Reality 61

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Editoriale

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Fantastica realtà

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Niente è più fantastico della realtà quotidiana. Da piccoli ci raccontavano le favole, vi ricordate? Biancaneve e i sette nani, Cenerentola, Cappuccetto rosso, Alice nel paese delle meraviglie; i racconti come: I viaggi di Gulliver, Il giro del mondo in ottanta giorni, Ventimila leghe sotto i mari. E che dire dei giochi? Bambole di pezza, orsacchiotti di peluche, macchinine di latta, trottole di legno, raganelle, o semplicemente un rocchetto con lo spago o un sasso gettato in un riquadro. Niente ci sembrava così bello come giocare nel cortile, per strada o in mezzo a un’aia; forse avevamo bisogno di cose semplici. Nel dopoguerra bastava poco, la vita rinasceva, non vi era più la paura delle sirene, non vivevamo nell’angoscia, nell’incubo, nel terrore della guerra. Oggi ricordi lontani, anche se in paesi non lontani da noi esplodono bombe uccidono vite devastando città. Non si gioca più tra bimbi, in amicizia, allegria, spensieratezza con semplici giochi. Oggi anche i bambini si sentono grandi; tutto è elettronico, virtuale, in 3D, ma soprattutto è tutto una sfida e una competizione, spesso violenta, sempre uno contro l’altro, per poi passare ai combattimenti, distruzioni, guerre, in scenari lontani, galassie sconosciute, pianeti virtuali. Ma la cosa che mi angoscia di più è che il Male sempre trionfa sul bene. Siamo veramente in un’epoca di distruzione come alcuni pensano. Dopo secoli importanti di creatività e ingegno stiamo scendendo in momenti distruttivi. Il troppo ci porta veramente allo sbando, a vedere un mondo al contrario, dove forse i nostri sogni invece di volare, come aquiloni rapiti e cullati dal vento che li porta lontani dal nostro sguardo, vengono calpestati dalla nostra corsa sfrenata, priva di sosta, di umanità, mai sazia del nulla di cui abusiamo. Oggi la vita è frenetica, veloce, corriamo così tanto che non abbiamo più il tempo per raccontare favole! Forse perché niente è più irreale e fantastico della realtà.

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Reality

MAGAZINE D’INFORMAZIONE

Centro Toscano Edizioni Sede legale via Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Redazione casella postale 36 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel. 0571.360592 - Fax 0571.245651 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it

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Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (Pi) ISSN 1973-3658

Reality numero 61 - settembre 2011 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni.it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.



eality61 ARTE & MOSTRE

Sommario

Francesco Musante Il coniglio sogna un prato verde verde

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In viaggio con Musante Antiquariato d’autore Ricognizione Toscana Sperimentatori di linguaggi Le ali del mito L’infinito dentro di noi Il vino sulla tavolozza Fantasticarte Quando la capra diventa design Amoroso sguardo STORIA & TERRITORIO

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Etruschi a sant’Andrea Pedalando nell’arte Montefoscoli

POESIA & LETTERATURA

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Villa Saletta memories Giorgio Caproni Funerale nero In riva all’Arno e oltre L’Urbe a tavola

MUSICA & SPETTACOLO

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Leone d’oro a Faust Stagione teatro Verdi Sarabanda e non solo 40mila a Bolgheri A tu per tu sotto le 11 Lune A tu per tu conFabrizio Diolaiuti A tu per tu con Andrea Buscemi Estate Toscana 2011 Musica nel silenzio Un fiorentino alla corte del Re Sole Dama di cuore

EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

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Il mare di Mara

Nel segno di Grace Carismi T.W.B. Tecnologia e creatività Fede economia impegno Insieme per il Burkina 50 portati bene Accreditato Accredita Magiche pietre Una tappa importante I nostri servizi Tempo di fiere Un gastropub a San Miniato Attenti al glutine Il cuore e la voce di Bocelli Un nuovo volto Professionalita la tuo servizio Quando il cliente è una firma Design Un tradizionale appuntamento Formazione professionale 5 SENSI

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Ristorante. Devero Dipingimi un sogno Reality Moda A spasso con il Bernina Express L’oroscopo A tavola con il Bon Ton In vino veritas

Arte Libri Film Dischi


Parliamo di...

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viaggio con

Musante

di Nicola Micieli

Mi sveglio e comincio il viaggio del giorno, mi allontano dal sentiero del quotidiano per andare incontro ad un nuovo sogno, viaggiatore senza bagaglio e senza biglietto, viaggio a piedi, in nave, in treno; scendo ad una stazione sconosciuta ed incontro gente nuova, raccolgo, ingordo, inedite storie, rubo i colori alle piante, ai tramonti, alla notte, mi corico sotto una pianta ed aspetto il mattino per riprendere il mio infinito viaggio. Amo questo viaggiare, mi porta sempre lontano, amo i suoi colori, le sue musiche a volte silenziose, altre volte assordanti, amo le sue parole, anche le sue ingiurie, ma non sopporto i suoi silenzi di sogno offeso, cerco tra i sassi di una spiaggia i suoi frammenti più piccoli per ricostruire una trama che si perderà rubata dalla prima onda insieme all’ultimo quarto di luna. Amo dipingere sogni rubati alla realtà.

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nevitabile il deflusso nella scenografia del mitografico pittore Francesco Musante, inesauribile inventore di spazi che paiono imbanditi per fare di sé spettacolo, ancor prima di essere invasi e festosamente animati dalla folla dei marionettistici personaggi e dal dovizioso repertorio di oggetti e attrezzi di scena, appunto, di cui Musante abitualmente popola i suoi dipinti. Si annuncia al Carlo Felice di Genova, teatro già ripetutamente visitato dagli incantamenti visivi di Emanuele Luzzati, una Bohème affidata all’immaginazione scenografica di Musante, che esordisce nel ruolo e lo fa, in sostanza, senza operare particolari mutamenti – salvo, ovviamente, il cambio di scala e le specificità funzionali e narrative della messa in scena – al proprio linguaggio pittorico già tendenzialmente vocato, del resto, a concepire l’immagine come luogo squisitamente teatrale. Ricordo peraltro le non poche sue opere concepite come veri e propri teatri di apparizioni e azioni drammatiche, in una chiave espressiva giocata sulla pungente allusione e sul registro ludico. Si tratta di lavori oggettuali, ossia concretamente impostati come boccascena, non meno che simulazioni pittoriche della stanza o dell’arena scenica. Rimando, a titolo di esempio, ai numerosi “teatrini” da Musante imbanditi per offrire “macchine” operative sempre nuove alle performances e alle metamorfosi del suo Pinocchio, versione degna di occupare un posto privilegiato tra le più importanti succedutesi nel seguito dei decenni di vita del celebre burattino. A giudicare dai bozzetti – sipario siparietti quinte fondali costumi attrezzi e oggetti di scena – alcuni dei quali presentiamo in que-

FM Francesco Musante foto di Daniela Mento

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Bohème quadro I-IV - La soffitta; Bohème quadro II - Quartiere Latino II; Bohème quadro III - La Barriera d’Enfer A destra: Bohème piede sinistra


ste pagine, sarà un’ambientazione della Bohème in chiave decisamente fantastica e luminosa, una deriva nel sogno dei contenuti narrativi. Musante aggiungerà senza dubbio una godibile pagina, e c’è da credere che non resterà isolata, al catalogo dei pittori chiamati nel tempo a visitare la scena, con esiti sempre originali e non neutri, ossia fortemente connotati sul piano della lettura dell’opera. Ed è consuetudine, questa della scenografia dei pittori, assunta per la prima volta come priorità dal Maggio fiorentino, i cui allestimenti firmati da Casorati, De Chirico, Sironi, Kokoschka, Maccari, Guttuso, per dire i primi nomi che mi vengono a mente, sono diventati un tratto distintivo di quella festa della musica. Bisogna dire che Musante ha nel proprio dna l’idea del teatro. Ve lo induce il carattere estensivo ovvero invasivo dell’azione figurale nello spazio simulato che è luogo visionario. Egli squaderna la pittura a diorama, nel recinto pur breve del quadro, e potrebbe ormai proiettarla a raggio laser sul macroschermo celeste. Del quale già, del resto, è posta l’idea nei fondali trapunti di stelle che compaiono in numerose opere. Osservavo tempo fa come sembrasse legittimo e naturale accedere da spettatori a una ribalta così capziosa, che Musante apparecchia con la minuzia esecutiva di un alluminatore gotico e la dovizia di invenzioni figurali e di effetti speciali di un autore di fiction cinematografica. Penso, infine, che sia non solo possibile, ma addirittura producente assecondare i musantiani ludi marionettistici e funambolici, rivendicando il diritto del critico come di ogni altro spettatore a mettersi semplicemente a sedere e a godersi lo spettacolo. Anzi, a entrare

nel gioco almeno idealmente, in attesa che Musante fornisca in versione videogame interattivo i suoi vertiginosi “tableaux vivants” di acrobati e equilibristi del suo speciale Circo di Pechino, consentendo di concretamente intromettersi nell’azione figurata e di scomporla, a mo’ di puzzle, e magari prelevarne singole o serie di tessere (personaggi accessori contesti) da utilizzare creativamente in altre storie, morfemi di un linguaggio visivo da meccano elettronico. Ornata di figure e di oggetti che si snodano come un rabesco, l’immagine consente una lettura ludica e disinvolta, per così dire, di queste scatole magiche ispirate a una sovrana “leggerezza”. La quale è una qualità della forma pittorica, e in quanto pittura Musante la governa con mano agile ed esatta nei tracciati lineari quanto morbida e aerea nella resa della materia, che ha trasparenze da acquarello e brillantezza di smalto; ed è una proprietà del visibile, nel senso che tutto qui levita o tende a vincere la forza di gravità, per cui vorrebbe involarsi anche quel che si presuppone abbia salde radici (alberi case scogliere), a causa non già d’un agente atmosferico, un ciclone rapinoso, ma per un intrinseco irresistibile impulso a sciogliere i lacci terrestri, a disancorare gli ormeggi marini. Le atmosfere rarefatte e gli artifici di Musante si confanno a chi ha lo sguardo penetrante e la mente pronta a riconoscere e a prendere al volo le “occasioni” aleatorie del sogno, per agganciare il proprio vagone alla locomotiva del poeta. In fondo, l’artista medesimo suggerisce un’adesione ludica ai propri percorsi, affermando

Teatro Carlo Felice - La Bohème 2011 - atto 1° modellino virtuale di Enrico Musenich - 14/07/2011 A destra: piede destra Nella pagina a fronte, dall’alto: Bohème quadro II; Boccascena sinistra; Boccascena destra

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Bohème Sipario



di essere lui il primo a divertirsi – in un modo che non parrebbe nemmeno sfiorato dall’ombra della ungarettiana “allegria” di naufraghi alla deriva nell’esistenza, né da un palazzeschiano sorriso cinico – nel suo inesausto rigenerare la lanterna magica e animare d’un nuovo quadro il feuilletton che narra senza apologo la favola della vita. Non solo. Richiesto dei contenuti generali che agitano il suo mondo fantastico, del filo o dei fili (intreccio) in cui si dipana la fabula e degli eventuali suoi significati nascosti, il medesimo Musante, capocomico gran burattinaio e Mister Barnum in sedicesimo, afferma bellamente di non sapere alcunché in proposito, né l’oscurità dell’ignoranza sembra turbarlo, se lascia intendere di non tenere granché ad approfondire l’argomento. Il fare creativo è liberatorio, sembra dire Musante, fonte di un piacere che appaga e gratifica le aspettative. Tanto più nel suo mondo in cui, improntato alla labilità e alla imprevedibilità del sogno a occhi aperti, costruito sul libero gioco associativo e sulla ibridazione fantastica di parti eteronome della realtà, non sembrano avere diritto di cittadinanza la crudeltà, il sogghigno, l’insidia del canto che la sirena rivolge al viaggiatore ammaliato, la trappola dolcissima e tossica della veste sontuosa che il fiore carnivoro dispiega per attrarre e inghiottire l’insetto incapace di sottrarsi alla sua seduzione. Il congegno visivo di Musante, la sua macchina fantastica ora applicata all’altalena del sogno e della realtà di Bohème, ha un funzionamento autoalimentante a moltiplicazione caleidoscopica, virtualmente illimitata delle funzioni narrative. Come in un gioco di scatole cinesi: ognuna un universo compiuto e autonomo, oltre il quale non sembra possibile e nemmeno necessario andare, e che pure racchiude, e svela appena la si solleciti e si faccia scattare la serratura, un microuniverso ulteriore, a sua volta compiuto e autonomo nella sua piccolezza. Ognuno disposto a farsi stanza o episodio

di un racconto, che ne contiene o ne presuppone un altro, e potremmo noi spettatori permutarlo in parola nel nostro immaginario, o in musica nell’universo sonoro. Occorre accettare l’acchito di Musante a scendere sul suo medesimo terreno, a lasciarsi catturare dallo specchietto delle immagini e dalle concatenazioni narrative per seguitare sul piano verbale, delle immagini verbali le concatenazioni immaginative del pittore. Su questo terreno lo stesso Musante offre modelli con le ornate didascalie che si snodano ai bordi dell’icona, e formano una specie di cornice graffitata, una superficie a margine idonea al commento, un’area liminare tra la parte visualizzata dell’opera e il resto non detto, la coda o la scia, le ipotesi e gli sviluppi possibili delle storie date in immagine entro il recinto pittorico. Con la sua grafia falso-ingenua, in un corsivo sghembo e qua e là contratto che pare inciso su un intonaco con una punta di chiodo, Musante riassume e commenta l’azione e presenta le “dramatis personae”, vere e proprie maschere da commedia dell’arte, per la tendenza ad assegnare ruoli di massima e comportamenti stereotipati ai personaggi di una rappresentazione che si recita a soggetto. Sono ammesse variazioni estemporanee, ingerenze e illazioni in una pièce la cui conclusione sarà comunque un ritorno al punto di partenza, con una logica circolare da moto perpetuo. Per tornare esplicitamente alla tendenziale appartenenza scenica della pittura di Musante, si potrebbero individuare e classificare gli elementi del suo repertorio sotto la specie dei “naturalia” e degli “artificialia”, e i sottogeneri degli animati e degli inanimati, i mobili e gli immobili, magari distinguendo, in una nicchia, i semoventi e gli inerti, i rigidi e i flessibili, e così via; e poi i luoghi, gli ambienti, le strutture e quanto altro venga in mente di reperire. In parallelo alla classificazione procederebbe la descrizione, casella per casella. Ad esempio, gli ambienti e gli sfondi

hanno diversa conformazione, ma sono invariabilmente esterni, non stanze o recinti che comportino uno spazio chiuso e in qualche modo rimandino a un privato, e non voglio dire che presuppongano o configurino simbolicamente un ripiegamento nel profondo. Nelle opere in cui si faccia esplicito riferimento alla struttura di una stanza, magari un sottotetto gelido da Bohème, in tutta evidenza si tratta di un cubo prospettico, di una teca o un classificatore da collezionista, di un teatrino dei pupi, ossia uno spazio chiuso-aperto convenzionale, delimitato da fondali e articolato per paratie e strutture mobili, nella cui qualificazione d’ambiente praticabile e di clima gioca un ruolo fondamentale la luce. Quando dipinge l’effetto notte e l’effetto giorno Musante lo dichiara, dunque quella che spiove a profilare il paesaggio naturale o urbano, i personaggi, l’attrezzatura di scena e, infine, l’azione, è luce artificiale cui provvedono le lune dislocate con strategia scenotecnica, e si capisce che i notturni sono dunque fondali utili ai controluce. Dopo l’ambiente e i fondali, ecco l’attrezzatura di scena e gli oggetti che al pari dei personaggi sempre vivacemente forniti di abiti di scena, concorrono al funzionalmento dello schermo visionario di Musante consentendo molteplici livelli all’azione drammatica e alla lettura ossia alla inevitabile elaborazione dello spettatore nel proprio immaginario. L’esordio nella scenografia con Bohème al Carlo Felice la direi dunque una estensione inevitabile e persino scontata della fantastica pittura di Musante. Il quale, se potesse, dipingerebbe ovvero invaderebbe con il disegno fluente e il vivace e trascolorante caleidoscopio del proprio mondo di visione, la totalità della superficie aperta al suo sguardo e al suo corpo. Come ha fatto nello spazio davvero d’invenzione del suo studio, dove ha dipinto duecento metri quadrati di pavimento, per camminare sulla costellazione di presenze animate d’un cielo pittorico.

Prima: Sabato 17.12.11 - (A) ore 20.30 Repliche: domenica 18.12.11 - © 15.30 - martedì 20.12.11 - (H) 15.30 - giovedì 22.12.11 - (B) 20.30 - venerdì 23.12.11 - (L) 20.30 sabato 24.12.11 - (F.A.) 15.30 - martedì 27.12.11 - (F.A.) 20.30 - giovedì 5.1.12 - (F.A.) 20.30 - sabato 7.1.12 - (F) 15.30 venerdì 3.2.12 - (F.A.) 20.30 - domenica 5.2.12 - ® 15.30 Musante ricorda e ringrazia: Giovanni Pacor, sovrintendente al Teatro Carlo Felice; Giuseppe Acquaviva, segretario artistico; direzione allestimenti del Carlo Felice; Enrico Musenich, scenografo assistente; atelier di Elio Sanzogni; Carla Galleri, costumista assistente; sartoria; Elena Pirino, capo sarta; reparto attrezzeria; Massimo Paci, capo attrezzista; Luciano Novelli, datore luci.

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SPETTACOLO

La Bohème Opera lirica in quattro quadri di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Direttore Marco Guidarini Regia Augusto Fornari Scene e costumi Francesco Musante Allestimento del Teatro Carlo Felice.


Bohème Maschere e Personaggi


NOTIZIA

Francesco Musante nasce a Genova nel 1950, si diploma prima al Liceo Artistico del capoluogo ligure e poi alla sezione distaccata Albertina di belle arti di Torino. Negli anni Settanta, in piena contestazione studentesca, decide di iscriversi alla Facoltà di filosofia di Genova e frequentare i corsi di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara. Le sue prime sperimentazioni artistiche risalgono al 1967: si tratta perlopiù di ricerche astratte su grandi campiture di colore. L’anno successivo comincia a esporre le sue opere in mostre collettive, concorsi di pittura e premi. I lavori degli anni 69-70 risentono dell’influenza della Pop Art e dei Combine Paintings di Rauschenberg: chiari i riferimenti all’america attraverso l’uso di scritte e l’inserimento di oggetti e legni. A partire dal 1971 decide di fare l’artista a tempo pieno. Pittore, scultore e ceramista, nel 1973 fa il suo esordio con una collettiva e una personale tenutasi alla Galleria Il Quadrifoglio di La Spezia, città dove si trasferisce dopo il matrimonio con Sandra. Un anno importante che segna l’inizio del suo lungo e fortunato percorso artistico anche come incisore. Dal 1983 comparirà infatti nei cataloghi delle “Incisioni originali italiane e straniere dell’800 e moderne” della Libreria Antiquaria di Dino e Paolo Prandi. Fino alla metà degli anni Settanta, Musante frequenta Torino e in particolare la Galleria Sperone, conosce alcuni artisti dell’Arte Povera, tra cui Penone che all’epoca insegnava al Liceo Artistico di Genova. Nel 1975 si assiste ad un cambio di rotta: Musante si dedica alla pittura figurativa, inizialmente creando una serie di figure femminili ispirate a Klimt ed alla Secessione Viennese. Un tema che sviscererà lungo dieci anni utilizzando le più diverse tecniche – dall’acquarello, all’olio, al collage, all’incisione – e svariati supporti – tela, legno, ceramica, lastra, carta. Questi lavori saranno esposti in una serie di mostre a Roma, Genova, La Spezia, Milano e Odessa (Urss). In questo periodo nasce anche il ciclo legato alla lettura dell’”Antologia di Spoon River” e di “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carrol, libro che gli ispirerà un fumetto pubblicato sulla rivista “Imagocritica” nel 1980. A poco a poco comincia anche il lavoro con la grafica e gli acquerelli dove si intravedono i primi spunti narrativi e fantastici che contraddistinguono la sua opera dal 1985 fino ad oggi: compaiono i suoi “omini” che sembrano usciti da un libro di fiabe e inseriti in contesti pieni di oggetti, personaggi e parole. I suoi dipinti escono finalmente dalle atmosfere “drammatiche” e si alleggeriscono, conseguenza forse dall’aver scelto di vivere e lavorare dal 1993, nel Borgo Medioevale di Vezzano Ligure (La Spezia). Nel 1984 insegna tecniche dell’incisione artistica in un corso professionale della Comunità Europea. Nel 1987 la Pinacoteca civica di Vezzano Ligure ospita una sua personale gli pubblica il volume “Opera incisa 1973-87”. Nel 1992 espone in Arabia Saudita: al Consolato Generale d’Italia a Gedda e all’ambasciata italiana di Riad. Durante la sua carriera artistica Musante si è dedicato all’illustrazione di diversi libri di racconti e favole. Dal 1971 si sono susseguite più di400 mostre personali. In Italia ricordiamo quelle tenute alla Galleria Alzaia, Roma; Galleria La Nuova Sfera, Milano; Galleria Magazine, Prato; Oratorio Santa Croce, Sarzana; Galleria Il Pomarancio, Sarzana, Palazzo Berghini, Sarzana; Menhir Arte Contemporanea, La Spezia; Spirale Arte, Verona, Milano; Artstudio, Knokke; Galleria Forni, Bologna; Galleria La Mimosa, Ascoli Piceno; Galleria Cardelli e Fontana, Sarzana; Galleria Franca Pezzoli, Clusone; Museo Campano di Capua, Capua; Libreria Fogola, Torino. Musante ha partecipato a numerose collettive a livello internazionale, tra cui l’8° International Triennal of Committed Graphics Arts in the German Democratic Republic” di Berlino (1986), varie edizioni del “Salon de la Jeune Peinture” al Grand Palais di Parigi (1987 e 1988), “Interarte” a Valencia (dal 1988 al 1990), “Biaf” di Barcellona (1989), “Lineart International Art Fair” a Gent (dal 1991 al 1993), “The Artist and the Book in 20th Century” al Museum of Modern Art di New York (1993), “Libri d’artisti italiani del Novecento” al Museo Peggy Gugghenheim di Venezia (1994). Tra le mostre più recenti segnaliamo la partecipazione alla collettiva “Rifiuti preziosi. Dal Nouveau Réalisme alla cultura contemporanea” curata da Maurizio Vanni e inaugurata a Maggio 2006 alla Strozzina di Palazzo Strozzi a Firenze, a giugno 2007 ha tenuto una personale al Castello Baronale di Fondi (LT) dal tema “L’abbecedario illustrato dei sogni. Ha collaborato, prestando i suoi “personaggi” alla realizzazione della sigla e delle scenografie dello spettacolo televisivo Zelig 2007. Michela Cicchiné. Bohème Attrezzeria

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Firenze

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al 1 al 9 ottobre, lo storico Palazzo Corsini di Firenze e i suoi magnifici saloni fanno da cornice alla XXVII Biennale dell’Antiquariato. Ottanta presenze di fama internazionale espongono raffinati capolavori, muniti di certificazione sull’autenticità rilevata dagli occhi vigili di famosi esperti. Tante le novità che caratterizzano l’edizione 2011, dai due dipinti di Thomas Patch, Veduta dell’Arno con il Ponte Santa Trinità e Veduta di Piazza della Signoria, alla scena settecentesca dal toccante espressivismo dei personaggi che popolano la tela, realizzata dal pittore veronese Marco Marcola e raffigurante una Festa in Piazza. Scrutando tra i tesori in mostra, supportati da un encomiabile allestimento in stile con il Palazzo ospitante la manifestazione, si scopre un frammento appartenente all’antica tribuna della Cattedrale palermitana eseguita da Antonello Gagini, il seicentesco Cristo Risorto in terracotta di Alessandro Algardi animato da uno strabiliante dinamismo scultoreo, i tondi in materiale lapideo con le effigi della famiglia Petrucci, la delicata Madonna con Bambino di Alberto Arnoldi. Qua-

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Mostre

antiquariato

TEXT&PHOTO Carmelo de Luca

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lità e spessore artistico caratterizzano la scuola fiorentina, come dimostrano l’austero Gentiluomo di Pier Francesco Foschi, le connotazioni psicologiche presenti nel dipinto di Lorenzo Lippi e rappresentante Evangelista Torricelli, il tema allegorico magistralmente messo in essere nella tela dell’Astronomia grazie alle abili mani di Cesare Dandini. Insomma sorprese, novità, chicche, qualità, serietà, caratterizzano la manifestazione sempre più qualificata e internazionale. Il consueto appuntamento con il restauro delle opere d’arte biso-

gnose di cure ma anche la solidarietà per la ricerca contro il tumore al seno, ostinatamente sostenuta dall’Associazione Corri la Vita, trovano largo consenso presso gli espositori: il premio in denaro, messo in palio dagli organizzatori per il dipinto e la scultura più bella, sarà donato a tali iniziative. 1. Francesco Conti, Allegoria della Musica 2. Bottega di Lorenzo Bartolini, Busti di Napoleone e Marialuisa d’Asburgo 3. Cesare Dandini, Allegoria dell’Astronomia 4. Thomas Patch, Veduta di Piazza della Signoria

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Mostre

San Gimignano / Arte

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icognizione Toscana

TEXT Antonello Mennucci

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ARTISTI

arà presentata il 15 ottobre la mostra Ricognizione toscana, un progetto di nuove acquisizioni curato da Nicola Micieli e che con il sottotilo Presenze artistiche in Toscana dal Secondo 900 a oggi, mira a incrementare la già cospicua collezione permanente di opere della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano. La proposta si limita a ricerche e personalità maturate in ambito toscano nella convinzione che un piccolo museo, peraltro orientato a crescere in rappresentatività procedendo anzitutto ad acquisire documentazione in opere delle proprie manifestazioni temporanee, debba innervarsi su un consistente fondo relativo ai valori del territorio. Tanto più considerando l’eminenza della Toscana in ambito artistico nel periodo in questione, e non solo. La Toscana, difatti, ha visto nascere e affermarsi realtà di scuola o tendenza – per esempio il movimento dei Pittori Moderni della Realtà, l’Astrattismo Classico, il Gruppo Atoma, la Poesia Visiva, il Gruppo di Pistoia – e individuali oggi ormai parti costitutive del più ampio panorama artistico italiano. Non da oggi, inoltre, la Toscana è luogo di protratte frequentazioni e stabile residenza di artisti non di rado di grande prestigio, provenienti da Paesi di tutto il mondo, ai quali non è arbitrario riconoscere una acquisita appartenenza toscana anche in senso culturale per le inevitabili tangenze e interazioni che con la loro presenza si innescano. Quando poi si parla di scultura “scolpita”, davvero si può affermare che il contesto apuo-versiliese, con i suoi laboratori di materiali lapidei e metallici, costituisce nel suo insieme e nelle diramazioni di professionalità e di intraprese, un vero e proprio luogo di produzione e manifestazione della scultura mondiale. Nella collezione della Galleria non potevano dunque mancare esempi qualificati di

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artisti stranieri, scultori, pittori residenti e operanti in Toscana. Aperte alla molteplicità e diversità dei linguaggi e degli stili, le nuove acquisizioni hanno per denominatore comune il concetto della “persistenza e durata dell’opera”. Ossia la pittura e la scultura, o pratiche ad esse contigue anche sul piano delle più varie contaminazioni tecniche e linguistiche, che siano comunque consegnate

alla fisicità delle opere, per il cui tramite siano ripercorribili da chi le interroga. Ciò si pone prima di tutto in ragione del fatto che l’opera, in quanto veicolo e approdo del processo creativo, abbia ancora piena necessità e legittimità di rappresentare le aperture creative ed espressive del nostro tempo ipertecnologico e leggero o soft che dir si voglia. In secondo luogo perché sono di più difficile rappresentazione, nel

respiro di una piccola Galleria, altri aspetti della ricerca estetica contemporanea che inclinano alla concettualità e ai linguaggi dei nuovi media (video ed elettronici) e altre pratiche d’arte “in azione”, performative e installazionistiche. A queste, del resto, sono in esclusiva consacrati spazi museali pubblici e privati tra i maggiori, nella non ricca topografica museale toscana e italiana dell’arte moderna e contemporanea. Le opere di questa Ricognizione toscana sono state acquisite nella esclusiva forma della donazione, da parte direttamente degli artisti o loro familiari che hanno inteso contribuire alla costituzione del fondo museale considerandone l’importanza documentale e la fruibilità. Le opere di nuova acquisizione, presentate al pubblico negli spazi delle esposizioni temporanee della Galleria e pubblicate nel relativo catalogo, saranno in futuro riproposte, sempre in esposizione temporanea, in manifestazioni ordinate con criterio tematico, di tendenza e altro, oltre che nelle rassegne per le quali siano richieste da altri strutture museali. La loro collocazione stabile sarà possibile in una prevista ridistribuzione dei materiali delle collezioni permanenti, negli spazi attualmente a ciò destinati e nei confacenti e coordinati altri luoghi pubblici e aperti al pubblico della Città di San Gimignano, giusta l’idea del “museo diffuso”, aspetto integrante del progetto che ha carattere aperto, nel senso che l’organigramma degli artisti andrà perfezionandosi in corso d’attuazione e sulla base dei valori via via acquisiti. Si prevede difatti una seconda ricognizione al fine di documentare le realtà di gruppo prima citate, per esempio la componente toscana della Poesia Visiva, il gruppo dell’Astrattismo Classico e quelle d’area espressiva più ampia, dalle diverse declinazioni figurative, incluso il realismo esistenziale, all’astrazione all’informale al fantastico.

Luca Alinari, Maurizio Bini, Antonio Bobò, Marco Borgianni, Cesare Borsacchi, Silvano Bozzolini, Fabrizio Breschi, Giuseppe Calonaci, Nado Canuti, Claudio Cargiolli, Stefano Cecchi, Francesco Cinelli, Lorenzo D’andrea, Lorenzo D’angiolo, Marta Della Croce, Raffaele De Rosa, Fernando Farulli, Marco Fidolini, Franco Mauro Franchi, Andrea Gabbriellini, Renzo Galardini, Roberto Gasperini, Giuliano Ghelli, Giuseppe Giannini, Gianfranco Giannoni, Roberto Giovannelli, Giulio Greco, Giovanni Greppi, Bernd Kaute, Fulvio Leoncini, Massimo Lippi, Ivo Lombardi, Mario Madiai, Gianfalco Masini, Luciano Massari, Yoshin Ogata, Carlo Pizzichini, Giampiero Poggiali Berlinghieri, Gianfranco Pogni, Antonio Possenti, Roberto Rocchi, Pier Luigi Romani, Renato Santini, Fulvio Ticciati, Alessandro Tofanelli, Stefano Tonelli, Mino Trafeli, Piero Tredici, Aleksander Zyw, Michael Zyw.


s linguaggi perimentatori di

Mostre

Mario Mariotti e Superstudio

TEXT Stefano Pezzato

L

a nuova stagione espositiva del Centro Pecci di Prato si apre con due progetti espositivi che ne confermano il ruolo di Museo regionale toscano per l’arte contemporanea, rispettivamente nello Spazio Progetti l’omaggio a Mario Mariotti, mentre nello Spazio CID/Arti visive, la presentazione di una ricerca di rilievo

Backstage al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Dal 9 ottobre 2011 al 30 aprile 2012 internazionale sviluppata a Firenze che ha identificato l’architettura come strumento di investigazione e conoscenza. La ricognizione dell’intero percorso operativo di Mario Mariotti (Montespertoli FI, 1936 - Firenze, 1997) è frutto di una consistente selezione di opere e materiali del suo archivio. Autore magmatico, sperimentatore assiduo di linguaggi visivi, Mariotti ha incarnato per decenni l’anima popolare e l’abilità artigianale. Operando “sempre ai margini dello specifico artistico e delle istituzioni”, come ha sottolineato la critica Lara-Vinca Masini, egli ha proposto la reinterpretazione e l’aggiornamento delle radici culturali di Firenze, cercando i collegamenti possibili fra il suo passato e la sua contemporaneità. Riconosciuto unanimemente come “il pittore delle mani”, trasformate in figure fantastiche di Animani (1980) e Umani (1982), riproposte in varianti continue fino a Giochi di mano (1992) e all’immagine simbolo Diladdarno (1994), diffuse in tutto il mondo attraverso fotografie, libri, pubblicità e video che gli hanno valso numerosi premi nazionali ed internazionali. Tuttavia rimangono memorabili le sue “imprese” spettacolari nello spazio urbano, in ambito pubblico o di vita quotidia-

Mario Mariotti, Oasis libri palma

na, ideate e organizzate personalmente ma sempre condivise collettivamente. La documentazione dell’articolata ricerca per immagini realizzata da Superstudio fra il 1966 e il 1978 prosegue l’azione di recupero e valorizzazione della storica esperienza dell’architettura radicale fiorentina, già sviluppata dal Centro Pecci attraverso acquisizioni di opere e documenti o progetti espositivi come le recenti proposte di Invito al viaggio al Museo Pecci Milano. La nuova esposizione presenta una serie di immagini fotografiche scelte dall’archivio Toraldo di Francia, insieme ad oggetti, progetti, pubblicazioni e film di Superstudio. Si parte dalla Superarchitettura

(1966-68), proposta “come strumento di interpretazione e descrizione della realtà” (Toraldo di Francia), per arrivare nel 1971 nelle visioni di 12 Città Ideali, anno in cui Superstudio formulò le “premonizioni della rinascita mistica dell’urbanesimo”: una rifondazione filosofica e antropologica dell’architettura della città” (Roberto Gargiani). Tra il 1972 e il 1973 i progetti presentati a New York prefigurarono “un modello alternativo di vita sulla terra” ricostruito nel 2011 dal Centro Pecci. “Quando si produceva l’architettura radicale, l’architettura radicale non esisteva. Ora che questa etichetta esiste, l’architettura radicale non esiste più. (Superstudio).

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alimito

Alba Gonzales

del

Mostre

le

TEXT Enrica Frediani PHOTO Marian Vanzetto e Luca Bracali

A

rmonia, azzardati equilibri strutturali d’impostazione scenografica, riferimenti simbolici, rappresentano la cifra stilistica di questa scultrice colta e passionale.

Le ali del mito Palazzo Mediceo luglio/settembre 2011 Seravezza (Lucca) Le ali del mito è il titolo dell’ultima esposizione di Alba Gonzales a Seravezza (Lucca), curata dalla Fondazione Terre Medicee, testo critico di Giuseppe Cordoni. Con un nuovo articolato e affascinante percorso espositivo, realizzato nella e per la città, il comune di Seravezza colloca le opere di Alba Gonzales nel centro storico per giungere sino a Palazzo Mediceo. Sfingi, chimere e centaure sono cinte in un caldo abbraccio dall’architettura semplice e lineare delle case che le circondano aprendo un dialogo con la popolazione, la quotidianità della sua vita lavorativa e con il turismo artistico. Nella suggestiva cornice delle verdi colline che circondano il paese, le opere di Alba Gonzales si pongono come elemen-

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ti di congiunzione tra storia e contemporaneità, mito e realtà, ironia e inquietudine che in un sorprendente crescendo di emozioni raggiungono la loro apoteosi nell’incontro con Chira centaura di Enea, collocata sul camminamento che conduce all’ingresso di Palazzo Mediceo. Nell’operare l’autrice si distingue per la ricercata armonia formale e compositiva che approda, nella sua risoluzione finale, a sofisticati esiti figurali dove la plastica dell’elaborato, proiettandosi nello spazio, tende ad esaltare azzardati equilibri strutturali, di impostazione scenografica come nei cicli dei bronzi dedicati alle pattinatrici: Sfidando il sogno di essere farfalla e Dietro l’ultima nota che non basta mai, entrambe del 2006, non presenti in mostra ma esposte alla “Personale” della scultrice Il pianeta di Alba tra sogno e ironia da cui il titolo del catalogo della mostra, cura e testi critici di Nicola Micieli, presso il Show Room Pianeta Azzurro, Pietrasanta (Lu), luglio agosto - settembre 2011. Inoltre, tra le sculture non presenti nell’esposizione Le ali del mito, merita una particolare menzione la più geniale opera sulla Giustizia mai realizzata finora: Lei, vede e non vede o altrove guarda, bronzo del 2010 1

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esposto alla 54a Biennale di Venezia, Regione Lazio, Museo di Palazzo Venezia, Roma. La scultura è rappresenta una figura femminile ignuda, grande oltre il vero, parzialmente circondata da sbarre che la tengono prigioniera mentre, equilibratamente, sorregge i piatti della bilancia. La testa è formata da cinque volti, ognuno con un significato diverso per i quali si riportano le accezioni fornite dall’artista. … Il primo volto, frontale, ha gli occhi chiusi, non vede; quelli laterali non vedono perché guardano altrove; quello rappresentato sulla nuca della statua è capovolto, allude ad una realtà completamente rovesciata … opposta alle altre più ovvie -; il quinto, sulla parte superiore della testa, è illuminato, sulla fronte, da un terzo occhio, - quello della Trascendenza - scrive Gonzales, - ovvero quello che farebbe luce nel buio in cui spesso si smarrisce la Giustizia rifugiandosi nella Giustizia Divina la quale ci vede dall’alto dove si trova la verità che a noi mortali quasi sempre si nasconde …La scultura monumentale di grandi dimensioni, pensata per ampi spazi all’aperto, è qui rappresentata dal ciclo di opere bronzee dedicato alle centaure; Centaura di Ares, 2010; e Chira centaura di Enea, 2003, già citata poc’anzi, mostra il cavallo in posizione rampante, con un arto anteriore animale e l’altro appartenente a Chira, musicante figura muliebre, che solleva al cielo il braccio sinistro accompagnando la sinuosità del corpo ignudo e i melodiosi suoni che si diffondono nell’aria. La sua lunga chioma, come la coda della bestia, è protesa nello spazio, confermando il movimento galoppante del cavallo che pare lanciarsi verso la china delle colline versiliesi. Le opere bronzee radunate nella corte interna del Palazzo, mostrano, sinteticamente, il percorso evolutivo dell’autrice:

Achei esclusi del 1983, che, con il gioco di intarsi in bianco e nero, rimanda alla poetica cubista affrontata dall’artista negli anni ’80; D’amore si vive, 1993, delicato inno all’amore di una giovane coppia; mentre in Gli sposi, del 2011, si riconoscono riferimenti alla statuaria romana ed etrusca. L’innesto, del 2007, tratta un tema molto combattuto e sentito come l’inseminazione artificiale e l’utero in affitto. In questo gruppo scultoreo Gonzales concentra la sua attenzione sul sentimento e la responsabilità generazionale espressa nel gesto che gli sposi fanno nel sostenere il neonato mentre si nutre al seno della madre biologica, la quale si distacca dal legame affettivo verso il piccolo convergendo il suo interesse sul proprio aspetto fisico. La Centaura di Ares, in piazza Carducci, è raffigurata cavalcando. Anche in questo caso gli arti anteriori della donna-cavallo, sono dissimilmente rappresentati, contendendosi l’affermazione tra animalesco e umano. La giovane guerriera è raffigurata mentre alza un braccio verso il cielo stringendo il velenoso cobra, simbolo del male e pronto a infierire; l’altro braccio, disteso in avanti, implora pace sorreggendo l’elmo in cui si staglia una croce ricoperta di spine. Sul dorso della centaura cavalca una scimmia, quale metafora delle origini umane e della sua evoluzione, recante in mano un tempio greco distrutto, ahimè, dalle guerre. Modellatrice instancabile, Alba Gonzales inizia il suo percorso creativo in età giovanile, quando, da ballerina di danza classica professionista, si divertiva a plasmare in creta figurine di danzatrici riprese in audaci passi di danza, quale studio di coreografie da mettere in atto nella scena teatrale. Alla vena ispiratrice di plastiche creazioni artistiche, Alba Gonzales associava la passione per il canto lirico che non poca influenza ebbe sulla melodiosa ritmicità di variazioni tonali dalle varie texture impresse sulle superfici scultoree, sulla liricità di delicate posture di personaggi femminili e sulla scansione

ritmica delle modulari sculture totemiche degli anni ’80. Autrice colta e passionale, esprime in arte l’intellettualismo di una formazione fondata sulla conoscenza, sull’indagine storica e mitologica che applica a tematiche rivolte al sociale adottando un lessico ironico, denso di sottili riferimenti simbolici, di cui mi pare individuarne almeno cinque, in costante presenza, ai quali l’autrice pare particolarmente affezionata: la mela, il serpente, la maschera, lo specchio e l’uovo. Su queste costanti simboliche, metafore del male, di doppia personalità, di vanità e di nascita, introdotte nelle sue opere, a far data dal nuovo millennio, Alba Gonzales articola la sua fervida espressione creativa realizzando sculture che rappresentano la sintesi di un percorso che, iniziato negli anni settanta con l’informale, si è nutrito delle suggestioni lasciate dalle maggiori correnti stilistiche del Novecento, dal cubismo, alla metafisica, al surrealismo. L’artista, nel rivisitare le grandi emozioni del passato, ne assimila l’essenza, l’intima visione, i segni rappresentativi, il codice di lettura e concentra il tutto in un nuovo e personalissimo linguaggio espressivo che la vede protagonista di straordinarie, inquietanti, ironiche e oniriche composizioni scultoree che rimandano spesso alla classicità, per la perfezione della statuaria e per i riferimenti agli antichi. Se si osserva questa perfezione assoluta di modellato, non si può fare a meno di notare che la risoluzione formale dell’elaborato è sorretta da linee curve che rappresentano la struttura portante della composizione conferendo l’armonico e fluttuante disporsi dell’elaborato nello spazio. Così, per fare alcuni esempi, le linee di forza di Sfidando il sogno di essere farfalla delineano il corpo della fanciulla formando una C, attraversata all’altezza delle spalle da una S che determina la curvatura delle braccia aperte. In Omaggio ad Antinoo due S, di cui una rovesciata, si aprono verso l’alto, allontanandosi nello spazio ma si congiungono alla base; ed anche in Apparire/Essere le linee di forza sono determinate da due S, di cui una rovesciata che si congiungono. Tale struttura compositiva denota uno studio approfondito e particolareggiato della statica e dell’equilibrio armonico, dove la tradizione antica si fonde con una nuova figurazione convergendo in una insolita dimensione estetica che conferisce originali valenze all’operato. Nel titolo. Luce e gelo di un volo irripetibile, 2004 bronzo 1. Lei vede e non vede o altrove guarda (La Giustizia) 2010, bronzo. L’artista accanto all’opera 2. Chira centaura di Enea, 2003, bronzo 3. Centaura di Ares, 2010, bronzo 4.5. Ars Amandi, 1995, marmo botticino

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Arte

Antonella Laganà

l’infinito TEXT&PHOTO Daniela Pronesti

N

on spendere invano la parola/ Taci se il vento sussurra, se l’onda s’infrange contro la sponda/ Voci di mare, silenzi infiniti dentro di te/ Voci di vento radenti le fronde, stridenti di vita, veloci di senso/ Tu taci ed ascolti/ Vibri soltanto ed avverti così la verità. Non si possono spiegare i versi di Antonella Laganà, ma soltanto sentirli profondamente. Né si può raccontare la sua pittura senza correre il rischio di tradirne la forza espressiva, l’emozione originaria. L’esperienza pittorica è per lei sublimazione di quella letteraria. Dipingere la rende libera più di ogni altra cosa. Non importa cercare un tema dominante, avere una storia da raccontare. Ciò che più l’appassiona è inseguire la vita libera delle forme, la misteriosa musicalità dei colori, l’estensione infinita dello spazio. Sulle sponde del fiume che alimenta il suo istinto creativo, non si sofferma a raccogliere sassi, piccoli frammenti di realtà, ma preferisce osservare il corso dell’acqua inarrestabile e mutevole come la verità. Natura è per lei sentimento e abisso di senso, attesa e consolazione, è silenzio; non è l’altro fuori di noi, ma l’infinito dentro di noi. Non è materia, né oggetto, ma ricerca di una forma purificata da cui discende una nuova realtà, quella dell’opera. Nei suoi quadri, l’assenza di riferimenti all’apparenza delle cose non è da intendersi come un atto di “astrazione” dal mondo esterno, un rifiuto del dato reale, ma come uno strumento attraverso cui valorizzare i mezzi espressivi della pittura - luce, colore, forma - per far “respirare” il dipinto, dotarlo di una vita propria. Quando osservi le sue creazioni, non hai dubbi sul fatto che a ispirarle sia stata la contemplazione di un tramonto, di un cielo notturno o di un’alba, il rapporto diretto con la natura; eppure senti che non ti è necessario immaginare la “fonte” dell’opera per comprenderla e apprezzarla, perché l’artista ha saputo farne un “corpo” nuovo, vivo,

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dentro di autonomo. La sua particolare sensibilità cromatica le consente di evitare l’eccessiva trasparenza delle composizioni opponendovi delle sottili patine materiche che rendono l’insieme luminoso e cangiante. Una complessa architettura in cui la luce non è soltanto investita di un significato simbolico, ma è soprattutto l’elemento su cui si fondano i rapporti coloristici. Luce

è bellezza, armonia che giunge all’anima attraverso gli occhi, rivelazione, visione d’incanto, ma è anche principio che rego-

noi

la il dinamismo e la costruttività dei colori, che dà loro profondità nel movimento. Movimento che non è successione, sequenza di attimi ma rotazione continua, vibrazione, rivoluzione di onde concentriche. Più che muoversi alternativamente nello spazio, i suoi “dischi” cromatici agiscono simultaneamente come orbite celesti e congegni stellari pronti a schizzare oltre la superficie dipinta e perdersi nell’universo illimitato. Non è il caso a guidarli, né una musica mistica, ma è il ritmo che scandisce l’esistenza e la determina come unità di materia e spirito. In questa totalità smisurata, dove spazio e tempo si annullano, anche l’uomo rinuncia alla sua individualità per ricongiungersi all’infinito, che non è assenza né vuoto, ma è il tutto che l’ha generato. Mentre dipinge il disco solare, l’artista immagina una circolarità di luce, colore e ombra in cui ogni passione umana, la più dolce come la più terribile, sembra irresistibilmente chiamata a risolversi e stemperarsi in una superiore armonia. Ecco allora che sulla tela si condensano gli opposti, le ragioni uguali e contrarie, i sentimenti contrastanti, senza un prima ed un poi, ma simultaneamente. E tutti insieme scompaiono in un grande respiro cosmico. Una pittura, quella di Antonella Laganà, priva di macchinosità e durezze concettuali, per quanto, all’apposto, ricca di pathos e trasporto emotivo. Un’arte gioiosa che sfida l’impenetrabilità della notte... Tra i più recenti appuntamenti espositivi che hanno visto l’artista toscana in mostra a Parigi, Londra, Shangai e New York, si segnala la partecipazione alla collettiva per i Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia (2-12 settembre), organizzata dall’Associazione Culturale Cassiopea presso il Complesso dei Dioscuri al Palazzo del Quirinale.

In alto: Affinità stellare, 2009 Sotto: Decisioni simultanee, 2008



vino

Arte

Gli eno-dipinti di Elisabetta Rogai

il

sulla

TEXT&PHOTO Irene Barbensi

O

ttobre, mese del vino. Peccioli tutta festeggia il prezioso nettare e il suo santo patrono San Colombano, che secondo la leggenda fece giungere nel borgo pisano i magnifici tralci da cui sarebbe nata l’uva chiamata appunto “colombana”. Il vino in occidente è stato sempre affidato all’immortalità della pittura: il buon vino rende migliore l’uomo, la

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avolozza

grande pittura lo rende leggibile e sottile. Non c’è da stupirsi se pittura e vino nella loro storia hanno avuto numerosi incontri, perché il vino non è esclusivamente materia e colore, ma luminosità e metamorfosi. Domenica 9 ottobre a partire dalle 17.30 presso il Museo Collezione Incisioni e Litografie - Donazione Vito Merlini le opere di Elisabetta Rogai saranno

protagoniste di una mostra dal titolo Il vino sulla tavolozza. - Gli eno-dipinti di Elisabetta Rogai. L’artista delle sperimentazioni. Dopo una serie di lavori dedicati al denim, ora un ciclo di dipinti realizzati esclusivamente con preziosi vini toscani, attraverso una tecnica mai utilizzata prima. La pittrice fiorentina mostrerà infatti per la prima volta in assoluto ai visitatori in un’esclusiva performance, la tecnica innovativa attraverso cui trasformerà il vino in colore. L’artista delle tradizioni. Profondo è il legame con il passato artistico toscano, dove il vino veniva già utilizzato per rendere il colore più resistente contro il degrado del tempo. Molti artisti avevano già cercato di rendere il vino colore protagonista del dipinto ma senza risultati, a causa della densità del vino, della volatilità dell’alcol, dell’evidente limite nella “tavolozza” dei colori a disposizione, dell’esigenza di limitare i lavori a tele di piccole dimensioni. Oggi i quadri wine-made sono una realtà, grazie a Elisabetta Rogai e al suo lungo lavoro di ricerca scientifica, condotta in laboratorio, e di sperimentazione. Nessuna aggiunta di colore o altri componenti sintetici: solo vino al 100%, che - proprio perché naturale invecchia sulla tela riproducendo esattamente ciò che accade al vino dentro una bottiglia. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Basta un confronto tra il quadro fotografato subito dopo essere stato dipinto e lo stesso quadro tre mesi più tardi. Forte il legame con gli antichi maestri della tradizione toscana anche nell’approccio all’elaborazione pittorica attraverso il disegno, che viene considerato come momento di studio, analisi fondamentale per lo sviluppo dell’opera d’arte. Già nel Libro dell’Arte di Cennino Cennini, collaboratore d’Agnolo Gaddi, della seconda generazione dopo Giotto, il più importante


NOTIZIA

L

trattato sulla pittura nell’arte italiana e uno tra i principali per l’arte europea, viene attribuito al disegno un ruolo fondamentale e imprescindibile per la nascita dell’opera d’arte e nel percorso formativo dell’artista. Il primato del disegno nella tradizione artistica toscana viene rimarcato con l’istituzione dell’Accademia delle Arti del disegno fondata appunto nel 1563. E l’arte di Elisabetta Rogai non può prescinde-

re dal disegno. Ogni corpo femminile viene indagato e studiato con tenacia attraverso la matita e il carboncino in studi dal vero. Ancora una volta è la donna protagonista assoluta delle opere della Rogai, tanto da meritarsi l’appellativo di “ritrattista ufficiale della femminilità”. La sua è una donna pienamente contemporanea, mai scontata, tormentata tra i suoi disagi e le sue incertezze. L’artista riesce a comporre opere dove, nonostante l’esigua varietà di colori utilizzati, riesce a creare atmosfere di vibrante ricchezza cromatica. L’iniziativa di Peccioli offre ai visitatori un’esperienza unica, scoprendo l’artista al lavoro, svelando seppur per pochi istanti il momento creativo, profondamente intimo e interiore.

Domenica 9 ottobre 2011 ore 17.30 presso il Museo Collezione Incisioni e Litografie - Donazione Vito Merlini - avrà luogo il vernissage e la performance della personale Il vino sulla tavolozza. Gli eno-dipinti di Elisabetta Rogai. La mostra si protrarrà fino al 16 ottobre 2011. Orari: mercoledì 16-20, sabato e domenica 10-13, 16-20. Per informazioni: Fondazione Peccioliper - Piazza del Popolo 10, Peccioli - tel. 0587 672158 info@fondart.peccioli.net - www.fondarte.peccioli.net

’opera di Elisabetta Rogai sta tutta nel complesso e meditato rapporto tra sogno e materia, superficie e profondità, finito e non finito. L’artista fiorentina ha praticato e coltivato la figurazione sin da giovanissima, sviluppando, nella maturità, una cifra stilistica individuale che privilegia atmosfere sospese e accensioni di colore controllate nell’ambito di un lessico intimo. Inizia a esporre nel 1970, interrompendo l’attività quasi subito, per riaffacciarsi pubblicamente al mondo dell’arte nei primi anni del Duemila. Una lunga pausa che le ha permesso di elaborare una pagina espressiva nei suoi valori lirici ed efficiente nella robusta struttura. Ritratti, figure, nudi collocati in un non-tempo, adagiati con i loro pensieri sui fondi tormentati e vibranti, come se la loro stessa presenza accogliesse in sé ogni prima e ogni dopo, ogni storia e ogni quiete cercata, persa o riconquistata. Rogai espone dunque il suo nuovo ciclo di pittura nella sua prima personale da “adulta”, nel 2001, all’Officina profumo farmaceutica di Santa Maria Novella (Firenze), e da lì in avanti una nutrita serie di eventi: oltre alla partecipazione ad Art Cannes Le salon des artistes (Palais des Festivals, La Croisette, Cannes), mostre personali a Firenze, Capri, Washington, Napoli, Milano e Fiesole, fino all’ultima personale a Pietrasanta nell’ambito della Versiliana. Nel frattempo realizza il ritratto di Oriana Fallaci, che ha inaugurato il fondo della Regione Toscana dedicato alla scrittrice, e riceve la commissione per un grande affresco celebrativo dei 70 anni della Scuola di Guerra Aerea di Firenze. Viene scelta inoltre a rappresentare Firenze in una mostra per i 40 anni del gemellaggio con Kyoto (Giappone) e per l’apertura della sala fiorentina del museo d’arte contemporanea di Arequipa (Perù), mentre dal suo dipinto Astrid è stata ricavata l’etichetta del vino ufficiale del semestre italiano di presidenza dell’Unione europea. Una sua pala ad affresco rappresentante il Battesimo di Cristo è stata collocata nell’antica pieve romanica di Artimino (Prato), mentre altri suoi dipinti sono ospitati al Quirinale e al circolo del Ministero degli Esteri. I suoi quadri su tela jeans vengono presentati in una mostra al Pitti Immagine Uomo di Firenze, mentre i dipinti “wine-made” che invecchiano sulla tela - presentati alla stampa mondiale al Vinitaly di Verona e in numerosi altri eventi a cavallo tra arte ed enologia - l’hanno confermata come poliedrica artista di respiro internazionale.

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Mostre

fantas tic A dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 19,00 sabato e domenica dalle 16,30 alle 19,00

nel mese di novembre tutti i giorni dalle 9,00 alle 19,00

A

nche quest’anno si rinnova l’appuntamento della Cassa di Risparmio di San Miniato con la Mostra del Tartufo Bianco di San Miniato, 41a edizione. Dal 12 novembre al 12 aprile, nell’ambito del progetto Carismi per l’arte, si terrà presso il Polo Espositivo di Palazzo Inquilini FantasticArte, rassegna d’arte contemporanea curata

da Margherita Casazza e Nicola Micieli. La mostra vuol essere un viaggio attraverso l’immaginario di pittori e scultori italiani le cui opere offrono occasioni di estendere l’esperienza sensibile alle dimensioni del magico e del fantastico. Una particolare attenzione sarà posta all’allestimento delle singole “stazioni”, come è consuetudine degli appuntamenti di Carismi per l’Arte, le cui esposizioni avvengono negli spazi aperti al pubblico delle filiali e delle sedi della Banca. Spazi non specificamente preposti alle mostre, ma proprio per questo stimolanti per opportune “integrazioni” o soluzioni di allestimento che ampliano il senso espressivo delle opere.

rte

Gli artisti invitati al viaggio sono: Raffaele De Rosa, Domenico Difilippo, Francesco Musante, Giuseppe Lambertucci, Renzo Galardini, Gianfalco Masini, Franco Fortunato, Cesare Borsacchi, Rinaldo Bigi, Enzo Sciavolino. Una mostra, dunque, che ci invita a proiettarci nel mondo intermedio dell’immaginazione. Un viaggio in dieci “stazioni” attraverso sentori

fantasticArte un viaggio in dieci “stazioni” nel magico e nel fantastico e figure espressive che dalla cultura della terra, animata da presenze misteriose e vitali, trapassa alla cultura dell’oltre nella quale le prefigurazioni sono luoghi puramente mentali e in apparenza estranei o alieni che dir si voglia. Saranno presentati dipinti, sculture, oggetti, installazioni di artisti del nostro tempo che ancora pensano che sia importante considerare l’arte un tramite, un ponte tra la realtà della prassi nella quale operiamo e viviamo, e che include l’uso strumentale della tecnologia a sua volta non priva di proiezioni mentali, e la realtà che diciamo contrapposta dell’immaginario nel quale gli atti concreti svelano significati nascosti e profondi. Le opere degli artisti invitati a questa rassegna saranno presentate, come si è detto, con un allestimento che ne amplierà, per così dire, la risonanza o il campo di espansione visiva, con opportune “integrazioni” ossia ambientazioni da messa in scena, poiché nel magico e nel fantastico la componente scenica dell’immagine, come sempre per le apparizioni, è importante.

Inaugurazione: venerdì 11 novembre 2011 ore 18,30




c d apra

diventa

TEXT&PHOTO Federica Farini

S

e per Jung la psiche è immagine, per immaginare servono... immagini! Le intuizioni creative concordano sulla capacità di pensare per figure, metafore “visive” - avere un lampo di genio, per esempio - che tradotte in parole si trasformano in narrazioni e storie: il condimento più riuscito di un piatto chiamato pensiero creativo. Esempio di questa frizzante pozione di talenti la tredicesima edizione di Artour-O Il Must, iniziato a Firenze a marzo e conclusasi per alcune esposizioni il 30 giugno 2011. L’evento internazionale dedicato alle arti contemporanee che convergono “temporaneamente” a Firenze a formare un museo vivo, poliedrico, dinamico, teso a sottolineare i luoghi italiani e non di diffusione dell’arte e della cultura è il terreno progettuale in cui gli artisti si sono

esign

confrontati in differenti discipline: pittura, fotografia, video, moda, musica e installazioni. Ideatrice e organizzatrice “ex machina” della ricca manifestazione l’Architetto Tiziana Leopizzi - Ellequadro Events -. Tra i project leaders istituzioni, fondazioni, università, privati e progetti - Accademia di Belle Arti di Brera, Politecnico di Milano Facoltà di Design e Università di Genova Facoltà di Architettura -. Obiettivo della manifestazione lo scouting a trecentosessanta gradi e l’ideazione di nuove sinergie, favorite da questo fertile humus estroso. Curiosa la partecipazione dell’Atelier Alessio Blanco, dal 2007 punto di incontro di varie menti creative che sfornano prodotti concreti, dissacranti ed ironici integrando arte, design e comunicazione, il quale ha dato prova della sua variegata fantasia con il divertente e anticonformista allestimento della suite del Relais&Chateau Villa La Vedetta, “travestita” per la sezione esposizione Interior da “Kapra” suite: una parure interattiva con protagoniste delle capre, piumino double-face e cuscini intercambiabili, che dipinge con spensieratezza e ironia i momenti di intimità, esprimendo le intenzioni e i desideri di chi la vive. Il divertente manuale “Kapra Sutra” si può visionare grazie a speciali “cuscini sfogliabili” che rendono l’icona della capra una storia coinvolgente, la quale invita a vivere la camera da letto alla scoperta di nuove configurazioni. Il concept si trasforma in racconto illustrato per aderire all’iniziativa solidale delle rosa e azzurre capre di Tecla, come piccolo manuale per la liberazione sessuale delle capre, uscite dal loro recinto e libere di pascolare per sperimentare nuove esperienze e linguaggi. Nella sezione Artour-O Nel Parco - esposizione di sculture e installazioni nella sublime panoramica di Firenze dal giardino della Villa - appare altrettanto originale la rilettura del percorso vita adattato al “Ka-

Mostre

quando la

pra Sutra”, fino ad approdare all’Artour-O a Tavola, sezione dedicata ai menù d’artista interpretati dallo chef per il Ristorante Onice di Villa la Vedetta. A rappresentare il rapporto che ogni artista ha con il cibo, la cucina e la tavola, alla domanda “Che cosa ti porteresti su Marte?” gli artisti hanno abbinato alla loro opera una ricetta del piatto preferito e legato al proprio vissuto. Ecco fare capolino i frollini “Kapra Sutra”, dalle

L’arte contemporanea in mostra a Firenze per il museo temporaneo ARTOUR-O il MUST ci regala una pausa di fantasia. La giocosa e ironica verve dell’Atelier Alessio Blanco: quando le forme dell’immaginazione si trasformano in design dalle sfumature leggere e spiritose divertenti forme delle simpatiche caprette rosa e azzurre, rese questa volta biscottini di pasta frolla, rigorosamente al gusto anice con glassa azzurra per lui e aroma cannella con glassa rosa per lei, per comporre a tavola le posizioni dell’amore. Perché mangiare può diventare un momento ludico ad alto tasso di creatività, con il quale riempire sia la pancia che la mente e vivere... con più spensieratezza, imparando a giocare con l’immaginazione!

Frollini Kapra Sutra nutrire corpo e spirito!

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ngredienti: 300 g farina, 150 g zucchero, 150 g burro, 1 uovo e 1 tuorlo, anice polvere e/o essenza, cannella. Mischiare in una ciotola il burro ancora freddo a dadini con la farina e un pizzico di sale, formare la classica fontana al cui centro versare l’uovo, il tuorlo e lo zucchero: impastare velocemente il tutto fino ad ottenere un impasto compatto, dividerlo in due e aromatizzare separatamente con l’anice e la cannella. Formare due palle e mettere il tutto a riposare in frigo per un’ora. Stendere la pasta frolla (4 mm), tagliarla con l’apposita formina, cuocere in forno per 15 minuti a 175°. Per la glassatura (200 g zucchero a velo, 1 albume, colorante rosso, colorante blu): mescolare lo zucchero a velo e l’albume fino ad ottenere una glassa bianca opaca. Dividere in due piattini e colorate separatamente fino ad ottenere un bel rosa e un bell’azzurro. Intingere le kaprette aromatizzate alla cannella nella glassa rosa e le kaprette aromatizzate all’anice nella glassa azzurra e lasciare indurire. Buon appetito!

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Arte

Il restauro della Madonna col Bambino di Orazio Gentileschi

amoro o guardo TEXT&PHOTO Pierluigi Carofano

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a Galleria Nazionale di Palazzo Corsini a Roma, misconosciuta al grande pubblico quanto intima e preziosa, conserva nelle sue stanze, straordinari capolavori frutto di un collezionismo colto, ricco e illuminato. Gioiello raro tra questi è la Madonna col Bambino del maestro pisano Orazio Lomi Gentileschi (Pisa 1563 – Londra 1639). Incontriamo il dipinto in una galleria morbidamente illuminata; esso ci fa affrettare il passo con il suo messaggio di dolcezza, promettendo a chi vorrà soffermarsi ad osservarlo emozioni e rivelazioni a prima vista insospettate. L’iconografia è quella tante

volte rappresentata della Madonna col Bambino, la composizione è piramidale, di antica origine che esprime sicurezza e armonia. La Vergine è seduta su di un sedile di pietra situato in un esterno, contro una parete scabra, illuminata da una lama di luce calda, che piove dall’alto a sinistra, come se la Madonna si fosse seduta per godere degli ultimi raggi di un sole al tramonto; la luce investe le due figure dorandole morbidamente senza creare forti contrasti di ombre. Si tratta di un’icona fortemente umana, anche se rivelata da una composizione iconografica tradizionale. Cosa è che ci fa sembrare

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questa Madonna solo una donna col suo bambino? Gesti delicati di profonda intimità e amore. I due personaggi si guardano negli occhi comunicando con lo sguardo, si somigliano, entrambi hanno il labbro superiore leggermente sporgente rispetto all’altro, carattere che crea un piccolo broncio tenero e accattivante. La Madre abbraccia il suo bambino che è bello, morbido, giusto come sono i bambini allattati al seno a lungo, il bambino è grande, potrebbe avere due anni, età deliziosa in cui la giovane vita si apre al mondo ma tutto passa ancora attraverso gli occhi della madre. Due anni sono un’età in cui il bambino è svezzato ma forse non ancora del tutto nell’epoca in cui è stato eseguito il dipinto, e il gesto che compie di infilare la sua piccola mano tra i seni della madre, è insieme ribadire una sorta di possesso, desiderio di mantenere il contatto, sentire il calore rassicurante di un seno che fino a poco prima è stato la vita. La Madre lo sostiene con un gesto dolcissimo che è quello di mettere la mano sotto la veste del bimbo, direttamente a contatto della pelle, gesto che una madre fa per rassicurarlo con il suo tocco, ma anche inconsciamente per saggiare il suo calore la sua consistenza e di conseguenza la sua salute. Ma queste

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1.2 Orazio Gentileschi, Madonna col bambino dopo e prima del restauro.


© www.ctedizioni.it

sono cose che solo una donna che è madre conosce bene: come può un uomo saperle rappresentare in maniera così veritiera? Qui dobbiamo entrare nella vicenda umana di Orazio. Si pensa che il dipinto sia stato eseguito tra il 1603 e il 1605, periodo in cui il pittore aveva circa 40 anni. Era sposato con donna Prudenzia ed aveva quattro figli. Sappiamo che Prudenzia apparteneva ad una famiglia di un buon livello sociale, come si conveniva al figlio di un orefice, e si presuppone che fosse una donna dolce che purtroppo morì giovane, sui 30 anni. Orazio e i figli la piansero caldamente. Sicuramente il pittore (che dipingeva dal “naturale”) avrà osservato la moglie curare e allattare i propri figli e avrà studiato tutte le attitudini dei bambini nelle loro varie fasi di crescita: difatti, pochi artisti del Seicento possiedono la qualità di rappresentazione dal vero raggiunta da Orazio Gentileschi. Sicuramente uno degli sguardi più penetranti di tutta la storia dell’arte, è quello che ci lancia il Bambino del suo Riposo durante la fuga in Egitto: mentre si rannicchia contro la Madre, protetto per succhiare il latte, egli ci osserva con seria curiosità e concentrazione, trafiggendoci con la sua consapevolezza. Le fonti coeve insistono sul carattere rissoso del Gentileschi, una sorta di compare di Caravaggio; e qualcuno già all’epoca notava la differenza tra il carattere burbero e la raffinatezza del suo lavoro. Non dobbiamo tuttavia dimenticare che vivere a Roma all’inizio del Seicento non era certo facile e imporsi sulla piazza costringeva ad indossare una maschera di protervia e di aggressività. Sicuramente Orazio questo lo fece; lo deduciamo da come elabora e fa sua la lezione caravaggesca, che lo folgora a partire dal 1600. Da buon toscano, egli è figlio di una cultura per la quale l’invenzione astratta e il disegno sono le basi; tuttavia, conosciuto Caravaggio decide, in età matura, di stravolgere il suo mondo e di calarsi nella realtà. Ma rispetto a quella di Caravaggio, la sua realtà è piu intima e introspettiva, più delicata e magica, si discosta dal realismo coraggioso e olimpico di Caravaggio, manifestando una natura elegante e raffinata. La Madonna col Bambino della Corsini ne è un esempio calzante e non a caso questo dipinto è stato attribuito per lunghi anni a Caravaggio stesso, ma quanta distanza dalla monocromia del grande lombardo! Il cromatismo prezioso dell’abito della Madonna va dal blu di lapislazzuli del manto alla lacca rossa della manica mescolata con il lapis che compone un cangiantismo che passa dal viola rosato a un blu violaceo arrossato da qualche grano di cinabro. La manica sembra fatta di un tessuto sostenuto e frusciante che crea, nella piega del gomito, una cresta serpeggiante di evocazione manierista. La veste del Bambino è di una foggia particolare ed è composta con un giallorino luminoso. I capelli sono fulvi, le ciglia bionde, gli incarnati diafani, contrariamente al gusto caravaggesco che predilige fisionomie camuse dagli incarnati ambrati e nere sopracciglia arcuate. Questo dipinto rappresenta un passaggio fondamentale nell’opera di Orazio per l’astrazione poetica, e l’intimità inimitabile. Ma anche i grandi capolavori pur protetti dall’atmosfera magica delle collezioni storiche, possono subire danni, incidenti, incontri sfortunati con chi si occupa di loro, o anche soltanto il trascorrere del tempo che come negli umani lenisce la bellezza. Qui può intervenire il restauratore, il quale, se capace e sensibile, comincia l’analisi dell’opera servendosi dei moderni strumenti tecnologici. Si tratta spesso di un colloquio intimo, silenzioso e sempre emozionante quello che coinvolge il restauratore e l’opera affidata alle sue cure. Chi non lo ha mai provato non immagina l’emozione di poter leggere la materia nelle sue pieghe più segrete, di poter distinguere il peso di una pennellata che improvvisamente si interrompe lasciando brani di mestica scoperta, la torsione del polso che girando il pennello governa una curva perfetta, la magia di uno sguardo evidente eppure non compiuto. Chi tocca e manipola con rispetto la superficie di un’opera d’arte sente il peso e la presenza delle mani del pittore, legge la sua forza e il suo ripensamento e qualche volta ne trova addirittura le impronte, come nel caso di questo dipinto in cui Orazio forse afferrando il quadro ancora fresco di vernice, lascia l’impronta del suo pollice sul margine superiore estremo del dipinto. L’intervento sulla Madonna col Bambino, recentemente effettuato dalla bravissima restauratrice Carla Mariani di Roma, ha mirato a liberare la superficie pittorica da vernici ossidate e ritocchi invasivi che ne alteravano il cromatismo acceso e luminoso e a risolvere un problema che riguardava la modalità costruttiva del blu di lapislazzuli del manto della Vergine. Ma al di là di questi interventi necessari, Carla Mariani ci ha reso finalmente un’opera d’arte capitale di Orazio Gentileschi, facendoci apprezzare nella sua unità potenziale un capolavoro dell’arte occidentale.


FIRENZE

La bella Italia

Il processo di unificazione nazionale rivisitato attraverso il ruolo avuto dalle capitali italiane pre-risorgimentali 11 ottobre 2011 nell’ambito dell’arte. Tale 12 febbraio 2012 tema costituisce il filo Firenze, Piazza Pitti 1 conduttore della mostra Palazzo Pitti allestita presso Palazzo Pitti. Nel corso dei secoli Torino, Milano, Genova, Bologna, Firenze, Venezia, Napoli, Roma, Palermo, presentano differenze peculiari tuttavia accomunate dai fattori vitali della lingua, della religione, dell’essere eredi dell’impero romano; così le celebrazioni di auto-affermazione politica degli Stati costellanti il nostro vecchio Stivale, esternate attraverso una propria produzione letteraria e artistica, trovano nel destino storico del nascente regno italico un punto di convergenza. 350 opere, esposte nella reggia d’Oltrarno, raccontano l’Italia unita attraverso le diversità grazie al contributo delle armi sabaude, l’illuminismo meneghino, l’apertura veneziana all’oriente e alla pittura di Tiziano, il rinascimento fiorentino, l’antichità classica latina, la sapienza della dotta Bologna, l’eredità imperiale palermitana, la religiosità napoletana, la potenza finanziaria genovese celebrata dai dipinti di Van Dick.

FERRARA

Vasari disegnatore e pittore

3 settembre 2011 11 dicembre 2011 Arezzo, via Bicchieraia 26 Galleria Comunale

Il trionfo della poliedricità umana personificata nella figura di un uomo: pittore, storiografo dell’arte, architetto, disegnatore, Vasari rappresenta la sintesi della capacità intellettuale esternata attraverso la realizzazione di opere riconosciute eccelse da tutti. Arezzo, sua città natale, dedica all’ illustre Cittadino una mostra celebrante i meriti nel campo della tecnica, dell’arte, della storiografia cinquecentesca. Il calendario degli appuntamenti coinvolge l’intera provincia, affiancandosi all’esposizione presso la Galleria Comunale Aretina di grande impatto per il valore intrinseco delle opere visibili, spazianti dalle pitture devozionali a quelle encomiastiche, dall’operato presso corti reali alla qualità dei suoi disegni, dalla capacità organizzativa al collezionismo di ogni sorta, dalle pitture parietali alle biografie dei grandi nomi dell’arte rinascimentale e, infine, al mettere in essere i canoni del dipingere secondo la “bella maniera moderna”. La riapertura della casa natia e la mostra presso la Basilica Inferiore di San Francesco, dedicata al primato toscano nelle Vite del Vasari, rappresentano il degno corollario alle celebrazioni per i 500 anni dalla nascita del maestro.

La Parigi liberale agli esordi del XIX secolo rivive nella pittura di Chagall, Dalì, De Chirico, Modigliani, Picasso e i grandi maestri che hanno interiorizzato il fervore creativo nella Ville Lumière aperta ad una crescita culturale senza precedenti. Infatti il brulicare di teatri, caffè, gallerie, attira artisti da ogni angolo della terra invogliati da un clima festaiolo, avvezzo alla sperimentazione, modaiolo. Le storiche sale di Palazzo dei Diamanti ripercorrono questo periodo, caratterizzato da una prolifica produzione, attraverso l’esposizione di dipinti, sculture, costumi teatrali, fotografie, ready made, disegni. La mostra apre con due opere di Renoir e Monet e, attraverso una ricostruzione evolutiva-temporale, arriva al meglio della produzione dovuta alle correnti dadaista e cubista.

11 settembre 2011 8 gennaio 2012 Ferrara, Corso Ercole d’Este 21 Palazzo dei Diamanti

Picasso 14 ottobre 2011 29 gennaio 2012 Pisa, Lungarno Gambacorti Palazzo Blu

PISA

L’ARTE INTORNO A TE a cura di Carmelo De Luca

AREZZO

Gli anni folli

Picasso rappresenta il tema del terzo appuntamento sul ciclo dedicato ai grandi maestri del secolo scorso, le cui radici culturali coinvolgono le sponde dei paesi affacciati sul Mediterraneo, reso possibile grazie alla collaborazione tra il Museo Picasso di Barcellona, Malaga, Antibes. Nelle sale di Palazzo Blu, sito sull’affascinante Lungarno pisano, sono ospitate 200 opere comprendenti 59 linogravure datate dal 1901 al 1970. Curata da Claudia Beltramo Ceppi, sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pisa, patrocinata dall’Ambasciata di Spagna in Italia e dal Comune di Pisa, l’esposizione si appresta a diventare un appuntamento appetibile per gli estimatori del grande pittore spagnolo.


MAMIANO DI

TRAVERSETOLO

Toulouse Lautrec e la Parigi della Belle Epoque Lautrec viveur e affascinato dall’arte giapponese traspare nelle colorate opere presenti presso la Fondazione Magnani Rocca, così la vita della Belle Epoque parigina rivive nei locali, nei bordelli, nei circhi, sapientemente rappresentata attraverso una malinconica voglia di vivere a tutti i costi. In effetti il genio creativo del maestro si esterna nella spregiudicata rappresentazione caricaturale dei personaggi che ostentano una voglia di divertimento, forse, non dettata dal cuore. Colori piatti, teste disarmoniche “avvitate” in un corpo normale, ambienti minimalisti influenzati dal secolare stile nipponico, animano il dinamismo di ballerine, prostitute, vedettes, frequentatori di locali notturni, ossessionati da un affannoso pensiero del godere per non soffrire. Un evento da non perdere.

FIRENZE

10 settembre 2011 11 dicembre 2011 Mamiano di Traversetolo (PR) Via Fondazione 4 Fondazione Magnani

Denaro e bellezza La nascita e l’evoluzione del sistema bancario nel Vecchio Continente monopolizzato dagli istituti fiorentini, dal medioevo all’età rinascimentale, rappresenta il tema della mostra presso Palazzo Strozzi. Strateghi, calcolatori, lungimiranti, i “mercanti toscani del denaro” tessono rapporti vantaggiosi con le case regnanti e, soprattutto, ostentano tale status sociale attraverso l’abbellimento delle loro dimore con sculture, dipinti, affreschi, realizzati dai maggiori artisti del tempo che vengono contesi a suon di quattrini o privilegi loro concessi, facendo proliferare il fenomeno costruttivo del mecenatismo. Le opere di Botticelli, Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, i Della Robbia, Lorenzo di Credi, presenti nell’esposizione, raccontano una intensa sensibilità mostrata dal mondo finanziario nei riguardi dell’arte attraverso connotazioni dal carattere materiale ma anche spirituale.

17 settembre 2011 22 gennaio 2012 Firenze, Piazza Strozzi 1 Palazzo Strozzi

FIRENZE

Ginori e Cantagalli per piccoli grandi musei

30 settembre 2011 15 aprile 2012 Firenze, Via Frederick Stibbert 26 Museo Stibbert

Sul finire del XIX secolo, il mito di Firenze trova linfa vitale nel collezionismo e nell’antiquariato grazie alla sapiente sensibilità di illustri personaggi del tempo; la nuova edizioni di Piccoli Grandi Musei prende a cuore tale tematica attraverso l’allestimento di otto mostre dislocate tra Palazzo Medici Riccardi - l’esposizione accoglie una madonna di Agnolo Gaddi, una cartapesta del Sansovino, pitture di artisti macchiaioli e altri capolavori -, i musei Bardini, Horne, Stibbert, Siviero, Davanzati, Bandini, la Fondazione Romano, prestigiose dimore di coloro che hanno raccontato al mondo la tradizione artistica fiorentina attraverso la raccolta di capolavori prodotti nel corso del suo glorioso passato. L’evento preinaugurale coinvolge le squisite maioliche delle manifatture Ginori e Cantagalli realizzate a partire dall’Unità d’Italia. Magnifici oggetti da giardino, piatti, vasi, anfore, formelle, riempiono le sale dell’austera villa appartenuta al signor Stibbert ostentando un delicato estro creativo dal gusto decisamente eclettico. Disegni preparatori, appunti sulla lavorazione, documentazioni inedite completano l’originale esposizione dal forte impatto visivo.

Reality

LA VETRINA


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Territorio

Santa Croce

TEXT&PHOTO Valerio Vallini

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truschi Sant’Andrea

opo il ritrovamento, nel 2007, di un antico insediamento etrusco, lungo la valle del torrente Chiecina in località Granchiaia, databile al VI secolo a.C, la storia degli “Etruschi e le vie d’acqua” si è arricchita di un nuovo capitolo. Quest’estate fra la fine di un luglio caldissimo e i primi di un agosto torrido, sono stato testimone di una campagna di scavi nei pressi dell’antica chiesetta di Sant’Andrea, nel luogo di Saturno, sulla riva destra dell’Arno, nel territorio di Santa Croce, proprio sotto l’interminabile “bretella del cuoio”. Con l’emergere di questo nuovo insediamento ha acquistato maggior solidità l’ipotesi che il dosso fluviale fosse capillarmente occupato fra il VI e il V secolo a.C., da insediamenti lungo le vie d’acqua, che coniugavano le opportunità agricole e pescatorie con le occasioni dei traffici. Sotto la supervisione del Soprintendente Dr. Giulio Ciampoltrini, archeologo e storico, una squadra della S.A.C.I srl - Società Archeologica del Centro Italia - composta dal Dott. Giovanni Millemaci, la Dott. ssa Giuseppa Incammisa, il Dott. Davide Manetti, ha riportato alla luce, oltre ai

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resti ceramici, un insediamento dell’antico villaggio di S. Andrea (XIV secolo), ciò che giaceva da 2500 anni, a circa 2 metri sotto terra: la base di una capanna circolare etrusca del VI secolo a.C. Un ringraziamento particolare va indirizzato alla SNAM che ha sponsorizzato lo scavo, all’impresa di Vittorino Nucciarone e i suoi lavoratori che hanno portato un contributo determinante alla faticosa escavazione. Insieme al negativo della capanna di forma circolare, sono state portate alla luce ben diciotto cassette di vasellame di vario tipo dello stesso periodo che quando sarà pulito, studiato e restaurato non mancherà di rivelare il quotidiano e le relazioni di questa comunità con le altre lungo l’Arno e sulle altre vie d’acqua. Sono felice di testimoniare la passione, la competenza e l’assiduità del lavoro di tecnici e maestranze. Nelle immediate adiacenze della capanna, è emerso un grosso focarile esterno che serviva a tutta la comunità, e una grossa buca di palo di sostegno. Non mancano le similitudini con i recenti ritrovamenti della Granchiaia, anch’essi condotti sotto la cura della Soprintendenza e dovuti al lavoro assiduo e appassionato

del Gruppo Archeologico Montopolese e di cui abbiamo già parlato sulle pagine della nostra rivista on line www. ilBombo. com e sul numero 60 di Reality. Non irrilevante è scaturita la presenza, poco sotto la superficie, di due fori di pali di sostegno di un’abitazione medievale e di ceramica acroma dei secoli XIII e XIV, testimonianza materiale del villaggio medievale di S. Andrea, coevo alla chiesetta citata come suffraganea di S.Maria a Monte nell’estimo lucchese del 1260.1 Il Dr. Millemaci ha riassunto le fasi dello scavo. «Dopo una prima ricognizione sul terreno sfrascato dalla SNAM, e l’evidenza di alcuni cocci, nel primo strato si sono evidenziate fosse riempite intenzionalmente di sabbia di fiume. Solo sabbia e niente reperti. Solo un coccetto di maiolica arcaica. Nella stratificazione successiva, si è avuta l’emersione di ceramiche acrome medievali - testi e altro -, del XIII- XIV secolo. Più in basso, in posizione nell’ultimo terzo del “rettangolo” di delimitazione degli scavi, alla profondità di circa 1,5 metri, si sono trovati parecchi frammenti di olle e altro vasellame etrusco del VI secolo più alcuni vasi integri.

La chiesetta di Sant’Andrea

Laterizi e ceramiche etrusche

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Lavori in corso, da sinistra si riconoscono il Dr. Millemaci e Dott.ssa Giuseppa Incammisa


Non si spiega l’assenza di ceramiche romane: figuline o altro.» «Probabilmente», seguita Millemaci, «l’alluvione del 1333 dev’essere stata devastante. Sarebbe interessante proseguire gli scavi nel terreno circostante la chiesa di S. Andrea, partendo dalla prosecuzione di alcune fosse che sembrano indicare una direttrice da nord-Sud a Sud-Est». Mentre i lavori erano in corso, il Dr. Ciampoltrini ha spiegato gli effetti dei vari dilavamenti che giustificano la frammentazione dei reperti. Seguendo i lavori, ho visto estrarre un piccolo anello in bronzo e, particolarmente affascinante, il prendere forma, mano a mano che veniva ripulita, una piccola ciotola come quella che accompagna sempre l’etrusco soprattutto nel suo cammino oltremondano. La capanna, giorno dopo giorno ha assunto la sua bella forma: un’impeccabile geometria circolare, con la buca del palo di sostegno e il vano d’ingresso. Se si sono trovati i segni delle abitazioni dei vivi, dove saranno finite le dimore dei morti? Certamente non molto lontano, probabilmente nell’alveo dell’Arno. E perché nessun reperto di età romana né repubblicana né imperiale? Eppure la centuriazione del luogo ci dice che un qualche insediameno o piccola fattoria avrebbe dovuto esserci. Bisognerebbe avere il permesso di scavare nel campo fra l’esplorazione attuale e la chiesa. Ciampoltrini ci guarda di sottecchi. «Credo che scavando ancora, verrebbero fuori delle grosse sorprese, ma ci vorrebbe un mecenate», sospira. 1. La chiesetta romanica fu fatta costruire, intorno al Mille, dai Signori di Porcari che erano devoti al santo. Vedi Ciampoltrini opere. E’ Molto probabile che sia stata ricostruita dopo la disastrosa alluvione del 1333 che deviò il corso dell’Arno di oltre un chilometro più anord.

Capanna etrusca VI a.C.

Zona scavi sullo sfondo chiesetta di Sant’Andrea

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p arte

Territorio

edalando

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TEXT&PHOTO Irene Barbensi

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n occasione della 59 edizione della Coppa Sabatini la Sala Consiliare del Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi” ospita la mostra Pedalando nell’arte. Dal Museo del Progresso di Collegno la centenaria bicicletta FIAT. Le opere della Collezione Belvedere e della Donazione Vito Merlini accolgono

Dal Museo del Progresso di Collegno la centenaria bicicletta FIAT la rarissima bicicletta FIAT del 1911, per la prima volta esposta fuori dai confini piemontesi, per celebrare il connubio tra arte e sport. Il Museo del Progresso di Collegno, inaugurato il 12 novembre 2004 con il patrocino dell’UNESCO Italia, raccoglie oltre 100.000 testimonianze sulla storia della FIAT, raccolte in più di quarant’anni di ricerche dal Cavalier Giuseppe Graziano. Pezzi rari, a volte unici, che provengono dalla produzione di serie della casa automobilistica torinese: pistole, lavatrici, farmaci, scooter, frigoriferi, libretti d’uso e manutenzione, gadgets, parti meccaniche, documenti amministrativi, manuali per l’istruzione del personale fino ad arrivare alla produzione musicale realizzata per pubblicizzare i prodotti FIAT... Nel corso degli anni questi oggetti sono diventati dei veri e propri reperti storici, cimeli che hanno in se stessi un immenso valore documentale, oggetti oggi non più reperibili, ma che sono stati la storia della più grande azienda italiana. «Ho iniziato a raccogliere qualche libro che parlava della FIAT e quel poco tempo libero che avevo giravo tutti i mercatini del Piemonte. Per me era un amore, un hobby, qualcosa di cui non potevo fare a meno». Il Cavalier Graziano nasce nel 1946 a Cariati in provincia di Cosenza. Al termine degli studi si trasferisce in Germania e trova lavoro in un’industria con la qualifica di operaio meccanico, per poi

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approdare alla Torino del “Miracolo Economico” a ventiquattro anni. Nel 1977 la sua ditta diventa una società, la F.I.T.E.S. Snc specializzata nella realizzazione di tiranterie. Dalla piccola officina alla grande industria così viene definita la sua biografia che racconta la sua storia vittoriosa che partito dal garage in affitto è arrivato ad essere uno dei principali fornitori del Gruppo FIAT. Nel 1995 si vede conferire la Laurea Honoris causa in Ingegneria Meccanica dall’Università Cattolica di New York. Nel 1990 il Presidente Cossiga, lo ha nominato Cavaliere della Repubblica Italiana e successivamente è stato elevato al rango di Cavaliere di Malta. Nella produzione FIAT di inizio secolo spicca la realizzazione di biciclette, di cui un rarissimo esemplare del 1911 è conservato presso il Museo del

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Progresso. Dai documenti raccolti dal Cavalier Graziano emerge una vasta fabbricazione di modelli da passeggio, da corsa fino a modelli di tipo militare (foto 1) che prevedevano alloggiamenti per armi, munizioni e provviste. L’esemplare esposto è esattamente quello contraddistinto nel prezioso catalogo in mostra dal n. 3 a pagina 11. L’azienda torinese fondò addirittura una propria squadra ciclistica che partecipò al terzo giro d’Italia del 1911. Interessante è la testimonianza di una cartolina postale (foto 3), esposta in mostra, che riproduce il gruppo di atleti FIAT del 1911: Giuseppe Santhià, Pietro Aimo, Michele Robotti, Luigi Bailo ed Emilio Petiva. La cartolina in mostra è stata infatti scritta e inviata proprio da Giuseppe Santhià allo zio. Di notevole rilievo le pagine de “La Stampa sportiva” del 1912 (foto 2) che parlano della rinuncia della squadra FIAT, data per favorita, a partecipare al quarto giro d’Italia a seguito del cambiamento del regolamento che per la prima e ultima volta introduceva la classifica a squadre.


bicicletta diventa elemento paesaggistico delle opere del fiorentino Grazzini. Un omaggio alla bicicletta protagonista della storia industriale, sportiva e artistica italiana dell’ultimo secolo.

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Giovedì 6 ottobre dalle 10 alle 18 presso la Sala Consiliare del Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi”, avrà luogo l’inaugurazione della mostra Pedalando nell’arte. Dal museo del Progresso di Collegno la centenaria bicicletta Fiat. Durata della mostra 6 - 30 ottobre. Orari: Mercoledì, sabato e domenica nelle ore 10-13 / 16-20. Per informazioni: Fondazione Peccioliper Piazza del Popolo 10 - Peccioli Tel. 0587 672158 info@fondarte.peccioli.net www.fondarte.peccioli.net

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La bicicletta non è protagonista soltanto della storia e del costume ma anche dell’arte. A sancire il legame tra arte e sport una serie di opere di grafica provenienti dalla Collezione Belvedere e dalla Donazione Vito Merlini. Una selezione dei lavori che hanno come soggetto la bicicletta e il suo mondo. In mostra la litografia di Antonio Possenti che è stata scelta per i festeggiamenti della 50a edizione della Coppa Sabatini; la bicicletta di Giuseppe Viviani, “maestro del realismo irreale”, (foto 4) come amica inseparabile dell’uomo solitario e malinconico in una visione trasfigurata della realtà in un mondo immaginario che apparentemente sembra ingenuo, ma che si rivela raffinato e profondo. Giacomo Manzù vede nel gioco dei figli, Giulia e Mileto, (foto 5) con la bicicletta un momento di pura serenità, l’ironico Giorgio Dal Canto ritrae una improbabile gara ciclistica di prelati nella Piazza del Duomo di Pontedera, la

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Territorio

andar per Borghi Montefoscoli TEXT&PHOTO Angela Colombini

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Il personaggio

suoi 182 metri sul livello del mare lo fanno essere quasi il primo vero colle della piana dell’Era percorrendo il fiume a ritroso e l’ultimo dolcissimo sperone prima di intravedere il mar Tirreno. Proprio questa sua posizione venne giudicata assai strategica quando gli insediamenti su per le colline significavano la salvezza e “Sorge esso in un boschetto sulla cima d’un colle, a cui si sale per diverse parti, ma a cui venni condotto per lungo e tortuoso sentiero, tutto fra quete ombre, da cui appena turbava il silenzio lo strepito lene di qualche ruscello, o la voce di qualche abitatore dell’aria, ch’ivi forse piangeva una perdita a lui funesta. Dicono che il monumento, veduto da lungi quando il sole tramonta, sembri tutto una fiamma simbolo egregio dello spendido occaso di chi illustrò la terra col sapere e colla virtù”.

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(Giuseppe Montani, antologia, gennaio 1827)

la sicurezza dalle invasioni, dalle scorribande, dalle pestilenze e dai pericoli in genere. Poco dopo il Mille infatti divenne castello di basilare importanza per truppe e condottieri spediti in Etruria a collezionare possedimenti. E anche quando, più tardi, la lotta tra fiorentini e pisani si fece acerrima, il castello di Montefoscoli riusciva comunque a garantire un presidio insormontabile. Da qui si gode un panorama unico, immenso, imperdibile. Nel Settecento la parte bassa fu acquistata dal nobile casato Vaccà Berlinghieri, famiglia affezionata alle gesta dell’imperatore Napoleone, per farne la sede della fattoria, mentre i padri gesuiti abitavano

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la parte più alta del borgo. Molta della storia del paese si lega dunque alla famiglia Vaccà Berlinghieri, celebre nei campi della medicina e della chirurgia. La strada che attraversa il paese rientra nel percorso “La Strada del Vino delle Colline Pisane”; un itinerario che congiunge San Miniato a Peccioli, facilmente percorribile anche con mezzi ecologici e costellato da una serie di piccole cittadine e da minuscoli borghi nei quali è ancora possibile apprezzare il ritmo quieto della vita contadina e dove possiamo lasciarci tentare da un mare di specialità enogastronomiche.

ndrea Vaccà Berlinghieri è stato un importante chirurgo. Di particolare interesse la sua attenzione verso più idonee strutture ospedaliere e adeguate strumentazioni chirurgiche. Oltre alla medicina si dedicò allo studio della chimica, della fisica, della matematica e dell’astronomia. Divenne Professore di Chirurgia, e fu considerato l’iniziatore della Scuola Medica Chirurgica pisana. Durante il suo soggiorno pisano il poeta inglese Percy Bysshe Shelley e sua moglie Mary Shelley ebbero modo di conoscere e apprezzare l’ormai già famoso medico, condividendone le passioni per l’architettura, la poesia e l’esoterismo. Nella sua casa natale è stata realizzata una casa-museo dove sono esposti, oltre a trattati di medicina in varie lingue, gli antichi ferri chirurgici appartenuti alla famiglia Vaccà.

Museo della civiltà contadina Il museo ha sede nel palazzo Vaccà Berlinghieri ed è stato aperto con il fine di ricordare le tradizioni locali e i modi di vita delle generazioni passate. In particolare è stato costituito con il fine di mettere in evidenza attraverso oggetti e attrezzi appartenenti alla cultura contadina, il rapporto uomo-natura che si è sviluppato ed evoluto nei secoli. Gli oggetti conservati nella collezione provengono dalla fattoria di San Gervasio a Palaia.

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Orario: ore 9-12 e 15-19 su prenotazione - Ingresso: gratuito, offerta libera Contatti: via A. Vacca 45 - Montefoscoli PALAIA (PISA) - Tel.: 0587 657072 comitatomontefoscoli@libero.it - www.museomontefoscoli.pisa.it


curiosità Mascherone dello sberleffo Curiosa quanto unica la storia collegata allo stemma della famiglia Vaccà Berlinghieri che è posto sopra il portone principale. Una faccia con la bocca sbeffeggiante, messa lì dal prete Lazzaro Berlinghieri in modo che i gesuiti che abitavano nella parte alta del borgo si ricordassero, ogni volta che vi transitavano innanzi, i difficili rapporti di vicinato che avevano voluto instaurare proprio col casato Vaccà.

La Figuretta Secondo la leggenda in questo luogo (ristrutturato nel 1656) viveva un eremita che dava indicazioni a quei passanti che smarrivano la strada.

Il Tempio di Minerva Medica Fu eretto intorno al 1822 per volontà di Andrea Vaccà Berlinghieri. L’intenzione era di dedicare un monumento al padre Francesco, celebrandone la professione di medico con una dedica alla dea della medicina Minerva. La struttura si erge su un colle all’interno di un piccolo boschetto di lecci, in passato molto più vasto. Varie leggende parlano di questa costruzione come luogo di ritrovo della massoneria, nonché come sito dedicato a studi anatomici e dissezione, pratica che già nell’800 era espressamente vietata.


Territorio

villa saletta

memories

TEXT Graziano Bellini PHOTO Emanuele Bertini

O

vvero quando la fotografia e la narrativa si uniscono per raccontare un borgo abbandonato...

«Veronicaaa! Vieni a casa che si cena! È tornato babbo!» «Ancora un minuto, mamma! Finisco un gioco!»

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Mi sembra ancora di sentirle quelle voci, quei suoni familiari fra questi edifici silenziosi (foto 1) animati ora soltanto da un lieve frusciare di foglie. Sono passati 40 anni ma Villa Saletta rimane comunque la mia casa. Adesso sono qui nella piazza della chiesa (foto 2 e 3) e mi sembra che dentro il mio cuore il tempo si sia fermato. Rivedo perfettamente i volti dei miei cugini con i quali, all’ombra di quel cipresso, giocavo per giornate intere, soprattutto d’estate, ai mille giochi generati dalla nostra fervida fantasia sviluppata dalla mancanza di denaro ma nell’abbondanza di materie prime regalate dalla natura. Vedo che la Torre dell’Orologio è sempre uguale (foto 4). Ricordo che un fulmine la colpì durante un temporale notturno e al risveglio dei primi abitanti mattinieri si creò un piccolo capannello di persone intorno ad alcuni pezzi di laterizio caduti sulla strada dalla sommità dell’edificio, mentre il prevosto giurava di aver visto dalla sua finestra il momento esatto in cui il fulmine aveva colpito la torre. È un continuo flash-back di episodi che spuntano qua e là nella memoria, a ogni passo di questo mio primo ritorno a Villa Saletta. Anche la vista dell’interno della cantina, dalla finestra (foto 5), mi fa ricordare che era il mio luogo preferito per nascondermi. Ogni angolo del paese era buono per nasconderci ed ogni occasione era buona per farlo. Nascondersi diventava una necessità di gioco durante il “nascondino”, mentre aspettavamo che il malcapitato di turno avesse finito di contare e si fosse allontanato incautamente dalla sua postazione così da poter correre a “salvarsi” toccando quella parte di muro adibita alla “poma” oppure per liberare tutti all’ul-

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Villa Saletta è oggi un borgo disabitato di origini medievali nel comune di Palaia (Pisa) di proprietà privata. In passato ha rappresentato uno degli esempi più fortunati di borgo-fattoria dove vicino alla casa signorile si era sviluppato un vero e proprio paese abitato dai braccianti e collaboratori di questa importante realtà rurale in Valdera. In tempi recenti, grazie al fascino del suo scenario, Villa Saletta è stata scelta da alcuni registi, fra i quali i fratelli Taviani e Virzì, come sfondo dei loro film.


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timo tentativo diventando cosi l’eroe di un momento. Nascondersi diventava invece vitale quando, dopo aver rotto qualche vetro o qualche vaso durante i nostri giochi un po’ irruenti, cercavamo di rimandare, almeno per un po’, la punizione corporale che sicuramente si sarebbe abbattuta su di noi di li’ a poco. Ma nascondersi diventava anche un sottile piacere quando mamma o nonna venivano a cercarmi per farmi tornare a casa. Mio padre o mio nonno però non venivano mai a cercarmi e questo mi rendeva triste perché avevo sempre poche occasioni di stare con loro. Solo più tardi ho capito quale vita dura dovevano affrontare per tirare avanti e il prezzo più grosso che hanno pagato è stato il tempo perduto senza godersi la famiglia o la crescita dei propri figli. Quella che era la mia casa adesso è un portone di legno chiuso con un lucchetto (foto 6). Lancio solo un piccolo sguardo all’interno per non lasciarci troppo l’anima. Quella che era la casa dei miei cugini invece ora ospita un piccione volteggiante (foto 7). La casa padronale è ancora ben curata (foto 8 e 9) ma la sua quiete di adesso non ha niente a che vedere con la vivacità che l’animava quando il paese era una grande fattoria in fibrillazione. Ricordo un borgo vivo. Ricordo un borgo invaso dai profumi naturali in ogni stagione ma soprattutto quelli più forti e decisi della primavera e dell’autunno. Ricordo gli odori delle pietanze che fuoriuscivano dalle finestre e dalle porte sempre malchiuse, o addirittura spalancate, invadendo tutto il paese. Profumi, odori, che adesso non ci sono più, qui, intorno a me.

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Lo scaffale dei poeti

GC

TEXT Valerio Vallini

G

iorgio aproni

iorgio Caproni nato nel 1912 passò l’infanzia a Livorno e poi si trasferì a Genova all’età di 10 anni. Dopo aver fatto il violinista, l’impiegato, fu insegnante elementare in Val di Trebbia e nel 1939 fu a Roma dove si trasferirà definitivamente nel 1945 e dove morirà nel 1990.

“Un ateo a caccia di Dio” Scoppiata la guerra ha combattuto sul fronte orientale ed ha partecipato alla resistenza in Val di Trebbia. Fra le opere principali in poesia si ricordano: nel 1936, Come un’allegoria, Genova, 1956. Il passaggio d’Enea, Firenze, ed.Vallecchi 1959; Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee. Ed. Garzanti - Il seme del piangere, 1975; Il muro della terra, 1976; Poesie - ed.Garzanti, 1982; Il franco cacciatore, Garzanti,1986; Il Conte di Kevenhuller, Garzanti 1986; Res amissa 1986-1990. Caproni aveva appena vent’anni quando scrisse: “/Dopo la pioggia la terra/ è un frutto appena sbucciato.// Il fiato del fieno bagnato/ è più acre, ma ride il sole/ bianco sui prati di marzo/ a una fanciulla che apre la finestra.”// Era l’anno 1932. Apparvero le prime due raccolte di Quasimodo e Isola di A. Gatto che avevano le caratteristiche portanti del linguaggio ermetico. Si vede come Caproni fin dai suoi avvii: questi versi della poesia Marzo e altri di Come un allegoria, siano lontani per immediatezza ed esattezza dalla “scuola” ermetica dominante. Dice Bianca Maria Frabotta, nel n°26, anno III, della Rivista “Poesia” «Solamente negli anni ’70, Caproni trovò, soprattutto fra i giovani, nuovi e inaspettati estimatori. Fino al 1965, in una rassegna critica come La poesia italiana del Novecento di Gianni Pozzi, Caproni era confinato in una zona di palese influenza di Umberto Saba. Nel 1969, in una antologia “di parte” come quella di Edoardo Sanguineti: Poesia Italiana del Novecento, Caproni era schierato forzosamente fra i poeti ermetici facendo riferimento a due raccolte marginali (Scalo dei fiorentini e I ricordi). Nel 1978, per opera di Pier Vincenzo

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Mengaldo, fu concesso a Caproni un ruolo centrale fra i poeti del Novecento.» Basti pensare al Il seme del piangere con la sua innocenza stilistica, l’incanto popolare della sua invenzione in cui è irripetibile la sintesi (acerba e dissonante) che Caproni sa realizzare, fra melodismo e prosaicità autobiografica, cantato e parlato, linguaggio fine e popolare. Per Caproni in principio è la rima o l’assonanza o la consonanza: si legge in una poesia giovanile:/è assente il sale/ del mondo: il sole/. dove l’accordo fonico crea il gioco delle immagini e dei significati. E’ proprio il gioco insistito delle rime e degli espedienti formali a suggerire fortemente (sottolineando il carattere di artificio del fare poetico) quel sentimento della poesia come inganno e illusione che è uno degli aspetti più sottili e inquietanti di Caproni.” / E tu inventa l’erba/facile delle parole-fai un’acerba/serra di delicato inganno/”- Il poeta, che aspirerebbe all’identità di poesia e vita, si trova invece in questa contraddizione della finzione e dell’inganno come nelle prosopopee. In una nota di Giovanni Raboni: Caproni, la poesia come pensiero, si legge: “In molti siamo stati sorpresi oltre che rapiti, alla fine degli anni ‘50, dalla stupenda pienezza vocale e sentimentale del Seme del piangere, e abbiamo poi visto nella dura

concisione e nell’ironia nichilista del Muro della terra, uscito a metà degli anni ‘70, una novità addirittura sconvolgente.” Mi sia consentita, per concludere, una personale considerazione: “Da lettore di poesia, e soprattutto da poeta, mi sono dovuto ben guardare dalla sua metrica e dalla sua musica coinvolgente e affascinante. Ho tratto lezione dai versi stupendamente narrativi del Passaggio di Enea, ho preso qualcosa dalla fulmineità dei suoi epigrammi, mi sono anche innamorato di Annina. Mi ricorderò sempre di una serata al Gabinetto Viessieux, organizzata dalla Rosanna Bettarini mi pare verso la fine degli anni Ottanta. Il poeta appariva da un palchetto, suonava il violino. I versi recitati dalla sua figura magra, un po’ mefistotelica e ironica, si spandevano nel silenzio tombale dell’auditorio. Restai affascinato” Mi sento di dire anche con parole di Raboni “che c’è, si capisce, molta maestria, ma anche parecchia ripetitività e qualcosa come un eccesso di consapevolezza, in particolare di compiacenza nei confronti degli esegeti in ascolto o in agguato; la filosofia ha sempre più bisogno della poesia ed è difficile, per un vecchio poeta, sottrarsi all’ebbrezza di vedersi accreditare anche come maestro di pensiero. Senonché il vero pensiero della poesia continua ad essere altrove: nel sentimento, nella musica.”


Finzioni (1938) Sono donne che sanno così bene di mare che all’arietta che fanno a te accanto a passare senti sulla tua pelle fresco aprirsi di vele e alle labbra d’arselle deliziose querele.

III Epilogo Sentivo lo scricchiolio, nel buio, delle mie scarpe: sentivo quasi di talpe seppellite un rodio sul volto, ma sentivo già prossimo ventilare anche il respiro del mare. Era una sera di tenebra, mi pare a Pegli, o a Sestri. Avevo lasciato Genova a piedi, e freschi nel sangue i miei rancori bruciavano, come amori.

Il passaggio d’Enea (1943-1955) Le giovinette così nude e umane senza maglia sul fiume, con che miti membra, presso le pietre acri e l’odore stupefatto dell’acqua, aprono inviti taciturni nel sangue! Mentre il sole scalda le loro dolci reni e l’aria ha l’agrezza dei corpi, io in che parole fuggo - perché m’esilio a una contraria vita, dove quei teneri sudori, sciolti da pori vergini, non hanno che il respiro d’un nome?... Dagli afrori leggeri dei capelli nacque il danno che il mio cuore ora sconta. E ai bei madori terrestri, ecco che oppongo: oh versi! oh danno!

Didascalia Fu in una casa rossa: la Casa Cantoniera. Mi ci trovai una sera di tenebra, e pareva scossa la mente da un transitare continuo, come il mare. Sentivo foglie secche, nel buio, scricchiolare. Attraversando le stecche delle persiane, del mare avevano la luminescenza scheletri di luci rare. Erano lampi erranti d’ammotorati viandanti. Frusciavano in me l’idea che fosse il passaggio d’Enea.

Alba … Ma tu, amore, non dirmi, ora che in vece tua già il sole sgorga, non dirmi che da quelle porte qui, col tuo passo, già attendo la morte.

Il seme del piangere (1950-1958) PREGHIERA Anima mia, leggera Va’ a Livorno, ti prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa’ un giro; e, se n’hai il tempo, perlustra e scruta, e scrivi se per caso Anna Picchi è ancor viva tra i vivi. Proprio quest’oggi torno, deluso, da Livorno. Ma tu, tanto più netta di me, la camicetta ricorderai, e il rubino di sangue, sul serpentino d’oro che lei portava sul petto, dove s’appannava. Anima mia, sii brava e va’ in cerca di lei. Tu sai cosa darei se la incontrassi per strada.

Congedo del viaggiatore cerimonioso 1960-1964 (11 versi) Amici, credo che sia meglio per me cominciare a tirar giù la valigia. Anche se non so bene l’ora d’arrivo, e neppure conosca quali stazioni precedano la mia, sicuri segni mi dicono, da quanto m’è giunto all’orecchio di questi luoghi, ch’io vi dovrò presto lasciare. ...........................................

Il muro della terra (1964-1975) Dio di volontà, Dio onnipotente, cerca (sforzati!), a furia d’insistere - almeno - d’esistere. Incontro

Nell’aria fresca d’odore di calce per nuove case, un attimo: e più non resta del tuo transito breve in me che quella fiamma di lino – quell’istantaneo battito delle ciglia, e il pànico del tuo sorpreso – nero, lucido – sguardo. Donna che apre riviere

Sei donna di marine, donna che apre riviere. L’aria delle mattine bianche è la tua aria di sale – e sono vele al vento, sono bandiere spiegate a bordo l’ampie vesti tue così chiare. Res Amissa (1986-1990) Dio di bontà infinita. Noi preghiamo, per te. Preghiamo perché ti sia lunga E serena la vita. Ma anche tu, se puoi, prega, qualche volta, per noi. E rimettici i nostri debiti Come noi rimettiamo i tuoi. S’avvicina il Natale. Gesù, portami via. La tua è la più bella bugia che possa allettare un mortale Piazza Cimone. Tutte le saracinesche abbassate. L’ombra d’un vecchio. Tre gatte che scappano spaventate. Io solo con le mie parole vuote. Paralizzate.

Concessione Buttate pure via ogni opera in versi o in prosa. Nessuno è mai riuscito a dire cos’è, nella sua essenza, una rosa.

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Racconto

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unero ale

TEXT Matthew Licht

L

’unica parte buona del dover crescere nel New Jersey era che la grande città e il fumo a buon mercato si trovavano a solo un’ora d’autobus. Cliff ed io lo compravamo da un hippie mentalmente poco stabile. Streppy era vecchio, e aveva una fifa paranoica quasi su tutto, me e Cliff compresi. Una volta gli pagammo due etti in monetine da un quarto di dollaro. Streppy non ne era proprio estasiato. Specialmente quando mi lasciai sfuggire che le monete erano la refurtiva di un colpo che avevamo fatto ad una lavanderia selfservice. Streppy, che si chiamava così per via della voce allo stesso tempo catarrosa e roca, come se avesse una perpetua infezione di streptococco, disse che non voleva monete rubate perché quelli dell’FBI le potevano rintracciare. Tutte balle, dissi. Le monete da un quarto di dollaro sono le migliori, aggiunsi. Poteva telefonare e fare il bucato a gratis per il resto della vita. Quest’argomento non si resse bene in piedi. Il vecchio hippie non usciva mai di casa. Gli sembrava che tutti lo stavano sempre a guardare, figuriamoci se si sarebbe mai servito di una cabina telefonica. Aveva uno di quei telefoni portatili e ne era completamente dipendente. L’appartamento di Streppy era un cacatoio e pisciatoio per gatti, il bucato non lo faceva mai. I vestiti sporchi formavano un mucchio alto due metri e mezzo in un angolo della camera da letto. L’ho visto, quel letamaio zozzo, quand’ero in preda ad una crisi e cercavo disperatamente un cesso. Streppy si sarebbe sentito troppo esposto e paranoico in una lavanderia selfservice. Si comprava sempre vestiti nuovi, cioè di seconda mano dall’Esercito della Salvezza, e li portava fin quando non erano troppo sporchi e stracciati persino per lui. Cliff aveva un argomento molto più convincente del mio. Prese dal tavolo uno dei rotoli di monete che avevamo rollato noi, stando bene attenti a levare due o tre monetine da ciascuno, tanto il vecchio hippie non se ne sarebbe mai accorto, e ci strinse attorno il pugno. Disse: ‹‹senti, Streppy, queste monete te le puoi anche prendere nel culo». Cliff è un fanatico di kung fu e certe volte fa

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paura. Non fa il bullo, è solo che gli viene in faccia quest’espressione maledettamente seria e diventa totalmente ovvio che farà esattamente ciò che ti sta dicendo. Se dice ora ti faccio il culo, e come se un altro ti dicesse ora vado al frigo a prendermi una birra e la va a prendere. Streppy accettò le monete. La stamberga da hippie dove abitava Streppy era più o meno su a Harlem. Ora, Harlem è un regno magico per chi fuma perché lassù a nessuno gliene importa un culo di topone se t’accendi uno spinello per strada. Era inverno e nuvuloni di fumo bianco uscivano da tutti, che stessero fumando o no. Qualcuno con dei poteri di percezione iper-sviluppati aveva scritto “Sei completamente di fuori” sul muro del palazzone dove abitava Streppy. Harlem è talmente piena di droghe che tutti i passanti probabilmente dovevano fermarsi per pensarci su. Erano le quattro e mezzo del pomeriggio e già stava

calando il buio. Buio - tutto è scuro, su a Harlem. Mangiammo cibo unto in una tavola calda e poi ci dirigemmo verso est sulla 125ma strada per sfottere i vecchi neri che suonavano stanchissimo jazz al Baby Grand. L’ultimo bus per il New Jersey partiva a mezzanotte e tre minuti dalla stazione di Harlem, vicino al ponte. Ci siamo fumati una canna assomigliante uno zeppelin fuori sulla piattaforma e siamo partiti. Cioè, fuori di testa. Streppy sarà un vecchio pazzo, ma vende erba micidiale, facendo spendere il giusto. Malgrado fosse tardino, c’era un sacco di gente in giro ad aspettare l’autobus. Guardare i neri è proprio da schiantare. Vedi certe facce, narici grosse quanto quelle dei cavalli, occhi tondi e sporgenti come bilie, cicatrici rigonfie. Le donne nere, certe volte mi viene duro solo a guardare i loro labbroni, specialmente quando sono molto fumato. Alla maggior parte dei neri non gli dispiace per niente che tu stia lì a fissarli. Forse credono che tu li stia guardando per ammirare quanto sono belli. A guidare l’autobus era un tipo cinese. Cliff gli disse qualcosa in cinese mentre stava pagando, ma l’autista fece finta di non capire. Ci disse di sbrigarci, di andare svelti a sederci verso il retro del veicolo. Rollammo e accendemmo un’altra canna appena attraversato il grande, grandissimo ponte George Washington. Cliff si era comprato un aggeggio ad un head shop (n.d.t. negozio per hippies, dove si comprano accessori per fumare e altra mercanzia psichedelica) sulla 42a strada, ci metti dentro lo spinello e questo marchingegno assorbe tutto il fumo per via di qualche processo scientifico di condensazione, ma era una cosa completamente stupida. Non funziona niente. A un certo punto, devi pur esalare. E se non esali il fumo dentro la camicia, tutto puzzerà comunque d’erba. Ma il tipo nero che ci sedeva accanto sul pullman sembrava pensare che quella pipetta da agente segreto era la fine del mondo. Non smetteva di guardarla, perciò Cliff glielo porse. Il tipo ringraziò, disse che aveva proprio bisogno d’un tiro. Si sporse dentro il cono di luce arancione che veniva dal soffitto del mezzo per pren-


dere la pipetta atomica. Aveva gli occhi rossi come il sangue. O aveva già fumato un casino, o qualcuno gli aveva gonfiato la faccia di botte, oppure aveva pianto di brutto. Aveva con sé una donna e tre bambini piccoli. La donna piangeva, non vi era alcun dubbio, ma silenziosamente. Aveva in mano un fazzoletto giallo, vi si asciugava gli occhi e soffiava il naso. Due dei bambini dormivano; il terzo, il più piccolo, piangeva, ma sembrava che stesse stancandosene. Quest’intera famigliola stava schiacciata su due sedili stretti della New Jersey Transit, come se avessero una paura mortale dell’essere separati. Cliff chiese al tipo nero cosa c’era che non andava. Il tipo diede un sussulto; tremò e fece per ripassare l’aggeggio spinello senza fumo. Cliff disse che forse anche la sua donna voleva fumare un po’. Il tipo nero disse di nuovo grazie e diede la pipa 007 alla moglie, che l’accettò in modo assente. La donna nera stette lì a fumacchiare, guardando passare le luci, le case, le strade al buio, là fuori. Il tipo nero ci disse che sua madre era passata. Non colsi subito il senso di ciò che aveva detto. Voleva dire che sua madre era passata dall’altra sponda, all’altro mondo. E lui ne era proprio sconvolto. L’averci detto che era passata lo fece piangere di nuovo. Piangeva cogli occhi aperti, guardando fisso davanti a sé, senza fare rumori di pianto. Vedendolo piangere così, mi venne da chiedermi come mi sarei sentito se fosse crepata mia madre. La moglie del tipo nero si mosse per darci indietro la canna, quasi soffocando uno dei suoi bambini con una tetta, ma Cliff le disse, ‹‹no, dài, fuma pure». Io ero più che pronto per un altro tirone, ma non dissi niente. Il tipo nero ci disse che sua madre aveva novant’anni. Lui sembrava averne trentacinque o quaranta. Mi venne in testa l’immagine di un ragazzino nero tutto aggrappato ad una nonnina nera dai capelli bianchi, molto crespi, con addosso un vestito stracciato, forse giù al sud da qualche parte, con altri bambini e polli dappertutto, con sullo sfondo un campo coltivato a cotone, dietro la capanna mezza disastrata. Forse il tipo aveva più anni di quanti ne dimostrava. Sua moglie aveva un bell’aspetto, anche se era grassa. Aveva quei labbroni gonfi e luccicanti come piacciono a me. Forse la mamma del tipo nero, quella morta, era stata una grassona anche lei. Mia madre è più secca d’uno scheletro; ha una faccia che sembra un teschio. Non ne ha proprio, di labbra, anche se si spiaccica in faccia tanto rossetto dove dovrebbero stare. Il fumo rese loquace il tipo nero. Raccontò che la sua mamma aveva pulito cessi ad Atlantic City per oltre cinquant’anni. Stava per dire, per la gente bianca, ma si trattenne. Cinquant’anni a pulire cacatoi schifosi. Che vita di merda. E che stava facendo per tutti quegl’anni il suo papà nero? La coppia nera finì di fumare la nostra canna. Forse non facevano gli egoisti, era impossibile vedere quanto avevi fumato per via di quello stupido tubo d’alluminio lavorato al tornio. Dall’altra parte, niente cicca che ti poteva incriminare, niente fumo sprecato, niente dita bruciacchiate. Il tipo ridiede a Cliff il suo aggeggio da fumatore incallito e, forse perché non aveva nient’altro per contraccambiare, ci chiese se volevamo venire anche noi al funerale di sua madre. Dissi subito di sì, senza neanche pensarci. Certo che ci volevo andare. Anche Cliff disse di sì, ma molto più piano. E poi disse anche grazie. Lui è cortese, di solito, se non lo fai incazzare. E così stavamo andando ad Atlantic City anziché al nostro proprio paesino suburbano. Forse l’autista cinese non ci avrebbe fatto caso. fine prima parte



Valerio Vallini

In riva all’Arno e oltre

Libro

un omaggio alla cultura nel cuore della Toscana TEXT&PHOTO M.C.

I

l giorno 8 settembre a Santa Croce sull’Arno presso la libreria Maremeo di Simonetta Pucci in occasione dell’inaugurazione del nuovo negozio, alla presenza dell’assessore alla cultura Maria Angela Bucci e del sindaco Osvaldo Ciaponi, è stato presentato il libro di Valerio Vallini. Un piccolo grande libro. Un omaggio alla cultura nel cuore della Toscana. Con una panoramica culturale e paesaggistica, Valerio Vallini, giornalista, romanziere, storico, eclettico manipolatore delle parole, ha raccolto sessantatre interventi, elaborati nel suo percorso di scrittura e redatti su carta e nel web, suddivisi in 5 sezioni: Cronache semiserie, Il verso e la prosa, I personaggi i luoghi la storia, Interviste sulle arti e le lettere, Storia e Preistoria. Un libro che nasce dall’input dato all’autore da Riccardo Cardellicchio, al tempo in cui era caposervizio de “Il Tirreno”. Un libro vivace, che accresce l’interesse per i tanti episodi seguiti da un intellettuale curioso e mai stanco di imparare e scoprire, che ha fatto della sua esperienza, delle sue letture, delle sue interviste attraverso la storia, la fonte di questo testo, raccogliendo sapientemente i racconti con una scrittura rapida, evocativa, per una lettura scorrevole che ci fa sentire presenti in ogni situazione riportata. Una visione partecipe e critica quella di Vallini nei suoi incontri e nelle sue esperienze, che rende la ormai impersonale saggistica contemporanea, ricca di spirito attraverso cronache curiose e vissute veramente, dando un grande contributo alla Cultura Toscana.

Nelle foto: (in alto) momento della presentazione alla presenza del Sindaco Osvaldo Ciaponi; (sotto) l’attore Andrea Giuntini mentre legge alcuni articoli presenti nel volume; (a seguire) l’assessore Maria Angela Bucci, Valerio Vallini e Simonetta Pucci (titolare della Libreria)

Il viaggio di Vallini si spinge oltre i territori bagnati dall’Arno, fino a Volterra, Montecatini, Massa Marittima, per incontrare autori, scrittori, pittori, poeti, storici, esponenti della cultura che rendono vario e ricco lo spessore culturale ed espressivo della nostra terra. «In fondo questo libro è come uno dei quei taccuini nei quali i viaggiatori di un tempo appuntavano tutto quanto vedevano, con uno spirito di scoperta antropica e paesistica, da veri umanisti con gli stivali» Marco Cipollini

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antica Roma

Urbea avola

Curiosità

l’

TEXT&PHOTO Brunella Brotini

I

Romani consumavano la prima colazione prima di uscire di casa. Un pasto solitario che non prevedeva neanche il lavarsi le mani, spesso composto da pane e formaggi, ma solitamente dagli avanzi della cena precedente, conservati in salviette dai commensali.

Come e cosa mangiavano i romani Il pranzo, chiamato Prandium, prevedeva invece un veloce spuntino. La cena invece era il pasto più importante della giornata, per tutti i Romani. I più abbienti e facoltosi trasformavano il piacere della tavola, in un’occasione per riunirsi e parlare di affari, arte, politica. Gli orari della mensa, rispetto ai nostri erano molto diversi. Dopo il consueto lavarsi alle Terme, intorno alle tre-quattro del pomeriggio iniziava la cena che durava fino al calar del sole. Come si legge Petronio, Marziale, e Giovenale. Il pasto variava da una a sei portate ognuna composta da varie pietanze. Dopo cena la serata continuava con il Simposium, con canti, danze, conversazioni e giochi. I pasti prevedevano una serie di norme di buona educazione ed etichetta, descritte da Plutarco. Invece un campionario di quello che non si doveva fare lo si ha nel Banchetto di Trimalcione, dove ex schiavi si esibiscono nella grottesca imitazione di una cena raffinata. La sala da pranzo, Triclinio, non era unica, ma ce n’era una per ogni stagione in modo da ottenere sempre un optimum di temperatura e illuminazione, spesso molto grandi per contenere più letti, i Triclinari, su cui adagiarsi durante il pasto. Plinio il Giovane descrive diverse sale, tra cui un Triclinio, in toscana costruito in mezzo al giardino con tanto di fontana dove i servi facevano galleggiare, davanti ai convitati, recipienti a forma di barchetta caricati di cibi già tagliati e pronti da mangiare. Molti di questi triclini sono venuti alla luce dagli scavi archeologici. La cucina, invece di cui abbiamo vari esempi a Pompei, era costituita da banconi in muratura sul cui piano, circondato a volte

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1. Triclinio, affresco romano 2. Triclinio, della calle Añón, casa romana Museo Zazagoza 3. Domus, vita in una casa romana


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da una cornice, veniva posta la brace e poi le casseruole per la cottura dei cibi. Nelle case nobiliari l’acqua calda corrente, veniva fornita direttamente al lavello da un rubinetto connesso con lo scaldabagno delle adiacenti terme. I cibi che comparivano sulla tavola dei Romani erano tanti e vari, a cominciare dalle olive che aprivano e chiudevano il pasto (Marziale). Con le olive si facevano conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico. Il pane era considerato una ghiottoneria, non tutto ovviamente, tant’è che gli Anfitrioni si facevano servire quello di fior di farina per sé e gli ospiti di riguardo, mentre quello nero era destinato ai clienti e ai liberti. Fino al II° secolo a.C., il pane non era lievitato e solo nel 171 a.C. comparvero, secondo Plinio, le prime panetterie. I Romani, come anche i Greci, non usavano bere vino puro, perché si pensava che ciò portasse alla pazzia e alla distruzione del corpo. Nella coppa si metteva prima dell’acqua e poi il vino: le proporzioni venivano stabilite di volta in volta da uno dei commensali eletto dagli altri alla carica di Magister Bibendi (Orazio). Quando faceva molto caldo si diluiva il vino con neve messa dentro un colino, per alleggerirne il tasso alcolico. Comunque, nonostante la forte diluizione, molti romani si ubriacavano: forse per la gradazione alcolica maggiore dei vini odierni, forse per gli interminabili brindisi in onore di questo e di quello! Dice Marziale che si bevevano tante coppe quante erano le lettere del nome della persona che si voleva onorare! Un altro tipo di brindisi era quello detto “bere le corone”: consisteva nello sfogliare i fiori della propria corona in una coppa di vino e offrirla alla persona da onorare. Di solito i Romani bevevano dopo cena e uno dei vini migliori era il Falerno invecchiato di dieci anni. Naturalmente le contraffazioni del vino esistevano anche allora e la più comune era l’aggiunta di acqua: Catone spiega che facilmente si poteva scoprire l’inganno mettendo il vino sospetto in una tazza fatta con il legno di edera. Si riteneva che questo legno lasciasse filtrare il vino, ma non l’acqua. È ovvio che se dopo un po’ di tempo si trovava ancora liquido nella tazza, si aveva la prova della frode. Sulla tavola dei Romani erano presenti spesso verdure e legumi: gli asparagi erano costosissimi e ricercati, così come i lampascioni considerati afrodisiaci e cucinati in molti modi per coprire la loro amarezza. E poi i ceci bolliti venivano serviti dopo cena per spingere la gente a bere. Richiestissimi i cetrioli e le fave sia secche o ridotte in farina. Questa si usava per preparare farinate da mangiare con il lardo. Mescolate alle fave si mangiavano anche i porri, una vera panacea per molti mali (Nerone ne mangiava in quantità per migliorare la sua voce). Per ciò che riguarda la carne, fu sempre considerata un prodotto di lusso ed il popolo ne poteva disporre solo in occasioni particolari: solo dal V° secolo d.C. si arrivò a dare alla plebe cinque libbre di carne al mese a testa, pari a 1,650 kg per cinque mesi l’anno. In questo periodo il popolo arricchiva con 55 grammi di carne al giorno la sua dieta basata su verdure e farinacei. Le carni preferite erano quelle ovine e suine, e la selvaggina. Per il maiale, Apicio cita addirittura 23 ricette più quattro per gli insaccati, richiestissime le salsicce e le luganighe di cui Apicio dà una ricetta molto simile a quelle di oggi. Fra i volatili Apicio cita le polpette di pavone, ma non ne dà la ricetta. Mentre l’anatra era considerata un cibo povero, la gallina veniva allevata per le uova e non per la carne. Tra la selvaggina, molto ricercato era il fenicottero che veniva allevato come animale da cortile insieme allo struzzo, di cui Apicio dà due ricette, ma poiché la sua carne è dura, veniva servito esclusivamente lesso con varie salse. C’è chi però ne andava ghiotto: Eliogabalo era talmente appassionato di questa carne, che per un banchetto si fece servire seicento teste di struzzo!

Fine prima parte


romanzo

Paulo Coelho Aleph Edizioni: Bompiani In questo romanzo, forse il più personale, Paulo Coelho torna con un meraviglioso viaggio alla scoperta di sé. Paulo sta affrontando una profonda crisi di fede ed è alla ricerca di un cammino che lo aiuti nella sua rinascita spirituale. La soluzione è un nuovo inizio attraverso un viaggio che lo condurrà dall’Africa, all’Europa e l’Asia lungo il percorso della Transiberiana. Un viaggio mistico nel tempo e nello spazio fatto d’energia e passione. Un viaggio d’amore, di perdono e coraggio per superare gli ostacoli della vita. Un romanzo illuminante, di rivincita sulle proprie paure e di fiducia verso la propria mente e il proprio spirito. La vita ci collega tutti quanti anche se le sue strade sono innumerevoli e diverse. Paulo Coelho è nato a Rio de Janeiro nel 1947. È considerato uno degli autori più importanti della letteratura mondiale. Le sue opere, pubblicate in più di centosessanta paesi, sono tradotte in settantuno lingue.

Elena Martinelli Come prevenire e curare il mal di schiena

SALUTE

Il mal di schiena in tutte le sue forme, cervicale, torcicollo, colpo della strega, dolore lombare, è uno dei disturbi più comuni che colpisce l’80% della popolazione senza limiti d’età. La parola d’ordine è riconoscere preventivamente i disturbi e seguire un programma diagnostico e terapeutico personalizzato. Elena Martinelli con questo testo, basandosi sulla sua esperienza pluriennale, ha messo a punto 180 esercizi per il riequilibrio posturale e per un’attività fisica terapeutica. Esercizi illustrati, programmi giornalieri, forme di rilassamento psicofisico della Back school, utili consigli per prevenire e curare le più comuni patologie della colonna vertebrale. Elena Martinelli è professore associato dell’Università degli Studi di Firenze, Corso di Laurea in Scienze Motorie e ricercatrice affermata nel campo posturologico.

Giovanni Cenacchi I monti orfici di Dino Campana

SAGGIO

NOVITÀ EDITORIALI a cura dii Angelo Errera

180 esercizi per alleviare il dolore e ritrovare il benessere Edizioni: Fabbri Editori

Un saggio, dieci passeggiate Edizioni: Mauro Pagliai Editore Per metà saggio e per metà guida escursionistica, il testo legge il percorso di vita del poeta Tosco-Romagnolo Dino Campana. È la storia del cammino di un uomo che ha legato la sua poesia alla natura, in particolar modo alla montagna, che amava e dove trascorse la maggior parte della sua vita. Una lettura audace e originale in cui Cenacchi realizza un’indagine unica sulla poesia e sul tema del cammino. La conoscenza e l’esperienza del paesaggio aiutano la comprensione dei versi del poeta vivendoli con partecipazione e avvicinandosi al suo ideale poetico. Un’ebbrezza data dalla salita e dalla discesa della montagna, che per il poeta era la definizione della felicità. Giovanni Cenacchi (1963-2006) è stato alpinista, documentarista e scrittore di montagna. Il libro, edito nel 2003, è oggi riproposto nella sua intatta originalità di pellegrinaggio letterario.


Ennio Caretto Le due Torri I 10 anni che hanno sconvolto l’America Edizioni: Editori Riuniti

DOSSIER

Nel decennale del tragico 11 settembre a New York, un libro che racconta l’America degli ultimi dieci anni. Quanto sono cambiati gli americani e l’America stessa? È l’interrogativo di partenza di Ennio Caretto che in questo libro ha ripercorso l’ultimo decennio a stelle e strisce, attraverso interviste, racconti e aneddoti, raccolti in prima persona con l’onestà di un cronista d’altri tempi per mostrare il percorso e le mutazioni di un’intera nazione, dalle metropoli luccicanti alle semplici campagne del profondo Sud. Anno dopo anno, ripercorriamo il cammino di un paese affascinante e denso di contraddizioni, che ha saputo reinventarsi anche attraverso le sue scelte in cabina elettorale. Ennio Caretto, storico corrispondente da Washington del Corriere della Sera, ha scritto diversi testi dedicati alla storia americana contemporanea e alla sua influenza sul mondo occidentale.

RACCOLTA

Lucio Trizzino Sciopero Edizioni: Polistampa

Quarantotto fotografie di Lucio Trizzino, precedute dalla brillante prefazione di Giuseppe Marcenaro, che interpreta la fotografia come forma letteraria e le definisce “Teatro del mondo in una piazza”, per raccontare uno spaccato dell’Italia di oggi. Scatti in bianco e nero che fermano le mattine del 9 ottobre 2009 e del 12 marzo 2010, in Piazza della Santissima Annunziata a Firenze in occasione di due scioperi nazionali dei lavoratori. Fotografie che coniugano il rappresentato con il significato: immagini che diventano un racconto di persone comuni che nella violentata società del nostro tempo, si uniscono in illusorie assemblee senza riscontri, con lo sguardo di chi ha perso la speranza che qualcosa possa cambiare ma che non demorde a provarci o a esserci. Lucio Trizzino siciliano d’origine, fotografo, architetto e progettista di fama internazionale crea una raccolta destinata a dividere e a suscitare polemiche sulla nostra Italia.

ROMANZO

Melissa Hill Un regalo da Tiffany Edizioni: Newton Compton Quale donna non vorrebbe ricevere un regalo di Tiffany? Tiffany è magia. Tutto può succedere con un regalo di Tiffany. Proprio un regalo di Tiffany al centro della storia che legherà due coppie nella rete del destino. Alla Vigilia di Natale a New York, Ethan con la figlia di nove anni Daisy e Gary, da solo, s’incroceranno sulla Fifth Avenue nella gioielleria dei sogni, per acquistare un regalo speciale per le rispettive fidanzate. Un accidentale scambio di pacchetti travolgerà le loro vite:t ra New York, Londra e Dublino si sviluppano le due vicende sentimentali legate al regalo da Tiffany che né Ethan né Gary immaginavano fosse così importante per la loro futura esistenza. Una commedia romantica, leggera e piena di imprevisti, con un finale spiazzante e molte scene da film hollywoodiano. Melissa Hill autrice di bestseller, vive a Dublino. Ha cominciato a scrivere nel 2003 con uno stile ironico e sorprendente come la natura femminile.

Reality

LA VETRINA


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a 68a edizione della Mostra Internaziol binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di nale fattod’Arte dai quali non si può assolutamenCinematografica di Venezia te èprescindere, si pianifichi unari-Il stata una diquando quelle che si faranno binomioper Barcelona-Gaudí è unodidei dati di cordare la qualità e varietà proposte fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barceloè uno dei dati di fattopresidente dai quali ena-Gaudí non a caso Darren Aronofsky, non Giuria si puòlo assolutamente della ha sottolineato prescindere, con grande quando sinel pianifichi una in Il binomio Barcelochiarezza momento cui ha detto che na-Gaudí uno dei dati di fatto dai finale quali non è statoèfacile giungere al verdetto non si i premi, può assolutamente prescindere, perché sembravano pochi rispetto quando si pianifichi una Il binomio Barceloai film e alle professionalità da assegnare. na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali Non di un’affermazione d’occanon sisiè trattato può assolutamente prescindere, sione ma di una constatazione che poteva quando si pianifichi una Il binomio Barceloessere ampiamente Così na-Gaudí è uno dei condivisa. dati di fatto daicome, quali caso condivisibileprescindere, è il verdetnon piuttosto si può raro, assolutamente to. Forsesiperché nasce una giuria eteroquando pianifichi unada Il binomio Barcelona-Gaudí uno da deiundati di fatto che dai tropquali genea, maècoesa sentimento nonspesso si può assolutamente prescindere, po si sottovaluta perdendosi in anaquando pianifichi una Il binomio lisi tantosipretenziosamente cinefileBarceloquanto na-Gaudí è uno dei dati di dai emoquali di fatto sterili. Il sentimento sifatto chiama non si può assolutamente prescindere, zione ed è stato richiamato più volte come quando si pianifichi una Il binomio Barcelomotivazione dei premi. A partire dal Leone na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali d’Oro andato Alexsander Sokurov che ci non si può aassolutamente prescindere, ha regalato con Faust un’opera sontuosa, quando si pianifichi una Il binomio Barcelodifficile, di dati senso frutto una na-Gaudíma è carica uno dei di efatto daidiquali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere,

Vince il film di Sokurov, soddisfazione per l’Italia con il premio a Crialese

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quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, incontenibile passione il cinema. Il film, quando si pianifichi unaper Il binomio Barcelona-Gaudí è tragedia uno dei dati di fatto quali tratto dalla omonima di dai Goethe, non si può assolutamente prescindere, ha infatti entusiasmato da subito la platea: quando si pianifichi una Iled binomio Barceloun’accoglienza calorosa inequivocabile. na-Gaudí è uno dei“tetralogia dati di fatto quali Ultima parte della deldai potere” non si può assolutamente prescindere, – iniziata nel 1999 con Moloch, proseguita quando si pianifichi una Il binomio Barcelocon Taurus (2000) e Il Sole (2005) – con Faust, na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali Sokurov grande schermo l’adattanon si porta può sul assolutamente prescindere, mento disi Goethe cui Illavorava diversi quando pianifichia una binomiodaBarceloanni, per èraccontare un personaggio simna-Gaudí uno dei dati di fatto dai quali bolico dei temi universali dell’uomo e le sue non si può assolutamente prescindere, paure. Il si cinema orientale stato protagoniquando pianifichi una Ilèbinomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali

non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una

sta degli altri premi principali della mostra: People mountain people sea di Sgangjun Cai si è aggiudicato il Leone d’Argento per la migliore regia, così come cinese è Deanie Yip la migliore attrice secondo la giuria, per Tao Jie - A simple life di Ann Hui. I giapponesi Shota Sometani e Fumi Nikaido – protagonisti di Himizu di Sion Sono, in realtà in parte snobbato dalla critica – hanno ricevuto invece il riconoscimento come migliori attori giovani ed emergenti, il Premio Marcello Mastroianni. La prestigiosa Coppa Volpi per


Nella pagina a fianco: Madonna e il cast del suo film

il miglior ruolo maschile è andata quest’anno a Michael Fassbender per Shame di Steve McQueen. Per quest’anno si è parlato di riscossa italiana, con il Premio Speciale della Giuria a Crialese per Terraferma e il Premio Luigi DeLaurentis a La-Bas – Educazione criminale di Guido Lombardi – entrambi sull’immigrazione, uno dei temi forti di quest’edizione – oltre al Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio a In attesa dell’Avvento di Felice D’Agostino e Arturo Lavorato e al Leone d’Oro alla Carriera a Bellocchio. Non si può certo annoverare tra i successi italiani, però, il lavoro di Cristina Comencini, Quando la notte, duramente criticato (con tanto di fischi) per il suo tentativo di “raccontare un tabù” partendo dal suo romanzo omonimo del 2009, quello di una donna che si sente inadeguata a fare la madre e per il bambino arriva a provare insieme amore e odio. Per molti è stato il film peggiore visto al Lido, dove il pubblico in sala ha addirittura riso a battute involontariamente comiche. Una sorpresa italiana poco sotto i riflettori è invece L’ultimo terrestre di Gipi, l’autore di fumetti alla sua opera prima sul grande schermo per la Fandango di Domenico Procacci. In realtà L’ultimo terrestre aveva già scatenato enorme curiosità per la strategia di promozione, ideata qualche settimana fa, con la diffusione del trailer con una finta diretta del tg3 che annunciava lo sbarco di alieni. Quello di Gipi è il ritratto di un’Italia scontrosa che si misura, stavolta, con l’immigrazione di extraterrestri attraverso una carrellata di personaggi-macchiette, tristemente aderente al nostro contemporaneo. Invece Carnage, il grande favorito dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, il film che segna il ritorno alla regia di Roman

in basso da sinistra: Vincent Cassel Kate Winslet George Clooney Christoph Waltz Tiziana Rocca e Giulio Base Sarah Maestri, Cinzia Th Torrini, e Pier Luigi Visci Kim Rossi Stuart e Marco Muller Abel Ferrara Asia Argento e Louis Garrel In questa pagina, a sinistra: Alexsander Sokurov In questa pagina, a destra: Enrico Pastura e Philippe Daverio Monica Bellucci Viggo Mortensen Matt Demon Alba Rohwacher

Polanski, non ha ottenuto alcun premio dalla giuria. Tratto da un’opera teatrale della drammaturga europea Yasmina Reza, God of Carnage, la pellicola vanta la partecipazione di tre premi Oscar del calibro di Kate Winslet, Jodie Foster e Cristoph Waltz; la sapiente regia di un maestro come Polanski, attraverso la recitazione di attori validissimi, mostra un quadro della borghesia spietato e realistico, smantellando ad uno ad uno i suoi stereotipi. Carnage (“massacro”), racconta l’incontro-scontro di una coppia di genitori della middle class newyorkese, chiusi in un appartamento di Brooklyn per risolvere civilmente la rissa che ha visto coinvolti i loro figli adolescenti. Il tentativo di redimere la questione, trascorrendo una giornata insieme, si rivelerà un fallimento e l’incontro finirà per degenerare: e il regista – premio Oscar 2003 per Il Pianista – fa una “carneficina” impietosa dei suoi quattro personaggi, ritratti nelle loro contraddizioni con ludica freddezza e senso della realtà. I borghesi di oggi, fintamente tolleranti, insoddisfatti, sempre pronti a giudicare, una collera che scorre nelle vene pericolosamente latente, che impedisce la riappacificazione: messuno di loro è disposto a cambiare veramente, a rivedere le sue posizioni: e Polanski questo lo mostra con chiarezza, alternando primi piani a campi totali attraverso un montaggio impeccabile.


comune di Santa Croce sull’Arno

teatro verdi

stagione teatrale 2011/2012 Nuovo Teatro

Teatro

Silvio Orlando in IL NIPOTE DI RAMEAU di Denise Diderot adattamento Silvio Orlando con Giacomo Piperno Marialaura Rondanini regia Silvio Orlando

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Associazione Teatrale Pistoiese/Teatridithalia

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IL VANTONE di Pier Paolo Pasolini da Plauto con Francesco Feletti, Massimo Grigò, Roberta Mattei, Michele Nani, Nicola Rignanese, Roberto Valerio regia Roberto Valerio

Gli Ipocriti/Nuovo Teatro

ART di Yasmina Reza con Alessandro Haber, Alessio Boni, Gigio Alberti, regia Giampiero Solari

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Arca Azzurra Teatro ErreTiTeatro30

L’ABISSINA paesaggio con figure

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con Isa Danieli, Barbara Enrichi testo e regia Ugo Chiti

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Gli Ipocriti

OCCIDENTE SOLITARIO di Martin McDonagh con Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Nicole Murgia, Massimo De Santis, regia Juan Diego Puerta Lopez

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Diablogues/Teatro degli Incamminati

L’UOMO, LA BESTIA E LA VIRTÙ di Luigi Pirandello con Enzo Vetrano, Ester Cucinotti, Giovanni Moschella, Stefano Randisi, Antonio Lo Presti, Margherita Smedile, Giuliano Brunazzi regia di Enzo Vetrano Stefano Randisi

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ErreTiTeatro30/LeArt’Teatro

DUE DI NOI di Michael Frayn con Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi, regia di Leo Muscato

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Allibito s.r.l.

Alessandro Bergonzoni in URGE di Alessandro Bergonzoni

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regia di Alessandro Bergonzoni e Riccardo Rodolfi

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Società per Attori

NON TUTTO E’ RISOLTO di Franca Valeri con Franca Valeri, Licia Maglietta, Urbano Barberini, Gabriella Franchini, regia Giuseppe Marini


Teatro

San Miniato. LXV Festa del Teatro

arabanda e non solo TEXT Francesca Berretti PHOTO Riccardo Lombardi

U

n teatro vero, sincero e autenticamente popolare che ha come obiettivo quello di parlare della vita e di avere una funzione etico-sociale, luogo d’incontro e di condivisione. Ecco l’identikit del Teatro dello spirito di San Miniato, il più antico festival di produzione d’Italia, inaugurato nel 1947 con lo spettacolo La Maschera e la grazia di Henri Ghéon. Anche questa estate la cittadina pisana si è trasformata in un vero e proprio teatro a cielo aperto mettendo in scena spettacoli che hanno realmente toccato e affrontato il tema della ricerca del senso della vita. Le novità di questa edizione sono state soprattutto le importanti collaborazioni messe in atto dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato con alcune preziose realtà culturali toscane, italiane ed estere. Inanzitutto la partnership con il festival di musica sacra Anima Mundi, con il quale

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è stato co-prodotto lo spettacolo Le jongleur de Notre Dame. E’ proprio questo spettacolo, tratto da una favola di Anatole France e recitato da alcuni attori e mimi con l’edizione musicale di Maxwell Davie, che il 6 luglio in Piazza Duomo ha aperto la Festa del Teatro. Il 13 luglio invece è andato in scena lo spettacolo in ebraico Il re David, della compagnia israeliana Gili Shanit; è stata così inaugurata una nuova collaborazione con il Cnr di Pisa, grazie alla quale è stato trasmesso in diretta web lo spettacolo, utilizzando il server dell’istituto. Lo spettacolo scelto per rappresentare questa edizione è stato Sarabanda di Bergman, un testo che mette in scena, come si legge nelle note di regia, un “autismo dei sentimenti”. Sarabanda è l’ultimo testo di Bergman, scritto nel 2003 e pensato come la prosecuzione di Scene da un matrimonio, film del 1973. La scelta di questo testo è stata significativa per

quella che è la poetica della Festa: scegliere temi di conflitto che pongono problemi ma che manifestano la ricerca della dimensione del sacro. Un testo che mette a nudo tutti i difetti dell’incomunicabilità dell’uomo, che mette in risalto la tragedia delle scelte delle persone che non vogliono accettare la vita per quello che è, che non vogliono accettare il piano che Dio ha su ciascuno di noi. Sarabanda è stato un vero successo, confermato ogni sera dagli applausi convinti del pubblico, che avrà anche un seguito e che porterà il nome e la fama del Teatro del Cielo in grandi teatri italiani. La prima assoluta di questa Festa del Teatro 2011, messa in scena dalla Fondazione Dramma Popolare di San Miniato con il sostegno determinante della Fondazione CRSM, nella stagione invernale avrà repliche a Prato, Cagliari e in dicembre anche al Piccolo di Milano. In piazza Duomo Sarabanda ha avuto il suo primo debutto in


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assoluto sulla scena per mano di un cast d’attori di prim’ordine (Giuliana Lojodice, Massimo De Francovich, Luca Lazzareschi e Clio Cipolletta) guidati dal regista Massimo Luconi. Lo spettacolo è stato il frutto di una coproduzione tra Fondazione Dramma Popolare di San Miniato e Teatro Metastasio Stabile della Toscana, rispettivamente presieduti da Stefano Petrucci e Umberto Cecchi, che con questo lavoro hanno iniziato una stagione di collaborazione che potrà dare risultati importanti. Grande successo anche per gli altri spettacoli colletarali, messi in scena presso l’Auditorium San Martino. Chàris è stato il primo spettacolo che ha inaugurato, all’interno della LXV Festa del Teatro, una più stretta e attiva collaborazione con le diverse realtà teatrali del territorio, con l’obiettivo di dare una maggiore visibilità alle compagnie e cercare di avvicinare e portare a teatro un numero sempre maggiore di pubblico. Anche per Sacrum Facere, l’idea di fare sinergia con le professionalità vicine al Dramma Popolare è risultata vincente, sia per la qualità artistica dello spettacolo proposto, sia per la risposta del pubblico. Sacrum Facere un lavoro sull’essere umano, sulla carne dell’essere umano e su come essa possa essere il segno di Dio. Lo spettacolo Qohélet ha rinnovato il rapporto fra San Miniato e Antonio Zanoletti. L’opera è forse il testo più sconcertante dell’Antico Testamento. Fede purissima, ateismo purissimo, superstizione purissima sono state al centro invece di Le ultime sette parole di Cristo, l’appassionato e brillante monologo in cui un “cialtrone”, Giovanni Scifoni, attraversa con ironia i temi e i personaggi della spiritualità, scanditi dalle sette frasi evangeliche, che per sette volte sospendono il tempo e l’aria. 1. Giuliana Lojodice e Massimo De Francovich 2. Veduta della piazza del Seminario 3. Giuliana Lojodice e Clio Cipolletta 4. Luca Lazzareschi e Clio Cipolletta

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0 mila presenze totali per Bolgheri Melody. Se legare l’eccellenza del territorio - il vino - alla cultura e allo spettacolo espressi da Bolgheri Melody

Il Festival della Costa degli Etruschi è la vera sorpresa nella Toscana delle rassegne culturali. Il sogno per il 2012 è il Presidente Giorgio Napolitano. La novità talk show convince il pubblico ... da casa era l’obiettivo alle fondamenta di un percorso iniziato solo lo scorso anno, il Festival della Costa degli Etruschi è riuscito nel suo intento. Ci è riuscito portando in Arena, tra teatro, talk show e iniziative collaterali 40 mila presenze, e offrendo un cartellone teatrale variegato caratterizzato da musica, danza e comicità di grandissima qualità, che ha prodotto complessivamente 30 mila spettatori. Elementi che hanno permesso a Bolgheri Melody di imporsi, già nel suo secondo anno, in un palinsesto nazionale ricchissimo di eventi in una stagione peraltro condizionata dalla crisi economica. E non era un risultato né facile, né tanto meno scontato. Bolgheri Melody nasce da un’intuizione di due artisti, Massimo Guantini e Sauro Scalzini, e dal frutto di un rapporto

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Melody

TEXT&PHOTO Andrea Berti

speciale nella terra dei Marchesi Incisa della Rocchetta, dei Frescobaldi, degli Antinori, e dei Conti della Gherardesca; tra pubblico, con il Comune di Castagneto Carducci in testa, e privato. Una sinergia che ha pagato premiando, insieme a scelte coraggiose come l’incremento delle date in cartellone e l’inserimento di uno strumento di marketing culturale come il talk show televisivo, il territorio sia in termini di presenze, sia in termini di promozione e di immagine. Bolgheri Melody oggi è una realtà riconosciuta a livello nazionale, non solo per il vino. Arena: 30 mila spettatori per l’Arena Mario Incisa della Rocchetta. Gianna Nannini, Bryan Ferry, i Modà e Raphael Gualazzi per la musica; la Scala e la prima mondiale del Maggio Fiorentino per la danza, in mezzo lo show tutto da ridere di Giorgio Panariello, la serata di Gala di Susanna Rigacci&Friends dedicata ai palati fini e l’operetta kolossal La Vedova Allegra. A Bolgheri Melody non sono mancati generi e interpreti di primo piano a livello nazionale e internazionale come il leader dei Roxy Music Bryan Ferry che a Bolgheri ha cantato nell’unico concerto in Italia, e del Corpo di Ballo della Scala celebrato in tutto il mondo, in una delle rare “uscite” fuori dal tempio scaligero. Tanti i giovani richiamati dal mito di Gianna Nannini e della band rivelazione Modà: oltre 11 mila presenze solo per loro. Ma anche un pubblico adulto e più esigente ha potuto trovare soddisfazione e il piacere di una serata tra spettacolo e magia sullo sfondo di un contesto, il Viale dei Cipressi e San Guido, dal fascino inesauribile.

Talk show: 1 milione di telespettatori per Bolgheri Melody RacConta. Il talk show televisivo in onda sul canale Sky 517 Toscana, prodotto da Athena Communications (Direzione Artistica a cura di Massimiliano Simoni, già Presidente del Festival La Versiliana e del Festival Puccini di Torre del Lago) in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Castagneto Carducci e importanti sponsor e partner (Banca del Monte di Lucca, Fondazione Banca del Monte di Lucca, Corriere Fiorentino, Il Profumo), ha raggiunto complessivamente in 20 repliche 1 milione di telespettatori con una media, a puntata, di circa 50 mila spettatori che hanno seguito, per tutta la durata, il talk show. Buona l’affluenza del pubblico durante gli appuntamenti, nell’area talk show ospitata all’interno dell’Arena Mario Incisa della Rocchetta e la data zero al Teatro Roma in occasione di Castagneto a Tavola, con punte importanti durante gli incontri con Adriano Galliani e Max Allegri, Italo Bocchino e Debora Serracchiani, Paolo Villaggio. 25 gli ospiti del salotto televisivo in rappresentanza di quella “varietà umana” che Bolgheri Melody RacConta aveva promesso di “Raccontare”. Al talk show condotto da Francesco Borgonovo hanno partecipato Fabio Tinti, Paolo Ruffini, Alberto Del Carlo, Adriano Galliani, Massimiliano Allegri, Tiziano Crudeli, Giovanna Martini, Altero Matteoli, Paolo Ermini, Marchese Lamberto Frescobaldi, Camillo Langone, Carlo Cambi, Antonino Tringali Casanuova, Mogol, Alessandro Sallusti, Daniela Santanchè, Debora


bryan ferry

sogno di una notte di mezza estate

unico live in italia

corpo di ballo del teatro alla scala

giorgio panariello

raphael gualazzi

panariello non esiste

la vedova allegra

compagnia teatro musica novecento

gianna nannini io e te tour

reality and fantasy tour

modĂ

viva i romantici tour

the genesis tribute

corpo di ballo del maggio musicale fiorentino


Serracchiani, Italo Bocchino, Antonio Socci, Massimiliano Panarari, Paolo Villaggio, Roberto Bernabò, Umberto Veronesi, Alberto Veronesi. L’altro grande protagonista delle “puntate” è stato naturalmente il vino, elemento elegante ed imprescindibile dei dibattiti che hanno caratterizzato (ed accompagnato) i talk show contribuendo a valorizzare e potenziale l’immagine del territorio e il binomio Vino-Bolgheri. La medaglia a Ciampi: emozione e orgoglio per la consegna della medaglia d’oro al Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Assente giustificato, l’ex Presidente della Repubblica ha ricevuto “virtualmente” (era presente per ritirare la medaglia la responsabile segreteria Maria Teresa Pandolfi) la prima, storica, medaglia d’oro di Bolgheri Melody nel corso di una cerimonia toccante e solenne coordinata dal consulente per i rapporti istituzionali, Angelo Piras che dietro le quinte, con costanza e coraggio, ha tessuto la trama di un premio che sarà consegnato ogni anno a una personalità di fama internazionale che si sia particolarmente distinta nella ricerca scientifica, nelle religioni, nell’educazione e in attività di pacificazione. A testimoniare la crescente importanza e attenzione di Bolgheri Melody anche un’altra lettera, quella del Presidente della Repubblica in carica, Giorgio Napolitano che segue i successi di Bolgheri Melody, e che l’organizzazione ha più volte annunciato intendere invitare nel 2012. Bolgheri Melody Award: é andato a Gianna Nannini il Bolgheri Melody Award. La rocker senese ha ricevuto poco prima di salire sul palcoscenico durante il concerto (6500 spettatori) il prestigioso riconoscimento ideato dai produttori Doc di Bolgheri dedicato ad un’artista - produttore che con ha contribuito, con la propria arte, a valorizzare e promuovere in Italia e nel mondo, il vino e l’immagine della Toscana. Si chiamano Baccano, Il Chiostro di Venere e Rosso di Clausura, i tre i vini – Igt Toscana - prodotti nell’azienda La Certosa di Belriguardo, sulle colline senesi, con i quali Gianna Nannini – Un onore – ha detto nel back stage - ha deciso di intraprendere questa nuova emozionante avventura della sua vita, e che gli sono valsi l’ambito riconoscimento. Il premio, una scultura in pezzo unico realizzata dall’artista Flavio Melani che ritrae

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una “Venere” in bronzo etrusco e marmo bianco delle cave di Castagneto Carducci, è stato consegnato dall’organizzazione di Bolgheri Melody. Lo scorso anno era andato ai Negroamaro. L’altro importante riconoscimento è andato al Marchese Nicolò Incisa della Rocchetta che ha sostenuto il progetto di Bolgheri Melody. La mostra internazionale: Bolgheri Melody per la prima volta ha significato anche arte internazionale con la personale del Maestro Franco Adami, e quel Sogno che ha portato, nelle principali frazioni del Comune di Castagneto Carducci, l’imponenza delle sue sculture monumentali. L’Enoteca del Territorio: 4 mila degustazioni di Bogheri Doc. L’Enoteca del territorio di Bolgheri, ospitata all’interno dell’Arena, si conferma uno dei punti nevralgici delle attività. Un momento di relax, tra l’attesa di uno spettacolo e un talk show consumato in diretta, diventato opportunità per il pubblico di degustare uno dei prestigiosi vini prodotti dalle aziende del territorio in esposizione in alternativa alla suggestiva visita in cantina. Si confermano iniziative dal forte appeal anche i concerti in cantina quest’anno dedicati al bicentenario della nascita di Liszt. Centinaia gli appassionati che hanno affollato le cantine che hanno aderito al progetto creando un fil rouge originale tra Bolgheri Melody, il territorio, il vino e i viticoltori. Bonolis e la Solidarietà: non solo spettacolo, a Bolgheri Melody c’è stato anche spazio per la solidarietà. Protagonista, nella notte dedicata all’associazione Onlus per le cure palliative della Bassa Val di Cecina, Paolo Bonolis insieme all’amico e collega Marco Luci, storico autore di Rai e Mediaset per uno show - reality de il meglio del Senso della Vita. 3 mila gli spettatori dell’Arena che hanno contribuito, con una piccola donazione volontaria, a finanziare le attività di assistenza domiciliare garantite dall’Associazione per le cure palliative della Bassa Val di Cecina. Il Piacere del Gusto: presentazione di libri, tanti ospiti e spettacoli nella Piccola Arena. Vino e storia, salute e benessere, cucina e ricettari segreti, ma anche esperimenti editoriali, carteggi, e il forte legame tra gli autori - artisti e il territorio che li ospita, e li ha ospitati: Castagneto Carducci, Bolgheri, la Costa degli Etruschi, e più in generale la Toscana. Promossi ed organizzati da Europolis Edizioni,

Il Piacere del gusto ha camminato fianco a fianco alle attività del Festival diventando un importante motore di intrattenimento dell’Arena richiamando ogni volta un pubblico mirato ed interessato. I grandi sponsor: leader nel loro settore ed eccellenze internazionali conosciute e riconosciute in tutto il mondo. Insieme ai patrocinio del Comune di Castagneto Carducci, della Provincia di Livorno e al contributo di Regione Toscana, Camera di Commercio, Banca Credito Cooperativo di Castagneto Carducci e Finmeccanica, Bolgheri Melody ha trovato il sostegno, forte e vitale, di importantissimi sponsor. Curati dal Conte Gaddo della Gherardesca, responsabile Main Sponsor e Presidente Onorario di Bolgheri Melody, hanno legato la loro immagine, e soprattutto la loro vocazione internazionale al Festival bolgherese, Enel, la prima azienda italiana; Moby, una realtà importantissima per la Toscana, e per il territorio di Livorno, leader nel trasporto; l’eccellenza nell’occhialeria Persol - gruppo Luxottica; Sisal, la prima società di scommesse a livello nazionale dispensatrice di sogni, ed infine Toyota, oggi il primo gruppo mondiale automobilistico e il primo ad investire e sviluppare tecnologie per la sostenibilità e la riduzione dei consumi. Risultati che sono la somma del successo di tutto un territorio, la simbiosi perfetta tra iniziativa privata e pubblica. Bolgheri Melody sono prima di tutto le persone che hanno dedicato tempo e spazio, a vario titolo, della loro vita a questa esperienza straordinaria. Sono le persone che stanno di fronte ai riflettori ma anche tante persone che stanno dietro i riflettori. E’ un successo che appartiene a tutti: dagli ideatori, Massimo Guantini e Sauro Scalzini, al Presidente Onorario Conte Gaddo della Gherardesca e al Presidente Luciano Giorgerini. Dal coordinatore generale Luciano Ghironi al coordinatore del settore turismo ed eventi Luca Carnesecchi, dal coordinatore dei viticoltori Antonino Tringali Casanuova al coordinatore dell’Arena Carlo Pirpan, e ancora, al coordinatore dell’area editoria Roberto Tinagli e Edoardo Scalzini al Consulente per i Rapporti Istituzionali Angelo Piras e Athena Communications. E ancora a tutti soci e allo staff che ha contribuito in maniera determinante alla buona riuscita del Festival.



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TEXT Eleonora Garufi PHOTO Marco Turini, Franco Silvi e Enrico Parrini

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a settima edizione della Rassegna 11 Lune di Peccioli, si è conclusa con un ottimo risultato e con grande soddisfazione della Fondazione organizzatrice Peccioliper. Oltre 15.000 spettatori hanno occupato gli spazi dell’Anfiteatro Fonte Mazzola nel corso degli undici appuntamenti, superando di gran lunga le aspettative e i numeri delle edizioni passate. Risultato questo che conferma 11 Lune come una realtà consolidata dell’estate toscana. Il successo è stato sicuramente garantito da un cartellone di spettacoli di grande spessore culturale, che ha visto protagonisti dello scenario nazionale italiano come Vittorio Sgarbi, la Compagnia della Fortezza, Massimo Ghini, Paola Gasman, i Pooh e Giorgio Panariello. Nel corso della rassegna, la nostra redazione, che con Reality Magazine ha sostenuto e accompagnato l’intero festival, ha avuto la possibilità di “un incontro a Tu per Tu” con due protagonisti del teatro toscano.

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bbiamo incontrato Fabrizio Diolaiuti, conduttore e uomo di spettacolo, nel backstage dopo l’esibizione all’Anfiteatro Fonte Mazzola, di Peccioli, dove era in scena con Intervista al cervello show lo scorso 6 luglio 2011. Uno spettacolo istruttivo e comico, che mostra come il nostro cervello sia il motore di quello che noi siamo come persone. Molto disponibile, il “Professor Diolaiuti” si è seduto sul tavolo di legno della sala e si è trattenuto a parlare con noi e altri amici mentre “l’Assistente Adriano Barghetti”, co-protagonista dello spettacolo, faceva un po’ di piano bar ! L’incontro è stato libero e informale e parlando tra di noi, come amici di vecchia data, Fabrizio Diolaiuti ha risposto alle domande che ci eravamo prefissati, tanto che ho dovuto dare sfogo alla libera creatività del mio cervello, e il Dottor Diolaiuti ne sarà fiero, immaginandomi un botta e risposta giornalistico… ecco quello che ci ha raccontato. Com’è stato esibirsi a Peccioli su questo teatro? L’anfiteatro è bellissimo, c’è un’ottima acustica, si riesce “sentire” il pubblico che è stato molto partecipe e coinvolto dallo spettacolo. Questa serata a Peccioli è come se fosse stata la “prima”. È stato l’esordio di uno spettacolo che ancora deve essere definito nel target di collocamento e una grande prova per apportare giuste modifiche e nuovi inserimenti. Desidero ringraziare la Fondazione Peccioliper per questa opportunità e per aver creduto nel progetto. Ci rendiamo sempre più conto di come questo spettacolo abbia un valore didattico e possa essere una forma di insegnamento per i giovani affrontando temi di attualità legati al rispetto di se stessi. Come è nata l’idea di questo spettacolo, che è un po’ spettacolo e un po’ un talk show? L’idea è nata a partire dal libro che ho scritto con il neurologo Ubaldo Bonuccelli, che è anche il direttore scientifico dell’Atorn, l’associazione toscana per la ricerca neurologica.

Ho studiato a lungo in orari assurdi, visti gli impegni del professore in tutto il mondo, ma alla fine il libro è nato e con un gran successo. Siamo già alla terza edizione e a settembre uscirà la versione economica. Un progetto di grande soddisfazione. Per tornare allo spettacolo, l’idea è nata perché nella presentazione del libro, le persone mi chiedevano di leggere delle parti, incuriositi magari dal rapporto tra il cervello e il sesso, il cervello e il cibo e allora li abbiamo accontentati! La soddisfazione del pubblico è grande e quello di Peccioli stasera ne ha regalata tanta partecipando e prendendo iniziative anche nelle parti cantate. Il motto di questo spettacolo è che “noi siamo il nostro cervello”, cosa vuol dire? Semplice, è lui che ci comanda e spesso anche incondizionatamente! La parte che mi piace di più è quella in cui parlo con voce esterna simulando il pensiero del cervello di fronte a una situazione imprevista come qualcuno che ci punta una pistola contro. Se ti fermi a pensare a come possono essere diverse e comunque controllate le nostre reazioni, capisci come il cervello sia il motore di tutto il nostro essere. Qual è il segreto per costruire uno spettacolo come questo? Fondamentale è trovare un giusto equilibrio fra l’ironia e il rigore scientifico, in modo da catturare l’attenzione del pubblico e far capire che stai parlando di cose serie ma, al tempo stesso, siamo a teatro e lo vogliamo fare con divertimento! Per questo devo ringraziare il compagno d’avventura Adriano Barghetti che riesce bene in questo intento e con cui ho scritto le canzoni dello spettacolo. A un artista si chiede sempre, quali sono i progetti futuri? L’idea di un ciclo di incontri per le scuole, con gli studenti, ci sembra molto azzeccata. Dobbiamo metterlo in piedi e trovare una giusta dimensione e che sia adatta a un pubblico giovane che si inserisca anche all’interno delle iniziati-

Spettacolo

Lo show della scienza

PHOTO Marco Turini

ve culturali dei comuni e delle province come uno “show della scienza” di cui solidi contenuti informativi ma in una forma accessibile, sostenibile e soprattutto educativa. Inoltre il tema sarebbe talmente vasto che sarebbe bello poter ideare un ciclo di spettacoli teatrali sul cervello “sezionando” tutte le sue parti. Un ultima cosa, dopo aver studiato così tanto il cervello umano, cosa ci può dire del cervello di Diolaiuti? Il mio è un cervello fondamentalmente pigro che fatica a mettersi in moto, poi parte piano piano e non si ferma più. Sono un diesel. Vengo fuori alla distanza. Chissà cosa farò a ottanta anni. Un’altra caratteristica che ha il mio cervello è quella di cambiare appena ho capito bene come funziona una cosa. Nella vita ho fatto l’insegnate per una decina d’anni. Poi mi sono stufato e ho fatto il giornalista. Poi il conduttore televisivo. Adesso sono affascinato dal teatro. Insomma sono sempre lentamente in movimento come il mio animale preferito che è la tartaruga e vado dove mi porta il mio cervello.

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Tra teatro e cinema

Teatro

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PHOTO Edoardo Marazita

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l sipario sulle 11 Lune, ha visto in scena la Compagnia PeccioliTeatro nella prima nazionale del “Mercante di Venezia”. Lo spettacolo, prodotto in collaborazione con la Fondazione Teatro Goldoni di Livorno e la Provincia di Lucca, ha fatto registrare il “tutto esaurito”, con un grande successo di pubblico. Questo attesissimo appuntamento ha visto partire la Compagnia PeccioliTeatro in un progetto ambizioso, che vede Buscemi nella realizzazione di 4 spettacoli del teatro sheaksperiano, il Mercante, Riccardo III, Falstaff e l’Otello, con il sostegno del Teatro Goldoni di Livorno e la Fondazione Peccioliper. Un grande progetto che oltre a dimostrare il grande impegno di Buscemi per il teatro, è il risultato del successo e della costanza della sua Compagnia, nonché l’accordo coeso dei teatri toscani per una rivalutazione della cultura teatrale contro la commercializzazione di spettacoli sempre meno artistici e molto più commerciali. Abbiamo avuto modo d’incontrare Buscemi e abbiamo parlato di teatro, di cinema e della passione per questo lavoro. La prima di “il Mercante di Venezia” alla chiusura delle 11 Lune è stata un gran successo. Com’è salire ogni volta nell’Anfiteatro di Peccioli e quanta emozione, attesa, paura c’è per una prima? L’attore di teatro si emoziona sempre prima di salire sul palcoscenico,anche dopo tanti anni di attività e di esperienza. Naturalmente è un fatto umano, che tiene conto anche di una particolare sensibilità di tutti quelli che fanno un mestiere così complicato e “estrovertito” come questo. Per quanto riguarda gli spettacoli di PeccioliTeatro da me messi in scena, c’è da ricordare che in più si tratta sempre di “prime” nazionali, e dunque l’emozione è maggiore rispetto alle repliche di tournèe: a Peccioli la compagnia fa sempre la prima verifica del lavoro fatto e sarebbe veramente da incoscienti non arrivare all’appuntamento preparati e “corazzati”. Peraltro, a volte l’emozione è un buon corroborante per far meglio e concentrarsi, mentre in alcuni casi un’emozione sbagliata può tradursi in impaccio e secchezza di fauci e

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può anche andare peggio, se ti prende allo stomaco! Per quanto mi riguarda, anche se ho avuto la ventura di recitare davanti a platee più gremite - all’Arena di Verona tre anni fa con Panariello avevamo di fronte dodicimila persone! - , l’impatto con l’Anfiteatro di Peccioli è sempre entusiasmante perché sento di andare a incontrare come degli amici, persone che ogni anno vengono da noi non solo per vedere uno spettacolo teatrale ma per ritrovarsi quasi in un rito. Dopo lo spettacolo, dopo tutto il lavoro investito, dopo essersi immaginati come sarebbe stato quali sono le sue valutazioni?? Non vorrei apparire presuntuoso, ma ogni volta che allestisco uno spettacolo io ne conosco perfettamente già l’esito che avrà sul pubblico sin dallo svolgersi delle prove stesse. Dirò di più: so già perfettamente cosa ne dirà la critica - sia di destra che di sinistra - e perfino alcuni degli spettatori che usualmente sono con noi ogni anno. È il frutto dell’esperienza di venticinque anni di palcoscenico, che mi ha davvero rivelato tutto di questo straordinario artigianato. Pertanto l’ottimo esito de Il mercante di Venezia non mi ha stupito affatto perché sapevamo di aver fatto un bel percorso di approfondimento assai filologico, aggiungendo in più quegli “scarti” comici del personaggio di Shylock, che non sempre sono sottolineati nelle varie edizioni e che invece credo fossero una precisa intenzione di Shakespeare che, si sa, voleva sempre e comunque divertire il pubblico in una continua altalena di messaggi “alti” assieme a quelli “bassi”. Nel teatro quanto è indicativa la prima per i successivi spettacoli? Come dicevo, la “prima” è il momento di verifica più immediato che fai dopo il percorso delle prove, e naturalmente segna contemporaneamente un punto di arrivo e un punto di partenza. Proprio perché si tratta della prima verifica, non riesce a proporsi mai come l’optimum dello spettacolo, che in genere per raggiungersi ha bisogno di almeno sette-otto repliche. Perciò durante la “prima” spesso gli attori delegano l’interpretazione al semplice

gioco scenico - alla “macchina” dello spettacolo propriamente detta -, raggiungendo la perfetta “verità” - cioè la completa aderenza al personaggio e alla storia - fatto il debito rodaggio. La prima ha in sé la “verità” dell’autore, oppure del regista che hanno usato gli interpreti per realizzare il proprio disegno. Per gli attori il vero “transfert” arriva col tempo e col contatto coi vari pubblici, ed è una legge ineludibile. Il progetto Sheakspeare con la Fodazione Peccioliper e il Teatro Goldoni, la metterà a confronto con i perfetti personaggi dello scrittore teatrale inglese. Come si prepara Buscemi per l’nterpretazione di personaggi tanto complessi? Io appartengo evidentemente a quegli attori che non vanno incontro al personaggio, ma li portano decisamente a sé: così faccio del mio corpo e della mia voce, il corpo e la voce del personaggio. È una circostanza appartenente alla tradizione italiana - che discende direttamente dalla Commedia dell’Arte, dove gli attori si confondevano con le maschere, e perciò Luigi Riccoboni “era” Pantalone, o Niccolò Barbieri “era” Arlecchino - che poi ha avuto i suoi maggiori rappresentanti e risultati negli attori di cinema della commedia all’italiana, cioè Sordi, Gassman, Tognazzi, Manfredi, e naturalmente qui non voglio azzardare paragoni - che lasciavano aderire completamente ogni personaggio a se stessi. La tradizione americana - che discende direttamente dall’esperienza stanislaswkiana di completa immedesimazione nel personaggio, e che, attraverso l’opera di un grande pedagogo come Lee Strasberg, ha sfornato dall’Actor’s Studio grandi interpreti come Marlon Brando, Al Pacino o De Niro - non mi pare propriamente attinente al nostro teatro, che più che di indagine psicologica abbisogna di voci riconoscibili e ampi gesti per essere veramente apprezzato - non dimentichiamo del resto quanto sia importante per noi anche la tradizione del melodramma e dell’opera lirica, dove tutti i sentimenti sono espressi “grandiosamente”e perfino istrionicamente -. Inoltre non va sottovalutata la Parola shakespeariana, che già da


sé delinea il personaggio, se è affrontato con la necessaria cura. Poi c’è il mestiere, la debita malizia, le regole che hai imparato. Vittorio Gassman arrivò a dire che, oltre al bagaglio artigianale, tutto da mettere in campo, “i costumi e le scene avrebbero fatto il resto”. Quello di cui parlo è proprio la base del mestiere, la tecnica, sulla cui intelaiatura metterai poi la tua “verità”, che col tempo sarà la verità del personaggio. Diffiderei semmai di certi soloni del teatro di ricerca che disdegnano la tecnica per concentrarsi su un presunto approccio di completa aderenza alla psicologia del personaggio spesso dimenticando così di pronunciarne bene le battute! Sheakspeare ha descritto l’uomo nella sua interezza, attraverso i suoi tanti personaggi. Quanto influiscono su di lei queste complesse interpretazioni e quanto influisce lei su questi personaggi? La forza drammaturgica di Shakespeare sta nel fatto che egli ha inventato veramente l’Uomo con tutti i suoi pregi e difetti, come prima di lui non era riuscito a nessuno. Tutto il Teatro successivo ne è debitore, e dopo il Grande Bardo la Scena non sarebbe più stata la stessa. Affrontare Shylock o Riccardo III è bagnarsi di ricchezza interpretativa perché Shakespeare ti offre sempre una chiave multiforme di approccio, che oltre ad essere formale e stilistica è di per sé psicologica, ma anche poetica e storica. L’incontro con questi personaggi è anzitutto un arricchimento culturale, e una perenne scoperta delle varie angolazioni umane. A quelle, come dicevo, io porto me stesso. E posso dire, senza falsa modestia, che ogni qualvolta ho affrontato un grande personaggio classico si è parlato di me come dell’interprete “ideale” - questo mi è accaduto non solo con Shakespeare ma anche con Goldoni, Moliere, Gogol. Quali sono le prossime date teatrali che attende con maggior impazienza? In genere le tappe a cui tengo maggiormente sono il Verdi di Pisa, che è la mia città, il Piccinni di Bari - che è un teatro che mi ha sempre affascinato -, il Ghione di Roma - la vetrina per eccellenza -. Fino all’anno scorso c’era sempre la tappa della Versiliana a cui tenevo molto, ma la cui nuova direzione artistica preferisce privilegiare altri tipi di operazioni - il che è legittimo, ma dal mio punto di vista anche un po’ miope, perché i miei spettacoli laggiù hanno avuto un esito pressoché trionfale -. E da questa stagione debbo ricordare fra le nostre tappe il graditissimo ritorno del magnifico teatro Goldoni di Livorno, una città che mi ha sempre seguito con simpatia e calore. Una tappa a cui tengo tantissimo, due anni fa vi raccolsi un ottimo successo con La locandiera di Goldoni, sempre con Eva Robin’s. Livorno e il Goldoni mi hanno sempre dimostrato una lungimiranza difficile da riscontrare, e non è un caso che, grazie all’ottimo direttore generale Marco Bertini, quest’anno la

Fondazione sia al nostro fianco in questo importante progetto shakespiriano. Passiamo al cinema. A Natale esce il nuovo film di Pieraccioni che la vede come uno degli interpreti. Che differenza sente tra il Buscemi del teatro e il Buscemi del cinema? Nessuna in particolare, senonché in teatro l’attore per essere efficace deve aggiungere, essere “maschio”, in cinema si lavora per sottrazione, e affidarsi “femminilmente” alla macchina da presa che dovrà essa possederti. Peraltro, essendo Pieraccioni un degno epigono degli autori della commedia all’italiana, anche in questo caso mi si è chiesto di privilegiare la mia “maschera”, portando perciò nuovamente il personaggio a me stesso - il cui nome, guarda un po’, è Argante Buscemi! In Italia, per rivalutare il lavoro dell’essere attore, si dovrebbe lavorare prima sul cinema o sul teatro? Oppure le due scuole vanno di pari passo? Il vero attore è quello teatrale; per fare cinema non occorre affatto esserlo. Anzi, dirò di più: il vero attore al cinema appare sempre un po’ incongruo, eccessivo, fuori luogo, perché sulla scorta dell’esperienza teatrale tende a esagerare. Non è un mistero che un grande attore come Vittorio Gassman, già celebre in teatro, abbia così tanto dovuto lottare per affermarsi nel cinema - e lo fece, guarda caso, dopo ben quindici anni inventando una “maschera”, quella di Peppe er Pantera de I Soliti Ignoti, con la quale riuscì finalmente a camuffare e a rendere digeribile la propria invadenza teatrale anche nel cinema-, o che un altro campione come Gigi Proietti - che fu mio maestro - abbia sempre stentato nei ruoli cinematografici, affermandosi poi perentoriamente solo nella fiction col Maresciallo Rocca - che è tutta un’altra cosa -. Il cinema italiano poi usa in genere “tipi” un po’ sciapi e melensi in mancanza del comico di turno! Perciò è difficile parlare di una scuola propriamente cinematografica.

Dato che in Italia dopo Fellini, Antonioni, Visconti, Scola, Risi, abbiamo lasciato tutto in mano al cinema americano. Alle scuole di teatro, poi, io non credo affatto: producono veri e propri “portatori di birignao” cronici, che giudico inascoltabili. L’ideale è sempre e solo lavorare, se si è giovani eleggendo un mentore, un punto di riferimento. Il che non è facile, mi rendo conto. Quand’ero ragazzo e cercavo una strada io ho incontrato veramente dei farabutti e dei perfetti incapaci che avrebbero potuto rovinarmi se non avessi reagito con personalità, e qui bisognerebbe aprire un discorso a parte sul sistema teatrale toscano che così spesso ha legittimato le scorribande di personaggi del tutto impreparati soltanto perché appoggiati politicamente. Mi tolga qualche curiosità: ma un attore quanto recita nella vita reale? Personalmente, a parte un certo divertimento per l’istrionismo che mi contraddistingue e che uso volentieri, dopo tanta finzione preferisco la verità, quella assoluta. E perciò la vita reale per me rimane tale. Anche se, per le cose che ho detto prima, delineo malvolentieri il confine fra teatro e vita reale, che possono interagire facilmente: l’importante è l’onestà intellettuale in quello che fai. Se consideriamo l’andare al cinema o a teatro come una sospensione della realtà, che però ci pone in riflessione con essa offrendoci delle storie da confrontare con noi stessi, lei che tra palco e realtà vive la sua vita ne è condizionato o separa nettamente questi mondi intermedi? Il palco non mi ha mai condizionato, ho semmai fatto in modo che a condizionarlo fossi io - nel miglior modo possibile che il talento ha concesso a me, e che non è detto che sia il massimo da rintracciarsi in un attore -. E credetemi, l’ho sempre fatto comunque con grande umiltà e rispetto. Che sono i due ingredienti irrinunciabili per essere un teatrante. E un uomo.

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Spettacolo

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TEXT&PHOTO Elenoire

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on la sua naturale bellezza, la Toscana in estate è luogo di numerose rassegne teatrali, musicali e artistiche. I comuni più piccoli e le città più grandi sono attivissimi, nel periodo caldo dell’anno, nell’intrattenimento di turisti e residenti. Mostre d’arte, installazioni scultoree e fotografie, festival e concerti accendono le serate toscane. Aiutati dalle suggestive location naturali, anno dopo anno numerosi eventi sono attesi e ricercati appuntamenti, seguiti a livello nazionale. Antichi borghi, teatri immersi nelle nostre meravigliose colline, tratti di costa spettacolari, piazze storiche e quartieri ospitano artisti locali e internazionali della musica, del teatro, del cinema e della letteratura.

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Ogni estate migliaia di spettatori appassionati dimostrano l’efficacia dell’impegno coeso della regione per la valorizzazione del territorio all’insegna dell’arte e della cultura in tutte le sue espressioni. È questo il modo migliore per coltivare il gusto del bello e la riflessione, travalicando la superficialità che caratterizza il nostro tempo. L’impegno all’educazione artistica ed estetica dello spirito trova in Toscana uno storico e fertile terreno. Con la complicità di un paesaggio naturale e storico che il mondo intero ci invidia, all’insegna della musica, dello spettacolo e dell’arte, la nostra regione regala estati indimenticabili.

La Versiliana

Il Pucciniano

È forse uno dei festival più attesi dell’estate. Le 28 serate ospitate nella pineta dannunziana, della raffinatissima Versilia, hanno riscosso un grandissimo successo artistico, organizzativo e comunicativo. Sotto la direzione artistica di Luca Lazzareschi, La Versiliana ha confermato nella sua trentaduesima edizione l’impegno verso un’arte non scontata, estesa a 360° che ha visto in scena personaggi della cultura, dello spettacolo, del teatro: opinionisti, ballerini, musicisti e cantanti di enorme prestigio, da Travaglio, a Crozza, Grillo, Vecchioni, Proietti, Bocelli, Bregovic, Bollani, il musical Cats. Lo storico Caffè della Versiliana, guidato da Romano Battaglia, ha continuato a dare spazio alla cultura e all’informazione. Molte le rubriche quotidiane dedicate alla nostra regione: cibo, letteratura, poesia, pittura, arti visive. Un’organizzazione impeccabile che oggi può contare rapporti comunicativi con le principali testate giornalistiche, televisive e radiofoniche nazionali. Un impegno rinnovato nel tempo, che ha garantito un vero e proprio sodalizio con i più rappresentativi teatri italiani e compagnie artistiche di tutto il mondo, confermando il successo estivo conseguito edizione dopo edizione, che dà onore e merito alla nostra regione.

Nella meravigliosa cornice di Torre del Lago Puccini, in provincia di Lucca, il palcoscenico del Grande Teatro Giacomo Puccini è praticamente appoggiato sulle acque del Massaciuccoli, nella poetica atmosfera che tanto ispirò le sinfonie del famoso compositore. In questo luogo reso immortale nella sua essenza dalle note del Maestro, si è chiuso quest’anno il 57° Festival Puccini di Torre del Lago. In memoria della grande Opera Pucciniana, a Torre del Lago, anno dopo anno, si rende omaggio alla musica e all’Opera. Quest’anno la Bohème ha guidato il cartellone del Festival, con il colorato e suggestivo allestimento coprodotto con Hong Kong Opera House e Teatro dell’Opera di Roma, per la regia di Maurizio Di Mattia. La rassegna è proseguita con Turandot, Madama Butterfly, il grande musical Notre Dame de Paris, passando per il balletto di Roberto Bolle e la musica italiana di Massimo Ranieri e dei Pooh. Un festival elegante e affermato che segna con gusto e classe l’estate Toscana.

immagini ufficio stampa laversilianafestival

immagini ufficio stampa festival puccini


LuccaSummerFestival

Pistoia Blues

In Piazza Napoleone a Lucca l’estate si accende nel segno della musica. La tredicesima edizione ha confermato la storica piazza lucchese come una meta ambita da artisti musicali di fama internazionale che, estate dopo estate, hanno riempito la città di giovani e non, appassionati di grande musica d’autore di tutti i generi. Una piazza magica, raccolta e circondata d’alberi che caratterizza i concerti del Lucca Summer Fest per la loro energia compressa, mai degenerata, che ti fa gustare la vera musica. Quest’anno il palinsesto ha portato in scena Zucchero, Francesco Guccini, Liza Minelli, Jamiroquai, Ben Harper, Elton Jhon, Joe Coker, B.B. King e tanti altri. Festival segnato quest’anno dall’assenza di Amy Winehouse morta poco dopo aver annullato tutte le date in programma nel suo tour, dando tragicamente luce a tutti gli eventi saltati e grande valore ai numerosi biglietti mai rimborsati.

Giunto alla sua trentaduesima edizione, Il Pistoia Blues si è svolto all’insegna del rock&blues. Un trentennio di musica per questa famosa kermesse passata dall’avanguardia degli anni ‘80, con il rientro della musica e dei concerti live in Italia, agli anni ‘90 nei quali lo spirito rock ha superato la crisi economica. Dai primi zoppicanti anni del nuovo millennio e poi arrivata all’edizione 2011, che si è chiusa con un grande successo. Nei tre giorni di rock&blues 15 mila persone hanno assistito a performances attesissime in Italia, come quelle di Skunk Anansie e Lou Reed. Successo non solo dei concerti, ma dell’intera città, grazie alle numerosissime attività collaterali: la mostra fotografica dedicata ai Doors e il mercatino del centro storico, che ha intrattenuto fans e turisti. Un altro fiore all’occhiello della Toscana nel segno del rock.

immagini dal sito www.summer-festival.com

foto Paolo Benvenuti autorizzate da David Donato www.davverocomunicazione.com

Effetto Venezia

MetaRockPisa

Più a sud, nel cuore antico della città di Livorno, anche quest’anno dopo qualche incertezza, si è tenuta la ventiseiesima edizione di Effetto Venezia. Nello storico e suggestivo Quartiere Venezia, la Francia è stata protagonista! La festa d’estate più grande sulla costa Toscana, ha illuminato la città nell’antico quartiere attraversato da ponti e canali navigabili, adatto a ospitare le atmosfere parigine. Un elogio alla cultura francese – dopo quello spagnolo della scorsa edizione – che ha offerto 10 serate di musica lirica, jazz, cabaret, folk, con un omaggio speciale a Edith Piaf. Ogni angolo del quartiere ha offerto spaccati francesi, con strade ribattezzate con i nomi dei grandi della cultura di Francia. L’arte impressionista di Montmartre, lo sport, la lirica… un quartiere in vero stile parigino dove non sono mancati, come è ormai tradizione della kermesse lungo i fossi, i mercatini, brocantage artigianali e di antiquariato.

In quel di Pisa all’inizio di settembre, dal 1985, la città si accende di rock. Quest’anno oltre a Caparezza, Bobo Rondelli, i Verdena, BandaBardò e tanti altri, il 7 settembre Marco Travaglio, accompagnato dall’attrice Isabella Ferrari, ha proposto un inedito spettacolo. Provando a immaginare e a esorcizzare il futuro prossimo venturo dell’Italia post Barzellettiere, Travaglio ha appassionato il suo numeroso e affezionatissimo pubblico attraverso lo stile di sempre: grande coerenza, ironia tagliente e un’infallibile memoria del nostro Paese.

foto Alessandro Novi “FotoNovi” Livorno

foto autorizzate da David Donato www.davverocomunicazione.com

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musica silenzio

Spettacolo

Lajatico. Bravo Italy & Bravo China

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TEXT&PHOTO Stefano Maffei e Daniela Bagnoli

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nche quest’anno abbiamo preso parte all’appuntamento che da qualche anno si rinnova a Lajatico nel Teatro del Silenzio. Fin dal primo pomeriggio, l’aria sprizzava l’eccitazione e il fermento per la serata. Le strade che portano alla collina di Lajatico, sono state letteralmente prese d’assalto da migliaia di spettatori accorsi per questo grande ed esclusivo appuntamento. Intorno alle 18e30 siamo arrivati al teatro, nella concitazione degli ultimi preparativi: l’orchestra sul palco fa le ultime prove perché tutto sia perfetto e ai camerini è un vai e vieni di artisti, comparse scenografiche e tecnici. Arrivano Andrea Bocelli e i grandi ospiti della serata come Panariello, Nek, Eleonora Abbagnato e tutti gli altri. La serata promette bene. Il clima è ideale, a parte un forte vento che fino a poco prima dell’inizio dei concerti ci ha tenuto compagnia, forse per non far scendere la tensione. Arriva il tramonto e inizia lo spettacolo. Andrea rompe l’eccezionale silenzio delle colline: la sua voce e la musica riempiono l’aria invadendo e disperdendosi nella campagna. Un’emozione perfetta. Sembra di essere al centro del mondo. “Bravo Italy & Bravo China” si rivela un successo! L’arrivo degli artisti del Sol Levante non delude le aspettative e insieme ad Andrea, si esibiscono sul palco Lang Lang, Huang Ying, Liao

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Changyong, Lv Siqing, Li Yugang, Sisi Qiu, per regalarci uno spettacolo unico. Per la musica italiana Nek si esibisce con la sua bellissima voce, ma il cl0ù della serata è stato l’arrivo di Renato Zero! Il pubblico ha avuto un’esplosione di entusiasmo nel duetto con Andrea: emozionante! Gli spettatori, tra i quali c’erano moltissimi stranie-

ri, hanno passato un’indimenticabile serata. A nostro dire è stato uno dei più bei concerti del Teatro del Silenzio. Ma come tutte le cose, anche questo concerto è finito! Anche per questo 2011 le luci si spengono sulle colline di Lajatico per ritornare nel loro consueto silenzio. Le migliaia di persone tornano sulla strada, dirette verso casa

ma portando con sé il ricordo e l’emozione indimenticabile di questa serata, Anche noi siamo stati davvero felici di esserci stati, di aver partecipato a questa perla di musica e speriamo di tornare ancora una volta… sicuri che anche il prossimo anno, Andrea e il Teatro del Silenzio, ci regaleranno un’altra serata indimenticabile.

art food

cibo per la mente dell’artista Giovanni Maranghi

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a segnalare anche questa iniziativa artistica Eccellenze Nascoste, secondo un’idea che Andrea Bocelli ha voluto realizzare, con la regia dell’architetto Alberto Bartalini. Un altro modo per far conoscere attraverso l’arte, gli angoli del nostro entroterra e i numerosi talenti che lo abitano. Si segnala per questa edizione l’allestimento Art food – cibo per la mente dell’artista Giovanni Maranghi. Nel centro del paese di Lajatico sono state allestite le invenzioni artistiche dell’artista di Lastra a Signa che ha utilizzato gli elementi tipici dell’apparecchiatura di una tavola, per installazioni esterne, mostrando la perizia tecnica, la maestria, la creativa intelligenza delle sue opere. Calici, forchette e piatti sono stati i protagonisti di un’opera originale fatta anche di stam-

pe e materiali plastici. Oggetti antropomorfi si slanciano in maestose strutture per divenire concetti estetici di aspetti insignificanti del vivere. Maranghi ha alle spalle trenta anni di mostre in gallerie di tutto il mondo: da Parigi, New York, Berlino, Chicago, Bruxelles, per citarne alcune, cambia il ritmo e dalla galleria passa allo sconosciuto mondo delle simulazioni installate in esterno. Nell’atmosfera intima di Lajatico accompagnata dal sax di Stefano “Cocco” Cantini, Maranghi ha avuto il suo debutto in esterno. Concepire l’arte come cibo per la mente, è un ulteriore modo per mettere in collegamento il pensiero alla materia, nell’uso più comune e indispensabile che tutti ne facciamo. Il cibo e l’apparecchiatura, infatti, divengono le forme dell’elaborazione fantastica della coscienza artistica di Maranghi. (M.C)

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Musica

Giovanni Battista Lulli un fiorentino nella corte del

Re Sole

TEXT&PHOTO Gustavo Defeo

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isciplina, carisma, genialità, ambizione sono sicuramente le doti minime che hanno portato il giovane figlio di un mugnaio ai vertici della corte e della cultura francese. Giovanni Battista Lulli nacque a Firenze il 29 novembre 1632, figlio di Lorenzo di Maldo Lulli e sua moglie Caterina del Sera. Non sappiamo molto dei suoi anni giovanili, né della sua formazione a Firenze, però alcuni autori ipotizzano che già a giovane età si esibisse come violinista e commediante nella corte del Granduca. Questa circostanza lo avrebbe messo in contatto nel 1646 con Roger de Lorraine che aveva l’incarico della sua nipote Anne-Marie-Louise d’Orleans, Duchessa de Montpensier, di portargli un “petit florentin” per conversare in italiano. Lulli in poco tempo dimostra anche i suoi talenti come chitarrista e violinista oltre a diventare un rinomato ballerino negli eventi della corte della Duchessa, e nelle Tuileries. Nel 1652 la duchessa prende parte nei tentativi rivoluzionari contro Louise XIV ancora minorenne, eventi conosciuti come la Fronde. Con la sconfitta dei “frondisti” la duchessa sarà esiliata e confinata nel suo castello de Saint-Fergeau. Lulli chiederà il congedo dei suoi servizi, per trasferirsi a Parigi. Tre mesi dopo, nel febbraio del 1653, parteciperà nel Ballet de la nuit de Jean de Cambefort (1605 – 1661), insieme al medesimo Louis XIV personificando il Re Sole, appellativo con cui il monarca sarà conosciuto dopo questo evento. In poco tempo Lulli sostituisce nella corte al compositore Lazzarini avendo il titolo di “compositeur de la musique instrumentale”. Durante le celebrazioni del matrimonio tra Louis XIV e l’infanta Maria Teresa de Spagna, Lulli compone intermezzi di balletto per l’opera Serse di Francesco Cavalli (1602 - 1676), che il Cardinale Mazzarino invitò per l’occasione. Non soddisfatto con la Grande Bande des violons du Roy (orchestra della corte) Lulli crea l’ensemble Les Petits Violons che brevemente sarà il gruppo strumentale più rinomato per eccellenza e disciplina. Nel 1661 diventa cittadino francese e cambia il suo nome a “Jean-Baptiste Lully”. Nello stesso anno Louis XIV lo nomina “Surin-

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tendant et Compositeur de la Musique de la Chambre du Roi”. La sua influenza sulla corte rimarrà incontrastata per tutta la sua vita. Nel 1662 sposa Madeleine Lambert, davanti allo stesso Louis XIV, la regina Maria Teresa, e la regina madre Anna d’Austria come testimoni. Da quest’unione nasceranno sei figli (tre maschi e tre femmine) tra cui due compositori: Louis e Jean-Baptiste “il giovane”. Lully collabora con Moliere in diversi comédies-ballets, che saranno le basi dell’opera francese. Le comédies-ballets furono create circa un secolo prima da un altro italiano, Baldassarino di Belgioijoso (1535-1587) che mise in scena su richiesta della regina Caterina, spettacoli di musica, parola e danza, denominati “Balet comique de la Royne”. Nell’anno 1663 compone la sua prima opera o “Tragédie Lyrique”: Cadmus et Hermione con libretto da Philippe Quinault. L’innovazione principale che Lully apporta all’opera, consiste nell’uso della lingua francese anziché italiana, un’introduzione e cinque atti, e le parti femminili nei balletti attuate da donne. Cadmus et Hermione avrà un successo tale che il suo stile dominerà il melodramma francese più di un secolo dopo la morte di Lully. Perfino Giuseppe Verdi e Richard Wagner tra altri notissimi compositori, furono costretti due secoli dopo, ad aggiungere balletti nelle loro opere per le rappresentazioni parigine.

Sopra: Giovanni Battista Lulli – Jean-Baptiste Lully A fianco: Louis XIV rappresentando il Re Sole nel Ballet de la Nuit

La produzione di Lully sarà tanto vasta quanto il suo potere. Nel 1681 diventerà segretario del Re, elevandosi al rango di nobile e firmando i suoi lavori come “Monsieur de Lully, écuyer, conseiller, Secrétaire du Roy, Maison, Couronne de France e de ses Finances, e Surintendant de la Musique de sa Majesté“ (Signore de Lully, Cavaliere, consigliere, segretario del Re, della casa, della corona di Francia e delle loro finanze, e Soprintendente della musica de sua Maestà). Lully scrisse sedici opere e svariati pezzi di balletto e strumentali. La sua prematura morte avvenne in modo assai bizzarro: durante la rappresentazione del suo Te Deum, in ringraziamento per un ben riuscito intervento chirurgico a Louis XIV, e mentre dirigeva l’orchestra con un pesante bastone (com’era d’uso in Francia), batté fortemente un suo piede ferendosi, e creandosi un ascesso che poco dopo diventerà cancrena. Lully rifiutò l’amputazione, e morì poco dopo, il 22 marzo del 1687, all’età di cinquantacinque anni, ferito a un piede come Achille nella sua ultima opera incompiuta Achille et Polixena. Le opere di Lully si continueranno a rappresentare più di cento anni dopo la sua morte. Altri compositori lo succederanno tra questi, forse il più grande contendente: Jean Philippe Rameau (1683 - 1764). Le rappresentazioni operistiche fino alla fine del diciannovesimo secolo hanno generato due schieramenti: quello dei “Lullisti” e quello dei “Ramisti”, dibattito che ancora sussiste tra i cultori della musica antica.



Intervista

Miranda Martino

di

TEXT&PHOTO Carla Cavicchini

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assione. Tanta. Tanta da metterne a chili e… i risultati continuano a vedersi. Instancabile ed ancora bellissima, la osserviamo con camicetta romanticissima ben abbottonata, pantaloni neri dalla bella piega, e sandali scuri alti che le allacciano ben bene le caviglie. Ma è la pettinatura a colpirci, sì, quel caschetto “tiziano” di taglio giovanile, che le dona non poco. Miranda. Miranda che niente ha a vedere con la “Miranda” de: Il diavolo veste Prada, poiché la Martino è dolcissima, mentre mi racconta tante cose, col bel rossetto pitturato, dopo aver ricevuto il “Premio Auser Filo d’Argento” nella magnifica cornice di Palazzo Vecchio a Firenze. «Sai cara, all’inizio della mia carriera tutto era faticoso… forse non ero nata col sacro fuoco dell’arte, dopo mi appassionai: l’entusiasmo arrivò producendo da sola gli spettacoli - e non ho smesso! - con dei recital napoletani apprezzatissimi, sì, veramente belli. Adoro esprimermi in canto e recitazione, faccio monologhi, poesie, raccontando melodie partenopee del ‘700, ‘800 e anche del ‘900. Perché ti ho detto tutto questo? Perché mio padre era professore di Diritto ed Economia e amava farmi ascoltare le canzoni napoletane classiche mentre le suonava a orecchio col pianoforte. Però non amo la cartolina edulcorata, preferisco la Napoli vera, poetica, musicale. Dal ‘93 ho prodotto 5 spettacoli. Il primo è stato: Sole, sorbore e nespole amare. Un pezzo del ‘600 napoletano, spettacolo sulla vita e aneddoti degli attori e poeti partenopei, il tutto con un artista e un gruppo sinfonico completo di mandolinistica. Sempre su Napoli, Silenzio Cantatore eppoi altri: Napoli senza tempo, I miei anni ‘60 e ultimo, Le donne di Brecht di Viviani e le altre, dove ho unito tutte le canzoni sul tema della donna dei due grandi drammaturghi, il primo colto e l’altro molto popolare, unendole anche ad altre quali Non è Francesca, Michelle, etc., capaci di

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C

dama uore

Nella foto: il Presidente del Consiglio Comunale di Firenze Eugenio Giani con Miranda Martino

evocare il nome di donna. Come un collage di lettere di grandi figure come Isabella Allende, la Dickinson e altre. Spettacolo che ho prodotto da sola. E adesso continuo la mia storia come cantante e come attrice» I suoi maestri? Taranto, Macario, Dapporto, Albertazzi, Foà, Scaccia, Squarzina, straordinari soprattutto i primi, quelli del teatro leggero dal ‘62 al ‘66. Pur non avendo fatto l’Accademia, sul palco ci sono sempre saputa stare, in me era congenito l’aplomb ed il physique du role che vuoi… a 22 anni vinsi alla Rai il concorso Voci nuove per Sanremo; ero in erba, acerba, poi… le piazze fatte per 25 anni.. erano lezioni di vita pura… davanti a 3000 persone chi la voleva cotta, chi cruda, mah! Ti dico una cosa: il toscano forse grazie al suo spirito caustico, graffiante, immediato, è quello che recepisce meglio: seguono romagnoli, lombardi, il pubblico veneto e poi quello piemontese. Ultimo Napoli! Penultimi i siciliani poiché… non captano subito. Questione di tempi!

Lo sa che noi “recettori” migliori, la ricordiamo bizzarra in Full Monty? Oddio… godevo da matti a fare la barbona, mentre vestita da lampadario con tutti quei lustrini… però fa effetto! Signora, lei morde la vita… Eh no bella mia, la vita non risparmia niente a nessuno, ho avuto anch’io, come del resto tutti, i miei bei momenti neri, riuscendo però sempre a risalire grazie alle mie qualità… sennò mi sarei ritrovata a far… la maestrina elementare! In effetti non dà l’idea della maestrina dalla penna rossa come quella del libro Cuore, però ha occhi luminosi mentre parla del figlio... Quand’era in pancia dissi: - deve imparare a nuotare ed anche la lingua inglese - ma non come me che sono troppo maccheronica! Lo feci nascere a Londra, eppoi all’età di sette anni andò in Inghilterra facendo su e giù la spola come me. È il mio orgoglio, ha fatto studi sulla comunicazione, sul marketing, gode d’enorme volontà e… grazie a quella, smuove le montagne. Lei non è da meno. Sono convinta che nella borsetta “tiene” cuore e piccone.



DRAMMATICO

This Must Be the Place Regia: Paolo Sorrentino Distribuzione: Medusa Data di uscita: 14 ottobre 2011

Cheyenne, ebreo, cinquantenne, ex rock star di musica goth, rossetto rosso e cerone bianco, conduce una vita più che benestante a Dublino. Trafitto da una noia che tende, talora, a interpretare come leggera depressione. La sua è una vita da pensionato prima di aver raggiunto l’età della pensione. La morte del padre, con il quale aveva da tempo interrotto i rapporti, lo riporta a New York. Qui, attraverso la lettura di alcuni diari, mette a fuoco la vita del padre negli ultimi trent’anni. Anni dedicati a cercare ossessivamente un criminale nazista rifugiatosi negli Stati Uniti. Accompagnato da un’inesorabile lentezza e da nessuna dote da investigatore, Cheyenne decide, contro ogni logica, di proseguire le ricerche del padre e, dunque, di mettersi alla ricerca, attraverso gli Stati Uniti, di un novantenne tedesco probabilmente morto di vecchiaia.

THRILLER Regia: David Cronenberg Distribuzione: Bim Data di uscita: 30 settembre 2011 Alla vigilia della prima guerra mondiale, Zurigo e Vienna fanno da sfondo a una complicata storia di scoperte intellettuali e sessuali. Basato su eventi reali, il film osserva le relazioni burrascose tra Carl Jung, psichiatra alle prime armi, il suo maestro Sigmund Freud e Sabina Spielrein, la bella giovane paziente che si frappone tra i due. Nel triangolo si inserisce anche Otto Gross, un paziente sedizioso, determinato ad allargare il più possibile i propri orizzonti. La loro personale esplorazione della sensualità, dell’ambizione e dell’inganno spinge Jung, Freud e Sabina a mettere in discussione e cambiare per sempre la natura del pensiero moderno.

COMMEDIA

SOLO IL MEGLIO DEL CINEMA a cura di Kirilla

A Dangerous Method

Mezzanotte a Parigi

Regia: Woody Allen Distribuzione: Medusa Data di uscita: 2 dicembre 2011 Midnight In Paris è una storia romantica ambientata a Parigi, nella quale s’intrecciano le vicende di una famiglia, in Francia per affari, e di due giovani fidanzati prossimi alle nozze; tutti alle prese con esperienze che cambieranno per sempre le loro vite. Il film è anche la storia del grande amore di un giovane uomo per una città, Parigi e dell’illusione di tutti coloro che pensano che se avessero avuto una vita diversa sarebbero stati molto più felici.


Cara maestra abbiamo perso (Pippola music/ Audioglobe) Nell’Italia della crisi c’è un grande fermento creativo in campo di cantautorato. Un altro interessante nome è sicuramente quello di Antonio Di Martino che con questo album, ripercorre territori musicali cari a: R. Gaetano, I. Graziani, L. Tenco, ma mantenendo una forte personalità si proietta tra i nomi che spiccano attualmente sulla scena italiana. Non è un caso che nel brano Parto ci sia Vasco Brondi o nel brano Lavagna Sporca partecipino A. Fiori e E. Gabrielli dei Mariposa. Tutto ha un sapore vintage ‘70 - ’80, un disco molto interessante con testi tra l’umano, l’attuale e il passato con buon sarcasmo.

Matteo Castellano Ezio (K-Brothers)

I Cani (42 Records)

Testi interessanti su musica Synth Pop, lo-fi, pop punk, new wave ‘80, in alcuni passaggi ricordando un primo Max Gazzè e affascinano con questo loro primo lavoro. Tutto intravisto da una polaroid che scatta immediate immagini sociali. Ogni categoria viene menzionata. Frizzanti, goderecci nelle ritmiche, ti sbattono in faccia la nuda realtà di tutti i giorni. L’album è un esempio made in italy di sonorità alla moda che ti entrano dentro, facendoti viaggiare nei ricordi. Pop-synth-pop da fare ricordare a tratti A. Camerini in certe facilità sintetizzate.

a cura di Luca Gennai

Il sorprendente album d’esordio dei cani

Cantautore, punta di diamante del cantautorato torinese, trentenne d’estrazione busker, da qualche stagione si è fatto notare a livello nazionale come uno dei più singolari. Giunto al secondo album dopo Funghi velenosi del 2005 accolto benissimo dalla critica, Matteo vive in un mondo tutto suo e le sue canzoni sono personalissime. Tra swing, blues, folk urbano ubriaco, i testi rivelano significati sociali inaspettati. Collocabile, incollocabile, sicuramente tra I Gufi o un Buscaglione contaminato da Jannacci. È un talento di vero spessore, unico nel panorama dei cantautori italiani. Su tutti spicca il brano Se dipingessi Cristo. Nel 2010 un suo brano inedito è apparso sul Lp di autori vari Disagi.

LA MUSICA CHE CI PIACE ASCOLTARE

Dimartino

Fraulein Rottenmeier

Elettronica Maccheronica (Self) Elettronica Maccheronica è un sorprendente mix di melodia pop, ritmi dance, attitudine punk e teatralità in bilico tra il kitsch e la canzone d’autore. Cesellato da un buon lavoro di produzione e il missaggio dell’accoppiata G.M. Accusani – E. Berto, fa si che la band (trio bresciano attivo dal 2008) appaia molto diversa dalla linea rock dei primi lavori. Questo Elettronica Maccheronica è un album che non puo lasciare indifferenti. Buona ricerca del look, atipico per il nostro paese, con la voce del cantante G. Laini che rimane bene impressa e incastonata, in sonorità Dance ’90, Punk e Dark. Personalmente trovo questo lavoro tra i piu interessante dell’anno. Attenti al brano Dancefloor sublime base techno su testo italiano, già omaggiata da molti remix.

Reality

LA VETRINA



Mara TEXT Domenico Savini PHOTO Andrea Cianferoni

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ncontriamo Mara Maionchi al Bagno Rosina, a Marina di Pietrasanta. Questo lembo di spiaggia, al confine con Forte dei Marmi, è da sempre considerato il più elegante di tutta la Versilia. Confina a ovest col mitico Bagno Piero, a sud-est col Twiga; si dice che tutti gli stabilimenti balneari più belli sono quelli dalla Capannina verso Marina di Pietrasanta, o, per lo meno, è tradizione considerarli tali; anche se molti bagni mitici del Forte sono situati nelle zone che vanno dalla Capannina al Pontile e anche dal Pontile verso Cinquale: una nutrita schiera di splendidi e storici stabilimenti. Imbarazzante è la scelta! Questa geografia del luogo è uno degli elementi delle conversazioni tra amici e Mara, amichevolmente insieme alla mitica Elettra Marconi, vera icona di questi posti, è arrivata con la nipote Silvia, per un’intima e quasi familiare chiacchierata davanti alle schiacciatine e alle pesche e pinoli, che come da tradizione balneare, sono quello che più si confà a un dejunér sulla spiaggia. Siamo all’ombra del grande tendone, al fresco, e le amiche rievocano e raccontano i loro ricordi della Versilia e della Toscana in genere. «La mia famiglia è originaria della To s c a n a » racconta la Maionchi. «I miei bisnonni erano in relazione con i Puccini, parenti del grande musicista. Si può dire, quindi, che

Intervista

are di

il

da cinque generazioni i Maionchi sono legati alla Lucchesia, e tutto ciò ha forse contribuito a farmi scorrere la musica nelle vene, nel sangue. I miei nonni erano di Montecarlo di Lucca» continua Mara; «mio padre è nato a Lucca stessa, e d’estate venivamo in Versilia, dove avevamo dei parenti che avevano casa a Viareggio e al Forte. Dal 1965 ininterrottamente vengo qui; dunque è un rapporto, quello con questi luoghi, che dura quasi da cinquant’anni. La mia famiglia e io siamo fedeli da tantissimi anni al bagno Albertina, a pochi passi dalla mitica Capannina. Mi piace tutto di qui», aggiunge Mara, «soprattutto il senso di continuità che si avverte ovunque. Poche cose sono cambiate, forse l’arrivo di molti stranieri, almeno così dicono, ha mutato qualche abitudine; ma è qualcosa che francamente non mi disturba più di tanto. Il resto è come da copione, il rito dei giornali la mattina, la bicicletta, la spiaggia; il senso della vacanza tranquilla, non avventurosa. Da qui si ritorna al lavoro e alla vita di città rigenerati, rinfrancati, riposati; non come certe vacanze alla Robinson Crusoe, che sono piuttosto sfide estreme, quasi corsi di sopravvivenza, e da cui si torna stremati. Da quel tipo di esperienza ci vorrebbe un ulteriore periodo di riposo per riprendersi! La tranquilla vita del Forte: le serate dagli amici, nei bei giardini delle ville; la Capannina, più casa di tutti che vero e proprio locale, così rassicurante. Da più di ottant’anni simbolo di continuità: questo è quello che mi piace!». Mara duetta con l’amica Elettra Marconi, sul filo dei racconti e dei ricordi. Due forti personalità, due donne realizzate e positive. Sotto il tendone del Rosina regna il buonumore. Accomunati tutti, infine, chi racconta e chi scrive, dal grande amore per questi luoghi: montagne, spiaggia, mare. Il nostro mare, a volte arrabbiato, a volte splendidamente tranquillo e sereno, come in questa giornata d’agosto. Il mare del Forte. Il mare di Mara.

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Montecarlo nel

grace

segno

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

Eventi

di

A

Montecarlo 350 ospiti vip si sono riuniti da tutto il mondo per celebrare il lancio mondiale della “Montblanc Collection Princesse Grace de Monaco“. Montblanc ha voluto così rendere omaggio alla leggendaria principessa e allo stesso tempo dare un sostegno alla Fondazione

Montblanc, storica azienda di penne, rende omaggio alla leggendaria principessa con una serie speciale. Principessa Grace-USA. Grace Kelly, è ancora oggi una donna ammirata per il suo stile senza tempo, il suo talento artistico, e viene ricordata per il suo impegno per le persone meno fortunate. La collezione consiste in un set di gioielli, orologi e strumenti di scrittura fedeli allo stile intramontabile della principessa. L’evento, alla presenza del Principe Alberto di Monaco e della sua novella sposa la principessa Charlene, si è svolto prima all’Opera Garnier di Montecarlo, dove uno spettacolo in tre atti ha ripercorso le tappe della vita e della carriera della giovane Grace, prima attrice ad Hollywood, infine consorte del Principe Ranieri di Monaco. Successivamente gli ospiti si sono spostati all’Hotel de Paris per partecipare al pranzo di gala. Ormai da alcuni anni Montblanc ha instaurato un rapporto molto speciale con il Principato di Monaco avendo già realizzato nel 2007 la “Prince Renier III Limited Edition 81” una penna stilografica limitata a soli 81 pezzi, in omaggio al defunto principe. Inoltre lo scorso luglio, Montblanc ha realizzato la penna in oro bianco ornato con 161 rubini e 128 diamanti, con la quale il Principe

Alberto ha firmato l’atto di matrimonio con la sua futura moglie. Montblanc ha sostenuto artisti e iniziative culturali per decenni, e sta adesso rafforzando il proprio impegno per l’arte con l’introduzione di una partnership con la Fondazione Principessa Grace, una organizzazione non-profit con sede a New York istituita per sostenere gli artisti emergenti nel teatro, nella danza, nel cinema Nelle foto: Un’immagine dell’esposizione; I principi di Monaco con Lutz Bethge; Eva Herzigova; La principessa Caroline e Charlene; Jerry Hall; Ospiti; La salle Empire dell’Hotel de Paris

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opo 10 serate di scatti fotografici ai quasi 1000 ragazzi che hanno partecipato ai Casting di FaceOn Carismi, il tour che ha attraversato la movida toscana dell’estate facendo tappa nei locali più gettonati, da Montecatini a Marina di Pietrasante, da Follonica a Calafuria, fino a Marina di Pisa, ha avuto il suo epilogo festoso il 1° ottobre all’Ostras Beach di Marina di Pietrasanta dove sono state consegnate le simpaticissime Smart Carismi StayOn The Road, ambitissimo premio per i 3 vincitori. Sara 23 anni e Marco 29, si sono aggiudicati la Smart perchè supervotati durante il concorso estivo sul sito www.carismitwb.it e Annalisa 27 anni, ha vinto in quanto fortunata estratta tra gli oltre 1600 ragazzi che si sono collegati per eleggere la ragazza ed il ragazzo Carismi T.W.B. Dopo la versione estiva, adesso Carismi continua a giocare con i propri clienti lanciando un nuovo concorso che utilizza la stessa logica della votazione delle foto sul sito. YOUON CARISMI è un gioco in quattro tappe al quale si partecipa inviando una foto tematica che potrà essere votata direttamente sul sito www.carismitwb.it. Si inizia con YOUON HOLIDAY inviando le foto delle vacanze e si prosegue con YOUON SPORT, YOUON FRIENDS e YOUON FASHION. In palio i gadget Carismi T.W.B. e la partecipazione alla trasmissione Agenda di RDF in cui si tratta di spettacoli, di musica e concerti. I concerti del MANDELA FORUM di Firenze saranno infatti i premi che potranno aggiudicarsi i clienti Carismi che presentano nuovi amici under 30. ... e non finisce qui! per i nuovi clienti Carismi T.W.B. ogni 6 mesi c’è la possibilità di vincere la Smart Carismi StayOn The Road. STAY ON!!! veniteci a trovare su www.carismitwb.it e su www.facebook. com\stayoncarismi... le sorprese non finiscono mai...




Qualità, professionalità e una garanzia firmata

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el 1973 Elio Grasso compiuti gli studi di specializzazione conciaria, avvalendosi delle nozioni teoriche apprese, nonché dell’abilità pratica già acquisita, iniziava una carriera che lo avrebbe portato giovanissimo a fondare la propria conceria. Inizialmente la produzione si basava su mezzi vitelli adatti per pelletteria e calzatura. A metà degli anni ’80 Elio decide di cambiare la produzione: la calzatura si fa con il vitellino al vegetale. La scelta è arguta e ben calcolata: la Mangusta Pellami diviene una delle concerie piu grandi e con le tecnologie più avanzate di Santa Croce sull’Arno. Nel 1998 nella società entrano anche le giovani leve: il figlio di Elio, Andrea, dopo essersi diplomato come perito chimico, affronta un lungo stage presso un’industria chimica, per consolidare la propria formazione come conciatore e portare in azienda le proprie capacità, i freschi studi e la creatività di un giovane intraprendente. Nello stesso anno la produzione torna a utilizzare il mezzo vitello da calzatura e pelletteria: il tempo del vitellino al vegetale è finito. Nel 1999 entra in azienda anche il secondo figlio di Elio, Luca: l’azienda è al completo per un lavoro di squadra che si appresta a durare nel tempo e nelle generazioni. Oggi la conceria Tecnologie Mangusta Pellami srl è una solida realtà di Santa Croce sull’Arno con una produzione di mezzi vitelli per calzatura e pelletteria e mezzi gropponi per cintura. Una conceria giovane e dinamica, che sta al tempo con le tecnologie e le nuove trattazioni conciare. Capace di soddisfare ogni esigenza del cliente con una produzione che si rivolge al mercato mondiale con pellami per la produzione di borse, cinture e calzature sia per l’uomo che per la donna. La produzione principale è costituita da mezzi vitelli prontomoda, mentre un secondo settore dell’azienda è dedicato alla produzione da mezzi gropponi per cintura: lisci, abrasivati, lisci nappati, articoli invecchiati ed ingrassati. La conceria è sempre sul mercato, partecipando alle principali fiere mondiali del settore pellami: Linea Pelle - Bologna - e a fiere internazionali quale ad esempio quella di Parigi. Il prossimo appuntamento è a Bologna.

Stand D51-D53 Pad. 16

Conceria dal 1973 Tecnologie Mangusta Pellami s.r.l. viale Antonio Meucci 6 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 33436 - Fax 0571 381661 tecnologiemangusta@interfree it www.tecnologiemangusta.com

Industria

Tecnologia e reatività C


Convegno

Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato

ed conom a TEXT Carlo Baroni PHOTO Riccardo Lombardi

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a religiosi come don Sturzo che portò la fede nella politica, o don Milani che alle soglie del ‘68 mise al centro del suo impegno la cultura che è il perno di una Nazione. I cattolici hanno dato un forte contributo allo Stato unitario anche sotto il profilo economico con la nascita della casse di risparmio, la banche di credito cooperativo, le banche popolari. Grande è stato il contributo delle congregazioni di vita attiva - basti pensare ai Salesiani - le quali hanno realizzato politiche sociali di grande valore con i governi che si sono susseguiti al potere nei primi decenni dell’Italia unita. In termini civili queste iniziative hanno

L’Unità d’Italia passa anche dall’impegno di grandi economisti, dal lavoro delle congregazioni, dal contributo forte del mondo cattolico avuto il merito di anticipare la conquista dei diritti fondamentali della donna e dell’uomo in un periodo in cui la preoccupazione della società civile era quella di “fare gli italiani”. L’aspetto più straordinario di questo fenomeno di

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grande e profonda emancipazione civile è che nasce come riflesso a indubbie violenze e prevaricazioni nei confronti dei cattolici. In seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici avvenuta nella metà dell’800, sono sorte nuove congregazioni di vita attiva, appunto che hanno costituito una rete di istituti assistenziali, in prevalenza scolastici o ospedalieri, ma anche nuove case editrici, società per azioni o banche con finalità sociale, che hanno accompagnato le realizzazioni dello Stato in questi campi, spesso precedendole, e garantendo aiuto e assistenza soprattutto nei luoghi più trascurati e per le fasce di popolazione più disagiate. La crescita delle comunità sotto il profilo economico, sociale e culturale sono stati il più grande contributo alla nascita dell’Unità Nazionale. Tutti questi argomenti sono stati al centro del convegno sul

tema “La Costruzione dello Stato unitario dal 1861 ad oggi: ideali, progetti, attuazioni” organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato in collaborazione con la Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice e con l’Associazione Economia e Legalità. Di rilievo i due relatori introdotti dal presidente della Fondazione Crsm Antonio Guicciardini Salini che ha ricordato la promozione annuale di un convegno di alto profilo e la scelta di questa tematica che si colloca nelle iniziative per i 150 anni dell’Unità d‘Italia: il professor Daniele Rota e il professor Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di economia politica all’Università Cattolica che ha tratteggiato le figure di due pilastri della costituzione economica italiana: Luigi Enaudi ed Ezio Vanoni. Il loro impegno e le loro intuizioni sono state preziose per fare l’Italia.


Solidarietà

Burkina

nsieme per il

TEXT Ada Neri PHOTO Chiara Tani

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l 30 settembre 2011 presso la mensa della fabbrica del Gruppo Biokimica si è svolto il 2° appuntamento dopo quello del 3 settembre del 2010, a favore del Burkina Faso. L’evento organizzato con la Diocesi di San Miniato, il Comune di Santa Croce sull’Arno, la Prepositura, la Pro Loco, il Movimento Shalom e il Gruppo Biokimica, vede fra gli ospiti il Prof. dr. Giuseppe Fabrizi Presidente dell’Associazione ARCObaleno Onlus, Don Vito Impellizzeri Docente di Teologia all’Università della Sicilia, il Console del Burkina Faso in Italia Sig.ra Rossella Segreto Annigoni, e l’Avv. Pino Deroma amico e collaboratore del Prof. Fabrizi nella realizzazione di progetti di cooperazione internazionale a favore del Burkina. La serata che ha avuto la regia del Dr. Angelo Scaduto è stata introdotta da Monsignor Fausto Tardelli e subito dopo dal Sindaco Osvaldo Ciaponi che hanno sottolineato la necessità di una società solidale che sappia aiutare i bisognosi. Subito dopo il Dr. Scaduto ha ribadito lo stesso concetto sottolineando che questo desiderio di aiutare chi ha bisogno sia universalmente condiviso dalle persone visto che la stessa parola “umanità” vuol dire “amore per l’uomo”. Al Nunzio Apostolico del Burkina S.E.R. Monsignor Vito Rallo, in collegamento via internet fin dall’inizio della serata, il Dr. Scaduto chiede se nelle rendicontazioni annuali delle offerte ricevute, per quanto riguarda l’offerta del 30 settembre, possa usare la dizione “offerta ricevuta dagli amici di Santa Croce sull’Arno”. Monsignor il Nunzio con un sorriso, intravisto dallo schermo, ha dato ad intendere che la cosa è fattibile e ha ribadito l’importanza del gesto compiuto da tutti i presenti con la loro adesione alla serata

Morello, Don Andrea Cristiani, il Console e tutti i presenti, ringraziando ancora per avere dato seguito alla serata del 3 settembre 2010, nella speranza di ripeterci il prossimo anno. Merita, a questo punto, esprimere un sentimento di gratitudine nei confronti dei presenti , il proprietario del Gruppo Biokimica primo fra tutti per l’ospitalità, i rappresentanti delle Associazioni

Essere volontari oggi vuol dire non porre limiti o confini al desiderio di aiutare chi ha bisogno

di beneficenza organizzata. Ci ha definiti, per il secondo anno, un regalo della provvidenza divina e ha salutato con cordialità Monsignor il Vescovo, il Sindaco, Don

presenti quali il Rotary San Miniato e quello di Santa Croce, la Fidapa, la Misericordia, la Pubblica Assistenza, il Direttore sanitario dell’Usl 11 dott. Colombai, gli Assessori del Comune dott. Alessandro Valiani, la dott. Mariangela Bucci. il geometra Piero Conservi, il Biancoforno, la Parrocchia, nonché tutti gli amici imprenditori e comunque a vario titolo facenti parte della società civile che ci hanno voluto sostenere in questo progetto di solidarietà che vede in Monsignor il Nunzio del Burkina il nostro punto di riferimento ma anche di unione con l’esperienza solidale di Mazara del Vallo, città natale del Nunzio. Alla serata purtroppo non è stato presente il Sindaco di Mazara del Vallo, On. Nicola Cristaldi, che per motivi di salute è stato impossibilitato a venire. A lui va il nostro saluto e l’augurio di una pronta guarigione.Di solito in un articolo non è previsto un P. S. ma meritano di essere ringraziate tutte le volontarie che ci hanno aiutato per la realizzazione della serata.

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Industria

50

anni

conceria

onchiglia c la

portati bene!

TEXT Luciano Gianfranceschi

C

he festa, che festa, quella festa! Se ne continua a parlare, tra chi è intervenuto e s’è divertito e chi l’ha soltanto sentito dire, perché i cinquant’anni d’attività della conceria La Conchiglia, di Santa Croce sull’Arno, sono stati davvero un evento. Organizzato da chi è abituato a lavorare sodo, ma in notte di mezza estate 2011, ha fatto sognare gli invitati presso il ristorante Colleoli a Palaia. Non soltanto per la musica in sottofondo e l’allegria spontanea, quanto per l’atmosfera cordiale, da rimpatriata, anche se si trattava di titolari e fornitori, maestranze e principali clienti. Su ogni tavolo conchiglie, benaugurali. A fare gli onori di casa, per la proprietà, due dei titolari - Renzo Botrini e Patrizia Pacini - poi più eccitati che emozionati davanti all’enorme conchiglia, e alla torta con il numero del mezzo secolo di successo. Gli altri al timone dell’azienda sono Alessandro Pacini, Mauro Pacini e Luciano Brucini. Tra gli invitati ai tavoli, anche ricordi e aneddoti e inizio dell’attività. Nell’estate 1961 i fratelli Pacini, Mauro e Alvaro, che da Marti dove lavoravano in agricoltura si erano trasferiti a Ponte a Cappiano in cui si stava sviluppando l’industria conciaria, con lungimiranza avviarono una conceria nei pressi del mulino accanto alla fabbrica della colla di Romanello Manzi, dei quali erano amici. Spirito d’avventura, ma anche intraprendenza.

Per dare un nome all’appena nata azienda - allora la maggior parte delle concerie avevano il riferimento a un animale - fu cercata invano una qualche bestia. Però Mauro Pacini trovò nei pressi del mulino una conchiglia, la ritenne un portafortuna, e ha usato tale definizione per la ragione sociale della ditta. In quei tempi pionieristici, ad amministrare dava una mano la sera il calciatore Giancarlo Ancilotti, l’articolo prodotto erano le “croste a cuoio”, perché conciate al vegetale. Un articolo naturale, mentre si

stava sviluppando la novità della concia al cromo. Per buona sorte, e ovviamente per merito, mentre la fabbrica della colla non esiste più a causa di quel mercato con poca richiesta, nella conceria “La conchiglia” è invece entrato negli anni Settanta Renzo Botrini, un giovane che ha dato subito impulso come ragioniere, e poi come socio. E quando l’azienda ha dovuto trasferirsi nella zona industriale - siamo al 1986 - Botrini e i soci hanno deciso di spostarsi a Santa Croce sull’Arno, dove è l’attuale sede.

Conceria la conchiglia s.r.l. - Via XXV Luglio 19/A - 56029 Santa Croce sull’Arno (Pisa) Tel. 0571 366814 - Fax 0571 366815 - e-mail: conc.laconchiglia@libero.it

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L’azienda dà lavoro a una dozzina di persone, è in un edificio nuovo. Alla lavorazione di croste di tutti i tipi ha aggiunto anche i bufali, pellame alquanto caratteristico. La produzione è di circa 300 mila piedi al mese, dei quali circa il 60% viene esportato all’estero. Altri clienti storici sono i migliori calzaturifici della zona. La lavorazione consiste in pelli, croste scamosciate e bufali o mezzi bufali, nelle versioni conciate al vegetale o al cromo, in qualsiasi spessore per calzature, pelletterie, cinture e anche valigeria. Arrivano wet-blue, semiconciate, poi vanno in riconcia, quindi si passano alla tintura, dopodiché vengono rifinite in qualsiasi spessore a richiesta, per calzature, pelletterie, cinture e anche valigeria. Pronte a soddisfare le esigenze di clienti, come già in passato, anche in futuro. Anticipa il tecnico Luciano Brucini, in vista di Lineapelle dell’ottobre 2011 a Bologna: «I nostri articoli base, le migliori croste scamosciate di tutti i tipi e inoltre i bufali, avranno la novità dei colori di moda della cartella Trend Selection, appena arrivata da Milano. Con input che per i clienti esteri sono una garanzia di novita per la nuova stagione, l’autunno-inverno 2012-13. Si tratta di tonalità sempre più spettacolari, ma sempre meno facili da riportare sulle pelli; però questa riuscita è determinante, sia a noi per vendere le pelli, e poi ai clienti per le scarpe e le borse in vetrina nelle boutique». Lo stand è al padiglione 16, E19-E21. Un’equipe imprenditoriale ben rodata per il lavoro, che - sempre sostenuta negli anni dalla “colonna” Mauro Pacini per la crescita dell’azienda - s’è fatta onore anche nell’organizzare la mega festa del cinquantenario con circa 150 partecipanti. A loro volta i cinque titolari hanno ricevuto - dagli estimatori che usano il pellame - targhe ricordo, adesso conservate in bella mostra nell’ufficio amministrativo della conceria. Inoltre rammentano i complimenti ricevuti da importanti clienti esteri, autorità, belle signore. Che hanno infine ricambiato all’uscita dal ristorante con una confezione di due bottiglie di buon vino toscano: tentazione tra tenerle in ricordo, o brindare ad altri successi.



accreditato ACCREDIA

Servizi

Labostudio s.r.l.

TEXT&PHOTO Anna Celati

C

ome ormai noto, Labostudio opera sul territorio del distretto conciario di Santa Croce sull’Arno e comuni limitrofi fornendo ai propri clienti servizi nei settori della chimica, ambiente, sicurezza e igiene del lavoro. Labostudio è strutturato in modo da permettere il coordinamento tra i suoi grandi tre comparti (Consulenza, Laboratorio Chimico e Agenzia Formativa) al fine di fornire alle aziende un servizio altamente qualificato, efficiente e personalizzato frutto del gran rigore professionale che contraddistingue il proprio staff di professionisti. Dal 2002 Labostudio, lavora secondo standard di qualità certificati in conformità alla norma BS/EN/ISO 9001:2008. Inoltre, per raggiungere sempre un più alto e doveroso livello di qualità, il Laboratorio ha completato il percorso per l’ottenimento dell’accreditamento dei suoi standard secondo la norma UNI CEI EN ISO/ IEC 17025:2005; infatti, da marzo 2011, Labostudio ha ottenuto l’accreditamento da parte dell’ente di accreditamento italiano ACCREDIA ed è pertanto entrato a far parte dell’elenco dei laboratori accreditati ACCREDIA con il numero 1167. Ad oggi Labostudio con il suo laboratorio può vantare di essere fra i 14 laboratori accreditati in Italia per poter effettuare analisi accreditate su pellame. Inoltre il laboratorio chimico di Labostudio, effettua innumerevoli analisi su varie matrici ambientali, merceologiche e su rifiuti

ed i certificati analitici emessi per i parametri in accreditamento hanno validità internazionale garantita dal Marchio ILACACCREDIA (per visualizzare tali parametri si invita a visitare il sito www.labostudio.it)

Cosa ha spinto Labostudio all’ottenimento dell’accreditamento? - La volontà di garantire ai propri clienti l’esecuzione di analisi chimiche e la redazione dei rapporti di prova nel costante aggiornamento e rigore scientifico; - la piena soddisfazione delle loro esigenze e necessità attraverso un servizio efficiente, efficace ed affidabile; -l’impegno nel miglioramento della propria competitività nei confronti dei concorrenti; - l’implementazione costante dell’efficacia del proprio Sistema di Gestione... ... il tutto avvalorato da principi di “trasparenza” nell’offerta dei servizi all’utente, di “continuità” (garantendo regolarità nel servizio offerto) e di “partecipazione”, accogliendo e valutando con attenzione indicazioni, suggerimenti o proposte provenienti dagli utenti stessi. Essere conformi ai requisiti richiesti dalla norma ISO/IEC 17025:2005 significa possedere sia la competenza tecnica richiesta per effettuare le analisi sia un sistema di gestione della qualità, indispensabile per

garantire la correttezza del dato analitico e la riferibilità delle misure. Cosa offre quindi Labostudio ai propri clienti? Labostudio si impegna a offrire: assistenza, informazione, accoglienza e cortesia, un impegno ad ascoltare il cliente e a fornire spiegazioni in un linguaggio comprensibile, a trattarlo con gentilezza, educazione e rispetto. Attendibilità, tempestività, trasparenza e flessibilità caratterizzanti il servizio e sinonimi di un impegno continuo al miglioramento delle prestazioni. Inoltre Labostudio, sull’onda dell’accreditamento, ha elaborato delle proposte economiche interessanti per arrivare ai propri clienti con prezzi competitivi sulle analisi (per maggiori informazioni si invita a contattare lo studio). A chi deve Labostudio il raggiungimento dell’Accreditamento? Labostudio ringrazia, in primis, lo staff del Laboratorio che ha seguito costantemente la volontà tenace della Direzione al fine dell’ottenimento dell’accreditamento, nonché tutto il resto del gruppo che ha fatto da supporto per questa grande sfida. Infine, ma non in ordine di importanza, Labostudio ringrazia tutti i clienti che nel corso degli innumerevoli anni di attività hanno contribuito alla crescita professionale dello studio e dello staff aziendale.

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magiche ietre T

ra i giardini di Villa Aurelia, edificata dal Cardinal Girolamo Farnese, Cartier ha svelato la sua nuova collezione di Alta Gioielleria. Una collezione pensata come un inno alla femminilità, un’immersione completa della gioielleria nell’universo della profumeria, che ha permesso a Cartier di esplorare nuovi orizzonti creativi. I fioriti, le acque fresche, gli esperidati, le felci, gli inebrianti, i fiori bianchi... tutti i profumi trovano una corri-

Un momento denso di magia e audacia, diretto da Emanuele Scarello, chef del Ristorante “Agli Amici” di Udine. Una cena ritmata dall’apparizione successiva di otto quadri viventi, che hanno messo in scena una Roma mitica e i temi olfattivi della Collezione Sortilège de Cartier. Otto momenti unici, tra magia e realtà, impreziositi dalla presenza delle attrici Monica Bellucci e Fan Bingbing, del grande Lucio Dalla che si è esibito in celebri arie d’opera, della gio-

spondenza in questa collezione di gioielli e si incarnano per incanto, grazie alla magia delle pietre preziose, in oltre sessanta magnifiche creazioni. Dalla Villa ai giardini pensili, la collezione sprigiona tutta la sua magia e il suo potere evocativo. Gli invitati hanno attraversato un labirinto vegetale fino ad arrivare all’Aranciera dove è stata presentata loro una collezione di creazioni d’alta gioielleria. Gli ospiti sono stati in seguito invitati a prendere parte alla cena in un giardino segreto.

vane cantante Nina Zilli e di Charlie Siem, virtuoso violinista inglese. Bernard Fornas, presidente di Cartier International e Monica Bellucci, Ambasciatrice della Maison, hanno accolto le attrici Isabella Ferrari, Kasia Smutniak, Monica Guerritore, Alessia Piovan e gli attori Rupert Everett, Enrico Montesano e Luca Marinelli.

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

Eventi

la nuova collezione Sortilège de Cartier

Nelle foto: Rupert Everett con Monica Bellucci; Isabella Ferrari; Monica Guerritore; Fan Bingbing e Bernard Fornas; Luca Marinelli; Il pranzo di gala; Villa Aurelia

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Industria

una tappa importante

1961-2011

TEXT Luciano Gianfranceschi PHOTO Marco Bonucci

T

re generazioni della famiglia Squarcini per il 50° della conceria Il Ponte. Il fondatore Dario, festeggiato come un “capitano d’industria”, in quanto oltre all’azienda ha contribuito a creare anche la società calcistica

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del Ponte a Cappiano. Il figlio Curzio che ha poi portato, in tempi recenti, la squadra in Seconda Divisione professionisti, caso unico di una frazione con mille abitanti, ed è tutt’ora nel CdA del Consorzio Conciatori di Fucecchio. E la nipote Martina, laureanda nel mese d’ottobre 2011 all’università di Pisa, facoltà di economia, con una laurea specialistica in consulenza professionale alle aziende, attività che sta già svolgendo in conceria. La tesi s’intitola: “Qualità e sostenibilità a sostegno del Made in Italy: il contributo del ministero dello sviluppo economico con il programma industria 2015”. Relatrice è la professoressa Angela Taraballa. Dichiara Martina, che rappresenta l’azienda nel Consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale: «La conceria Il Ponte ha partecipato ad un progetto di questo bando dello sviluppo economico, per promuovere sempre più il prodotto al vegetale. Illustrerò questo prodotto innovativo, che mantiene la qualità attuale ma riduce notevolmente l’impatto ambientale. Mediante i prodotti concianti utilizzati si ottiene un pellame molto morbido, con il quale potremo conquistare anche mercati che adesso sono invece monopolizzati dal cromo, che è però una sostanza nociva. Una vera innovazione ecologica, per borse e scarpe biodegradabili quando finiranno in discarica». Frattanto il genitore Curzio, continuando a riguardare le belle foto scattate da Marco e Cristina Bonucci, rievoca: «Non abbiamo invitato i clienti, alla festa e alla cena, per evitare che sembrasse un

meeting aziendale, anziché la celebrazione di mezzo secolo di successi professionali». Sottolinea invece il vegliardo Dario: «C’erano le maestranze, artefici del nostro lavoro e anche qualcuno che è già in pensione, ma che avendo dato un lungo impegno meritava di non essere dimenticato: ed è stato invitato». La festa e la cena, nel piazzale dell’azienda è stata allestita dalla signora Lucia, moglie di Curzio: 275 invitati sotto i gazebo del catering “La casa dello chef”,


comprese le autorità, tra cui il sindaco di Fucecchio, Claudio Toni che ha avuto vibranti parole: «Mezzo secolo fa, con gran spirito imprenditoriale, Dario Squarcini avviò una conceria che s’è poi evidenziata per idee moda, innovazione tecnica, e alta qualità. Fianchi e spalle trattati al vegetale, dunque al naturale. Un prodotto che ha fatto conoscere Fucecchio in Italia e nel mondo. Gli consegno una targa di merito, da parte dell’amministrazione comunale». Quanto a Curzio, riassume così la storia della conceria. «Mio padre già alla fine degli anni Cinquanta rifiniva le croste di pellame, in una zona di Cappiano detta “il villaggio”. Poi il 27 luglio 1961 nacque la conceria Squarcini. Qualche tempo fa mio padre ha festeggiato le nozze d’oro con mia madre Mary Sani, ora ricorderanno insieme anche questa bella serata». Però ha ricordato anche qualche momento doloro-

so. «Dopo il 2001, allorché ci siamo dovuti spostate nella zona industriale calligiana e la conceria ha preso l’attuale nome “Il Ponte”, abbiamo perso un socio importante: Paolo Sgherri. Ci crollò il mondo addosso. Mia sorella Daniela però ci ha proposto il suo futuro genero, Massimiliano Magini, e non mi sono più sentito solo». Poi conclude: «In quei tempi in cui si parlava di comparto conciario senza futuro, e qualcuno pensava a tirare i remi in barca oppure a delocalizzare all’estero, io annunciai in un’intervista che restavo qui. Tuttora siamo una ventina a lavorare, produciamo al vegetale che è una qualità di nicchia e il lavoro non manca. Abbiamo clienti affezionati, riforniamo le griffe e vendiamo il nostro pellame, fianchi, spalle, e mezzi vitelli, trasformato in articoli di moda nelle vetrine delle più rinomate boutique».

Conceria Il Ponte s.r.l. - Via Lombardia, 17/19 50054 - Ponte a Cappiano - Fucecchio (Firenze) Tel. 0571 297919 - 0571 297921 Fax 0571 297920 e-mail:info@conceriailponte.it



Servizi

i nostri servizi

AMBIENTE - SICUREZZA - PREVENZIONE INCENDI - FORMAZIONE - CERTIFICAZIONE - ENERGIA - EDILIZIA Linea Pelle è l’occasione per incontrare e salutare le aziende che da più di 30 anni Delta Consulting segue, offrendo consulenza in numerose discipline tecniche. Le aree dove opera la Delta Consulting s.r.l. sono: · Analisi e determinazione dell’inquinamento atmosferico, idrico, acustico · Laboratorio di analisi e ricerca chimico-fisica · Consulenza per la sicurezza e salute dei lavoratori, valutazione di tutti i rischi · Consulenza per la prevenzione incendi, ingegneria antincendio · Formazione finanziata, apprendisti, sicurezza, primo soccorso, prevenzione incendi, formazione manageriale, comportamentale e team building, comunicazione e visual advertising, I.T. e web 2.0 · Consulenza per l’implementazione dei sistemi di certificazione, qualità, ambiente, sicurezza, etica · Studio del ciclo produttivo, aspetti critici e punti di forza · Progettazione e realizzazione di impianti elettrici, termici, fotovoltaici, eolici, cogenerazione, pirolisi, gassificazione, trattamento termico dei rifiuti · Realizzazione e commercializzazione di impianti di recupero dei reflui conciari provenienti dalla fase di rifinizione I cambiamenti normativi, le innovazioni nelle metodologie produttive, le esigenze formative e di mercato hanno indotto Delta ad ampliare e rinnovare tecniche di intervento, avvalendoci di nuove professionalità: chimici, ingegneri, biologi, periti industriali, tecnici della prevenzione. Il conseguimento delle certificazioni ISO 9001:2008, ISO 14001:2004, OHSAS 18001:2007, ha costituito un momento pregiato per meglio organizzare i servizi offerti e per soddisfare le esigenze dei propri clienti. L’accreditamento della Regione Toscana come Agenzia Formativa, costituisce un’ulteriore opportunità per completare il servizio che viene offerto. La complessità dei momenti attuali rappresenta una opportunità ad un miglioramento continuo ed un aggiornamento delle proposte, ad un attento ascolto delle esigenze ed una fattiva collaborazione con le aziende. Delta Consulting s.r.l. è il partner ideale per le imprese che vogliono crescere e consolidarsi senza perdere tempo in argomenti non legati al proprio businnes ma essenziali per la corretta gestione aziendale.

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CRM fiere

di

per chi semina bene arriverà il tempo del raccolto...

I

l momento è arrivato, lo stand è stato allestito, il materiale pubblicitario è stato stampato, i biglietti da visita ci sono. Siamo pronti a presenziare ancora una volta alla fiera di settore. Quanti di noi periodicamente, si trovano in queste condizioni. Magari a migliaia di chilometri di distanza dal proprio ufficio. Le possibilità che offre una fiera di settore sono molteplici, si incontrano vecchi clienti, si prendono informazioni sulla concorrenza, si gettano le basi per coltivare nuovi clienti; ecco vorrei soffermarmi su quest’ultimo punto. “Gettare le basi per coltivare nuovi clienti” è un’operazione molto delicata ma anche alquanto proficua se fatta nella giusta maniera. Quest’operazione in gergo viene detta “profilazione della clientela” e consiste proprio nel raccogliere il maggior numero di informazioni di un potenziale cliente. E non sto certo parlando del nome e cognome, bensì delle informazioni che possono servire a capire quali prodotti o servizi offerti dalla nostra Azienda possono essere compatibili con le necessità espresse o nascoste dell’Azienda che ci troviamo di fronte. Le informazioni possono essere raccolte

“Customer Relationship Management ” ANALIZZO I VOSTRI DATI PER PROPORV I LA MIGLIORE OFFERTA

in varie maniere, con l’ausilio o meno di strumenti informatici e/o elettronici. Quantità e qualità delle stesse dipende molto dalla nostra capacità di interagire con il potenziale cliente, ma al di là di tutto ciò, tali informazioni perdono di importanza se poi non possiamo rielaborarle in maniera concretamente utile. In questo ci può aiutare enormemente un buon sistema di CRM Customer Relationship Management che ci permetterà di analizzare i dati raccolti ed essere oltre che efficienti anche efficaci, proponendo la giusta offerta al giusto cliente e coltivando i rapporti con i potenziali clienti ancora non maturi, massimizzando il ritorno di

investimento fatto sulla fiera di settore e creando nel tempo uno storico di nominativi da cui poter attingere, qualora una nostra offerta possa incontrare in futuro una loro domanda ad esempio, in quei casi in cui viene aggiunto un nuovo prodotto a listino. Per maggiori informazioni: http://www.worklandcrm.it

NOVITÀ

TEXT Sergio Matteoni

Tecnologia

tempo

per le imprese della Regione Toscana: contributi a fondo perduto per l’acquisizione di consulenza per l’innovazione organizzativa e di soluzioni per il recupero di competività

Nella foto: lo stand della conceria Antiba

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Eventi

a San Miniato

TEXT Carlo Baroni

S

i chiamerà Rosso Antico ma è tutto nuovo sia l’originale locale sia il menù semplice ma dalle numerose influenze european food. Dalla ribollita all’hamburger di chianina, dalla polenta di farro al mojito: tradizioni diverse che incontrano i sapori

Un’osteria moderna, la definisce il suo ideatore, Donato Galasso, titolare della “Galasso Eventi”.

utilizzare qui con i piatti della cucina toscana e, infine, si integra con l’usanza tutta statunitense del brunch domenicale.

Un’idea unica nel suo genere, che sfugge ai confronti e alle categorie: il modello di partenza è quello del gastropub inglese un luogo informale dove venire

Rosso Antico sarà un luogo di sapori e di incontri dove mangiare in chiave contemporanea, giovane e, quindi, a costi contenuti seppur con prodotti di qua-

Mercoledì 26 ottobre l’inaugurazione di un’innovativa formula di tendenza toscani, piatti rielaborati con prodotti rigorosamente a chilometri zero. C’è tutto questo nel nuovo locale che aprirà mercoledì 26 ottobre dalle ore 20 nel cuore del centro storico di San Miniato, negli spazi dell’ex farmacia Matteucci di via IV Novembre.

per cenare ma anche, semplicemente, per trascorrere la serata. Il tutto però, rielaborato secondo la tradizione francese delle brasserie, caffè-osterie.

lità. Un ambiente informale, accogliente, decisamente glamour anche per la musica che accompagnerà le serate in modo soft.

Un’impronta nordeuropea, quindi, che prende in prestito anche la tradizione spagnola delle tapas, le mini porzioni da

Il locale sarà aperto tutti i giorni a pranzo e dal giovedì alla domenica anche a cena. La domenica per il brunch dalle 10,00.

www.rossoanticosteriamoderna.it

render di massima

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Alimentazione

attentiglutine al

TEXT Paola Baggiani

L

a celiachia rappresenta una delle affezioni più comuni in assoluto in paesi la cui popolazione è prevalentemente di origine europea, quindi Europa, America del Nord e del Sud e Australia. In Italia interessa un individuo ogni 150 - 200 abitanti. La malattia celiaca è una intolleranza permanente a una sostanza, il glutine, la componente proteica della farina di frumento e di altri cereali come frumento, orzo, segale, farro, avena. L’introduzione di alimenti contenenti glutine determina, nelle persone predisposte geneticamente, una risposta immunitaria abnorme a livello dell’intestino tenue; una enteropatia con flogosi, atrofia e distruzione dei villi intestinali, responsabile oltre che di malassorbimento anche di una serie di manifestazioni cliniche più o meno eclatanti che possono presentarsi non solo durante l’infanzia, ma anche nel corso della vita adulta. La forma classica è

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caratterizzata da segni e sintomi di malassorbimento globale con arresto ponderale nel bambino, dimagrimento nell’adulto, diarrea, dolori addominali, sintomi connessi con deficit nutrizionali multipli. La forma subclinica mono o pauci sintomatica con sintomi riferibili al tratto gastro-intestinale (alvo alterno, meteorismo, afte del cavo orale); o extraintestinale (anemia sideropenica, osteoporosi, amenorrea, sterilità. Per la scomparsa dei sintomi, per ritornare a un quadro clinico normale è necessario eliminare totalmente dalla dieta tutto ciò che possa contenere glutine anche in minime quantità. La dieta senza glutine deve essere condotta in maniera rigorosa e per tutta la vita perchè il ritorno alla dieta libera anche dopo anni di trattamento, provoca inevitabilmente la ricaduta delle lesioni intestinali e può favorire l’insorgenza di complicanze di natura cancerosa.

I prodotti in commercio privi di glutine sono contrassegnati con un simbolo internazionale (spiga di grano barrata); inoltre l’Associazione Italiana Celiachia ha stilato un ”prontuario dei prodotti del commercio senza glutine” e ha ottenuto nel 2001 l’emanazione di un decreto ministeriale che prevede l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine, attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. Nella pratica l’aderenza a una dieta rigorosa non è facile: piccole quantità di glutine possono essere presenti in maniera occulta in prodotti insospettabili come additivi di cibi preconfezionati o farmaci contenenti come addensante amido, di cui non si conosce la provenienza. Inoltre è possibile una trasgressione volontaria alla dieta senza glutine perché essa rappresenta una restrizione molto forte alla normale alimentazione, ponendo una serie di problemi psicologici e pratici che il celiaco si


trova ad affrontare specialmente in un paese come l’Italia dove l’alimentazione è basata essenzialmente su pane, pasta, pizza; il problema celiachia finisce per diventare un problema di cultura alimentare e di costume sociale, più che d’interesse medico. Per l’insorgenza di problemi psicologici l’età più a rischio si è dimostrata l’adolescenza. Gli alimenti dietoterapeutici, preparati con farine naturalmente prive di glutine, ricavate da mais, riso, patate, grano saraceno, etc. possono sostituire quelli classici a base di farina di frumento nelle dieta senza glutine. Sono oggi disponibili in commercio alcuni prodotti che possiedono queste caratteristiche: pane, pasta, biscotti, crakers, fette biscottate, pizza, e dolci. La continua ricerca da parte delle aziende del settore di nuove ricette, tecniche e ingredienti, ha portato a un miglioramento delle qualità organolettiche e del gusto dei prodotti senza glutine. La persona con malattia celiaca non dovrebbe andare incontro a particolari carenze nutrizionali. Può a volte capitare che si arrivi a una drastica riduzione dei carboidrati e alla eccessiva introduzione di lipidi, questo anche perché gli alimenti privi di glutine del commercio contengono spesso più grassi, che, come noto, hanno un’elevata densità calorica, con possibile sviluppo di sovrappeso e obesità. In alcuni casi vi è la tendenza a introdurre poca fibra e possono esserci carenze di vitamine del gruppo B, di Calcio e di Ferro. Per raggiungere i livelli di fibra raccomandati è necessario consumare una quantità elevata di frutta e di verdura. Gli alimenti dietoterapeutici devono però essere alternati con quelli naturalmente privi di glutine, come carne, pesce, uova, e il gruppo del latte e i suoi derivati come formaggi e yogurt, in modo da assicurare il giusto apporto quotidiano dei nutrienti e senza incorrere in squilibri nutrizionali, che a lungo termine e soprattutto negli adulti, potrebbero indurre un eccessivo incremento ponderale e/o dislipidemia. La dieta senza glutine nella persona con malattia celiaca deve, come già sottolineato, essere mantenuta tutta la vita, perché il ritorno a una dieta libera anche dopo anni di trattamento, provoca inevitabilmente una ricaduta delle lesioni intestinali. L’adozione di un tale tipo di alimentazione comporta quindi importanti modificazioni dello stile di vita, sia nell’ambito del privato, sia in quello dei rapporti lavorativi e sociali. Diventa quindi fondamentale per la persona con malattia celiaca e per i suoi familiari accedere a un percorso di educazione terapeutica che affronti tutte le problematiche nutrizionali, ma non solo, che la malattia può comportare, e che vede come attori oltre alla persona con malattia celiaca stessa in primo luogo, la figura del medico nutrizionista. Per concludere possiamo dire che la dieta senza glutine è l’unica terapia per la celiachia che deve essere protratta rigorosamente per tutta la vita e che garantisce al celiaco una crescita e uno stato di salute del tutto sovrapponibile a quello di un soggetto sano.



C Voce

il

uore

e la

di Bocelli

TEXT Carlo Baroni PHOTO Riccardo Lombardi

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bambini sono gli esseri umani più aperti, sono in grado di imparare e immagazzinare tutto quello che gli insegniamo e l’opera è il Paradiso. Lo ha detto Andrea Bocelli parlando con i giornalisti prima di cantare alla messa per San Francesco a cui è dedicata la cappellania dell’ospedale pediatrico Anna Meyer di Firenze. E l’ha detto neanche quarantotto ore dopo aver ricevuto a San Miniato il premio “Monsignor Torello Pierazzi” della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato che è un premio per celebrare il suo fondatore e soprattutto i valori umani e morali che lo stesso ha lasciato in eredità alla Cassa e alla Fondazione. Bocelli è arrivato al Meyer insieme alla compagna Veronica Berti, da cui attende un figlio, e davanti ai bambini ricoverati, alle famiglie e al personale dell’ospedale ha cantato, con l’umanità e l’umiltà di sempre, due preghiere, l’Ave Maria di Franz Schubert e il Panis angelico durante la messa celebrate dal cappellano padre Guglielmo Papucci davanti ad oltre 300 persone. «I modi di fare solidarietà sono infiniti» - ha detto ripetendo le stesse parole pronunciate a Palazzo Grifoni - «dopo di che bisogna averne voglia. Conosco quello che il Meyer fa e ripongo ammirazione e fiducia».

Il presidente Antonio Guicciardini Salini davanti alla sala gremita per la bella cerimonia: “Un grande artista ed un grande uomo che riempie d’orgoglio la nostra terra” La solidarietà e la beneficienza sono valori importanti, tappe significative, nella vita e nella carriera di Bocelli. E sono anche ragioni - unitamente al legame forte, stretto, importante, che ha mantenuto con la sua terra nonostante il suc-

cesso, alla base del premio “Pierazzi” a questa “voce” straordinaria. A consegnare il premio è stato il presidente della Fondazione Antonio Guicciardini Salini alla presenza delle autorità civili, militari e religiose e dei membri del comitato di gestione, del consiglio d’indirizzo, del corpo sociale. Come recita la motivazione, “il premio è stato consegnato ad Andrea Bocelli per il suo straordinario talento e l’indiscusso valore artistico della sua opera, unanimemente apprezzata a livello internazionale. Per la sua voce dal timbro unico e inconfondibile che, nel solco della grande tradizione lirica del nostro Paese, riesce a toccare le corde dell’anima, suscitando emozioni intense e profonde. Per la sensibilità, tante volte dimostrata mettendo il suo talento a servizio di cause di solidarietà, a favore dei più deboli, di coloro che soffrono. Per il legame che Bocelli, oramai a pieno titolo cittadino del mondo, ha mantenuto con il territorio di origine, in modo particolare facendo conoscere angoli stupendi della Tosca-

Riconoscimenti

La Fondazione Cassa di Risparmio San Miniato premia

na ad un pubblico internazionale attraverso la magnifica esperienza del Teatro del Silenzio. Con questo riconoscimento, la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato esprime ad Andrea Bocelli i propri sentimenti di orgoglio e gratitudine, all’artista, per l’alto valore estetico della sua opera, alla persona, per l’umanità che il grande successo ottenuto non ha scalfito”. E in queste parole che pienamente raccontano in sintesi il tenore di Lajatico, c’è anche lo spirito con cui la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato opera sul territorio sostenendo il vasto e variegato mondo delle associazioni di volontariato, la cultura, le politiche giovanili, portando avanti progetti propri, ponendosi come volano di solidarietà sul territorio. Hanno fatto seguito alla consegna del premio una conversazione di Bocelli con Giorgio De Martino che ha svelato l’uomo oltre l’artista ed il concerto di pianoforte del maestro Giuseppe Santucci, un giovane pianista di grande talento scoperto dallo stesso tenore.

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nuovovolto

Eventi

Mister Toscana & Mister Italia

un

TEXT Domenico Savini e Leonardo Taddei PHOTO Alex Pantò

S

abato 17 settembre si è tenuta, nella splendida città di Pescara, la finale del Concorso Mister Italia 2011, la più importante gara di bellezza, a livello nazionale, riservata a concorrenti di sesso maschile. Preludio alla kermesse, che si è conclusa esattamente il giorno prima dell’omologa manifestazione dedicata all’avvenenza femminile, Miss Italia - svoltasi, peraltro, a Montecatini Terme - è stata, per la Toscana, la finale regionale tenutasi in Versilia presso il B Club di Marina di Pietrasanta, e organizzata dall’agenzia Studio Movimenti di Claudio Vigiani, con sede in Firenze. Accuratamente scelti tra un’ampia rosa di bellissimi ragazzi che hanno partecipato alle selezioni sin dalle fasi locali e provinciali, a partire dal mese di marzo, i quindici concorrenti in gara si sono esibiti di fronte alla giuria, presieduta dal Dott. Domenico Savini, e composta da importantissimi esponenti del mondo della cultura e della nobiltà, tra i quali le principesse Elettra Marconi e Diane De Beauvau Craon, la giornalista Maria Cristina Citterio, l’imprenditore Pietro Meschi, l’avvocato Gian Paolo Russo e i coniugi Paola Baggiani ed Eugenio Virgilito. Sospinti dagli applausi del caloroso pubblico presente nel locale, i candidati hanno affrontato le due canoniche uscite in abito elegante e costume ufficiale del concorso, e

dieci di loro sono stati selezionati per la partecipazione alla finale nazionale: Leonardo Taddei di Prato, Wellington Mendez Ribeiro e Alessandro Potenza, entrambi di Firenze, Yassin Serroukh e Chico Diop di Viareggio, Federico Migliorini di Massa, Stefano Mastandrea, Mirko Cipollini, Dario Ferraro e Kevin Falanga, tutti e quattro di Pisa. Un riconoscimento speciale è stato assegnato, fuori gara, a Ineldi Dane, che non ha però preso parte alla finale nazionale.

Dopo aver centrato l’obiettivo regionale, armati di book fotografico, fasce e gioielli vinti nelle selezioni toscane, i nostri paladini della bellezza sono partiti alla volta di Alba Adriatica, dove hanno affrontato cinque giorni di prove, sfilate, selezioni e casting per trasmissioni televisive Mediaset e, addirittura, per il prossimo film di Natale del comico milanese Boldi: il tutto in pre-

parazione della serata di Pescara del 17 settembre. Alla fine l’ha spuntata la simpatia del napoletano Ciro Torlo, occhi azzurri e capelli chiari, ricci e ribelli, davanti all’emiliano Davide Carlotta, favorito della vigilia, che si era fatto notare fin dall’inizio per la sua eleganza ed avvenenza. E per i nostri rappresentanti toscani qualche lacrima ed un pizzico di rammarico, ma anche la soddisfazione per aver raggiunto il traguardo nazionale. «Porteremo sempre con noi il ricordo di un’esperienza fantastica» dichiarano i partecipanti, «e l’allegria per i bei momenti in cui ci siamo divertiti insieme, tra noi ragazzi». Un’altra edizione si è conclusa, e, come ogni anno, la grande macchina del concorso si rimette in moto fin da subito: già si pensa all’organizzazione delle nuove selezioni e delle serate regionali; tutti quanti ripartono per le proprie destinazioni: ognuno torna al proprio lavoro, alle proprie occupazioni o ai propri studi. Cala dunque il sipario sulla manifestazione di Mister Italia 2011, e la battaglia della bellezza per quest’anno si conclude, ma la guerra per il successo nel mondo dello spettacolo, a cui molti partecipanti aspirano con bramosia, è appena cominciata. Una gara dura, a volte spietata, ma che, se vissuta con passione, regala un’emozione indescrivibile: la sensazione adrenalinica di essere padroni di se stessi e del proprio avvenire.

Nella foto sopra: il vincitore di Mister Toscana Ineldi Dane con alcuni giurati Sotto: i finalisti di Mister Toscana; Domenico Savini; Davide Carlotta secondo classificato a Mister Italia (foto di Andrea Ghirelli)

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cliente è una firma l

l cliente tradizionale della conceria sta cambiando, non tanto per l’utilizzo finale della pelle, quanto per la natura del cliente; questo non è più solo chi produce il manufatto, ma anche e sempre più la “firma”, che sviluppa l’idea, crea il campione e poi lo vende tramite la Sua rete di agenti. La produzione viene demandata a terzi approvvigionandoli con il materiale che la stessa ordina o fa ordinare alla conceria; se poi si considera che la ditta che produce ed effettivamente utilizza la pelle può essere fuori dall’Italia, spesso in Asia, aumentano le procedure informatiche da gestire, se spedizione e fatturazione fanno carico alla conceria stessa. Tutto questo sta producendo un profondo cambiamento nel suo sistema informa-

tivo in quanto il rapporto con le “Firme” è molto più dinamico e la conceria deve essere in grado di scambiare con loro ed in maniera automatica tutta una serie di informazioni che vanno dall’acquisizione dell’ordine, la sua produzione nella varie fasi, fino alla sua spedizione finale. Inoltre tutto il ciclo di lavorazione per chi produce per il settore moda è molto più frastagliato per la variabilità degli articoli e dei colori e generalmente più complesso e qualitativamente superiore dovendo rispettare degli standard di qualità elevati in tempi di consegna sempre più ristretti. L’ultima evoluzione, per snellire il sistema di comunicazione fra conceria e cliente, a maggior ragione se questo è una “firma”, è quello di utilizzare il mondo web; in pratica la

conceria per evitare un aumento del lavoro al personale interno usa il proprio sito internet per pubblicare tutta una serie di informazioni commerciali, quali fatture, stato degli ordini, listini ecc. alle quali il cliente accede con una propria password. Con lo stesso sistema il cliente può immettere i propri ordini ricevendone conferma per e-mail una volta che sono stati processati dalla conceria. A tutte queste esigenze già risponde il software della SUED, Business Partner IBM, sviluppato in anni di collaborazione con le concerie del comprensorio Toscano e referenziato in più di cento installazioni, sia in ambiente iSeries IBM, che personal computer integrato con AD-HOC Revolution, software gestionale della Zucchetti.

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a concia della pelle al Vegetale ha origini antichissime. In Toscana è divenuta un’arte superiore che ha trovato qui il suo massimo splendore. I maestri della conceria toscana si sono tramandati per secoli le arti, i segreti e la passione artigiana che oggi, unita alle tecnologie di cui disponiamo, continua a seguire con cura il lento processo di lavorazione che tramuta la pelle grezza in cuoio, sempre nel totale rispetto della natura. La “concia al vegetale” è la più classica, l’unica capace di impartire al cuoio proprietà inconfondibili di comfort ed elasticità, nella più totale lavorazione ecologica, coniugando la tradizione alla moda e all’unicità del prodotto. Per il secondo anno consecutivo si è tenuto a Milano “Il Concorso Internazionale di Design PELLE+”, una sfida per mettere a confronto il talento di architetti, designers, artisti. Organizzato dallo Studio Oliviero Toscani e dal Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale, il concorso mira ad un nuovo e moderno utilizzo del cuoio su prodotti destinati a usi diversi, realizzati con pelle conciata al vegetale, usata sin-

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golarmente o insieme ad altri materiali proposti liberamente dai partecipanti. Molti sono già gli esempi di questa nuova produzione che porta la pelle conciata nella moda, nell’arredamento, nel design: il divano Skin di Jean Nouve, il prototipo della city-bike realizzata dalla Gimo’s, la sedia Caprice di Philippe Starck, i sandali di Folets, solo per citarne alcuni. PELLE+ è un concorso di respiro internazionale che coinvolge un ampio raggio di partecipanti e idee per sfatare il pregiudizio comune che vuole la pelle conciata al vegetale adatta alla sola realizzazione di articoli classici di pelletteria. L’obiettivo è trovare nuove strade e opportunità, sperimentare possibili applicazioni in campi d’azione non ancora esplorati o reinterpretare gli utilizzi classici della pelle conciata al vegetale con rinnovata creatività e libertà concettuale. Idee che ispirino nuove creazioni nelle diverse discipline del design industriale, degli interni, degli esterni, della moda o del design eco-sostenibile. Il 19 settembre 2011, alla Triennale di Milano sono stati esposti i progetti e i lavori realizzati dai giovani partecipanti

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TEXT Elenoire

Innovazione

Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale

e una giuria internazionale di alto livello, capitanata da Oliviero Toscani, ha premiato i i primi tre: 1 This is mine di Makoto Inagaki. Architetto giapponese trentaseienne, cura allestimenti di mostre di architettura e design, progetta interni e complementi d’arredo che ha esposto più volte anche al Salone Satellite del Salone del Mobile di Milano. 2 Be different, be human di Sara Ballabio. Classe 1989, studentessa di Fashion Design a Milano, illustratrice e creatrice di una linea di bijoux ispirata alla piccola pasticceria. 3 La seduta da ramo di Maurizio Prina con Alessandro Ciffo. Nato a Biella nel 1985, ha studiato Industrial Design all’Istituto Europeo di Design di Milano, lavora con Matteo Ragni e Giulio Iacchetti nello studio Aorundesign di Milano. Un grande successo che ha visto emergere talenti creativi e propositivi che non si fermano… e che si ripeterà sicuramente anche nel 2012. La mostra dei progetti sarà presentata a Palazzo Grifoni a San Miniato, sabato 19 novembre alle ore 17.00 e sarà visitabile fino a domenica 27 novembre

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66° G.P. Industria del Cuoio e delle Pelli

a

Sport

un

radizionale ppuntamento

TEXT&PHOTO a cura del comitato organizzatore dell’ Unione Ciclistica S.Croce sull’Arno

A

nche per quest’anno il 4 settembre il ciclismo è stato protagonista in quel di Santa Croce Sull’Arno, infatti è stata allestita, dalla storica Unione Ciclistica S.Croce, la sessantacinquesima edizione del Gran Premio Industria del Cuoio e delle Pelli, ambita gara ciclistica a livello nazionale per la categoria dilettanti Elite Under 23 con al via oltre 150 atleti provenienti da tutta Italia e con molti atleti stranieri di varie nazionalità; la vittoria è andata ad Antonino Parrinello, atleta pluri vincitore in questa stagione in procinto di passare al professionismo. La manifestazione ha ormai compiuto i sessantacinque anni di vita tutti i Santacrocesi la conoscono fin dal lontano 1946 ha coinvolto nell’organizzazione dei veri Santacrocesi “doc”. Come non ricordare Cambi, Spalletti, Filippetti per passare agli attuali organizzatori presieduti da Ciaponi, fino al 2010 ed a Zingoni a partire da questa edizione. Nei tempi passati era la gara ciclistica in Toscana per eccellenza in quanto vi partecipavano i migliori ciclisti del momento (basta leggere l’albo d’oro) ed era una gara ricca di premi in quanto

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si assegnavano pellami di vario genere e premi in natura; tutto il paese partecipava all’evento, tutti i negozianti regalavano qualcosa come premio in natura o denaro. Le partenze e gli arrivi erano sempre molto affollati, come testimoniano anche le varie fotografie esposte nella sede della Unione Ciclistica in Corso Mazzini o nel libro Qui si pedala, Storia e Cliclismo fino agli anni ‘60 pubblicato alcuni anni orsono, anche per la presenza di molti ciclisti locali che avevano un seguito di tifosi appassionati. I tempi moderni hanno cambiato il corso dell’evento e quindi anche della manifestazione, tuttavia l’evento rimane molto sentito dai Santacrocesi, sia come popolazione che come aziende locali che tutti gli anni contribuiscono in maniera concreta all’allestimento della gara ed alle quali gli organizzatori non si stancheranno mai di dire grazie in quanto così si riesce a mantenere vivo il Gran Premio e le tradizioni che questo rappresenta per il nostro paese e Comprensorio.

Sopra: il Sindaco consegna la targa a Matteo Busato Campione Italiano cat. Elite Sotto: arrivo della corsa Nella pagina a fianco: la partenza e momenti della premiazione.



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Sensi

di Margot

La storia è una galleria di quadri dove ci sono pochi originali e molte copie.

Charles Alexis De Tocqueville

(1805-1859)

storico e politico francese


Ri stora nte D e v e r o

Piaceri di palato

In Brianza con Enrico Bartolini e la sua cucina

Text&photo Claudio Mollo


A

Cavenago, nella ricca Brianza, un giovane chef toscano sta mietendo successi con la sua cucina, al Devero Hotel, una struttura moderna e fascinosa, dove gli ampi spazi sono in perfetta armonia con le forme e i colori di arredi sapientemente distribuiti. Un “Four Stars Executive”, studiato per le esigenze del viaggiatore moderno, con nuovi standard di accoglienza per rendere il soggiorno un’esperienza impareggiabile. Enrico, nato a Pescia nel 1979, è considerato uno dei più talentuosi “enfant prodige” della gastronomia italiana. La sua carriera ha inizio all’Istituto Alberghiero F. Martini a Montecatini Terme. Le prime piccole esperienze nella trattoria dello zio e poi, subito dopo, a 19 anni, parte per Londra, dove lavora a fianco di Mark Page nel Royal Commonweath Club. Dopo Londra, Parigi, dove affina la sua esperienza con Carlo Petrini, e poi una nuova parentesi Toscana, a Pistoia, dove collabora con Pierangelo Barontini nella veste di executive chef. Poi, ancora, Berlino in una bellissima esperienza con Paolo De Vitis e dopo l’esperienza berlinese un’altra esperienza significativa a Montescano - Pavia, dove con Aldo Coppola, noto personaggio del mondo dell’hair stilist dà vita al ristorante Le Robinie, con il quale conquista importanti riconoscimenti nazionali da guide e stampa del settore, fino ad arrivare alla Stella Michelin. Molte sono anche le partecipazioni ad eventi di carattere internazionale, sia in Italia che all’estero e dal 2010 guida il ristorante, o meglio, i ristoranti del Devero Hotel. Una nuova e bellissima sfida che Enrico ha accettato e sta portando avanti da artista in cucina ma anche da imprenditore, visto il personale che gestisce direttamente nella sua attività. Facendo una sosta al Devero Hotel, per ritemprare il palato, oltre che lo spirito, si può scegliere tra una pausa gastronomica dinamica e informale sedendosi al “Dodici 24 Quick Restaurant”: grill restaurant con servizio continuato dalle 12.00 alle 24.00, studiato appositamente per colazioni d’affari, rapidi lunch e stuzzicanti spuntini. Oppure cenare al ristorante, dove ci si può emozionare con la cucina di Enrico Bartolini, fatta di sapori tradizionali magistralmente interpretati in modo sobrio e creativo, in un atmosfera accogliente e sofisticata. In ambedue i casi, si assaggiano proposte gastronomiche di alto livello, raffinate fusioni di alimenti che raccontano delle tante esperienze fatte dallo chef a livello nazionale e internazionale. Dal neofita all’esperto, la cucina di Enrico convince appieno chiunque sia in cerca della grande cucina italiana, con grandi attenzioni ai prodotti, al sapore, alla salubrità. Inutile dire che il servizio ai tavoli è inappuntabile, cordiale e molto professionale. Personale preparatissimo, sia sulla presentazione di un piatto che nel proporre il vino migliore, da un’ampia e articolata carta dei vini con oltre 1.000 etichette presenti, in grado di soddisfare ogni esigenza. Se si è in zona, il Ristorante Devero è da provare senza ombra di dubbio e se non si è in zona, vale comunque la pena mettere in programma una gita in Brianza e ritagliarsi una pausa gastronomica, per andare a conoscere Enrico e la sua ottima cucina.

Ristorante DEVERO - Enrico Bartolini Largo Kennedy 1 – 20040 Cavenago di Brianza (MB) tel. 02.95335268 – ristorante@deverohotel.it - www.deverohotel.it


Dipingimi

T

ra giugno e luglio della scorsa estate, nelle sale rinnovate della Galleria Faustini a Forte dei Marmi ha avuto luogo la personale del Maestro Giancarlo Caponi dal titolo: Dipingimi un sogno. Il vernissage della mostra è stato nella calda sera del 25 giugno, alla presenza di moltissime persone, amanti e appassionate della pittura estemporanea, eppure cosĂŹ intimamente reale del Maestro. I venticinque dipinti, esposti sino al 17 luglio, hanno mostrato i sogni dipinti di Giancarlo Caponi, caratterizzati dallo stile fiabesco e inconfondibile dell’artista. Uno stile che usa il colore come linguaggio, per esprimere un sentire artistico fatto della storia, della vita,


un sogno

del percorso di un uomo che si esprime attraverso la fantasia senza tempo della fiaba, del circo, delle maschere. I personaggi, come protagonisti viventi di un momento raccontato tra i colori dell’animo, in uno spazio immaginario che si realizza tra il reale e la poesia, per rendere eterne nel tempo le emozioni di un artista, scoperto forse per caso da un’amica di famiglia, che regala allo sguardo una forma sconosciuta ma universale chiamata emozione. Una pittura, quella del Caponi, tra una ricerca artistica personale e un sogno che si realizza ogni volta, attraverso il colore dell’immaginazione. Una grande esposizione di quadri alla Galleria Faustini tra i sogni di Giancarlo Caponi.


Reality

Moda

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arte da questo numero di Reality, la nuova rubrica dedicata alla moda con le tendenze che sfilano sulle passerelle stagione per stagione. I migliori stilisti per i migliori brand. Il glamour che fa tendenza. I dettagli che fanno….MODA. La moda, un’istituzione, una tendenza mondiale che parte dall’Italia e che in Toscana trova creatività, qualità e grande professionalità……una rubrica che non poteva mancare su Reality!

MO

DA

DONNA Retrò

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er questa stagione la moda donna ripercorre l’intero ‘900: dallo stile della Belle Epoque parigina abbiamo abiti arricchiti di piume Rocco Barocco, chiffon Pucci e fiocchi. L’eleganza delle sottovesti e delle lavorazioni, come la plissettatura di Armani, che ricordano le signore dell’epoca, non può mancare, come si ritrova nell’intera linea di Chanel. Il periodo della prima guerra. Segue linee rigide e mascoline che fanno la donna soldato Blugirl. Gli anni ’20 e ’30 riportano il colore, la sensualità, seguendo la morbidezza formosa del corpo femminile; le gonne si scorciano e Coco Chanel usa la praticità del jersey. Piume, strascichi, seta e perline, per un mix in stile Charlestone Gucci, Ralph Louren che arriva fino all’aggressività holliwoodiana con donne atletiche dalle spalle scoperte Versace. Gli anni ’50 si fanno sentire con gonne a ruota che non superano il ginocchio, bustini, e biancheria intima modellante Intimissimi. L’eleganza degli anni ’50, la ricercatezza del vestire, sono il must di Louis Vuitton, Prada, Dolce&Gabbana e Chanel. Il mood autunno inverno è vario, eterogeneo ed eclettico: la donna spazia e trova la sua dimensione in vari stili, uscendo dalla rigidità dei colori invernali che quest’anno mantengono il calore della terra e le fantasie calde e vivaci D&G. Il rosso bordeaux, il giallo ocra, terra di Siena ma anche l’arancione, il verde pistacchio e acido, si uniscono all’immancabile grigio, al nero, al cioccolato. Il blu elettrico e i colori fluorescenti rafforzano i contrasti e marcano i tagli. Rimane l’opzione del color blocking, l’unico colore per tutta la mise che vede forte il total black Armani e il total white Chanel. Oltre ai colori per la donna va segnalato per questa stagione il ritorno alla pelliccia Fendi, D&G, Laura Biagiotti: sintetica o vera, classica o dai colori forti, porta il must del gilet e della gonna, ma anche della borsa e degli stivali. Si conferma il tessuto scozzese su mantelle e tubini e anche per quest’anno l’effetto oversize di maglione e poncho, lavorati a mano.

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arl Lagerfeld cambia di nuovo la linea. Domina il chiaro-scuro, il fumo dai toni carbonati. Chanel si muove nell’ombra: toni di grigio, nero, verde bosco e con qualche linea di bianco. É la ricerca del dettaglio, come per esempio le camice in stile romantico dai vistosi fiocchi legati al collo. La tuta diventa un capolavoro dei dettagli, i pantaloni arricchiti dalle toppe e le moltissime trasparenze ondeggiano nell’ombra di abiti casti. Il retrò di Chanel dalla mente di Lagerfeld, mantiene intatto lo stile adattandolo alla tendenza.

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’uomo di quest’inverno sarà rilassato, elegante con uno stile comodo e pratico, ma che fa e crea tendenza. Non si abbandona lo stile stretch dello scorso inverno, che rimarrà per le camicie e le maglie, ma subentra il taglio largo di giacche e pantaloni, dallo stile rilassato e morbido Chanel, D&G. Come per le donne, ai classici colori invernali si affiancano i colori che riscaldano: dettagli e accessori per esempio ruotano intorno al rosso vino e al giallo ocra, oltre che al mattone e al verde Armani, D&G. Ma quest’anno andrà alla grande anche il tono su tono dalla camicia al pantalone, con maglione e giacca per arrivare a scarpe e calze sulla stessa pandan di colore. L’uomo di giorno, trasportato dal colore, si lascia andare ad uno stile elegante ma un po’ rock, con stampe e cardigan colorati in stile grunge rock, ma più stretch, a metà tra l’uomo di casa tranquillo e rilassato e il rocker sovversivo ed esistenziale. Ma sarà la pelle come sempre a rivestire gli adoni di passerella e di strada, nelle serate più in, sia per i soprabiti che per i pantaloni. Per rivalutare la confezione, anche l’uomo oggi non può fare a meno degli accessori. Seguendo lo woman style, per l’uomo sarà un inverno all’insegna delle pellicce che scaldano con morbidezza e comodità. Stop ai guanti senza dita, sì ai vecchi guanti da sci caldi che fanno molto anni ’70. La comodità ai piedi è Timberland, che torna con il suo classico stivaletto glamour anche in ufficio. Oppure lo stiloso mocassino o le sportive sneakers.

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Viaggio

a

spascsonoil

Bernina Express

TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio Stampa Ferrovia Retica

D

esiderate trascorrere una vacanza dalle connotazioni insolite ed eccitanti? La domanda trova gradita risposta nel Bernina Express, il famosissimo trenino rosso della compagnia svizzera che copre la tratta tra Tirano, Saint Moritz, Coira. Conosciuto dai numerosi turisti, che annualmente affollano questo incantevole lembo di territorio elvetico, lo storico locomotore attraversa luoghi dal forte impatto paesaggistico, storico-artistico, naturalistico, così belli da essere inseriti, insieme alla ferrovia che li attraversa, nell’elenco dell’Unesco. Carrozze panoramiche permettono di percorrere 145 Km tra pinete, boschi, borghi deliziosi, laghetti incantati, ghiacciai, chiese, conventi, massicci innevati dalla bellezza incommensurabile. Comfort, accessori di ogni sorta, progettazione affidata al celebre designer Pininfarina, completano questo simbolo dell’ospitalità svizzera particolarmente gradito dagli ospiti felici di ammirare, da un posto privilegiato, un territorio così suggestivo. Il passo del Bernina, a quota 2253, rappresenta il punto più alto del tour alpestre e il suo tracciato costituisce un vero gioiello di ingegneria per la presenza di alcune opere dall’elegante disegno architettonico, basti pensare alla galleria a spirale Bergün-Preda o al via-

dotto elicoidale che copre un dislivello di ben 30 metri tra Brusio e Campocologno, visibile in tutta la sua interezza grazie alla sua forma particolare. Tirano rappresenta il punto di partenza del nostro viaggio e merita una visita per le innumerevoli opere d’arte possedute, ad iniziare dal monumentale Santuario cinquecentesco dedicato a S. Maria. Lasciata tale cittadina, costeggiando le acque azzurre del lago circondato dalla valle grigionese ricca di verde, abeti secolari, deliziose abitazione tipicamente alpestri, il treno raggiunge Miralago e il bel paese di Poschiavo, da cui lo specchio d’acqua prende il nome. Questa ridente cittadina è conosciuta per le rilevanze artistiche possedute, basti ricordare la tardo-gotica collegiata di San Vittore, la cappella barocca di S. Maria, il medievale Palazzo Comunale, una serie di edifici ben conservati del XVII secolo, i ricchi palazzi signorili, lo xenodochio di S. Romerio. Salendo più in alto, dopo aver attraversato una rigogliosa vegetazione montana, si arriva alla stazione di Alp Grum, confortevole albergorifugio con veduta mozzafiato sulla vallata sottostante circondata da candidi ghiacciai, dove la natura ha realizzato un vero capolavoro di arte paesaggistica. Tali caratteristiche connotano la destinazione successiva, Morteratsch, situata nella valle del ghiacciaio omonimo dalla quale è possibile ammirare la cima del Bernina oppure la cresta del Pizzo Bianco. Questa località confina con Pontresina dall’atmosfera decisamente mondana grazie ai suoi alberghi a cinque stelle, ma la sorpresa resta l’Alta Egandina aprente le porte ad un paradiso conosciuto in tutto il mondo, Saint Moritz, esclusiva meta turistica per gli amanti dello sci. In questo luogo la parola d’ordine è efficienza, confort, servizi, lusso, tanto lusso da far invidia alle destinazioni chic che costellano il Vecchio Continente. Da questo magnifico luogo il blasonato trenino rosso dirama il suo percorso abituale sino a Coira, ridente abitato celebre per la cattedrale romanico-gotica e il Museo delle Alpi ricco di reperti archeologici spazianti dall’età della pietra all’era moderna. Allora, non tro-

vate entusiasmante questa innovativa modalità di turismo? Penso di si. D’altronde il Bernina Express offre la possibilità di ammirare una magnifica porzione di Svizzera in tutta la sua interezza e, importantissimo, al prezzo di un semplice biglietto di treno! A proposito, consiglio la consultazione del sito web www.rhb.ch costruito per avere informazioni esaurienti su tale mezzo, consultare percorsi, agevolazioni, sconti, orari. Ah, non dimenticate di assaggiare la gastronomia locale, buona, gustosa, variegata e buon divertimento.



scorpionebilamcia agittario

di Federica Farini

L a calda lu ce degli astr i d’autunno

I

l mese di settembre apre delicatamente le porte all’autunno con la grazia del segno zodiacale della Bilancia, simbolo per eccellenza di giustizia e bellezza. Come l’astrologia karmica indica, la sua missione si esprime nei concetti di pace, arte e amore, studiando ogni possibile angolazione per arrivare ad un’armonia assoluta, emblema di quell’equilibrio forse smarrito nelle passate esistenze. La Bilancia realizza il senso del suo sé nella coppia, nel matrimonio, nelle relazioni di amicizia che si trasformano nell’apprendimento ad amare e accettare le differenze tra gli esseri umani. La sua naturale predisposizione al bello si irradia anche in cucina, che diventa una raffinata arte. Sì alla qualità e no alla quantità, a ricette ricche di sapori, sfumature variegate, sperimentazioni che inebrino i cinque i sensi in modo armonico, come vuole la sua indole. Perfette le verdure crude decorate con fantasia. La Toscana dedica alla Bilancia una ricetta antica e nobile, proveniente dai “Fondi Medicei” dell’Archivio di Stato di Firenze. L’attuale misticanza toscana, ricca di varie “erbette di campo”, alcune delle quali oggi non esistono quasi più - il “terracrepolo”, tipica spezia che nasceva spontaneamente tra le muraglie, che popola ancora il giardino di Boboli quando l’erba non viene calpestata dai visitatori, e la “salvastrella”, pianta aromatica appartenente alle Rosacee - è da mescolare a pecorino, capperi, pinoli, pepe, uvetta sultanina e pancetta toscana.

D

all’eleganza al mistero il passo è breve con il segno dello Scorpione, terra di mezzo del cammino karmico, che deve trasformare la sua tendenza ad aver abusato nelle vite passate dell’ascendente che esercitava sul prossimo in compromesso tra due opposti: la morte - il passato - e la vita - futuro -, abbandonando il materialismo per elevarsi nella spiritualità. Come suggerisce l’Ultima Cena di Leonardo, la figura dello Scorpione è quella di Giuda, simbolicamente rappresentato dalla posizione dei suoi arti superiori disposti come chele aperte: il coltello in mano a Pietro sembra l’aculeo velenoso che esce dalla schiena dello scorpione-Giuda, nel quale vive l’elemento del corporeo, del materiale, dell’essere umano per eccellenza, il Cristo, che abbandona il corpo per tornare spirito, proprio come l’ottavo segno, rappresentato dal mese di novembre, il quale si spegne per poter rinascere in primavera, sinonimo di trasformazione e cambiamento.

E

stroversa la natura del segno zodiacale del Sagittario, che sparge gioia e ottimismo intorno a sé, frutto dell’onestà e dell’idealismo maturato dalle vite precedenti, che spesso si traduce nell’irrequietezza implacabile di un’esistenza da avventuriero o viaggiatore. Il centauro è simbolo del rapporto tra cielo e terra: cavallo come istinto e uomo come spiritualità. Amante dei piaceri della vita e della buona tavola, emblema di abbondanza tipica del suo pianeta governatore Giove, predilige i vini rossi corposi e decisi, da abbinare a una carne intensa. La Toscana gli regala il Chianti Classico, nativo dei dintorni di Firenze fino ai Monti del Chianti, terra di antiche tradizioni, civilizzata dagli Etruschi e poi dai Romani, dal 1300 circa un classico del commercio internazionale del vino, perfetto per la cosmopolita indole del nono segno zodiacale. Ideali da accompagnare le succulente tagliatelle al Chianti con ragù di cinghiale, marinato nel vino rosso per una notte intera, con sedano, carota, alloro, chiodi di garofano e bacche di ginepro.


a

tavola

con il

Galateo

oda

a cura del Maestro di cerimonie Alberto Presutti

I

l Galateo e le sue regole sono tali da costituire uno spartiacque tra il vero “signore” e il rozzo e maleducato commensale. Tecnicamente, la convivialità è la comunicazione efficace di noi stessi agli altri. Dobbiamo sapere, infatti, che a tavola, seppur inconsapevolmente, tendiamo ad abbassare le nostre difese facendo emergere la conoscenza o meno del Galateo, che se applicato, armonizza la convivialità e la rende gradevole quanto altrimenti la trasforma in un insopportabile momento di comunione con gli altri. Il Galateo suggerisce per ben figurare a tavola di starvi con eleganza, quindi seduti con postura eretta, le gambe raccolte sotto la sedia, i gomiti mai appoggiati sul tavolo e il tovagliolo spiegato con leggerezza sulle gambe solo dal momento in cui verranno portate le pietanze, senza bere il vino finchè non si inizia a desinare, né brindare col vino stesso a mo’ di champagne. Stare a tavola seguendo il Galateo, che non è formalità fine a se stessa, ma insegnamento di educazione e armonia, significa anche non mettere a disagio gli altri commensali con conversazioni che abbiano a tema la politica, la religione, il sesso, la droga, le disgrazie, la morte. Nella conversazione, a tavola, sarà bene astenerci dal trattare di diete, mai commentando l’altrui fame o astinenza. Le buone maniere, da sempre, hanno lo scopo di consentire una convivenza sociale rispettosa che mai potrebbe essere stravolta da malagrazia e da cafonaggine, che purtroppo, invece, con l’andar del tempo, per lassismo ed individualismo, hanno finito per averla vinta sul Bon Ton e sul Galateo. È compito dell’uomo servire, con la mano destra, da bere alla propria dama, ricordando di non colmare mai il bicchiere fino all’orlo né mai lasciarlo vuoto. I precetti del Galateo ci impongono di maneggiare le posate con levità, in ispecie il coltello, non brandendolo a guisa d’arma, né si gesticolerà, durante la conversazione, tenendo in mano forchetta e cucchiaio. Da tavola ci si alzerà quando lo farà colui che ci ha invitato o la padrona di casa, per lasciare il locale o farci passare in salotto, per sorbire il caffè.

www.albertopresutti.it


Frutto

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vinoveritas

TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová

N

on c’è niente da fare… il vino ci ha accompagnato fin dai tempi antichissimi, come un’ombra, fino dai tempi lontani del Diluvio Universale… Appena smise di piovere e le acque si ritirarono, Noè, sceso dall’Arca e liberati gli animali, piantò subito una piantina di vite. Il vino poi gli combinò qualche guaio con le figlie, ma tutto seguendo un preciso piano divino… Gli Egizi ci hanno lasciato pitture murali di rara bellezza, dove i grappoli vengono rappresentati sempre con precisione, chicco per chicco. Ma furono i Greci e i Fenici a diffondere il vino in Europa. Omero ne fu il primo cantore; pensiamo a Polifemo, che Ulisse truffò propinandogli un vino particolarmente forte, che di solito, all’epoca, si diluiva in 16 parti di acqua. E fu grazie ai greci colonizzatori e ai mercanti fenici, che la vite si diffuse nelle regioni dove ancora oggi è assoluta sovrana: l’Italia, la Francia e la Spagna. Spetta ai Romani l’invenzione dell’invecchiamento. Furono loro a costruire la prima botte e a riempire le prime bottiglie di vetro. Si raggiunse livelli di eccellenza, con il popolare Falerno, caro a Orazio, o con il raffinato Est Est Est, il vino bianco di Viterbo. Veniva mescolato con altre sostanze, per addolcirne il sapore, in quei tempi molto aspro: il miele per esempio… lo zucchero ancora non c’era. Con la scomparsa della civiltà, durante il medioevo, furono i conventi a mantenere viva la pianta della vite. Nessuno come i frati seppe apprezzare il sapore di un buon vino, e il chiuso dei conventi divenne luogo segreto di coltivazione, di vendemmie e di cantine. E di laute bevute, com’è da immaginare… D’altra parte, il vino è indispensabile a dir messa: anzi è il simbolo stesso dell’unione dell’uomo con il Figlio di Dio: Hic est enim… eccetera. Con la ripresa delle attività creative degli uomini, con gli slanci dell’Umanesimo e del Rinascimento, il vino tornò a essere fedele compagno delle tavole, desiderato e onorato nelle corti di tutta Europa. Le opere d’arte rappresentano spesso calici del rosso liquore o uve che straripano dai canestri. Michelangelo da Caravaggio ci ha lasciato, nelle più serene opere giova-

nili, ritratti del dio del vino, Bacco, sempre leggermente brillo, quando non malato o morso da un ramarro, come si trova nella collezione di Roberto Longhi, per esempio. Sempre autoritratti, comunque, per l’identificarsi ideale dell’autore con il personaggio e il disperdersi dei sensi… Il mondo del vino è diventato in seguito oggetto di studi scientifici: i vitigni esportati nell’ americhe hanno trovato nel nuovo mondo, in particolare nell’emisfero meridionale, condizioni allo sviluppo particolarmente favorevoli. Addirittura si sono formate nuove specie, immuni dalla terribile malattia che in passato ha provocato la quasi estinzione delle viti europee: la filossera, che colpisce le radici. E allora i nuovi vitigni, dall’apparato radicale immune da questa malattia, son tornati a salvare gli antichi progenitori. Attualmente tutte le piantine vengono innestate su una base di origine americana. Il resto è storia di scoperte, studi, ricerche, che hanno visto affinarsi sempre più i sapori, i gusti e i profumi di questa bevanda che porta in dono agli uomini la leggerezza dei pensieri e quella sottile armonia dei sensi che spinge la fantasia lontano, anche se si rimane ben fermi sulla sedia… L’importante è non esagerare: è una bevanda pericolosa per i danni che provoca e per i punti scalati sulla patente, nello sfortunato caso d’incappare in un palloncino rivelatore. Il gusto del vino è da assaporare con lo scorrere lento del tempo. Come quando si guarda negli occhi una bella donna.


© Foto Alena Fialová


Miti e Leggende

I

l vello I

’ o ro D

l re della Colchide odiava gli stranieri. Li odiava talmente che uccideva chiunque mettesse piede nel suo paese. Ma quando seppe che Giasone e la sua banda di eroi erano appena approdati in cerca del vello d’oro, fece un sorriso maligno. «Affiderò a questo grande eroe un’impresa impossibile e solo dopo ucciderò lui e i suoi seguaci» disse alla figlia, la maga Medea. Così il re li accolse benevolmente e, quando gli spiegarono la ragione del loro arrivo, fece finta di essere sorpreso. «Non lo sapete che chiunque voglia prendere quel vello deve prima fare qualcosa per me? Ho un campo che dev’essere arato e seminato, vuoi pensarci tu, visto che sei il loro capo?» disse, rivolto a Giasone. Giasone accettò subito, ma fu sbalordito quando vide gli animali che tiravano l’aratro e ancor più sconcertato quando vide che cosa doveva seminare. L’aratro era aggiogato a due tori che mandavano fiamme dalle narici, bruciando chiunque si avvicinasse e i semi erano denti di drago. «Hai tempo fino a domani all’ora del tramonto» disse il re. Era sapeva che Giasone non ce l’avrebbe mai fatta da solo, allora chiamò Afrodite. «Fà in modo che la figlia del re si innamori di Giasone» le ordinò. «Lei saprà come aiutarlo.» Afrodite spedì subito il figlio Eros a colpire la fanciulla con le sue piccole frecce d’amore e poco dopo, ecco Medea che strisciava furtiva nella stanza del giovane. «Ti amo» gli sussurrò. «E posso aiutarti. Prendi questo unguento e spalmatelo sul corpo: cosi sopporterai il calore emanato dai tori e potrai arare il campo.» Protetto dall’unguento, Giasone completò il lavoro e si accinse a seminare i denti di drago. D’improvviso, dai solchi spuntarono centinaia di guerrieri di pietra, ma Giasone li prese a sassate e cominciarono a combattersi tra loro. All’ora del tramonto erano tutti morti. Furibondo, il re ordinò ai suoi soldati di uccidere Giasone e i compagni l’indomani all’alba. Ma Medea lo aveva spiato e corse subito da Giasone. «Devi andartene!» gli disse. «Ti guiderò al bosco sacro e userò le mie arti magiche per addormentare il drago che custodisce l’albero. Così potrai rubare il vello d’oro e poi fuggiremo insieme!» Giasone le diede un bacio e uscirono dal palazzo in punta di piedi. Il bosco era cupo e tenebroso, ma lassù, appeso ai rami più alti, il vello d’oro splendeva come mille soli. Rapidamente Medea cominciò a recitare una filastrocca magica e poco dopo il terribile drago chiuse i suoi enormi occhi con un sospiro beato. Giasone scavalcò il gigantesco corpo squamoso e strappò dal ramo il prezioso vello. Mentre correva con Medea verso la nave, squillarono cento campane d’allarme e cominciò a rimbombare uno spaventoso frastuono di passi: erano i soldati del re che li inseguivano. Appena in tempo, saltarono sul ponte e gli Argonauti si gettarono sui remi finché la Colchide fu lontanissima. Con il vello d’oro finalmente conquistato, Giasone poté tornare a lolco e riprendersi il trono usurpato dal perfido zio Pelia.



Centro Toscano Edizioni


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