le lastre argentate o di carta. Un altro espositore meritevole di essere ricordato, è Edward Muybridge, pseudonimo del fotografo inglese Edward James Muggeridge, pioniere della fotografia in movimento. Famosa la vicenda che lo portò alla notorietà, quando nel 1872 il governatore della California Leland Stanford gli chiese di confermare questa sua ipotesi: durante il galoppo di un

cavallo esiste un istante in cui tutte le zampe dell’animale sono contemporaneamente sollevate da terra. L’ipotesi fu confermata dalla fotografia, ma solo in parte: gli zoccoli si sollevavano dal terreno contemporaneamente, ma non nella convenzionale posa in cui sono regolarmente raffigurati nella pittura. Torniamo alla mostra fiorentina. Era giunto il momento di eleggere i giudici a senso del Regolamento. Escono dodici eletti fra cui Giuseppe Alinari e il parigino Felix Nadar. «La maggiore aspettativa – riferiscono le cronache – era per il concorso dei dilettanti, poiché moltissimi sono i concorrenti non solo italiani, ma anche esteri». Sorprendono tutti le fotografe. Della signora Cristina French di Firenze sono ammirate le «graziosissime piccole marine»; della duchessa di Sermone-

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ta «belle le vedute campestri, e le fotografie dei bagni del Ducros di Roma». Fra i partecipanti perfino il principe Colonna di Roma, il conte Bastogi di Firenze, il duca di Artalia e il principe di Venoso. È evidente: fra i dilettanti figurano numerosi benestanti; ma quest’arte aveva tutte le premesse della popolarità. Pochi anni dopo sedusse anche un grato Gabriele d’Annunzio, ritratto nel 1906 dal fotografo fiorentino Mario Nunes Vais: «Come potrò io ringraziarLa di queste tante belle imagini ch’Ella mi dona, mio caro amico? Vorrei conoscere la magìa novissima con cui Ella riesce a compiere il veloce prodigio serrando “uno spirito di sole” nella piccola nera prigione di metallo e di cristallo». E conclude: «Grazie per questo inatteso piacere, o artefice della luce e dell’ombra».

Illustrazione di una delle sale allestite nel 1887 all’Esposizione Internazionale di Fotografia Stereoscopio portatile d’epoca con annessa cartolina stereoscopica di piazza San Marco a Venezia Illustrazione del processo di Muybridge per fotografare il cavallo in corsa. Ci sono 24 fotocamere collegate ognuna ad una corda che al passaggio degli zoccoli del cavallo facevano scattare l’otturatore. (illustrazione di Moreno Vassallo)


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PAesaggio

il

Giardino di Boboli

mirabile “anfiteatro di verzura” per Cosimo I Saverio Lastrucci

L’impresa araldica del Granduca Cosimo I “Festina lente” (Affrettati lentamente) Il Reale Giardino di Boboli al tempo del Granduca di Toscana Cosimo III. Planimetria di Michele Gori (1709)

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nche se l’origine del giardino rinascimentale dei Pitti si può far risalire al 1341 si deve però attendere il 18 novembre 1418 perché il banchiere Luca Pitti acquisti per 450 fiorini il “podere e casa che fu di Ruberto de’ Rossi in Firenze”. Il complesso abitativo nel 1469 aveva una forma a L e, nella sua parte tergale presentava alla collina un giardino che si ingrandì nel corso degli anni per divenire “giardino vignato e fruttato” rendendo così lo “Orto dei Pitti” affine ai complessi allestimenti di altre case gentilizie (Bartolini, Serristori, Rucellai) e caratterizzati da un’articolata trama progettuale. Queste opere preannunciano l’ipotesi per Leon Battista Alberti di un giardino “che al tempo stesso non ostacoli le attività connesse con la città e sia immune dalle infermità atmosferiche” mediando gli elementi architettonici e naturalistici.

Durante l’assedio del 1530, per la riaffermazione del principato medìceo, il giardino subisce la totale rovina per la sua posizione strategica, per la disponibilità di derrate utili agli assediati e per la costruzione di bastioni, mura e torri. La famiglia Pitti, per la difficoltà manutentiva e per gli effetti della crisi economica seguita all’assedio, è indotta a cedere il prestigioso complesso. Nel 1550 la Duchessa Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I, acquista la proprietà dei Pitti affidando a Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, l’incarico di ingrandire il giardino che subirà le trasformazioni principali per portarlo alla magnificenza che sostanzialmente ancora oggi si vede. Vengono eseguiti i modellamenti del suolo della collina di Boboli, regolarizzata la trama dei viali, acquistate massicce quantità di piante dai Vivai di Castello, che contribuiscono alle

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operazioni di “travaso dal barcho e posti nel giardino de Mediccj detto de Pitti”. Vengono definite le linee essenziali iniziando a “fognare per porvi gli abeti, gli arcipressi, i lecci et allori” tracciando “spartimenti per normalizzare la movimentata morfologia del suolo” e che diverranno poi la struttura guida per tutti gl’interventi successivi. Secondo Vasari, “avendo poi compro il Duca Cosimo il Palazzo de’ Pitti [..] e desiderando sua Eccellenza d’adornarlo di giardini, boschi e fontane e vivaj e altre cose simili, fece il Tribolo tutto lo spartimento del monte in qual modo ch’egli sta, accomodando tutte le cose con bel giudizio ai luoghi loro, sebben poi alcune cose sono state mutate”. Nonostante la morte del Tribolo (7 settembre 1550) Cosimo I riceve “tucti li disegni del’orto de’ Pitti e tucti li indirizzi del povero Tribolo havveva perché diano l’ordine a finir la piantata” oltre al programma decorativo ben definito e coordinato con l’apporto botanico ed il lavoro progettuale viene proseguito prima dall’Ammannati (1560), poi dal Buontalenti (1585), infine ampliato


Giusto Utens (Iustus Van Utens), Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli (Museo di Firenze com’era). All’origine, intorno al 1440, il progetto brunelleschiano del Palazzo prevedeva soltanto le sette finestre centrali. (in alto a sinistra i bastioni “stellati“ del cinquecentesco Forte di Belvedere, opera di Bernardo Buontalenti). Palazzo Pitti visto dal Giardino di Boboli

nel Seicento con criterio scenografico nella parte detta “dell’Isola”, da Alfonso Parigi il Giovane. Se pur nel breve periodo di lavoro da parte del Tribolo nell’Orto dei Pitti, il progettista varca i confini creativi dei modelli formali del Vignola e Pino Ligorio applicando la già sperimentata centuriazione di Castello. L’intervento subordina l’ambiente naturale all’artificiale attraverso una sequenza di forme regolari con “archi, semicerchi, e altre figure geometriche in uso nelle aree

degli edifici e [...] da un’area quadrilaterale si passerà in una circolare, da questa di nuovo in una poligonale”. Influenze culturali quali la visione estetica di Giovan Vittorio Soderini plasma i “giardini, gli orti, i prati, i campi, le peschiere e tutti gli spazi dei verzieri [...] al garbo e forma aovata” e il grande anfiteatro di verzura asseconda tali precetti già nel corpo originale della struttura ove risulta presente un’abetina a “mezzo tondo”. Il tema rinascimentale è

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regolato secondo lo ‘spartimento’ o insula vegetale con impiego di querce e allori, i cipressi segnano gli angoli della maglia geometrica e delimitano il prato centrale. Baccio Bandinelli nel febbraio 1551 osserva deliziato l’effetto finale di “questo prato ch’io ho veduto parmi, che la natura l’abbi posto tanto ben quanto nissun altro, ch’io n’abbi mai visto”. (Continua nel prossimo numero)

L’autore, paesaggista dal 1983, ha ideato giardini, terrazzi e parchi privati realizzando inoltre arredi, impianti d’irrigazione, fontane e piscine.Nel settore pubblico, oltre alla Pianificazione paesaggistica, ha realizzato l’arredo di molte manifestazioni o il restauro di ambiti urbani ed extraurbani, storici e di aree sportive. È consulente per la stabilità degli alberi, anche in qualità di Membro del “Comitato Scientifico” Soprintendenza B.A.P. delle Province di Firenze, Pistoia e Prato. E’ socio della Società Toscana di Orticultura e membro di varie commissioni e istituzioni. Svolge attività di libera docenza. Ha pubblicato numerosi lavori, saggi e articoli. Come consulente della Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, dal 1999 cura la conservazione, lo sviluppo e la gestione dei loro beni in qualità di Curatore.


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itinerari

Villa di Liliano

ville e castelli di Toscana G

Carlo Ciappina

randuchi, principi, marchesi, conti, baroni rigorosamente made in Tuscany hanno lasciato un patrimonio architettonico unico in Italia per rilevanza storico-artistica ed il vanitoso territorio senese vanta illustre primato in tema di ville, ammiratissime per il design dalle connotazioni inconfondibili. Dare priorità ad una dimora, piuttosto che a un’altra, diventa impresa ardua talmente sono scenograficamente belle, allora stiamo alla sorte ed avventuriamoci alla scoperta di Pievescola. Qui, tra una vegetazione rigogliosa, troneggia nella sua disarmante bellezza Villa La Suvera. Vanto della nobile famiglia Ardengheschi, il maniero medievale viene trasformato in signorile dimora rinascimentale per Papa Giulio II, che ne affida il progetto al famoso architetto Baldassarre Peruzzi. Sorretti da

slanciate colonne, tre loggiati sovrapposti conferiscono alla facciata rivolta sul giardino una signorilità unica, che trova degno compenso nelle sale interne magnificamente arredate e spesso impreziosite da affreschi, porte architravate secondo la tradizione fiorentina, camini scolpiti, nicchie decorate a stucco, insomma una piccola reggia della provincia senese. Il parco circostante vanta adeguato lignaggio grazie alla settecentesca voliera, la chiesa, giardini all’italiana adorni di limoni in vaso, ninfeo, statue, boschetti di leccio. La nobile Repubblica Senese suggerisce di restare ancora nel suo dominio per un’altra eccellenza custodita presso Sovicille: la seicentesca Villa costruita per Flavio Chigi dall’architetto Carlo Fontana. A pianta quadrata, il prospetto di rappresentanza

Villa Cetinale

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vanta la sontuosa doppia scalinata a forbice, alla cui sommità si erge maestoso un portale in marmo abbellito da colonne bugnate, timpano triangolare, blasone chigiano. La scenografia della facciata diametrale non è da meno grazie ai due avancorpi sporgenti rispetto alla parte centrale, collegati da un falso loggiato sormontato da stemmi gentilizi. Gli interni riprendono la tradizione rinascimentale dei soffitti a volta incorniciati da archi a sesto acuto. L’edificio è circondato da un trionfo di giardini rigorosamente all’italiana, un gioco di volumi e geometrie perfette, dove regnano sovrani leccio, tasso, limoni, cipressi, statue, busti. La vicinanza di Siena con il territorio chiantigiano rammenta atavici feudi appartenuti a blasonate stirpi fiorentine con tanto di maniero a difenderne il possesso, diventa pertanto doveroso visitarne qualcuno! Imponente e superbo, il trapezoidale Castello di Tornano domina sul paesaggio gaiolese grazie a una bellezza architettonica dominata da aperture ad arco, mensole per probabili piombatoi, vestigia della cinta muraria. I suoi interni rammentano un passato medievale fatto di intrighi, amor cortese, avventure clandestine, alleanze, delle quali Warnellottus Mazzalombardi ne rappresenta degno lignaggio. Signore di Tornano in età barbarossiana, l’astuto feudatario riesce a dimenarsi tra potere imperiale, signoria senese e fiorentina, ricorrendo ad astute mosse politiche, oramai divenute storia, sino all’anno domini 1251. Passato ai Ricasoli Fridolfi, la dimora si impone nuovamente quale luogo imprendibile durante le terribili invasioni aragonesi del secolo XV. L’età contemporanea vanta un re-


Villa La Suvera

cupero storico-conservativo dovuto alla famiglia Selvolini, che ne ha permesso la fruizione turistica insieme al caratteristico borgo fatto di casette in pietra rigorosamente a vista e, intorno, una natura mozzafiato spazia tra vigneti dalla geometria bizzarra, oliveti, filari di cipresso, insomma un vero eden. Dirigendosi in territorio raddese, si incontra l’antico Castello di San Donato in Perano, trasformato in fattoria produttiva e villa padronale dalla principesca famiglia Strozzi nel XVII secolo, le cui mura conservano tracce dell’impianto fortificato medievale, rese visibili da un sapiente restauro. Nel piano nobile dimora la quattrocentesca cappella gentilizia, un monumentale camino in pietra serena con tanto di blasone in ceramica invetriata, la movimentata Sala degli Archi e del Vescovo. Intorno, scenografici edifici coevi dominano sul paesaggio circostante: uno spettacolo bucolico da far venire la pelle d’oca. Rimanendo in zona, esattamente a Petriolo, Villa Vignamaggio di origini trecentesche rammenta la celeberrima Gioconda leonardesca, essendo appartenuta alla nobile famiglia Gherardini, in-

Villa di Liliano

confondibile a distanza per il color rosa opaco che la contraddistingue. Dopo le ristrutturazioni rinascimentali, il complesso architettonico assume l’aspetto attuale con cortile interno dalle classiche linee brunelleschiane, finestre con frontone rifinite in pietra serena, ambienti con soffitti a mo’ di volta oppure con travi a vista. Intorno, un magnifico giardino all’italiana dominato da siepi di bosso, alcune volte basse a delimitare aiuole, altre volte alte con tanto di archi, accessi ad un verde addomesticato da mano umana e abbellito da rose, limoni, cipressi, statue in terracotta, un set cosi scenografico da essere scelto nelle riprese del film Molto rumore per nulla di Kenneth Branagh. Puntando verso nord, direzione Bagno a Ripoli, dieci storici secoli rivivono nella villa medicea di Liliano, una perla immersa nel magnifico giardino rinascimentale con tanto di ninfeo. Varcata la soglia del prospetto principale protetto da simmetriche torrette, la sontuosa sala a volta, magnificamente affrescata con putti, rovine e divinità, conduce nella cappella adorna di raffinati stucchi ed arredo originale.

Villa di Vignamaggio

Castello di Tornano

Castello di San Donato in Perano

Villa di Vignamaggio

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Via del Bosco 84-86 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 32198


Andar per

borghi toscani di Lucard

CORZANO E PATERNO

Nel cuore del Chianti, due fattorie attigue raccontano la storia plurisecolare legata alle nobili famiglie fiorentine dei Machiavelli e Niccolini. Un’amena architettura rurale caratterizza Corzano, tornata a nuova vita grazie ad un sapiente restauro e solerte custode della dirimpettaia Villa Paterno, scenografica residenza nobiliare con due cortili interni ed arcigna torre, circondata da bellissimi casolari colonici.

CASTELLO DEL TREBBIO

Corzano e Paterno

Maestoso edificio medievale, costruito per la potente famiglia Pazzi, il castello vanta loggiato rinascimentale sorretto da eleganti colonne tuscaniche, cappella gentilizia, pregevoli opere d’arte, cantina plurisecolare. Tre austere torri e cortina muraria vantano a tratti l’antica merlatura che avvolge uno scenografico cortile interno, forse custodi della famosa congiura ordita ai danni dei Medici.

Castello del Trebbio

WINE&FOOD: Il borgo vanta un intensa vita rurale, allietata da assaggi, produzione gastronomica propria (il formaggio vanta nomea strameritata), corsi di cucina, lauti pasti squisitamente caserecci accompagnati da notorie etichette Chianti Classico generate in loco, visita delle cantine e caseificio.

WINE&FOOD: Il maniero è inserito in una tenuta eno-agrituristica, in effetti buon vino Chianti Rufina, olio extravergine, zafferano spadroneggiano e gustarli in loco diventa mera realtà presso il ristorante “La Sosta del Gusto”, insignito del premo internazionale “Great Wine Capitals”.

PERNOTTAMENTO: A vostra disposizione magnifiche strutture d’epoca annesse alle due tenute, trasformate in invitante agriturismo.

PERNOTTAMENTO: Nella campagna circostante, scenografici rustici d’altri tempi ma anche di nuova costruzione, prospicienti vigneti ed oliveti magnifici, vi ricongiungeranno con Morfeo.

INDIRIZZO: Corzano e Paterno - Via San Vito di Sopra, snc - 50020 San Casciano in Val di Pesa (Fi)

IL BORRO

INDIRIZZO: Castello del Trebbio - Via Santa Brigida 9 - 50060 Pontassieve (Fi)

Il Borro

Borgo medievale dal sapore onirico, il suo assetto urbanistico è rimasto immutato grazie al restyling voluto dai Ferragamo, così molte case rurali ospitano botteghe di alta gioielleria, scarpe su misura, ceramiche, oggetti in vetro. Scorrazzando tra le sue stradine, troverete un presepe con personaggi meccanizzati, caratteristica presente nella riproduzione in miniatura degli antichi mestieri locali e della favola di Pinocchio. WINE&FOOD: Intorno al borgo, si estende una tenuta che produce noci, cereali, olio, vini eccellenti, basti menzionare le arcinote etichette Polisena, Borro, Pian di Nova. Ai languori di stomaco ci pensa l’Osteria del Borro, una mecca per gli amanti della cucina toscana.

SAN GERVASIO

San Gervasio è un piccolo gioiello architettonico, la cui artistica pieve del secolo XI ed il turrito castello, trasformato in villa nel Settecento, ne rappresentano degno lignaggio. Appartenuto a blasonate famiglie fiorentine, l’abitato si erge orgoglioso sulle dolci colline della Val d’Era, circondato da una natura rigogliosa e prodiga, il cui assetto vanta caratteristiche costruzioni trasudanti la sua storia plurisecolare.

San Gervasio

WINE&FOOD: La cucina locale è una vera goduria, da gustare presso i ristoranti “il Pachino” e “il Ristoro”. L’annessa tenuta ospita rigogliosi vigneti, dalle cui uve si generano rinomati vini tutti da gustare, magari visitando i luoghi preposti alla produzione.

PERNOTTAMENTO: Il villaggio ha vocazione agrituristica e Villa Il Borro ne rappresenta sontuosa testimonianza grazie ai suoi ottocenteschi saloni magnificamente arredati, peculiarità che l’accomunano al Podere Chiocchi Alto.

PERNOTTAMENTO: All’interno dell’abitato, ben quattro edifici cinquecenteschi ospitano residence a vocazione agrituristica. INDIRIZZO: Località San Gervasio Via dei Cipressi - 56036 Palaia (PI)

INDIRIZZO: Località Il Borro 1 - 52024 San Giustino Valdarno (Ar)

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un passo DOPO l’altro

Camminare

una scoperta senza fine

Elena Battaglia

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n nuovo cammino è cominciato. Quello che inizia oggi è un percorso sui “cammini”, che ci accompagnerà nel corso dei prossimi numeri, durante il quale racconteremo il significato di questo antico modo di viaggiare e le testimonianze di chi lo ha intrapreso. Abbiamo l’intenzione di raccogliere – e pubblicare – i racconti che i “pellegrini”, desiderosi di condividere le loro emozioni, invieranno al nostro giornale. Per questo ci attiveremo anche attraverso Facebook, dove chi vorrà prendere parte a questa iniziativa potrà tenersi in contatto con noi. Lo scopo? Stimolare, motivare gli altri a fare la stessa scelta, oppure più semplicemente fissare nero su bianco un’esperienza unica e toccante. Camminare: una scoperta senza fine. “Anche un cammino di mille miglia inizia con un solo piccolo passo” ricordava Lao Tzu, fondatore del Taoismo, in una delle sue massime. Il momento più difficile, quando

ci accingiamo ad intraprendere un percorso, infatti, è prendere la decisione: mettersi lo zaino in spalla, allacciare le scarpe e partire. Per quale motivo? Dimenticare per un po’ la routine frenetica, lo stress lavorativo, i doveri familiari e prendere una pausa. Oppure ritrovare se stessi e rinnovare il contatto con una parte nascosta del proprio “Io”, soffocato dai mille impegni e doveri della vita quotidiana. In questo modo “il camminare” diventa una terapia del corpo e dell’anima, un atto fisico che assume diversi significati simbolici quando viene fatto con un intento ed una meta ben precisa. Italia peregrina. Quello che è cominciato da poco è un anno particolare: il 2016 è stato dichiarato “Anno nazionale dei cammini” dallo stesso Ministro dei beni culturali, Dario Franceschini. Non possiamo dimenticare, infatti, che l’Italia è un Paese denso di sentieri immersi nella bellezza della natura, in cui abbondano le me-

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raviglie paesaggistiche e culturali. I percorsi di questo genere, a volte, si trovano proprio dietro casa nostra e li scopriamo per caso: strade, luoghi, odori e colori in grado di riconnetterci alla magia di un’esistenza ancestrale, quasi primordiale, all’armonia del respiro e del battito del cuore. La via Francigena. Una delle strade predilette dalla moltitudine di “camminanti” che scelgono di assaporare da vicino il contatto con la natura passa anche nel Valdarno e scorre fin sul colle di San Miniato. Si tratta della via Francigena, così chiamata perché usata dai Franchi, in età post-carolingia, per raggiungere Roma attraversando la Val di Susa. Quest’ultima è stata dichiarata “Itinerario culturale del Consiglio d’Europa” nel 1994, dopo il rinnovato interesse che a partire dagli anni Settanta ne ha aumentato la popolarità, e da dicembre 2015 è stato avviato il progetto per inserirla nel patrimonio mondiale dell’Unesco. L’obiettivo


del Comitato che ne ha sostenuto la candidatura è proprio quello di promuovere i cammini storici nel nostro Paese, per svilupparne al meglio gli aspetti sociali, culturali e artistici di cui è da sempre una inestinguibile fucina. La via Romea. Un altro percorso di fondamentale importanza, nel territorio italiano, è proprio la “Romea strata”: un cammino che attraversa le Alpi orientali, giunge in Toscana e termina nella Città eterna. Più di mille chilometri che sarà possibile ripercorrere in occasione del Giubileo della Misericordia, voluto da Papa Francesco. In Toscana il tratto della “Romea Longobarda” si estende per 109 chilometri e congiunge Fanano

a San Miniato. È proprio nella città della Rocca, infatti, che le due strade più importanti della storia d’Italia si incontrano per proseguire lungo lo stesso tracciato fino a Roma. I cammini di fede: tra introspezione e popolarità. Quello dei cammini e dei pellegrinaggi è un “trend” incrementato nel corso degli ultimi anni ed ormai talmente popolare da essere considerato da molti una “moda”. Eppure, le motivazioni che si celano dietro alla decisione di intraprendere un viaggio così “impegnativo” non possono essere semplicistiche e le testimonianze dei pellegrini lo confermano. Qualcuno è stato spinto dal desiderio di lottare con una malattia, contro i chili di troppo o

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per dare una spinta propulsiva a una vita troppo sedentaria. Altri hanno voluto recuperare un rapporto immediato – ed antico – con il corpo e i bisogni umani. C’è anche chi racconta la riscoperta della lentezza, di un tempo abbandonato. Infine, ma non meno importante, la volontà di mettersi in contatto con il Divino, cercandolo nell’armonia cosmica della natura e tra le pieghe nascoste del proprio intimo. In ogni caso iniziare un percorso a piedi è un modo genuino per lasciare da parte ansie, paure, tormenti, vicissitudini dolorose. Il “fil rouge”, infatti, sembra essere sempre lo stesso: “camminare” come metafora della rivelazione. Dell’uomo, di Dio e della meraviglia.


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RaCCONTO

Matthew Licht

la vasca F

orse esistono lavori peggiori che consegnare alcol a domicilio. Diversi clienti della bottiglieria di Beverly Hills erano stelle del cinema, e una volta portai casse di champagne a Villa Playboy. A dare ordini nel magazzino era un simpatico gay di quelli che amano il cuoio nero. Era baffuto, ironico, gli piaceva farsi pisciare addosso. “Uh!” diceva, “oggi ti mando a trovare Lana Turner!” Come se ciò fosse un fantastico privilegio. Le consegnai tanto ottimo gin. Lana Turner era una settantenne ancora seducente. Anziché darmi la mancia, mi guardò dritto negli occhi e batté le famose ciglia. Sarei diventato il suo schiavo. Non per nulla le stelle sono stelle. Conobbi così anche Cyd Charisse, Fred Astaire, Barbara Stanwyck e Barbara Eden. Quest’ultima aprì la porta agghindata come la fatina che aveva interpretato in tivù. Dietro il velo colore del cielo non si notavano quasi le rughe, le occhiaie, la dentiera. Beveva whisky e vino bianco fruttato. Da quel lavoro imparai solo che le

vecchie glorie del mondo dello spettacolo non danno la mancia. Un giorno il capo mi disse, “Uh! Oggi ti mando alla reggia di Giggles Gowanus.” Mai sentita. “Uh. Ganzo.” “Vedrai. Ho sentito dire che è generosa con le mance.” Ci toccava caricare le casse da consegnare. Era un lavoro di fatica, ma al posto di bei muscoloni ci venivano dolori alla schiena. La Gowanus beveva esclusivamente veleno per barboni, e abitava nella brutta, vecchia Hollywood. Non era facile parcheggiare in quel quartieraccio, e se prendevamo multe, le dovevamo pagare noi. Non mi aspettavo nulla di buono, ma quella catapecchia era peggio. Il carrello pesava una tonnellata, faceva un gran caldo. Suonai. “Avanti, è aperto!” Nessuno lascia le porte aperte, a Hollywood. Entrai. C’era tanfo di gatto, sudore, vestiti sporchi e piscio. C’era buio, dentro. Il carrello passava male sulla moquette colore del fango. “Permesso? Sono qui con tanta buona roba da bere.” “Sia lodato il cielo. Vieni, vieni.” Una vecchia obesa dai capelli neri stava accovacciata su un sofà distrutto. La vestaglia lisa la copriva appena. “Dove lo metto, tutto questo nettare?” Volevo aiutarla. Volevo la mancia. “Grazie, sei carino,” disse. “Vai pure in cucina. Poi quando hai finito avrei un altro favore da chiederti.” “Certo. Nessun problema.” La cucina era peggio del salotto. Sistemai le bottiglie di vino bianco nel lercio frigo. Riempii uno scaffale con bottiglioni di vino rosso fatto col sangue di maiale.

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Tornai nel salotto con le casse dei superalcolici. Mi aspettavo di trovarmela davanti nuda. Cosa non si fa, per una mancia. Invece, “Scusa, ma non cammino bene, e non sono forte come una volta. Se non ti dispiace...” Indicò un bacino di plastica sulla moquette accanto al sofà. Non l’avevo notato, entrando. Era un acquario. Pesci marroni fluttuavano in un piccolo mare giallo. Alzai la vaschetta stando attento a non sbrodolare, la portai nel cesso e la svuotai nella vasca da bagno. Il tombino era intasato. Tornai in cucina e presi un mestolo. Non c’era sapone per lavarsi le mani. “Grazie tesoro,” disse. “Vieni, ti voglio dare qualcosina.” Mi avvicinai al sofà. ‘Che non sia un bacino,’ pensai. Mi porse un dollaro. “Grazie,” dissi. “Non è necessario, ma lo apprezzo. Serve altro?” “Vuoi vedere una cosa?” Ero titubante. Avevo già visto abbastanza. “Certo,” risposi. Indicò una cornice d’argento sulla credenza accanto alla porta. Era lei nella foto, nuda sotto una fluttuante toga, in una posa da danzatrice. Un fisico a clessidra. Forse fischiai. “Ero bella, vero?” “Cazzo!” “Ma non solo. Ero anche brava a raccontare barzellette. Sapevo far ridere, sul serio. Vuoi sentirne una?” “Spara.” E risi davvero. Era buffa. “Ma mi davano solo ruoli da comparsa, non mi facevano mai parlare o ballare. Ed eccomi qua.” “Eccoci qua. Allora ciao.” “Ciao, sei proprio bello, giovane e forte.” Rise gorgogliando mentre uscivo. Chiusi bene la porta, ma la sentivo sempre.


LIBRo

voltare pagina intervista a Veronica De Laurentiis

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oraggio, forza, tenacia, e la rinascita prende forma. Pensi e ripensi, poi ripensi ancora sino a prendere la decisione di aprirti nei confronti del mondo, facendo uscire tutto il malessere che ti porti dentro, col fortissimo desiderio di ricostruire la vita. La mia, ma può essere anche la tua, nonché quella degli altri. Veronica De Laurentiis è una donna molto attraente ed elegante nella sua gestualità. Magra, ben fatta – caspita! La figlia di Silvana Mangano! – coi lunghi capelli castano-mogano, colpisce per il bel sorriso, per i grandi occhioni scuri mediterranei in cui si alternano lampi cupi e sereni, ma anche per quella sua voce così calda e suadente dai timbri ritmati, che piacevolmente affascina gli ascoltatori. Durante la presentazione del suo libro Rivoglio la mia vita, giunto alla quinta edizione, estremamente calma, racconta che su invito della psicologa mise a nudo

ogni sorta di sofferenza e di violenza subita. Lei era stata la brava bambina che esigevano i suoi genitori... però non “sentiva” la propria bellezza e... A 18 anni mi ribellai, nonostante il parere contrario di mio padre. In automobile, con un amico per una serata piacevole, mi ritrovai con l’orco addosso: dopo essere stata aggredita, abusò di me. Staccandomi dal mio corpo, riflettei sulla mia disobbedienza! Oggi sono qui per dirvi che la violenza è come un cancro: è basilare rompere quel silenzio ancora troppo imperante e sopratutto è determinante trovare la forza per denunciare tali mostri. Con i miei scritti, con colloqui di donne che sentivo e che sento amiche, orgogliosamente dico che ho avuto il coraggio di spronarle, salvando le loro esistenze. Ho preso coscienza di me stessa e sono pronta a dire che la ragione della mia e della vostra vita, è volersi bene, rompendo ogni sorta di indugio! Un lungo applauso circonda la figlia di colei che magistralmente interpretò Riso amaro, mentre riprende. In Italia vige ancora la vecchia mentalità come del resto conservava anche mio padre. Non era il solo, anche il mio primo marito purtroppo era così: operando insidiosamente sulla mancanza di rispetto nei miei confronti, abusava di me fisicamente e moralmente. Dopo piangeva ed io ci ricascavo; ecco perché l’autostima è fondamentale! Il mio errore è stato quello di annullarmi sin da piccolina; le persone che troviamo spesso ci rispecchiano poiché noi le scegliamo, pertanto quando capiremo che la violenza chiama violenza e che quest’ultima si protrae avremo fatto un lungo passo. La vita è

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una questione di energia: il positivo richiama la positività e viceversa. Inevitabile la riflessione sentimentale. “Dopo la separazione decisi di stare da sola, poi... Ecco che si illumina, adesso è raggiante e solare. Il mio secondo marito mi tratta come una regina, mi ha insegnato che l’amore è rispetto per gli altri e per noi stessi. Sono fortunata, lui è il mio angelo! Essere la figlia di persone famose talvolta porta vantaggi, altre volte coi nostri processi di identificazione... Sorniona sorniona risponde. Ricordo mia madre mentre di fronte ad una tazza di tè fumante... – figlia mia, tu guarirai tutti! – Di me aveva capito ogni cosa. A lei, come del resto alle mie figlie, alle mie sorelle, debbo moltissimo. Scrivere mi ha salvata e i vari centri di aiuto alle persone maltrattate che riusciamo a tenere in vita sono fonte di grande soddisfazione. Tornando alla mamma, all’attrice, dico ch’ella oltre a soffrire d’una profonda depressione, non nutriva nessun desiderio di recitare, nonostante con mio padre rappresentasse la coppia reale del cinema. Era una donna di gran mistero dallo sguardo semplicemente meraviglioso (beh... la figlia non ha preso da lei?) e mio papà la definiva sempre con gran rispetto. Dopo la morte di mio fratello, decise di lasciar perdere tutto. Anch’io ho avuto la perdita d’un figlio, è un dolore pazzesco, però vivo, ho una grande determinazione e faccio pure cose importanti. Vi sembra poco?” No. Ornella Vanoni cantava “Domani è un altro giorno si vedrà”, Frank Capra ci fece apprezzare i veri valori col film: La vita è una cosa meravigliosa. Si vive anche per ricominciare.

Carla Cavicchini

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“C’è qualcosa che va oltre a un lavoro eseguito a regola d’arte... ci sono la dedizione al risultato e il piacere del compimento...”


LIBRO

March il padre delle “piccole donne”

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l romanzo scritto da Geraldine Brooks rappresenta un meritevole omaggio ad uno dei componimenti narrativi più conosciuti e amati di tutti i tempi: Piccole Donne di Mary Louise Alcott. Pubblicato dalla Neri Pozza con il titolo L’idealista, la storia sulla vita del Signor March, il padre delle piccole donne, riceve il premio Pulitzer nel 2006. La narrazione è suddivisa in due parti. La prima parte è condotta in prima persona dal racconto del Signor March; figura affettiva constante nei pensieri di Jo, Meg, Beth e Amy, nella descrizione della Brooks egli è portato alla luce attraverso una ricostruzione storica malinconica e trascinante. In essa si delinea ciò che avvenne prima della nascita delle piccole donne, dalla gioventù del Signor March fino al suo incontro con la loro madre ed alla partenza per il fronte durante la Guerra Civile Americana. Nella seconda parte del romanzo la

narratrice è la stessa signora March, la madre delle piccole donne; da questo punto, la storia ci riconduce attraverso le sue parole a quando ella si reca dal marito ricoverato in ospedale. Il romanzo di Geraldine si avvia dunque alla conclusione ricollegandosi all’episodio riferito dalla Alcott, nel quale la Signora March parte per il Blank Hospital di Washington in visita a marito. Scritto con dovizia di particolari, il percorso s’intride di rimandi alla giovinezza del Signor March, avvicendati da episodi del presente nel quale i continui richiami alle quattro sorelle si fondono armoniosamente. In quel presente segnato da combattimenti, scontri sul campo, crudeltà della guerra, malattia e fame, le piccole donne permangono sullo sfondo delle lettere che il padre invia alla moglie. ”tante volte ho desiderato di possedere una specie di telescopio magico con il quale guardare da lontano te e le mie ragazze”. Si tratta di lettere corpose, composte nel tentativo di celare le atrocità della guerra, nonché la disperazione in cui affonda lo stato d’animo di un uomo accerchiato da ingiustizie e sofferenze. Nel racconto della Brooks conosciamo il cappellano March come uomo generoso, ma talvolta dubbioso e incerto, ottenebrato dalle circostanze infelici della guerra “non ritenevo che le orecchie delle mie piccole donne dovessero essere sfiorate da simili atrocità”. I suoi occhi scorrono sul dolore dei campi di battaglia e degli schiavi torturati; perfino il suo rapporto con la moglie ci è rivelato a tratti intimidito e incerto. Al termine della storia incontriamo nuovamente la signora

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Patrizia Bonistalli

March conosciuta in Piccole Donne, che qui ci appare personaggio decisamente struggente e avvinto nel mettere in discussione il suo ruolo di moglie. Il Signor March compie il proprio ritorno alla sua casa affrancato dallo strepitoso abbraccio delle bambine, benché mortificato dentro una vicenda degradante la cui narrazione onora egregiamente una storia indimenticabile. “La sfida per il lavoro dell’uomo è quella di tenere il passo con la Natura, o altrimenti venire sopraffatto dalla sua eccessiva generosità”.

Copertina del libro Piccole Donne Piccole Donne, scena dal film del 1949 Illustrazione Il signor March torna dalla guerra, tratta dal libro Little Women della Alcott illustrato da Frank Merrill e con dipinti di Jessie Wilcox Smith

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CINEMA

London Film Festival dall’esordiente Piero Messina al premio Oscar Paolo Sorrentino, tutti gli autori italiani presenti alla rassegna londinese Andrea Cianferoni

Ben Whishaw Meryl Streep Jia Zhangke e Walter Salles

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ono stati ben 13 – su 238 complessivi – i film italiani al London Film Festival: nessuno nella competizione ufficiale, ma tra i titoli di spicco Youth di Paolo Sorrentino, Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores, Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio e Latin lover di Cristina Comencini. Nelle varie sezioni proiettati anche i film di Laura Bispuri, Francesco Clerici, Carlo Lavagna, Jonas Carpignano e Sébastien Petretti. “L’Attesa” del giovane regista di Caltagirone Piero Messina – già assistente alla regia di Paolo Sorrentino – con Juliette Binoche, ambientato alle pendici dell’Etna, conquista un posto nella competizione First Feature. A bigger splash di Luca Guadagnino – girato a Pantelleria – tra i protagonisti Ralph Fiennes, Dakota Johnson e Tilda Swinton gui-

da la sezione Love e un posto speciale è riservato alla versione restaurata di Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti. Il film più atteso è stato sicuramente Steve Jobs sulla vita del papà della Apple, firmato dal regista Danny Boyle con il premio Oscar Kate Winslet. Film scelto per il gran finale del Festival. L’apertura, invece, è stata affidata al film in costume Suffragette con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter e Meryl Streep sulla conquista del diritto di voto da parte delle donne. Stella per eccellenza l’attrice australiana Cate Blanchett, che ha ricevuto il premio “BFI Fellowship” con due film: Carol e Truth. Presenti i tre attori-mito del cinema inglese: Benedict Cumberbatch, Helen Mirren e Maggie Smith. Tra i documentari, He named me Malala sulla ragazza pakistana premio Nobel per la Pace. Tra gli altri italiani Youth di Paolo Sorrentino con Michael Caine e Harvey Keitel, Sangue del mio sangue (Blood of My Blood) di Marco

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Bellocchio con Roberto Herlitzka e Alba Rohrwacher, Il ragazzo Invisibile (The Invisible Boy) di Gabriele Salvatores con Valeria Golino e Fabrizio Bentivoglio e Latin Lover di Cristina Comencini con Valeria Bruni Tedeschi. Spazio anche al debutto di Ondina Quadri, protagonista di Arianna di Carlo Lavagna sul tema dell’intersessualità (già presentato a Venezia). L’Italia delle produzioni internazionali è raccontata sugli schermi inglesi da Mediterranea di Jonas Carpignano sulla storia di due ragazzi del Burkina Faso nel loro difficile viaggio dal Sahara alla Calabria, da Pink Velvet Valley di Sébastien Petretti sull’ossessione di un uomo scozzese per i propri occhiali da sole, e dai 14 minuti di Angelo Lives del regista giapponese Yu Araki. Nel programma del BFI London Film Festival la chicca è il documentario Hand gesture (Il gesto delle mani) di Francesco Clerici sulla fonderia milanese Battaglia: segue il lavoro di un gruppo di artigiani italia-


definito la regista Tsangari una “cineasta coraggiosa e originale”. “Con grande rigore formale e di spirito irresistibile, Athina Rachel Tsangari è riuscita a fare un film che è allo stesso tempo una commedia esilarante e una dichiarazione sconvolgente sulla condizione dell’umanità occidentale”, ha detto Pawlikowski.

ni specializzati nella scultura in bronzo. Tra le protagoniste internazionali del festival da citare senz’altro il premio Oscar Cate Blanchett la quale ha ricevuto un premio per il suo film sul giornalismo investigativo intitolato Truth. La regista greca Athina Rachel Tsangari si è invece aggiudicata il top dei premi per il suo film Chevalier, che trattava dell’ego e della rivalità maschile con sei uomini protagonisti su una barca. Chevalier ha vinto la lode del regista premio Oscar Pawel Pawlikowski, presidente della giuria della competizione ufficiale, che ha

Kate Winslet Ralph Fiennes Gulshan Grover, Deepa Mehta, Randeep Hooda Alexandra Weaver Cate Blanchett Luca Guadagnino. Amber Heard Johnny Depp Brendan Gleeson, Carey Mulligan, Meryl Streep, Helena Bonham Carter, Anne Marie Duff, Abi Morgan, Sarah Gavron e Ben Whishaw Harvey Keitel, Rachel Weisz, Michael Caine, Paolo Sorrentino Helen Mirren e Bryan Cranston Colin Farrell

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CINEMA

Giampaolo Russo

prima italiana

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rriva nelle sale italiane il sequel a ben quindici anni di distanza dal primo Zoolander, film del 2001 diretto e interpretato da Ben Stiller. Il film è stato girato nel corso del 2015, utilizzando in larga parte gli studi di Cinecittà e il set naturale di Roma, città nella quale Zoolander viene inviato per infiltrarsi nel mondo della moda italiana e risolvere il mistero dietro a una serie di delitti di celebrità, tra cui Justin Bieber. Ad affiancarlo nelle nuove avventure, oltre al collega modello Hansel (Owen

oolander

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Z

Wilson), che nel primo film – dopo un’iniziale rivalità – si dimostrava il suo amico più fidato, c’è ora anche Penelope Cruz, nei panni di un’agente dell’Interpol. Nel cast anche Christine Taylor (Matilda Jeffries), Cyrus Arnold (Derek Zoolander Jr.), Will Ferrell (Mugatu), Kristen Wiig e Penelope Cruz. Stiller ha scelto Roma per l’anteprima mondiale. E l’ha voluta anche al centro della sua spy story che cita Bond, Angeli e demoni, Star Wars e i film di De Sica. Un kolossal che abbraccia dalle fonda-

Derek Zoolander e Hansel Madalina Ghenea Owen Wilson and Ben Stiller dentro la vetrina del negozio Valentino Yvonne Scio Mario Testino, Penelope Cruz Justin Theroux , Will Ferrell, Owen Wilson, Ben Stiller, Christine Taylor Owen Wilson dentro la vetrina del negozio Valentino Owen Wilson

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menta la grande bellezza capitolina: i sotterranei delle Terme di Caracalla, il Colosseo quadrato, la sede storica di Valentino, Palazzo Fendi, i Fori, il Lungotevere: “Emozionanti le riprese a Cinecittà, studi da rimodernare, ma pieni di vibrazioni. Roma non è la città più economica in cui girare, ma è davvero suggestiva. Il Pantheon, il Ghetto, San Lorenzo”. Accolti da una 500 lunga come una limousine hollywoodiana, i modelli Derek-Stiller e Hansel (Owen Wilson) percorrono la città mentre dal finestrino sbuca la


Roma vintage: “Cercavo una speciale atmosfera, mi sono immerso nel favoloso technicolor dei film di De Sica, quelli degli anni Sessanta con Mastroianni e la Loren. So che la capitale della moda è Milano, ma l’opulenta bellezza di Roma è unica. Molti stilisti hanno la loro sede qui. Era perfetta per il rientro in scena del mio modello da un esilio volontario, dopo aver causato la morte della moglie e essere stato separato dal figlio”. Proprio per riaverlo si reca in missione a Roma e si ritrova al centro di un complotto mondiale che coinvolge l’arcinemico Mugatu (Will Ferrell) e le vere star della moda mondiale, Valentino, Marc Jacobs, Tommy Hilfiger, la direttrice di Vogue Anne Vintour. La produzione del film ha voluto creare un mini evento al fine di pubblicizzare l’evento. I due attori sono infatti comparsi a sorpresa, in tenuta da modelli e con le inimitabili espressioni Magnum sul volto, nelle vetrine affacciate su piazza di Spagna della boutique di Valentino a Roma, richiamando in breve tempo una folla di curiosi.

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teatro

Teatro Niccolini

Roberto Lasciarrea

Il sindaco di Firenze Dario Nardella, Il premier Matteo Renzi, Mauro Pagliai, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti e suor Costanza

L

a prima cosa che ci viene in mente scrivendo del teatro Niccolini è ringraziare Mauro Pagliai per questa impresa titanica, per questa scommessa che solo un “ottimista incosciente”, come lui stesso si è definito, ha affrontato, vincendola. Mauro Pagliai, classe ’43, non ha bisogno di presentazione nell’editoria di cultura, nel mondo delle mostre e dei musei, in quanto fondatore e direttore della casa editrice Polistampa e della società di servizi Eventi Pagliai. Un imprenditore attendibile che ha sempre portato a termine i suoi progetti, come il recupero dell’ex-chiesa rinascimentale di santa Chiara a Firenze, trasformandola da falegnameria in luogo di cultura e spazio espositivo (tanto che, attualmente, è sede della Scuola di Formazione del Mestiere dell’Attore “L’Oltrarno”, diretta da Pierfrancesco Favino, che fa parte del progetto formativo del Teatro Nazionale della Toscana), o la realizzazione, sempre qui in città, di quel moderno insediamento produttivo in via Livorno, ideato all’americana all’interno del quale si sviluppa il ciclo editoriale completo

che, in tutta la sua interezza, parte dal progetto fino a concludersi con l’uscita del testo in questione, affidandola, poi, alla distribuzione. La storia. Il teatro del Cocomero nasce dall’esigenza di allestire uno spazio dedicato all’attività teatrale indipendente dalla corte granducale. Ciò è opera della Compagnia dei Concordi, la prima accademia di drammatici fondata nel 1644. Questi si riunivano per “conversare” su questioni musicali o teatrali. All’inizio della loro attività si ritrovavano in via del Parione, presso il Casino di don Lorenzo de’ Medici, quinto figlio del granduca Ferdinando I. Nel 1648, la vedova di Filippo Corsini, Maddalena Machiavelli, acquistò il Casino, che insieme alle case di Dino Compagni, a quelle dei Minerbetti e degli Ardinghelli, furono rase al suolo per far posto alla fabbrica dell’imponente palazzo Corsini. Fu così che nel 1650, la Compagnia dei Concordi si trasferì in via del Cocomero (sul finire del XIX secolo sarà ribattezzata Ricasoli), nel palazzo del conte Niccolò Ughi che aveva disfatto alcuni piani del suo fabbricato trasformandolo, così, in un unico “stanzone” che affittò per ottantacinque scudi l’anno. Lo “stanzone” parve, ad alcuni della Compagnia dei Concordi, troppo angusto per realizzare quanto la loro attività teatrale richiedesse. Così alcuni di loro non essendo d’accordo, si dissociarono dando così vita a due sodalizi; quello degli Immobili, (lo stemma era un Mulino a vento e il motto “In sua movenza è fermo”), all’inizio senza sede (nel 1651 fonderanno il teatro della Pergola), mentre nel palazzo Ughi, invece, rimasero i “superstiti” dell’iniziale Compagnia. Si “battezzarono” Infocati. Il loro motto era “A tempo infocato”, mentre il “logo”, come diremmo oggi, consiste-

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va nella raffigurazione di un globo nel momento dell’esplosione. Osservando bene lo stemma, c’è chi afferma che potrebbe somigliare a una bomba, tant’è che si può “leggere” il fuoco alla fine della miccia e il fumo dell’esplosione. Altri, videro in quella sfera un cocomero, forse perché influenzati dal nome della strada sulla quale sorgeva appunto il teatro, via del Cocomero, dove le abitazioni si alternavano agli orti, nei quali maturavano felicemente i succosi frutti. Con la presenza dei due teatri, si era aperta una sorta di competizione fra la Pergola e il Cocomero. I due politeama, oltre ad essere luoghi di spettacolo, furono luoghi di ritrovo e d’intrattenimento, quindi anche di gioco. Fra Il 1657 e il 1658 vengono inaugurati i due teatri. La Pergola è inaugurato il giorno del Carnevale del 1657. L’anno successivo il futuro Niccolini, ma sempre con la stessa commedia: il Podestà di Colognole, di Andrea Moniglia. Dopo un periodo iniziale di grande fulgore, l’Accademia degli Infocati, a cui partecipavano prevalentemente i membri della classe dirigente cittadina, ridusse notevolmente la sua attività, anche per le vicissitudini legate alla dinastia regnante, tanto che fece notizia la rappresentazione del 1674 Tacere et amare di Jacopo Melani. Col passare del tempo anche gli Infocati non sono soddisfatti di “lavorare” in quello stanzone. Decidono di rinnovare l’ambiente. Dovettero passare sette anni di lungaggini burocratiche (anche allora!), prima che fosse presentato il primo spettacolo nella nuova sede. Nel 1711 furono apportate, ancora, significative modifiche e migliorie; un palco reale e due nuovi ordini di palchi. Un terzo ordine fu costruito nel 1752, mentre il quarto fu elevato due anni dopo. Nel 1764 l’“odeon” raggiunse,


su progetto dell’architetto Mannaioni, la tradizionale tipologia italiana a ferro di cavallo o a forma ovale. Una “forma” che fece scalpore studiata per ottenere un’ottima resa acustica. Alcune stanze si estesero fino a confinare con i locali dello storico «Bottegone», in piazza Duomo. Da non dimenticare che nel 1718, sotto Gian Gastone de’ Medici, questi divennero proprietari esclusivi del teatro, liquidando l’Arte della Lana. Non contenti, rinnovarono lo statuto e si dotarono di un impresario esterno, aprendo al pubblico pagante (fino ad allora era riservato ai membri dell’Accademia e ai personaggi della corte). L’Accademia drammatica degli Infocati passò, poi, sotto la direzione di Giovan Carlo de’ Medici il quale fece rappresentare tragedie e commedie classiche, nobile svago di aristocratici e della stessa famiglia granducale. Nel 1861, Giovan Battista Niccolini morì (20 settembre). Così fu pensato di dedicare al grande tragediografo, amico di Giovanni Fantoni e Ugo Foscolo, il “vecchio Cocomero”. Il drammaturgo, figlio di Ippolito, Commissario Regio e di Settimia da Filicaia, era nato il 29 ottobre 1782. Fu socio dell’Accademia della Crusca. Tornando al Niccolini, fu il primo della Toscana illuminato a elettricità. Si giunge al 1934. L’Accademia degli Infocati cede il prestigioso politeama alla famiglia Ghezzi che, con l’avvento del cinema, lo trasforma in sala di proiezione, rifugio per le coppiette che trascorrevano i pomeriggi della domenica, nascosti nei quattro ordini di “gabinetti”, cioè di “stanzini” o “palchetti” sorretti da colonne in legno senza peraltro … vedere il film. Tra gli anni ‘70 e ‘80 assurge al ruolo di vero teatro stabile dedicato alla prosa a Fi-

renze, grazie all’impegno del fiorentino Roberto Toni. Tra gli spettacoli ospitati, vanno ricordati quelli di Ingmar Bergman, di Vittorio Gassman, di Carlo Cecchi, di Carmelo Bene e...Paolo Poli. Il Niccolini fu attivo fino alla fine degli anni Ottanta. Da quell’epoca, la prosa verrà “dirottata” alla Pergola. Nel 1995 il cinema chiude i battenti. La famiglia Ghezzi, a questo punto, tenta di vendere il prestigioso immobile. C’è anche un abboccamento con il comune di Firenze, ma la trattativa che sembrava volgere a buon fine (1999), finisce in un nulla di fatto. Da allora circolano molte voci, puntualmente smentite, su possibili cambi di proprietà, tanto da fugare anche la possibilità remota di un’appropriazione pubblica. Il 25 ottobre 2002 il teatro è occupato da un centinaio di giovani attivisti locali, portacolori di un network che per tre lunghi giorni mettono l’intero complesso teatrale a “ferro e fuoco”. Questi attivisti organizzano feste e dibattiti, accusando la giunta comunale e la stessa città di seguire la sola logica del profitto, permettendo così che molti spazi fiorentini deputati alla cultura e alle arti, tra cui lo stesso Niccolini, possano rischiare di finire in mano a speculatori. Finalmente, nel 2006, Pagliai sblocca la situazione acquistando l’intera struttura compresi foyer, caffetteria, sala da ballo, palcoscenico, platea e quattro ordini di palchi, per un totale di 406 poltrone. Una figura affidabile quella del titolare della casa editrice, soprattutto sul piano della sensibilità culturale, il cui ruolo di editore umanistico e il cui “curriculum” non possono far temere la trasformazione del glorioso Niccolini in un megastore, in una boutique o in un fastfood. L’edificio chiuso da vent’an-

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ni, si presentava con il tetto rovinato, macerie, sporcizie, “spiacevoli segni di quell’occupazione”, senza dimenticare la lunga serie relativa ai non pochi problemi impiantistici”. Dal 2010 iniziano i lavori di messa in sicurezza dell’edificio, partendo, ovviamente dal tetto, per scendere al soffitto, spingendosi quindi alle facciate, mentre per l’interno sono occorsi circa due anni di lavoro. La ristrutturazione è terminata il 5 gennaio u.s. Il centro sognato da Pagliai è una realtà. Sarà aperto in tutte le stagioni a ogni ora del giorno e sarà soprattutto rivolto a un pubblico internazionale. Oltre alla classica stagione teatrale di prosa, si avvicenderanno, in quegli ambienti, mostre, serate, dibattiti e proiezioni di film, mentre le sale d’ingresso su via Ricasoli accoglieranno un caffè letterario e una libreria sempre aperti al pubblico. Inoltre, dal prossimo mese di aprile, di giorno il teatro sarà usato dall’Opera del Duomo. Infatti, i turisti che avranno acquistato un biglietto del nuovo museo, come da accordi, potranno recarsi al Niccolini per assistere ad un video “preparatorio” alla visita del luoghi sacri della nostra città: il complesso del Duomo, Campanile, Battistero e Grande Museo dell’Opera del Duomo. Di sera sarà sede di eventi gestiti dalla Fondazione Teatro della Toscana (che gestisce anche quello storico della Pergola). Il nuovo Niccolini è stato inaugurato la sera dell’ 8 gennaio di quest’anno con uno spettacolo di Paolo Poli. In occasione della riapertura, Pagliai ha ridato vita all’Accademia degli Infocati, che si occuperà dell’organizzazione di eventi culturali. Non dimentichiamo però che Mauro Pagliai è arrivato ad essere quel grande imprenditore quale è anche grazie alla sua famiglia. Sua moglie Piera, sempre al suo fianco, come del resto i suoi figli, l’ingegner Antonio e suor Costanza, che divide l’amore per suo padre, con il Padre di tutti noi. Grazie di cuore Mauro. Del resto come dicevano gli antichi romani “repetita iuvant”.


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teatro

tra la vanga ed il fucile Maurizio De Santis

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on ci poteva essere titolo più centrato di questo per uno spettacolo sulla prima guerra mondiale offerto dal gruppo di artisti “In giro di do” a Fucecchio il 30 Dicembre 2015 il cui incasso è stato completamente devoluto in beneficenza al “Movimento Shalom”per la realizzazione di alcuni progetti in Africa. Uno spettacolo presentato dalla sempre più brava Samantha Giannotti, sicura “padrona di casa” che con i suoi interventi precisi e pun-

tuali ha reso attuale una commemorazione che poteva nascondere in sé delle insidie quali la banalità per frasi e immagini sentite e viste migliaia di volte o, al contrario, nell’orrore per i milioni di morti. Tutto questo invece è stato intelligentemente evitato grazie alla sapiente miscela creata dal regista Giosuè Cino, che ha saputo tener viva l’attenzione del numeroso pubblico per un’ora e mezza. Il tema della Grande Guerra è stato esposto con delicatezza attraverso canzoni tematiche e dell’epoca eseguite brillantemente dal tenore Eugenio Cino, dalle cantanti Sara Fefè e Giulia Fanucci e nella parte finale, dallo stesso Giosuè Cino insieme, ed è stata una tenerissima sorpresa, alla figlioletta Matilde. L’argomento è stato anche proposto con sobrietà e serietà sia con la voce fuori campo dell’attore Valter Cino che ha declamato toccanti e intense poesie, sia attraverso la proiezione di immagini elaborate e montate con maestria daSalvatore Lupino, vero mago del computer, sia con il prezioso intervento del giornalista televisivo Jacopo Cecconi che assieme al padre Massimo, dopo una attenta ricerca ci hanno dato uno spaccato di vita sociale, con tantissime informazioni interessanti e curiose sugli anni della guerra ’15 - ‘18 vissuti a Fucecchio e dintorni. Abbiamo per esempio scoperto che la prima coop a Fucecchio fu inaugurata in quegli anni; che la prima conceria venne costruita a Fucecchio nel 1915 (serviva il cuoio ai soldati) dopo non poche discussioni per la paura del carbonchio, che la famosa influenza “Spagnola”, fece più vittime della Grande G.

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Non poteva mancare per alleggerire l’argomento un momento spensierato con la presenza del “menestrello” interpretato magistralmente da Marco Cardanelli, musicista e direttore artistico del gruppo, che ha divertito tutti cantando stornelli romantici, mordaci e comici che a quei tempi si potevano sentire nelle campagne e nei paesi toscani e con i balli d’epoca tra cui il Charleston eseguito in modo impeccabile dai giovanissimi e promettenti ballerini Lorenzo Guidi ed Erika Scagnoli. In regia tecnica Renato Settesoldi e Sergio Campinoti hanno fatto miracoli con le luci e con le musiche curandone gli effetti come navigati professionisti. Ma l’elemento cardine dello spettacolo, di tutto questo affascinante viaggio nel tempo e nella memoria che il regista ha collocato non a caso nel momento centrale dello spettacolo per proporre anche una


intima riflessione sull’evento tragico della prima guerra mondiale è stato il balletto Tra la vanga e il fucile. Mentre sullo schermo veniva riproposta l’immagine del manifesto, una mano gigantesca che muove i fili della storia come un burattinaio, sul palco un giovane contadino interpretato da Simone Nieri, con le braccia tese, come fosse in croce ,immobile, regge da una parte una vanga e dall’altra un fucile con la baionetta innestata. Davanti a lui danzano la vita e la morte, il lavoro nei campi e gli orrori della guerra, la verità e la menzogna, tutto splendidamente interpretato dalle due ballerine Suela Carlesi e Benedetta Dami sulle note di una musica intensa e drammatica. Ecco l’immagine, icona emblematica, che sintetizza il dramma di una moltitudine immensa di uomini, per lo più contadini, che si sono trovati loro malgrado, mossi da fili misteriosi, “Tra la vanga e il fucile”. In occasione della triennale ricorrenza della Guerra mondiale 1915, 1918 il pubblico, facendo il tutto esaurito e con entusiastici applausi prolungati, apprezza e riconferma la fiducia a questo benemerito gruppo di artisti “In giro di do” che ormai da anni è impegnato nel sociale.

Lorenzo Guidi e Benedetta Dani Eugenio Cino e Giulia Fanucci Jacopo Cecconi, Don Andrea Pio Cristiani e Samantha Giannotti Marco Cardanelli

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musica

cenerentola spensierata Junior Eurovision Song Contest 2015

Leonardo Taddei

L’esibizione di Kamilla Ismailova per San Marino La vincitrice Destiny Chukunyere con il trofeo della manifestazione Le gemelle Scarpari per l’Italia

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a XIII edizione della manifestazione canora Junior Eurovision Song Contest si è svolta il 21 novembre 2015 nell’incantevole cornice dell’Armeec Arena di Sofia, condotta dalla cantante bulgara Poli Genova, già rappresentante per il suo paese nella versione senior del concorso nel 2011 e giudice della prima edizione della popolare trasmissione televisiva X Factor. Il paese organizzatore è rimasto particolarmente soddisfatto della riuscita dell’evento, rivolto a bambini provenienti da ben diciassette paesi e che si sono esibiti dal vivo con una canzone della durata massima di tre minuti. Lo show è stato trasmesso in Italia in diretta su Rai Gulp con il commento di Simone Lijoi, noto al pubblico più giovane per la sua interpretazione del personaggio di Luca nella serie televisiva di grande successo Violetta. Per la prima volta la manifestazione è stata aperta ad una nazione extra europea, l’Australia, che aveva già debuttato in maggio all’Eurovision Song Contest di Vienna, ed i graditis-

simi ritorni alla competizione da parte di Albania e Macedonia, insieme al debutto dell’Irlanda, hanno mitigato la delusione per i ritiri di Croazia, Cipro e Svezia. Particolarmente emozionante e ricca di colpi di scena fino all’ultimo istante, la volata per la vittoria ha visto arrivare al fotofinish Malta, che bissa così il successo del 2013 con la potente voce nera di Destiny Chukunyere e la sua Not my soul (Non la mia anima), e Armenia, seconda classificata con la canzone Love (Amore) cantata da Mika, superata di appena nove punti. Niente da fare, invece, per la canzone favorita della vigilia, Prva ljubezen (Primo amore) della slovena Lina Kuduzović, giunta terza, né per la deludente performance di San Marino, quattordicesimo in classifica con la cantante russo-azera Kamilla Ismailova, interprete di Mirror (Specchio). L’Italia, infine, presentatasi con le gemelle Chiara e Martina Scarpari, provenienti dal programma Ti lascio una canzone condotto da Antonella Clerici su Rai1, non è riuscita a ripetersi ed ha terminato la competizione in penultima posizione con la canzone Viva, mettendosi alle spalle soltanto l’altro duo tutto al femminile, quello delle macedoni Ivana e Magdalena con Pletenka (Treccia). Il nostro paese, unico stato in gara tra i Big Five, è stato, ad inizio anno, al centro dell’attenzione per le speculazioni riguardo la disponibilità o meno ad ospitare l’evento. In quanto vincitrice dell’edizione precedente, all’Italia era stata infatti proposta la possibilità di divenire la nazione organizzatrice per il 2015, ma il 15 gennaio la RAI aveva declinato l’offerta, pur dichiarando di non volersi ritirare dalla competizione a seguito del sor-

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prendente trionfo di Vincenzo Cantiello. Il cantante partenopeo, infatti, anch’egli reduce dal successo del seguitissimo programma Ti lascio una canzone, aveva sbaragliato nel 2014 la concorrenza degli agguerritissimi avversari con il brano Tu primo grande amore, assicurando al Belpaese una storica vittoria. Nel frattempo, in attesa di scoprire se Malta ospiterà di nuovo il concorso in qualità di campionessa in carica, una cosa è certa: la prossima edizione di sicuro non sarà in Italia. Nel quartier generale di Viale Mazzini in Roma, infatti, i dubbi sulla permanenza in gara sono forti ed anche la collocazione all’interno di un già blindatissimo palinsesto appare difficoltosa. Gli ascolti nel nostro paese sono stati per la seconda volta di fila piuttosto deludenti, ma è pur vero, d’altro canto, che anche per l’edizione Senior i dati sono molto più bassi rispetto a quelli delle altre nazioni che trasmettono il concorso, ed in più il passaggio su Rai Gulp non perora certo la causa. Finora soltanto due paesi si sarebbe-


ro dichiarati disponibili ad ospitare l’evento nel 2016, e tra questi non è inclusa la vincitrice Malta, almeno per il momento. Per prima si sarebbe fatta nuovamente avanti la Bulgaria, che, se venisse scelta, sarebbe la prima nazione ad ospitare due edizioni consecutive, ed in un secondo momento si sarebbero aggiunti anche i Paesi Bassi, già sede del concorso nel 2007 e nel 2012, che in caso di rielezione diverrebbero i primi ad orga-

nizzarlo tre volte. Dunque, a meno di un’edizione da record che pare poco probabile, la situazione è più che mai incerta. I fans trepidano in attesa di conoscere la nuova location e tremano all’idea che si possa ripetere la situazione di stallo del 2012, quando soltanto l’intervento in extremis dei Paesi Bassi risolse un’imbarazzante impasse dovuta alla latitanza di sedi candidate. La manifestazione è infatti

complessa: richiede molto impegno, ingenti somme di denaro difficilmente ammortizzabili tramite gli spazi pubblicitari, e negli ultimi anni soltanto i paesi interessati alla promozione turistica del proprio territorio si sono resi disponibili ad organizzare l’evento. Come nella migliore delle fiabe, si narra che i vertici dell’EBU, l’European Broadcasting Union, che sovrintende la manifestazione, si stiano già dotando di bacchette magiche per poter trasformare i talent scouts musicali in guide turistiche locali, con tanto di cartine e mappe alla mano, alla ricerca dei più reconditi angoli nascosti del vecchio continente da poter promuovere alla ribalta internazionale. Ed allora... Bididi bodidi bu, fa la magia tutto quel che vuoi tu, anche trovare una sede nuova di zecca per il Junior Eurovision Song Contest 2016. Poco importa che dopo la mezzanotte si trasformi in zucca: quel che conta è avere un tetto sulla testa per metà-fine novembre, così anche per quest’anno i brutti pensieri scompaiono e non ci pensiamo più. E l’anno dopo? Bididi bodidi bu! Foto: Elena Volotova e Vladimir Dudakliev

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Le gemelle Scarpari per l’Italia Mika per l’Armenia Mika con le sue coriste L’australiana Bella Paige La slovena Lina Kuduzovic Tutti i piccoli cantanti insieme sul palco per l’esibizione di gruppo



musica

bontà disinteresse pacifismo le vere qualità di un artista: Ferruccio Busoni

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erruccio Busoni, vero genio non solo musicale, nato a Empoli nel 1866 – di cui quest’anno si celebra il 150° della nascita – fu un uomo e un artista di frontiera, al confine non soltanto tra esecuzione pianistica e creazione compositiva, tra il culto della tradizione (Bach, Mozart, Liszt) e l’anelito verso il nuovo (la politonalità, l’atonalità), ma anche e soprattutto tra la cultura germanica e quella latina per la cui profonda assimilazione in ogni ambito, musicale, letterario, pittorico, architettonico, spese la sua vita. Presentando qui Ferruccio Busoni, vogliamo ricordarne tre aspetti, al di là dei meriti musicali: la bontà, il suo pacifismo e l’assoluta incompatibilità fra il denaro e la vera arte. Busoni non voleva mai si parlasse di denaro davanti a lui. La sua, come quella di ogni vero artista, era una missione che non poteva essere di commercio col mondo. A quegli allievi di talento che non potevano pagare faceva lezione gratuitamente. Per questo a volte non capiva gli “americani” che pensavano tutto in termini economici. La musica è cosa sacra; testimonia in una lettera che non si può fare come re Baldassarre che a Babilonia usò i calici sacri asportati dal Tempio di Gerusalemme per i suoi sacrileghi banchetti. E pagò con la vita. L’amico bergamasco Augusto Anzoletti, quando ormai aveva novantaquattro anni, ai giovani che gli chiedevano quale fosse stata la caratteristica più saliente del maestro, rispondeva sempre e soltanto: la bontà. “La sua bontà e il suo impressionante bisogno di gratitudine si manifestavano nel rapporto con tutte le persone verso le quali si sentiva in obbligo, sia che fos-

sero importanti artisti o modesti operai. Era intollerante, fin quasi spietato, soltanto verso la stupidità.” Tanto amava far emergere i giovani compositori che negli anni 1902-1909 a Berlino diresse a proprie spese tredici concerti con opere nuove o eseguite raramente: opere di Elgar, Saint-Saëns, Sinding, Delius, d’Indy, Debussy, Sibelius, Nielsen e Pfitzner. Più tardi Sibelius gli scrisse: “Senza di te io sarei uno spiritello dei boschi!”. Scrive nel 1915: “quando l’arte è applicata alla burocrazia, quando è pretesto a modestissimi uomini per assurgere a dignità che madre natura non ha loro consentito, quando un istituto può essere considerato come palestra per autoglorificazione di mediocri, allora l’arte diventa una bottega speculativa dalla quale bene a ragione gli artisti veri e sani debbono stare lontani.» L’uomo d’affari vede nel prestigio dell’artista un modo per arricchirsi, ma lui non deve mai prostituirsi, ma caso mai esser pagato solo perché gli sia consentito di isolarsi dal mondo e dalla popolarità, nella sua ricerca di elevarsi ulteriormente. Solo così potrà donare all’umanità ciò che è essenziale allo spirito per farla progredire. Anche la sua opera Arlecchino nasce dalla “compassione verso gli uomini, che si rendono la vita più difficile l’un l’altro, di quanto dovrebbero e potrebbe essere: per l’egoismo, per innati pregiudizi, per la forma che viene opposta al sentimento!”; quindi tramite l’ironia e il riso doloroso si può correggerli. Questo il suo compito nella vita quotidiana. Quando poi intervengono gli orrori organizzati della guerra e si evidenziano “In alto avidità, in basso stoltezza, in mezzo tanta sete di sangue – bestialità scatenata”, la sua po-

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sizione deve essere netta e si rifiuta di suonare in pubblico in un paese bellicoso; così fece per cinque anni nel suo soggiorno nella Svizzera neutrale. Come fa dire al suo Arlecchino: “Chi sa farsi valere alla fine?/Solo colui che con le proprie forze,/ seguendo i suggerimenti del cuore/e con vigile mente sceglie la via diritta;/ chi si accontenta di restare fedele a se stesso;/ chi anche in vesti/ rattoppate serba la sua interezza/ e non si inchina a nessuno,/ come ho potuto farne esperienza io stesso”. Ma la storia, come al solito, fu con lui spietata, non consentendogli di finire il suo Doktor Faust; l’ultima sua composizione nel 1924 fu il lied sui versi dell’amato Goethe: Triste consolazione.

Silvano Salvadori

Ferruccio Busoni in una foto di Michael Schwarzkoff, Zurigo 1916 Bruna Scali, Arlecchino, 1974, dalla mostra nel 50° anniversario della morte di Busoni

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BANCA POPOLARE DI LAJATICO Sede Centrale e Direzione Generale: LAJATICO Via Guelfi, 2 www.bancalajatico.it

Le nostre filiali dell’Area Cuoio:

SANTA CROCE SULL’ARNO – Via XXV Aprile, 4/A PONTE A EGOLA (San Miniato) – Piazza Guido Rossa, 20 S.PIERINO (Fucecchio) – Via Samminiatese, 85 CAPANNE (Montopoli V.) – Via S.Martino, 10


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economia

un flash sul 2015 A.C.

INAUGURATI IL NUOVO POTECO E LE NUOVE VASCHE AQUARNO POTECO. Il 13 febbraio 2015 sono stati inaugurati la nuova sede del POTECO (Polo Tecnologico Conciario) e le nuove vasche di sedimentazione del depuratore Aquarno. La nuova struttura del POTECO, a Santa Croce sull’Arno, si estende complessivamente su un’area di circa 6000 mq, ospita 4 laboratori in cui si possono effettuare prove fisico-chimiche su pelle e cuoio e test fisico-meccanici. Nel POTECO è ora possibile replicare l’intero processo conciario, grazie alla conceria sperimentale: entro quest’anno sarà completata anche la manovia sperimentale in cui poter replicare l’intero processo calzaturiero. AQUARNO. Grazie alla nuova sezione di sedimentazione del depuratore Aquarno, che rientra tra gli investimenti di adeguamento del depuratore nell’ambito dell’ Accordo di Programma, il flusso massimo di acque in transito è incrementato di oltre 12.000 metri cubi giornalieri fino a raggiungere una potenzialità di circa 30.000 metri cubi al giorno.

IL FUTURO DEL DISTRETTO E I GIOVANI CONCIATORI Nuove strategie per mantenersi competitivi in un’economia che cambia, rapporti tra pubblico e privato, dinamiche dei mercati: sono alcuni dei temi affrontati dai seminari promossi dal Gruppo Giovani Conciatori del Comprensorio del Cuoio, tra le maggiori realtà associative di giovani impenditori conciari. Il Gruppo Giovani è nato nel 2002 ed ha contribuito negli anni a formare l’attuale classe dirigente del comparto conciario santacrocese: «Partecipando alle attività del Gruppo Giovani-spiega la coordinatrice Francesca Signorini- i suoi membri conoscono da vicino le reali dinamiche del nostro settore ricavandone un importante arricchimento professionale, come per molti dei nostri membri che, conclusa l’esperienza nel Gruppo Giovani, hanno poi ricoperto ulteriori cariche nella gestione dell’industria conciaria del territorio. Dal confronto tra l’esperienza degli imprenditori che operano da più anni e l’entusiasmo di quelli più giovani possono arrivare vantaggi per l’intero comparto».

IL NUOVO CORSO PER LA MODA L’offerta didattica del distretto conciario toscano per chi vuole lavorare nella filiera della moda si arricchisce del corso “ITS Tecnico Superiore di processo e prodotto per la nobilitazione degli articoli per la moda in pelle”, promosso da Fondazione Istituto Tecnico Superiore MITA-Made in Italy Tuscany Academy-con POTECO, agenzia formativa FORIUM e Istituto Cattaneo di San Miniato. Primo corso “ITS” che viene fatto nel distretto conciario toscano e nella Provincia di Pisa, terzo in Toscana nel settore moda, il corso si caratterizza per un’alta specializzazione, finalizzato a rispondere alla domanda delle imprese di elevate competenze tecniche. Tra le sue caratteristiche gli ampi sbocchi occupazionali grazie a una didattica che approfondisce numerose tematiche del processo per la moda in pelle, dal design del sistema moda ai controlli di qualità dei prodotti.

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CERTIFICAZIONE EMAS PER IL DISTRETTO CONCIARIO Nel mese di luglio il distretto conciario toscano mantiene la certificazione EMAS. La pronuncia sul rispetto dei parametri necessari al mantenimento della certificazione si è avuta martedì 21 luglio presso l’Associazione Conciatori, a seguito di una riunione del comitato promotore EMAS con l’apposita commissione di verifica. Tra i presenti, i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali dei conciatori e della Scuola Sant’Anna di Pisa, ente che ne supporta i relativi programmi ai fini della certificazione, i Comuni di Santa Croce sull’Arno, Fucecchio e Castelfranco di Sotto. La certificazione EMAS attesta che nel distretto conciario sono state realizzate attività riconducibili trasversalmente a responsabilità ambientale ed impegna i soggetti coinvolti, aziende conciarie, associazioni di categoria, imprese e pubbliche amministrazioni, a raggiungere sempre nuovi obiettivi.

ANALISI DEL CICLO DI VITA DEI PRODOTTI IN PELLE Valore di oltre 1, 5 milioni di euro, durata di 39 mesi, 8 distretti industriali coinvolti in tutta Italia, tra cui il distretto conciario di Santa Croce sull’Arno: sono alcuni dei numeri del progetto PREFER, promosso dalla Commissione Europea per analizzare l’impatto ambientale di specifici prodotti e servizi, avviato nel 2013 e che si concluderà nel dicembre 2016. Il progetto PREFER è stato presentato nel corso di un apposito seminario, il 30 settembre all’Assoconciatori. Tra gli strumenti più innovativi adottati nell’ambito del progetto per misurare l’impatto ambientale c’è la metodologia “PEF- Product Environmental Footprint” che mira ad analizzare l’intero ciclo di vita di diverse categorie di prodotti tra cui la pelle. Il progetto PREFER proverà a contribuire al miglioramento delle prestazioni ambientali dei prodotti considerati realizzando 8 rapporti PEF, uno per ogni prodotto caratterizzante i contesti industriali coinvolti e altrettanti sistemi di regole per la conduzione della PEF da condividere con la Commissione Europea.

LE OPPORTUNITà DELLA NUOVA CERTIFICAZIONE DI QUALITà A novembre la nuova certificazione di qualità illustrata dal presidente Assoconciatori Franco Donati vede accendersi l’interesse di produttori e clienti della filiera-pelle. Le aziende potranno volontariamente avvalersi della nuova certificazione se rispetteranno determinati requisiti, come il riciclo dell’acqua, il non conferimento dei fanghi in discarica o il recupero di materiali, secondo parametri e un modello di capitolato alla cui individuazione sta lavorando, con l’Associazione Conciatori, la Scuola Superiore Sant’ Anna. «L’idea-dice il presidente Assoconciatori Franco Donati- nasce dalla necessità di tutelare i nostri imprenditori conciari e mostrare all’esterno, anche nel rapporto con la clientela, come arriviamo a produrre certe pelli rispettando, con i fatti e non a parole, tutte le regole per fare impresa nel modo migliore. Regole che dal nostro punto di vista possono essere disciplinate in modo ancora più severo, purchè secondo una logica che sia coerente con il comparto».

ASSOCONCIATORI ALLE GIORNATE DELL’ECONOMIA FINANZIARIA Imprenditorialità e sostenibilità i temi dell’intervento del presidente A ssoconciatori Franco Donati, mercoledì 7 gennaio 2016 all’auditorium CARISMI di San Miniato nel corso di “€conomix Giornate dell’Economia Finanziaria”percorso di sensibilizzazione della cittadinanza alle tematiche economico-finanziarie, che vede la preziosa collaborazione di prestigiosi partner nazionali pubblici e privati. L’evento nasce dalla collaborazione tra il MIUR su impulso di Fondazione per l’Educazione Finanziaria e, con l’Associazione Conciatori, di Banca CR Firenze, Regione Toscana, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Cassa di Risparmio di San Miniato, Associazione Conciatori, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Barilla Center For Food & Nutrition e Banca della Maremma Credito Cooperativo di Grosseto. Nell’ambito dell’evento, ogni anno numerosi studenti partecipano a specifici incontri con economisti, manager, imprenditori foto di zzzzzzzzzzzzzzz e rappresentanti di istituzioni e mondo del credito. foto CARISMIzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz Auditorum zzzzzzzzzzzzzzzzzz

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economia

Drunk Turtle il vino del domani

Un’idea toscana acclamata da tutta l’Europa del vino Piergiorgio Pesci

“I vasi vinari” e da destra, Duccio Brini amministratore delegato e Moreno Chiarugi direzione artistica.

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el 2015 lo stand di Drunk Turtle al Vinitaly ebbe un enorme successo di pubblico e, da allora, i vasi vinari in cocciopesto ideati da Duccio Brini, Moreno Chiarugi e Dimitri Grassini non hanno conosciuto sosta. Si tratta di botti in cocciopesto, materiale usato fin dall’antichità da Romani e Fenici anche per il rivestimento di cisterne. Dalle tradizioni tramandate dalla nostra storia all’eccellenza del made in Italy: questo è il percorso che Drunk Turtle, azienda con sede a Ponsacco (Pi), ha fatto durante il tempo. Il cocciopesto utilizzato per la realizzazione di questi vasi vinari garantisce un elevato livello di ecosostenibilità. Inoltre, tali vasi utilizzano l’antica forma delle anfore, ovvero ovoidali all’interno, agevolando la fermentazione del mosto. Il cocciopesto, infatti, è naturale e traspirante, in quanto costituito dalla mescola cruda di laterizi macinati, sabbie e legante cementizio che rende il materiale resistente e poroso, consentendo una perfetta micro ossigenazione del vino in essi contenuto. Il team di Drunk Turtle ha effettuato tutte le prove del caso sulle reazioni del vino conservato nei recipienti di cocciopesto con risultati soddisfacenti, sia dal punto di vista

chimico che organolettico. Da qui la produzione e la commercializzazione delle prime botti più piccole, circa dieci ettolitri. Per la produzione delle botti più grandi è in atto l’allestimento di un capannone nella zona di Asciano. Grazie all’estro del direttore artistico dell’azienda, Moreno Chiarugi, tra i fondatori dello studio di architettura DIA.COM FACTORY, è possibile personalizzare i manufatti nei colori e nelle finiture, con spunti in omaggio a grandi protagonisti della storia dell’arte, come per esempio Piet Mondrian e Keith Haring. Ad incoraggiare questa notevole operazione commerciale nomi noti dell’enologia e personaggi celebri al grande pubblico: dalle cantine Antinori alle cantine Bocelli passando per Il Conventino di Montepulciano, fino al fotografo Oliviero Toscani, proprietario di una azienda vinicola a Casale Marittimo, nonché

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numerose aziende francesi. Il futuro di Drunk Turtle si profila roseo e all’insegna di grandi e innovativi sviluppi.


colo per lavoratori stranieri, colleghi e datori di

età Cooperativa

www.kaziproject.eu

Via del Bosco, 264/F, 56029 Santa Croce sull'Arno (PI)

OPUS

per la 7 COLO vorato colleg +39 info@forium.it 0571 360069 hi e d ri stran atori d i la

Il presente progetto è finanziato con il sostegno della Commissione europea. L’autore è il solo responsabile di questa pubblicazione (comunicazione) e la Commissione declina ogni responsabilità sull’uso che potrà essere fatto delle informazioni in essa contenute. Progetto numero 538406-LLP-1-2013-1-IT-GRUNDTVIG-GMP

Project number: 538406-LLP-1-2013-1-IT-GRUNDTVIG-GMP “KAZI”

FO.RI.UM. Società Cooperativa Via del Bosco, 264/F Santa Croce sull’Arno (PI) +39 0571 360069 www.forium.it info@forium.it

mber: 538406-LLP-1-2013-1-IT-GRUNDTVIG-GMP “KAZI”

• Il progetto mira a migliorare lo svi- Le attività rilevanti relative al proget- Attività di disseminazione luppo delle competenze intercultura- to KAZI svolte nel corso degli ultimi Il progetto KAZI continua ad essere mesi riguardano la sperimentazione diffuso tramite cartoline e video proli sul luogo di lavoro. • È indirizzato ai lavoratori stranieri, del corso a distanza e del corso in mozionali. colleghi e supervisori/datori di lavoro. Il progetto Europeo Il presente progetto è finanziato con ilpresenza. sostegno della Commissione europea. L’autore è il KAZI arriva a • Il corso formativo combinerà sia un Ciascuna nazione partner (Italia, Au- Vienna e a Cipro, presentato in ocsoloapprendimento responsabileindipresenza questache pubblicazione (comunicazione) e la Commissione declina ogni europei di Svezia e Spagna) ha casione dei a di- stria, Grecia, nuovi progetti messo atto una sperimentazione stanza. la Fo.Ri.Um. è partner. responsabilità sull’uso che potrà essere fattoin delle informazioni in essacui contenute. • Si basa su metodologie di appren- del corso rivolto a tre gruppi target: Il progetto E-Cal – e-coaching et Aplavoratori stranieri, colleghi e dato- prentissage de Langues rivolto agli dimento attivo. • La formazione potrà avvenire sul ri di lavoro/supervisori. Entrambe adulti mira a fornire strumenti per luogo di lavoro, attraverso corsi di le versioni del corso di formazione, l’autoapprendimento di una seconda formazione professionale e linguistici online e in aula, sono state basate su lingua. metodologie pedagogiche attive e Il progetto ComBuS - Combat Bulindirizzati ai lavoratori stranieri. hanno avuto una durata complessiva lying è rivolto studenti, insegnanti, Principali attività compresa tra le 25 e 30 ore a seconda personale scolastico, Dirigenti Scoladella nazione. stici e genitori ed è finalizzato a comDopo la fine della fase di sperimen- battere il bullismo. tale, i partner hanno elaborato le loro relazioni nazionali sulle valutazioni e Prossime attività informazioni rilasciate dai partecipanti • Nel mese di Marzo si terrà un worin riferimento all’organizzazione e allo kshops rivolto ai formatori su temi sviluppo del corso. Inoltre il manuale dell’interculturalità nel luogo di lavodel corso in aula è stato letto e valuta- ro. to anche da alcuni formatori. Per informazioni e iscrizioni: info@ In particolare la sperimentazione forium.it in Italia si è tenuta a Santa Croce • Organizzazione del corso on-line riSull’Arno tra il mese di giugno e otto- visto sulla base delle criticità emerse bre 2015 in collaborazione con l’As- dal report. soconciatori e alcune aziende locali • Pubblicazione di articoli su riviste del settore. specializzate riguardo le metodoloLo scopo della sperimentazione è far gie e i risultati di apprendimento. emergere e risolvere alcuni dei pro- • Nel mese di Aprile si svolgerà a blemi che i lavoratori stranieri, i col- Santa Croce sull´Arno il quinto Meleghi e i datori di lavoro/supervisori eting internazionale fra i partner del incontrano sul luogo di lavoro a cau- progetto. sa della loro inesperienza in materia • Sviluppo del piano di diffusione del di interculturalità. progetto da Giugno 2016 disponibile L’intero report è disponibile per con- sul sito web (http://www.kaziproject. sultazione e download nella sezione eu/ita/). Materiali/Prodotti del sito del pro- • In ogni paese partner saranno orgetto (http://www.kaziproject.eu/ita/ ganizzate conferenze rivolte a persomateriali). ne che lavorano nel settore sociale, Al momento è disponibile e pronta per dell’integrazione dei migranti ma anla pubblicazione la revisione del corso che ai datori di lavoro delle aziende in presenza e del corso a distanza. del territorio.

OPUS

C per la vorato OLO colleg hi e d ri stranieri, atori d i lavo ro

79 per lavoratori stranieri, colleghi e datori di lavoro


intervista a Giuliano Urbani Carla Cavicchini

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o guardi, non rilascio interviste. Però sorride molto e quindi ritento, l’istinto mi solletica di riprovare. Una domanda Urbani, la prego. Dal momento che lei è stato anche Ministro dei Beni Culturali parliamo di questa benedetta ed aggiungo fondamentale Storia dell’Arte che è stata riportata nelle aule. È basilare assicurare una continuità nella formazione dei giovani nonché a queste meraviglie che abbiamo in Italia. Bisogna far conoscere per rispettare, coinvolgerli nella sensibilità di futuri cittadini facendo emergere la vocazione alla protezione e valorizzazione del patrimonio. Abbiamo tanto ed è giusto sfruttare nel senso buono ciò che è in nostro possesso. Spesso la contemplazione è un’esperienza difficile da capire ed anche da

esercitare: come si coltiva una buona forma mentis? È una domanda difficile in quanto la contemplazione è il prodotto di un’attitudine soggettiva: sono cose che si coltivano in proprio... non si va a scuola per questo, perlomeno qui, nel nostro paese, in India – è ironico – non so. Bisogna attivare la nostra capacità di capire, di gustare, di apprezzare e la scuola su questo fronte si deve perfezionare. Degli orari museali che dice? Le fasce di aperture si sono allungate, lavorando in maniera intelligente – praticamente come programmare ben bene le partenze feriali – si ovvia a tutto. È utopico pensare che il cittadino riconosca l’arte, la senta sua per apprezzarla? Beh... ognuno di noi ha la propria sensibilità individuale... siamo esse-

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t t o u t t a o e

intervista

art

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ri umani e quindi il buono o cattivo umore incidono su questo. Se non siamo predisposti per problemi o per motivi vari, anche il cibo cambia il suo sapore, figuriamoci il resto! Tuttavia chi amministra deve saper bene indirizzare. All’estero i musei d’arte contemporanea sono più capiti. Con tutta la nostra antichità che è veramente notevole, prima esisteva una minore propensione all’arte contemporanea, tuttavia in questo momento viviamo un periodo di buona espansione: oggigiorno non mancano guide turistiche che uniscono le due realtà. Realtà che si sposano bene? Come linguaggio non è un buon sposalizio, come ispirazione, connubio perfetto. Senta, lei è un fiume in piena, mi lascia andare? Come no, ad un patto: mi risponda se in Italia esiste una buona cultura del mare. Viviamo in uno strano paese, in una penisola immersa nel mare che... sino a poco tempo fa non aveva grandi nuotatori poiché questi ultimi si formavano in piscina; cosa voglio dire – il piglio è altamente ironico – si ritorna alle scuole, alle Università... l’Adriatico ed il Tirreno sono due grandi strade marine, autostrade del mare che possono essere grandi vie di comunicazione. Nei secoli passati questa esigenza era sentita fortissimamente, in maniera basilare e quindi perché no? Anche per oggi e per il futuro. Quindi camminare bene per navigare ancora meglio... Esatto. Tombola. Ho fatto tombola. Ha risposto a tutto con grande gentilezza e signorilità dicendomi perfino “esatto”. Come al Rischiatutto.


intervista

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artista per caso? incontro con Rosella Longinotti

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o incontrato Rosella Longinotti in occasione di una sua mostra: le sue opere così incisive e intriganti, sono state lo stimolo a conoscerla e a domandarle il suo percorso di artista. Lei non stende i colori, ma modella bassorilievi utilizzando frammenti di marmo, di quarzo rotto, tagliato, macerato; plasma l’acciaio e la plastica fusa: materiali inerti, ai quali tuttavia riesce a infondere una tensione che li riconduce a se stessa. Credo rispondano sia a un “comando interiore” come a una invocazione di vita. Le domande che seguono aiutano a conoscerla meglio. Signora Rosella, accetta le competizioni? Sì, soprattutto quelle che mi mettono in gioco personalmente e direttamente. Con le mie creazioni oggettivo le mie emozioni seguendo solo l’ispirazione. Indubbiamente riflettono il mio sentire. In arte, l’enfasi è la strada più facile e la più frequentata, invece la spontaneità, equivalente della sincerità, è sulla vetta del monte. Non vado per scorciatoie. Le mie creazioni non hanno un principio e una fine dentro la cornice, che non considero

come un sigillo. Esse per me vivono in un dialogo che si estende, con un’armonia totale, a tutto l’ambiente in cui sono inserite. È come se il quadro si dilatasse nello spazio circostante in un dialogo di materia, di colore, di luce. La mia passione, il mio estro si ampliano anche all’arredamento in cui le vedo inserite. L’arredamento è per me armonia, benessere, cultura. Intorno a noi dominano il color bianco e il nero. Qua e là prorompono lampi di rosso… tuttavia passano immuni e immacolati tra queste due insidie. Il poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe è l’autore del saggio scientifico intitolato La teoria dei colori (1810), in cui scrive: «I colori agiscono sull’animo, possono suscitare sensazioni, risvegliare emozioni, idee riposanti o eccitanti, provocare tristezza e allegria». Mi parli del nero. Il nero è sì tenebroso ma misterioso e affascinante, con mille riflessi opachi e lucidi, ruvidi e raffinati a seconda della materia che adopero. Non esiste il nero ma mille neri, come le tenebre non sono mai assolute. E il suo “rapporto” col bianco? Il “mio” bianco non è mai bianco puro ma ammorbidito dai mille riflessi creati dalla luce. E il rosso? Mi ricorda il fascino dell’Oriente, le lacche della Cina; mi incantano le lanterne… Il rosso mi ha coinvolto in tempi recenti per una ragione intimistica. Sono più affascinata dall’Oriente che dall’Occidente. Il mio rosso è un rosso interiore. Quali emozioni prova mentre lavora alle sue opere? Quando scriviamo, la nostra percezione dell’Io si estende fino alla punta della penna. Nel mio caso invece lo strumento operativo sono le mani. Quando sono guidate dall’ispirazione

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Domenico Savini

pervengono a una “fusione” con l’oggetto che le estende oltre la mia volontà cosciente. Rosella Longinotti si descrive così: «Mi ritengo la persona più timida e ardita, più allegra e più triste. Mi piace la solitudine; d’istinto adoro il bello ma detesto il grazioso. Intuisco quello che è falso e fasullo, vado molto d’accordo con le personalità forti». Durante il nostro colloquio abbiamo visto trapassare il nuvolame grigio e poi un luminoso tramonto. Questo pomeriggio le assomiglia? Ciascuno di noi ha il “suo” pomeriggio. Luci e ombre. Nella luce di questo pomeriggio si riflette la speranza in un giorno migliore. Io non mi stanco di penetrare la magìa che mi offre la Natura. Anche una manciata di graniglia o i riflessi di un quarzo o la semplicità di una pietra corrosa sono miracoli che essa ci offre. Il suo perpetuarsi senza mai ripetersi, i suoi colori indefiniti e magici sono per me l’unico stimolo a cui appigliarsi per vivere. Prima di congedarsi l’artista segue con lo sguardo il tramonto del sole, che restituisce i colori alle cose. Dòmina un’armonia di contrasti. «La mia vita confida Rosella Longinotti - si è rinnovata così». Foto di Moreno Vassallo


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EVENTO

Ginevra

Trenta Galà anni

Giampaolo Russo

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n occasione del Salone Internazionale di Alta gioielleria di Ginevra, il noto brand di orologi IWC Schaffhausen ha festeggiato il lancio della nuova collezione di Pilot’s Watches con una serata ad invito alla quale hanno partecipato ottocento ospiti, trasportati a ritroso nel tempo nell’epoca d’oro dei pionieri dell’aviazione grazie ad un corpo di ballo inglese e tanta irresistibile musica jazz e swing. Tra i presenti c’erano numerose celebri star, come le attrici Rosamund Pike, Hilary Swank e Zhou Xun, gli attori Christoph Waltz, Scott Eastwood, Chris Evans, i piloti di Formula 1 Lewis Hamilton e Nico Rosberg e le top model Adriana Lima e Karolína Kurková. «Molti di noi subiscono il fascino degli aerei e dell’aviazione fin da bambini. I Pilot’s Watches di IWC esprimono proprio questa passione e sono apprezzati da tutti gli intenditori di orologi del mondo», così Georges Kern, Amministrato-

re delegato di IWC Schaffhausen, spiega il significato di questa leggendaria famiglia di orologi. I Pilot’s Watches, contraddistinti da un particolare design del quadrante e da raffinatezze tecniche come la cassa interna in ferro dolce che protegge il movimento dai campi magnetici, sono ormai da ottant’anni un punto fermo nella collezione della manifattura di Schaffhausen. Nell’ambito di uno show intitolato Come fly with us, ispirato al classico teatro di rivista, leggende della scena musicale internazionale quali Patti Austin, Ronan Keating, CurtisStigers, hanno interpretato classici della musica jazz e swing accompagnati dalla Pepe Lienhard Big Band. Un altro momento clou dello spettacolo è stata la coreografia ispirata agli anni Trenta eseguita da un ensemble di venti ballerine e ballerini inglesi, costituito appositamente per questo evento. Sul tappeto rosso sono passate star del cinema del calibro di Hilary

Swank e Christoph Waltz, vincitori di due premi Oscar, Dev Patel (The Millionaire), l’attore americano, nonché figlio di Clint Eastwood, Scott Eastwood, l’interprete di Captain America Chris Evans. Presenti anche numerose stelle del mondo dello sport, come il campione del mondo di Formula 1 Lewis Hamilton e il suo compagno di squadra Nico Rosberg. Anche lo stand della manifattura svizzera era tutto all’insegna dell’eleganza anni Trenta: elementi in lamiera ondulata ispirati alle pareti degli hangar, pavimenti e pareti in legno scuro, divani vintage in pelle marrone, un caminetto e cornici con fotografie di piloti e vecchi aerei.

Adriana Lima Marc Forster, Scott Eastwood, Chris Evans Patti Austin Sandra Bauknecht Karolina Kurkova, Rosamund Pike, Zhou Xun Galina Nemova, Alexei NemovHilary Swank Alessia Marcuzzi Hilary Swank Fabio Capello Xabi Alonso, Juan Mata Anna Ferzetti, Pierfrancesco Favino Marc Forster, Scott Eastwood and Chris Evans

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solo week

non fashion MODA

Milano saluta la “sua” moda uomo Federica Farini

#mfw

un hashtag per sancire la popolarità della settimana invernale della moda milanese che ha proposto dal 15 al 19 gennaio 2016 ben 39 sfilate, 47 presentazioni e una decina di eventi collegati alla tipica kermesse cittadina. Il carosello non ha annoiato nemmeno per un attimo, quest’anno più che mai dominato dall’importanza dell’anarchia e dell’ironia come

regole base per uno stile che sappia farsi ricordare per la sua marcata e accesa personalità, anche durante gli appuntamenti notturni che hanno completato l’evento: dal Punks wear Prada in collaborazione con UnFlop Paper, alla serata Alphabet per il brand Wav Clothing, all’Armani/Silos con la “mostra” dei modelli più famosi della carriera di Giorgio Armani, per non tralasciare il White – salone della moda contemporary presso il Tortona District dei Superstudio Più – lo spazio polifunzionale Base all’Ex Ansaldo. La Triennale ha omaggiato il designer scomparso Elio Fiorucci con la mostra Il nuovo vocabolario della moda italiana, a cura di Paola Bertola e Vittorio Linfante: un viaggio tra brand, riviste e creativi degli ultimi 20 anni. Fashion week dedicata all’uomo del prossimo autunno inverno 2016/2017 da Cavalli a Costume National, Corneliani, Antonio Marras, Marcelo Burlon County of Milan, Dsquared2, Dirk Bikkembergs, Versace, Ermenegildo Zegna, Bottega Veneta, Lucio Vanotti (nuovo e giovane designer di Giorgio Armani per le sfilate del quartier generale di via Bergognone), Jil Sander, Les Hommes, Neil Barrett, Pal Zileri, Philipp Plein, Richmond, Calvin Klein, Vivienne Westwood, Missoni, Daks, Prada, Moncler Gamme Bleu, Damir Doma, Etro, Msgm, Canali, Ermanno Scervino, Fendi, Brioni, Christian Pellizzari ed Helen Anthony. Tra le maisons toscane l’eccellenza si è colorata di fantasia e contaminazioni miste. Roberto Cavalli ha aperto i battenti dell’incessante pista della moda milanese con la sua prima collezione maschile firmata dalla stilista Peter Dundas, maga del tocco eccentrico dall’imprinting rock, nella luce regalata da paillettes e dettagli metallici,

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note animalier, ricami in stile orientale, sciarpe e borse extra-long, mantelle barocche, pantaloni scampanati e dolcevita: forte il richiamo da agiato dandy postmoderno che si ispiri al tempo stesso alle icone rock di fine anni Sessanta e inizio dei Settanta (Mick Jagger, Beatles e Jimi Hendrix), eccentrico e provocatorio grazie agli abbinamenti tra pigiami, vestaglie, sneakers in pelle, accessori, collane, spille e borse. Gucci ha prediletto invece il concetto di libertà “genderless”, puntando sulla transgender Hari Nef, scelta dal direttore creativo della griffe come icona di libertà: essere come si è, largo all’anarchia e al colore rosso a rappresentare passione, rivoluzione e impeto. Il divertimento regna sovrano con le scanzonate t-shirt e maglie a base pop. Leitmotiv della sfilata cappotti e cappe di pelliccia a ispirazione orientale, pantaloni ampi, soprabiti-kimono, revers stampati. Il “vecchio” veste di nuovo,


come un giubbotto di jeans dal fascino consumato ma intramontabile arricchito di ricami. Ermanno Scervino ha scelto il connubio con la Nazionale di calcio, che, secondo siglata collaborazione, vestirà fino a dopo il Mondiale del 2018. È nello “Sport&Glam” sportwear che lo stile Scervino muta in sartoriale, esprimendo un gusto rock-militare a tinte predominanti di nero, blu e verde; prevalgono pantaloni slim, pull, quadri, righe e dettagli preziosi ad arricchire i capi. Per vestire l’uomo dell’autunno inverno 2016-2017 Salvatore Ferragamo ha preferito la tendenza bohémien: pantaloni stretti su maglioni casual e giocosi, disegni applicati che sorprendono e sdrammatizzano serietà e rigore, come il motivo a pied de poul maxi su cui vengono apposti patchwork di tessuto di alta sartoria; significativo l’uso di decori-disegno a forma di cuori, alamari, rivestimenti interni che sbucano a vista, maxi bottoni e fibbie ad arricchire lo stile elegante e sofisticato tipico della griffe fiorentina. Prada ha optato per una moda maschile, ma adattabile anche al femminile, appoggiandosi alla mano dell’artista Christophe Chemin per i disegni delle stampe. La sfilata ha espresso il fascino dell’arte come svolta estetico-interpretativa del concetto di “antico” rivisitato in provocazioni contemporanee, tipiche nelle rappresentazioni di alcuni personaggi chiave: Giulio Cesare e un ramo di lauro, la dea Atena con un fulmine, Ercole con i pugni di Hulk, Nina Simone in guantoni da boxe, Giovanna d’Arco che porta tra le mani un paio di maracas, Che Guevara che mostra una statuetta Oscar, per citarne alcuni. Imperativi sottogiacca, cappotti strutturati, blouson, cappe, pantaloni dritti alla caviglia e accessori ispirati al look dei marinai, così come borse a tracolla e catene in metallo applicate alle cinture, il tutto condito da toni scuri, bianco e vinaccia. Il look maschile tra un pugno di dollari e un accordo rock. Sono stati gli stilisti Dolce & Gabbana a portare in passerella il mood del Far West siciliano, con un allestimento che ha ricordato il set cinematografico dei film di Sergio Leone: strada polverosa in attesa di un duello e modelli che, mentre sfilavano, giravano filmati (proiettati in streaming sui maxischermi del Metropol). Lo stile danza in un carosello vorticoso di pigiami in seta eleganti e stampati a piccoli motivi decorativi abbinati a pantaloni che ricordano quelli dei pastori, scarpe più simili a pantofole, maxi cappotti, ponchi, camicie da cowboy con ricami bizzarri, angioletti applicati su denim, il tutto condito da colori caldi e mediterranei. Anche Antonio Marras ha dato libero sfogo al concetto di rodeo, rivisitato con contaminazioni scozzesi a base di tessuti tweed e galles, coperte sdrucite, grembiuli in gessato impreziositi da ricami fiorati. Costume National si è lanciato sulla passerella di Palazzo Reale di Milano con una nota rock decisamente anni Ottanta: abbandonata la camicia, sì al gilet portato sulla pelle, a pantaloni da biker, al nero declinato con toni “vivi” come il rosso, il blu acceso e il verde mela. Non chiamatela solo settimana della moda.

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moda

BIANCO ROSA TURCHESE VERDE PALLIDO la tavolozza della moda italiana 1953

Roberto Mascagni

A destra e nella pagina successiva disegni di Moreno Vassallo. Abito da giorno in lana con abbottonatura. La parte superiore è scollata, le maniche sono lunghe. La gonna si allarga sotto il marcato punto di vita. La borsa pochette in pelle e i guanti di cotone, completano l’abbigliamento. Sia i tacchi che l’altezza delle gonne variano moltissimo in quegli anni: ci sono tacchi di 7/8 cm., o le “ballerine”. Questo modello, quasi senza tacco, diventa popolare grazie a due famose attrici che lo indossano: Audrey Hepburn in Vacanze romane (1953) calzando alcuni modelli creati dal geniale Ferragamo; e Brigitt Bardot nel film E Dio creò la donna (1956).

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n pubblico nuovamente numeroso e plaudente ha dimostrato l’interesse internazionale per la Moda italiana che riflette – commenta la stampa – «una eleganza forse meno raffinata e artificiosa di quella francese, ma certo più di quella aderente alla vita di oggi». Sulla pedana della Sala Bianca, dal 24 al 27 gennaio 1953, sfila il “Gotha” della Moda italiana: Capucci, Carosa, Antonelli, Schuberth, Ferdinandi, Giovanelli Sciarra, Marucelli, Vanna, Veneziani, Bertoli, Avolio, il fiorentino e già celebre Emilio, Val di Tevere, Mirsa (maglieria di Olga de Gresy), Spagnoli, Tessitrice dell’Isola (baronessa Clarette Gallotti), Ninì Formenti. «The Fifth Italian High Fashion Show» è stato organizzato e presentato, come le precedenti edizioni, dal geniale Giovanni Battista Giorgini. La novità consiste nella collaborazione degli industriali tessili con le più note sartorie italiane. Una “alleanza”, questa, già auspicata, poi invocata per capire (finalmente!) che l’Alta Moda non può esistere senza la concreta partecipazione dei tessili: come non esisterebbe l’Alta Moda francese senza l’appoggio delle più qualificate industrie tessili. Per rimanere in tema, ricordiamo l’“alleanza” strategica fra Dior e il magnate francese del tessile Marcel Boussac che trova il suo epilogo il 12 febbraio 1947, quando Dior presenta a Parigi la sua prima collezione e diventa… Dior nel giro di un giorno: lo stesso che coincide con lo sciopero dei giornali di Parigi, e la notizia dell’immediato successo di questo talentoso ma poco conosciuto sarto viene annunciata dalla stampa americana: «It’s a New Look», proclama Carmel Snow, fashion editor di «Harper’s Bazaar». Torniamo alla Sala Bianca. Lo scorso anno erano presenti Cotonificio Val di Susa, Italviscosa, Lini e Lane di Rivetti. Cui si sono aggiunte, quest’anno, Bemberg, Tessiture Costa, Tessiture Stucchi, Tex Winner, S.A.N.E.T. («Rivetti, con i suoi tessuti di Alta Moda ha avuto il più interessante successo industriale. Suo il “Wool-Satin”, un raso di purissima lana, morbido, caldo, leggero», «dai luminosi e delicati riflessi di seta». L’Italia, commenta la stampa, fabbrica i tessuti più belli del mondo ed è ormai noto che nelle collezioni parigine i tessuti italiani sono utilizzati in numero sempre maggiore. La Francia si è difesa limitando le nostre importazioni, ma i grandi sarti della Moda fran-

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cese comunque se ne avvalgono. E ora che la Moda italiana ha mostrato una sorprendente vitalità, i nostri industriali tessili la sostengono. Ai nostri tessuti, di volta in volta presentati sia per l’Alta Moda come per quelli in stile Boutique, sono state dedicate due giornate. Infine, il quinto appuntamento fiorentino si è concluso con una presentazione di cappelli e una ammiratissima esposizione di altri accessori: scarpe, borse, cinture, guanti, collane. Il successo è testimoniato dai rap-

presentanti dei più importanti giornali del mondo, che hanno espresso commenti più che lusinghieri: fra questi quelli autorevolissimi e inappellabili di Bettina Ballard di «Vogue» e di Carmel Snow, fashion editor di «Harper’s Bazaar». Instancabili e onnipresenti i compratori dei modelli: 19 giunti dagli Stati Uniti: fra questi I. Magnin & Co. di San Francisco; da New York Hannah Troy, Gimbel Bross. e B. Altman & Co.; Kaufmann (Pittsbourg); Marshall Field da Chicago; Frederick & Nel-

son da Seattle; Jordan Marsh & Co. da Boston; J. Wannamaker da Philadelphia; Hess Bross. da Allenstown; dal Canada Henry Morgan (Montreal). Numerosi gli europei: 26 arrivati da Londra; 65 dalla Svizzera; 18 dalla Germania; 7 dall’Austria; 3 gli olandesi; 2 i belgi; 1 dalla Francia; 1 dalla Danimarca; 1 dall’Irlanda del Nord; 3 dalla Svezia.

Disegni di Moreno Vassallo

IL RITORNO DEI MEDICI IN PALAZZO VECCHIO La manifestazione più attesa è stata quella costituita dalla fastosa rievocazione dei festeggiamenti avvenuti a Firenze nell’aprile 1584 in occasione delle principesche nozze fra Eleonora de’ Medici, figlia di Francesco I, granduca di Toscana, e Vincenzo Gonzaga, figlio del duca Guglielmo Gonzaga, principe di Mantova e del Monferrato. “Attori” di assoluta eccezione (oltre cento) sono stati i nobili di ogni regione italiana, abbigliati con sfarzosi costumi cinquecenteschi, presi in prestito dalle sartorie teatrali per rievocare i fasti della Corte medicea. Annunciato dagli squilli delle trombe d’argento e dal rullo dei tamburi, il sontuoso corteo ha fatto il suo ingresso nel Salone dei Cinquecento, ammirato dal numeroso pubblico composto dai cinquecento (addirittura!) compratori stranieri (i “buyers”), dirottati da Parigi a Firenze per i loro acquisti. Folto il gruppo dei rappresentanti della stampa italiana e internazionale, degli operatori cinematografici e dei fotoreporters inviati dalle più prestigiose riviste internazionali: «Life», «Vogue», «Harper’s Bazaar», e fra le molte

testate giornalistiche quotidiane, il «Los Angeles Times», così vicino alle aspettative di Hollywood. Gli sfarzosi costumi sono indossati dai discendenti dalle famiglie che nel 1584 giunsero a Firenze per partecipare a quelle nozze principesche. Il vastissimo Salone dei Cinquecento riesce appena a contenerli tutti. «Solo Firenze – commenta la stampa – poteva offrire agli ospiti italiani e stranieri uno spettacolo così sontuoso», perché «non esiste altra città in Italia nella quale il senso della tradizione e il gusto delle rievocazioni storiche siano più vivi che a Firenze». Uno spettacolo nello spettacolo è stato offerto dalla compagnia del Teatro sperimentale fiorentino delle arti, che ha recitato la prima scena dell’Aminta del Tasso. Infine il coro del Conservatorio Cherubini, diretto dal maestro Cremesini, si è esibito interpretando Le villotte del fiore, brani popolari profani a 3 o 4 voci composti nel ’500 da Filippo Azzaiolo. Al termine, il granduca Francesco I ha invitato tutti alla mensa imbandita con pregiati pezzi di cristalleria e porcellane antiche, ornate

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con rose gialle e rosse. «E siccome – informano i giornali – ogni invitato offriva cinquemila lire [di allora!] alla Croce Rossa Italiana, è facile prevedere che la cifra destinata alla beneficenza sarà ingente».

Agnolo Bronzino Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de Medici (olio su tavola, 1545), Galleria degli Uffizi Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio



curiosità

Cassan la veggente si svela

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e questi antichi resti archeologici potessero parlare!. Chi non l’ha detto o pensato, in Italia e all’estero? L’ho sentito ripetere a Micene, la città greca di cui era originario il re Agamennone, vincitore della guerra di Troia. Con lui, prigioniera di guerra, anche la veggente Cassandra. I presenti erano crocieristi del Mediterraneo, scesi da varie navi. E come per rispondere all’esortazione iniziale, uno strano tipo – che parlava anche un italiano maccheronico – ha detto a voce alta: «Ma gli oggetti, e le pietre, raccontano tramite la psicometria, a chi le sa ascoltare». La psico-ché?, borbottò una signora di mezza età, forse preoccupata che l’uomo potesse svelare anche segreti personali. La tranquillizzò dicendo di essere un sensitivo psicometrista, con la capacità di “leggere” le vicende di una persona o di un oggetto. E fissando l’antichissima porta, comincia a parlare… con voce femminile. «Un dramma tra le persone è l’incomunicabilità. Non ci capiamo, perché l’uomo è spinto dalla volontà di progredire, la donna invece dall’istinto e dalla natura». Insomma sembra voler togliersi un sassolino dalla scarpa. «Non ho scarpe, sono bottino di guerra, sto su un carro tra la paglia». Che voglia sfogarsi, con un testamento spirituale? «Il re degli achei Agamennone è il vincitore della guerra di Troia, ha annientato e dato alle fiamme la concorrente commerciale dell’Ellesponto. Il monarca è appena tornato a casa, ma non sa che sua moglie Clitemnestra s’è rifatta una vita, nel corso dei dieci anni di guerra, con l’amante Egisto. Io ho profetizzato al re Agamennone la sua imminente fine, ma lui, superbo, non ha creduto alle mie parole, e allora

oggi cadrà nella congiura organizzata da Clitemnestra e dal suo amante Egisto. Dopodiché morirò anch’io». Reminescenze dell’Iliade fanno venire in mente Cassandra. «Sì, sono la veggente Cassandra». E riprende: «Non è soltanto questione di corna a Micene, bensì di matriarcale vendetta: Clitemnestra ha saputo che il marito Agamennone, padre scellerato, ha sacrificato, a Troia, la figlia Ifigenìa alla ragion di Stato, cioè per avere gli dei dell’Olimpo dalla propria parte e vincere la guerra. E ora ingenuo come tutti gli uomini che deludono una donna, si aspetta di essere accolto a casa come un eroe. Invece ritrova la moglie, soprattutto madre!, che si vendica e lo uccide». Siamo tutti incantati, altro che le telenovele in televisione! E il sensitivo

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continua: «Io, Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo re di Troia, e di Ecuba, sto alla berlina in un carro, bottino di guerra su un misero giaciglio. La popolazione maschile di Micene mi guarda più di quanto non osservi il re, perché sono affascinante; mentre quella femminile che mi conosce per fama vuol sapere il futuro, e fa più ressa al mio carro che a quello del re perché sa che la veggenza non sbaglia, anche se sono stata maledetta dal dio Apollo a non essere mai creduta, né dalla gente né dai potenti. Siamo guidati a nostra insaputa, io lo so bene, e oggi qui a Micene verrò colpita a morte». E poi: «Ma non capisco perché Omero nell’Iliade mi dedichi così pochi versi». Rimedierà il poeta Virgilio nel poema Eneide.

Luciano Gianfranceschi

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DESIGN

TUTTI AI FORNELLI! Annunziata Forte Cristina Di Marzio

Una cucina essenziale nelle forme viene caratterizzata da una rivisitazione contemporanea del mobile vetrina. Realizzato a tutta altezza e illuminato con luci led, questo elemento nella sua apparente semplicità, risulta curato nei minimi dettagli, a partire dalle modanature delle ante e dalla particolare tonalità del noce canaletto. Una cucina laccata chiara viene valorizzata dal marmo Emperador Dark scelto per completare il piano di lavoro a richiamare il pavimento. Un dettaglio semplice e ricercato allo stesso tempo, la mensola attrezzata con cassetti. Oltre a essere un piano di lavoro supplementare, la mensola diventa un piacevole angolo snack, caratterizzato dagli sgabelli con la ricercata tappezzeria.

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ai come in questo momento la passione per il cibo rischia di trasformarsi a livello mediatico in ossessione, così il cucinare e di conseguenza la cucina, diventano protagonisti in televisione, sui libri, sulle riviste. Nessuno oramai rinuncia ad essere chef, anche solo per una sera! Si possono avere postazioni efficienti pur avendo a disposizione spazi di piccole dimensioni che permettono anche al più comune dei mortali di indossare il magico cappello e di fare così mostra di sé e del proprio saper fare davanti agli ospiti. La cucina dei nostri giorni e ben lontana da quella settecentesca di Fratta, seminascosta nei sotterranei del Castello, illuminata da quattro lampade ad un solo lucignolo dopo l’Avemaria della sera. Benché oggi si dedichi alla preparazione delle pietanze una quantità di tempo inferiore al passato, tuttavia trascorriamo nella cucina lungo tempo, svolgendovi le attività più svariate. Da luogo dedicato alla sola preparazione dei cibi la cucina è diventato il luogo del vivere quotidiano dove si ricevono gli amici, si ascolta la musica, ci si rilassa o si lavora, a volte mentre si cucina o si mangia e a volte no. Proprio perché la cucina catalizza all’interno della casa funzioni molto diverse, essa ha inglobato anche gli spazi adiacenti e la scelta di avere un luogo multifunzionale rimane spesso indipendente dalle sue dimensioni. Quello che in spazi sia piccoli che grandi deve invece essere un dogma è il perfetto connubio tra estetica e funzionalità. Tantissimi sono i marchi dell’universo cucina e diversi lustri sono passati da quando lo storico e italico marchio Salvarani divenne protagonista

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del boom economico con la cucina componibile e brevettò il suo piano indistruttibile in Firon. Oggi accanto al Firon, ai laminati di vario tipo, ai marmi più o meno preziosi, all’acciaio, troviamo materiali di nuovissima generazione dalle elevate proprietà fisico meccaniche che permettono loro di essere adoperati, indistintamente, sia sulle facciate ventilate che per realizzare piani di lavoro delle cucine. Parliamo dei materiali solid surface, Krion, Corian, Lapitec, estremamente resilienti, resistenti ai raggi uv e al gelo, ma anche resistenti al fuoco, non porosi, autopulenti, antibatterici ed è per queste ultime caratteristiche che hanno fatto un prepotente ingresso nell’universo cucina, proposti in una ampissima gamma cromatica. Vicino ai fornelli si affollano quindi non solo chef, più o meno stellati, ma tantissimi marchi e materiali ed è di conseguenza difficile riconoscere la qualità e selezionare dal mondo degli arredi di serie quella soluzione che sembri studiata solo per noi, per la nostra casa e per le nostre esigenze. Sarà l’architetto con la sua professionalità ed esperienza, con la sua creatività a trovare e inserire quell’elemento che la renderà unica per il suo cliente. La grande porta a tutta altezza di vetro satinato si apre sul pranzo di questa cucina.La grande sospensione di design caratterizza l’ambiente e la trasparenza del materiale viene ripresa dalle sedie, particolari anche nella forma.

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ricetta

Cialdoni

rinascimentali invito alla Corte di Lorenzo il Magnifico

Alessandro Prattichizzo

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l Rinascimento è considerato il periodo di maggior splendore della vita fiorentina. Anche a tavola, specialmente nel periodo di Carnevale, non si scherzava. A sentir parlar di certe pietanze, come le pappardelle sul cinghiale, la carabaccia e il papero al melarancio, viene l’acquolina in bocca. Che ne dite, inoltre, di un leggerissimo dessert? Golosoni di tutto il mondo, volete realizzare i cialdoni rinascimentali, che venivano preparati in Toscana, a Firenze in particolare, durante il Carnevale, ma anche in altre occasioni? A darci la ricetta è proprio Lorenzo il Magnifico nel Canto dei cialdoni. E allora armiamoci di grembiule, ferri da brigidini e, al lavoro! Ingredienti: 100 gr di farina; 120 gr di zucchero; 2 uova; sale un pizzico. Preparazione: Stendete su una tavola la farina, rompetevi le uova, aggiungete lo zucchero, un pizzico di sale ed amalgamate bene, fino ad ottenere una pasta soda e morbida. Fate delle piccole masse di pasta, stendetele all’interno di piastre per cialde e cuocetele. In passato i cialdoni venivano preparati con le “cotte”, ossia degli strumenti di ferro da scaldare sul fuoco del camino o sul fornello. Le cotte erano lavorate all’interno per permettere di eseguire la decorazione dei cialdoni. Appena cotto, il cialdone va arrotolato rapidamente, quando è ancora ben caldo, perché indurisce subito. I cialdoni, ancora caldi, possono essere serviti, accompagnati un tempo da frutta secca, miele, fragole o marmellata di castagne… Oggi, da panna e cioccolata !!! Per essere certi che siano proprio quelli autentici, ecco la ricetta e la pre-

parazione così come ce la descrive: Il Magnifico Lorenzo de’ Medici. Giovani siam, maestri molto buoni, donne, come udirete, a far cialdoni. In questo carnascial siamo svïati dalla bottega, anzi fummo cacciati: non eron prima fatti che mangiati da noi, che ghiotti siam, tutt’i cialdoni. Cerchiamo avviamento, donne, tale, che ci passiamo in questo carnasciale; ma sanza donne inver si può far male: e insegnerenvi come si fan buoni. Metti nel vaso acqua, e farina drento quanto ve n’entra, e mena a compimento: quand’hai menato, e’ vien come un unguento, un’acqua quasi par di maccheroni. Chi non vuole al menar presto esser stanco, meni col dritto e non col braccio manco; poi vi si getta quel ch’è dolce e bianco zucchero; e fa’ il menar non abbandoni. Conviene, in quel menar, cura ben aggia, per menar forte, che di fuor non caggia, fatto l’intriso, poi col dito assaggia: se ti par buon, le forme a fuoco poni. Scaldale bene, e, se sia forma nuova, il fare adagio ed ugner molto giova; e mettivene poco prima, e pruova come rïesce, e se li getta buoni. Ma, se la for-

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ma sia usata e vecchia, quanto tu vuoi, per metterne, apparecchia, perché ne può ricevere una secchia; e da Bologna i romaiuol’ son buoni. Quando l’intriso nelle forme metti e senti frigger, tieni i ferri stretti, mena le forme, e scuoti acciò s’assetti, volgi sozzopra, e fien ben cotti e buoni. Il troppo intriso fuori spesso avanza, esce pe’ fessi, ma questo è usanza: quando ti par che sia fatto abbastanza, apri le forme e cavane i cialdoni. Nello star troppo scema, non già cresce: se son ben unte, da sé quasi n’esce, e ’l ripiegarlo allor facile rïesce caldo, e in un panno bianco lo riponi. Piglia le grattapugie od un pannuccio ruvido, e netta bene ogni cantuccio; la forma è quasi una bocca di luccio; tien ne’ fessi lo intriso che vi poni. Esser vuole il cialdone un terzo o più e grosso, a ragione aver le parti sue: e a farli esser vogliono almen due, l’un tenga, l’altro metta; è fansi buoni. Se son ben cotti, coloriti e rossi, son belli, e quanto un vuol mangiarne puossi; perché, se paion ben vegnenti e grossi, strignendo è son pur piccioli bocconi. Donne, terrete voi e noi mettiamo; se noi mettessin troppo forte o piano, pigliate voi il romaiuolo in mano: mettete voi, purché facciam de’ buoni.


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alimentazione

salute? si gioca a tavola

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l tema dell’alimentazione è stato trattato innumerevoli volte da differenti punti di vista, dallo storico, politico, sociale, all’economico, dal culturale allo scientifico. La consapevolezza del ruolo svolto dalla nutrizione sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo è ormai diffusa in tutti gli ambiti scientifici, e le attuali conoscenze hanno evidenziato che numerose patologie sono causate da un’alimentazione inadeguata spesso ipercalorica e non sempre bilanciata in rapporto alle esigenze energetiche. È vero che la salute si gioca a tavola: la corretta alimentazione è fondamentale per una buona qualità di vita e per invecchiare bene! Gli squilibri nutrizionali se in una parte del mondo portano ancora a malnutrizione e fame, nel mondo industrializzato generano un aumento delle principali patologie degenerative come malattie cardiovascolari, diabete, obesità e tumori, attualmente maggiori cause di mortalità e di enormi costi sanitari. Il recente Expo di Milano 2015 con tema :”Nutrire il pianeta, energia per la vita,” è stato un’occasione importante per valutare e ricercare soluzioni unanimi nel tentativo di non sperperare risorse, nell’aumentare la quantità di cibo disponibile per superare fame e malnutrizione, ma anche nel migliorarle la qualità e la sicurezza degli alimenti. Gli alimenti sono veicolo non solo di nutrienti ma anche di additivi , di contaminanti e residui come i diserbanti e gli anticrittogamici; il piombo e il mercurio, che possono causare effetti negativi sull’organismo non ancora ben chiariti, ma diversi a seconda dei gruppi di popolazione (bambini, anziani, ammalati) e della tipologia di consumo. In tutto il mondo occiden-

tale soffriamo di disturbi di eccesso alimentare; anche in Italia la popolazione tende ad essere sovralimentata con maggior incidenza di obesità (circa l’11% di italiani sono obesi e circa il 33% è sovrappeso). Le nostre scelte alimentari sono pilotate da messaggi e immagini diffuse dai media che orientano alla spesa del superfluo, delle maxi confezioni di alimenti energetici, di pasti preconfezionati, con una spinta ad un iper consumo. Ma può accadere anche che l’educazione alimentare fatta in modo superficiale, di slogans, essenzialmente tramite i media come televisione e siti web, crei individui iper-informati condizionati da un esasperato salutismo, alla ricerca di un peso corporeo ideale e dell’eterna giovinezza! Vengono adottati comportamenti alimentari che non rispondono alle attuali conoscenze scientifiche in fatto di nutrizione con diete restrittive e che possono portare sopratutto negli adolescenti a disturbi del comportamento alimentare come bulimia e anoressia. Un’alimentazione sana e equilibrata è alla base di una vita in salute; il sovrappeso e le patologie ad esso correlate si possono prevenire modificando lo stile di vita: anzitutto una corretta alimentazione e l’attività fisica. L’alimentazione equilibrata deve garantire un adeguato apporto di energia e di nutrienti prevenendo sia carenze che eccessi nutrizionali, entrambi dannosi. Le raccomandazioni da seguire si basano sul modello mediterraneo schematizzato nella cosidetta Piramide Alimentare realizzata negli anni ‘90 negli Stati Uniti, attualmente modificata e resa più idonea agli attuali stili di vita, che ha lo scopo di fornire una semplice guida nella scelta del cibo

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e delle giuste proporzioni. In essa si raccomanda di privilegiare il consumo di carboidrati complessi integrali, limitando il consumo di quelli raffinati a più alto indice glicemico; di consumare frutta, verdura, pesce e carni bianche, limitando invece il consumo di carni rosse, latticini e uova. Controllare il consumo di zuccheri semplici e di sale; consumare grassi vegetali, in particolare l’olio d’oliva. È fondamentale inoltre una corretta idratazione e un moderato consumo di vino rosso ai pasti. L’attività fisica giornaliera alla base della nuova Piramide Alimentare, va intesa non come massacranti esercizi in palestra, ma come uno stile di vita fisicamente attivo, usando i propri muscoli in attività come il camminare, il salire le scale, il giardinaggio, ecc. Tutta la comunità scientifica è concorde nell’affermare che una alimentazione equilibrata, insieme alla pratica di un’attività fisica costante sono l’unica prevenzione e terapia efficace per combattere il sovrappeso e altre patologie come il diabete, le malattie cardiovascolari e i tumori, e per il raggiungimento dello stato di SALUTE come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non una mera assenza di malattia”. www.baggianinutrizione.it info@baggianinutrizione.it

Paola Baggiani

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CURIOSITà

Eleonora Garufi

mim o s a d i m o d a C ’è una bellissima pianta che da tempo inaugura la fine dell’inverno e l’inizio della mite primavera: la mimosa. Gialla, forte, luminosa, femminile, la mimosa è ormai di moda. L’effetto “inverno mite” anche se apprezzato da molti, in realtà cela uno dei grandi dilemmi del nostro secolo, il cambiamento stagionale e il surriscaldamento globale. Molti animali perdono il controllo della loro lancetta biologica svegliandosi molto prima dai lunghi letarghi invernali, e molti fiori anti-

cipano la fioritura. Ecco, quest’anno la mimosa ha tinto di giallo i nostri desolati giardini d’inverno e quindi niente è più alla moda, quest’anno, del giallo primaverile del suo colore. Trapiantata in Europa dalla lontana Tasmania australiana nel XIX secolo, la mimosa si è subito adattata al mite clima italiano divenendo una pianta spontanea. Può presentarsi come un albero robusto che può arrivare ai 20 metri di altezza, caratterizzati da fiori ricchi e gialli e da foglie bipennate che

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compongono un tetto asimmetrico tra le fronde. La mimosa è molto apprezzata nel linguaggio dei fiori indicando forza e femminilità, non a caso è il simbolo della Festa della Donna, che cade l’8 marzo, periodo classico, almeno una volta, della sua fioritura. Proprio negli anni ‘50 del Novecento, la mimosa accompagnò le donne nei primi cortei femministi, simbolo della forza femminile che chiedeva la sua rivalsa. Il colore giallo acceso poi si lega bene con lo spirito dell’inizio della primavera, fatto di luce, energia, calore. Il giallo mimosa colora la primavera di positiva energia, inserendosi come colore di tendenza che va saputo portare con sicurezza. Colore primario e perciò base di innumerevoli sfumature di colore, il giallo era uno dei colori prediletti dagli impressionisti come Matisse e Gauguin, dai Fauves e da rappresentanti dell’arte astratta come Mirò. Se i primi lo mischiavano e declinavano in decine di tonalità differenti, per gli ultimi il giallo predominante era quello saturo, puro, immune da qualsiasi contaminazione cromatica. Nella cromoterapia il giallo indica solarità e voglia di cambiamento; è un colore con valenza quasi sacra per l’Oriente, è uno dei simboli della Cina. E se a Napoli “ho fatto giallo” significa avere paura, il giallo è per le passerelle un’iniezione di ottimismo e una sferzata di energia. Dalle infinite tonalità e sfumature con cui lo si definisce è importante trovare la nuance che più si addice al nostro incarnato ma, soprattutto, alla nostra personalità.


curiosità

antiche pillole di primavera I l termine primavera deriva dal latino primus – inizio – e dalla radice sanscrita vas (ver) – splendere/ ardere –. La stagione del risveglio, successiva al lungo assopimento invernale, è stata commemorata da secoli nel mondo con riti pagani e spirituali. Nell’antica Grecia primavera era sinonimo di ricongiungimento sacro per ingraziarsi la fertilità. Si svolgevano feste in onore del bellissimo giovane amato da Afrodite, Adone: egli dimorava sei mesi all’anno negli inferi e sei mesi sulla terra; la sua riapparizione sulla terra coincideva con la primavera, ed in quel periodo egli si riconciliava alla sua dea. Ana-

logamente, si festeggiava il ritorno sulla terra della figlia di Demetra (dea della fertilità), Persefone; essa ricompariva a celebrare la rifioritura dopo aver trascorso sei mesi nel regno dei morti assieme al suo sposo Ade, dio degli Inferi. Nei popoli Celti, l’equinozio di Primavera prendeva il nome da una divinità rappresentativa del sole e del calore: venivano eseguiti riti sanguinari, tra i quali quello di legare alle zampe di un grande cavallo due prigionieri o schiavi e dare loro fuoco; il bestiame passava attraverso due fuochi che avevano funzione purificatoria, sulle fiamme saltavano i viaggiatori per garantirsi un viaggio tranquillo, i giovani per conquistare la buona sorte, e le donne incinte per assicurarsi un parto favorevole. Per gli antichi romani, Saturno in questo giorno effondeva sulla terra il suo seme per accenderla di ardori nuovi. Di rito erano i sacrifici umani: si narra che l’imperatore Adriano offrì in immolazione il suo amante Antinoo, l’essere più perfetto della Terra, per propiziarsi l’abbondanza dei raccolti; il sangue del giovane fu disseminato nel Nilo e il suo corpo divorato dai coccodrilli del sacro fiume. Secondo gli antichi Egizi, l’Uovo cosmico deposto dal dio creatore Ptah sulle rive del Nilo con l’arrivo della primavera si apriva e da esso veniva fuori Ra, il Sole: vi era una simbiosi sacra tra il Fiume e il Sole, che commemorava un rinnovarsi perpetuo. In Messico, secondo l’antico calendario Maya, l’Equinozio di Primavera era una data che onorava il ritorno dal cielo di Kukulcan, il dio serpente creatore della terra. Nel giorno dell’equinozio, mentre il sole tramontava sulla grande piramide, le ombre

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parevano correre dalla cima dando l’illusione che stesse scendendo un serpente dalla coda di diamante, il “Sole Serpente”. In Giappone, l’istituzione della festa di primavera si attribuisce al VII Secolo e pare sia stata voluta dall’Imperatore stesso. Furono la classe feudale per prima e quella lavoratrice successivamente a solennizzare questo giorno: nella società nipponica, storicamente di costituzione agricola, l’Equinozio di Primavera veniva accolto con preghiere per auspicare raccolti generosi. Inoltre, in base alla fioritura dei ciliegi, la cui bellezza è ancor oggi significativa, si poteva prevedere il tipo di raccolto. Da epoche immemorabili si attende con trepidazione il tempus in cui il sonno profondo della natura indietreggia a favore del sua rinascita.

“Una rondine non fa primavera, né la fa un solo giorno di sole, così un solo giorno o un breve spazio di tempo non fanno felice nessuno.” (Aristotele)

Patrizia Bonistalli

Antonio Canova, Adone e Venere, marmo. 1794 Niccolò Dell’Abate. Il ratto di Persefone

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Anno XVIII n. 1/2016 Trimestrale â‚Ź 10,00


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