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Editoriale
n a r e G r v o n a m Grandi manovre
Carissimi lettori, ben ritrovati! Anche il 2011 volge al termine, siamo arrivati alle festività di Natale e di fine anno: grandi manovre in corso, molti i preparativi, sia che si trascorrano in casa, che si vada fuori con parenti e amici o che si decida di fare un lungo viaggio. Certo il momento economico mondiale non è dei migliori, però è anche vero che se ci si arresta di colpo, tutto dietro di noi cade a domino, e per ognuno, qualsiasi vita faccia, qualsiasi cosa desideri, qualsiasi cosa possegga, è la fine! Si rischia di perdere tutto, dove tutto non è solo il bene materiale, ma anche la libertà e la possibilità di svolgere qualsiasi semplice cosa che oggi esercitiamo senza neanche rendercene conto. Sì, carissimi lettori: siamo chiamati a grandi impegni, per certe categorie anche a grandi sacrifici, per far sì che la catastrofe non avvenga. Ognuno di noi è chiamato a esercitare la sua professione non solo per un proprio successo, ma nell’interessa della comunità intera. Oggi noi tutti, come i grandi artisti e maestri del passato, con la nostra artigianalità dobbiamo cercare di lasciare un segno. Grazie al nostro ingegno, alla creatività e manualità dobbiamo creare il nuovo. Forse il cuore della nostra economia sarà la piccola impresa, che proprio grazie al lavoro fatto con passione, voglia di crescere e orgoglio professionale cerca di curare ogni progetto nei minimi dettagli. Ci sarà nel pianeta produttivo del mondo globalizzato chi copierà il nostro lavoro e produrrà merce in grande quantità, ma certamente non riuscirà a clonare la qualità dei nostri prodotti originali. Creatività e qualità, sono queste le nostre risorse, le nostre materie prime che da sempre ci hanno fatto viaggiare e conoscere in tutto il mondo. Oggi ancor di più esse saranno la nostra carta vincente. Confidiamo che il 2012, grazie all’impegno di noi tutti, ci porti verso un tempo nuovo radicato alla tradizione del nostro passato, ma con lo sguardo rivolto creativamente al futuro.
Reality
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Irene Barbensi, Mariantonietta Belardo, Graziano Bellini, Andrea Berti, Paola Baggiani, Brunella Brotini, Vanessa Cappelli, Pierluigi Carofano, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Cristiana Cei, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Gustavo Defeo, Carmelo De Luca, Elenoire, Angelo Errera, Federica Farini, Enrica Frediani, Eleonora Garufi, Luciano Gianfranceschi, Paola Ircani Menichini, Luciano Marrucci, Marco Massetani, Matthew Licht, Sergio Matteoni, Antonello Mennucci, Nicola Micieli, Claudio Mollo, Ada Neri, Stefano Pezzato, Paolo Pianigiani, Alberto Presutti, Daniela Pronesti, Giampaolo Russo, Carla Sabatini, Domenico Savini, Gaia Simonetti, Leonardo Taddei, Samuela Vallini, Valerio Vallini.
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Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (Pi) ISSN 1973-3658
Reality numero 62 - dicembre 2011 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni.it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.
eality6 ARTE & MOSTRE
Sommario
Raffaele De Rosa Un invitato del matrimonio di Beppe
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In viaggio con De Rosa Fantasticarte Mito contemporaneo Questo è il mio fiume Dante Dainelli Milano per l’arte Leonardo e l’encausto Art Around
62 64 66 69 71 72 74 76 78 80
Il Rossignolo Trema la penna L’Urbe a tavola Il cioccolato Un olio per 10 chef I prodotti a km zero La signora in blu Le eccellenze del ritratto Bacco Tabacco e Cenere I campioni del Calcio
STORIA & TERRITORIO
34 36 38 40 42 44
Una passeggiata per San Miniato La storia di Moriolo Le campane del Gabbro Peccioli città delle fiabe Il sogno d’Ascanio Un giorno da Comics
POESIA & LETTERATURA
46 48 51 52
Andrea Zanzotto Funerale nero Edison vive Booking a Book
MUSICA & SPETTACOLO
54 56 58 61
Il cinema che si affaccia sul Mondo Il capolavoro compie 30 anni La scuola fa storia Caval che vince non si cambia
EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA
82 84 85 86 88 89 90
Emma Holmes Calcio Solidale Finale Nazionale Pesca Ma che SPA...M quest’Email! Comunicare in azienda La pelle di moda da 25 anni La moda in pelle al tempo della crisi
5 SENSI
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Ristorante Butterlfy Quel braccio del Garda Trentino Lassù sulle montagne Friuliane Moda Idee Regalo Padova, auto e moto L’oroscopo Bon Ton L’ananas
Parliamo di...
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in
viaggio con
De Rosa di Nicola Micieli
... sono sempre stato attratto in modo irresistibile dai mondi paralleli degli scrittori. Nelle loro pagine non ho mai cercato spunti o pretesti per far scattare il meccanismo della mia immaginazione, ma mi è interessato scoprire altre possibili dimensioni della mia personalità nei protagonisti, nei luoghi, nelle situazioni delle loro storie. Veramente amo questi libri che avrei potuto scrivere io, se fossi stato scrittore. Ma che ho dipinto o che dipingerò, perchè li riconosco parte integrante del mio mondo visionario. Gli scrittori mi prendono per mano e mi trasportano nel loro mondo, facendomi spaziare su altri pianeti, le cui immagini nuove e singolari catturo da fotoreporter, e le trasporto sulle mie tele, quali cronache delle mie emozioni, come un cantastorie... Raffaele De Rosa 10
R
affaele De Rosa è uno dei pittori fantastici italiani di più fertile vena creativa, abile e di felice risoluzione tanto nella pittura quanto nella grafica. Egli è naturaliter illustratore, ossia dotato di un repertorio iconografico e di uno stile come pochi altri idonei a tradurre in immagini evocative e suggestive luoghi e figure simboliche della tradizione narrativa. Specie quella favolistica, sia occidentale che dell’Estremo Oriente, facendo perno su un nucleo ispiratore ideale: il “pianeta” Pomarino, microcosmo lunigianese di un’infanzia vissuta a occhi sgranati, a succhiare racconti popolari e crescere con dentro un bisogno pressante di favoleggiare. De Rosa ha maturato assai presto il proprio mondo di visione e gli strumenti linguistici atti a rappresentarlo. Non ha mai avvertito il bisogno di operare mutamenti stilistici considerevoli, tanto meno svolte radicali. Certo la sua pittura ha avuto un’evoluzione, ma per cambiamenti percepibili solo a uno sguardo ravvicinato e comparativo. Per esempio, si è affinato e come ammorbidito il disegno. Si è fatta più sensibile e cattivante la linea, dalla quale scaturiscono come filamenti serici quei rabeschi in cui scorgevo, un tempo, l’ordito e la trama di un tessitura, che dicevo simile a quella degli arazzi franco-borgognoni del XIII e XIV secolo. È altresì divenuto più terso e netto il colore, sia che si dispieghi in larghe campiture liquide, che lasciano scorgere, in trasparenza, la complessa rete d’un décor di memoria diffusamente simbolista e liberty, sia che si frantumi in tocchi e filamenti, nelle riprese a corpo più denso e a timbro acuto o nelle accensioni della luce. La luce che a grumi o fasci investe e attraversa l’immagine, creando sovente fascinosi giochi da acquario, se non da animazione elettronica.
La roccaforte dell’oscuro Sauron, 2004
Anche sul piano compositivo vale il medesimo avvertimento. Non sono mancate le variazioni, ma occorre desumerle dal confronto delle immagini poiché riguardano soprattutto l’ampiezza e l’articolazione degli impianti architettonici, che oggi appaiono sovente maestosi e si configurano come vere e proprie rappresentazioni o progetti di città ideali. Sono complessi per lo più sorgenti dalle acque o arroccati su coste montane, che dirupano al mare o lo lasciano presagire per un qualche segnale atmosferico, una luminescenza cristallina del cielo o altre ineffabili tracce. A una scenografia così grandiosa e stupefacente, sul “palco” non potevano corrispondere che movimenti e direi coreografie complesse e persino artificiose, ordinati e con una regia assai sensibile alla macchinosità delle apparizioni e degli “effetti speciali” finalizzati alla stupefazione e allo straniamento. L’esito è da coinvolgimento globale dello schermo o cubo scenico che dir si voglia. Si ha una impressione di affollamento e di estrema animazione, non solo quando lo spazio è invaso da una folla di comparse e comprimari, ma anche quando un solo o pochi personaggi siano interessati all’azione drammatica. Che è poi sempre soprattutto un’ostentazione di gesti, di costumi, di attrezza-
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Il matrimonio di Beppe, 2011
ture da grande parata gotica, più che un vero e proprio movimento. Lo spazio risulta animato nella sua totalità, con una sorta di barocca contiguità e proliferazione degli elementi decorativi che lo percorrono in ogni direzione, e mutano forma trapassando l’uno nell’altro. Da quei rabeschi nasce l’ondulazione dei flutti fluviali o marini, ai quali contrastano destrieri dalle criniere ricciute e dalla bardatura doviziosamente ornata, montati da cavalieri non meno solari nella folgorante bellezza delle loro armature finemente incise e niellate. I medesimi rabeschi disegnano un prospetto di terra invasa da lussureggiante vegetazione, davvero invadente e ubiquitaria, capace di insinuarsi laddove una superficie si renda disponibile ad accoglierla come foglia o fiore o convolvolo o ramo flessuoso. Ebbene, registrate le variazioni formali, e confermata la continuità delle soluzioni figurali, che De Rosa ha elaborato attingendo con grande capacità di sintesi a testi di alta qualificazione storica, sui quali continua ancora oggi a esercitare lo sguardo e la mano, e dico Dürer, Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Mantegna, Piranesi, rimangono da verificare i materiali poetici e simbologici di cui l’immaginazione si serve per spiegare le proprie vele. Ecco, a compulsare il
catalogo delle pièces rappresentate, il repertorio delle favole e dei miti affrontati, mi sono convinto che quel che conta non è il contenuto narrativo, quanto piuttosto l’imbanditura scenica, la spettacolarità dell’evento visivo. Certo De Rosa non ha mancato di fare buone e specifiche letture. Non occorre affaticarsi a individuare i “sacri” testi antichi e moderni della sua biblioteca di affezione: le fonti letterarie sono evidenti e appartengono, in pratica, all’universo della favola, sterminato per quanto riducibile a strutture simboliche unitarie e ricorrenti in numerose culture, come ha insegnato Propp. Se non fossero trasparenti gli amori letterari e le filiazioni dei temi iconografici da topoi favolistici, ci pensa l’artista a dichiararli a piene lettere, nelle intestazioni dei cicli pittorici. Un ruolo centrale nella genesi dell’immaginario di De Rosa lo ebbero dapprima Il villaggio della Nuova Vita di Platonov e la “trilogia degli antenati” di Calvino, libri fortemente pervasi di utopia e insieme straniti e stranianti, per quel loro mettere in campo figure simboliche di eroi che sembrano provenire da un altro mondo, per edificare il nuovo mondo, e che inquietano per questa loro investitura. Sono seguite le storie del Ciclo Bretone di Re Artù e i romanzi cortesi, il dugentesco Novellino e l’epica ariostesca
Storia e utopia. Disordine primitvo, 2011
Argonauti guidati da Giasone alla ricerca del Vello d’oro, 2011
Storia e utopia. I tempi avanzano solo calpestando e schiacciando le folle, 2011
Nato nel 1940 a Podenzana in Lunigiana, vive e lavora a Livorno. Giovanissimo, si dedica alla pittura da autodidatta e comincia a esporre nel 1969, a Livorno. Negli anni successivi tiene numerose personali: Galleria Pananti, Firenze (1970); Galleria Angolare, Milano (1973), Galleria Metastasio, Prato (1974); Galleria Toninelli, Roma (1975); Fante di Picche, Livorno (1977); Galleria Santa Croce, Firenze (1981); Istituto Italiano di Cultura, Stoccolma e Copenaghen (1982); Mishkeno Shaí Ananim, Gerusalemme (1984), Galleria Maggiore, Bologna (1986); Palazzo Ambasciata Italiana, Madrid; Galerie Beau Lezard, Parigi (1988); Leonardo Arte, Roma (1988); Istituto Italiano di Cultura, Copenaghen (1989); Palazzo Marino, Rosignano M. (1994); Villa Rolandsek di Remagen, Germania (1997); Palazzo Guicciardini, Firenze. Tra le rassegne: Internationale Kunstmesse Berlino (1974); Art Expo, New York (1981); Carnevale e maschere, Viareggio (1984); Variazioni dellíimmaginario, Chiostro di San Agostino, Pietrasanta; Una maniera toscana, Castiglione della Pescaia (1985); Medioevo e dintorni, Casa degli Artisti, Riva del Garda; Le patrimonie revisité, Maison de líUnesco, Parigi (1986); Il tempo della città, Pinacoteca Comunale, Montepulciano (1987); Padania Etruria Magna Grecia, Mirandola, San Casciano Val di Pesa, Siracusa (1994); Sulla Francigena nel Medioevo, Castello di Nozzano (1999).
NOTIZIA
Quattro artisti: Girolamo Ciulla, Raffaele De Rosa, Alfredo Sasso, Kan Yasuda, e 100 opere ospitate in luoghi eminenti della storia e dell’arte in Sicilia, sono proposti in un percorso che si intitola “Il Mito Contemporaneo”, rassegna di scultura e pittura in programma dal 15 dicembre 2011 al 28 febbraio 2011 a Lipari, Palermo, Morgantina-Aidone e Taormina. A Palermo, Raffaele De Rosa, pittore del mito, ligure, nato ad un passo dall’antico porto romano di Luni, fa rivivere antiche gesta e singolari tenzoni parlandoci di dame e cavalieri. L’ottocentesco Teatro Politeama Garibaldi, è il luogo deputato alla “resurrezione” di un mondo onirico fatto di castelli e luoghi incantati, cavalli e cavalieri, miti e leggende che il pittore fa rivivere nelle sue grandi tele ad olio. Le opere di questo servizio sono presenti nella mostra siciliana.
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affrontata con un’eloquenza figurativa che ricorda la messinscena di Ronconi. Dallo schematismo robotico dei primi cavalieri, chiusi e indecifrabili nelle loro corazze puntute, minacciosi e inquietanti per quanto portatori di insegne che nel loro simbolismo esoterico rimandano a virtù civili e valori morali, è passato alla scioltezza e alla godibilità di una forma grafo-pittorica che, senza abbandonare l’originaria vocazione araldica e cavalleresca o neogotica che dir si voglia, si apriva a più grate e intriganti storie poetiche, a gesta e amori che alla valentìa guerresca alternano l’effusione sentimentale. Il tutto ambientato in luoghi incantati predisposti al gioco delle simulazioni e delle magie, ove si consumano eventi inspiegabili in un intreccio indissolubile di gioco, eroismo, crudeltà, altruismo, pazzia, fede, per sciogliere come catarsi la storia. Così accade nelle fiabe. Siffatti materiali rivelano una cultura fortemente orientata, direi quasi monovalente. È un retroterra idoneo a qualsivoglia innesto narrativo: fondale a ricostruzioni arbitrarie di vicende storiche registrate, poniamo la battaglia di Campaldino, e insieme di episodi
notabili della mitologia, specialmente quella greca che informa e contamina anche episodi di altra appartenenza. Per simpatia, su una ribalta così attrezzata potrebbero esibirsi insieme, con beata indifferenza all’unità aristotelica di luogo, tempo e azione, personaggi di derivazione e valenza diversissime. Ad esempio, Don Chisciotte e Girolamo Savonarola, eroi invasati entrambi del sacro fuoco dell’utopia, ma quanto distanti nella manifestazione della loro “follia”! Quando calcano il palcoscenico di De Rosa, magari per una “partecipazione straordinaria”, lo stralunato eroe di Cervantes e l’allucinato frate fiorentino diventano personaggi congeneri nell’ambiguità delle maschere loro assegnate dall’artista. Non si può parlare, dunque, di specifico narrativo, quanto piuttosto di una vocazione fabulatoria che assume e metabolizza luoghi letterari e personaggi diversi in un continuum visionario di ordine spettacolare. La pittura di De Rosa è una grande parata in cui protagonisti e comprimari sfilano insieme, ed esibiscono a mo’ di insegne i propri ruoli, direi le proprie funzioni narrative, più che sviluppare un’azione drammatica individuabile come storia. All’osservatore il compito di raccogliere suggerimenti e mettere in moto la propria immaginazione,
facendo capo a un momento qualsiasi dell’immane apparecchiatura visionaria ove santi e fanti, damigelle e cavalieri, animali e piante partecipano d’un unico rito esibizionistico, e con straordinario sincretismo si sovrappongono e si interconnettono in un pastiche così ben condotto da attivare imprevedibili percorsi di lettura, dilatazioni di senso, meccanismi associativi e proiettivi. A circolare nei giardini lustrali e tra i mirabolanti edifici in cui si esalta e trionfa un immaginario architettonico labirintico e piranesiano, si capisce insomma che l’occhio allenato del pittore è rapito dal dovizioso sfoggio di armature e costumi e festoni fioriti. Che i personaggi chiamati a recitare a soggetto, l’inusitato corteggio dei cavalieri, le dame, le creature magiche e gli animali fantasticati sono invenzioni di un artista che prende a prestito i propri modelli dalla letteratura che li ha fissati come patrimonio della memoria collettiva. E con i personaggi assume le loro insegne araldiche, i loro simboli quali si evincono dai portamenti e dai costumi, con i quali dà dignità e direi quasi legittimazione colta al proprio immaginario infantilmente stupefatto, capace di una dilatante e non neutra meraviglia. Come è nella poetica di Fellini. L’arte fantastica, per sua natura votata
all’ambiguità, consente certo ogni traslato, sino le illazioni e gli arbitri, talché non senza ragione potremmo interpretare come allegoria della moderna civiltà computerizzata il fantasmagorico apparato scenico inventato da De Rosa, per esibire cimeli ed emblemi alludenti alle umane qualità e aspirazioni e necessità, fingendo l’incantamento e la stupefacente epifania di giardini e palazzi ove si muovono fantastiche creature, e si ha solo l’illusionismo inesorabile del congegno automatico. In realtà, l’artista dipinge ossessivamente solo i propri sogni, o i propri fantasmi, che non sono necessariamente persecutori. E se Don Chisciotte, Tristano, Savonarola nel loro ostinato vagare per castelli e acquitrini, foreste e labirinti, guidati da un’ideale cometa alla ricerca della luce e della verità, della Dulcinea e dell’Isotta che sono poi simboli dell’anima assediata da tranelli e fingimenti, da maschere e mostri; se nel tortuoso viaggio attraverso i meandri della psiche i cavalieri per avventura incrociano i nostri aspri sentieri, voglio dire di noi uomini contemporanei, è solo perché il creatore di questi sublimi fantasmi, De Rosa, da uomo contemporaneo vive il suo tempo, e inconsapevolmente ne assume sino le inquietudini, figurandole nelle visioni di un sogno che sa di infanzia e di memoria incantata.
Il matrimonio di Beppe, 2011
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“Il cavaliere inesistente� di Italo Calvino, 2011
Mostre
fantas tic A dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 19,00 sabato e domenica dalle 17,00 alle 19,00
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TEXT Enrica Frediani PHOTO Marco Bonucci e archivio CTE
P
rosegue il progetto Carismi per l’Arte promosso dalla Cassa di Risparmio di S. Miniato con una straordinaria mostra di arte contemporanea dove dieci artisti, tra pittori e scultori, affrontano il tema del viaggio attraverso una rappresentazione “magica e fantastica”.
In mostra a San Miniato la fantasia e la magia raccontata da 10 artisti La rassegna ha luogo a San Miniato, nel polo espositivo di Palazzo Inquilini, sede della Banca promotrice, dal 12 novembre al 12 aprile 2012 ed è curata congiuntamente da Margherita Casazza e dal critico d’arte Nicola Micieli autore dei testi critici. L’ampio e articolato show-room ha permesso ai curatori di creare dieci aree espositive che, pur mantenendo tra loro un dialogo stilistico, quale espressione di contemporaneità e assonanze cromatiche, creano altrettante nicchie riservate favorendo una lettura esclusiva e privilegiata dell’autore, senza le consuete distrazioni e contaminazioni di linguaggi che inevitabilmente le collettive presentano. Nicola Micieli nel suo testo critico, presenta la rassegna come «Un viaggio in dieci “stazioni” attraverso sentori e figure espressive che dalla cultura della terra, animata da presenze misteriose e vitali, trapassa alla cultura dell’oltre, nella quale le prefigurazioni sono luoghi puramente mentali e in apparenza estranei o alieni che dir si voglia».
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Nella foto. in alto: Alessia D’Anteo della Cassa di Risparmio di San Miniato, Margherita Casazza, Enzo Sciavolino, Renzo Galardini, Giovanni Urti consigliere della Cassa di Risparmio di San Miniato, Raffaele De Rosa, Domenico Di Filippo, Gianfranco Rossi vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Nicola Micieli, Rinaldo Bigi, Cesare Borsacchi, Franco Fortunato, Gianfalco Masini e Giuseppe Lambertucci. In basso al centro il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini.
Il visitatore nel suo percorso attraverso le dieci “stazioni” è avvolto e catturato da magiche atmosfere che scaturiscono dalle singole ambientazioni dove suggestioni ed emozioni lo trasportano nel luogo immaginario e fantastico dell’artista. Gli artisti invitati a partecipare a questo breve ma intenso viaggio nell’arte sono: Rinaldo Bigi, pittore e scultore, docente di scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara.
Molte le personali e collettive in Italia e all’estero. Realizza grandi sculture urbane nelle quali il continuo racconto orchestra sapientemente la surrealtà che gli è propria. Protagonista delle sue opere è Gorky, il leone conosciuto al circo dall’artista ancora bambino. Rapito dalla drammaticità dello sguardo e dalla forza fisica che esprimeva il felino da dietro le sbarre, gli restituisce libertà e dignità rendendolo incontrastato protagonista delle sue cre-
azioni. L’animale crea un legame emozionale con la parte fanciullesca presente in ognuno di noi, ma nella sua fiera fisicità, manifesta solidità emotiva e forza strutturale assumendo la definizione di guardiano, testimone e compagno di avvenimenti che appartengono alla sfera emozionale dell’artista. In scultura le forme si evolvono in un assemblaggio compositivo che traduce la fantasia e la cultura dell’autore. Forme che originano altre forme in un pullulare di modulazioni materiche che costituiscono l’ironica e ludica narrazione fiabesca di Bigi. «Bigi scultore ha sempre avuto uno speciale legame con il colore e il piano superficie, pur praticando la pittura non al margine ma certo in modo riservato rispetto alla scultura. Anzi, a mano a mano che la pittura è andata crescendo in autonomia nel suo laboratorio creativo, ha finito col transitare, per osmosi, nella scultura stessa. Il colore ha contaminato la nudità dei bronzi e dei marmi; ha animato la vaghezza delle superfici polite; ha ingentilito – o evidenziato, secondo il caso – l’acutezza delle punte e degli spigoli. […] Con l’introduzione del segno e del colore, Bigi ha recuperato altresì la concezione originaria della scultura. Non solo quella etnica, per la quale il colore e la diversità dei materiali e degli oggetti sono imprescindibili dalla forma, ma la mediterranea e della Grecia classica, che conosciamo nuda e candida, ed era invece regolarmente “vestita” di colore». 1 Cesare Borsacchi, pittore, viaggia e sog-
giorna a lungo in Africa, America latina e centrale, Australia, Asia. In Ecuador frequenta il pittore Guayasamin, in Messico conosce Siqueiros e, in Argentina il pittore Perez Celis. Nel 1995 rientra in Italia e a Pisa, sua città natale svolge l’attività di pittore. Le sue tele si tingono dei caldi colori tropicali e di emozioni che rappresentano memorie dei suoi lunghi viaggi. Raffaele De Rosa, pittore, realizza molte esposizioni in campo nazionale, europeo, America ed Israele. Dal 1994 l’artista prosegue la sua ricerca
di immagini leggendarie. In mostra grandi tele dove sono raffigurate città immaginarie da cui affiorano memorie del passato, la storia della civiltà, cavalieri e animali descritti con sapiente segno grafico. Domenico Difilippo, pittore. Dal 1973 si evidenzia un elemento singolare nelle sue opere: L’occhio abnorme che caratterizza i suoi personaggi, i quali diverranno Sigla totem attorno al quale si alternano simboli ancestrali densi di significati, per un “bestiario contemporaneo”. Redige a Brema, il 1° maggio 1991, Il Manifesto dell’Astrattismo magico che diviene il suo nuovo modo di pensare e fare arte e sarà proposto per la prima volta in Italia. Moltissime le personali nazionali e estere. « […] Con la messa a fuoco poetica dell’Astrattismo magico, i “paesaggi” ulteriormente si riducono a conformazioni potentemente articolate e ormai decisamente totemiche, al cui interno, tra le commessure o ai bordi delle forme, Difilippo va selezionando e marcando di luce e di colore, segni o morfemi lanceolati, lamellari, falcati, figure astratte e primarie nelle quali l’organismo pittorico sembra riversarsi e condensarsi. […] Il “paesaggio” nuovamente disegnato è anzi ora un luogo di eventi sospesi in un tempo mitico, e implicitamente metafisico, e di una sacralità consegnata alla presenza silenziosa delle forme, degli oggetti, delle apparecchiature che Difilippo chiama Apparizioni, sotto specie di Icone, Angeli, Paesaggi dell’anima, Isole d’Arcadia, Velli d’oro, Menhir, Manoscritti». 2
Nella foto. Gli artisti: Enzo Sciavolino, Raffaele De Rosa, Domenico Di Filippo, Renzo Galardini, Rinaldo Bigi, Cesare Borsacchi, Gianfalco Masini, Franco Fortunato, e Giuseppe Lambertucci.
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opere di Franco Fortunato
opere di Rinaldo Bigi
opere di Francesco Musante
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Franco Fortunato, pittore, scultore, grafico. Negli anni ’70 nasce il suo particolare metodo di lavorare per “cicli” in cui affronta il tema di Pinocchio, seguito da l’Inventario e Le città invisibili ispirato a Italo Calvino. La figura del “Vagabondo” che rappresenta una dominante della sua poetica, affiora e riaffiora autonomamente nelle sue opere. Numerose le esposizioni in Italia e all’estero. «Fortunato ha dipinto monumentali orologi che non hanno lancette. Manca la scansione metrica, la battuta che segna il prima e il poi e determina l’intervallo, la durata del vuoto che differenzia e carica di senso il pieno. Sono orologi senza meccanismo, motori immobili di un tempo sospeso, di una durata virtuale. Eretti su pedane e tralicci o sorgenti direttamente da terra, sembrano piuttosto specchi o porte del cielo: arcobaleni, osservatori celesti che dentro e sullo sfondo di un paesaggio chiaramente abitato dall’uomo, fanno scattare poeticamente l’immagine introducendo un’attesa, una premonizione, un memento. […] A lumi spenti egli si aggira in quel labirinto abitato da fantasmi, lo visita come sfogliando le pagine di un libro e si ferma a immaginare una scena o un momento dell’azione.
opere di Raffaele De Rosa
opere di Gianfalco Masini
A quel punto si accendono le luci della pittura».3 Renzo Galardini, pittore, incisore, ceramista è stato segnalato sul catalogo Bolaffi per la grafica da Enzo Carli nel 1984 con la motivazione: «Per l’estro provocatorio ed ironico con cui la limpida tecnica grafica rievoca sia simulacri, emblemi, e simboli della storia, sia oggetti del presente, imprimendo loro una inedita suggestione poetica». Ha tenuto personali in Italia, e in musei in America e Germania. Giuseppe Lambertucci, pittore, grafico, scultore, ritrattista. Realizza un’importante serie di cartelle grafiche sui temi ecologici ed esistenziali. Partecipa a numerose manifestazioni ottenendo premi e riconoscimenti. Espone grandi e medie tele dove sogno e poesia si uniscono per condurre il visitatore attraverso un viaggio fantastico avvolto dai colori tenui e delicati delle sue opere. Gianfalco Masini, pittore. «Nella sua pittura la surrealtà si spinge sul terreno ambiguo, infido, in cui la forma allude a qualcosa di diverso: l’ironia. Non teme le contraddizioni interne alla pittura, insiste con il suo tipico spirito toscano. I paesaggi si animano di figure inventate, magari grottesche. La fantasia prende il volo. La realtà diventa
opere di Cesare Borsacchi
opere di Renzo Galardini
opere di Enzo Sciavolino
opere di Domenico Di Filippo
un pretesto». Ha esposto in personali e qualificate rassegne italiane ed estere. Francesco Musante, pittore, scultore, ceramista, illustratore di libri, ha realizzato moltissime personali e collettive in Italia e all’estero. « […] la forma pittorica in quanto pittura Musante la governa con mano agile ed esatta nei tracciati lineari quanto morbida e aerea nella resa della materia, che ha trasparenze da acquarello e brillantezza di smalto […] Le atmosfere rarefatte e gli artifici di Musante si confanno a chi ha lo sguardo penetrante e la mente pronta a riconoscere e a prendere al volo le “occasioni” aleatorie del sogno, per agganciare il proprio vagone alla locomotiva del poeta. In fondo, l’artista medesimo suggerisce un’adesione ludica ai propri percorsi, affermando di essere lui il primo a divertirsi – in un modo che non parrebbe nemmeno sfiorato dall’ombra della ungarettiana “allegria” di naufraghi alla deriva dell’esistenza, né da un palazzeschiano sorriso cinico – nel suo inesausto rigenerare la lanterna magica e animare d’un nuovo quadro il feuilleton che narra senza apologo la favola della vita».4 Enzo Sciavolino, scultore. S’impone alla critica nel 1965 con una personale realizza-
ta a Torino dove presenta un ciclo di sculture dal titolo Uno spazio per vivere. Del suo repertorio fanno parte anche grandi sculture per l’arredo urbano. Sue opere si trovano in musei e collezioni pubbliche e private. «Nelle opere sino al presente Sciavolino non ha mai cessato di tentare la via della favola e dell’apologo mediate immagini di incantata semplicità. Nel trittico della “leggerezza” un putto alato scala una corda ancorata al cielo; un bimbo cavalca una scopa stregata; una bimba fa l’altalena, con sul capo un cielo di fronde gemmate. Più oltre la scena si popola di altri putti, eroi in sedicesimo; qui un auriga guida un destriero a dondolo; là cavalca un ippogrifo con portamento regale o fa bilanciere su una corda tirata tra due aerei trampolini, sulla vertigine del vuoto. Altrove si assiste ad altre acrobazie e sfilate e apparizioni e viaggi, nel circo della terra o sulle onde del mare, che Sciavolino ha raccolto in bacili di bronzo o sezionato nel marmo delle sue isole-stele, dove ognuno di noi vorrebbe approdare per nuovamente conoscersi e conoscere». 5 Note: 1. N. Micieli, Reality n. 2/2008; 2. N. Micieli, 2007, catalogo mostra di Trecenta-Rovigo; 3. N. Micieli, Reality n. 1/2011; 4. N. Micieli, Reality n. 3/2011; 5. N. Micieli, Reality n. 3/2008.
opere di Giuseppe Lambertucci
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Mostre
Sicilia
Mito
contemporaneo
TEXT Andrea Berti
Q
uattro grandi artisti, Girolamo Ciulla, Raffaele De Rosa Alfredo Sasso, Kan Yasuda, e 100 straordinarie opere ospitate nei meravigliosi templi dell’Antichità siciliana per esaltare i luoghi e compiere il percorso millenario dell’uomo tra materia, spiritualità e Mito.
Ciulla, De Rosa, Sasso e Yasuda sulle orme del Mito contemporneo Con “Il Mito Contemporaneo”, la Rassegna Internazionale di Scultura e Pittura in programma dal 15 dicembre 2011 al 28 febbraio 2011 tra le città di Lipari, Palermo, Morgantina-Aidone e Taormina, “Il Circuito del Mito” trova la sua declinazione contemporanea nel linguaggio artistico e nella visione di quattro maestri dell’oggi che interpretano la storia e la sua preistoria, il terreno e la mitologia. Disseminate, tra siti archeologici, edifici d’inestimabile valore architettonico e stupefacenti scorci, grandi e medie sculture in marmo e bronzo, pitture su tela, mosaici, ed altri materiali sono pronti a stupire e ad accompagnare i turisti e i tanti appassionati di arte, storia, architettura, archeologia che arriveranno in Sicilia. Le mostre saranno inoltre accompagnate da tre seminari su “Arte, Turismo e Mito” con ospiti artisti, critici e giornalisti specializzati, storici, archeologi, galleristi e personaggi del mondo televisivo che si terranno a Taormina. A Morgantina-Aidone, Girolamo Ciulla, straordinario scultore siciliano, trapiantato in Toscana, stupisce con le sue divinità ancestrali, ideale ponte tra mito e storia. Il Museo Archeologico è il luogo perfetto per ospitare le opere, grandi e piccole sculture e bassorilievi, del Maestro sicilia-
no che per onorare il ritorno a casa della Dea di Morgantina, ha plasmato un progetto a lei dedicato. A Palermo, Raffaele De Rosa, il pittore del Mito, ligure, nato ad un passo dall’antico porto romano di Luni, fa rivivere antiche gesta e singolari tenzoni parlandoci di dame e cavalieri. L’ottocentesco Teatro Politeama Garibaldi, è il luogo deputato alla “resurrezione” di un mondo onirico fatto di castelli e luoghi incantati, cavalli e cavalieri, miti e leggende che il pittore fa rivivere nelle sue grandi tele ad olio. A Lipari, le mura del Castello con il Museo Archeologico, la Chiesa di Santa Caterina e il Chiostro Normanno, sono gli efficaci spazi espositivi per Alfredo Sasso,
DANIELE TRANCHIDA Assessore Regionale Turismo, Sport e Spettacolo
SALVATORE PRESTI Direttore Artistico “Il Circuito del Mito”
MASSIMILIANO SIMONI Art Director
Sono lieti di invitare la S.V. alle inaugurazioni/opening:
IL MITO CONTEMPORANEO
Rassegna Internazionale di Scultura e Pittura in Sicilia 16 Dicembre 2011 / 28 Febbraio 2012
ALFREDO SASSO Venerdì 16 Dicembre alle ore 12,00 Chiesa di Santa Caterina Acropoli del Castello di Lipari LIPARI
GIROLAMO CIULLA Domenica 18 Dicembre alle ore 18,00 Museo Archeologico di Aidone MORGANTINA – AIDONE
RAFFAELE DE ROSA Sabato 17 Dicembre alle ore 18,00 Teatro Politeama Garibaldi PALERMO
KAN YASUDA Mercoledì 21 Dicembre alle ore 18,00 ex Chiesa di San Francesco di Paola TAORMINA
R.S.V.P info@athenacommunications.it Lipari
Palermo
Aidone - Morgantina
Regione Siciliana
Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana
Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana
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poliedrico artista, italiano di nascita, ma newyorkese di adozione, scultore, pittore, mosaicista che ci porta, nel segno della Tradizione, “in un viaggio oltre il ricordo, in quella dimensione in cui l’evanescenza della memoria riporta alla luce soltanto gli elementi che conducono alla sostanza”. L’Area Archeologica accoglie le grandi tele, i mosaici e le piccole sculture dedicate appositamente al luogo e al Mito.
A Taormina, Kan Yasuda, giapponese, artista di assoluto valore mondiale, fonde arte e spazio in un unicum spontaneo e naturale. Le sue imponenti ed armoniose sculture in bronzo e marmo si rifanno alla conoscenza Zen e all’origine della vita. Nei luoghi simbolo, lungo Corso Umberto e nel meraviglioso Teatro Greco Romano, sono esposte le monumentali sculture in bronzo, e nella ex Chiesa di San Francesco di Paola e all’Hotel Metropole le opere più piccole in marmo e bronzo. Le sue opere sono il portale spirituale tra l’Antico e il Contemporaneo. La materia eterea di Kan Yasuda media tra Cielo e Terra emanando grande serenità. “Sono questi i Maestri, con le loro rispettive creazioni, chiamati a far rivivere il Mito negli antichi luoghi. La Rassegna Internazionale di Scultura e Pittura che abbiamo ideato – spiega Massimiliano Simoni, Art Director – mira a identificare la Sicilia tra i principali punti di attrazione per il turismo culturale e per tutti gli appassionati di arte contemporanea in un periodo delicato dell’anno. Un processo di “destagionalizzazione” che in molte realtà nazionali ed estere, ha attivato un virtuoso meccanismo di curiosità che ha portato interessanti flussi turistici da ogni angolo del globo in ogni periodo dell’anno. L’Arte Figurativa Contemporanea è efficace strumento di promozione e valorizzazione al pari di musica, teatro, danza e spettacolo; condizione indispensabile per un territorio che ha ambizioni importanti ed aspira a diventare il più grande oggetto di desiderio”. Un percorso artistico che collega tempi e contaminazioni che appartengono a momenti culturali anche lontani alla contemporaneità delle vesti artistiche scelte dagli artisti per proporre al mondo la loro personale visione del Mito. Nelle loro opere ritroviamo tutto il fascino della storia più profonda della Terra di Sicilia.
Taormina
Per info www.ilmitocontemporaneo.it
Girolamo Ciulla
Morgantina-Aidone
Alfredo Sasso Lipari
Raffaele De Rosa Palermo
Kan Yasuda 25 Taormina
Qmiofiume uesto è il
Suggestioni e memorie lungo le rive dell’Arno
Mostre
Santa Croce sull’Arno
TEXT Margherita Casazza
l
l Centro Espositivo Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Arno ospiterà dal 3 al 31 marzo una mostra dedicata al fiume Arno, organizzata da Il Grandevetro con il patrocinio della Provincia di Pisa e del Comune di Santa Croce sull’Arno. Essa è costruita su un’idea portante: raccontare il nostro fiume evocando suggestioni e memorie antiche attraverso pittura, scultura, fotografia, videoarte e installazioni. Questi sono gli spunti intorno ai quali i quarantasei artisti invitati hanno lavorato in piena autonomia e libertà. La mostra si articola in sette stanze, ognuna con un tema, un linguaggio specifico e una contaminazione. Una lunga striscia dipinta corre lungo le pareti delle stanze senza interruzione: è l’Arno che corre a pelo d’acqua partendo dal Monte Falterona, attraverso paesi, valli e città fino al mare. Un viaggio lungo 241 chilometri. Un viaggio nel tempo dove si incontrano secche e alluvioni, spiagge assolate, barcaioli, renaioli e morti affogati; pescatori, tuffatori, giochi d’acqua e lavandaie; cascate, liquami, nutrie, pesci morti, acqua torba e veleni mortali. E tutto fino al mare, fino all’immensità del mare e alla mutazione finale. Ogni stanza racconta un momento della storia del fiume che corre verso il mare: “L’Arno dal monte Falterona al mare”,“Gli affogati e i tuffatori”, “Gli incontri”, “L’uomo del Fiume”, “Gli sfollati”, “la Stanza degli ombrelli neri”, “la Stanza degli Ex-Voto” “la Stanza dell’acqua”, e “I Centolibri salvati”. Infine nell’ultima stanza verrà proiettato un film-documentario dal titolo “L’arno è anche un fiume” che il Centro Viva Voce di Firenze ha restaurato, dopo averlo recuperato presso gli archivi dell’Istituto Gramsci di Firenze. Girato nel 1968 con la regia di Vittorio Togliatti, il filmato ci racconta l’alluvione del 1966 a Firenze con uno sguardo critico allo stato di abbandono delle campagne circostanti. Oltre all’interesse sociologico del documentario, notevole è la colonna sonora inedita di Luigi Nono, restaurata anch’essa per l’occasione.
Gli artisti presenti nelle varie sezioni: L’inizio. L’Arno dalla sorgente alla foce Il percorso dell’Arno dal monte Falterona al mare: Orso Elia Frongia, Antonio Possenti, Stefano Ficalbi, Renzo Galardini, Antonio Biancalani, Luca Macchi, Ladislao Nocentini, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Giorgio Giolli, Valerio Comparini, Luca Sgherri, Giuseppe Lambertucci, Gianfranco Pacini, Leopoldo Terreni, Delio Gennai, Paolo Lapi, Alessandro Tofanelli. Gli affogati e i tuffatori: Cesare Borsacchi, Alessandro Tofanelli, Stefano Tonelli, Tista Meschi, Mario Madiai, Lorenzo D’Angiolo, Giorgio Giolli, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Gianfalco Masini, Giuseppe Lambertucci, Antonio Bobò, Antonio Biancalani, Federico Biancalani, Nando Snozzi, Ugo Maffi, Sauro Mori, Karl Heinz Hartmann, Giulio Greco, Pier Luigi Romani, Romano Masoni, Piero Gozzani. Gli incontri: Bernard Kaute, Milena Moriani, Luigi Fatichi. L’uomo del Fiume - Gli sfollati - La stanza degli ombrelli neri: Günter Dollhopf, Romano Masoni, Antonio Biancalani, Federico Biancalani, Vinicio Zapparoli, Antonio Bobò. La Stanza degli Ex-Voto: Cesare Borsacchi, Paolo Lapi, Gianfranco Pacini, Ladislao Nocentini, Stefano Ficalbi, Luca Macchi, Stefano Tonelli, Tista Meschi, Lorenzo D’Angiolo, Giorgio Giolli, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Delio Gennai, Gianfalco Masini, Valerio Comparini, Gianluca Sgherri, Giuseppe Lambertucci, Claudio Bernardeschi, Renzo Galardini, Sauro Mori, Rosemary Finckh, Giulio Greco, Simonetta Melani, Maria Grazia Morini, Mario Madiai. La Stanza dell’acqua: Installazioni di videoarte a cura di Renzo Boldrini e Giallomare Minimal Teatro L’inaugurazione avrà luogo sabato 3 marzo 2012 alle ore 18.00. Durata della mostra dal 3 al 31 marzo 2012 Orario di apertura tutti i giorni dalle ore 16.00 alle ore 19.00. Chiuso il lunedì
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Arte
DDainelli ante
TEXT Daniela Pronesti
N
on c’è materia capace di evocare, nella sua unità di forma e sostanza, valenze simboliche e sacrali quanto il legno, e questo spiega la straordinaria varietà di significati che esso assume nella storia dei popoli e delle culture. Primigenio e paradigmatico materiale da costruzione, metafora ricorrente nel mito, nei testi sacri e nella letteratura, il legno è da sempre compagno dell’uomo, che l’ha usato, fin dall’antichità, per ripararsi dal freddo, dare forma alle abitazioni e ai templi, trasformarlo in oggetto d’uso, modellarlo nel processo creativo per farlo diventare opera d’arte. È un sodalizio indissolubile quello che li lega e che li rende in un certo s e n s o simili,
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perché entrambi partecipi del dinamismo naturale e dei ritmi biologici che descrivono la parabola esistenziale di ogni organismo vivente. Una “fratellanza”, potremmo dire, che ben si comprende in certi paesaggi mediterranei popolati da alberi secolari, soprattutto ulivi, cui il tempo ha conferito, come per effetto di una misteriosa trasformazione, una morfologia non del tutto dissimile dall’anatomia di un uomo. Percorrendo, fin da bambino, le colline alberate del suo luogo nativo, Dante Dainelli ha imparato a conoscere e amare gli alberi, e a fare del legno il mezzo più congeniale alle sue esigenze espressive. Reduce dal successo della mostra intitolata Legni. Vena svelata corpo della scultura, dal 5 al 18 dicembre presso la Limonaia di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, lo scultore pisano conferma con questo evento il valore intrinseco del legno, che sotto le sue mani si carica di una sublime espressività che difficilmente trova riscontro in altri artisti del nostro tempo. La mostra, curata da Nicola Micieli, testimonia, mediante un nucleo significativo di opere abbastanza recenti, l’instancabile esercizio che sta dietro la sua ricerca artistica e il pieno dominio dei moti e delle emozioni che soltanto nell’incontro con la materia lignea trovano concretezza e totale appagamento. È una passione profonda, quasi un’ostinazione quella che, da sempre, lo spinge a preferire il legno ad ogni altro materiale. Fin dai primi anni Settanta, quando compie i suoi studi di modellazione e intaglio nella scuola specializzata di Ponsacco, tradizionalmente nota per la produzione del mobile, e scolpisce le maschere che segnano gli esordi del suo percorso artistico. Profili umani dall’ambigua espressione psicologica che rivelano, oltre ad un contenuto fantastico o grottesco, un chiaro riferimento alla cultura africana. Nelle maschere si percepisce la forza della visione cubica che contrappone le superfici l’una all’altra, e risolve la parte anteriore del volto in poche e aggettanti forme pla-
stiche c h e già dimostrano la capacità dell’artista di favorire la natura del legno, le sue irregolarità interne e di superficie. A distanza di poco tempo – siamo agli inizi degli anni Ottanta – comincia ad appassionarsi alla figura umana, particolarmente a quella femminile che diventa, da questo momento in poi, la protagonista assoluta del suo immaginario artistico, e intanto entra a lavorare come modellista stilistico alla Piaggio, nel laboratorio di elaborazione dei prototipi di carrozzeria. Un’attività che influisce in
foto: Fabrizio Damiani e Fabio Fiaschi
maniera determinante sugli sviluppi della sua scultura, perché gli permette di acquisire quel senso di leggerezza e di slancio dei volumi che caratterizza il design industriale. L’assoluta eccezionalità dei suoi lavori consiste, anzitutto, nel concepire l’approccio alla materia non come fase realizzativa di un disegno preparatorio, ma come momento integrante del processo ideativo. I lunghi anni dedicati allo studio del legno, gli hanno permesso di ca-pirne e quindi anche di rispettarne le specificità strutturali, formali ed estetiche, e di imparare, soprattutto, a considerarlo non come materia inerte, cui l’artista imprime vitalità dall’esterno, ma come forma che possiede una vita propria. È un corpo vivo il legno, un corpo che cresce e si trasforma per effetto del tempo, che acquista nuove cromie e venature con il passaggio degli anni, che s’indurisce e spesso s’aggroviglia in nodosità difficili da sfidare anche per il più abile degli scultori. Impresa in cui Dainelli riesce e si appassiona, perché ogni asperità di superficie, ogni fenditura che sembra interrompere e complicare il processo esecutivo, rappresenta per lui un’occasione preziosa per entrare, ancora più a fondo, nel mistero della materia. È un sentimento di scoperta quello che lo accompagna nell’atto di scolpire, un sentimento che cresce ad ogni colpo di scalpello che fa vibrare il legno e ne svela l’intima struttura, che accende l’incanto di una bellezza segreta e pronta a schiudersi. Le sue figure femminili sono creature che necessitano, per rivelarsi, di uno sguardo ravvicinato che consenta di scoprirne le raffinatezze d’insieme e di dettaglio. Particolarmente le prodigiose armonie di venature, che naturalmente tracciano sulla superficie percorsi lineari, moti centrifughi e centripeti, cerchi e spirali che l’artista individua e abilmente sfrutta per accentuare i volumi dei corpi e le qualità cromatiche del legno. Non soltanto la vigoria della materia, ma anche la sua connaturata dinamicità ottiene risalto in queste sculture, mai statiche, anche quando il soggetto sembrerebbe richiedere una solenne gravità, ma sempre libere, slanciate, interagenti con lo spazio. Così facendo Dainelli risveglia, come per incanto, la vitalità sopita e mai cancellata del legno, e ce la restituisce come essenza perenne “nonostante – come ebbe a dire Giorgio Vasari – le percosse dell’acqua, dei venti e degli altri accidenti della fortuna e del tempo”.
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Mostre
arte
Milano per l’
TEXT Carmelo de Luca PHOTO Ufficio stampa
D
al 4 novembre, il gotha dell’architettura milanese onora l’arte dell’Ottocento accogliendo nelle sale di Palazzo Anguissola, Palazzo Canonica, Palazzo Brentani, una preziosa collezione di 200 opere della Fondazione Cariplo; tanti i capolavori da ammirare, dai bassorilievi del Canova ai dipinti romantici di Hayez, dal risorgimento di Induno alle vedute urbane o alle scene popolari di Molteni, Migliara, Bisi, Canella. Il Divisionismo incorona Mi-
fruizione pubblica del bello, ha deciso di spalancare le porte affinché tutti possano ammirare i suoi tesori. L’esposizione permanente delle collezioni appartenenti all’Istituzione Bancaria costituisce il gradito regalo alla città di Milano, motivato da lusinghieri propositi legati alla promozione della cultura e a un nuovo spirito di identità nazionale da ricercare, per l’appunto, nella magnifica produzione artistica degli ultimi due secoli. La città meneghina, in particolare la Pinaco-
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lano centro nevralgico dell’arte italiana e la sua migliore produzione artistica dimora nel nuovo museo grazie alle opere realizzate da Segantini, Previati, Morbelli, Boccioni, quest’ultimo presente con Officine a Porta Romana e Tre donne. Artefice del magnifico progetto non poteva che essere il Gruppo Intesa San Paolo: grazie all’alto senso civico, all’amor patrio, alla sensibilità verso la
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teca di Brera, accoglie un’altra importante mostra con capolavori acquistati da due grandi collezionisti: Sergei Schuckin e Ivan Morozov. Catturati dal vibrante dinamismo che caratterizza la Parigi agli albori del XX secolo, i due mercanti di tessuti diventano clienti affezionati delle migliori Gallerie della Ville Lumière, come dimostrano le importanti acquisizioni che, ora, adornano le sale del Museo Pushkin. Le opere collezionate nel corso dei loro innumerevoli viaggi comprendono la migliore produzione delle correnti artistiche animanti la capitale francese, lo dimostrano le tele legate al periodo cubista di Picasso, tra le quali spicca La Regina Isabeau, le opere realizzate da Matisse su commissione, il Boulevard des Capucines di Monet, i Pierrot, Arlecchino, il Ponte sulla Marna a Creteil, creati da Cézanne, Ehaiha Ohipa appartenente al periodo tahitiano di Gauguin, la Vista del Ponte Sèvres di Rousseau: queste meraviglie rappresentano alcuni dei capolavori presenti in mostra. L’esposizione, visitabile sino al prossimo 5 febbraio 2012, esterna la sensibilità dell’animo umano ver-
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so la pittura, dettata da un sentimento di estasi e gioia nell’ammirare e nel possedere un’opera d’arte. Mostra Gallerie d’Italia: 1. Antonio Canova, Danza dei figli di Alcinoo 2. Francesco Hayez, I due Foscari Mostra Brera incontra il Pushkin: 3. Paul Gauguin, Aha Oe Feii? (Come, sei gelosa?) 4. Pierre Auguste Renoir, La pergola (Au Jardin du Moulin de la Galette)
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Arte
Perplessità sulle ricerche in merito alla Battaglia di Anghiari
Leonardo encausto e l’
TEXT&PHOTO Pierluigi Carofano
U
n luogo comune piuttosto diffuso anche fra gli storici dell’arte è la presunta incapacità di Leonardo di dominare le tecniche pittoriche, figlia di un innato sperimentalismo alimentato anche dai primi biografi tra i quali, ovviamente, Vasari. Anche nel fortunato best seller Il codice da Vinci, Leonardo viene descritto come una specie di inguaribile alchimista sempre alla ricerca di nuove ricette e soluzioni per i suoi dipinti, ma non solo. Bisogna ammettere che in qualche caso egli ha messo a dura prova la pazienza dei restauratori moderni, come nel caso limite dell’Ultima Cena in S. Maria delle Grazie a Milano; ma, sebbene anche questo dipinto offra qualche punto di contatto con la vicenda dell’encausto, è alla Battaglia di Anghiari che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione per sapere se Leonardo, come riportato dalle fonti, tentò di mettere in atto le sue conoscenze sull’antica tecnica pittorica dei greci e dei romani. Come è noto il dipinto, di cui non resta traccia nonostante ripetuti tentativi, anche recentissimi, di individuarne l’esatta ubicazione, era destinato a decorare la parete della Tribuna nella Sala del Gran Consiglio (meglio nota come Salone dei Cinquecento) in Palazzo Vecchio a Firenze, sulla parete ovest nella metà esposta a sud, pendant della mai realizzata Battaglia di Cascina di Michelangelo; e Leonardo vi lavorò ininterrottamente (tranne un breve soggiorno a Piombino nel novembredicembre 1504) dal 24 ottobre 1503 al 30 maggio 1506, data in cui viene richiesto dal governatore di Milano, Carlo d’Amboise di elaborare progetti urbanistici per quella città. A detta di Newton e Spencer, due studiosi che a lungo si sono occupati delle vicende della Battaglia, Leonardo aveva compiuto buona parte dell’opera; lo si deduce dalle testimonianze delle fonti e dai risultati delle indagini compiute sulla parete da parte della Soprintendenza di Firenze in collaborazione con la McCrone Associates di Chicago e dal Museum of Fine Art di Boston e recentemente dall’ing. Maurizio Seracini. Da quegli esami, realizzati con gli strumenti della termovisione, dalla stratigrafia di alcuni campioni d’intonaco e dall’impiego di una sonda endoscopica, è stato possibile constatare che le dimensio-
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Copia da Leonardo, Battaglia di Anghiari. Tavola Doria, olio su tavola, collezione privata
ni dell’opera realmente eseguita dovevano aggirarsi intorno ai 4 ½ m d’altezza e 23 di larghezza. E ancora nel 1549, giusto l’anno precedente la pubblicazione della edizione Torrentina delle Vite, in una lettera all’amico Alberto Lollio, Anton Francesco Doni raccontava con emozione di essere salito «nella sala grande a dare una vista a un gruppo di cavalli e di uomini […] un pezzo di battaglia di Leonardo da Vinci che vi parrà una cosa miracolosa». Dalle numerose copie tratte sin da subito su ciò che era possibile vedere, Cecil Gould ha ragionevolmente dedotto che l’episodio raffigurato nei due anni scarsi passati da Leonardo sui ponteggi doveva riguardare la scena centrale relativa alla presa dello stendardo, probabilmente il clou dell’intera battaglia, ma la composizione prevedeva intorno altri viluppi di cavalli e cavalieri oltre a un paesaggio sullo sfondo. La pubblicazione da parte di Gaye dei documenti relativi ai materiali richiesti per la realizzazione di quell’impresa permisero, a metà dell’Ottocento, in pieno revival dell’encausto, di valutare il proposito di utilizzare su una parete di vaste dimensioni pigmenti e leganti non idonei alla pittura a fresco, aprendo interrogativi sul tipo di tecnica adottata da Leo-
nardo che già aveva impegnato gli eruditi sette - ottocenteschi sulla interpretazione delle ragioni del rovinoso degrado dell’Ultima Cena in S. Maria delle Grazie. La presenza in quell’elenco di pece greca, gesso, olio di lino, gesso volterrano, biacca alessandrina, soda, olio di noce e foglia d’oro sta a significare che Leonardo considerava la parete come un grande supporto ligneo da prepararsi con un’imprimitura a base di gesso capace di garantire stesure a corpo e a velature tramite un legante oleo-resinoso chiaro e trasparente. È quanto registra Vasari, aggiungendo le sue motivazioni della non riuscita di quel lavoro, quando afferma che Leonardo, «immaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizione d’una mistura sì grossa per lo incollato del muro, che continuando a dipingere in detta sala, cominciò a colare di maniera che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare». Se è lecito nutrire qualche dubbio sull’imparzialità di tale giudizio rispetto alla capacità tecniche di Leonardo («fece una mistura sì grossa») dato che proprio al biografo aretino venne in seguito affidato l’incarico di ridipingere quella parete, è utile sottolineare come anche in fonti precedenti il motivo della scarsa riuscita
del lavoro veniva individuato nella mancata adesione della mistura legante/pigmento al supporto, con ragioni diverse da quelle fornite da Vasari, e proprio per questo assai utili. La testimonianza più antica è il Libro di Antonio Billi, testo compilato in un arco cronologico piuttosto ampio, ma assolutamente significativo in quanto pressoché coincidente con la fine del lavoro di Leonardo in Palazzo Vecchio (1506): “[Leonardo] fece […] uno cartone della guerra d’i Fiorentini quando ruppono Niccolò Piccinino, capitano del duca di Milano Filippo, ad Anghiari; el qual cominciò a mettere in opera nella sala del Consiglio di materia che non serrava, in modo che rimase imperfetta: dettesi la colpa che lui fu ingannato nello olio del seme del lino che gli fu falsato”. Dunque, da questa testimonianza emerge non tanto una difficoltà di tenuta tra supporto e imprimitura, quanto di legante avariato («falsato») incapace di far attecchire i pigmenti tra loro, particolare scarsamente credibile per un maestro esperto e ben addentro alle pratiche di bottega come Leonardo. Ma è un peccato che l’anonimo non ci dia la sua opinione, limitandosi a fornire quella degli altri («dettesi la colpa»), quasi una sorta di vox populi, lasciando il dubbio che avesse veramente compreso cosa aveva visto o sentito. La seconda fonte in ordine di tempo sono gli Elogia Virorum Illustrium di Paolo Giovio (1527 c.); qui ci si limita a segnalare come Leonardo con scarso successo avesse provato ad unire olio di noce, pigmenti e gesso. Ora, questa testimonianza può essere interpretata in due modi diametralmente opposti: o l’umanista Giovio, prediligendo un approccio prettamente intellettuale (giustificato dal suo punto di vista), si disinteressò di entrare nel merito della natura del legante menzionando quello più diffuso ai suoi tempi oppure, e a me pare più probabile, ciò che si vedeva in quegli anni della Battaglia di Anghiari era talmente essudato ed ingiallito da far pensare all’utilizzo dell’olio di noce come legante, il quale, come è noto, ha una pigmentazione naturale giallo-bruna ed è piuttosto denso, causa spesso di improvvidi imbrunimenti del film pittorico. E questo ben si coniuga con un documento del 1513, in cui si dice di difendere (proteggere) le pitture di Leonardo che «là non sieno guaste». La terza fonte, l’Anonimo Magliabechiano, è quella più interessante perché entra specificamente nei dettagli tecnici in quanto sostiene, inaspettatamente, che Leonardo cominciò a dipingere utilizzando come legante una vernice – evidentemente di sua composizione -, precisando successivamente che «di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l’intese bene». Ora, lo stucco di Plinio corrisponde ad una mistura di cera, olio rettificato e pigmento, ovvero l’encausto ed è a questo punto che è opportuno chiamare in causa le indagini chimiche compiute sulla parete della Sala del Consiglio ed anche quelle effettuate sull’Ultima Cena in S. Maria delle Grazie. I campioni esaminati rivelano al di sotto
dell’intonaco dell’affresco di Vasari, nell’area corrispondente alla Battaglia, uno strato di pigmento rosso piuttosto esteso da far pensare ad una sorta di preparazione intonata allo scopo di fare da fondo ai colori stesi successivamente. Al di sopra di questa preparazione vi sono da uno a cinque strati di colore con tracce di carbone (usato per il disegno), dispersi in un solvente oleoso dove sono stati individuati due pigmenti funzionali all’idea di pittura atmosferica di Leonardo. Il primo è una sorta di verderame presente anche in alcuni campioni analizzati dell’Ultima Cena di cui esiste una ricetta nel Trattato della Pittura. L’altro è azzurrite polverizzata a base di cobalto presente anche nei blu della Vergine delle rocce al Louvre: ulteriori indizi che il dipinto non poteva essere eseguito a fresco. Come Leonardo intendesse legare questi pigmenti all’imprimitura e fissarli superficialmente in modo da renderli stabili rimane allo stato attuale estremamente difficile da stabilire. Possiamo soltanto formulare alcune deduzioni sulla scorta dei materiali elencati nel citato documento fiorentino e dei trattati tecnici cinquecenteschi quali quelli introduttivi di Vasari alle edizioni delle Vite e dei Veri precetti della pittura di Armenini. Col gesso semplice e quello per murare, ovvero lo stucco, egli rendeva regolare il supporto murale, poi preparava una mistura con mastice e gesso volterrano macinato in modo da ottenere brillantezza da quella superficie. Infine stendeva i colori con un legante oleoso. Resta da definire il ruolo di un materiale insolito come la pece greca, messa in relazione diretta «per la pictura». Si tratta probabilmente della “zopissa” di Dioscoride «una resina con cera raschiata dalle navi da alcuni chiamata ‘apochyma’ che ha la capacità di sciogliere perché è macerata con acqua marina. Altri chiamano così la resina di pino» (Eastlake). Poiché Dioscoride la descrive come resina, è evidente che si trattava di un composto incolore, il cui ingrediente resinoso avrebbe potuto o essere liquido per natura o, se solido, veniva probabilmen-
te sciolto aggiungendovi quell’olio essenziale che i balsami e le resine liquide contengono naturalmente. In entrambi i casi si poteva aggiungere un olio essenziale per diluire il composto e occorreva il calore per ottenere o aiutare la soluzione e la miscelatura della cera e rendere la preparazione più asciutta. La funzione della cera mescolata con resine morbide è quello di bloccare la loro naturale tendenza a sciogliersi, anche a una temperatura molto alta, oltre a impedire che la superficie si screpoli. Le applicazioni di questa complessa mistura potevano essere molteplici, anche se sono convinto, sulla scorta delle testimonianze sopra citate, che Leonardo la usasse come legante; e la combustione superficiale finale aveva l’effetto di produrre una materia dall’aspetto vitreo che poteva essere pulita e lucidata di volta in volta quando necessario. Una parziale conferma di quanto vado dicendo si ha dalla lettura di un breve passo di Vasari sui colori a base di cera, di solito non utilizzato nell’ambito della discussione sulla fortuna dell’encausto, probabilmente perché rubricato all’interno del capitolo dedicato allo scultura nell’Introduzione alle Vite: “non tacerò ancora che i moderni artefici hanno trovato il modo di fare nella cera le mestiche di tutte le sorti di colori: onde, nel fare ritratti di naturale di mezzo rilievo, fanno le carnagioni, capelli, i panni e tutte l’altre cose in modo simili al vero, che a cotali figure non manca, in un certo modo, se non lo spirito e le parole”. In questo caso Vasari si riferisce alla pratica assai diffusa ai suoi tempi di eseguire medaglioni e figure in cera colorata senza dilungarsi sul modo di colorare questo materiale di per sé biancastro o tendente al giallo. Orbene, di fronte ad una situazione così complessa ed articolata, e dopo 500 anni, credo che poco sia rimasto del dipinto di Leonardo: quella messa in scena dal Comune di Firenze, con tanto di sponsors, ha tutta l’aria di essere un’operazione di grande visibilità in cui il Maestro di Vinci c’entra veramente poco.
Leonardo, Ultima Cena. Milano, S. Maria delle Grazie
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CENTO
Egregio tributo allo scultore Cesare Tiazzi, maestro indiscusso della scultura in ceramica del XVIII secolo, le cui opere costituiscono un punto di riferimento nell’arte emiliana. Dotato di una innata capacità espressiva, il maestro rielabora la sua formazione 27 novembre 2011 bolognese relativa all’apprendista11 marzo 2012 to, portando tocchi di autenticità Cento personale a un’arte plurisecolare che Pinacoteca Civica trova nell’argilla la sua materia prima. L’esposizione di Cento, nobile città nella quale Tiazzi crea buona parte delle sue sculture, comprende opere realizzate da Giuseppe Maria Mazza, Angelo Gabriello Piò e Andrea Ferreri, suoi egregi insegnanti bolognesi, Filippo Scandellari, Ubaldo Gandolfi, Clarice Vasini, Giacomo De Maria, Giovanni Putti, scultori del suo tempo con i quali ha un prolifico dialogo culturale. Le opere in mostra evidenziano uno struggente senso del dolore composto, come dimostra il gruppo scultoreo policromo della Pietà con San Francesco, i temi della tradizione religiosa popolare legati alla Passione, al Presepe, alla Madonna col Bambino, ai Santi, al profano. L’evento rappresenta una occasione da non perdere per gli amanti della terracotta d’autore!
Cesare Tiazzi il fascino della terracotta
Un omaggio all’arte dell’Urbe, tra XVI e XVII secolo, teatro dei cambiamenti nella pittura europea ad opera di Annibale Carracci, anima divulgativa del pensiero classicista, e Caravaggio, artefice di una nuova rappresentazione della realtà giocata sugli accostamenti tra luci e ombre. I capolavori presenti in mostra testimoniano l’importanza di questi pilastri nella Roma papalina del tempo, tra essi menzioniamo le due versioni della Madonna di Loreto e di S. Agostino. La loro presenza in Città attira Domenichino, Lanfranco, Guido Reni, Albani, che dal Carracci apprendono come la virtù della pittura classica possa diventare mezzo per la conoscenza del reale, mentre Artemisia Gentileschi, Carlo Saraceni, Orazio Borgianni, Bartolomeo Manfredi ammirano il naturalismo caravaggesco, espresso attraverso una plasticità figurativa ottenuta mediante l’illuminazione sul buio della scena. Le due correnti artistiche attivano contatti con gli stranieri Valentin, Vouet, Honthorst, Rubens, Ribera, presenti a Roma in tale periodo e i numerosi dipinti presenti nelle sale espositive testimoniano il loro operato, che ha reso la Caput Mundi centro divulgativo della cultura agli albori del Seicento.
FIRENZE Le stanze dei tesori: Museo Bardini
Roma al tempo di Caravaggio
ROMA
L’ARTE INTORNO A TE a cura di Carmelo De Luca
11 novembre 2011 5 febbraio 2012 Roma Palazzo Venezia
Tra i luoghi interessati dalla nuova edizione de Le Stanze dei Tesori merita una menzione speciale Palazzo Bardini. Orgoglio del Polo Museale Comunale, questo contenitore di meraviglie rappresenta motivo di vanto per le Istituzioni di Palazzo Vecchio e non potrebbe essere altrimenti alla luce dei capolavori custoditi nei solenni saloni dal gusto gotico-rinascimentale. Dipinti, sculture, ceramiche, importanti produzioni delle arti applicate raccontano gli splendori di Firenze sino al XVIII secolo. Innumerevoli gioielli, raccolti da Stefano Bardini durante la sua straordinaria esistenza, riempiono ambienti, pareti, corridoi della maestosa dimora, tra i quali menzioniamo la Carità di Tino da Camaino, l’Atlante del Guercino, la Madonna della Mela di Donatello, la Madonna dei Cordai di Donatello, il San Michele Arcangelo di Antonio del Pollaiolo. Inoltre, grazie al contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, un sapiente restauro ha riportato al suo antico splendore il monumentale Crocifisso di Bernardo Daddi, ora esposto nella Sala dei Dipinti. Gli studi condotti sull’opera hanno individuato in essa quella che fu la croce principale della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, scomparsa nel Quattrocento.
3 ottobre 2011 15 aprile 2012 Firenze Museo Bardini
CONEGLIANO
Bernardo Bellotto
11 novembre 2011 15 aprile 2012 Conegliano (TV) Palazzo Sarcinelli
Il vedutismo immortalato dalle abili mani di Bernardo Bellotto trova collocazione nell’olimpo dei grandi grazie ad una produzione artistica dalla quale si evince l’attenta osservazione delle architetture, il dinamismo impresso al cielo e all’acqua attraverso un attento utilizzo del colore, ai suoi drammatici chiaroscuri. Venezia, Firenze, Roma, Milano, Torino, Dresda, Vienna, Varsavia, rappresentano le muse ispiratrici delle 60 opere presenti in mostra, dalle quali si evince una forza espressiva leggibile nella riproduzione dell’arredo urbano, nell’intensità del verde smeraldo delle acque, nella rappresentazione degli ambienti bucolici, nelle vedute romane, nel “Palazzo in Villa”, autentico capolavoro dell’arte prospettica dove la struttura, il giardino, il belvedere, diventano scenografia al servizio del principe Josef Wenzel, Consorte e Dama, egregiamente rappresentati nella bellissima tela. Il periodo polacco, particolarmente prolifico, coincide anche con la creazione di superbe incisioni o scene di vita quotidiana, delle quali Bellotto ne è un grande interprete. La mostra di Conegliano permette al visitatore di ammirare la migliore produzione dell’artista grazie ad importanti prestiti provenienti dall’Italia e dall’estero: non mancate a questo importante appuntamento!
Leonardo, il genio, il mito
VENARIA
L’originale mostra di Venaria rende omaggio al genio di Leonardo attraverso selezionati disegni realizzati dal maestro, documenti inerenti al famoso Autoritratto, presente in esposizione, l’importanza della fisionomia (tema, a lui, molto caro) nella storia dell’arte raccontata grazie a una carrellata di dipinti, spazianti tra il XV e il XX secolo: a tal riguardo le scuderie dell’augusto castello ospitano importanti tele del Quattrocento, la 17 novembre 2011 celebre Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, l’Uomo 29 gennaio 2012 Vitruviano rivisitato da Ceroli. La mostra è supportata Venaria da eccellenti approfondimenti dedicati alla meravigliosa Scuderia Juvarriane evoluzione socio-culturale dell’artista, dalla rassegna di film a Lui dedicata, da un video curato da Piero Angela, dallo spazio multimediale nel quale il tema della fisiognomica e della fisionomia viene studiato attraverso una riproduzione animata dell’Ultima Cena, che permette di entrare nel particolare del prezioso affresco. Come accennato, i numerosi “fans” di Leonardo potranno deliziare la vista grazie alla presenza di eccelse opere originali, basti pensare al Codice sul volo degli uccelli e i tredici fogli autografi della Biblioteca Reale di Torino o ai preziosi prestiti aventi per soggetto il volto, la natura, l’anatomia umana, le macchine: allora cosa aspettate? Venaria vi aspetta!
SONDRIO
In confidenza col Sacro La tradizione devozionale di vestire statue di Santi fa parte del bagaglio culturale relativo alle vallate situate tra l’Alta Lombardia e la Svizzera, così la bella mostra di Sondrio ripercorre la storia della venerazione, soprattutto Mariana, attraverso l’antico rito della vestizione di manichini dal corpo realizzato in materiale povero, le cui parti scoperte sorprendono per la delicata naturalezza espressiva del volto, delle mani, dei piedi, realizzati in ceramica di squisita fattura. In effetti questi simulacri sono addobbati di tutto punto con abiti raffinati, creati da tessuti di pregio, ricami dal gusto barocco ideati attraverso l’utilizzo di fili in seta, oro e argento. Biancheria intima, corpetti, corone regali, completano il corredo di una eredità religiosa, artistica, culturale, dal valore inestimabile. L’esposizione sondriese propone venti statue e una nutrita collezione di vestiario prezioso, gioielli, ex voto, documentari, capaci di dare al visitatore una panoramica completa su un’usanza, purtroppo desueta, dal valore simbolico profondo: la mostra vuole dare luce alla società contadina del luogo attraverso la valorizzazione di questo patrimonio che, spesso, rappresentava conforto e mezzo d’intercessione per ottenere grazie o per scongiurare calamità.
Reality
10 dicembre 2011 26 febbraio 2012 Sondrio Galleria Credito Valtellinese e MVSA
LA VETRINA
Territorio
Ottocento
San Miniato TEXT&PHOTO a cura di Valerio Vallini
N
el Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato (Rivista di Storia, Lettere, Scienze ed Arti, anno LVI, vol. 44, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1975), abbiamo trovato una Guida della città di San Miniato al Tedesco del Sacerdote Giuseppe Piombanti, San Miniato, Editore Massimo Ristori, 1894, ristampa anastatica. La riproponiamo per i lettori di Reality come un regalo di Natale per chiunque voglia fare una gita per la città immergendosi in un clima di tardo Ottocento. La Stazione, che da San Miniato prende il nome, mezzo si trova tra il grosso paese di Fucecchio e San Miniato stesso. Si va da essa alla città, che è distante due chilometri, traversando il borgo del Pinocchio, la cui chiesa, dedicata a S. Stefano e Martino, fu edificata dal granduca Pietro Leopoldo nel 1780. Dal Pinocchio, sulla strada provinciale tra Pisa e Firenze, per due vie si giunge a S. Miniato. La più lunga e più agevole, passa per l’altro borgo della Scala, antica
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una passeggiata per
fermata postale, e ci arriva per Nocicchio, villa Antonini, e via S. Andrea, dove fu una pieve omonima, sotto il colossale convento di S. Francesco, demolita nel 1649. La più breve e più ripida perviene al così detto ponte di S. Martino, anticamente chiuso da porta, rimpetto alla quale sorgeva la propositura, che dette il nome alla porta stessa e a questa parte di città. Nella quale poscia tu entri passando tra i pubblici ammazzatoi, costruiti nel 1884, e le carceri del circondario, che occupano parte dell’antico monastero della SS. Annunziata, mentre l’altra parte, venne ridotta a collegio. Da S. Martino, che resta a ponente, S. Miniato, sopra ameni colli, verso levante si estende, per una via di circa mezzo chilometro, fin dove fa la porta Poggighisi “onde il Ferruccio ruppe a forza nella città e ne cacciava gli Spagnuoli”. Detta via, fino a piazza Gioacchino Taddei, celebre chimico samminiatese, ebbe nome Faognana di sopra, ed oggi S. Martino. In essa, difaccia allo sdrucciolo S. Cosimo, fu un ospizio pei poveri sacerdoti, e, prima di
entrare nella piazza suddetta, fondò uno spedale pei poveri il sacerdote Giacomo Vanni, come dice l’iscrizione in pietra che vi si legge. Un’altra via parallela alla prima, ma più bassa, si chiamò Faognana di sotto, ed ora piglia il nome dal teatro che vi si trova. Da piazza Gioacchino Taddei, ove sorge la chiesa dei domenicani, e l’antica casa Gucci, s’apre, a destra, la via Ser Ridolfo, che termina alla porta omonima, in memoria, come sembra, del prode Ridolfo Malpigli, fatto dal Magistrato cavaliere il 2 aprile 1307. Vedesi subito il chiostro dei domenicani, aperto al pubblico nel 1873, dove un’iscrizione si legge, in lode di re Vittorio e di Garibaldi, dettata nel 1886 dal prof. Augusto Conti. Poi v’ha la posta delle lettere, rimpetto alla casa Morali, dove illustri personaggi videro la luce. Prima di giungere al palazzo Formichini, si legge un’iscrizione, che ricorda aver dimorato costì il Taddei; la casa di faccia dicono appartenesse alla famiglia Borromei. Quella ultima, ora Settimanni, prima di entrare in piazza Grifoni, fu della
famiglia Pazzi, e vi dimorò giovanetta S. Maria Maddalena. Il palazzo Grifoni, oggi Catanti, lo edificò Ugolino, maggiordomo del duca Alessandro dei Medici, coi materiali delle abbandonate fortificazioni della rocca. Passata la porta Ser Ridolfo, tu vedi la Chiesa della Crocetta, nel borgo omonimo, la cura della SS. Annunziata, detta popolarmente la Nunziatina, poi il regio Conservatorio di S. Chiara, e più oltre la chiesetta di S. Maria a Fortino, dove fu un fortilizio, a difesa di S. Miniato, e uno spedale. A sinistra, per ameni colli, si va. All’antico
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castello di Cigoli, dove una taumaturga immagine di Maria è venerata. Se tu volgi a destra, trovi un vicino poggetto, dove fu la parrocchia di S. Maria a Fibbiastri, di cui riparleremo, e più lungi il cimitero pubblico. Dopo il quale, passando sotto Montetonico, dove esistè un monastero di Agostiniane, si scende al borgo detto la Catena, confine dell’antico dominio samminiatese. Tornando in piazza Gioacchino Taddei, entrasi, dalla parte opposta, in via del Fondo, dove fu, presso la nuova strada che conduce alla bella passeggiata pubblica, uno spedale pei poveri, che si chiamò di S. Croce del Fondo. Proseguendo tu incontri la casa, già Roffia, e poi un grand’arco, detto del pretorio, chiuso in antico da porta. Però la parte di città, fìn qui percorsa, la chiamavano fuori di porta. Viene la piazza del Seminario, ora Vittorio Emanuele. Qui, in via del Fondo, e in piazza Gioacchino Taddei, fìno dai tempi della repubblica, ogni martedì, si teneva, e sì tiene pubblico mercato, che è pur luogo di convegno dai circostanti villaggi e paesi. Da piazza Vittorio per tre vie si sale all’antica piazza del Castello, oggi del Duomo: una passa sotto la pretura e la sotto-prefettura, già dimora dei vicari imperiali; una sotto il palazzo vescovile, dove pure è la Curia, e l’altra non è che una grande, scala, costruita dopoché i fiorentini concessero la riapertura al culto della Collegiata, come vedremo. Tu puoi dalla Piazza del Duomo salire al poggio più alto di S. Miniato, dove sono gli abbattuti avanzi della prima cinta del castello, sui quali si eleva la fortissima torre quadrata, dei tempi di Federigo II, che il popolo chiama la rocca. Lasciando la Piazza Vittorio, per la via di Castelvecchio, si scende al palazzo comunale, rimpetto al quale si ammira, sotto la rocca, la bella gradinata a due branche, che alla chiesa del SS. Crocifìsso conduce. Trovasi quindi lo sdrucciolo di Gargozzi, già chiuso da porta, che ha questo indigesto nome, perché mena giù in una valle, dove si eseguivano le impiccagioni dei delinquenti. Difaccia a questo sdrucciolo stava la distrutta chiesa di S. Giusto e Clemente. Poi, dove tu vedi un Asilo infantile, la chiesa dell’ Arciconfraternita
della Misericordia e il Ginnasio comunale, fa tutto un monastero di Agostiniane, dedicato alla SS. Trinità. Dopo il quale, fino alla chiesa parrocchiale di S. Stefano, dimoravano i canonici di S. Antonio, che vi aprirono uno spedale pei lebbrosi. A sinistra è la via del Poggio, che va alla gran chiesa di S. Francesco. Sulla scesa, che mette in piazza Buonaparte, di fianco a S. Stefano, stavano le case della nobil famiglia Mangiadori, bruciate dal popolo nel 1396 dopo la loro ribellione a Firenze. Dove ora si vede il Tribunale civile e penale, e nella casa accanto, che ha un’iscrizione commemorativa, vissero lungamente gli antenati del gran Capitano. Sorge nel mezzo la bella statua di Leopoldo II, che prima dava il nome alla piazza. All’intorno tu vedi: la chiesetta di S. Rocco, la Cassa dei risparmi, e la casa ove nacque il vescovo di San Miniato Alli-Maccarani. Si parte da questa piazza anche la via S. Andrea, che alla porta omonima conduceva, sotto il convento di S. Francesco, demolita al presente. Continuando per via Buonaparte e di Pancole, puoi vedere le case delle famiglie antiche Ansaldi e Portigiani, e, accanto a quest’ultima, il monastero di San Paolo delle Clarisse, a benefizio dell’istruzione popolare riaperto. Rimpetto alla chiesa di S. Paolo stava la parrocchia di S. Giacomo e Filippo a Pancole, ora ridotta ad abitazione, accanto alla quale fu lo spedale di S. Niccolò di Bari: avevano ambedue l’ingresso sulla piazzetta, che di questo santo porta il nome. S’entra in fine nella piazza S. Caterina, in cui oltre alla chiesa parrocchiale omonima, tu vedi il palazzo della nobil famiglia Migliorati e gli Spedali Riuniti. Al termine di via Poggighisi, dov’ è una latina iscrizione su Francesco Ferruccio, fu la porta fortificata dello stesso nome. Essa pur si chiamò di S. Benedetto e Senese: perche lì presso era un monastero di Benedettine; e perché la sua via per Castelfìorentino, Certaldo e Poggibonsi, lungo l’Elsa e la strada ferrata, a Siena conduce. 1. San Miniato, Omnibus per la Scala 2. San Miniato, antico fonte del Seminario 3. San Miniato, particolare del Seminario 4. San Miniato, Santuario del SS. Crocifisso 5. San Miniato, veduta panoramica
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Moriolo
Territorio
la storia*di
TEXT a cura di Luciano Marrucci
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oriolo o Morioro** (Castrum Moriori) in Val d’Evola. Casale già Castello con Chiesa Parrocchiale (San Germano), filiale della Pieve di Corazzano, Comunità e Giurisdizione a circa due miglia a libeccio di San Miniato, Diocesi medesima, già di Lucca, Compartimento di Firenze. Risiede sulla pendice delle colline tufacee fiancheggiate alla destra dalla fiumana dell’Evola, lungo la strada maestra che mena da San Miniato a Volterra. Una delle più antiche rimembranze di questo luogo mi si offre per avventura in un atto pubblico del 7 maggio 786,
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nel quale si fa menzione di Savezzano prope Morioro, forse il San Germano, titolare della sua chiesa. Infatti col nome di Morioro e non Moriolo, questo paese fu designato dallo storico samminiatese Giovanni Lelmi, sia quando nel 1313 al gran maliscalco dell’Imperatore Arrigo VII, venuto con la sua oste a San Miniato, se gli dette di prima giunta il Castel di Morioro, il quale generale innanzi la sua partenza di là fornì di gente pisana il Castello predetto in guisa che cotesta oste continuamente molestava i Sanminiatesi,
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* Il testo è tratto da Repetti Emanuele, Dizionario Storico Fisico Geografico della Toscana,Tofani Editore, Firenze, 1833, volume III, pagg. 428-429 ** Quasi sicuramente si tratta di un fitonimo: Moriolo, dal latino maurus (è il gelso, le cui bacche si chiamano more) e sta a significare “Luogo del Gelso”.
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contro i quali nel maggio dello stesso anno, in un conflitto davanti il Castello di Morioro, virilmente si difese. Quindi avvenne che i Sanminiatesi per vendetta il palazzo dei figliuoli di Cuccolo da Morioro insieme con la torre che quegli uomini avevano edificato a San Miniato nel terziere fuori di Porta, in luogo detto al Poggio, spianarono. Il Castello di Morioro fu custodito dalle gente della Repubblica di Pisa fino alla pace di Montopoli del 12 maggio 1318, a tenore della quale i Pisani si obbligarono infra 50 giorni restituire al comune di Sanminiato dieci castella del suo distretto, compresovi Morioro, sicché appena avuto fu dai Sanminiatesi il Castello diroccato. La parrocchia di San Germano a Moriolo, o Morioro nel 1833 contava 322 abitanti. Orcio d’oro Agli inizi degli anni ’70 gli artisti samminiatesi fanno circolo intorno alla canonica di Moriolo, dove risiede il priore Luciano Marrucci. Sono: Giuseppe Fontanelli (Bissietta), Franco Giannoni, Giorgio Giolli, Sauro Mori, Pietro Marchesi (Tropei); saltuariamente ne fa parte anche Dilvo Lotti. In un secondo tempo si aggregano al gruppo i giovanissimi Luca Gamucci e Luca Macchi. Il gruppo prende contatto con Enrico Magnani della cartiera di Pescia e con Vanni Scheiwiller, editore a Milano.
1. Stemma di Moriolo 2. Pittura ad olio di Giuseppe Landi sulla facciata della Chiesa di San Germano a Moriolo 3. Madonna con il bambino in terracotta policroma nella Cappella della Madonna 4. Veduta della parte absidale con finestrone istoriato raffigurante San Germano d’Auxerre e San Pietro Igneo 5. Veduta di San Miniato dal campanile di Moriolo 6. Popolo di San Germano a Moriolo, Carte dei Capitani di Parte Guelfa, Firenze, 1595 7. Pietra con iscrizione a fianco della Canonica 8. Villa Lami (già Villa de Pazzi e Villa Grifoni); costruita sulle fondamenta dell’antico Castello 9. L’amanuense. Affresco di Luca Macchi sulla parete est dell’Oratorio di San Matteo 10. Oratorio di San Matteo sullo sprone collinare 11. Foresteria di San Germano a Moriolo
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A San Miniato sono operanti in questo periodo delle tipografie artigiane che fanno capo a Giorgio Gioncada, Franco Palagini e ai fratelli Altini (Tipografia Bongi). Escono produzioni soprattutto a carattere locale contrassegnate da carte pregiate su cui vengono impresse xilografie tirate su legni di filo e di testa, ottenute da bosso, olivo e pero.
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Territorio
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campane abbro le
del
TEXT Paola Ircani Menichini PHOTO Corrado Palomba
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a storia di Gabbro, piccolo centro sui Monti Livornesi, inizia con i resti archeologici della fine dell’età del Bronzo, attraversa l’epoca romana e medievale per giungere fino ai giorni nostri con degli eccezionali protagonisti: le famiglie, i luoghi, il castello e il Comune che, ricordato già nel secolo XIV, fu soppresso dalla riforma di Pietro Leopoldo del 1776. A tutt’oggi gli abitanti del Gabbro hanno conservato un forte sentimento di unione e d’identità, per il consolidarsi del quale è stata fondamentale la religione cattolica. La chiesa di San Michele sul vicino poggio di Contrino fu edificata nel primo millennio, come oratorio di castello longobardo, e nel secolo XVI ricevette dagli arcivescovi pisani il titolo e le competenze della decaduta pieve di S. Giovanni Battista di Camaiano. Più vicina ai nostri tempi fu l’istituzione della Compagnia della Natività di Maria, avvenuta nel 1597 dentro il paese, nel luogo che oggi si dice l’«arco»; ebbe finalità di devozione, di assistenza agli infermi e suffragio dei defunti. Nel 1761,
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per maggior comodità degli abitanti, fu spostata al Gabbro anche la sede di San Michele in un nuovo edificio progettato da Alberigo Venturi. Le attività della Compagnia, soppressa nel 1785 e ripristinata nel 1831, invece si fusero con quelle della locale Arciconfraternita della Misericordia agli inizi del Novecento. Chi oggi giunge al Gabbro provenendo dalla statale 206, si trova di fronte la chiesa parrocchiale e il suo imponente campanile che testimonia l’importanza secolare di tale struttura per gli abitanti, specialmente se si considera lo sviluppo del castello e l’ubicazione delle chiese e dei poderi dei dintorni. Ne parlano i documenti riguardo ai lavori e ai restauri che erano a spese del Comune. A San Michele di Contrino la campana fu rifusa nel 1666-1667 e un nuovo campanile fu fatto nel 1741, mentre per la nuova chiesa del 1761 ne fu costruito uno «a vela» sul tetto. Quest’ultimo aveva due piccole campane di bronzo che nel 1800 si affiancarono (o lasciaro-
no il posto) ad altre due, opera dell’artigiano Pancrazio Bettalli di Castelnuovo dei Monti, e battezzate una con il nome di S. Michele arcangelo e l’altra con quello di S. Vincenzo Ferreri. Nel corso dell’Ottocento si edificò sulla piazza della pieve una struttura più adeguata: un campanile a torre che nel 1838 fu rifatto perché giudicato poco stabile. Nel 1893-1902 si giunse all’ultima costruzione, disegnata dal gabbrigiano Giovanni Spinelli e finanziata dal popolo e dal marchese Vittorio de Ghantuz Cubbe di Livorno. A tutt’oggi porta quattro campane che la ditta Magni di Lucca rifuse nel 1912. L’uso ecclesiastico e civile delle campane è noto. E quelle del Gabbro non fecero eccezione. Secondo le visite pastorali e altri documenti, suonarono a partire dal Cinquecento per chiamare alle liturgie, alle adunanze della Compagnia e la domenica dopo il vespro al catechismo, durante il quale s’insegnava ai ragazzi e agli adulti l’avemaria, il paternoster e il credo in latino. Nei pri-
mi decenni dell’Ottocento festeggiarono anche l’arrivo dei vescovi di Livorno o chiamarono per qualche avvenimento straordinario come ad esempio nel 1832 la venuta del granduca Leopoldo II al paese. Fu un suono abituale come lo furono i riti e le preghiere cattoliche, alle quali si accompagnò nei secoli. Molto praticata al Gabbro fu la recita dell’ave Maria che i confratelli della Compagnia dicevano cinque volte il giorno, e poi a tavola, entrando in chiesa, mettendosi la cappa turchina, oppure proprio al suono delle campane. Quest’ultima particolarissima devozione è testimoniata indirettamente dalla visita pastorale fatta al vicino paese di Rosignano nel 1597, quando l’arcivescovo di Pisa Carlo Antonio Dal Pozzo ordinò al pievano che «facci sonare l’ave Maria dell’alba et ancora quella di mezo giorno». È una breve frase, senza altre aggiunte, che ci fa conoscere una tradizione toscana in verità poco documentata sui Monti Livornesi. Si riferisce a quei particolari rintocchi di campana suonati all’alba, a mezzogiorno e al tramonto (o sera), chiamati proprio avemaria. Seguendo il corso del sole e le stagioni, invitavano chi li udiva ad alzarsi e ad affrontare la giornata, a sostare e a pranzare, a smettere il lavoro e tornare a casa per la cena. L’avemaria della sera era la più suggestiva e annunciava la ventiquattresima ora del giorno; il rintocco successivo era detto «una di notte». Dante la ricordò nel canto VIII del Purgatorio, come «squilla di lontano»: «Era già l’ora che volge il disìo / ai naviganti e intenerisce il core / lo dì ch’han detto a’ dolci amici addio; / e che lo nuovo peregrin [chi viaggia per la prima volta] d’amore / punge, se ode squilla di lontano, / che paia il giorno pianger che si more». Il Pascoli ne parlò nella poesia Nel Giardino (Myricae): «... ed al sospiro dell’avemaria,/ quando nel bosco dalle cime nude/il dì s’esala, il cuore in una pia /ombra si chiude». Altra letteratura ricorda come a quel suono ci si levasse il cappello o si pensasse ai propri morti. Il significato più appropriato comunque restò religioso. Durante i rintocchi si recitava la preghiera e al versetto «sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae» si chiedeva l’intercessione di Maria «per noi» gente difettosa e presuntuosa: ora, nel momento all’arrivo della notte terrena e in un’altra ora, quella della notte del corpo, cioè della morte, raffigurata e immaginata peggiore del buio, che a quel tempo, al contrario di oggi, era davvero nero e spaventoso. Va detto che il trasformare i piccoli avvenimenti quotidiani in poesia e preghiera fu cosa comune tra la gente di campagna.
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Ne rese sopportabile la dura vita sempre contigua alla miseria, considerata l’incognita delle coltivazioni e della stagione inclemente. Anche il Gabbro conobbe questi tristi momenti. Nel 1463 era descritto dalla visita pastorale spopolato e depresso, impossibilitato a mantenere la chiesa e il rettore di San Michele; pertanto la cura delle anime era passata al rettore del vicino paese di San Regolo di Fauglia. Grande povertà è ricordata anche negli anni seguenti il venerdì santo del 1563, giorno in cui le campane non suonarono per ricordare la Passione, e il paese fu rapinato dai turchi giunti inaspettati dal mare 1.
Nota: 1. Il 29 settembre 2011, durante i festeggiamenti patronali e la celebrazione del 250° anniversario della costruzione della nuova pieve al paese, è stato presentato il libro di Lando Grassi, Paola Ircani Menichini, Corrado Palomba, La storia della pieve di San Michele e della Compagnia della Natività di Maria del Gabbro (sec. XIV - sec. XIX) - Le pievi e le chiese di Rosignano, Vada, Castelvecchio e Castelnuovo della Misericordia nelle visite pastorali dei secoli XV - XVII, Nuovo Futuro, Rosignano Marittimo 2011.
1. L’arco del Gabbro in una foto d’epoca. Nelle stanze sopra l’arco si trovava la sede della Compagnia della Natività di Maria. 2. La pieve di San Michele del Gabbro nel 2011. 3. Il campanile attuale.
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Peccioli
città delle fiabe
Territorio
con
TEXT&PHOTO Irene Barbensi
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eccioli torna ad essere Città delle Fiabe in questo inverno che saluta il 2011 per trasformarsi in un nuovo anno. Per alcuni giorni il centro storico viene invaso da streghe, saltimbanchi, mangiafuoco, cantastorie con spettacoli di magia, di luce e colori, di festa e di stupore. Promossa dal Comune di Peccioli, Fondazione Peccioliper e MBVision e giunta quest’anno alla sua ottava edizione, Fiabesque dal 18 dicembre torna a rianimare di poesia, luci e colori il borgo di Peccioli. E lo fa in cinque diverse giornate ricche di nuovi spettacoli, nuovi allestimenti e nuovi ospiti: artisti, attori, cartoonist, registi, illustratori (18, 26 dicembre, 6, 7, 8 gennaio). Come in una vera Città delle Fiabe, sulla soglia dei due ingressi dell’antico borgo, gli attori daranno il benvenuto a grandi e piccini, offrendo loro anche una mappa con le tantissime iniziative presenti. Il centro sarà allestito con un nuovo e fantastico impianto luci, coadiuvato da proiettori architetturali e decorazioni di luce. Il divertimento inizierà a partire dalle 15 di domenica 18 dicembre con il Gran Gioco di Fiabesque, una caccia al tesoro per grandi e piccini, e altri giochi itineranti; proseguirà con La bottega fantastica, La magia delle fiabe laboratori ludico-creativi attraverso i quali sarà possibile riscoprire la cittadina di Peccioli attraverso la realizzazione di manufatti artistici legati all’architettura del paese ed arricchiti con i personaggi fantastici del mondo delle fiabe. Domenica 26 dicembre sarà animata da letture di fiabe ad alta voce, dallo spettacolo teatrale L come Lamberto e dalle Avventure di Puck il folletto. Fiabesque avrà quest’anno anche momenti più intimi, in cui tutti coloro che lo vorranno saranno invitati a raccontarsi all’interno di un’antica stalla a luce di candela, come alla ricerca di una perduta autenticità: un incontro settimanale per raccontare aneddoti, storie vissute e ricordi.
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Il pomeriggio di domenica 26 sarà animato anche dalle note della Filarmonica di Peccioli e dai colori delle sue majorettes, da spettacoli di danza e dallo spettacolo di magia Prestige. I bambini si divertiranno a correre dietro a gigantesche bolle di sapone. Per il secondo anno tornerà la falegnameria di Mastro Geppetto e il suo Pinocchio. Venerdì 6 gennaio sarà la volta di Silvia Rubes con La notte è piena di stelle, una breve opera variabile in due atti di teatro di strada. Interessante il laboratorio Ritmo, vita e percussioni, un percorso di pedagogia musicale con i tamburi del mondo, una storia che si racconta e si fa con i bambini, un’avventura nella giungla dei suoni, una danza nel cerchio degli indiani. Il fuoco sarà protagonista di uno spettacolo di giocoleria e musica dal vivo degli Jaroda, ispirato ad una leggenda
del popolo sudamericano dei Guarani che racconta la conquista del fuoco rubato agli Uburu per potersi scaldare e illuminare le notti buie. Per il giorno dell’Epifania non poteva mancare la Befana che spaventerà e divertirà grandi e piccini. Domenica 8 gennaio il Teatro dell’Aringa racconterà la storia di Prezzemolina in un nuovo insolito modo, in una cucina piena di pentolini, frutta, verdura, canti e musica in un’atmosfera senza tempo. La musica tornerà ad allietare i vicoli del borgo con il concerto per flauti diretto dal M° Lanini dell’Orchestra dell’Accademia Musicale Toscana con i ragazzi delle Scuole Medie della Valdera. Peccioli si trasformerà per una notte anche in una piccola Verona con Romeo e Giulietta, parodia musicale e farsa teatrale a cura di Scenica Frammenti. La lacrimosa storia dai versi di Shakespeare ai giorni nostri, rivista e corretta attraverso stornelli, canzoni, canzonette, cinema e cartoni animati. La magia continuerà con molti altri spettacoli, giochi e laboratori in un vortice di luce e colori che incanteranno tutti coloro che varcheranno le porte della città. Ritornerà anche quest’anno per la terza edizione il FiabesqueDanza, curato da Antonella Tronci, ritorneranno le installazioni luminose LuminaFiaba e le video proiezioni architetturali sui loggiati e suoi palazzi del centro, inaugurati da un ospite di eccezione, il designer Piero Castiglioni, esperto internazionale di progetti illuminotecnici. Ottava edizione anche per il Cartoon’s Night, con ospiti di grande spessore: Marco Regina, animatore della californiani Dreamwork, character designer per il noto cartoon Kung Fu Panda. Un evento che, dalle colline toscane, si è fatto caleidoscopico ambasciatore nel mondo dei mille messaggi, dei mille diversi volti dell’immaginario fiabesco. Per informazioni: www.fiabesque.org
Pontedera
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Mostre
il sogno
d’
TEXT Angelo Errera PHOTO archivio CTE
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scanio
Pontedera presso il Museo Piaggio è stata realizzata una mostra che rende omaggio all’inventore della Vespa, raccontandone la lunga vita avventurosa e le sue mille intuizioni. Una grande mostra ideata e curata dalla Fondazione Piaggio, con l’architetto Enrico
Una invenzione geniale segna la storia delle due ruote. La nascita della Vespa, che da oltre sessant’anni affascina uomini e donne. Agonigi che terminerà il 31 gennaio 2012. Un’iniziativa nata con il patrocinio della Sovrintendenza per i beni archivistici dell’Abruzzo, della Regione Toscana, della Provincia di Pisa, del Comune di Pontedera, delle Province di Pescara e del Comune di Popoli. Un evento, uno dei più grandi contributi alla conoscenza dell’opera di Corradino
Nella foto. La locandina della mostra, firmata dal pittore neofuturista Daniel Schinasi.
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d’Ascanio a cui hanno contribuito Daniel Schinasi, che ha realizzato il ritratto simbolo della mostra, Alberto Fremura che ha disegnato quattro bozzetti a matita dedicati alle sezioni della mostra, Mario Cristiani che ha scritto la lettura sotto forma epistolare che l’attore Luca Zingaretti ha recitato all’inaugurazione, accompagnato dal fisarmonicista Fabio Ceccarelli autore dei brani composti per l’occasione. La mostra si presenta ai visitatori con un percorso articolato in sezioni in cui si racconta la geniale unicità di Corradino
d’Ascanio, uno tra i più grandi protagonisti della storia industriale d’Italia. Quattro sezioni dedicate all’uomo, al genio, al mago e al mito, raccontano la sua vita attraverso raccolte fotografiche, arredi e documenti. Nella prima si racconta l’Uomo attraverso le foto della sua vita, dall’infanzia a Popoli agli anni passati in America fino all’arrivo alla Piaggio. Nel volume dedicato alla mostra, la nipote ricorda l’appuntamento di tutti gli anni in cui si ritrovavano per il pranzo del compleanno del nonno. Un rito indimenticabile, segnato da una
modelli storici realizzati oltre alle testimonianze di amici e colleghi. La Vespa non è solo un mezzo a due ruote ma è anche la storia di un Paese in crisi all’indomani della guerra, di un Paese che deve ripartire da zero, un Paese che rinasce grazie al coraggio e lungimiranza di molti imprenditori e industriali, fra cui Enrico Piaggio, che a capo di un’industria aeronautica uscita a pezzi dal conflitto, sa rimettersi in gioco intuendo che l’uni-
tovaglia bianca con piccole vespe ed elicotteri ricamati. Nella seconda si racconta il Genio attraverso l’esposizione di disegni e brevetti tra cui l’invenzione del prototipo di elicottero e la nascita della Vespa. La terza sezione è dedicata al Mago poiché a lui si devono i più originali e bizzarri allestimenti nei saloni e fiere delle due ruote a cui partecipava la Vespa, i suoi trucchi ed effetti che si possono visualizzare in uno spazio della mostra grazie alla tecnologia virtuale realizzata dal laboratorio PERCRO della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Per ultima la sezione dedicata al Mito dove vengono esposti i
co modo per salvare l’azienda è mettere sul mercato un prodotto nuovo, adatto ad un Paese affamato di novità: «voglio un mezzo che metta l’Italia su due ruote, però non voglio la solita motocicletta», dirà Piaggio. L’ingegnere d’Ascanio, non ama la motocicletta, unico mezzo a due ruote del tempo, ma la considera scomoda, con limiti d’uso sia per la difficoltà nel cambiare la
ruota sia per il fatto che ci si sporca a causa della catena di trasmissione. Egli allora progetta un mezzo del tutto diverso, un veicolo con scocca portante, con un motore a presa diretta e con il cambio sul manubrio in modo da facilitarne la guida, la carrozzeria protegge chi guida e la posizione del guidatore è simile a colui che sta seduto in poltrona. Enrico Piaggio osservandola dice «Sembra una vespa!» Ecco, allora nasce il suo nome. Il giorno 24 aprile del 1946 viene depositato il brevetto a Firenze. Oggi sono oltre 17 milioni le Vespe prodotte in circa 130 modelli e vendute in tutto il mondo. La Vespa è protagonista nella storia del costume, della mobilità, del design, della comunicazione e del cinema; non è solo uno scooter, ma un’autentica icona di stile diventando un elemento di unione tra generazioni e culture diverse. Un sogno che è diventato realtà.
Nella foto. MP6, prototipo di moto scooter progettato da Corradino d’Ascanio nel 1945. Enrico Piaggio, notando la parte centrale molto ampia e la “vita” stretta, esclamò: «Sembra una Vespa!» Nacque così il nome dello scooter più famoso al mondo. (foto dal catalogo della mostra)
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Comics Lucca Comics and Games 2011
Territorio
un giorno da
TEXT Samuela Vaglini PHOTO Alessio Battaglia
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ettete una città medievale toscana, unite la passione per il fumetto, il gioco intelligente e il cinema, condite con oltre 500 espositori, 1000 cosplayers, 600 tra eventi, mostre, incontri e showcase, mischiate il tutto con numerose personalità del settore nazionali ed internazionali ed avrete il Lucca Comics and Games 2011, il popolare festival che ha animato il centro storico di Lucca dal 28 ottobre al 1 novembre scorsi. Forte delle 135mila presenze registrate nel 2010, l’edizione di quest’anno ha battuto ogni record arrivando a contare 155mila visitatori che hanno invaso con animo festaiolo gli oltre 22mila metri quadri di spazio espositivo e le 7 piazze cittadine occupate dalla manifestazione. Adulti e bambini, esperti e neofiti del settore, appassionati e semplici curiosi hanno potuto godere l’atmosfera magica e surreale di una città popolata da personaggi che rievocano ricordi legati all’infanzia, che rimandano alla cinematografia di successo o ai videogiochi più appassionanti degli ultimi anni. Sono i cosplayers, gente comune che si trasforma per un giorno in personaggi riconoscibili vestendone i costumi ed imitandone i comportamenti. Questa pratica del travestimento, originatasi in Giappone dagli amanti dei manga e degli anime, si è diffusa nel
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mondo aprendosi ai personaggi di invenzione occidentali. A farla da padrone, quest’anno, i guerrieri della Setta degli Assassini dal noto videogioco Assassin’s Creed che, con le loro tuniche bianche ed i loro cappucci ben calati sul volto, hanno vigilato i visitatori dall’alto dei loggiati e delle mura di Lucca. Oppure la scanzonata ciurma della Perla Nera capeggiata dal capitano Jack Sparrow in onore della saga cinematografica “Pirati dei Carabi”. Accanto a loro una multiforme e colorata
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pletora di personaggi, dai classici Lupin, Daitarn, Gaiking, Mazinga-z, Cavalieri dello Zodiaco, Dragonball, ai più recenti One piece, Naruto e Berserk; dagli spartani di 300 a Edward mani di forbice; da Wolverine a Iron Man; dalla famiglia Addams ai Simpson. Ma il Lucca Comics and Games si fa ricordare soprattutto per la ricca offerta degli espositori, dagli editori di comics più famosi quali Bonelli, Magic Press, Panini Comics, Edizioni Coconino, ai collezionisti
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di fumetti e gadget provenienti da ogni parte d’Italia, fino ai rivenditori dei fumetti autoprodotti. Rovistando fra i 500 stand del festival ce n’è per tutti i gusti: shonen e shojo manga (fumetti rivolti rispettivamente al pubblico maschile e femminile), kodomo e seinen manga (fumetti per un pubblico più giovane i primi e più maturo i secondi), romanzi grafici, docu-fumetti, albi, fumettistica di ogni parte del mondo e di ogni genere, comico, fantasy, horror, reportage, vampire, mistery e così via. Inoltre, questa edizione ha potuto vantare la partecipazione di celebrità del settore, nazionali ed internazionali, che hanno incontrato il pubblico, partecipato 5 ad incontri culturali e, in alcuni casi, si sono cimentati dal vivo nelle loro specialità. James Phelps, interprete di uno dei gemelli Weasly nei film di Harry Potter, l’attore americano Dirk Benedict meglio noto come Templeton “Sberla” Peck nella serie televisiva A-Team, il Premio Oscar Scott Farrar realizzatore di effetti speciali per il cinema hollywoodiano, il regista e direttore di fotografia Marco Pontecorvo, solo per citarne alcuni. Ma anche grandi artisti del fumetto come il giapponese Jiro Taniguchi, Yoichi Takahashi (padre del cartone animato Holly e Benji) e l’inglese David Lloyd creatore di V… come Vendetta, misterioso rivoluzionario in una immaginaria Inghilterra dispotica, tornato alla ribalta delle recenti cronache quale simbolo del desiderio di cambiamento politico e sociale. E ancora Vince Tempera, autore di sigle di cartoni animati quali Goldrake, L’Ape Maia, Daitarn 3 e la sempreverde Cristina D’Avena in coppia con Giorgio Vanni, interprete delle sigle cartoon più amate e ancora le più cantate da grandi e piccini. Infine, non è possibile concludere questa rapida e certo non esaustiva carrellata dei topics del Lucca Comics and Games senza citare i numerosi eventi culturali organizzati in questa edizione dedicata al romanziere d’avventura Emilio Salgari nel centenario della sua scomparsa. A Salgari è stata dedicata una mostra delle illustrazioni delle sue opere, delle rappresentazioni dei suoi più celebri personaggi e degli albi originali degli anni Trenta e Quaranta. Mostre sono state dedicate anche a Manuele Fior e Davide Reviati, due autori italiani molto apprezzati da critica e pubblico; a David Lloyd uno dei maggiori disegnatori inglesi che ha lavorato anche per Marvel, DC Comics e DC Vertigo; ai disegnatori spagnoli Canales e Guarnido che hanno dato vita a John Blacksad, il gatto nero antropomorfo detective. Lucca Comics and Games di quest’anno ha mostrato anche un’anima solidale e, se vogliamo, più nostalgica, ospitando una sezione dedicata a Sergio Bonelli, editore molto apprezzato sul panorama fumettistico recentemente scomparso, e ampliando il Japan Palace ovvero l’area espositiva riservata alla cultura giapponese, dall’oggettistica alla gastronomia tipicamente orientale. Per il Giappone, funestato quest’anno da una catastrofe inenarrabile, sono state organizzate iniziative benefiche volte a raccogliere fondi per la ricostruzione del Paese del Sol Levante. Al visitatore, che indubbiamente è rimasto ammaliato, anche se non pago di una sola giornata per scoprire tutte le proposte della manifestazione, non rimane che dire: a rivederci alla prossima puntata!
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1. Jack Sparrow da Pirati dei Caraibi 2. Guerriero di Assassin’s Creed 3. stand 4. Gundam rx78, oggettistica 5. Yoshiko Watanabe al lavoro 6. Lego Jedi
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Lo scaffale dei poeti
Andrea
Zanzotto
TEXT a cura di Valerio Vallini
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ndrea Zanzotto (1921-2011), scomparso nell’ottobre di quest’anno, nacque a Pieve di Soligo, Treviso, si laureò a Padova in lettere ed è stato a lungo insegnante nella scuola media. Partecipò alla Resistenza occupandosi di stampa e propaganda del movimento. Nel 1950 ebbe un riconoscimento essenziale da una giuria composta da Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni che gli attribuirono il primo premio San Babila, per quello che sarà edito con il nome di Dietro il paesaggio nel 1951. Seguace di Giustizia e Libertà, scriverà per Paragone, Il Giorno, il Corriere della Sera e riviste letterarie. Della sua vasta opera si ricordano Vocativo 1957, Ecloghe 1962, La beltà 1968, Galateo in bosco 1978, Fosfeni 1983, Idioma 1986, Meteo 1996, Sovrimpressioni 2001. Una critica sterminata ha seguito il suo lavoro. Fra i moltissimi interventi critici sulla sua opera riportiamo, per i lettori di Reality, un estratto di una bellissima intervista della scrittrice Elisabetta Rasy apparsa su Panorama il 17 ottobre del 1983. Nella sua poesia, dicono, ci sono molte lingue non solo quella della tradizione poetica, ma anche il dialetto, tracce di lingue straniere o delle lingue classiche, e persino il linguaggio dei bambini... Ho fatto perno anche sui linguaggi privati, i linguaggi a due, quelli che univano una volta i bambini alla madre, oppure quei linguaggi che uniscono un piccolo entourage, linguaggi in cui gli errori entrano come momento creativo. Per esempio? Il latino delle donnette in chiesa, fiorito di creazioni fantastiche molto interessanti. Ma poi ci sono altre risonanze nella mia poesia: i versi degli animali, i cinguettii, i rumori della strada, tutto quanto fa parte di una fascia di “conforti prelinguistici“ come li chiamo io. Poi c’è il dialetto: per lei è soltanto un veicolo di espressione o anche un valore sociale? Anche un valore sociale. Anzi, la dimostrazione della resistenza di un certo valore sociale molto arcaico, passato quasi totalmente nell’inconscio ormai, che richiama quello della solidarietà tribale.
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Attraverso il dialetto io posso sentire un collegamento con il sottofondo misterioso della terra. Nella sua poesia ci sono riferimenti diversi: alla psicoanalisi da un lato e alla scienza dall’altro. Temo molto quello sguardo assolutamente neutro, almeno in teoria che proviene dal campo scientifico e che può ridurre quella carica, chiamiamola di passione [...]. La lingua, come la vita psichica, è una fiamma. La luce che apportano le scienze umane e in particolare la psicoanalisi rischia di essere negativa e fossilizzante se non è ripresa all’interno di questo lieve fiammeggiare. Lei si è molto interessato alle teorie di Jacques Lacan. Perché? Perché Lacan ha radicalizzato la presenza della parola nella psiche. Ma non è che io accetti tutto quello che dice Lacan; anzi certi aspetti della sua teoria mi sono sempre sembrati talmente tenebrosi da terrorizzarmi. L’”io” per esempio: per me è spontaneo vederlo come connesso al fuoco appunto qualcosa di fiammeggiante, ignis ardens. Invece L’”io” di Lacan, un “io” capovolto, rovesciato, che è quasi un risucchio di vuoto, mi ha sempre sgomentato. Qual è il posto dell’”io“ del poeta nella sua poesia? L’”io” muore dentro la poesia. La parola con un po’ di fortuna conserva qualcosa del fuoco dell’”io”, altrimenti è cenere e basta. Per quanto rimosso, beffeggiato, lordato, L’”io” resta sempre il punto di partenza dell’atto dello scrivere. [...] E il segno distintivo della poesia qual è? Direi che si produce poesia là dove c’è comunicazione e innovazione nel momento in cui si sta comunicando. Dicono che la sua poesia è difficile. D’accordo? Io penso che non sia né facile né difficile. Mi sembra rifletta un po’ le mie debolezze, le mie incertezze, il mio essere spezzettato... Lei ogni tanto lavora per il cinema. Fellini ad esempio. Perché lo fa? Il cinema per me è importantissimo, è l’antagonista della poesia. Perché? Perché il cinema lo vedo come linguaggio universale, senza barriere, il grande
linguaggio della pittura che è diventata movimento. Il linguaggio dello spettacolo onnicomprensivo che serve all’esquimese come al sudafricano e che quindi ha i grandi doni della poesia, senza avere i limiti della poesia che è seppellita nell’uovo narcisistico della propria lingua d’origine. [...] Quando nel 1978, mi capitò di leggere Galateo in bosco, nello Specchio di Mondadori, quella poesia mi colpì tanto, che sentii la necessità di esplorare questo poeta di cui gli amici di Salvo Imprevisti, rivista fiorentina diretta da Mariella Bettarini, erano entusiasti. Acquistai una piccola antologia dal titolo Poesie a cura di Stefano Agosti. Mi fulminò la chiusa finale dei versi nella poesia Figura. È una poesia che descrive un convivio e i commensali e i volti. Ecco la chiusa surreal-simbolista: «/baci e spine premono intorno,/ le candele/ alzano mura di marmo,/ sotto le mense/ muto splendido cane è la morte./». Il trauma che Zanzotto aveva avuto per la morte di una sorellina, lo segnò per tutta la vita. E la morte, la sua assurda significanza, lo accompagneranno per tutta la vita. Ecco la sua nevrosi, l’appassionata lettura di Lacan, la fiamma della poesia come una pedagogia terapeutica. Tuttavia Zanzotto non mi sarà mai maestro, almeno consapevolmente. La sua poesia è uno scavo profondo nella lingua: petrarchesca, popolare, dialettale, futuribile. È un “fabbro” – il riferimento è al fare poesia di Pound – che sviscera i significanti, esplora la semantica, come un Livingstone nella giungla delle parole, o meglio nei suoi boschi, nelle sue valli. Dalla sua “archeologia”, non vengono però freddi reperti, ma calde visioni e immagini. Cito dalla Perfezione della neve: «/ Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivale/ come vale: a valle del mattino a valle/ a monte della luce plurifonte./». Parlando di Galateo in bosco, Gianfranco Contini ha sviscerato gli ingredienti di questa poesia: il fiumicello Soligo per dire della sua “Arcadia” domestica; l’andare “Dietro il paesaggio”, cioè oltre l’ordinarietà quotidiana; l’affondare nel dialetto fino al gergo infantile, al petèl; gli Ipersonetti fra Tasso e Petrarca; questo e molto altro.
Da Dietro il paesaggio (1951)
Da Vocativo (1949-1956)
Da La beltà (1961-1967)
Nel mio paese
Fiume all’alba
La perfezione della neve
Leggeri ormai sono i sogni, da tutti amato con essi io sto nel mio paese, mi sento goloso di zucchero; al di là della piazza e della salvia rossa si ripara la pioggia si sciolgono i rumori ed il ridevole cordoglio per cui temesti con tanta fantasia questo errore del giorno e il suo nero d’innocuo serpente Del mio ritorno scintillano i vetri ed i pomi di casa mia, le colline sono per prime al traguardo madido dei cieli, tutta l’acqua d’oro è nel secchio tutta la sabbia nel cortile e fanno rime con le colline Di porta in porta si grida all’amore nella dolce devastazione e il sole limpido sta chino su un’altra pagina del vento.
Fiume all’alba acqua infeconda tenebrosa e lieve non rapirmi la vista non le cose che temo e per cui vivo Acqua inconsistente acqua incompiuta che odori di larva e trapassi che odori di menta e già t’ignoro acqua lucciola inquieta ai miei piedi da digitate logge da fiori troppo amati ti disancori t’inclini e voli oltre il Montello e il caro acerbo volto perch’io dispero della primavera.
Da Elegia e altri versi
È un tuo ricordo È un tuo ricordo il puro azzurro, senza fondo la quiete dei monti che il pluvioso crepuscolo accora Le ciglia insieme suggellate e le mani, noi affannati da ieri nel tempo estraneo che indietro ci trascina; la mucida collina sul cui filo deviò la luce attende curva il brivido della dolente fredda primavera, e le rame rasentano più basso d’ogni caduta palpebra un tuo ricordo, il puro azzurro. Finito il desiderio, chiuso il suono dei fiumi e della vita, sopita la fede oscura. ch’ebbi in tutta l’apertura del mondo in tutti i nodi avventurosi d’alberi crete e venti. Da acque ed acque comparse e scomparse mi ristoro a fatica, da mille generazioni di colline cui fu contrario il sole e dall’orto che nel suo seno per sempre ha ritirato il rosso frutto. Trabocca l’altipiano di felci tenebrose e frane nude, la pioggia porta a sepoltura tra clivi assenti l’ultimo paese.
Da Ecloghe (1957-1960)
Per la finestra nuova Brilla la finestra del verde lungamente lungamente composto, sogno a sogno, orti o prati non so; ma quanta brina prima ch’io mi convinca, quanta neve. Verde del grano che alzi il capo e irridi tra l’incerto oro e il vuoto: tu, mia finestra, e tu, ciclo, che porti a me tra placidi astri gli squillanti satelliti che il gioco umano ha lanciati, con lampi di fantascienza, a vagheggiare in orbite leggiere i colli, e li vede a pie fermo il bue sul campo arato e la vite e la luna. O mia finestra, purezza inestinguibile. Per farti spesi tutto ciò che avevo. Ora, non lieto, in povertà completa, ancora tutti i tuoi doni non gusto. Ma tra poco tutto mi darai quel che anelavo.
L’attimo fuggente
“Le front comme un drapeau perdu” Ancora qui. Lo riconosco. In orbite di coazione. Gli altri nell’incorposa increante libertà. Dal monte che con troppo alte selve m’affronta tento vedere e vedermi, mentre allegria irrita di lumi san Silvestro, sparge laggiù la notte di ghiotti muschi, di ghiotte correntie. È puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco. Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi. In voi fui, sono, mi avete atteso, non mai dubbio v’ha offesi. Sarai, anima e neve tu: colei che non sa oltre l’immacolato tacere. Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. È questo il sospiro che discrimina che culmina, “l’attimo fuggente”. È questo il crisma nel cui odore io dico: sì, mi hai raccolto su da me stesso e con te entro nella fonte dell’anno.
(tredici versi) La perfezione della neve Quante perfezioni, quante quante totalità. Pungendo aggiunge. E poi astrazioni astrificazioni formulazione d’astri assideramento, attraverso sidera e coelos assideramenti assimilazioni — nel perfezionato procederei più in là del grande abbaglio, del pieno e del vuoto, ricercherei procedimenti: risaltando, evitando dubbiose tenebrose; saprei direi. Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivale come vale: a valle del mattino a valle a monte della luce plurifonte.
Da Galateo in bosco (1978)
Sonetto VIII (Sonetto di sterpi e limiti) Sguiscio gentil che tra mezzo erbe serpi, diffidi guizzo che un enigma orienta, che nullo enigma orienta, e pur spaventa il cor che in serpi vede mutar sterpi; nausea, che da una debil quiete scerpi me nel vacuo onde ogni erba qui s’imprenta, però che in vie e vie di serpi annienta luci ed arbusti, in sfrigolio di serpi; e tu mia mente, o permanere, al limite del furbo orrido incavo incastro rischio, o tu che a rischi e a limiti ti limi: e non posso mai far che non m’immischio, nervi occhi orecchi al soprassalto primi se da ombre e agguati vien di serpe il fischio.
Sonetto XII (Sonetto di sembianti e diva) Deh mostra a noi, mostra il tuo bel sembiante: ma sembiante non hai più che la polla di lume onde la selva là s’ammolla e satolla, in se stessa vagolante; né spiarti giammai valse tra piante tu in secco aspro trapianto entro la folla d’ombre che di se stessa ora s’accolla sì come ora si disfa, fredda amante... Casta, diva, ulcerale stigma, errante anzi aberrante ardir che di legami mai visti intreschi stili steli stami e ratta li rintuzzi, nel rovescio d’ogni sentir, d’ogni cognosco o nescio – mero licor di lingua, e mai-sembiante...
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Racconto
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unero ale
TEXT Matthew Licht
AC
era un posto infernale, a quell’epoca. Cioè, lo è tuttora, ma i nuovi casinò la rendono infernale in un altro modo. Allora AC era lugubre, pericolosa. Tutta la città sembrava in procinto di scivolare dentro l’oceano. Fessi - fessi bianchi - si facevano uccidere laggiù. Fessacchiotti bianchi in cerca di figa nera professionista, della quale c’era una maledetta strabondanza. I fessi venivano sgozzati e squartati con piccozze e rasoi a mano libera. Questi orripilanti omicidi finivano sui giornali. Non che li legga mai, i giornali, ma vedevo le prime pagine sanguinolenti mentre passavo le edicole. L’autista cinese si prese alfine una boccata di fumo d’erba quando eravamo già entrati nella palude dei Pine Barrens. L’erba che vende Streppy produce un fumo denso e oleoso che vaga piano per l’aria. L’autista rallentò e si fermò sul bordo dell’autostrada; spense il motore. Si potevano sentire le erbacce secche della palude e l’ululato del vento ghiacciato là fuori. Calvo, col pancione e gli occhi a mandorla sporgenti, si alzò, si girò verso i suoi passeggeri, raddrizzò la giacca della sua divisa, la cravatta, e marciò fino al retro del mezzo sotto il suo comando. Ora avrebbe dato una bella lezione ai tossicomani. Guardò duro il tipo nero. Con una voce alta, da donnicciola, disse, Chi fuma? Schiantai dal ridacchiare. Voi fumare. Non permesso su questo bus. Uno dei bambini del nostro nuovo amico si rimise a strillare. Io vi fare scendere da questo bus. Contro regolamento. Se ripesco voi a fumare, voi dovete pagare multa. Cliff gli disse qualcosa in cinese. Questa volta l’autista gli rispose. Tra tante altre cose disse gwai loh, che vuol dire diavolo bianco, questo almeno lo so. Anche i neri ci chiamano diavoli. Due diavoli bianchi andavano a un funerale nero ad Atlantic City. Alla stazione degli autobus, l’autista cinese ci fermò mentre stavamo per
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scendere. Disse che dovevamo pagare un supplemento perché avevamo oltrepassato la nostra fermata legale. Chiama la polizia degli autobus allora, gli dissi. Sapevo benissimo che non c’è pula nella Loser’s Lounge (n.d.t. la sala d’aspetto dei perdenti) alle due di mattina. Cazzi acidi, tipo cinese. Un uomo nero stava appoggiato ad una Cadillac verde parecchio ammaccata subito fuori dalla stazione. Era il fratello del nostro amico, oppure dicevano solo così: ehi fratello. Non era un problema se c’erano due in più, disse il tipo della Cadillac; forza, salite, montate, c’è posto per tutti. Mi trovai con un poppante nero in grembo; dormiva, sbavava. La donna nera me l’aveva appioppato così. Cliff chiese se doveva rollare un’altra canna. L’uomo che guidava disse ch’era meglio di no perché c’erano molti poliziotti in giro. Il posto dov’eravamo diretti non era nelle vicinanze della stazione degli autobus. Non era nemmeno dentro Atlantic City. Andammo di nuovo fra le paludi del New Jersey. Cominciai a sentirmi proprio assonnato. Mi sembrò di sognare quando vidi il posto dove ci fermammo: una piccola casetta fatta di legno e di lamiera ondulata quasi esattamente come la bicocca che avevo allucinato sull’autobus. Cinquant’anni a pulire cessi in brutti hotel e devi vivere in un posto così. Macchine sgangherate erano parcheggiate alla buona tutt’attorno la capanna. Era venuta parecchia gente a dire addio alla vecchia. Era freddissimo quando scendemmo dalla macchina, c’era un vento pazzesco. Il bambino che avevo in braccio si svegliò e si mise un’altra volta a piangere. C’erano forse trenta persone ad affollare la sala, che era tutta la casa. Tutta quella gente produceva un bel calduccio. Avrei pensato che tutti quanti sarebbero stati a piangere e a pregare piano, ma invece chiacchieravano, mangiando e bevendo come fosse la festa del ringraziamento. Il cibo era su una tavola, che era una porta messa su cavalletti: riso, fagioli e
pollo. Un’altra donna nera mi prese il bambino che piangeva e si dibatteva. Lo levò in alto, guardandolo come fosse un diamante prezioso mentre il poppante continuò a strillare disperatamente e sbavò sul suo vestito nero d’un tessuto elastico e rilucente. La donna guardò me e disse, vai a mangiare, amore, come se fossi anch’io qualcosa di prezioso. Cliff ed io eravamo affamati, benché ci fossimo già ingozzati ad Harlem. Abbiamo riempito esageratamente due piatti di cartone e ci siamo messi a mangiare con le mani perché erano finite le forchette di plastica. Si sparse la voce, grazie al tipo che avevamo incontrato sull’autobus, che avevamo dell’ottimo fumo. Il tizio che ci aveva dato lo strappo in macchina, e un altro tipo ancora più grosso e nero di lui, non fecero per niente i timidi. Ci dissero di tirar fuori la roba. Era ovvio che la nostra scorta per un mese sarebbe andata in fumo tutta in una notte. Era quello, il prezzo d’ingresso a quella festa. Cliff finì presto le cartine. Io non so rollare una sega; perciò non ne ho mai appresso. C’era un giornale degli ippodromi locali; usarono quello. Le canne si fecero più grandi. Il vino colava da bottiglioni con maniglie. Le canne diedero un sapore migliore al vino. La bara stava su d’un sofà veramente brutto, tappezzato con un tessuto marrone e bianco pelosissimo, con grosse patacche scure sparse dappertutto. La bara nera luccicava come un pianoforte. Stava scoperchiata; qualcuno aveva appoggiato il coperchio contro una parete. Ero fumato, e ora anche un po’ ubriaco; con in mano un piatto di cartone pieno di cibo unto, andai a dare un’occhiata a quel che c’era dentro la bara. Mi pareva che tutti stessero evitandola, quella cosa. Era lì, ma invisibile. Una vecchia signora nera stava riposando su d’un grosso guanciale di satin bianco; i suoi capelli erano così bianchi che scomparivano sulla stoffa. Sembrava un vecchio nero calvo che giaceva morto,
ma con un viso di donna. I capelli della donna morta non erano la solita matassa grinzosa; erano così fini, morbidi e bianchi che mi venne voglia di toccarli, e così li toccai. Le avevano lasciato gli occhiali. Erano occhiali dalla montatura di plastica nera spessissima, del tipo che danno a gratis agli ospedali della pubblica assistenza. Forse la vecchia aveva chiesto di venir sepolta con addosso gli occhiali per poter vedere bene quant’è bello Gesù. Sembrava felice di essere morta. Il suo volto aveva l’espressione di chi ha avuto ragione da molto tempo su qualcosa, e ora tutti quanti lo stavano ammettendo, che aveva ragione lei. Non aveva le mani piegate sul petto, come si vede nei cartoni animati o al cinema. Le aveva in grembo, come se stesse pregando all’ingiù. Sembravano le mani d’un vecchio marinaio. Cinquant’anni a pulire cessi, tutti quei detersivi, tutto quello strofinare e stritolare cenci ruvidi e puzzolenti. Un’altra donna nera venne a mettermi una mano sul collo. Disse sù sù, baby. Non lo sapevo nemmeno, che stavo piangendo. Questa donna, quest’altra donna nera vivente, non poteva sapere che non avevo mai visto la morta in vita mia, che ero lì solo per caso. Teneramente, mi fece chinare la testa sulle sue poppe enormi, una sensazione bellissima. Ma poi mi vergognai di stare lì a piangere sulla sua tetta; dopo forse due minuti mi raddrizzai. Dissi, beh, ora è morta ed è tutto così triste. La donna disse, lo so, baby, lo so. Non sapevo nemmeno il nome della donna morta. Ero lì con tutta quella gente nera e non sapevo neanche uno dei loro nomi. Donne e uomini neri uscivano e rientravano di continuo. Non c’era una stanza da bagno in quella bicocca. I bambini pisciarono nei loro pannolini e i pannolini rimasero impisciati. A uno a uno, cominciavano ad addormentarsi dov’erano seduti, o dove c’era un posto per sdraiarsi. Qualcuno aveva rimesso il coperchio alla bara senza che me ne accorgessi. C’era uno spazio vuoto dietro il sofà che la reggeva. M’intrufolai lì, dove c’era un buio quasi totale. Dopo un po’ venne anche Cliff, dall’altro lato, e schiantammo a dormire con le nostre teste che quasi si toccavano, come gemelli siamesi. L’atmosfera era cambiata quando tutti si risvegliarono non più fumati o brilli, ma con una brutta sbornia addosso. Cliff ed io ora eravamo degli intrusi bianchi. Non eravamo vestiti per andare ad un funerale; non eravamo più invitati al funerale. Il tipo che avevamo incontrato sull’autobus venne lì dov’eravamo accovacciati per terra ancora intontiti e disse che gli dispiaceva, ma d’ora in poi la festa è solo per la famiglia e amici. Volevo dare un’ultima occhiata alla vecchia donna morta, ma non sapevo come chiederglielo. Il tipo con la Cadillac color verde dollari non ci offrì un altro strappo fino ad Atlantic City. Chiusero la casa della vecchia morta con un lucchetto di quelli che si comprano in ferramenta. Aspettarono finché non c’eravamo allontanati d’un bel pezzo prima di partire anche loro nelle loro macchine per andare in quel posto dove si sarebbe svolto il funerale. Abbiamo cercato di fare l’autostop, ma nessuno aveva voglia di montare due capelloni dall’aria sconvolta. Quando giungemmo ad AC, andammo sulla spiaggia per cercare di scaldarci un po’ al sole. Una tipa che lavorava ad un pub irlandese sul lungomare uscì dal locale per fumarsi una sigaretta. Venne sulla spiaggia per darci un’occhiata. Si mise le mani sulle ginocchia, che aveva molto graziose, e si chinò per chiacchierare con noi. Disse, perché non venite nel bar, qua fuori fa un freddo polare. Le abbiamo spiegato la nostra situazione di essere senza un soldo. Lei si chiamava Colleen. Ci diede dello stufato irlandese, che Cliff ed io mangiammo dalla stessa ciotola. Non vi erano altri clienti nel locale e Colleen ci disse che era felice di avere un po’ di compagnia. Si sentiva qualcuno fare un gran baccano dalla cucina, gettando in giro pentole e padelle. Lei ci disse che era Larry; il locale era suo e non erano tempi buoni. Se Larry dovesse uscire dalla cucina e la pescasse che dava via a gratis il cibo, allora lei si troverebbe in un brutto pasticcio. Ma lui dalla cucina non usciva quasi mai. Colleen aveva sei gatti, a casa sua. Ero contento quando lei svegliò me la mattina seguente anziché svegliare Cliff, per chiedermi se l’avrei accompagnata al lavoro. Cliff deve averla presa a male, però. Quando tornai a casa di Colleen, verso le tre, lui non c’era più.
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TEXT Domenico Savini & Leonardo Taddei
N
el cuore della città di Firenze, in Piazza della Repubblica, si trova la sede della libreria Edison, autentico centro di diffusione culturale del capoluogo toscano. Qui hanno presentato i propri libri, in anteprima, illustri scrittori, ma anche famosi personaggi del mondo della scienza, dell’arte e dello spettacolo, come, per esempio, Margherita Hack, Fabio Volo e Carlo Conti, per citarne solo alcuni. Ma Edison non è soltanto una semplice libreria: oltre ad offrire un vastissimo catalogo di opere di varia estrazione, infatti, l’unicità di questo meraviglioso e magico luogo è la possibilità di sedersi ad uno dei tavolini presenti nella struttura, magari ordinando qualcosa da bere o da mangiare al bar interno, ed immergersi nella lettura di quotidiani, libri e riviste. E non è ancora tutto: la libreria è aperta fino a mezzanotte, sette giorni su sette. Un’assoluta rarità, particolarmente utile non soltanto perché crea un’alternativa in più per il cittadino, ma anche, soprattutto, perché costituisce un’opportunità preziosa per chi di giorno lavora e non ha altro tempo da dedicare alla cultura, se non nelle ore serali. E adesso, come hanno già fatto
con la libreria Martelli nell’omonima via del centro storico fiorentino, e con molte altre in Toscana e in tutta Italia, vogliono chiuderla. Il vero problema, che sta dietro a tutto ciò, è quello della rendita immobiliare, che soffoca e immiserisce il centro storico, mettendo in ginocchio la parte del commercio che investe su qualità e tradizione. Le istituzioni e le organizzazioni economiche di categoria devono assolutamente unirsi, denunciare la questione e scongiurare questo lento e, apparentemente, inarrestabile declino. La stessa Regione Toscana dovrebbe intervenire, magari con una legge a tutela del commercio e dei locali del centro storico, poiché queste attività costituiscono una parte integrante del nostro patrimonio culturale. Si tratta di dichiarare un vero e proprio stato di emergenza per la nostra città, e di capire di quali strumenti è possibile avvalerci per operare immediatamente un rapido ed efficace intervento: una città di cultura non può assistere, impotente, alla chiusura di attività commerciali di valenza culturale come le librerie, a maggior ragione se si tratta di una realtà come Edison. In un periodo di crisi, non solo economica, ma anche culturale, e non solo di Firenze e della Toscana, ma dell’Italia
Libri
E v
dison ive
intera, in un’era in cui si assiste ad un appiattimento degli stimoli intellettivi da parte delle tv e del mondo delle realtà virtuali, sembra una follia voler togliere alle persone un angolo di paradiso, uno spiraglio di luce per il futuro: così facendo non si fa altro che gettare il centro storico e la città stessa in un baratro sempre più avvolto dalle tenebre dell’ignoranza. E suona come un macabro paradosso che la libreria sia intitolata al celebre inventore statunitense Thomas Edison. Fu infatti lui che, per primo, seppe applicare i principi della produzione di massa al processo dell’ invenzione: grazie al suo operato, quelli che erano solo studi teorici e meri esperimenti di laboratorio furono trasportati nella realtà quotidiana delle persone comuni, entrando nelle loro vite stabilmente ed indelebilmente sottoforma di miglioramenti tecnologici di importanza storica. Così come lo scienziato americano era capace di diffondere i suoi lavori d’ingegno alle grandi masse, l’omonima libreria fiorentina ha da sempre rivestito il compito di inestinguibile fiamma divulgatrice di cultura per la città. E continuerà a farlo, fintanto che glielo consentiranno, fintanto che lo vorremo. In fondo, la libreria Edison è l’unico luogo che nessuno si stancherai mai di frequentare, né mai di ritrovare affollato ogni qualvolta, spesso più di una al giorno, ci recheremo a farle visita. Perché Edison vive.
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romanzo
Isabel Allende El Cuaderno de Maya Edizioni: Feltrinelli Ecco il nuovo romanzo di Isabel Allende. Protagonista è Maya Vidal, un’adolescente problematica nel turbine della droga e dell’alcol, che fugge da Las Vegas e dalla sua vita appesa a un filo, per rinascere nelle meravigliose isole del sud del Cile. Qui imparerà finalmente a conoscersi, e troverà l’amore. Si confronterà con la sua vita passata in un lento e combattuto crescere che la porterà ad essere una donna. L’Allende torna con la sua spiritualità sud-americana per regalarci un’altra intensa storia al femminile che parla della crescita e delle crisi dei periodi che caratterizzano il percorso vero l’età adulta, affrontando con delicatezza l’importanza delle relazioni umane e come queste incidano, inevitabilmente, sul nostro essere.
Lauren Weisberger Il diavolo vola a Hollywood
COMMEDIA
Ecco una commedia leggera sul senso dell’amore. Brooke non ha mai creduto nell’amore a prima vista. Il destino la smentirà una sera al Village quando sentirà cantare Julian, un giovane in cerca del successo di cui s’innamora. Dopo qualche anno i due si sposano e niente scalfisce il loro giovane amore. Brooke lavora per mantenere il sogno del suo uomo e aiutarlo a raggiungere il successo sacrificando tutti i suoi interessi. Un giorno, la svolta! Dopo un’esibizione televisiva, Julien diviene il cantante d’America! La vita della coppia è sconvolta dall’ingresso nel circuito hollywoodiano: luci, soldi, spettacoli, lusso! Ma Brooke non è a suo agio e non riconosce più l’uomo di cui si è innamorata e per cui si è sacrificata. Allora che fare? Lasciarsi tentare dal mondo del successo oppure tornare alla sua vecchia vita, scaldata dal vero amore? Lauren Weisberger ci mostra nuovamente le tentazioni del diavolo!
COMMEDIA
NOVITÀ EDITORIALI a cura dii Angelo Errera
Edizioni: Piemme
Sophie Kinsella Ho il tuo numero Edizioni: Mondadori Poppy è una giovane fisioterapista in procinto di sposarsi. La sua vita scombinata la sta portando verso il matrimonio con un affascinante docente universitario. Tutto sembra andare verso la giusta direzione, ma una serie di eventi, in un’unica sera, cambieranno tutto. Il suo telefono con dentro tutta la sua vita e il suo matrimonio rubato, il prezioso anello di fidanzamento smarrito... e mentre rovista nella spazzatura per trovarlo, un cellulare nuovo di zecca di cui non può fare a meno di appropriarsi! Saranno proprio il nuovo cellulare e lo sconosciuto all’altro capo della linea che metteranno a soqquadro la vita e il suo “apparente” equilibrio! Kinsella torna con le sue storie frenetiche ed entusiasmanti, dove niente succede per caso.
RACCONTO
Charles Dickens Canto di Natale Edizioni: Crealibri Editore Per chi non l’avesse ancora letto, il periodo del Natale si adatta a questa storica lettura senza tempo. Un racconto classico che ci porta nel mondo surreale dell’avaro e crudele Scrooge. Un uomo il cui cuore è diventato arido, insensibile e la cui vita è esclusivamente dedita all’accumulo delle ricchezze materiali, in una triste solitudine priva di affetti e sensibilità. Saranno tre fantasmi che nella notte di Natale lo proietteranno tra i Natali passato, presente e futuro, riportandolo così al vero senso della vita. Ne emerge un messaggio di amore e fratellanza, in un’atmosfera cupa e triste, attraverso emozioni, dolci e forti, di gioia e dolore in uno dei più bei scritti letterari sulle feste di Natale.
Dickens con questo racconto regala alla letteratura mondiale un capolavoro che segna per sempre il pensiero.
RACCOLTA Il Natale è un magico momento. L’albero, le luci, i doni, i profumi... l’atmosfera diviene magica e trepida d’attesa. Ma quello che più si fa per le feste di Natale è... mangiare. Ecco un libro che vi porta per le cucine del mondo in questo periodo! Un racconto itinerante dove ogni pagina ripercorre la storia di simboli, superstizioni e rituali natalizi giunti a noi dall’elegante e vicina Austria o dalla lontana e maestosa India. A completare il viaggio troverete semplici e gustose ricette tradizionali dei vari paesi, che vi saranno utili per fare una buona figura con familiari e amici o a non farvi trovare impreparati se passate le festività all’estero.
Marina Emanuelli Il Natale è servito Pranzi Natalizi nel mondo Edizioni: Collana Le Stringhe
ROMANZO
Il Natale è servito e con questo libro potrete stupire parenti e amici!
Nicolas Barreau Gli ingredienti segreti dell’amore Edizioni: Feltrinelli Siamo nella romantica Parigi, città dell’amore e del romanticismo. Qui vive Aurélie Bredin, giovane e attraente chef del ristorante di famiglia, Le Temps des Cerises, in rue Princesse, a due passi da boulevard Saint-Germain. Questo piccolo locale romantico immerso tra il profumo della cannella e del cioccolato, ha visto crescere la ragazza che ha ereditato la passione dal padre e il suo Menù d’amour. Ora, dopo una brutta delusione d’amore, neanche qui riesce a trovare la serenità. Sarà un libro, “Il sorriso delle donne”, nel quale si imbatterà per caso in una libreria, a farle tornare la fiducia in se stessa e nell’amore. Quella storia che sembra così tanto parlare di lei e del suo locale, la porta sulle tracce del misterioso autore inglese, di cui però sembra non esistere traccia. Andrè, l’editore, non sembra volerla aiutare... anzi! Ma Aurèlie non si lascia scoraggiare e quando finalmente riuscirà nel suo intento le cose andranno in maniera molto diversa da come le aveva immaginate. Il caso e l’amore s’intrecciano in una storia coinvolgente che vi farà venire voglia di volare a Parigi.
Reality
LA VETRINA
Festival di Roma
M ndo O ArteModa titoletto
premiato il
Cinema
cinema che si affaccia sul
TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni
I U
na volta tanto pubblico, e l binomio Barcelona-Gaudí è unocritici dei dati di fatto dai quali non si puòsulla assolutamengiurati concordano attribute prescindere, pianifichi una Il zione del quando premiosi come miglior binomio Barcelona-Gaudí è uno dei datiIndi film della IV edizione del “Festival fatto dai quali non si può assolutamente ternazionale del Cinema di Roma” a prescindere, quando si pianifichi una Il binoUn cuento chino, del regista argentino mio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto Sebastian storia di una dai quali nonBorensztein, si può assolutamente prescinamara solitudine e di una singolare condere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali vivenza introverso proprienon si tra puòRoberto, assolutamente prescindere, tario di un negozio di ferramenta vive quando si pianifichi una Il binomio che Barceloda vent’anni senza il na-Gaudí è uno dei alcun dati dicontatto fatto daicon quali mondo, e un assolutamente cinese in cercaprescindere, di uno zio non si può quando siarrivato pianifichi Il binomio Barceloappena in una Argentina, senza cona-Gaudíuna è uno dei di dati di fatto dai quali noscere parola spagnolo. Un vero non si per puòla assolutamente prescindere, trionfo golden lady italiana Vania quandoche si pianifichi una Ililbinomio BarceloTraxler distribuisce film argentino, na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali ma anche il Faust di Sokurov che aveva non si può assolutamente prescindere, vinto a Venezia e Kill please vincitoquando si pianifichi uname Il binomio Barcelore lo scorso anno a Roma. Tra gli na-Gaudí è uno dei dati di fatto daieventi quali significativi ricordare di questa edinon si può daassolutamente prescindere, zione senz’altro “Marc’Aurelio” quandoc’è si pianifichi una ilIl binomio Barcelona-Gaudí èall’attore uno dei dati di fatto dai quali attribuito americano Richard non siaccolto può assolutamente prescindere, Gere, al festival con la proiezioquando si pianifichi una Ililbinomio Barcelone di I giorni del cielo, film di Terence na-Gaudí è per uno primo dei dati fatto quali Malick che glidioffrì la dai possibinon si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere,
Miglior film l’argentino Un cuento chino L’Italia a bocca asciutta
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quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali
non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una
lità di interpretare un ruolo da protagonista. L’attore, incontrando il pubblico, ha ricordato l’atmosfera che si respirava nel mondo del cinema degli anni ‘70 – ‘80, un’epoca dorata durante la quale si affrontavano i progetti cinematografici con spirito da pionieri e si scommetteva ancora sul cinema sperimentale. La giuria del festival, presieduta da Ennio Morricone e composta da Susanne Bier, Roberto Bolle, Carmen Chaplin, David Puttnam, Pierre Thoretton e Debra Winger, ha poi attribuito due premi speciali a The eye of the storm di Fred Schpisi, storia di una vecchia signora, interpretata dalla sublime Charlotte Rampling, che pretende di decidere come morire e l’altro inedito per questo festival alla colonna sonora che è andato a Ralf Wengenmayr per Hotel Lux di Leander Haussmann. Gran premio della Giuria a Voyez comme ils dansent di Claude Miller, pluripremiato regista francese che questa volta decide di raccontare un menage a trois con fantasma. Marc’Aurelio al miglior documentario per la sezione “L’Altro Cinema Extra” a Girl Model di David Redmon e Ashley Sabin; “Marc’Aurelio Alice” nella città sotto i 13 anni a En el nombre de la hija di Tania Hermida; “Marc’Aurelio Alice nella città” sopra i 13 anni a Noordzee Texas di Bavo Defurne. Infine il premio “Marc’Aurelio Esordienti”, trasversale a tutte le sezioni del Festival e destinato al regista della migliore opera prima è andato ex aequo a Circumstance di Maryam Keshavarz e La Brindille di Emmanuelle Millet. A mani vuote tutti gli italiani, a cominciare da Pupi Avati con il suo Il cuore grande delle ragazze, nonostante l’accoglienza calorosa del pubblico. Delusione per i mancati riconoscimenti all’ottimo La kriptonite nella borsa dell’esordiente - nella regia - Ivan Cotroneo. La pellicola, una frizzante commedia agrodolce sulla “faticosa ricerca della felicità” come l’ha definita lo stesso Cotroneo, è basata sulle vere esperienze del’infanzia del regista.
Nella pagina a fianco: Ennio Morricone in basso da sinistra: Piera Detassis e Ivan Cotroneo Cristiana Capotondi e Valeria Golino Kristin Scott Thomas Ethan Hawke Vinicio Marchioni e Valeria Solarino Noomi Rapace Kim Gyu-Ri Olivia Newton John Micaela Ramazzotti In questa pagina, a destra: Richard Gere Aurelio de Laurentiis Donatella Finocchiaro
Noomi Rapace, la protagonista dell’horror Babycall si è aggiudicata il premio come miglior attrice, grazie all’interpretazione nel film diretto da Pål Sletaune, un ruolo tormentato e visionario. Nominato come miglior attore dalla giuria del Festival Internazionale del Film di Roma Guillaume Canet, l’attore francese protagonista con Leila Bekhit e Slimane Khettabi della pellicola drammatica Une vie meilleure di Cédric Kahn, la difficile vita di un giovane cuoco e una cameriera alla ricerca di una svolta nella vita, l’apertura di un ristorante che, da sogno, si trasforma ben presto in un incubo di debiti e creditori. Soddisfazione per tutti gli organizzatori della manifestazione romana, a partire da Gian Luigi Rondi che dall’alto dei suoi 89 anni non disdegna di ricandidarsi per un altro mandato. Anche per la direttrice Detassis potrebbe essere l’ultima edizione dato che il suo mandato scade il 31 dicembre di quest’anno, ma Rondi si dice ottimista e ha dichiarato che ci sono tutti i presupposti per continuare il rapporto lavorativo sia del direttore artistico che suo.
Cinema
Fratelli Taviani - La notte di San Lorenzo
il capolavoro
30anni
compie TEXT Ada Neri
N
el 2012 compie trent‘anni La notte di San Lorenzo, il capolavoro forse più conosciuto dei fratelli cineasti Paolo e Vittorio Taviani. Un film tutto girato tra San Miniato ed Empoli. C’è chi ricorda ancora il grande set, nella torrida estate del 1982. Un film sul dolore, sulla memoria e sulla tradizione. È un film sul dolore perché racconta i tragici fatti avvenuti in quel tragico luglio nel 1944, quando la crudeltà e l’infamia provocarono l’ennesimo, atroce massacro; è un film sulla memoria, perché la storia è raccontata quasi con intento favolistico da una mamma alla sua bambina, e la mamma ricorda frammenti di quei giorni, e altri ne ricostruisce, perché allora non aveva che sei anni; è infine un film sulla tradizione e sulla coscienza, perché il bambino ascolta dalla mamma i racconti della notte di San Lorenzo di tanti anni prima, iniziando a memorizzarli per eternarli. Sua madre, alla stessa maniera, aveva imparato filastrocche e canti da sua madre. Perché nulla fosse dimenticato. Mai. Torniamo ad oggi. A San Miniato è attivo un Centro Cinema Paolo e Vittorio Taviani, istituzione voluta dal Comune e oggi presieduta da Carlo Baroni. Un centro – che ha ricevuto fin dall’inizio della sua attività il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato – nato con lo scopo di valorizzare
I fratelli Taviani a San Miniato. Sotto alcune immagini tratte dal film La Notte di San Lorenzo
l’opera dei due concittadini facendone un veicolo culturale per la città. Ecco che in occasione dei trent’anni de La Notte di San Lorenzo, nasce il progetto “Il cinema in classe” – molto apprezzato dall’amministrazione comunale e
sostenuto con convinzione dal vicesindaco Chiara Rossi – e la prima edizione sarà dedicata tutta a questo trentennale. “Il cinema in classe” ha l’obiettivo di avvicinare i ragazzi delle scuole medie e superiori allo straordinario linguaggio del cinema, attraverso proiezioni commentate, incontri con registi, attori, critici, esperti della materia. Questo primo anno del progetto è tutto dedicato a La Notte di
San Lorenzo e l’iniziativa sarà articolata in diverse proiezioni del film ognuna accompagnata da una lezione critica. Al termine i ragazzi, nei giorni seguenti, saranno chiamati a realizzare uno scritto critico sulla pellicola, cercando di attualizzarne le riflessioni su questo tempo del terzo millennio dai rinnovati fremiti oscuri, da un nuovo bisogno di pace, di condivisione, di riscoperta del valore della memoria. Gli scritti migliori saranno riuniti in un’antologia che raccoglierà anche le dispense dei docenti che hanno tenuto le lezioni e servirà come materiale didattico per gli anni futuri. L’antologia sarà distribuita gratuitamente nelle scuole ed ai cittadini. Questa prima edizione de “Il ciIl presidente del Centro Cinema, Carlo Baroni nema in classe” sarà un modo per riscoprire La notte di San Lorenzo, un progetto dalle radici lontane nel tempo. Il primo cortometraggio dei fratelli Taviani, Luglio ‘44, risalente al 1954, si fondava proprio sulla stessa drammatica vicenda, avvenuta quando i due avevano rispettivamente tredici e quindici anni. Il principio della storia, si diceva, è una notte stellata di qualche decennio successiva al 1944. Un cielo stellato e una voce di mamma che racconta una storia al suo bambino. Ed è la storia che ha segnato la sua infanzia, e cambiato la vita dei suoi compaesani. La terra di Toscana è cornice di bellezza commovente e straordinaria; e i notturni ritratti dai fratelli Taviani sono un capolavoro pittorico che incornicia il valore supremo della memoria. Scene di grande attualità ieri come oggi, e con uno sguardo al cielo stellato nella notte di San Lorenzo, ogni anno, sarà sempre bello esprimere un desiderio, ricordare un passato di sangue e rinnovare il desiderio di pace. Su tutto questo, ragazzi che forse non conoscono questa pellicola ed il suo valore – umano e cinematografico – saranno chiamati a riflettere. Il progetto con le scuole inizia a gennaio e si concluderà nel periodo aprile-maggio.
La Notte di San Lorenzo è il nono film diretto dai fratelli Taviani. Affresco della campagna toscana dell’agosto del 1944, che fa da sfondo ad uno dei tanti episodi di ferocia e crudeltà della nostra storia recente, raccontato guardando però alle tenerezze, la buona volontà, gli eroismi e la paura della gente comune. Il film è anche la prima occasione di collaborazione dei due registi con Nicola Piovani. Presentato in concorso al 35° festival di Cannes, ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria e il premio della giuria ecumenica. Il film è ambientato nella campagna verde della Toscana, nel 1944, quando la lotta tra partigiani e fascisti si faceva cruenta. E così è il film dei Taviani, crudo e spietato, stilisticamente adatto a mostrarci il dolore di una guerra tra fratelli. La scena più bella e paradigmantica è, infatti, quella della lotta tra i partigiani e i fascisti in un campo di grano. I combattenti si conoscono l’un l’altro, hanno probabilmente condiviso nel passato del tempo insieme e, nonostante tutto, la violenza dello scontro non si attenua. La Notte di San Lorenzo è, probabilmente, il miglior film sulla guerra civile italiana. Scritto con Tonino Guerra, il film è una rilettura della Strage del Duomo di San Miniato, dove l’attenzione è rivolta soprattutto ai pensieri, alle parole e ai gesti della povera gente.
Firenze - Teatro Verdi
scuola
Spettacolo
la
fa
TEXT Mariantonietta Belardo
toria
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iamo alla fine di questo 2011, segnato come ogni anno da eventi, accadimenti che ci mettono a confronto. Sicuramente quest’anno lo spirito italiano si è trovato solidale nei festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che hanno caratterizzato lo stivale e che hanno unito lo spirito nazionale cittadino. Lo scorso maggio al Teatro Verdi di Firenze gli studenti e i docenti dell’Istituto Tornabuoni di Firenze guidati dalla preside Sig.ra Maria delle Rose, proprio in ricordo di questo anniversario hanno ideato uno spettacolo di “moda e musica”, per entrare nell’atmosfera dell’Ottocento. Lo spettacolo del Tornabuoni, applaudito da più di 1200 persone, è iniziato con Laura, una simpatica e brava presentatrice, che ha introdotto un interessante filmato sul lavoro e la didattica di questo Istituto di Moda che oltre ad insegnare le tecniche del costume, insegna agli allievi il dialogo, l’amore ed il rispetto verso gli alunni stranieri, e meno abili. Punto di forza dello spettacolo la sfilata di moda: docenti ed alunni hanno sfilato con abiti progettati e realizzati nei laboratori moda. Gli abiti sono stati riproduzioni storiche del periodo dal 1861 ai giorni d’oggi. Hanno sfilato costumi storici maschili e femminili, riprodotti da immagini originali del periodo risorgimentale, ed una serie di abiti moderni che traggono ispirazione da abiti ottocenteschi. I materiali utilizzati sono stati molti: cotone, sete, pizzi, passamanerie. Estrema attenzione è stata dedicata ai particolari e alle rifiniture, nonché allo studio delle tecniche originali del tempo per la costruzione delle intelaiature delle sottogonne degli abiti femminili. Questa interessante e bella sfilata, che ha unito la parte didattica alla storia della “nazione”, è stata organizza-
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Nelle foto: In alto, a sinistra la professoressa Mariantonietta Belardo, al centro due allievi del Tornabuoni, a destra il Maestro Giovanni Meozzi; in basso a sinistra, due allievi vestiti da garibaldini; al centro il professor Gianpaolo Fenzi e il professor Mario Sassano rispettivamente nelle vesti di Mazzini e Vittorio Emanuele tra i due garibaldini; a destra, il pubblico da cui si intravede la stilista e costumista Sonya Salvini esperta esterna della scuola che ha collaborato nella realizzazione dei costumi. foto di @ Piero Alessandra photographer
ta dalla professoressa Silvia Mazzarrini e dal signor Jacopo Mammoli, che ha scelto per la passerella delle alunne musiche classiche di opere famose e canzoni di vari periodi storici fino ad oggi. Lo stesso Teatro Verdi è stato scelto come sede dell’evento, proprio per la sua connotazione storica nella formazione della nostra Nazione: costruito per volere di Giovanni Pagliano nel 1800, inizialmente l’edificio era chiamato “carcere delle stinche” in cui furono imprigionati Benvenuto Cellini, Giovanni Vitali, Niccolò Machiavelli ed un gran numero di illustri personalità. Anche Dante Alighieri vi passò terribili momenti. Abbattuto il carcere, il 10 settembre 1854 l’enorme teatro ritrovò la sua identità come uno tra i più grandi d’Italia e trovò, proprio dopo l’Unità, la sua massima espressione artistica, mantenuta fino ad oggi grazie ai grandi artisti nazionali e internazionali che ne hanno calcato la scena. Dopo la sfilata e quasi in conclusione, c’è stata anche una recita vivace e di chiara spontaneità della “Locandiera” di Goldoni. Tutto si è svolto con canzoni moderne, pezzi di operetta e di musical. Il maestro Giovanni Meozzi, primo insegnante del tenore Andrea Bocelli, ha accompagnato poi al pianoforte il soprano professoressa Mariantonietta Belardo in Va pensiero, e La Vergine degli angeli di Giuseppe Verdi. La cantante ha eseguito questi pezzi con una voce delicata dimostrando grande intensità e trasporto per il senso patriottico dei testi. Quasi alla fine di questo lungo anno, ricordare eventi come questo deve essere il promemoria per l’anno che verrà. Ricordare chi siamo, da dove veniamo e i sacrifici storici che ci hanno portato ad oggi, può essere un modo per migliorare le attuali e critiche situazioni nazionali. I giovani e l’impegno delle iniziative scolastiche in questa direzione, sono i punti di forza per garantire un’educazione nazionale, di un popolo che si unisce per l’amore del suo Paese. Nelle foto: in alto a destra, il gruppo de “I ragazzi del musical” e il gruppo sfilanti nella parte finale del concerto durante il canto Fratelli d’Italia diretto dal maestro Meozzi; al centro la professoressa Mariantonietta Belardo tra due alunne della scuola con costumi dell’800; a destra il gruppo “I ragazzi del musical”; ai lati allieve dell’istituto accompagnate da cavalieri in abito classico; in basso a sinistra la preside Maria Delle Rose; al centro la presentatrice Laura Jovenitti; a destra le professoresse Sara Meucci, Marinella Germanelli, Stefania Del Medico, il professor Mancini e la professoressa Valeria Russo.
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avallo di razza puro. Lo è. Alto, elegante, dalle buone movenze tipiche di certe zone del napoletano. Sul palco possiede una padronanza innata, è disonvolto e ha buona mimica, tanto da essere considerato uno degli attori prediletti della scuola di Eduardo De Filippo. Lui, Geppy Gleijeses, del grande Eduardo dice: «Un tipo molto a modo suo; non amava premi, formalità; arrivava subito all’asciutto, tanto che, una volta, in un’abitazione dove gli venne fatta notare la presenza della televisione, replicò: “buon elettrodomestico, lo mettiamo accanto al frigorifero?” Del teatro osservava che è vita pura, una cosa che non abbandona; quanto agli attori, sic! quelli che arrivano così… improvvisamente, da trasmissioni popolari, e si gasano pure! Il discorso cambia, è difficile riuscire a rimanere a galla. Bisogna recitare seriamente, con impegno, amore, sudando lacrime e sangue giorno per giorno. Quindi tanto di cappello! Così si fa, lo faccio dall’età di 17 anni, e così continuerò a farlo con tutto l’impegno dovuto.» Sua moglie Marianella Bargilli viene dal Grande Fratello… Guardi che tale trasmissione viene da un principio... si scruta dalla serratura, si studiano situazioni: una sorta di sguardo entomologo, come gli insetti in cattività che si muovono in un certo modo. Nello spettacolo-intrattenimento si rispecchiano pure lati antropologici. Da lì sono usciti Eleonora Daniele, Luca Argentero, Montrucchio, persone di spessore… il trucco è saper fiutare, aspettare, capire… e qui ricordo il grande Pietro Tarricone capace di rifiutare trasmissioni “trash” e quindi messo all’indice. Il seguito gli dette ragione, con grande stima mia e di tanti, tanti altri. Quanto a Marianella cresce giorno per giorno, è veramente brava e si merita il successo che ha. Conosce Firenze? Come no? L’adoro! Ci abiterei, ci mangerei di continuo… dicono sia città algida! Non per me, io ci rifiorisco proprio, tra l’altro proprio nella terra di Dante anni fa ricevetti un premio delle “Muse”, la mia musa era Melpomene. Lo dedicai a Marianella e a mio figlio, Lorenzo perché i figli so pezzi e core… e i figli non si pagano!
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TEXT Carla Cavicchini PHOTO Federico Riva
Ecco Napoli, la “sua” Napoli. Pino Daniele quando la canta con quella melodia struggente, fa inumidire gli occhi… Napole mille colori… L’amo da morire come tutti i napoletani, anche se mi fa disperare vederla e sentirla così difficile, disagiata, disastrata. Micro e macrocriminalità si alternano, e pensare che è tutta questione di educazione, di dare la possibilità ai giovani d’istruirsi come dovrebbero... i politici dovrebbero, lo sottolineo, essere l’espressione del popolo, ma io vedo una caratura troppo bassa, poco bene comune e molto personale. Gomorra, parabola di Saviano che sconvolge, impressiona. Pur sapendo, vederle scritte certe cose, inquietano non poco. Uscì una denuncia chiara, netta: la scorta appresso è per proteggerlo, diciamo obbligatoria per non farlo eliminare. Mafia, camorra, ndrangheta non si sono mai fermati davanti a niente, figurarsi per Saviano... mi viene in mente il delitto Siani con le stesse matrici. Giovane e grande giornalista che pagò rivelazioni che stava per scoprire. E non è il primo. Ma Napoli è anche fantasia, allegria, risorse... Come no? Ha dato e continua a dare grandi fenomeni artistici. Li succedono cose sempre nuove, sempre belle, è culla di cultura! Anche se Stendhal 250 anni fa di Napoli osservò: “Un paradiso abitato da diavoli”. Concorda? Gleijeses mi guarda serio. Ha una sicurezza che si taglia a fette: si morde in maniera impercettibile le labbra facendo “volare” le parole. Lei è colto e profondo. la domanda “gossippara” non gliela faccio. Perché mai? La invito! Oggi lei è un uomo felice accanto al suo amore; c’è un passato, quello con Debora Caprioglio, quando fu lasciata… Sono cose che avvengono ed avverranno sempre: si smette di amare quando si inizia ad amare un’altra persona. Sì, sono molto sereno e tranquillo. Debora si arrabbiò e non poco, ma la vita signori miei, è questa… poteva aver ragione lei, come del resto io. Personalmente, sul palco, credo di averle insegnato molto; lo ha riconosciuto.
Intervista
Geppy Gleijeses
Anche Klaus Kinsky le insegnò parecchio. Sicuramente. Una figura assolutamente geniale da cui imparò molto. Però sul set cinematografico. Quanti “maestri” ha avuto la bella Debora! La forza della vita. La cantava Vallesi. E che forza!
© Federico Riva - federiva64@gmail.com
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TEXT Gustavo Defeo PHOTO Il Rossignolo
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l Rossignolo, fondato dal clavicembalista e direttore Ottaviano Tenerani, insieme ai flautisti Marica Testi e Martino Noferi, è attualmente uno dei più noti gruppi italiani specializzati nello studio e nell’esecuzione della musica antica. I componenti de Il Rossignolo
La riscoperta del Germanico di Georg Frederich Händel possono variare da piccolo complesso da camera ad una vera e propria orchestra barocca secondo il repertorio affrontato. Apprezzati dalla critica internazionale per il loro rigore filologico e la loro verve interpretativa, negli ultimi anni hanno portato alla luce rilevanti pezzi per la storia della musica antica. Il
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Rossignolo mantiene un’incessante attività discografica, presentando le sue importanti scoperte in interpretazioni rigorosamente filologiche e con strumenti originali, quali i Madrigali et canzonette a cinque voci di Orazio Caccini, - Selezione CD della rivista Early Music -, le Sinfonie da camera di G.B. Martini - premio CD della rivista The Classic Voice, maggio 2002 -, ed i Notturni a quattro di G.B. Sammartini (Un disco meraviglioso! - Classical Music); oppure in incisioni del repertorio già noto, come i Concerti e Sinfonie di Alessandro Scarlatti - uno straordinario divertimento - Concerto -, i Concerti per violino et organo di Antonio Vivaldi (Il Rossignolo formazione agguerrita nelle intenzioni e felice per colore del suono e precisione tecnica - Musica). Uno degli ultimi CD del gruppo, le Sonate op.2 di Benedetto Marcello / Sonate a
solo cembalo, è stato accolto come «... una entusiasmante interpretazione, così come ci si aspetta da interpreti italiani che eseguono musica italiana Musicweb International», e scelto come disco dell’anno. Il Rossignolo è stato anche protagonista delle prime assolute dell’opera La Caduta dè Decenviri e dell’oratorio Il Trionfo della SS. Vergine assunta in cielo, di Alessandro Scarlatti. I loro concerti ed incisioni sono stati recensiti e premiati da riviste, testate e siti quali BBC Music Magazine, Amadeus, The Financial Times, American Record Guide, Le Monde de la Musique, Il Giornale della Musica, Audiophile, CD Classics, Gramophone, Orfeo, Opera, Early Music, Warner- Fonit Classic, The Classic Voice, Diapason, Musica, Opera now, Classical Music, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Corriere della Sera, Libero,
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La Nazione, La Repubblica. Il gruppo è in residence per un progetto didattico presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali Rinaldo Franci a Siena, dove coordina il dipartimento d’interpretazione storica, con corsi di strumenti antichi e musica d’insieme. A completamento della costante attività musicale e musicologica, dal 2010 Il Rossignolo ha dato vita ad una propria casa editrice, le Edizioni Il Rossignolo, canale privilegiato attraverso cui presentare i frutti delle varie attività di ricerca, con pubblicazioni di Edizioni Urtext, Facsimili, Edizioni critiche e Studi. Nel 2007, nel corso di una ricerca su manoscritti di Vivaldi, i membri de Il Rossignolo, si trovano davanti ad una scoperta inaspettata: lo spartito del Germanico, una “serenata” a sei voci con coro che aveva sulla prima pagina la scritta “del sig. Hendl”. Quest’opera possiede diverse coincidenze stilistiche con l’Händel di quel periodo, con passaggi che ricordano la grande permeabilità dello stile italiano nella gioventù del compositore. I membri de Il Rossignolo hanno impiegato più di due anni negli studi di questo spartito, studi che hanno avuto per linee guida l’analisi della carta, il raffronto stilistico, la somiglianza di certi passaggi con le opere già attribuite, e la consulenza di musicologi e direttori d’orchestra esperti conoscitori del barocco, e particolarmente di quest’autore. Lo stile conferma la presunta datazione al primo periodo della permanenza di Händel in Italia, (circa 1705/1706), forse durante la sua permanenza a Venezia oppure a Firenze. Lo spartito è pervenuto completo e racconta il ritorno trionfale del condottiero Germanico dopo la battaglia contro Arminio nella foresta di Teutoburgo. Per la prima incisione mondiale del Germanico, Ottaviano Tenerani ha scelto
un cast con artisti altamente specializzati nell’esecuzione della musica barocca, quali Sara Mingardo, Maria Grazia Schiavo, Laura Cherici, Sergio Foresti, Magnus Staveland e Franco Fagioli, accompagnati su strumenti originali dall’ensemble Il Rossignolo. Ad appena quattro mesi dal lancio mondiale, il disco – inciso per l’etichetta Sony Classical International – ha raccolto grande successo di pubblico e critica ed è già stato premiato dal BBC Music Magazine, Financial Times Deutschland e Muse Baroque. La genesi di questa scoperta fino all’incisione è stata oggetto d’un documentario che è andato in onda su Classica TV – Sky per tutto il mese di novembre 2011 e andrà nuovamente in programmazione – sempre su Classica Italia – nella prossima primavera estate. Successivamente il documentario sarà diffuso sulle reti culturali europee quali Artè, Mezzo, Classica Germani. 3
1. Il Rossignolo, a sinistra il clavicembalista e direttore Ottaviano Tenerani, al centro Marica testi, a destra Martino Noferi. 2. Il cast della prima incisione mondiale del Germanico, specializzati nell’esecuzione di musica barocca 3. Copertina del Cd ©Sony Classical International
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eorg Frederick Händel, (Halle, 23 febbraio 1685 - Londra, 14 aprile 1759) è stato uno dei personaggi più emblematici della musica barocca. “Poliglotta musicale” ha composto sia in stile nettamente tedesco, quanto francese, italiano, inglese, talvolta adoperando sfumature e suggerimenti fino a completi temi dei suoi contemporanei, senza perdere la sua forte personalità. Il suo viaggio in Italia è forse frutto di un incontro ad Amburgo con il Gran principe Ferdinado de’ Medici, che lo avrebbe incoraggiato a questo soggiorno durato dal 1706 (non si conosce la data reale del suo arrivo) a fine 1709 /primissimi giorni del 1710. Händel frequenta in questo viaggio i suoi contemporanei Domenico Scarlatti, Arcangelo Corelli, Benedetto Marcello tra altri. A Roma compose opere per il cardinale Pietro Ottoboni, per il Principe Francesco Maria Ruspoli e per il Cardinale Benedetto Pamphilij. A Firenze fu ospite del Gran Principe Ferdinando de’ Medici. “Rodrigo ovvero Vincer se stesso è la maggior vittoria” fu forse la prima opera italiana di Händel, rappresentata a Firenze nel 1707. Tra i maggiori lavori del periodo, troviamo l’oratorio La Resurrezione del 1708, dove Händel scelse un vasto organico strumentale inedito per quell’epoca.
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trema TEXT&PHOTO Leonardo Taddei
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l 30 settembre, presso l’hotel Tower Plaza di Pisa, si è tenuta la conferenza stampa di presentazione del libro Questa sera Rock ‘n Roll di Maurizio Solieri, scritto a quattro mani con il giornalista ed amico Massimo Poggini. Un’analoga manifestazione era già prevista a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, per il successivo mese di ottobre, ma il Maestro emiliano ha molto insistito affinché una data supplementare fosse inserita nel programma, nonostante i chilometri che separano le due province toscane siano effettivamente meno di ottanta. «Pisa è magnifica, piena di giovani che vengono a studiare qui da tutta Italia per il prestigio della sua Università» ha dichiarato Solieri, «ed io sono molto contento di presentare il mio libro in questa città.» Maurizio Solieri nasce e cresce a Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena. All’età di dieci anni riceve come regalo dalla sorella, tornata da un viaggio in Francia, il primo disco dei Beatles: in quel momento capisce che la musica sarà la sua vita. Con la prima chitarra, dono della madre, prende alcune lezioni dal direttore della banda del paese, ma saranno le uniche: si può dire, in realtà, che Solieri sia un autodidatta. Rapidamente si orienta sul genere di musica che ama di più, il rock. Manifesta, infatti, da subito, una grande passione per Elvis, Jimi Hendrix, per i Rolling Stones, i Led Zeppelin e i Police. Nel 1976 Solieri parte per il militare lasciando l’università, dove si era iscritto a medicina. Il suo migliore amico dell’epoca, Sergio Silvestri, aveva in quel periodo fondato insieme a Vasco Rossi una delle prime radio libere dell’epoca, Punto Radio, nel cui staff c’erano altri musicisti che in seguito sarebbero diventati grandi protagonisti del panorama rock italiano, come Gaetano Curreri degli Stadio, e Massimo Riva, con cui Maurizio si sarebbe unito nella Steve Roger Band. Solieri viene avvisato da Silvestri che a Milano si sarebbero tenuti dei provini con Vasco Rossi, e decide, sfruttando un periodo di licenza, di mettersi in viaggio. Da quel primo incontro tra i due nascerà una collaborazione che, tranne per alcu-
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ne brevi interruzioni, durerà fino ad oggi. Solieri parteciperà, infatti, sia in qualità di musicista che di compositore, a quasi tutti gli album di Rossi, e sarà autore di brani come Canzone, Ridere di te, Dormi dormi, Gli spari sopra, Siamo solo noi, C’è chi dice no, Bollicine e Lo show. Durante tutta la sua carriera, egli ha partecipato attivamente alla realizzazione di album per molti artisti italiani, come Alberto Fortis, i Nomadi e Massimo Riva, è stato musicista di grandi nomi del panorama canoro italiano ed internazionale, tra cui Skin degli Skunk Anansie, ed ha organizzato eventi musicali come “La notte delle chitarre”. Inoltre si è dedicato all’insegnamento, tramite la pubblicazione di DVD didattici sulla tecnica musicale della chitarra. Nel 1989 ha partecipato al Festival di Sanremo nella sezione “Emergenti” con la canzone Uno di noi, insieme alla Steve Rogers Band, ed è tornato sullo stesso palco nel 2006, in duetto con la cantante Dolcenera. Il 12 marzo 2010 è uscito il suo primo album da solista intitolato Volume One, che è stato anticipato dal singolo Money, uscito nel mese di dicembre 2009, in concomitanza con i concerti italiani dei Deep Purple, aperti proprio da Solieri. L’opera
contiene 10 brani, di cui 5 strumentali e 5 cantati in inglese, la lingua del rock anglo-americano, con la partecipazione del cantante Michele Luppi. In molti erano presenti alla conferenza, magistralmente organizzata dall’impeccabile staff della Dott.ssa Manuela Antonucci, che si è avvalsa, per l’occasione, della collaborazione di Ugo Belloni. La sala rossa dell’hotel Tower Plaza era gremita non soltanto di giornalisti televisivi e della carta stampata, musicisti ed addetti ai lavori, ma anche di molti, moltisimi fans di Maurizio Solieri e di Vasco Rossi, accorsi numerosissimi un po’ da tutta Italia, addirittura fin dalla Puglia, per strappare un autografo al loro beniamino. Alla presentazione sono intervenuti anche il Sindaco della città di Pisa, Marco Filippeschi, e l’assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, mentre il moderatore dell’evento è stato il coautore del libro, il giornalista e scrittore Massimo Poggini. Leggendo il libro, si incontra la figura di un grande artista, ma ci si scontra anche con quella di un uomo semplice, che affronta gioie e dolori che la vita gli riserva, tra scelte vincenti ed errate. Si riconosce in questa descrizione?
Certamente: mi ci ritrovo in pieno. Le mie avventure, musicali e non, così come le mie disavventure, hanno contribuito a formarmi come uomo e come artista. Fa tutto parte della mia storia, del mio background. Vede, prima si parlava di gavetta, di esperienza che dovevamo maturare sul campo per essere in grado di fare il nostro mestiere a dovere. Non come oggi, dove l’unica cosa a cui si punta è il successo facile, immediato: quello che danno i programmi più seguiti alla tv, come i talent show, o, ancora peggio, i reality show. Noi siamo partiti a fare concerti in posti dimenticati da Dio, e con solo sei o sette spettatori, non da San Siro o da Sanremo: lì ci siamo arrivati con il tempo. È questo ciò che ti fa crescere nella maniera giusta. Oltre ad essere un grande chitarrista di livello internazionale, lei è anche uno dei più importanti compositori del panorama musicale italiano. Cosa si sentirebbe di consigliare, oggi, ad un giovane autore o compositore? Per rispondere a questa domanda, la prendo un po’ alla larga. Quando ho scritto il brano Lo show, che parte da un arpeggio di mi minore, non avevo idea di che cosa sarebbe venuto fuori, ma avevo in mente di mettere qualcosa di nuovo in quella canzone, una ventata d’aria fresca. L’ispirazione me la sono dovuta andare a cercare, ed è saltata fuori da un viaggio che ho fatto in America, negli Stati Uniti, dove mi hanno molto colpito le sonorità
più metalliche, ruvide ed aspre. Ciò che voglio dire è che il consiglio che do ai giovani autori e compositori di oggi è quello di essere curiosi nei confronti di tutto ciò che li circonda, per poter sempre apprendere il nuovo e l’inusuale. Ci sarà un seguito al libro? Mi piacerebbe molto. Questo libro nasce come ripresa di una precedente opera, risalente a ben 26 anni fa, dello stesso Massimo Poggini. Una continuazione che descriva i prossimi impegni di lavoro sarebbe una bella idea! Dunque, perché no!
Pause, forse di riflessione, forse di ammirazione, da parte di tutti: pause prima delle domande, pause prima delle risposte. Quei particolari, brevi e cadenzati momenti di silenzio, preziosissimi, davano un tono di solennità alla situazione, come se venisse naturale, per i presenti, sottolineare l’importanza della carriera del Maestro, che, a sua volta, sembrava volesse omaggiare e ringraziare il proprio pubblico con devozione. Alla fine della conferenza, una fan si avvicina a Solieri e, chiedendo un autografo, esclama: «Quando esce Vasco di scena, durante i suoi concerti, e rimanete lei e gli altri musicisti a suonare sul palco, il concerto regge benissimo ugualmente! Sono i momenti che preferisco: mi piace tanto ascoltare la sua chitarra.» Solieri la sente, ed un piccolo tratto sbilenco compare accanto al proprio nome, sul foglio su cui sta scrivendo per lei. Trema la penna, e si fa pesante persino nelle mani di un grande artista, che di emozioni nutre il suo pubblico e di emozionarsi lui stesso ci auguriamo non smetterà mai. «È un grande merito quello che mi stai tributando» le risponde, sorridendo. Trema la penna, ancora, per fortuna, per Maurizio Solieri. Nella pagina a fianco. Conferenza stampa, Panichi, Filippeschi, Solieri, Poggini e Belloni Sopra. La copertina del libro di Solieri con Massimo Poggini
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antica Roma
Urbea avola
Curiosità
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TEXT Brunella Brotini
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ontinuando l’excursus sui cibi che venivano serviti sulla tavola dei Romani, non possiamo non citare le ostriche, i cui allevamenti furono istituiti alla fine del II° secolo a.C. da Sergio Orata, un ricco patrizio che aveva ville in Campania. Si servivano
Come e cosa mangiavano i romani ostriche in tutti i banchetti importanti e venivano consumate crude o cucinate. Il solito Apicio le include nella lista degli ingredienti di piatti super raffinati. Tra parentesi, questo citatissimo Apicio fu il più raffinato gourmet dell’antichità e la sua fama era tale che già ai tempi di Tertulliano, chiamare qualcuno “Apicius” designava la sua spiccata attitudine ai fornelli. Ebbe una vita sregolata finita con il suicidio e lasciò diversi trattati culinari sia sulle salse e condimenti che ricette di piatti completi. Richiestissimi erano gli scampi, tanto che Apicio, avendo sentito dire che sulla costa della Libia se ne potevano trovare di grandissimi, armò una nave e navigò alla volta della Libia ma, una volta arrivato e visto che gli scampi nelle ceste dei pescatori che si erano accostati alla sua nave, erano uguali a quelli nostrani, se ne tornò indietro senza neppure sbarcare... Le triglie, più erano grandi, più costavano. Una triglia passata alla storia è quella regalata a Tiberio e da questi mandata a vendere al mercato, così commentando: «che io possa essere dannato se questa triglia non se la comprerà o Apicio o Ottavio!» In effetti ci fu un’asta e vinse Ottavio: la pagò 5000 sesterzi, ricevendo grande considerazione perché aveva comprato un pesce venduto dall’imperatore Tiberio e perché aveva sconfitto Apicio. Non so a quale somma corrisponderebbe oggi, ma certamente un prezzo salatissimo se questo episodio è citato da Seneca.
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1. Trattato di cucina di Apicio 2. Mosaico raffigurante pesci 3. Affresco di Oplontis, raffigurante un dolce
Comunque la mania per i pesci prese così piede che verso la fine del II° secolo a.C. numerosi ricchi patrizi si creavano personali piscine marittime; era un segno di potenza economica, evidentemente! Cicerone si prendeva gioco di questi patrizi, chiamandoli “piscinarii”. Alcuni addirittura ornavano di gioielli i loro pesci favoriti, come fece Antonia, figlia di Druso, che adornò di preziosi orecchini le branchie di una murena. Questo pesce, la murena appunto, era molto richiesta e Orazio, dà per il suo condimento una ricetta basata su uova di riccio ancora oggi usata per condire la pasta in certe parti della Sicilia. Ci sono anche altri condimenti che sono arrivati fino a noi, come il “garum“ o “liquamen”, una salamoia, in pratica. In commercio oggi c’è la Worcestershire che è composta da aceto, melassa, liquido della salagione delle acciughe (garum), peperoncino, zenzero, soia, scalogno, aglio. Tra la frutta, l’unica che costava poco erano i fichi, sempre abbondanti, tanto che i Romani in autunno diminuivano le razioni di cibo agli schiavi lasciandogli mangiare i fichi. Comunque il loro consumo era tale che in epoca imperiale si dovettero importare: famosi quelli di Chios e quelli che arrivavano dalla lontana Siria (Marziale). Per quanto riguarda i dolci, a Roma non li vediamo comparire spesso nei banchetti e sono poco menzionati nella letteratura. Citato è il dolce a forma di Priapo portato su un grandissimo vassoio al banchetto di Trimalcione, dove compaiano anche pasticcini farciti con uvetta e mele cotogne irte di spine per imitare i porcospini (Petronio). Probabilmente i dolci venivano mangiati fuori dai pasti, perché in effetti a Roma esistevano botteghe di pasticceri che usavano moltissimo miele per le loro preparazioni. Se la letteratura è scarsa abbiamo però a disposizione la raffigurazione di un magnifico dolce decorato di frutta candita in un affresco di Oplontis: sembra una cassata siciliana
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Alimentazione
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TEXT Paola Baggiani PHOTO archivio CTE
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l cioccolato è un alimento affascinante con una storia antichissima e una tradizione ricca di leggende. Sembra quasi che sia un dolce con poteri speciali; è stato definito nel corso della sua lunga storia come “cibo degli dei”e ha sempre suscitato fin dalla sua scoperta notevole interesse economico, alimentare e scientifico. È derivato dai semi di cacao estratti dai frutti della omonima pianta originaria dell’Amazzonia. Esistono vari tipi di cioccolato che si differenziano secondo il contenuto in cacao. Il cioccolato infatti non è altro che un mix di zucchero e cacao a cui possono essere aggiunti burro di cacao, latte, miele, sostanze aromatiche, grassi o frutta secca. A seconda della percentuale minima di cacao si distinguono: - Cioccolato al latte (come minimo 35% di cacao) - Cioccolato fondente con percentuali di
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cacao che variano da 40 a 70%. Esiste inoltre il cioccolato bianco, che in realtà non è un vero cioccolato, in quanto non contiene cacao ,ma solo burro di cacao con una concentrazione minima del 30%. Per scegliere un buon cioccolato bisogna leggere l’etichetta nutrizionale: la percentuale di cacao non deve essere inferiore al 35% per il cioccolato al latte e al 50% per quello fondente; occorre controllare che tra i grassi ci sia solo il burro di cacao e diffidare invece di prodotti che contengono grassi di sostituzione come burro di karitè, mango, olio di palma perché sono di seconda scelta e dannosi per la salute. Il cacao ha un contenuto lipidico di origine vegetale elevato variando dal 30 al 40%, con basso contenuto in acidi grassi saturi aterogeni e alto contenuto in acidi grassi monoinsaturi dai noti effetti
protettivi per le malattie cardiovascolari come l’acido oleico; un bassissimo contenuto di colesterolo (da 0 nel fondente a 10 mg. in quello al latte) . Ha un alto contenuto in zuccheri semplici circa il 50% che rende conto del suo alto valore energetico. Sono presenti in esso macroelementi come calcio, magnesio e fosforo soprattutto nel cioccolato al latte; mentre si trovano oligoelementi come rame, manganese e ferro solo nel cioccolato fondente. Il contenuto in vitamine è ben rappresentato sia per le idrosolubili B1, B2, B6, C, sia per le liposolubili A, D, E. Il cioccolato è ricco in polifenoli antiossidanti (flavonoidi e tannini) noti per la loro efficacia nel combattere i radicali liberi e limitare il rischio di stress ossidativo. La capacità antiossidante del cacao è duetre volte superiore a quella del thè verde e del vino.
Per quanto riguarda le calorie per ogni cento grammi (che è il contenuto di una confezione standard) sono: Cioccolato fondente 530 kcal, cioccolato al latte 540 kcal. È quindi come noto un alimento particolarmente ricco di calorie e, poiché viene spesso mangiato al di fuori dei pasti canonici, rischia di indurre un eccessivo apporto energetico. Va ricordato tuttavia che anche qualsiasi altro dolce come ad esempio una fetta media di crostata alla marmellata, fornisce circa 550 calorie! Va quindi consumato con moderazione e in relazione al proprio dispendio energetico, ad esempio come snack per sportivi o per le merende dei bambini quando debbono praticare attività sportive dopo la scuola. Può essere inserito nella dieta dei bambini con moderazione soprattutto prima dei 2-3 anni di vita: in ogni caso è sempre preferibile scegliere cioccolato di buona qualità: quello fondente è considerato migliore in quanto contiene una più alta percentuale di cacao, ma alcune qualità come il contenuto di vitamina A e di Calcio si trovano solo nella varietà al latte, proprio quella preferita dai bambini. Effettivamente il cioccolato è stimolante, migliora il tono d’umore, è ”antidepressivo” poiché contiene sostanze endogene ad azione psicoattiva (metilxantina, tiroxina, anandamide, feniletilammina); contiene inoltre teobromina e Caffeina, due metilxantine ad azione stimolante sul sistema nervoso centrale; migliora quindi l’attività cerebrale, influenzando l’atten-
zione, la concentrazione e la prontezza dei riflessi. Inoltre il cioccolato da piacere perché stimola la produzione di serotonina, un ormone che agisce sull’umore, sul sonno e sull’appetito. Esistono molti luoghi comuni da sfatare sul cioccolato. Non è vero che provoca l’insorgenza dell’acne, che nell’adolescenza è provocata da fattori ormonali. Non è vero che fa male ai denti, anzi è stato dimostrato che la polvere di cacao possiede un potere anticariogeno dovuta alla presenza di tre tipi di sostanze: i tannini che inibiscono lo sviluppo batterico, il fluoro e i fosfati. Non è vero che sia pesante da digerire: è anzi uno degli alimenti a più rapida digestione poiché studi hanno dimostrato che i tempi di permanenza del cacao nello stomaco sono i più bassi in assoluto (da una a due ore). Non è vero che fa aumentare il colesterolo, anzi non c’è traccia di colesterolo nel cacao e nel cioccolato fondente mentre in quello al latte vi è una quantità di colesterolo pari a quelle contenuto in uno yogurt parzialmente scremato. Non è vero che va abolito quando si è a dieta poiché una piccola quantità di cioccolato come ad esempio 20 g. di fondente può essere inserita anche nelle diete ipocaloriche per la gratificazione. Il cioccolato è largamente apprezzato da una grossa fascia di consumatori per numerose ragioni: le stesse origini storiche,
l’alone mistico, le proprietà nutrizionali nonché il potenziale edonistico–terapeutico. Le proprietà nutrizionali del cioccolato fin qui esaminate identificano un alimento che seppur poco dietetico, ossia ipercalorico, si può definire senza dubbio nutrizionalmente nobile, tale da non demonizzarlo o escluderlo da un sano e corretto regime alimentare, ma stando comunque attenti agli eccessi ed avendo molta moderazione nel consumo in accordo alle raccomandazioni dietetiche della comunità medico-scientifica. www.baggianinutrizione.it
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per
10 Chef S
impatica e interessante fusione tra alcuni oli di eccellenza della zona del Montalbano, quelli dell’Azienda Agricola Bardelli Giuliana di Larciano e un gruppo di noti chef, che hanno interpretato in alcune loro ricette le tre tipologie di extravergine prodotti dall’azienda. Un libro ricco di informazioni e immagini curate nei dettagli. Pratico da utilizzarsi nel formato e nei suoi contenuti, realizzato dal giornalista e critico enogastronomico Claudio Mollo, non nuovo a pubblicazioni su cucina della tradizione Toscana e produzioni agroalimentari di qualità, che collabora già da alcuni anni con Reality, seguendo la rubrica Piaceri di Palato. Il libro, pubblicato sotto il marchio del nostro “Centro Toscano Edizioni”, è stato presentato il 2 dicembre 2011 a Viareggio, presso le sale dell’Hotel Plaza e De Russie. Parla di una famiglia impegnata
da decenni nella produzione olivicola, di territorio, di coltivazioni tipiche toscane, metodologie di lavorazione, accorgimenti e consigli, per arrivare ad ottenere un olio extravergine di elevata qualità. Ci sono anche 20 ricette di chef stellati o emergenti, nelle quali l’olio acquista un ruolo di protagonista e non soltanto di accompagnamento a un piatto finito. Ricette quindi anche di una certa complessità, che esprimono tutta la professionalità e la bravura dei loro autori. Un compendio importante per chi già frequenta e apprezza la cucina di un certo livello, fatta di mille accortezze e sfumature. Non mancano all’interno del libro alcune pagine dedicate alle marmellate, altra produzione dell’azienda, anch’esse di eccezionale qualità e particolarmente adatte ad abbinamenti con piatti salati che possono andare dalla carne al
Alimentazione
Olio Un
TEXT Angelo Errera
Nelle foto: Andrea Pieraccini, uno dei titolari
pesce, passando per le verdure, in una serie di proposte stagionali a dir poco incredibili. Per la cena, al Plaza e De Russie, seguita alla presentazione alla presenza del proprietario dell’azienda Andrea Pieraccini e di tanti ospiti, uno spettacolare menu a sei mani, visto che allo chef dell’Hotel, Paolo Lavezzini, si erano affiancati il neo stellato Andrea Mattei, chef del ristorante La Magnolia del Byron di Forte dei Marmi e Deborah Corsi, chef e proprietaria del ristorante La Perla del Mare di San Vincenzo. Questi ultimi, presenti in rappresentanza dei 10 chef che hanno preso parte alla realizzazione delle ricette del libro. Un menu nel quale l’olio extravergine ha dato il meglio di sé, abbinato e lavorato con criterio e dinamismo. Nelle foto: da sinistra, lo chef Paolo Lavezzini, Deborah Corsi, Claudio Mollo, Andrea Mattei
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Eventi
Querce - Fucecchio
I prodotti a km
zero mostra fotografica
TEXT Graziano Bellini PHOTO Lorenzo Bellini
O
ttimo successo di critica e di pubblico per la Mostra Fotografica I Prodotti a Km 0 del gruppo FDMDB patrocinata dal Comune di Fucecchio e dalla Condotta Empolese Valdelsa di Slow Food, che si è svolta il 12
Quando è la foto che va dalla gente nei luoghi del vivere quotidiano novembre 2011 alla Querce di Fucecchio (Fi) in un luogo originale e insolito per una esposizione fotografica: all’interno di una bottega di paese, l’alimentari-macelleria “Da Paolino”, fra gli scaffali e i banconi, Nella foto: in alto, Enrico Roccato, Slow Food; Graziano Bellini, Fdmdb; Claudio Toni, sindaco di Fucecchio; Massimo Talini, assessore del comune di Fucecchio; Simone Civitelli, Fdmdb; In basso a destra: Claudio Toni, Paolo Pepori proprietario del negozio, Massimo Talini, Simone Civitelli
per questi temi e farlo con le immagini diventa un modo diretto e affascinante per comunicarlo. L’altra motivazione della buona riuscita della mostra fotografica è stata senz’altro la scelta della location, l’originalità del luogo. Portare la foto dalla gente, vicino ai suoi gesti quotidiani come quello di fare la spesa, è stata senz’altro una scelta apprezzata da tutti. La qualità delle foto poi ha fatto il resto, la creatività e la passione dei fotografi che hanno partecipato all’iniziativa hanno dato risultati eccellenti. All’inaugurazione della Mostra hanno presenziato il sindaco di Fucecchio Claudio Toni, gli assessori Massimo Talini e Alessio Spinelli nonché Enrico Roccato, portavoce della Condotta Empolese Valdelsa di Slow Food, i quali tutti hanno pronunciato parole di elogio al gruppo organizza-
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fra generi alimentari confezionati e prodotti freschi. La mostra è stata organizzata dal gruppo “FDMDB” (acronimo di “I Figli Della Mamma Di Bresson”) di Fucecchio, un gruppo di amici poliedrico formatosi grazie alla passione per la fotografia. La scelta di sensibilizzare i consumatori verso l’utilizzo dei prodotti legati al territorio, i cosiddetti I prodotti a km 0, sinonimo di qualità, risparmio e tradizioni, è stato senz’altro uno dei motivi del successo dell’iniziativa in quanto esiste già una attenzione diffusa dell’opinione pubblica
tore e di ringraziamento per l’ospitalità concessa dalla bottega “Da Paolino”, teatro della mostra, che nell’occasione ha regalato ai visitatori una degustazione di prodotti tipici per l’intera giornata. Il lavoro del gruppo FDMDB però non è finito con la mostra alla Querce di Fucecchio, perché l’iniziativa è nata con l’idea di diventare una “mostra itinerante”, un work in progress di scatti e di luoghi espositivi in divenire che avranno la loro logica collocazione negli eventi e negli ambienti sensibili ai temi di salvaguardia delle tradizioni gastronomiche, ambientali e culturali dei luoghi. Infatti sabato 10 dicembre 2011 tutte le foto della mostra I prodotti a km 0 hanno fatto da cornice alla celebrazione della giornata internazionale “Terra Madre Day” durante la cena organizzata
dalla Condotta di San Miniato di Slow Food presso le Cantine di Palazzo Roffia alla presenza del Presidente Regionale di Slow Food Raffaella Grana e di altre autoritĂ ottenendo anche in quel caso attestazioni di elogio. Quando la foto si arricchisce di contenuti sociali diventa un mezzo di comunicazione importante e al tempo stesso la passione fotografica degli autori vive momenti di forte intensitĂ emotiva nel momento in cui, come in questi casi, il pubblico e gli addetti ai lavori ne apprezzano con entusiasmo il risultato. I fotografi che hanno partecipato a questa iniziativa I prodotti a Km 0 del gruppo FDMDB sono: Cristina Lotti, Edoardo Marrassini, Elisa Bilanceri, Elisa Rodio, Emanuele Bertini, Enrico Panchetti, Graziano Bellini, Letizia Grazzini, Nicola Conti, Rossano Malatesti, Simone Civitelli, Veronica Paci, Veronica Santoli.
Lucia Bosè
Intervista
la
TEXT Carla Cavicchini
C
os’è che mi deve domandare? L’inizio non è dei più promettenti. S’alza una nuvola di fumo disegnando una spirale: complice la sigaretta lunga e sottile che le esce tra le mani. I capelli. Corti e turchesi colpiscono molto. Avevo letto da qualche parte che “l’azzurro in testa” crea un legame con gli angeli. Quest’ultimi, dal canto loro, agiscono energicamente. Ma non nel caso di Lucia Bosè appena accenno all’estroso colore. «Amo il bleu da molti molti anni, e quindi l’indosso!» Veramente …avevo letto che… Letto male! Ma, sarà, però conservo dubbi in proposito. Mi permetta, lei è apparsa così, all’improvviso, ed io... non è che mi sia molto preparata… Ah… perché lei lo fa in linea di massima? Beh, sì, un pochetto mi documento… Ma io non so proprio cosa raccontarle! Penso che... se non rompo il ghiaccio… e quindi memore dei ricordi di tal star… La rivedo “fidanzatina d’Italia” con Walter Chiari, nonché una delle più grandi dive del dopoguerra: i film d’allora? Le ragazze di Piazza di Spagna, Cronaca di un amore, La signora senza camelie, e poi dopo, molto dopo, Metello, Cronaca di una morte annunciata, sino alla fiction Capri. Ah! Dovere. Quella foto bianconero con le sue labbra dipinte, sguardo assassino, sopracciglia ad ala di gabbiano e cigarette penzolante, suscitò non poco clamore. Le ricordo il “Premio Galileo”, in quel di Firenze qualche annetto fa, avuto alla carriera. Son venuta varie volte per il “Galileo” e sempre con molto piacere. Ma la ricordiamo anche quando, giovanissima e bella, lavorava in una pasticceria a Milano… Giusto, nel ’47, proprio lì mi notò Visconti, il grande Luchino. In via Victor Hugo; vendevo “marron glassè” ed il regista mentre li comprava mi disse:”Ma lo sa che lei ha un volto proprio interessante? Un giorno farà del cinema”. Indovinò, anche se non lavorai mai con lui. Poi mi fecero Miss Italia… e da lì nacque tutto il resto. Senta!
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blu
signora
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ma debbo proprio raccontarle tutta la mia vita? Guardi che ne ho poca voglia: sono uscita per essere tranquilla e lei mi sembra un commissario che mi confessa! Sorrido per sdrammatizzare dicendole: Scusi, ma come faccio a lasciarmi scappare un personaggio simile? Veloce… veloce. Dunque, ai tempi di “Miss Italia”, avevo accanto la Lollobrigida, Anna Maria Canale, Eleonora Rossi Drago, insomma… Il gotha in carne ed ossa! La Loren? Arrivò l’anno dopo. È cambiata tale manifestazione nel corso degli anni? Direi... - e mi lancia un’aria commiserevole - Noi eravamo “nature”, normali, oggi sono tutte rifatte, plastificate e si vantano pure! Hanno vent’anni ed esibiscono i loro orrori, con quelle bocche tutte così… e mentre lo dice fa il verso aprendo la bocca come uno zero. Cosa pensa della Tivù odierna? Che è mestiere, non arte! Ai miei tempi si faceva gavetta con registi e produttori d’eccellenza. Oggi... mah… Dominguin, bellissimo marito…
Si – Il sì arriva mentre pronuncio bellissimo – Bello come un Dio ed affascinante. Molto. Le donne gli cadevano ai piedi Spagnolito che non disdegnava il fascino femminile… Sicuramente! Una tale forza attirava e non poco! Proseguo dicendole che lasciò tutto per seguirlo in Spagna. Quando una è innamorata va anche in Alaska… io là ci ho vissuto benissimo e continuo a farlo. E cavalcava pure! Certo! Il regalo di nozze fu un cavallo e due fucili, d’altronde vivendo in campagna, bisognava saper “montare” e bene! Che domande! Personalmente mi sembra d’essere sul set di… più che “Sangue e arena”, “Arena e fifa”. Proseguo cautamente. Poi arrivarono i figli, Miguel, Lucia e Paola. Scorci per favore All’inizio parlo del ghiaccio rotto per “rompere” il tutto, ma questa rompe me se non scappo! Le narici son quelle d’un toro focoso. Che tempra. Addio muchaca!
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British Institute of Florence
Società
le
eccellenze del itratto TEXT&PHOTO Marco Massetani
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n evento speciale, di forte impatto culturale, ha visto protagonista lo scorso 6 dicembre il British Institute of Florence, il prestigioso istituto che da quasi 100 anni opera quale istituzione di riferimento per le relazioni culturali tra il Regno Unito e la Toscana.
Illustrata a Firenze l’edizione del BP Portrait Award 2012 con una conferenza alla presenza di ospiti prestigiosi Nell’elegante Biblioteca del British (circa 50.000 i volumi conservati), si è tenuto un dibattito sulla ritrattistica contem-
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poranea inserito nel programma Culture Lab, promosso dall’istituto con lo scopo di valorizzare le eccellenze delle attività culturali britanniche. in coincidenza con l’annuncio dell’apertura per la presentazione delle domande per il BP Portrait Award 2012 da parte della National Portrait Gallery di Londra. Proprio in occasione della presentazione del concorso in Italia per la prima volta, hanno preso parte alla conferenza – moderata da Mark Roberts dell’Istituto Britannico di fronte a una vasta platea di ospiti italiani e stranieri – Peter Monkman (vincitore del premio nel 2009), Giovanna Giusti (Galleria degli Uffizi) e Charles Cecil (Charles Cecil Studios). L’incontro è stato interessante proprio per aver affrontato, coinvolgendo il pubblico, alcuni temi legati alla ritrattistica.
Il BP Portrait Award è infatti il concorso di ritratto più prestigioso del mondo che ha l’obiettivo di promuovere le eccellenze del ritratto contemporaneo. Nelle scorse 23 edizioni, il premio si è dimostrato la rampa di lancio delle carriere di molti artisti poi affermatisi in quest’arte. Questo anche grazie alla BP che sostiene le arti e la cultura nel Regno Unito da più di 30 anni e attualmente concentra il suo sostegno a lungo termine su quattro istituzioni d’eccellenza: The British Museum, The National Portrait Gallery, The Royal Opera House e Tate Britain (nel 2010 più di 2,4 milioni di persone nel Regno Unito hanno partecipato alle attività sostenute dalla BP che sostiene il BP Portrait Awards dal 1990 ed è il più antico partner della National Portrait Gallery).
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«Lo scopo del nostro istituto è di promuovere le relazioni culturali fra il Regno Unito e l’Italia – ha dichiarato Sara Milne, direttrice del British Institute of Florence nonché da poco nominata
Console Onorario del Regno Unito – Il programma Culture Lab inviterà a Firenze conferenzieri di eminenti istituti culturali britannici e nel futuro speriamo di organizzare altri simili incontri nel
Regno Unito per presentare centri di eccellenza italiani. Il BP Portrait Award 2012 alla National Portrait Gallery è un esempio dinamico della creatività britannica nelle arti. Nel contesto attuale è un’occasione fantastica per gli artisti sconosciuti di condividere il palco con gli artisti affermati e di avviare una carriera nel ritratto.» Fondato nel 1917 e insignito della Royal Charter nel 1923, il British Institute ha come scopo la mutua promozione e comprensione culturale fra l’Italia e il Regno Unito. L’Istituto non riceve finanziamenti pubblici e dipende da donazioni per il programma culturale, per la biblioteca e per l’archivio. Ha due sedi nel centro di Firenze. Il Centro Culturale ospita un archivio storico e letterario che testimonia la presenza dei britannici a Firenze, la biblioteca Harold Acton, con la collezione di libri in inglese più grande dell’Europa continentale, e il Dipartimento di storia dell’arte. Il Centro Culturale organizza, inoltre, un programma stimolante di eventi culturali. Il Centro Linguistico promuove l’insegnamento dell’inglese e dell’italiano a tutti i livelli. 1. L’artista Peter Monkman, vincitore del BP Portrait Award nel 2009 2. La Biblioteca del British Institute con gli ospiti intervenuti all’incontro
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Società
Lyons Club e Lapi Group
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Cenere
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I
l giorno 17 novembre la Lapi Group SpA e il Lions Club di San Miniato hanno dato avvio al secondo anno del concorso Bacco, tabacco e cenere con un primo incontro presso le Scuole Medie di Fucecchio, Castelfranco di Sotto e Santa Croce sull’Arno. L’incontro con le altre tre classi a San Miniato, San Romano-Montopoli e Ponte a Egola, è previsto nei giorni 13 e 16 dicembre. Il concorso ha avuto inizio l’anno scorso ed ha coinvolto ben 800 studenti delle prime classi delle scuole medie del Comprensorio del Cuoio ai quali è stato spiegato, da medici esperti, quali danni può apportare l’abuso di fumo e alcol. I ragazzi, in base a ciò che gli è stato detto, hanno realizzato dei cartelloni pubblicitari e tra i 36 elaborati presentati ne sono stati prescelti 6, uno per ogni scuola. In questo secondo anno, le sei classi vincitrici dovranno creare uno spot indirizzato ai
Nella foto: organizzatori, presidi insieme al sindaco Umberto Marvogli di Castelfranco di Sotto - Pisa
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Nella foto: la locandina del concorso
coetanei, sulle problematiche della dipendenza da fumo e alcool. Per sostenerli in questo impegno, gli organizzatori faranno incontrare i ragazzi dei 6 Istituti del Comprensorio, innanzitutto con il dott. Silva, del Dipartimento di Educazione alla Salute della AUSL 11, e con esperti in comunicazione e immagine: il Dott. Luigi Patruno dell’agenzia Comma P di Roma ed il Sig. Luca Palatresi dell’Agenzia Keyartes di Fucecchio per dare ai ragazzi informazioni, metodi e tecniche su come creare un vero spot pubblicitario. Dopo gli incontri con gli esperti i ragazzi si impegneranno nella preparazione degli elaborati che consegneranno alla giuria entro la fine di febbraio; alla classe vincitrice sarà interamente pagata la gita scolastica della terza media. Anche quest’anno verranno consegnate a due Istituti in gara le LIM da parte della Lapi Group. Continua così l’impegno di Lapi Group e del Lions Club di San Miniato nei confronti dei giovani per cercare di dare un valido contributo affinché i nostri ragazzi possano avere un futuro migliore. Da molti anni l’Educazione alla Salute dell’AUSL 11 promuove interventi di prevenzione primaria nei confronti del fumo soprattutto nelle scuole, ma anche rivolti
alla popolazione in generale e ai fumatori in particolare. Fumo e Alcol due problemi con conseguenze gravi. Pensiamo che l’Organizzazione Mondiale alla Salute ha definito il fumo di tabacco come “la più grande minaccia per la salute nella Regione Europea” dato che provoca più decessi di A.I.D.S., droghe, incidenti stradali ed è uno dei fattori di rischio che incide notevolmente sulla popolazione. Inoltre un’indagine effettuata su un campione di 200 studenti di età tra 15 e 19 anni ha messo in evidenza che più del 70% dei ragazzi beve alcolici ma solo il 15% ha dichiarato di mettersi alla guida dopo aver bevuto.
Nella foto: Marco Nuti presidente Lions Club di San Miniato, insieme a Roberto Lapi, presidente di Lapi Group Spa
Nella foto a fianco: Dott. Alberto Silva usa la LIM Sopra: la LIM
Il dato più inquietante è che il 41% dei sog- atteggiamenti e comportamenti “consapevoli getti ha dichiarato di aver avuto almeno un e responsabili”; attraverso il passaggio, dagli incidente stradale, come guidatore o come educatori ai ragazzi, peer to peer, di esperienpasseggero, per guida in stato di ebbrezza. ze e conoscenze, di sentimenti ed emozioni Se consideriamo, infine, la forte pressione del ma soprattutto attraverso l’insegnamento di consumo di fumo ed alcol sui giovani, soprat- nozioni utili per l’acquisizione di competenze tutto attraverso la pubblicità, ci rendiamo ed abilità dirette agli stili di vita. Esperti in conto di come questi due fattori rappresenti- comunicazione, medici, addetti all’educazione no un problema di difficile risoluzione. Proprio si sono impegnati nel portare a questi ragazper questo, in questi zi le loro esperienze Il sapere comunicare è senz’altro e le loro conoscenze, ultimi anni, si stanno facendo strada nel dare loro tutte le una delle abilità fondamentali nuovi sistemi eduindicazioni, anche tecper poter vivere meglio. cativi e comunicativi niche, perché possano che riguardano due concetti fondamentali: capire profondamente il problema ed essere l’acquisizione delle abilità di vita (life skills) e in grado di prendere autonomamente e conla comunicazione alla pari. Nel primo caso ci sapevolmente le loro decisioni. Questo proriferiamo alla necessità di utilizzare metodolo- getto triennale, con azioni differenziate, progie diverse dalle solite, di lavorare sulla lettura muove le abilità dei ragazzi come la capacità critica degli articoli scientifici, abbandonando i comunicativa e creativa e stimola a modelli concetti basati sulle certezze (il fumo fa male, di comunicazione di messaggi più efficaci e, provoca il cancro, ecc.): è stato dimostrato appunto, alla pari: da un elaborato sulla procome con questi metodi è più facile acquisire mozione dei corretti stili di vita (primo anno) conoscenze utili allo sviluppo della personalità si è passati alla definizione ed alla creazione e delle relazioni come ad esempio la capacità di un messaggio, un corto o uno spot o una di risolvere i problemi, di sentire empatia, di locandina, che ha come target di riferimento leggere criticamente la realtà. L’obiettivo non proprio i loro coetanei, per finire, il prossimo è convincerli a non fumare o a non bere ma anno, con l’assunzione da parte dei ragazzi del renderli consapevoli delle conseguenze a cui ruolo di una azienda di pubblicità che intende vanno incontro nel momento in cui decideran- lanciare sul mercato il prodotto misurandone no di “provare”. Così come per l’educazione anche l’impatto. La Lapi Group e il Lions alla pari o peer education. Essa consiste nella Club di San Miniato non potevano rimanere capacità che deve avere l’educatore di trovare insensibili davanti a questo grosso problema concetti comuni ai target di riferimento e di riu- e, nel loro piccolo, hanno pensato di aiutare scire ad esporli con il loro stesso linguaggio in il più possibile a far passare questo messagmodo che possano essere assimilati a ragazzi gio: migliorare gli stili di vita si può, aiutare non del tutto formati e comunque non ancora i ragazzi a farlo si deve. Si sono appoggiati maturi. Dal momento che, nonostante tutto, il all’esperienza della ASL che da anni va nelle fumo è anche la prima causa evitabile di morte scuole a cercare di sensibilizzare i ragazzi e che una buona educazione può ridurre sull’argomento e se anche una piccola parte l’abuso di alcol, l’obiettivo di questo progetto degli 800 studenti coinvolti nel progetto consiste nel prevenire l’iniziazione di giovani rifletterà su ciò che è stato detto loro, sarà al fumo e all’alcol attraverso la promozione di per gli organizzatori motivo di orgoglio.
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Classi vincitrici 2010: 1. 1° F, Scuola secondaria F. Sacchetti, San Miniato; 2. 1° premio 1° G, G. Montanelli Fucecchio; 3. 1°A, Scuola secondaria C. Banti, Santa Croce sull’Arno; 4. 1° B, Scuola secondaria Galielo Galilei, Montopoli in Val d’Arno 5. 1° B, Scuola secondaria Leonardo Da Vinci Castelfranco di Sotto; 6. 1° C, Scuola secondaria M. Buonarroti, Ponte a Egola; Quest’anno le stesse classi, diventate classi seconde, parteciperanno alla produzione di uno spot
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Montecarlo
festeggia
campioni
Eventi
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del
TEXT&PHOTO Giampaolo Russo
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’uomo simbolo del Manchester United, il Gallese Ryan Giggs, ha vinto il premio internazionale alla carriera Golden Foot 2011. Il Golden Foot è un premio internazionale alla carriera attribuito annualmente ai più grandi calciatori di sempre nel Principato di Monaco, con l’Alto Patrocinio di S.A.S. il Principe Alberto II. Gli organizzatori sono la World Champions Club, società di management sportivo, e l’Ufficio del Turismo di Monaco. Il giocatore gallese è stato il candidato più votato via web nella rosa dei dieci selezionati dalla giuria internazionale del premio e ha preceduto nell’ordine Javier Zanetti, Samuel Eto’o e Xavi Hernandez. Giggs conquista l’ambito calco in oro con stella di diamanti dopo numerose candidature nelle scorse edizioni e una carriera straordinaria, ricca di trofei e di record, a cui mancava il sigillo ricevuto nel Principato di Monaco. Dopo aver ricevuto il premio dalle mani di S.A.S. il Principe Alberto II, Giggs ha lasciato le proprie impronte nel cemento per la Champions Promenade, la Walk of Fame del calcio mondiale sul lungomare del Principato. Insieme a Giggs è stato premiato come leggenda del calcio il campione argentino Javier Zanetti. La motivazione: ”Le vittorie conseguite sul campo, il raggiungimento delle mille gare da professionista, il record di presenze di tutti i tempi con la maglia dell’Inter e l’ormai proverbiale fair-play fanno di Javier Zanetti una leggenda vivente del calcio mondiale”. Zanetti, quinto argentino a ricevere il Golden Foot dopo Maradona - 2003 - Di Stéfano 2004 - Kempes - 2007 - e Varallo - 2010 - è stato premiato accanto ad altri grandi nomi del calcio mondiale come Luis Figo Portogallo, Ruud Gullit Olanda, Rabah Madjer Algeria e Abedì Pelé Ghana. La votazione web per eleggere il vincitore 2011 del premio internazionale alla carriera Golden Foot si è conclusa con un record assoluto di
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voti ricevuti, più di 326,000. Il premio è stato consegnato durante una serata di gala all’hotel Fairmont di Montecarlo durante la quale si è svolta un’asta in favore di Special Olympics. Insieme a Giggs e Zanetti hanno lasciato le impronte sulla Champions Promenade di Montecarlo, Luis Figo Portogallo, Ruud Gullit Olanda, Rabah Madjer Algeria, Abedi “Pelé” Gana. Nelle foto: Skyline di Montecarlo; Javier Zanetti; Il Principe Alberto con Ryan Giggs; Luis Figo; Ruud Gullit; La premiazione; S.A.S. il Principe Alberto II
autostile@autostile.it
Moda
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TEXT a cura di Elenoire
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l marchio Used nasce nel 2009 dalla idea dello stilista Samuele Senesi di rivisitare autentici capi anni Sessanta e Settanta attualizzandoli allo stile dei giorni nostri producendo anche scarpe e stivali in pelle di elevata qualità, intraprendendo un processo di costruzione e di lavorazione del prodotto, tipico di 50 anni fa delle zone del cuoio, ma aggiornato da linee stilistiche attuali.
Che cosa si aspetta Samuele Senesi da questa unione? Abbiamo raggiunto questo accordo per la volontà comune di portare un brand giovane e toscano nelle più belle vetrine del mondo, per valorizzare i nostri prodotti, che sono patrimonio del nostro territorio e da sempre numero uno nella pelle e nelle sue lavorazioni. Credo che grazie al supporto gestionale,
Il 16 dicembre 2011 nasce la EMMA HOLMES srl che sarà titolare del marchio USED e continuerà ad operare e ad espandersi sia in Italia che all’estero. Lo stile inconfondibile di Used è un new vintage nel quale le lavorazioni di un tempo, si fondono con la qualità dei materiali ed una cura moderna del dettaglio. Il crescente affermarsi del marchio e la necessità di migliorare e rendere più capillare la distribuzione hanno portato Senesi a cercare un partner che lo aiuti a far fronte al forte sviluppo che sta avendo. Da ciò nasce l’accordo con il Gruppo Lapi. Questo incontro crea una sinergia tra Samuele Senesi ed il gruppo industriale nato oltre 60 anni fa, che è radicato con varie aziende nel territorio toscano, ma non solo, essendo presente anche nei poli conciari del Veneto e della Campania. Il Gruppo Lapi è infatti attivo nel settore chimico-conciario dal 1951 ed occupa ad oggi ca. 180 dipendenti suddivisi nelle varie aziende. Tra queste ci sono aziende storiche, quali la società chimica Figli di Guido Lapi, ma anche società nate nell’ultimo decennio, proprio per la volontà della famiglia Lapi di dare la giusta opportunità a nuove idee ed iniziative, anche al di fuori del proprio core-business, offrendo supporto non solo economico, ma anche gestionale ed organizzativo.
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organizzativo ed economico del Gruppo Lapi, forte di 60 anni di esperienza, saremo capaci di entrare in modo convincente e deciso sui mercati, puntando più rapidamente ad obbiettivi ambiziosi. Da gennaio presenteremo la prima collezione Uomo con la Emma Holmes al Pitti Uomo e successivamente a marzo saremo a Parigi per presentare la collezione Donna. Credo molto in questo progetto che in soli 2 anni ha già dato le sue piccole soddisfazioni e sono convinto che da ora avremo la possibilità di crescere ancor più rapidamente di quanto fatto in questo primo periodo. La stessa domanda la rivolgiamo anche a Roberto Lapi, presidente della Lapi Group SpA La principale ragione, che mi ha spinto verso questa iniziativa, è la fiducia che ho nei giovani, soprattutto se, come Samuele, sono brillanti, pieni di energia e voglia di fare.
Queste caratteristiche mi hanno colpito in lui ancor prima di valutare il progetto, poi visto il percorso di successo fatto in così breve tempo e le potenzialità del marchio USED abbiamo deciso di iniziare questa meravigliosa avventura, anche se al di fuori del nostro core business che resta la chimica, poiché siamo sicuri ci porterà grandi soddisfazioni. La nuova colleziona a cosa sarà ispirata? Per questa nuova collezione ho tratto ispirazione dagli anni settanta, e dall’utilizzo di materiali originali di quel periodo. Lane Scottish pregiate, tessuti cerati e spalmati, si fondono insieme alla qualità della pelle e della lavorazione manuale che cottradistingue da sempre il nostro brand. Stivali cinture e capispalla sono realizzati in pellami ricercatissimi e rifiniti con minuziosi particolari e dettagli come i punti di cucitura fatti a mano. Negli stivali sono partito dai classici modelli biker e cavallerizzi con forme snelle e pulite puntando molto sul materiale originale vintage, mentre i tagli dell’abbigliamento sono decisi e di stile. Il pregiato tessuto Tartan Scozzese, originale degli anni ‘70 e scovato grazie ad una meticolosa ricerca, accomuna tutti gli elementi della collezione e fa da sfondo ai colori utilizzati che sono sia quelli caldi della terra, come il testa di moro e il cachi, sia quelli più vibranti e intensi, come il ruggine e il lavagna.
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TEXT&PHOTO Gaia Simonetti
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uando il calcio lancia messaggi positivi e fa rima con sociale. Quando il calcio fa scendere in campo l’amicizia e fa vincere la voglia di confrontarsi sul rettangolo di gioco. Alla fine della partita resta la foto di gruppo. L’obiettivo fissa l’abbraccio del team azzurro e di quello palestinese e un sorriso fa da cornice. È l’immagine di un libro che si chiude, ma che verrà riaperto a breve per scrivere un nuovo capitolo. Fanno da sfondo alla foto un cielo azzurro che domina il campo verde e il sole che illumina il rettangolo di gioco dello stadio Migaghelli di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. È qui che è stata disputata la gara di calcio tra Italia Lega Pro e Palestina. In campo c’erano ragazzi di venti anni con un solo pensiero: giocare tra amici, annullando le distanze. Il 23 novembre si è giocato una partita, vinta dagli azzurri per 1-0 con gol del capitano Walter Zullo, che resta nella storia, tra Italia Lega Pro e Nazionale olimpica palestinese. «È stata un’ulteriore testimonianza di cosa può fare il calcio, di come può abbattere le distanze e di come sa lanciare bei segnali che restano» ha dichiarato, soddisfatto per la riuscita di una partita evento, Mario Macalli, presidente della Lega Pro, la Lega calcio professionistico. «I nostri giovani non solo giocano a calcio – ha detto Macalli – ma sono coinvolti in iniziative che aiutano a crescere e a formarsi. In campo ad Assisi non c’erano avversari, ma amici, con i quali si condivideva la passione per uno strumento che ha un potere magico: il pallone. È questa la filosofia della Lega Pro che costruisce
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con i giovani: il calcio deve insegnare». I pullmann stanno per ripartire per un nuovo viaggio. Ci salgono gli azzurri per raggiungere le loro città e i giocatori palestinesi per tornare al loro Paese. Sono stati quattro giorni all’insegna dell’amicizia. È un arrivederci che non ha il sapore dell’addio. Ora prende più forza il sogno: poter giocare senza ostacoli, un giorno non troppo lontano. Assisi è stata una tappa di un percorso difficile, irto, complicato. Ma gli occhi sono fissi al traguardo e riescono a intravederlo. 1. La gara di calcio al check point tra Betlemme e Gerusalemme con Matteo Vezzoni (maglia bianca Under 20 Lega Pro) in azione con l’ex calciatore Fabio Pecchia 2. Un’immagine della Marcia della Pace da Betlemme a Gerusalemme con il giocatore dell’Under 20 Lega Pro, Michele Drago con la torcia 3. Foto di gruppo 4. Lo stadio di Dura, a dieci chilometri da Hebron, con 25mila spettatori per la gara di andata Palestina-Italia Lega Pro 5. La delegazione della Lega Pro al Muro del Pianto a Gerusalemme 6. L’esultanza per il gol del capitano azzurro, Walter Zullo (maglia numero 5) 7. L’arbitro della gara di Assisi, Silvia Tea Spinelli
Pesca Trota TEXT&PHOTO Cristiana Cei
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abato 3 e domenica 4 dicembre si è svolto nello scenario autunnale del lago di San Donato di Santa Maria a Monte la finale del “Campionato Italiano a box di pesca alla trota con esche vive in lago 2011”. Le tecniche di pesca di questa disciplina si basano sulla rotazione dell’esca. La rotazione e movimento dell’esca hanno lo scopo di stimolare il più possibile il pesce all’abboccata, tenendo conto della stagione, le correnti, la temperatura, la profondità. L’azione di pesca prevede il lancio e la caduta della lenza, a cui segue un tempo di caduta calcolabile in secondi. Il recupero viene svolto cercando di garantire all’esca un movimento credibile con continui saliscendi, accelerazioni e pause, cercando comunque di mantenere la corsia prescelta. Gara combinata in due prove a squadre formate da quattro concorrenti. Hanno partecipato alla finale 50 squadre, le prime tre classificate
al lago
dell’anno precedente e 47 arrivate da selezioni svoltesi in tutto il territorio nazionale, per un totale di 200 concorrenti. Nonostante la pioggia abbia caratterizzato tutto il weekend, la finale si è svolta con il massimo impegno agonistico da parte delle squadre che si sono sfidate alla pesca del maggior numero di trote, spostandosi a rotazione nelle diverse postazioni del lago. La premiazione si è svolta domenica all’ora di pranzo alla presenza del Sindaco David Turini e dell’assessore ai lavori pubblici del comune di Santa Maria a Monte e di GianCarlo Falaschi, proprietario del lago e del ristorante “Oasi al lago”. A salire sul gradino più alto del podio è stata la squadra Lo Squalo di Varese, a cui sono andate le maglie azzurre e lo stemma tricolore della FIPSAS, Federazione Italiana Pesca Sportiva e attività subacquee; si è classificata seconda la squadra Oasi al lago, la squadra di casa, e terza la squadra i Soffritti di Verbania.
Sport
Finale Campionato Nazionale di
SPA...M TEXT Sergio Matteoni
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n questo numero vi propongo un argomento particolarmente sentito oggi giorno, l’uso delle E-mail informative e lo spam. Con l’avvento delle nuove tecnologie che ci permettono di comunicare tra di noi in maniera semplice e veloce e soprattutto con i costi sempre più contenuti che hanno i dispositivi mobili (non si possono chiamare più cellulari) come gli Smartphone di ultima generazione, la ricezione di E-mail non gradite è diventato un problema importante, soprattutto se riceviamo queste E-Mail sui nostri dispositivi utilizzando la rete dei cellulari con dei costi che spesso sono relativi ad ogni megabyte scaricato. In ambito aziendale le E-Mail hanno preso il posto dei fax perciò spesso ci troviamo centinaia di E-mail informative alcune inviate dai nostri legittimi fornitori, altre da fornitori che si stanno proponendo per la prima volta, altre ancora da sistemi di invio di E-mail spazzatura (SPAM). Tutto questo causa una perdita di fiducia nello “strumento” e conseguentemente l’abbandono di percorsi che portino a proporre la propria azienda con l’ausilio di quello che viene chiamato E-Mail Marketing. L’E-Mail Marketing invece è un fantastico strumento che se utilizzato in maniera appropriata è efficiente,
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economico e molto spesso anche efficace in misura alquanto maggiore di quello che potremmo essere portati a pensare. L’E-Mail Marketing per funzionare però deve sottostare a delle regole ben precise, alcune banali come ad esempio l’inserire all’inizio della E-Mail la possibilità di dissociarsi da successivi invii (de-registrarsi), altre più sofisticate come la gestione dei feedback loop, delle segnalazioni inviate all’ISP quando il cliente clicca sul pulsante “Segnala come spam” e che vengono rinviate al server di origine che, se correttamente gestito, provvederà a non inviare più mail all’indirizzo che ha eseguito la segnalazione. Questo salvaguarderà la reputazione dell’azienda che ha inviato la E-Mail pubblicitaria e farà in modo che la sua corrispondenza elettronica non venga cassata definitivamente andando a finire in una black list. Quindi ancora una volta utilizzando un sistema di Customer Relationship Management (CRM) che gestisca le campagne pubblicitarie, anche in forma di E-Mail Marketing, in maniera corretta, si potrà far conoscere la nostra azienda, i nostri servizi ed i nostri prodotti al mondo intero senza correre il rischio di andare contro la legge sulla tutela della privacy ed ottenendo degli ottimi risultati.
Per maggiori approfondimenti andate sul sito http://worklandcrm.it
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NOVITÀ
Tecnologia
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per le imprese della Regione Toscana: contributi a fondo perduto per l’acquisizione di consulenza per l’innovazione organizzativa e di soluzioni per il recupero di competività
Formazione
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omunicare azienda in
TEXT Carla Sabatini & Vanessa Cappelli
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erché apprendere uno stile comunicativo efficace nel luogo di lavoro?
Viviamo nell’epoca che ha fatto della comunicazione l’elemento principale di scambio interpersonale e aziendale. I vantaggi del saper comunicare in modo positivo sono oggetto sia di manager che di lavoratori poiché il benessere organizzativo è il fine da perseguire sia per un vantaggio personale, che per l’organizzazione stessa. Un buon clima interpersonale migliora infatti il rendimento dei singoli e dei gruppi e incrementa l’efficienza complessiva. Di contro, un ambiente di lavoro caratterizzato da rapporti interpersonali freddi e conflittuali, non solo danneggia i singoli individui, ma influenza negativamente l’organizzazione.
Via Pacinotti, 2 - Santa Croce sull’Arno (PI) e-mail: corsi@nkey.it Referente: Carla Sabatini Tel. 0571/367749 Cell. 3484405321
Società Cooperativa Via del Bosco, 264/f - Santa Croce sull’Arno (PI) e-mail: info@forium.it Referente: Vanessa Cappelli - Tel 0571/360069
CORSO IN COMUNICAZIONE EFFICACE IN AZIENDA
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Macrosettore:
Comunicazione
Durata corso in ore:
20
N. Utenti previsti:
N. Min 8 - N. Max 13
Target:
Il corso si rivolge a chi occupa posti di responsabilità nelle organizzazioni aziendali, soprattutto dal punto di vista della gestione delle risorse umane. Si rivolge inoltre a educatori, formatori e capi settore impegnati nel difficile compito di gestire gruppi di lavoro.
Temi Trattati:
Saper comunicare: caratteristiche della comunicazione verbale, ascolto attivo, la comunicazione non verbale e il linguaggio del corpo, analisi delle barriere alla comunicazione e strategie per superarle. La comunicazione nell’esercizio della leadership. Saper gestire: metodologie di conduzione dei gruppi e tecniche di gestione dei conflitti (metodo del consenso, arte del negoziare, correzione degli errori). La riunione di lavoro come strumento di costruzione e consolidamento del gruppo di lavoro. Capacità e Qualità: Capire e trasformare gli stati emotivi del collaboratore. Gestire e motivare l’individuo nella sua prospettiva. La delega come strumento di motivazione e di crescita: come esercitarla per motivare ed avere successo. La valutazione delle persone: come condurre il colloquio di valutazione e aiutare i collaboratori nella autovalutazione.
Obiettivi del corso:
Formare figure specializzate nel favorire il buon esito dei processi comunicativi e relazione e nella prevenzione e gestione dei conflitti. Le tematiche oggetto del corso si propongono di far acquisire ai partecipanti tecniche, strumenti e buone pratiche per svolgere il ruolo di conduttore di gruppi all’interno del mondo aziendale , delle organizzazioni sociali e della formazione.
Attestato rilasciato:
Attestato di frequenza
25
da
anni
alla
TEXT Luciano Gianfranceschi
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a pelle di moda nasce qui. Da 25 anni. I clienti, chiedono ogni stagione qualcosa di nuovo. “Qualcosa? Abbiamo di tutto, di più. E anche a metà stagione rinnoviamo l’offerta. Predisporre il campionario e aspettare i clienti non basta più, occorre essere propositivi: in maniera da anticipare le tendenze”, osserva Roberto Pellegrini, le cui mazzette grandi sembrano l’enciplopedia Treccani. «Si fanno tutti articoli moda, e l’azienda ha un nome perché tutti gli anni proponiamo 60-70 articoli nuovi, diversi, e cerco sempre qualcosa d’inusuale per la superficie, per la manualità, in ogni aspetto della pelle».
Industria
la pelle di moda
«Quando mi viene un’idea, un’intuizione, la vedo già sul pellame – continua-. Anche se talvolta sembrano tecnicamente difficili, non voglio sentir dire che sono impossibili: come le pelli moda che sembrano opera del grande pittore Pollock, che stanno avendo successo anche all’estero» E tra le tante novità che hanno avuto successo a Lineapelle tra i clienti, l’azienda ha creato e presentato anche un articolo speciale.
Tra le tante novità, anche il pellame già con la fodera D’altronde è ciò che ha consentito all’azienda di festeggiare in quest’anno 2011 i primi 25 anni d’attività, con una festa nelle strutture del residence Corte Francigena. Un evento in grande stile. «In effetti sono intervenuti i musicisti e i tenori del Maggio Musicale Fiorentino, per un concerto che non ha precedenti a Fucecchio, dove peraltro c’è la passione per la musica» conferma il titolare. Dunque una manifestazione all’altezza dell’operato di Pellegrini Group, azienda conciaria che produce articoli di tendenza su croste e mezzi vitelli, capre e bufali, al cromo e al vegetale, per calzature e pelletteria. La sede è nella nuova zona artigianale di Fucecchio, in via Magellano, (dirimpetto a Prada).
«Si tratta di una rifinizione che sostituisce la fodera su qualsiasi tipo di pellame. e dunque maggiore velocità nel taglio, perché ne basta uno soltanto anziché due, e non occorre acquistare il pellame da fodera.» Su come ha iniziato l’attività, rievoca: «Sono partito pian piano, io sono uno che ha sempre fatto passi corti. Ero nato ragioniere, impiegato alla conceria Cormorano. Oltre a occuparmi dell’amministrazione, parlavo con il tecnico della rifinizione, ho allargato l’orizzonte sul mestiere del conciatore. Poi, conoscendo le lingue, seguivo l’estero e l’export, anche per l’altra azienda del gruppo, la Sciarada. Finché a un certo punto ho pensato che potevo anche mettermi per conto mio.» E l’ha fatto nel 1986, con il fratello Aldo, amministratore, mentre Roberto è il presidente e ora anche direttore stilistico. Il mercato richiede sempre il nuovo, per vendere. E chi va da Pellegrini Group è sicuro che lì trova una miriade di campioni, pronti ad essere consegnati. Il pronto moda è servito! foto di Mario Rossi e www.videoprovettorato.it
Conceria Pellegrini Group S.r.l. Via F. Magellano snc 50054 Fucecchio (FI) Tel. 0571 23602, 0571 22734 Fax 0571 260955 www.conceriapellegrini.com pellegrinisrl@concpellegrini.191.it
di Luciano Gianfranceschi
La moda in pelle S
ono i pellami pregiati per il pronto moda che fanno muovere il mercato. E il fashion word pretende creatività e innovazione senza limiti, come si è visto a Lineapelle, a Bologna. Ora si parla addirittura di pelli… trattate con proteine seriche? Anticipa Franco Donati, (ft 6) tecnico e presidente di Assoconciatori «Abbiamo preso delle proteine che vengono fuori dal riutilizzato proteico, che a sua volta viene fatto con gli scarti di pelle in conceria, dunque dal carniccio. Tali proteine le abbiamo arricchite e un po’ trasformate, e le abbiamo adoperate per fare da riconciante nel ciclo della concia, come riempiente della pelle». Oltre che avviarle, come già avviene, in
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agricoltura, un’altra strada al recupero. L’applicazione è già in fase avanzata presso il Poteco, diretto da Domenico Castiello. RED CARPET ALLA CONCIA BIANCA. Un rinnovamento, la conciatura che la manager Marcella Peruzzi, Biokimica group, in foto con l’imprenditore Gaetano De Maio, anticipa così: «Si tratta di un procedimento chimico che consentirà di trattare contemporaneamente pellami e tessuti, abbinati per l’abbigliamento. Una soluzione molto attesa nei due comparti, affini, che la moda vuole sempre più vicini». (ft 7) DOTTORESSA MARTINA. Ad accogliere la clientela, Martina Squarcini, terza generazione in azienda, con il babbo Curzio e il nonno
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Dario. Ha partecipato alla fiera nonostante stesse per laurearsi. Come è accaduto brillantemente due giorni dopo all’università di Pisa. Mostrava «uno stivaletto in pelle conciata al vegetale, con la pelliccia calda interna ed elegante esterna. Tutto naturale». (ft 3) CLIENTI TEDESCHI. «Il primi giorno in fiera abbiamo visto più stranieri, anche tedeschi, che italiani. S’è seminato bene, anche con clienti da nazioni in via di sviluppo, prevedo un lavoro in aumento – aggiunge, alla conceria La Conchiglia, Renzo Botrini, con Alessandro Pacini, Luciano Brucini e Mauro Pacini. (ft 4) LE GRIFFE SON TORNATE. Al consorzio D&Co (concerie Golf-pH, Lufran, Upimar) c’è l’imprenditore Riccardo Bandini. «Altre
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e poi grattando il fiore. Ma senza sfondarlo si ottiene un vintage elegante, fortemente caratterizzante, dovuto a maestrìa a livello artigianale». LA VACCHETTA. Non passa mai di moda. «La vera vacchetta ingrassata, tradotta in calzature – osserva Nicola Matteoli alla conceria Lo Stivale – dà articoli distaccati dalla massa, come stivali tipo camperos e buttero, country o sportivi». CUOIOARREDO. Anche il cuoio, s’inventa nuove strade. Luigi Caponi, del cuoificio Bisonte, è responsabile del marketing alla sezione Cuoioarredo, «che anima gli spazi». I gropponi esposti alla parete sono serigrafati, oppure stampati, e vengono venduti a
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mattonelle, per interni e per imbarcazioni lussuose. VEDI VOGUE, E POI... Alla conceria di famiglia, «Samanta» l’emergente fashion designer Azzurra Gronchi ha esposto anche le borse pubblicate su Vogue accessori. Un gran bel servizio, perché la moda della prossima stagione non può fare a meno di una creativa, cresciuta tra le pelli stampate rettile e colorate a mano. CERTIFICAZIONE. Valerio Testai, alla conceria Vecchia Toscana, conferma la tendenza «a pelli, la cui naturalezza è un nostro pregio. E aggiungiamo la certificazione della non presenza di sostanze nocive, fin dall’ambiente durante la lavorazione, e poi a chi porterà le scarpe, la borsa o un capo in pelle».
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foto Mauro Rossi
volte l’affluenza era forse maggiore ma ora coloro che vengono sono veramente interessati, in azienda contano e possono decidere. La clientela ha recepito il messaggio che la qualità ha un costo, ma dà sicurezza ai clienti finali. Se le griffe sono tornate è anche per questo». VOGLIA DI PRODURRE. Secondo il vice presidente di Assoconciatori, Alessandro Francioni, «tra le griffe c’è voglia di produrre, e le concerie stanno rispondendo molto bene alle sollecitazioni del mercato, che richiede innovazioni teologiche e oltre che di moda». DOUBLE FACE. Tra i materiali innovativi, Romano Benericetti ha presentato una capra «in pelle double face, trattata con le carte
foto Cristiana Cei
al tempo della crisi
foto Cristiana Cei IL GRAND HOTEL. Per la conceria Valdarno, Massimo Baldini, Biokimica group, insieme a Stefano hanno riprodotto il Grand Hotel, un’attrazione per pelli che sono davvero a... cinque stelle. Tra gli articoli la concia al vegetale vintage, lavorazione per invecchiare le pelli, in modo da ottenere pelli old style naturale. ISTITUZIONI. E’ fiducioso il sindaco santacrocese Osvaldo Ciaponi, presente con la vice Giulia Deidda e l’assessore Alessandro Valiani: «Anche nella produzione di calzature e pelletterie, i brand stanno stanno tornando in Italia. Perché più la pelle è di qualità, e più richiede maestrìa nell’essere lavorata». (ft 5) PELLE + 2011. Gli stand del consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale
erano individuabili dal marchio consortile proiettato all’entrata d’ogni stand. Il sindaco di San Miniato, Vittorio Gabbanini, in visita alla conceria Tempesti, ha sottolineato: «La pelle al vegetale è una risorsa che viene dal passato, e che ha un futuro. Il concorso Pelle+ dimostra che oltre alle tradizionali pelletteria e calzature, nella mente di architetti e designer prende più ampia versatilità». (ft 1) ISPIRAZIONE. Accompagnato dal vice Gabriele Toti «per un creativo, certi pellami sono un’ispirazione al solo vederli, toccarli», il sindaco di Castelfranco di Sotto Umberto Marvogli, ha rievocato di aver avuto «esperienza produttiva diretta in conceria,
e di aver visto in fiera realizzazioni moda impensabili». (ft 2) PROSPETTIVE. «Le condizioni del mercato sono favorevoli – conclude Piero Maccanti, direttore di Assoconciatori – e le proposte delle nostre aziende stanno trovando ottimi riscontri fra i compratori. In questo contesto, le prospettive per la prossima stagione produttiva sono positive». TENDENZE. Per la fascia alta è importante la produzione per l’invernale – si parla del 201213 – essendo una stagione lunga il doppio rispetto all’estivo. E anche realizzare gli stivali richiede molo più pellame dei sandalini. Le tendenze? Pellami morbidi, e colori dal biondo al grigio anche mescolati fino al tono ruggine.
Alberto Licostini sportello Carismi in fiera
© www.ctedizioni.it
Conceria dal 1973
V E R Y M A D E I N I TA LY LE CUIR A PARIS 14-16 Febbraio 2012: Hall n° 4 / Stand n° F37 Bis
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Sensi
di Margot
Per quanto mi riguarda, nulla so con certezza ma la vista delle stelle mi fa sognar. Vincent Van Gogh
(1853-1890)
pittore
Ristorante Butterfly
Piaceri di palato
Stella lucchese di gusto ed eleganza
Text&photo Claudio Mollo
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hi non conosce il Butterfly, il ristorante che si incontra sulla strada statale del Brennero, quella che per intenderci da Lucca inizia a salire verso la Garfagnana e l’Abetone. Ecco, venendo da Lucca, poco prima dell’incrocio con Marlia, sulla sinistra, si trova il Butterfly, un nome che per gli appassionati di opere liriche evoca un grande capolavoro di Puccini mentre per gli appassionati della buona cucina ricorda un locale che tra quelli presenti sul territorio lucchese si è conquistato un posto tra i migliori ristoranti della Toscana e del resto d’Italia. Fabrizio Girasoli chef e proprietario, è l’artefice del successo di una cucina coraggiosa, che quando finì all’attenzione della cronaca ruppe gli schemi di una ristorazione classica, profondamente intrisa nella grande tradizione gastronomica lucchese nella quale si esaltano i sapori
mansarda, colorata e accogliente, dotata di un unico tavolo e raggiungibile dal primo piano salendo qualche scalino in più. Colori caldi e punti luce ben disposti rendono gli ambienti veri e propri salotti del gusto, nei quali si serve una cucina raffinata ed elegante che ha fatto del Butterly una meta ambita da piccoli e grandi gourmet provenienti soprattutto dal resto della Toscana. Una Stella Michelin, che brilla ormai da diversi anni sta a suggellare queste virtù. Fabrizio lavora con abilità, sia carne che pesce, con cotture misurate, armonia tra gli ingredienti e buon equilibrio gustativo. La sua è una cucina creativa e intrigante, dove ogni piatto non tradisce mai il palato, dove chi cerca un attimo di relax gastronomico, lo trova; accompagnato dal piacere di sentirsi come a casa propria. La carta dei vini è importante, all’altezza delle pietanze proposte. Presenti in quantità i vini della provincia, cru in testa;
di antiche ricette avendo a disposizione, nell’intera provincia, prodotti eccezionali. Nonostante queste profonde radici “alimentari”, Fabrizio iniziò a incamminarsi su una strada diversa e chiaramente in salita, iniziando a proporre una cucina innovativa, dove la fantasia aveva un ruolo importante, una cucina foriera di modernità e voglia di cose nuove nel piatto, fermi restando i legami con il territorio e i suoi prodotti. Insieme a lui, la moglie Mariella, che si occupa della sala e che da brava padrona di casa, del fascinoso cascinale riadattato a ristorante, ha sapientemente arredato, in stile rustico elegante, le diverse sale disposte su più piani, compresa una romantica e intima
non manca il resto d’Italia e qualche straniero, ed è sempre Mariella a occuparsi dei vini richiesti dalla clientela o suggeriti a coloro che hanno voglia di lasciarsi guidare, coadiuvata dallo staff di sala. Nel giardino all’inglese che fa da cornice al cascinale, si trovano due grandi gazebo sotto i quali, in estate, si può mangiare, in mezzo a bellissime piante e fiori colorati, nel fresco della campagna, fino a tarda ora. Evoluzione gastronomica e piaceri di palato sembrano essere le due linee guida che Fabrizio Girasoli sta seguendo ormai da diversi anni, sempre più proteso verso un’eccellenza nel piatto che lui cerca in modo maniacale e professionale.
Ristorante BUTTERFLY S.S.12 del Brennero, 192 - MARLIA – Lucca - Tel. +39 0583 307573
quel braccio del
Garda
Trentino... TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa LOCOMIA
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na terra ricca di storia, arte, natura, attenta all’ospitalità, al ricco patrimonio costituito da una rigogliosa flora, paesaggi da favola, borghi incantevoli, che rendono il Garda Trentino una meta appetitosa. Le vacanze natalizie rappresentano un’ottima occasione per visitare questo eden lambito dalle acque del lago più grande d’Italia, nel quale novità e tradizioni si fondono come dimostrano i celebri mercatini ricchi di addobbi per l’albero, il raffinato artigianato, la celebre gastronomia o l’innovativo restyling della falesia di Baone, grazie al quale le persone diversamente abili usufruiscono di parcheggio riservato, un percorso progettato per i non vedenti, tabelloni tattili indicanti come arrivare alla parete attraverso un sentiero percorribile anche in carrozzina. Cosa dire dell’entroterra? Fantastico! La valorizzazione del medesimo trova supporto nell’operato della Comunità Alto Garda e Ledro insieme all’Azienda per il Turismo Alto Gardesano, che si adoperano con successo nel ricercare l’anello di congiungimento tra le bellezze della riviera e l’incontaminato paesaggio interno ricco di unicum. In effetti, se Riva incanta per la Rocca, la Torre Apponale, il Palazzo Pretorio, Nago colpisce per essere sede dei forti austro-ungarici, ingresso alla Val d’Adige, custode dei pozzi glaciali denominati Marmitte dei Giganti, senza contare la vicinanza con Torbole, ridente paesino di pescatori dove ha sede la Vecchia Dogana e Casa Buest. L’interno accoglie anche Tenno conosciuto per il lago balneabile, le spiagge, l’austero castello medievale, ma non dimentichiamo Arco, denominata città giardino, città liberty, capitale mondiale del free-climbing. Nelle vicinanze si trova Dro, ricca di portali scolpiti, torri, chiese, enormi rocce denominate “Le Marocche” e, a una manciata di chilometri, ecco apparire l’austero maniero di Drena, orgoglioso del suo onorato passato! Ah, dimenticavo il bellissimo lago di Ledro ricco di piste ciclabili, viste panoramiche, prati, boschi, memorie storiche legate alla preistoria, terza guerra d’indipendenza, prima guerra mondiale: assolutamente da non perdere!
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Dopo cotanta fatica è auspicabile rigenerare il corpo ma anche la mente, a tal riguardo il territorio offre una variegata offerta wellness & relax; in effetti numerose strutture ricettive possiedono palestra, bagno turco, sauna, piscina riscaldata, permettono trattamento massaggi, estetica, cromoterapia, basti nominare il Garda Thermae di Arco o blasonati alberghi come il Grand Hotel Liberty, Parco Flora, Astoria Park Hotel di Riva, Piccolo Mondo di Torbole, Al Frantoio e Olivo di Arco. Allora gente, ho stuzzicato la voglia di partire? Penso di si! 1. Arco 2. Rocca di Riva di notte 3. Mercatino di natale a Arco 4. Fuochi d’artificio a Arco
lassù sulle
montagne
friuliane TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa agenzia turismo FVG
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anitosi, sfrontati, orgogliosi delle antichissime origini, i monti friulani guardano arcignamente le splendide valli che li delimitano, creando uno scenario di straordinaria suggestione. Candide d’inverno, verdi e ingentilite da coloratissimi fiorellini d’estate, le vette alpine offrono un aspetto superbo nel corso di tutto l’anno, non a caso le Istituzioni locali si adoperano affinché tale paesaggio venga goduto nella sua interezza dai numerosi turisti promuovendo una serie di offerte decisamente vantaggiose; a tal riguardo nonni e nipotini troveranno conveniente frequentare le piste da sci dei cinque comprensori della Regione: per loro, sono completamente gratuite! Tra le tante mete, consigliamo Sella Nevea, dove praticare sci da discesa, di fondo, snowboard, pattinaggio su ghiaccio, trekking e l’alpinismo trova un punto di forza negli incantevoli itinerari accuratamente studiati per gli appassionati. A proposito, non dimenticate di visitare Tarvisio, rinomato per la sua foresta demaniale, la fauna ricca di caprioli, cervi, camosci, stambecchi, il Santuario del Monte
Lussari; qui i ragazzi possono praticare lo sleddog tra una vegetazione incantevole lasciandosi trasportare da vigorosi husky. Gli amanti della velocità devono assolutamente recarsi a Piancavallo, presso lo Snow Park Collalto Fun, attrezzato per praticare snowboard e alpine coaster, mentre Foni di Sotto assicura il divertimento grazie a gobbe di neve, tunnel, gommoni, grandi attrattive del Fantasy Snow Park. Ma le famose Dolomiti con il loro Parco cosa offrono? Direi tantissimo! Innanzitutto il paesaggio è un museo a cielo aperto con una natura incontaminata, dove il grigio statuario delle monumentali rocce di forma piramidale contende il primato di bellezza alle formazioni carsiche dalle geometrie bizzarre, ai depositi di antichi ghiacciai, agli innumerevoli boschi ricchi di abeti rossi e bianchi faggi, larici, mughi e una fauna ricchissima. In questi magici luoghi hanno sede rinomati campi scuola dove imparare a conoscere il magico mondo della neve, dalla sua formazione alla realizzazione di piccole strutture con tale candido materiale,
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praticare giocose escursioni, passeggiare di notte avvolti sotto un manto di stelle lucenti. Per gli amanti delle esperienze uniche, soprattutto durante le festività natalizie, la montagna del Friuli Venezia Giulia rappresenta il luogo ideale e, quanto sinora descritto, ne rappresenta degnamente la prova tangibile.
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1. Piancavallo arrivo seggovia Tremol 2. Monte Zoncolan - Cubo 3. Monte Zoncolan sciatori
Reality
MODA
Moda E
ccoci alla seconda uscita della nostra nuova rubrica! Potevamo decidere di parlare delle tendenze della nuova moda primavera-estate, come presentano le passerelle, ma abbiamo deciso di mettere ogni cosa a suo tempo! Quindi parleremo della moda di Natale, consiglieremo alle nostre lettrici i capi Chanel per le feste, racconteremo di Jimmy Choo che festeggia i suoi 15 anni con un libro, e parleremo un po’ dei bambini che in questo periodo sono i veri protagonisti! In più dedicheremo un inserto con qualche idea regalo alla portata di tutti i portafogli! Per quanto mi riguarda spero che lo spirito che accompagna questo periodo, possa mantenersi il più a lungo possibile, più a lungo delle frenetiche tendenze che cambiano di continuo! Non dovremmo darci all’assalto dei regali ma sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Il meccanismo ormai è parte della cultura e della società di chi se lo può permettere e tutti quanti ne siamo vittime! Quindi ricordiamoci semplicemente che questo è sicuramente il tempo dei bambini, che credono e vivono di fantasia, e aspettano la mattina di Natale con trepida attesa riuscendo perfino a sentire il profumo di Babbo Natale e l’odore delle renne! Cerchiamo almeno di mantenere vivo il pensiero dei buoni propositi per tutto l’anno e di vivere un po’ di magia anche noi grandi, sempre troppo preoccupati e troppo realisti! «Ho sempre pensato al Natale come ad un bel momento. Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi.» Charles Dickens
IL GUFO METTE AI FORNELLI I NOSTRI BAMBINI
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Foto: eu.jimmychoo.com
HAPPY HAPPY
JIMMY CHOO
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er il 15°anniversario della maison, Jimmy Choo ha ideato un libro dei ricordi edito da Rizzoli Jimmy Choo XV. Disponibile soltanto all’interno dei negozi Choo del mondo, e da febbraio 2012 disponibile all’interno di tutte le librerie anche nel formato deluxe! L’autrice è la giornalista di moda Colin McDowell, mentre, l’introduzione è stata curata da Tamara Mellon, fondatrice e responsabile creativo di Jimmy Choo da ben 14 anni. I quindici anni delle scarpe e degli accessori più fashion degli ultimo decennio attraverso la creatività di un artista geniale che ha ideato le “zeppe” più glamur dei red carpet, che hanno vestito i piedi di Carrie di Sex and the City e hanno dato fama e notorietà al marchio! Fotografie, immagini accattivanti dagli scatti di Mario Testino e Terry Richardson, scatti celebri di paparazzi ma anche schizzi e studio di design per mostrare al lettore il mondo dietro queste meravigliose creazioni. Il libro diviso in otto capitoli, racconta come l’oggetto si sia legato la brand, e come le icone, della moda, del cinema Keira Knightley, Hilary Swank, dello spettacolo lo abbiano fatto divenire simbolo e stemma della moda, garanzia di femminilità, fiducia e stile. L’intero guadagno di questa vendita sarà devoluto alla Jimmy Choo Foundation, ente benefico della stessa maison! Un bellissimo ricordo per tutte le lettrici che amano le famose scarpe firmate Jimmy Choo!
na nuova idea del marchio che veste i bambini da bambini! Il Gufo scrive un libro di ricette per farvi passare un po’ di tempo con i piccoli uomini e farli avvicinare al cibo con rispetto e divertimento! L’arte di apparecchiare la tavola, stendere la pasta, intagliare formine, mescolare il purè e affettare la mozzarella, per il brunch domenicale, la merenda con gli amici o le feste in famiglia. Cucinare diventa un momento di gioco da condividere. I bambini imparano che il mangiar bene italiano è uno stile di vita positivo da coltivare fin da piccoli. Nato da un’idea di Giovanna Miletti, fondatrice dell’azienda, e sua figlia Alessandra Chiavelli, retail & marketing manager del brand, Mamma, adesso cucino io! è disponibile in italiano e inglese presso selezionate librerie internazionali, con un prezzo al pubblico di 26 euro. «Imparare a mangiare e a far da mangiare rappresenta per noi il miglior inizio di una vita felice. Ecco perché abbiamo voluto realizzare questo progetto educativo e divertente, un libro di ricette facili che esprima qualità attraverso tutti i suoi aspetti. Con la stessa passione che mettiamo ogni giorno nel vestire i nostri bambini da bambini», come dichiarano Giovanna e Alessandra nella prefazione del libro.
in festA
di Eleonora Garufi
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2012 CHANEL
i DETTAGLI PER LE FESTE
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foto CHANEL Boutique Chanel - Piazza della Signoria, 10/a - 50122 Firenze
ai come in questo periodo il pensiero delle donne va tra tessuti, colori, accessori, pizzi, trasparenze e pellicce! Perché la domanda di tutte è: cosa indosseremo per le feste, al pranzo di Natale, a Santo Stefano alla cena di auguri di lavoro e soprattutto l’ultimo dell’anno? La moda segnala, trasparenze, pizzi e pelle. I colori possono essere vivaci, rosso, verde, blu ma il fucsia sembra dominare la scena, anche se imbattibile resta l’oro... tutto nel brio della femminilità! Lasciamo a voi l’arduo compito di creare il vostro look, ma per accessori e dettagli, i nostri consigli arrivano direttamente dalla maison Chanel per essere uniche e preziose! Per la Vigilia, gli accessori sfoggiano toni accesi e colori pastello. Le perle di vetro si tramutano in charm su bracciali o collier e si uniscono agli strass di un anello o di un bracciale manchette. La pelletteria con motivo matelassé si tinge di un delicato blu lavanda o di un tenue rosa cipria. I fiori naif e preziosi, s’imprimono su un foulard di seta multicolore o s’imprimono su un sandalo. La camelia in pelle si illumina di un petalo in metallo. Per Natale, Chanel regala un cocktail di nero, strass e argento. I portafogli in pelle matelassé si rivestono di accenti futuristici e preziosi. Gli orecchini scintillano come sfere sfaccettate. La doppia Chanel brilla su una décolleté in tweed mentre una pochette in satin è impreziosita da un fermaglio bijou. La camelia, il fiore di Mademoiselle Chanel, risplende di bagliori di luce e si trasforma con un pavè di strass su un anello, una spilla o un bracciale in resina nera. Per Capodanno, bianco e nero: un binomio al tempo stesso classico e rock. Un bracciale manchette in pelle matelassé nera accompagna le perle di cui Mademoiselle adorava la lucentezza, su una collana lunga o,barocche, su un paio di orecchini. La pelle si declina in molteplici effetti: opaca su un portagioie, in vernice su un portafoglio o lucida come lacca su una borsa. Gli occhiali da sole neri profilati d’argento invitano a una notte bianca, hollywoodiana.
www.ilgufo.it VIA S.PACINOTTI, 8 R 50131 FIRENZE (FI) Tel: +39 055 588213 abbigliamento PUCCI GIOVANNA
IdeeReality ReGALO
1. Set da viaggio Deluxe Collection - Ghd Scarlet 2. Blackberry Bold 9900 glitters Swarovski 3. Microbag portamonete in nappa - Miu Miu 4. Porta Ipad - Benetton 5. La pedana plantare - Innofit 6. Balena porta monete - Gucci 7. Dama in pelle guccissima soft marrone scuro - Gucci 8. Borsa cavallo a dondolo - Braccialini 9. Lettore Mp3 - Nilox SwimSonic - Federica Pellegrini 10. Cerchietti - Miu Miu Jewels
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adova 2011 fine ottobre, dal 27 al 30 ottobre si svolge la mostra scambio auto e moto epoca, per noi un importante appuntamento internazionale al quale partecipiamo da diversi anni. A nostro parere è la mostra più interessante e di categoria, dato non solo dai vari espositori e mezzi ma anche per la grande organizzazione professionale dello staff. Molti appassionati e collezionisti riempiono i padiglioni, chi per vendere, chi per scambiare, chi per comprare e chi per cercare oggetti di confronto per restaurare i propri mezzi. Immediati affari si fanno nei vari banchetti di accessori d’epoca e modernariato, i quali in questa edizione ci hanno incuriosito molto, sicuramente dettando e riconfermando mode. Le vendite di moto e auto sono interessanti ma una buona parte, dato il valore del mezzo, e verifica di originalità, avviene nel post fiera, dopo lunghe, scrupolose visite e trattative. Possiamo dire che oggi nonostante la crisi le cose belle ed originali sono sempre ricercate, e fortunatamente anche oggetti italiani fanno pulsare il mercato dell’epoca che per noi rappresenta non solo moda o lusso ma cultura ingegno e tradizione. Text Angelo Errera & Photo Stefano Maffei
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acquario pesci capricorn
di Federica Farini
Scintille di stelle nella luce d’inverno
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elle profondità dell’inverno più rigido ecco fare capolino il segno zodiacale del Capricorno, simbolo di forza, resistenza, determinazione. Come l’astrologia karmica ci svela, il decimo segno eredita dalle vite passate un karma che si contraddistingue per essere stato troppo dispersivo e agitato, a causa del quale nell’attuale esistenza il Capricorno tende a dedicarsi totalmente al lavoro, nell’ambizione, nella preparazione e nella tenace volontà - dominato da Saturno, dio severo e rigoroso che rappresenta la maturità e la saggezza attraverso le prove della vita-, senza tuttavia eludere il fine spirituale - rappresentato dalla capra, animale sì di terra, che simboleggia la salita verso la vetta della montagna, ma anche icona di rinascita spirituale, espiazione e purificazione-. Perfetta sintesi dello spirito capricorniano Lorenzo di Piero de’ Medici – nato il 1 gennaio 1449 –, detto Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze dal 1469 alla morte, superbo letterato e mecenate, “ago della bilancia” che contribuì con determinazione e grazia a riportare equilibrio fra le varie potenze italiane del periodo, senza dimenticare l’importanza delle arti e della letteratura che resero celebre l’epoca rinascimentale italiana.
lla severità capricorniana si oppone l’eccentricità spiazzante dell’Acquario, sempre pronto a trasformare se stesso per sopperire al karma delle vite passate, nelle quali troppo spesso si è dimostrato prigioniero di idee statiche, sterili e comode, a causa del quale nell’attuale esistenza cerca di distinguersi, a volte con marcato orgoglio, buttandosi senza freni nell’estrema difesa della libertà in tutte le sue espressioni: dalla vita indipendente, anticonvenzionale, spesso pericolosa, lottando contro la ripetitività e la noia. Ospite socievole, allegro e conviviale, l’unicesimo segno sa essere un cuoco fantasioso e fuori dalle righe. Perfetta la ricetta della zuppa di farro perlato della Toscana al sapore di menta, composta da brodo vegetale misto a farina di farro e pecorino a cubetti, sciolti e insaporiti con foglie essiccate di menta, che regalano alla pietanza un sapore fresco e insolito come solo l’Acquario sa essere.
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uando il gelo invernale lascia posto ai primi raggi promaverili, ecco dischiudersi il segno zodiacale dei Pesci, che nelle vite precedenti non è stato in grado di gestire in modo soddisfacente le proprie emozioni e i sentimenti, per cui nell’attuale esistenza si ritrova sempre impegnato a disciplinare la sua emotività, spesso lottando contro stati d’animo troppo estremi, altalenanti, dalla gioia più accesa alla tristezza più cupa, imprigionato più nell’immaginazione che nella realtà stessa. Il pianeta governatore del dodicesimo segno, Nettuno, lo rende delicatamente recettivo, romantico e sognatore. Gli ambienti ideali dei Pesci dovrebbero evocare sensibilità: gamma di colori azzurri (in ricordo della tonalità del mare), tessuti soffici e delicati. Le pietre del dodicesimo segno, dalla gamma azzurra a quella violacea, ci sono state donate in preziosi cristalli da collezione da una famosa isola, perla del Mar Tirreno: l’Isola d’Elba. Esse si regalano al mondo sotto forma di Ametista, che esalta la capacità introspettiva e la saggezza interiore, e di Acquamarina (che la leggenda vuole la pietra delle sirene, spesso indossata dai marinai come amuleto portafortuna), capace di favorire la lungimiranza, la crescita interiore e la medianità, qualità tipica del dodicesimo e ultimo segno dello Zodiaco.
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bon ton dei futuri
oda a cura del Maestro di cerimonie Alberto Presutti
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l Bon Ton matrimoniale, suggerisce, ma forse sarebbe il caso di dire, impone, ai futuri sposi di non incentrare la propria attenzione solo ed esclusivamente sulle proprie aspettative, specie in momenti afferenti all’organizzazione delle nozze, quando le fibrillazioni emotive sono ad alto voltaggio. È fondamentale per una buona riuscita del matrimonio che i futuri sposi sappiano dialogare tra loro, per poter perfezionare ogni aspetto dell’organizzazione nuziale, nel rispetto dei reciproci desideri, ciascuno esponendo all’altro, nella massima franchezza, quanto è imprescindibile da farsi, secondo la propria visione dell’evento. Il matrimonio va sempre deciso in due, e solo in due, niente imposizioni o suggerimenti interessati, di parenti, amici, genitori! Se uno dei due futuri sposi ha – per esempio – un carattere introverso, è insensato ed ingiusto imporgli di accettare un matrimonio eccessivamente festoso e movimentato, dove inevitabilmente dovrebbe partecipare a balli e scherzi, a lui non consoni. In una evenienza simile occorre, infatti, riuscire, con pazienza, a trovare un compromesso che non spenga la vivacità della cerimonia e del successivo banchetto, alla presenza di pochi, ma buoni, veri amici, con cui festeggiare senza esagerazioni goliardiche. I futuri sposi possono anche correre il rischio di divenire burattini di altrui volontà o richieste, da loro non condivise, magari accettando la presenza di invitati a loro non graditi o liste di nozze comprendenti oggetti che non si addicono al loro stile e gusto, o peggio di finire impigliati nella rete delle priorità proprie del formalismo genitoriale. Un suggerimento che il Bon Ton delle nozze dà, è quello di saper gestire l’organizzazione del proprio matrimonio con un tocco personale dove buon senso ed inventiva si sposino, anche loro! Non si ascoltino, poi i bisbiglii di amiche o amici che dall’alto di una vera o presunta esperienza, vogliono intromettersi ostinatamente in scelte e date. O peggio, in grottesche scaramanzie! Per quanto riguarda la suddivisione delle spese, il Bon Ton prevede che la si debba affrontare, sin dall’inizio dei preparativi nuziali, in modo chiaro e franco, perché dal tenore degli investimenti economici consegue, poi, il livello e la qualità dell’evento. Sconsigliabilissimo è l’accendere un mutuo per far sì che le proprie nozze siano “da sogno” o migliori di quelle di qualcun altro! Nell’individuazione dei testimoni, invece, non si dovrà mai far riferimento ad amici o parenti che economicamente si trovino in pur momentanee difficoltà, non potendo così acquistare quel regalo importante che, per tradizione, il testimone di nozze è tenuto a fare.
www.albertopresutti.it
Ananas
Frutto
la mela che sembra una pina
TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová
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ine apple, lo chiamano gli inglesi, alla lettera: mela di pino… ma le tribù Guarani del sud del Brasile lo chiamavano anana, con il nome che poi piacque a Linneo, che così lo battezzò: ananas. È uno dei regali che Colombo riportò in Europa, dopo averlo scoperto durante il suo secondo viaggio nell’America del sud, nel 1493. Questo frutto, ritenuto regale per la corona verde che aveva in testa, fu subito accolto con favore da chi poteva permetterselo. Quel ciuffo di foglie spinose, la corteccia a scaglie, il sapore dolce e “agresto” come si diceva allora, ne facevano una rarità per le tavole più altolocate. Appena se ne conobbe le qualità nutrizionali, fu compagno di via per i lunghi viaggi per nave, data l’alta presenza della vitamina C, che era indispensabile per scongiurare la malattia dei naviganti che si avventuravano fra gli oceani: lo scorbuto. Si tentò anche la riproduzione, piantando in terra la parte superiore, come si fa ancora oggi. Ma se non si utilizzavano le apposite serre riscaldate, non era possibile la coltivazione con qualche speranza di successo. Da questi primi esperimenti alla produzione commerciale vera e propria passò quasi un secolo. Infatti, intorno alla metà dell’Ottocento comparvero le prime piantagioni; ma solo nel 1901, a Wahiawa, un giovane americano di nome James Drummond Dole, stabilitosi alle Hawaii nel 1899, iniziò il commercio degli ananas: prima freschi e poi inscatolati, con il marchio “Hawaiian”. E a Oakland, in California, una piccola industria di inscatolamento e confezionamento, scelse il nome per una nuova linea di prodotti e nel 1897 apparve il primo “ananas Del Monte”. Era nato lui, l’Uomo del Monte.
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del secondo piano, quello dedicato agli affreschi, mosaici e stucchi del mondo classico, ho notato un pavimento a mosaico – datato tra la fine del I secolo avanti Cristo e gli inizi del I secolo dopo Cristo, proveniente dalla località Grotte Caloni, presso Roma – che mi ha letteralmente stupefatto. In esso, al centro di un piacevole motivo geometrico in bianco e nero, compare un riquadro centrale dove compare un cesto di frutta dove compaiono, partendo da sinistra, alcuni fichi, delle mele cotogne, un grappolo di uva nera, alcune melagrane e... un ananas. Non ci possono essere dubbi. Si tratta proprio di questo frutto tecnicamente un sincarpo, con le sue brave squame, il ciuffo terminale di foglie e il colore giallino verdastro. Un ananas “impossibile” perché questa pianta Ananas sativus, della famiglia delle Bromeliacee, vive allo stato selvaggio nel Messico, nella regione di Panama, nella Guyana, in Brasile, eccetera, e arrivò nel Vecchio Mondo dopo i viaggi di Colombo. Si può favoleggiare di spedizioni oltreoceano o di importazioni nell’Africa occidentale, ove l’ananas è coltivato soprattutto nelle regioni tropicali atlantiche, Oggi alle Hawaii, rimane ben poco del- ma di certo ci deve essere una spiegaziole piantagioni di un tempo, a causa de- ne meno fantasiosa. Un’ipotesi plausibile gli alti costi della manodopera: infatti, è che l’ignoto mosaicista abbia tentato di sia il trapianto della corona nel terreno, raffigurare una pigna di pino domestico sia la raccolta dei frutti, sono sempre ef- (Pinus pinea), ornandola con un inconfettuati a mano. gruo ciuffo di foglie lanceolate e giungenLa coltivazione dell’ananas è attualmen- do così ad un risultato del tutto singolare te diffusa nella zona tropicale di tut- e ingannatore. Altra possibilità è che il to il mondo; grazie ai perfezionati mez- mosaico sia stato sottoposto in passato zi di trasporto, questi come altri frutti tro- a un restauro integrativo che ha portato picali, vengono richiesti in grandissime all’inopinata presenza. Sarebbe interesquantità e sono diventati una delle prin- sante sapere cosa ne dicono gli esperti cipali risorse per i paesi produttori. di arte musiva, di storia romana e, perché E nel recente passato, il nostro ananas, no, di coltivazioni tropicali. non contento della sua attuale diffusione, ha voluto essere il protagonista anche di un bel mistero. Lascio la parola a Fulco Pratesi, che l’ha scoperto per primo… Corriere della Sera - 20 dicembre 1998 Compare un ananas “impossibile” in un mosaico dell’antica Roma. Pochi giorni fa, visitando il Palazzo Massimo alle Terme a Roma – ove è stata da poco aperta una grande sezione del museo nazionale romano – e soffermandomi nella galleria
© Foto Alena Fialová
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