Reality 65

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Editoriale

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Carissimi lettori, con questo editoriale voglio ricordare, a pochi mesi dalla scomparsa, un giornalista, uno scrittore, un conduttore, un uomo di grande cultura e umanità: Romano Battaglia. In un periodo particolare della mia vita ho conosciuto i suoi libri, che con la loro profondità, arrivavano alla mia anima aiutandomi a ritrovare la serenità e il giusto equilibrio. Solo più tardi, incontrandolo di persona, ho dato un volto alle sue parole. Al caffè della Versiliana ho conosciuto un uomo che viveva per il suo lavoro. Quando stava su quel palco, il pubblico rimaneva affascinato dal suo personalissimo modo di condurre gli incontri e di intervistare gli ospiti, usando sempre un eloquio misurato e sensibile e un tono molto garbato ed educato. Non dubito che quel suo civile dialogare sarà sembrato un po’ demodé a quanti apprezzano lo stile urlato e aggressivo oggi dominante nei cosiddetti dibattiti. La mia frequentazione abbastanza assidua di quegli incontri aperti sia al mondo politico che a quello della cultura nel più ampio ventaglio dei significati, mi ha portato a conoscerlo e ad apprezzarlo sempre di più. Suo tramite mi sono divenuti più familiari i molti personaggi da lui intervistati. Di Romano Battaglia ricordo altresì i numerosi libri, le cui pagine parlano con parole semplici e vere delle sofferenze e delle difficoltà che si incontrano nel cammino della vita, introducono alla dimensione interiore dei sentimenti, raccontano le semplici cose, i piccoli gesti che ti fanno apprezzare la quotidianità, insegnano come la semplicità e l’umiltà portano alla saggezza, e fanno vivere meglio. Spesso si cercano cose lontane, si dà peso a situazioni senza senso e non ci accorgiamo del meraviglioso che ci circonda. Ci sfuggono l’affetto dei nostri cari e la bellezza della natura solo perché sono lì e li diamo per scontati, salvo considerarne il valore e l’importanza quando li perdiamo. La scomparsa di Romano ha lasciato un vuoto nel cuore delle persone che lo hanno conosciuto, dei suoi lettori, degli assidui frequentatori dei suoi incontri alla Versiliana, il cui consiglio ha deliberato di intitolare al suo nome la “ribalta” del caffè che egli ha reso celebre. D’ora in poi gli incontri della Versiliana, in questa pineta dove si dice che D’Annunzio abbia scritto i suoi versi, si svolgeranno al Caffè di Romano Battaglia. Nella mente di noi che le abbiamo ascoltate, rimarranno sempre impresse le frasi/poesie scaturite dal cuore del “conduttore” Romano Battaglia.


Reality

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Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

Reality numero 65 - settembre 2012 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni.it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.



eality65 ARTE & MOSTRE

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In viaggio con i Zyw La notte di Caravaggio Roberto Giovannelli Ugo Guidi: 100 anni dalla nascita Appuntamenti con l’arte Art Around STORIA & TERRITORIO

Sommario

Michael Zyw Verde con rosso, 2011 acquarello su carta cm 125x92

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Montebicchieri da castello a villa Un palio lungo un anno Ritorno a Capo di Vacca Il mosaico della villa dei Vetti Una favola da salvare Gli angeli in cucina POESIA & LETTERATURA

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Milo De Angelis Nick e la chela fenomenale Nel parco Booking a book

EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

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MUSICA & SPETTACOLO

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Pietà Leone d’Oro 11 successi lunari Provaci ancora... Stagione teatrale Teatro Verdi Sui pedali della vita Un duro dall’anima tenera Tu vuo’ fa’ l’americano Cinque anni di musica Diavolo o dea?

Vintage Stasera canto io! 30 anni di stile Realizza un sogno Uno showroom per i rifiuti Sei web dipendente? 67° Gran premio La grafia del leader politico Quando Santa Croce... Ecocompatibilità Vendiamo cara la pelle La qualità della forza lavoro Due semplici ragioni Angeli di mare Ladies Day Il vino e le sue proprietà Non sparate sul profezista

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A Bolzano regna l’arte Istria al naturale Reality moda Clematide I colori degli astri d’autunno Gusto. Curiosità e cucina Le favole di Fedro


Parliamo di...

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viaggio

con

i Zyw di Nicola Micieli

Con la pittura si entra in un mondo in cui il rapporto tra l’uomo e la natura tocca i limiti estremi della sensibilità percettiva. È un mondo vissuto giorno dopo giorno, con una dedizione che coinvolge l’interiorità dell’artista e, insieme la cornice naturale in cui si svolge la sua esperienza pittorica.

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ichael Zyw vive a Poggio Lamentano dacché vi si insediò con il padre Aleksander, suo primo e unico maestro. Quel luogo appartato da dove si sente ma non si vede il mare, deve aver esercitato su Aleksander Zyw un fascino irresistibile, dal figlio ereditato con la vocazione pittorica. La casa di Michael sta alle pendici di una collina tra Bolgheri e Castagneto Carducci. Là danno i loro generosi frutti l’ulivo e la vite, coltivazioni centrali, direi archetipali nella cultura dei popoli mediterranei. Assieme alle viti e soprattutto agli ulivi del poggio, Michael coltiva un forte e sincero sentimento di appartenenza alla terra, di partecipazione alle sue dinamiche e misteri. Occorre tenere conto di questo nesso antropologico, se si vuole penetrare più addentro e apprezzare le qualità, non solo formali, delle sue opere. Le quali vivono d’aria e di luce ed esaltano lo spirito della natura. In Toscana i Zyw – Aleksander con la moglie Leslie e i due figli Adam e Michael, nati a Edimburgo rispettivamente nel 1948 e 1951 – si insedieranno stabilmente nel 1961, nell’uliveto a Poggio Lamentano. Aleksander lo aveva acquistato per rimettere in coltura le piante secolari e costruirvi la grande casa-studio, dove è poi vissuto e ha lavorato sino alla scomparsa nel 1995. Michael, che in seguito lo amplierà con nuovi impianti di diverse specie, ancora oggi lo conduce di persona, lui pure totalmente immerso in quel microuniverso da cui trae ispirazione per il suo viaggio di pittore della natura e della visione. La medesima cosa era accaduta al padre, che a Poggio Lamentano sviluppava intero, infine avvertendolo come autentico e personale, il proprio mondo anch’esso dilatato in visione sulla scorta della natura. E aveva preso a lavorare per cicli tematici dettati dalla semplice scoperta dell’universo nascosto in un frammento o in una manifestazione del reale fenomenico. La parte per il tutto, il micro e il macrouniverso si incontrano e si risolvono in sintesi, come osservando la medesima realtà dalle lenti opposte di un cannocchiale. Un tralcio di vite, una infiorescenza, una scorza di ulivo, una pietra, insomma una

È una realtà serena, felice, illesa per un’intima freschezza, che risuona di voci d’oro, di fuochi, di rapidi incantamenti. Sono ulivi, nuvole riflesse, velieri in corsa, fantasmi mutevoli dell’immaginazione che ci conduce in un mondo aereo e leggero, dove il legame con la vita è dato, sempre dalla presenza continua del cielo e della terra. Michael Zyw 10

Michael Zyw nello studio di Poggio Lamentano foto di Leonardo Bezzola

Aleksander Zyw, Legno di ulivo di Lamentano. Marrone, 1969 olio su tela cm 81x58



Aleksander nello studio di Desenzano, foto di Ugo Mulas, 1954

Leslie, Adam, Aleksander e Michael a Poggio Lamentano nel 1964

cicli Pietre e legni, Acqua, Aria, Meteoriti, attraverso i cicli conclusivi del suo percorso: Trasfigurazione, Fiat Lux, Pellegrino e Pietra senza nome rimasta isolata e incompiuta, Aleksander Zyw trovava anche un approdo spirituale della propria navicella, toccando l’acme sacrale nella fiammeggiante figura aniconica della Crocifissione (1985). Adam, il maggiore dei fratelli Zyw, approdava alla scultura a Poggio Lamentano, intorno alla metà degli anni Ottanta. Sin dagli esordi il suo materiale per eccel-

lenza e direi esclusivo è stato il legno, usato nella massima varietà e raramente integrato con materiali eteronomi e di diversa appartenenza anche tecnologica, segnatamente i metalli. Del legno Adam aveva una conoscenza approfondita. Vi si accostava sapendone apprezzare le intrinseche qualità estetiche: le fibre, le venature, i colori naturali, i patterns delle superfici levigate e le orlature irregolari dei piani di sezione dei tronchi non squadrati, qualità formali che egli sapientemente giocava in concorso dei suoi interventi di incisione e

cosa che appartenga alla natura; oppure un meteorite che attratto dalla terra, della natura confermi la remota appartenenza astrale, per la loro struttura segreta e il loro perenne trasformarsi di materia organica e inorganica nel divenire universale, sono portatori di un’origine e una destinazione ultima che li include nella ciclicità del tempo e della materia. Nell’imo delle cose e dei fenomeni Zyw trova la ragione prima della conoscenza dell’essere. Al contempo, ripropone sempre rinnovandolo il principio generatore e la “fisiologia”, per così dire, della pittura. Ossia il germinare e articolarsi e infine pienamente manifestarsi della forma pittorica nel divenire della materia e dei suoi portati: i segni i colori le luci che rimandano al laboratorio segreto della natura di cui si diceva, ma assumono anche una propria autonomia non astratta o informale, secondo la lettera dei movimenti, bensì astraente in quanto poetica evocazione di un’immagine squisitamente interiore del reale sensibile. Sulla via della forma pittorica vieppiù interiorizzata, dai

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In alto a destra Aleksander Zyw, Fiat Lux 20, 1988 olio su tela Ø cm 80

Adam Zyw nello studio di Edimburgo, primi anni 80


Adam Zyw, Costruzione, 1992 legni misti assemblati e dipinti cm 46x15


Aleksander Zyw nato nel 1905 a Lida, in Polonia, muore a Castagneto Carducci nel 1995. Ha studiato alle Belle Arti di Varsavia, dove ha ottenuto una borsa di studio che gli ha permesso di viaggiare in molti paesi europei. Tra questi l’Italia, che ha visitato e percorso a piedi, riuscendo a dipingere tutti i giorni. Trasferitosi a Parigi negli anni Trenta, in quel contesto stimolante ha frequentato artisti come Chagall, Picasso e Germaine Richier. Dopo aver partecipato alla Seconda Guerra mondiale, si è stabilito in Scozia, dove sono nati Adam e Michael. Innamorato della luce e dei paesaggi italiani, ha ricominciato a viaggiare nella penisola con i figli e la moglie finché negli anni Settanta si è stabilito definitivamente in Toscana, a Castagneto Carducci, dopo aver acquistato un uliveto e aperto il suo secondo studio.

Adam Zyw nato nel 1948 a Edimburgo, in Scozia, scomparso a Banff nel 2003. Si laurea in architettura presso l’Architectural Association di Londra, frequenta corsi di architettura del paesaggio presso l’Università di Edimburgo e lavora per la Royal Art Fine Commition. Si indirizza quindi verso la scultura e la pittura, passioni scaturite proprio dalle due professioni precedenti. La sua è una ricerca continua delle azioni che l’uomo svolge sulla natura, ossia manipolando e variamente aggregando materiali a essa appartenenti. Nelle sue costruzioni degli anni Novanta utilizza un linguaggio informale costruttivista.Tiene numerose conferenze in Scozia, presso la Facoltà di Architettura di Aberdeen. Oltre alla sua carriera artistica, è stato ideatore e promotore, insieme a Ian Ruthven, del Waterfront Wine Bar e Skipper Restaurant a Leith, Scozia.

pittorici sul piano e negli spessori. Allo scorcio degli anni Ottanta aveva elaborato una serie di straordinarie pittosculture, aggregando elementi lignei modulari e frammenti, schegge, persino trucioli di legni informi, talché nell’opera orchestrava suggestive combinazioni di figure dell’ordine ispirate a una primaria geometria, e di resti o anche propriamente reliquie, per il loro carattere vissuto, del disordine che reintroduce il caos originario. Adam chiamava Costruzioni quelle opere raffinate per la delicatezza di registro tonale dei colori naturali dei legni e le minime sue riprese a zona di morfemi segnati da acute note cromatiche o timbri. E mi sembra che la Costruzione del 1992 sia uno degli esempi più rigorosi e suggestivi del procedimento aggregativo dei frammenti variamente qualificati per forma, spessore, orientamento, colore nella unitaria gabbia spaziale della forma pittoscultorea. Nel gioco tra l’ordine imposto dalla figura geometrica primaria, non priva di riferimenti simbolici, e la molteplicità e difformità dei frammenti in essa inclusi e disposti ora come veri e propri rilievi, ora come reperti conservati con un certo criterio d’ordine in una teca, Adam sottolineava anche lo stretto rapporto tra queste sculture e il suo lavoro di architetto e, nel piccolo di molti frammenti lavorati, di designer delle modulazioni plastiche oltre che degli oggetti abitualmente progettati dal disegnatore industriale, su molti dei quali, peraltro, si divertiva a operare manipolazione morfologiche non prive di aberrazioni che ne riducevano, ironizzandola, la funzione d’uso. Ma a proposito di correlazioni tra la scultura in legno e l’architettura, già nel 1985 Adam aveva realizzato installazioni di ampia scala in Inverleith Park, a Edimburgo, tra le quali una costruzione a moduli di traversine lignee erette al modo di un muro, che lo spazio ambientale fisicamente segnava e determinava in limine, e altre opere a stele o totem di rilevante entità. Adam Zyw, peraltro, è scomparso prematuramente nel 2003. Non ha quindi potuto portare a uno sviluppo più maturo l’altro versante aperto con la sua ricerca: la pittura su lastre di legno di notevole spessore, per la quale stava cercando le soluzioni linguistiche più idonee all’idea progettuale che sicuramente si era fatta di quel percorso socchiuso. Poggio Lamentano è stato determinante nella storia dei Zyw perché là sono germinate e si sono alimentate, nella continuità/discontinuità che deve esserci quando c’è un salto generazionale, le vocazioni artistiche di Adam e Michael, da cui la ragione della mostra che si è da poco conclusa a Volterra, presso lo storico Palazzo dei Priori, intitolata i Zyw. Una famiglia di artisti in Toscana 1937-2012. Settantacinque anni di maestria della pittura, della scultura e del vetro. Promossa dal Comune e dai Musei Civici di Volterra, con il contributo determinante della Fondazione Bertarelli, la mostra per la prima volta ha presentato le opere dei tre artisti consentendo i raffronti, evidenziando le contiguità e le divergenze, le correlazioni e gli snodi tra distinte personalità, per le quali fa sicuramente da trait d’union, a parte la familiarità, il referente primario della natura naturans, laboratorio disponibile alla creazione artistica perché esso stesso fonte creativa.

La Fondazione Bertarelli costituita per iniziativa dei fratelli Maria Iris Tipa Bertarelli e Claudio Tipa, è operativa dal 2009 e si occupa statutariamente di valorizzare il territorio della Toscana promuovendo l’arte, il recupero ambientale, l’archeologia, l’architettura contemporanea sostenibile. A oggi la fondazione ha partecipato alla programmazione e ha fornito sostegno economico a numerosi progetti. Tra i quali quelli socio-sanitari svolti dalla Confraternita della Misericordia di Cinigiano e quelli artistici dell’Amiata Piano Festival, giunto con successo all’ottava edizione. Ha inoltre supportato ricerche dell’Università di Pisa e contribuito alla riqualificazione del centro storico di Poggi del Sasso con il Comune di Cinigiano, all’organizzazione dei convegni di architettura presso il Monastero di Siloe, allo svolgimento di workshop ambientali con il Teatro Stabile di Grosseto e all’attività archeologica svolta dall’Università di Siena con University of Pennsylvania in Località Case Nuove. Castello di ColleMassari - 58044 Cinigiano (GR) e-mail info@fondazionebertarelli.it Tel. +39 0564 990496 - Fax. +39 0564 990498

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Adam Zyw, Costruzione 1, 1991 legni misti assemblati e dipinti cm 46x75


Alla genesi e alla progressione tipologica e stilistica degli acquarelli, delle vetrate di Chartres e dei vetri di Murano realizzati da Michael, ha certo contribuito il paesaggio nel quale egli è immerso. A cominciare dagli intrichi di rami e fronde degli alberi, tema dominante negli anni Ottanta, e dalla morfologia delle foglie indagate come una sorta di tarsia vegetale, che il vento ogni tanto solleva in onde e mulinelli vorticosi nell’aria. Negli anni Novanta altri moti ondosi, altri vortici e ipotesi di itinerari verso approdi a terre lontane. Nasceranno i grandi acquarelli della Navigatio Sancti Brandani, la storia mitica del monaco fondatore di comunità che al mare si affidava su una fragile navicella senza governo. Sulla scia delle peregrinazioni del santo, Zyw suggeriva altre possibili storie affidate alle onde marine, in simbiosi con la liquidità dei cieli, sempre coinvolti in un unico sommovimento generatore di energia vitale.

Michael Zyw, Luminous Helix 2, 1992 acquarello e carboncino su carta cm 131x181 Michael Zyw, La Leggenda di San Brandano. Giasconio, 2001 acquarello su carta cm 130x182

Michael Zyw nato nel 1951 a Edimburgo, in Scozia, vive con la famiglia e dipinge nell’uliveto paterno di Poggio Lamentano, presso Castagneto Carducci, in Toscana. Nel 1969 lavora nella stazione di biologia marina Anton Dohrn a Napoli e comincia a interessarsi alla conduzione dell’uliveto. Nel 1973 si laurea con onore in biochimica al St. Peter’s College, Università di Oxford. Nel 1974 frequenta corsi di disegno e storia dell’arte a Perugia. Nel 1976 frequenta il corso di pittura all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Nel 1977-1978 frequenta l’Académie des Beaux Arts a Parigi. Nel 1995 inizia il lavoro delle vetrate di Chartres con un’opera importante per la cantina di Grattamacco. Nel 2001 inizia il lavoro dei vetri di Murano ed espone in una serie di mostre sul vetro, inclusa quella in corso al Museo del Vetro di Murano.

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L’artista scozzese usa eseguire le proprie opere su corpose e sfrangiate carte a mano, percorse e impregnate sia con interventi diretti al pennello, a cercare forme falcate in funzione strutturale, sia con movimenti dei fogli guidati in modo che il colore liquido possa scorrervi determinando, con l’aiuto del caso i cui capricci sono preziosi quando l’artista sappia riconoscerli e controllarli, suggestivi aloni, nuances, screziature di grande effetto cromatico, che molto contribuiscono alla vivezza della tessitura. Sono carte, le sue, di inusitata estensione per questa tecnica tradizionalmente associata al lavoro di rapida annotazione, al quale si confanno più contenute superfici. Credo, difatti, che siano peculiari dell’acquarello la trasparenza della materia e l’immediatezza del tocco o chiazza o sfrangiatura della pennellata fluida, necessarie a serbare fresca la sensazione visiva. E questa schiude la porta del profondo, attraverso la finestra dello sguardo. Nelle partiture di Zyw giocano un ruolo importante le diverse incidenze della luce che un tempo svelava i paramenti vegetali, gli andamenti delle colline, la contiguità dei cieli nei quali si raccoglievano e si rilanciavano le vibrazioni, direi il respiro della terra. La luce determinava registri e gamme cromatiche: la festa sonora e squillante dei colori al pieno dell’espansione solare, oppure la loro finezza tonale, quando le foglie maturano e si macerano, nel mutare dell’ora e nel volgere delle stagioni. Zyw ha percepito e filtrato l’ambiente in cui vive sentendosi parte integrante, dire orfica, della circolazione di linfa vitale che lo pervade e lo irrora attraverso la fittissima rete delle sue vene. Parlo di Nella pagina a fronte Michael Zyw, Navigatio Sancti Brandani. Le Colonne, 2004 acquarello su carta cm 132x90 A destra Michael Zyw, Rinascita, 1998 vetrata di Chartres cm 58x42 Michael Zyw, Visione 2, 1999 vetrata di Chartres cm 43x82

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orfismo. Occorre avvisare come non vi sia alcunché di estetizzante o di intellettualistico nelle comunioni di Zyw con la natura, che si presuppongono anche laddove la partitura parrebbe del tutto astratta rispetto a un qualsivoglia referente oggettivo. Intendo dire quando le forme, come in questi anni accade, sembrano del tutto autonome e da assegnarsi, sotto il profilo stilistico, a una personale astrazione lirica, giocate sul loro puro manifestarsi fenomenico. Tali gli andamenti sinusoidali e le espansioni ondulari delle striature cromatiche trapassanti l’una nell’altra, i grovigli labirintici, i convolvoli spiraliformi, i nuclei astrali che potrebbero

da alcuni anni in progressione di interesse e di impegno e in corrispondenza di spirito e analogia formale con gli acquarelli. Nel corpo cristallino dei vetri, difatti, le annotazioni della forma-colore che trascorre più che fissarsi in modo netto sullo schermo, i segni cromatici fluttuanti tipici della pittura aerea di Zyw appaiono come catturati e inglobati. I vetri sono una sorta di ambra, la cui luce solidificata serba intatto lo splendore della particola di “paesaggio” in essa incluso come fosse un coleottero. Sembra che in tal modo l’artista abbia inteso salvaguardare la sua natura, sottraendola come intatta reliqua alla corruzione degli agenti atmosferici e del tempo. N o n

comporre una sorta di mappa di figure simboliche d’un cosmorama. Non c’è estetismo anche quando scrutando il gioco continuo con cui le forme in ridda nello spazio si aggregano e si disaggregano, Zyw coglie gli stadi germinativi di figure ovvero presenze evocative dell’uomo, della sua cultura, dei suoi miti. Come nel caso del ciclo ancora aperto dei grandi acquarelli eseguiti su temi e con titoli di indubbia rispondenza interiore, vuoi psichica vuoi spirituale. A proposito della liquidità della pittura segnalata da Rosa Banover Mentasti, si tratta di un carattere da intendersi esteso ai già ricordati vetri, ai quali Zyw si dedica

manca la dilatazione mentale, l’ottica della meraviglia in queste perscrutazioni della natura da Michael Zyw consegnate alle ideali teche dei vetri, lavorati in forma di sfere, calotte sferiche, parallelepipedi e altre figure della geometria. Si deve alla meraviglia se nel sondare il laboratorio della natura, lo sguardo coglie gli stati transitori, le metamorfosi della materia in sempre nuove aggregazioni e strutture e vi scorge larvali Nereidi, icaree figure abbandonate al flusso, intruitivi prospetti di mirabolanti città sotto il fasciame delle striature e lo sfarfallio delle ali angeliche cui rimandano i ritmi dei segni-colore.

Michael Zyw, Calice 2, 2010 vetro di Murano cm 36x15 Ø Michael Zyw, Famiglia, 2008 vetro di Murano Ø cm 26

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Michael Zyw, Pace, 2007 vetro di Murano cm 51x35x6

Reality ArtStudio Sguardi su Poggio Lamentano puzzle fotografico Ø cm 300, 2012

Nella pagina a fronte Michael Zyw, Croce con blu 2, 2012 acquarello su carta cm 181x129


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Legoli

Arte

notte

Caravaggio la

di

TEXT Pierluigi Carofano

ll Sacrificio d’Isacco a lume di notte di Michelangelo Merisi da Caravaggio è approdato a Legoli, piccolo borgo del Comune di Peccioli, esposto dal 20 settembre 2012 nella chiesa dei Santi Bartolomeo e Giusto, che domina le case e il meraviglioso paesaggio come da una sorta di acropoli, entro la “cinta” dell’antico e oggi non riconoscibile Castello medievale di Legoli. Nell’idea di Alberto Bartalini, che ha curato la regia del progetto La notte di Caravaggio promosso dalla Fondazione Peccioliper e curato scientificamente dal professor Pierluigi Carofano, si va all’opera del Merisi come all’icona di un santuario, da conquistare attraverso il percorso a piedi lungo l’erta via che conduce alla chiesa. Nel pomeriggio inaugurale sono state altresì presentate le installazioni Affogati alla frutta di Stefano Stacchini e Caravaggio Sottointonaco di Renato Frosali, ispirate naturalmente al Caravaggio. La compagnia teatrale Malatheatre ha messo in scena i tableaux vivants delle più importanti opere di Caravaggio. ll Sacrificio d’Isacco sarà visibile fino al prossimo 21 ottobre.

Caravaggio, Il sacrificio d’Isacco a lume di notte, olio su tela, cm 114X170. Modena, collezione Cremonini

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alle testimonianze documentarie abbiamo cognizione di un simile tema dipinto dal Caravaggio, nel 1603, per monsignor Maffeo Barberini (poi Papa Urbano VIII), oggi conservato nelle raccolte fiorentine degli Uffizi. Questo dipinto presenta l’acme dell’azione sacrificale in un con-

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testo paesistico illuminato dal pieno lume solare. Tuttavia, un buon numero di copie attesta indirettamente l’esistenza di un archetipo comune, redatto dal Caravaggio, di cui ostenta modi e modelli, in termini cromatico-chiaroscurali notturni. Il dibattito si è accresciuto col reperi-

mento di ulteriori copie, per lo più in ambienti e territori spagnoli, sì da indurre a ipotizzare che l’originale sia stato realizzato dall’artista per una committenza iberica. La versione in oggetto del Sacrificio d’Isacco a lume notturno, proveniente da una raccolta di Napoli, è passata per una vendita Christiès di


Roma del 13 aprile 1989 (n.188e, fig.12), quale “Copia dal Caravaggio” e con suggerimento attributivo di Giuliano Briganti, per Tommaso Salini. La superficie della tela si presentava, all’epoca, del tutto ossidata da antiche vernici che, conseguentemente, impedivano la formulazione di concrete ipotesi attributive. Dopo l’acquisto da parte di privati fu interpellato in merito lo studioso di Caravaggio, Maurizio Marini; ma gli strati anneriti e le vaste ridipinture lo indussero a chiedere la realizzazione di indagini ai RX che permettessero una lettura meno offuscata e più approfondita. Dalle radiografie della zona inferiore centrale, emergeva un ampio ‘pentimento in corso d’opera’ nella mano d’Abramo, dove il coltello era soprammesso alla mano e alla manica, secondo una peculiarità tecnica del Caravaggio. L’urgenza di una pulitura chiarificatrice fu, tuttavia vanificata dalla istantanea, virtuale scomparsa dell’opera nei meandri del mercato antiquario più sommerso. Nondimeno, in quel medesimo 1989, il Marini inserì questa versione nel contesto della riedizione del corpus caravaggesco “Caravaggio – Pictor Praestantissimus”, con la provocatoria dicitura “copia?”, a causa della situazione inerente l’irreperibilità del quadro e il perdurante stato d’illeggibilità della superficie. Nondimeno, nel medesimo anno, Mina Gregori rendeva nota la versione pervenuta alla collezione di Barbara Piasecka Johnson di Lawrenceville (N.J., Usa). Riconoscendo in questa l’originale delle molte copie conosciute, indicava nella stesura nel frattempo pubblicata da Marini, la migliore tra queste. La versione Johnson di Lawrenceville è pertanto, con grandi probabilità, l’autografo inventato nel XVIII secolo nella dote di Doña Antonia Cecilia Fernàndez de Hijar e ubicato nel contado dl Saragozza (cfr. bibl.). Solo alla fine del 2006 riemerse questa versione del Sacrificio d’Isacco nella sua attuale ubicazione. Come auspicato da Briganti, dalla Gregori e da Marini, il dipinto (acquistato a Roma, presso un’asta Semenzato) era stato, nel frattempo, sottoposto a pulitura e restauro (in Modena, presso lo studio di Marta Galvan, dall’ottobre al dicembre del ‘95), nonché a indagini radiografiche e riflettografiche (in Campogalliano/ Mo, a cura di Davide Bussolari, presso il centro di Diagnostica per l’Arte Fabbri, tra il gennaio e il febbraio 2007), da cui erano risultati espliciti sia i tratti caratteristici della tecnica caravaggesca, con le molte riprese ‘in corso d’opera’ e con lo stilo sull’impasto fresco della mestica, sia la presenza d’interventi analoghi qual era leggibile negli strati pigmentari e nelle indagini radiografiche e riflettografiche della versione Johnson,

indice di un’esecuzione concomitante a mano libera. Vale a dire senza il supporto del ‘graticcio’ accademico, ma con le due tele montate attorno al gruppo dei modelli da riprendere. A ulteriore conferma giungeva la messa a fuoco della soluzione che aveva soprinteso alla realizzazione delle due versioni i cui contorni (proprio a causa dell’esecuzione a mano libera) non combaciavano, ma che, compositivamente, indicavano nelle teste dell’angelo e di Abramo i punti fissi da cui la struttura si era dipanata su entrambe le superfici. Il riconoscimento d’autografia era stato (come l’esecuzione contemporanea e parallela delle due stesure) condiviso (2007) dal massimo studioso di Caravaggio, sir Denis Mahon che poi decise di esporre il dipinto a fianco della versione Johnson nella grande mostra trapanese, Caravaggio. L’immagine del divino (Museo Regionale di Palazzo Pepoli, 15 dicembre 2007-14 marzo 2008). Successivamente l’opera è stata esposta a Malta, a Varese (Musei Civici di Villa Mirabello, 19 aprile-1 giugno 2008), a Castelvetro (Oratorio di Sant’Antonio da Padova, 11-13 aprile 2009) e a S. Maria Tiberina (Museo Civico del Castello Bourbon del Monte, 1-3 ottobre 2010). La nuova leggibilità del Sacrificio d’Isacco di Modena ne permetteva il confronto con la versione Johnson, offrendo ampio campo d’osservazione e di risposte alle diverse ipotesi che di volta in volta si erano affacciate. La più evidente era la difformità cromatica più chiaroscurata rispetto alla versione Johnson, in cui i lumi erano più diffusi e, sulla figura d’Isacco, velati dal rosso delle fiamme che già ardono, fuoricampo. A tal proposito il tizzone, nell’angolo destro, in basso, risultava ancora acceso e con accenni di lingue di fiamma, mentre lo stesso dettaglio, nella versione modenese, non le presenta. Nondimeno, in questa versione, il corpo e il volto d’Isacco risultano abbassati di tono, scuriti, con estese velature di bruno bitume. Anche le ali dell’angelo (in particolare quella visibile, quasi al centro) sono ripassate con una lacca a base di malachite. Come nel caso di altre repliche autografe, la deduzione implica il capire qual è la variante apportata all’iconografia dai dettagli naturamortistici alla mimica o agli sfondi. Nel presente caso la variante (all’interno del fluire del moto della scena, la cosiddetta ‘attimalità caravaggesca’) concerne il fattore temporale. Il chiaroscuro più risentito e il tizzone non ancora acceso esprimono un momento in cui la notte è ancora fonda, in sintonia con l’emotività dei protagonisti. Per contro il quadro Johnson è ambientato, con la pira accesa (fuori campo), nei raggi radenti dell’alba che sorge e coi sentimenti che s’approssimano alla catarsi.

Tali considerazioni si basano anche sull’esame delle copie note, constatando come la maggior parte di esse fosse stata desunta dal quadro Johnson mentre almeno due (in particolare quella conservata presso la sagrestia del Duomo di Castellamare di Stabia), che presentano l’ “effetto notte”, sono tratte dalla tela modenese, ma, già a Napoli, fino al 1989. Questa specifica ubicazione di una seconda iconografia del Sacrificio d’Isacco (notturno), cui, come visto, il pittore apporta significative varianti concettuali, oltre a indicare una diversa (più riservata) fonte collezionistica, suggerisce un itinerario diretto da Roma e l’appartenenza a Don Pedro Giron, qui ambasciatore fino al 1616. Questi, prima di assumere la carica di Viceré di Napoli fino al 1620, quando torna in Patria, certamente non porta questo suo originale del quale aveva invece fatto pervenire una copia a Penafiel, nel territorio del suo feudo di Valladolid, e un’altra, quella a “effetto notte” già menzionata, concessa al Duomo di Castellammare di Stabia che, tutt’oggi, la conserva. Non è facile puntualizzare le motivazioni per cui l’originale “notturno” sia rimasto a Napoli, ma è plausibile che si tratti della normale prassi, tra eredità e matrimoni (non sottovalutando il mutare del gusto).

Bibliografia: M. Gregori, Il Sacrificio d’Isacco. Un inedito e considerazioni su una fase savoldesca del Caravaggio, in “Artibus et historiae”, X, 1989, 20, pp. 99-142. M. Marini, Michelangelo da Caravaggio ‘Pictor Praestantissimus’, Roma 1989, n. 28, pp. 160-161; 410-411 (versione oggi a Modena). M. Gregori, Opus sacrum. Catalogue of the exhibition from the Collection of Barbara Piasecka, a cura di J. Grabski, Wien pp. 166-173. M. Marini, Michelangelo da Caravaggio ‘Pictor Praestantissimus’, Roma 2005, n.57, pp. 242-243; 474-475 (versione Johnson). M. Marini, Michelangelo da Caravaggio 1602. La Notte di Abramo, Roma 2007. Luci di Lombardia. Un percorso tra Milano, Varese ed il Sacro Monte di Varallo Sesia come introduzione e commiato dal “Sacrificio di Isacco di Caravaggio” (1602), a cura di S. Colombo, con un contributo di C. Castaldo, Varese 2008. Caravaggio. L’immagine del divino, a cura di sir D. Mahon, Trapani, Museo Regionale di Palazzo Pepoli, dal 15 dicembre 2007 al 14 marzo 2008, Roma 2008. Caravaggio e Guercino. Artisti per il cardinale del Monte, a cura di M. Marini, S. Maria Tiberina, Castello Bourbon del Monte, 1-3 ottobre 2010, Pontedera 2010.

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Volterra - Pinacoteca Civica

Mostre

Roberto Giovannelli per una “giusta” sintonia tra passato e presente TEXT Siliano Simoncini

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ionello Venturi, negli anni Trenta, (Storia della critica d’arte - 1936) scrive di rifiutare l’interpretazione che dell’arte classica avevano dato i neoclassici (astratta schematizzazione) così, per contrapporsi, egli arriva a rovesciare quell’impostazione e ad affermare che maggiore sarebbe la comprensione dell’arte del passato se la si considerasse attraverso l’esperienza dell’arte del proprio tempo. Questa premessa credo, possa servire per interpretare al meglio l’estetica, il significato e la filosofia rintracciabili nelle opere dell’artista Roberto Giovannelli, presenti in un’importante mostra allestita in quel luogo “miracoloso” che è, a mio avviso, la Pinacoteca Civica di Volterra. I dipinti e le piccole sculture/installazioni sono stati sistemati, dallo stesso Giovannelli, con attenzione meticolosa e in maniera accorta, così da essere in stretto dialogo con le opere del passato e quindi, il riferimento al Venturi e ai termini della sua questione, questa volta si propone rispetto ai dipinti e alle sculture presenti nel Museo. Dunque, se è condivisibile quanto afferma il grande storico dell’arte, almeno contestualizzando il suo pensiero al periodo in cui egli scrisse il saggio, è altrettanto vero il contrario, se pensiamo a quanto è avvenuto nelle arti visive dagli anni Trenta a oggi. Il proliferare dei movimenti, delle correnti, degli stili, fino al cambiamento radicale della concezione stessa dell’in-

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tendere e del fare arte (si pensi al concettualismo e all’arte come businnes) ha portato all’attuale situazione, dominata largamente da un eclettismo estetico, linguistico e semantico, che denuncia lo stato di “crisi” e quindi di “utilità o meno” dell’arte. Giovannelli sia artista, quanto profondo studioso e conoscitore della cultura del XVIII e XIX secolo (significativi i suoi saggi

su Bernardino Nocchi e Niccola Monti) ha da sempre dipinto con lo sguardo rivolto al passato e non si è mai fatto coinvolgere dagli sperimentalismi dell’arte contemporanea: in primis, ereditando dalla tradizione il concetto per cui l’arte, quella “autentica”, non può che essere colta e, subito dopo, attribuendo importanza fondamentale al disegno il quale, come prerogativa, deve avere quelle qualità espressive e personali capaci di elevarlo rispetto all’omologazione di quello accademico. Per questo Giovannelli tiene sempre a portata di mano taccuini dalle pagine bianche, dove costantemente disegna e dà forma a idee per quadri futuri, come annota riflessioni, oppure vi trascrive brani tratti da manoscritti d’archivio che soltanto lui ha avuto il privilegio di poter studiare per la prima volta. La mostra di Volterra quindi, offre l’occasione per ritornare a quel pensiero di Venturi citato nella premessa; ovvero, parafrasandone il concetto si può dire che maggiore sarebbe la comprensione dell’arte del proprio tempo se la si considerasse attraverso l’esperienza dell’arte del passato. Del resto i revival proposti


dalla cultura artistica della postmodernità, stanno a significare come una parte dei protagonisti delle correnti riferibili agli ultimi trent’anni, abbiano sentito la necessità di interrompere l’espansione incessante dell’universo dell’arte scaturita dal big bang del paleolitico. Per cosa? Riflettere e costatare che il sistema dell’arte è entrato in entropia - le ragioni sono molteplici e le conosciamo - così, sempre più impellente, è la necessità di riappropriarsi delle ragioni “genetiche” che hanno reso possibile l’esperienza creativa, di ritrovare il connotato “colto”, tecnico e immaginativo, di quell’esperienza creativa del passato che certo non viveva di autoreferenzialità ma piuttosto di allegorie e metafore ereditate dalla storia e “rigenerate” alla luce del proprio tempo. Ebbene Giovannelli, a pieno titolo, rientra in quella ristretta schiera di artisti che opera con tali finalità. Per questa ragione le sue opere si comprendono meglio soltanto se ci avviciniamo a esse supportati dalla conoscenza feconda dello sviluppo pittorico che le ha precedute perché, di fatto, estendano le loro radici nel passato quanto nella tradizione - per il nostro artista quella del manierismo cinquecentesco toscano - e sono, al contempo, la probante conseguenza di un adeguato e fondamentale “adeguamento”. Percorrendo le sale della Pinacoteca le opere di Giovannelli sono a diretto contatto con i mirabili esempi realizzati da artisti fiorentini, senesi e volterrani dei secoli XIV-XVII (su tutti la Deposizione di Rosso Fiorentino) e ciò fa comprendere come la sintonia tra gli esiti pittorici del passato e quelli della pittura attuale siano in stretto collegamento, proprio rispetto a quanto enunciato in precedenza. Certo i dipinti di Giovannelli non dovevano trovare rispondenza di linguaggio con le opere presenti in ogni sala, infatti, egli ha un proprio stile distinguibile e coerente, ma piuttosto relazionarsi tramite altri accorgimenti, quali? L’uso di cornici curate nei minimi dettagli e pro-

gettate dall’artista appositamente per la mostra: dorate, dipinte con sintetiche decorazioni e caratterizzate da particolari modanature, oppure assemblate in modo tale da formare piccoli “polittici”. Così come Giovannelli ha tenuto ben presente il corretto rapporto dimensionale e formale delle proprie opere rispetto a quelle del Museo con le quali egli ha deciso di allestire un pendant: perimetri mistilinei, a lunetta e a gradiente. Più spesso anche la tonalità e il timbro dei colori, come la stesura del pigmento (ora pittorico o steso a campitura compatta, ora sfumato o delicatamente velato come se fosse dipinto all’acquarello anziché a olio) ha trovato il nostro artista pronto a individuare l’accordo giusto e armonico per una consonanza decisa-

mente “musicale”. Per non parlare poi dei soggetti rappresentati o della loro qualificazione pittorica e iconografica - in questo Giovannelli è un degno erede della cultura del passato - elementi tutti questi che, di volta in volta, a fronte delle opere del Museo cui quelle di Roberto sono collegate, contribuiscono a creare la temperie percettivo/emotiva più adatta a far sì che, chiunque osservi il binomio passato/presente, possa farsi intermediario tra interpretazione traspositiva e deduzione metafisica. Con questa mostra dal titolo Et in Armenia ego - parafrasi allusiva ai ben noti quadri di Guercino e Poussin, in cui sono rappresentati due pastori mentre scoprono un sepolcro in pietra sul quale è incisa a caratteri lapidari la frase Et in Arcadia ego - Roberto Giovannelli, non soltanto ha reso testimonianza di una sua presenza in quel luogo dalle origini bibliche ma più, ha accettato una sfida improba - il confronto con opere di rilevanza storica - e l’ha vinta proprio perché, in tutta umiltà, ha cercato di rapportarsi con esse perseguendo finalità pedagogiche (non dimentichiamo che lui è stato un validissimo docente dell’Accademia fiorentina) tracciando così un percorso che d’ora in avanti troverà altri direttori di museo, coraggiosi come quello della Pinacoteca di Volterra, disposti a mettersi in gioco ospitando opere contemporanee nei luoghi “sacri” dell’arte. Vero è che questo non è stato il primo esempio, ma uno dei pochi che ha mostrato come la scelta fatta in musei di altre città, che pur avendo esposto opere di artisti attuali pur validi e qualificati, non ha poi portato a esperienze altrettanto istruttive e convincenti, come la proposta fatta a Volterra che ha accolto nella Pinacoteca i lavori di Roberto Giovannelli. Una serie di opere le sue, “adatte” a creare la giusta sintonia tra passato e presente, come ho cercato di dimostrare con questo contributo di affetto e di stima per un caro amico.

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Ugo Guidi

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Arte

anni dalla

nascita

TEXT Enrica Frediani

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orte dei Marmi e il suo sindaco, Umberto Buratti, non si sono lasciati scappare l’occasione di commemorare con la dovuta onorabilità e risonanza l’illustre scultore Ugo Guidi residente a Forte dei Marmi dal 1940 al 1977, anno della sua scomparsa. Tutta la città si è stretta in un caldo abbraccio intorno alla figura dell’artista promuovendone eventi commemorativi. Primo fra tutti l’inaugurazione del monumento I Buoi di U. Guidi avvenuta il 1° maggio a Forte dei Marmi, in Piazza Garibaldi, alla presenza dei quattro sindaci della Versilia. L’opera, tratta dalla scultura in terracotta realizzata dall’artista nel 1975 e conservata nel Museo che porta il suo nome, è stata eseguita dal Laboratorio Artistico di Scultura Massimo Galleni di Pietrasanta con marmo bianco arabescato proveniente dalla cava delle Cervaiole offerto dalla Fondazione Henraux di Querceta. Con l’esposizione antologica dal titolo Cent’anni, il segno lasciato, il Museo Ugo Guidi di Forte dei Marmi ha annunciato, il 25 settembre 2011, con una mostra, poesie e musica l’approssimarsi delle celebrazioni nel centenario dalla nascita. Le iniziative sono state promosse da un comitato, all’uopo costituitosi, formato da rappresentanti del comune di Forte dei Marmi, Pietrasanta, Seravezza, dal Museo Ugo Guidi (MUG) e dall’Ass. Amici del Museo U. Guidi onlus. Molte le manifestazioni evocative che si sono svolte e si svolgeranno nei territori sopracitati, nell’arco del 2012. Ecco le più importanti e impegnative: a Villa Bertelli di Forte dei Marmi: Anteprima Ugo Guidi a cura di Enrico Mattei, inaugurata con concerto lirico del Pucciniano di

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1. Cavallo e Cavaliere 2. Buoi, 1975 3. Buoi, marmo bianco arabescato, foto di Giacomo Donati 4. Monte Forato, tempera 5. Totem, 1974, tempera 6. Totem, 1974, tempera

Torre del Lago; Ugo Guidi sculture e disegni nel centenario della nascita, antologica a cura di Anna V. Laghi. A Pietrasanta, Palazzo Panichi, Ugo Guidi nel centenario della nascita, si terrà mostra dal 7 dicembre al 6 gennaio 2013 con convegno sull’opera dell’artista in relazione ai materiali e tecniche utilizzate. Altre esposizioni a tema per tutto il 2012 si tengono al Museo Ugo Guidi un tempo abitazione e atelier dell’artista. A novembre si terrà una conferenza di studio anche a Carrara, presso la sede dell’Accademia Aruntica, con relazione di Enrica Frediani e la partecipazione del figlio dello scultore, Vittorio. Le celebrazioni sono proseguite il 14 settembre, a Villa Bertelli, con la presentazione di cartoline emesse dal comune di Forte dei Marmi e annullo filatelico commemorativo. Sette scuole di Forte dei Marmi, dalla materna alle secondarie, hanno inserito nella loro programmazione didattica laboratori

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per avvicinare i bambini all’arte e alla conoscenza della scultura del Maestro. Il maestro Giuseppe Di Piazza ha creato due composizioni per pianoforte dedicate all’uomo Guidi dal titolo La musica del silenzio. Questo e altro ancora in memoria di un grande interprete del Novecento, uomo schivo e riservato che ha operato in silenzio, nell’intimità della sua casa, concedendosi come svago la passione per il calcio, di cui la sua arte rappresenta una valida testimonianza con la realizzazione di varie sculture e disegni sul tema. Ugo Guidi frequentò importanti rappresentanti dell’arte e della cultura che dagli anni Cinquanta soggiornarono in Versilia, tra loro Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Gianni Dova, Bruno Cassinari, Antonio Bueno, Giovanni Papini, Piero Santi, Alfonso Gatto, Achille Funi, Ardengo Soffici, Giuseppe Migneco, Ernesto Treccani, Ottone Rosai, Mino Maccari, Arturo Puliti, Raffaele De Grada e altri. Con molti di loro strinse profonda amicizia condividendone le idee. Terminata l’Accademia di Belle Arti

di Carrara nel 1936 col diploma di scultura e di architettura, Ugo Guidi associò all’insegnamento dell’arte scultorea presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, la libera professione, creando, agli inizi degli anni ’40, opere che mettono in luce la sua personale scelta artistica e stilistica sia nella ricerca formale che nell’utilizzo di materiali meno nobili del marmo, quali il tufo versiliese, la pietra, l’argilla, il gesso. Il marmo fu utilizzato dall’artista prevalentemente nelle opere giovanili e fino alla metà degli anni ’40 per riapparire di tanto in tanto ma, sempre, preferendo al bianco delle Apuane, materiali dalle superfici scabre, che davano l’idea di naturalezza, di “arcaico”e di “primitivo”. Tale scelta avvenne durante la sua maturazione artistica, vissuta, quale esigenza interiore di distacco dai canoni accademici e di ricerca personale in un periodo nel quale la situazione culturale era certamente difficile e molteplici erano le proposte di rinnovamento formale provenienti da altri paesi. Anche Guidi, come altri artisti a lui contemporanei, sviluppò la

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sua ricerca nella rivisitazione dell’arcaismo, del primitivismo, del gotico-romanico. Realizzò, infatti, in questo periodo parecchie opere prevalentemente di piccole e medie dimensioni che parlavano di cose semplici, genuine, rispecchiando momenti di vita lavorativa e di intimità personale, tutte affrontate con stile realistico e naturalistico, di sapore arcaico e primitivo, spesso con rivisitazioni gotiche, romaniche ed etrusche. Negli anni ’60, la sua espressività si orientò verso un modellato caratterizzato da una composizione vivace e scattante, soprattutto nelle terrecotte. Le forme apparivano appena accennate, come se fossero ciò che rimane di un’antica statua consumata, traducendo la struttura in elementi geometrizzanti. Ciò costituì un procedimento che spesso lo portò a trovarsi in bilico tra l’informale e l’astratto senza tuttavia abbandonarsi alla pura astrazione poiché l’elemento di “riconoscibilità” in un’arte che si muove sui binari dello scambio emozionale e dell’empatia doveva essere sempre presente.

NOTIZIA

Ugo Guidi nacque a Montiscendi di Pietrasanta il 14 settembre 1912. Nel 1934 si diplomò all’Accademia di Belle Arti di Carrara, sotto l’insegnamento di Arturo Dazzi. Nel 1937, con l’opera S. Giovannino vinse il 1° premio di scultura Dervillé. Dal 1948 al 1976 insegnò scultura presso l’Accademia di Carrara. Nella casa-studio di Vittoria Apuana trascorreva il suo tempo libero dagli impegni accademici dedicandosi all’arte dello scolpire e del disegno. Amico di Ottone Rosai e Piero Santi, conosciuti nei primi anni ‘50, realizzò, col loro aiuto, nel 1956, la sua prima mostra personale alla Galleria “La Strozzina” di Palazzo Strozzi a Firenze. Nel 1970 fu nominato Accademico Corrispondente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Nello stesso anno vinse il Concorso Nazionale col bassorilievo: Giochi della Gioventù per il Palazzo degli Studi di Sarzana. Nel corso della sua carriera artistica realizzò moltissime mostre ed esposizioni, sia in Italia che all’estero. Partecipò, inoltre, a numerosi premi e concorsi nazionali e internazionali. Le sue opere sono apprezzate e recensite dai più famosi critici nazionali. Tra la sua produzione figurano le opere monumentali: Il Portiere per lo Stadio Comunale di Forte dei Marmi; I Calciatori, per il Centro Tecnico Federale di Calcio di Coverciano (Firenze); “Figura in ambiente, per la Scuola Media di Forte dei Marmi che porta il suo nome. Nel 1975, per i venticinque anni di attività della Galleria “L’Indiano” di Firenze, creò l’opera L’Indiano a Firenze che, fusa in bronzo, fu consegnata al Gabinetto Vieusseux a Mario Luzi, Luigi Baldacci, Rafael Alberti, Umberto Baldini, Franco Camarlinghi e Raffaele De Grada. Nel 1983 gli è stata intitolata la Scuola Media di Forte dei Marmi. Dal 1993 una sua opera in bronzo è assegnata annualmente al vincitore del premio Internazionale della Satira Politica di Forte dei Marmi. Una sua scultura venne data al vincitore del Premio Internazionale della Cultura S. Domenichino di Ronchi, (Massa) a Rita Levi Montalcini nel 2000 e a Giorgio Albertazzi per l’anno 2001. Nel 2001 tre sue sculture con soggetto sportivo parteciparono alla mostra Appunti allo Stadio – 90 opere sul tema del calcio nell’arte italiana del XX secolo organizzata dal Ministero degli Affari Esteri in occasione delle finali del Campionato del Mondo di Calcio a Roma, Seul, e Yokohama; successivamente furono esposte in vari musei del Sud America. Molte sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private di città italiane ed estere e in alcune sedi di Federazioni Calcistiche italiane ed estere, inoltre in musei a Pietrasanta, Carrara, Firenze, Roma, Sarzana, Barcellona, Madrid, Santiago del Cile. A Firenze, presso la Galleria degli Uffizi, è presente con un Autoritratto e nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi un’antologica grafica composta da 99 disegni realizzati dal 1944 al 1977. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 10 luglio 1977, disegni e tempere furono esposti alla Galleria “La Vecchia Farmacia” di Forte dei Marmi col titolo Il Grido. Da allora molte altre mostre ed esposizioni sono state realizzate da pubbliche istituzioni e dal 2005 la sua casa-museo è entrata a far parte dei musei toscani e delle Case della Memoria. Oggi con l’Ass. “Amici del Museo Ugo Guidi onlus” la casa è luogo dove vengono allestite mostre d’arte contemporanea e presentati eventi culturali. Dal 2007 sono state allestite oltre 60 mostre su artisti contemporanei in collaborazione con gallerie d’arte, con il patrocinio di MiBAC, Regione Toscana, Ambasciate straniere, Accademie, Musei e istituzioni culturali . Maggiori informazioni sul sito www.ugoguidi.it.

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n’esposizione di codex, libri aperti pietrificati senza simboli e lettere incise, realizzati con cartapesta e abbelliti con pochi ed essenziali reperti ferrosi, lignei e vegetali e di menhir, installazioni di rocce, carta-cemento, acqua colorata e sabbie che si ergono in gruppi o singolarmente. Si tratta di un percorso attraverso l’inconscio di una nuova crittografia che si modella di nuove forme, di nuovi colori e di nuovi simboli quasi a significare che la sapienza, la saggezza e la conoscenza sono legate agli elementi più umili e poveri dell’esistenza. In queste sculture la scrittura e i suoni non c’entrano, ad emozionare è la materia con la sua idea tattile. Libri trasformati in blocchi simili alla pietra, resi tali dall’effetto della cartapesta; fermi su una pagina che non si può girare se non con la nostra fantasia. Menhir che si ergono verso il cielo, come fossero personaggi, paesaggi e architetture trasformate in agglomerati di materia, in attesa di essere liberati e di tornare in vita. Tutto è immobile, incastonato, ma nonostante ciò sembra di percepire all’interno della struttura un sospiro, una voce, una pulsazione. Gli elementi primari della natura vengono rappresentati con linguaggio ed espressione del tutto personali, Alberi ai quali Difilippo dedica una personale rivisitazione d’artista. Promossa e organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Rovigo con il patrocinio del Comune di Fratta Polesine, l’esposizione ha la particolare capacità di esaltare l’inscindibile relazione tra “arte esposta” e “arte contenitore”. L’obiettivo è quello di stimolare il visitatore, cercando di emanare a ognuno di noi storie che ricordino le nostre

origini, le nostre tradizioni e mettendo in evidenza il nostro immenso patrimonio culturale. La mostra sarà visitabile presso Villa Badoer di Fratta Polesine (RO) fino al 7 ottobre 2012


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rafica, fotografia, ceramica. Tre arti in cui Elsa spicca notevolmente grazie alla sua personalità molteplice ed eclettica. La sua attività spazia dalla creazione di illustrazioni di libri per bambini e libri scolastici, pubblicati dalle migliori case editrici, per toccare poi il mondo della fotografia con nature morte, paesaggi, composizioni e ritratti di personaggi come musicisti, scrittori e artisti italiani ed esteri. Infine, ma non meno importante, la ceramica: passione che l’ha coinvolta fin da giovanissima, quando andava ad apprendere la tecnica e a lavorare nella prestigiosa bottega del grande ceramista Victor Cerrato al Castello del Borgo Medievale di Torino. Oggetti quotidiani come centro tavola, insalatiere, piatti da portata e oggetti di

lei si fa letteralmente in quattro per dimostrare che invece la vita le appartiene intera. Sta quindi a noi ricomporla nella giusta visione. Un insieme di elementi che ci riconducono a nostri sogni e a quella via che serve a sopire le nostre piccole sofferenze. Dall’incontro con Barbara Rovere, conduttrice del prestigioso negozio-galleria Casa Così a Cherasco (Cn), è nata l’idea di esporre in questa mostra personale le terrecotte di Elsa, come già nel 2010. arredo si riempiono di colore e decori esprimendo l’abilità e l’estro artistico di Elsa. Le ceramiche assumono forme di donna, di frutta, di uccelli e di piccoli insetti modellati e decorati con tale maestria da renderli preziosi come gioielli. I colori utilizzati dall’artista variano dal

La mostra sarà visitabile fino al 31 dicembre 2012 con i seguenti orari: dal martedì al venerdì 15.30–19.30; sabato 10.30–12.30/15.30–19.30; domenica 10.30–12.30; domenica pomeriggio aperto durante le manifestazioni.

blu al verde tenue, dall’azzurro – che nella simbologia mistica significa il vuoto della meditazione – al rosso, al bianco puro, colori gonfi di emozioni che invitano a imbandire le nostre tavole grige. Le donne ceramizzate di Elza Mezzano ci osservano con sguardi alabastrini e lussuriosi quasi a volerci giudicare. Così come si può riscontrare in Matilda o in Donna con l’uccellino. Nella prima si trovano cenni di antiche sculture Maya,

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a cura di Carmelo De Luca

Sertoli e SONDRIO Palazzo Palazzo Sassi de’ Lavizzari

LE CERAMICHE DI ANTONIA CAMPI

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regevole omaggio ad Antonia Campi, abile creatrice di autentici capolavori generati attraverso argille selezionate e una sapiente manualità. Impastare la materia prima, dando vitalità all’oggetto finito, rappresenta un dono innato insito nella mente e nelle mani di Antonia, approdata al design nel 1947 grazie alle sue riconosciute doti artistiche. Il blasonato marchio SCI e Pozzi-Ginori, l’eccellenza italiana nel settore porcellana, la vuole nel suo entourage a qualunque costo e l’artista crea squisiti servizi da tè o caffè, vasi, piatti, soprammobili, sanitari coloratis-

22 settembre 2012 13 gennaio 2013

28 settembre 14 ottobre 18 novembre 13 gennaio 2012 2013

simi, rubinetteria, utensili talmente innovativi per il design da essere esposti al MOMA di New York. La mostra, ideata dal Credito Valtellinese, vuole celebrare i novant’anni di colei che ha impregnato d’arte la sua produzione scultorea e l’oggettistica uscente dai forni dei marchi rappresentanti il Made in Italy nel mondo.

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VENEZIA Museo Archeologico Nazionale Pinacoteca Züst, Rancate (Mendrisio), Canton Ticino SERODINE

iovanni Serodine rappresenta un interprete eminente del naturalismo nel panorama internazionale agli albori del XVII secolo. Figlio del Ticino, adottato da Roma, il pittore appartiene alla cerchia elitaria caravaggesca, della quale attinge il principio risolutivo della rappresentazione pittorica attraverso l’utilizzo del luminismo, personalizzato grazie a pennellate sciolte, rapide, dense, capaci di far penetrare la luce nelle figure e nell’atmosfera circostante. Con la maturità la sua arte assume connotazioni quasi misteriose, poco

avvezze alla realtà pittorica, antiretoriche, e brama uno struggente desiderio per il possesso di una materia plastica, impregnata dalla luce, animata da un senso drammatico della rappresentazione. Provenienti dalla Parrocchiale di Ascona, dai musei ticinesi, da collezioni private, i dipinti esposti presso la Pinacoteca Züst mostrano al visitatore quanto sia stato importante il movimento artistico naturalista nelle terre prealpine grazie a Serodine e all’operato di alcuni contemporanei vicini alla sua pittura.

LA NUOVA FRONTIERA

l’arte intorno a te

storica, spirituale, ancestrale, nella cultura umana legata al culto dell’eterno. Lynn Davis estrapola l’energia residua posseduta dai monumenti antichi, facendola diventare linfa vitale rigenerante, così templi, piramidi, stupa, si inebriano di una architettura sempre attuale e senza tempo.

LYNN DAVIS

l culto dell’uomo per il sacro rappresenta l’elemento dominante nella raffinata produzione di Lynn Davis, così figure ieratiche, monumenti sepolcrali protetti dal deserto, superbi templi avvolti da ridenti pianure, aiutano l’artista nella ricerca rappresentativa del “luogo per eccellenza”, dove non esistono confini temporali e il senso dell’assoluto inebria il suo operato grazie a una interiorità decisamente palpabile. Le preziose raccolte archeologiche appartenenti al celebre museo veneziano, le cui sale ospitano la mostra, supportano le opere in esposizione in quanto esse rappresentano la memoria


FIRENZE Palazzo Strozzi FIRENZE Museo Alinari

SOGNI SOTT’ACQUA

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l Museo Alinari continua con la fortunata serie di proposte espositive legate ai favolosi ambienti creati da madre natura, tema molto caro alla cultura nipponica. Il regno di Nettuno vanta bellissimi fondali marini, nei quali la variegata flora e fauna, da sempre, hanno attirato Akiyoshi Ito, i cui celebri scatti rappresentano autentici gioielli da ammirare. Il blu intenso dell’Oceano, abitato da sinuose vegetazioni, fiammeggianti coralli, vanitosi pesci dai colori sgargianti, catturano l’artista che ne immortala la magnificenza attraverso l’ausilio di mirabili fotografie e, nello stesso tempo, infonde all’animo umano un messaggio di salvaguardia verso questo habitat così delicato. 48 opere raccontano un mondo fantastico, dove la superba re-

22 settembre 2012 27 gennaio 2013

na mostra appropriata alle problematiche dei nostri giorni, caratterizzate da lotte e persecuzioni, ripercorre il radicale cambiamento voluto da Costantino con il suo celebre editto del 313 d.C. sulla tolleranza religiosa e l’innovazione sociale, politica, culturale. Raffinati ca-polavori raccontano i trionfi ottenuti dal grande imperatore, la sua conversione al cristianesimo, l’ascesa di Milano a nuova capitale, l’enorme influenza sulla corte e sulla chiesa di sua madre Elena. Le sale espositive ospitano una cospicua documentazione archeologica relativa alla nuova architettura cittadina

25 ottobre 2012 17 marzo 2013

13 settembre 3 13aprile ottobre 14 ottobre 1 2012 luglio 2012 2012 3 febbraio 2013

L altà ambientale rasenta il sogno, la favola, la sublimazione, dove gli scenari si succedono in combinazioni sempre cangianti nei colori e nelle forme, dove madre natura si prodiga particolarmente nel partorire un regno incantato.

a mostra celebra il blasonato artista, ripercorrendone l’operato relativo al primo ventennio del XX secolo, grazie ai preziosi prestiti proveniente dalle maggiori istituzioni museali russe. Un magnifico viaggio nel passato svela al visitatore l’ambiente formativo del maestro, supportato da oggetti appartenenti allo sciamanesimo o al folklore locale rigorosamente descritti

voluta dal sovrano, dominata dal Palatium, terme, edifici privati, necropoli. La rivoluzione in tema politico-religioso, messa in pratica da Costantino, trova visibilità nei numerosi oggetti d’arte evocanti il rinnovamento, lo dimostrano le nuove insegne imperiali fregiate del Krismon, le suppellettili legate all’apparizione della Croce all’imperatore, le opere iconografiche cristiane finalmente conviventi in armonia con quelle pagane come le sculture in marmo di Iupiter Dolichenus, Iside Fortuna, Eracle. La nuova religione di stato è ben rappresentata in mostra grazie alla presenza di gemme, cammei, ori, monete, suppellettili liturgiche, oggetti ispirati dal ritrovamento della Vera Croce, dipinti dedicati all’imperatrice madre realizzati da blasonati nomi della pittura sino all’epoca rinascimentale.

COSTANTINO 313 D.C.

nni Trenta, anni ruggenti! Ebbene sì, tale periodo concentra una gran mistura di stili, idee, correnti, tendenze, ravvivanti il panorama artistico italiano. Un interessante clima favorevole al raffronto caratterizza astrattismo, futurismo, classicismo, espressionismo, arte monumentale, imperanti nel mondo accademico e avanguardista del tempo, alle prese con l’arricchimento culturale derivante dal nascente movimento legato al design

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MILANO Palazzo Blu PISA

Palazzo Reale

da Kandinsky nei suoi celebri taccuini. Nella esposizione pisana sono presenti pregevoli capolavori relativi al delicato simbolismo impregnante la prima produzione artistica, le creazioni legate all’apertura verso le avanguardie occidentali, le magnifiche tele ideate negli ultimi anni della sua dimora in patria. Improvvisazione, Due Ovali, prestati da San Pietroburgo, e altri importanti capolavori, rappresentano alcune meraviglie visibili a tutti coloro che amano il grande maestro.

WASSILY KANDINSKY

ANNI TRENTA

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ma, anche, alla nuovissima comunicazione di massa. Dipinti, sculture, pregevoli manufatti da design, abbelliscono le sale di Palazzo Strozzi, raccontando l’evoluzione artistica voluta da grandi maestri, basti menzionare Achille Lega, Filippo De Pisis, Mario Sironi, Giorgio de Chirico, Lucio Fontana. Grazie a questi frenetici impulsi culturali, l’Italia viene catapultata nella modernizzazione, già imperante in Francia, Germania, Scandinavia, Russia, attraverso la rivisitazione della tradizione secolare nel campo delle arti.

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Territorio

Montebicchieri

da Castello a Villa TEXT&PHOTO Valerio Vallini

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el castello di Montebicchieri in Valdegola, sono molte le note che si potrebbero citare. Note autorevoli da Emanuele Repetti a Barsocchini, a Davidshon, a fonti d’archivio. Ma qui, in questa sede, non si vuol fare una rassegna erudita. Vogliamo segnalare la distruzione da parte dell’Arcivescovo di Magonza, vicario imperiale, dell’antico castello di Vetrignano (XI-XII secolo), che produsse la nascita più a monte del castello di Montebicchieri. Uno degli aspetti interessanti è che questa terra contesa fra i contadi di Pisa e Firenze, divisa da due pivieri: quello di Berbinaja, e quello di Saturnino di Fabbrica al Molino d’Egola, vide nel Trecento una contesa di quel comunello con la Pieve di Fabbrica per l’erezione della parrocchia entro le mura castellane. Scrive Paolo Morelli nel suo Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento: «L’acquisizione del fonte battesimale e del cimitero che erano prerogativa, fino alla seconda metà del Trecento, della Pieve di Fabbrica al Molino d’Egola (i cui resti sono ancora oggi incorporati in un’abitazione civile, n.d.r.) a cui appartenevano S. Lucia di Montebicchieri e i suoi parrocchiani.» Attraverso la narrazione di questa conquista del fonte battesimale, si apre uno scenario sulle strade, i luoghi, i rischi per gli abitanti del contado che dovevano

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andare da Montebicchieri a Fabbrica. Rischi dovuti sia al pericolo dell’attraversamento dell’Egola, sia alle frequenti guerre fra guelfi e ghibellini, imperatori e papi, in questa terra di “frontiera”. Infatti quel comune era vicino al territorio dei Pisani contro i quali combattevano in caso di guerra fra Pisani e Fiorentini. Ed era vicinissimo anche a Monopoli guelfa e Marti ghibellina. Certamente la situazione per gli abitanti di quelle con-

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trade non era delle più tranquille. Avere la possibilità di battezzare in casa aumentava di parecchio il livello di sicurezza. Ma la carta vincente per i “montebicchieresi” al fine di ottenere dal vescovo il fonte battesimale per la chiesa di Santa Lucia e il diritto a seppellire nel cimitero locale, prima sotto il pavimento della chiesa e poi fuori, fu lo spauracchio dell’Egola che si doveva per forza attraversare per raggiungere la pieve di Fabbrica.


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Non pochi specie in inverno rimanevano annegati attraversando la “fiumana” nei punti di guado. Ne viene fuori anche la narrazione di una rete viaria che fa luce sui ponti esistenti sull’Egola intorno alla metà del Trecento. Se il ponte sull’Egola, a “Ponte a Egola”, fu ricostruito da Firenze non prima del 1377, certamente veniva usato un ponte sotto Balconevisi. Insomma, per battezzare i pargoli le puerpere e i parenti dovevano farne di strada. Il motivo della resistenza del pievano di Fabbrica alle richieste dei montebicchieresi era la perdita delle entrate dai battesimi, dalle sepolture e, oggi si direbbe, dall’indotto che ci gravitava attorno. Ma la storia ha i suoi percorsi e così dopo

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un lungo braccio di ferro fra il pievano e i fedeli della parrocchia, il 17 giugno 1345 il vescovo decise la questione. Montebicchieri ebbe il fonte battesimale in cambio di un terreno da assegnare al pievano di Fabbrica in perpetuo. Questo scorcio di vicende e di scontri ha indubbiamente il merito di farci rivivere quanto fosse precaria l’esistenza di quelle popolazioni rurali e borghigiane, quanto bastasse il rivendicare una autonomia parrocchiale per incorrere negli strali di un potere tradizionalmente legato a equilibri secolari. E per tornare al castello, una volta estesa la dominazione fiorentina fino a Pisa e poi in tutta la Toscana, il fortilizio perse la sua funzione guerresca e si trasformò in una

villa signorile con annessa chiesa, soprattuto a opera della famiglia fiorentina dei Compagni. Fino ai primi del Novecento Montebicchieri era una fiorente fattoria dove lavoravano centinaia di mezzadri, nel castello c’era uno spazio per il teatro, e la parrocchia fino alla prima metà dell’Ottocento contava 342 anime. Oggi la bellezza di quei luoghi torna a rivivere sotto l’egida di un agriturismo e di una nuova vitalità del mondo rurale. 1. Veduta Palagio Montebicchieri 2. Capitani di Parte Guelfa, 1585 3. Castello di Montebicchieri 4. Madonna con Bambino in trono e santi, 1519 Maestro dei Cassoni Campana 5. Campanile della chiesa di Santa Lucia XIII sec.

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palio

Territorio

Fucecchio

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TEXT Carlo Paci PHOTO Alfredo Sabatini

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i corre a maggio, a scanso di equivoci. Ma il Palio di Fucecchio non è un evento di un giorno. E neppure di una settimana, come molti pensano. Il Palio, nella città di Montanelli, è un evento che impegna i contradaioli, l’associazione Palio e l’amministrazione comunale, che ha un apposito assessorato, per dodici mesi. La corsa dei cavalli è l’atto finale della manifestazione. Quella che lascia tutti col fiato sospeso, ma un gran parte dell’impegno delle contrade viene convogliato nell’allestimento della sfilata. Il corteggio storico che, con oltre 1200 figuranti, è uno dei più imponenti a livello nazionale. «L’associazione Palio e il Comune - spiega l’assessore al Palio Alessio Spinelli (in foto) - sono da tempo impegnati a promuovere quest’aspetto del Palio. La sfilata può diventare il valore aggiunto della manifestazione. Credo che pochi, o forse nessuno, possa vantare un corteggio tanto partecipato come il nostro». Il corteggio storico accompagna da sempre il Palio (fin dalla prima edizione del 1981) ma negli ultimi anni ha raggiunto un livello decisamente superiore. Di chi è il merito? Delle contrade, non c’è dubbio. Ogni contrada impiega molte persone nell’allestimento della sfilata e c’è un attenzione ai dettagli sempre maggiore. Nei costumi ma anche nel trucco, nelle acconciature. Assistere al passaggio dei figuranti per le vie del centro è un vero e proprio spettacolo. L’amministrazione comunale e l’associazione Palio ha contribuito a questa crescita? Da alcuni anni è stato istituito il Premio “Tommaso Cardini”, in memoria del fondatore del Palio di Fucecchio (ed ex presidente dei Fratres Donatori di sangue, ndr), proprio con l’intento di premiare le contrade per quanto fanno in occasione della sfilata e per premiare i musici e gli sbandieratori. Ma questo rappresenta soltanto uno stimolo aggiuntivo, il merito della crescita resta tutto delle contrade. L’interesse verso il Palio però ha permesso di creare molti eventi collaterali. Sì è vero, e in questo caso molto ha fatto l’amministrazione comunale. Siamo convinti che le iniziative legate al Palio possano portare vantaggi anche al turi-

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lungo un anno


smo e al commercio. A questo proposito, mi piace sottolineare che quest’anno c’è la seconda edizione del Gran Galà degli sbandieratori e dei musici (il 7 ottobre), un’esibizione nello splendido scenario di Piazza Vittorio Veneto. Una Piazza sempre più utilizzata per questo genere di manifestazioni. I Palazzi storici, la Collegiata e l’affresco di San Cristoforo rappresentano una cornice ideale per questo genere di eventi. Basti pensare al Palio in Gioco che proprio in Piazza Vittorio Veneto vede una grandissima partecipazione di pubblico. Si tiene la domenica che precede il Palio ed è una festa all’insegna del divertimento e dei giochi tradizionali con i colori delle dodici contrade del Palio di Fucecchio indossati dai bambini. Poi, sempre in tema di manifestazioni collaterali, mi preme ricordare

il grande successo che da tanti anni sta riscuotendo il Torneo di Calcetto delle Contrade che nelle settimane che precedono il Palio riempie il Palazzetto dello Sport in più serate.

L’obiettivo è quindi far crescere la manifestazione attraverso la creazione di più eventi? Non soltanto. L’obiettivo è anche far

conoscere il Palio fuori dai nostri confini. Promuovere l’evento lontano da Fucecchio e dai comuni limitrofi. E in questo senso ci sta portando grandi benefici la collaborazione con la Scuola di Moda dell’Istituto Superiore “A. Checchi”. La scuola ha avviato un’importante collaborazione con le contrade di Fucecchio, che stanno iniziando a commissionare gli abiti per la sfilata agli studenti, ma anche con altre manifestazioni rievocative, in particolare col Calcio Storico Fiorentino. Siamo stati in Palazzo Vecchio, con gli studenti e la professoressa Grazia Focardi, a presentare gli abiti realizzati per la sfilata del Calcio Storico, riscotendo un grande successo. Da collaborazioni come questa potranno arrivare grandi vantaggi in futuro, per la Scuola di Moda ma anche per il Palio di Fucecchio.

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Territorio

ritorno a

Capo di Vacca TEXT&PHOTO Luciano Marrucci

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l mio buon medico mi aveva ingiunto: «Camminare! Camminare! Però senza sforzarsi troppo (che difficile equilibrio!), mi raccomando, non affrontare a piedi delle salite!» Ieri gli ho dato retta e allora che ho fatto? «Con la mia piccola Chevrolet sono andato in cima a quella collina. Alla frontiera di un bosco ho lasciato la macchina e poi ho proseguito a piedi percorrendo quell’antichissima strada che, ora come allora, è poco più di un sentiero pianeggiante proprio sul crinale della collina. È una strada che mena a Roma, infatti è un tratto collinare della via Francigena. A distanza di due anni non potevo ricordare che il lato occidentale era tutto scoperto ai raggi del sole che a due ore dal tramonto picchiava sodo... Ma quel posto di stupefacente bellezza tornava a ricreare in me l’impressione che avevo provato due anni prima. Un fondale pliocenico riemerso da tempi assai lontani, disseminato di conchiglie marine, un miscuglio di sabbie fossili e di mattaione che ancora conserva l’azzurro pallido del nostro mare, e quelle onde flessuose della terra che diventano colline. Qui e altrove la nostra campagna sembra mostrarti la vulva materna da cui sei uscito. Era il sole che mi lasciava così stordito o era la visione che la sua luce riconduceva al mio sguardo?»

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Un minuto di storia Per dire il motivo per cui ero stato spinto a riportare i miei passi su questa collina esordirò come Gianni Bisiach che in un minuto riesce a riassumere un evento. «Un minuto di storia - 21 Aprile 2006 in

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località Capo di Vacca. Qui la terra di San Quintino, nel Sanminiatese, confina con quella di Coiano. Due drappelli di

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guardie svizzere anziane muovono verso Roma. È questa la quindicesima tappa di un cammino che fanno a piedi partendo dalla Svizzera come per sciogliere un voto. Testimone (!) dell’evento è una quercia isolata scelta in concordanza con la Forestale della Provincia di Pisa. Una bella stele di legno a forma di leggio presenta in caratteri aldini la ragione di questa spedizione. Corrono esattamente cinque secoli da quando 150 giovani svizzeri vennero chiamati a Roma da Giulio II° e da lui destinati alla difesa del sacro palazzo.» Quel 21 aprile 2006 c’ero io ad aspettare sotto quella querce il passaggio delle guardie svizzere. Essendo quel luogo appartenente all’area pastorale di una mia parrocchia, fui pregato dalla Curia di benedire gli svizzeri. Indimenticabile incontro a Capo di Vacca. Guardie svizzere sulla via Francigena E ora un amico mi prega di raccontare qualcosa di quell’incontro sul crinale della collina. In quel radioso pomeriggio ero lì in camice con stola e aspersorio. Sotto la querce. Poche persone, due graduati della guardia forestale, un rappresentante dell’amministrazione comunale, una mamma e, presenza che mi fece molto piacere, due bambini. Qualcuno mi disse: «È molto improbabile che le guardie svizzere si soffermino.


Gente determinata ad andare avanti senza perdere tempo: non intendono perdere il riscaldamento dei muscoli, loro.» Invece non fu così. Fecero mezzo cerchio intorno alla querce. Lessi la formula che avevo tradotto da un vecchio rituale: «Accogli, Signore, le nostre preghiere e segui il cammino dei tuoi servi, affinché, superate le difficoltà e i disagi di questo viaggio, possano ritornare a renderti grazie.» All’aspersione piegarono il ginocchio fino a toccare terra. Vollero avvicinarsi per salutarmi singolarmente. Erano in tuta da ginnastica: la griffe era quella di una grande ditta di indumenti sportivi; si vede che c’era stata una lodevole sponsorizzazione per questa spedizione. Nello stringere le braccia di uno di loro volli ricordare una cosa che mi succedeva quando nel 1955 studiavo a Roma. «Quando montavate la guardia alla porta di Santa Marta, se passava un prete in semplice tonaca, voi rimanevate impassibili. Io venivo con la tonaca, il ferraiolo con nastro e cappello Barbisio. Allora voi drizzavate l’alabarda e portavate la mano alla fronte e avevo il vostro saluto. Mi lasciavate passare se volevo entrare in Vaticano...» Lui capì e mi rispose: «Proprio nel 1955 io facevo servizio in Vaticano. Sì, succedeva così.» Sorrise un po’. «E ora torno a salutarti come allora.» Si mise sull’attenti e portò la mano sulla fronte. Ci fu un breve applauso da parte di tutti. Poi ripresero il cammino. 4

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Sotto il titolo: veduta della campagna di Capo di Vacca 1.Targa commemorativa della istituzione della Guardia Svizzera Con la bolla del 21 giugno 1505 Papa Giulio II comunicava agli Stati “Confoederatis Superioris Alemanniae” di avere dato incarico al Canonico Peter von Hertenstein di guidare a Roma 200 soldati svizzeri con il loro capitano Kaspar von Silenen “pro custodia palatii nostri”. Dopo avere valicato le Alpi, attraversato la Lombardia e la Toscana, von Silenen e le 150 reclute entrarono a Roma da Porta del Popolo il pomeriggio del 22 gennaio 1506 Benedette dal Papa in Piazza San Pietro, le guardie iniziarono quel giorno stesso il loro servizio nel Palazzo Apostolico. Nasceva così la guardia svizzera pontificia 2. Giulio II ritratto da Raffaello Sanzio. Fu il Papa che istituì la Guardia Svizzera a difesa del Palazzo Pontificio 3.Testimone dell’incontro a Capo di Vacca era stata scelta questa querce 4. Logo per i 500 anni della Guardia Svizzera Pontificia 1506-2006 5. Guardie Svizzere alla Porta di Santa Marta


mosaico

Territorio

Limite sull’Arno

il

della villa dei Vetti

TEXT&PHOTO Lorella Alderighi, Federico Cantini

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li scavi effettuati dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e dall’Università di Pisa dal 2010 a oggi hanno permesso di riportare alla luce parte di una grande villa tardo antica a Limite sull’Arno (Firenze), in località Oratorio-Le Muriccia; qui verso la metà del IV secolo viene costruito un grande complesso residenziale costituito da una serie di ambienti, tra i quali spicca

Un mosaico con scena di caccia al cinghiale dalla villa dei “Vetti” una sala absidata arricchita da uno splendido mosaico policromo figurato e da pareti affrescate. La villa viene ampliata nel corso del V secolo quando sono realizzati un grande muro di recinzione, due nuovi ambienti e una vasca semicircolare che si doveva affacciare su uno spazio aperto, probabilmente un giardino. Reimpiegata sul fondo di questa vasca, è stata rinvenuta un’iscrizione che ricorda un Vettio Pretestato, che potrebbe essere identificato con Vettio Agorio Pretestato, governatore di Tuscia et Umbria prima del 362 e prefetto a Roma nel 384, anno della sua morte. L’edificio viene probabilmente abbandonato nel corso della seconda metà del V secolo e la villa distrutta, come sembrano suggerire alcune tracce di incendio. I ruderi del complesso furono poi depredati delle parti riutilizzabili, prima di venire ricoperti da strati di sabbia. L’unico pavimento rimasto in posto è quello a mosaico dell’aula absidata, a oggi messa in luce per l’intera larghezza

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di 5 metri e solo parzialmente in lunghezza (4,32 metri). Il mosaico è decorato con un pannello figurato circondato da figure geometriche, racchiuse da una doppia cornice in bianco e nero, composta da denti di lupo e da quadrati disposti a scacchiera. Il quadretto centrale, circondato da una corona di foglie d’alloro, rappresenta una figura maschile a cavallo che, con la lancia impugnata nella destra, ha colpito un cinghiale. Il cavaliere, abbigliato per la caccia, indossa un corto mantello giallo sopra una tunica arancio, trattenuta in vita da una cintura, e impugna nella destra una lancia, la cui grande punta va a infilarsi nella carne del cinghiale, che appare già ferito, con il sangue che sgorga abbondantemente dalla ferita. La raffigurazione riproduce un episodio legato al tema della caccia al cinghiale, molto comune nei mosaici del medio e tardo impero romano. Il motivo viene, infatti, utilizzato per celebrare il valore e la ricchezza del committente, il signore esponente della nobiltà cittadina che si trasferisce nei propri possedimenti. Le immagini sono rese realisticamente con l’uso di tessere in pietra e terracotta. Oltre al marmo bianco di sfondo, infatti,

gli altri colori sono ricavati da pietre locali, tra cui il diaspro rosso, il calcare grigio e quello ceruleo; l’arenaria grigia è, invece, utilizzata per le grandi campiture di colore nero. Con gli stessi colori sono anche realizzate le complesse figure geometriche che circondano la scena di caccia, a imitazione dei pavimenti a lastre marmoree in uso nelle residenze di prestigio insieme a quelli mosaicati. L’eccellente conservazione del pavimento, a eccezione di due lacune provocate dai lavori agricoli realizzati per l’impianto del frutteto, permette di osservarne i minimi dettagli decorativi e di notare, per esempio, l’espediente tecnico per rimediare a un’errata disposizione dei quadrati nel punto di congiunzione tra l’inizio e la fine della cornice che corre intorno al mosaico. I confronti iconografici del pannello figurato e i particolari tecnici, oltre ai dati dello scavo stratigrafico porterebbero a una sua datazione verso la metà del IV secolo o comunque non oltre la seconda metà dello stesso secolo. 1. Lo scavo archeologico con gli studenti della Università di Pisa a lavoro 2. L’iscrizione che ricorda Vettio Pretestato 3. Il mosaico dell’aula absidata 4. Particolare del pannello figurato


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Territorio

Castello di Sammezzano

favo a sa vare

una

da

TEXT Samuela Vaglini PHOTO Alessio Battaglia

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’era una volta, in una località chiamata Leccio nei pressi di Reggello, in territorio fiorentino, un favoloso castello dimora dei marchesi Panciatichi Ximenes D’Aragona, che pareva provenire direttamente dalle pagine de Le mille e una notte. E presto sarà proprio il caso di dirlo “c’era una volta”, perché il castello di Sammezzano sta lentamente ma inesorabilmente cadendo in rovina, preda di vandali, saccheggiatori e dell’incuria dell’attuale proprietà. Un peccato imperdonabile poiché costituisce l’unico esempio di architettura moresca del nostro territorio e una tangibile rappresentazione della moda orientalista che tanto andava in voga nell’Ottocento. La stupefacente bellezza e l’intrigante fascino che questo splendido edificio emana sono ancora oggi vividi e innegabili ma, purtroppo, poco godibili, poiché il castello di Sammezzano è chiuso dal 1999, quando venne acquistato all’asta da una società italo-inglese che non vi ha ancora iniziato i lavori di ristrutturazione previsti. Grazie all’impegno e all’amore delle associazioni del luogo viene riaperto solo una o poche volte all’anno, solitamente in occasione delle feste del paese e della gara podistica che attraversa il parco del castello. Ma ogni occasione di apertura si rivela un successo di visitatori che accorrono

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da ogni dove per poter vedere gli interni del castello dall’incerto futuro. Per capire il castello di Sammezzano occorre conoscerne l’ideatore, l’artefice, l’architetto e il committente, tutti personificati dal marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes D’Aragona di cui il 10 marzo 2013 ricorre il bicentenario della nascita. La famiglia Panciatichi acquisisce in eredità il castello nel 1816 dagli Ximenes D’Aragona che lo avevano acquistato nel 1605, ma la storia della proprietà si perde ancora più a ritroso nel tempo passando dai Medici a Bindo Altoviti, fino alla famiglia fiorentina dei Gualtierotti che lo avrebbe conservato fino al 1488. Nelle sue stanze si narra che sostò anche Carlo Magno nel 780, con la moglie e il figlio, dopo aver incontrato a Roma il papa Adriano I e aver deposto il re longobardo Desiderio che lo seguiva prigioniero. L’aspetto attuale, dunque, lo si deve al Panciatichi che vi lavorò dal 1853 per oltre quarant’anni. Personaggio colto, fantasioso e stravagante, da alcuni ritenuto anche un po’ folle, Ferdinando Panciatichi progetta il palazzo traendo spunti dai suoi

viaggi in Oriente e per il mondo. Viaggi compiuti solo con la mente perché, in realtà, Ferdinando non lasciò quasi mai l’Italia, ma si ispirò alle numerose letture compiute sull’argomento. Inoltre, tutti i materiali e i decori realizzati provenivano dalle maestranze e dalle botteghe di Reggello. Il castello è circondato da un parco di lecci dove il Panciatichi importò e fece impiantare una grande quantità di specie arboree esotiche e rare. Purtroppo solo una piccola parte di queste è giunta fino a noi. Già nel 1890 delle 134 specie botaniche piantate qualche decennio prima ne erano sopravvissute solo 37. Oggi, però, nel parco si trova il più numeroso gruppo di sequoie giganti in Italia: se ne contano 57, tutte oltre 35 metri di altezza. L’ingresso al castello avviene attraverso una piacevole passeggiata nel parco che sbocca in un prato sul quale domina la facciata del palazzo. Il portale, riccamente adornato, richiama il Taj Mahal e il varcare quella soglia proietta di colpo il visitatore in un mondo irreale, fiabesco. La parte nobile si sviluppa al primo piano al quale si accede dalla scala degli specchi che si immette nel “non plus ultra” del castello: sugli architravi delle porte della prima sala che si incontra, infatti, si legge questa insegna voluta dal Panciatichi quasi a preannunciare le meraviglie che aspettano il visitatore.


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Di messaggi nascosti fra gli stucchi e le decorazioni di gusto arabo ce ne sono diversi nelle 365 sale (una per ogni giorno dell’anno) del castello, sia di stampo spirituale che di stampo politico. Ma quel che impressiona è la ricchezza degli stucchi in gesso, la lucentezza dei colori usati, la ricchezza dei marmi, il gioco di luci creato dalle vetrate colorate, nonché il labirintico sviluppo degli ambienti arricchiti di anfratti nascosti e passaggi celati, nicchie, volute e colonnati. Descrivere le meraviglie di questi interni non è facile, ma vale la pena rammentare la Sala dei Pavoni con i soffitti a ventaglio decorati e dipinti come la coda di questo animale, la Sala delle Stalattiti con gli impressionanti stucchi aggettanti, la Sala dei Bacili spagnoli il cui soffitto è stato realizzato incastonandoci catini variopinti provenienti dalla penisola iberica e la Sala degli Amanti con stucchi neogotico-moreschi in bianco e scritte in oro a incorniciare le porte che ricordano i personaggi epici di Clorinda, Medoro, Erminia, Rinaldo, Lancillotto, Ginevra, Orlando, Angelica. Una vita, quella del Panciatichi, quasi interamente dedicata alla realizzazione del castello di Sammezzano, un’opera che molti, al suo tempo, dileggiarono e non presero sul serio. Una vita, quella del visionario marchese, che si spense a causa

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di una paralisi progressiva. Il suo castello sta subendo una sorte non meno triste: gli antichi splendori hanno cominciato a oscurarsi con la chiusura dell’hotel di lusso al quale era stato adibito nel secondo dopoguerra. Molti ancora ricordano con nostalgia i tempi in cui il castello era diventato meta delle villeggiature di lusso di personaggi celebri e potenti, quando dava lavoro a tanti paesani oppure quando era possibile trascorrere i pomeriggi mangiando nel ristoro che era stato allestito nel parco. Mobili, lampadari, rosoni, decori e statue del castello e del suo giardino sono stati rubati, come è accaduto a uno dei leoni piangenti messo a guardia della cripta che avrebbe dovuto ospitare la salma del suo padrone Ferdinando Panciatichi. A essi è legata una misteriosa quanto inquietante leggenda. Si dice, infatti, che una fattucchiera, chiamata al capezzale del Panciatichi in punto di morte, predisse che la medesima sorte del marchese sarebbe toccata a coloro che avessero osato portarli via dal luogo al quale erano stati destinati. Suggestione e magia si confondono con la realtà in questo incantevole tesoro architettonico che il nostro territorio può ancora vantare. Conoscerlo può essere un modo per salvarlo dall’abbandono e, parola mia, ne vale di certo la pena.

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1. Il castello di Sammezzano 2. La sala Rotonda 3. Il Minhar 4. Soffitto della sala dei Pavoni 5. “Non plus ultra” sulla porta della prima sala 6. Una delle sale da bagno 7. Soffitto della sala dei Bacili spagnoli

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Storia

gli

angeli cucina in

il beato Silvestro camaldolese e la beata Paola TEXT&PHOTO Paola Ircani Menichini

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anta Maria degli Angeli a Firenze per secoli fu la prestigiosa dimora dei monaci benedettini camaldolesi. Il convento fu soppresso dal governo francese nel 1808 e oggi l’edificio appartiene all’Università che nel 1940 vi sistemò la Facoltà di Lettere e Filosofia. L’occasione per farne memoria è offerta nel 2012 dalle celebrazioni che l’Ordine camaldolese ha organizzato per festeggiare il primo Millennio di esistenza (1012). Oltre ai personaggi più famosi, ci auguriamo che, negli eventi organizzati, vengano messi in evidenza anche i monaci meno appariscenti e umili, che solo i vecchi libri citano. Tra loro il beato Silvestro e la beata Paola furono esempi di vita perfetta. Il beato Silvestro Cardinali nacque a Montebonello di Pontassieve nel 1278. Battezzato con il nome di Ventura, esercitò dapprima il mestiere di cardatore e poi si vestì frate dell’Ordine del Castagno, dal nome di un romitorio presso la Porta di San Frediano di Firenze. Lasciato l’eremo, si trasferì in un tugurio a Monte Morello dove dimorò in penitenza per sette anni finché, nel maggio 1315, si vestì come converso (monaco non sacerdote) a Santa Maria degli Angeli ricevendo il nome di Silvestro, come monito di umiltà cristiana. In convento fu incaricato dell’ufficio della cucina, nonostante fosse religioso più di meditazione che di lavoro materiale. Pregava continuamente, cantava laudi al Signore e fu visitato tre volte dalla presenza divi1 na nella sua cella. Un giorno i padri, dubitando che il pranzo non sarebbe stato pronto all’ora consueta, lo rimproverarono duramente e gli dissero che non era il tempo di pregare ma di compiere il proprio dovere. Umilmente fra’ Silvestro rispose di non dubitare, di confidare nel Signore, che ogni cosa era a posto. Riporta il Masetti che ciò «si verificò più volte, non essendo mai entrato in cucina. Gli angeli medesimi di ordine di quel Signore, che tutto può, fecero la cucina» e all’ora consueta tutto fu pronto per il refettorio. A Firenze si sparse la noti-

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zia che al monastero degli Angeli cucinavano gli stessi angeli e così avvenne che molti nobili vi si ritirarono per finire santamente i loro giorni; altri contribuirono con somme rilevanti di denaro; altri ancora donarono beni, fabbricarono cappelle e le dotarono. La fama del monastero e della bontà dei monaci crebbe talmente che perfino la Repubblica quando ebbe bisogno ricorse alle loro preghiere. I confratelli, dopo quattro anni di lavoro

in cucina, riconobbero la vocazione di fra’ Silvestro e gli affidarono altri incarichi. Con il tempo ne apprezzarono sempre di più lo spirito di sapienza e giunsero pure a volerlo come priore nonostante non fosse sacerdote. Tuttavia, se non lo fu giuridicamente, lo divenne di fatto e consigliò chi ne aveva bisogno nella vita e nella disciplina. Diceva che la «nullità di sé» era essenziale per conoscere Dio e di non essere solleciti a lodare troppo, ma piuttosto a rimproverare: non

si leggeva infatti che Cristo lodasse molto le virtù, ma semmai come scoprisse i vizi. E quando un frate si adirava con qualcuno diceva: «Non voler adirarti, ma sopportalo; acciocché nella bestialità che elli incorre, tu non incorri; ché in questo chi perde, vince». Un giorno si presentò a frate Silvestro una fanciulla di nome Tinga che abitava nel Borgo Pinti e che in sogno era stata invitata dalla Madre di Dio ad andare a cercarlo agli Angeli. Riconosciutane la vocazione, il buon religioso la fece entrare nel monastero benedettino di Sant’Orsola dove si vestì con il nome di suor Paola perché aveva avuto una certa visione di San Paolo. Le monache però avevano costumi alquanto rilassati e suor Paola soffrì forti persecuzioni, tanto da dover essere trasferita nel monastero di Sant’Ilario. Quando si estinsero le monache benedettine di Santa Margherita di Cafaggiolo, fra’ Silvestro ottenne dal vescovo di Firenze Angelo Acciaioli il monastero, e nel 1331 vi sistemò la ragazza con sei compagne. Paola aveva allora 22 anni. Come scrive lo Stolfi, «era piccola, e grassetta, ebbe un animo dolcissimo». In convento ricevette il dono delle lacrime e molte visioni del Signore. Un giorno Don Pietro Vanni, che si fece monaco nel 1342, le chiese come fosse vestito Gesù da lei tante volte visto. Gli rispose che aveva un mantello azzurro con nastri d’oro tanto risplendenti che sembrava un luminosissimo sole. Suor Paola amava anche la musica e spesso, quando ne aveva desiderio, le appariva un angelo che con uno strumento o con un globo d’oro in mano le faceva ascoltare le melodie del paradiso. Nel 1361 i pisani attaccarono Montughi e Camerata: la beata monaca pregò ardentemente per la difesa di quei luoghi e ne ebbe per risposta dal Signore che lasciasse bruciare tutto perché non vi si faceva altro che del male. Su sua richiesta però fu permesso che solo una vigna dei monaci degli Angeli rimanesse intatta. Nel 1363 i fiorentini si vendicarono e assediarono Pisa. La beata fu portata in spirito


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sopra Porta San Frediano dove vide San Giovanni Battista protettore di Firenze che teneva nella mano sinistra una croce mentre con l’altra benediceva e segnava tutti soldati che uscivano dalla città. In breve arrivò la notizia della sconfitta di tutto l’esercito pisano. Si videro così arrivare a Firenze 20 carri di nobili pisani prigionieri e passare dalla stessa porta di San Frediano. La beata Paola predisse anche l’assalto dei Ciompi dato al monastero degli Angeli il 24 giugno 1378. Diecimila uomini armati superarono ogni difesa, entrarono dentro come leoni e uccisero il priore e due conversi. Portarono via oggetti per il valore di 200.000 fiorini d’oro tra danari, argenti, gioielli e preziosi arredi donati da pie persone. La sagrestia resistette all’assalto perché fu difesa da Vieri dei Medici e da Guido del Palagio giunti in aiuto con molta gente. Cecco da Poggibonsi, che era il capo dei Ciompi, fece poi un monte con tutta la paglia dei sacconi dei religiosi che erano fuggiti, per dar fuoco al monastero. La lampada che era lì presente però si spense. Non avendo altro innesco Cecco andò via con tutti i suoi seguaci. Si disse allora che la Madonna avesse salvato il monastero coprendolo con il suo mantello grazie alla preghiera della beata Paola quando era in vita. Fra Silvestro e suor Paola parlavano sempre di cose celesti e ognuno predisse la morte dell’altro. Il beato camaldolese morì di peste il 9 giugno 1348, dicendo «Verità, Verità»; la sua beata discepola passò da questa vita il 6 gennaio 1368. Il primo si festeggia il 9 giugno ed è patrono dei cuochi; la seconda l’8 gennaio ed è considerata tra i protettori di Firenze. I loro corpi, assieme a quello di un terzo beato camaldolese, Iacopo Geri, entrato a Santa Maria degli Angeli nel 1340 e morto nel 1345, si trovano attualmente sotto l’altare del coro di Camaldoli. Bibliografia: Teatro storico del sacro eremo di Camaldoli... composto dal signore Francesco Masetti, a cura di Pietro Farulli, Luca 1723; Casimiro Stolfi, Leggende di alcuni santi e beati venerati in S. Maria degli Angeli di Firenze. Testi del buon secolo, parte seconda, Bologna 1864; Bibliotheca Sanctorum, 1961, voll. X, 122 e XI, 1071. 1. Lorenzo Monaco, San Benedetto, disegno, Firenze, galleria delle Stampe e dei Disegni degli Uffizi 2. Pietro Francavilla e Bernardino Poccetti, Dio Padre e angeli, Firenze, porta nel secondo chiostro di Santa Maria degli Angeli 3. Giovanni Caccini e Bernardino Poccetti, Madonna con Innocenza e Castità, ivi

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Lo scaffale dei poeti

Milo

De Angelis TEXT Valerio Vallini

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a Parola Innamorata, antologia de I poeti nuovi 1976-1978, uscì, per i tipi di Feltrinelli nel pieno degli anni di piombo e del “compromesso storico”. Non so quanto quei tempi ambigui e carichi di odio abbiano influenzato quella poetica. Da lettore di versi, ricordo di aver annotato i nomi di Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Tomaso Kemeny, Valerio Magrelli. Per De Angelis mi soffermai sui Frammenti di ragione il tempo per sentirne l’inquietudine. No, De Angelis non rientrò fra le mie letture di versi. Neppure quando m’imbattei in Millimetri che pure contiene versi bellissimi. Non mi piaceva e non capivo il perché di una oscurità che sentivo programmata, spiazzante. Probabilmente in quegli anni mi mancava una deguata cultura poetica che è cresciuta con gli anni. Solo più tardi ho compreso che già con Somiglianze, (Guanda, 1976), con suggestioni de Il Magma di Mario Luzi (vedi la poesia Il corridoio del treno) ma fatte proprie e inconfondibili «si segnalò alla critica in modo molto netto, come una delle voci più sicure della nuova poesia degli anni Settanta.» Così accadde per Terra del viso la sua poesia sapienziale, riflessiva su se stessa e nel mondo circostante, spiazzante nella ricerca di una verità oscura, insidiosa, che privilegia la ricerca della consolazione del bello come nella poesia Locativo al risveglio in un compartimento di treno o in una sala d’aspetto: «così mani al risveglio perforano lo spazio/ che tu guardi sugli orologi, invocando/ cose ferme, un filo di ferro, un luchetto/ terra del viso.» L’aver continuato a seguirlo in Distante

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un padre, (Mondadori, 1989), una poesia narrativa e teatrale, che conferma, scrive Antonio Riccardi in Poesia, Anno II, n°3, 1989, «la sicura capacità di far reagire fra loro il momento descrittivo e quello più allusivo, enigmatico, e dare vita ad un mondo poetico affascinante, ricco di sfumature, sempre a ridosso della oscurità di senso.»; averlo riletto anche in Millimetri, Einaudi, 1983, «momenti di tensione estrema per il pensiero e la parola che lo esprime», oggi, dopo la lettura de Il tema dell’addio: una narrazione in versi limpidi «Milano era asfalto, asfalto liquefatto. Nel deserto/ di un giardino avvenne la carezza, la penombra/ addolcita che invase le foglie, ora senza giudizio,/ spazio asso-

luto di una lacrima..../». Credo di aver trovato alcune delle poesie più belle in questi primi anni del decennio 2000. È una storia condensata, penetrante: «Non c’era più tempo. La camera era entrata in una fiala./ ... Una storia di amore in presenza della morte, vissuta con la morte accanto. / Il luogo era immobile, la parola scura. Era quello/ il luogo stabilito. Addio memoria di notti/ lucenti, addio grande sorriso... /...Il luogo era quello. I tram/ passavano radi. /.../ Il luogo era quello. Era lì/ che stavi morendo.» Ma è anche una storia di luoghi, di felici momenti incancellabili, di bellezza. «Quell’ignoto che in pieno giorno/ ci porta via, quella rosa/ affranta che appare nell’unione,/ sua orbita segreta, siamo noi./ Siamo noi il luogo della cronaca/ e il luogo del fiore senza età». Non so quanto questa breve nota potrà invitare il lettore a rivisitare le pagine della poesia di De Angelis. Per me, sto rileggendolo e mi suscita nuove emozioni e riflessioni.

Milo de Angelis è nato nel 1951 a Milano, dove insegna in un carcere. Ha pubblicato diversi libri di poesie: Somiglianze, Millimetri, Terra del viso, Distante un padre, Tema dell’addio, Quell’andarsene nel buio dei cortili. Ha scritto una fiaba: La corsa dei mantelli; un volume di saggi: Poesia e destino. Ha tradotto dal francese e dai classici. Tutta la sua opera in versi è negli Oscar Mondadori con introduzione di Eraldo Affinati.

NOTIZIA


La somiglianza

Erre lunga

Da Millimetri (1983)

Era nelle borgate, camminando in fretta quell’assolutamente oltre che dai libri usciva nella storia radendo le bancarelle, d’estate. Domanderemo perdono per avere tentato, nello stadio, chiedendogli di lanciare un giavellotto perché ritornasse l’infanzia. Non si poteva ma il corpo era noi nell’immagine di un altro, ravvicinato, nel sole volevamo trattenere il nostro senso verso lui in due gesti da rivivere: chi poteva sancire che tutto fosse al di qua? Prese la rincorsa, tese il braccio...

«... tu sei già stato ciò che io, adesso, sono» (Nisargadatta) La collana dei senza gola, il sarto che ci spogliò prima di noi è sempre, è semplice: questo corpo di passante si fa maggioranza, calce intorno all’osso, terra rotta, finché un’altra forza comincia e deve: labbra su spine. Affondando nel molle di una roccia, si ferma tra il nostro bene e il nostro male, ci chiama a un lavoro: carcasse da mettere in fila, fiume intestinale da arginare con le mani. Così ritorniamo in questo paesaggio di tangenziali e candelotti con la stessa sensazione di occhi che cercano un’orbita. Chi tace era un battito della mente sorto in giro, tra uova di luce scossa, puntando il bastone al cielo e all’odio dei pochi.

Non so come la terra

Da Distante un padre

Da Terra del Viso

Il corridoio del treno

Locativo

«Ancora questo plagio di somigliarsi, vuoi questo?» nel treno gelido che attraversa le risaie e separa tutto «vuoi questo, pensi che questo sia amore?». E buio ormai e il corridoio deserto si allunga mentre i gomiti, appoggiati al finestrino «tu sei ancora lì, ma è il tempo di cambiare attese» e passa una stazione, nella nebbia, le sue case opache. «Ma quale plagio? Se io credo a qualcosa, poi sarà vero anche per te più vero del tuo mondo, lo confuto sempre» un fremere sotto il paltò, il corpo segue una forza che vince, appoggia a sé la parola «qualcosa, ascolta, qualcosa può cominciare».

Fili invisibili... si alzano le ciglia e il luminoso sì si riempiono del suono degli altoparlanti, si ripete il suono, di vestito in vestito, contro lo schienale così mani al risveglio perforano lo spazio che tu guardi sugli orologi, invocando cose ferme, un filo di ferro, un lucchetto terra del viso.

Proteggimi mio talismano

La benda fu crivellata ma non gli cadde dagli occhi. Le persiane si chiudevano... sono certo... si chiudevano e nessuno può perdonarle nemmeno adesso, in mezzo ad altri finestrini, pacchi postali. Questo camion. Adesso è buio. Era come se sentisse una sorella divorata, prima di lui, piombo e luce... credo di sì... lei guardava, era strana... era tedesca. L’orologio fu rubato, subito, e poi immondizia su immondizia, gatti presi a sassate, anche loro, come un aneddoto della folla.

Marta abbiamo trovato la cassetta che un mattino nascose nella sabbia, nell’urto, nella tastiera, marta una figura umana non ultimata porta quello che resta del suo accento, ma domandava sempre verso un vetro, ma non c’eravamo e il vestito cadde sull’asfalto marta c’era un segno di scarlattina dove inizia il petto, la doppia giustizia, il doppio abitacolo, la madre di piuma che noi lasciamo.

Colloquio con il padre I prigionieri, hai detto, trovarono un varco nella cella. Alcuni morirono assiderati, di notte. Altri invece, bruciando i loro vestiti, si salvarono. Ma perché la sentinella tacque? È vero che sparò solo sui morti?

Non so come la terra si calma in un rettangolo pietre anch’esse queste ghirlande di dita in tuffo dove c’è un luogo tra la seggiola e i faggi, paladini che ora sono canna tra mille canne è ardimento scegliere lì l’avventuriero amico ogni volta tocchiamo lì la mano una tra mille. Anche la risaia ha un ciuffo che salpa e anche la scorta con i chiavistelli si fa animale e fibbia di girasole. Punteggio nel centro del fazzoletto esso chiama i consanguinei: hanno carne bianca di aragosta e cappelli a due punte, nel mulino di setaporta impugnando una cera scura, molle, una liquirizia.

Da Quel lontano di noi Quell’ignoto che in pieno giorno ci porta via, quella rosa affranta che appare nell’unione, sua orbita segreta, siamo noi. Siamo noi il luogo della cronaca e il luogo del fiore senza età.

Da Hotel Artaud Divina e distratta, sospinta da una lieve brezza, ti sdrai, giochi con le lenzuola, ti atteggi, sussurri, imiti movenze, ripeti che la notte è incantevole a Brera. Ogni silenzio è dissolto, tutto parla una lingua di merletti e sceneggiati, un astuto sortilegio, un assolo che finisce sul bordo degli hot pants.

Camminavi con la coscienza del sangue e l’attimo strappato al suo giorno, mia arcera, mia trafitta che ogni notte ti accendi nel cielo ora che il corpo si è fatto musica delle sfere, voce consacrata, silenzio.

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Nick chela fenomenale

seconda parte

Racconto

e la

TEXT Matthew Licht

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o Spettacolo da Primato Mondiale di Nick ebbe un successo senza precedenti. Grazie a lui, il circo del signor Pappas divenne subito il circo più famoso del mondo. Persone importanti venute da Hollywood si presentarono per offrirgli ruoli in film horror. Il presidente della ditta Botti & Barili S.p.A. gli propose un contratto per fare pubblicità a un nuovo modello di barile anti-schiacciamento. Belle ragazze gli chiedevano un autografo. L’imponente gigante di un circo rivale lo sfidò a un duello di braccio di ferro dal vivo in TV. Volarono tappi di spumante, scattarono tanti flash e fuochi d’artificio, il pubblico acclamava, applaudiva. Era la più bella serata della sua vita. La mattina seguente però, Nick chiese a un manovale del circo di dargli uno strappo in centro. Dovettero usare una gru meccanica per sistemare Nick ed il suo braccio-chela sul retro di un camioncino. Guidarono fino all’ospedale. Nick entrò da solo, facendo rotolare il braccio-chela su d’un carrellino. Chiese alla bella infermiera dell’ambulatorio se un dottore gli poteva asportare il braccio. «Non è una richiesta che ci viene fatta tutti i giorni» disse lei. Sono piuttosto flemmatiche, le infermiere. Un medico esaminò Nick. «Ora…questo braccio-chela è certamente bello grosso, – disse – Ma si tratta d’un arto sano. Fa parte di te, giovanotto. Un intervento chirurgico comporta sempre certi rischi. Ciò a parte, questo bracciochela ti ha reso

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famoso. Il braccio-chela ti distingue dalla gente comune ed è il tuo mestiere, ci guadagni il pane. Sei proprio sicuro di voler rinunciare a tutto questo?» «Ne sono sicuro, – rispose Nick. – Nella mia mente non vi è alcun dubbio». «Beh…in tal caso, non c’è più nulla da dire». L’intervento d’amputazione non durò a lungo. Quando Nick si risvegliò dall’anestesia, sentì dolore. Gli girava anche la testa, ma si sentiva più leggero dell’aria. Non si era mai sentito così. Era indescrivibilmente felice. Ringraziò il dottore. Poi gli chiese cosa avesse fatto del braccio-chela. «Oh, quello… – bofonchiò il dottore – Visto che non ti serviva più… pensavo di farne, cioè… ehm, uhm, una ricerca scientifica… vedi, per i libri di medicina». In realtà, il dottore aveva in mente una cena pantagruelica a base di astice per tutto il personale dell’ospedale, ma naturalmente non volle farlo sapere al paziente. «Signor Dottore, mi scusi, ma vorrei riavere il mio braccio, se non le spiace. È una cosa personale, capirà». Non proprio volentieri, il dottore acconsentì. Il manovale del circo aiutò Nick a riprendere il braccio-chela. Era avvolto in un drappo ospedaliero del colore della schiuma di mare. Lo caricarono sul camioncino. Nick aiutò il manovale come poteva col braccio sinistro. Poi per la prima volta montò davanti, accanto al guidatore, e tornarono al circo. Quella stessa notte, Nick si fece prestare un carrello dall’uomo che puliva dietro gli elefanti. Tirandoselo goffamente dietro, portò la sua enorme chela d’astice fino alla fine del lungo pontile, tolse la tela da ciò che era stato il suo braccio destro e lo scaricò in mare. La chela fece splash! Apparve una nuvola di bollicine sulla superficie


dell’acqua. Passò un’onda e il mare riassunse il solito aspetto. Nick aveva la strana sensazione di fluttuare piano verso il fondo insieme al suo braccio-chela. Quando un astice perde una chela, gliene cresce un’altra. Nick non era un astice. Non gli crebbe un’altra chela. Ma non ne era per nulla dispiaciuto. Però una mattina, quando si svegliò, trovò un braccio destro attaccato alla sua spalla destra, cioè al posto usuale per le braccia destre. Non aveva sentito proprio nulla, mentre dormiva. Gli ci vollero alcune settimane per abituarsi ad avere due braccia. Dovette imparare daccapo tante cose, ma ne valeva la pena. Nick non capiva ciò che gli era successo, ma era felice. Non voleva sprecare tempo cercando di arrivare al perché. Gli rimase un pensiero. Era possibile che la chela avesse fatto ricrescere addosso a sé un nuovo, gigantesco corpo d’astice? Qualche anno dopo la misteriosa apparizione del suo braccio destro, Nick lesse su un giornale di un vecchio capitano di mare che aveva avvistato un mastodontico astice sotto la sua barca, il Delfino Verde. C’era una foto del capitano. Aveva capelli bianchi, barba bianca e un simpatico sorriso. «Tutti qui mi prendono per un vecchio pazzo, – diceva – ma so benissimo quel che ho visto. Magari l’avessi preso, quel asticiaccione… ma non ho una trappola abbastanza grande. Non ce l’ha nessuno, una trappola così. Quell’astice era un vero mostro. Perdiana! Solo una delle sue chele stazzava certo più di cento chili!» L’avvistamento era avvenuto, lesse Nick, a poche miglia marine dal posto dove lui aveva sepolto in mare il braccio-chela. Nick decise di non tornarci mai più, in quel posto. Era contento che l’astice gigante che aveva immaginato era vero e vivo, ma non ci teneva molto a incontrarlo. Perché… tu forse vorresti trovarti davanti ad un astice lungo dieci metri?


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Nel Parco è un racconto doppio, nato da un gioco letterario. La stessa scena è vista dai diversi punti di vista dei protagonisti. In origine, era un racconto di Letizia Grazzini e descriveva prevalentemente il punto di vista femminile. Poi Graziano Bellini ha cercato di immaginare le emozioni di lui, lasciando inalterate alcune frasi del racconto originale. Stesso luogo, stesso tempo, due visioni diverse della stessa storia. Le foto realizzate per il racconto sono di Letizia Grazzini

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ei è seduta sulla panchina, si gusta silenziosa il suo pranzo sotto l’ombra di un albero, MP3 sintonizzato su Bon Iver. Lui cammina svogliato, accigliato, stanco, fissando il cellulare. È agosto, caldo torrido e silenzio. Nessuno è in quel parco a quell’ora, con quella temperatura. Unico rumore di sottofondo: foglie, vento e una TV accesa da qualche parte. Lui cammina e guarda in basso, Lei è seduta e fissa le foglie sopra la sua testa. La prima a girarsi è Lei: scruta il paesaggio intorno e il suo sguardo si posa sul ragazzo poco lontano da lei, l’unico essere umano nei paraggi. Lo guarda un po’ e poi si gira dall’altra parte: non vuole farsi beccare a fissarlo. Stavolta è Lui a vederla: alza involontariamente la testa, gli cade l’occhio sulla ragazza poco lontana da lui, l’unico essere umano nei paraggi. Non riesce a smettere di guardarla: la trova dolcemente meravigliosa e dannatamente intrigante. Non sa cosa fare, non sa se andarle incontro, parlarle, dirle che è irresistibile e dimenticarsi gli impegni vari che lo aspettano oppure far finta di nulla, tirare dritto e riprendere la routine. di Letizia Grazzini Lei si è accorta di lui, si sente osservata: sente lo sguardo deciso e dopo un leggero fastidio iniziale, vorrebbe che Lui le andasse incontro. Lo vede con la coda dell’occhio: è lì immobile, indeciso. «Forse non sta guardando me, forse mi sto immaginando tutto», pensa Lei. Non resiste, deve guardarlo, deve capire, la curiosità regna sovrana. Gira lentamente lo sguardo verso di lui, inclinando la testa, mentre Lui la sta già fissando: gli occhi s’incontrano per un attimo che sembra immenso. Lei ritira lo sguardo, sorridendo. Lui sente il cuore pulsare in ogni angolo del suo corpo e la mani sudare. La scelta spetta a Lui: l’uscita del parco è proprio vicina alla panchina dove siede Lei. Rimane fermo ancora un po’ fissando la panchina e l’uscita, poi ricomincia a camminare. Lei non sa fino all’ultimo se si avvicinerà o se ne andrà. «In fondo sono sopravvissuta finora senza conoscerlo, magari è pure antipatico, anzi magari dovrei andare» pensa lei, improvvisamente nervosa. «In fondo non sono sicuro che voglia che vada da lei, mi ha guardato, è vero, ma per un attimo e non significa nulla» pensa lui, improvvisamente dubbioso. L’uscita del parco si avvicina, insieme ai suoi capelli profumati e mossi dal vento. È veramente bella. Lo vede indirizzarsi leggermente verso l’uscita. Nota che ha smesso di guardarla e non va verso di lei. Il cuore si ferma un attimo, la speranza è che si avvicini: Lei ormai non desidera altro. Non lo vede più con la coda dell’occhio. Lui l’ha fissata per tutto il tempo, però nell’indecisione ha puntato per l’uscita del parco. Smette di fissarla, rassegnato, e cerca di uscire. È già sul marciapiedi quando il suo corpo si rifiuta di compiere movimenti: davanti a sé la città, il frastuono, il lavoro, il cellullare, le e-mail che arrivano insistenti; dietro a sé un parco silenzioso, ombreggiato, quasi fresco e una ragazza carina, su una panchina, che gli ha sorriso leggermente. Ci mette un attimo a cambiare idea e torna dentro il parco. Lei è sempre sulla panchina, sta guardando una foglia vicino ai suoi piedi, pensierosa. Lui rimane un secondo fermo dietro di Lei senza farsi vedere: la osserva con occhi attenti, testa inclinata. Poi finalmente sorride tra sé e sé e le va incontro. Lei è seduta sulla panchina, si gusta silenziosa una bottiglia d’acqua fresca sotto l’ombra dell’albero, MP3 ancora sintonizzato su Bon Iver. Lui appare alla sua destra, la guarda disinvolto e facendo finta di nulla si siede accanto a Lei, come se fosse solo interessato al fresco. Lei rimane sorpresa: posa la bottiglia d’acqua che perde goccioline di condensa ovunque e lo guarda sorridendo, con aria amichevole. Lui impazzisce per quel sorriso e lo ricambia. Lei torna a fissare le foglie e con uno sguardo malizioso si toglie le cuffie. Lo guarda, è bellissimo. Lui continua a fissarla, sorridendo. La prima a parlare è Lei: «Piacere, Giulia». Lui si toglie gli occhiali da sole, sorride di nuovo: «Il piacere è tutto mio». Rimangono così, sorridenti e spensierati a fissare le foglie. E mentre il mondo attorno a loro sembra immobile, il tempo scorre e nessuno dei due ha voglia di abbandonare quella panchina nel parco.


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pa rco

ui cammina svogliato, accigliato, stanco, fissando il cellulare. È la seconda volta che attraversa quel parco da quando ha scoperto che è una scorciatoia per arrivare agli uffici dell’Inps per la domanda di invalidità di suo padre. Fa caldo, la gente è in ferie, come al solito fuggita dalla tristezza della città. Il parco è vuoto e il silenzio è rotto solo dal rumore troppo alto di un televisore di Graziano Bellini proveniente dalle finestre di un palazzo. Lui cammina e guarda in basso. Quando per un attimo alza lo sguardo, la vede. Lei è seduta sulla panchina e guarda rilassata le chiome degli alberi. Ha le cuffie. Vorrebbe sapere che musica sta ascoltando. La vede solo di profilo ma è rimasto stordito. Accade. Raramente, ma accade. E quando accade non sei più te a guidare il tuo destino. Lui abbassa la testa quando vede che lei sta girando lo sguardo dalla sua parte. Non vuole che si accorga che la sta guardando. La trova dolcemente meravigliosa e dannatamente intrigante. Fra lui e quella panchina adesso ci saranno 20 metri, 30 passi. Non sa cosa fare, non sa se andarle incontro, parlarle, dirle che è irresistibile e dimenticarsi gli impegni vari che lo aspettano oppure far finta di nulla, tirare dritto e riprendere la routine. Forse lei si è accorta che lui la sta guardando. 20 passi. Non sa che fare. Non sa se andare da lei o puntare dritto verso l’uscita del parco, lì vicino. Lei è a testa bassa e sembra assorbita dalla sua musica, ma lui sente che lo sta guardando, se non con gli occhi, con il pensiero. Non è presunzione, non sa perché pensa che sia cosi. È una sensazione. È un pensiero che arriva senza averlo pensato. 10 passi. Ancora un piccolo passo lento e poi si ferma. Non comanda più i suoi movimenti. Adesso è lì fermo nel mezzo alla piccola strada del parco, a 9 passi da quella panchina e da quella ragazza sconosciuta e tutto questo è terribilmente imbarazzante. Lei si è accorta di lui, si sente osservata. Lui non riesce a ripartire. Vorrebbe andare lì e dirle semplicemente «Ciao, stavo scommettendo con me stesso che stai ascoltando una canzone che piace anche a me». E invece niente. Lei allora gira lentamente lo sguardo verso di lui, inclinando la testa, mentre lui la sta già fissando: gli occhi s’incontrano per un attimo che sembra immenso. Lei ritira lo sguardo, sorridendo. Lui sente il cuore pulsare in ogni angolo del suo corpo e la mani sudare. È più bella dei suoi sogni. Non ha visto altro che i suoi occhi, non ha potuto staccare lo sguardo dai suoi occhi. Ma sa che tutto il resto è di sicuro bellissimo. Riprende a camminare lentamente. Adesso deve decidere. Adesso. Solo 5 passi. Poi deve decidere. Lei è solo una visione, una ragazza sconosciuta che lo ha colpito, ma è accaduto qualcosa di nuovo, di devastante. È confuso. Sa che lo sguardo di prima potrebbe essere un gesto di complicità. Ma se non fosse cosi? Se fosse colpa della sua indole maledettamente appassionata ai segnali, che lo porta a vedere cose che non esistono? L’uscita del parco si avvicina, insieme ai suoi capelli profumati e mossi dal vento. Lei è veramente bella. Si dirige verso l’uscita abbandonando lo sguardo su di lei e fissando di nuovo le proprie scarpe. Adesso è sul marciapiede di una strada semivuota. Ha fatto pochi metri fuori dall’uscita del parco e il suo cammino si ferma. Ancora una volta non è lui a decidere. Sente i rumori del centro in lontananza, sa dei suoi impegni. Ma non conta più niente. Accade, e quando accade anche l’imbarazzo non c’è più. Quando accade sai esattamente cosa fare. Torna indietro con cuore che gli batte a mille pregando che lei sia ancora là. I tessuti delle tempie bruciano da dentro a causa delle forti pulsazioni che gli arrivano. Lei è sempre sulla panchina, sta guardando una foglia vicino ai suoi piedi, pensierosa. Lui rimane un secondo fermo dietro di lei senza farsi vedere: la osserva con occhi attenti, testa inclinata. Poi finalmente sorride tra sè e sè e le va incontro. Lei è seduta sulla panchina, si gusta silenziosa una bottiglia d’acqua fresca sotto l’ombra dell’albero, le cuffie ancora saldamente collegate. Si avvicina a quella panchina che sembra per lui un’oasi nel deserto, prima velocemente, poi rallenta i suoi passi. Si siede accanto a lei cercando di dare un senso di improbabile casualità a quel gesto. Lei rimane sorpresa: posa la bottiglia d’acqua che perde goccioline di condensa ovunque e lo guarda sorridendo, con aria amichevole. Lui impazzisce per quel sorriso e lo ricambia. Lui impazzisce per i segnali. Lei torna a fissare le foglie e con uno sguardo malizioso si toglie le cuffie. Lo guarda. È bellissima. Sì, lo pensa ancora una volta. Lui continua a fissarla, sorridendo. «Piacere, Giulia». «Il piacere è tutto mio». Poi sorridono. Si parlano. Guardano il sole filtrare fra le foglie. E nessuno dei due, ancora oggi, ha mai abbandonato quella panchina nel parco.


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a cura di Angelo Errera

GIALLO

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jällbacka è un paesino della Svezia, piccolo centro sulla costa dove gli inverni scorrono lenti e rigidi. Ed è proprio nel periodo in cui l’inverno sta per finire che un membro della giunta comunale tenta di attirare l’attenzione su questa anonima cittadina proponendo l’idea di creare un reality show. Una ripresa diretta della vita, con telecamere piazzate dovunque a filmare luoghi e persone che saranno seguite da migliaia di spettatori. Il progetto viene approvato ed ecco arrivare la troupe incaricata delle riprese, il cui produttore non mancherà di creare e alimentare gli scompigli che si creano tra i concorrenti. Il trambusto mediatico rischia però di assorbire anche le risorse della polizia, e l’ispettore Patrik Hedström, già distratto dai preparativi per il suo matrimonio con Erica, è in affanno per la morte di una donna in un tragico incidente. Le dinamiche sono sospette, le indagini riconducono a un fatto analogo successo qualche anno prima e sarà proprio Patrik, in questa grande confusione, a trovare degli indizi preziosi e un collegamento con degli omicidi accaduti in passato in varie località della Svezia, accuratamente sopiti e occultati dagli abitanti, indizi che riportano ad un elemento comune: accanto a ogni cadavere veniva infatti ritrovata una pagina della favola di Hänsel e Gretel.

L’UCCELLO DEL MALAUGURIO di Camilla Läckberg - Edizioni: Marsilio

RACCONTO

E

dith Pearlman è stata scoperta e resa celebre a settantacinque anni in un solo atto e per la prima volta esce in Italia con questa raccolta intitolata Visione binoculare: libro rivelazione del 2012 vincitore del National Book Critics Award e il Pen/Malamud Award. Una serie di racconti sapientemente descritti con straordinaria acutezza di spirito e totale padronanza di linguaggio, ma anche con instancabile e lucido ottimismo. Una raccolta di vicende ambientate tra Gerusalemme, la Russia zarista, l’America Centrale, la Londra dei bombardamenti nazisti, per passare dall’Europa fino a raggiungere Manhattan, i sobborghi di Boston e le coste del Maine. Storie appassionanti ornate di veri sentimenti sono abilmente raccontati dall’autrice, che narra di situazioni amorose tra due cugini adolescenti, del pericolo che incombe sul figlio di una coppia benestante, di un’anziana coppia che decide di darsi a piccoli furti nei negozi. Storie diverse che con maestria si susseguono con sorprendente continuità tanto da definire il libro un gioiello di un maestro della short story contemporanea. Edith Pearlman è nata nello stato americano del Rhode Island nel 1936, ha vinto tre O. Henry Prize, i suoi racconti sono apparsi nelle migliore riviste letterarie e nelle più famose antologie americane.

VISIONE BINOCULARE di Edith Pearlman - Edizioni: Bompiani

RACCONTO

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101 racconti qui presentati intendono fare chiarezza sulla ricca cultura Maya, fiorita tra selve inestricabili e altipiani tormentati da terremoti ed eruzioni, e rivelarne tutti gli aspetti ancora poco noti. Fino a poco tempo fa il popolo maya era considerato un popolo pacifico, abile nell’osservazione degli astri, oggi con l’avvicinarsi della fine del suo calendario, coincidente con il 21 dicembre 2012 e l’incombere di una profezia sulla fine del mondo, ci rende molto più ostili nei suoi confronti e spesso l0 descriviamo come una civiltà di guerrieri inarrestabili ossessionati dal tempo. Nel libro sono descritti racconti di piramidi altissime scoperte da avventurieri, sovrani costretti a donare il proprio sangue, eserciti di moderni “conquistadores” che scavano tra le rovine con la dinamite, storie di cannibalismo, di riti e di sacrifici umani. Dalla preistoria al colonialismo, un racconto in parte inedito che espone le scoperte archeologiche recenti, ma anche le teorie della New Age e della fantarcheologia: la vicenda dei Maya finalmente narrata a tutto tondo.

101 STORIE CHE DOVRESTI CONOscere PRIMA DELLA FINE DEL MONDO di Vincenzo Reda - Edizioni: Newton Compton


RICETTE

È

il libro di ricette che tutti i toscani hanno chiesto alle loro nonne, ricette che nascono in casa con semplicità e che vengono arricchite dalla fantasia. Sì, perché se c’è un merito che distingue la cucina toscana da ogni altra scuola gastronomica è quello dell’essenzialità, della semplicità, della parsimonia; quindi anche le ricette debbono essere spiegate in maniera essenziale, sintetica, asciutta, senza tante sbrodolature né tanti paroloni. 145 ricette, partendo dagli antipasti per arrivare agli spuntini e alle merende, non mancano ovviamente i grandi secondi di carne come bistecca e rosticciana, e poi ancora i dessert, passando per le classiche pastasciutte e i tortelli di patate al sugo. Fabrizio Baroni, fisico fiorentino vegano racconta i piatti della tradizione toscana, un patrimonio inestimabile, soprattutto per questa terra, dove la tradizione della buona cucina casalinga è ancora tanto vigorosa da imporsi come un modello anche in ristoranti e trattorie. Il libro è arricchito da un testo introduttivo del nutrizionista Fabio Norcia, il quale ribadisce che ogni ricetta è spiegata in maniera asciutta ed essenziale, con quella semplicità che ha reso famoso il grande Pellegrino Artusi, facendosi comprendere da chiunque al primo sguardo.

LE RICETTE DELLA MI’ NONNA di Fabrizio Baroni - Edizioni: Sarnus

STORIA

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a Toscana è una regione ricca di santuari. Oggi ma soprattutto in passato è stata centro di pellegrinaggi a piedi, tra le sue colline, alla scoperta di una storia antica, che mescola la tradizione al sacro, la religione alla devozione familiare. In Pellegrinaggi in Toscana sono stati raccolti tutti questi percorsi descrivendo ogni santuario con pratiche schede che permettono di ricostruire la tradizione culturale e locale legata a questi luoghi sacri. Nel libro si trovano per ogni santuario, le indicazioni per raggiungerlo, una breve descrizione storica, le festività e i periodi dell’anno di maggiore afflusso dei pellegrini. Infine sono indicati dei consigli sulle strutture di accoglienza che si possono trovare nelle vicinanze accompagnati da pratiche mappe che ricostruiscono visivamente i percorsi a piedi. Edito da Libreria Editrice Fiorentina, è un libro che si propone di dare voce a quei luoghi di spiritualità rievocando tradizioni e culture locali. L’autore Rodolfo Malquori ha voluto in tutto questo esaltare la figura del pellegrino, colui che affronta un lungo cammino rimettendosi alla Provvidenza affrontando paure e ostacoli che la strada presenta. Nel viaggio ci sono imprevisti che mettono continuamente alla prova colui che lo affronta, spingendolo ogni volta a trovare la forza di voltare pagina, di cambiare, di convertirsi.

PELLEGRINAGGI IN TOSCANA di Rodolfo Malquori

Edizioni: Libreria Editrice Fiorentina

RACCONTO

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apore di Sale è il primo libro di questa insegnante della provincia di Pisa. Sono sette racconti ambientati in una non precisata isola dell’arcipelago toscano; sette storie legate insieme dall’interesse verso l’universo familiare, racconti di quelli che sono i sogni, ma più spesso i drammi e le delusioni: contrasti, litigi, solitudini che nascono e maturano nel rapporto tra i coniugi, ma anche tra genitori e figli e più in particolare tra madri e figlie. Sono le donne quelle che subiscono di più, che osano di più e che vivono il rapporto coniugale come una sorta di prigione che genera una voglia di evasione e di riscatto, ma che puntualmente fallisce poiché nel libro nessuno sembra capace di sottrarsi a un destino avverso. Il titolo del libro intende sottolineare l’amarezza che rimane in bocca dopo ogni storia di delusione e vuole ricondurre a luoghi selvaggi ed estremamente belli che possano fare da sfondo a questi racconti così delicati, romantici e profondi. Alla fine di ogni storia resta comunque un po’ di amarezza, di frustrazione, di delusione, che portano il lettore a sorprendersi e seguire vicende e riflessioni che è difficile non sentire sue.

SAPORE DI SALE di Laura Fantozzi - Edizioni: Albatros

RACCOLTA

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uesto libro raccoglie i migliori racconti della terza edizione del concorso letterario ArtediParole, ideato dallo scrittore e critico Gianni Conti, riservato agli studenti delle scuole superiori di tutta Italia. In totale sono state centocinquanta le scuole coinvolte e più di cinquecento tra ragazze e ragazzi, provenienti da tutte le regioni, che hanno scritto di Solitudine. I primi classificati al concorso sono stati raccolti in questo libro, sono racconti di alta qualità, idee brillanti e originali, che delineano una sorprendente maturità e la capacità di spaziare tra diversi registri espressivi con padronanza. I protagonisti di questi testi sono personaggi affranti e malinconici che spesso vivono storie crude e toccanti alternati anche a sentimenti positivi. Il concorso patrocinato dalla casa editrice Pagliai/Polistampa di Firenze con il contributo del Comune e della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato, è organizzato dall’Isis Gramsci-Keynes e dal Salotto letterario Conti e vanta una giuria composta da giornalisti, scrittori e critici di rilievo del panorama nazionale, che ribadiscono che la partecipazione al concorso non è invano poiché gli esordienti li fa esordire davvero.

SOLITUDINE - 15 storie under 20 - a cura di Gianni Conti prefazione di Francesco Recami - Edizioni: Mauro Pagliai Editore 51


Cinema

Nelle foto: Catherine Deneuve; Pierce Brosnan; la giuria di Venezia 69; Marco Bellocchio; il leone d’oro Kim Ki-Duk; Marina Abramovic; Spike Lee; Pierfrancesco Favino; Mira Nair

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Venezia 69

Pietà oro leone d’

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e emozioni non sono mancate nella cerimonia di chiusura della 69a Mostra del cinema di Venezia condotta dalla madrina Kasia Smutniak e neppure gli imprevisti. Nei sessanta minuti della cerimonia si è sudato freddo, se andava ancora avanti, chissà cosa altro poteva succedere oltre a uno scambio di premi mai visto nella storia, con tanto di caduta in terra del sacro pesante leone. Niente male anche quando il regista Kim Ki Duk ha annunciato di voler cantare per ringraziare il pubblico per il Leone d’oro, meritato c’é da dire, per il suo film Pietà, storia di un aguzzino che gira per le degradate strade di una città nel sud della Corea amputando gli arti a chi non paga in tempo i debiti contratti con gli strozzini. La vita dell’uomo cambia quando alla sua porta bussa una donna che dice di essere la madre che da piccolo lo abbandonò. Tra situazioni estreme di violenza e di sesso, in cui compaiono anche scene incestuose e uno stupro, per l’uomo comincerà un cambiamento interiore che lo porterà alla scoperta del sentimento della pietà, appunto. Pietà è un’opera contro il capitalismo selvaggio, e sul modo in cui il denaro abbia preso, scavancandoli, il posto dei sentimenti. È solo con la riscoperta di un’emotività, che nel film coincide con la prima affettività, quella materna, che a guidarci potranno essere compassione, amore e altruismo e non il denaro. Ciò che più cattura del film, oltre al forte impatto di alcune scene che però non risultano mai forzate o create solo per scioccare ma si integrano perfettamente nella storia, è che nulla è ciò che sembra, né si segue un percorso presta-

bilito. I ruoli vittima-carnefice si ribaltano, e i sentimenti di pietà e vendetta si rincorrono, alternandosi anche nella mente dello spettatore. Per quanto riguarda gli altri premi il premio Luigi de Laurentiis va al turco Ali Aydin per Kof, quelli di Orizzonti con il nostro PierFrancesco Favino cerimoniere elegante, il premio a Daniele Ciprì per la fotografia del suo film È stato il figlio e di quello di Marco Bellocchio Bella Addormentata con i ringraziamenti di rito ai produttori e la dedica a due persone che non ci sono più, suo fratello e «un grande artigiano», Marco Onorato.

Al regista sudcoreano Kim Ki-duk il premio per il miglior film. Leone d’argento a The Master di Anderson, che ottiene anche i riconoscimenti per gli attori Sale sul palco Olivier Assayas, premiato per la sceneggiatura del suo Apres Mai sul post ‘68 francese, e ringrazia la giuria: «sono molto emozionato, per me questo è un film molto personale. Dedico il premio ai giovani e alla tanta fede con cui hanno partecipato a questo film». Emozionato e tanto è pure Fabrizio Falco: vince il premio Marcello Mastroianni per l’attore emergente, ringrazia i registi che lo hanno diretto, Ciprì ”«che mi ha scoperto» e Bellocchio «che ha creduto in me» e con generosità dedica il riconoscimento ai giovani attori

«che come me credono in questo lavoro e lo fanno con umiltà». La serata s’infiamma con il primo colpo di scena: non ha fatto il red carpet, nessuno lo dava in arrivo a Venezia, sembrava infatti che per The master fosse in arrivo solo il produttore Harvey Weinstein, invece il grande Philip Seymour Hoffman ha fatto in tempo ad arrivare. «Sono sceso cinque minuti fa dall’aereo, non giudicate il mio vestito, mi sono appena cambiato in bagno - ha detto trafelato, giunto da Toronto all’aeroporto Marco Polo mentre cominciava la cerimonia - Joaquin Phoenix avrebbe voluto essere qui. Joaquin è una forza indomita e io non ho fatto altro che cavalcare la sua forza, ma lui è indomabile». A entrambi, il premio è meritatissimo, la Coppa Volpi maschile e la platea si spella le mani. Un attimo dopo Mann e la madrina Smutniak lo richiamano per consegnargli il premio speciale della giuria, Philip Seymour Hoffman torna indietro sul palco: «Conosco Anderson da 20 anni, siamo stati insieme in 5 film ed è un amico, è il migliore regista ed è una fortuna per me lavorarci». La cerimonia va avanti, si annuncia il Leone d’Argento a Paradise: Faith dell’austriaco Ulrich Seidl: sale sul palco, felice, ringrazia. Ma il Leone d’Argento non è per lui, Laetitia Casta interrompe e chiede lo scambio dei premi: a Hoffman va il Leone d’Argento di Anderson, all’austriaco il premio. All’attore americano per la confusione cade la bestia d’argento per terra: la platea si emoziona. Poi il leone d’oro a Kim Ki Duk, gli applausi sono scroscianti, la canzoncina una novità di scaletta che lascia esterrefatto Mann. Il presidente Baratta dichiara chiusa la mostra, “evviva la 70a.

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni e Giampaolo Russo

Il palazzo del cinema

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Spettacolo

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i s s e c c u s lunari

TEXT Irene Barbensi

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rande soddisfazione tra gli organizzatori della rassegna 11 Lune per l’ottimo risultato dell’edizione 2012. Numerosi gli spettatori che ogni sera hanno occupato gli spazi dell’Anfiteatro Fonte Mazzola nel corso degli undici appuntamenti, grande successo anche per l’ultima serata della manifestazione, lo scorso 29 luglio, con lo spettacolo Provaci ancora Sam! per la regia di Andrea Buscemi. Quasi 2.000 persone hanno assistito alla commedia che ha visto protagonista la Compagnia PeccioliTeatro. Per il Sindaco di Peccioli, Silvano Crecchi, «la Compagnia PeccioliTeatro è sicuramente una realtà consolidata che ci onora e ci qualifica quale realtà teatrale territoriale e istituzionale poiché non solo favorisce la cultura ma la produce direttamente con contenuti di qualità che ormai da più parti vengono riconosciute». Grande la soddisfazione anche di Renzo Macelloni, presidente di Belvedere S.p.A., che ha sottolineato come, in un momento di forte crisi, gli spettacoli a pagamento hanno registrato tutto esaurito, superando le 1.300 presenze ogni sera e tutte le aspettative. Dichiara inoltre che «a conclusione della Rassegna possiamo dire con molta soddisfazione che 11 Lune è da considerarsi una realtà consolidata. È stato raggiunto l’obiettivo prefissato di diventare un festival a livello regionale contribuendo in questo modo a veicolare un’immagine positiva del nostro territorio e del nostro Comune». La serata si è conclusa con la FestaAlChiarDiLuna in cui è stato possibile degustare vini gentilmente offerti da Palati divini Eccellenze di Toscana nel Mondo di Elisabetta Sartini. I vini sono stati accompagnati da pasticceria fresca della Pasticceria Antica Piazza di Forcoli. 11 Lune e la Fondazione Peccioliper hanno espresso inoltre la propria solidarietà alle zone colpite dal terremoto in Emilia offrendo degustazioni di Grana Padano. Un bilancio, quello dell’edizione 2012, che supera di gran lunga tutte le aspettative e conferma 11 Lune come uno degli appuntamenti più attesi dell’estate toscana. Tra gli elementi che hanno garantito lo straordinario successo di pubblico, la scelta di un cartellone di alto profilo culturale,

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con protagonisti della scena nazionale e internazionale come Gino Paoli, Buena Vista Social club, Ale e Franz, un importante richiamo e legame con le tradizioni e storie locali. Degno di nota anche il grande impegno organizzativo della Fondazione Peccioliper che ha consentito di ospitare all’Anfiteatro Fonte Mazzola un pubblico così numeroso e ha garantito un’ottima qualità dei servizi e un’accorta gestione degli spazi interni ed esterni all’anfiteatro. La manifestazione è stata organizzata e promossa dalla Fondazione Peccioliper e dal Comune di Peccioli in collaborazione con la Fondazione Teatro di Pisa a cui è stata affidata la produzione esecutiva. La Fondazione Peccioliper ringrazia inoltre per il prezioso contributo Belvedere S.p.A., main sponsor dell’evento, la Cassa di Risparmio di San Miniato e la Farmacia

Fredducci di Capannoli. La Fondazione Peccioliper ha aderito al Progetto della Regione Toscana GiovaniSi, attraverso l’offerta di uno stage retribuito per mansioni di assistenza tecnica e di segreteria durante la Rassegna 11 Lune. La Fondazione Peccioliper ringrazia le Terme di Casciana e il Comune di Casciana Terme per la gentile collaborazione.


Un cuoco dritto al cuore!

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iovedì 5 luglio si è provato a raccontare la cucina con Cuoco al cuore. Un viaggio condito di spezie e ricordi. Sale in scena Cristiano Tomei che non ha nulla dell’attore ma, come dice lui, ogni sera nel suo ristorante va in scena una rappresentazione durante la quale insieme alla sua squadra di collaboratori, prova a dare il meglio di sè per soddisfare il pubblico ai tavoli. Innamorato della sua professione, Cristiano decide di mettersi a nudo davanti a tutte quelle persone che sono accorse per ascoltare le parole di un uomo che descrive il proprio mestiere come un mistico religioso. Il palco si trasforma così in un pulpito da dove Cristiano, come novello profeta, svela le sue verità sulla cucina mentre alle sue spalle va in scena una vera e propria cena servita ad alcuni fortunati spettatori selezionati tra il pubblico. Lo spettacolo è diviso in tre atti in cui Cristiano racconta delle sue origini e della sua scelta di intraprendere questo mestiere, svelerà piccoli segreti che si celano dietro ogni cucina. Il terzo atto sarà dedicato alla passione. La struttura dello spettacolo è un percorso a ritroso per riscoprire il senso di quella che nel nostro paese dovrebbe essere concepita come un’arte. Viareggino, figlio di una grande cuoca per passione e di un nonno contadino che gli hanno rilevato tutto delle tradizioni gastro-

nomiche locali nel loro rapporto con la terra della quale oggi si tende a ricordare i sapori, gli odori, le virtù persi negli affanni della vita moderna che ci toglie anche il tempo per nutrirci. «Si sta perdendo la tutela e non l’importanza della cucina, che è un bene culturale come può essere qualsiasi altra tipologia di arte. Ed è sconvolgente come una statistica europea abbia svelato che i bambini più obesi d’Europa siano proprio gli italiani, figli del paese culla della cucina mediterranea». Mentre la moglie Laura serve ai tavoli i piatti, frutto di una ricerca personale di anni, Cristiano procede nella sua missione che per esaltare i frutti della nostra terra deve passare per le distorsioni prodotte dalle trasformazioni del cibo in merce. Cristiano per spiegare questo momento ci offre un esempio lampante, le insalate in busta «ma non è solo l’insalata, ci sono altre abitudini alimentari che sono molto strane. Si può guarire però da queste cose e stasera cerchiamo di dare la ricetta anche per guarire da queste malattie gravi». Bisogna passare dall’inferno e dal purgatorio per ritrovare la strada, se non del paradiso quantomeno di una sorta di redenzione. In teatro tutto ciò sembra possibile. Non altrettanto si può dire in televisione dove pure Cristiano si è esibito. I programmi dedicati alla cucina infatti inondano tutto il palinsesto delle nostre

tv generaliste, ma anche lì la cucina si omologa e diventa merce. Parola di cuoco «Mi auguro che in futuro si parli di più di quando mangiare un pomodoro piuttosto di una ricetta che si fa con quello che si trova in frigorifero. Anzi proviamo a fare una ricetta senza frigoriferi». Cuoco al Cuore. Un viaggio condito di spezie e ricordi è un evento che, in modo nuovo e coinvolgente, racconta la vita di un cuoco: tra ricordi, momenti di introspezione, aneddoti, opportunità e tanta ironia. Sul palco una cucina completa di tutto l’occorrente per l’esecuzione dei piatti, un cuoco e tante ricette. La realizzazione dei piatti diventa il pretesto per raccontare, per raccontarsi, per introdurre il pubblico nel segreto mondo della cucina, luogo pieno di possibilità e di sfide. L’impatto è dirompente, la cucina si anima di parole, racconti e tanta poesia: cucinare è un modo di dare ed è per questo che le pietanze cucinate sono state degustate dal pubblico. Tra i presenti sono stati sorteggiati inoltre alcuni fortunati che hanno gustato l’intera cena comodamente seduti a un tavolo riservato. Uno spettacolo in prima nazionale appositamente pensato per 11 Lune e la splendida cornice dell’Anfiteatro Fonte Mazzola.

Un incontro in jazz… in compagnia di Gino Paoli!

L

unedì 23 luglio in occasione della rassegna 11 Lune a termine del concerto di Un incontro in Jazz Gino Paoli ha incontrato, nella suggestiva e intima cornice del Museo Collezione Incisioni

e Litografie – Donazione Vito Merlini a Peccioli, gli Amici del Polo Museale di Peccioli per un brindisi e un piacevole intrattenimento. Gino Paoli, uno dei più raffinati cantautori italiani, ha portato a Peccioli un progetto musicale nato dalla collaborazione tra cinque fuoriclasse della musica italiana e internazionale, celebrando l’unione tra musica d’autore e jazz: Flavio Boltro alla tromba, Danilo Rea al pianoforte, Rosario Bonaccorso al contrabbasso, Roberto Gatto alla batteria. Lo straordinario quintetto ha rivisitato in chiave jazzistica, come in un’interminabile jam session, grandi classici della canzone internazionale, inediti, e gli indimenticabili successi del repertorio di Paoli riarrangiati, come La gatta, Senza fine, Sapore di sale, Il cielo in una stanza, Una lunga storia d’amore, Che cosa c’è, Vivere ancora. Un’esperienza unica e irripetibile, un incon-

tro che si è trasformato presto in un viaggio alla scoperta di porti lontani regalandoci un prezioso varco nel tempo, un’odissea di sonorità e di scenari differenti. Dopo il concerto i musicisti hanno visitato il Museo Collezione Incisioni e Litografie – Donazione Vito Merlini e si sono intrattenuti con gli Amici del Polo Museale con cordialità e affabile simpatia, brindando al successo della splendida serata.

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Teatro

provaci ancora...

PeccioliTeatro! 11

Lune edizione 2012 si è conclusa domenica 29 luglio con uno dei testi più intelligenti e raffinati di Woody Allen, Provaci ancora, Sam! interpretato dalla Compagnia PeccioliTeatro. Consacrato ai posteri dal film diretto nel 1972 da Herbert Ross con lui protagonista (inventando una delle maschere comiche dell’epoca moderna), dopo che la commedia aveva replicato con ininterrotto successo a Broadway per quattrocento memorabili sere, torna sulla scena in questa

divertentissima edizione diretta da Andrea Buscemi. In scena le vicende comico-sentimentali di Allan Felix, critico cinematografico abbandonato dalla moglie a cui gli amici Dick e Linda prestano soccorso perché possa uscire dal suo guscio di nevrosi: il primo obiettivo è quello di presentargli una ragazza e salvarlo, così, dalla crisi che lo sta fagocitando. Ma il carattere di Allan è piuttosto singolare: la sua fervida immagi-

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nazione lo fa dialogare con personaggi che gli appaiono e gli scompaiono come in un “teatrino della mente”, pronti a interferire con i suoi goffi tentativi sentimentali. Amico nei viaggi immaginari è Humphrey Bogart, che gli offre consigli sul comportamento da tenere con le donne, e naturalmente è visto e sentito solo da Allan. Il Sindaco di Peccioli, Silvano Crecchi, si è dichiarato molto felice di concludere la Rassegna con uno spettacolo che dopo otto anni calca di nuovo le scene di Peccioli, in un’atmosfera però del tutto diversa. Dal centro storico del paese, dove la Compagnia PeccioliTeatro aveva messo in scena la commedia quasi un decennio fa, all’Anfiteatro Fonte Mazzola: passaggio che simboleggia anche la trasformazione della Rassegna che ha conquistato con il tempo un pubblico sempre più ampio che arriva a Peccioli da tutta la Toscana. Il Sindaco si è dichiarato inoltre molto soddisfatto delle scelte artistiche alla base della programmazione di quest’anno, che hanno messo in piedi un cartellone molto equilibrato, che ha visto la presenza di grandi nomi della musica, artisti più vicini al pubblico e un importante richiamo e legame con le tradizioni e storie locali. Renzo Macelloni, Presidente della Belvedere S.p.A., ha sottolineato come la Compagnia PeccioliTeatro, arrivata in otto anni alla sua diciassettesima produzione, può essere considerata un unicum nel panorama territoriale come qualità e quantità degli spettacoli proposti, divenendo un caposaldo del cartellone di 11 Lune che richiama ogni anno migliaia di spettatori. Il lavoro di Andrea Buscemi, regista e

fondatore della Compagnia, di recupero e presentazione di classici del teatro è da considerarsi di grande attualità, nonché didattico, perché divulga la conoscenza attraverso lo spettacolo delle opere dei grandi autori teatrali del passato al grande pubblico. Andrea Buscemi ha sottolineato come la linea di recupero dei classici del teatro non è stata abbondonata con la scelta di un testo moderno, poiché Provaci ancora, Sam!, commedia scritta da un Woody Allen giovanissimo, trasformata solo dopo molti anni in un film di grande successo, deve di diritto essere considerata un classico del teatro contemporaneo. A suo fianco in scena Livia Castellana, nel ruolo dell’ex moglie di Allan, Renato Raimo nel ruolo di Dick, amico del protagonista, Martina Benedetti come Linda, moglie di Dick e infine Antonio Calandrino nei panni di Humphrey Bogart. Un classico del teatro moderno e della comicità di tutti i tempi, un capolavoro, una semplice, brillante, divertente, irresistibile e intelligente commedia sentimentale.



STAGIONE TEATRALE 2012/2013 E

NOVEMBR

GIOVEDì 15 ORE 21.00 musiche originali composte ed eseguite da Lorenzo Moguzzi

Didattica dell’Italia unita uno spettacolo di Angelo Savelli e Lucia Poli tratto da Edmondo De Amicis e autori vari regia di Angelo Savelli

MARTEDì 27 ORE 21.00

LUNEDì 18 ORE 21.00

Bananas srl e Teatro Stabile Verona

Bis Bideri

Jolefilm - Marco Paolini

DEDICATO A JACK LONDON

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE

UN ISPETTORE IN CASA BIRLING

di William Shakespeare con Alessandro Betti; Maria Di Biase; Katia Follesa, Maurizio Lastrico, Corrado Nuzzo, Marco Silvestri Petra Magoni, Ferruccio Spinetti Regia di Gioele Dix

di John Boynton Priestley traduzione Giovanni Lombardo Radice con Paolo Ferrari, Andrea Giordana, Crescenza Guarnieri, Cristina Spina, Vito Di Bella, Mario Toccafondi, Loredana Gjeci regia di Giancarlo Sepe

DICEMBRE

MARZO

MARTEDì 11 ORE 21.00

VENERDì 8 ORE 21.00

La Faustini Group UMBERTO ORSINI in

Associazione Teatrale Pistoiese/Valzer s.r.l.

LA LEGGENDA DEL GRANDE INQUISITORE

di Carlo Goldoni con Nicola Rignanese, Valentina Sperlì, Massimo Grigò, Roberto Valerio Regia Roberto Valerio

da I Fratelli Karamazov di Fëdor Michajlovi Dostoevskij e con Leonardo Capuano regia Pietro Babina

GENNAIO LUNEDì 14 ORE 21.00

L’IMPRESARIO DELLE SMIRNE

GIOVEDì 21 ORE 21.00 Agidi ANGELA FINOCCHIARO E MICHELE DI MAURO in

Teatro Bellini

OPEN DAY

RICORDA CON RABBIA

di Walter Fontana regia di Ruggero Cara

di John Osborne con Stefania Rocca,Daniele Russo regia Luciano Melchionna

APRILE

FEBBRAIO DOMENICA 3 ORE 21.00 Pupi e Fresedde – Teatro di Rifredi Teatro Stabile d’Innovazione LUCIA POLI in

IL LIBRO CUORE ED ALTRE STORIE

MARTEDì 9 ORE 21.00 Teatro di Roma GABRIELE LAVIA

LA TRAPPOLA da Luigi Pirandello con Giovanna Guida e Riccardo Monitillo adattamento e regia Gabriele Lavia

teatro verdi comune di Santa Croce sull’Arno


Giallo Mare Minimal Teatro: tel. 0571/81629 info@giallomare.it Ufficio Cultura del Comune di Santa Croce: tel. 0571/389953 - n.spatola@comune.santacroce.pi.it


Giuseppe Sabatini

Spettacolo

sui

pedali TEXT Irene Barbensi

vita

della

I

n occasione della sessantesima edizione della Coppa Sabatini, gara ciclistica che si svolge ogni anno a Peccioli nel mese di ottobre, la Fondazione Peccioliper ha deciso di rendere omaggio al grande campione Giuseppe Sabatini ciclista pecciolese molto dotato ma altrettanto sfortunato, alla cui memoria, a un solo anno dalla tragica scomparsa, la comunità di Peccioli volle istituire quella che con gli anni è divenuta un’importante competizione sportiva. Sui pedali della vita è il ritratto di un eroe in bicicletta, uno spettacolo teatrale che ripercorre la vita, i sogni e le speranze di Giuseppe Libertario Sabatini, presentato in anteprima nazione nella rassegna 11 Lune a Peccioli nel luglio scorso. Un ciclista, ma soprattutto un uomo nel cuore dei pecciolesi, simbolo di riscatto

Un eroe in bicicletta per celebrare il 60° anniversario della Coppa Sabatini sociale per un’intera comunità tra le due guerre mondiali; una collettività che si è stretta forte intorno al suo campione nei momenti di trionfo e in quelli del dolore, che ha saputo custodire nel tempo non solo le bellezze dell’arte e del paesaggio, ma anche il ricordo di un atleta coraggioso che ha condiviso con essa i momenti più esaltanti della sua vita. Al di là delle tante vittorie e delle sconfitte emerge un uomo tenace, caparbio, forte, dal cuore generoso, capace di infiammare e unire intorno a sé l’orgoglio pecciolese, che non lo ha mai dimenticato. Giuseppe Sabatini con i suoi pedali ha messo le ali hai sogni, ai bisogni di speranza di un territorio vessato da anni di conflitti di cui egli stesso ne subirà le conseguenze che lo porteranno inesorabilmente ad abbandonare la carriera sportiva. Il lavoro, curato con passione ed entusiasmo dalla Fondazione Peccioliper, è divenuto ben presto un interessante viaggio nel mondo del ciclismo alla ricerca di Giuseppe Libertario Sabatini, uomo,

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padre, ciclista, del suo orgoglio e della sua sfortuna. Un lento e minuzioso lavoro di ricerca, di ricostruzione e di ricomposizione di ricordi che sembravo svaniti nel tempo, raccolti attraverso un attento studio di materiali di archivio e la realizzazione di interviste, e che è riuscito a riunire tutte le persone che hanno avuto la fortuna di incontrare e portare nel cuore il ricordo di Giuseppe Libertario: i figli, i nipoti, gli amici di Peccioli, i colleghi di un tempo. Le foto in bianco e nero hanno lentamente ripreso colore e vita e il tortuoso percorso di Sabatini si è ricomposto come un mosaico, tessera dopo tessera, frammento dopo frammento. Ricorrendo a molteplici mezzi espressivi, il teatro, la danza, il video, Andrea Giuntini e Katia Frese hanno firmato a quattro mani la regia di questo lavoro prodotto dalla Fondazione Peccioliper. Spettacolo teatrale preambolo tra arte e memoria,

aspettando la prossima edizione della Coppa Sabatini, la competizione che da tanti anni tiene vivo il ricordo di quel combattente dal gran cuore e dalla sorte avversa. «Per noi, Sabatini, fino a pochi mesi fa, era solo il nome di una corsa ciclistica organizzata a Peccioli. L’uomo e lo sportivo sono cominciati ad affiorare proprio dalle fotografie in bianco e nero che lo mostravano insieme ai familiari, agli amici, negli arrivi solitari sulle strade degli anni ’30. Ed è stato entusiasmante e commovente, in un secondo tempo, riavvolgere il gomitolo della memoria attraverso i ricordi dei figli, dei paesani, di un mito del ciclismo come Alfredo Martini, testimonianze che hanno dato un contributo sostanziale a tracciare la sinopia dell’affresco teatrale che ci accingiamo ad allestire. Affresco, che abbiamo voluto composto dall’unione di linguaggi espressivi diversi, per ridare vita ed emozione al racconto di un’avventura del


Sopra: Andrea Giuntini e il giovane Alessandro Tonelli. Sotto: gli attori della compagnia teatrale

«Giuseppe Sabatini non usava tattiche o accorgimenti particolari. Vinceva e stravinceva ricorrendo solo alla forza dei muscoli, alla sua tenacia, alla sua caparbia volontà» Mario Bartoli ciclista, dell’uomo, del desiderio e degli eventi del destino. Accanto alla narrazione teatrale che ci riporta i volti della memoria, vi sono la simbologia metaforica della danza e la forza espressiva dei contributi video, legati insieme da una colonna sonora originale, a sottolineare le diverse tinte e scelte drammaturgiche. La danza segue il cammino del desiderio del bambino-uomo Sabatini di diventare ciclista; prima il sogno poi la lotta con le forze antagoniste, la guerra. La guerra raccolta

e raccontata in un video che ci riporta agli scenari d’Africa, dove nel fuoco di una visione il desiderio continua nella sua tensione a realizzarsi in un tempo che va oltre la finitudine del reale. Poi la danza riprende, due figure: una donna a rappresentare il sogno, un freestyler a rappresentarlo nella sua compiutezza, duettano, lottano, corrono insieme sui pedali della vita. Attraverso il teatro, uniamo le due estremità di questa biografia travagliata e incredibilmente affascinante: l’infanzia,

col piccolo Sabatini che, da apprendista in una bottega di falegname (fu così anche nella realtà), iniziava a cullare l’idea di diventare un campione di ciclismo, arrivando a costruirsi la sua prima bici; e gli ultimi giorni, all’ospedale di Livorno, con al fianco gli affetti più cari, tra cui il fratello Piero, principale fautore della nascita della competizione dedicata a Giuseppe». Prima delle speranze, dei successi, delle delusioni, di una morte prematura, beffarda come una ruota che si fora a due passi dal traguardo, c’era un bambino con un sogno a forma di bicicletta. Il piccolo Giuseppe, il futuro atleta che di lì a poco avrebbe fatto innamorare la sua Peccioli. Oggi quel bimbo c’è di nuovo. Nel paese natale, certo: di nuovo a casa, in scena all’Anfiteatro Fonte Mazzola. Si chiama Alessandro Tonelli, di Selvatelle, dieci anni ancora da compiere. Sul palco, oltre al giovanissimo debuttante di Selvatelle, Matteo Donzelli, Enrico Falaschi, Roberta Geri, Leonardo Montagnani, Datek, Katia Frese e lo stesso Andrea Giuntini. Le musiche sono state realizzate da Gabriele Bochicchio, le riprese video da Diego Pecori e le scenografie da Cristina Conticelli. Ben presto lo spettacolo teatrale diventerà un dvd che verrà proiettato e distribuito in occasione della conferenza stampa di presentazione della Coppa Sabatini che si terrà il prossimo 27 settembre a Legoli, frazione del Comune di Peccioli. Le iniziative organizzate e curate dalla Fondazione Peccioliper per i festeggiamenti del sessantesimo anniversario della Coppa Sabatini proseguiranno nel mese di ottobre in occasione della gara ciclistica. Alla vigilia dell’importantissimo appuntamento sportivo lunedì 4 ottobre alle ore 18 presso la Sala Consiliare del Museo delle Icone Russe di Peccioli verrà inaugurata una mostra dedicata alla storia della Coppa, dal 1952 a oggi. La narrazione degli avvenimenti sportivi avrà per sfondo il contesto sociale e civile del paese, in un processo di fuoriuscita dalla tradizione, in cui il ciclismo offrì la possibilità di rinnovare la socialità comunitaria.

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Luca Zingaretti

dall’anima durotenera

Intervista

un

TEXT Carla Cavicchini

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tavolta sono io a essere messa sotto torchio, manco fossi una professionista del crimine. Luca Zingaretti possiede un volto intenso, penetrante, con quell’aria scrutatrice che, secondo me, è parte del suo modo d’essere. Chi è lei, cosa fa? Cerco di intervistarla se me lo permette, siamo qua a un incontro sull’inventiva, estro, genialità e vorrei porle cortesemente alcune domande. Dica! Cos’è la creatività per lei? Secondo me non è vero che è presente in alcune persone e in altre meno, è una parte dell’essere umano che alcuni hanno modo di sviluppare e altri no. Il mio rapporto con essa nasce anche grazie al mestiere che faccio; praticamente è una capacità d’affrontare problemi vecchi e nuovi in un modo diverso, riuscire a rompere la catena di comportamenti usuali trovando nuove soluzioni. Lei è di Roma, giusto? Dicono che ci siano regioni più fantasiose, più vitali, grazie all’impeto, all’ardore dei loro abitanti. Tutto il Sud è maestro in questo. La Sicilia stessa è terra

che ha avuto e continua ad avere grandi scrittori e pensatori. Magnifico, l’aria “tirata” è sparita dal suo bel volto e quindi incita maggiormente alla conversazione. Proseguo. Anni fa, sempre qui a Firenze, alla Regione, ricevette un premio su un tema prettamente volto al sociale per aiutare i bambini africani. Fa piacere scoprire una persona così sensibile… Ma non c’è niente di eccezionale in tutto questo, nel guardarsi intorno… sino a trovare coloro che sono meno fortunati. La cosa brutta, e lo sottolineo, è quella di vivere in mezzo a persone sorde che non si occupano di niente. Cosa ci dice della nostra regione che, tra l’altro è sempre stata molto attiva nel volontariato. Beh…questo mi fa piacere, adoro la Toscana e la porto nel cuore proprio per le bellezze paesaggistiche e architettoniche.

La Maremma, Siena e quel Chianti meraviglioso. Lei mi ha accennato prima d’essere di Empoli, giusto? Bene, ci sono stato più d’una volta nelle mie tournèe teatrali: è una bella cittadina, tra l’altro ricordo il vostro stadio dove giocai per una partita di beneficenza con la Nazionale attori. Di lei Andrea Camilleri ha sempre detto che le sue interpretazioni su Montalbano sono più che ottime pur non avendo niente a che fare con il personaggio. Esempio: Montalbano è pieno di peli e lei è calvo, Montalbano ha una certa età e lei è assai più giovane, però! dal momento che è un bravissimo attore, la dà a bere benissimo. Proseguo? Prosegua, anche se lo sapevo che cascava su questo argomento come del resto fanno sempre tutti i suoi colleghi. Dunque. Veloce. Lo scrittore siciliano affermò che, inizialmente era perplesso sulla sua scelta per Montalbano sono!, però nello stesso tempo era incuriosito dalla sua forza interiore, dalla notevole espressività che lei possiede al contrario di altri, tant’è che la seguiva maggiormente in tv, teatro e altro, prima ancora che diventasse famoso. Che devo dire…la cosa mi fa molto piacere… Purtroppo cresce il brusio si alza e Zingaretti viene invitato al palco per parlare. Mi sorride, si alza, mentre osservo lo scatto nervoso delle gambe mentre lo accolgono. Non mi va di concludere così. Luca Zingaretti è un burbero buono e quindi voglio riportare una sua frase che, specifico, per dovere di cronaca e correttezza, trasmise al giornalista Fabrizio Rondolino. A me piace molto. Eccola. «Montalbano risponde a una voglia di eticità molto più diffusa di quanto si creda. Mentre destra e sinistra passano il tempo a tirarti la giacchetta, lui mantiene il suo baricentro. Agisce sempre secondo coscienza, controcorrente, a costo di pagare di persona, di non fare carriera. Un uomo all’antica: gli uomini vorrebbero somigliarli, le donne averlo vicino. In un mondo dove tutto ha un prezzo, lui è senza cartellino.»

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Musica

Americano

l’

tu vuo’ fa’

TEXT Leonardo Taddei PHOTO Paola Rita Ledda e Sara Brogi

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abato 9 giugno 2012 si è svolta nella Sala Regia del Comune di Pisa la cerimonia per il saluto ufficiale della città a due grandi protagonisti del panorama musicale internazionale: Soozie Tyrell e Steven Van Zandt, entrambi colleghi del celebre cantante Bruce Springsteen e ambedue di origini italiane. Infatti sia Tyrell che Van Zandt fanno parte della E street Band, il gruppo rock che accompagna i concerti di Springsteen. In realtà il loro non è soltanto un ruolo da comprimari, ma anzi il cantante si è sempre dichiarato membro alla pari degli altri, enfatizzandone la grande importanza: la caratteristica principale della band è la profonda amicizia che lega i componenti, oramai diventati parte di una vera e propria famiglia. La formazione iniziale del gruppo risale al 1972, ma Steven Van Zandt ha iniziato la sua collaborazione musicale con la band nel 1975, come chitarrista, mandolinista e corista, mentre Soozie Tyrell ne è entrata a far parte, in qualità di violinista e corista, soltanto nel 2002. I componenti della E Street Band, oltre a produrre propri lavori ed album solistici, hanno anche collaborato con altri artisti, cantanti e musicisti di fama internazionale, tra i quali Bob Dylan, Meat Loaf, Bonnie Tyler, Dire Straits, David Bowie, Peter Gabriel, Sting, Ian Hunter, Ringo Starr, Ronnie Spector, Gary U.S. Bonds, Darlene Love, Southside Johnny, Santana, Lucinda Williams, Steve

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Earle, Emmylou Harris, Tracy Chapman, Aretha Franklin e l’italiano Zucchero Fornaciari. Steven Van Zandt, il cui cognome iniziale in italiano era Lento, ha preso a prestito quello che ancora attualmente porta dal secondo marito della madre Maria, originaria di Sambiase, Lamezia Terme. Conosciuto con i nomi d’arte di Little Steven, in onore di Little Richard, e di Miami Steve, dovuto al fatto che soffre molto il clima freddo, ha iniziato pubblicando diversi album come solista ed insieme al gruppo dei Disciples of Soul a partire dagli anni ottanta: la sua

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musica prenderà ben presto una connotazione sociale e politica, con dirette critiche alle manovre estere dell’allora Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan. Nel 1985 fonda quindi un’associazione contro l’apartheid e i bantustan, i ghetti per persone di colore in Sudafrica, denominata Artists United Against Apartheid, di cui faranno parte, tra gli altri, anche Bruce Springsteen, gli U2, Bob Dylan e i Run DMC. Pur non avendo nessuna esperienza televisiva e cinematografica, ha interpretato, a partire dal 1999, il personaggio di Silvio Dante, uno dei protagonisti della pluri-


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marito per alcuni suoi album alla fine degli anni novanta. Il sodalizio artistico è continuato poi anche negli anni successivi, e infine Tyrell è diventata membro effettivo della E street Band. Già però tra gli anni ottanta e novanta era riuscita a ritagliarsi un proprio spazio come ospite musicale in alcuni celebri shows televisivi, tra i quali The tonight show, il Late show di David Letterman, The today show, The Smothers brothers, Jim Hensen’s Muppet hour e Showtime, e nel 2003 è arrivata a produrre il suo primo album da solista, intitolato White lines. La cerimonia di premiazione, promossa dal calabrese Nello Corrado e dalla pisana Sara Brogi, ha visto la partecipazione del sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, e dell’assessore alle attività produttive, al commercio ed al turismo del Comune di Pisa, Giuseppe Forte, che hanno voluto rendere omaggio alle radici pisane di Soozie, mentre dai rappresentanti dell’associazione calabresi a Pisa Esperia Steven ha ricevuto una targa e una lettera del sindaco di Lamezia Terme che lo invita a recarsi nella città che diede i natali alla madre per essere insignito della cittadinanza onoraria. L’incontro si è poi concluso con i saluti

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premiata serie televisiva dell’emittente statunitense HBO intitolata I Soprano. Lo show, che narra le vicende di una famiglia mafiosa italoamericana, vede Van Zandt nel ruolo di uno dei sicari del boss Tony Soprano: è stato scelto direttamente dal creatore della serie, lo sceneggiatore David Chase, rimasto colpito dal suo volto dopo averlo visto stampato sulle copertine di alcuni album. Grazie a questa sua partecipazione, insieme agli altri attori del cast, riceve ben due Screen Actors Guild Awards, nel 1999 e nel 2007, uno dei premi più prestigiosi a livello mondiale in ambito cinematografico. Soozie Tyrell, invece, è nata a Pisa nel 1957, figlia di un militare statunitense che lavorava all’epoca presso la base di Camp Darby e, prima di tornare con i genitori in America e studiare teoria musicale all’Università delle Florida del Sud, ha vissuto anche a Taiwan, dove all’età di sette anni ha cominciato a prendere lezioni di violino. La sua carriera universitaria si è interrotta però molto presto e, trasferitasi a New York, Tyrell diviene per alcuni anni musicista di strada, incontrando Patti Scialfa e Lisa Lowell, con le quali formerà il gruppo delle Trickster. E proprio il legame con Patti Scialfa, che molti anni dopo sposerà Bruce Springsteen, si rivelerà determinante per il futuro della musicista, poiché sarà aiutata dall’amica di vecchia data a collaborare con il celebre

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inviati dal sindaco Filippeschi a Bruce Springsteen, interprete coraggioso di messaggi di solidarietà e pace veicolati attraverso la musica. E proprio Bruce in persona avrebbe dovuto presenziare alla premiazione, atteso da una numerosissima folla di trepidanti fans, ma ha poi preferito rinunciare per motivi familiari e professionali. La cerimonia, infatti, che come già accennato precedentemente, si è svolta il 9 giugno, è caduta in un periodo molto frenetico per il cantante statunitense: esattamente un giorno prima della tappa del suo Wrecking Ball Tour, prevista il 10 giugno nella città di Firenze e alla quale hanno partecipato proprio Soozie Tyrell e Steven Van Zandt, ed esattamente un giorno dopo il suo anniversario di matrimonio, festeggiato a Moltrasio, sulle rive del Lago di Como, in quella che fu la villa di un altro grande personaggio di origine calabrese noto a livello internazionale, il compianto genio della moda Gianni Versace. Qual è stata la vostra reazione alla notizia che il Comune di Pisa e quello di Lamezia Terme vi avrebbero consegnato questi riconoscimenti? Siamo rimasti entrambi molto colpiti. Eravamo commossi e contenti allo stesso tempo: questo è davvero un riconoscimento particolare per noi. Siamo abituati a ricevere premi, soprattutto dopo il successo televisivo e da quando collaboriamo attivamente con Bruce, ma non ci dimentichiamo di come tutto è cominciato: noi veniamo dalla strada, una strada che ci porta alle nostre origini italiane, di cui siamo particolarmente fieri. Pensate di tornare ancora in Italia, magari per un concerto tutto vostro? È un’idea magnifica e ci auguriamo che ciò possa accadere al più presto. Sarebbe un’occasione meravigliosa poter portare la nostra musica ed il nostro personale linguaggio artistico al pubblico italiano, che ci sostiene con il suo affetto durante i concerti e che oggi ci ha accolto addirittura con una standing ovation in questa splendida cornice storica del comune di Pisa. E in preda a tanto entusiasmo e felicità, proseguono citando il testo della celebre canzone di Renato Carosone, ben nota anche negli States: “…..Tu vuo’ fa’ l’americano Ma si nato in Italy…..”

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1. Cerimonia di Premiazione 2. Soozie Tyrell 3. Steven Van Zandt 4. Soozie Tyrell alla cerimonia di premiazione 5. Steven Van Zandt riceve la targa dell’associazione Esperia 6. Targa consegnata a Steven Van Zandt 7. Steven Van Zandt in concerto con Bruce Springsteen 8. Soozie Tyrell in concerto con Bruce Springsteen

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Accademia Musicale Alta Valdera

di

musica

Musica

cinque anni

TEXT Irene Barbensi

F

esteggia i suoi primi cinque anni di attività, l’Accademia Musicale Alta Valdera, la scuola di musica fondata dal Comune di Peccioli, diretta dal maestro Simone Valeri e gestita dalla Fondazione Peccioliper «Dal 2007, anno della sua fondazione – fa notare Valeri – sono tantissimi i bambini, ragazzi e adulti che hanno frequentato i nostri corsi. L’Accademia oltre all’attività didattica ha rivolto, fin dai suoi esordi, un’attenzione particolare alla promozione di concerti che vedono protagonisti musicisti di chiara fama (ricordiamo Arie di Primavera, le celebrazioni per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, ma anche i concerti di apertura dell’anno accademico intitolati ad Albertina Chesi Cambi, borse di studio per giovani promesse, e poi esercitazioni di classe e i saggi concerto che sono l’espressione massima di un risultato ottenuto durante tutto l’anno scolastico da parte degli allievi con dei programmi che ne dimostrano non solo la loro capacità di apprendimento ma anche la grande professionalità degli insegnanti.» Oltre ai corsi tradizionali di canto lirico, arpa, chitarra classica, chitarra moderna, contrabbasso, fisarmonica, flauto dolce, flauto traverso, organo e composizione organistica, pianoforte, viola, violino, violoncello, armonia, contrappunto e fuga, pianoforte complementare, storia della musica, teoria e solfeggio, l’Accademia musicale propone laboratori di propedeutica di musica d’insieme dai 3 ai 6 anni, ogni bambino partecipa quindi attivamente alla costruzione del repertorio in base alle proprie competenze musicali, in un lavoro di combinazione ritmica e melodica che punta alla maturazione dell’individuo attraverso il rispetto e la necessità dell’altro. I corsi dell’Accademia mirano a una for-

mazione musicale di base, ma allo stesso tempo si prefiggono di impostare una mentalità di musicista aperta, matura e incline alla condivisione delle esperienze. Ogni accademia, ogni scuola di musica ha i suoi insegnanti; sono loro il cuore pulsante di un’attività e di una grandezza. L’Accademia Musicale Alta Valdera è orgogliosa di avere come docenti insegnanti di chiara fama e i loro curricula lo dimostrano. Simone Valeri si è diplomato in Organo e Composizione Organistica al Conservatorio Statale di Musica L. Cherubini di Firenze, sotto la guida della prof.ssa M. Mochi.Ha studiato Improvvisazione e Canto Gregoriano. Ha studiato Direzione e concertazione Corale. É componente della Commissione di Musica Sacra per la Diocesi di San Miniato, della Commissione Artistica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e della Commissione Artistica Regionale Cori della Toscana. È attivo come compositore e armonizzatore, le sue musiche sono eseguite in moltissimi Festival di tutta Europa; attualmente è Direttore Artistico dell’Associazione Orchestra Lirico Sinfonica del Teatro del Giglio di Lucca. I docenti di Canto Lirico sono il M° Rossana Bertini (soprano), il M° Francesco Ghelardini (controtenore), il M° Leonardo Andreotti (tenore); il M° Luca Magni insegna flauto Dolce e flauto traverso,Teoria e Solfeggio, il M° Silvia Mannari Pianoforte e Propedeutica Musicale, infine il M° Andrea Barsali Chitarra classica e Chitarra Moderna. Come ogni anno l’inizio dell’anno Accademico è scandito dal concerto inaugurale del 1° ottobre che quest’anno ha visto partecipare i Solisti dell’Orchestra LiricoSinfonica del Teatro del Giglio di Lucca (al flauto M° Rosaria Benvenuti, all’oboe M°

In alto: Maestro Simone Valeri direttore dell’Accademia; sotto: Maestro Silvia Mannari, insegnante di Propedeutica e Pianoforte; Maestri Leonardo Andreotti, Rossana Bertini, Francesco Ghelardini, insegnanti di Canto Lirico; Maestri Andrea Barsali e Roberto Cecchetti durante un concerto al Museo delle Icone Peccioli

Tommaso Guidi, al clarinetto M° Carmelo Mobilia, al corno M° Vittorio Manfredini, al fagotto M° Costantino Frullani). Il concerto a ingresso libero, in collaborazione con la Fondazione Arpa e con l’Associazione Culturale La Rondine, è stato l’occasione per consegnare una borsa di studio in memoria di Albertina Chesi Cambi. Per informazioni su iscrizioni e corsi: Fondazione Peccioliper tel. 0587/672158 accademiamusicaleav@fondarte.peccioli.net www.fondarte.peccioli.net www.accademiamusicale.com

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TOSCOLAPI Srl nasce nel marzo 2002 per fornire un servizio qualificato e appropriato alle moderne e sempre più stringenti necessità del mondo industriale nell’approvvigionamento ed utilizzo dei propri prodotti chimici. La società è frutto di una significativa alleanza tra due aziende con oltre 50 anni di esperienza, la Figli di Guido Lapi SpA e la Toscochimica SpA, rispettivamente leader nel settore della concia e del tessile. Oggi la TOSCOLAPI compie 10 anni e collabora con i più importanti produttori nazionali e internazionali; tra i più significativi: Alder, Basf, Clariant, Ercros, Esseco, Kemira, Lanxess, Nuova Solmine, Quadrimex, Solvay, etc. Dispone di depositi nel Comprensorio del Cuoio toscano e in quello del veneto nella Valle del Chiampo, con strutture per stoccaggio sia di prodotti in polvere che liquidi, garantendo qualità ed efficienza nei servizi. Si propone ai clienti quale partner attento alla sicurezza – salute – ambiente – alle innovazioni del mondo chimico, di supporto, con la propria esperienza e conoscenza, per risolvere i problemi imposti dalle nuove normative e dalle esigenze lavorative. Partner in Federchimica, nel 2011 anno internazionale della chimica ha aderito a “Fabbriche Aperte” con le scuole di settore, iniziativa che sarà ripetuta anche in futuro. Via Tabellata, 98 56022 Castelfranco di Sotto (PI) - Italy - Tel. +39 0571 471345-6 - Fax +39 0571 489280 - info@toscolapi.com - www.toscolapi.com


Irene apas

p

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’emblema del cinema greco, la personificazione di ciò avvolta in versi e “carmi” arcaici è vicina coi suoi profumi di terra consumata dal sole, coi suoi occhi neri come la pece, intriganti, magnetici, a tratti malinconici. Ma nell’intensità del suo sguardo si legge anche tanta fierezza di vanto greco. Signori, semplicemente Irene Papas. Colei che recitò ne: I Cannoni di Navarone, Cronaca di una morte annunciata, e in quel Il Mandolino del capitano Corelli dove magnificamente interpretò Drosoula. Nella memoria collettiva, seppur del ’74, è rimasto Zorba il greco con Anthony Quinn, film che fece il giro del mondo, consacrando il sirtaki, danza nazionale greca, in successo planetario. Oltre ad aver lavorato con i più grandi registi del mondo, in Italia grazie alla sua bellezza mediterranea lavorò con Monicelli ne Le infedeli, nonché per il sensibile Pietro Germi e l’impegnato Francesco Rosi. Conserva ancora quella bellezza tragica che senz’altro l’accompagnerà in eterno e lei ci gioca sopra definendosi “una vecchia bambina”. È inquieta, via via scatta felina mentre cerco di bloccarla per parlare un po’ con lei. Ha una sete di sapere che trasporta: impegnata tra l’Europa e l’Oriente, si è sempre ‘mossa’ tra cinema, teatro, musica e prosa. «Dopo, dopo, se non le spiace facciamo più tardi, adesso debbo salutare delle persone, stia tranquilla, non mi muovo.» E chi si muove? Puntuale come un orologio svizzero quando si riaffaccia, le vado incontro ricordandole anni fa quel premio Genio di Donna a Firenze quando in mezzo a tanti personaggi illustri salutò e baciò l’amica Sofia Loren. Si, fu una cosa molto emozionante, fui molto contenta di riceverlo. Ma adesso basta, la prego… che altro devo dire? Sapere dal momento che ha lavorato con grandissimi registi, il personaggio a cui è più legata. Nessuno lega con nessuno nel nostro

mestiere. Mai. Si fa quello che è adatto in quell’ora, non ci sono amicizie. Ma io non parlo di amicizie. Noi siamo qui, di questa parte, possiamo stimare ma non è certo che… ”Ah, che bravo!” Siamo molto di mestiere. Ma io sono davanti a colei che ha impersonificato Medea, Elettra… Ah… lei è tosta, vero? Bene ricordo sempre con piacere Euripide. Per Giove, vista l’espressione mi aspettavo tuoni e fulmini, invece è tutto piatto. Menomale! Lo sa che mi sembra d’essere in un crocevia ove si snodano tutte le sue espressioni? Ora intense, ora tristi, nostalgici, persino malcontente. Com’è lei nella vita? Ha fiducia nelle persone? Sono una donna che lavora. Mi piace. Va bene? Penso proprio di sì, è in splendida forma. Trova? Vari giornalisti scrivono che ho più anni di quelli che ho in realtà. Patetico! Molte persone facenti parte del mondo dello spettacolo raccontano di non è esse-

Intervista

diavolo o dea?

TEXT Carla Cavicchini re diventate madri per scelta. Che i loro figli sono il pubblico. Non so quello che fanno gli altri e non m’interessa. Guarda in qua e là un po’ scocciata. Ci sono persone individualiste, altre magnifiche… io non ho problemi per rispondere per le altri attrici… capisce quello che voglio dire? Capisco che è l’ora d’andare. Prima però… trageA scuola ci hanno insegnato che le trage die greche sono immortali. Non sono l’unica a dirlo, tutti lo sanno, non è una cosa strana; rappresentano il mondo di ieri, l’oggi, il domani. Cosa farà in futuro? Signora, io vivo giorno per giorno! Si, è proprio lei, quella Penelope che soggioga abilissima a rimettersi sempre in gioco: l’indimenticabile Penelope che ingannava il tempo in quella stupenda Odissea di Franco Rossi, stata in assoluto la più bella nella storia della tivù italiana. D’obbligo a questo punto riportare una sua frase di qualche annetto fà: «Il mio mestiere mi garantisce la libertà assoluta. Nella vita non ci è permesso di uccidere qualcuno che giungi ad odiare, sulla scena puoi farlo e se lo fai molto bene e magari ti va di lusso, prendi pure un Oscar.»

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Società

Firenze

Vintage TEXT Domenico Savini

V

intage, nell’accezione comune, è diventata una parola di… “moda”, estesa agli abiti, agli accessori, perfino ai mobili. Niente sfugge a questa classificazione: sono “vintage” altresì le automobili e gli strumenti musicali: alcuni di essi, infatti, li consideriamo oggetti di culto secondo l’annata di produzione del legno e della sua stagionatura, dalla

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Un abito vintage anni ‘30 di Barbara Farina

quale dipende la migliore qualità della risonanza acustica. Il vocabolo deriva dal francese antico vendenge (a sua volta derivante dal latino vindemia) indicante genericamente i vini di un’annata di pregio. Come sappiamo, ormai di “annata” non è considerato soltanto il vino. Convenzionalmente, ci si riferisce a dei prodotti realizzati almeno vent’anni prima del momento attuale (anche ai secoli passati), comunque anteriori al ’900. Gli oggetti definiti vintage sono considerati oggetti di culto per differenti ragioni tra le quali le qualità superiori dei materiali con cui sono stati prodotti e progettati, se confrontati con produzioni successive dello stesso manufatto. «Il successo dell’abbigliamento vintage – informa Barbara, titolare del negozio

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fiorentino – si spiega con la riscoperta del bello’nella moda, e non solo: lo stile italiano distingue una notevole quantità di oggetti ideati e progettati dai nostri disegnatori». «L’abbigliamento vintage – Barbara continua – deve possedere due requisiti: essere firmato e indossabile, cioè in ottime condizioni. Tutto deve essere superiore alla produzione odierna». L’abito o l’accessorio vintage si differenzia e si contraddistingue dal generico “seconda mano” (l’usato) poiché la caratteristica principale non è tanto quella di essere stato utilizzato in passato quanto piuttosto il valore che progressivamente ha acquisito nel tempo per le sue doti di irripetibilità e irriproducibilità con i medesimi elevati standard qualitativi in epoca moderna, testimoni dello stile e del gusto di un’epoca passata: cioè di un momento storico della moda e del design. Perciò il vintage coinvolge parimenti le donne e gli uomini di tutte le età. Per tutti è come incontrare degli amici ai quali non pensavamo più; per i giovanissimi, addirittura, è la scoperta del “bello”. Sono vintage anche con gli accessori: cinture, sandali, scarpe, foulard, cravatte, bigiotterie, anche la maglieria; c’è il vintage etnico e quello militare.

Nel suo negozio a Firenze, si possono ammirare, oltre agli abiti, le tele écru, cioè crude o grezze, utilizzate per realizzare tovaglie, lenzuola, asciugamani (rigorosamente ricamati a mano) di canapa o di lino. Sono tele tessute nel secolo scorso, spesso a mano, uscite dagli antichi telai familiari. L’abbigliamento vintage si indossa, si colleziona, oppure si studia. Sono infatti numerosi gli stilisti e i consulenti della moda che ne studiano la progettazione per trarne suggerimenti e ispirazioni. Nel suo piccolo ma fornito negozio, vengono attribuiti nomi e date a ciascun abito, Barbara spiega ogni foggia e ciascun visitatore riceve una soddisfacente risposta. Non sono conversazioni, ma lezioni di storia della moda.


LA GIURIA

Stasera canto io!

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ome di consueto l’appuntamento della Festa della Pizza organizzato dalla Misericordia si è svolto a Santa Croce sull’Arno. Questo anno è stato organizzato anche un concorso canoro all’interno della sala parrocchiale cornice inusuale per incontri conviviali. Si sono esibiti giovani cantanti sotto la conduzione di Stefano Russo e Ylenia Caggiano, in due categorie under e over. Per l’occasione è stata scelta una giuria composta da insegnanti di canto, personaggi locali oltre a componenti della pubblica amministrazione e dirigenti della Misericordia. La giuria oltre a divertirsi per lo spirito nel quale è stata organizzato il concorso, ha apprezzato le ottime voci nelle esecuzioni di canzoni famose.

Queste manifestazione oltre a promuovere la cultura, favorisce all’interno di un territorio la raccolta di fondi a scopo benefico. Come sempre il santacrocese molto sensibile a tali eventi ha risposto con grande partecipazione. A questo punto non resta che decretare i vincitori delle serate: nella categoria under i vincitori in ordine di nomina Greta Doveri, Veronica Tirino, Mauro Carta. A Greta Doveri viene consegnato anche il premio speciale, mentre Mauro Carta riceve il premio della critica. Nella categoria over i vincitori Letizia Crincoli, Michela Boschi e terzo Antony di Blasi. La Misericordia vi aspetta numerosi alla prossima edizione 2013.

I VINCITORI


30 stile 1982-2012

a storia della Carrozzeria Autostile nasce 30 anni fa, nell’aprile del 1982 a Fucecchio, costituita dai Soci Gerardo Caputo e Gianfranco Servi. Fin dall’inizio l’obiettivo è stato quello di creare una beauty farm dell’auto, con servizi che potessero garantire una completa soddisfazione del cliente sia per i lavori di carrozzeria, con i quali Autostile si è sempre contraddistinta, sia per altri servizi che nel corso degli anni sono stati adottati e che ad oggi determinano e identificano l’azienda a livello nazionale. Autostile è un impresa artigiana che conta ben dodici collaboratori esclusi i soci; sono proprio quest’ultimi a dichiarare la validità, la professionalità e la fedeltà del loro staff. «Un personale qualificato e con capacità che ti permettono di distinguerti sul mercato - ha sottolineato Gianfranco Servi - il concetto della distinzione è e sarà sempre per noi importante: distinguersi per non estinguersi è il nostro motto!». Con il passare degli anni Gianfranco e Gerardo hanno continuato a investire sulle esigente del proprio cliente, modellando così servizi e prodotti come capi di sartoria: un’assistenza h24 convenzionato ACI Global, macchine sostitutive di recente immatricolazione, autonoleggio e divisione trasporti. Servizi come oscuramento dei vetri e trattamenti ozono per l’igienizzazione della propria auto. Sette anni fa Autostile è stata la prima azienda in Italia a credere nel car detailing importando dal Giappone un trattamento per la protezione totale dell’auto in nanotecnologia, questo ha determinato una vera e propria svolta per la qualifica dell’azienda anche a livello internazionale poiché è divenuta partner di molte case automobilistiche come Ford, BMW, Audi e Porsche, che si rivolgono ad Autostile. Si tratta di un processo tramite il quale la superficie dell’auto viene protetta dagli agenti esterni e dai fenomeni atmosferici, prevenendo quindi tutti i problemi dovuti all’invecchiamento; gli effetti e i vantaggi sono garantiti per ben sei anni e la manutenzione dell’auto diviene molto più facile poiché lo sporco attacca in modo marginale, non si utilizzano più detergenti e si evita l’asciugatura che può causare graffi, garantendo la massima brillantezza; tale trattamento può essere applicato in qualsiasi momento di vita dell’auto. Inoltre

annidi

I titolari della carrozzeria con le mogli; in basso lo staff al completo


I due titolari insieme a Alex De Angelis e il Patron di Forward Racing

Autostile ha messo a punto un processo tecnologico di ripristino e restauro di tutti i modelli di interni, compreso ogni tipo di colorazione e anche ogni genere di pelle, riuscendo a eliminare problemi come tagli, abrasioni, forature e usure. Un altro tratto distintivo di Autostile è un programma di verniciature opache chiamato Luxury Paint. Un’esclusiva dell’azienda che lo ha ideato e realizzato con varie gamme di colori che permettono la personalizzazione dell’auto. Il lavoro che la società svolge da ben trent’anni ha fatto si che l’azienda ottenesse dei riconoscimenti, dal 2001 è infatti entrata a fa parte del Club dei 100 Carrozzieri di Qualità, un network rappresentato dalle cento carrozzerie leader in Italia per qualità, immagine e organizzazione. Un distintivo che solo in due detengono in Toscana. Autostile è inoltre partner tecnico di Forward Racing, team svizzero di due categorie Moto GP e Moto 2. Alex De Angelis, pilota della Moto 2, ha presenziato alla serata di festeggiamenti che si è svolta venerdì 21 settembre all’interno dei locali dell’azienda,

a cui hanno partecipato molti personaggi dello sport e dello spettacolo, che hanno animato la festa. Amici e clienti sono stati coinvolti in questo trentesimo anniversario, che Gerardo e Gianfranco hanno curato nel minimo dettaglio o per meglio dire in grande stile, proprio come loro sanno fare. Un modo per ringraziare la clientela che si è confermata e consolidata nel tempo e tutti coloro che hanno creduto in questa attività e ne sostengono il successo. Una soddisfazione per tutto il gruppo Autostile che già immagina i festeggiamenti tra dieci anni di uno splendido quarantesimo.


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realizza

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a Segheria Artigiana Maffei nasce alla fine degli anni settanta da una tradizione di attività di boscaioli. Con gli anni l’impresa si è specializzata nella fabbricazione e commercializzazione di legname strutturale, legno lamellare, tavole, perlinato per coperture e serramenti fino ad arrivare alla costruzione di case e casette in legno, con la voglia e l’interesse di proporre un prodotto di stile e di qualità. Le casette ideate e realizzate dall’azienda sono in vero legno, sono spaziose e abitabili, dotate di cucina, camera matrimoniale, bagno con box doccia in modo da consentire libertà e indipendenza. Esse rappresentano un’alternativa ecologica e salutare garantendo anche la sicurezza che ognuno cerca in una casa. Le possibilità di personalizzazione sono molteplici ed è possibile stabilire le dimensioni, insieme al personale della segheria, a seconda delle proprie esigenze. Le casette in legno sono state studiate nel minimo

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un

dettaglio in modo da ridurre il consumo energetico ma mantenendo un alto potere ritemprante, per poter vivere totalmente a contatto con la natura e decidere liberamente dove posizionarle. Questo è incentivato dal fatto che ogni casetta è dotata di un gancio per il carrellamento ed è predisposta per ogni tipo di allacciamento. La segheria Maffei fornisce, insieme ad ogni casetta, un manuale tecnico con descrizione dei materiali schemi costruttivi e degli impianti, indicazione delle proprietà fisiche quali la trasmittanza e il potere fonoisolante; il tutto è corredato da foto che illustrano le fasi di montaggio per facilitare l’utente nell’assemblaggio finale. Inoltre ognuna dispone di un manuale di uso e manutenzione ordinaria e straordinaria indicando anche i tempi di frequenza per garantire una maggiore durata nel tempo. Le case in legno Maffei sono una perfetta soluzione per tutti coloro che hanno sempre sognato di vivere in una

ogno

vera casa in legno. Solida e calda come solo il vero legno certificato di alta qualità e l’accurata lavorazione artigiana sanno offrire. La professionalità degli operai della segheria hanno permesso all’azienda di specializzarsi e distinguersi anche in altre e molteplici lavorazioni, come ad esempio: loggiati, travature interne per ogni soluzione edilizia, pergolati e tettoie. Niente di più accogliente ed elegante di un tetto in legno che tra le molteplici qualità vanta quella di armonizzarsi perfettamente con ogni tipologia di abitazione e materiali da costruzione. L’azienda Maffei come obiettivo principale pone da sempre la soddisfazione del cliente, partendo da una progettazione per poi sviluppare l’ordine e infine realizzare la fabbricazione di un prodotto di qualità, grazie anche alla certificazione del legname, raggiungendo tempi di consegna tempestivi. Una conferma di una realtà solida e qualificata.



Moda

uno showroom per i TEXT Carlo Baroni

rifiuti di alta moda

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uccede in Toscana, segnatamente tra Santa Croce sull’Arno, polo d’eccellenza del mondo della conceria italiana, e Empoli che è un centro famoso, anche se in crisi, per le confezioni. Ma cosa sono questi rifiuti a cui guarda con interesse anche il cinema? Sono la “spazzatura” – per dirla senza troppi orpelli, anche se si tratta di prodotti industriali che ti hanno appassionato e incuriosito il mondo che si è dato appuntamento a Lajatico per il Teatro del Silenzio, quando il tenore Andrea Bocelli ha duettato con alcune delle più apprezzate soprano del mondo le arie più belle del repertorio del melodramma. Le soprano e il coro di 66 elementi erano vestiti in scena con “riciclati” che oggi sono diventati una mostra (aperta fino ad autunno) allestita nell’azienda che li ha pazientemente e meravigliosamente confezionati, facendoli diventare, appunto, abiti di scena. Gli abiti sono stati creati con i rifiuti stoccati alla Waste Recycling Spa di Santa Croce dalle Confezioni Ciemmeci Fashion di Empoli, che opera da anni nel settore dell’abbigliamento, annoverando tra i propri clienti marchi prestigiosi della moda italiana e internazionale. La sapienza artigianale e le abili mani di sarte, stilisti e modellisti della Ciemmeci Fashion si sono prestati a maneggiare scarti di lavorazioni di ogni tipo, valorizzando al massimo i personaggi interpretati dai protagonisti del concerto del Teatro del Silenzio: le soprano e gli elementi del Coro del Teatro Carlo Felice di Genova. Il recupero e il riutilizzo sono dunque l’obiettivo, la forza, il futuro della Waste Recycling Spa impegnata da anni nella promozione del-

Antonio e Elena con abito da sposa riciclato; in basso Maurizio Giani

la filosofia del riuso, che ha portato alla nascita del mondo di “Scart“, una collezione di componenti d’arredo, lampade, strumenti musicali, giochi e abiti, realizzati cercando l’altro volto dei rifiuti, quello utile e bello. Un’iniziativa avviata nel 1998 da Maurizio Giani, presidente di Waste Recycling Spa, che ha coltivato e sviluppato in questi anni moltissime iniziative mirate a curare l’immagine dell’azienda, ed allo stesso tempo ad incentivare e stimolare il concetto del riuso e del rispetto

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dell’ambiente che ci circonda. Gli abiti in mostra nell’azienda empolese – l’allestimento è visitabile in orario di lavoro (info: 0571/1775900) ed è sufficiente una prenotazione – sono fatti di ritagli di pelle di concerie di Santa Croce e delle aziende della zona: topponi e tomaie di un calzaturificio di San Miniato, fine pezza in stoffa e pelle di una confezione di Ponte a Egola, tirelle di un tappezziere di Montecatini, camere d’aria di un gommaio di Fucecchio. Gli autori degli abiti sono Silvia


Chimenti, stilista, Chiara Crescioli, stilista, Paola Mannini, prodotto e modelleria, Angela Nocentini, docente Accademia delle Belle Arti di Firenze, Anna Maria Rinaldi, modellista. Dice Giani: «Da quando abbiamo lavorato per il Teatro del Silenzio sono stati numerosi i contatti che la Waste ha ricevuto per nuove proposte di collaborazione: sfilate di moda a Milano e Roma e il cinema che presto potrebbe occuparsi di noi». È questa un’ulteriore tappa della storia della filosofia del riuso firmata “Waste” che, qualche anno fa, conquistò anche la Walt Disney. L’esclusivo e unico abito di Trilli nato per volere della Walt Disney Studios Home Entertainment e realizzato per il lancio in Italia del film, era fatto con materiali da riciclo provenienti dallo stoccaggio di Santa Croce Sull’Arno. Era un abito prezioso e riciclato in ogni centimetro, comprese le ali fatte con tulle, ferro e tessuti di campionario selezionati e assemblati nell’azienda toscana che ha portato il riciclo anche in un talk show con Dario Fo e Franca Rame e fino alle Falde del Kilimangiaro di Licia Colò per parlare di Scart: 80 pezzi di rifiuti riciclati a nuova vita. Scart è una serie di componenti d’arredo-design frutto della ricerca del volto utile e bello dei rifiuti. Ad esempio, una sedia realizzata con una finestra; il divanetto realizzato con i carrelli del supermercato; l’appendiabiti fatto con la marmitta di un camion; le lampade con i distanziali dei lavori in corso e barattoli di pomodori pelati. Sono pezzi unici, bizzarri, originali, nati dalla fantasia e dall’estro dei ragazzi dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, che insieme al presidente della Waste Recycling Spa Maurizio Giani, si sono divertiti nella ricerca di quel valore impercettibile che poteva salvarli dalla discarica. Ora sono anche preziosi, perché unici, incredibilmente belli perché hanno i segni “vintage” dell’originalità. Questa collezione, diventata mostra, anche spettacolo teatrale, è un’esperienza di autentica

avanguardia a livello nazionale tanto che ha dato vita anche alla prima esperienza dei rifiuti nel mondo della lirica a fianco di Bocelli e, con il 2013, anche a una vera e propria linea di moda: borse e accessori di cui sono già stati realizzati i prototipi.

In alto a sinistra: i titolari della Confezioni Ciemmeci Fashion nello spazio espositivo allestito presso l’azienda In alto a destra: momento di ricerca dei rifiuti stoccati presso la Waste Recycling Spa; prova degli abiti al teatro del Silenzio anno 2012 In basso: momento della sfilata di moda a Firenze

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PADIGLIONE 16 STAND E 19-21

© www.ctedizioni.it

CONCERIA

56029 Santa Croce sull’Arno - Pisa - Via 25 Luglio 19/A - Tel. 0571 366814 - Fax 0571 366815


TEXT Brunella Brotini

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nternet è la testimonianza concreta di un nuovo modo di pensare, è uno strumento che ha amplificato la libertà di comunicare fra gli esseri umani, è l’assenza del limite, è la possibilità di fare associazioni di qualunque tipo, il fatto di poter stare in più posti contemporaneamente, il vissuto di onnipotenza, diminuzione della capacità di attesa. Tutto ciò che è limite nella realtà, su internet è possibile travalicarlo. Ci sono però persone che, di fronte a questo mezzo, cominciano a sentirsi meno liberi, senza alternative extra-web. Persone che possono stare al computer solo quattro ore e che però passano il resto della giornata a pensare ossessivamente a tutto ciò che sta accadendo online, al social net-work o al gioco di ruolo a cui partecipa, alle e-mail che si ricevono e che non si possono leggere, a tutte le informazioni a cui non si può accedere: si è creato uno stato di sofferenza e tendenza compulsiva a collegarsi. Per questo esiste un ambulatorio dedicato alla dipendenza di internet, creato dal Dr. F. Tonioni, psichiatra, dirigente medico presso il Policlinico Gemelli di Roma.

dipendente

Egli ha ipotizzato che possa esserci un cambiamento nella struttura mentale di pazienti giovani, che da bambini – zero/ sei anni – hanno interagito con un ambiente esterno globalizzato, dove tempo e spazio hanno una rappresentazione diversa che nella realtà: ciò può portare a chiudersi in se stessi, a non avere amici, a parlare sempre meno, a non uscire più di casa. Oltre naturalmente a danni fisici, come alterazione del ritmo sonno-veglia, problemi di vista e di schiena, sindrome del tunnel carpale da mouse. La dipendenza da internet è dovuta alla possibilità di sapere sempre quello che fanno e dove si trovano gli altri. È la possibilità di controllare tramite cellulari, navigatori satellitari, telecamere, e google, arrivando a curiosare dappertutto! Ci sono cinque sottotipi di dipendenti da internet: 1° sesso virtuale e pornografia 2° social net-work 3° gioco d’azzardo e shopping online 4° ricerca ossessiva di informazioni 5° coinvolgimento eccessivo di giochi di ruolo.

Società

we ?

sei

E tutti e cinque hanno in comune l’assenza del limite e la sensazione di essere onnipotenti. Le dinamiche mentali che si attivano davanti ad un computer non sono le stesse di quelle che si attivano nella realtà. Il pensiero di controllare gli altri attiva precise vie neurofisiologiche che si innescano, a furia di essere messe in moto, anche fuori dal web, provocando modificazioni del pensiero probabilmente evolutive, basate sull’iper-controllo. Il compito, la cura che si propone l’ambulatorio del Dr. Tonioni è quella di promuovere l’inserimento di questi ragazzi internet-dipendenti in gruppi di riabilitazione dove il gruppo, appunto, riattiva le relazioni “dal vivo”: il controllo con gli altri, gli sguardi, il senso del limite, la capacità, di attesa: comunicazione verbale e non verbale che noi adulti diamo per scontato. Intendiamoci: internet non è uno strumento negativo; ha cambiato il modo di comunicazione tra gli esseri umani, è un altro livello della realtà. Dobbiamo aiutare quelle persone che vivono solo nel mondo virtuale, staccandosi sempre di più dal mondo reale.

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67° GRAN PREMIO INDUSTRIA DEL CUOIO E DELLE PELLI

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i é svolto Domenica 2 Settembre il 67° Gran Premio Industria del Cuoio e delle Pelli, classica gara ciclistica a carattere nazionale riservata alla categoria dilettanti Elite/Under 23 che ogni anno richiama a Santa Croce sull’Arno i migliori atleti del momento che sperano di cogliere quella vittoria in una gara così prestigiosa che dà lustro ad un’intera carriera. Grande pubblico come sempre sia in Piazza Matteotti dove la gara ha la sede di ritrovo, partenza ed arrivo sia lungo tutto il percorso che come ogni anno abbraccia le colline di Santa Maria a Monte, Staffoli e Poggio Adorno. Sono stati oltre 110 gli atleti che hanno partecipato e hanno onorato in maniera esemplare questa gara percorrendo i 180 km del percorso, alla strepitosa media di 44 km orari. Alla fine si é imposto il corridore veneto Marco Prodigioso (Monviso Venezia), davanti al toscano Kristian Sbaragli (Hopplà Wega) ed a Alfonso Fiorenza (Gragnano Sporting Club) dopo aver interpretato da protagonista tutta la gara insieme alla sua squadra. L’Unione Ciclistica Santa Croce sull’Arno intende ringraziare sentitamente tutte quelle aziende che con il loro contributo hanno permesso la realizzazione della manifestazione, tutti i volontari che hanno prestato servizio (oltre 60), il Comandante della Polizia Municipale Dott. Sandro Ammannati, il Comandante della Stazione Carabinieri Andrea Oteri, l’Assessore allo Sport Piero Conservi, il Sindaco Osvaldo Ciaponi, per il fattivo aiuto che hanno profuso prima durante e dopo la manifestazione. L’appuntamento per gli sportivi é per l’8 Settembre 2013 quando si svolgerà la 68a edizione del Gran Premio del Cuoio e delle Pelli, data che coincide con l’immediata vigilia dei Campionati del Mondo 2013 che si svolgeranno in Toscana e sarà per questo motivo che la gara costituirà una degli ultimissimi impegni per gli azzurri che parteciperanno alla rassegna iridata.



Qualità, professionalità e una garanzia firmata

Tecnologia e reatività C N

el 1973 Elio Grasso compiuti gli studi di specializzazione conciaria, avvalendosi delle nozioni teoriche apprese, nonché dell’abilità pratica già acquisita, iniziava una carriera che lo avrebbe portato giovanissimo a fondare la propria conceria. Inizialmente la produzione si basava su mezzi vitelli adatti per pelletteria e calzatura. A metà degli anni ’80 Elio decide di cambiare la produzione: la calzatura si fa con il vitellino al vegetale. La scelta è arguta e ben calcolata: la Mangusta Pellami diviene una delle concerie piu grandi e con le tecnologie più avanzate di Santa Croce sull’Arno. Nel 1998 nella società entrano anche le giovani leve: il figlio di Elio, Andrea, dopo essersi diplomato come perito chimico, affronta un lungo stage presso un’industria chimica, per consolidare la propria formazione come conciatore e portare in azienda le proprie capacità, i freschi studi e la creatività di un giovane intraprendente. Nello stesso anno la produzione torna a utilizzare il mezzo vitello da calzatura e pelletteria: il tempo del vitellino al vegetale è finito. Nel 1999 entra in azienda anche il secondo figlio di Elio, Luca: l’azienda è al completo per un lavoro di squadra che si appresta a durare nel tempo e nelle generazioni. Oggi la conceria Tecnologie Mangusta Pellami srl è una solida realtà di Santa Croce sull’Arno con una produzione di mezzi vitelli per calzatura e pelletteria e mezzi gropponi per cintura. Una conceria giovane e dinamica, che sta al tempo con le tecnologie e le nuove trattazioni conciare. Capace di soddisfare ogni esigenza del cliente con una produzione che si rivolge al mercato mondiale con pellami per la produzione di borse, cinture e calzature sia per l’uomo che per la donna. La produzione principale è costituita da mezzi vitelli prontomoda, mentre un secondo settore dell’azienda è dedicato alla produzione da mezzi gropponi per cintura: lisci, abrasivati, lisci nappati, articoli invecchiati ed ingrassati. La conceria è sempre sul mercato, partecipando alle principali fiere mondiali del settore pellami: Linea Pelle - Bologna - e a fiere internazionali quale ad esempio quella di Parigi. Il prossimo appuntamento è a Bologna.

Stand D51-D53 Pad. 16

Conceria dal 1973 Tecnologie Mangusta Pellami s.r.l. viale Antonio Meucci 6 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571 33436 - Fax 0571 381661 tecnologiemangusta@interfree it www.tecnologiemangusta.com


leader politico a cura di Maria Laura Ferrari, Scuola Ce.S.Graf.

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Società

La grafia del

ltimamente ho avuto l’opportunità di visionare, in originale, le scritture di alcuni protagonisti, di ieri e di oggi, della “cosa pubblica”. Mi ha colpito il fatto che le scritture della maggior parte di loro, presentavano notevoli punti di convergenza in alcuni aspetti grafici di base come la gestione dello spazio, la continuità (vale a dire il modo di legare o staccare le lettere tra loro nello spazio), la forma e la dimensione in rapporto al ritmo. E questo è forse l’indizio che, al di là delle differenze biografiche, caratteriali e di schieramento, per avere “la stoffa” del leader politico, occorrono alcune doti che proprio questi indici grafici evidenziano. Ma vediamo nello specifico alcuni esempi. La prima scrittura è quella di Giulio Andreotti, (particolare di lettera privata del 2001). La scrittura, nonostante l’età – all’epoca il politico aveva ottantadue anni – è ancora piuttosto rapida, il ritmo saltellante; l’impostazione dello spazio “a isola”, con ampi margini, l’interlinea e le pause tra parole ampie, tra l’arioso e lo spaziato; le forme piccole, semplificate e stilizzate con alcune lettere originali, raggruppamenti e collegamenti agili. Una grafia che rivela controllo dell’emotività, capacità di concentrazioni e oltre ad un’intelligenza vivace, rapida, capace di giudicare con equilibrio e analizzare le situazioni, sapendo coglierne gli aspetti essenziali e semplificando i problemi. La scrittura di Silvio Berlusconi (biglietto di auguri del 2002) si presenta ondulata, con spazi ben ripartiti e ariosi, collegamenti rapidi e originali. Troviamo anche nella grafia dell’ex Presidente del Consiglio capacità di giudizio, equilibrio, vivacità e originalità di pensiero mentre ravvisiamo in alcuni allunghi in zona inferiore e superiore una nota di passionalità e orgoglio e dalla morbidezza del tratto uno spiccato savoir faire. Ottima la tenuta del rigo che denota tenacia nel raggiungere gli obiettivi e controllo dell’emotività.

Infine Massimo D’Alema (biglietto di auguri del 2002) con una grafia in cui spicca l’ascendenza del rigo, indice di slancio ed energia; le forme, piccole, ricombinate, i collegamenti annodati, a svelare un’intelligenza originale, vivace, rapida, mentre la decrescenza nelle dimensioni delle parole evidenzia il fiuto e la capacità di introspezione psicologica. Notiamo i grandi archi nella maiuscola del nome, segno invece di protezione, riservatezza, soprattutto per quel che riguarda l’ambito privato. Lo spazio ben controllato e arioso, che ritroviamo anche nelle precedenti scritture, conferma anche in lui la stoffa del leader, di chi sa gestire la complessità con tenacia, equilibrio e self-control. Per concludere le scritture analizzate – quelle qui illustrate sono solo un campione – sembrerebbero dirci che, per essere una guida politica vincente, essenziali sono le doti di tenacia, equilibrio, capacità di gestire la complessità, evidenziate dalla buona gestione dello spazio grafico, oltre ad una spiccata vivacità e acutezza mentale, messe in luce da un ritmo intenso ma controllato, dai collegamenti e dalle forme evolute. www.marialauraferrari.com contatti@marialauraferrari.com

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Una scusa originale dei giovani conciatori per giustificarsi delle mani sporche con le ragazze

quando

Santa Croce era un paese di fotografi

TEXT Stefano Pinori PHOTO Caterina Talini

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nche i lettori più attenti e con la memoria più lunga avrebbero di che dubitare sul titolo di questo articolo. Santa Croce un paese di fotografi? Ma quando mai? Bene, in un certo senso così dovevano pensare di Santa Croce le ragazze che frequentavano le discoteche (ops, le sale da ballo!) della Valdinievole e della Lucchesia, negli anni

Piccola incursione tra il serio e il curioso nel mondo dei tannini della Figli di Guido Lapi, che “colorano” il comprensorio del Cuoio da quasi un secolo ‘30 e ‘40 dello scorso secolo: un paese di fotografi. Perché i baldi giovanotti che venivano da quella zona in cerca di belle e intraprendenti ragazze, erano sì giovani imprenditori (conciatori!), con un po’ di soldi in tasca, ma avevano tutti invaria-

bilmente le mani nere per il tannino che si usava in concia, erano “conciati” come i loro dipendenti! Alla domanda «ma… che lavoro fai, con quelle mani nere?» «Il fotografo!» era la risposta, perché i fotografi avevano le mani nere per i sali d’argento che si usavano per stampare le foto in bianco e nero. E il lavoro del fotografo era certo più poetico di quello del “pellaio”, almeno per il senso comune! Questo è soltanto uno dei tanti aneddoti e curiosità che circondano il mondo dei tannini vegetali, che da quasi un secolo fanno parte del DNA delle concerie toscane. Vera globalizzazione ante litteram, i tannini sono entrati nel bagaglio di conoscenze scientifiche e internazionali della nostra gente, quando l’inglese non era ancora una lingua internazionale. Perché parlare di tannini è parlare della Toscana e dei Toscani… e alcuni tannini sono arrivati in Toscana attraverso la Figli di Guido Lapi. Era il 1928 quando il giovane Guido Lapi acquisì per la sua azienda di Santa Croce la subagenzia della Forestal London, che produceva e commercializzava in tutto il

mondo i tannini di quebracho e mimosa, ed era all’epoca rappresentata da un arzillo genovese di nome Armando Tarantini. Guido era figlio di Francesco Lapi, il capostipite del futuro industriale del Gruppo Lapi, che nel 1884 aveva aperto una “fabbrica di fiammiferi di legno” a Santa Croce. Il rapporto con la Forestal London, arricchitosi e allargatosi in seguito, è stato uno dei pilastri di fondazione della Figli di Guido Lapi, che sarebbe stata aperta nel 1951, dai tre figli di Guido, Francesco, Mario e Dino, incorporando l’attività della Lapi e Pescini avviata dal padre. La Figli di Guido Lapi ha festeggiato l’anno scorso con le altre aziende del Gruppo Lapi i suoi primi sessant’anni. Ma cosa sono questi tannini, e perché sono tanto importanti per le concerie toscane? Il quebracho, dallo spagnolo “quebra hacha”, ovvero che “spacca l’ascia” per la sua durezza, ricavato dal legno di un albero che cresce solo in una zona ai confini tra Argentina, Uruguay e Paraguay; la mimosa del Sud Africa, albero del tutto simile alla mimosa dei nostri giardini; il castagno, essenza tipica

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dell’Europa mediterranea. Sono questi i principali tannini alla base della produzione delle eccellenze della conceria toscana, la pelle conciata al vegetale e il cuoio per suola, le cui caratteristiche uniche sono inimitabili (per fortuna!) utilizzando altri processi produttivi con prodotti concianti non naturali. Ma non sono questi gli unici tannini usati in conceria, ne esistono numerosi altri: di tara, di mirabolano, di sommacco, di gambier, di vallonea, di noce di galla… Qualunque sia il tannino, il materiale di partenza è rigorosamente vegetale (il legno, la corteccia, il frutto, la buccia, il guscio o l’escrescenza di una foglia a seconda della specie da cui si parte), e il prodotto si ottiene per semplice estrazione con acqua a caldo o per macinazione. si tratta di prodotti 100% naturali e provenienti da fonti rinnovabili, perché ottenuti da frutti o foglie, o, se estratti dal legno, gli alberi sono comunque coltivati, dunque vengono continuamente ripiantati dai vivai, come si fa col nostro pioppo per la carta. E l’uso conciario non è nemmeno il solo: i tannini vengono utilizzati anche per i mangimi degli animali, per l’enologia, per i pannelli di truciolato, per il cartone ondulato, per il trattamento delle acque, per i convertitori di ruggine, per la trivellazione dei pozzi petroliferi, nelle miniere...

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Tornando dalle nostre parti, negli anni ’60 la Figli di Guido Lapi mise a punto una concia del cuoio con l’uso anche della mimosa, una vera rivoluzione per quel processo di produzione ultra-tradizionale: la scommessa fu grossa, si fecero arrivare con una sola nave 1.000 tonnellate di mimosa, quando l’import totale fino all’anno precedente era stato di 100 tonnellate all’anno! Le pareti e la copertura dei magazzini furono costruiti in tempo reale, mentre si scaricava il prodotto dai camion. La scommessa fu vinta: da quel momento la mimosa divenne un prodotto base per la produzione del cuoio e nei magazzini Lapi se ne trovava sempre in abbondanza, come oggi. Durante l’alluvione del ’66 i danni subiti per l’allagamento dei magazzini furono ingentissimi, ma, fortunatamente per i conciatori, con i magazzini pieni era stato affittato anche un deposito extra al porto a Livorno, e questo permise di non fermare le concerie e di evitare ulteriori danni. Dei tannini davvero non si buttava via nulla: i sacchi vuoti di iuta (anzi, di “balla” come ancora si dice) andavano a ruba per l’uso che se ne faceva in campagna, per metterci le patate o le granaglie. E una bella spennellata di tannino irrobustiva le zampe dei cani da caccia, mentre negli spogliatoi delle concerie si minacciava

per scherzo chi aveva i piedi un po’… maleodoranti: «te li metto nel tannino, ce li avrai neri per un anno, ma almeno non sentiremo più questo puzzo!»). I capi concia più esperti saggiavano il titolo dei bagni sulla lingua e stabilivano così i rabbocchi da fare, altro che analisi in laboratorio! E nei magazzini Lapi si scaricavano “a spalla” i camion, perché i sacchi arrivavano alla rinfusa, senza “pancali”. Un sacco sotto peso anche solo di 3-400 grammi veniva riconosciuto già a mano quando veniva sollevato… Allora, lunga vita ai tannini e lunga vita alla pelle al vegetale e al cuoio, eccellenze di Toscana. E lunga vita a tutti noi con i tannini, antiossidanti e anti-invecchiamento naturali, che troviamo anche in un buon bicchiere di vino rosso, nella cioccolata, nel tè, nel caffè… e anche in tanti frutti, soprattutto nei cachi. Con quelli non esagerate però, perché di tannino ne contengono davvero tanto, e una delle caratteristiche del tannino è proprio l’ “astringenza”… 1. Una storica foto: arrivo e selezione delle cortecce di mimosa (Sud Africa) 2. 3. Vecchie fustelle metalliche con i marchi per etichettare i fusti (Figli di Guido Lapi) 4. 5. 6. Sacchi di tannini vegetali (Figli di Guido Lapi) 7. Il magazzino della Figli di Guido Lapi

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ECOcompatibile TEXT&PHOTO Carlo junior Desgro

Si conferma il trend della “eco-compatibilità” dell’ industria conciaria italiana, uno dei settori produttivi maggiormente impegnati nell’adozione di strategie industriali improntate alla riduzione progressiva dell’impatto ambientale.

È

del ministro dell’ambiente Corrado Clini il più autorevole e recente riconoscimento dell’ impegno dell’industria conciaria italiana nel rinnovarsi e migliorarsi soprattutto sotto il profilo della eco-compatibilità: «Stiamo parlando- ha affermato il ministro Clini a proposito delle concerie italiane in occasione dell’apertura dell’ultima settimana della moda milanese - di un settore con effetti potenzialmente devastanti per le emissioni e che invece attraverso un ricambio di tecnologia trainato dalle norme ambientali, ha ottenuto un valore aggiunto e un fattore di competitività enorme per le sue imprese che sarebbero state penalizzate se non avessero realizzato simili interventi. Uno dei casi positivi di cui purtroppo si parla poco, poiché in Italia siamo abituati a parlare soltanto male delle aziende». Un’importante attestazione di fiducia per l’intero settore, quella che arriva dalle parole del ministro Clini, che esalta l’impegno dell’industria conciaria nel crescere e rinnovarsi puntando a perseguire scelte consapevoli di rispetto dell’intero ecosistema, come emerso anche in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto socio-ambientale UNIC, con dati che illustrano da parte della conceria italiana l’affermarsi di processi produttivi a ridotto inquinamento atmosferico, l’uso di prodotti meno inquinanti, la selezione di macchinari ad elevata efficienza per le emissioni atmosferiche, il monitoraggio delle emissioni stesse. «Sostenere scelte produttive eco-compati-

bili è una priorità per tutti quanti operano nell’industria conciaria - ribadisce il presidente dell’Assoconciatori Franco Donati - che devono avere a cuore la salubrità dell’ambiente in cui lavorano, che spesso è lo stesso ambiente in cui vivono, come testimonia l’esperienza del nostro distretto». Proprio le politiche industriali eco-compatibili perseguite negli anni sono tra le peculiarità che hanno reso il distretto conciario di Santa Croce un solido modello di impresa apprezzato in tutto il mondo. «Perseguire strategie imprenditoriali rispettose dell’ambiente - prosegue Donati - ci ha consentito di preservare la salubrità della nostra terra, nel rispetto delle nostre radici

e delle generazioni future che verranno cui vogliamo lasciare un ambiente sano dove l’economia e l’impresa di eccellenza si inseriscano al meglio nel contesto circostante determinandone un valore aggiunto». La capacità di determinare un ridotto impatto ambientale nelle attività produttive ha reso il distretto di Santa Croce un modello di industria unico. In tutto il mondo sono numerose le imprese che operano nell’industria della pelle che continuano a guardare al nostro distretto come ad un modello virtuoso che vorrebbero imitare sotto il profilo dell’impatto ambientale: in molti Paesi esteri aziende

Industria

Industria conciaria

conciarie hanno chiuso o si sono trovate in gravi situazioni di difficoltà, pensiamo all’esperienza di alcune aree del nordEuropa e dell’Asia, proprio a causa della insostenibilità delle politiche industriali realizzate in quanto fortemente invasive dell’ambiente. Essere considerati sotto questo aspetto un modello da esportare è per noi testimonianza della bontà delle nostre strategie e ci spinge a continuare sulla strada degli investimenti trainati dalle norme ambientali. Tra i vostri prossimi investimenti quali potrebbero rivelarsi di particolare impatto sotto il profilo della tutela del patrimonio ambientale ? La realizzazione dell’Accordo di Programma riveste sicuramente una importanza strategica centrale, anche sotto il profilo della tutela delle acque come “patrimonio”: miriamo infatti a realizzare un impianto di depurazione che sia utile anche per il riciclo dell’acqua e che consenta alle aziende di servirsi di acqua riciclata, un obiettivo tanto più importante se consideriamo le grandi quantità di acqua di cui l’attività delle concerie ha bisogno. Il codice etico adottato quest’anno dall’Associazione Conciatori concorre ad esaltare la dimensione responsabile del distretto industriale di Santa Croce. L’adozione del codice etico oltre a sancire in modo esplicito su quali binari, di eticità e responsabilità, si muove e deve continuare a muoversi la nostra industria conciaria, si traduce sempre più in un valore aggiunto per il nostro distretto e per le nostre imprese che quel codice etico si impegnano a rispettare: il codice etico ha infatti pure una notevole valenza commercialmente spendibile, poiché sintetizza buone pratiche e strategie industriali che sempre più ed in modo rigoroso ci vengono richieste dalla nostra clientela.

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Consorzio Conciatori Ponte a Egola


pelle la

I

l 24 luglio scorso presso la sede del Consorzio Conciatori di Ponte a Egola si è svolta la cena annuale per tutti gli associati. Un evento che quest’anno è stato arricchito dalla presenza del Teatrino dei Fondi insieme al direttore artistico Enrico Falaschi, che hanno portato musica, teatro e tanto divertimento. Una novità, questa, voluta dal neo presidente Giuseppe Volpi e la sua nuova squadra, anche con un apposita commissione di consiglieri nominati per seguirne organizzazione. Ad accogliere gli ospiti, il gruppo Baro Drom Orkestar con i loro suoni balcanici, i quali hanno sfruttato le finestre e il balcone della villa come palcoscenico, valorizzando la bellezza della struttura e permettendo agli invitati di muoversi in tranquillità. Un modo originale che ha animato e vivacizzato subito l’atmosfera che poi è proseguita nella cena. Quest’ultima si è conclusa con un divertente spettacolo teatrale sul balcone della villa. Tre i giovani nelle vesti delle statue raffiguranti Re Luigi XVI, la Regina Maria Antonietta, e un consigliere dalla erre moscia, che hanno interpretato la scena tratta dall’opera “Cosine, robette” di Pierre Notte, un autore francese tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice sanminiatese Titivillus Edizioni. Il Mago Chico ha concluso la serata con un numero suggestivo e appassionante realizzato con l’utilizzo della videoproiezione e con la sabbia che lui stesso modellava con le mani, dando forma a immagini e personaggi che creavano una storia affascinante che ha coinvolto tutti. La “nuova cena” del Consorzio è stata quindi un vero e proprio successo dando la conferma che le arti svolgono un ruolo importante nella nostra società, soprattutto nel nostro territorio e che quindi distretto conciario e istituzioni culturali possono dialogare positivamente tra loro.

Giuseppe Volpi nel breve ed incisivo intervento ha fatto un appello al Mondo bancario che è stato sempre vicino al settore conciario, invitandolo a continuare a credere nella nostra forza e nella nostra capacità di superare la crisi, perché questo è un passaggio fondamentale per cogliere la ripresa. Volpi ha ricordato il momento particolarmente difficile che sta attraversando il settore, rispondendo però in modo più positivo di altri comparti. Un Presidente visibilmente emozionato, sostenuto da un caloroso applauso, ha presentato chiamando uno ad uno la squadra che lo affianca nella guida del Consorzio. Ha ringraziato tutti gli intervenuti che con la loro presenza hanno

Eventi

vendiamo cara

reso la serata fantastica, ed ha rivolto un ringraziamento particolare ai vertici dell’Associazione Conciatori per la significativa presenza. Il saluto finale del presidente Volpi è stato un auspicio a doppio senso “vendiamo cara la pelle”. I dirigenti del Consorzio Conciatori si ritengono particolarmente felici per la riuscita della serata grazie anche alla presenza degli associati, delle istituzioni politiche e amministrative, degli istituti bancari, dell’associazionismo in genere e di tutti coloro che in qualche modo gravitano intorno a questo settore. Lo stesso Oliviero Toscani, ospite dell’evento, ha commentato positivamente l’esito della serata.

89


Q

la ualità forza della

avoro

TEXT Carla Sabatini, Francesca Ciampalini

S

ul nostro comprensorio Fo.Ri.Um. sc in qualità di Agenzia Formativa accreditata con codice n. PI0477 negli ambiti: Formazione e Apprendistato dalla Regione Toscana in collaborazione con Nkey in qualità di Capofila Test Center accreditato da A.I.C.A. Associazione Italiana Calcolo

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90

medici e operatori, programmazione, Web design, ECDL Gis e grafica); 2. Linguistiche (Inglese, Spagnolo, L2 per stranieri, Cinese) 3. Amministrative (contabilità generale, controllo di gestione, analisi di bilancio, software applicativi per la gestione amministrativa) 4. Comunicative (comunicazione aziendale, tecniche di vendita, marketing e web marketing) 5. Tecniche professionali (modelleria calzaturiera, cad/cam 2D, meccaniche, termo idrauliche, estetiche, ristorative, alimentari - DGRT 559/2008, e competenze in materia di sicurezza, ai sensi dell’art. 34 e 37 del D. Lgs. 81/2008) Segnaliamo grazie alla convenzione con la sezione Soci (Valdarno Inferiore) di Unicoop Firenze, i possessori di Carta Soci e i loro familiari di 1° grado possono usufruire dello sconto del 20% su tutte le attività di formazione a pagamento. Alcuni corsi prevedono una quota di partecipazione comprensiva d’iscrizione, la frequenza, libri di testo, l’assicurazione

contro infortuni e rischi civili, il materiale didattico. Possibilità di riduzione dei costi sulla base del riconoscimento dei crediti in ingresso. Tutti i corsi sopraindicati sono frequentabili per occupati e disoccupati secondo disponibilità gratuitamente con attivazione dei vouchers. I corsi saranno attivati con un minimo di persone e si svolgono a Santa Croce sull’Arno, in orario mattutino, pomeridiano e serale. Iscrizioni e informazioni:

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CRM in azienda due semplici ragioni per usarlo

L

e ragioni che possono spingere un azienda ad adottare un CRM sono molteplici e spesso si rifanno ad argomentazioni quali il miglioramento dell’organizzazione aziendale, l’aumento della velocità decisionale da parte del personale dirigente, il maggior coinvolgimento del personale, in particolare di quello addetto alle vendite e tanti altri aspetti che andremo ad analizzare in una serie di articoli intitolati CRM Best Practices di cui qui trovate il primo. In questo numero analizzeremo quali sono due degli aspetti più semplici ma anche importanti che un CRM tende a migliorare in una azienda. Siamo tutti d’accordo che oggigiorno due dei fattori più importanti per avere successo nella vendita sono la conoscenza del cliente e le informazioni di marketing. In una azienda tipicamente le informazioni che riguardano i clienti sono memorizzate in vari contenitori. Alcuni di questi sono accessibili a tutti e altri solo a pochi, poi ci sono i cosiddetti “contenitori personali” in cui ogni singolo proprietario inserisce e organizza informazioni legate al proprio ruolo in maniera del tutto libera da schemi e quindi, di solito, facilmente reperibile solo da parte di loro stessi. Queste informazioni che spesso riguardano clienti, vendite, prodotti della concorrenza, potenziali clienti (prospect), contatti, richieste (lead), preventivi, campagne promozionali, reclami, pagamenti e fidi sono di difficile accesso per il personale addetto alle vendite come del resto anche informazioni come appuntamenti, visite, trattative in corso, approcci comportamentali da tenere con il cliente, potere decisionale, relazioni tra clienti che si conoscono, clienti strategici e altro sono di difficile accesso da parte della direzione aziendale. Avere una conoscenza approfondita del cliente significa creare un database aziendale dove centralizzare le informazioni che tutti possono detenere, sia il personale amministrativo che gli addetti alla produzione che il personale addetto alle vendite, cosi da: fornire informazioni dettagliate circa prospects e clienti.

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Gestire le relazioni con i clienti come se tutto il personale dell’azienda conoscesse il cliente approfonditamente Gestire al meglio i tipi di cliente considerando le strategie che possono essere applicate su di essi e non rischiando di considerarli “tutti uguali”. Determinare più facilmente le attività di cross-selling, ovvero di vendita di prodotti o servizi complementari a quelli già acquistati in passato. Il personale addetto alle vendite deve avere facilmente accesso al maggior numero di informazioni che il sistema informativo aziendale può fornirgli e nel contempo il personale direzionale deve poter verificare e modificare l’operato degli addetti alle vendite velocemente ma in maniera consapevole. Integrazione stretta con il marketing significa: lanciare campagne utilizzando una molteplicità di strumenti (fax, mail, E-Mail, telemarketing, sms). Gestire le attività collegate alle campagne con rapidità consentendo l’ottimizzazione delle risorse dedite alla scrematura dei contatti andando in profondità fino alla chiusura della vendita. Considerare in maniera efficace le richieste che pervengono dai clienti, utilizzandole per interagire con gli stessi in maniera più efficace per esempio ag-

NOVITÀ

TEXT Sergio Matteoni

per le imprese della Regione Toscana: contributi a fondo perduto per l’acquisizione di consulenza per l’innovazione organizzativa e di soluzioni per il recupero di competività

giungendo un prodotto o un servizio tra quelli che più clienti ci hanno richiesto. Usare gli strumenti di “cruscotto aziendale” presenti sul CRM o le stampe di analisi per tracciare l’andamento delle attività legate alle campagne promozionali. Comparare costi e ricavi e comprendere quale attività di marketing generare o eliminare. Convertire le opportunità in vendite consiste spesso nella rapidità con cui vengono prese le decisioni ed avere uno strumento che ci aiuti a capire se e quando agire in una determinata maniera è importante e determinante sul mercato attuale.

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Angeli Mare di

5 OTTOBRE ore 12,00 ritrovo presso l’Hotel Regina del Mare a Calambrone Tirrenia (PI), check-in e pomeriggio libero. ore 20,00 “Cena con delitto”, una serata all’insegna del “giallo” dove verrà premiato lo “Sherlock Holmes Z3mendo” che risolverà il caso.

6 OTTOBRE partenza in direzione di Livorno per la visita all’Accademia Navale di Livorno, con ingresso delle Z3 all’interno degli spazi dell’accademia e pranzo al Circolo Sottufficiali. Pomeriggio libero con possibilità di sfruttare la spiaggia del resort o per chi vuole sarà possibile effettuare un suggestivo giro turistico in auto tra curve e controcurve del lungomare e alture di Livorno. ore 20,00 Cenone e veglionissimo di “San Silvestro” (visto il calendario Maya che per il 21 di dicembre prevede la fine del mondo).

7 OTTOBRE ore 9,00 partenza per Pontedera, destinazione Museo Piaggi per ammirare : vespe, vespette , vespini e vesponi che hanno fatto storia. Terminata la visita si partirà alla volta di Santa Maria a Monte con arrivo previsto per le ore 12,00 il corteo parcheggerà in Piazza della Vittoria, dove si terrà l’incontro con le Autorità e aperitivo offerto dal Comitato della Sagra della patata fritta. Pranzo presso il paese di Calcinaia (PI), Lago del Marrucco, al ristorante Luna Verde per il “pranzo di Natale” ore 17.00 conclusione della 3 giorni di raduno della BMW Z3 con il club Z3mendi e consegna delle targhe.

PROGRAMMA 2012

ore 9,00

Il raduno Angeli di Mare, in ricordo dell’Ammiraglio Angelo Lattarulo è finalizzato alla raccolta di fondi per l’acquisto di una Citocentrifuga che verrà consegnata domenica 7 ottobre al Presidente dell’Ospedale Universitario Campus Bio Medico di Roma Prof. Arullani. Oltre a una donazione per la Misericordia di Santa Maria a Monte e all’Associazione Andrea Doria (Istituto Orfani della Marina Militare Italiana).


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Ladies Day l’eleganza nel cappello TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

R

endez-vous mondano all’Hotel Il Negresco di Forte dei Marmi dove le signore della nobiltà e dell’imprenditoria hanno sfoggiato spettacolari cappelli di paglia e di stoffa, confezionati con fiori, frutti, rose, gardenie, ingentiliti con da pizzi e ricami, foglie d’edera e grappoli d’uva. Ogni invitata ha potuto dare sfogo alla propria creatività, tirando fuori dall’armadio vecchi cappelli della nonna, rivisitandoli, oppure andando alla ricerca di qualche rarità nelle boutique griffate della perla della Versilia. Oltre centro i partecipanti alla serata, organizzata a bordo piscina dell’esclusivo hotel di Vittoria Apuana durante la quale, tra un bicchiere di vino offerto dalla prestigiosa azienda Marchesato degli Aleramici e un risotto alle verdure, gli ospiti si sono sottoposti al giudizio della giuria presieduta dalla principessa Kethevane Orsini d’Aragona e dall’esperto di araldica Domenico Savini. Sono riuscite ad aggiudicarsi gli ambiti premi consistenti in bottiglie di Brunello dell’azienda Marchesato degli Aleramici la signora Cecilia Menchini Fabris, consorte del noto andrologo pisano Fabrizio Menchini Fabris, con un cappello realizzato con flute di champagne, la nobildonna napoletana Livia Giovannucci Fernandez con uno sfizioso cappello di piume e l’imprenditrice Patrizia Fantozzi Pancani per un cappello con decorazioni floreali. In giuria anche il nipote del Premio Nobel per la fisica Guglielmo Marconi. «Da anni con mia madre Elettra trascorriamo l’estate in quella che un tempo fu villa Hildebrand, storica dimora di Curzio Malaparte. I miei nonni erano spesso ospiti della Regina Elisabetta ad Ascot. Una tradizione che si è perpetuata negli anni. Nessuna emulazione a Forte dei Marmi con Ascot – afferma il principe – semplicemente il desiderio di rievocare fasti e divertimenti in salsa rigorosamente italica».


Alimentazione

vino

il

e le sue proprietà

TEXT Paola Baggiani

S

ettembre, tempo di vendemmia! L’uva è un infruttescenza, cioè un raggruppamento di frutti detto grappolo, a sua volta composto da acini o chicchi di colore chiaro, giallo, per l’uva bianca o di colore scuro, viola, nel caso dell’uva nera. L’uva viene utilizzata per consumo alimentare come frutta sia fresca sia secca, peraltro l’Italia è il primo produttore al mondo di uva da tavola, ma soprattutto per la produzione di vino. La trasformazione dell’uva in vino è un operazione complicata e delicata e oggigiorno nei moderni stabilimenti enologici la classica cantina è stata sostituita da un vero e proprio laboratorio. Nel vino, parte integrante dell’alimentazione mediterranea, sono sciolte moltissime sostanze, le più rappresentative delle quali, oltre all’acqua (più del 90%), sono l’etanolo (80-100g/l di vino a 12vol%); molti Sali minerali, glicerolo, alcuni acidi e i polifenoli. Questi ultimi particolarmente presenti nel vino rosso svolgono una forte azione antiossidante,non solo in vitro ma anche in vivo dopo assunzione orale. È importante ricordare che l’alcool è un nutriente nel senso che ogni grammo ingerito apporta ben 7kcal., per cui un litro di vino a 12gradi, contenente circa 95g. di alcool (un grado corrisponde a circa 0.8 g.) comporta la produzione di circa 660kcal. Se non vi sono controindicazioni all’uso di alcool etilico quali epatopatie, disturbi psichici, situazioni di dipendenza, malattie dell’apparato gastroenterico; in condizioni ordinarie e in individui sani l’uso abituale e durante i pasti di quantità moderate di vino, oltre a esaltare il sapore dei cibi, può svolgere azioni benefiche sul nostro organismo, come l’attività di stimolo sulle secrezioni digestive, proprietà di leggero ansiolitico e soprattutto effetto cardioprotettivo. L’assunzione di quantità moderate di vino durante i pasti favorisce un miglioramento dell’appetito, attraverso la mediazione del SNC riducendo i livelli di serotonina; oltre a esercitare

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un’azione positiva sulle secrezioni digestive, sembra determinare a livello gastrico un aumento delle resistenze della mucosa contro agenti aggressivi e un azione protettiva anti-ulcerosa azione svolta dalle catechine, sostanze con proprietà antiossidanti presenti nel vino.

Nei rapfra il vino rato cardiobisogna netdistinguere danni a se-

porti e l’appavascolare tamente benefici e conda della

quantità consumata: l’alcool consumato in eccesso è dannoso per l’apparato cardiovascolare in quanto determina ipertensione, disturbi del ritmo, cardiomegalia dilatativa e scompenso. Consumato in piccole dosi, e soprattutto sotto forma di vino, esercita un’azione di prevenzione sulla patogenesi dell’aterosclerosi, un effetto protettivo sulla vasculopatia e un ridotto rischio di mortalità cardiovascolare. Il fenomeno noto come “paradosso francese” nasce dalla constatazione che abitanti di alcune città francesi, nonostante una uguale esposizione ai fattori di rischio quali fumo, ipertensione, ipercolesterolemia e una alimentazione ricca in grassi saturi non diversa da quella di cittadini anglosassoni, avevano una più bassa mortalità cardiovascolare. L’unica abitudine che distingueva i francesi dagli anglosassoni era l’uso di vino rosso (Bordeaux) e un più abbondante consumo di frutta e verdura. Molte sono state le successive conferme a tale evidenza che hanno allargato a tutta l’area mediterranea compresa l’Italia, ove il consumo di vino e di verdure è comune, la relativa protezione verso le complicanze cardiovascolari. Tale protezione è determinata da sostanze presenti nel vino come l’etanolo che a basse dosi è in grado di aumentare le lipoproteine HDL, cioè le lipoproteine per le quali è stata provata una correlazione inversa con le malattie cardiovascolari; l’etanolo è in grado di migliorare la fibrinolisi e di inibire l’aggregazione piastrinica fattori importanti nel determinismo delle malattie cardiovascolari. Accanto alle proprietà dell’etanolo, altre sostanze contenute in particolare nel vino rosso hanno un ruolo protettivo nei confronti dell’aterosclerosi e delle malattie a essa correlate. Queste sostanze sono i polifenoli in particolare il


resveratrolo e la quercitina, sostanze ad elevata azione antiossidante che specie in presenza di altri antiossidanti contenuti nella verdura e nella frutta sono in grado di espletare un’azione altamente protettiva nei confronti del danno vascolare. La quantità e la distribuzione nel vino dei composti fenolici varia in funzione del vitigno, del cultivar, del periodo di raccolto, dell’area di produzione, dei processi di vinificazione, dell’invecchiamento, etc. L’effetto protettivo dei polifenoli è legato alla loro capacità di modulare lo stress ossidativo e l’insorgenza di patologie croniche, sia aumentando le difese antiossidative, come scavenger dei radicali liberi, sia diminuendo i fattori di rischio(inibizione dell’aggregazione piastrinica, incremento della fibrinolisi, etc.) Il resveratrolo infine ha dimostrato una certa efficacia nella chemio prevenzione dei tumori, attraverso la sua azione antiossidante, antimutagena su alcune cellule e di stimolo sull’attività di alcuni enzimi utili nello smaltimento di composti potenzialmente cancerogeni. Importante è definire le dosi ottimali di etanolo e le quantità moderate di vino: si possono fissare dei livelli di consumo accettabili e consentiti: secondo le più accreditate società scientifiche la quantità di etanolo accettabile non deve superare il 10% del fabbisogno energetico, o la quantità giornaliera di 0,5g./kg. di peso corporeo. Gli effetti del consumo del vino e di altri bevande che contengono etanolo (birra, liquori, drink), sono anche in-

fluenzati dalla modalità di assunzione, (in dose unica o frazionata), dalle condizioni di consumo (a digiuno o in rapporto ai pasti), dalla composizione della dieta (i carboidrati sembra che abbiano un’azione protettiva sull’assorbimento dell’alcool maggiore degli altri nutrienti) e dalla natura delle bevande alcoliche, cioè da fattori che possono influenzare i livelli dell’alcolemia. Il vino, tradizionalmente presente e parte integrante dell’alimentazione mediterranea, è una bevanda dai “volti” molteplici e contraddittori: esso sa facilitare la convivialità e i rapporti interpersonali, ma nello stesso tempo può rendere asociali e persino violenti. Negli ultimi anni è, un sofisticato e anche modaiolo compagno di serate, di cene, aperitivi, o cocktail, ma può diventare anche compagno di eccessi e pericolosi stravizi. Può essere un grande aiuto per arterie e cuore, ma anche un terribile devastatore di tutto l’intero organismo! Un consumo di vino da basso a moderato, soprattutto di quello rosso, può essere promosso, assieme alla cultura del” buon bere” perché è in grado di ridurre la mortalità per tutte le cause . www.baggianinutrizione.it

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non sparate sul profezista TEXT Luciano Gianfranceschi

La profezia dei Maya sulla fine del mondo, il prossimo 21 dicembre? Conoscere il futuro intriga, ma attenzione: gli inventori stessi non hanno saputo indovinare l’avvento del cinema, del computer, dell’automobile, dell’energia nucleare…

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tando a certi titoloni dei giornali, i dischi volanti sarebbero atterrati oltre che avvistati; i fantasmi nei castelli ascoltati e fotografati; il cancro – argomento serio - già stato sconfitto cento volte. E allora viene da domandarsi, anche a chi ne scrive, ma perché questi fatti, anzi tali notizie, attraggono tanto? Il fenomeno è conosciuto dagli scienziati seri con il nome di “selezione cognitiva”. Cioè le persone selezionano certe informazioni che si accordano con le loro credenze gia consolidate, in questo momento con la visione che hanno del mondo. Nella caso della fine del mondo prevista dal calendario Maya, per il prossimo 21 dicembre, il percorso sembrerebbe essere questo: è cambiato il tempo, quello del meteo, in tutte le stagioni ormai diventate irregolari; segnale della fine del tempo e dunque arrivo della catastrofe. Per qualcuno, anzi per molti, è una analogia inquietante, ma che funziona per chi non ragiona sulla profezia Maya. Dovuta al ritrovamento di un’antica stele, una pietra, sulla quale è scalpellato 2012. Ma è un numero o una data? Mistero. Non c’è però riferimento al prossimo mese, né al solstizio d’inverno. Pertanto non è probabile che un pianeta sconosciuto arrivi nel nostro sistema solare scatenando il caos con terremoti, eruzioni vulcaniche e maremoti; a meno che un allineamento tra tutti gli altri pianeti non contrapponga la forza gravitazionale e salvi la terra. Inoltre, la previsione dei Maya è stata chiamata anche “profezia filosofica”, perché anziché essere ispirata dalla divinità, è dovuta alla sapienza di chi sta in sintonia con la natura e capta verità ben oltre i sensi. Insomma, a ognuno il proprio sapere, il suo mestiere? Macché: sono ricorrenti le profezie, anzi bufale, di ogni genere: su economia, tempo libero, sport. Evidentemente non hanno insegnato molto. Il caso più conosciuto è quello del bastimento Titanic “inaffondabile”. Ma ci fu anche il libro Sopravvi-

veremo al 1982?. E in un venerdì 13 di questo 2012 bisestile, lo scoglio maligno per Costa Concordia all’Isola del Giglio mentre doveva essere un divertente inchino. Così va banalmente il mondo, ma – attenzione – va anche all’incontro: ecco una serie di clamorose profezie incomprese, pur se fatte personalmente da esperti nella materia. Mai abbastanza guidatori. L’imprenditore e ingegnere tedesco Gottlieb Daimler, fondatore della casa automobilistica che produce anche la Mercedes, ha preventivato nel 1870 che al massimo si sarebbero vendute un milione d’automobili, in quanto non ci sarebbero stati mai abbastanza guidatori. Nella fisica tutto scoperto. Altro errore, addirittura più grave, è imputato a Philipp von Jolly, inventore della bilancia, che nel 1874 disse al giovane fisico tedesco Max Planck che nella fisica tutto era ormai stato scoperto. Invece l’allievo, tramite la rivoluzionaria teoria dei quanti ha spianato la strada a innovazioni straordinarie come i transistor. A cosa servirà il computer? Il presidente della IBM, Thomas Watson, considerato uno dei padri del computer, scommise che le persone interessate ad acquistarlo si potevano contare sulle dita di una mano. Il cinema non interessa. L’attore Charlie Chaplin, Charlot, autore di una novantina di film, aveva dichiarato nel 1916 che «al pubblico non interessa vedere figure in movimento sullo schermo, ma attori in carne e ossa sul palcoscenico a teatro».

Curiosità

Maya

Il nucleare? Impossibile. La più grande previsione errata è attribuita addirittura al genio Albert Einstein nel 1932. «Non c’è la minima possibilità di sviluppare energia atomica». Solo pochi anni dopo, nel 1938, la previsione fu rinnegata, e nel 1945 vennero sganciate due bombe atomiche sul Giappone. Le ultime parole famose. Quando a Italia 90 la Germania vinse i campionati mondiali di calcio, un giornale sportivo si sbilanciò che nessun altro li avrebbe più vinti perché i Deutsch, con la riunificazione e dunque disponendo anche dei campioni della Germania orientale, quella nazionale sarebbe diventata imbattibile. Non una profezia, ma una “gufata” perché da allora i tedeschi non hanno più vinto la Coppa del Mondo, e noi italiani siamo diventati la loro bestia nera.

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Sensi

di Margot

Rare sono le persone che usano la mente. Poche coloro che usano il cuore

e uniche coloro che usano entrambi. Rita Levi Montalcini

(1909)

Premio Nobel


L

ontano dalla calura estiva, l’autunno si presta per un soggiorno a Bolzano grazie al suo consistente patrimonio artistico. Cullata dalle blasonate Dolomiti, la città si distingue in lontananza grazie all’alto campanile con cuspide traforata, annesso al gotico Duomo dedicato a Santa Maria Assunta dove ha sede il favoloso Museo del Tesoro, ospitante preziosa oreficeria sacra del XVIII secolo. Tra gli edifici religiosi, decisamente numerosi, meritano una menzione la duecentesca Chiesa Domenicana famosa per i pregevoli affreschi di scuola giottesca, quella Francescana con il suo altare ligneo, la cappella dedicata a S. Erardo, il chiostro ad arcatelle tribolate, l’Abbazia Benedettina in stile barocco e altri gioielli architettonici assolutamente da non perdere. L’abitato vanta un assetto urbanistico ineccepibile, ne è prova l’elegante via Portici dominata da eleganti boutique, edifici adorni da sporti poligonali, le storiche farmacie Alla Madonna e Aquila Nera, l’Emporio degli Artigiani Atesini. In effetti Bolzano è un groviglio di strade deliziose, monumentali, pittoresche, inti-

a

Bolzano regna l’arte! di Carlo Ciappina

me, basti menzionare via Bottai dove ha sede il Museo di Scienze Naturali ubicato nello storico Palazzo di Massimiliano I, via Argentieri costeggiato da nobili palazzi seicenteschi, via della Mostra con le sue dimore rinascimentali appartenenti alla ricca borghesia del tempo. Rimanendo in tema culturale, per una sosta da non perdere le magnifiche piazze, così curate da sembrare dei veri salotti, come piazza Walther racchiudente il cuore ottocentesco della città, piazza delle Erbe dominata dall’antico albergo Al Sole, dalla tardo barocca Fontana del Nettuno, dal variopinto mercato ortofrutticolo e, ancora, piazza Municipio in stile rococò rivisitato in chiave bolzanina. Ah, non trascurate l’offerta museale sorprendentemente consistente! Prima di congedarsi dall’abitato è doveroso rifocillare lo spirito, la vista, il corpo, nel vicino Parco Monte Corno (aperto sino a metà novembre), quasi fiabesco grazie ai colori della vegetazione in autunno, cangianti dal rosso intenso al giallo-oro, adornante un paesaggio dalla bellezza incomparabile.


M

are azzurrissimo, paesaggi bucolici, clima mite, rilevanze storiche di tutto rispetto, sintetizzano il variegato patrimonio offerto dall’Istria ai turisti. La popolazione del luogo tutela con orgoglio quanto madre natura ha partorito nei secoli, basti menzionare la deliziosa costa racchiusa tra scogli arcigni, verde mediterraneo, acque cristalline, candide spiagge, protetta da una politica mirata alla sua salvaguardia. Famosa nel mondo per le monumentali vestigia realizzate da Histri, Celti, Romani, Longobardi, Bizantini, Veneziani, questo eden possiede deliziose realtà urbane ospitanti blasonate opere architettoniche: l’anfiteatro e il tempio romano di Pula, Parenzo con la sua nobile cattedrale la cui abside è decorata con uno splendido mosaico, sontuosi palazzi, torri, castelli, reperti archeologici, ne rappresentano alcune attrattive dal forte impatto visivo. Tradizione e conservazione si fondono, anche, nella produzione degli ottimi vini, tra i quali la centenaria malvasia dal carattere aromatico, dal profumo d’acacia, dal sapore delicato, si abbina a una gastronomia decisamente marinara, mentre il rosso corposo, intenso, color rubino, del Terrano o del Refosco primeggia nelle tavole istriane, e non solo, inclini a una cucina dove regnano sughi, carne di bue, salumi, insomma portate sostanziose. E se una grande abbuffata rallenta la digestione, un bicchiere di Biska, la grappa ottenuta dalle foglie del vischio, risolve il problema velocemente. Per il dolce, senza ombra di dubbio, bisogna optare per il Momiano, delicato moscato emanante soavi fragranze al garofano selvatico. Da non dimenticare l’olio, la cui eccezionale qualità è ottenuta grazie a una temperatura pressoché costante per molti mesi solari e un suolo ricco di sostanze minerali, tutelato, al pari del vino, grazie alla dicitura QI (Qualità Istriana); questo delicato alimento viene adoperato per impregnare il buon pane fatto in casa: una vera leccornia! Rimanendo in tema, la gastronomia peninsulare eccelle per le gustose ricette, dove troneggiano pesce fresco, molluschi, crostacei, cacciagione, asparagi, tartufi coltivati, ingentiliti dagli odori mediterranei dell’alloro, rosmarino, basilico, timo. Numerose iniziative permettono al turista goloso una immersione nelle delizie mangerecce locali grazie alla giornata del tartufo, la festa delle castagne, week-end dei funghi, rassegna delle acquaviti, insomma questo incantevole territorio non lascerà mai il visitatore a bocca asciutta. Per il soggiorno, niente paura, l’offerta alberghiera è alettante per tutte le tasche e, spesso, le strutture ricettive ospitano centri benessere.

di Carmelo De Luca

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Moda

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ccoci alle porte dell’autunno e Reality anche questo mese, vi racconterà le nuove tendenze, i nuovi stili e i modi più cool per entrare nell’autunno senza rimpiangere la calda estate... Preparatevi perché è il momento di cambiare gli armadi e rinnovare il guardaroba seguendo la MODA!

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ome ogni anno è arrivato il momento di lasciarsi alle spalle la calda e lunga estate, allontanarsi dalle ferie, dal relax del mare per immergersi nel più impegnativo autunno. Anche se il sole ci scalderà ancora per un po’, chi di noi non sta già pensando a cosa indossare giunta al momento del temutissimo “cambio degli armadi”? La moda d’autunno ci sorprende carica dell’energia positiva dell’estate. Sovrapposizioni e decorazioni forti segnano tutte le passerelle. Per nostra grande fortuna molti stili ideati dalle grandi marche, possono essere ricreati selezionando accuratamente il nostro armadio. Primo tra tutti? La gonna indossata sui pantaloni. Il nuovo must autunnale diventa la nuova moda passando dalle sfilate di Mark Jacobs per Louis Vuitton, a quelle di Prada per non mancare in Chanel. Pizzi, ricami, frange e trine indossate su jeans, leggings o pantalone elegante. Unire lo stile al colore, alla fantasie, alla luce. Imparare a giocare sulla proporzionalità delle sovrapposizioni azzardando. Decorazioni, pietre, luccichii e accessori definiscono e creano stili diversi che rappresentano mondi diversi e diversi modi di vivere. Versace, Prada, Vuitton e Lanvin puntano sulla luce interna ed esterna della donna. Dolce&Gabbana e Valentino puntano a vestire di ricami e tessuti ricercati, per donne decise che diventano protagoniste della loro vita. I colori forti e vivi contrastano i marroni, i grigi, i verdi e le sfumature arance dell’autunno. Le pietre, le frange, le luci, l’eleganza, le fantasie si mescolano per vestire chic, rock, street o casual. Vestirsi per come siamo senza passare mai di moda: è questo l’imperativo d’autunno.

Autorizzazioni MS&L Italia – Ufficio Stampa Chicco

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Foto vestiti e accessori H&M autorizzate da Ufficio Stampa H&M, Milano

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er i nostri piccini Chicco propone una linea autunno inverno all’insegna del dettaglio e della tendenza. Per la linea My Frist Chicco, prevalgono i tradizionali toni neutri del bianco, del rosa e dell’azzurro, classici dei piccoli neonati. Morbidezza, comfort e tessuti caldi per cullare i più piccini. Sempre per questa linea è da ricordare la collezione Bio 100% cotone naturale su toni panna e beige. Un pensiero per il pianeta e per la salute dei più piccoli. Per i più grandicelli la linea è di tendenza! Viola, ciclamino, bianco candido, fucsia, ma anche arancione e grigio tingono abitini, gonne, cardigan e bluse delle bambine. Stampe flock, fiocchi, pizzi, fantasie di fiori e pois, per bambine alla moda ma semplicemente femminili e ricercate. Per i maschietti invece colori autunnali come zucca, marrone, prugna grigio, rosso, blu e bianco. La linea oscilla tra uno stile “montagna” e uno “college” più dandy con fantasie a righe.


MODa autunno 2012 MO

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H&M è il marchio svedese dove si trovano le tendenze dell’alta moda a prezzi imbattibili! Perché la moda è a portata di tutti!!!

l nostro uomo continua anche in autunno a rinnovarsi e ad osare con colori e accessori un tempo banditi dalle passerelle maschili. I colori neutri vanno di pari passo al blu intenso, al verde bottiglia e all’arancio. Look casual all’insegna del rock in contrasto con un british style che scontra sobrietà ed eccesso. La familiarità dell’abito si scontra con la stravaganza di un capo, di un accessorio o di un colore. Per la sera rimane uno stile dandy e attillato. Il nostro uomo, sempre legato alla tradizione, non abbandona comunque la sobrietà dei completi grigi e neri, con il gran ritorno della pelle. Largo spazio agli accessori con cappelli, borse, guanti... un uomo deciso che non esita ad eccedere, ma allo stesso tempo, caldo e rassicurante.

i negozi h&m più vicini Firenze Via Por Santa Maria - 50122 Toscana Firenze (IT) +39 055 210169

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Questo settembre Chicco presenta: “My WORLD CHICCO” la linea di prodotti dedicata alla cameretta che vestirà di colore il mondo e i sogni dei bambini. Creare secondo Chicco uno spazio colorato e divertente in cui sentirsi a proprio agio per giocare, dormire e sognare. Visita il sito www.chicco.com

Foto vestiti e accessori H&M autorizzate da Ufficio Stampa H&M, Milano

di Eleonora Garufi


clematide il fiore che cerca il cielo

TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová Una cosa bella è una gioia per sempre: Si accresce il suo fascino e mai nel nulla Si perderà; sempre per noi sarà Rifugio quieto e sonno pieno di sogni Dolci, e tranquillo respiro e salvezza. Un serto pertanto ogni nuovo giorno intrecciamo Fiorito, per legarci alla terra… John Keats, Endimione

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mpossibile non vederle. Sono sparse per il mondo, sia allo stato naturale, che nei mille ibridi voluti dall’uomo. Appartengono alla numerosissima famiglia delle Ranuncolacee, in compagnia delle Aquilegie, delle Anemoni, delle Peonie… Sono piante perenni e comprendono circa 250 specie, erbacee o legnose, rampicanti a foglie caduche o sempreverdi; il nome lo hanno preso dalla caratteristica tipica che le esalta: attaccarsi a tutto per cercare il cielo. Infatti “klema” in greco sta per “viticcio”, quella specie di laccio che la piantina utilizza per attaccarsi a muri, cancelli, staccionate, o ad altre specie vegetali, per trovare appoggio al salire più in alto e la stabilità alle intemperie. La sua diffusione ha lasciato ovunque traccia nei modi di dire e nei soprannomi popolari. Vediamone alcuni: in Francia era chiamata “erba dei mendicanti”, per l’utilizzo del succo aggressivo di queste piante per procurarsi ustioni, al fine di impietosire i passanti. Oppure “culla della

Vergine”, perché i luoghi più riparati dagli occhi degli uomini, negli angoli nascosti dei giardini, erano decorati con queste piante. Ma a questo proposito viene da pensare che proprio in questi paradisi naturali e profumati, le vergini trovassero il luogo più adatto agli incontri con gli innamorati, e le culle diventassero letti… ma questo è solo un dubbio che lasciamo sospeso nell’aria. Altra fonte, certo meno profana, spiega questo nome con la fuga di Maria e Giuseppe in Egitto, in compagnia di Gesù Bambino; nell’oasi nel deserto che offrì riposo e riparo, si formò un letto di questi teneri fiorellini… In Inghilterra, addirittura, i rami delle clematidi venivano usati nelle campagne come sigarette: tagliati a misura e fumati, dopo averli essiccati. Da qui il nickname che è rimasto: “smoking cane”, canna da fumo. O anche “shepherd’s de light”, che sta per delizia del pastore. In mancanza, credia crediamo, di buon trinciato da pipa… In Italia, dove non pensiamo ad altro, il nome più diffuso è “laccio d’amore”, proprio per quella capacità dei viticci di attaccarsi a tutto e non mollare mai. Ma anche per la delicatezza dei colori, per la generosità delle fioriture, il profumo che incanta e compagnia bella… Andando a cercare il significato nel libro del Linguaggio dei Fiori, troviamo: bellezza interiore, ma anche finzione, in ricordo della fama di strumento di inganno utilizzato dai “gueux”, i mendicanti francesi. Quindi attenzione a regalare o ad accettare in dono queste piantine. Sotto sotto potrebbe esserci la fregatura. E ora una curiosità per chi ama le cure alternative alla medicina ufficiale. La clematide è uno dei fiori di Bach, dal nome del medico inglese, Edward Bach, che negli anni 30 mise a punto questa teoria. Secondo questa seguitissima pratica di medicina naturale, gli stati d’animo

delle persone possono essere influenzati dalle “essenze” di 38 fiori. Nel nostro caso bere un infuso di questi fiori (viene aggiunto il brandy all’acqua come conservante), influisce positivamente nei confronti degli indecisi, dei sognatori, degli acchiappa nuvole e, li aiuta a concentrarsi verso una maggiore concretezza. Non ho idea se funziona davvero, ma in tanti ci credono e come si dice: vox populi… Ma spostiamoci nel mondo dell’arte. Non poteva sfuggire agli Impressionisti francesi, questo fiorellino timido e tenace, quanto mai invasivo di campagne e paesaggi. Manet ci ha lasciato un bellissimo ritratto rimasto fra i suoi lavori più belli, Clematide e garofani in un vaso di cristallo, uno dei gioielli del museo d’Orsay, a Parigi. Renoir lo ha utilizzato spesso nelle sue scene all’aperto di vasto respiro e Monet, il poeta dei fiori, lo ha ricordato, in gruppo, in alcuni suoi dipinti fra i più delicati. Non ha l’irruenza della rosa, o il colore furibondo delle Iris, la clematide; ma è un sussurro, una carezza, un ricordo che non ci abbandona mai: come le cose che non ci cambiano la vita, e che stanno in un angolo senza disturbare. E forse, senza che ce ne accorgiamo, sono le più importanti.


© Foto Alena Fialová


I colori degli astri d’autunno di Federica Farini

Bilancia

Scorpione

Sagittario

Settembre chiude con grazia le porte dell’estate con l’armonia del segno della Bilancia, la sola costellazione dello Zodiaco non raffigurante un essere vivente e non esistente prima della dominazione romana (nacque in onore di Giulio Cesare). Il suo simbolo, una bilancia intorno al suo ago, esprime quell’equilibrio a cui tutto il creato aspira nell’eterno circolo della vita, che tende ad armonizzare gli opposti, proprio come il fine ultimo del settimo segno. Pietre grigie, trasparenti e verdi brillanti dipingono l’anima della Bilancia. Il quarzo verde dell’Isola d’Elba racconta la sua bellezza e delicatezza, nella massima espressione dell’affioramento quarzomonzonitico di Porto Azzurro, nella varietà più nota del prasio di colore verde, presente in quantità nella località del Porticciolo (Rio Marina), con cristalli lunghi fino a sei centimetri impiantati sulla hendembergite raggiata.

Lo Scorpione dalla personalità intensa, tormentata e profonda; anima racchiusa come una perla rara nella sua conchiglia, la quale nasconde agli occhi del mondo la sua bellezza e unicità. L’ottavo segno è cupo e misterioso solo in apparenza, capace di donare emozioni uniche per i fortunati che sapranno entrare nella sua anima. Perfetto per lo Scorpione un arredamento ricco, che contrasta solitamente con l’essenzialità della dimora che si mostra all’esterno. Amato il legno dai toni scuri, che svela gli abissi del suo cuore, come il noce, il mogano e il teak rosso cupo. L’accostamento delle tinte è spesso inquietante, così come anche la scelta dei tappeti e dei tendaggi, a volte nei toni lilla o violacei. Adorate dallo Scorpione immense e maestose librerie, quadri, cornici, fotografie antiche, specchi carichi di decorazioni, lampade a luce soffusa e calda. Il gusto è in armonia con gli armadi classici che si ispirano al 600-700-800 Toscano, realizzati in noce, come gli splendidi panconi in tipico stile rinascimentale toscano del XIX secolo, o come le credenze dell’epoca ottocentesca in noce massello.

Un raggio di luce calda spezza l’inverno nel segno zodiacale del Sagittario, di leale indole, generosa, indipendente, energica. Idealista e ottimista, teso a trasformare il bello della vita in pure aspirazioni, come l’azzurro-blu del cielo, inteso come colore pieno di pace, speranza e armonia tra i rapporti umani. Perfetto per il nono segno il Lapislazzulo, universalmente riconosciuto come “frammento del cielo stellato”, a causa delle pagliuzze dorate incluse nel suo fondo blu, che evoca la volta celeste di notte. Il suo potere terapeutico calma e dona profondità nella meditazione, come pietra dell’amicizia e della verità che conduce all’elevazione spirituale. Il Lapislazzulo sagittariano (da Lapis, pietra, e lazuli, genitivo del latino medioevale lazalum, azzurro) ci ricorda la sua antica storia attraverso la pittura di Giotto, amante di quel blu che allora si otteneva riducendo in polvere finissima la preziosa pietra. Anche il trattato Il colore e la luce nella pittura di Cennino Cennini (XIV secolo) racconta l’importanza dei lapislazzuli come segno di offerta alla divinità, nella rappresentazione di figure religiose. La pietra vive ancora oggi nelle botteghe che tramandano la tradizione, nei vasi di colore blu (a imitazione del lapislazzulo) stracolmi di fiori, frutta e disegni di insetti, discendenti delle rinascimentali ceste caraveggesche.


Curiosità e cucina i gustosi e nobili regali gastronomici della terra imbevuta d’autunno

TGuttuso, Cesto di castagne (1968, regalo all’amico Picasso

esori d’autunno spiccano nel dipinto del pittore Renato

Castagnaccio Ingredienti:

300 g di farina di castagne; 4 cucchiai di zucchero 1 bicchiere di acqua; 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva 50 g di uva passa; 50 g di pinoli; 50 g di noci sgusciate 2 rametti di rosmarino fresco; 1 pizzico di sale Accendere il forno a 200 gradi. Setacciare la farina di castagne in una terrina, aggiungere 1/2 cucchiaino di sale, mescolando con la frusta elastica, aggiungere 4 cucchiai di olio d’oliva e acqua fino ad ottenere una pastella morbida. Ungere con olio una teglia o una tortiera a bordi bassi (30 cm di diametro), versarvi l’impasto, cospargerlo con pinoli, uvetta (rinvenuta in acqua tiepida) noci tritate grossolanamente e rosmarino e infornare per circa 30 minuti, fino a che la superficie diventi asciutta e secca. Per uno strato molto sottile si otterrà un castagnaccio croccante (lo spes-sore varia dal mezzo centimetro al centimetro e mezzo circa). Il castagnaccio non lievita: se si preferisce un dolce più spesso la teglia deve essere più piccola. Servire tiepido, tagliato in grossi quadrati, anche accompagnato con un cucchiaio di ricotta fresca.

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per il suo ottantasettesimo compleanno), così come nel suo acquarello Castagne d’India (1982), dedicato all’amico Giovanni Testori, in ricordo dell’autunno di Velate. Castagne, per ricordare un sapore dolce e delicato, che per anni ha costituito la base dell’alimentazione del montanaro, omaggio ai boschi, nutrimento ad elevato contenuto di amidi, altamente digeribile nel suo discreto quantitativo di zucchero e apporto calorico (200 calorie per 100 grammi). Pregiati i suoi sali minerali (potassio, calcio, ferro, sodio, magnesio, fosforo, cloro) e vitamine (C, B1, B2, B6, PP): elisir di energia contro l’anemia e la stanchezza psico-fisica. Ed ecco che la tradizione toscana, le cui campagne sono ricche del prezioso frutto, ci regala una ricetta facile e amata, dalle mille virtù, piatto chiamato povero solo per la popolarità contadina di questo cibo nutriente ed economico: il castagnaccio, torta realizzata con farina di castagne, che dà in benvenuto all’autunno nelle aree appenniniche toscane, liguri, piemontesi ed emiliane. È in Toscana che il castagnaccio delle origini suggerisce uno spessore di un centimetro circa (a Firenze detto migliaccio), cotto solo con rosmarino e olio, privo, rispetto alle altre versioni (la pattona, torta alta), di pinoli e uvetta. La storia del castagnaccio ci racconta che Ortensio Orlando fu il primo a citare il toscano Pilade da Lucca come inventore del dolce, “il primo che facesse castagnazzi e di questo ne riportò loda”, nel «Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia et altri luoghi», pubblicato a Venezia nel lontano 1553, al quale seguirono nel corso dell’800 le varie descrizioni del dolce arricchito con uvetta, pinoli e rosmarino. Dopo un periodo di dimenticanza e abbandono nel secondo dopoguerra, a causa dell’impennata del benessere a favore di piatti più snob e sofisticati, il castagnaccio è stato riscoperto entrando a gamba tesa come protagonista di numerose sagre e feste. Una variante del castagnaccio è costituita dal neccio, frittella sottile di acqua e farina di castagne, cotta su brace, da gustate sola o farcita di ricotta fresca. La leggenda narra che le foglie di rosmarino, usate per profumare il castagnaccio, rappresentassero un irresistibile elisir d’amore: il ragazzo che avesse assaggiato il dolce offertogli dalla fanciulla che lo aveva preparato, si sarebbe innamorato seduta stante di lei, chiedendola in sposa. Il potere della castagna, catartico amuleto autunnale, aiuta anche oggi, in numerose spa e non solo, attraverso trattamenti di bellezza, che detergono, idratano, decongestionano e tonificano la pelle, nel passaggio critico dall’estate all’autunno. Ideale per restituire all’epidermide lucentezza e morbidezza, uno scrub al fango termale e farina di castagna, o anche al sale marino e miele di castagno. E per i capelli, bollire in 1 litro d’acqua le bucce di una manciata di castagne, per venti minuti: filtrare e applicare sulla capigliatura, all’ultimo risciacquo. Per schiarire le macchie cutanee, la tradizione ci rammenta di cuocere alcune castagne in acqua bollente e una volta morbide schiacciarle con una forchetta, amalgamare con succo di limone e stendere il composto sulla pelle, per una ventina di minuti. La castagna, fonte di inesauribile energia? Secondo alcune credenze essa è in grado di guarire le persone malate, assorbendo la loro energia negativa, semplicemente collocandone alcune in un vaso di ceramica, accanto al letto della persona malata. Un antico rito ci ricorda inoltre di posare alcune castagne sul tavolo di casa durante la notte del primo novembre, al fine di nutrire le anime dei nostri amati defunti.

di Federica Farini


IL CERVO ALLA FONTE C’era una volta un cervo che si vergognava delle sue gambe sottili e si compiaceva delle ramose corna che gli davano un’aria nobile e aristocratica. Tutte le volte che si abbeverava a una fonte, specchiandosi, si fermava, per parecchio tempo, ad adorare le proprie corna, e si soffermava, pochi istanti, sulle esili zampe, che non si addicevano alla sua regale bellezza. Un giorno, però, il cervo, mentre riposava nella verde campagna, udite le grida dei cacciatori, iniziò a correre per sfuggire alle bramose bocche dei cani e con salti magistrali riuscì a eludere la loro caccia. Più tardi, entrato nella fitta boscaglia per nascondersi, rimase impigliato tra i rami degli alberi a causa delle sue lunghe corna, e aihimé, fu raggiunto dai voraci cani che non gli lasciarono scampo.

MORALE Le cose che riteniamo inutili, a volte, si rivelano piu’ utili di ciò che abbiamo elogiato.

Favole di Fedro


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Centro Toscano Edizioni


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