Reality 66

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Editoriale

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La scelta

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Lettori ed elettori ben ritrovati. A chiusura di un anno, ci viene spontaneo interrogarci, fare un bilancio, un punto della situazione. È naturale chiederci se è giusto ciò che abbiamo fatto, se siamo riusciti a raggiungere i traguardi prefissati o se potevamo fare di più, ma soprattutto se potevamo fare meglio. Nel nostro caso la risposta è semplice: il mercato, se pur viziato dalla crisi, ci dà i risultati, anche se nella piccola e media impresa le scelte sbagliate e gli errori ricadono solo su poche teste. Il punto è questo: coloro i quali hanno grandi responsabilità a livello umano, culturale ed economico, si pongono il problema di fermarsi per un momento e riflettere sulla ricaduta delle loro decisioni? Forse no. Presi dal grosso problema di sistemare un certa situazione, non si accorgono che per aggiustarne una se ne creano altre, forse ancora più pericolose. Ci vorrebbe ben più di un editoriale per elencare questi fenomeni. Badate, non mi riferisco alla sola politica, ma all’intero sistema. Chi è al timone della nave deve stare più attento, deve essere riflessivo e calcolare prima gli effetti indesiderati. Basta con gli interessi e le scelte personali! Chi ricopre certi ruoli non deve farlo per sé, né per proteggere una certa casta; chi ha la responsabilità di gestire il patrimonio culturale ed economico di una società, deve impegnarsi in questo compito con grande scrupolo e delicatezza e scegliere per il bene comune, sia pubblico che privato. Ebbene sì, non è giusto semplicemente giudicare i loro stipendi, compensi o consulenze. Bisogna in primis stabilire se ciò che viene chiesto a tali figure è fatto in maniera corretta. Se così non fosse, sarebbe necessario sostituirle con altre più meritevoli. Purtroppo il mondo attuale va velocissimo. Non possiamo più permetterci di riflettere a lungo: dobbiamo per forza agire e stare al passo, altrimenti dovremmo rallentare la nostra corsa con il globo, tornare indietro, rinunciare a certe cose, dimenticare certi lussi e privilegi che per consuetudine non consideriamo più tali. Torneremmo così a occupare le giornate quasi solo per il nostro sostentamento. Forse qualcuno ha già deciso quale dovrà essere il nostro futuro? Non resta altro che aspettare. Ah, dimenticavo! In questi giorni grandi dilemmi: panettone o pandoro? Albero di Natale o Presepe? Se Presepe, con il bue e l’asinello o senza? Voglio dire la mia, al diavolo la legge bavaglio e la paura di querele! Io sto con la tradizione da oltre ben cinquant’anni, e dico Presepe.

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Reality

MAGAZINE D’INFORMAZIONE

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Stampa Bandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

Reality numero 66 - dicembre 2012 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: info@ctedizioni.it - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.



eality66 ARTE & MOSTRE

Sommario

Roberto Giovannelli Amor geloso, 2012 olio su tela cm 40x40

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In viaggio con Giovannelli 50 anni galleria Athena De rerum fabula Lo splendore del sacro L'arte senza confini Il museo diventa interattivo La casa di tutti Appuntamenti con l'Arte Art Around STORIA & TERRITORIO

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Sulla goletta del capitano Il silenzio degli innocenti Benessere in terra di Siena Il più grande desktop POESIA & LETTERATURA

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Franco Fortini Dove vanno le balene Natale dal robivecchi Un delitto nell'antica pieve Booking a book MUSICA & SPETTACOLO

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Marc'Aurelio Marfa girl Cesare deve morire Una nuova stagione L'anima e il cuore Album del Grand’attore

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24 novembre 2012 Repetita iuvant EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

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Tra due ali di folla

Golden Foot 2012 Tre re alla porta Giovani nella società La Toscana del gusto Circo che sfilata Un dono ecologico Recuperare i clienti si può AVO una scelta di vita Giovani amici per la pelle Una nuova stagione di crescita Angeli di Mare Fasto ritrovato L'olio e le sue proprietà La qualità della forza lavoro I nemici del pregiato bianco

5 SENSI

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Vacanze di Natale Il Natale a Lucerna e Bolzano Reality moda La gerbera Una cascate di luce Gusto. Curiosità e cucina Un abete speciale


Parliamo di...

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viaggio con

Giovannelli di Nicola Micieli

Nella trama dei miei dipinti s’incaglia talvolta in punti imprevedibili una casa, un modello architettonico, come d’Arca impaniata in un groviglio di segni simili ai resti di una combusta foresta, non saprei dire se cresciuta in Parnaso o presso coste e prati prossimi alle cime dell’Ararat. Forse tale inconscia, alterna combinazione d’orizzonti attraversati da bitumi e lignei ricetti, qua e là addolciti da fioriture d’erbe ha portato i miei passi in terra d’Armenia e per le vulcaniche contrade del Nagorno-Karabakh. Un cammino compiuto toccando anche mete immaginarie, luoghi e paesi fascinosi evocati sulla carta, posti oltre gli odierni confini. Lungo quel cammino sono germogliate alcune delle mie recenti storie, immagini volanti dalla terra al cielo, dalla ruvida pietra alle tavole levigate, a tavolette incastonate in fulgide cornici architettoniche, e alla candida imprimitura della tela; figure tracciate da un viandante, come portate dal vibrante suono del duduk qual flebile concento di umani sospiri e di singulti, ove si raccolgono giovani raccoglitori di stelle, uomini in contesa di frutti d’oro, portatori di città o di spicchi di luna.

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ntanto il personaggio principe, la figura che a vario titolo, e ruolo anche di dramatis persona, più spesso attore solitario che in dialogo o in azione con altri, abita e anima in qualità ora di regista/operatore, ora di guida/presentatore, infine, e con esplicita presenza scenica, di interprete della pièce, il teatro visionario dove Roberto Giovannelli rappresenta una speciale “recherche per immagini”, come Carlo Sisi chiamava la sua iconoteca nell’introduzione a Note turchine (Polistampa 2011) del nostro Autore. Si tratta di un uomo della contemporaneità, senza dubbio, e si intenda che egli attraversi il suo e nostro tempo facendosi portatore di tensioni ideali e di riflessioni fondanti che dalle diverse età si riversano e rinnovano i loro contenuti nella nostra, piuttosto che ancorarsi e in breve esaurirsi in una sequenza di eventi o un clima contingenti. Del resto, gli atti e le situazioni che egli prefigura in forma di viaggio nel sogno, lo dichiarano uomo improntato a uno stile e a un gusto non effimeri, demodé quanto basta a segnalarsi singolare per rarità ed elezione. Non è possibile omologare a un qualsivoglia standard attuale, quel viandante raccoglitore di polvere di stelle e portatore di città, di specchi d’azzurro, di insegne, emblemi, memorie che, novello leopardiano pastore errante per l’Asia, intesse dialoghi astrali e terreni con le cose e le creature, perché sa che Est anima in rebus, come recita il cartiglio d’un suo dipinto, e l’anima delle cose per lui che ragiona e comunica per immagini, sono i segni e i simulacri che le rivelano. In terra asiatica, appunto, il nostro viandante è andato errando, a interrogare segni testimoni, a raccogliere messaggi d’arte tra le montagne dell’antica, ancora arcaica Armenia e del Nagorno-Karabakh, presso una gente che di sé dice: Noi siamo le nostre montagne. Le montagne che Giovannelli dipinge in forma d’ogiva o di parabola dimezzata, quali simboli figurali del suo Parnaso. Ricordo che non è solo un mito delle origini, ma simbolo vivente per un popolo che ha conosciuto nei secoli la diaspora, il fatto che sulla cima dell’Ararat approdasse, secondo la tradizione biblica, l’arca di Noè salvata dalle acque del diluvio per la rigenerazione delle specie e della famiglia umana. Pagine del “diario” di quel viaggio sono i dipinti che sotto l’insegna Et in Armenia ego, sono l’estate scorsa approdati alle balze tufacee e tra le biancane dell’etrusca e romana e medievale e rinascimentale e settecentesca volterra, in visita e alla ricerca di ulteriori,

Roberto Giovannelli Monolite dipinto, Shoushy, luglio 2011, affresco su calcare granitico armeno, cm 260x110x120

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specifiche correlazioni dialogiche, ponti ideali con Luca Signorelli, Domenico Ghirlandaio, il Rosso Fiorentino della astrale Deposizione dalla Croce e gli altri Maestri della Pinacoteca Civica. Per questa intuitiva e coltivata simpatia colloquiale, il pittore si fa interprete ispirato dei fenomeni che si manifestano nella volta abitata dal cielo alla terra: sono lampi archi scie luminose nelle tenebre; sono cime di rocce giottesche, arche di santi e tavole della legge, case di pittori, tempietti circolari, mirabolanti architetture e altre apparizioni appostate al modo di isole sulle dense nubi o in navigazione nello spazio. Quando il suo sguardo plana dal cielo alla terra, egli è visitatore sensibile e penetrante di edicole votive e case e luoghi delle muse, interlocutore silenzioso delle erme che incontra lungo il cammino. Sulla terra il suo sguardo spazia ad abbracciare il “paesaggio” naturale e antropico che tutti li contiene, inglobati e affioranti, i depositi e le impronte del tempo e delle culture, alle quali attinge i motivi formali e figurali di cui alimenta il suo poetico e insieme filologico immaginario. La polivalente figura del giovane uomo che impersona, in piena evidenza, le diverse facies dell’artista, il quale spesso riproduce in autoritratto le proprie sembianze, indossa preferibilmente pantaloni e giacca di foggia direi tardo ottocentesca. Le falde della giacca appaiono mosse, come involate dal vento. Comunque fluidificano, si scuotono, si avvitano nello spazio già quando l’abbigliata figura semplicemente cammina. Basta persino che compia una brusca torsione, che all’improvviso cambi direzione o si impunti arrestandosi, perché il moto interrotto seguiti per inerzia, e si scarichi nei lembi flessuosi del vestito. Vero e proprio vettore spaziale, il vestito nel suo insieme assume poi un profilo decisamente aerodinamico, se accade che il nostro personaggio si muova agilmente e ancor più che si metta a correre. E mi piace segnalarlo in corsa sotto le mentite spoglie - peraltro aggiornate al coté tardo ottocentesco di cui si diceva - del pastore Aminta, protagonista in Arcadia d’un “contrasto d’amore” romantico ante litteram. Preso nei lacci dell’insidioso eros e nel travagliato ardore della sua fiamma non placata, Aminta insegue nella ninfa Silvia - lei pure indossa un abito retrodatato di eguale, anzi accentuata foggia aerodinamica - il compimento del

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Cielo abitato, 2010 olio su tela cm 40x30 in cornice architettonica dorata Lucciolina, 2010 composizione per cornice in oro figurata cm 70x51

proprio destino. Che Torquato Tasso volle coronare del lieto fine, come non faranno il Goethe de I dolori del giovane Werther e il Foscolo del Jacopo Ortis, eroi sacrificali antesignani del Romanticismo. A questo proposito, per inciso, non sfuggirà il carattere sostanzialmente romantico del “paesaggio” squadernato e grandioso, sommosso dal vento e attraversato da lampi, per quanto visionario e composto per inserti e trapassi visivi dalle aperture d’ambiente alle proiezioni figurali, in cui si muove e si specchia in contemplazione e in allarme il nostro personaggio. Presupposto e sfondo della favola pastorale del Tasso - e ancor prima di Esiodo, di Lucrezio, di Ovidio e di Virgilio - è la memoria letteraria, la malinconia estetica, la meditazione filosofica intorno alla mitica età dell’oro. Lo spirito della natura, e l’arcana bellezza e perfezione del suo molteplice manifestarsi incarnato dagli dei, pervadeva e governava “le opere e i giorni” dell’uomo nell’aurea aetas. L’idea della perdita dell’innocenza con l’uscita dall’originario stato di natura e l’avanzare della conoscenza, è topos ricorrente nel seguito delle civiltà, dalla cacciata dall’eden dei progenitori mitici alla versione illuminista del “buon selvaggio” contaminato e sacrificato sull’altare delle nuove deità: la scienza e il progresso. Quel mito si rinnova puntualmente di fase in fase dei processi civilizzatori, alla frizione critica e agli snodi tra le antiche stagioni in decadenza e le nuove che si schiudono ad altri orizzonti culturali e artistici. Il cavalletto che sovente Giovannelli colloca nel bel mezzo della scena e mostra di volta in volta un dipinto in corso d’opera del suo repertorio mitografico, storico-artistico, favolistico, letterario, intimistico, è un ponte gettato tra la terra e il cielo. Su quel ponte si può dire metaforicamente che il pittore celebra il rito del transito dalla dimensione fisica della realtà alla dimensione metafisica, comunque all’astrazione simbolica dei simulacri, riduzioni all’essenza formale delle cose. E per compiere quella liturgia permutatrice, egli agisce sui codici linguistici e le convenzioni rappresentative fissati dalla tradizione, li assume e li traduce nei codici e nelle convenzioni che gli appartengono in quanto artista creatore di linguaggio e uomo del suo tempo. Giovannelli non contesta e non stravolge i codici della tradizione, e diciamo pure i canoni accademici, relativi alle tipologia delle arti e dei generi e relativi processi formatori,


Mon bouquet (per Maddalena) 2012 cornice in oro figurata, con specchio cm 80x65


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Cielo abitato, 2010 olio su tela cm 40x30 in cornice architettonica dorata

Prima delle tenebre della notte, 2011 cornice in oro figurata, con specchio olio su tavola cm 80x65


che anzi indaga e interiorizza anche come studioso e storico specialmente interessato all’arte e alla letteratura artistica tra sette e ottocento. Non li stravolge ma li “traduce”, il che significa che li “tradisce” per ri-crearli. e se la pratica della citazione lo ha fatto in qualche modo partecipe di un clima che negli anni Settanta e Ottanta ha guardato al museo per trarne ispirazione e modelli stilistici sotto specie di Citazionismo, Nuova Maniera, Ipermanierismo, Anacronismo e altro, bisogna dire che egli ha avuto un percorso parallelo e autonomo di rivisitazione e appropriazione estrapolata non già di modelli, ma di brani e reperti evocativi da rilanciare quali componenti morfologiche e figurali del proprio linguaggio pittorico. Con la messa in scena del suo visibile parlare all’insegna dell’ut pictura poesis, Giovannelli punta lo sguardo e la mente a una vagheggiata isola o montagna o regione consacrata all’arte, alla sua mitografia e alla sua storia. Si chiamerà Arcadia, Parnaso, Ararat, o altra denominazione ed equivalente destinazione utopica, ed è la spiaggia, la fonte, la cima montana sulla quale il pittore sogna di depositare l’arca della propria casa. Quei luoghi consacrati e i loro portati li prefigura in icona. Ma quando la scorgerà di lontano l’isola del suo destino, e infine idealmente vi approderà, scoprirà che la terra promessa è migrata altrove.

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Come esplorando un sito archeologico, del precedente insediamento l’artista scorgerà sul terreno i reperti, le già fastose vestigia, le consunte spoglie. Sui quali si soffermerà a meditare, e certo gli suggeriranno un memento circa la caducità del tempo e dell’opera umana, le leopardiane “magnifiche sorti e progressive”, sotto lo sguardo estraneo di mater natura. Ma la struggente bellezza di quelle sparse testimonianze sarà per lui anche il trampolino per riprendere da quel punto il viaggio/ sogno. Da alunno della poesia, i segni depositati nei luoghi delle civiltà di volta in volta incrociate, gli sveleranno mondi sommersi, altre sottili trame di segni transitivi, altre corrispondenze analogiche di sensi poetici. Dunque nuovi itinerari. Et in Arcadia ego, l’adagio già topico della malinconia del viaggiatore neoclassico, sulle arcaiche tracce armene dell’arca nell’Ararat, le chiese bizantine e gli affreschi o brani di intonaci affrescati, le pietre scolpite disseminate nei siti e quelle inglobate negli edifici diventa Et in Armenia ego e induce Giovannelli non solo a dipingere memorie e sviluppi immaginativi del viaggio e di quelle tracce e depositi, ma a progettare interventi mirati, a disseminare propri segni e tracce e icone in luoghi ed edifici violentati dalla guerra nella città di Shoushy, come ideali suture e anelli e ponti per rinnovare il colloquio e la circolazione dell’arte quale condizione di ripresa e apertura moderna alla civiltà. Per avviarci a concludere la nostra visita al teatro visionario di Roberto Giovannelli, tornerei all’osservazione d’apertura circa la tipologia dell’abito indossato dal nostro pittore in funzione formale e semantica. Questa volta il viaggio lo

affronterà in jeans e camicia leggera gusto anni Sessanta; oppure, ancora retrodatando, sui pantaloni moderni porterà un camicione alquanto animato di plastiche pieghe e volute persino ridondanti, da panneggio barocco mirato a enfatizzare e rendere visionario il percorso della forma nello spazio. Siffatti abbigliamenti non sono pura tappezzeria vestiaria e modistica, ma svolgono una precisa funzione formatrice nell’economia dell’opera. Nel laboratorio della mente prima che in quello pittorico, Giovannelli concepisce le figure quali corpi ignudi per i quali studia i modelli e taglia e cuce addosso gli abiti confacenti. Non di rado lascia visibili sotto il simulacro dell’abito, come radiografando sinopie o spolveri d’affresco (i disegni originanti e direi la struttura della forma pittorica), tracce o parti più o meno estese del disegno sottostante, sicché la vestizione del corpo con il suo doppio sartoriale connotato come abito di scena e simulacro sostitutivo, diviene un’investitura al ruolo assegnato in funzione formale e simbolica. Già dai tre casi illustrati emergerà la stretta correlazione tra le posture dei corpi, gli abiti che per linee-forza e andamenti ne sottolineano e ne amplificano i movimenti, l’orientamento e i ritmi dei segni, delle linee, delle tessiture, dei nuclei e inserti e sviluppi figurali nella dinamica complessiva della partitura. Parte dunque integrante, anzi motore in potenza e in atto dell’azione drammatica, il nostro personaggio ora osserva con diversi atteggiamenti e posture, ora attraversa, ora mostra e anima, indicandola e segnandola con il dito inseminatore, la molteplice e mutabile scena nella quale il sogno dell’artista si manifesta e si rivela, come tutti i sogni, per immagini o quadri d’una rappresentazione. Lo spirito che muove il visibile parlare di Giovannelli è la rivisitazione di momenti


Studi per Veste di Astlik, 2011 Veste per Artemisia, 1998, spolvero di pigmenti sintetici su seta

Oltre la soglia del frutteto, 2003 limoni, bacchiane selvatiche, more, peschine, pere, mele verdi e rosse in polistirolo opaco, in alzatina con bordo rovesciato in maiolica perlacea con lustro rosso e oro in terzo fuoco, insieme h cm 47, alzata h cm 13 Ă˜ 20

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ed eventi, luoghi e presenze della storia dell’arte e della letteratura stratificati e intersecati nella sua memoria, dunque nel laboratorio ove egli compie l’indagine e la rappresentazione del proprio mondo, prestando quelle figure e metafore del mito al racconto anche della sua storia intima, le sue febbri, i suoi trasalimenti, i suoi stupori. È un processo meta-linguistico che gioca sulla riduzione formale del lessico pittorico a segnali, morfemi, figure emblematiche, infine situazioni da lui esperite. Pedali e volani al racconto, quei lemmi innescano una catena di rimandi testuali e simbolici operati per associazione, analogia, citazione. Giovannelli agisce sullo scrimine ambiguo della simulazione: non mimesi mirata al conforme, ma distorsione dello sguardo, specchio di straniamenti attraverso il quale l’accadimento quotidiano, e il flusso del pensiero, si fanno accensione poetica e deriva visionaria. il tutto entro la “cornice” d’uno Terremoto, 1996, olio su tela cm 60x100 spazio o teatro di rappresentazione, e vorrei dirlo schermo proiettivo, conformato a pala d’altare, a predella, a lunetta o sotto Meditazione su urna volterrana “Capaneo fulminato da Zeus”, 2012 specie di tela dal pittore disposta all’aperto, sul cavalletto e in modelletto, olio e fusaggine su carta intelata, cm 90x75 “paesaggi” assai animati e coinvolgenti, essi stessi portatori di inserti visionari. Un paesaggio che cielo e terra, e le vicende dell’uomo con le sue “fabbriche” e i suoi portati culturali, include e sommuove in rapinoso circolo cosmico. È un’icona, quel paesaggio, attraversata da lampi, accensioni fumiganti, volute di nuvole, apparizioni o flash di lacerti figurali e frammenti di parole, fasciami di segni ai quali il pittore, da architetto visionario, magicamente impone col gesto della propria mano un ordine che ha la provvisorietà di un’apparizione, ed è la rappresentazione di un momento del flusso di memorie visive che accendono la mente del pittore. Tchobanian “achougs”, 1987-2011 olio su tela e lamina oro cm 52x52 Nella pagina a fronte Egredietur virga, 2012 olio su tavola cm 50x35

NOTIZIA

Nato a Montecatini in Val di Nievole il 13 marzo 1947, vive a Pieve a Nievole e a Firenze, ove si è formato all’Accademia di Belle Arti nelle scuole di Ugo Capocchini e di Primo Conti, frequentando negli stessi anni lo studio dell’incisore Pietro Parigi. Ha studiato come borsista nella Rijksakademie di Amsterdam e successivamente presso il Dams di Bologna, ove ha condotto ricerche sperimentali in tema di teoria della percezione e tridimensionalità illusoria. Nel 1976 è nominato titolare della cattedra di Pittura nell’Accademia di Carrara, poi in quella di Bologna e dal 1980 nell’Accademia di Firenze, dove ha insegnato fino al 2008 come coordinatore del Biennio specialistico di Pittura e Arti multimediali. È Accademico ordinario e vicepresidente della classe di Pittura della fiorentina Accademia delle Arti del Disegno. Membro del comitato scientifico della rivista Labyrinthos (1992/2000) fondata da G. L. Mellini. In parallelo con l’attività artistica ha svolto studi e ricerche sistematiche sulla prassi pittorica in Italia tra Settecento, Ottocento e Novecento, ponendo particolare attenzione al tema del Disegno come nucleo germinativo dell’opera d’arte. In questo contesto ha portato sostanziali integrazioni alla biografia e al catalogo di Bernardino Nocchi, nuovi contributi alla biografia di Stefano Tofanelli, rimesso in luce l’eccentrica figura di Niccola Monti; è intervenuto su artisti quali Raffaello e Antonio Morghen, Francesco Antonio Cecchi, Luigi Crespi e Innocenzo Ansaldi, Pietro Benvenuti, Giuseppe Bezzuoli, Pietro Cheloni e altri. Dirige la collana Scrapts – taccuini di lavoro, concepita come laboratorio poetico, presso le edizioni Polistampa di Firenze. Ha recentemente pubblicato: Piccolo viaggio al centro della Toscana, Gli Ori, Pistoia, 2004; Vagabondaggi di carta. Con un florilegio di exlibris italiani della prima metà del Novecento, Polistampa, Firenze, 2006; Il Nudo in scena. Due passi con Pietro Benvenuti nella fiorentina Accademia delle Belle Arti, Firenze, 2008; Taccuino di Pensieri, Firenze, 2011. Fra le mostre personali più significative si ricordano: Firenze, Galleria La Piramide, 1985; Pontiac, Michigan, Schweeyer-Galdo Galleries, 1986; Prato, Galleria Metastasio, 1987; Nizza, Palais des Expositions, Art Jonction International, 1987; Firenze, Saletta Gonnelli, Simulazioni, 1998: Firenze, Note turchine, Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno, con un’antologica di disegni e dipinti, 2011. Fra gli inviti e le partecipazioni si segnalano: Roma, X Quadriennale, La nuova Generazione, 1975; Parigi, Grand-Palais, XXXVIIe Salon de la Jeune Peinture (a c. di G. Serafini), 1986; Bergamo, Biennale d’arte, 1988; Madrid, Arco 1988, 1989; Siena, Magazzini del Sale, V Biennale d’Arte Sacra, 1988; Milano, Internazionale d’Arte Contemporanea, 1989; Celano (L’Aquila), Triennale Internazionale d’arte Sacra (a c. di G. Di Genova), 1989; Cento (Ferrara), Magi ’900, Museo delle eccellenze artistiche e storiche, 2006; Firenze, Archivio di Stato, Oggetto Libero, rassegna del libro d’artista, 2007; Brindisi, Palazzo Granafei-Nervegna, La Gioconda è nuda. Riscoperte e nuove icone (a. c. di A. Vezzosi), 2010; Miami (USA), Ca’ d’Oro Gallery, Mona Lisa unveiled; Pensiero e Disegno, Jerevan, Galleria Nazionale Armena; San Gimignano, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea Ricognizione toscana. Nuove acquisizioni a cura di Nicola Micieli, invitato al padiglione Italia per la 54° Biennale di Venezia; Volterra, Palazzo Minucci Solaini, Et in Armenia ego, 2012.

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Livorno - Galleria Athena

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Mostre

anni d’arte tra

800 900 e

TEXT Gianfranco Magonzi PHOTO Foto Arte, Livorno

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l contributo livornese all’arte figurativa, e proprio il suo successo, credo non siano separabili da una considerazione ambientale di tipo socio-culturale. Solo un’attenzione che tenga presente quindi quest’aspetto, che colga cioè il carattere, a Livorno popolare, dell’interesse alla figurazione artistica, può dare spiegazione della diffusa persistenza, qui sempre osservata come straordinaria, di una sensibilità tutta speciale all’arte figurativa, alla pittura in particolare e nello specifico a una figurazione pittorica di paesaggio, urbano e marino, anche se non soltanto, quasi in un riaffermato rapporto d’identità sociologica. È negli anni Venti e Trenta, lungo i quali si è articolato il percorso di più motivato e ruggente accreditamento della cosiddetta “Scuola Labronica”, che si è stabilita e radicata una conformazione diffusa della cultura figurativa livornese ai canoni e ai moduli di quel tipo di figurazione, ai suoi registri cromatici e ai suoi esiti di essenziale vivacità. Quasi sempre questo radicamento si è imposto nel collezionismo, e di conseguenza nella sollecitazione propositiva delle gallerie d’arte, con esitante considerazione delle pur molteplici proposizioni artistiche emerse nel corso del Novecen-

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to, ragion per la quale ad es. le pur nutrite schiere di artisti e di esperienze maturati a Firenze e in Toscana all’ombra de Il Fiorino – e come si vede si tratta di non poca acqua passata sotto i ponti dell’arte – sono rimaste a lungo misconosciute, dovendosi così ascrivere a gran merito l’impegno al recupero che si viene facendo da parte di alcune gallerie per colmare la lacuna. Ne offre testimonianza puntuale la ricostruzione di un’attività di tramite, tra il mondo della produzione artistica e quello dell’interesse collezionistico in tutte le possibili componenti di varia sensibilità culturale e mercantile, quale appunto è il lavoro di una galleria d’arte e qui parliamo della Galleria Athena di Livorno, ripercorso nell’arco temporale ampio e significativo al compiersi del suo cinquantennio di attività. La Galleria livornese, come altre ma forse più di altre, e proprio per la longevità del suo impegno, offre conferma della persi-

stenza di questa sensibilità diffusa e popolare, che dalla sua fondazione la Galleria ha certamente concorso a consolidare, che ha secondato ma stimolandone l’approfondimento, e ha sostenuto pur senza chiudersi in una monovisione dei valori artistici. Nel suo contributo in premessa al catalogo, Nicola Micieli tiene presente lo stretto intreccio con la formazione, sviluppo e persistenza del gusto artistico a Livorno dominante e l’orientamento del collezionismo locale, nel corso di quei decenni “che hanno visto nascere e diffondersi movimenti e tendenze della ricerca artistica di tutt’altro segno, anche nel versante della figurazione di più stringente fedeltà visiva – dalla pittura di variegata matrice postimpressionista e macchiaiola e novecentista in Toscana, e a Livorno in particolare, declinata davvero con un ricco ventaglio di soluzioni linguistiche e stilistiche e capace di fare, per così dire, storia a sé.” Il saggio con il quale Michele Pierleoni, che ha curata la mostra, introduce il ricco catalogo (Athena. Cinquant’anni di galleria d’arte a Livorno, aperta sino al 26 gennaio), dà puntualmente conto di questa costante riflessa nella linea culturale adottata dal fondatore della Galleria, Luigi Magherini, sviluppata nel successivo impegno della figlia Floriana con suo marito Dino Pierleoni e adesso assunta, e con ampia visione innovativa, dai figli Marcello e Michele Pierleoni. Se il regesto d’attività nel cinquantennio espone tutta la vivacità propositiva promossa da questa Galleria livornese, con gli attenti apparati delle 127 opere in catalogo (67 sono quelle esposte in mostra a richiamo degli autori che la Galleria ha presentato negli anni), vi si coglie anche la testimonianza di un più stabile e programmatico impegno all’approfondimento storico, al recupero di figure artistiche rimaste periferiche nell’attenzione locale, alla proposizione, coraggiosa perché controcorrente, dell’opera grafica di qualità, con l’esplicito intento di far crescere una


sensibilità che, generalmente, ha tradizione precaria e di nicchia. Sono le iniziative promosse in quest’ultimo decennio a testimoniare l’innovato impegno nella proposizione espositiva, dalla mostra dedicata a La Pittura Toscana tra 800 e 900, con la quale fu festeggiato nel 2000 il quarantennio di attività di Galleria, all’altra che proponeva Disegni e Incisioni Toscane tra Ottocento e Novecento, cui fece seguito Livorno e la grafica. La rivoluzione del segno, e le più recenti mostre di grafica e pittura con Alberico Morena, Renzo Galardini e Stefano Ciaponi, testimonianza appunto dell’attenzione a questo settore Due mostre e i relativi cataloghi hanno segnato passi di rilievo nel progetto d’approfondimento storico-artistico: quella sull’opera di Renato Natali e poi la ricognizione esaustiva sull’arte e la cultura a Livorno in una stagione di grande rilievo con Il Caffè Bardi di Livorno.(1909-1921). Le arti all’incontro, curata con chi scrive da Michele Pierleoni, con contributi di Luigi Cavallo e Dario Durbè. Le nuove presenze artistiche s’inseriscono nella programmazione espositiva e mercantile con accenti decisamente innovativi della tradizionale figurazione, corrispondendo a una adesione estetica capace di cogliere sensibilità anche decisamente differenziate, che mantengono forte il nesso figurativo. A sinistra: La copertina del catalogo per i 50 anni della Galleria Athena; Leonetto Cappiello, Le frou frou, 1899 litografia a colori su carta; A destra: Renato Natali, Via San Giovanni Livorno, 1928-1930, olio su tavola In basso: Plinio Nomellini, La Surata del profeta, 1934, olio su tela

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Ancona - Valeriano Trubbiani

Mostre

De rerum fabula TEXT Nicola Micieli

U

n invito al viaggio attraverso l’intero Secondo Novecento tracimato nel terzo millennio. Inquietudini allarmi adombramenti aspettative tensioni proiezioni d’un arco storico che l’artista ha attraversato e raccontato, in grandiosa metafora visionaria, con sguardo analitico ordinatore e mente riflessiva e divinatrice. Un artista per il quale la scultura e il suo spazio di manifestazione – e la grafica disegnata incisa pirografata che ad essa si è sempre alternata e integrata nel processo creativo – è luogo d’azione nel quale si prefigurano eventi o drammatizzazioni di un respiro che vorrei dire epico e a suo modo catartico, in senso propriamente classico. Si tratta dunque di apparecchiature scultoree configurate in forma implicitamente teatrale: macchine, congegni e ingegni attivatori dell’immaginario, la cui funzionalità concettuale e poetica, e ovviamente visiva sul piano dell’identità formale e plastica, si acuisce quando l’opera sia concepita come installazione o messa “in situazione” in un contesto ambientato. Specie se agibile dallo spettatore chiamato ad abitare la scena e in qualche modo calarsi nel dramma in essa figurato, piuttosto che contemplarla dal suo posto di osservazione, per quanto coinvolgente sia comunque la sua temperatura espressiva. Questo potremmo dire, in sintesi, della grande antologica di Valeriano Trubbiani ordinata alla Mole Vanvitelliana e, a integrazione, nel Museo Tattile Statale Omero di Ancona. La città che oggi lo onora, Trubbiani l’ha nel tempo contrassegnata

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Macchine belliche, 1965

con importanti suoi inserimenti scultorei anche monumentali, assumendola quale scaturigine di molta parte della propria ispirazione. Basti ricordare il ciclo Ciriaco de’ Pizzecolli e la sua Ancona, una “navigatio” visionaria in apertura mediterranea tra storia e mito, specifica traversata tra le altre sue favolose e anche perigliose dell’universo marino, e specularmente di quello celeste, da Trubbiani assiduamente frequentato. Ricordo che in un caso ha avuto a eccezionale compagno Federico Fellini, per il cui film E la nave va progettò il modello di nave da dove sarebbe stato sbarcato il rinoceronte che Trubbiani doveva assumere a simbolo della Mater amabilis, gettato nel bronzo a dimensione monumentale in Piazza Pertini ad Ancona, appunto. Mare, corazzate e Federico Fellini (opere 1982-2001) si intitola una della stazioni dell’itinerario allestito nella Mole Antonelliana, ma estensibile all’ulteriore percorso attraverso i luoghi che accolgono stabilmente le opere dello scultore nella città dalla quale, in un’ottica peraltro estranea ai localismi perché aperta sui grandi e universali temi della condizione umana, sempre sono salpati i suoi navigli che hanno raggiunto approdi

lontani e disseminati nella geografia e nelle culture del mondo. Si capisce bene la ragione per cui gli istituti di Ancona (Comune, Camera di Commercio, Banca delle Marche, Unipol Assicurazioni) oggi riconoscano in Trubbiani l’artista che meglio ha saputo rappresentare lo spirito di una terra e di una gente, promuovendo e sostenendo questa che appare, sin qui, la più articolata e completa ribalta e rappresentazione del suo lavoro certo calato nelle sottese e ansiose frizioni, non già nelle effimere mitofanie del suo e nostro tempo. Curata assieme al catalogo (Silvana Editoriale) da Enrico Crispolti che di Trubbiani è il maggiore e più assiduo conoscitore, la mostra si intitola De rerum fabula (La favola delle cose o anche, con perifrasi estensiva, Intorno alla visionaria “legenda” della cose). È un’evidente parafrasi del lucreziano De rerum natura (La natura delle cose), il poema filosofico nel quale più lucidamente il mondo antico ha saputo esprimere, nella dimensione visionaria dell’arte, lo sguardo analitico ordinatore e la mente riflessiva e divinatrice aperta allora, come nel nostro tempo ha saputo fare Valeriano Trubbiani, sulla complessità del reale che include la vicenda umana.


Aruspici, 1968-1974

Stato d’assedio, 1971-1972

Valeriano Trubbiani - De rerum fabula 20 ottobre 2012 - 17 marzo 2013 Museo Tattile Statale Omero - Mole Vanvitelliana - Banchina G. da Chio, 28 - Ancona Tel. 071 2811935 - 071 2225031 www.museoomero.it - info@museoomero.it - sito vocale 800202220 Orari: dal martedì a sabato 16.00 - 20.00, domenica 10.00 - 13.00 - 16.00 - 20.00 - Chiuso lunedì 25 dicembre 2012 e 1 gennaio 2013

Ractus, ractus: stato d’assedio, 1976-1979

Le morte stagioni, 1973

T’amo pio bove, 1976-1978

Ractus, ractus: stato d’assedio, 1976-1979

Il silenzio del giorno, 1979


Le icone della Natività a Peccioli

sacro

Mostre

lo splendore del TEXT Irene Barbensi

O

tto piccoli presepi da ammirare in un’atmosfera raccolta per vivere il Natale nella tradizione cattolica e ortodossa, in mostra da domenica 2 dicembre a domenica 6 gennaio presso il Museo delle Icone Russe di Peccioli. Un momento per conoscere come due diverse tradizioni celebrano e raccontano la nascita di Cristo, attraverso lo studio di un’iconografia che si formò essenzialmente già nel periodo paleocristiano e poi si è sviluppata nei secoli e le cui fonti principali sono i Vangeli di Luca, di Matteo e testi apocrifi, come Protovangelo di Giacomo e Vangelo di Pseudo Matteo, alla riscoperta delle comuni radici spirituali. Le prime raffigurazioni della Natività di Cristo, risalenti al IV sec., si trovano nelle catacombe di San Sebastiano a Roma. A differenza delle immagini più tarde, nei monumenti paleocristiani la scena viene presentata sotto una sorta di tettoia, dove la Vergine sta seduta accanto al neonato Gesù. Quest’ultimo dettaglio esprime la concezione, spesso sottolineata dai Padri della Chiesa e poi ripetuta nei Cetji Minei di Dmitrij di Rostov, del parto miracoloso dopo di cui Maria non aveva bisogno di riposo. Nell’iconografia bizantina l’evento si svolge dentro una grotta, con la stella di Betlemme sopra al centro, la Madre di Dio sdraiata e San Giuseppe seduto accanto. Il nucleo principale della composizione spesso viene accompagnato dagli angeli glorificanti il Signore, dal bagno del Bambino, dalle scene dell’Annunciazione ai pastori, del viaggio e dell’Adorazione dei re magi. Se gli episodi con gli angeli, pastori e magi sono tratti dai Vangeli, l’origine del lavaggio di Cristo Bambino rimane sconosciuta. Sappiamo soltanto che la prima volta questo soggetto apparve nell’arte occidentale nell’Oratorio di Giovanni VII a Roma (fine VII - inizio VIII sec.) e poi a partire dal VIII sec. viene riprodotto nei manoscritti bizantini. Tra i personaggi solitamente presenti nelle raffigurazioni della Natività di Cristo il più enigmatico è il vecchio, vestito di pelliccia, che conversa con Giuseppe, uno dei pastori venuti ad adorare il Cristo oppure

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il diavolo che tenta Giuseppe mettendo in dubbio la verginità di Maria. Nella tradizione ortodossa nei sec. XV e XVI al tema della Natività si sovrapposero frequentemente quello dell’Adorazione dei pastori e, ancor più spesso, quello dell’Adorazione dei Magi, i tre principi d’Oriente che possiedono la Saggezza Divina e rappresentano l’inizio della Chiesa dei pagani. Nelle raffigurazioni i magi si presentano appartenenti alle tre categorie di età: vecchio, adulto e giovane e i doni offerti,

l’oro, l’incenso e la mirra, sono identificati da San Giovanni Crisostomo come simboli di scienza, d’amore e d’obbedienza. Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi” Piazza del Popolo 5 - Peccioli Orari: mercoledì dalle 15.00 alle 19.00; sabato, domenica e festivi dalle 15.00 alle 19.00 Chiuso Natale e Capodanno. Per Info: Fondazione Peccioliper Tel. 0587 672158 - www.fondarte.peccioli.net


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t e senza confini r A

Intervista

Alain Elkann

TEXT Carla Cavicchini

L

a competenza innanzi tutto e dopo il denaro, altrimenti è come costruire una statua a metà. È questo in sintesi il pensiero di Alain Elkann, distinto ed elegante signore – soprattutto nei modi – presidente tra l’altro della Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. Seduto in quel di Palazzo Vecchio durante il convegno “Mercato, collezionismo e musei in Italia e all’estero”, organizzato in occasione di Florens 2012 - Biennale Internazionale dei beni

culturali e ambientali - nel suo consueto “aplomb” spiega che anche in una città ricca d’arte come Firenze ci vogliono persone giuste per capire l’importanza di tali beni. «È fondamentale avere il sapere nonché anche una buona energia: vanno bene le fondazioni museali, anche quelle statali, l’importante è ben costruire portando avanti un percorso rigoroso, e poi, è innegabile, i soldi sono indispensabili. Purtroppo - prosegue - spesso la cultura viene delegata a chi ne sa veramente poco, e il nostro paese opera in maniera troppo limitata: ricordo De Gaulle - grande statista che invece aveva un occhio attento in proposito e qui mi soffermo dicendo che a Torino, città dove vivo, ci sono collezionisti semplicemente straordinari». Roma. Roma è moderna, ha tutto, ma è un millefoglie di stratificazione di tutte le epoche; tanto per portare un esempio, ci sono anche opere di Renzo Piano a dimostrazione che lì tutto convive. Personalmente - termina ci vorrebbe un unicum tra stato, privati e non solo; quanto alle donazioni, avvengono, per fortuna, l’importante però è farne buon uso sapendo dove finiranno le opere. Francamente non sono così pessimista, direi fiducioso e penso che l’Italia si adeguerà ai sistemi europei. Raggiungo l’inconfondibile figura dal passo felpato mentre incontra l’uscita in compagnia di una bella signora bionda: capisco che ha fretta. Arte e lavoro, lavoro e arte. L’uno salva o potrebbe salvare l’altro. I musei hanno bisogno di personale, di orari più lunghi e quindi si potrebbero impiegare persone che cercano occupazione. Penso a Napoli, ma anche ad altre città gioiello… È tutto molto semplice: l’Italia destina uno 0,18% per i beni culturali,

mentre gli altri paesi danno fino al 3%. Lo stato dovrebbe essere in primis, altrimenti risulta molto difficile mantenere il nostro patrimonio. Ed è proprio questo per cui mi batto: non solo non viene capita tale importanza, ma soprattutto non sanno investire. Vede, se in giro ci fossero meno automobili, anche straniere, meno autisti, insomma, meno lussi per le classi dirigenti, ci sarebbero meno sprechi e quindi più moneta. Pensiamo inoltre anche alle bellezze paesaggistiche e qui ripeto, come ho detto prima al convegno, i privati vanno incoraggiati anche dallo stato. Quindi a monte regna una grande ignoranza? Pausa. Mi guarda. Mi chiedo se ho formulato male la domanda, in realtà pensa tirando fuori quella cadenza francese che è parte del suo modo di essere. È pirandelliano questo fatto, incomprensibile. La parola cultura non esiste nelle campagne elettorali; io sono presidente della fondazione “Mecenate 90” e insieme abbiamo fatto un manifesto firmato da 1.500 persone chiedendo nelle campagne elettorali di sensibilizzare quello che le sto dicendo. Bene, mi auguro che uno di questi partiti, questi ‘big’, facciano qualcosa per il nostro Belpaese, poiché non si vive solo di Pil, di tasse e altro ancora. Tombaroli. Ci sono e depredano portando a galla cose preziosissime, anche molto oro di origine etrusca. Penso ci sia molta leggerezza in merito in quanto esiste, seppur in anonimato, chi racconta poi dei regali alla moglie, oppure della rivendita del malloppo. Abbiamo un reparto carabinieri destinato ai beni culturali più che eccellente. Ma, i giornali parlano d’altro… Appunto, ogni tanto dovrebbero dare anche buone notizie. Adesso se permette… Beh… volevo chiederle qual è la zona artistica di Firenze che predilige e poi… Firenze! Scappa scendendo le ampie scale come uno scoiattolo: spero che venga colpito dalla Sindrome di Sthendal!

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Smartphone e Qr Code

museo interattivo diventa

Musei

il

TEXT Irene Barbensi

C

on questo obiettivo e nella convinzione che il museo contemporaneo, da semplice sistema di comunicazione, è diventato luogo d’incontro, che trasforma l’utente da ricettore passivo a interlocutore e fruitore dei servizi offerti dalla struttura, è stata avviata una fase sperimentale presso alcuni Musei della Valdera, che consentirà ai

Educare divertendo anche al Museo visitatori muniti di smartphone o di tablet 3G (ipad od altri) di conoscere direttamente gli oggetti museali. Un dialogo possibile grazie a una serie di QR Code (codici “Quick Response”), non una visita guidata ma un’azione didattica supportata dalle tecnologie mobili di ultima generazione. Attraverso il Qr Code l’ambiente museale diventa interattivo: la tecnologia consentirà di scaricare sul proprio smartphone o tablet tutte le informazioni (foto, video, testi) che accompagnano gli oggetti, raccontandone la storia, e che non sarebbe

possibile inserire in una semplice didascalia. Basterà scaricare l’applicazione disponibile sui principali smartphone, avvicinare lo schermo al codice e caricare i contenuti relativi all’opera da conoscere.

In questa fase iniziale la sperimentazione ha coperto a Peccioli il Museo archeologico, con una copertura totale per tutti i reperti e 23 opere conservate presso il Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi”. Sabato 15 dicembre alle ore 10.30 è stato presentato all’interno del Museo Archeologico il progetto con gli interventi del Sindaco di Peccioli, Silvano Crecchi, di Lucia Ciampi, Sindaco di Calcinaia e Presidente dell’Unione Valdera, Igor Rossi della Digitech, responsabile informatico dei progetto Qr Code nei musei, Elisa Parenti, referente per la Rete Museale Valdera dei Progetti didattici. La giornata è proseguita con dimostrazioni guidate all’esplorazione delle opere conservate all’interno del Museo Archeologico e del Museo delle Icone Russe “F. Bigazzi”. Al progetto hanno aderito oltre ai Musei di Peccioli, il Museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli”, le realtà museali dei Comuni di Bientina, Capannoli, Casciana Terme, Fauglia, Lari, Palaia, Ponsacco e Pontedera. Il progetto è stato sostenuto dalla Regione Toscana nell’ambito dei progetti PIC 2011 e 2012.

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Intervista

Florens 2012

TEXT Domenico Savini

L

’11 novembre si è conclusa la seconda edizione di Florens - Biennale Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali - registrando oltre 10 mila visitatori alle conferenze, alle tavole rotonde e al Forum Internazionale: il pubblico, composto da studiosi, esperti, studenti e da comuni visitatori, ha partecipato numeroso e con evidente interesse. Per nove giornate Firenze si è trasformata in una capitale dei beni culturali e ambientali, animando, con eventi spettacolari, gli spazi pubblici. Il punto culminante è stato raggiunto con la ostensione, nel Battistero, dei tre crocifissi lignei scolpiti rispettivamente da Michelangelo, Brunelleschi, e Donatello, ammirati da oltre 25 mila visitatori. Nella vicina piazza Santa Croce un altro episodio di forte richiamo è stata l’esposizione della monumentale croce di Mimmo Paladino. La Fondazione nasce dall’esperienza di Florens 2010 che rese Firenze un laboratorio internazionale di economia dei beni culturali e ambientali con oltre 150 appuntamenti per 372 relatori giunti da tutto il mondo. Novemila gli iscritti ai convegni e alle Lectio Magistralis. Gli appuntamenti in calendario attirarono circa 200 mila partecipanti, ottenendo 1.830 uscite mediatiche: dall’Huffington Post a tutte le principali testate giornalistiche nazionali e internazionali. Scopo della Fondazione Florens è quello

Giovanni Gentile

di promuovere la conoscenza e lo sviluppo dell’economia nel settore dei beni culturali e ambientali, dell’industria creativa e della produzione culturale, svolgendo un ruolo propulsivo secondo logiche nuove, utili per la crescita economica del Paese. Perciò la Fondazione si fa portavoce di una nuova visione dello sviluppo economico, considerando la cultura e il paesaggio non una spesa improduttiva, bensì un investimento indispensabile per la crescita di ogni settore produttivo. La Fondazione prevede un appuntamento biennale, durante la Settimana dei Beni Culturali e Ambientali e specificatamente nel Forum Internazionale, con i rappresentanti dei governi e le principali istituzioni culturali nazionali e internazionali. Insieme, saranno affrontati i temi del recupero, restauro e fruizione dei beni culturali, della tutela del paesaggio e della promozione di interventi progettuali, esaltando inoltre le tematiche inerenti il “saper fare”, come l’artigianato e l’enogastronomia. Sarà una piattaforma ideale per gettare un ponte tra la dimensione locale e quella globale, candidando Firenze a città leader a livello mondiale per l’economia della cultura. Con i Soci Fondatori - Intesa Sanpaolo, Banca CR Firenze, Confindustria Firenze, CNA Firenze e APPS -, la Fondazione può vantare tra i suoi sostenitori molti nomi

d’eccellenza. Tra questi: gli attuali ministri Corrado Passera e Corrado Clini, il sottosegretario Roberto Cecchi e il Cardinale di Firenze Giuseppe Betori, che prontamente hanno condiviso il progetto. «Al di là del risultato ottenuto - ci spiega Giovanni Gentile, Presidente di Florens -, testimoniato dalla numerosa partecipazione del pubblico, ciò che mi ha dato maggiore soddisfazione è stato il ruolo rappresentato dal Palazzo della Signoria, che per tutto il periodo della manifestazione è diventato “la casa di tutti”, dove chiunque poteva entrare liberamente e sentirsi a casa sua. Molto interessanti, ad esempio, sono state le Lectio Magistralis come quella di Paolo Pejrone sui giardini, o quella di Gaetano Pesce intitolata Qualità della vita è cultura, entrambe svolte nella solenne cornice del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Altamente intenso e commovente è stato l’intervento di Enzo Manes, presidente della Fondazione Dynamo Camp, la grande struttura che accoglie come centro di vacanza bambini malati e le loro famiglie. Desidero infine ringraziare personalmente Niccolò Manetti, direttore generale della Fondazione Florens e tutti i suoi collaboratori, per essersi concretamente e alacremente impegnati nello svolgimento dei loro compiti».

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APPUNTAMENTI CON L’ARTE

IRENA LAGATOR PEJOVIC - Santa Croce sull’Arno

È

stata inaugurata sabato 24 novembre alle ore 18.30 presso il Centro Espositivo Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Arno, la mostra Società a responsabilità limitata (S.r.l.), un’iniziativa del Comune di Santa Croce sull’Arno, Assessorato alle Politiche ed Istituzioni Culturali con la sponsorizzazione di Ministry of Culture of Montenegro, curata da Ilaria Mariotti. Nel percorso di mostra vengono utilizzati materiali che provengono dal mondo economico e che appartengono alla vita quotidiana: rotoli di scontrini prodotti dai registratori di cassa di un supermercato vengono disposti e lavorati a costruire una grande città; dal soffitto pendono colonne di scontrini, che vengono srotolati progressivamente dai visitatori - quasi colonne di un’architettura in progressiva rovina - che riportano valori immateriali, intrusi e per i quali non ci aspetteremmo di dover pagare un prezzo (Automatismo della società a responsabilità limitata); stampe (realizzate con la tecnica dell’algrafia, simile nel processo alla litografia ma che utilizza l’alluminio come supporto) in cui una moltitudine di piccole figurine umane variamente atteggiate si situano in una griglia quadrettata (Società della coesistenza pacifica).

Quale tipo di spazio o assemblaggio può rendere questa co-esistenza possibile? Che cosa si realizza con questo tipo di spazio? Quale tipo di politica si pratica in questa società? È possibile la pratica della coesistenza pacifica? Come e con quali azioni stiamo costruendo la collettività? In cosa consiste la collettività oggi? Come la comunicazione contribuisce alla de-formazione della società e dello spazio?

In Installazione per aumentare il senso di responsabilità, una serie di banconote serbe con il ritratto dello scienziato Nikola Tesla (1856-1943), serbo e naturalizzato statunitense, i cui studi costituiscono le premesse per il sistema elettrico a corrente alternata, va a costruire una sorta di piccola camera: le banconote sono sì una convenzione ma

comunicano valori universali di ricerca e sviluppo, di assunzione di responsabilità nei confronti della società. Lo spazio delimitato dalle banconote si propone come una zona di riflessione, di ascolto dei propri desideri. In una stanza si collocano diciotto sfere di vetro che costituiscono l’installazione Mezzi per l’intensificazione del senso per la ricostruzione poetica del mondo. Essa è inspirata alla trilogia “Sfere” del filosofo tedesco Peter Sloterdijk, in cui gli “spazi della co-esistenza” e le scoperte tecnologiche creano una realtà ibrida. Sloterdijk riflette sull’espansione del mondo e sulla poetica del plurale (rappresentata dalla schiuma, in questo caso evocata dalle sfere) con la proposta della creazione di una “costituzione ontologica” che include tutti gli esseri - umani, animali, piante e macchine. Ad una visione più ravvicinata, e dipendente dalla posizione di chi guarda, le sfere rivelano un disegno che cambia a seconda dei punti di vista. Irena Lagator Pejovic. Società a responsabilità limitata (S.r.l.) 24 novembre - 23 dicembre 2012 ore 17.00-20.00 dal giovedì alla domenica Villa Pacchiani - Centro Espositivo piazza Pier Paolo Pasolini Santa Croce sull’Arno

per continuare a sentir se, la donna - Colle di Val D’Elsa

È

un universo femminile dai tanti volti, quello che attraverso la sperimentazione e la creatività compone la nuova personale dell’artista Giovanni Maranghi, in mostra dal 23 novembre 2012 al 10 gennaio 2013 a Colle di Val d’Elsa (Siena) presso Senzalimite Arte, al numero 53 di via Garibaldi. Il nuovo spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea e dintorni che dopo il successo della collettiva L’esercito marciava, ospita la raccolta di opere che va sotto il titolo di Per continuare a sentir se, la donna. L’esposizione è curata da Angela Corsi che ha firmato anche l’introduzione al catalogo, che è di Daniela Pronestì, autrice del testo critico. Le traduzioni sono di Erika Becchi. Le foto di Tommaso Maranghi. La mostra si svolge con il patrocinio del Comune di Colle di val D’Elsa. L’iniziativa avrà uno spazio speciale in “Incontri con l’Arte”, la trasmissione tv condotta da Fabrizio Borghini su Toscana Tv. «Quello delle donne di Maranghi – spiega Angela Corsi – è un universo femminile in movimento. Movimento espresso attraverso le mani e i piedi, attraverso quelle posizioni in fondo così naturali e meravigliosamente normali. Le forme, le pose, i sorrisi sottolineano carattere, determinazione e allo stesso modo dolcezza e sensualità. Sono donne che non aspettano, fanno, non sembrano, sono»

Il titolo della mostra è nato per caso da una domanda che la Corsi ha fatto a Maranghi: «Ti va di fare la prima personale della galleria?». Lui l’ha guardata e ha detto: « ...Te la senti?». E lei: «Certo!!! Perché bisogna continuare a “sentirsela”, sempre». Un aneddoto legato a questa frase ha fatto il resto ed è nato così il titolo per questa bellissima avventura, con un sorriso, con un grande, grosso, perpetuo sorriso alla vita. «Una pittura tutta nuova quella di Maranghi, senza essere rivoluzionaria - sottolinea

Daniela Pronestì nel testo critico che accompagna il catalogo. Quel che conta per lui è vedere ogni cosa nella sua verità, decantare il virtuosismo tecnico in una forma semplificata e più vicina al suo sentire, dimenticare i cori dei consensi per essere libero, sempre libero, di tentare strade nuove. Perché niente è più difficile che essere artista col cuore e con la carne…» La mostra contiene più di quaranta opere, realizzate su tavola, su carta, su lattice e plexiglas, con encausti, e sculture in legno, terracotta e metallo. Giovanni Maranghi Per continuare a sentir se, la donna 23 novembre 2012 - 10 gennaio 2013 ore 10.00-19.00 dal martedì al sabato Senzalimite Arte - via Garibaldi, 53 Colle di Val D’Elsa - Siena


APPUNTAMENTI CON L’ARTE

QUESTIONI DI PELLE - Tokyo

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o scorso 15 novembre Il Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale ha presentato all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, Questione di Pelle, una giornata interamente dedicata alla pelle conciata al vegetale in Toscana. L’attesissimo evento, organizzato in collaborazione con l’ufficio ICE di Tokyo, ha saputo coniugare prodotto e cultura, contenuto moda e Italian lifestyle. Nella giornata dell’Exhibition Hall, i partecipanti hanno potuto ammirare la scenografica installazione curata dal famoso fotografo italiano Oliviero Toscani: un labirinto di pelli conciate al vegetale, rappresentative delle nuove collezioni autunnoinverno 2013/2014. Al centro del labirinto si scoprono le interessanti collezioni dei giovani designer che hanno partecipato al progetto Craft The Leather 2012. Al seminario informativo hanno assistito oltre 400 operatori del settore, mostrando un grande interesse per la pelle conciata al vegetale. Dopo i saluti di rito del Vice-direttore ICE di Tokyo, è intervenuto il Vice-Presidente del Consorzio, Massimo Boldrini, salutando i presenti e introducendo i vari argomenti; mentre il consigliere del consorzio, Paolo Testi, ha parlato del marchio Pelle Conciata al vegetale in Toscana e delle attività di tutela, di garanzia del consorzio. In seguito il Vicepresidente del Consorzio Leonardo Volpi, presenta la Pelle conciata al vegetale:

conosciamola per apprezzarla, un interessante studio scientifico condotto dal consorzio in collaborazione con PO.TE.CO., Polo Tecnologico Conciario, e Stazione Sperimentale per l’Industria Pelli di Napoli, sulle caratteristiche tecniche della pelle conciata al vegetale. Lo studio ha analizzato alcune caratteristiche fondamentali della pelle al vegetale, fra cui il cambiamento del colore con l’uso e l’esposizione alla luce, le resistenze tecniche, la eco-compatibilità del materiale. Il tutor del progetto Craft The Leather 2012, Diane Ellen Becker, ha illustrato il progetto di formazione per giovani aspiranti designer delle più prestigiose scuole di moda internazionali, lanciato quest’anno dal Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale, in collaborazione con Toscana

Promozione. Dieci giovani molto promettenti sono stati ospitati in Toscana e hanno partecipato ad un workshop di informazione, studio e sperimentazione sulla pelle conciata al vegetale. Il tutor del progetto ha presentato il professore del Bunka Fashion college di Tokyo, il Sig. Miyahara, ed i due giovani designer giapponesi partecipanti a Craft The Leather 2012, Ryosuke Kojima e Tomoki Maruoka. Lo studente giapponese, Ryosuke Kojima, è stato premiato dal vice presidente del consorzio, Leonardo Volpi, per la sua collezione di borse che “si accendono”, la collezione più votata dal pubblico di Lineapelle di ottobre. Grande successo ha destato anche l’intervento effettuato dal fotografo e curatore dell’immagine del Consorzio, Oliviero Toscani, che ha presentato in questa occasione, per la prima volta in Giappone, il progetto RAZZA UMANA.

RIFLESSI D’ORIENTE - Torino

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orse nessun altro oggetto artistico della Cina riesce a racchiudere meglio dello specchio la storia delle concezioni estetiche e cosmologiche, lo sviluppo dei motivi decorativi ed iconografici, gli interessi e le aspirazioni della società cinese di ogni epoca. Questi oggetti di uso pratico e rituale, carichi di implicazioni magiche e simboliche, ebbero grande diffusione nei paesi circonvicini grazie alla tecnica eccellente della loro fusione, alla bellezza e al mistero delle decorazioni raffigurate sul retro della faccia riflettente. La mostra organizzata dal Museo d’Arte Orientale, la prima del suo genere in Italia,

intende far conoscere al grande pubblico il fascino e l’importanza di questi capolavori di tecnica metallurgica; intende presentare una panoramica ragionata sui significati dello specchio in Asia orientale e sul valore culturale e artistico delle ricche raffigurazioni che ne ornano la faccia ‘nascosta’. Sulla superficie metallica - solitamente bronzea - del manufatto, i suoi ideatori e gli esecutori materiali hanno infatti condensato visioni cosmologiche, simbologie più o meno arcane, concezioni estetiche che incarnano aspirazioni e auspici della società in un determinato periodo storico. Forse nessun altro oggetto riesce a rappresentare in maniera così chiara e sintetica le tappe della cultura e dell’arte estremoorientale nello spazio e nel tempo. Nucleo centrale della mostra e oggetto principale di attenzione saranno gli specchi prodotti in Cina tra il periodo degli “Stati Combattenti” e la fine della dinastia Tang, ovvero dal V secolo a.C. al X secolo d.C. ca.: questi 1500 anni corrispondono infatti al periodo di maggiore sperimentazione e di maggior interesse artistico-culturale nei confronti dello specchio in Asia orientale. Potrà contare su circa 125 specchi, buona parte dei quali fanno parte di una importante collezione privata torinese. Il MAO contribuirà con alcuni pezzi della sua collezione. Il prestatore più importante in termini di numero degli specchi concessi sarà

il Museo Nazionale di Arte Orientale (Roma), ma un contributo significativo verrà anche dai musei Guimet e Cernuschi di Parigi, dai Musei Vaticani e dal Musée d’Art et d’Histoire di Saint-Denis. Gran parte degli specchi in mostra saranno presentati al pubblico per la prima volta in assoluto. Il catalogo che accompagna la mostra, edito da Silvana Editoriale, è frutto degli sforzi congiunti di studiosi internazionali e si presenta come la pubblicazione più completa e aggiornata sugli specchi della Cina disponibile in lingua italiana. Raccoglie i contributi critici di Marco Guglielminotti Trivel, curatore della mostra e conservatore per l’Asia Orientale del MAO; di Ma Jinhong, conservatore per i manufatti in bronzo del museo di Shanghai; di Marcello Pacini, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Torino Musei; di Gilles Béguin, già Direttore del museo Cernuschi di Parigi e di Aurora Testa, docente di Arte Orientale alla Western Washington University. Riflessi d’Oriente 2500 anni di specchi in Cina e dintorni 23 novembre 2012 - 24 febbraio 2013 ore 10.00-18.00 dal martedì alla domenica MAO Museo d’Arte Orientale Via San Domenico, 11 - Torino


ntesa San Paolo completa la visibilità delle sue collezioni, intrapresa lo scorso anno, allestendo le opere relative all’ultimo Novecento presso Palazzo Beltrami. L’arte italiana domina sull’intera raccolta grazie a fotografie, sculture, dipinti, raccontando lo spaccato culturale di una nazione in pieno fervore creativo. L’astrazione, l’informale, la sperimentazione formale e tecnologica, popolano le sale al primo piano sistemate presso la nobile dimora mila-

l’arte intorno a te dal 25 ottobre 2012

Camera di Commercio PRATO Auditorium Via del Romito 71

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COVERY STORY

overoso tributo ad un pratese verace, la mostra ripercorre le tappe di colui che ha rivoluzionato la moda a partire dagli anni settanta. Il percorso espositivo accoglie inediti relativi ad abiti, bozzetti, storybord, video, fotografie, copertine dedicate ad Enrico, selezionati da Ugo Voli, Martina Corgnati, Luigi Salvioli, tra i ricordi in possesso della Maison. Una passione coltivata dallo stilista, ma forse poco conosciuta, era l’amore per l’arte contemporanea, non a caso la sua ricca collezione decora le sue abitazioni private: la nutrita rappresentanza, tra cui citiamo il ritratto realizzato da Andy Warrol, arricchisce il prezioso materiale pre-

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24 ottobre 2012 18 gennaio 2013

sente in mostra. Cresciuto in una realtà dedita alla industria tessile, lo stilista si impone nel panorama internazionale grazie a quelle peculiarità legate al gioco, all’ottimismo, al piacere, che caratterizzano le sue creazioni insieme alle immancabili paillettes, elemento distintivo legato indissolubilmente al marchio. Arguto conoscitore di stili, anticipatore di tendenze, scopritore di giovani promesse, Enrico lancia Claudia Schiffer e Naomi Campbell, crea originali accessori, profumi, make up, contatta i migliori fotografi per immortalare i suoi splendidi capi: ecco, tutto questo rappresenta il mondo Coveri e la mostra di Prato ha saputo coglierne la genialità.

4 ottobre 2012 5 maggio 2013

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Palazzo Beltrami

MILANO Piazza della Scala 6 Musei Capitolini Piazza del Campidoglio

a mostra illustra un periodo prolifico per la cultura capitolina grazie all’operato messo in essere da Traiano, Adriano, Antonio Pio, Marco Aurelio, figure dedite all’arte e alla filosofia, tessitori di un delicato equilibrio tra le varie componenti la società romana, artefici di una politica votata alla tranquillità, grazie alla quale l’Urbe viene proiettata in una dimensione dove regnano nuovi codici artistici, il bello, usi e costumi importati dall’impero. Una inaspettata libertà impregna l’individuo, spronato dal suo imperatore, a sua volta, dedito ad una esistenza fatta di politica, potere, responsabilità, ma addolcita dal fasto, dal sa-

ROMA

pere, dalle mode. L’eleganza dominante la scultura creata in tale periodo trasmette una armonia conquistata grazie alla consapevolezza del vivere “felicia tempora”, così statue, fregi, ritratti, pavimenti, arredamento domestico, sepolcri, accessori di guerra, giocattoli, raccontano l’arte romana fatta di purismi innovativi e grecismi rivisitati. I protagonisti, il linguaggio artistico, ville e dimore, rilievi storici, vincitori e vinti, tombe, costituiscono le sezioni caratterizzanti l’esposizione, le quali permettono al visitatore la comprensione di un’epoca votata alla creatività artistica, al commercio, alla crescita economica. Fauno in Rosso Antico, Centauro anziano, Faustina minore, Sarcofago con amazzonomachie, Statua di Hermes, preziosi corredi funebri, rappresentano alcune meraviglie presenti in mostra.

L’ETà DELL’EQUILIBRIO

a cura di Carmelo De Luca

nese, imprimendo alle opere una configurazione diversificata nella rappresentazione della società e dell’uomo grazie, anche, ad una espressività carica di forza innovativa. 189 opere raccontano le variegate tendenze partorite nelle principali città nostrane, dando lustro e notorietà alla cultura italiana. Aiutato da avveniristici supporti multimediali, il visitatore può approfondire la sua opera preferita ma, anche, studiare la relativa corrente artistica. Appartenuto alla Banca Commerciale Italiana, l’edificio possiede uno storico caveau trasformato in luogo per le esposizioni future, ma le sorprese non sono finite! Grazie a Civita, gli studenti usufruiscono di aule didattiche, visite guidate, itinerari tematici, estesi alle altre collezioni inaugurate nel 2011. Caffetteria e bookshop completano il variegato complesso delle Gallerie d’Italia, un cantiere pulsante in continua evoluzione.

CANTIERE DEL 900

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n evento unico espone i maggiori rinvenimenti archeologici, avvenuti in Italia Settentrionale, riconducibili all’età del rame caratterizzata da grandi cambiamenti per l’uomo grazie all’introduzione della ruota, aratro, metallurgia utilizzante il rame, agricoltura, allevamento. I reperti venuti alla luce nel bresciano, basti menzionare la necropoli di Remedello Sotto, rappresentano alcune testimonianze presenti in mostra, ma le sorprese per i cultori non sono finite! Le iscrizioni rupestri reperite in Valcamonica, statue, menhir, steli, composizioni legate all’arte rupestre, riempiono il percorso espositivo rendendo agevole la comprensione di un periodo dove le nuove concezioni religiose, il culto per gli antenati, la rappresentazione antropomorfica della divinità, prendono

il sopravvento insieme a un primordiale senso di appartenenza alla razza indoeuropea. I ritrovamenti avvenuti presso il giogo di Tisa, al confine con l’Austria, arricchiti da una fedele riproduzione relativa all’uomo del Similaun, dai risultati scientifici condotti sulla mummia, dal confronto tra gli utensili ad esso appartenuti e quelli caratterizzanti la cultura di Remedello, rappresentano fonti preziose per studiosi e curiosi. Tipologie diverse di sepoltura, oggetti utilizzati per la caccia e per la casa, suppellettili, concludono la mostra.

Museo Diocesano

BRESCIA Via Gasparo da Salò 13 - Galleria d’Arte Antica UDINE Castello Via Lionello 1

I COLORI DELLA SEDUZIONE

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uattro sezioni permettono il confronto tra due grandi maestri nelle tematiche inerenti il sacro, la mitologia, la storia antica. Per l’occasione, preziosi dipinti provenienti da Francia, Scozia, Germania, istituzioni nazionali, riempiono le sale supportate da disegni e bozzetti, nei quali si legge l’operato creato dal Veronese insieme alla originale rilettura artistica elaborata dal Tiepolo, suo ammiratore, particolarmente evidente nella composizione spaziale, figurativa, particolaristica. La fulgida luce insita nella interpretazione scenografica della natura, nelle architetture dominate da superbe prospettive, nell’opulenza decorativa, consente al Tiepolo l’uscita dagli schemi oscurantistici seicenteschi grazie all’utilizzo di tinte purissime creanti un gioco luci-ombre colorato e innovativo. Il senso plastico plasmante le figure, ma anche la predilezione per la pittura dedicata allo scorcio, animano le grandi tele realizzate dal Veronese, producendo una letteratura legata alla scenografia, all’opulenza per i

26 gennaio 2012 15 maggio 2013 17 novembre 2012 1 aprile 2013

5 dicembre 2012 27 gennaio 2013

particolari, alle ambientazioni affollate, accuratamente studiata dal suo grande estimatore veneziano. Di quest’ultimo maestro, Udine accoglie il Ritrovamento di Mosè nella sua interezza e la copia esistente presso la Staatsgalerie di Stoccarda, messo a confronto con il Mosè Salvato dalle Acque del Veronese. Il Ratto d’Europa, l’Adorazione dei Magi, le Cene e i Banchetti, completano le tematiche oggetto di confronto tra due grandi nella storia dell’arte mondiale.

Palazzo Mercantile Via dei Portici 39

3 11aprile novembre 1 luglio 2012 2012 24 febbraio 2013

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se, e quella relativa al ritorno in patria, dopo il periodo romano, caratterizzata da colori leggeri esaltanti la classicità di tutte le sue composizioni. Il cromatismo rappresenta un riferimento nell’operato del Guercino, non a caso le tinte predominanti sono delicate, assortite, ricercate, così l’effetto finale della creazione risulta essere una originale esaltazione della luce in mezzo a pochi scuri posizionati ad hoc per tale finalità. Le tele in mostra richiamano il sacro legato alle apparizioni o alle visioni, tema carissimo al pittore, messe a confronto con l’unica grande opera posseduta da Bolzano, La Visione di Soriano, proveniente dalla Chiesa dei Domenicani. I dipinti dei nipoti Cesare e Benedetto Gennari completano il percorso espositivo dal forte impatto visivo.

’amore per l’arte rappresenta la nobile causa che ha permesso a Monte dei Paschi e Fondazione Banca Agricola Mantovana l’acquisizione di capolavori, in parte esposti presso il blasonato palazzo gonzaghesco. Nuovi stili, mode, scuole, idee, caratterizzano il Novecento, ravvivando il panorama nazionale proiettato verso un arricchimento legato alla nascente comunicazione di massa. Del Novecento l’istituzione senese possiede autentici capolavori, basti menzionare quelli legati al vigoroso naturalismo fiorentino plasmante le opere realizzate da Viani, Rosai, Soffici, allo scambio culturale tra Tozzi e Severini con

BOLZANO Palazzo Te MANTOVA Viale Te 13 l’ambiente parigino, alla scuola romana decantata dallo studioso Maurizio Fagiolo e, ancora, magnifiche opere realizzate da Carrà, Carena, De Pisis, Morandi. L’ultimo ventennio del XX secolo vede Monte dei Paschi in prima fila nel promuovere l’arte, a cavallo tra le due guerre, mediante l’acquisto di capolavori italiani aperti agli ambienti internazionali. Ne sono prova La Ciliegiara e La Limonara, opere in bronzo ideate da Libero Andreotti; l’Autoritratto di Carlo Socrate; la Natura Morta realizzata dallo scrittore Carlo Levi; i disegni su carta prodotti da Severini e De Chirico. In mostra, la Fondazione Banca Agricola Mantovana brilla di luce propria grazie a una blasonata rappresentanza, basti menzionare Ritratto della Moglie che Allatta la Figlia di Ugo Celada da Virgilio, La Merenda ai Contadini di Archimede Bresciani da Gazoldo, Il Minatore dipinto da Umberto Mario Baldassari, Mantova di Notte, interessante tela creata da Vindizio Nodari Pesenti, pittore sensibile al fascino legato al movimento postimpressionista.

DIPINTI, SCULTURE, DISEGNI DEL 900

L’età del rame

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a mostra bolzanina ospita la grande pittura prodotta dal maestro, il cui ricavato sarà destinato alla sua Cento, duramente colpita dal terremoto, dalla quale provengono dieci magnifiche opere. Guercino ha saputo esprimere il reale utilizzando luci e ombre, differenziandosi dal Caravaggio che, invece, si serve delle medesime per potenziare la dinamicità rappresentativa della sua opera. La sua passione per il vero è particolarmente chiara nei dipinti riguardanti la natura e la vita nei campi, dove le scene sono fresche, delicate, libere da condizionamenti. L’esposizione ripercorre l’evoluzione artistica del pittore durante la prima permanenza nella città natia, influenzata da richiami alla scuola ferrare-

GUERCINO

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Storia

sulla goletta del

ca itano TEXT Paola Ircani Menichini

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A

soli 12 anni, Raffaello Martinelli di Viareggio, soprannominato il “Bava” (1852-1936), si imbarcò sul “Catone”, il brigantino goletta del padre Eugenio e in questo modo «finì per soddisfare la sua vera aspirazione, quella di un uomo libero che doveva soltanto assoggettarsi alle leggi del mare, affrancato dai quotidiani soprusi domestici di una matrigna che lo ignorava e da un padre autoritario e villano, che provava un complesso di inferiorità per l’innata predisposizione del figlio nella navigazione a vela. Il mare fu dunque la sua via di fuga da un mondo piccolo e banale verso una vita senza confini, contornata da puntuali avversità e sfortuna, ma anche da soddisfazioni professionali che ben pochi colleghi, Capitani di Gran Cabotaggio, poterono vantare» così scrive Flavio Serafini, nel capitolo di La Flotta scomparsa dedicato al capitano viareggino1. L’innata predisposizione per la navigazione divenne con il tempo grande competenza nautica, e il Martinelli fu anche l’insegnante di tutti i marittimi viareggini privatamente e alla Scuola Tecnica, e fu interpellato per consigli e informazioni in altre città marinare d’Italia. Le sue avventure fornirono materia per il racconto Il Bava di Lorenzo Viani

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che però ne riporta solo una parte, quella relativa al brigantino goletta “Polifemo”. Fisicamente il capitano aveva una statura gigantesca, una gran voce, folte ciglia, gli occhi vispi, il faccione lavorato dalla salsedine e ornato dalla barba “spinosa”. Era riconosciuto all’unanimità dai concittadini come uomo di onestà adamantina, padre e cittadino esemplare. Fu anche profondamente religioso. Fece parte del Terz’Ordine dei Servi di Maria di Viareggio e presiedette per lungo tempo la compagnia dell’Addolorata, fondata nella parrocchia di Sant’Andrea dal “Curatino” Sant’Antonio Pucci (1819-1892), uomo di Chiesa di scienza e carità straordinarie, canonizzato da Giovanni XXIII nel 1962. Nella sua stanzetta nella casa di via Machiavelli, il capitano teneva l’immagine della Madonna dei Dolori - protettrice dei marinai -, dei Sette Santi Fondatori, dello stesso “Curatino”, della Madonna di Trapani e di sant’Antonio. La Madonna Addolorata, che era anche sua protettrice fino dall’infanzia, lo aiutò davvero il 12, 13 e 14 dicembre 1891 quando una violenta tempesta sorprese la goletta Nelly nell’Atlantico, mentre stava «scendendo da capo Finisterre» (Galizia). La scialuppa di salvataggio era perduta e

gran parte dell’alberatura era stata portata via dal furore del vento. Il Martinelli, non potendo raggiungere alcun porto, seppe però mantenersi in una posizione tale da evitare il naufragio, mentre l’equipaggio, di cui faceva parte un suo figlio di 13 anni e un suo nipote, era stato preso dal panico. Anch’egli era atterrito e si sentiva sostenuto solo dalla fede che cercava di comunicare a tutti. Non contento di ciò si fece portare il quadro della Madonna Addolorata, e, davanti a Lei, in ginocchioni, chiese la salvezza. «L’anima mia - come scrisse nelle sue memorie a tutt’oggi inedite - si sentì scossa e la mia persona toccata sulla spalla come da una persona invisibile: subito dopo mi sentii rinfrancato e gridai a tutti di non sgomentarsi che ormai ogni pericolo era scomparso». Nelle manovre ordinate di seguito, «il bastimento che non mi serviva più tornò ad essere sensibile... e gettando parte del carico a mare» fu salvo e la navigazione «fu ripresa dopo tanti stenti, giungendo dopo qualche giorno a Plymouth, dove ci consideravano come naufragati»2. Allora quei “gusci di noce”, le navi a vela viareggine “di gran cabotaggio”, imbarcavano sette-otto marinai, compresi capitano, secondo e mozzi e trasportavano merci da o verso i porti italiani nel Mediterraneo, spingendosi di rado nell’Atlantico. Fu il Martinelli che, grazie alla sua abilità e nonostante i mezzi inadeguati, superò più volte lo stretto di Gibilterra verso l’Inghilterra o ancora più a nord. Nel 1875 il “Catone”, carico di olio di oliva imbarcato a Catanzaro, fu il primo bastimento viareggino ad arrivare a San Pietroburgo in Russia. Qui e nella sua città questa impresa fece molto scalpore e accrebbe la fama del giovane, che fu lodato anche dai capitani dei mari del Nord Europa. A quanto appare dalle memorie di Raffaello Martinelli, in tutte le navigazioni c’era sempre da tener conto del mutamento in peggio delle condizioni meteorologiche e nessuna sicurezza circa il loro buon esito. Affrontare i viaggi per mare pertanto significava esser muniti di coraggio, di passione e competenza… e di un po’ di fatalismo. Ciò non toglieva spazio nell’equipaggio allo spirito di condivisione e ad una certa


comune allegria. L’11 aprile 1879, Venerdì Santo, il “Polifemo” e il suo equipaggio partirono da Bona (Algeria) con un carico di sughero. Erano diretti – come scrive il Martinelli – «per il nostro destino». Il Sabato Santo la nave ancorò e prese ormeggio sicuro a La Calle. Alle una del pomeriggio di Pasqua i marinai stettero «tutti in compagnia, benedicendo il Signore». E, riporta ancora il Martinelli, «si stette allegramente, ma però, per luogo di tavola, avevamo le seguenti cose, e cioè: costruimmo una specie di tavolino, tre pezzi di tavola di pino, sostenuti su due parabarche, i quali servivano per piedistallo, sopra cui messimo [mettemmo] l’incerato per tovaglia. Ciascuno individuo stavasi seduto appres-

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so, ma invece di seggiola era chi su un buiolo, e chi su una mastella e chi su un barile: io come capitano, possedei una pancuccia e facevo quindi il capotavola: ognuno si aveva il nostro gamellino3 con forchetta e cucchiaio alla nostra usanza; bevemmo poi ognuno al bicchiere e vuotammo niente meno quantità di vino di Carloforte4, poiché mangiammo varie pietanze, che principiammo dalla minestra ed invece della zuppiera il medesimo caldarone, poi il fritto e poi il lesso e finalmente la fricassea5, dimodoché al fine volemmo qualche uovo, sì che si celebrò noi tutti la Pasqua com’è d’uso da noi, e stettimo allegramente. Tutto il giorno continuò il tempo bello e notte tranquilla…»6. I giorni e le notti a venire però riservarono tempeste e soste forzate. Solo alla fine di aprile il “Polifemo” e il suo equipaggio riuscirono a rivedere le Alpi Apuane che sovrastano Viareggio, quella catena montuosa «di cui ho in mente il dorso», come scrisse il capitano Martinelli nelle sue memorie.

Note. 1. Flavio Serafini, La Flotta scomparsa, Milano, 2010, p. 128. 2. Il Telegrafo, 5 maggio 1936. 3. Il parabarca è il parabordo che si mette alle murate delle imbarcazioni per attutire gli urti, il buiolo” è il secchio, “mastella” è la tinozza, “gamella” o gavetta è il recipiente di latta per il rancio. 4. Carloforte è una cittadina nell’Isola di San Pietro (Cagliari) in Sardegna. 5. La “fricassea” è uno stufato, in genere di pollo. 6. Lorenzo Viani, Traversie di vecchi naviganti, Viaggi del Polifemo.

1. Il capitano di gran cabotaggio Raffaello Martinelli (fotografia tratta da F. Serafini, La flotta scomparsa, cit., pag. 123). 2. Raffaello Martinelli, disegno del brigantino goletta “Catone”, costruito nel 1859 (Ivi, pag. 139). 3. Frontespizio de Il Bava di Lorenzo Viani, Vallecchi editore, Firenze 1932 (Ivi, pag. 122). 4. Viareggio nel 1825, disegno, (tratto da Il Curatino Santo, Edizioni La SS. Annunziata, numero unico 1962, pag. 15).

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Firenze

Territorio

il

silenzio

innocenti

degli

TEXT Leonardo Taddei

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ercoledì 24 ottobre, presso la Sala delle Muse a Palazzo Tornabuoni, si è tenuta la conferenza di presentazione di una delle principali istituzioni della città di Firenze: l’Ospedale degli Innocenti. L’evento è stato magistralmente organizzato dalla curatrice del dipartimento per le relazioni esterne dell’Istituto degli Innocenti, la Dott.ssa Cecilia Sandroni, la quale ha mostrato una parte del materiale storico e audiovisivo presente nell’Archivio degli Innocenti e nel Museo Nazionale Alinari di fotografia: una quantità impressionante di preziosissime ed emozionanti testimonianze, che già erano state esposte nel Salone delle Compagnie nel 2007, in occasione della mostra Ritratti: Cento anni di famiglie italiane, alla presenza dell’allora Ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi. Sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica italiana, l’Istituto degli Innocenti di Firenze è la più antica istituzione pubblica italiana dedicata alla tutela dell’infanzia, e ha sede presso la struttura di Piazza della Santissima Annunziata. Nato per volere del mercante pratese Francesco Datini, che nel 1410 donò, tramite un lascito testamentario, la cifra di mille fiorini per la creazione di un luogo dedicato all’accoglienza dei fanciulli, l’Ospedale accrebbe il proprio prestigio e il proprio patrimonio monumentale grazie ai contri-

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buti artistici di Domenico Ghirlandaio e di Filippo Brunelleschi, al quale fu affidata la costruzione dell’edificio nel 1419. Come attestato dal registro dell’Archivio storico dell’Istituto, il primo ospite della struttura fu una bambina di nome Agata Smeralda, nel 1445. Dal Rinascimento fino a oggi, ben cinquecentomila fanciulli vi hanno trovato asilo e, a partire dal 1600, anche molte madri nubili. Sotto i Lorena l’Ospedale divenne luogo di studio per la medicina, l’ostetricia e la cura dell’infanzia, e nel 1756 Giovanni Targioni Tozzetti vi sperimentò addirittura il vacci-

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no antivaiolo, creando i presupposti per l’insediamento nella struttura dell’Istituto Vaccinogeno, dal 1834 al 1923. A partire dal 1970 la grande struttura centrale è stata sostituita progressivamente da case a gestione familiare, verso cui sono stati indirizzati dai servizi sociali e dall’autorità giudiziaria bambini e madri dell’intero territorio toscano. Inoltre l’Istituto ha iniziato la collaborazione con altri centri, strutture e asili nido in tutto il comprensorio fiorentino. Dal 1987, presso l’Istituto hanno sede l’Unicef IRC, l’Innocenti Research Center e la Biblioteca Innocenti Library Alfredo Carlo Moro, specializzata in diritto dei minorenni. Attualmente l’Ospedale opera perseguendo gli obiettivi stabiliti dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, e, pur mantenendo ininterrotta la sua storica missione, è divenuta oggi un’agenzia pubblica di servizi alla persona in base a un’ordinanza di legge promulgata dalla Regione Toscana nel 2004, che ha affidato all’Istituto degli Innocenti la gestione dell’Osservatorio regionale dei minori. Sempre nel 2004 è stato avviato il progetto di realizzazione del MU.D.I., il Museo degli Innocenti, un centro di cultura e valorizzazione del patrimonio artistico e storicoarchivistico dell’ente, all’interno dell’antico Ospedale. Tra le opere presenti, risalenti al periodo compreso tra il XIV e il XVIII secolo ed espressamente commissionate


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per abbellire un luogo destinato all’assistenza dei bambini, spiccano capolavori quali l’Adorazione dei Magi di Domenico Ghirlandaio, la Madonna col Bambino degli Innocenti (Madonna col Bambino e un angelo) di Sandro Botticelli, la Sacra conversazione Del Pugliese (Madonna in trono col Bambino e Santi) di Piero di Cosimo e la brillante terracotta invetriata raffigurante la Madonna col bambino che mostra un cartiglio di Luca della Robbia, tutti esposti nella Galleria dell’Istituto, mentre nell’Archivio storico sono conservati circa quindicimila documenti che testimoniano la vita dell’antico Ospedale e delle altre istituzioni di accoglienza dal XIV al XX secolo. L’Istituto collabora oggi con numerose Università e Centri di Ricerca italiani e stranieri per sviluppare percorsi di alta formazione e aggiornamento in materia di infanzia, adolescenza, famiglia e maternità, e per conto del Governo Italiano gestisce le attività del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi dell’Infanzia e dell’Adolescenza e il monitoraggio della Commissione Adozioni Internazionali. L’Ospedale degli Innocenti, rappresentando fin dalla sua creazione un modello universale di accoglienza per i fanciulli, ha segnato la nascita di un concetto altamente innovativo di assistenza all’infanzia: i bambini abbandonati, infatti, non erano soltanto nutriti e accuditi, ma anche educati e integrati nel tessuto sociale della città, dando un futuro all’altezza della civiltà dell’epoca anche a coloro che, senza colpa propria, erano nati in condizioni svantaggiate. L’Istituto è riuscito quindi a dare socialmente e culturalmente voce, in oltre sette secoli, a donne e bambini, una moltitudine di esseri umani che altrimenti sarebbero rimasti vittime inermi del loro sfortunato destino, e ha potuto così interrompere per sempre il loro silenzio civico e civile, un silenzio che li avrebbe oppressi ingiustamente, un silenzio al quale da soli non avrebbero mai potuto opporsi: il Silenzio degli Innocenti. Foto di: George Tatge, Paola Rita Ledda, Paolo Carli, MU.D.I., Archivio dell’Istituto degli Innocenti, Richardfabi, Web Gallery of Art, The Yorck Project, Sailko.

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1. Formella con putto in fasce, in maiolica robbiana, sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti 2. Formella con putto sfasciato, in maiolica robbiana, sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti 3. Loggiato esterno dell’Ospedale degli Innocenti 4. Particolare del putto in fasce sul loggiato dell’Ospedale degli Innocenti 5. I bambini e le balie dell’Istituto degli Innocenti (1900 ca.) 6. Sala di prima osservazione dei bambini in arrivo all’Istituto (1900 ca.) 7. Sala per i bambini svezzati (1900 ca.) 8. Sala del baliatico (1900 ca.) 9. Scuola per le alunne infermiere (1900 ca.) 10. Refettorio (1900 ca.) 11. Laboratorio di batteriologia (1900 ca.) 12. Cortile delle donne, interno della sede dell’Istituto degli Innocenti 13. Cortile degli uomini, interno della sede dell’Istituto degli Innocenti 14. Segni di riconoscimento dei bambini accolti all’Ospedale degli Innocenti 15. Sacra conversazione Del Pugliese (Madonna in trono col Bambino e Santi) di Piero di Cosimo 16. Particolare della Strage degli Innocenti dal dipinto Adorazione dei Magi di Domenico Ghirlandaio

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Territorio

benessere in terra di

TEXT Carlo Ciappina

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territorio senese, protetto da mamma natura, rappresenta un paradiso votato ai benefici per il corpo e la mente grazie alle sue acque termali, alimentate da sorgenti immerse in contesti paesaggistici mozzafiato. Come una vero Gentleman, il salutare liquido è accolto presso strutture dotate di apparecchiature ultramoderne, servizi ineccepibili, personale altamente qualificato, dove regna il rispetto per il cliente affinché possa piacevolmente abbandonarsi al relax. E allora, conosciamo da vicino queste magnifiche realtà. Immerso in un verde rigoglioso, Chianciano ospita il parco termale Acquasanta dove ha, anche, sede un centro stimolante i cinque sensi coinvolgendo etere, aria, fuoco, terra,acqua! A poca distanza, lo stabilimento Sillene supporta il benessere gastroenterico ed epatico grazie alla cura idroponica, fanghi, bagni. La vicina Montepulciano eccelle per suo celebre Nobile ma le sue salutari acque hanno permesso la creazione di un centro all’avanguardia. Quanto a nomea storica, la presentazione diventa superflua per Bagni San Filippo, già conosciuta da etruschi e romani, grazie alle prodigiose proprietà conferite all’acqua da un antico vulcano spento, evidentemente rigoglioso in profondità. Le fortificate Terme di Petriolo eccellono per l’esclusiva composizione chimica-fisica caratterizzanti il suo “nettare”,

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Siena

mentre Bagno Vignoni ritempra il corpo, la mente, la vista, grazie all’incantevole impianto storico con vasca romana circondata da edifici medievali. Le arcigne cave di travertino proteggono le piscine, a temperatura diversificata, costituenti il Complesso Querciola a San Giovanni di Rapolano:una esperienza da non perdere! Fonteverde personifica la bellezza pura impregnata nello scenografico edificio storico ospitante le terme e il lussuoso albergo, uno scrigno prezioso racchiudente ben 42 sorgenti utilizzate nelle avveniristiche piscine e negli attrezzatissimi ambienti del complesso. E il resto della giornata come riempirla? La domanda non è degna di una risposta, le incantevoli Terre di Siena sono annoverate tra i nomi che contano, grazie all’ottima cucina toscana, gli eccellenti vini conosciuti nel mondo, il blasonato patrimonio artistico. Per maggiori informazioni consultate il sito www.termebenessere.terresiena.it


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La facciata del Seminario di San Miniato

il più grande

deskto

TEXT Luciano Marrucci PHOTO Francesco Fiumalbi

L

a facciata del Seminario - Chiunque, attraversato uno dei quattro ponti che serrano e aprono questa piazza, si trova davanti, tutto all’improvviso, un edificio, che, presentandosi come una pagina spiegata da oriente ad occidente, diventa monumento e documento. Siamo di fronte alla facciata del Seminario. È qui che la groppa del grande cammello accovacciato (la raffigurazione del colle sanminiatese rimanda a questa rappresentazione) mostra la sua variegata gualdrappa. Qualunque visitatore si sente anche ospite, in quanto prova la gradevole impressione di sentirsi accolto e coinvolto dalla serie di immagini e dalla sequela di parole dispiegate intorno a lui. Ancora più sorprendente la sensazione che può sperimentare chi ha una certa dimestichezza col computer. Di fatto, anche senza rendersene conto, riconduce questa esperienza alla visione di un desktop che si spalanca davanti a lui. Ad una osservazione più approfondita scopre in questa facciata gli elementi essenziali che costituiscono il sistema Windows: ci sono le icone, date dai medaglioni ovali che qui racchiudono le figure allegoriche; ci sono altrettante finestre (Windows, appunto); infine ci sono le “scritte” ben definite nel carattere del romano epigrafico. Tutto considerato, questa piazza potrebbe essere legittimamente sponsorizzata da Microsoft.

del mondo

Una sentenza di Sant’Agostino - Nell’angolo ad occidente figura una massima che ha davvero una valenza universale; infatti, in nove parole riassume un codice di comportamento che vale sia per l’individuo che per le comunità di qualsiasi popolo e nazione.

La cui traduzione in italiano, inglese, francese e tedesco è la seguente:

Nella necessità l’unità nel dubbio la libertà sempre: l’amore.

Territorio

Quasi un appello al fondatore della Microsoft Bill Gates

Dans les necessities l’unité dans les doutes la liberté toujours l’amour. In der Notwendigkeit: die Einigkeit im Zweifel: die Freiheit Stets: die Liebe. La sentenza, ripartita nelle tre massime, va letta unitariamente e appartiene alla ineguagliabile penna di Sant’Agostino. Molti errori ed orrori del passato non sarebbero stati commessi se avessimo osservato questa normativa: ostracismi ed emarginazioni, roghi e condanne, guerre e conflitti si sarebbero evitate, solo se avessimo applicato questa regola universale. Questa sentenza figura sulla facciata del Seminario di San Miniato, ma credo che potrebbe essere riportata sui frontali e lungo le pareti dei Palazzi dei Congressi, dei Saloni di Conventions dei Partiti, della sede dell’ONU. A maggior ragione dove si raccoglie un Sinodo e si celebra un Concilio Ecumenico.

In essentials unity freedom in doubt in all things charity.

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Lo scaffale dei poeti

1917- 1994

Franco TEXT Valerio Vallini

F

ranco Lattes è nato a Firenze nel 1917 da padre israelita; il cognome Fortini è quello della madre, da lui assunto nel 1940. A Firenze dove si laurea in Giurisprudenza e poi in Storia dell’arte, incontra naturalmente l’ambiente ermetico dei Luzi, Bigongiari, Loria, ma collabora con Noventa. Si battezza come valdese nel 1939. Dopo le leggi razziali fuggì in Svizzera e partecipò alla Repubblica partigiana dell’Ossola. Iscritto al Partito Socialista, fu redattore del Politecnico e poi dell’Avanti! Scrittore e saggista, qui ne parliamo come poeta. In lui la poesia si arricchisce e si crea da esperienze diverse di tipo politico, giornalistico, letterario. Foglio di via è l’opera in cui supera la koiné (lingua comune) ermetica. Con Poesia ed errore «il discorso poetico di Fortini - scrive P. V. Mengaldo acquista di spessore e complessità.» Giorgio Bàrberi Squarotti scrive che la poesia di Fortini costituisce il risultato più avanzato di tutto il dopoguerra. Ma avanzato perché? ci chiediamo. Perché è una poesia - ci pare di capire - che ha la coscienza dell’errore in cui siamo: «è una condizione di uomini a mezzo fra il passato e l’avvenire, troppo ancora intrisi di passato.» Ora devo con tutta franchezza dichiarare che questo puntare sulle questioni sociologiche e politiche del pensiero di Fortini, non mi interessa più di tanto. Di lui amo il passo riflessivo e cadenzato di quel «/Dunque nulla di nuovo da questa altezza/ Dove ancora un poco senza guardare si parla/ E nei capelli il vento cala la sera», che si trova nella raccolta Foglio di via.

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Da Una volta per sempre (p.124), Einaudi, Torino 1978, voglio riproporre anche il suo Agro inverno che brucia, taglia, incenerisce, è una sorta di autopunizione per le perdute occasioni di vita e di amore. Vorrei invitare a leggere la poesia La gronda, nella stessa raccolta Una volta per sempre. In questa poesia, una casa in rovina e invecchiata mi pare l’allegoria di brutture, morali e non, che non vogliono arrendersi alla fine. Come epilogo ecco la liberazione: «Penso con qualche gioia/ che un giorno, e non importa/ se non ci sarò io, basterà che una rondine/ si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti/ irreparabilmente, quella volando via./» Ma il Fortini che amo di più è quello che scrive, per dirla con Sereni, «Come se ci fossero orecchi per ascol-

tare, come se le parole che si scrivono, agissero per una irriducibile volontà di comunicazione, verso destinatari invisibili e anonimi, magari futuri», come nella raccolta Paesaggio con serpente del 1983. Questa raccolta che è incline - come scrive Luca Lenzini nel suo Stile tardo, Quodlibet Studio, 2008, Università di Siena - a organizzare recitativi più ariosi - come questi: «/Non sa più chi sia/ l’ostinato che a notte annera carte / coi segni di una lingua non più sua / e replica il suo errore. / È niente? È qualche cosa? / Una risposta a queste domande è dovuta. / La forza di luglio era grande. / Quando è passata, è passata l’estate. / Però l’estate non è tutto/.» Questa raccolta, dico, mi ha innamorato, forse per una immodesta mimesi, in quegli anni Ottanta in cui stendevo il mio Viaggio obbligato. Gli devo molto, posso dirlo. Un poeta spesso ci piace perché dice cose che anche noi avremmo voluto dire. È il caso di alcuni versi di Composita solvantur, Einaudi, 1994, in cui l’indagare del poeta me lo fa sentire vicino come nella poesia La salita: «/ […] Com’è - mi chiedevo -/ che solo da vecchio, che solo all’estremo/ e senza saggezza né pace/ m’aggiro così per i poggi? /.» Infine, non come puro omaggio agli scomparsi, ma come omaggio al Fortini epigrammista, lasciatemi citare da Poesie Inedite, Einaudi: «Qualcosa tintinna/ nel vuoto, qualcosa/ si è rotto/. /Il filo rovente/ che spento ora oscilla/ non vedi/ ma senti e un ronzio/ si ostina se scuoto/ nel buio quel filo che più/ non brilla e che fu/ tuo, mio.//»


Da Questo muro

Da L’ospite ingrato

Da Composita Solvantur

Il bambino che gioca

Sereni esile mito

Sono nella stanza

Il bambino smise di giocare e parlò al vecchio come un amico. Il vecchio lo udiva raccontare come una favola la sua vita.

Sereni esile mito filo di fedeltà non sempre giovinezza è verità un’altra gioventù giunge con gli anni c’è un seguito alla tua perplessa musica. Chiedi perdono alle “schiere dei bruti” se vuoi uscirne. Lascia il giuoco stanco e sanguinoso, di modestia e orgoglio. Rischia l’anima. Strappalo, quel foglio bianco che tieni in mano.

Sono nella stanza dove tutto è ordinato dove tutto è settembre. Sul davanzale si agitano, avvisate dei mutamenti celesti, le formiche. Nessuna melodia nasconda qui una severità modesta la sola che non disconviene.

Gli si facevano sicure e chiare cose che non aveva mai capite. Prima lo prese paura poi calma. Il bambino seguitava a parlare.

Da Una volta per sempre

1954

A Carlo Cassola Con lunga pena, con ostinato errore ritorno al mio principio, al nostro. Ma mutato da questa vera e modesta altura vedo, o mi pare, altro da quel che era il vivere che resta. Con lunga pena, che dico? Con ira ancora agonizzante e grida soffro di rinunciare alla lode del mondo, alla sua ingiuria, alla parola. Tu che i miei anni stessi hai misurato ostinato al tuo vero, insegnami il sentiero astuto e triste dove sei passato, la soglia d’aria dove resisti e vinci.

Da Poesia ed errore Agli amici Si fa tardi. Vi vedo, veramente eguali a me nel vizio di passione, con i cappotti, le carte, le luci delle salive, i capelli già fragili, con le parole e gli ammicchi, eccitati e depressi, sciupati e infanti, rauchi per la conversazione ininterrotta, come scendete questa valle grigia, come la tramortita erba premete dove la via si perde ormai e la luce. Le voci odo lontane come i fili del tramontano tra le pietre e i cavi... Ogni parola che mi giunge è addio. E allento il passo e voi seguo nel cuore, uno qua, uno là, per la discesa.

immobili indifesi ragni esili pendete.

1957

E della carità, della speranza che comporrà i tuoi giorni e della fede che ognuno per questi lunghi viali del mondo accompagna, l’immagine che tu sei divenuta quanti anni in sé condusse, quanti lunghi cammini l’educarono, e preghiere e rimorsi.

Da Paesaggio con serpente I lampi della magnolia

Da Foglio di via Foglio di via Dunque nulla di nuovo da questa altezza Dove ancora un poco senza guardare si parla E nei capelli il vento cala la sera. Dunque nessun cammino per discendere Se non questo del nord dove il sole non tocca E sono d’acqua i rami degli alberi. Dunque fra poco senza parole la bocca. E questa sera saremo in fondo alla valle Dove le feste han spento tutte le lampade. Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.

Assonanze! Le vostre ragioni quando la notte è senza movimento dal fondo dei legni le odo. Ma il tarlo che rodeva non c’è più ma immaginari i cigolii. Voi nei sistemi strani che le disperazioni levano dentro il folto arduo del mondo e ora nella stanza calma dell’antenato che sono o divengo

Vorrei che i vostri occhi potessero vedere questo cielo sereno che si è aperto, la calma delle tegole, la dedizione del rivo d’acqua che si scalda. La parola è questa: esiste la primavera, la perfezione congiunta all’imperfetto. Il fianco della barca asciutta beve l’olio della vernice, il ragno trotta.

Da Poesie inedite Per la nascita di Lorenza Pampaloni E quando sarai grande saprai cos’era nel cuore a tuo padre. La confusa pietà, la lieta, ansiosa e tremante preghiera sui tuoi primi capelli molli, e il riso.

Da quant’anni alla tua voce non nata ancora, e sottile, ebbe orecchio! Come a quella sorrise in cuore, in giorni che a lui sono memoria e perse ombre.

Diremo più tardi quello che deve essere detto. Per ora guardate la bella curva dell’oleandro, i lampi della magnolia.

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Racconto

TEXT Matthew Licht

J

ack non voleva partecipare alla crociera avvistamento balene. Di balene ne aveva già viste, all’acquario del porto. Orche idrodinamiche in bianco e nero che facevano capriole attraverso cerchi di fuoco per prendere pezzetti di pesce dalla mano della domatrice carina mentre il pubblico applaudiva. Lo spettacolo con le balene l’intristì. Il resto dell’acquario gli piacque ancora meno. Uno squalo e una tartaruga marina gironzolavano senza sosta dentro un’enorme vasca di vetro, troppo annoiati per aggredirsi. A Jack non piaceva lo zoo. Chiese al maestro Sig. Jones se poteva restare in biblioteca anziché partecipare a quella gita. I compagni di classe gli diedero del matto. Gite scolastiche allo zoo erano uno spiscio totale. Signorina Nudesen la bibliotecaria scoprì che a Jack non piacevano nemmeno le riviste di foto a colori di animali nei loro habitat naturali. Quando ne fu informato, Maestro Jones

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alene

dove vanno le

credette di aver scoperto qualcosa d’importante sul conto del suo allievo. «Jack, tu hai paura degli animali. Ma il Dott. Hipswitch lo psicologo della scuola ti aiuterà a superare questa fobia irrazionale.» Jack gli rispose, «non ho paura degli animali.» Aveva paura del Dottor Hipswitch, ma non lo disse. I suoi genitori insistettero che doveva per forza venire ad avvistare balene quella domenica. Non erano disponibili bambinaie. Volevano fare un giro in barca, prendere aria fresca e la salsedine, vedere larghi orizzonti blu e, possibilmente, le creature più grandi della terra. «Puoi stare in cabina a leggere un libro, se preferisci, Jack,» disse sua madre esasperata. «Sinceramente non capisco perché odi tanto gli animali.» «Mamma, ti sbagli. Adoro gli animali.» «Allora perché non vuoi fare la crociera delle balene?» «Non credo che alle balene piaccia essere osservate. A me non piace.»

«Come fai a saperlo, Jack? Tu sei un ragazzo. Non sei una balena.» Jack non sapeva rispondere. Sua sorellina Emma gli fece una sonora pernacchia. Il padre di Jack comprò i biglietti al molo. Mangiarono wurstel e patate fritte sulla tolda metallica della nave Spanker, dipinta di verde. Il resto della nave era di un bianco quasi abbacinante sotto il sole nel cielo senza una nuvola. Il capitano dello Spanker, o chiunque stesse parlando così forte dall’altoparlante, disse che era una giornata da manuale per scorgere balene. Che tutti a bordo scrutassero l’orizzonte, quindi. Chiunque vedeva il primo spruzzo di balena doveva urlare “Alla balena!” e alzare la mano per vincere una maglietta Whale Watchers. Jack si appoggiò alla ringhiera a poppa e guardò rimpicciolirsi la città. Volavano gabbiani, tenuti su dalla brezza marina e trascinati dalla scia della nave Spanker. Sembra che ridano, pensò Jack. Chissà cos’hanno da ridere? Dopo soprendentemente poco, la terra


non si vedeva più. Jack si guardò attorno. L’oceano sembrava affollato da altre navi i cui motori rovistavano l’acqua. Emma, la sorellina di Jack, urlò «balena in vista!» ancora più forte dei motori. L’altoparlante, ancora più forte di Emma, rispose «che occhio, signorina! L’ha vista ancora prima di me. Può ritirare il premio a fine crociera. Ma ora, signore e signori, ragazzi e ragazze, volgiamo tutti lo sguardo verso la balena avvistata dalla nostra vedetta occhio di falco. Credo sia una megattera. Infatti lo è.» Maestro Jones aveva fatto sentire loro registrazioni dei canti delle megattere durante una lezione di scienza naturale. Emettevano suoni strani e tristi sott’acqua. Jack fece a gomitate per arrivare a prua e vedere la balena. Un’onda luccicante si alzò e ricadde piano. Una coda gigantesca sventolò in segno d’addio prima di scomparire. Jack non aveva mai visto nulla di così bello. Il capitano fece rotta verso dov’era apparsa e poi scomparsa la balena. Anche le altre navi vi piombarono. Spuntò un’altra balena, poi un’altra ancora. Vennero a galla almeno dieci balene. Sembravano rocce, scogliere grigie e bianche, ricoperte di patelle, che si muovevano piano. La gente a bordo della Spanker urlava «alla balena!» Anche dalle altre navi urlavano. Le isole mobili che erano balene sembravano sbuffare vapore. Jack vide i loro minuscoli occhi e le bocche enormi spalancate. Gli sembrava di sentire ciò che provavano. In acqua, trattenendo il fiato e tuffandosi per toccare il fondo, senti il sangue che scorre forte, le orecchie che martellano, una pressione come se stessi per implodere. Poi torni a galla, inspiri e la sensazione svanisce. Le balene sembravano una famiglia, o un gruppo di amici intimi. Sig. Spowziak il maestro di educazione fisica diceva che era più sicuro fare il bagno in gruppo. Le navi circondarono le balene. A Jack sembravano piccole. Magari se fossi in acqua con loro, riuscirei a capire quanto sono grandi davvero. Con tutte queste navi attorno è difficile. Gli piaceva l’idea di nuotare con le balene. Nuotava bene, Jack. Glielo diceva perfino Maestro Spowziak, che non era complimentoso. L’acqua di mare sembrava blu, pulita, fresca. Sicuramente gli animali si comportano diversamente, quando nessuno li guarda, pensò. Fanno stupide capriole solo quando c’è gente. Forse stanno meglio sul fondo marino perché là sotto c’è sempre una festa divertente, o un ristorante per sole balene. Sbuffare vapore potrebbe essere il loro modo di raccontare ai gabbiani le ultime barzellette sottomarine. Jack ebbe voglia di scavalcare la ringhiera e tuffarsi. Gli sembrava di sentire quant’era fredda l’acqua, anche se era agosto. Si sentì stringere la pancia, come se dovesse cantare o recitare in pubblico. Chiunque parlava forte dall’altoparlante avrebbe urlato, «uomo in mare!» Jack poteva quasi sentirlo. Nuoterò via dalle balene. Dovranno venirmi a prendere, suppongo... cercare di salvarmi. Così le balene potranno tornare a fare gli affari loro. Jack si alzò sulla ringhiera. Non lo guardava nessuno. Si tese e si approntò due, tre volte. Sapeva che era sbagliato. Sapeva che i suoi sarebbero stati in pensiero. Guardò le balene, fissandole come tutti gli altri. Le balene non sembravano farci caso. Non avevano paura delle navi. Sono di casa nel mare in un modo che navi e persone non riescono a stare. Se le balene volevano scappare, dovevano solo inabissarsi. L’oceano è vasto. Le balene possono stare sott’acqua più di un’ora. Nuotano veloce. Maestro Spowziak aveva spiegato il riflesso dell’immersione mentre la classe di nuoto sedeva al bordo della vasca, tremando dal freddo nei costumi bagnati. Quando una creatura nata per le immersioni, come la balena, il delfino, il tricheco o l’essere umano si sprofonda in acqua, disse, tutto rallenta. Il cuore smette quasi di battere. Le vene si restringono per concentrare l’ossigeno al cervello. Ciò dimostra, disse Maestro Spowziak, che a qualche punto nel tempo, esseri umani e balene erano lo stesso animale. La gente a bordo delle navi guardava le balene. Le balene consideravano disinvolte le navi e sbuffavano. Sembrava che potesse andare avanti così per tutto il pomeriggio, ma poi una delle balene mise sott’acqua la testona. Il vasto corpo scintillante divenne un arcobaleno delle sfumature di grigio, poi la coda salutò piano. Addio, addio... «Se ne vanno!» urlò il tipo col microfono. Anche le altre balene s’immersero. Forse la prima aveva detto che era tempo di partire, ed erano d’accordo. Anche Jack. Non sentì l’urlo dall’altoparlante. «Uomo in mare!» (1)


Racconto

natale dal

TEXT&PHOTO Letizia Grazzini e Graziano Bellini

N

ovembre. È il mese dove il Natale è in bilico fra i ricordi di quelli passati e l’attesa di quello che verrà. Noi volevamo cercare il Natale da un robivecchi. Il Natale di ogni infanzia, di ogni età, il Natale dei ricordi da presentare al Natale che verrà. Siamo partiti armati di macchine fotografiche e strategie di ricerca. Ricerca di ogni cosa che avesse l’anima del Natale e le macchine fotografiche per carpirne l’essenza. L’effetto doveva essere quello dello scatto rubato. Ben presto però, cercando il Natale dei ricordi, ci siamo imbattuti negli oggetti

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robivecchi

pieni di vita abbandonati e ceduti da un’umanità affascinante che ci ha incuriositi. A quel punto i nostri sguardi non sono stati attratti soltanto dalla vecchia bambola di pezza o dalle macchinine di legno, giochi di un’età d’altri tempi che oggi vuole ben altro, ma anche da un quaderno rilegato con alcune pagine già scritte oppure da un paio di scarpe ancora in ottimo stato. Graziano: «Letizia, ma cosa c’entrano questi oggetti con il Natale che cercavamo?» Letizia: «Beh, invece credo che c’entrino perché rappresentano un’altra faccia del

Natale, quella dell’umiltà, della condivisione, della sostanza e non dell’effimero. Mi affascina pensare al motivo per il quale sono stati lasciati lì e da chi. Il Natale è anche l’umanità che c’è nelle persone.» Graziano: «È vero, il Natale non è solo un oggetto, un regalo di un giorno, ma può essere, deve essere, anche uno stato d’animo, un’apertura continua al mondo, un incontro continuo fra la gente.» Gli oggetti esposti nel mercatino dell’usato si susseguono in modo apparentemente casuale. Ogni cosa ha un’anima. Niente a che vedere con la merce


“morta” dei supermercati o delle boutique. Tutto qui racconta qualcosa. Graziano: «Vedi, per esempio, questo piccolo bidone per la spazzatura, poco più alto di trenta centimetri, proveniente da chissà quale decennio del Novecento, tradisce nelle sue piccole dimensioni la tipologia dei consumi di quei tempi: essenziali e senza imballaggi in eccesso da buttare. Anche la celebrazione del Natale era cosi: un’attenzione alla ricerca essenziale dei valori e senza gli eccessi dell’effimero.» Letizia: «È vero, descrive soprattutto i tipi di rifiuti e la relativa quantità che veniva prodotta. A me sinceramente ricorda anche un’altra cosa importante, una cosa che prima aveva un valore che ora, secondo me, non ha più: avere cura dei propri oggetti, anche il più insignificante. Vedi com’è tenuto bene questo bidone? È stato trattato bene, aveva un valore, andava tenuto con cura. Al primo problema presentatosi, l’avranno aggiustato e risistemato. Ma non l’hanno mai buttato via come facciamo spesso noi adesso, l’hanno tenuto in buono stato, sennò non era qui!» Graziano: «Esatto. Come quei giochi, quelle macchine, quelle bambole, quei dischi. Quanti oggetti oggi vanno a finire troppo presto nel grande contenitore

di rifiuti che è la Terra, quanti giocattoli dopo Befana sono solo pezzi di plastica rotti e abbandonati. Questo posto fa riflettere. Molto.» Letizia: «Perché abbandonare un libro? In pochi, secondo me, si rendono conto del valore che un libro può avere: stimola la fantasia, rilassa, mantiene la mente allenata, aumenta il nostro bagaglio culturale. È vero, una volta letto, forse, non lo rileggerai, ma sicuramente un amico che non ha potuto comprarlo c’è, forse un collega che sai potrebbe amarlo esiste, forse un centro ricreativo o sociale potrebbe apprezzare il dono. Un bel gesto di solidarietà, che spesso si fa con la scusa del «a natale siamo tutti più buoni magari avrebbe dato un destino sociale a questi libri… forse.» Graziano: «Ecco la varietà dell’umanità che dicevamo prima. Per me, per te il libro è un oggetto quasi sacro. Ma per altri, una volta letto, quel volume fa solo volume, diventa solo uno spazio occupato da un oggetto ormai “consumato.” Però credo che la necessità economica sia la molla principale che ha portato qui la maggior parte degli oggetti che vediamo. E anche questo ci rimanda all’essenza, alla concretezza. Regalare qualcosa di utile è oggi la prerogativa da ricordarsi per Natale.» Letizia: «Non metto in dubbio che molti utilizzino questo sistema per riciclare e

quindi per non buttare. Sono sicura che molti sono spinti dal pensiero a me non piace più, ma forse a qualcuno potrebbe piacere. Molti saranno stati ceduti qui per racimolare qualche soldo. Ma come sarebbe bello regalare e donare un libro a un amico anziché mollarlo nella polvere dei dimenticatoi dei robivecchi?» Graziano: «O regalare quel disco in vinile di Louis Armstrong che fa capolino dallo scaffale dei 33 giri?» Letizia: «Unico, per me. Anche per te. Per altri magari no! Ma perchè lasciare lì quelle scarpe intatte, immacolate, nuove?» Graziano: «Forse per essere sostituite in fretta dal nuovo modello alla moda. Forse perché un acquisto poco ponderato non ne ha valutato il successivo non-utilizzo. In entrambi i casi, un eccesso dell’effimero, purtroppo.» Letizia: «È vero, ma vedo del positivo in tutto questo, perché mentre qualcuno ha abbandonato e mai usato queste scarpe, catalogate quindi come “inutili”, qualcun altro oggi torna a casa con un paio di bellissime scarpe seminuove che da tanto desiderava.» Graziano: «E quindi ha trovato il suo Natale! E anche noi, oggi, abbiamo trovato il nostro Natale da raccontare, non credi?» Letizia: «Sì!»

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delitto nell’antica pieve

Racconto

un

TEXT&PHOTO Valerio Vallini

U

n biglietto rosso era posto al centro del tavolo nella sala del Dipartimento di Medievistica. Il prof. Abdenaco Chini pensò a Sonia, la sua giovane assistente esperta in Diplomatica e volgare arcaico. Era una sua mania: ogni messaggio un diverso colore. I messaggi in rosso erano i più rari: segnalavano grosse novità. «Ti aspetto alla pieve, domani all’alba. È urgente.» - Che sarà successo! - pensava Abdenaco. Si erano lasciati dopo la lezione del mattino e si sarebbero visti nel pomeriggio. Perché tutta questa urgenza? - Le carte - pensò. Quelle trovate in una intercapedine dell’archivio storico di San Miniato. Che Sonia ci abbia trovato qualcosa di sensazionale? Accidenti ad avergliele lasciate. Debolezza di vecchio per quegli occhi troppo azzurri, le sue moine sensuali. Provò a chiamarla al telefono di casa che squillava a vuoto. Cominciò a imprecare contro l’idiosincrasia di Sonia per il cellulare. Gliene aveva regalato uno ultima generazione: un prodigio, ma Sonia era allergica. Che ci fosse qualche novità alla Pieve? In quello che restava dell’antichissima pieve di Barbinaja VIII-X secolo, erano in corso degli scavi per verificare l’attendibilità di notizie circa un percorso sotterraneo che dalla cripta sarebbe sbucato a mezzacosta di Bucciano. Ma perché tutta questa fretta? L’alba lo trovò assopito nel dormiveglia. 1

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2

Un bagliore pungente si rifletteva dall’Arno nello specchio della camera. Lasciò Pisa con uno stellato che si stendeva dalle colline di Casciana Alta, a Soiana, ai verdi rilievi del larigiano fino a Montecastello. A nord, la scultura del Monte Serra si alzava sfregiata dalla follia degli incendi. Invece della superstrada, Abdenaco prese a percorrere vecchie strade, poco più che sentieri campestri, delle quali conosceva gli antichi “toponimi” di una marginetta, di un pozzo, di una vecchia colonica. All’altezza del ponte sul torrente Chiecina s’inoltrò per la palaiese, avendo Montopoli alla sua sinistra e a destra il castello di Marti. All’altezza della Casaccia iniziò a costeggiare il torrente per una straducola polverosa e tutta buche che mise a dura prova le sospensioni e la tenuta della sua Panda

4x4. Era questa un diverticolo percorso nel basso medioevo, da pellegrini, avventurieri, emissari che volessero raggiungere la Francigena evitando il nodo superprotetto e vigilato dell’Osteria Bianca e soprattutto la via Pisana-fiorentina, con le sue molte dogane e i posti di guardia. Dopo il guado del Chiecina, e salendo un poggio, fu in vista delle rovine della Pieve. Si fermò nell’ombra di un pioppo e mise a fuoco il binocolo. Poprio sotto i resti della torre vide controsole due figure appoggiate al cofano di un fuoristrada. Erano Sonia insieme ad Alessio, il custode del cantiere, “passionista”, di storia e di storie, e di Sonia, rifletté amaramente. Erano soli, in atteggiamento distaccato, e lo attendevano davanti a quello che restava dell’ingresso principale della chiesa. Il cantiere


gola, una lama consunta dalla ruggine, conficcata fra due vertebre: certamente la prova di un omicidio. Il perché di quel delitto - un suicidio pareva molto improbabile - venne fuori dalla traduzione della pergamena indirizzata a Papa Callisto II, il Papa che promosse nuove crociate contro il Turco. Pur fra le abrasioni e i tratti illeggibili e le bruciature, la scrittura non lasciava dubbi. Sonia, scienziata ma fervida credente, lesse sconvolta: 3

1. Discesa per Barbinaia da Bucciano; 2. Resti dell’antica pieve, la Torre; 3. Pieve di Barbinaia, canonica

allestito per il restauro dell’antichissimo complesso era deserto. Mise in moto e si avviò. Fece appena in tempo a scendere dall’auto, che Sonia gli si fece incontro seguita da Alessio, e con la voce malferma cominciò a parlare. - È proprio laggiù, sotto l’altare, che si è verificato il crollo ed è affiorato un cadavere dentro un mucchio di cenci bruciacchiati. spiegò Sonia. - Un crollo, un cadavere? E quando? - chiese Abdenaco. - Ieri al tramonto - rispose Alessio -. Si è sviluppato un incendio. Sono riuscito a stento a domarlo, poi ho chiamato la signorina e lei si è precipitata. Attenti però, perché qui potrebbe sprofondare tutto. - Non temete, rispose Abdenaco, vedo che è crollato solo l’ingresso della cripta. Abdenaco si chinò su un fagotto scuro e cominciò a esplorarlo sollevando alcuni lembi con cura. - C’è solo un mucchio d’ossa sotto questo

pastrano - disse rivolto a Sonia. Poi congedò Alessio pregandolo di tenere a bada qualche esploratore domenicale, e di chiudere la sbarra perché nessuno entrasse. Sonia e il professore si misero a esaminare quel che restava di quel corpo e di quelle vesti. Che fosse un palmiere o pellegrino dalla Terra Santa pareva probabile da quel lungo mantello col cappuccio: la pellegrina, e dal bordone, un robusto bastone raccolto accanto ai resti. - E perché, domandò Sonia, se era un pellegrino si trovava così lontano dalle vie più note e trafficate come la Francigena e la Pisana? Perché in questa remota Pieve? E questo? - chiese mostrando la piega di un rotolo giallastro che fuoriusciva da uno schianto del bordone, anzi dall’attaccatura del manico con l’asta. - Senza dubbio una pergamena - sentenziò Abdenaco dopo averla estratta con cura e passata a Sonia per la decifrazione. A rigirare quei resti apparve, all’altezza della

«Io, abate di…Iago..di Compostel, consegno al nostro fra... Ja..c.. da San G…..per VS Santità il cui uso è.... al ..ostro giudizio. [...] che devoti eruditi.... hanno rilevato una nuova terribil...verità, il vero sacello di Cristo... nella .....bassa di Jerusalemm. Ja... po conse...rà una mapp..., legata a questa pelle di… Eminenza imploro che la crociata venga al più presto e che ...atissimi servi possano ... giungere prima a quel... sacro perché, Dio mi …i, niente a cada... dei nemici della chiesa... Vs... devotissimo servo Abbé Francois Sermant» Sonia e Abdenaco rimasero sconvolti a guardarsi in silenzio per quella nuova sconvolgente notizia che non poteva essere taciuta, ma divulgarla avrebbe gettato nella disperazione milioni di credenti. “Il vero sepolcro di Cristo!” Mentre pensavano al da farsi, un boato fortissimo annunciò un nuovo crollo. I resti della Pieve li seppellirono e li fecero sprofondare. I loro corpi furono estratti dopo giorni dalle ruspe insieme alle macerie e i cenci e le ossa di Iacopo da San Giovanni.

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Booking a book ‘

novitàa’ editor iali

a cura di Angelo Errera

RACCONTO

l

l terzo volume di Papa Ratzinger, si compone di quattro capitoli e di un epilogo. Il volume di 180 pagine - presentato nella Sala Pio X in Vaticano dal presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi - è diviso in quattro capitoli, dedicati rispettivamente alla genealogia per la collocazione di Gesù nella Storia; alla nascita di Giovanni il Battista e all’avvento del Nazareno con l’annuncio a Maria; all’evento nella grotta di Betlemme nel contesto storico dell’Impero Romano di Augusto; alla prima epifania con l’adorazione dei Re Magi. L’opera si conclude con un epilogo dedicato alla discussione con i dottori nel Tempio, ultimo episodio noto di un Gesù dodicenne, prima che ricompaia nei racconti evangelici dal momento del suo battesimo nel fiume Giordano attorno ai trent’anni e fino alla sua morte in croce e alla Resurrezione: temi presenti nei primi due volumi del lavoro di Benedetto XVI che con quello in uscita oggi completano l’opera su Gesù di Nazaret. Il volume è stato stampato in un milione di copie e tradotto in venti lingue per oltre un milione di copie di tiratura per la prima edizione.

L’INFANZIA DI GESù di Joseph Ratzinger

Edizioni: Rizzoli e Libreria Editrice Vaticana

LETTERATURA

È

una mattina come tante, ma da oggi niente sarà più come prima. Emma è stata uccisa dal marito, un uomo depresso che quando “entrava in una stanza era come se andasse via la luce». La sua morte, un caso di cronaca quasi banale nella sua agghiacciante frequenza, sconvolge le donne del condominio. C’è Lara, che si tormenta per non essere mai andata oltre il saluto sulle scale e la promessa di vedersi per un caffè e c’è Elisa, che proprio la mattina del delitto scopre per caso il marito a letto con un’altra. Una storia senza importanza, assicura lui, «una scopata senza seguito», ma Elisa si tormenta, oscillando pericolosamente tra il tarlo devastante del sospetto e il bisogno di credere all’uomo che ama. Come uscirne? Perché le donne insistono a picchiare contro il proprio dolore come mosche contro un vetro chiuso? Domande a cui le protagoniste riusciranno a dare risposta in un romanzo attualissimo e di grande impatto, che scava nel dolore con lo sguardo ottimista di chi considera sempre possibile un riscatto dall’infelicità.

IL CORPO NON SBAGLIA di Lidia Castellani - Edizioni: Salani Editore

ROMANZO

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a felicità è un’aspirazione che accomuna ogni essere umano, un’esigenza legittima e un diritto innegabile. Ma è svilente considerarla semplicemente un punto d’arrivo, che a volte ha i tratti confusi di un sogno irraggiungibile. Perché la felicità è innanzitutto una ricerca, un percorso consapevole che serve a lasciare ai pensieri più profondi e alle esigenze più nascoste la forza di esprimersi e di trasformarsi in azione contagiosa. Perché la felicità che non è mai una condizione permanente ma è effimera nell’esperienza degli esseri umani - è prima di tutto un agire. E sono i piccoli gesti quelli che fanno ogni giorno la differenza. Il dolce piacere di accogliere chi si aspetta una porta sbattuta in faccia, la scoperta di essere capaci di ribaltare un rapporto negativo, l’importanza di sentirsi accettati pur nella propria diversità, capiti anche nelle paure più segrete. Non sono che piccole ricette per riuscire a raggiungere e a donare a se stessi e agli altri la felicità. Una parola spesso abusata e fraintesa, che trova la sua vera essenza nelle cose più semplici. Un percorso che ci guida, attraverso molteplici aspetti della vita quotidiana, verso la scoperta della felicità. Maria Rita Parsi, psicopedagogista, scrittrice e saggista con questo libro si cimenta in uno dei temi più discussi, affrontati e amati dalla poesia dell’antichità ai film di Gabriele Muccino.

LA FELICITà è contagiosa di Maria Rita Parsi - Edizioni: Piemme


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SPORT

’autore Fabrizio Borghini fa la sua sinossi del libro, in modo ironico e parlando in terza persona: «Cosa hanno in comune i due autori di questo libro?» Sicuramente li accomuna l’origine fiorentina e la passione per una squadra dalla maglia viola che ha contagiato entrambi. A causa della Fiorentina le loro strade professionali si sono a un certo punto separate per ricongiungersi grazie a questa pubblicazione. Fabrizio Borghini, giornalista decollato dalle tv private toscane proprio grazie alle trasmissioni dedicate alla Fiorentina, a un certo punto ha avuto una crisi di rigetto: le continue delusioni della perennemente inespressa squadra viola, lo hanno indotto a desistere rivolgendosi ad altri più confortanti lidi professionali. Lorenzo Castellani, invece, ha tratto innegabile giovamento dalla perdurante serie di disillusioni che la squadra del cuore gli ha riservato; invece che consolarsi con il brandy Stock 84 ha preferito riportare su carta l’amarezza accumulata in anni ed anni di insuccessi producendo una serie incredibile di vignette che lo hanno catapultato nell’olimpo dei vignettisti italiani. Quando a Borghini è stato chiesto di scrivere nuovamente di Fiorentina sul Quotidiano Viola ha posto un aut aut: accetto ma solo per divertirmi e per irridere gli pseudo campioni che stanno indegnamente indossando la maglia che fu di Petrone, Julinho, Montuori, Hamrin, Antognoni e Batistuta. E così sono nate le interviste impossibili a Cerci, Donadel, Pasqual e compagnia brutta. (Tratto dal testo di Valeria Grillo)

VIOLANDO di Fabrizio Borghini e Lorenzo Castellani - Edizioni: NTE

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STORIA

uesta seconda edizione, più bella graficamente e migliorata nei contenuti storico–artistici e storici, nasce, come la prima, con lo stesso identico progetto di promozione del territorio, del culto delle tradizioni, del rispetto della storia. Oggi più di prima, riferisce il dott. Scaduto, è importante in un paese, che tutti i suoi cittadini nutrano senso di appartenenza e di comunità che li porti a conoscere tutte le risorse del proprio paese e averne cura. Dice infatti bene nella sua presentazione l’assessore Bucci «Non possiamo fare a meno della storia per comprendere il presente, per dargli senso, per provare l’orgoglio di essere una parte di un tutto che va molto oltre le nostre singole vite. Documentare l’esistente è importante perché non si perda mai di vista che quello che siamo, quello che possediamo, ci è stato tramandato eppure non è mai nostro; va lasciato a chi verrà dopo di noi con la speranza e l’augurio che ne abbiano la stessa cura che al Volto Santo, e alla sua storia, è stata data nei secoli a Santa croce sull’Arno». La dr.ssa Gagliardi ha riferito i risultati della sua ricerca che l’hanno portata a ricostruire la storia del culto del Volto Santo da dopo la crocifissione di Cristo fino ai tempi di Roma, Costantinopoli, Lucca, Santa Croce. Affascinante e colto il suo racconto, così come quello della prof.ssa Burresi che fra le altre cose ha diretto i lavori di restauro del nostro Crocifisso e che si propone un successivo lavoro sullo studio e la descrizione degli arredi e gli addobbi che vengono utilizzati il giorno della Santa Croce per adornare il Crocifisso.

La santa croce - il culto del volto santo di Mariagiulia Burresi e Isabella Gagliardi

STORIE DI NATALE

POLITICA

S

ono trascorsi quasi due anni dalla prima sollevazione in Tunisia che ha dato il via alla “Primavera araba”, innescando una serie di avvenimenti per certi versi imprevedibili: le rivoluzioni dei giovani, la caduta di leader che sembravano eterni, le prime elezioni, lo scontro fra le due anime dell’Islam. In alcune situazioni la transizione alla democrazia sembra consolidarsi, in altre invece sembra andare incontro a un precoce autunno. Quel che è certo è che una nuova generazione si è affacciata sulla ribalta della storia, una generazione che sa oramai che il cambiamento è possibile. Questo libro guida il lettore alla scoperta del nuovo sogno arabo. Quali sono state le cause profonde delle sommosse? Perché non ce ne siamo accorti prima? Perché stavolta il sollevamento popolare ha funzionato? Che cosa rende simili e che cosa diverse le condizioni del Maghreb, del Mashreq e del Golfo? Islam e democrazia sono infine compatibili? Come sono cambiati gli equilibri geopolitici in Medio Oriente? L’antica questione israelo-palestinese può trarne giovamento e impulso? E come cambia infine la politica estera degli Stati Uniti, dell’Europa, della Russia, della Cina, dell’Iran dopo questi cambiamenti?

eBook

IL NUOVO SOGNO ARABO di Lapo Pistelli - Edizioni: Feltrinelli

S

i tratta della seconda puntata del fortunato Storie di angioletti. Sono cinque racconti brevi destinati alla prima infanzia, tutti sul tema del Natale. I protagonisti sono angioletti curiosi, pasticcioni, buffi e coccoloni. Figure positive, in cui i bambini possono facilmente immedesimarsi, anche perché vengono contrapposte agli angeli grandi dipinti come bravi, maturi e responsabili. In un racconto viene presentata anche la figura di Maria. Positiva l’immagine di Dio che si delinea. È un Padre che affida compiti importanti anche ai piccoli, che non si arrabbia se combinano guai, ma dagli errori trae sempre un’onda di bene che ricarica i piccoli maldestri, perché lui sa tramutare in perfezione anche i nostri sbagli. In questo modo i bambini lettori possono trovare un valido aiuto per la propria crescita e autostima. La morale che si evince è questa: sbagliare succede e non per questo siamo meno amati da Dio; la cosa importante da sapere è che si può sempre rimediare e, con l’aiuto di Dio e di coloro che ci vogliono bene, il rimedio è migliore delle nostre aspettative.

IL NATALE DEGLI ANGIOLETTI

di Ivano Argento, Fabrizio Zubani - Edizioni: Paoline Edizioni 53


Cinema

Nelle foto: Alessandro Preziosi; Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore; Carlo Verdone; Claudia Gerini; Isabella Ferrari; Valentina Cervi; Sylvester Stallone; Giulia Bevilacqua, Marco Muller, Paolo Ferrari, Claudia Pandolfi; Pappi Corsicato; Myriam Catanea e Luca Argentero; Laura Chiatti; Stefania Rocca e Carlo Capasa.

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Marc’Aurelio

Festival di Roma

Marfa girl a

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

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anno dettato non poche polemiche i premi assegnati dalla giuria del Concorso della settima edizione del Festival di Roma. Non tanto per il Marc’Aurelio d’Oro, andato a Marfa Girl di Larry Clark né per il Gran Premio della Giuria, ottenuto dall’apprezzato Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi (che ha vinto anche il premio migliore opera prima o seconda), quanto per i due importanti premi dati a E la chiamano estate di Paolo Franchi: quello per la regia e quello per l’interpretazione femminile a Isabella Ferrari. «Vorrei invitare tutti ad essere più curiosi - ha detto la Ferrari, vorrei invitare tutti a vedere questo film senza pregiudizi, ad accogliere i film italiani per quello che sono. Io - ha aggiunto - ho fatto questo film con coraggio, senza paura. Lo dedico a mia madre e ai miei figli che hanno una madre come questa». Fischiatissimo dalla critica, che poi lo ha praticamente distrutto sulla stampa, il film è stato difeso a spada tratta da P.J. Hogan, che durante la cerimonia di premiazione ha espresso l’opinione di tutta la giuria: «È stata una scelta difficile per noi, eravamo divisi come lo è stato il pubblico. Molti di noi si sono arrabbiati, come vi siete arrabbiati voi. Ma è una regia coraggiosa, senza compromessi nella sua visione, e il film non lascia indifferenti. Nel bene o nel male, ha ottenuto l’obiettivo di far parlare di sé, di essere odiato o amato. Qualche fischio in sala si è sentito anche all’annun-

Nur Bar

cio del premio a Franchi, ma va detto che gli applausi hanno prevalso». Il regista ha ringraziato la giuria: «È stata coraggiosa come me. In questo cinema livellato e appiattito dalla televisione serve coraggio, e la mia produttrice Nicoletta Mantovani è stata coraggiosa permettendomi di fare ciò che volevo.» Per quanto riguarda il premio a Clark, è il primo grande riconoscimento nella carriera del grande regista americano, che nel ritirarlo ha confermato di voler distribuire Marfa Girl solo online: «Sono stato fregato da chiunque a Hollywood – produttori, distributori, quelli

Il premio per la migliore regia va a E la chiamano estate. Isabella Ferrari migliore attrice. che ti stringono la mano, ti sorridono e ti pugnalano alle spalle.» Un modo nuovo per raggiungere un pubblico, una maniera innovativa che si contrappone alla distribuzione in sala. Fra le sorprese, della breve cerimonia dei premi collaterali al Festival di Roma è stata la torta di compleanno glassata di bianco e di rosso, a più piani, accompagnata da un “Buon compleanno” cantato dalla platea della Sala Petrassi, per festeggiare Claudia Pandolfi, madrina della manifestazione, che ha

compiuto gli anni. La Pandolfi, visibilmente sorpresa, si è scherzosamente buttata in ginocchio e ha finto di immergere la faccia nel dolce, prima di lasciare il palco con il premio Lancia ricevuto. Tra gli altri vincitori, annunciati da Giulia Bevilacqua e dal direttore del Festival Marco Muller, che è anche servito da traduttore, per l’inglese e il cinese, due riconoscimenti sono andati all’epico 1942 di Feng Xiaogang: il Premio A.I.C. per la fotografia e la Farfalla Agiscuola, entrambi ritirati dal direttore della fotografia Lu Ye. La cerimonia si è conclusa con un’altra sorpresa: il premio dell’associazione Sorridendo Onlus, che si dedica al tema della diversità a 360 gradi, consegnato da Mary Calvi a Marco Müller “per lo slancio che ha dato al cinema a livello nazionale e internazionale”. Poi tutti a festeggiare la chiusura con un party del giovane imprenditore Gianluca de Marchi, neo produttore cinematografico (film di Valeria Golino regista e il nuovo di Renato de Maria, marito di Isabella Ferrari) al Nur Bar, un esclusivo club, in via del Teatro Valle, ospitato al piano terra e nei sotterranei del settecentesco palazzo Capranica del Grillo. Nur in arabo vuol dire luce e proprio luce e musica, in tutte le loro sfaccettature, saranno il filo conduttore delle trendy notti del club. L’architettura e il design degli interni, rivisitati in chiave moderna da Nicola Pugliese, proprietario del Nur ed estroso architetto, si ispirano ai colori del Barocco romano.

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Spettacolo

San Miniato - Le foto di scena di Montiroli

Cesare TEXT Andrea Mancini

deve morire

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a mostra Foto dal carcere. Il set di Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani, è stata allestita nel Palazzo Inquilini di San Miniato per il Centro Cinema intitolato ai due fratelli sanminiatesi candidati all’Oscar, con l’apporto della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato e della Cassa di Risparmio SPA. Grande interesse per la serata con Salvatore Striano, l’ex carcerato che interpreta la parte di Bruto. Insieme a Giovanna Taviani, ha incontrato il folto pubblico intervenuto per la proiezione del film. La mostra Foto dal carcere. Il set di Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani non è una mostra sul cinema dei Taviani, perché lascia in posizione secondaria i due registi sanminiatesi, e sposta l’attenzione sul lavoro trasversale di Umberto Montiroli, il fotografo di scena che opera fuori dalla parte artistica del film, per documentare la sua realizzazione. Ecco allora che la mostra, come il libro uscito in contemporanea, pubblicano un materiale di enorme valore, che racconta ciò che resta dietro, visto con una sensibilità completamente diversa, ma non per que-

Sanfelice. Con la foto de La stanza del figlio di Nanni Moretti ha vinto il primo premio della migliore serie foto a colori al concorso nazionale fotografi di scena CliCiak della quinta edizione (2001) e con uno scatto del film Operazione rosmarino il primo premio per la miglior foto a colori della sesta edizione (2002). In un libro intervista uscito nel 2004 e ripubblicato più di recente in un mio volume sui Taviani (Sguardi corpi paesaggi, Titivillus 2008), Montiroli rivendica con forza la propria autonomia di fotografo: «la fotografia tratta da un fotogramma rimane sempre una foto fredda, la qualità non c’è, rimane cinema, e

cinema non è fotografia». La polemica è contro il costume ormai in uso di trarre le fotografie direttamente dal materiale filmato, escludendo in qualche modo il ruolo fondamentale del fotografo di scena, spesso essenziale per restituire sulla pagina il senso del film, a volte addirittura più importante dello stesso regista: ci sono fotografie entrate nella storia, almeno del costume, che non sempre ritroviamo nei film dove sono state scattate. La mostra è composta da oltre cinquanta scatti, la maggior parte mai visti e di grandissimo impatto e suggestione, realizzati da Montiroli dentro al Carcere

Una mostra sul film dei Fratelli Taviani candidato all’Oscar sto meno efficace e interessante, di chi dirige il film o di chi più semplicemente lo riprende o lo recita. A proposito di Montiroli, Paolo e Vittorio Taviani hanno scritto: «Noi abbiamo un amico segreto sul set, un amico che sta nell’ombra, ma sappiamo che i suoi occhi sono puntati sulla scena che stiamo dirigendo: è lui che deve coglierne in sintesi il senso». Nato a Roma nel 1942, Umberto Montiroli ha iniziato a interessarsi di fotografia nel 1959. Dopo aver lavorato sedici anni in un laboratorio fotografico, dal 1976 è passato a documentare i set. Da Padre Padrone fino a Cesare deve morire ha fotografato tutti i film dei fratelli Taviani, compreso i televisivi Resurrezione e Luisa

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I fratelli Paolo e Vittorio Taviani, alcuni scatti fotografici di Umberto Montiroli durante le riprese del film


di Rebibbia, dove sono state effettuate le riprese di un film straordinario, che sfrutta il lavoro volontario o quasi di tutta la troupe e la forza scenica degli attori, tutti carcerati ed ex carcerati, insomma non professionisti. Si tratta infatti di un’opera girata con costi bassissimi, in parziale opposizione a un’industria cinematografica giunta al capolinea. Dopo il film dei Taviani e la vittoria del film di Garrone a Cannes, con protagonista Aniello Arena, ergastolano a Volterra, ho scritto: «Il cinema italiano rinasce… dentro le carceri!».

Paolo e Vittorio Taviani sul loro fotografo di scena (dal libro Umberto Montiroli, Foto dal carcere: il set di Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani, a cura di Andrea Mancini, La conchiglia di Santiago, San Miniato 2012) Noi abbiamo un amico segreto sul set, un amico che sta nell’ombra, ma sappiamo che i suoi occhi sono puntati sulla scena che stiamo dirigendo: è lui che deve coglierne in sintesi il senso. Questo collaboratore silenzioso e nascosto negli angoli è il fotografo di scena. Quando non ha la possibilità, per vari motivi tecnici, di scattare durante le riprese deve ricostruire la scena. Occorre energia e creatività, anche perché deve imporsi alla troupe, agli attori e soprattutto alla produzione che spesso è costretta a vedere il cinema come una corsa contro il tempo. Il suo lavoro è prima di tutto documentazione, è anche un racconto “a fumetti”, alcune volte è una reinvenzione luministica di un volto, di un oggetto. La nostra gratitudine per questo collaboratore si rinnova quando nelle pubblicazioni sul nostro cinema la forza delle immagini da lui scattate riesce a restituire anche sulla pagina il senso della nostra ricerca. Paolo e Vittorio Taviani


Dramma popolare

Teatro

una

nuova stagione TEXT Laura Baldini

L

a parola e il gesto, in una sorta di potente simbiosi, regnano sovrani nel Teatro, in particolare in quello dello Spirito, in cui la forza evocativa del linguaggio crea suggestioni ed emozioni, coinvolge, ma soprattutto scuote le coscienze, motiva la riflessione, sollecita a interrogarsi su questioni di senso, sui temi più vitali del nostro esistere anche oltre i confini della pura materialità. Il Dramma Popolare di San Miniato, nato nel 1947 dalle macerie del II° conflitto mondiale, dalla brutalità delle violenze perpetrate ai danni di una popolazione che comunque aveva reagito e sperato in un avvenire diverso, da 66 anni porta sul palcoscenico testi di grandi autori di fama internazionale che sappiano stimolare una riflessione critica sul presente e sul passato per aiutare a costruire un futuro di cui ciascuno sia protagonista perché abitua1

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to a pensare, a ragionare con la propria testa, ma anche a sentire, a emozionarsi, a misurarsi alla pari con altri diversi da sé per accogliere e comprendere nel profondo. Il Teatro, dunque, come espressione di un nuovo umanesimo, di un’etica della condivisione e dell’impegno, non un teatro confessionale, ma ispirato ai grandi temi del messaggio cristiano di cui si nutre gran parte della nostra tradizione storica e culturale. Non un teatro di evasione, che può divertire ma non formare, quanto piuttosto un ritorno allo spirito di quelle sacre rappresentazioni, che trovavano nelle chiese, sui loro sagrati, nelle piazze il loro palcoscenico naturale, quasi un rito collettivo che si ripeteva puntualmente. Oggi i luoghi del Teatro del Cielo, com’è stato definito il Dramma Popolare, sono ancora quelli, ma già nella mente dei fondatori, fin dall’inizio, i contenuti sono

stati diversi: non preghiere corali, al contrario tematiche dell’oggi e dell’ieri vissute intensamente dagli uomini di ogni tempo; insomma rappresentazioni di testi inediti su problemi legati alla contemporaneità, tali da attirare e motivare ciascuno a una riflessione personale e al tempo stesso a un dialogo critico con la propria coscienza e con gli altri in una sorta di formazione interiore che può meglio guidare i nostri passi lungo un cammino di ricerca esistenziale che non si esaurisce a breve termine, quasi un pellegrinaggio alla ricerca o verso una conferma di quelle verità che esistono, al di là di ogni forma di relativismo, e alle quali molti riescono ad approdare, quasi un porto rassicurante che tuttavia non nega e neppure rinnega le tempeste della vita. Su questi valori si fonda il Programma che il nuovo Presidente della Fondazione Istituto


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Dramma Popolare, Marzio Gabbanini, e il c.d.a. hanno definito nella linea della continuità con quanti lo hanno preceduto, tenendo alto il prestigio di questa Istituzione, per rafforzare ulteriormente la presenza del Dramma Popolare sul territorio locale, ma con un respiro nazionale di più forte incidenza. Questo richiede un potenziamento della comunicazione, ma anche un lavoro di ricerca continuativo di testi della drammaturgia contemporanea, e non solo, a livello europeo ed extraeuropeo oltre che, ovviamente, di quello italiano, perché il Teatro dello Spirito sappia essere propositivo, capace di evitare il localismo, pur sempre entro un rapporto costruttivo con il tessuto socio-culturale a lui vicino. L’impegno è altresì quello di tenere viva l’attenzione sul Dramma Popolare lungo l’intero corso dell’anno evitando di concentrare il Festival entro tempi estivi assai ristretti, per fare dei diversi luoghi del sacro, di cui è ricca la città di San Miniato, lo spazio di rappresentazioni capaci di raggiungere, col loro messaggio, un pubblico sempre più vasto, creando intorno all’evento centrale del mese di luglio un clima di aspettativa entusiasta, di progressivo e lento avvicinamento per continuare, poi, quasi ininterrottamente un percorso ricco di appuntamenti in grado di rinvigorire l’amore per un teatro di qualità da parte di tutti , giovani e meno giovani. Sono nati, per questo, nel 2012 gli incontri-dibattito con personaggi di rilievo del panorama culturale italiano con i quali affrontare i temi del sacro, le problematiche più attuali del teatro, i suoi forti legami con gli altri linguaggi espressivi. Con una grande partecipazione di pubblico sono stati ospiti del Dramma Popolare Roberto Cavosi, autore di “Anima Errante”, Il testo della 66ª Festa del Teatro, Francesca Colombo, Sovrintendente del glorioso Maggio Musicale Fiorentino, Carla Fracci, stella della danza, con il maestro Beppe Menegatti, tutti momenti di un Progetto più ampio che intende salvaguardare il Programma originario aprendosi costan-

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temente all’innovazione, ma sempre entro un quadro unitario e coerente. Si spiegano così le iniziative del 4 dicembre 2012 alla riscoperta delle proprie radici, ricordando quei cinque Soci fondatori che poterono pensare un Progetto di Teatro dello Spirito, alla maniera del grande Copeau, in una piccola città di provincia, che sarebbe in breve diventata Città del Teatro, pur sempre nell’apertura al nuovo, alla complessità del reale, con tutte le sue opportunità conoscitive, ma anche con inevitabili rischi. Marzio Gabbanini con l’intero c.d.a. guarda a un Dramma veramente popolare, che in alcun modo abbassi il livello delle produzioni artistiche, al contrario sappia andare dritto al cuore e alla mente di tutti, perché il Teatro sia vissuto con passione e partecipazione emotiva, ma sempre illuminate dalla luce del pensiero riflessivo. Il Dramma Popolare va dunque a incontrare la gente nel vivo dei suoi problemi, delle sue ansie e delle sue aspettative per portare parole di verità e di speranza entro palcoscenici naturali carichi di storia e di arte per risvegliare le coscienze, talvolta troppo assopite, del mondo contemporaneo. Lo farà in tutti i suoi spettacoli, nel prossimo convegno su Don Giancarlo Ruggini, figura indimenticabile di sacerdote, direttore artistico “innamorato” del Dramma Popolare, grande maestro di vita, in un nuovo libro di riflessione sulla propria identità e sulle sue prospettive, nelle scelte difficili, ma esaltanti di testi, per quanto possibile, inediti. Il Teatro dello Spirito si nutre di un forte legame con la storia della città di San Miniato e delle Istituzioni che lo sostengono, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato all’Ente Locale fino ad aziende leader, quali Tecnoambiente, preziosi promotori di una delle eccellenze culturali di cui è ricco il nostro territorio. Questo permette al Dramma Popolare di guardare con speranza e fiducia al futuro, salvaguardando nel contempo le testimonianze di un passato di grande prestigio e di elevato valore spirituale.

1. Composizione in b/n di immagini d’epoca del dramma (© Fondazione Istituto Dramma Popolare) 2. Francesca Colombo, sovrintendente del Maggio Musicale Fiorentino, insieme al presidente della Fondazione CRSM, Antonio Guicciardini Salini (foto di Danilo Puccioni). I venerdì del dramma 15/06/12 3. Carla Fracci in Cavaliere di ventura, festa del Teatro a San Miniato, anno 1999. (© Fondazione Istituto Dramma Popolare) 4. Carla Fracci, con Antonio Guicciardini Salini e Marzio Gabbanini (foto di Danilo Puccioni). I venerdì del dramma 19/10/12 5.6.7.8 Anima Errante LXVI Festa del Teatro a San Miniato 2012 (foto di Daniele Savoca).

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anima cuore

l’

TEXT Carla Cavicchini

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n usignolo si è staccato dal ramo cadendo sulla mia spalla e… magicamente, mi ha parlato di sé, del bel canto, delle sue passioni. Ma non è stata una conversazione tutta cip-cip, poiché dai cinguettii è passato ai toni caldi e suadenti sino a trasformarsi in dolce creatura con tanto di piume finte, e spruzzi di lustrini. Cecilia Gasdia, bella donna veneta e soprano italiano, davanti a un pubblico di esterofili, osserva che l’Italia ha potenzialità enormi nel campo musicale, che sono ben sviluppate, anche se niente toglie che potrebbero crescere. «Siamo il paese del sole, ecco perché ci piace tanto cantare da mattina a sera; purtroppo la cultura musicale è debole, debolissima e ciò è brutto. Già all’asilo dovrebbero insegnare la disciplina musicale, ma… per carità!

e il

E pensare che la musica aiuta anche nella formazione dello spirito, quindi arriva chi vuole, o meglio chi intraprende tale via extra studi scolastici. È un vero peccato poiché noi abbiamo un talento innato in un regno dove domina l’ignoranza. Io, con tutte le mie forze, ho frequentato il Liceo Classico e il Conservatorio; ci ho creduto, e adesso sono qua!» Bello quel qua! Noi lo “buttiamo”, lei invece da buona veronese, scandisce le parole e quindi viene questo “qua” di modo imperativo. Prosegue con… un po’ di sana esaltazione d’anima latina viene fuori, indubbiamente, tutti noi ci crediamo artisti nati. Eh sì… ogni spettatore si sente cantante, e non solo partenopeo, però è basilare imparare i rudimenti meccanici, matematici, i solfeggi, sino che poco a poco, la mente si apre, elevandosi. Addirittura dicono che ha effetti positivi anche per chi è nel grembo materno e per chi si risveglia dal coma! Possiede occhi da cerbiattina ed un bel vitino come i figurini delle sarte. Sto attenta, sto attenta, anche se adoro cucinare. Dopo la lirica viene l’arte culinaria, altra mia grande passione, ma soprattutto sono contenta, ho preso molto dalla vita, anche negli affetti, ho due figli più che splendidi, anche se… la carriera comporta viaggi, allontanamenti e stress enormi. E pensare che adoro stare in casa a far lavori di tavolino tutta concentrata! Mah. Adesso è una vera star, acclamata e applaudita in ogni parte del mondo. Il suo lancio internazionale fu nel 1982, quando sostituì Montserrat Caballè alla Scala in Anna Bolena di Donizetti e poi… tutto in crescendo. Da apprezzare l’attività concertistica spesso in collaborazione con I Solisti Veneti,

Intervista

Cecilia Gasdia

nonché alcune sue romanze e contaminazioni con la musica pop. Signora, ci dà qualche consiglio per diventare un buon soprano come lei? Doti innate in primis: intelligenza, buona musicalità, allenamento continuo, un carattere adatto a calcar le scene e… non basta. Non basta cantar bene e avere una bella voce, questo perché ogni serata è diversa dalle altre, bisogna fiutare tutto, dando sempre il massimo. E poi mai e poi mai improvvisare, per carità. Che altro dire… ci si nasce, ma mettiamo anche in conto che la voce “cala”, è una cosa fisiologica, dobbiamo sempre ascoltarci, con buone dosi di autocritica e umiltà. È stata Mimì nella Bohème di Puccini, Nedda in Pagliacci di Leoncavallo, ha interpretato Luisa Miller di Verdi… - Cecilia mi guarda sorniona - e poi c’è stata La Traviata sempre di Verdi, Anna Bolena, Capuleti e Montecchi, Falstaff, Benvenuto Cellini, La Sonnambula, e poi non mi ricordo più! Ho lavorato tanto, moltissimo, e ho ricordi bellissimi. Uno è quello con Zeffirelli, ho con lui un’amicizia splendida, mi ha insegnato molto… anche se non ha un carattere facile. Ma questo lo sanno tutti! L’abbiamo vista di recente in tv in una serata per Padre Pio dove istruiva eccitatissimi bambini di colore. Per Padre Pio corro sempre, cerco proprio di conciliarlo nei miei impegni. Lo sa che mio nonno materno mi parlava sempre di quel Santo anche quando era in vita? Praticamente era uno di casa. Ultimissima domanda alla donna vincitrice del premio Maria Callas del 1980: errori e rimpianti? Partiamo proprio dagli errori, li ho fatti, ma non li rimpiango poiché mi hanno insegnato tanto. E di noi toscanacci che ci dice? Eh, quello fiorentino ha un palato superfino, super-super; quanto alle persone, voi toscanacci, vi conoscevo e vi conosco poiché ho vissuto molti anni a San Casciano Val di Pesa. Andavo molto spesso anche a Empoli a fare delle spese. Ecco perché nelle strade “del giro” la musica s’alzava sempre più, sino a far apparire l’esplosiva Carmen di Bizet!

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Andrea Buscemi

album

Grand’ attore

del

TEXT Martina Benedetti


Teatro

I

n quest’epoca di grave decadenza artistica, continuare a fare Teatro in Italia (un paese fra i più colpevolmente distratti verso la cultura, nonostante l’immenso patrimonio di cui si fregia) è un atto di coraggio. Lo è maggiormente quando il repertorio frequentato è essenzialmente quello classico, e il tentativo è quello di continuare la valorizzazione e la divulgazione delle opere e degli Autori più importanti di tutti i tempi, quando l’Italia sembra premiare essenzialmente il trash televisivo e le fiction precotte. Jung, in tempi non lontani dai nostri, diceva dunque che «l’unica cosa che può fare un artista oggi è dormire». Ma avere le stimmate antonomastiche dell’artista, pur in quest’epoca così cupa per gli artisti, impone l’obbligo di resistere e insistere, incidere per quanto sia possibile col proprio “segno” il mondo che si abita. Nel teatro c’è, inoltre, un tipo di figura che proprio non può esimersi dall’“essere”: il Grand’attore, con questa definizione intendendosi il teatrante che vive in completa simbiosi col palcoscenico, e che si nutre essenzialmente delle suggestioni e fascinazioni che da esso emanano. Epigono di quello stuolo di grandi interpreti che dominarono la scena fino agli anni ’60 del secolo scorso (i cui picchi furono certo nell’Ottocento), il Grand‘attore del Duemila perpetua una tradizione (e lo può fare per voce, presenza scenica, orecchio musicale, cultura e anche un anacronistico senso della “missione” teatrale) commisto a un malinconico fatalismo, che gli deriva – appunto - dalla consapevolezza che forse oggi, nell’epoca liquida che viviamo, di un Grand’ attore sembra esserci sempre meno bisogno.

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Andrea Buscemi ha da subito seguito, per istintiva vocazione, la strada e gli obblighi del Grand’attore (che è anche sacrificio e rinunce, oltre che entusiastico fervore), attraverso un percorso ricco e variegato (fatto di artigianato e approccio intellettuale) attraverso il quale si è cimentato con gli irripetibili Molière, Shakespeare, Goldoni, Gogol, Beckett, ma anche i moderni Woody Allen, Zavattini, Buzzati, Tobino, Severi, Manfridi. Con loro ha fatto la grande cavalcata del proprio Teatro, firmando quasi sempre le regie, e lavorando fianco a fianco con interpreti che sono Gigi Proietti, Giorgio Albertazzi, Flavio Bucci, Paola Gassman, Giorgio Panariello, Leonardo Pieraccioni, Nando Gazzolo, Oreste Lionello, Tosca d’Aquino, Corinne Clery, Antonio Salines, Eva Robin’s, Debora Caprioglio, Nathalie Caldonazzo, Sergio Castellitto. Un percorso estremamente articolato, che gli ha procurato grandi estimatori e fieri detrattori, ma che non si può dire, che non l’abbia cristallizzato fra le figure più emblematiche del Teatro del nostro territorio. In attesa dell’imminente debutto della sua nuova fatica Falstaff e le allegre comari di Windsor, al Teatro Goldoni di Livorno, il 19 e 20 marzo 2013.



24 novembre 2012 Ho sentito il bisogno di scrivere. L’ho sentito dal profondo dell’anima. Le parole che affido allo scritto, vorrei che fossero intese per quello che sono: cariche di angoscia da una parte e di tanto, tanto affetto dall’altra. Sono parole per voi, donne di questi luoghi e del mondo, “l’altra metà del cielo”, come siete state chiamate. Sono per te giovane donna e per te più avanti negli anni. Per te, istruita o senza cultura, che hai un posto nella società o non ne hai alcuno. Per te, che ancora sei all’ultimo gradino in tante parti della terra. Soprattutto per te, semplicemente donna, ferita, umiliata, sfruttata, uccisa. La mia angoscia sta qui: nel constatare quanta violenza assurda e imbecille si rovesci ancora su di te, da secoli, dentro casa o per la strada, da parte di chi ti sta più vicino, come di chi nemmeno ti conosce o quando gli uomini si divertono a fare la guerra, ma a pagare sei soprattutto tu. Quanta violenza fisica e morale devi sopportare ogni giorno, con la paura, il tormento, l’insicurezza che ti rovina dentro! Ti chiedo perdono, anche a nome di tutti coloro che ti hanno fatto e ti fanno del male, rovinando, o meglio, tentando di rovinare il capolavoro della creazione. Perché questo tu sei: l’opera più sublime, più straordinaria, più sorprendente che il buon Dio abbia creato. E la mia fede mi dice che sei lì, nel punto più alto del cielo, con Maria, la più alta di tutte le creature. L’angoscia che mi strozza il cuore, si accompagna all’affetto che voglio dirti e manifestarti. So che sei forte e niente e nessuno ti potrà mai davvero sconfiggere, ma so anche quanto hai bisogno d’amore, quanto sei sensibile all’affetto; come sia importante per te sentire affetto sincero e amore vero. E so che ti è essenziale non perché tu sei fatta così, ma perché in realtà l’amore è ciò che più conta nella vita, è il suo senso, è Dio stesso. E tu lo sai, prima e più profondamente di noi uomini; lo percepisci con tutte le fibre del tuo essere e per questo sei capace di una generosità senza misura. Oggi, come uomo e come Vescovo della Chiesa, voglio dirti un grazie pieno e sincero; per te prego e per te grido “basta” al sopruso di chi ruba i tuoi sogni; per te voglio che cambino le cose, perché nessuno più alzi la mano sopra di te e tu possa vivere giorni felici. Monsignor Fausto Tardelli Vescovo di San Miniato


repetita iuvant

Musica

Santa Croce sull’Arno

TEXT Milvia Battini

Ciro Zingone

R

epetita iuvant, ed è stato proprio così per la FIDAPA - BPW Italy sezione San Miniato che il 24 novembre scorso ha inaugurato la sua attività sociale per l’anno 2012-2013, con un concerto del Maestro Ciro Zingone, già ospite della nostra associazione nel passato. Il concerto, eseguito con successo, nell’armoniosa cornice del Teatro Verdi a Santa Croce sull’Arno, gentilmente concesso con il patrocinio del Comune, ha offerto agli spettatori l’ascolto di arie e romanze celebri del belcanto italiano e napoletano tra ‘800 e ‘900. Alla chitarra e oboe Ciro Zingone, soprano Rita Del Santo, al pianoforte Nicola Ippolito. Una performance di altissimo livello durante la quale Ciro Zingone, virtuoso chitarrista, si è esibito anche come tenore accanto alla bella voce di Rita Del Santo suscitando grande entusiasmo tra il pubblico in sala. Ammirazione e applausi per il giovane e abile pianista Nicola Ippolito che sulle note di “Pianofortissimo” di Carosone ha dato prova di interpretazione artistica oltreché di una seria preparazione tecnica.

Nicola Ippolito

Rita Del Santo

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ali

Peccioli - 60 anni di Coppa Sabatini

Sport

Tra due TEXT Irene Barbensi

U

na mostra dedicata alla storia della Coppa, dal 1952 a oggi, 60 anni di ricordi, emozioni, di vinti e vincitori. La narrazione degli avvenimenti sportivi ha per sfondo il contesto sociale e civile del paese, in un processo di fuoriuscita dalla tradizione, in cui il ciclismo offrì la possibilità di rinnovare la socialità comunitaria. Dal 1° ottobre al 25 novembre il Museo delle Icone Russe F. Bigazzi di Peccioli ha ospitato la mostra Tra due ali di folla. 60 anni di Coppa Sabatini, nata dalla collaborazione tra la Fondazione Peccioliper e l’Unione Ciclistica Pecciolese. «Passano le corse… da noi, per antonomasia, sono le corse in bicicletta, e le corse passano, come una processione sotto casa o le cèe a Bocca d’Arno. Nelle feste patronali e nelle fiere di paese prima c’erano altre gare, pali di cavalli, corse di botti. Col Novecento arrivano le corse in bicicletta». Così il prof. Fabrizio Franceschini con gli altri curatori della mostra, il prof. Andrea Addobbati, dell’Università di Pisa, il prof. Giuseppe Lo Castro, dell’Università della Calabria, hanno introdotto l’esposizione che attraverso immagini in bianco e nero e poi a colori, ripercorre 60 anni di vita di un’intera comunità, dei suoi costumi, della sua identità e il loro mutare nel tempo. Tra due ali di folla è strutturata in quattro

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sezioni: Albo d’Oro della Coppa Sabatini, come in un grande album di vecchie figurine i volti dei protagonisti della Coppa, le loro volate e i loro gesti di vittoria; Giuseppe Sabatini, una ricostruzione della vita del campione pecciolese; 60 anni di Coppa Sabatini, un excursus sulla Gente della Coppa, su una comunità che si riconosce nell’esultazione per i suoi campioni; Sui pedali della vita, una piccola sala video in cui verranno proiettate alcune scene dello spettacolo teatrale omonimo, andato in scena lo scorso 3 luglio durante la rassegna teatrale 11 Lune e divenuto presto un DVD, proiettato durante la serata di presentazione della Coppa Sabatini. La Fondazione Peccioliper che ha curato questa iniziativa ha dedicato una serata, Pedalata rotonda - Fatti e personaggi della Coppa Sabatini a confronto con 60 anni della nostra storia, ad alcuni dei protagonisti che a cavallo tra gli anni ’70, ’80 e ’90, hanno scritto pagine importanti di questa corsa: Roberto Poggiali, Mauro Simonetti, Vilmo Francioni, Gianbattista Baronchelli, Franco Chioccioli e Andrea Tafi. L’intento è stato quello di raccogliere testimonianze dirette a distanza di tanti anni, confrontando e cercando di raccontare storie sportive correlate a quello che è stato il contesto storico e sociale del periodo.

di folla


Golden 2012Foot

Sport

Montecarlo

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

O

rmai da alcuni anni il Golden Foot è un premio internazionale destinato a calciatori che abbiano compiuto almeno 29 anni, i quali si siano distinti per i loro risultati sportivi, sia a livello individuale che di squadra, e per la loro personalità. Il riconoscimento viene assegnato dal pubblico tramite votazioni effettuate sul web, dopo che una giuria di giornalisti ha scelto in precedenza i dieci candidati. Il primo a vincerlo fu Roberto Baggio, poi Nedved, Shevchenko, Ronaldo, Del Piero, Roberto Carlos, Ronaldinho, Totti, Giggs e, per l’edizione 2012, se l’è aggiudicato l’attaccante del Paris Saint-Germain Zlatan Ibrahimovic, che lo ha ricevuto dalle mani della principessa Stephanie di Monaco. Sul palco anche il grande Pelè, premiato con il Golden Foot alla carriera. Ibrahimovic ha commentato: «è un grande onore, senza

la gente che mi sta vicino non avrei potuto vincere questo premio. Ho un piede grande ma ce l’ho fatta, grazie a tutti». Quest’anno, assieme a Ibrahimovic, premi alla carriera anche a Eric Cantona, Franco Baresi e Lothar Matthaus. Anche Baresi ha espresso grande soddisfazione per il premio ricevuto e ha ringraziato chi lo ha votato. Unico rimpianto non aver vinto tutto quello che si poteva vincere. Soddisfazione anche per Lothar Matthaus, onorato di ricevere il Goldon Foot alla carriera, il top del top. Nel corso della cena di gala, svoltasi allo sporting club di Montecarlo, Eric Cantona non è salito sul palco per ritirare il suo Golden Foot alla carriera. Sul palco è salito infatti il fratello dell’ex campione francese, che, visibilmente imbarazzato, ha detto: «Eric è andato via perché non si sentiva molto bene». Da notare che Cantona, fino a pochi istanti prima, era seduto tranquillamente

al suo tavolo. A quanto pare, sembra che Cantona non abbia gradito il fatto di essere stato scavalcato, nella scaletta della serata, da Ibrahimovic e Pelè. La scaletta di premiazione iniziale infatti, prevedeva nell’ordine, Baresi, Matthaus, Cantona e poi la coppia Ibra-Pelè. Un cambio dell’ultimo istante (la coppia Ibra-Pelè prima di Cantona) avrebbe mandato su tutte le furie l’ex stella del Manchester United e della nazionale francese.

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Stop!

alle zanzare e agli inSetti!

ImpIantI antIzanzare a nebulIzzazIone per aree commercIalI, rIcettIve e resIdenzIalI Le zanzare possono rappresentare un grave problema durante la stagione estiva per chi gestisce attività all’aperto o per i proprietari di giardini e grandi spazi verdi frequentati da persone. La risposta è l’impianto antizanzare MistAway Il sistema a nebulizzazione Gen III, è facile da installare, sicuro ed economico, può essere posizionato ovunque e necessita solo di una presa elettrica e di un attacco alla rete idrica. Durante il giorno eroga un insetticida sicuro, di alta qualità e rispettoso dell’ambiente, che colpendo il sistema nervoso degli insetti, libera l’area dalle zanzare principalmente uccidendole e non agendo da repellente. Una volta installato il sistema è in grado di funzionare in modo autonomo. Il principio attivo Il principio attivo dell’insetticida usato dal sistema Insectec deriva dal crisantemo. Il principio è autorizzato dal Ministero della Sanità, nei modi e tempi consigliati. Il quantitativo di zanzaricida miscelato è talmente blando e leggero che non ci sono controindicazioni per persone, e animali domestici. L’assenza di solventi lo rende atossico e non irritante. I prodotti sono specifici per essere erogati a contatto con la vegetazione. In Giardino snc è dealer ufficiale degli impianti antizanzare a nebulizzazione Insectec. Per un preventivo gratuito e non impegnativo o per avere maggiori informazioni chiamateci o visitate oggi il nostro sito web:

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ma e t s sI atIvo e t ov Inn tamen ca! I et dIr l’amer dal


Re porta

Grafologia

Il portiere su e giù cammina come sentinella Il pericolo lontano è ancora, ma se in un nembo s’avvicina oh allora una giovane fiera s’accovaccia e all’erta spia.

a cura di Maria Laura Ferrari, Scuola Ce.S.Graf. perito grafologo del Tribunale di Lucca

Società

tre

alla

(Umberto Saba, Tre momenti, da Canzoniere)

P

roponiamo un breve ritratto grafologico di tre grandissimi campioni di calcio, portieri della Nazionale che nelle loro firme profondamente dissimili, riflettono i loro peculiari tratti caratteriali e stili di gioco.

Dino Zoff (Mariano del Friuli, 1942) Nel 1982, a 40 anni, vince la Coppa del mondo, giocatore più anziano in assoluto a raggiungere questo traguardo. Detiene tuttora il record mondiale d’imbattibilità per squadre nazionali, non avendo subito reti per 1142 minuti consecutivi. Cresciuto nella Marianese, dopo essere stato in un primo tempo bocciato ai provini per l’allora bassa statura, si affacciò nel calcio professionistico a 19 anni grazie all’Udinese. Nella Juventus ha vinto per sei volte il titolo di Campione d’Italia. Per 11 anni, dal ‘72 all’83, è stato portiere della Nazionale. Una volta ritiratosi, diviene allenatore e dirigente di vari club e della stessa Nazionale. Sposato, ha un figlio. La firma si presenta calligrafica - soprattutto le maiuscole - chiara, leggibile, proporzionata: la persona è autentica ed equilibrata, si mostra così come è, senza filtri, maschere e nascondimenti. Nei rapporti è limpida, diretta, rispettosa dell’altro. Le ghirlande tracciate dalle lettere “i” ed “n” del nome rivelano disponibilità, rispetto dell’altrui libertà, capacità di dare e ricevere. Le forme sono solide, “scolpite”, gli ovali rotondi, ben disegnati: l’io è saldo, anche dal punto di vista affettivo. Lo spazio tra parole e lettere è arioso, a indicare obiettività e capacità di analisi e ponderatezza nei giudizi. La tenuta del rigo ascendente denota slancio ed energia. Le asole della doppia “f”, in zona inferiore un po’ accorciate e ristrette e il puntino della “i” a cuneo, rivelano spirito di sacrificio e capacità di rinuncia rispetto al piacere corporeo e all’appagamento materiale. Alcuni, così detti, “piccoli segni” - nodi , ganci e gancetti finali - ci svelano, soprattutto in una scrittura così stabile e controllata, la possibilità di improvvisi “guizzi”, “gesti accaparratori”, per non dire imprevedibili e straordinarie prese… Walter zenga (milano, 1960) Soprannominato l’uomo ragno, miete successi nell’Inter e nella Nazionale di Azeglio Vicini, con la quale stabilisce il record, ancora ineguagliato, d’imbattibilità in un mondiale (dall’ottobre 1989 al luglio 1990). Gioca in Nazionale fino al 1992. Si ritira nel 1999 e inizia la carriera di allenatore, soprattutto all’estero. Ha avuto tre mogli e quattro figli. La firma è caratterizzata da forme curve, gonfie, dilatate che ci parlano di una natura amabile, comunicativa, fantasiosa, esuberante, dotata di un istintivo senso del concreto. Il gesto è tracciato con movimento vivace e dinamico, senza stacchi; le proporzioni tra lettere e zone - superiore, media e inferiore - non sono rispettate (ad esempio la “a” finale è grande come una maiuscola). Questi aspetti evidenziano slancio e risolutezza nel raggiungere gli scopi ma anche un’emotività e un ardore non sempre ben canalizzati, nonostante lo sforzo, anche sul piano affettivo, di contenere le proprie inquietudini. La pressione è in rilievo, alterna cioè alleggerimenti e appesantimenti che favoriscono la scorrevolezza e sono indice di buona capacità di recupero delle energie. Gesti concentrici - da notare l’ampio gesto ellittico d’attacco - , inanellamenti, gancetto finale aggiungono al ritratto di questo campione una nota di narcisismo e ci svelano il suo desiderio di essere al centro della scena. Gianluigi buffon (Carrara, 1978) Attuale portiere della Juventus (che lo acquista nel 2001 dal Parma) e della Nazionale italiana, delle quali è capitano. Campione del mondo con la Nazionale nel 2006 e vice-campione d’Europa nel 2012, è soprannominato Superman, appellativo che risale ai tempi del Parma, quando indossò la maglietta azzurra con la S del supereroe dopo un rigore parato a Ronaldo in un Parma-Inter. È considerato uno dei migliori portieri di tutti i tempi. È sposato con la showgirl ceca Alena Seredová dalla quale ha avuto due figli. Il gesto scrittorio, teso e rapido, si prolunga in alto e in basso: l’individuo è complesso, tende verso obiettivi a volte contrastanti e per effervescenza di idee e di azioni mal integrate tra loro e non sostenute da una piena fiducia nei propri mezzi, può cadere nella dispersività. Ma le forme semiangolose, la tenuta del rigo di base ascendente e stabile, i collegamenti assidui tra lettere, l’inclinazione costante verso destra, rivelano energia, combattività, disciplina e una notevole perseveranza nel perseguire i propri obiettivi sia spirituali, sia materiali (da notare a proposito di questi ultimi, i gancetti “accaparratori”in zona inferiore). I parallelismi tra lettere e una certa rigidità di impostazione ci parlano di difficoltà di adattamento e intransigenza mentre le asole strette, il gesto finale acuminato, alcune evanescenze nella colata di inchiostro segnalano economia di sé o diffidenza e la possibilità di momenti di aggressività verbale e di vulnerabilità o cedimento delle forze a livello psico-fisico.

www.marialauraferrari.com maria.laura.ferrari@tiscali.it

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giovani società nella

TEXT Ada Neri

C

onvegno organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato a Palazzo Grifoni con la collaborazione dell’associazione Economia e Legalità. Il convegno è stato introdotto da Antonio Guicciardini Salini, presidente della Fondazione, con il saluto della professoressa Giuliana Spalletti, presidente dell’associazione. I relatori sono stati il dottor Santino Scirè, vice presidente nazionale Acli, il professor Giuseppe Bellandi, ordinario di ingegneria dell’energia dei sistemi del territorio e delle costruzioni dell’Università di Pisa, e S.E. monsignor Fausto Tardelli, vescovo di San Miniato. Un convegno in cui si è cercato di analizzare a fondo i problemi dei giovani nella società di oggi sia collettivamente che individualmente e in particolare la loro difficoltà a progettare il proprio avvenire. I giovani sono il crocevia di inquietudini sociali e attori dell’innovazione e del cambiamento. Le identità, i saperi, le modalità di comunicazione, i valori, il rapporto con il lavoro e la famiglia che i giovani manifestano sono in grado di interferire con le istituzioni a cui è affi-

dato il compito di mettere le basi per il futuro. Quali modelli valorizzare all’attenzione dei giovani? Quali iniziative porre in essere? Quali i valori da privilegiare in questo percorso verso il “nuovo”? Temi aperti questi, di grande attualità, e allo stesso tempo, di eccezionale importanza, passaggi di repentini cambiamenti sociali.

Nuove generazioni tra sogni e bisogni «La società deve metterli alla prova» Ecco riportate alcune frasi dei relatori per sintetizzare il contenuto della serata. «Una crisi, quella attuale, che tocca da vicino i giovani - ha aggiunto Guicciardini Salini – a cui noi dedichiamo particolare attenzione, attraverso progetti propri della Fondazione o con il sostegno a quelli delle associazioni del territorio, consapevoli che i giovani sono il futuro della nostra società».

Convegno

San Miniato

«Dobbiamo dare esempi - ha detto il vescovo di San Minato Fausto Tardelli i giovani ci chiedono esempi di vita onesta e responsabile. Dobbiamo essere capaci di dare loro opportunità di fare scelte di qualità. Perchè una società che smette di investire nelle capacità dei più giovani è una società senza domani». Anche il professor Giuseppe Bellandi, docente all’ateneo di Pisa: «I giovani devono prepararsi al futuro facendo le giuste scelte, perchè questo nostro tempo chiede il sapere, il saper essere ed il saper fare. Non ci dimentichiamo che siamo dentro una svolta epocale basata sulla crescente affermazione di economie connotate da profondi, rapidi e spesso imprevedibili cambiamenti e da una mutata natura del lavoro e delle professionalità.» In una società che sta attraversando un momento economico difficile, i giovani devono impegnarsi a trovare nuove opportunità, e forse avere anche la voglia di inventarsi un lavoro per ritagliare un proprio spazio nella società. La volontà e a volte anche la creatività, unita all’ingegno, possono stimolare nuove sfide nella società odierna.

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Torino

Toscana gusto

Società

la

del

TEXT Graziano Bellini PHOTO Figli Della Mamma Di Bresson

T

ra il 25 e il 29 ottobre 2012 si è tenuto a Torino il Salone del Gusto, l’appuntamento biennale internazionale che quest’anno per la prima volta ha visto l’abbinamento con Terra Madre. Un evento unico nel suo genere. Non è stata solo una fiera, non è stata solo una convention, non è stato solo un mercato, è stata un’occasione per dare al cibo il compito di cambiare il mondo, parafrasando lo slogan dell’evento. In questo contesto Slow Food Toscana ha rappresentato la Regione Toscana di fronte al mondo, le sue tradizioni eno-gastronomiche e culturali. In quei giorni i padiglioni del Lingotto di Torino erano una moltitudine di colori e di sapori, di lingue e di odori e Slow Food Toscana con i suoi 53 stands, divisi fra 18 presidi e 35 espositori, ha dato il suo contributo determinante all’evento. All’interno del Padiglione Toscano, Slow Food ha predisposto una salettaauditorium dove sono stati organizzati degli eventi in continuazione per tutti i 5 giorni, dalla presentazione di progetti in difesa delle biodiversità, agli incontri internazionali finalizzati allo scambio di esperienze produttive e di recupero delle tradizioni, fino alle presentazioni di prodotti locali e artigianali. Non solo, ma il fiore all’occhiello dell’area Toscana è stata l’Osteria dell’Alleanza dove ogni giorno venivano proposti piatti tipici del territorio dai cuochi provenienti dai più importanti ristoranti regionali coordinati da Daniele Fagiolini. Durante tutto l’evento ha fatto gli onori di casa la Presidente di Slow Food Toscana Raffaella Grana che ha presenziato anche molti convegni e dimostrazioni, mentre Massimo Bernacchini era il responsabile di Terra Madre. Lo spirito della manifestazione lo possiamo cogliere nella considerazione che Emanuele Bertini, uno dei fotografi del gruppo FDMDB che hanno lavorato in quei giorni per Slow Food Toscana, fa quando parla dei ragazzi che hanno conseguito i diplomi presso la Scuola Recupero Antiche Professioni Toscane: «Quella è una vera e propria scuola in cui professori d’eccezione (contadini, allevatori, apicoltori) insegnano ai ragazzi il proprio mestiere. I ragazzi con i presidi che li sostengono economicamente per quanto pos-

Elisa Rodio

Enrico Panchetti

Enrico Panchetti Emanuele Bertini

Graziano Bellini

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Graziano Bellini

Simone Civitelli Emanuele Bertini

sono, hanno dato vita a vere e proprie aziende agricole biodinamiche. È un discorso molto interessante. I ragazzi che sono in foto hanno già avviato con l’aiuto di Slow Food una vera e propria attività: uno produce miele, l’altro il formaggio etc... partendo sempre dai concetti dei presidi e dalla base, quindi, dall’allevare il bestiame o api. Mentre ero lì a fare le foto, c’è stato un vecchio contadino, che ha fatto quel lavoro per tutta la vita, che in questo contesto ha fatto il professore a questi ragazzi e dovevate vedere l’emozione sul suo viso quando lo hanno ringraziato pubblicamente, quasi piangeva quando è andato al microfono.» Ecco, questa è l’umanità che ha animato il Salone del Gusto di Torino 2012.

Emanuele Bertini

Simone Civitelli

I Figli Della Mamma Di Bresson (FDMDB) sono stati i fotografi ufficiali di Slow Food Toscana al Salone del Gusto 2012 di Torino. Il gruppo di amici con la passione per la fotografia del Comprensorio del Cuoio e paesi limitrofi collabora già da un anno con Slow Food per aver esposto 10 mostre fotografiche dai titoli I Prodotti a Km 0 e Ritratti Del Gusto in giro per la Toscana, patrocinate dalla Condotta Slow Food Empolese Valdelsa.

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Scuola

o ci r c Firenze

TEXT Mariantonietta Belardo PHOTO Piero Alessandra

L

che sfilata!

o spettacolo abbia inizio!... Un simpatico presentatore con gorgiera cinquecentesca, accoglie il pubblico in un rosso tendone onirico sospeso nell’aria all’interno del vecchio teatro tenda Obihall di Firenze. Ritorna il circo, con tutti i suoi abbaglianti colori e visionari personaggi che magicamente prendono vita in un mondo dove l’irreale diventa reale, ben oltre i nostri sogni. Bizzarre anime colorate si affacciano da un occhio di luce per introdurre nella magia di ogni singolo protagonista e danno vita a sogni e desideri degli artisti del circo: clown al femminile, al tempo stesso seducenti e accattivanti, marionette, donna barbuta, saltimbanchi, donna cannone, domatrici di cavalli, zebre e donne-giraffa. Si apre così quest’anno, all’insegna dello spettacolo-performance, la sfilata dell’Istituto Tornabuoni-Cellini di Firenze. Gli abiti ispirati al circo e rigorosamente realizzati dalle allieve della sezione moda del Tornabuoni con le professoresse, le tecniche dei laboratori, esperti del settore e molti altri. Sfilano abiti elaborati e creativi che stravolgono la normale fisionomia del corpo alternati da costumi revival di vari periodi storici, abiti simili a sculture di gesso, con maniche e panier che esplodono in cuspidi improvvise, fascianti o


a palloncino, abiti-origami e bambole meccaniche. Uno spettacolo che ha avuto il pregio di far convivere arti espressive, teatro di strada, circo, musica, storia e tanto altro ancora. Una “magia” ha restituito alla gente l’atmosfera dei tempi in cui ci si ritrovava nei cortili e nelle piazze per fare festa, ricerca teatrale che è diretta figlia delle ultime avanguardie e di una contemporaneità divenuta finalmente popolare. Vesti antiche, che hanno ricevuto nuova linfa e costruito una nuova identità, al confine tra circo, mimo, danza e arte girovaga. Una ipnotica serie di gag originali, comicità fisica, improvvisazione e un assortimento incredibile di eccentricità. Gli allievi hanno condotto con il loro passo stravagante a volte sognante nello strabiliante universo onirico con suggestive immagini, video coreografie, effetti di luce e acrobazie, destreggiatori di bastoni, ammaliatori di colombe, con sottile ironia hanno guidato il pubblico in un viaggio sorprendentemente originale. Il teatro tenda Obihall é stato scelto come luogo di comunione tra gli interpreti e il pubblico che si trova catapultato sul palco nel continuo scambio tra sogno e realtà. Questo il nuovo spettacolo che il Tornabuoni con le sue mille idee ha voluto regalare al pubblico. La preside Dott.ssa Delle Rose come sempre ha affiancato gli alunni della scuola sostenendoli in questa iniziativa davvero originale.


Architettura

L’Aquila

un dono

ecologico

A

TEXT Elenoir

C

’è un filo conduttore che lega il presente e il futuro dell’edilizia Toscana con il Trentino e la recente inaugurazione dell’Auditorium di Renzo Piano all’Aquila. Lo scorso 7 ottobre l’edificio, donato dalla provincia autonoma di Trento a L’Aquila, è stato ufficialmente consegnato con il concerto dell’Orchestra Mozart sotto la guida del Maestro Claudio Abbado, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’auditorium è composto da tre cubi in legno di abete del Trentino, il principale dei quali ospita la sala da concerti ed è in bilico, poggiato su uno spigolo, con la precisa ragione di contenere nella parte inferiore dell’inclinazione la platea. L’Auditorium del Castello è il primo edificio pubblico certificato Arca: Architettura Comfort Ambiente, una certificazione che attesta la qualità della costruzione in legno (www.arcacert.com). Il progetto Arca nasce per iniziativa della Provincia Autonoma di Trento e certifica il processo produttivo dell’edificio attestando la qualità dell’abitare e verificando le prestazioni energetiche, acustiche, igroscopiche e di durabilità dell’edificio finale. L’architetto Emanuele Garufi, allievo del Prof. Natalini, esperto in edilizia sostenibile e specializzato nella realizzazione di edifici in legno, lavora con la LogHouseLog Engineering, l’impresa che ha realiz-

Scatti dell’Auditorium del Castello a l’Aquila. In basso l’architetto Renzo Piano insieme all’architetto Emanuele Garufi

zato la struttura e l’involucro edilizio in legno dell’auditorium, ci racconta quelli che sono gli sviluppi dell’edilizia in legno nel panorama regionale toscano. Che cosa ha significato realizzare un edificio così importante in legno? La realizzazione dell’auditorium di Renzo

impiegato nella storia. È questo il vero valore aggiunto delle costruzioni in legno. Quali sono queste qualità? Il legno è un materiale da costruzione fra i più nobili. Sono la sua capacità resistente in rapporto all’estrema leggerezza, la capacità di non disperdere calore attraverso

Il futuro dell’edilizia eco-sostenibile in toscana è il legno Piano rappresenta l’espressione massima delle potenzialità del costruire in legno. Il legno ha una grande resistenza antisismica e consente di ottenere un’elevata efficienza energetica. È un modo di costruire che costituisce il nuovo standard di riferimento per la qualità edilizia. A monte della realizzazione infatti ha fondamentale importanza la progettazione e l’ingegnerizzazione della produzione. È un processo integrato che permette, attraverso le più moderne tecnologie e strumenti di analisi, di esaltare le qualità naturali del materiale da costruzione più antico e più

la sua bassa conducibilità termica, la longevità, le qualità acustiche ed estetiche, la facile lavorabilità i fattori che lo rendono molto efficiente e con pochissimo impatto ambientale. Come avviene la costruzione in legno? A seguito del processo progettuale segue una prefabbricazione degli elementi costruttivi che avviene attraverso un processo industriale scientificamente controllato. Il legno viene lavorato in stabilimenti autorizzati che portano alla realizzazione degli elementi costituenti l’edificio, montati poi in cantiere.


Questo ciclo produttivo che investe le più moderne competenze e tecnologie porta a prestazioni elevatissime e certe, tempi che sono brevissimi rispetto a una costruzione tradizionale e dal costo vantaggioso. È un processo adattabile a qualsiasi costruzione e quindi alla portata di tutti. Nel panorama della nostra regione a che punto è la sensibilizzazione verso questo modo di costruire? La Toscana è una delle regioni più all’avanguardia nel sostegno all’edilizia sostenibile, avendo già introdotto da qualche anno delle linee guida per lo sviluppo dell’edilizia sostenibile. Noi come LogHouse, siamo in procinto di realizzare per lo Studio Ingeo di Fauglia, la prima casa che sarà certificata Arca, autonoma dal punto di vista energetico e con le più avanzate soluzioni in termini di involucro edilizio e impiantistico. Sarà una casa in tipico stile toscano. L’auditorium con una chiara espressione dell’estetica del legno, qui un casolare tipico toscano, non ci sono vincoli estetici al costruire in legno? Assolutamente, la casa in legno non è la baita di montagna. Per farvi un esempio, abbiamo un cantiere a Livorno per una palazzina in stile neoclassico. Il legno è semplicemente un sistema costruttivo che permette di ottenere i migliori risultati in termini di rapporto qualità/prezzo. Sì, entrambi gli edifici verranno realizzati con un costo inferiore rispetto a una realizzazione in edilizia tradizionale che ambisse a ottenere le stesse prestazioni. Con il legno, in virtù dei processi produttivi di prefabbricazione, il dato teorico è perfettamente allineato con quello sperimentale sul prodotto finito; l’edilizia tradizionale corrente difficilmente è in grado di fornire tali garanzie. Provare per credere quindi e teniamo presente quello che dice Renzo Piano «Se si costruisse di più in legno, ci sarebbero molti meno guai.»

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CRM

si Clientipuò!

Industria

recuperare i TEXT Sergio Matteoni

V

i siete mai chiesti come fare a recuperare un cliente che non compra più dalla vostra azienda?

Sicuramente sì. 
Principalmente un cliente smette di comprare per due motivi.

Il primo motivo Dipende da qualche cambiamento che si è verificato nella sua vita, un cambio di residenza, un problema di salute, la nascita di un figlio, si è sposato, ha divorziato e via discorrendo. Qualcosa che ha comportato un cambiamento nelle sue abitudini. Per recuperare il cliente in questo caso può spesso bastare una telefonata: «Buongiorno Marco, sono preoccupato, ho visto che non compri più da noi, è successo qualcosa?». Di solito basta già questo per riportare gli acquisti del cliente ai livelli precedenti.

Il secondo motivo Dipende invece da una esperienza negativa di acquisto. Qualcosa che è ac-

caduto durante l’acquisto di un nostro prodotto, un prezzo troppo alto, un’assistenza post-vendita condotta male, qualcosa che è associato al momento di acquisto. Per recuperare il cliente in questo caso può spesso bastare una telefonata analoga alla precedente: «Buongiorno Marco, sono preoccupato, ho notato che non compri più da noi, è accaduto qualcosa? Abbiamo fatto qualcosa che non ti ha lasciato soddisfatto? Se è così ci spiace moltissimo, parliamone e vedrai che troveremo un modo per sdebitarci». Anche in questo caso la percentuale di clienti che torna a comprare da noi è molto alta.

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AVO vita

Volontariato

una scelta di

TEXT Tiziana Pellegrini

S

i è svolto dal 9 all’11 novembre scorso a Pescara il IXX Convegno Nazionale AVO, l’associazione volontari ospedalieri. Ma che cosa significa esattamente essere un volontario ospedaliero? L’AVO nasce nel 1976 a Milano ad opera di un medico, il Primario di Medicina dell’ospedale di Sesto San Giovanni, prof. Erminio Longhini, che sentendo il lamento di una degente che chiedeva invano un bicchiere d’acqua, si pose la domanda: «a chi tocca? A chi tocca un piccolo gesto per dare sollievo alla sofferenza?» Nasce così, dalla generosità di un medico e di un gruppo di suoi amici, l’associazione che porta un sorriso, un gesto gentile, una presenza rassicurante ed emotivamente importante nelle corsie d’ospedale. Da allora l’AVO si è diffusa a macchia d’olio in tutta Italia, i numeri che la caratterizzano sono importanti: 500 ospedali coperti da oltre 3 milioni di ore annue di servizio gratuito all’ammalato, 240 sedi da nord a sud, circa 30 mila volontari, fiaccole di speranza, laddove all’umanità è dato di soffrire, ma non deve essere consentito di ammalarsi di solitudine. Il tema del convegno di quest’anno evidenzia l’importanza del volontariato in ospedale come scelta di vita, scegliere di

I volontari AVO della sede di Fucecchio-San Miniato; sotto Don Luigi Ciotti

dedicare un po’ del proprio tempo e della propria energia per donare un sorriso, una parola di conforto, l’ascolto a chi è costretto a un ricovero ospedaliero, a un anziano nella casa di riposo. Donare se stessi. Il volontario non ha un compito sanitario, per quello ci sono medici e infermieri, ma si occupa del lato umano del malato o dell’anziano, il volontario non riceve compenso economico, ma la sua gratificazione deriva dal donare e donarsi. Sentirsi responsabili, offrirsi all’altro, il nostro prossimo, è quanto ci sprona a fare Don Luigi Ciotti, ospite del convegno nella giornata di sabato, nel suo intervento come al solito energico e incisivo, lui che del prendersi a cuore i bisogni altrui, ha fatto una scelta di vita. Quella del volontario è una scelta di responsabilità e di crescita interiore, che indubbiamente ci renderà più forti, più liberi. Nel comprensorio del cuoio la presenza dell’AVO è attiva dal 1991. Fondata a Fucecchio da Anna Poletti e Norma Maltinti, svolge il proprio servizio negli ospedali di Fucecchio e San Miniato nonché nelle residenze assistite di Santa Croce sull’Arno Meacci, Fucecchio Le Vele, San Miniato Fondazione Del

Campana Guazzesi e Castelfranco di Sotto Selene Menichetti. Nella nostra AVO è presente anche una formidabile AVO GIOVANI, che come si capisce, è composta da ragazze e ragazzi che hanno scelto questa strada di solidarietà ma che celebrano anche l’amicizia e il senso di appartenenza al gruppo; fiore all’occhiello è la partecipazione annuale al Festival Marea che si svolge in estate a Fucecchio. Si diventa volontari dopo un breve Corso di Formazione che, attraverso incontri in cui si affrontano tematiche diverse, serve a preparare i tirocinanti al servizio vero e proprio. Il nuovo volontario sarà affiancato da un volontario-guida, per tutto il tempo necessario a sentirsi sufficientemente autonomo nell’affrontare il turno di servizio, due ore settimanali, nel reparto o nella residenza per anziani scelta in accordo con l’associazione, secondo i bisogni del territorio e le proprie esigenze personali. Sede AVO Fucecchio-San Miniato Piazza Cavour 10 - Fucecchio, Tel. 057122557 avofusm@hotmail.com

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Firenze

Industria

giovani

Amici pelle crescono per la

TEXT&PHOTO Carlo junior Desgro

A

Firenze le opere degli studenti del Distretto della Pelle in mostra a Palazzo Panciatichi presso le sale del Consiglio Regionale Ancora una ribalta importante per le preziose opere in pelle realizzate dai giovani studenti toscani del Comprensorio del Cuoio protagonisti di Amici per la Pelle, il progetto promosso dal Gruppo Giovani dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno nel 2010 e confermatosi negli anni un’occasione per gli allievi delle scuole locali per misurarsi, a colpi di creatività e ingegno, con il prodotto simbolo del loro territorio di provenienza, la pelle. In occasione della Festa della Toscana, e per tutta la metà dello scorso novembre, le riproduzioni in pelle di quadri famosi che gli studenti avevano realizzato lo scorso anno nell’ambito del progetto, sono rimaste esposte a Palazzo Panciatichi, a Firenze, sede del Consiglio Regionale, in un’apposita mostra. Emozionati e divertiti tra le sale del Palazzo, e incuriositi da quell’ambiente per la maggior parte di loro sino a quel momento sconosciuto, i giovani “artisti” si son detti entusiasti di vedervi esposte le proprie opere. Che hanno così trovato in una delle città d’arte mondiali per eccellenza, Firenze, la location ideale per essere apprezzate al meglio.

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«Amici per la Pelle si è rivelato un progetto di grande valore, che ha saputo realizzare un collegamento tra territorio, scuola, industria e istituzioni e valorizzare la locale eccellenza economica stimolando ingegno e creatività dei più giovani»: a parlare è il consigliere regionale Nicola Nascosti, che ha fortemente voluto gli Amici per la Pelle a Palazzo Panciatichi, e che per l’inaugurazione della mostra ha improvvisato, con i giovani studenti presenti, una divertente simulazione dei

lavori consiliari: «un’occasione utile - prosegue Nascosti - per spiegare ai ragazzi il funzionamento della pubblica amministrazione e un’opportunità ricca di sfumature interessanti: ci auguriamo che iniziative come questa possano essere ripetute e sostenute anche in futuro». Palcoscenici preziosi per opere pregiate. A Firenze dal Comprensorio del Cuoio sono giunti, per l’inaugurazione della mostra, gli studenti delle scuole medie di Santa Croce sull’Arno e Fucecchio, con i


loro docenti e con le dirigenti scolastiche, Renata Lulleri per l’Istituto Comprensivo di Santa Croce e Lia Morelli per l’Istituto Comprensivo di Fucecchio, soddisfatte per il buon lavoro fatto dai ragazzi e per le numerose opportunità che l’esperienza di studio connessa ad Amici per la Pelle continua ad aprire ai giovani partecipanti al progetto. Solo lo scorso aprile gli stessi quadri erano stati esposti con successo a Bologna nel corso di Lineapelle, tra le

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più importanti manifestazioni fieristiche dell’industria conciaria, oggi sembrano entrare a pieno titolo nel patrimonio di cultura espressione del territorio del distretto: «Agli studenti impegnati nel progetto va un grande plauso - aggiunge il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Benedetti - e va riconosciuto il merito di aver contribuito a dare uno spaccato originale di una delle più significative attività produttive del nostro terri-

torio, l’industria della pelle, conosciuta a livello nazionale e internazionale». Al via la nuova edizione del progetto: studio e creatività Studio, divertimento, impegno e opportunità per i ragazzi di socializzare e maturare insieme: anche per l’anno scolastico 2012\13 e per la nuova edizione di Amici pe la Pelle si confermano, intanto, gli ingredienti che ne hanno decretato sin qui il successo, come spiega Stefanella Foglia, coordinatrice del progetto: «Con Amici per la Pelle - afferma - siamo riusciti a spiegare ai ragazzi in modo semplice e pragmatico importanti nozioni legate alla loro realtà socio-economica rendendoli protagonisti di quanto hanno imparato: sentirli entusiasti e vederli studiare e divertirsi contemporaneamente nell’apprendere quei concetti, ha rappresentato un risultato importante che ci spinge a investire ancora su questo progetto, che nella nuova edizione appena aperta si sta confermando in grado di incuriosire e affascinare gli allievi». Quest’anno Amici per la Pelle nell’approfondire e spiegare ai più giovani i meccanismi dell’industria conciaria, porterà gli studenti in un viaggio virtuale alla scoperta di oggetti significativi dei diversi periodi storici che i ragazzi dovranno riprodurre ancora una volta utilizzando la pelle: un’ulteriore occasione per immergersi a piene mani e per conoscere il ricco patrimonio connesso alla realtà industriale del Distretto.

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Cassa di Risparmio di San Miniato

stagione crescita

TEXT Carlo Baroni

di

Intervista

una nuova

C

arismi getta lo sguardo oltre la crisi, puntando a cogliere le opportunità che ci sono in Toscana per una banca che intende rafforzarsi come riferimento delle famiglie e della media e piccola impresa. Obiettivi che oggi trovano l’istituto di credito sanminiatese ancora più solido dopo l’aumento di capitale da 25 milioni di euro portato a termine in tempi molto rapidi. Di quest’operazione e del futuro della banca abbiamo parlato con Alberto Silvano Piacentini, che dal maggio scorso è Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di San Miniato Spa. Partiamo dall’aumento di capitale e dal successo dell’operazione. Quali prospettive si aprono? Un successo raggiunto grazie al lavoro intenso e capillare della rete delle filiali che ha saputo proporre il progetto agli azionisti ed ha lavorato molto bene per avvicinarne di nuovi. Ora cosa cambia? Cambia che rispetto al piano industriale questa dotazione ci consente di rispettare importanti parametri e di crescere, di aprire nuove filiali. In buona sostanza ci consente di rispettare un piano che non è di contenimento dei costi ma di sviluppo, a differenza di quello che sta accadendo oggi nel sistema bancario. Come avverrà e con quali tappe la nuova stagione di crescita? Siamo presenti e forti nella zona storica della banca, nell’asse Pisa-Firenze. Abbiamo però spazi da cogliere nella fascia costiera, sia in Versilia che tra Livorno e Piombino. Tra la fine dell’anno e l’inizio del 2013 apriremo la seconda filiale di Viareggio e la seconda di Lucca. Questa strategia ci permetterà di conquistare nuovi clienti e nuove quote di mercato in altri settori, e quindi anche di diversificare il rischio sugli impieghi. Sarà un’occasione anche di crescita per i colleghi perchè le nuove aperture avverranno attingendo in parte alle risorse interne. Indubbiamente, anche se non è possibile allo stato attuale dare un dato, porteranno anche nuova occupazione. Carismi dal manifatturiero della pelle e della calzatura al settore del turismo? Certamente, il turismo è fatto da un rete

Albero Silvano Piacentini, Vice Direttore Generale della Cassa di Risparmio di San Miniato

di piccole imprese che hanno bisogno del sostegno del mondo bancario e di una banca con cui dialogare. La Cassa di Risparmio di San Miniato è pronta a questo rapporto, proponendo prodotti specifici e innovativi. Abbiamo, ad esempio, già un prodotto per i commercianti della passeggiata di Viareggio che devono ristrutturare la loro attività, prodotto che stiamo proponendo anche a Pisa. Le filiali di Roma e Milano restano strategiche? Assolutamente sì, perchè ci consentono di servire e raggiungere clienti istituzionali importanti e comunque sono avamposti della banca in città chiave del Paese. Che numeri avrà la nuova crescita? Quali sono gli obiettivi? Siamo molto soddisfatti anche di come si chiude il 2012 che avrà un saldo attivo di 4500 conti correnti. Oggi la banca ha 86.200 conti correnti e 126.000 clienti. Alla fine del piano industriale, nel 2015, contiamo di tagliare il traguardo dei 100.000 conti attivi. Parliamo della crisi e del polso della situazione sul territorio Siamo in grave difficoltà economica e ci

sono settori che soffrono molto, come il mattone e la nautica. Però ci sono aziende che stanno reggendo molto bene, e sono soprattutto quelle vocate all’export. Anche la conceria resiste con buone performance alla congiuntura. La crisi tocca molto da vicino le banche, soprattutto in termini di crediti deteriorati e di tassi d’interesse che non consentono marginalità. Per la nostra banca questa crisi, tuttavia, si sta rilevando l’opportunità per conquistare quote di mercato lasciate libere dei nostri competitors e grazie all’aumento di capitale non abbiamo problemi di patrimonio o di liquidità. È sufficiente questo aumento di capitale? Rispetto al piano industriale è sufficiente per tre anni. Nulla vieta che si possa ricorrere in futuro nuovamente al mercato per cogliere altre opportunità di sviluppo della banca. Infatti il successo dell’operazione dell’aumento di capitale lo dobbiamo anche al fatto che si parla della Carismi come di una banca che vuol crescere, che è pronta a fare credito e dialogare con le imprese. Quest’aspetto è stato ben visto dai clienti già acquisiti e da quelli nuovi.

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Solidarietà

Angeli di Mare TEXT Angelo Errera

23° raduno nazionale Z3mendi

A

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l’ultima ma importantissima donazione, una citocentrifuga a favore dell’Ospedale Universitario Campus Bio-medico di Roma e a ritirala direttamente è intervenuto il prof. Paolo Arullani, presidente della struttura. La citocentrifuga è macchinario importantissimo, che serve per la diagnostica precoce delle leucemie. Non sono certo mancate le emozioni e anche qualche chicca

pprodo in Toscana degli Angeli di Mare. Si rinnova l’appuntamento con gli z3mendi nel raduno nazionale in Toscana. La tre giorni è stata organizzata dal club sotto la direzione di Stefano Maffei e Daniela Bagnoli patrocinata da Regione Toscana; provincia di Pisa e Livorno; comuni di Pisa, Livorno, Pontedera, Santa Maria a Monte e Fondazione Piaggio; con la collaborazione della prestigiosa Accademia Navale di Livorno e in ricordo dell’Ammiraglio Angelo Lattarulo. Come ormai da tradizione, il maestro Antonio Bobò, noto e conosciutissimo artista nonché amico di Stefano e Daniela, ha dedicato a questo 23° raduno un’opera pittorica la quale è stata utilizzata come immagine di tutto il materiale dell’evento: la copertina della pubblicazione di ringraziamento ai sostenitori e gli adesivi da attaccare sulle belle BMW. Per i pochi, anzi direi pochissimi che non conoscono gli z3mendi, mi sembra doveroso ricordare che è un Club composto da un folto gruppo di giovanissimi e non, con la passione delle z3 BMW. I quali essendo di tutta Italia, organizzano vari incontri e raduni sempre alla scoperta di luoghi e sapori nuovi, il tutto però finalizzato soprattutto alla solidarietà umana. Mi spiego meglio: dal 2008 l’associazione si è data come scopo di utilizzare i proventi raccolti per i raduni, per l’acquisto diretto di beni socialmente utili. Per il 2012 la carovana di auto Z3, composta da circa ottanta equipaggi, (il più lontano veniva dalla Sicilia) ha girato per le province di Pisa e Livorno facendo come prima tappa, il sabato, una visita all’Accademia navale di Livorno dove sono state assegnate le prime donazioni: all’istituto Andrea Doria (orfani della Marina Militare Italiana), al club Agorà di Livorno (che si occupa di aiutare persone in difficoltà) e il rinnovo di un’adozione a distanza di una bambina africana già iniziata nel 2009 con la onlus Avsi.

goliardica. Dal punto di vista tecnico e organizzativo tutto è filato liscio, anche grazie al supporto della staffetta del BMW Motorad Club Livorno-Pisa e le scorte dei carabinieri e polizia locale di Livorno e Pontedera, e naturalmente anche allo staff degli z3mendi. In chiusura una considerazione personale: per noi è il secondo

La domenica visita al museo Piaggio e a seguire aperitivo a Santa Maria a Monte, organizzato e gentilmente offerto dal comitato della Sagra patata fritta, con degustazione della patata Tosca, e intrattenimento musicale della banda folcloristica La Montesina, nell’occasione è stata consegna una Fiat panda alla Misericordia di Santa Maria a Monte, la quale sarà usata per servizi di assistenza sociale. Inoltre è stata fatta una donazione ai terremotati dell’Emilia Romagna, appoggiando l’iniziativa di Radio Bruno “Teniamo Botta”. A conclusione della domenica, durante il pranzo di saluto dei partecipanti, è stata consegnata

raduno nazionale al quale partecipiamo, ed è sempre un piacere essere ospiti di questi eventi, ai quali si uniscono passione, curiosità, cultura, ma soprattutto solidarietà. Un plauso agli organizzatori che nonostante questi momenti di crisi, riescono a coinvolgere sempre più sponsor e sostenitori, per far sì che il raduno sia al top, ma soprattutto che le donazioni siano sempre di alto valore. Non resta che darci appuntamento al prossimo raduno, con la speranza che i Maya abbiano commesso qualche piccolo errore. Per saperne di più visitate il sito: www.Z3mendi.it



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Società

via Montenapoleone

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

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artier ha festeggiato a Milano, con un esclusivo cocktail su invito, la riapertura della sua storica Gioielleria di via Montenapoleone, completamente rinnovata a seguito di un’importante ristrutturazione. A questo appuntamento d’eccezione, che ha registrato una partecipazione straordinaria, sono intervenuti autorità e protagonisti di spicco della vita mondana milanese e internazionale. Noti personaggi del mondo del cinema, dello spettacolo, della moda e della tv, sono giunti a festeggiare Cartier: un lungo tappeto rosso e un enorme “ecrinrouge” segno distintivo della Maison,

Cartier ha inaugurato a Milano la sua Gioielleria completamente rinnovata li ha accolti in una magica atmosfera avvolta da una romantica musica di sottofondo, opera di una cantante lirica di successo. Tra gli ospiti: Kasia Smutniak, Isabella Ferrari, Marta Gastini, Roberto Farnesi, Eva Riccobono, Nadege Dubospertus, Marica Pellegrini, Ilaria D’Amico, Gerry Scotti, Billi Costacurta e ancora… Gaia Bermani Amaral, Elisabetta Canalis, Maddalena Corvaglia, Federica Fontana, Filippa Lagerbach, Giorgia Surina, Rosita Celentano. Fra le prime Boutique Cartier nel mondo per prestigio d’immagine e importanza, la Gioielleria milanese è da tempo un riferimento importante per la vita sociale, culturale e artistica della città. Lo ha confermato lo straordinario successo senza precedenti dell’evento che ha a lungo incantato gli ospiti invitati, ma anche una folla di curiosi giunti sul luogo dell’evento.

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Alimentazione

olio

l’

e le sue proprietà

L

’olio d’oliva, alimento tipico dell’area mediterranea, è un prodotto antichissimo: infatti le prime piante originarie della Siria e della Palestina erano già presenti 6000 anni a.C., mentre soltanto intorno al 1000 a.C., venne introdotto in Italia. A differenza di tutti gli altri oli, che si ottengono da semi l’ulivo, è l’unico che si ottiene dal frutto della pianta specie Olea europea. L’olio d’oliva extravergine e vergine si ottiene dalla spremitura meccanica delle olive escludendo qualsiasi trattamento industriale; non deve essere soggetto ad alcun tipo di riscaldamento, il suo grado di acidità non deve essere superiore all’1% (al 2% nel caso del vergine d’oliva); tanto più è basso il tasso di acidità migliore è la qualità del prodotto. Le denominazioni commerciali sono rigorosamente codificate dall’Unione Europea nella direttiva 136/66/CEE. L’olio ottenuto con ricorso a metodi chimici e fisici viene messo in commercio con altre denominazioni (es. olio di sansa, olio d’oliva raffinato, etc). Deve essere conservato in bottiglie di vetro scuro o latta, al riparo dalla luce e fonti di calore e se il contenitore è integro, l’olio d’oliva si mantiene inalterato per circa 18 mesi. L’Italia è il secondo produttore nel mondo di olio d’oliva, dopo la Spagna; per le caratteristiche stesse della pianta che necessita di un clima mite, la coltivazione è molto diffusa nelle regioni del Centro (19%) e del Sud (77, 9%). Chimicamente l’olio d’oliva è un grasso che si presenta liquido a temperatura ambiente ed è composto da una frazione “saponificabile” composta per il 98% da trigliceridi e da una frazione del 2% “insaponificabile”. La frazione “saponificabile” è composta da acidi grassi monoinsaturi come l’acido oleico fino all’83% e in percentuale inferiore da acidi saturi come il palmitico e lo stearico; la frazione acidica è completata dall’acido linolenico e linoleico che sono acidi grassi polinsaturi chiamati anche acidi grassi essenziali perché indi-

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spensabili per l’accrescimento e la funzionalità dei tessuti dell’uomo che non è in grado di sintetizzarli. L’alto contenuto di grassi monoinsaturi dell’olio d’oliva è la principale caratteristica che lo differenzia dagli altri grassi di origine vegetale. La frazione “insaponificabile” è costituita da un gruppo numeroso di componenti minori che svolgono un ruolo molto importante sia da un punto di vista nutrizionale che organolettico. I principali componenti sono i tocoferoli, antiossidanti naturali, dei quali la vitamina E è la forma biologicamente più attiva e costituisce il 90% del totale. Gli steroli, svolgono un ruolo importante per accertare la genuinità del prodotto poiché la frazione sterolica di un olio d’oliva è tipica, e non confondibile con quella di altri oli. Composti fenolici sono

TEXT Paola Baggiani

contenuti in quantità apprezzabili nell’olio extravergine d’oliva; il loro potere antiossidante ha una forte influenza sulla conservazione dell’olio impedendone l’irrancidimento ed essi hanno un forte impatto sulle caratteristiche del prodotto relative alle sensazioni di amaro e piccante. I polifenoli hanno una notevole influenza su alcune diffuse patologie come l’ipertensione, l’arteriosclerosi, la prevenzione di alcuni tumori. Sono presenti inoltre pigmenti colorati composti da clorofille e carotenoidi che conferiscono agli olii il colore verde intenso; altri composti come alcoli, cere, aldeidi, chetoni influenzano la nota aromatica dell’olio e sono coinvolti nella valutazione edonistica del prodotto. Recentemente è stata scoperta una sostanza, chiamata oleocantale, con proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche simili a quelle di molecole chimiche, ed è responsabile della sensazione di pizzichìo che si avverte gustando l’olio d’oliva. L’olio d’oliva è prevalentemente usato come alimento, con numerose proprietà terapeutiche e preventive per la salute; non va tuttavia dimenticato il suo impiego in campo cosmetico, dove si utilizza per fare saponi, pomate, unguenti. Inoltre i noccioli delle olive sono un ottimo combustibile, economico ed ecologico e lo sfruttamento di iniquesta fonte energetica è già ini ziato in Spagna. L’olio d’oliva possiede un alto valore energetico: 900 calorie per 100 gr. d’olio: è costituito per il 98,5% da grassi di cui 73, 4% insaturi e il 15,6% saturi e il 9,5% polinsaturi. Questa composizione rende l’olio d’oliva il condimento ideale per la presenza di una minima quantità di grassi saturi che provocano le malattie cardiovascolari, e di grassi polinsaturi, abbondanti negli oli di semi che formano radicali liberi accelerando l’invecchiamento e l’insorgenza di alcuni tumori. L’olio d’oliva ha un elevato tasso di digeribilità dovuto alla sua capacità di stimolare gli enzimi


presenti nella parete intestinale dell’uomo, aiutando non solo la digestione ma anche combattendo disturbi quali la stipsi cronica. L’olio d’oliva inserito nel contesto della dieta mediterranea ha riconosciute proprietà terapeutiche: la scoperta delle proprietà cardioprotettive di questa dieta è uno dei più grandi successi dell’epidemiologia, nel cui contesto riveste un’importanza significativa la presenza di olio d’oliva. Per quanto riguarda le capacità cardioprotettive, il consumo regolare di olio d’oliva riduce il rischio cardiovascolare, migliora il profilo lipidico, abbassando il colesterolo plasmatico LDL e innalzando il colesterolo HDL. Riduce i valori della pressione arteriosa, diminuendo i valori sia della diastolica che sistolica; normalizza il metabolismo del glucosio e previene la patologia trombotica. Inoltre rallenta il declino delle funzioni cognitive nella demenza senile e nel morbo di Alzheimer. L’olio d’oliva aiuta a prevenire molte delle malattie dell’apparato gastroenterico: protegge le mucosa gastrica ed evita gli effetti dell’ipercloridria, riducendo i rischi di ulcera gastrica e duodenale. Stimola la cistifellea e inibisce la secrezione della bile prevenendo la formazione di calcoli biliari: l’incidenza di litiasi biliare è inferiore nelle re-

gioni con alto consumo di olio d’oliva. Un consumo giornaliero costante di olio d’oliva è soprattutto indicato nella prima infanzia, in cui fornisce un apporto di acidi grassi molto simile al latte materno. Durante l’adolescenza, dove l’acido oleico presente nell’olio d’oliva favorisce l’accrescimento delle ossa; nelle donne du-

rante la gravidanza e l’allattamento in cui aiuta la formazione del latte materno e ne migliora le qualità nutrizionali. È utile nelle persone anziane in cui fornisce un valido apporto di sostanze antiossidanti che prevengono l’invecchiamento cellulare; nella dieta dello sportivo perché introduce attraverso i grassi mol-

ta energia utile in chi pratica un’intensa attività fisica. Studi recenti evidenziano come la presenza di olio d’oliva nella dieta potrebbe aiutare, unito al consumo di verdure, nella prevenzione del cancro dell’esofago. Le proprietà nutrizionali dell’olio d’oliva sono le migliori paragonate a qualsiasi altro grasso di condimento, inoltre è anche un alimento ampiamente gradito grazie a gusto e palatabilità tipica, può essere usato per la frittura, avendo un punto di fumo sufficiente. Merita di essere utilizzato da crudo liberamente, ma in dosi proporzionate alle reali necessità caloriche del soggetto, considerando l’elevato apporto in Kcal., e rispettando la ripartizione tra macronutrienti (che prevede un apporto lipidico compreso tra il 25-30% delle calorie totali). Nel contesto di una dieta equilibrata e soprattutto nel caso di patologie dismetaboliche, il contenuto lipidico dell’olio extra vergine d’oliva insieme a quello del pesce azzurro dovrebbe sostituirsi alla porzione lipidica satura di origine animale (grassi contenuti nelle carni, nei formaggi, nei salumi e nelle uova) determinando dei significativi vantaggi nutrizionali e nella prevenzione delle patologie cardiovascolari. www.baggianinutrizione.it

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ul nostro comprensorio Fo.Ri.Um. sc in qualità di Agenzia Formativa accreditata con codice n. PI0477 negli ambiti: Formazione e Apprendistato dalla Regione Toscana in collaborazione con Nkey in qualità di Capofila Test Center accreditato da A.I.C.A. Associazione Italiana Calcolo Automatico hanno elaborato un catalogo per la riqualificazione individuale rivolto sia ad aziende che a persone che intendono ampliare le proprie competenze professionali. I corsi spaziano dalla semplice alfabetizzazione sia in ambito informatico che della lingua inglese all’aggiornamento e al consolidamento dei livelli più avanzati. L’agenzia Fo.Ri.Um. è accreditata e gestisce anche i corsi di recupero delle competenze di base per l’assolvimento del diritto dovere alla istruzione e alla formazione per minori di 18 anni fuoriusciti dal percorso scolastico. Il Test Center Nkey organizza mensilmente sessioni per sostenere gli esami utili ad ottenere tutti i tipi di certificati della famiglia ECDL a livello utente e EUCIP a livello professionale. Alcuni dei corsi a catalogo per migliorare le competenze professionali: 1. Informatiche (ECDL livello core e Advanced, ECDL Disegno CAD 2D, EQDL qualità, ECDL in ambito sanitario per medici e operatori, programmazione, Web design, ECDL Gis e grafica); 2. Linguistiche (Inglese, Spagnolo, L2 per stranieri, Cinese) 3. Amministrative (contabilità generale, controllo di gestione, analisi di bilancio, software applicativi per la gestione amministrativa) 4. Comunicative (comunicazione aziendale, tecniche di vendita, marketing e web marketing) 5. Tecniche professionali (modelleria calzaturiera, cad/cam 2D, meccaniche, termo idrauliche, estetiche, ristorative, alimentari - DGRT 559/2008, e competenze in materia di sicurezza, ai sensi dell’art. 34 e 37 del D. Lgs. 81/2008)

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avoro

La formazione continua costituisce uno degli strumenti fondamentali per sviluppare il peso e la qualità della “forza lavoro” nel nostro paese e per venire incontro alle esigenze dei lavoratori Segnaliamo grazie alla convenzione con la sezione Soci (Valdarno Inferiore) di Unicoop Firenze, i possessori di Carta Soci e i loro familiari di 1° grado possono usufruire dello sconto del 20% su tutte le attività di formazione a pagamento. Alcuni corsi prevedono una quota di partecipazione comprensiva d’iscrizione, la frequenza, libri di testo, l’assicurazione contro infortuni e rischi civili, il materiale didattico. Possibilità di riduzione dei costi sulla base del riconoscimento dei crediti in ingresso. Tutti i corsi sopraindicati sono frequentabili per occupati e disoccupati secondo disponibilità gratuitamente con attivazione dei vouchers. I corsi saranno attivati con un minimo di persone e si svolgono a Santa Croce sull’Arno, in orario mattutino, pomeridiano e serale. Iscrizioni e informazioni:

Società Cooperativa - Via del Bosco, 264/f Santa Croce sull’Arno (PI) e-mail: info@forium.it - Tel 0571/360069

Via Pacinotti, 2 - Santa Croce sull’Arno (PI) e-mail: corsi@nkey.it - Tel. 0571/367749


i nemici del

Curiosità

preg ato TEXT Luciano Gianfranceschi

L

a madre terra ormai la trattiamo come una matrigna, dedicando al pianeta una festa un giorno all’anno, come per alleggerirci la coscienza. Un po’ quel che si fa con gli anziani, che non sono più saggezza e tradizione in casa, ma un problema da parcheggiare nelle case di riposo; tranne appunto festeggiare insieme il compleanno. La sensibilità ambientale è quella per cui, a parole, tutti vogliamo salvare il pianeta, ma

Non i venditori di falsi tuberi stranieri, ma i falsi tartufai locali nessuno aiuta in casa la mamma a fare la raccolta differenziata. Invece, siccome ognuno di noi può fare molto, con il comportamento quotidiano nell’uso delle risorse - e mediante la sensibilizzazione degli altri - ascoltiamo chi sta davvero a contatto con la terra, sopra e sotto, come il tartufaio. Trovare un tartufo in quest’autunno è una fortuna sfacciata, o c’è dell’altro? Racconta un decano dei tartufai sanminiatesi, sospirando: «Se ne trovano sempre meno, quest’anno 2012 quasi niente. Perché è cambiato il modo di coesistere con la natura». È sottinteso che se si lavora la terra con il trattore, anziché con la vanga, addio alle spore di tartufi sotto terra. Ma ha detto ben altro: «Bisogna essere rabdomanti per istinto.

Il trifolaro va con il cane, però occorre all’uomo avere fiuto che quel giorno, in quel

luogo dove casualmente va, il tartufo sta fiorendo. Infatti, soltanto quando fiorisce, il tubero sviluppa l’afrore inconfondibile che il cane, a sua volta bravo e ubbidiente, allevato a tartufi fino a diventarne ghiotto, sente; mentre per il naso umano l’odore è ancora sottoterra. Poi l’intervento umano, per raccoglierlo, avviene in ginocchio: c’è chi ci vede una specie di rito pagano per la generosità della madre terra». Infine, arriva al dunque. «Se si vuol trovare il tartufo nero in estate, e quello pregiato bianco in inverno, bisogna che in pri-

mavera, quando si raccoglie un tartufo bianchetto di discreta pezzatura, cioè uno di quelli da cui si potrebbe ricavare un po’ di soldi, lo si lasci appassire in casa. Avveniva sulla madia del pane, ma va bene anche lo scaffale in garage; allorché non è più commestibile, si torna nel bosco, in un punto diverso da dove è stato trovato, si scava nel terriccio una buca, e vi si depone il tubero». È una semina, pur se il tartufo non si può seminare né coltivare? «È un ringraziamento alla madre terra. Lo facevano tutti, ma ora non lo fa quasi più nessuno». Anzi vengono fatte altre cose, da pericolosi nemici poco conosciuti. «I cercatori improvvisati. Gente senza lavoro ce n’è, allora con cento euro qualcuno prende il tesserino, con tremila euro compra un cane da tartufi, che tra parentesi a quel prezzo non è neanche bravo perché occorre spendere almeno il triplo, e va a cercare i tartufi. Speriamo che ne trovi pochi, perché quando li raccoglie fa danni nello scavare, nel non ricoprire la buca, nel danneggiare le spore e quindi anche il prodotto futuro». Sono i falsi tartufai, ai quali manca l’esperienza, ma soprattutto il rispetto del territorio.

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Sensi

di Margot

L’umanità è una grande, una immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale. Papa Giovanni XXIII

(1881-1963)


di

e N z a n t a ale c a V I

mmergersi già nel Natale è assolutamente possibile visitando il Villaggio Flover, ospitato presso la ridente Bussolengo. Qui, le tradizioni europee legate alla magia dell’Avvento si materializzano per incanto, così la mongolfiera, regno di gnomi e regali, sovrasta la magica casa di Babbo Natale costipata dalle tante richieste scritte dai bambini! E ancora, il magazzino adibito ai giocattoli animati gareggia, in bellezza, con i presepi d’autore, mentre spettacoli, ghiottonerie, decorazioni, luminarie, addobbi, completano la carrellata dedicata al Natale d’Autore. Per maggiori informazioni consultate il sito www.flover.it. Rimanendo in clima festaiolo, Innsbruck ricorda la fiaba, la musica, il luccichio legato alla neve e alle sue luci. La città ospita il delizioso mercatino per bambini, costeggiante il fiume Inn, supportato dal variegato intrattenimento con teatro dei burattini, presepe vivente, narratori di favole. Coccolato dalle Alpi, l’abitato ospita altri mercatini, basti menzionare quello panoramico sulla Hungerburg, dove regnano profumi, sapori, ricordi, o le bancarelle di Wiltener Platzl, panoramica dedicata all’artigianato d’autore e alle leccornie autoctone. A tal proposito, Innsbruck Tourismus offre un vantaggioso pacchetto per le vacanze dicembrine comprendente due pernottamenti in hotel, colazione

di Carlo

a

Ciappin

a buffet, la Innsbruck Card per l’ingresso alle attrazioni turistiche cittadine. Ah, gli approfondimenti li trovate sul sito www.innsbruck.info. Se amate l’arte, il paesaggio, la buona cucina, il relax, allora l’Umbria natalizia fa al caso vostro. A tal riguardo, il suo Consorzio Benessere offre una variegata scelta tra residenze d’epoca, relais di charme, resort, agriturismi, country house, sporting center, hotel con beautyfarm, centri benessere e SPA. In effetti, visitare la terra di San Francesco vuol dire immergersi in una dimensione popolata da borghi medievali, castelli, natura, sorgenti incontaminate, gastronomia eccellente. Il suo invidiabile patrimonio architettonico, spesso, trova degna protezione diventando blasonata dimora d’epoca, come il secolare Castello di Montignano, trasformato in lussuosissimo albergo con esclusivo centro benessere. I luoghi storici umbri vivono anche grazie all’ottima cucina locale. Ne è prova la nobile Residenza Roccafiore, coccolata da piscina termale e prolifici vigneti, le cui salutari cucine sfornano invitanti piatti realizzati con prodotti genuini. Una bella vacanza natalizia trova degna conclusione presso Città di Castello grazie al suo patrimonio storico. Ne sono prova il Palazzo del Podestà con facciata barocca, il superbo Duomo, le artistiche chiese dedicate a San Domenico, Santa Maria Maggiore, San Francesco, le Terme di Fontecchio, dotate di area benessere e progettate privilegiando il colore, la luce, la musica.


Il natale a Lucerna e Bolzano L

a magica immersione nelle fiabe, dove regnano un lago scintillante, luci, stelle, rappresenta un’occasione da non perdere per recarsi a Lucerna e dintorni nel periodo natalizio. Qui il presepe ricco di personaggi a grandezza naturale, l’hotel Seeburg, le luminarie realizzate dall’artista Gerry Hofstetter, lo spettacolo pirotecnico per la notte di S. Silvestro, l’allettante pista dedicata al pattinaggio allestita presso il KKL Luzern, fanno da sfondo ai famosi mercatini dove acquistare coloratissime candele, artistiche decorazioni, regali originali, invitanti leccornie e, ovviamente, abeti per tutti i gusti! Ah, durante il periodo relativo all’Avvento, il celebre lago ospita gite notturne in battello dove consumare romantiche cene realizzate con prodotti della tradizione natalizia locale. Da non trascurare la vicina città di Küssnacht am Rigi, nella quale si tiene la faraonica processione dedicata a San Nicola, tra spari di cannone, musicanti, portatori di mitrie illuminate, cacciatori, frustatori, e che accoglie annualmente oltre 20.000 spettatori, mentre altri mercatini da sogno circondano la celebre Abbazia Benedettina di Einsiedeln e la città di Willisau, nelle quali il buon profumo emanato dal panpepato, il vin brulé, le invitanti ghiottonerie allietano la vista e il palato. Rimanendo in tema fieristico, Bolzano rappresenta un’altra meta privilegiata assolutamente da non perdere. Un mix perfetto tra espositori, partner, stand gastronomici, spazio dedicato ai bambini attrezzato con trenino elettrico, giostra, spettacolo di marionette, viaggio sulla carrozza a cavalli, costituisce la formula vincente di una esperienza trentennale. Riti, usi, costumi, impregnano gli originali prodotti esposti con cura certosina presso i banchi occupanti il centro storico, ispirati alla tradizione legata al presepe, alla corona d’Avvento, all’arredo per la casa e la tavola, all’abete bianco, alla pasticceria. I bolzanini amano scambiare doni legati all’artigianato locale e, a tal riguardo, l’offerta presente sui caratteristici banchi in legno è veramente variegata come dimostrano i presepi in versione rustica alpina, cappelli, pantofole, palline e candele decorate a mano, cartoleria, raffinati strumenti musicali, enogastronomia rigorosamente locale. Insomma, visitare i caratteristici mercatini della città, allestiti per le feste natalizie, permette al turista la scoperta di una tradizione legata al rispetto per l’ambiente, votata alla famiglia, privilegiante la realizzazione dei sogni desiderati dai bambini. di Carmelo De Luca Photo Azienda di Soggiorno Bolzano/A. Filz e Ufficio Stampa Antonella Resmini


Reality

Moda

Q

C

ari amici, siamo alle porte del periodo magico dell’anno, quello in cui anche se solo per un giorno, tutti riflettono sull’idea di essere migliori e più buoni. È il periodo in cui i sogni e la magia assumono la parvenza della realtà e in cui i bambini sono i protagonisti delle loro fiabe e assaporano con mano il fascino della fantasia e della leggenda... è il Natale. Magico e variopinto di fragranze, profumi e colori che fanno e segnano una pagina della Moda.

uest’anno non vogliamo proporvi il classico: che cosa indossare per le feste? Lasciamo a voi l’ardua impresa di decidere come essere più cool alle cene di lavoro, o ai pranzi di famiglia. Sarete incondizionatamente liberi di osare colori, paiettes e luccichii. Pensiamo invece a come risolvere il problema “REGALI”. In Tempi di crisi e ristrettezza economica, dovrebbe bastare davvero un pensiero per fare Natale, ma in realtà poi qualcosa si compra sempre. Se il tempo è poco e siamo spesso al pc, ecco che troviamo una soluzione a tutti i nostri problemi: ShOPPING DI NATALE ON LINE! Ecco quindi che vi proponiamo i siti più cliccati per questo! Per abiti e accessori vi consigliamo lo shopping su www.laredoute.it e www.zalando.it Qui potete sbizzarrirvi tra scarpe, abiti, borse, cappotti di tendenza a prezzi imbattibili e con offerte mensili molto, molto allettanti. Sempre per il vestiario, ottimi sono, e con tanto di partecipazione interattiva degli utenti, www.yoox.com e www.bonprix.it; belle foto di capi di abbigliamento, dove si possono commentare i prodotti pubblicamente, nel bene e nel male. Passiamo invece ai regali più ricercati. Per gli amanti dell’elettronica , dei cellulari e dei computer ci sono ben tre siti da poter consultare per farsi un’idea su offerte anche dell’ultimo minuto: www.monclick.it, www.eprice.it e www.eplaza.it Per amici stravaganti e per fare regali davvero scherzosi ed eccentrici non potete che visitare www.dmail.it Se invece siete alla ricerca dell’esclusivo, vi consiglio di visitare il sito web americano www.etsy.com Questo sito può essere usato anche dall’Italia per comprare prodotti unici che non si trovano da nessun’altra parte. Etsy è infatti il portale che permette a tutti di avere il proprio store online gratuitamente, dove vendere cose che sono state create e prodotte da chi le mette in vendita. Prodotti d’artigianato e d’arte unici e non industriali ma manufatti veri e propri. Non scordiamoci poi del più conosciuto www.ebay.it potete trovare tutto, ma proprio tutto quello che cercate a prezzi anche d’asta spesso imbattibili. Usato tantissimo per la ricerca di offerte e servizi della vostra città, www.groupon.it Registrandovi, riceverete ogni giorno offerte di servizi, soggiorni, spa, elettrodomestici e quant’altro con risparmi notevoli, che possono risultare veri propri affari e regali stupefacenti. Per finire diamo spazio anche alla lettura e ai video. Il miglior sito per acquisti vantaggiosi e aggiornati è sicuramente www.ibs.it Quindi mettetevi in modalità on-line armati di carta di credito e cliccate, comodamente seduti da casa per fare regali di Natale diversi risparmiando lo stress dello shopping in città!:-)

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Autorizzazioni MS&L Italia – Ufficio Stampa Chicco

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CHICCO

mini uomo mini donna

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vostri piccoli gnometti in questo periodo saranno eccitati e in trepida attesa per l’arrivo di bAbbO NATAlE. CHICCO offre per questo periodo abiti e tutine in rosso bianco e verde, caldi e soffici per vestire a festa le bambine e i bambini. Calze, cappellini, bavaglini, tutti gli accessori per creare abbinamenti di moda e di stile per il giorno di Natale. Chicco brand leader nel settore puericultura e membro dell’associazione Assogiocattoli, da sempre si impegna nello sviluppo di prodotti in grado di garantire il massimo in termini di sicurezza e nella sensibilizzazione di genitori e opinione pubblica. Anche nel periodo delle feste, la sicurezza e la salvaguardia dei vostri bebè sono quindi al primo posto con una novità. Tra i nuovi servizi introdotti da Chicco, la grande innovazione è il sistema QR-Code applicato


di Eleonora Garufi

...BuON NATALE! I

l periodo di Natale è sicuramente legato alla tradizione dei dolci che arricchiscono i banchetti di ogni casa: pandoro, panettone, torrone, ricciarelli, pan pepato, tanti e tutti tipici di ogni regione. La moda che segna in questo periodo il mondo dei dolciumi e della pasticceria è sicuramente quella dei CUPCACkE: piccoli dolcetti di origine americana in mono porzione offerti in pirottini colorati, caratterizzati da un impasto morbido e leggero, classico o arricchito di sapori e decorati con pasta da zucchero, glasse, fondente di cioccolata per dare sfogo alla creatività della pasticceria, diventando così delle vere e proprie squisitezze affascinanti da adattare ad ogni occasione. Per Natale ecco per voi una semplice ricetta da provare per essere di tendenza anche a tavola.

CUPCAKE DI NATALE per 18 Cupcacke:

· 225gr di burro ammorbidito · 225gr di zucchero raffinato · 225gr di farina autolievitante · 4 uova · 1 cucchiaio di estratto di vaniglia per la glassa: · 175gr di glassa fondente pronta bianca (in vendita in negozi specializzati) · 175ge di glassa fondente verde · 2 cucchiai di marmellata di lamponi · perline di zucchero In una grande terrina mettete e mescolate con una frusta tutti gli ingredienti per i cupcake fino ad ottenere un composto soffice e spumoso. In una teglia da muffin inserite i pirottini di carta e versate con un cucchiaio il composto perchè copra i 2/3 della coppeta e infornate in forno preriscaldato a 175° per 20 minuti. Controllate la cottura al termine con uno stecchino, tirate fuori e lasciate raffreddare. Su una superfice piana spolverata di zucchero a velo stendete le glasse di fondente per uno spessore di 3mm. Con uno stampino tondo tagliate 18 cerchietti bianchi e lasciateli indurire su una teglia spolverata di zucchero a velo. Con uno stampino ad albero fate lo stesso con la glassa verde. Quindi spennellate i cupcake con un po’ di marmellata, copriteli con un disco bianco e aggiungete l’albero di Natale, quindi decorate con le palline di zucchero.

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DA

Dolci

sui diversi modelli di seggiolini auto prodotti dall’azienda. Smartphone alla mano, basta inquadrare l’apposito codice a barre per scoprire come installare il seggiolino nel modo corretto, scegliendo la modalità video o il classico manuale d’uso. Un manuale 2.0 a disposizione 24 ore su 24 e accessibile da qualsiasi Paese. Chicco ricorre quindi alla tecnologia QR per far conoscere il corretto utilizzo dei prodotti a portata di click, utile e immediato, direttamente sul proprio smartphone. Attraverso il codice QR i contenuti sono fruibili e si adattano automaticamente ai vari display, siano essi smartphone o tablet, offrendo la migliore esperienza d’uso possibile per i genitori moderni e tecnologici, ma soprattutto attenti alla sicurezza dei figli.


gerbera la

il fiore che non ha storia

TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová

P

er una volta vi presentiamo un fiore che non ha storia, perché ha trovato diffusione nel mondo nei primi anni del ‘900. Ma che diffusione! È il più conosciuto e regalato fra i fiori recisi, semplice, dalle tante sfumature, pieno di colore e allegria. È un mistero come mai non sia stato conosciuto prima. Originaria del Transvaal, dove si trova diffusissima allo stato naturale, la gerbera si è rapidamente diffusa anche per la facilità della sua riproduzione: si coltiva

lista tedesco Gerber, amico e collega di Linneo, che la catalogò nel 1743. Appartiene alla stessa famiglia delle margherite comuni, quella delle Asteracee, in numerosa compagnia: dalla stella alpina alla calendula, dalla tenere lattuga al piretro, fino alla camomilla, buona per calmare i nervi agitati. Nelle zone dai climi caldi è pianta perenne, e regina dei giardini, dove ha ruoli indispensabili per tappezzare ampie zone caratterizzate da forte cromatismo che

re nero. Sogno di ogni appassionato e impossibile da ottenere. Nel linguaggio dei fiori la gerbera assume diversi significati a seconda del colore dei fiori: la gerbera rosa ad esempio è simbolo di amore e giovinezza, la gerbera rossa dell’amore passionale e della vittoria, la gerbera gialla è simbolo di gloria, ma anche di profonda amicizia, la gerbera arancione è simbolo solare di allegria e soddisfazione. Un messaggio particolare ha recente-

come l’insalata e si riproduce per divisione dei cespi. Il suo nome in inglese infatti è Transvaal Daisy, ovvero “margherita del Transvaal”. Niente mitologia greca per la gerbera, venuta tardi a far parte del mondo conosciuto dagli umani. E niente antiche leggende popolari che si incrociano con santi e diavoli. Tutta da scoprire e da raccontare, quindi, con parole nuove. Il nome di battesimo lo prese dal natura-

sempre si rinnova. I fiori, chiamati in gergo “capolini”, si danno il cambio con regolarità, mantenendo sempre un’ottima fioritura. In climi più freddi è indispensabile la coltivazione casalinga in vaso, o industriale nelle serre. I colori hanno mille sfumature: dal bianco al rosa, al lilla, al giallo, all’arancione, al rosso. Bellissime sono le varietà a più colori, ottenute dagli ibridatori. Anche per le gerbere il sogno proibito è il colo-

mente assunto in Italia la gerbera gialla, che è diventata simbolo di uno dei tanti movimenti attivi contro la mafia. Ma lasciamole nel loro vaso, le gerbere, alte e splendide, a raccontare le loro storie semplici, magari in mazzi complicati e ricchi, di tanti colori. Sono un po’ il simbolo del nuovo mondo, quello che sogniamo, dove dovremmo stare, tutti insieme, ciascuno con le sue diversità, ma in armonia.


© Foto Alena Fialová


di Federica Farini

Nella fredda terra d’inverno, che protegge il seme dalla vita che verrà, si cela l’anima del segno zodiacale del Capricorno, simbolo di forza, resistenza, solidità. La capra simboleggia la sua indole: animale che scala la montagna, sopportando sforzi e difficoltà pur di arrivare a respirare l’aria fresca e pulita della vetta. Questo atteggiamento rappresenta la forma mentale con la quale il Capricorno affronta la vita: imparare a sostenere qualsiasi prova, con resistenza eccezionale, al fine di diventare padrone di se stesso in vista di un fine ultimo. Come la castagna, il decimo segno ci ricorda che sotto la sua apparenza pungente e ruvida spesso si nascondono amore profondo e sentimenti puri, e proprio come la castagna, che secondo alcune credenze è perfino in grado di guarire le persone malate assorbendo la loro energia negativa, anche il Capricorno esibisce una lista di inesauribili virtù. La terra del Marrone Mugello IGP presenta una varietà di castagna tutelata ed esclusiva; nel percorso da scoprire passeggiando tra boschi e castagneti sulla Strada del Marrone del Mugello di Marradi, si potrà gustare la torta di marroni o il castagnaccio, a base di farina di marrone.

Alla fermezza del Capricorno fanno seguito la libertà e l’indipendenza dell’Acquario, spinto dalla prorompenza del pianeta Urano, capace di donare a questo segno una natura versatile, dinamica, tesa ai bisogni altrui, come l’elemento che lo rappresenta, l’aria, talmente schietto da apparire talvolta duro, offensivo e ostinato, ma sempre unico, speciale e anticonformista. La gemma protettiva dell’undicesimo segno è l’onice, pietra che preserva dagli sbalzi d’umore e dall’apatia, regalando forza, stabilità contro gli influssi negativi, equilibrando corpo e mente, aiutando ad affermare se stessi nei momenti difficili. È nella zona meridionale del territorio di Montaione (frazione di Lano) che l’onice vive di luce propria. Il territorio, ricco di travertino, si esprime nella varietà di alabastro calcareo dal bianco candido, al grigio, al marrone e nella sua variante di alabastro-onice, diverso dal calcedonio dalle caratteristiche striature bianche e nere, la cui estrazione divenne massiccia dagli anni ’70, a causa della moda per bijoux e oggetti di arredamento da sfoggiare in tutta la loro sofisticata eleganza, proprio come l’essenza dell’undicesimo segno.

È nel dodicesimo segno che la primavera ricorda invece il dischiudersi della vita nel segno zodiacale dei Pesci, sognatore, idealista, dominato dalla fantasia del pianeta Nettuno. L’ultimo segno chiude il ciclo zodiacale a ponte tra due mondi, quello terreno e l’ultraterreno, ragione e sentimento, immaginazione e realtà, fluttuante nella sua stabilità affettiva inafferrabile, propria dell’indole Pesci, come racconta nei suoi dipinti il pittore Giovanni Domenico Ferretti, detto L’Imola, nell’aura di un Settecento Rococò con protagonisti fluttuanti personaggi della commedia dell’arte, il più famoso dei quali è Arlecchino. Così similmente all’animo dell’ultimo segno, Arlecchino girovaga leggiadro e impalpabile nei suoi colori pastello, tra danze, inchini, amanti e sospiri, avventure dette appunto “Arlecchinate”, nelle sedici tele di genere teatrale, custodite nel palazzo fiorentino di Orazio Sansedoni.


Curiosità e cucina

Quando il sapore della festa accoglie l’arrivo di Babbo Natale

U

Panettone fatto in casa

Ingredienti:

1,250 kg. di farina, 250 gr. di lievito di pane, dieci tuorli e tre uova intere, 400 gr. di burro fresco, 350 gr. di zucchero semolato, mezzo bicchiere di latte, 200 gr. di uva sultanina, 50 gr. di arancia, limone e cedro canditi a piccoli cubetti. Distribuire il lievito di pane in uno straccio, con abbondante farina, e lasciare a lievitare in luogo asciutto e buio fino al doppio delle dimensioni originali dell’impasto (tempo di lievitazione circa due ore). In seguito, disporre su un tagliere di legno un monte di 200 grammi di farina, unirvi il lievito di pane e 2 bicchieri di acqua tiepida. Impastare per dieci minuti fino ad ottenere un impasto omogeneo, metterlo a riposare per circa 3 ore in un recipiente infarinato, e coprirlo con un tovagliolo. Collocare poi il panetto lievitato al centro del tagliere insieme ad altri 200 grammi di farina, amalgamandoli con il latte. Impastare nuovamente fino ad ottenere un composto omogeneo e liscio. Di nuovo lasciarlo riposare per due ore nel recipiente infarinato. Raccogliere in una terrina i canditi e l’uva sultanina (ammorbidita in acqua calda). Sciogliere separatamente il burro, lo zucchero (unito ad acqua, come uno sciroppo tipo melassa). Unire sia i tuorli che le uova intere. Con il rimanente della farina (850 grammi) unita a un pizzico di sale: unire la pasta lievitata per amalgamarla alla farina insieme al burro, fuso come indicato sopra. Impastare per la terza volta con forza per circa venti minuti, aggiungendo gradualmente sciroppo di acqua, uova e zucchero. Ottenuta una pasta gommosa, unire uva passa e canditi, spennellare l’impasto di burro e lasciare riposare per non meno di dieci ore in luogo asciutto, in una bacinella infarinata, fino a volume raddoppiato. Infornare e cuocere a 220 gradi dopo aver pennellato il burro sulla superficie del panettone. Il tempo di cottura varia da forno a forno: sorvegliare pertanto con attenzione la crosta, per evitare bruciature.

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G

n intramontabile classico della tradizione invernale ci riscalda con il suo sapore, gusto che veleggia da un passato consolidato e rassicurante, attraversando “l’oggi” con decisione, fino all’avvento di un domani privo di timori e riserve: il panettone, sinonimo di “raccolta” della famiglia attorno alla tavola imbandita per festeggiare Gesù bambino. Vero o “falso” che sia, il panettone conquista, come ci dimostra il pittore iperrealista Luigi Benedicenti, che sapientemente ha tradotto in tocchi di colore l’immagine fotografica di due fette di panettone accostate, rendendo la sua natura “morta” più viva che mai, nella stessa acquolina che produce la sola vista della sua originale opera d’arte. È nel 1944 che una famiglia milanese d.o.p fonda l’azienda che ancora oggi produce il più classico tra i panettoni, il quale non conosce crisi, così come ci narra uno dei più famosi poeti Milanesi del ‘900, Graziano Pastori. Nella citazione all’interno de La parabola del Natale, tra miseria e povertà ha la meglio un Natale ricco sì di antipasti, ravioli, cappone e mostarda, ma soprattutto del suo protagonista indiscusso: il panettone, il quale il Natale non sarebbe tale. Tornando indietro nella storia, la nascita del famoso dolce ambrosiano è calata nel mistero di numerose leggende. La più famosa racconta come fosse stato proprio Ludovico il Moro, sulla fine del XV secolo, a preparare la culla di questo dolce icona del Natale. In occasione di questa festività si narra che la potente famiglia meneghina, dopo una soddisfacente abbuffata, attendesse con trepidazione la fine del pasto per arrivare al momento dei dolci, culmine e apoteosi della grandeur culinaria del cuoco. Ma il destino si beffò di quest’ultimo quando egli scoprì di aver bruciato per errore i dolci nel forno. Fu l’aiutante a soccorrere il suo maestro, proponendogli il dolce che lui stesso aveva preparato con gli avanzi, una sorta di “pane” mescolato in modo bizzarro ad altri ingredienti: uova rimaste nella dispensa, farina, burro, scorza di cedro e qualche uvetta. Non avendo il cuoco altra scelta al fine di salvare faccia e impiego, si presentò titubante con il frutto dell’ingegno del garzone Toni. Fu con suo grande stupore che il cuoco vide i commensali esultare per tale prelibatezza, ed essendo egli onesta persona confessò a tutti che il merito di tale maestria andava attribuito all’aiutante: fu così che nacque il panettone, come “Pan di Toni”. Una seconda leggenda ci conduce nella vita di un giovane milanese, Ughetto Atellani, innamorato della fornaia Algisa, il quale fece qualsiasi cosa pur di essere assunto come dipendente dal padre della bella fanciulla, di nome Toni. Fu a causa dell’apertura di un altro forno nei pressi dello stesso che le vendite di Toni cominciarono a calare, soprattutto sotto Natale. Fu proprio Ughetto, cotto d’amore per la sua bella, che decise di tentare il tutto per tutto comprando con i suoi ultimi risparmi alcuni ingredienti per preparare un dolce nuovo: farina, burro, zucchero, uova e uva sultanina. Il successo di Ughetto fu garantito e l’amore tra lui e Algisa si coronò grazie al pane del padre Toni, con un matrimonio degno del loro amore. Non ultima giunge la storia delle suore che nel 1200 abitavano la campagna milanese, la cui nebbia e il rigido freddo, lasciarono a bocca asciutta da donazioni e cibo, tanto che alla vigilia di Natale in dispensa rimase solo poca farina per impastare del pane. Quando la madre superiora lo benedì, il pane si trasformò per miracolo in un incantevole panettone. Sia di Toni o meno, il nome del panettone, accrescitivo di “panett” (pagnotta), suggerisce sempre il concetto di una pasta lievitata naturalmente, un pane più voluminoso del normale e impreziosito da burro, uova, zucchero, canditi, scorza di arancia e cedro, con forma originale cilindrica terminante in cupola (il tipico panaton meneghino), di 30 centimetri di altezza, alto rispetto a quello piemontese più basso e largo. A ognuno il suo, anche nelle moderne varianti arricchite da crema e cioccolato, il panettone non stufa mai la moda delle nostre tavole, magari accompagnato da un bicchiere di vino dolce Moscato, bijoux per il palato, a Natale e non.

di Federica Farini


Quest’anno mi voglio fare un albero di Natale di tipo speciale, ma bello veramente. Non lo farò in tinello, lo farò nella mente, con centomila rami e un miliardo di lampadine, e tutti i doni che non stanno nelle vetrine. Un raggio di sole per il passero che trema, un ciuffo di viole per il prato gelato, un aumento di pensione per il vecchio pensionato. E poi giochi, giocattoli, balocchi quanti ne puoi contare a spalancare gli occhi: un milione, cento milioni di bellissimi doni per quei bambini che non ebbero mai un regalo di Natale, e per loro ogni giorno all’altro è uguale, e non è mai festa. Perché se un bimbo resta senza niente, anche uno solo, piccolo, che piangere non si sente, Natale è tutto sbagliato.

Filastrocca di Natale di Gianni Rodari


Š www.ctedizioni.it

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Centro Toscano Edizioni


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