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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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771973 365809

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Anno XVI n. 2/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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EDITORIALE

Donne, non quote rosa U

scita estiva di Reality, ma lo sguardo va al dopo vacanze. Con questo numero saremo alla prima edizione di Linea Pelle, a Milano, che si terrà i primi di settembre. Noi ci saremo in via sperimentale, e presenteremo un magazine questa volta decisamente al femminile. Confesso che non è stata una scelta “rosa” da strategia delle pari opportunità, ma di una sintomatica coincidenza, questo convergere privilegiato di articoli e di personaggi per molta parte donne. A cominciare dalla copertina dedicata alla scultrice romana Alba Gonzales in occasione della sua mostra fatta a Ravello. E anche dalle sculture qui riprodotte non sfuggirà l’importanza che l’artista dà al tema della donna, incrociata nella realtà della vita quotidiana e soprattutto nel luogo del mito mediterraneo. Assieme ad Alba e alle sue danzatrici e sfingi e chimere e altre creature emblematiche, in queste pagine incontrerete imprenditrici, medici, cantanti, muse ispiratrici, artiste, insomma personaggi nelle cui vicende è comunque centrale il loro essere semplicemente donne. Una rivoluzione? No, un dato di fatto. Il ruolo e il riconoscimento della donna sono cambiati, purtroppo non in tutto il mondo. Sottolineo a malincuore e con grande rabbia come in alcuni paesi sia ancora praticato il commercio delle donne, usate come merce di scambio, bestie da macello, rapite e segregate. Per motivi e scelte di costume o religiose le donne vengono vendute come oggetti, essendo proprietà di altri, non di loro stesse. Sconforta che ancora oggi si debbano registrare - anche in certi casi sub-culturali che si verificano nel nostro paese - fenomeni di schiavitù, soprusi e insomma barbarie che investono soprattutto le donne e che vanno sempre condannati. Nessuna religione, usanza etnica e condizione sociale può giustificarli. Vero è che la donna occidentale, oltre che moglie e madre, normalmente lavora, è imprenditrice, gira il mondo, prende decisioni, gestisce risorse umane, capitali. Nessuno minaccia per ragioni religiose o culturali la sua libertà e integrità di persona e mette in dubbio i suoi diritti civili paritetici. Al contempo, però, non è immune da stalking, violenze sessuali anche in famiglia, non di rado spinte sino al femminicidio. Mi domando allora se veramente la donna ha raggiunto quello stato di autonomia e quel riconoscimento che le sono dovuti e che non dovrebbe nemmeno più desiderare, o se invece per essi non abbia ancora da pagare un prezzo. Sarà forse un’illusione la raggiunta parità? Diciamo che uomini e donne sono uguali in un universo ancora a diffuso governo maschile, e abbiamo sempre bisogno di riservare premi a imprenditrici, di creare associazioni di donne, movimenti culturali femminili, quote rosa... La parità di genere non implica nessuna specifica. La società oggi ha bisogno di uomini e donne che insieme si confrontino e collaborino. Signori uomini, non abbiate paura: se la donna si dà da fare non deve preoccuparvi, non vuol usurpare il vostro trono, schiacciarvi, rendervi succubi, sottomettervi, ma solo mettere a frutto le proprie capacità, utili a tutti. Sono finiti i tempi della donna “regina del focolare” e “musa” ispiratrice di grandi artisti. Si diceva una volta che “dietro a un uomo di successo c’è una donna importante”. Sarà vero o era solo un modo per dare alla donna un ruolo protagonistico, sia pure dietro le quinte, che nella realtà non esisteva? Chissà! Oggi, quando sembra che i ruoli si siano ribaltati, chi, che cosa, quale entità si cela dietro una donna di successo?

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MAGAZINE

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Centro Toscano Edizioni srl Sede legale Largo Pietro Lotti, 9/L 56029 Santa Croce sull’Arno (PI) Studio grafico via P. Nenni, 32 50054 Fucecchio (FI) Tel e fax 0571 360592 info@ctedizioni.it - www.ctedizioni.it Direttore responsabile Margherita Casazza direzione@ctedizioni.it Direttore artistico Nicola Micieli Redazione redazione@ctedizioni.it Studio grafico lab@ctedizioni.it Abbonamenti abbonamenti@ctedizioni.it Text Luvi Alderighi, Paola Baggiani, Irene Barbensi, Graziano Bellini, Andrea Berti, Giulia Brugnolini, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Carlo Cuppini, Carmelo De Luca, Angelo Errera, Federica Farini, Stephen Dedalus, Maria Laura Ferrari, Eleonora Garufi, Roberto Giovannelli, Adolfo Lippi, Ilario Luperini, Roberto Mascagni, Paola Ircani Menichini, Nicola Micieli, Ada Neri, Alessandro Paladini, Paolo Pianigiani, Fernando Prattichizzo, Elena Profeti, Giampaolo Russo, Domenico Savini, Sonia Tacchi, Leonardo Taddei.

Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina Alba Gonzales Serenata notturna, 2014 bronzo cm 30x23x12 Foto di Emanuele Ruiz

Reality numero 72 - luglio 2014 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2014 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.


SOMMARIO

A 10 22 24 27 28 30 32 34 36 39

ARTE E MOSTRE

In viaggio con Gonzales Angeli Pontormo e Rosso Fiorentino La tavola del Pontorno Franco e Luciana Gentilini Stalin Poli Geppina e Dilvo Aurelio Amendola Officina pittorica L’arte in Italia

T 42 45 46 48 50

L 52 55 57

letteratura Dylan Thomas Il mondo in un libro Novità editoriali

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territorio e storia Haslital & Jungfrau Portovenere Cavalieri al crepuscolo L’eccidio dimenticato Amalia e il Professore

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Associazione culturale artistica


SOMMARIO

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spettacolo

Cannes delle meraviglie 60 11 lune a Peccioli 62 Dianora Poletti 65 La Versiliana 66 Sant’Anna, una strage in scena 68 69 San Miniato LXVIII Festa del Teatro Eurovision Song Contest 70 Bolghery Melody 72 Il paese degli artisti 73 L’unione fa la forza 74

E 76 78 80 81 82 83 84

C 86 89 90 92 94 95 96

COSTUME Camici in ascesa Counseling Jack Russel Terrier Meglio un uovo oggi Mode di moda Tintarella time Giacomo Puccini

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economia e società Premio Pierazzi 1951, e fu subito moda Dubai 2014 Auto e Golf Stile e vip in Versilia Volere è potere Competenze spendibili

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A

artista

in

viaggio con

Gonzales D

Nicola Micieli

Il Mistero, nel tempo, si potrebbe svelare, l’Enigma “uomo” no, ed è Lui che stimola sempre la mia creatività. Egli è sempre in divenire, e io tento di plasmare i moti del suo animo come se potessero svelarsi attraverso il modificarsi delle forme. Penso che l’Archetipo che portiamo tutti inciso nel profondo sia il canale attraverso il quale

i Alba Gonzales considero prioritariamente degna di attenzione l’aderenza, in tempi che per lo più celebrano l’immateriale e l’effimero, a una nozione della scultura che implica la concretezza del fare e la stabilità ossia la durata della forma, pur quando estenuata e piegata da interne tensioni o esterne lacerazioni, nelle quali si incarna il sentimento del tempo. Alba Gonzales nella sostanza ancora si ispira a un residuale, possibile umanesimo. Penso non solo a quella parte della sua opera approdata con gli anni Ottanta al versante figurativo, e sin qui confermata senza ripensamenti o vacanze, dichiarandosi imperniata sulla centralità dell’uomo in presenza corporale e in situazione dialettica: l’uomo con il suo portato esistenziale e culturale, in molti casi calato nella temperatura critica del suo tempo (ne è qui testimone l’ostentato eroti-

l’arte può comunicare emozioni e angosce condivise. Con la mia sfrenata fantasia, inseguo visioni surreali che affollano la mia mente plasmandole nella materia. Amore, Ironia e Dramma sono i miei temi preferiti attraverso i quali esprimo le emozioni del tempo che mi è dato di vivere. Alba Gonzales

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smo di Sensualità e Potere, 2013) ma soprattutto incontrato come figura recitante e maschera di un teatro emblematico nel quale si mettono in scena i sempiterni percorsi, i nodi e gli intrecci del cuore e della mente, sovente attingendo al repertorio dei miti classici e non trascurando una vena di pirandelliana ironia che fa da contrappeso alla dilatazione nel sogno. In avvio del nostro viaggio incrociamo l’intrigante testa di Semiramide (una sua versione compare qui con il titolo I dubbi della Baccante, 2013), leggendaria regina della quale Dante condannava la voluttà e la dissolutezza additandola a simbolo di decadenza dei costumi nel mondo antico. Alba Gonzales la assume con altra, certo non moralistica connotazione: la profila come una sorta di pagana deità orfica, ne enfatizza il copricapo monumentale, che le avvolge i capelli con


Lei, vede e non vede o altrove guarda 2010 bronzo cm 220x130x60

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1. I Dubbi Della Baccante 2013, bronzo cm 60×60×47 2. Chimera 1997, bronzo, cm 275×80×80 3. Luce e gelo di un volo irripetibile 2004, marmo cm 33×39×21

dovizia di volute plastiche frammiste a foglie di vite e grappoli d’uva, e nel trascorrere ininterrotto del moto, mi sembra che la scultrice rappresenti magnificamente l’incontenibile rapina dei sensi eccitati, l’ebbrezza panica dell’invasato personaggio la cui deriva è nella dimensione visionaria. La Semiramide dal sorriso sigillato ed enigmatico gioca il ruolo di ambasciatrice visionaria nel “gineceo” delle figure emblematiche e non monovalenti di Alba Gonzales. Per tale vorrei acquisirla, parendomi utile pedale alla categoria del sogno, uno dei corni dell’ambivalenza espressiva, il doppio registro d’uso del suo linguaggio plastico. I cui fondamenti sono senza dubbio da reperire nei depositi del grande bacino del mondo classico, che attraverso i secoli hanno alimentato modi formatori, gusti, sensibilità di popoli e civiltà, sempre riproponendosi in forme rinnovate. A quel patrimonio la scultrice attinge in autonomia di lessico e libertà di declinazione stilistica e concettuale, da postmoderna partecipe di un clima culturale che gioca sull’ibridazione di modelli formali e codici comunicativi, interpretati con dizione personale ricca di inflessioni. Alba Gonzales possiede un mestiere prestigioso, una mano raffinata e un assoluto senso della misura e dell’equilibrio, per cui può garantire quella corrispondenza non statica o congelata delle parti che si richiede per governare un organismo plastico di classica ambizione, e ne dà prove più che convincenti quando affronta il tema del corpo in movimento. Che sia la scansione ritmica dei passi nella danza e il trascorrere flautato delle figure corporali profilate nello spazio, o siano le analoghe movenze delle danzatrici sui pattini, i cui attrezzi le

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rendono vieppiù fluenti e aeree, si ha viva l’impressione che davvero lo spirito della musica liberi nella danza il corpo dal peso della materia. Si capisce che nelle sculture consacrate alla danza Gonzales trasferisca e sublimi una propria vocazione in gioventù praticata professionalmente, poi 1

sempre coltivata interiormente. Non trovo testimonianza più evidente del bronzo Sfidando il sogno di essere farfalla (2005), quanto alla bellezza armoniosa della partitura plastica e del movimento sospeso nello spazio. A parte dunque i giustificati inserti delle figure danzanti, e alcune sparse 3

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prove di compitezza formale peraltro evocatrici di modelli neoclassici più che classici, con in aggiunta un andamento delle forme arcuate e una stilizzazione tra liberty e simbolista, che le carica di sensualità (i marmi Luce e gelo di un volo irripetibile del 2004 e Irenea, il tuo sogno è il mio del 2010, al quale aggiungerei, qui pubblicato, il bronzo La Chimera del 1997), non si può dire che Gonzales abbia davvero mai coltivato il “sogno” citazionista e museale di una forma scultorea di compiuta idealità armonica ed euritmica, sui modelli aurei della classicità troppo spesso riproposti, anche negli ultimi decenni, con accademica osservanza, al più come frammenti della perduta integrità, reliquie intrise di struggente malinconia. A una ricognizione retrospettiva direi anzi che la scultrice privilegi piuttosto le estenuazioni manieriste che la lettera del dettato classico, gli andamenti estroflessi e gli avvitamenti degli organismi plastici nel continuum pluridimensionale dello spazio, movimenti grazie ai quali più agevoli sono le fughe dell’immaginario, che non le partiture risolte nel sovrano equilibrio e sovente nella giustapposizione delle linee e dei volumi architettonici. E se il Rinascimento fiorentino qualche cosa avrà pure contato nella formazione del suo sguardo e del suo gusto, molto più hanno sicuramente inciso lo stesso Manierismo fiorentino e il Barocco romano, come già l’Ellenismo greco e la scultura romana del

La Centaura di Ares 2010, bronzo, cm 420×288

Chimera e le maschere 2008, bronzo, cm 195×167×90

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Sfidando il sogno di essere farfalla e dietro l’ultima nota irraggiungibile 2006, bronzo, cm.98x88x40



tardo impero, che tracimano in buona parte delle opere. Ciò accade anche dove la forma appare più compatta e come sigillata, direi di una oggettuale fissità che la estranea dal tempo presente per consegnarla a un tempo metafisico governato dal mistero, come nel caso delle enigmatiche Sfingi dai molteplici volti, nei quali le diverse possibili angolazioni e incidenze dello sguardo prefigurano la sostanziale impossibilità della conoscenza oltre lo schermo delle apparenze fenomeniche. E se si bada alla complessità addirittura acrobatica o contorsionista delle posture di queste sfingi, nella cui mostruosa ibridazione è la sintesi di più nature e funzioni simboliche, si avrà chiara l’immagine di un’estenuazione manierista che sottrae l’organismo plastico al classicismo formale e tanto più al realismo critico e al naturalismo, per consegnarlo a un intellettualismo ermetico allusivo e simbolico. Anche attraverso le proiezioni ermetiche l’immaginario di Gonzales accede alla dimensione altra che essa chiama dei sogni, alcune delle cui versioni la scultrice registra sotto specie propriamente di Sogno metafisico (1996), vissuto in finzione a occhi aperti per interposto De Chirico, o come Dialoghi del Parnàso (1996) e dialoghi tra Eco e Selene (2001). Si tratta di rivisitazioni del mondo antico in forma

di scene o teatri archeologici e mitografici lussureggianti, per gemmazione corallina dei racemi arborei posti a cornice delle muse dai pepli fittamente pieghettati, chiamate al loro recitativo di protagoniste silenti di un evento in atto, colto o fissato in un momento del suo divenire. Siamo di fronte a un fenomeno straordinario: il transito ovvero la permutazione osmotica, sotto lo sguardo straniante di Selene campita in cielo o quello sotteso di Elios meridiano, da una manifestazione della materia e della natura all’altra, da una identificabile forma di vita all’altra, e si intende che quelle mutazioni siano partecipi di un’economia complessiva dell’essere che tutte le contempla e le contempera, includendone le specificità e le differenze. Rimando a Silenzio, metamorfosi in corso del 2005 e ricordo il bronzo del 1997 Manipolazione genetica altrove dedicato al nome di Galatèa, la leggiadra ninfa oceanina che incontriamo nelle Metamorfosi di Ovidio, per antonomasia luogo letterario delle mutazioni che Alba Gonzales sicuramente conosce a menadito. Penso anzi che la scultrice lo tenga in considerazione di libro-guida del proprio campionario di mutazioni morfologiche e concettuali (e forse un posto lo terrà pure L’asino d’oro di Apuleio, per l’esemplificazione della componente bestiale dell’animo e della sessualità umana)

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in cui consiste una parte considerevole dell’opera sua, nella celebrazione traslitterata e sovente aggiornata dei miti classici come nella precipitazione ironica di quelli moderni e attuali. E se nei primi si condensa in forma leggendaria, sovente per immagini di finis-

Sfinge II, particolare, 1999 bronzo cm 112×249×83

Manipolazione genetica 1997, bronzo cm 43×47×33


Semmai Thanatos appare prefigurato “in assenza”, nella circolazione ciclica degli elementi e delle stagioni, nella compresenza della vita e della morte sulla linea del tempo che si identifica con la suzione del latte d’un bimbo al seno in L’innesto del 2007 e scorre con i grani di una clessidra in Oh! felix culpa del 2006, dove un bacino di donna che reca l’albero della conoscenza, e con l’albero il serpente tentatore e la mela della perdita dell’innocenza e dell’esilio, ha partorito un bambino sotto l’occhio di Dio. Ecco, nasce Thanatos con quel bambino.

Silenzio, metamorfosi in corso, 2005, bronzo cm 28×36×18

Foto di Luca Bracali e Emanuele Ruiz

Il dubbio di Narciso, 2002 bronzo cm 71×57×33

sima evocazione poetica, il ventaglio delle umane necessità e aspirazioni, delle passioni e delle proiezioni ideali che per essere fondativi della comune sensibilità hanno un valore universale e perenne, nei secondi si evidenzia soprattutto una deriva del costume contemporaneo. Nel quale emergono gli aspetti vacui ed esibizionisti, ma anche discriminatori e violenti della natura umana, che la perdita di spessore del senso delle cose e della vita, e la sacralità dei valori fondamentali a essa connessi in quanto intrinseci alla profondità dell’essere, trasforma in prassi comunemente accettata. L’ironia è lo strumento d’uso del linguaggio e delle sue figure stilistiche con il quale Alba Gonzales scherza maliziosamente con alcuni luoghi simbolici dei grandi miti. Ad esempio lo specchio, diaframma e doppio illusivo della bellezza ne Il dubbio di Narciso del 2002 e della vanità in Specchio delle mie brame del 2005, opera, questa, altrove intitolata Chirurgo delle mie brame, voglio essere la più bella del reame, e non è chi non colga la sovrapposizione tra il referente favolistico di Biancaneve e la pratica sempre più diffusa della chirurgia estetica, ed è una delle ironiche evidenze che Alba Gonzales tratta con spirito delizioso nel contesto dei miti effimeri della modernità. Nella quale si crea una dicotomia tra l’essere e l’apparire, identificando e annullando il primo termine nel secondo, anziché significare, se non proprio la superiorità morale della prima istanza, almeno l’impossibilità di definire e rappresentare le rispettive proprietà e i confini tra l’essere e l’apparire. Sarebbe un modo per dire il relativismo soggettivo della conoscenza, poiché mille sono i volti ovvero le apparenze con le quali l’essere si manifesta agli sguardi, ognuno veridico dalla propria angolazione, dei mille che lo osservano.

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Sono molte le opere nelle quali Alba Gonzales pratica il gioco dell’ironia ricorrendo alla sovrapposizione e allo scambio anche terminologico, quale si evince dai titoli, tra i miti fondativi classici e letterari e le situazioni della quotidianità, tra i depositi ancestrali della coscienza e della memoria collettiva, gli archetipi delle culture e i miti di nuovo conio della società dei consumi e dello spettacolo che difficilmente potranno aspirare, perché non corrispondono alle fondamentali istanze esistenziali e immaginative, a una durata di molto superiore al loro manifestarsi di fenomeno legato a una moda. La scultura che per sua natura aspira alla durata, è luogo quanto mai idoneo a fissare sollecitazioni e inquietudini, aspirazioni e condizionamenti del nostro tempo per altri versi consacrato, come si diceva, alla comunicazione rapida e alla memoria immateriale, elettronica, virtuale. La scultura di Alba Gonzales, in particolare, mi sembra possedere i presupposti per accogliere e rappresentare una ricca gamma di risposte a quelle istanze. E potremmo racchiuderle entro i termini estremi di due entità energetiche ovvero polarità interattive, egualmente potenti e presenti nella natura umana e nell’economia della vita. Sono Eros e Thanatos, pulsioni antagoniste che abitano il profondo e lo sommuovono, variamente emergendo per visibili fremiti e oscure latenze che la scultura di Gonzales raccoglie e somatizza, per così dire. Se di Eros Alba Gonzales mette in scena le diverse manifestazioni, scalate dal rapimento estatico alla violenza carnale sino ai commerci di più equivoca assegnazione, di Thanatos prefigura la presenza nell’assorbimento del mistero, più che denunciarne l’operatività in un qualche palese caso o incidente luttuoso.

Oh, felix culpa, 2006 bronzo cm 60×49×49


La Mela violata (la prevaricazione sulla donna) 2013, bronzo cm 190x44x64 L’innesto 2007, bronzo cm 73×60×85

Alba Gonzales è nata a Roma da madre siciliana, di origine spagnola e greca, e da padre spagnolo, come si evince dal cognome. Vive e lavora tra Pietrasanta e Roma. Ha cominciato a dedicarsi alla scultura con continuità all’inizio degli anni Settanta. Nel 1975 inaugura la sua prima mostra personale. Dopo gli esordi di figurazione tradizionale, ha subìto il fascino delle materie (pietre, tufi, marmi) indirizzando l’esperienza verso forme di stilizzazione del corpo, per coglierne e interpretarne la valenza simbolica, la struttura ritmica e la suggestione totemica. Nel 1978, in seguito all’invito del critico Giorgio Di Genova ad esporre nella Piazza del Duomo di Pietrasanta la sua prima opera monumentale in bronzo (rassegna Scultori e artigiani in un centro storico), avvia un’assidua frequentazione del laboratorio del marmo di Sem Ghelardini, con il quale manterrà poi sempre una stretta collaborazione e amicizia. Lavorare con i bravi maestri scalpellini della Versilia anche dopo la scomparsa di Sem a Pietrasanta, con quelli dello Studio Angeli a Querceta o del laboratorio di Carlo Nicoli a Carrara; veder crescere le proprie opere accanto a quelle dei più importanti e riconosciuti Maestri della scultura contemporanea (Moore, Marino, Cèsar, Noguchi, Adam, Signori, Cascella, Consagra, Penalba e altri, provenienti da ogni parte del mondo), sono state per lei occasioni straordinarie di approfondimento delle tecniche e delle poetiche del fare scultura e anche della conoscenza di se stessa. La personalità e la creatività di Alba Gonzales si sono sviluppate e articolate sulla base di alcune tematiche fondamentali. Sino al 1985 ha privilegiato la dialettica della struttura con figurazioni antropomorfiche, che sondano in maniera originale il senso del mito arcaico e del meccanicismo moderno. Dal 1986 è il tema Amori e Miti che, tuttora in divenire, si arricchisce di nuove, importanti opere a testimonianza del fascino che la cultura mediterranea continua a esercitare. Contemporaneamente un altro tema sollecita la risposta scultorea di Alba Gonzales alla condizione esistenziale: Sfingi e Chimere ovvero la bestia che è dentro di noi, affidata a una drammatizzazione e teatralizzazione della forma di figurazione fantastica con forti componenti erotico-oniriche. Ha esposto su invito in Italia e all’estero, ordinando importanti personali all’aperto a Roma (Via Veneto, Piazza di San Lorenzo in Lucina, Via del Babuino e Lungo Tevere), a Fregene, a Pietrasanta, a Cortina d’Ampezzo, a San Quirico d’Orcia, a Iesolo Lido e molte altre località. Nel 2005 è stata invitata nella Basilica Palladiana a Vicenza alla mostra storica Da Martini a Mitoraj. La scultura moderna in Italia 1950/2000. Per il Natale Romano 2005-2006 ha esposto cinque sculture monumentali nella storica via del Babuino con la Galleria d’Arte Benucci. Nel 2009 a Fiumicino città è stato inaugurato in Piazza dei Delfini il monumento Il pescatore di cieli, omaggio ai pescatori che hanno dato vita al borgo sin dai secoli passati. Nel 2010 in piazza Statuto a Pietrasanta è stata inaugurata la scultura Sfinge e colomba. Invitata dal Critico d’ArteVittorio Sgarbi alla LIV Biennale di Venezia - Regione Lazio, espone nel Museo di Palazzo Venezia l’opera monumentale Lei, vede e non vede o altrove guarda, che simboleggia la Giustizia. Si susseguano mostre in vari luoghi in Italia e all’estero, fra cui I miti scolpiti nel 2014 a Ravello.

Chira Centaura di Enea 2003, bronzo cm 305×260×107


Sensualità e potere (nel “burlesque” la prevaricazione ostentata della donna) 2013, bronzo cm 150×79×73

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mostre

Angeli Mitoraj in Piazza dei Miracoli Ilario Luperini

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ngeli, presenze che accompagnano il visitatore per tutto il percorso, a cominciare da Ikaro caduto, adagiato sul verde vivido del prato della Torre con cui dialoga intensamente. Una scultura in bronzo dalla possente struttura. Un eroe perdente; Mitoraj sceglie di stare dalla sua parte, dalla parte di quegli eroi che eternamente fuggono verso la libertà. Sculture che appaiono come reperti, immagini frammentate, mutilate, attraversate da inquietanti vuoti. Ispi-

rate alla storia e ai miti della classicità, rappresentano le fratture e le sofferenze dell’uomo contemporaneo. Un significato simbolico, in un periodo di grandi conflitti politici, religiosi e culturali. Opere che aiutino a trovare un po’ di serenità e di pace: ecco il filo conduttore della mostra. Tre i luoghi attraverso cui si articola il percorso: il prato; l’antica sede dell’Opera del Duomo, destinata a divenire un nuovo spazio per esposizioni temporanee; il Museo delle Sinopie. Oltre cento le opere: sculture monumentali, bronzi,

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fusioni in ghisa, disegni. E tre novità assolute: i dipinti, risultato del lavoro degli ultimi anni, un affresco nella sala centrale e un’ampia raccolta di gessi, una vera e propria gipsoteca dell’artista. Alberto Bartalini, il regista dell’iniziativa, interpreta Mitoraj con una costruzione scenografica di alto profilo teatrale. Si entra in una scatola magica. Le stanze dell’ex sede dell’Opera del Duomo sono rivestite di un’uniforme pannellatura rosso bruno in perfetta sintonia con il pavimento e i soffitti; l’illuminazione è puntiforme, per sottolineare i caratteri salienti delle opere; una rappresentazione, piuttosto che una presentazione. Un dialogo con la magnificenza e la sacralità della piazza. Gli splendidi monumenti esterni entrano a far parte della mostra non in maniera totalizzante, ma filtrati attraverso una delicata e raffinata schermatura delle finestre, lieve variante tonale del rosso bruno. Le opere di Mitoraj sono protagoniste, guidano il visitatore, attraggono il suo occhio e suscitano le emozioni; ma, insieme, si aprono alle meraviglie dell’esterno. La raffinata scatola bruna lascia liberi e valorizza alcuni luoghi: la stanza dell’Operaio Presidente, la Cappella. Mitoraj entra in vibrante contatto con il luogo, si integra nelle preesistenze, crea un ponte tra passato e futuro. La monumentalità delle sculture e la possanza dei quadri lasciano il posto all’intensità espressiva dei disegni e alla molteplicità dei gessi: si svela l’iter creativo, dalla prima idea all’opera ingigantita e rifinita. Si costruisce la gipsoteca del Maestro. Al museo delle Sinopie, la mostra è annunciata da due grandi bronzi che sovrastano entrambi i lati dell’in-


gresso. Si entra in un’incalzante sequenza di grandi volti fasciati da bende che lasciano solo intravedere i tratti fisiognomici: le bende dell’ignoranza che impediscono l’affermarsi della conoscenza. Attrae l’intensità del blu, ampliata dalla corrispondenza cromatica nel pavimento e dall’analoga modulazione tonale da cui è investito il Grande sonno che domina lo spazio al piano terra. Al piano superiore, raccordate con le ampie pareti delle sinopie, ci attendono maestose opere che trascinano nel perenne fluire del tempo nello spazio; un continuum in cui classicità, medioevo, contemporaneità si affiancano in perfetta armonia.

I

n occasione delle celebrazioni del 950° anniversario della posa della prima pietra della Cattedrale di Pisa un artista contemporaneo ha posizionato le proprie opere nella piazza della Torre Pendente. La mostra, diretta dall’architetto Alberto Bartalini, si avvale di un comitato scientifico composto da Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, Francesco Buranelli, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e dai critici d’arte Luca Beatrice e Ilario Luperini. La mostra avrà termine il 15 gennaio del 2015.

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FOCUS

Pontormo

Foto © Antonio Quattrone

e Rosso Fiorentino i campioni della Maniera in Palazzo Strozzi Paolo Pianigiani

Rosso Fiorentino, Angiolino musicante, 1521, Galleria degli Uffizi, Firenze Rosso Fiorentino, Sposalizio della Vergine (Pala Ginori), 1523, Basilica di San Lorenzo, Firenze Pontormo, San Giovanni Evangelista, part., 1519 ca., Chiesa di San Michele Arcangelo, Pontorme, Empoli

Foto © Antonio Quattrone

è

in corso a Palazzo Strozzi la mostra dedicata ai due esponenti più tipici del Manierismo fiorentino. Nati lo stesso anno, il 1494, vissuti nella prima giovinezza nella Firenze dominata da forti tensioni religiose (il Savonarola, finito sul rogo nel 1498, lascerà un ricordo indelebile sulla città) e politiche, da contrasti di potere più o meno assoluto (i Medici) e sussulti di libertà repubblicane. Per non dire della Riforma Protestante di Lutero. In arte imperava il trio delle meraviglie inarrivabili: Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Impossibile starci alla pari. Restava solo la via del superamento, del distacco, della riflessione personale, motivata e causata dalla profonda consapevolezza che con tali maestri non era possibile un scontro diretto. C’era il pensiero laterale, il diritto di percorrere strade diverse e più intime. Sempre con l’incubo del confronto perso in partenza. A differenza del comune Maestro,

Andrea d’Agnolo di Francesco di Luca di Paolo del Migliore Vannucchi, il pittore senza errori, di soli otto anni più giovane di loro, che nell’equilibrio compositivo e cromatico delle sue tavole dipinte aveva trovato il giusto e apprezzato riscontro nella committenza del suo tempo, i due “pittori strani e diversi” andarono a cercare esiti e risultati in terreni meno scontati e tranquilli, pigliandosi rischi non di poco conto nella rumorosa esistenza di un artista in quegli anni difficili. Più incline al personale logorìo interiore Jacopo, più estroso, coraggioso e battagliero Giovan Battista, rosso di pelo e di maniere spicce. Tanto era timido il Pontormo, tanto era estroverso il Rosso. Chiuso a riflettere e a digiunare per tirchieria congenita nella casa di via Laura, con il ponte levatoio per accesso, l’uno, sperso per il mondo a cercare risse e pugnalate l’altro, in compagnia del fedele allievo servitore Battistino e del celeberrimo bertuccione addomesticato. Delle gesta del quale ci ha lasciato una storiella divertentissima il Vasari, quando ce lo descrive intento a distruggere per vendetta la stanza di un fraticello, che lo aveva sorpreso a rubare l’uva del perticato di un convento e lo aveva fatto punire dai Signori Otto di Guardia e di Balia.

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Foto © Martino Margheri

Trovarono ciascuno il proprio spazio e la propria strada: per il Pontormo la sua Firenze, la città granducale dominata da Cosimo I, e per il Rosso la corte francese di Fontainebleau, luogo di piaceri e di svaghi in uso a Francesco I, Re di Francia. Adesso i loro dipinti e i loro disegni dialogano, messi a confronto nelle splendide sale di palazzo Strozzi. Sembra di sentirli parlare, attraverso le loro opere, così diverse ma che hanno tanto in comune. Per esempio la comune padronanza del disegno, lo stridere dei colori, l’irruenza ansiosa degli sguardi. La rottura voluta delle regole compositive, o l’intrusione di personaggi allucinanti che ogni tanto escono dai fondi oscuri ad aggiungere mistero ai racconti. Come nella grande pala d’altare, che il Rosso dipinse per i Ginori, a San Lorenzo a Firenze. Si tratta delle movimentate nozze di Maria, con un San Giuseppe giovanissimo, al contrario di come viene sempre rappresentato. Due parti della stessa medaglia, due figli illegittimi del loro tempo. Ma è a loro due che si pensa, quando si va oltre la bellezza infinita di Michelangelo, Raffaello e Leonardo: a cercare quel legame nervoso e modernissimo che ci lega a quegli anni lontani, pieni di creatività e di passione.



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libro

la tavola del

Pontormo l’interpretazione dei cuochi toscani al suo diario

C

on l’avvicinarsi dell’Expo 2015 a Milano, evento che consacrerà definitivamente la rifondazione ontologica del tutto a partire dal cibo, già in corso da qualche anno, le pubblicazioni a sfondo gastronomico si stanno intensificando e diversificando. Non più soltanto libri di cucina in senso stretto: in tutti i settori aumentano le iniziative che, a partire da uno spunto legato al cibo, parlano di tutto. Così incontriamo progetti fotografici che ricostruiscono e immortalano i pasti che abbiamo letto nei classici della letteratura (Dinah Fried, Fictious dishes, Harper Design, 2014), ci imbattiamo in sempre più frequenti pubblicazioni che raccontano il rapporto tra cibo e letteratura, cibo e poesia, cibo e cinema, veniamo a conoscenza di rassegne e festival in cui si ragiona dei più svariati e interessanti argomenti, purché si parta dal fatto di nutrirsi o almeno si termini con il degustare. In questo contesto esce una singolare pubblicazione intitolata La tavola del Pontormo (Maschietto Editore, Pon-

tormo’s table nella versione inglese) a cura di Ludovica Sebregondi, storica dell’arte e direttrice scientifica della Fondazione Palazzo Strozzi, e Annamaria Tossani, conduttrice del programma enogastronomico “Aspettando il Tg” in onda tutti i giorni su Italia7. Il libro parte dal diario che il pittore manierista Jacopo Carucci detto il Pontormo tenne negli ultimi anni della sua vita, mentre realizzava gli affreschi per il Coro della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Più che notazioni sulla sua attività artistica, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il diario dà conto degli aspetti più intimi e corporali della vita quotidiana del pittore: i pasti, in primo luogo, seguiti fino agli esiti finali del transito del cibo attraverso il corpo (mali di pancia, deiezioni, indisposizioni, stipsi, necessità di digiuni compensatori...), oltre alle condizioni di salute, gli screzi con i collaboratori e gli amici, le condizioni atmosferiche e le loro ricadute sul benessere psicofisico. A partire dunque dalla lista di cibi, materie prime e ingredienti pre-

senti nel diario, venti chef toscani hanno creato altrettante nuove ricette, che interpretano lo spirito dell’epoca del Pontormo (la prima metà del Cinquecento, approssimativamente) alla luce della sensibilità e dei gusti odierni. Ciò che rimane costante attraverso i secoli è il principio, raccomandato dal pittore, di mangiare cibi sani e di stagione, con la giusta moderazione. Il libro, originale ibrido tra un trattato storico-artistico, un ricettario e un libro fotografico, è completato dai ritratti degli chef realizzati appositamente dal premiato fotografo internazionale James O’Mara, oltre che da sue immagini di piatti e materie prime, vere “nature morte” contemporanee. I ritratti sono stati realizzati all’interno della mostra Pontormo e Rosso Fiorentino. Divergenti vie della “maniera”, in corso a Palazzo Strozzi a Firenze fino al 20 luglio. Il libro, promosso e patrocinato dalla Fondazione Strozzi, è arricchito da un testo introduttivo di James M. Bradburne, Direttore Generale della prestigiosa sede espositiva.

Carlo Cuppini

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FOCUS

Franco e Luciana

Gentilini l’arte e l’amore oltre la soglia del tempo Giulia Brugnolini

Ponte Sant’Angelo, 1949 Franco e Luciana nella terrazza della casa su Piazza Navona Luciana e Franco Gentilini al Ninfeo di Valle Giulia per il Premio Strega, 1974

«T

ante volte mi è stato chiesto, nel corso di questi ultimi trent’anni, e cioè quando eravamo insieme e dopo, se è facile o difficile vivere con un artista» esordisce Luciana Gentilini, Giuntoli da signorina, in una delle prime pagine della sua opera. Continuare il tempo è, più che altro, la risposta a un’altra domanda, quella di chi si interroga su come sia difficile, invece, vivere senza. Sì, perché la scomparsa del pittore romano Franco Gentili, nel 1990, ha spezzato quel filo del tempo che si è dipanato, mai banale, mai scontato, nella vita dei due coniugi. Perciò la first-lady che ha condiviso con il pittore la quotidianità della sua vita nell’abitazione di piazza Navona e la quotidianità del suo lavoro nello studio di via dei Coronari e in quello parigino di Rue Bertrand, cerca nel suo libro di ritessere questo filo, con l’aiuto di nodi che sono episodi,

pensieri, appunti, stralci di diario. Le vicende che vengono ripercorse nel racconto non rispettano la cronologia e coinvolgono personaggi e luoghi diversi, da Roma a Parigi, da Faenza al Sud Africa, ed è questo un modo che Luciana Gentilini usa per rendere l’idea che per lei ogni episodio riesumato dalla memoria o recuperato da un appunto d’epoca, è come se fosse attuale, rivissuto in presenza di Franco. Con la casa editrice De Luca, Luciana aveva pubblicato, dopo un lungo lavoro di ricerca e raccolta di documenti svolto con pazienza e devozione certosine, il catalogo generale della pittura del marito. Il Ministero dei Beni Culturali ha dichiarato “di interesse storico particolarmente rilevante” il materiale dell’archivio Gentilini da Luciana ricomposto, integrato e ordinato, e oggi depo-

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sitato presso l’Ente Quadriennale di Roma. Nel suo Continuare il tempo Luciana parla di Franco suo compagno di vita – ma nella forma letteraria utilizzata gli si rivolge in prima persona, avvertendolo presente, anche


Un libro scritto per chi ha voglia di conoscere Franco Gentilini da una prospettiva diversa, quella della compagna, che con lui si è plasmata, come il calco d’una scultura. Un libro da leggere come un’agenda, un almanacco di annotazioni, documenti, testimonianze. «Nella convivenza con un artista (…) niente, pro-

in questo caso – e come figura eminente di artista non certo chiuso in una torre d’avorio, anzi parte di un sistema artistico nel quale si muovono interessi non sempre limpidi, e quel sistema non ha mancato di mistificare e in vario modo ostacolare l’opera sua. Le pagine di questo che, in definitiva, è un romanzo d’amore, partecipi e coinvolgenti, se testimoniano la vita di una donna che riconosce, specchiata nei dipinti di Franco, la propria identità, documentano altresì tutto ciò che è stato necessario fare, e che ancora oggi Luciana fa, per difendere la memoria postuma, la collocazione, la circolazione e l’autenticità dell’opera, dacché l’artista, scomparso nel 1981, non ha potuto farlo da sé. «Tutto può cambiare o restare, o fissarsi o ruotare» dice Luciana. Così quegli attimi, quei giorni sono finiti, ma si sono fissati nell’impegno e nelle iniziative di chi è rimasto con un fardello pesante da portare e degnamente onorare qual è la memoria di un artista. Il romanzo parla di ciò che accade quando l’amore e la stima travalicano il tempo e la presenza materiale, anche se non mancano i ricordi di momenti critici, in cui chi scrive avrebbe voluto rifugiarsi in una vita normale.

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prio niente, può apparire illusorio, transitorio o fugace. Tutto coinvolge in maniera assoluta e definitiva.» Per questo Luciana è riuscita, in modo magistrale perché sinceramente vissuto, a continuare il tempo. Luciana Gentilini Continuare il tempo De Luca Editore, Roma 2014

Autoritratto, 1981 Cattedrale con bicicletta, 1972 Adamo ed Eva, 1972


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FOCUS

S Stalin un nome tradito ad arte Nicola Micieli

I

l padre lo chiamò Stalin, subito dopo la guerra. Nessun dubbio circa l’ideale politico ispiratore. Il figlio ha portato con disinvoltura, scherzandoci su, quel nome pesante che lui non onora, nel senso che certo non corrisponde al suo carattere mite e cordiale e alla sua sensibilità. Tanto meno l’aspetto fisico e il portamento della sua persona, che è minuta e gentile, ricordano in qualche modo l’immagine arcigna del dittatore baffuto. Oltre che sul proprio nome, Stalin ironizza sull’altra eredità paterna: la pisana impresa Poli da decenni sul mercato dei trasporti funebri e annessi. Stalin vi è andato “a bottega” finite le elementari, il suo titolo di studio. «Con il mestiere che faccio – dice anticipando una qualche tua

prevedibile battuta – non posso chiedere a qualcuno “come stai?” L’amico o il conoscente ci vede subito un interesse “professionale”, e almeno mentalmente fa gli scongiuri…». Nella “bottega” - così ha sempre chiamato l’impresa di via Santa Marta - ci sono ovviamente bare e arredi funebri, e in bella evidenza puoi ammirare dipinti, sculture, disegni e qualche interessante documento. Non te li aspetteresti in quel posto,

la Madonna con Bambino eburnea di Giovanni Pisano Museo dell’Opera del Duomo, Pisa Stalin Poli e gli acquerelli di Gino Bonfanti Pisa distrutta dalla guerra del 1944 Stalin Poli e la “teoria” delle sculture lignee policrome, Museo di San Matteo, Pisa

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ma non li trovi stranianti. Sono una minima parte della collezione che tappezza la casa di Stalin, messa insieme in anni di appassionata ricerca. Stalin ti mostra i pezzi in “bottega” commentandoli con un profluvio di parole. Si sente che ogni quadro o documento testimonia per lui un’esperienza, un rapporto, l’esito di una “caccia” o di un incontro fortuito, e certo non nasconde la soddisfazione di possederli. Ma ancor più lo inorgoglisce il fatto di averli scoperti e sottratti all’oblio, quando gli è capitato di rinvenirli magari da un rigattiere o di averli avuti in via diretta dagli artisti. Ha conosciuto molti pittori e incisori famosi, da Pietro Annigoni a Mino Maccari, da Mario Schifano a Giuseppe Viviani, che sin da ragazzo lo


affascinava e che sentiva suo amico. Curiosità e interessi artistici di ampio raggio, dunque. Il suo pallino, tuttavia, sono sempre stati la cultura artistica e gli artisti pisani, dei quali ha finito col diventare una sorta di mecenate e di promotore con la vocazione a mettere in luce aspetti particolari e meno noti della loro opera, quando non il percorso complessivo. E non si è risparmiato nel presentare le proprie scoperte con il massimo corredo documentario e nelle degne sedi espositive. Sempre assumendo in proprio il carico degli impegni. Così è accaduto con il centinaio di tele del pittore “borderline” Luigi Scali (1931-2002) presentate in Palazzo Gambacorti nel 2008, dopo quarantotto anni dalla prima importante personale dell’amico artista che abitava nella stessa via Santa Marta ed era spesso “a bottega” da lui. Del poetico, delicato e sfortunato Gino Bonfanti (1900-1958) presentava nel 2011 alla Chiesa della Spina una vera e preziosa rarità: dieci acquerelli del 1944 sui “disastri” della guerra, immagini della città devastata che si aggiungevano con una nota toccante di lirica malinconia ai già noti dipinti e disegni di Giorgio Casini, Salvatore Pizzarello, Mino Rosi e altri testimoni del tempo. Nel 2013 proponeva al Museo Nazionale della Certosa di Calci un fitto album di acquerelli di Piero Bernardini (1922-1912), fantasioso e favoloso pittore e illustratore che Enzo Carli diceva capace di evocare in un «clima di lirico incanto, immagini della realtà e del sogno, balocchi e architetture, con un sentimento talvolta velato di malinconia, se non di dramma». Questo e altro, ha fatto Stalin Poli, che

Vincenzo Fancelli, copia lignea della Madonna con Bambino di Giovanni Pisano, 1946 Stalin Poli con il sindaco di Pisa Marco Filippeschi e il direttore del Museo di San Matteo Dario Matteoni Vincenzo Fancelli nello studio di Parigi, primi anni ‘60

oggi può far conoscere la Madonna con Bambino, legno scolpito dal ventiduenne pisano Vincenzo Fancelli nel 1946, l’anno in cui si trasferiva a Parigi dove oltre a scolpire in proprio, avviava un laboratorio di restauro scultoreo e architettonico divenuto prestigioso e ancor oggi attivo. Chiaro e raro esempio, questo, di sensibile riproduzione di una scultura antica, in questo caso l’eburnea Madonna con Bambino di Giovanni Pisano conservata nel Museo dell’Opera del Duomo di Pisa. Dove già la scultura di Fancelli è stata esposta; e andrà, ambasciatrice artistica pisana, all’Istituto Italiano di Cultura a Parigi e in Vaticano, dopo aver sostato all’aeroporto Galilei di Pisa quale saluto ai viaggiatori in arrivo e in transito da tutto il mondo.

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anniversario

Geppina Dilvo Fernando Prattichizzo

Giuseppina ed io, 1982 Cartolina della stazione di Noceto Nel sole con Giuseppina, 1990

E

stimatori, amici, conoscenti e studiosi dei coniugi Dilvo Lotti e Giuseppina Gazzarrini ritengono verosimilmente di conoscere in maniera completa la storia personale, oltre che artistico-culturale, della straordinaria coppia samminiatese, in considerazione dell’esistenza di numerose e recenti pubblicazioni – anche autobiografiche – che riportano notizie dettagliate su tutti gli aspetti della loro lunga vita. Partendo da un’analisi dei contributi lottiani all’arte, allo spettacolo, alla storia, alla critica e alla narrativa, ho ritenuto di poterlo inquadrare come autentico interprete del contrasto. Nell’arte visiva il contrasto è palpabile, è nella forma e nella sostanza, è tra la luce e l’oscurità, tra il bianco e il nero, tra la realtà e la fantasia, tra la serietà e lo scherzo, tra la storia e la favola, tra il naturale e il soprannaturale. Nella letteratura il contrasto emerge compiutamente dal romanzo La morte del paese, mentre nella storia, che si occupa dichiaratamente dei contrasti fra gli uomini, l’interesse precipuo di Dilvo si è focalizzato sulle origini samminiatesi della famiglia Buonaparte, da cui nacque il sommo

&

Dilvo Geppina

artefice del contrasto mondiale tra fine ‘700 e primi decenni ‘800. Per quanto riguarda lo spettacolo, sulla scia di San Genesio, patrono di San Miniato, che fu martire per essersi convertito alla fede proprio mentre burlava in teatro i misteri dei Cristiani, Dilvo contribuì nell’estate del 1947 alla nascita dell’Istituto del Dramma Popolare, che mette in scena ogni anno i tragici contrasti del mondo. Ma da che cosa nascono questa vocazione all’interpretazione del contrasto e la loro peculiare psicologia di coppia, costituente modello psicopedagogico ed “esempio” di relazione coniugale, secondo gli esperti? Per rispondere a questa domanda, occorre considerare un importante dato anamnestico, che anche le più estese autobiografie liquidano in quattro parole: orfani di padre entrambi. Per quanto riguarda la figura dei genitori, viene riferito poco sui padri, mentre qualcosa di più emerge sulle madri. Di quest’ultime, Giulia e Gesuina, finisce per emergere

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la figura di Giulia, essendo Gesuina scomparsa prematuramente, appena cinque mesi dopo le nozze di Giuseppina e Dilvo nel 1943. Ripercorriamo, innanzitutto, quanto emerge dall’autobiografia. Dilvo La perdita del capofamiglia, del padre, ha segnato la nostra crescita, definito i segni opposti dei nostri caratteri; del mio: babbo Ugo, avevo poco più di un anno quando ne rimasi orfano, non potevo averne l’immagine vissuta; i familiari insistevano perché lo ricordassi vivo, non erano nel vero; te, in età di capire e vedere, di tuo padre Gustavo, lo ricordi vivo, ed hai presente l’accadimento che segnò il destino della tua famiglia; per altre vie, forse, non ci saremmo incontrati. Il tuo animo porta nel fondo quella ferita, temi le ambiguità, temi il già avvenuto; senti apprensivamente, per la tua femminilità materna, che mi devi proteggere, anche dai pericoli ai quali si espone il mio spirito propenso all’ottimismo… Geppina A sette anni ero già orfana di mio padre, capostazione a San Romano di Montopoli, poi trasferito a Noceto, Parma. Era una famiglia felice, sei fratellini. I treni cullavano i nostri sogni. I prati fioriti, invasi da centinaia di farfalline azzurre, i noccioli, i mandorli, i rovi carichi di more erano i nostri punti di richiamo nei pomeriggi assolati dell’estate. Il 13 agosto 1926 passò dalla stazione di Noceto il Cardinale Maffi. Mamma, a noi tre più piccoli, preparò un bel mazzolino di fiori, certamente del giardino, per offrirlo al Cardinale. Tutti e tre con un bel grembiulino bianco al rallentare e poi fermare del treno, salimmo sulla vettura. Erano tre i Reverendi, io che portavo i fiori


li offrii al primo Monsignore, mi fece con un sorriso di no, li offrii al secondo che, accennando un no, mi indicò il Cardinale, finalmente, che li accettò accarezzandomi sorridente. E si vedeva che era lui il più importante, ma da piccini siamo un po’ timidi e sprovveduti. Il 24 agosto ci arrivò una lettera con la sua benedizione. Fu la benedizione per i martiri, il 24, Giorgio (13 anni) e mio padre furono uccisi. Come cambiò la nostra vita! Il baule già pronto con i nostri vestitini e costumi, anziché a Viareggio fu spedito a San Miniato con tutta la nostra vita. Arrivammo in sei, mamma con i suoi cinque figli, tutti vestiti di nero completamente, ma non so quale era la nostra reazione, se capimmo la nostra tragedia, eravamo vestiti di “quel colore vianesco” dalla maggiore di 11 anni Fiorenza, al più piccolo di 1 anno e 4 giorni, oggi ingegnere a Milano; e del tutto “nuovo” ricordo che mi piaceva il vestitino, il cappellino. Mamma adorata come facesti a sopportare, a vivere? Il Signore ti dette tanta forza, la sera durante le preghiere chiedevi a Dio il perdono per chi ci aveva resi orfani! La Direzione delle Ferrovie provvide con tanta umanità a tutto. Tramite il Cardinale Maffi, all’avvicinarsi dell’inverno, andammo Fiorenza ed io in collegio Sant’Anna a Pisa, e Federico all’Istituto di Santa Caterina; i due più piccoli: Giulietta e Beppino con mamma. Dodici anni di collegio, solo per le feste tornavamo a casa, e allora era per noi una gioia infinita! Ma Dilvo caro, tutto questo doveva accadere per incontrarci?... Dilvo Quando mia moglie sogna la madre, in quell’immagine che le si presenta, non riesce a distinguere, definire, quale sia delle due genitrici… Geppina Sogno di mia Madre Gesuina era una piccola bottega, ricca di fili, matasse e gomitoli, trine e rocchetti, fili dorati, per ordire intorno al mondo a nostra difesa, a difesa dei suoi bambini, una rete d’oro. Rimasta vedova a 36 anni, aveva avuto sei figli…; morì quando Federigo era prigioniero in India; Fiorenza era in Abruzzo (a Gessopalena, col fronte fermo da mesi e tutte le loro proprietà distrutte, seppe della sua morte dopo diverso tempo); Beppi-

no, diciottenne e studente, doveva partire militare; Giulietta, segretaria alle Magistrali, sarebbe rimasta sola. Quindi, la situazione familiare di entrambi appare veramente tragica. Ugo, il padre di Dilvo, faceva il barbiere a San Miniato e Dilvo non l’ha mai conosciuto, in quanto morì nel 1915, quando aveva appena 1 anno di vita. Dopo la sorella maggiore Anna Maria, nacquero due gemelli, Dreino e Dreina, che morirono subito dopo la nascita. La madre Giulia, infermiera presso l’Ospedale di San Miniato, morì il 12 gennaio 1983. Anche Ugo non aveva mai

conosciuto il padre, essendo nato da ragazza-madre. Per quanto riguarda Geppina, il padre Gustavo era nato a San Miniato in località Genovini e faceva il capostazione nella piccola città parmense di Noceto, tra Fornovo e Fidenza. Nel 1924 la stazione di Noceto aveva ricevuto il premio di 200 lire, come la più bella stazione d’Italia per arredo floreale. Geppina conserva ancora gelosamente la fotografia scattata in occasione del premio, in cui sulla sinistra si vede il padre, posto nel mezzo dei tre ferrovieri, mentre sulla destra c’è la madre, con i cinque figli fino a quel momento nati. Il padre ha lo sguardo rivolto al gruppo familiare, in cui Geppina è la bimba vestita di bianco, la seconda a partire da sinistra, mentre abbraccia i fratellini. Gustavo morì il 24 agosto 1926 all’età di 39 anni, insieme al figlio primogenito Giorgio, di appena

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13 anni, per mano di un manovale alcoolista, che avrebbe dovuto essere trasferito dalla stazione di Noceto. Dopo l’arresto, l’omicida Z. preferì suicidarsi, piuttosto che scontare la pena. La madre Gesuina morì il 16 dicembre 1943, appena cinque mesi dopo il matrimonio di Geppina. GEPPINA Ricordo ancora l’assordante frinire delle cicale. Era un’estate torrida. Ma i bambini chi li avrebbe trattenuti in casa, anche in quegli assolati pomeriggi? Nel bosco i rovi ricchi di more già colmavano il panierino al seguito di noi bambini. Erano circa le 16 e già pensavamo alla merenda. Io, sempre la più disponibile, mi offrii di tornare a casa per prendere la merenda. Ero con mamma, su al piano alto della stazione. Stava preparando la nostra merenda, quando fummo colpite da un forte rumore. Uno sparo? Di seguito un’altra fucilata? Atterrite scendemmo di corsa le scale. Beppino, di un anno e cinque giorni, rimase, custodito dall’Angelo Custode, su in cima alle scale, appoggiato alla ringhiera. Al richiamo di mia madre: “Gustavo! Gustavo! Giorgio!” nessuna risposta. In lontananza, lungo la ferrovia, il manovale col fucile in braccio stava andandosene. “Z., avete visto il mio marito?”. Si girò con un… sorriso: “è là in terra, premiato per la più bella stazione!” Nel giardino in fiore giaceva babbo; dalla parte opposta il primo colpito, Giorgio, di 13 anni! Arrivò il treno. Col sottocapo ressi forte mamma. Io avevo 7 anni, lei 36 e 6 figli, dei quali il più grande giaceva con l’addome squarciato tra i fiori! “O Dio! O Dio“ La mamma tentò di ricomporlo, mettendo dentro i visceri usciti dalla vasta ferita. Corse gente da tutte le parti, che assalì l’omicida impazzito. I carabinieri lo trasferirono in un reparto ospedaliero di Noceto. Due carabinieri erano di guardia alla porta della camera. Fu un attimo. Z. in un balzo scartò le guardie e si buttò giù dalla finestra del quinto piano! Si era spento il sole. Il baule, già pronto con i nostri costumini per il mare, cambiò direzione. Fu San Miniato la nostra nuova residenza. Dilvo, ti ho incontrato per questo? Quale sarebbe stato altrimenti il nostro avvenire! Ma tutto era già scritto!

Dilvo lotti Autorittratti 1931-2005 L’Accademia degli Euteleti, sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, dedica una mostra alle opere di Dilvo Lotti che hanno per soggetto l’autoritratto, in occasione del centenario della nascita. Accademia degli Euteleti, Palazzo Migliorati, San Miniato 8 giugnio - 31 agosto Curatore Luca Macchi Testi di Luca Macchi, Saverio Mecca, Maria Fancelli, Rossano Nistri


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a tu per tu

Aurelio

Amendola un mago in camera oscura Adolfo Lippi

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oteva scattare foto ai banchetti di matrimonio, fare ritratti alle modelle della moda. Invece a Pistoia, ragazzo, si innamorò dell’arte. Scoprì il pulpito di Giovanni Pisano nella chiesa di Sant’Andrea e prese fuoco la sua vocazione. Dice di sé Aurelio Amendola: «sono un artigiano». Invece è un artista, ha ottenuto uno strepitoso successo alla Triennale di Milano, rimane il più grande fotografo d’arte contemporanea in Italia. E non solo.

Di lui si conoscono foto ad Andy Warhol e Alberto Burri, a De Chirico e Claudio Parmeggiani, a Ceroli fantastico scolpitore di legni ed Eliseo Mattiacci. Per trovare Amendola basta andare al suo studio a Celle, campagna pistoiese. Abita una villa che fu l’ultima roccaforte dei Borboni in Italia. Vi vennero ospiti i principi regnanti inglesi. Dissero i Borboni: «vendiamo tutto meno questa proprietà». Tanto erano incantati dal paesaggio

festoso di olivi e cipressi. Incantevole e poetico. Amendola regna e lavora in uno spazio luminosissimo. è circondato da opere che segnano la sua carriera, qua un Kounellis là un Cucchi. Ma la sua vita viene da lontano, quando ancora bimbetto, a scuola l’inverno, in estate si dedicava a lavare fotografie in un laboratorio dove passavano le foto per le carte d’identità e i ritratti di famiglia. Siccome Aurelio era svelto, accorto,


appassionato, si impratichì bene del mestiere e grazie a un consigliere d’eccezione, Gian Lorenzo Bellini, storico d’arte, fu intrigato dal pulpito di Giovanni Pisano. Mica uno scherzo. è un pulpito spinto di fregi, pieghe, ombre, colpi grezzi, levigature quasi bagnate, la luce artificiale passa sopra e lo divora, lo appiattisce, lo annulla. Amendola pensò di fotografarlo a luce ambiente, solo chiari, solo scuri naturali e trovò l’effetto giusto. Così le sue foto furono mostrate da Mellini all’editore di Electa, Giorgio Fantoni, e ne uscì un libro davvero prezioso. Vanto a Pistoia. C’era un altro pistoiese che in quegli anni affrontava il mondo e il successo. Si chiamava Marino Marini, era uno degli scultori più importanti, era l’uomo che, quasi alchemico, fondeva nelle opere tradizioni etrusche, richiami classici, slanci attualissimi alla modernità, sintesi mozzafiato. Amendola lo conobbe in una esposizione magnifica a Palazzo Venezia a Roma (io stesso cominciai a scrivere d’arte nella stessa circostanza) e i due si intesero così bene che, assieme, crearono una celebre foto scattata a Forte dei Marmi, con Marini assecondato da un potente cavallo bianco. La foto apparve su un libro su Marini, sempre realizzato da Amendola, pubblicato grazie alla Cassa di Risparmio di Pistoia. Poi per Amendola fu tutto il percorso in discesa. Andò a New York con Finotti, altro scultore eccelso e fotografò Andy Warhol. Grazie a Pericle Fazzini conobbe Burri e lo fotografò mentre crea e dipinge con il fuoco della fiamma ossidrica. Dopo Burri vennero Emilio Vedova e Renato Guttuso, Giorgio De Chirico (immortalato in gondola a Venezia), Sandro Chia e la Transavanguardia di Bonito Oliva con Enzo Cucchi e Mimmo Paladino. Venne Manzù con le sue porte vaticane. Venne Antonio Recalcati. Poi Parmeggiani, poi Nicola De Maria. Significa, con Schifano, la gamma intera del Contemporaneo. Amendola non si è fatto mancare nulla. Anche oggi che potrebbe vivere di rammentazioni corre da un capo all’altro a scoprire i giovani, gli emergenti consolidati, da Parigi alla Costa Azzurra, dall’Argentina (siamo stati insieme sulle Ande grazie al mece-

natismo di Daniele Crippa inventore del “museo di scultura”a Portofino), fino all’Uruguay. Però la sua autentica passione resta Michelangelo. Dice Amendola: «Di Michelangelo sono amico, ci parlo, catturo la vita insita nel marmo delle sue opere non percepibile ad occhio nudo». Per Michelangelo gli hanno aperto San Pietro (dove ha potuto fotografare la Pietà come non s’era mai veduta), gli hanno spalancato l’Hermitage di San Pietroburgo. Così Amendola ha potuto pubblicare numerosi volumi divenuti tesori al collezionismo. E con le foto ha fatto mostre rilevanti alla conoscenza del grande fiorentino. Tra queste Michelangelo, sen-

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sualità e passione presso l’Abbazia di Rosazzo (2013) trasferita alla Fundacion Atchugarry in Uruguay. In questi tempi la Triennale di Milano gli ha dedicato una vasta antologica, tre saloni colmi di ritratti, tre saloni che testimoniano il viaggio nell’arte antica (Michelangelo) e in quella contemporanea della quale Amendola resta un visitatore privilegiato. Sempre con foto analogiche spiega Amendola: «non si può togliere la camera oscura ad un fotografo. è il 50% del nostro lavoro». E nella camera oscura si ritrae come un antico mago, per riemergere con foto di struggente genialità. Foto Amendola, Triennale di Milano


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visibile parlare

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in Roberto Giovannelli

carpento Officina pittorica. Pensieri intorno alle urne volterrane

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i adagiano nuove figure viventi sulle urne cinerarie dell’agro volterrano radunate come pani lievitanti nelle sale del Museo Guarnacci: folla d’immagini, viaggio agli Inferi e trapasso nella serena dimora degli Elisi. Qualcuno fra i loro antichi abitatori ha ceduto temporaneamente il proprio giaciglio sul coperchio di pietra comune o alabastrina per rendere partecipe della divinità un curioso viandante, ora incarnato e recumbente come un Dio o un eroe sui bassorilievi figurati che ornano il fronte dell’urna, fino a girare talvolta sulle strette pareti laterali di quella. Una folla di significazioni simboliche si agita nei chiaroscuri degli anaglifici fondali, indizio di religiosi percorsi, di credenze che dal mare burrascoso della vita mondana (piacere e dolore) conducono sulla strada di durevoli beni. Coricato su un traslucido sasso – nelle vesti di quel novello passeggero –, ho in fronte ad un momentaneo letto la scena

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combattente con un centauro, ora in altro mi dispongo sovrastante Menelao che minaccia di morte Elena, e in altro ancora mi atteggio, come

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bellicosa di Capaneo temerario che, fulminato da Giove per il suo inveire contro gli Dei, precipita a testa in giù da una scala a pioli appoggiata alla porta merlata di Tebe (ardita composizione che al Rosso Fiorentino non dispiacerebbe vedere a fianco della sua Deposizione nitida come un commesso di pietre dure, dimorante in una sala del vicino palazzo Minucci Solaini). Lasciato quel primo giaciglio ora mi adagio su un altro lettuccio che ha in frontespizio Teseo

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1. Roberto Giovannelli, In cammino per nuove memorie, 2013, olio su tavola in cornice dorata centinata cm 24,5x58,5 2. Roberto Giovannelli, In carpento, 2014 matita nera lumeggiata su carta preparata cm 45,5x60,5 3. Roberto Giovannelli, Rosso Fiorentino, al fuoco, al fuoco..., 1979, tempera su cartone martello cm 51x36,5 4. Roberto Giovannelli, Lettera al Rosso Fiorentino, 1979, tempera su cartone martello cm 51x36,5 5. Viaggio all’oltretomba, urna, Museo Guarnacci, Volterra; Capaneo fulminato da Giove alla porta di Tebe, urna, Museo Guarnacci, Volterra 6. Roberto Giovannelli, Orizzonti, 2013 modelletto in creta cm 21x13x34h 7. Roberto Giovannelli, Orizzonti, 2013, bronzo cm 21x13x34h 8. Roberto Giovannelli, 2013, Meditazioni in agro volterrano, modelletto in creta cm 30x13x30h

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galleggiante sulla scena di Ulisse tentato dal canto ammaliante delle sirene. Poi cedo il passo a una giovane figura femminile (simbolo dell’influenza d’amore sull’anima umana) che mi sia compagna nel delizioso girovagare e nell’ozioso riposo sul prescelto coperchio, palco sul quale potremo insieme dar vita ad altre molte figurazioni di animali e di chimerici individui. Ma, oltre al fascino delle eroiche, mitologiche imprese che ci hanno fin qui accompagnato, dirò ricordando D’Annunzio e il suo mirabile percorso volterrano in Forse che sì forse che no, che «Fra tutti i viaggi agli Inferi mi piace l’equestre»: ecco nel fronte di un’urna l’anima di un estinto andar cavalcando verso l’altro mondo, ed ecco Mercurio con-

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dottiero infernale armato del maglio distruttore. In quel tragitto «i Mani, a piedi, a cavallo, venivano incontro ai viaggianti, in carpento in lettiga in quadriga. I corsieri aggiogati ai carri chinavano il collo così che la criniera toccava la terra come quella del sauro d’Achille nel presagio di morte. Un giovane cavaliere cavalcava tutto avvolto nel mantello, con la bocca nascosta dal lembo, pel lungo cammino senza ritorno».

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L’arte in italia

SACRI SPLENDORI

CAOS VACILLA

10 giugno 2014 2 novembre 2014

9 maggio 2014 28 settembre 2014

FIRENZE

Cassino

Museo degli Argenti

LE VIE DELLA SCULTURA 27 luglio 2014 27 ottobre 2014 Forte dei Marmi

CaMusAC

Villa Bertelli

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a mostra rappresenta uno spaccato di storia dedicato alla devozione tutta medicea verso il sacro, che trova degna apoteosi nella Cappella di Palazzo Pitti, progettata per ospitare fastosi reliquiari realizzati in argento, oro, corallo, avorio, pietre preziose. Cristina di Lorena, Maria Maddalena d’Asburgo, Vittoria della Rovere, suo figlio Cosimo III accrescono notevolmente tale tesoro da farlo diventare camera delle meraviglie invidiata presso corti europee e nostrane. L’esposizione intende ricomporre questo patrimonio, in parte smembrato o fuso già in epoca lorenese, operazione possibile grazie all’inventario redatto nel XVII secolo. La produzione presente nelle sale vanta nomi illustri tra maestri e orafi, ospitati presso Casa Medici, tra i quali Massimiliano Soldani Benzi, Cosimo Merlini il Giovane, Giuseppe Antonio Torricelli, Giovan Battista Foggini.

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deate per il magnifico CaMusAC, nove sculture di Hidetoshi Nagasawa trovano degna accoglienza nel suo padiglione centrale, supportate dalla cosiddetta Collezione Permanente Due, ospitata negli ambienti restanti, creando un teatrale senso della spazialità. La perfetta simbiosi tra i differenti materiali utilizzati conferisce alle opere armonia, slancio, movimento, studiati attraverso oculati accostamenti che spaziano dal marmo rosso al ferro di interferenza, dalle travi in rovere ai blocchi lapideo-metallici. Le opere in esposizione possono certamente definirsi il trionfo della materia, una sfida alla pari con la gravità che si impone sulle medesime senza, tuttavia, riuscire a piegarle. In osservanza alla cultura Zen, queste grandi sculture sembrano dialogare mutuamente e, tutte insieme, instaurano una sbalorditiva sinergia con l’osservatore.

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li Uffizi in trasferta a Forte dei Marmi con nomi altisonanti! Villa Bertelli ospita ritratti ed autoritratti legati all’arte contemporanea, mirabile carrellata firmata da Francesco Messina, Henry Moore, Marino Marini, Giacomo Manzù, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Palladino, Hidetoshi Nagasawa, Giuliano Vangi, Arturo Dazzi, Ogor Mitoraj, Roberto Barni, Louise Bourgeois, Jan Fabri, Ugo Guidi, Arman. Provenienti dalle donazioni accordate al celebre Museo fiorentino, le bellissime tele sono supportate da leggiadre sculture create dai maestri menzionati, sensibili ingegni infatuati dal paesaggio toscano. L’evento è stato ideato per il centenario di Forte indissolubilmente legato a quel candido marmo celebre nel mondo e le sculture in esposizione rappresentano una dichiarazione aperta di amore verso questo magico luogo.

LAURA APRILE, PATRICIA GLAUSER, FEDERICO CAVICCHIOLI: nudité femelle - revisited 26 luglio 2014 - 16 agosto 2014

Seravezza Scuderie di Palazzo Mediceo

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l nudo femminile, inteso come epifania di bellezza, simbolo del mistero della vita e icona di eros e seduzione, costituisce uno dei temi più fecondi dell’intera storia dell’arte. Si tratta d’un motivo inesauribile attraverso il quale, di generazione in generazione, ogni artista rinnova il proprio stupore poetico e la singolarità delle proprie imprevedibili scoperte. Così come accade anche in quest’interessante mostra collettiva Nudité femelle - Rivisited, dove, pur passando attraverso linguaggi del tutto diversi: la pittura (Laura Aprile), l’installazione scolpita (Patricia Glauser), la fotografia (Federico Cavicchioli), questi tre giovani artisti sanno offrirci del corpo femminile una loro visione originale e un risultato artistico consapevole e denso d’emozioni.

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Carmelo De Luca

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LA FORTUNA DEI PRIMITIVI 24 Giugno 2014 8 Dicembre 2014 FIRENZE Galleria dell’Accademia

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iuscitissima panoramica sul collezionismo italiano tra XVIII e XIX secolo, la mostra illustra quel fermento culturale nostrano influenzante future raccolte pubbliche europee dedicate ai ricercati Pri-

RINASCIMENTI ECCENTRICI 12 luglio 2014 2 novembre 2014 TRENTO Castello del Buonconsiglio

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overoso tributo a Dosso Dossi, che nell’austero maniero tridentino operò attivamente, la mostra ospita capolavori artistici creati a Ferrara, Urbino, Trento, rinomate corti rinascimentali molto

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mitivi, preziosi capolavori realizzati su tavola con fondo in oro lucente. Nelle sale trovano anche posto coloro che hanno scovato questi tesori, pioneristici Indiana Jones assoldati per rivendere ad agenti, mercanti, procacciatori, restauratori. Madre munifica nel partorire maestri ed opere eccelse, la Toscana ha da sempre generato figli eccelsi nella produzione artistica tre-quattrocentesca, pertanto Firenze ritiene doveroso rendere omaggio a questo importante fenomeno culturale. Angelo Maria Bandini, Teodoro Correr, Francesco Raimondo Adami, Tommaso degli Obizzi, Gabriello Riccardi, Guglielmo Libri, rappresentano alcuni nomi presenti in mostra, nasi sopraffini capaci di riconoscere capolavori come dimostrano i dipinti destinati alle proprie raffinate collezioni, alcuni presenti nelle sale espositive insieme a sculture e miniature. Il parterre dei maestri ospitati nel celebre museo fiorentino è davvero ricco, basti menzionare Arnolfo di Cambio, Bernardo Daddi, Taddeo Gaddi, Ambrogio Lorenzetti, il Beato Angelico, Filippo Lippi, Andrea Mantegna, Cosmè Tura, Giovanni Bellini.

attente alle migliori maestranze cinquecentesche. Figure drammatiche, costruite con un sapiente contrasto del colore, caratterizzano la prima formazione del pittore che, nella maturità, tocca delicatamente forme monumentali legate alla primordiale “maniera” e un classicismo pacato, plasmati da un’allegoria decisamente ironica. Giorgione, Raffaello, Tiziano, Michelangelo rappresentano validi riferimenti per la crescita culturale del maestro come dimostrano alcuni preziosi dipinti presenti in mostra, basti menzionare il Suonatore di flauto della Galleria Borghese oppure il Cavaliere di Malta proveniente dagli Uffizi. Il possente maniero tridentino custodisce scenografici affreschi realizzati dal maestro insieme al fratello Battista, meravigliose creazioni tra sacro e mitologia, conoscenze alchemiche e divertente inventiva, che sembrano dialogare con le opere in esso ospitate. Cinque splendide sezioni vantano prestiti eccezionali, provenienti da prestigiose istituzioni, tra i quali si annovera l’enigmatico Giove pittore di farfalle, Circe, Fuga in Egitto, Allegoria di Ercole.


ARTù A CASTEL RONCOLO 4 maggio 2014 30 novembre 2014 BOLZANO Castel Roncolo

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n rarissimo reperto mai esposto rappresenta il pezzo forte dell’originale mostra ospitata presso Castel Roncolo. Dalla preziosa Historia regum Britanniae, è arrivata a Bolzano la prima testimonian-

PINO DEODATO CERTO, CERTISSIMO, ANZI PROBABILE 5-24 luglio 2014 piETRASANTA Galleria Susanna Orlando

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ino Deodato, con il suo personale linguaggio semplice ed essenziale, affronta temi complessi e contenuti profondi che si esprimono sia nella leggerezza delle sculture sia nel mondo onirico delle tele. Il suo lavoro narra la vita, invita a rifettere sulla verità, sulla meraviglia. La mostra site specifc, Certo, certissimo, anzi

za scritta sul leggendario Sovrano racchiusa nel celebre manoscritto che Geoffrey of Monmouth ha redatto intorno al 1136, presso l’austero maniero bolzanino. Le gesta di Artù trovano supporto nelle testimonianze custodite presso la Biblioteca Vintler e in altri blasonati ambienti supportati dallo scenografico ciclo pittorico che li abbellisce e, in particolare, la celebre Casa d’Estate ne rappresenta il sancta sanctorum. In effetti gli affreschi coprenti intere pareti rappresentano un inno al Medioevo laico, quasi una sublimazione del mito legato all’illustre personaggio con i suoi cavalieri magnificamente agghindati intorno al magico tavolo circolare, tra i quali Gavino trova degna considerazione. Nelle raffigurazioni, Artù personifica il buon governo, faro luminosissimo per i sudditi dediti al suo servizio, esempio da imitare per i signori governanti Roncolo. Le spade ritrovate in alcuni fiumi locali simili alla celebre Excalibur, ne sono testimonianza. Prestiti eccezionali provenienti da Innsbruck, Stams, Trento completano le meraviglie presenti nelle sale espositive.

probabile, da una nota frase di Ennio Flaiano, presenta quaranta nuovi lavori tra terrecotte, disegni, dipinti e un’installazione pittorica su parete che daranno vita a un ambiente totale, dove la ricerca della verità e lo stupore verso l’universo saranno i temi dominanti. Protagonista centrale è pertanto la figura di San Tommaso, che per antonomasia incarna colui che è alla continua ricerca della conoscenza, della verità, della realtà. Deodato, inoltre, in questa mostra abbandona la sua consueta tavolozza di colori morbidi ed eterei affidandosi al bianco e nero, simboli a loro volta di decisioni certe. La galleria si popolerà di uomini ideali, impegnati in viaggi reali e immaginari tesi nella ricerca della verità, curiosi di nuove scoperte, con la mente e il corpo impegnati a trovare risposte ai loro dubbi esistenziali, alle loro domande, alla loro stessa esistenza. La mostra, avrà una doppia location; oltre al site specifc nella sede della Galleria di Pietrasanta, le opere di Pino Deodato saranno esposte anche nella sede di Forte dei Marmi.

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Haslital

& Jungfrau

due amori d’alta quota Jungfrau Railways

Carmelo De Luca

Jungfrau Marathon

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icercate una meta emozionante? Ecco il consiglio: Quattro stracci in valigia e recatevi nell’Oberland Bernese, più esattamente presso la Jungfrau. Arrivati in loco, uno spettacolo grandioso ideato da madre natura toglierà il fiato anche ai profani. Già in primavera, l’azzurro intenso del cielo sembra abbracciare prati e boschi aghiformi, cime irsute “spruzzate” di candida neve, ghiacciai trasparenti, sgargianti varietà floristiche presenti in questo eden. All’imbrunire, la volta celeste si impregna di aurea polvere scintillante, così uno sterminato luccichio avvolge teneramente quei luoghi ameni rendendoli speciali, romantici, preziosi. Grindelwald, Lauterbrunne, Mürren, Wengen, rappresentano le perle turistiche del posto, deliziosi villaggi dove il tempo sì è fermato grazie al rapporto viscerale tra architettura urbana dal sapore antico, abitanti assolutamente rispettosi dell’ambiente, paesaggio incontaminato. Numerosi sentieri animano l’intero comprensorio permettendo allettanti passeggiate tra sorprese inaspettate: Fragorose cascatelle (la valle di Lauterbrunnen ne vanta tantissime, basti menzionare Staubbach con i suoi dirompenti 300 m), romantici laghetti, fauna ricchissima, tipici casolari in pietra o in legno, panorami da togliere il respiro costelleranno ogni vostro tragitto. Questo magnifico territorio possiede

sangue blu per appartenenza al nobile casato UNESCO, ottenuto grazie alla sua ineguagliabile bellezza da godere utilizzando la rete ferroviaria con binari a scartamento metrico e ruota centrale dentata che, partendo da Kleine Scheidegg, costeggia superbi massicci chiamati Eiger, Mönch, Jungfrau, per poi dirigersi “in cielo” sino allo Jungfraujoch-Top of Europe con vista sul celeberrimo ghiacciaio Aletsch, primato ambito dallo Schilthorn dove dimora il celebre ristorante rotante (ospitata nelle Prealpi Bernesi, la splendida cima si raggiunge partendo da Mürren). Rimanendo nei trasporti, si consiglia l’escursione in treno da Wilderswil a Schynige Platte per ammirare rarità floristiche presso l’originale orto botanico. E gli amanti delle emozioni forti? Subito accontentati: Sospesi su un cavo, lungo 800m, percorrerete il tragitto First-Schreckfeld alla modica velocità di 84 Km/h! L’agonismo estremo trova anche sfogo nella Eiger Bike Challenge, da disputare su tre percorsi montani sino a 3900 m (l’evento è in programma per il prossimo 17 agosto) e nella maratona settembrina che, partendo da Interlaken, raggiunge la parete nord dell’Eiger. Festival dedicati a danze folk, al lunghissimo Corno delle Alpi, bande musicali, costumi tradizionali, una cucina casereccia gustosissima, alberghi per tutte le tasche, pacchetti promozionali First Bachalp Lake with Schreckhor

allettanti completano la ricca offerta di questo splendido territorio vocato all’ospitalità, ma per maggiori informazioni consultate il sito www.jungfrauregion.ch. Riprendiamo il nostro fantastico viaggio con destinazione Haslital, ridente vallata tra Interlaken e Lucerna. Circondato dai valichi alpini di Grimsel, Susten, Grosse Scheidegg, Brünig, questo ambiente bucolico promuove tradizioni, cultura, attività ricreative e sportive, relax, insomma un toccasana per le famiglie. Ammirando l’ambiente paesaggistico si ha la sensazione di stare in un museo dedicato alle scienze naturali tra meraviglie inimaginabili, in effetti il territorio rappresenta un districato puzzle, sui cui tasselli sono impressi laghi azzurrissimi, tortuosi torrenti, rigogliose selve con piante secolari, scenografici villaggi, superbi rilievi circondati da ghiacciai perenni così belli da sembrare sculture michelangiolesche. Scoprire angoli reconditi, custoditi in questa nobile terra è semplicissimo grazie agli attrezzati viottoli disseminati dappertutto, ideali per praticare trekking, mountain bike, scooter, semplici passeggiate e, per una sensazionale visione dall’alto, da non perdere il giro sulla Gelmerbahn, la funicolare più ripida al mondo, che vi condurrà da Handegg al Lago Gelmerse, oppure raggiungete Planplatten in cabinovia per pranzare a 2250 m nel famoso ristorante Torre


Haslital: Alpentower

Alpen tra il silenzio irreale spezzato dal grido delle aquile. Nel vostro programma è obbligo inserire Brienzwiler, Gadmen, Guttannen, Hasliberg, Innertkirchen, Meiringen, Schattenhalb, piccoli capolavori architettonici immersi in una vegetazione rigogliosa con ottime strutture alberghiere, eccellente gastronomia, valide strutture per praticare nuoto, tennis, palestra oppure semplicemente rilassarsi negli attrezzati centri benessere. A proposito, anche questo territorio esclusivo appartiene ai siti tutelati dall’UNESCO ed un ricco programma estivo ne invogliala la visita. Si parte a luglio con la stagione concertistica e teatrale per arrivare sino alle celebri gare Mountain Men, temutissima sfida atletica sino a quota 5000 m, e Alpenbrevet con oltre 2500 ciclisti che si affrontano su ben tre circuiti alpini. Ah, da non dimenticare il Raduno Federale di Campanari, un gioioso melange tra tradizione, suoni, allegria. Maggiori informazioni su questi nobili luoghi le troverete esplorando il sito www.haslital.ch.

Haslital: Alphorn Rosenlaui

Haslital: Engstlenalp

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Portovenere D

omenica limpida e soleggiata, una meta balza subito alla mente per una giornata all’insegna del relax e della tranquillità: Portovenere. Si tratta di un piccolo borgo antico situato a strapiombo sul mare sulla costa ligure in provincia di La Spezia. Portovenere (Portus Veneris) deve il suo nome al tempio dedicato alla dea Venere Ericina, anticamente posto nel luogo dove ora si trova la chiesa di San Pietro, e molto probabilmente legato al mito della dea nata dalla spuma del mare, che si trova in quantità abbondante proprio sotto la scogliera su cui sorgeva il tempio. Dal 1997 il borgo, che fa parte del “Golfo dei Poeti“ (così è anche chiamato il Golfo di La Spezia), insieme alle isole Palmaria, Tino, Tinetto e le Cinque Terre, è stato dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità; ma prima di arrivare ai giorni nostri e a essere considerato un luogo elegante e ricco di storia dove recarsi a fare una bella passeggiata e osservare lo splendido paesaggio naturalistico, magari pranzando in uno dei tanti

ristorantini in riva al mare, è necessario ricordare il suo passato di borgo abitato da antichi pescatori e assalito ripetutamente dalle più svariate popolazioni: Longobardi, Saraceni e Normanni. Perfino Napoleone Bonaparte fu incantato da questo luogo e quindi spinto ad annetterlo con la Repubblica Ligure al Primo Impero Francese del 1805, compiendo una serie di opere pubbliche al fine di valorizzarne il territorio, tra cui la strada litoranea denominata “Strada napoleonica“ che ancora oggi collega il borgo marinaro a La Spezia. Il centro del paese, racchiuso da mura imponenti, è costituito da casette colorate, da numerose chiese e santuari e dal Castello Doria, risalente al 1161 d.C., situato sull’altura rocciosa dominante il borgo ligure e considerata una delle più maestose architetture militari edificate dalla Repubblica di Genova. All’interno del piccolo borgo, meta tra le più rinomate in Liguria, è possibile passeggiare tra le antiche vie lastricate, facendosi coccolare dal profumo dei piatti tipici del posto

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proveniente da taverne e ristoranti e osservando divertiti i tanti souvenir presenti nei negozi. In un batter d’occhio arriva il tramonto e il momento di tornare a casa, quasi dispiace abbandonare questo luogo magico, ma osservando il calar del sole sul mare di Portovenere il rientro appare all’improvviso più dolce e arricchito da un’insolita pace interiore.

Luvi Alderighi

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STORIA

Cavalieri al crepuscolo la morte di Enrico VII imperatore, 24 agosto 1313 Paola Ircani Menichini

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l 24 agosto 1313 il quarantenne imperatore Enrico VII di Lussemburgo moriva a Buonconvento (Siena), dopo poco più di una settimana di malattia. I medici, che ne avevano accertato le gravi condizioni, assieme ai potenti dell’esercito tedesco che erano con lui, avevano avuto timore a comunicargli la notizia della prossima morte e alla fine si era incaricato dello spiacevole compito il cognato, il conte Amedeo di Savoia. Quindi, con rassegnazione, l’impera-

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tore si era confessato dal domenicano fra Bernardino di Montepulciano e aveva ricevuto i sacramenti. Affrontava la morte nella maniera in cui era vissuto, come un coraggioso che aveva inseguito fino all’ultimo l’utopia di difendere gli oppressi, tramite la restaurazione del potere imperiale e la conquista dell’Italia. E se nella Penisola era stato appoggiato dai ghibellini e da molte persone di cultura, tra i quali Dante Alighieri che sognava la sua patria come “città libera dell’Im1. Moneta di Enrico VII (pfennig), Francoforte, da pero”, altrettanto tenacemente era www.muenzauktion.com stato contrastato da papa Clemente V, dagli Angioini di Napoli e soprat2. Miniature delle gesta tutto dalla stessa Firenze e dalle citdi Enrico VII, dipinte tà guelfe che non a torto ritenevano nel “Codex Balduini prescritti gli antichi diritti imperiali su Trevirensis”, 1325, da di loro. Da lungo tempo ormai i Cohttp://de.wikipedia.org

muni rappresentavano le nuove forze politiche e sociali d’Italia e le loro decisioni, le loro guerre, le loro alleanze non erano più determinate dai funzionari imperiali e dalle “regalie” (diritti regi) delle quali si erano già impadroniti. Né tantomeno si ritenevano importanti le vicende di cavalleria e d’arme, e il senso d’onore dei nobili tedeschi che, sulle tracce dei loro predecessori, avevano oltrepassato le Alpi per raccogliere l’eredità perduta. Tuttavia, alla morte di Enrico, la delusione per molti, compreso Dante, fu grande. Da poi che la natura ha fine posto / al viver di colui, in cui Virtute / come ’n su’ proprio loco dimorava, /i’ prego lei che ’l mio finir sia tosto, / poi che vedovo son d’ogni salute … Così scriveva il poeta Cino da Pistoia all’inizio della canzone CLXIII piena d’affanni e di sospiri, composta in occasione della morte dell’imperatore, colui che - parafrasandone i versi - il mondo illuminava in ogni parte e che ora non si poteva più riavere. Erano andati via con lui il senno, la prodezza, la giustizia, la temperanza. Ma che cosa dico - il poeta ammette l’errore - Enrico non è morto: vive beato in gran dolcezza, nella fama della sua saggezza e nel buon nome

ti più di nove mesi rispetto a quello moderno. In breve il resoconto della sua spedizione in Italia. Il 23 ottobre 1310 Enrico e l’ esercito tedesco formato da circa 5000 uomini passavano le Alpi e giungevano a Susa. Il 6 gennaio 1311 in Sant’Ambrogio a Milano il conte di Lussemburgo e re di Germania e la moglie Margherita di Brabante ricevevano sul capo la corona del regno d’Italia. Le feste a seguire erano state grandi, ma immediati erano scoppiati anche i timori e i dissensi: a Milano, a Cremona, a Brescia e altrove. Le città si erano ribellate e erano state sottomesse, mentre alla testa dei guelfi italiani si era posto re Roberto di Napoli che aveva fatto occupare parte di Roma da suo fratello Giovanni, per impedire l’incoronazione di Enrico a imperatore. Il quale, ben determinato, aveva proseguito la sua marcia fino a quando, il 29 giugno

sì ch’ogni età n’avrà testimonianza. E anche nella nostra “età”, in occasione del VII centenario della morte, un ricordo gli è stato tributato in modo più o meno ampio da diverse istituzioni. Ne facciamo memoria pure in questa sede considerando che l’anno 2013 è appena trascorso e che a Pisa, città dove è sepolto, allora correva l’anno 1314, secondo il computo del calendario locale il cui inizio cadeva il 25 marzo ed era avan-

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1312, in San Giovanni in Laterano e in una Città Eterna occupata sia dagli angioini che dai tedeschi, era riuscito nel suo intento grazie solo all’azione violenta del popolo romano. Nei mesi precedenti il re aveva soggiornato a Genova, dove il 14 dicembre 1311 era morta la moglie Margherita, e a Pisa (marzo 1312). Il 19 settembre 1312 poi aveva posto l’assedio a Firenze, ma si era ritirato il 30 ottobre per la piena dell’Arno e per la mancanza di rifornimenti. Dopo l’accampamento nel quartiere d’inverno, l’8 marzo 1313 aveva lasciato Poggibonsi e si era diretto di nuovo verso Pisa. Da qui era partito il

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primo agosto intenzionato a fare una spedizione verso il Mezzogiorno. Enrico terminò la sua vita non in una reggia e nemmeno in una grande città ma in un villaggio senese. Quando dopo il 24 agosto la notizia della sua morte si sparse nell’esercito non si volle credere a una malattia ma che fosse stato avvelenato dal confessore con l’ostia e con il calice del vino durante la messa della vigilia dell’Assunta. La malattia infatti si era manifestata due giorni dopo il 15 agosto, anche se non era da collegarsi ad un avvelenamento. Il delitto però fu dato per sicuro in Toscana, in Italia, in Germania e in Francia e continuò ad essere creduto tale per secoli dai cronisti e dagli storici partigiani. Secondo questa convinzione, i mandanti erano stati i guelfi fiorentini, che avevano corrotto il confessore e che furono maledetti per decenni in romanze e sonetti. Anche i domenicani furono spesso assaliti e feriti per odio e per vendetta. Lo stesso fra Bernardino, fervente ghibellino, che aveva studiato a Colonia e a Parigi ed era stato innalzato da Enrico a un grado principesco, minacciato di morte dai tedeschi, fuggì da Buonconvento e riparò nel convento del suo ordine ad Arezzo, città ghibellina. Dopo la morte dell’imperatore il maresciallo Enrico di Fiandra assunse il comando della sua guardia privata. Dieci cavalieri con in testa gli elmi d‘acciaio portarono la bara fino a Suvereto. Li seguì l’esercito. Il caldo estivo impedì la mummificazione del corpo che pertanto

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fu bruciato. I resti furono trasferiti alle porte di Pisa e ricevuti da 3000 uomini e donne in abito di lutto e piangenti. Infatti, come scrive il Davidsohn (Storia di Firenze), con un po’ di ironia, la città aveva motivo di lamentarsi a causa dei «due milioni di fiorini d’oro dati per un’impresa fallita». Il 2 settembre ebbero luogo le esequie solenni in Duomo. I resti furono avvolti in un drappo di broccato di seta rossa, intessuto con figure di aquile e leoni, e accanto deposti la corona, lo scettro e il globo imperiale d’argento dorato. Il monumento funebre in cattedrale fu scolpito dal maestro senese Tino di Camaino, allievo di Giovanni Pisano. Vari santi furono raffigurati nel fronte dell’arca e sopra vi fu sistemata la statua di Enrico, vestito del manto imperiale. Al di sotto un’aquila reggeva un’insegna col motto: Quid quid facimus, venit ex alto (Quello che facciamo, viene dall’alto). Il sepolcro fu collocato nella tribuna dietro l’altare maggiore, ma con il passare dei secoli subì degli spostamenti. Nel 1494 venne sistemato nella cappella di san Ranieri, nel 1727 posto nel muro sopra la porta di sagrestia, nel 1829 collocato nel Camposanto di Pisa e infine nel 1921 spostato di nuovo nella cappella di San Ranieri, dove se ne può ancora oggi ammirare una parte1.

Note 1 La maggior parte delle notizie riportate nel testo sono tratte da Robert Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1973, IV, pp. 552 ss.

3. Tino di Camaino, Enrico VII e i consiglieri, 1315, Pisa, Museo dell’Opera del Duomo, da chez-edmea. blogspot.it 4. Tino di Camaino, Tomba di Enrico VII, 1315, Pisa, Cattedrale, cappella di San Ranieri, foto da www.foliamagazine.it


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STORIA

l’eccidio

Andrea Bechini

dimenticato

Graziano Bellini

“... poi da qui si saltò e s’andò in un campo di saggina”

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ono passati 70 anni dalla strage di civili, per lo più donne, vecchi e bambini, nel Padule di Fucecchio. 70 lunghi anni durante i quali la memoria è stata la grande assente di quella tragedia che fu catalogata, dai tribunali militari dell’epoca, come uno fra i più efferati “crimini contro l’umanità” della Seconda Guerra Mondiale. 174 civili uccisi dai tedeschi in una sola mattinata, quella del 23 agosto 1944, quella del ’44 fu una delle estati più calde degli ultimi dieci anni. I raccolti erano sempre nei campi perché gli uomini non c’erano. Chi non era stato catturato dai tedeschi, per essere avviato ai lavori forzati nella costruzione della Linea Gotica, si nascondeva nei rifugi di fortuna, in bosco o in padule.

Il fronte stava attraversando da est a ovest la Toscana e ora si era fermato lungo il corso dell’Arno. A Sud gli Alleati che bombardavano le postazioni naziste della Valdinievole; a Nord le forze armate tedesche in ritirata, con il loro carico di odio verso la popolazione italiana e i partigiani in particolare. Ed è proprio nella caccia disperata e ossessiva al partigiano che matura e si realizza l’Eccidio del Padule di Fucecchio. “Vernichten” , annientare, fu l’ordine impartito al Capitano Strauch dal Colonnello Crasemann, di stanza a Monsummano Terme, . “Uber Partisaner”, tutti partigiani, era il concetto da seguire dopo che il Comandante delle forze tedesche in Italia, il Generale Kesserling, aveva ordinato di trattare i civili, fossero essi donne,

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vecchi o bambini, alla stregua dei partigiani e quindi, proprio come nei loro confronti, usare ogni mezzo per eliminarli. In una sola mattinata furono assassinati 174 civili a sangue freddo nelle campagne limitrofe al padule o dentro le loro case. Tutta povera gente, per lo più braccianti del luogo, colpevoli soltanto di abitare lì, o sfollati da altre zone della Toscana rifugiatisi in quell’area dove, per loro sfortuna, nei giorni precedenti i comandi tedeschi avevano ipotizzato la presenza di bande partigiane da eliminare. Ma non erano partigiani i 18 bambini con meno dieci anni (alcuni anche di pochi mesi) fucilati o letteralmente massacrati dai nazisti, quasi tutti fra le braccia delle loro madri; come non erano partigiani i 17 ragazzi con meno di diciotto anni. Non furono risparmiate nemmeno 43 donne. Stessa sorte toccò a 21 uomini sopra i sessanti anni. I restanti uomini fucilati senza pietà erano perlopiù giovani rimasti vicino alle loro case per un sostegno alle famiglie durante quei mesi tremendi di una guerra atroce. L’Eccidio del Padule di Fucecchio è però, purtroppo, una strage dimenticata, poco nota anche in ambito locale. La memoria storica di quella strage ha subìto parecchi ostacoli nel corso dei decenni tanto che ancora oggi, nelle zone toscane più prossime all’Eccidio, molte persone non ne conoscono l’esistenza o, nel migliore dei casi, ne hanno solo una nozione didascalica limitata al solo nome di quel tragico evento. Le distanze fra i diversi luoghi dell’Eccidio (in alcuni casi di diversi chilometri), l’area della strage suddivisa in 5 Comuni diversi e gli interessi


La testimonianza di Vittoria Tognozzi della strage compiuta a Casa Simoni (Cintolese, Monsummano Terme), dal libro Popolo se m’ascolti... di Marco Follin. Noi si stava in cima al vione, verso il Padule; io avevo l’età di sett’anni. Una sera passò i tedeschi e dissero di sortì dalle strade bianche perché la mattina sarebbero passati di lì: mitragliavano, buttavano all’aria i ponti, tutto... sicché ci si internò tutti in una casa laggiù nel mezzo del Padule, che c’era sposata la sorella della mi’ mamma. S’era messo le brandine giù nella stalla a piano terra, ma c’eravamo in parecchi. La mi’ mamma ci aveva tre figliole piccine. Quella mattina lei andava a porta’ da mangiare al mì babbo che era di sotto al canale e vide ‘sti cami, queste camionette, e ritornò indietro. La mi’ mamma era disperata, si raccomandò alla mi’ zia: «Lina, Lina! - diceva - pigliami la bimba grande! Io prendo le più piccole! Via, si scappa, si scappa!». Ma ‘un fecero in tempo... io mi nascosi in un armadio, ci stetti un po’, ma poi affogavo: sortii fori, m’imbracai col mi’ cugino - perché tutti andavano davanti, e ‘nvece noi s’andò sul didietro, si cambiò rotta e si rimase salvati. Si vede il destino ‘un doveva esse per noi. Tutti mi spingevano a anda’ fori di là. E noi si passò dalla porta di dietro, ci si mise dietro una parete, poi da qui si saltò e s’andò in un campo di saggina, quella che ci si fa’ le granate. Quelli arrivarono si misero a scavà in fondo all’aia, piantarono in terra un affare con tubo grande e poi aprirono: TU-TUTU-TU-TU-TU-TU - e noi dietro al campo di saggina, ma era come esse lì. La mattina di buon’ora erano zone silenziose, che tutti i piccoli rumori... c’era una nonnina che li misero una bomba in tasca poverina! Era cieca, povera donna: lei sentiva, ma non si rendeva conto, non ci vedeva. Girava e chiedeva: in quel momento le passò accanto un tedesco, le mise un affarino in tasca, lei pora donna cosava, smanaccava, e... BUMM! Questo non s’è visto con gli occhi, ma s’è udito con gli orecchi. Poi un’altra che aveva un figlio prete, gli ammazzarono il figliolo: lei sortì fori a urla’: «Ammazzatemi me! Ammazzatemi me, ma il mi’ Marino ‘un me l’ammazzate, il mi’ bimbo ‘un me l’ammazzate!» e allora ammazzarono anche lei. Di fianco alla casa c’era un argine e c’era una mamma con due figlioli piccoli, uno se l’era messo al petto perché piangeva, e andava su quest’argine per iscappare. Non si sentì il colpo, però si vide questa donna casca’ giù, poi si sentì un lamentìo e poi ‘un si sentì più nulla. Quando poi, dopo la sera si ritornò, era li ammazzata morta con questi bambini. Ma la gente ‘un morirono mica subito: arrivarono un po’ alla volta, a lamentarsi... che strazio, io ho sempre quel rumore nell’orecchie: avesse visto dopo mezz’ora i mosconi che c’era, sembrava ‘na sinfonia. In questo campo di saggina ci si stette un giorno intero: con un caldo, con una sete, con una fame che ‘un si sa… un caldo a quella maniera non mi ritornerà più! Quando poi fu finita tutta ‘sta tragedia si prese e s’andò laggiù. Si passava d’accanto a’ morti, dalla sete che s’aveva non si vedevano nemmeno: s’andò in cucina, si prese la brocca, s’andò al pozzo... finché non si fu bevuto non ci si rese conto di quello che era successo. L’avevano mitragliati tutti: a chi li mancava la testa, a chi i bracci, a chi le gambe… tutto un macello di sangue! Ad un certo punto si sente un lamentìo, sicché ci s’affaccia alla stalla - perché nella stalla delle bestie ci avevan messo tutte le brandine in fila - e c’era una bimbina di trediciquattordici mesi che si lamentava: «Ho tanta tete, ho tanta tete», gli si dette da be’ e morì, perché aveva le budellina di fori, poverina. Poi c’era un altro bambino, aveva nove mesi: la su mamma se lo era messo fra le gambe, sotto i lenzoli, e lui rimase salvo. Eramo tutti sanguinosi, sembravamo Eccehomini! Passò un po’ di tempo da quel giorno ma io rimasi scossa, mi portarono via du’ mesi, stetti da uno zio. Il mi’ nonno disse: «Questa bimba bisogna mandalla a scuola, perché ‘un ha la su mamma, poverina, è sfortunata», e così ho fatto la quinta… Ma anche ora quando sento i mosconi divento pazza, il mi’ sangue mi fa piglia’ il mal di cuore, non li sopporto: il mi’ marito lo sa e come ne sento uno, chiappa la mestolina, ma è sempre uno choc per me! Come quando vedo ‘na camionetta uguale a quelle dei tedeschi, il mi’ core mi fa TU-TU-TU-TUTU. E pure se ci vo laggiù, a quella casa, lei non ci crederà, ma io sento sempre il puzzo! E sono passati tanti anni ma quando arrivo a metà strada, ‘un ci posso arrivà perché sento sempre il puzzo, sento qualcosa in me che non…

“La mattina di buon’ora erano zone silenziose, che tutti i piccoli rumori...” “...si misero a scavà in fondo all’aia, piantarono in terra un affare con tubo grande e poi aprirono: TU-TU-TU-TU-TU-TU-TU”

politici nazionali e internazionali che ne insabbiarono la ricerca delle verità impedendone di fatto le condanne dei colpevoli, hanno fatto sì che anche le testimonianze dei superstiti non siano state continuamente sollecitate dalle esigenze della Storia. Però la desolazione agghiacciante delle popolazioni di Ponte Buggianese, Cintolese, Castelmartini, Stabbia e Massarella al termine di quella carneficina, è quanto di più atroce si possa immaginare nella vita di una collettività tanto che nessun libro, nessun documento, nessuna ricerca potrai mai farci capire fino in fondo il senso di morte, di vuoto, di paura, di angoscia e di impotenza che i sopravvissuti hanno provato in quei giorni e nel resto delle loro vite.

Carmela Arinci: 94 anni, cieca, fatta saltare in aria con una bomba a mano messa nella tasca del grembiule. Maria Malucchi: 4 mesi, mitragliata in collo alla mamma.

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Gli autori Graziano Bellini e Letizia Grazzini, insieme al loro gruppo “Figli Della Mamma Di Bresson”, su questo argomento hanno realizzato Percorso Memoria, evento interattivo e itinerante tenutosi domenica 23 marzo 2014 alla Tinaia di Parco Corsini a Fucecchio, patrocinato dal Comitato Marea e dal Comune di Fucecchio. Testimonianze dal vivo, filmati, musica live e narrazione hanno evocato il passaggio del Fronte in Toscana nell’estate del 1944, in particolar modo l’Eccidio del Padule di Fucecchio a un pubblico emozionato e coinvolto. Percorso Memoria sarà riproposto per tenere sempre viva la memoria storica nelle generazioni future. Foto di Letizia Grazzini


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storia

Amalia e il Professore Paolo Pianigiani

Amalia Popper Leopoldo Popper, Michele Risolo, Angelo e Amalia

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utta colpa di Stanislaus. Detto Stannie. Che fece arrabbiare e non poco Michele Risolo, marito gelosissimo di Amalia. Una storia forse d’amore, forse di sottile erotismo, forse solo una simpatia fra cervelli in ebollizione: che rimase impigliata in grandi fogli da disegno lasciati a Trieste, presso il fratello, da James Joyce, quando lo scrittore se ne andò a Parigi, rispondendo alla chiamata imperiosa e irresistibile di Ezra Pound. Una storia comunque ricca di misteri. Ma partiamo dall’inizio. Il grande scrittore irlandese, esule volontario dalla sua Dublino, si trovava a Trieste nei primi anni del ‘900 a esercitare la professione di insegnante di inglese. Sia nella locale scuola Berlitz, quella diretta da Almidano Artifoni, che direttamente chiamato dalle ricche famiglie triestine, ansiose di apprendere i rudimenti della lingua di Sha-

kespeare, per migliorare le loro già buone capacità di commerciare con il mondo, come fu per Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo. O arricchire la cultura dei figli e figlie di buona famiglia, per i quali sapere le lingue parlate in Europa era una tappa quasi obbligata. E le lezioni si svolgevano a domicilio, nelle splendide residenze di famiglia. Di certo non nelle povere abitazioni d’affitto che si potevano permettere i Joyce. Una volta, nel 1908, la chiamata arrivò da Leopold Popper, uomo d’affari di origini boeme, trasferitosi giovanissimo a Trieste e attivo nel settore assicurativo e dei trasporti. La figlia Amalia, quindicenne, necessitava di lezioni private, per completare la sua raffinata educazione scolastica. Fu scelto sembra per raccomandazione di conoscenti comuni, proprio il futuro autore dell’Ulisse, il romanzo più famoso della letteratura del

‘900. Joyce era un anticonformista, anche nelle tecniche d’insegnamento. Niente regole fisse, nelle sue lezioni. Improvvisava, seguendo il suo fantastico istinto pieno di fantasia e coinvolgendo gli allievi migliori nella lettura dei testi a cui stava lavorando. In quel caso il Ritratto dell’artista da giovane, in corso di rielaborazione continua. Ben presto i rapporti anche con la famiglia si fecero cordiali, e James fu invitato a partecipare alle riunioni domenicali aperte agli amici e ai conoscenti, dove ebbe modo di esibirsi come cantante di brani celebri di opere liriche, o antiche canzoni irlandesi, accompagnandosi al pianoforte, insieme alla sorella Eileen, giunta anch’essa dall’Irlanda. Nel 1909 Amalia si trasferisce a Firenze, per frequentare l’università. Qui incontrerà il suo futuro marito, un pugliese di belle speranze, Michele Risolo. Che diventerà un giornalista d’assalto, fino a raggiungere le vette di comando e direzione del Popolo di Trieste. Amalia era nata il 26-8-1891 e si era diplomata a Trieste nel 1908. I due giovani si fidanzarono nel ’13, e si sposarono civilmente nel municipio di Firenze il 22 dicembre 1914. Nel ’15 era nato a Firenze il primo figlio, Angelo Leopoldo (poi medico a Trieste), morto nel ’77, sposato con Albertina, da cui nacque Antonietta, oggi titolare della casa editrice Ibiskos Editrice Risolo, con sede a Empoli, mia ottima amica e che mi ha permesso di pubblicare le foto di famiglia. è stata lei a occuparsi nel ’91 e poi ancora nel 2002 della ripubblicazione dei cinque racconti di Gente di Dublino nella traduzione pubblicata per la prima volta nel 1935, a Trieste, dalla nonna Amalia. Già, perché Amalia fu la prima tra-


duttrice di Joyce in italiano, con la collaborazione di Stanislaus e dello stesso James Joyce, ormai trasferitosi a Parigi, e al culmine della fama, che si fece leggere le bozze dei 5 racconti dublinesi dal figlio Giorgio, trovandosi impossibilitato alla lettura per una operazione agli occhi. Approvò anche la breve biografia che comparve nel libro, la prima scritta in italiano. Sì, direte, ma la storia d’amore? Quando il grande biografo joyciano, Richard Ellmann sul finire degli anni ‘50 arrivò a Trieste e si incontrò con Stannie, per visionare tutto il ricchissimo materiale disponibile, rimase colpito da quei grandi fogli scritti nella calligrafia nervosa di James. Un diario d’amore, complicato dai giochi verbali tipici dell’autore dell’Ulysses, che lo lasciò pieno di curiosità e domande. A cui rispose, un po’ malizioso, il fratello e fece il nome di Amalia. Era lei la protagonista del manoscritto. Ma per il momento tutto rimase nei cassetti. Il contatto con la famiglia Risolo, trasferitasi intanto a Firenze, fu come sbattere contro un muro: Michele Risolo. Amalia non c’entra, non è lei. Fu vietato assolutamente ogni incontro. Scorsero gli anni, Stanislaus passò a miglior vita il “giorno di Bloom”, il 16 giugno, nel 1955. La moglie Nelly si trovò nella necessità di vendere tutto il materiale di cui era in possesso, che fu acquistato a gara da fondazioni universitarie e collezionisti di oltre oceano. Ma l’ultimo documento, il “Giacomo Joyce”, finì proprio a Richard Ellmann, in dono, per riconoscenza. Amalia muore a Firenze nel 1967. Solo l’anno dopo viene pubblicato in Italia il poemetto-racconto Giacomo Joyce. Michele

Risolo insorge. Si arrabbia con tutti, scrive un lungo articolo sul Corriere della Sera del 27 febbraio 1969, in cui cerca di evidenziare le incongruenze logiche e cronologiche dell’ipotesi del biografo. Che poi, fatte altre ricerche, la critica più recente ha avvalorato. Ci sono infatti altre fanciulle triestine, sempre allieve del Giacomo “Casanova” Joyce, più adatte a ricoprire quel ruolo. Emma

Cuzzi, per esempio. Fu probabilmente un insieme di ricordi e di figure che ispirarono il racconto. Ma per noi joyciani da lunga data, che conosciamo a memoria la biografia dell’Ellmann, non ci sono dubbi: la protagonista della storia d’amore triestina rimane lei, questa splendida ragazza dagli occhi dardeggianti, dal sorriso disarmante: Amalia. Il resto conta poco. O nulla.

Amalia Popper James Joyce a Zurigo, 1917 Leopoldo con la figlia Amalia a Trieste

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lo scaffale del poeta

poeta senza maestri

Dylan Thomas Stephen Dedalus

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ylan Thomas passò come una scossa elettrica nel mondo e nella letteratura di lingua inglese. Nacque nel 1914 a Swansea, nel Galles. E morì giovane, come chi è caro agli dei. Subito attratto dalla poesia, a vent’anni pubblica Diciotto poesie, la sua prima raccolta di versi. Immediatamente riconoscibili, per i temi ricorrenti e lo stile, nuovissimo e antico allo stesso tempo. La nascita, la morte. La presenza continua della natura, che tutto pervade. Le parole sono prese dal mondo degli antichi bardi, i poeti di corte. O sono nuovissime, ascoltate per strada, o nelle bettole più infami. Poeta di eccessi e di sbronze. Poeta umanissimo e fragile. Assolutamente visionario. Come Yeats, ma lontanissimo da lui. Unico riferimento, ammesso una volta in una intervista, James Joyce. Ma subito sconfessato, rimosso, superato. Anche se nel 1940 escono i suoi racconti autobiografici, che già nel titolo sono un omaggio al grande irlandese: Ritratto dell’artista da cucciolo. Ma sarà nel primo dopoguerra che Dylan raggiunge la fama: Morti

e ingressi lo fa conoscere al mondo come poeta maledetto, incontrollabile, spirito orfico e innovatore. Fino alla morte, lì vicina, a New York, dove si era recato insieme alla moglie Kathleen, musa e compagna della sua brevissima esistenza. Siamo nel 1953. Distrutto dall’alcool, sempre in bilico fra miseria e povertà, eroico esempio di artista senza compromessi. Divenne il simbolo da seguire per la generazione ribelle degli anni ’60, che si identificò perdutamente in quel desiderio di vivere, nell’essere eccessivo sempre, nei suoi occhi chiarissimi e nelle sue parole profetiche di vate. Il mondo non è più lo stesso dopo che una buona poesia gli si è aggiunta. Questo è il suo testamento poetico, pronunciato in una sua trasmissione radiofonica per la BBC nel 1946. Immensa è l’influenza che ha lasciato. Quando il menestrello Robert Allen Zimmerman, l’autore di Blowin’ in the wind si cercò un nome d’arte, non andò molto lontano. Bob Dylan continua ancora oggi quel messag-

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gio, fatto di creatività, di visioni e di immagini. Oggi Dylan Thomas è purtroppo un classico: se ne studiano i testi ricercando regole interne o le fonti antiche. Si smonta pezzo a pezzo il suo testo Sotto il bosco di latte, scritto per la radio e da lui recitato prima di morire, cercando dinamiche interne e altre assurdità accademiche. Con la grande poesia è un lavoro inutile. La poesia sempre si muove e trova strade diverse. Resta misteriosa e sconosciuta a chi si avvicina con gli strumenti di mestiere, tipici delle cattedre o delle università di lettere. La poesia va lasciata scorrere, ascoltata in silenzio, con il cuore libero. Il cervello è troppo abituato ai calcoli e a sopportare i mali del mondo per comprendere. Provate a cercare regole o misurare il ritmo a questi versi. Non ci capirete nulla. O molto meno di quello che Dylan ci ha messo dentro quando li ha composti. Lasciamoli liberi di risuonarci in testa, musicali come canzoni, o musiche senza parole che si spargono per le tante strade del mondo.


Da: Sognai la mia genesi … Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, bucando Il guscio rotante, potente come il muscolo D’un motore sul trapano, inoltrandomi Nella visione e nel trave del nervo. Da membra fatte a misura del verme, sbarazzato Dalla carne grinzosa, limato Da tutti i ferri dell’erba, metallo Di soli nella notte che gli uomini fonde. Erede delle vene in cui bolle la goccia d’amore, Preziosa nelle mie ossa una creatura, io Feci il giro del globo della mia eredità, viaggio In prima nell’uomo che ingranò nottetempo. Sognai la mia genesi e di nuovo morii, shrapnel Conficcato nel cuore in marcia, strappo Nella ferita ricucita e vento coagulato, morte Con museruola sulla bocca che ingoiò il gas.

Da: sospiri … Dai sospiri nasce qualcosa, Ma non dolore, questo l’ho annientato Prima dell’agonia; lo spirito cresce, Scorda, e piange; Nasce un nonnulla che, gustato, è buono; Non tutto poteva deludere; C’è, grazie a Dio, qualche certezza: Che non è amore se non si ama bene, E questo è vero dopo perpetua sconfitta.

Scaltrito nella mia seconda morte contrassegnai le alture, Mèsse di lame e di cicuta, ruggine Il mio sangue sui morti temprati, forzando La mia seconda lotta per strapparmi dall’erba. E nella mia nascita fu contagioso il potere, seconda Resurrezione dello scheletro e Nuova vestizione dello spirito nudo. Virilità Schizzò dal risofferto dolore.

Dopo siffatta lotta, come il più debole sa, C’è di più che il morire; Lascia i grandi dolori o tampona la piaga, Ancora a lungo egli dovrà soffrire, E non per il rimpianto di lasciare una donna in attesa Del suo soldato sporco di parole Che spargono un sangue così acre.

Sognai la mia genesi nel sudore di morte, caduto Due volte nel mare che nutre, diventato stantio Nell’acqua salata di Adamo finché, visione Di nuova forza umana, io cerchi il sole.

Se ciò bastasse, se ciò bastasse a dar sollievo al male, Il provare rimpianto quando quello è perduto Che mi rendeva felice nel sole, Quanto felice il tempo che durava, Se ambiguità bastassero e abbondanza di dolci menzogne, Potrebbero le vacue parole sostenere tutta la sofferenza E guarirmi dai mali. Se ciò bastasse, osso, tendine, sangue, Il cervello attorcigliato, i lombi ben fatti, Cercando a tastoni la materia sotto la ciotola del cane, L’uomo potrebbe guarire dal cimurro. Ché tutto quello che va dato, io l’offro: Briciole, stalla, e cavezza.

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ilin unmondo

A TU PER TU

l i b ro

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ualche annetto fa fui invitata alla libreria La Rinascita di Empoli, in occasione dei venticinque anni della loro attività, quando arrivai trovai una schiera di fanciulle tutte gasatissime, sorridenti, felici, mentre Marisa, la titolare - cara amica - mi accompagnò nella saletta interna gremita di persone, dove, come sempre, i più fortunati... diciamo i più puntuali si erano accomodati sulle sedie e gli altri appoggiati ai lunghi scaffali colmi di libri. Trovai un bel pubblico, c’erano anche molte presenze maschili e, pochi momenti dopo, arrivò anche il sindaco Luciana Cappelli. La signora Inge Feltrinelli, ospite d’onore, regalò bei momenti all’interessato pubblico parlando del valore essenziale dei libri e di come la lettura porti verso orizzonti infiniti, cambiando spesso radicalmente le persone. Perché leggere fa maturare. La ricordo con la grande pashima avvolta al collo d’un bel viola-fucsia setato, e il solare sorriso, primo biglietto da visita. Chi sorride s’illumina dando conseguentemente ampia disponibilità al colloquio. Ho poi avuto modo di parlare con lei all’inaugurazione del neonato locale Feltrinelli, in pieno centro fiorentino dove, in mezzo a una folla oceanica e interviste che l’aspettavano, Inge – che si pronuncia Inghe – è riuscita a trovare dieci minuti per la sottoscritta. E questo in mezzo a montagne di volumi e ottimo cibo. Perché lì è possibile soddisfare il palato coi piatti della buona tradizione fiorentina fatta di trippa, baccalà e lampredotto. Signora, questa è una cosa nuova: una scommessa, una moda americana? Ma no, di americano non c’è niente, semplicemente un modo di attirare tante persone in maniera nuova e, tra

l’altro, il buon mangiare è anche un fatto di cultura come osserva anche il grande artista Carlo Petrini – ai più curiosi diciamo che questo signore, denominato anche “Carlin”, è gastronomo, giornalista, scrittore, nonché fondatore di Slow Food. Ma ritorniamo all’intervista mentre... Tra l’altro questa cosa funziona molto bene: pensi che Piero Gelli, persona di gran cultura e critico letterario e musicale riconosciuto ovunque mi ha detto: «carissima, ci voleva proprio! Vado lì ogni giorno, mangio un boccone e dopo salgo su al secondo piano a curiosare dappertutto e quando trovo ciò che mi appassiona mi ci butto letteralmente!» Mi creda, lui che mi dice questo. Sì, sono rimasta piacevolmente sorpresa. Bene, spostiamoci verso altri orizzonti, tipo quando faceva la fotoreporter... lo sa che in quella bella fotografia dove lei indossava quel costume panna e quel pesce infilato accanto a colui che scrisse Per chi suona la campana... Ah, son trascorsi tanti di quegli anni! Parto ora per Lucerna, sul lago svizzero dove Claudio Abbado, che tra l’altro era mio grande amico, per più di vent’anni diresse le sue orchestre semplicemente favolose. Lì, presenteranno il mio libro che parla di tutta la mia vita sino agli anni ‘60. Ma io voglio indagare... il più simpatico... quello meno... Ah, vuole l’anteprima – e ride rovesciando la testa all’indietro ecco che appare l’eleganza interiore, il bell’accento deutsch, nell’essenza di donna traboccante di gran personalità. I ricordi si affacciano simultaneamente mentre... Hemingway, grande figura, un gigante di cultura. Ernest l’ho ben impres-

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so, quanto agli altri direi che nessuno fu sfuggevole o scostante... forse perché io, professionalmente parlando, cercavo le vere eccellenze. Si mormora che le persone straordinarie non godono di buon carattere... Concordo, però il talento perdona tutto! Come Giangiacomo, grande talento ma uomo non troppo facile... Guardi questo è un tasto che preferirei... dico solo questo: Giangiacomo era forte, diretto. Con Pasternak si alleò in lotte feroci per far pubblicare Il dottore Zivago considerata opera dissidente. In Unione Sovietica non volevano pubblicarla, ma egli resisté e i fatti gli dettero ragione, poiché fu un successo mondiale e allo scrittore fu conferito il Premio Nobel. Adesso se permette cambiamo pagina. Ultimissima domanda. Cosa differenzia una casa editrice dall’altra. Direi che ognuna conserva la sua identità e formula: commerciale, culturale, di qualità. Indubbiamente il lato economico è fondamentale. Il buon editore è a conoscenza che il libro non si vende, ma tuttavia è importante stampare, viceversa, esistono volumi su cui puntare, sapendo che non sempre la qualità si vende. Consideriamo poi che oggi il campo è variegato: thriller, romanzi rosa, ricette, sport... Signora, è stato un piacere, e mi allunga la mano a mo' di saluto. Piacere di che? Della lettura, come osservò Giangiacomo Feltrinelli in quanto in ogni libreria che porta il suo nome campeggia un cartello con su scritto l’aforisma: Il grado di civiltà del nostro paese, dipenderà anche, e in larga misura, da cosa anche nel campo della letteratura di consumo gli italiani avranno letto.

Carla Cavicchini

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NOVITà EDITORIALI

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n libro-inchiesta, il primo che sia mai stato scritto, sul grande bluff della rottamazione, sulle contraddizioni e sugli intrecci politico-finanziari che si celano dietro al nuovo presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nei suoi dieci anni di ascesa al potere. Quello che si oppone alle vecchie liturgie, ai giochi di palazzo, agli inciuci, ai ribaltoni, ai rimpasti, ne è, invece, divenuto un fine artefice. Ci possiamo fidare di uno così? Un libro che si pone come obiettivo quello di rispondere a poche ma importanti domande: chi è davvero Matteo Renzi? Chi sono le persone intorno a lui? La rottamazione è stato soltanto un bluff? Dalla Provincia di Firenze alla presidenza del Consiglio: dieci anni di renzismo attraverso luci e ombre. Partendo dai ricordi d’infanzia, che tratteggiano il carattere e la formazione del personaggio, nasce questo libro-inchiesta sul “sistema Renzi”, dai suoi primi passi nella politica locale, fino alla ribalta nazionale.

LA GRANDE ILLUSIONE

di Fabrizio Boschi prefazione dI Alessandro Sallusti Amon Editore

inchiesta

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’Iliade di Omero: come tutto ebbe inizio. In questo libro si racconta la storia di una grande guerra, di eroi valorosi, degli dèi dell’Olimpo che intervengono nelle dispute dei mortali, di una regina bellissima e di battaglie all’ultimo sangue. Questa è l’Iliade, un’avventura incredibile che appassiona i lettori di tutte le età da secoli e secoli. Dopo il grande successo di Omero per Gioco - L’Odissea, Federighi Editori propone l’altro grande poema epico di Omero, L’Iliade, in un’edizione illustrata e raccontata a un pubblico di giovanissimi. Tenetevi forte, si salpa per una nuova avventura!

L’iliade omero per gioco

di Valentina Orlando Illustrazioni di Celina Elmi

Federighi Editore

fumetti

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alla Maremma al Casentino, dal Chianti alla Garfagnana, ogni zona della Toscana porta con sé un bagaglio di storie e leggende, in molti casi nate da fatti storici che s’intrecciano con la fantasia popolare. In questo libro Andrea Gamannossi prende spunto dai misteri della regione per confezionare dieci piccole storie di fantasmi, folletti, streghe e mostri marini, racconti capaci di destare la nostra curiosità e, qualche volta, di togliere il sonno. A questi seguono cinquanta ricette tradizionali per cucinare le pietanze più squisite del nostro territorio, come la zuppa alla volterrana o il pollo ruspante ripieno di castagne e prugne: piatti antichi e spesso poco conosciuti che ci faranno fare bella figura con qualsiasi ospite. Nell’insieme un coacervo di storie, colori e sapori antichi che tornano ad affacciarsi nel mondo di oggi,

MISTERI E SAPORI DI Toscana

di Andrea Gamannossi Sarnus Editore

cucina

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accolta e approfondimento degli articoli di astrologia usciti su Reality Magazine alla firma di Federica Farini: quattro elementi per raccontare l’energia vitale con gli occhi dei dodici segni zodiacali. Il fuoco per amare (Ariete, Leone, Sagittario), la terra per nutrirsi (Toro, Vergine, Capricorno), l’aria per volare (Gemelli, Bilancia, Acquario), l’acqua per crescere (Cancro, Scorpione, Pesci). Per ogni segno zodiacale il lettore viene accompagnato nel viaggio tra le bellezze, i paesaggi, la storia, l’arte, i sapori e i profumi di una terra ricca di suggestioni come la Toscana. Un “mini” saggio formato tascabile, per un regalo originale e per scoprire l’astrologia in una lettura semplice e suggestiva grazie anche alla magia dei cinque sensi.

oroscopo

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IN VIAGGIO CON GLI ASTRI

di Federica Farini Hematena Edizioni

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CINEMA

Cannes delle meraviglie ad‪Alice Rohrwacher‬il Gran Prix Speciale della Giuria Andrea Cianferoni Giampaolo Russo

Gli interpreti del film I mercenari 3 Catherine Denevue

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l cinema che conta, pian piano, sta tornando a parlare italiano. Vince il secondo premio più importante, dopo la Palma d’Oro, al Festival di Cannes Le Meraviglie di Alice Rohrwacher, regista trentenne nata a Fiesole da madre italiana e padre tedesco. «Grazie a Thierry Fremaux che mi ha fatto arrivare qui, grazie alla giuria che mi ha fatto tornare» ha detto la Rohrwacher. Alice era già a casa, nel viterbese. Nel primo pomeriggio di sabato, mentre era in treno per Roma, è stata avvertita della vittoria (ma non sapeva per quale premio). Cambio di destinazione: aeroporto. Emozionatissima, sul palco si è rivolta alla giuria presieduta da Jane Campion. «Grazie a voi, il vostro lavoro mi ha fatto innamorare del cinema e mi ha portato fin qui». Confusa e felice, conferma che è stata una sorpresa. «Questo premio mi dà coraggio, è come aver messo la testa nel pozzo della storia d’Italia, dove mi affaccio e vedo Sophia e Marcello», Mastroianni che campeggia sulla locan-

dina del 67° premio internazione del Cinema di Cannes. Una edizione conclusasi non senza polemiche (vedi alla voce Grace di Monaco) o senza qualche film che abbia dato molto di cui parlare alla stampa (uno su tutti, Maps to the Stars). Tra non molto ce lo saremo già buttati alle spalle e si comincerà a parlare di nuovi film e nuovi festival. Nella speranza che, a breve, potremo vedere almeno i più chiacchierati tra i titoli di questa edizione. Ad aggiudicarsi la Palma d’oro è stato il turco Kis Uykusu, diretto dal regista Nuri Bilge Ceylan, che ha partecipato anche alla scrittura. Protagonista è Aydin, un ex attore che gestisce un piccolo albergo in Anatolia, in un villaggio sperduto e desolato dove non c’è quasi nulla, se non la neve che cade e avvolge tutto intorno a sé, diventando manifestazione evidente degli stati d’animo interiori dei personaggi e influenzandoli a

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sua volta. Accanto ad Aydin c’è sua moglie, Nihal, troppo a lungo rimasta silenziosa e sottomessa mentre si allontanava dal marito e il marito da lei. e poi c’è Necla, la sorella di Aydin, che ha raggiunto la coppia subito dopo il suo divorzio, di cui porta ancora le tracce dentro di sé. Nuri Bilge Ceylan si riconferma come uno dei più talentuosi registi del suo Paese, tornando a vincere


Colin e Livia Firth con Caroline Scheufele Naomi Watts

per la quarta volta a Cannes, dopo Uzak nel 2003 (Gran Premio della giuria), Le tre scimmie nel 2008 (premio per la miglior regia) e C’era una volta in Anatolia nel 2011 (di nuovo Gran Prix). Il premio per la miglior interpretazione femminile è andato invece a Julianne Moore. In Maps to the Stars di David Cronenberg, la Moore veste di panni proprio di un’attrice, tormentata dai fantasmi del passato e di sua madre, anche lei attrice, di cui spera di poter reinterpretare un ruolo nel remake di un film di anni addietro. Nella pellicola, che è nelle nostre sale in questi giorni, anche Robert Pattinson, Mia Wasikowska, John Cusack, Sarah Gadon e Carrie Fisher nel ruolo di se stessa. Miglior attore è stato invece Timothy Spall nel Mr. Turner di Mike Leigh. L’attore, già visto in Vanilla Sky, Il discorso del re e la saga di Harry Potter, è alla sua quarta collaborazione col regista britannico Mike Leigh. Parlando di registi, quest’anno a conquistare il titolo di Best Director è stato Bennet Miller per il suo Foxcatcher. Il premio della giuria è andato, ex aequo, a Mommy di Xavier Dolan e Goodbye to Language di JeanLuc Godard. Parecchio apprezzati

dalla critica sono stati anche Party Girl, vincitore della Camera d’or e del premio al miglior cast nella sezione Un Certain Regard, come pure Love at First Sight di Thomas Cailley e The Tribe di Miroslav Slaboshpytskiy.

Roberto Cavalli Sharon Stone Cate Blanchett Veronica Berti, Andrea Bocelli, Kelly Preston, John Travolta Leonardo di Caprio Uma Thurman Carla Bruni e Adrien Brody Antonio Banderas Dario Franceschini, Caroline Scheufele, Luigi Abete & Rodrigo Cipriani Milla Jovovich

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Peccioli L

a rassegna 11Lune a Peccioli è alla sua decima edizione e nel mese di luglio ospiterà grandi nomi del teatro e della musica diventando punto di riferimento nel panorama dell’intrattenimento estivo dell’estate toscana. Il filo sotteso al cartellone di quest’anno è di colore rosa, perché protagoniste assolute saranno le donne: le più belle, profonde e appassionate voci del panorama musicale italiano e giovani talenti esordienti. Paola Bivona, già protagonista dello scorso anno del Musical Dracula calcherà di nuovo la scena vestendo i panni di Tosca, Antonella Ruggiero e Fiorella Mannoia. Ma gli interpreti maschili non sono da meno portando in scena grandi autori. Giorgio Gaber rivivrà nei testi e nella musica di Giulio Casale, i Virginiana Miller con il loro Simone Lenzi, e il grandissimo Giorgio Albertazzi che interpreterà magistralmente il Personaggio per eccellenza del teatro shakespeariano: il Mercanta di Venezia. Ospite speciale, a cui vogliamo dedicare questa edizione, è Lucio Dalla, dalla cui opera è liberamente tratto il Musical Tosca che apre la rassegna, e di cui Fiorella Mannoia reinterpreterà le canzoni più intense e coinvolgenti. Ad inaugurare quindi il divertimento estivo, i Bohemians Pontedera, compagnia che ha debuttato sul palco di Fonte Mazzola lo scorso anno con il Musical Dracula, e che è stata riconfermata anche quest’anno nella convinzione che sia importante dare voce ai giovani talenti del nostro territorio. I ragazzi si confronteranno con un’opera popolare molto impegnativa, Tosca, dando prova di maturità artistica ed espressiva e di sempre più alti livelli raggiunti.

La Corale Valdera unirà le voci con l’Orchestra dell’Accademia Musicale di Wiesbaden in un omaggio all’epoca di Antonio Vivaldi. Cristiano Militello, in uno spettacolo esilarante in cui saremo invitati a entrare nel backstage di un comico prima della sua entrata in scena. Da Livorno arriveranno i Virginiana Miller, che dopo il successo per il David di Donatello 2013 per la “Miglior canzone originale” con il brano Tutti i santi giorni, colonna sonora dell’omonimo film di Paolo Virzì, presenteranno il loro sesto album Venga il regno. Una grande interprete e attesissima ospite sarà quest’anno Fiorella Mannoia che scalderà la notte all’Anfiteatro Fonte Mazzola riservando al pubblico molte sorprese, in un viaggio musicale che dal suo repertorio ci condurrà all’opera di Lucio Dalla. Un altro omaggio a un grande della musica italiana sarà riservato da Giulio Casale che reinterpreterà in Da Gaber al futuro il poeta milanese, senza mai tradire o allontanarsi dalla sua coraggiosa e infaticabile ricerca e dalle sue coraggiose prese di posizione. La storia dell’Italia del dopoguerra fino al boom economico scandita dai fatti criminosi e dai processi assurti all’onore delle cronache sarà ripercorsa da Franco Castellano in Sconvolgimi di Giallo. Il Giorgio del teatro italiano sarà per una notte d’estate Il Mercante di Venezia. Albertazzi interpreterà uno dei più importanti personaggi shakespeariani. In omaggio ai 450 anni della nascita di William Shakespeare l’Anfiteatro Fonte Mazzola ospiterà un esperimento di arte contemporanea in collaborazione con l’Associazione Kill

the pig e il Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra, rinnovando un connubio per il secondo anno consecutivo. In contemporanea allo spettacolo in scena quattro writers dipingeranno delle opere ispirate al drammaturgo inglese e agli attori in scena. La più bella voce della musica pop italiana, Antonella Ruggiero ci emozionerà e sorprenderà. La Società Filarmonica di Peccioli sarà di nuovo ospite della Rassegna con il loro Symphonic Pop Concert, che ci accompagnerà verso la conclusione della decima edizione con il consueto spettacolo di Andrea Buscemi e della Compagnia PeccioliTeatro, che interpreterà Il malato immaginario, chiudendo la trilogia delle pièce dedicate a Molière.


Giovedì 3 luglio ore 21,30

Lunedì 14 luglio ore 21,30

Pontedera in “Tosca Musical” Ingresso gratuito

in “Fiorella Mannoia Live 2014” Spettacolo a pagamento

BOHEMIANS

Venerdì 4 luglio ore 21,30

CORALE VALDERA e ORCHESTRA

dell’accademia MUSICALE di WIESBADEN in “La Stravaganza” Antonio Vivaldi e la sua epoca Ingresso gratuito Domenica 6 luglio ore 21,30

CRISTIANO MILITELLO

in “Mi saluta... Cristiano Militello!?” Ingresso gratuito Giovedì 10 luglio ore 21,30

VIRGINIANA MILLER in “Venga il regno” Tour Ingresso gratuito

FIORELLA MANNOIA Martedì 15 luglio ore 21,30

Mercoledì 23 luglio ore 21,30

ANTONELLA RUGGIERO e MAURIZIO CAMARDI in “Universi Diversi” Ingresso gratuito

GIULIO CASALE

Giovedì 24 luglio ore 21,30

Venerdì 18 luglio ore 21,30

in “Symphonic Pop Concert” Ingresso gratuito

in “Sconvolgimi di giallo” Ingresso gratuito

Domenica 27 luglio ore 21,30

Lunedì 21 luglio ore 21,30

la COMPAGNIA PECCIOLITEATRO

in “Da Gaber al futuro” Ingresso gratuito

FRANCO CASTELLANO

GIORGIO ALBERTAZZI

in “Il Mercante di Venezia” di W. SHAKESPEARE con il Festival Internazionale del Teatro Romano di Volterra 450° Shakespeare Street Art Theater Spettacolo a pagamento

SOCIETÀ FILARMONICA DI PECCIOLI

ANDREA BUSCEMI e

in “Il malato immaginario” di MOLIÈRE Ingresso gratuito

PER INFORMAZIONI, PREVENDITE E ACQUISTO BIGLIETTI La prevendita dei biglietti inizierà venerdì 20 giugno BIGLIETTERIA Piazza del Popolo 11, Peccioli (PI) Dal 20 giugno: martedì e sabato dalle 9 alle 13 lunedì, mercoledì e venerdì dalle 15 alle 19

TAKE AWAY… TI PORTO LA CENA A TEATRO

In tutte le sere degli spettacoli, dalle ore 20,00 alle 21,00 (eccetto domenica 27 luglio), sarà possibile usufruire del servizio di Take Away presso gli Spazi per l’Arte Fonte Mazzola (zona adiacente l’Anfiteatro Fonte Mazzola)

Eventi collaterali Venerdì 11 luglio ore 21,00

“A lezione di etrusco”

Laboratorio didattico per famiglie in occasione delle NOTTI DELL’ARCHEOLOGIA 2014 presso il Museo Archeologico di Peccioli Domenica 27 luglio dalle 19,00 alle 20,30

“Apericena all’ombra del campanile”

Piazza del Popolo a Peccioli Da martedì 29 luglio a martedì 26 agosto

“Bel Vedere cinema all’aperto in Fattoria”

Legoli - La Fattoria ore 21,30 in collaborazione con ARCI Valdera


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A TU PER TU

Dianora Poletti Presidente della Fondazione La Versiliana

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al 2011 lei è presidente della Fondazione la Versiliana. Ecco, se volesse, ad oggi, a metà mandato, tirare le fila di quest’esperienza, cosa direbbe? Ancora è presto per fare un bilancio. Tuttavia posso dire che da quando ho assunto la presidenza mi sono prefissata degli obiettivi, dei “fili rossi” da cui non mi sarei dovuta discostare e sono soddisfatta per averli messi in pratica. Intanto mi ero ripromessa di riuscire a rinnovare la Versiliana con garbo e rispetto della tradizione e questo è stato condiviso da tutto il mio staff, a partire dal direttore artistico Luca Lazzareschi. Poi un altro obiettivo era quello di destagionalizzare le attività e devo dire che ci siamo riusciti, la Versiliana non è più un appuntamento di due mesi all’anno ma propone eventi per tutti i dodici mesi. Ultima cosa, ho voluto incrementare la sinergia con le altre realtà, in particolare con l’amministrazione comunale: sono orgogliosa di dire che l’iniziativa “Anteprime Mondadori”, che rischiava di non esserci per problemi di budget, è stata recuperata e spostata in Versiliana proprio grazie a questa sinergia. Quest’anno la Versiliana raddoppierà il proprio palcoscenico avvalendosi di una location d’eccezione, la rotonda del Pontile di Marina di Pietrasanta. Perchè questa scelta? È stata un’idea nostra, della Fondazione. I sei appuntamenti del progetto di prosa Odissea, un racconto mediterraneodi Sergio Maifredi, e quindi il tema del viaggio e del mare, si sposano benissimo con il panorama della rotonda del pontile. Queste letture “non convenzionali”

sono tali anche nei luoghi di rappresentazione: in Liguria hanno avuto luogo, per esempio, sugli scogli, sulle spiagge. Parlando ancora di questa novità per quanto riguarda la prosa, quanto c’è dell’attualità, dei viaggi nei barconi della speranza? Posso dire che il Pontile di Pietrasanta è stato da poco teatro della mostra itinerante delle foto dell’artista messicano Gustavo Acheves, che hanno sapori drammatici ed evocano le vicende attuali. Sicuramente anche gli attori che interpreteranno l’Odissea – Tullio Solenghi, Paolo Rossi, Moni Ovadia, Giuseppe Cedernia e Davide Enia – daranno allo spettacolo un particolare connotato. La “Prima nazionale” di Dipartita Finale di cui Franco Branciaroli sarà autore, regista e interprete, debutterà il 18 luglio al Teatro di Marina di Pietrasanta per l’apertura del Festival. Ci può dire qualcosa di più? Tutti gli anni la Versiliana ospita prime nazionali. In questo caso siamo orgogliosi di presentare un cast d’eccezione che guadagna l’immortalità con Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Franco Branciaroli e Massimo Popolizio. Dopo l’apprezzata edizione di Finale di Partita di Beckett del 2006, Franco Branciaroli da autore firma, con questo Dipartita Finale, un testo ascrivibile alla stessa atmosfera dell’assurdo. Avete scelto, quindi, di coniugare nel cartellone spettacoli di impegno, ma anche di animo leggero... in momenti di crisi come questo quanto è importante divertire il pubblico con l’ironia e la leggerezza?

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Sì, sicuramente oggi come non mai, è molto importante alternare momenti di riflessione a momenti di svago puro. Per questo siamo riusciti a mettere insieme di tutto e a far entrare l’ironia anche in settori che, di solito, sono più seri, come la prosa: ricordiamo che nel Festival ci saranno i Legnanesi, con la vita è fatta a scalee gli Oblivion che, ricordiamo, sono gli interpreti della irresistibile parodia I promessi sposi in 10 minuti.

Giulia Brugnolini

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Sulla Rotonda del Pontile di Marina di Pietrasanta

ODISSEA UN RACCONTO MEDITERRANEO Progetto e regia di SERGIO MAIFREDI produzione Teatro Pubblico Ligure in collaborazione con LA CORTE OSPITALE

DIPARTITA FINALE

di Franco Branciaroli Con Gianrico Tedeschi, Ugo Pagliai, Franco Branciaroli, Massimo Popolizio sabato 19

GISELLE

Junior BallettO di ToscanA Musica Adolphe Adam

martedì 15 luglio

mercoledì 23

MONI OVADIA (Canto XXI) - Odisseo e la gara dell’arco

LA DODICESIMA NOTTE di William Shakespeare con Carlo Cecchi

martedì 22 luglio

venerdì 25

DAVIDE ENIA (Canto XI) - La discesa agli Inferi martedì 29 luglio

GIUSEPPE CEDERNA (Canti V-VIII) - Odisseo e i Feaci martedì 5 agosto

PAOLO ROSSI (Canto X)– La maga Circe martedì 12 agosto

COMIX

Una creazione di Emiliano Pellisari physical theatre/new magic sabato 26

FRANCO BATTIATO

35° Festival versiliana

venerdì 18

www.laversilianafestival.it

LUGLIO

progetto Joe Patti (experimental live group) domenica 27

IL BUGIARDO

di Carlo Goldoni con Maurizio Lastric, Michele di Mauro e la Popular Shakespeare Kompany

AMANDA SANDRELLI (Canto V) - La ninfa Calipso

mercoledì 30

martedì 19 agosto

ANDANDO AL MONTE

TULLIO SOLENGHI (Canto XXIII) - Odisseo e Penelope

giovedì 31

ALESSANDRO MANNARINO

I LEGNANESI LA VITA è FATTA A SCALE… con Antonio Provasio, Enrico Dalceri, Luigi Campisi

7 luglio - 26 agosto

Il Caffè de La Versiliana

Il Caffè de La Versiliana torna con oltre cinquanta incontri con i personaggi più autorevoli, più conosciuti, più glamour del mondo dello spettacolo, della cultura, dell’attualità, dello sport, del cinema, della Tv e non solo. Piera Degli Esposti (12/7), Andrea Scanzi (15/7), Pippo Baudo (16/7), Mario Giordano (19/7), Piero Pelù (20/7), Gualtiero Marchesi (21/7), i comici di Colorado (22/7), Paolo Rossi (23/7), Ermanno Scervino (24/7), Philippe Daverio (26/7), Paolo Hendel (30/7), Catena Fiorello (2/8), il prefetto della protezione civile Franco Gabrielli (6/8), l’ing. Mauro Forgheri di Ferrari (14/8), Giancarlo Antognoni (20/8), Antonio Paolucci (21/8), Luciana Castellina (24/8) e Oscar Farinetti (25/8), Enrico Rossi (26/8) - solo per citarne alcuni Al fianco di illustri giornalisti già apprezzati alla conduzione degli incontri come Luca Telese che condurrà dibattiti con politici, giornalisti e opinionisti e Piera Detassis che curerà una rubrica dedicata al cinema, la Fondazione schiera in campo nuove leve, giovani professionisti in carriera, tra questi David De Filippi, giornalista e scrittore che ha al suo attivo la conduzione di numerosi incontri per importanti rassegne e la ventisettenne Flavia Piccinni, giornalista e autrice, collaboratrice di numerose testate giornalistiche e di Radio Rai 3 oltre che vincitrice del premio Campiello giovani. Nella scuderia dei conduttori ci sarà anche il giornalista Marco Ferri, new entry alla conduzione del Caffè esperto di beni culturali che curerà la rubrica su questo tema “Affaire Cultura”. Confermati nella rosa dei conduttori anche Claudio Sottili e Fabrizio Diolaiuti, conduttori già noti e apprezzati dal pubblico della Versiliana. Tre gli eventi più importanti merita una menzione d’onore la serata speciale con Pippo Baudo che la Fondazione La Versiliana annuncia ufficialmente. Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo, ai più noto come il Baudo Nazionale, sarà protagonista di uno speciale incontro al Caffè in edizione serale, il 16 luglio ore 21.30, intervistato da Marcello Mancini (direttore del La Nazione) e Roberto Bernabò (direttore del Il Tirreno), racconterà la sua lunga e intensa carriera, costellata da innumerevoli successi, aneddoti e vicende che lo hanno legato alle più illustri personalità dello spettacolo.


AGOSTO sabato 2

martedì 12

Don Quixote de la Mancha

AILEY II - The Next Generation of Dance

RAIN DOGS

mercoledì 13

Coreografia di Eugenio Scigliano

COMPAGNIA ATERBALLETTO

RENZO ARBORE e l’ORCHESTRA ITALIANA

domenica 3

giovedì 14

ANGELO PINTUS

OBLIVION in OTHELLO, l’H è muta...

Coreografia di Johan Inger

50 sfumature di Pintus martedì 5

MIGUEL ÁNGEL BERNA ...bailando mi tierra! MUDÉJAR

coreografia e regia Miguel Ángel Berna

COMPAÑIA ESPAÑOLA DE DANZA mercoledì 6

ANGELO BRANDUARDI

IL ROVO E LA ROSA - Ballate d’amore e di morte

con gli Oblivion, Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda, Fabio Vagnarelli al pianoforte Denis Biancucci sabato 16

IVAN PUTROV MEN IN MOTION

con Andrei Merkuriev, Igor Kolb, Daria Klimentova, Vadim Muntagirov, Edward Watson, Marijn Rademaker, Marian Walter domenica 17

venerdì 8

ENRICO BRIGNANO

CONTEMPORARY TANGO

lunedì 18

coreografia e regia Milena Zullo con Kledi Kadiu

GAETANO TRIGGIANO

BALLETTO DI ROMA

REAL ILLUSION

sabato 9

mercoledì 20

CANTANTO SOTTO LA PIOGGIA Coreografie Giada Bardelli

Campagnia Corrado Abbati Domenica 10

MONICA GUERRITORE GIOVANNI NUTI Mentre rubavo la vita...! cantano Alda Merini

IL LAGO DEI CIGNI (atto II)

LES BALLETS TROCKADERO DE MONTE CARLO giovedì 21

GIUSEPPE GIACOBAZZI in DEL MIO MEGLIO di e con Andrea Sasdelli venerdì 22

STADIO Immagini del vostro amore


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TEAtRO

Sant’Anna

una strage in scena alla Galleria d’Arte Moderna di Viareggio

Ada Neri

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ivia Castellana e Martina Benedetti raccontano la strage di Sant’Anna di Stazzema. Frammenti di un martirio è un testo di Alberto Severi basato sul libro Sant’Anna, storia di una strage di Paolo Pezzino, diventato uno spettacolo teatrale diretto da Andrea Buscemi. Un racconto drammatizzato di una delle più efferate stragi naziste dell’ultima guerra, tornata prepotentemente alla ribalta dopo il film di Spike Lee Miracolo a Sant’Anna (e le conseguenti polemiche sulle presunte responsabilità dei partigiani), e più ancora dopo la sentenza al processo di La Spezia nel

2005, fino alla scandalosa decisione della corte di Stoccarda nell’ottobre 2012 che, dopo settant’anni, non ha individuato alcun colpevole. Il 12 agosto 1944 sui monti della Versilia un battaglione tedesco in ritirata comandato dal generale Dostler massacrò centinaia di persone inermi in un impeto di crudele e insensata ferocia, macchiandosi di un crimine che ha atteso oltre sessant’anni per avere giustizia. Uno spettacolo che è uno spaccato di storia e insieme un’orazione civile per ricordare e riflettere sull’eterna insensatezza della guerra, portato in scena nei luoghi più disparati. Nelle foto di Sergio Fortuna alcuni momenti dell’allestimento presso la Galleria d’Arte Moderna di Viareggio, con “scenografie“ di prestigio rappresentate dalle splendide opere di Lorenzo Viani.

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1 luglio ore 21.30

LXVIII FESTA DEL TEATRO 2014

ex Marmi Piantate in terra come un faggio e una croce di e con Elisabetta Salvatori al violino Matteo Ceramelli

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

3 luglio ore 21.30 Federgat Compagnia Le Belle Bandiere In Canto e in Veglia di e con Elena Bucci cura del suono, registrazioni, sensori e interventi elettronici dal vivo di Raffaele Bassetti scene e macchinismo Giovanni Macis luci Loredana Oddone canti registrati Andrea de Luca assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

7 luglio ore 21.30 Uva Fragola Srl Il mio Gesù di Beppe Dati con Monica Bauco, Edoardo Berlincioni, Pierpaolo Buggiani, Sandro Carotti, Marilena Catapano, Matteo Germani, Benedetta Giuggioli, Alessio Mattolini, Elena Nencetti, Alice Noè, Nicola Pecci, Federico Sagona, Sandro Toncelli Coro Insieme per caso diretto dal maestro Fabrizio Berni audio e luci Antonio Dimilta grafica Riccardo Lazzeri arrangiamenti Lorenzo Piscopo regia Pier Paolo Pacini

Piazza Duomo

11 luglio ore 21.30 Sicilia Teatro Giovanna al rogo Storia di una identificazione dall’omonima opera di Arthur Honegger di Paul Claudel con Luisa Guicciardini e Lombardo Fornara drammaturgia Roberto Guicciardini coreografia Deanna Losi musica Arthur Honnegger - Tambours du Bronx luci Lucilla Baroni

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

14 luglio ore 21.30 Sant’Andrea Teatro Pisa con il sostegno de I Sacchi di Sabbia Semillas Il Salvador di Marianella e Oscar Romero di e con Agostino Cerrai e Silvia Pagnin e con Luisa Z. Donati musiche Stefano Perfetti

Ex chiesa di San Martino - Hotel San Miniato

San Miniato

Finis Terrae

Muoiono uomini, donne e bambini. Il dramma dei clandestini è la tragedia di un mondo diviso tra chi ha tutto e chi non ha niente. È il dramma di questo mondo che ha globalizzato il miraggio del benessere senza fare i conti con le risorse della terra. Su questa tragica realtà carica di significati s’interroga, e interroga le coscienze, il Dramma Popolare di San Miniato, la più importante esperienza di drammaturgia dello spirito in Italia, in piedi dal 1947 tra testi inediti, prime assolute e grandi registi come Strehler, Costa, Squarzina, Zanussi. Finis Terrae, spettacolo nato da un’idea di Antonio Calenda, che firma la sua prima regia a San Miniato su drammaturgia di Gianni Clementi, andrà in scena il 17 luglio nella storica piazza del Duomo. L’opera è frutto di una coproduzione tra Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, guidata da Marzio Gabbanini, e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Lo spettacolo è uno sguardo profondo e carico d’umanità su una tragedia infinita che si consuma sui barconi carichi di “merce”, in quel crocevia del Mediterraneo, che fa di vite straniere e sconosciute un mero numero di morte, senza identità né storia, mentre attorno la vita continua a ore 21.30 scorrere, senza un sussulto. In questo gorgo buio del nostro presente indaga FONDAZIONE Finis Terrae, intrecciando accesa denunISTITUTO DRAMMA POPOLARE cia a leggerezza dei toni, echi danteschi Teatro Stabile del a profili di personaggi che appaiono vivi, Friuli Venezia Giulia potenti nella loro verità. Lo spettacolo si apre appunto su una spiaggia battuta da Finis Terrae una burrasca la notte di Natale, ed è qui di Gianni Clementi che un barcone semidistrutto approda da un’idea di Antonio Calenda con grande difficoltà e libera un terribicon Nicola Pistoia e Paolo Triestino e con Francesco le carico di persone con le loro storie, le Benedetto e Ismaila Mbaye, Ashai Lombardo Arop, loro povertà, i loro sogni e le loro speranMoustapha Dembélé, Moustapha Mbengue, Djibril ze che riempiono la scena. Tra loro anche Gningue, Ousmane Coulibaly, Inoussa Dembele, Elhadji Djibril Mbaye una donna violata eppure portatrice anregia Antonio Calenda cora, nonostante tutto, di vita e che darà scene di Paolo Giovanazzi su quella spiaggia alla luce un figlio. Un costumi di Domenico Franchi miracolo che evoca l’unica possibilità che luci di Nino Napoletano ci rimane: l’amore per gli uomini.

17-23 luglio

Piazza Duomo

www.drammapopolare.it

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musica

song contest

eurovision 2014 Leonardo Taddei

Mei Finegold La B&W Hallerme di Copenhagen

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´annuale appuntamento musicale con l´Eurovision Song Contest è stato rinnovato come da tradizione, e per il 2014 si è svolto nell´incantevole capitale del Regno di Danimarca. Copenhagen, per l´occasione, si è vestita a festa e si è preparata ad accogliere, all´interno dell´arena B&W Hallerme, circa 35.000 spettatori e 1.500 giornalisti, provenienti da ben 80 diversi paesi, senza contare l´elevatissimo numero di persone coinvolte nella manifestazione in qualità di addetti ai lavori. Nonostante l´innegabile sforzo da parte dell´organizzazione affinché lo show televisivo più grande e importante d´Europa, che conta quasi 200 milioni di telespettatori ogni anno, più del celebre Superbowl statunitense, riuscisse al meglio, tante sono state le defezioni logistiche e non pochi i disagi arrecati, e niente hanno potuto neppure la gentilezza e la disponibilità delle migliaia di volontari, sparsi per tutta la città, di cui è comunque doveroso sottolineare il prezioso contributo. Ciascun paese, in gara con una can-

zone inedita della durata massima di tre minuti ed eseguita su base musicale, aveva a disposizione un massimo di sei artisti ammessi sul palco – cantanti, coristi o ballerini – e ha potuto votare con un punteggio da 1 a 12 quelle che ha ritenuto essere le altre dieci migliori nazioni in concorso, con un sistema ripartito equamente al 50% tra televoto da casa e giuria di qualità. L´edizione di quest´anno, vinta dalla drag queen austriaca Conchita Wurst, al secolo Thomas Neuwirth, che ha ammaliato il pubblico in sala e i telespettatori con la ballata Rise like a phoenix e precedendo rispettivamente Paesi Bassi e Svezia, ha segnato la prima storica qualificazione alla serata finale di Montenegro e San Marino, quest´ultimo rappresentato per la terza volta consecutiva dalla talentuosa Valentina Monetta con il brano Maybe, scritto da Ralph Siegel, compositore ben noto alla manifestazione e che detiene il record del maggior numero di brani in gara: ben 23 in quarant´anni. Nonostante i graditi ritorni di Polonia e Portogallo e i ritiri di Bulgaria,

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Cipro, Croazia e Serbia, immancabili sono state le eliminazioni illustri, tra cui su tutte quelle di Israele, che probabilmente non parteciperà l´anno prossimo, e dell´Albania, rappresentata dall´incantevole Hersiana Matmuja, brillante studentessa del conservatorio “S. Cecilia” di Roma, con pregevole voce di soprano lirico. Per l´Italia era invece in gara Emma Marrone, superstar nostrana che ha ben figurato, nonostante la 21a posizione finale, con la canzone La mia città, di cui è anche autrice: grinta e carisma da vendere per una performance mozzafiato! Bisogna dire che la RAI ce la sta mettendo proprio tutta per superare il gap causato da ben 13 anni di assenza dalla competizione, dal 1998 al 2010, tale da provocare un fisiologico calo di interesse da parte del pubblico italiano, e sta puntando su nomi che possano garantire un ritorno di ascolti sufficientemente elevato: Marco Mengoni l´anno scorso, dopo il successo a Sanremo, ed Emma quest´anno, che può vantare un nutritissimo stuolo di aficionados pronto a seguirla ad ogni suo


Valentina Monetta Emma Marrone Le sorelle Tolmachevy Conchita Wurst, il vincitore La B&W Hallerme di Copenhagen Tinkara Hersiana Matmuja I presentatori dell´Eurovision Il duo dei Common Linnets

passaggio televisivo. E per la prima volta l´emittente di Stato ha deciso anche di trasmettere entrambe le semifinali di martedì 6 e giovedì 8 maggio, con telecronaca su RAI4 di Filippo Solibello e Marco Ardemagni di RAI Radio2, mentre il gran finale di sabato 10 su RAI2 è stato presentato da Linus e Nicola Savino.

E immancabilmente, oramai come di consuetudine, sono piovute sulla manifestazione anche molte critiche, quelle relative proprio alla vincitrice Conchita, truccata da vera diva hollywoodiana e vestita con un elegantissimo abito lungo e iperfemminile color champagne, pur non rinunciando all´immancabile e folta barba corvina, suo marchio di fabbrica tanto che dovrebbe presto diventa-

re l´emblema distintivo di una nota bambola che ne ricalca l´immagine. Come ci hanno spiegato i responsabili della rivista Qx, il più importante e diffuso magazine a tematica GLBT di tutta la Scandinavia, l´Eurovision Song Contest conta un pubblico che è in buona parte sensibile alle tematiche omosessuali, e la restante coalizione dei più intransigenti non accetta di buon grado che a vincere non sia tanto la canzone migliore quanto la performance più spettacolare. Polemiche a parte, e archiviate le scaramucce e i fischi che Ucraina e Russia hanno visto attribuirsi vicendevolmente dalle rispettive tifoserie, a segno che la politica permea le nostre vite, e il concorso, molto più di quanto possiamo immaginare e che queste non “son solo canzonette”, non ce ne voglia il buon Edoardo Bennato, è calato il sipario anche sulla 59a edizione della manifestazione. “Prima di partire per un lungo viaggio, porta con te la voglia di non tornare più” cantava Irene Grandi qualche anno fa. Dunque arrivederci Copenhagen, città che ha regalato all´Italia la prima vittoria nel 1964 con Non ho l´età di Gigliola Cinquetti, ed a presto Vienna: in fondo un anno passa in fretta e il carrozzone dell´Eurovision Song Contest, che non può mai arrestarsi, si è già messo in moto, lento e inesorabile, verso una nuova meta.

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Bolghery Momix, Tozzi, Pintus e La Scala

festival di San Guido, vino e spettacolo a Bolgheri Melody venerdi

25 luglio

Omaggio all’Italia Ensemble della Scala di Milano

26 luglio

sabato

Summer Dance Meeting all’insegna della new generation della danza.

giovedi

31 luglio

Tango de mi Buenos Aires

Compagnia Argentina Yanina Quinones & Neri Piliu

L

a novità: eventi gratuiti nella “Piccola Arena” Musica, danza, comicità, teatro, cultura e celebri vini all’ombra dei “giganti giovinetti” che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar. Torna la grande magia di Bolgheri Melody Festival e dell’Arena Mario Incisa della Rocchetta, l’esclusivo contenitore di eventi, parole, saperi ed intrattenimento che accompagna l’estate dell’Alta Maremma. Nato da un’idea di Massimo Guantini e Sauro Scalzini e dalla passione della gente di Bolgheri e dintorni, il Festival, arrivati alla quinta edizione, è pronto a sfoderare, tra luglio ed agosto, una programmazione audace e intelligente frutto di una miscela di generi. Promosso da Bolgheri Melody Srl con il contributo di Regione Toscana, il patrocinio del Comune di Castagneto Carducci e

della Camera di Commercio di Livorno e il sostegno di Toremar, il cuore del Festival sarà ancora una volta il palcoscenico dell’Arena Mario Incisa Della Rocchetta, il teatro all’aperto che porta il nome del “padre” del Sassicaia a cui quest’anno si aggiungeranno gli appuntamenti della “Piccola Arena”, un nuovo habitat dove apprezzare i celebri vini bolgheresi e la cucina tradizionale e godere di momenti di intrattenimento gratuito. I biglietti possono essere acquistati online sul circuito www.ticketone.it e in tutti i punti vendita ticketone, boxoffice e bookingshow. Per informazioni e aggiornamenti su prezzi, orari e convenzioni contattare il numero cortesia al 347-7210472 oppure scrivere a info@bolgherimelody. com

venerdi

1 agosto

Gran Galà Fondazione Arpa Musica, parole, spettacolo, intrattenimento e magia

2 agosto

sabato

I livornesi a Bolgheri Bobo Rondelli, Consalvo Noberini, Tono Marton, Martina Salsedo

lunedi

4 agosto

Pintus di Colorado Summer

mercoledi 6 agosto giovedi 7 agosto

Momix

con “Alchemy” venerdi

8 agosto

Hair

musical-tribute sabato

9 agosto

Umberto Tozzi


evento

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il paese degli artisti Torano: l’arte fa vivere cantine, vicoli e piazze del borgo

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al 24 luglio al 13 agosto il piccolo borgo sopra Carrara incontra Frida Kahlo. Torano bella di “Notte e Giorno” celebra il surrealismo nel 50° anniversario della morte di Frida Khalo. Il piccolo borgo nel Comune di Carrara, appeso tra il celeste cielo e il bianco marmo di Michelangelo estratto nelle cave che dominano lo sguardo, torna come ogni estate a essere “il Paese degli Artisti”, l’officina temporanea in cui arte, poesia, materia e antimateria, generi, forme e tecniche, rigore e sperimentazione si confondo e convivono in armonia diventando oggetto di desiderio per un pubblico curioso, incline alla non convenzionalità, a suo agio di fronte all’imprevedibile sensibilità del surrealismo e pronto a mettere in discussione i canoni dell’arte stessa. Le sculture, installazioni e personalissime visioni di artisti e performer arrivati da tutta Italia e da molti paesi stranieri, sono sparse qua e là, in apparente disordine, a conquistare con effetti inaspettati piazze, vicoli, viottoli, terrazze private, pareti e scantinati abbandonati. L’esposi-

zione diventa così motivo e stimolo per esplorare Torano, inoltrarsi nel suo grembo e comprenderne la vera essenza. L’ingresso all’area espositiva è completamente gratuito e non ci sono limiti temporali, né orari di apertura-chiusura da rispettare. Dalle ore 20.00 animazione e appuntamenti enogastronomici. è un viaggio verso luoghi ancora

mai esplorati quello della sedicesima “Torano Notte e Giorno”, rassegna d’arte, ma anche folclore e tradizione promossa dal Comitato Pro-Torano e curata dal Professor Luciano Massari e da Emma Castè, direttore artistico dell’Associazione Culturale “Mar-Ble”. Patria di cavatori e artisti, sognatori e ruvidi lavoratori, Torano quest’anno ospita dunque la pittrice Frida Kahlo, ribelle, passionaria e originalissima artista messicana, e il surrealismo. Patrocinato dal Comune di Carrara e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara e altri enti privati, la rassegna dedica, a partire da quest’anno, uno speciale premio intitolato a Franco Borghetti, fondatore e anima del Comitato Pro-Torano. Le opere e le installazioni partecipanti al premio saranno esposte nel borgo ed entreranno a far parte del percorso artistico.

Per aggiornamenti, programmazioni e informazioni www.toranonottegiorno.it e sulla pagina ufficiale facebook.

Andrea Berti


S

solidarietà

L’unione fa la forza una serata a sostegno del progetto Adozioni a distanza

Alessandro Paladini

Q

uando si dice “l’unione fa la forza”. è quel che è accaduto sabato 10 maggio a Capanne al cinema teatro con il felice connubio tra beneficenza e canto lirico dando vita a una bellissima serata musicale in omaggio al Maestro Andrea Bocelli, che proprio vent’anni fa cantò a Capanne e vinse Sanremo nelle nuove proposte nel 1994 con il brano Il mare calmo della sera. L’idea della serata è di Eugenio Cino, tenore per diletto, che ha trovato immediata collaborazione in Raffaele Di Lorenzo presidente dell’ASCCA, Associazione Culturale Capannese, quando gli è stato propo-

sto di legare lo spettacolo per la raccolta fondi per promuovere il progetto "Adozioni a distanza" instaurato con la favela di Santa Terezhina a Racife in Brasile. Il comune di Montopoli val d’Arno, sempre attento a queste iniziative, ha dato il patrocinio alla manifestazione e non ha mancato di far giungere i suoi apprezzamenti tramite la presenza del sindaco e del vice sindaco. L’altro grande motore e regista dello spettacolo è stato il poliedrico e geniale Giosuè Cino che ha organizzato lo svolgimento della serata con un grande lavoro di preparazione curato con bellissime immagini proiettate sul grande schermo, lettura di poesie, trovate a effetto e sorpresa finale. Egli stesso ha accompagnato in duetto il fratello Eugenio in tre canzoni, una delle quali la famosissima Miserere di Zucchero eseguita da entrambi

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in modo impeccabile. C’è stata la presenza importante della cantante Eleonora Viti, di fatto una vera professionista della canzone, voce stupenda, eclettica, capace di affrontare con disinvoltura insieme a Eugenio Cino quattro grandi brani tra cui Vivo per lei e la famosissima La voce del Silenzio. Tutto lo spettacolo è stato impostato dai presentatori intercalando sempre notizie curiose sulle canzoni ma soprattutto dando informazioni e illustrando il grande lavoro svolto dalle famiglie di Capanne in favore delle adozioni a distanza, collegate ormai da decenni alla “Comunità di Santa Teresina a Recife in Brasile”. A dare maggior risalto a questo argomento c’è stata la presenza del referente e rappresentante della comunità brasiliana a Recife, il signor Juan Claudio Da Silva, emozionatissimo, che nono-


stante qualche piccola difficoltà con l’italiano, ci ha fatto capire ancora meglio cosa significa per i bambini adottati avere la possibilità di studiare e vivere in seno a una comunità che li protegge e li aiuta grazie ai fondi raccolti con tanta generosità da parte delle famiglie di Capanne. Dunque una serata densa di emozioni con tredici canzoni del Maestro Andrea Bocelli eseguite con impegno e bravura dal tenore e dai cantanti e che si è chiusa con la sorpresa sul canto finale Se la gente usasse il cuore con l’ingresso della delicata e dolcissima ballerina classica Caterina Cino sotto una incantevole e fiabesca cascata di bolle multicolori. è stato un momento di grande emozione. Spettatori e artisti hanno condiviso all’unisono attimi di una bellezza unica e irripetibile. A condurre la serata la bravissima e

spigliata presentatrice Fabrizia Morelli, che ha condotto lo spettacolo da vera professionista. Ricordiamo inoltre, chi ha lavorato dietro le quinte:la maestra di canto Perla Trivellini che con i suoi preziosi consigli ha seguito la preparazione dei cantanti, Davide che ha lavorato con precisione ai testi, Simone Giannetta per i costumi, Tang Jun Rui per il trucco, l’insostituibile Salvatore Lupino al computer, l’eccezionale lavoro tecnico svolto da Don Mario Costanzi e l’associazione “Suonamidite” che ha realizzato in modo impeccabile il service audio e gli effetti luce operati dai giovani Samuele Realdini, Tommaso Cino e Leonardo Cino. Il pubblico numeroso ha applaudito con generosità pure a scena aperta regalando anche una bellissima standing ovation finale che ha commosso tutti gli artisti sul palco.

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E

riconoscimento

Premio Pierazzi

Franco Mosca una vita dedicata alla ricerca e alla medicina Margherita Casazza

il presidente della Fondazione CRSM Antonio Guicciardini Salini consegna il riconoscimento al professor Franco Mosca

I

l palazzo Grifoni gremito di persone è stato teatro, il 26 giugno, della quinta edizione del Premio Monsignor Torello Pierazzi, dedicato al tema “una vita per la ricerca e la medicina”. Quest’anno è stato insignito dell’importante riconoscimento Franco Mosca, un pioniere della trapiantologia che con il suo operato ha portato l’Ospedale di Pisa a primeggiare in questo complesso settore. Ma non solo: il professore si è distinto per la sua condotta alla guida di una importante realtà benefica quale la Fondazione Arpa, che opera nel mondo a favore dei più deboli. Il luminare ha ricevuto dalle mani di Antonio Guicciardini Salini, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, il premio che prima di lui, due anni fa, è stato consegnato ad Andrea Bocelli. Con questo riconoscimento la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato ha perciò voluto esprimere al professor Mosca la gratitudine per aver portato lustro al territorio

con il suo costante impegno in campo medico e sociale: un impegno che ricalca profondamente lo spirito con il quale Monsignor Pierazzi dette vita alla Cassa di Risparmio di San Miniato oltre centottanta anni fa. Durante la premiazione il presidente Salini ha sottolineato: «Franco Mosca ha portato l’ospedale di Pisa ai vertici internazionali nel settore della trapiantologia, ma ha un posto di rilievo anche la sua opera a livello umanitario». Aspetto che Mosca ha confermato subito, annunciando che le risorse economiche del premio «saranno destinate a studenti le cui famiglie si sono trovate in gravi difficoltà, studenti che saranno accuratamente selezionati in base ai meriti». Ha poi tratteggiato i punti salienti del suo impegno ricordando gli inizi come allievo del professor Selli, ma parlando anche dei progressi della moderna scienza medica, riferendosi all’importanza della tecnologica applicata alle problematiche della

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formazione e l’impegno, in questa direzione, della Fondazione che «nei paesi svantaggiati punta a formare le professionalità in loco – ha detto conversando con il giornalista Doady Giugliano che ha coordinato la serata – è sui loro territori che devono diventare medici, bravi medici, e curare la propria gente». Il professore ha poi fatto anche alcuni cenni alla sanità oggi, alla questione dei costi, alle difficoltà che il settore registra per carenza di risorse. Il tutto tra ricordi personali, accenni agli inizi della carriera, fino a questi giorni che lo vedono in prima linea a livello internazionale con la Fondazione Arpa. Le precedenti edizioni del Premio, che ha cadenza biennale, hanno visto il riconoscimento assegnato al medico israeliano Dan Shanit, esponente del "Centro Peres per la Pace" di Tel Aviv, al professor Pietro Pfanner, fondatore della "Stella Maris", ai fratelli Paolo e Vittorio Taviani, figure di primo piano del cinema italiano.


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MODA

19 51e fu subito Roberto Mascagni

Villa Torrigiani, Firenze

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’è moda e moda: quella “in stile italiano” e la “Moda Italiana”, con la emme maiuscola, a cominciare dal suo debutto: il 12 febbraio 1951, ideato da Giovanni Battista Giorgini, da lui presentato nel Salone Bianco della sua abitazione fiorentina: Villa Torrigiani, all’interno dell’omonimo parco, in via dei Serragli 144. Dunque una iniziativa riservata, promossa da un privato. Quel giorno, la moda italiana compì il gran salto e affrontò, grazie alle intuizioni di Giorgini, il severo giudizio dei prestigiosi compratori ameri-

cani e degli inviati della stampa internazionale giunti a Firenze, curiosi ma dubbiosi, i buyers rappresentano I. Magnin (S. Francisco), H. Morgan (Montreal), B. Altman (New York), Bergdorf Goodman (New York), Leto Cohn Lo Balbo (New York), Ann Roberts (USA, importer). Giovanni Battista (e non Giovan Battista) nacque a Forte dei Marmi il 25 agosto 1898 in via Stagio Stagi, nella vecchia casa dei Giorgini. La storica famiglia traeva le sue origini da Montignoso. Seguendo le tradizioni familiari, il nostro Giorgini, appena diciassettenne, partì volontario con il

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fratello Carlo nella guerra mondiale del 1915-18, meritando una decorazione. Nel 1923 aprì il suo primo ufficio di esportazione nella fiorentina via Maggio 13. Il buying office rappresentava i grandi magazzini stranieri per i loro acquisti sul mercato italiano. Giorgini orientò i compratori esteri verso i prodotti italiani di pelletteria, ceramiche, vetri, finché scoprì la raffinatezza della maglieria italiana, e fu questa ad aprire la strada al “fenomeno” della moda italiana. Negli anni Trenta e fino alla Seconda guerra mondiale i manufatti esportati dall’Italia quasi sempre erano oggetti ordinari. Giorgini convinse i fabbricanti a rinnovare i loro campionari. Essi compresero che per esportare dovevano produrre oggetti diversi dai precedenti. Terminata la Seconda guerra mondiale, Giorgini persuase i clienti d’oltre oceano che i nostri prodotti abbigliamentari erano stati rinnovati e rispondevano modellisticamente alla struttura fisica degli americani. La manodopera non mancava, perché l’Italia possedeva, da sempre, un’artigianalità di livello altissimo, ma l’Italia del secondo dopoguerra era povera, arretrata in tutti i settori. I film del neorealismo rispecchiano quella realtà. Nel 1950, “Bista” Giorgini svolge a Firenze l’attività di residente buyer per i grandi department stores americani. La dirige dal suo ufficio al primo piano del cinquecentesco palazzo Bartolini Salimbeni, in piazza Santa Trinita. Mentre i francesi, già nel 1945, annunciavano la riapertura delle maison parigine promuovendo tournée in America, le sartorie italiane dovevano affrontare gravi difficoltà per repe-


Giovanni Battista Giorgini

rire tessuti e complementi di pregio e soprattutto a organizzarsi. L’abbigliamento fu una delle prime sentite esigenze per riappropriarsi di una identità, pur mancando di tutto: le materie prime, i combustibili, i macchinari, le forze lavoro maschili per riavviare le industrie, e come dopo ogni guerra protagoniste, spesso, furono le donne. E l’artigianato fece la differenza. Con la rinascita industriale dell’Italia, sostenuta dagli interventi economici

promossi dagli Stati Uniti d’America e da quelli dell’America Latina, si riavviò ogni attività e tra il 1949 e il 1950 la ripresa fu costante. Giorgini fu dunque il “catalizzatore” di un pulviscolo di piccole imprese artigiane operanti a diversi livelli, in netta concorrenza e rivalità tra loro, prive di un sistema unitario di promozione. Nonostante le scarse risorse nazionali, le città più propositive furono Milano, Torino, Firenze e Roma. Tra gli atelier già esistenti con caratteristiche innovative si distinguevano Maria Antonelli, le Sorelle Fontana ed Emilio Schuberth a Roma, Biki e Vanna a Milano, Gemma Palloni e Yella Bellenghi a Firenze. Tra le case fondate durante la guerra e nel periodo post-bellico, troviamo Carosa e Fabiani a Roma, Germana Marucelli e Jole Veneziani a Milano, Cesare Guidi a Firenze. Dal 1945 al 1950, per creatività e desiderio di innovazione, si distinsero altri giovani creatori, imponendosi all’attenzione internazionale per mezzo di un nuovo concetto del vestire: Emilio Pucci, Scarabocchio e Valditevere. Urgeva trovare le firme disposte a emanciparsi, cosa non facile perché all’epoca andare “contro” le firme francesi sembrava una follia. Parigi dettava le linee generali, stabiliva tendenze e forniva abiti e accessori

L’aumentato successo internazionale necessita di maggiore spazio per le sfilate fiorentine. Dal 22 luglio 1952 si aprono le porte della Sala Bianca e ancora oggi questo nome è sinonimo di Moda Italiana. Situata al piano nobile di Palazzo Pitti, la sala più ampia della règgia medìcea era riservata allo svolgimento di feste, banchetti e ricevimenti solenni. Di volta in volta denominata “Salone (o Sala) Grande”, “Salone de’ Principi forestieri”, “dei Festini” o “Salone Grande dell’Appartamento Règio”, solo nel secolo scorso fu ribattezzata “Sala Bianca”. Negli anni centrali del granduca Pietro Leopoldo d’AsburgoLorena, la Sala Bianca (allora detta “dei Pranzi”), fu rinnovata completamente, assumendo l’aspetto neo-classico così come lo possiamo ammirare ancora oggi: decorato con candidi stucchi. La Sala Bianca ospitava anche eventi musicali. Il 1° aprile 1924 fu eseguito il Pierrot lunaire di Schönberg, da lui diretto, invitato dal musicista Alfredo Casella. Per l’occasione, giunse in automobile da Viareggio Giacomo Puccini, sempre attento alle novità musicali europee. L’ascolto gli riuscì difficile, ma lo colpì una scrittura così lontana dai suoi modelli di riferimento. Al termine dell’esecuzione, Puccini raggiunse Schönberg per salutarlo. Fra gli eventi memorabili avvenuti nella Sala Bianca, merita di essere ricordato il concerto vocale a favore della Croce Rossa, che vedeva impegnate, l’11 maggio 1953, due storiche cantanti: il mezzosoprano Fedora Barbieri e il soprano Maria Callas. Insieme con loro si esibì il giovane ma già affermato basso Mario Petri.

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raffinatissimi, ma a prezzi molto alti. Il conseguente scontento orientò i clienti esteri verso le nostre produzioni. 1948-1951: solo quattro anni, ma ricchi di fermenti. Giorgini avviò sollecitamente la difficile organizzazione per coordinare, raccogliere e soprattutto selezionare. I creatori più disponibili furono i più giovani: quelli che potevano esprimere un potenziale di innovazione e maggiori ambizioni. Con questi, Giorgini poté presentare ai compratori americani e ai rappresentanti della stampa internazionale nove esponenti dell’alta sartoria: Simonetta, Fabiani, Sorelle Fontana, Schuberth e Carosa di Roma; Marucelli, Veneziani, Noberasco e Vanna di Milano; e quattro per la moda-boutique: Emilio Pucci, Avolio, Bertoli e la Tessitrice dell’Isola. Il consenso fu immediato. La Moda italiana conquistò l’iniziale maiuscola e lanciò l’Italian Style. Successo chiama successo. Aumentò il numero dei compratori e quello dei rappresentanti della stampa internazionale specializzata. Il Salone Bianco di casa Giorgini era ormai insufficiente ad accoglierli tutti. Perciò la seconda sfilata si spostò nell’ampia sala da ballo del Grand Hôtel, in piazza Ognissanti. Era il luglio 1951. Ma questa è un’altra storia.


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evento

Dubai 2014

Polo Challenge

Giampaolo Russo

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on il patrocinio di Sua Altezza Reale la Principessa Haya Bint Al Hussein, moglie di Sua Altezza lo Sceicco Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, Vice-Presidente e Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti e Governatore di Dubai, quattro squadre di polo si sono sfidate nella splendida cornice del Desert Palm Resort. Ad avere la meglio la squadra di Cartier, che si è aggiudicata il prestigioso trofeo. La sceicca Maitha Bint Mohammed Bin Rashid Al Maktoum, che ha fatto il suo debutto nel torneo lo scorso anno, è tornata a difendere il suo titolo. Questa volta è stata lei stessa a giocare con la propria squadra degli Emirati Arabi Uniti, che dispone anche del giocatore Mohammed Al Habtoor. La gara ha confermato il crescente interesse per il polo nel Medio Oriente. Unico rappresentante europeo di quest’anno è stato Adriano Agosti che ha disputato la sua gara nello splendido Palm Desert di Ali Al Bawardy con la sponsorizzazione della nota azienda italiana “la Martina”.

Celine Fornas

Suhail Mohebi e Mohamed Al-Nahib

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Lauri Agosti

Shahz Khan e Wiktoia Glowacka

Laurent Gaborit direttore di Cartier Medioriente, India e Africa


EVENTO

II° trofeo

Luxury Paint

golf e motori

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uto e golf, due mondi divisi ma uniti, per la seconda volta, a Montecatini Terme in occasione del Autostile - Luxury Paint in un torneo con formula diciotto buche stableford a tre categorie. Gianfranco Servi e Gerardo Caputo, titolari della carrozzeria Autostile, conosciuta per essere la prima in Europa a introdurre i trattamenti di nanotecnologia per le auto e yacht, da sempre impegnati nella ricerca dell’eccellenza e dell’innovazione come dimostra la tecnica di verniciatura Luxury Paint loro esclusiva invenzione, sono riusciti nell’organizzazione di questo torneo a superare il successo dello scorso anno. La splendida cornice del Golf Club di Montecatini e le stupende auto curate dai nostri amici, rendono questo torneo un appuntamento unico nel suo genere.

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Stile e vip in Versilia S

tabilimento balneare, ristorante, discoteca: è molto più di un semplice Club. Flyboard e butcher a “comando”: non solo movida. L’eleganza non si nota, si riconosce. Incipit che cela in sé tutte le peculiarità del Beach Club Versilia di Cinquale: stabilimento balneare, ristorante, discoteca, multi-struttura. Un contenitore di eventi ed emozioni che va in scena a un soffio di brezza dal mare, nella dissolvenza del dettaglio che fa differenza. Lo scenario di fondo resta quello che fin dal primo giorno caratterizza il Club: arredi intrisi di un purissimo color bianco e uno stile Miami, fra palme, poltrone in vimini, grandi vasi e una vetrata nel mare, che ammalia e coinvolge i suoi ospiti. Tutto questo, e molto altro, hanno fatto si che il Beach fosse inserito, a pieno titolo, nel World’s Finest Clubs, ristrettissima élite dei clubs più importanti su scala internazionale. Ma il viaggio dentro l’universo Beach è suggestivo percorso da svelare istante dopo istante per una griffe di fondo che ha rivoluzionato, nel breve volgere di poche stagioni, la movida notturna in terra di Versilia. La novità dell’estate il Flyboard, di cosa stiamo parlando? Di uno sport, made in Usa, il Flyboard, che è un vero e proprio fenomeno. Tutto ruota

intorno a una sorta di tavola, da agganciare ai piedi grazie a calzature apposite, che grazie al deflagrare di un getto d’acqua dalla base, ti fa decollare. Un volo nell’oltre, nel massimo rispetto della sicurezza e della tecnologia più avanzata, che sarà possibile testare nell’estate 2014 assieme a un istruttore. Pura adrenalina in esclusiva al Beach Club. Stabilimento balneare il declinare lieve e soffice della spiaggia verso le onde e 46 tende posizionate per accogliere nel modo migliore, all’interno dello stabilimento, gli ospiti. Tende con in dote, oltre ad asciugamani e teli personalizzati, un pulsante, per chiamare il cameriere e ordinare un pranzo veloce vista mare o sorseggiare una bevanda fresca o ancora assaporare il piacere di un generoso vassoio di frutta: il tutto supportato da un servizio ad alta professionalità. Alla tenda si abbina una cabina con doccia interna, cassaforte e rivestimenti in bisazza. Ma al Beach Club village puoi anche immergerti nelle due piscine o ancora lasciarti sospendere nella zona idromassaggio o nell’area solarium prima di uno step, rilassante, al pool-bar. A complemento una palestra, sotto il cielo blu della Versilia, impreziosita da corsi di acquagym e fitness, sauna e doccia emozionale. Per una zona relax dove poter apprezzare vari tipi di massaggi, magari navigando in wifi con il vostro Ipad di ultima generazione. Ristorante e “pescatore personale” Tre nicchie culinarie per soddisfare ogni palato: la ristorazione spazia così dai sapori e dagli aromi locali a quelli etnici ed internazionali. Al “Bio” vengono privilegiati gli ospiti attenti ad una dieta più salutare e leggera, il Beach propone invece piatti del territorio con un’offerta di nuove specia-

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lità e un particolare sguardo ai gusti dei più piccoli. La chiosa la riserviamo all’Oceans, vetrina a cinque stelle, con pesce di giornata portato in dote da un pescatore professionista, le gustose alchimie culinarie dello chef Di Nello per una cena da degustare sotto tende arabe "appoggiate" a un passo dalla battigia. Novità della stagione 2014, la possibilità di prenotare la cena, o ancora un altro servizio, dal sito del Beach Club. Aperitivo: al bando ogni formalismo, la domenica pomeriggio, a partire dalle 17.30, si balla e ci si diverte sulla spiaggia. Pareo, infradito, maglietta, cannucce colorate e un chiringuito intorno al quale fare girare il mondo. Cocktail e aperitivi di ogni genere da vivere scortati dalle ultime sonorità musicali per quello che è diventato un vero e proprio must, fra grandi cocchi e ananas tracimanti di bevande rinfrescanti, dell’estate versiliese. Per chi invece preferisce le atmosfere più intime, il giovedì sera la spiaggia si trasforma in un lounge-aperitivo, tra candele profumate, cuscini, tappeti, narghilè e un contorno di suggestivo piacere. Discoteca I migliori dj internazionali e i ballerini professionisti sui tetti del locale, le hits on the mind e le sonorità della memoria: le serate del Beach Club sono istantanee ad alto indice di divertimento. Fitta l’agenda settimanale di appuntamenti: il mercoledì sera collegamento in diretta con radio M2O, il venerdì e il sabato sospesi fra cena e discoteca fino a tarda notte, mentre la domenica è sceneggiata fra beach party, aperitivo, show e dj set. Perché il Beach Club è un grande teatro dove si recita, sempre, e a prescindere dal ruolo, da protagonisti. Per info www.beachclubversilia.it


A TU PER TU

volere Matteo Visciòla fra Stati Uniti e Firenze

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ncontro Matteo Visciòla nella palestra dove si allena, puntualmente e scrupolosamente, quattro volte alla settimana. Non l’altezza, non la robustezza ma il buon umore è il suo primo segno distintivo. Con la stessa disinvoltura ha cominciato a partecipare al concorso di bellezza “Mister Italia”, risultando vincitore delle prime due selezioni. «Sono nato nel 1988 a Napoli – racconta – e lì, con i genitori, ho vissuto il mio primo anno di vita. Nel successivo ci trasferimmo in una località più tranquilla: Vico Equense, nella costa sorrentina, dove rimasi fino a otto anni, poi i miei genitori raggiunsero gli Stati Uniti, poiché in Florida, abitava il fratello di mia madre con la sua famiglia». Il cognome della famiglia materna è Ceciarelli, lo stesso della famosa attrice cinematografica Monica Vitti, sorella del nonno materno di Matteo. Il cognome Visciòla è di origine pugliese: infatti la famiglia paterna proviene da Ascoli Satriano, in provincia di Foggia. Dalla tranquilla quotidianità di un paese italiano a quella dinamica di una città americana, la differenza è sostanziale. Come vivesti questa nuova realtà? Quando arrivai in America avevo otto anni. All’inizio ero molto triste per aver lasciato gli amici di scuola italiani, però mi ambientai abbastanza velocemente. Frequentai per un anno una scuola per stranieri e fui assistito da un tutore che mi raggiungeva a casa per insegnarmi l’inglese. Dopo un anno i genitori mi iscrissero a una scuola privata, poi alla scuola pubblica.

Matteo si racconta volentieri. Il mio unico problema era l’alimentazione. Infatti in quel periodo diventai sovrappeso; passavo molte ore davanti alla TV o al PC e mangiavo a dismisura! Come risolvesti questo problema? Cominciai a praticare vari sport, tra cui il calcio nel ruolo di portiere, il Tae-kwon-do, nuoto, basket, ma mi stancavo subito. Quando tornai in Italia cambiai alimentazione e stile di vita. Praticando assiduamente il nuoto, recuperai velocemente la forma fisica. La “svolta” quando avvenne? Trascorsi cinque anni in America rientrai in Italia con mia madre e mia sorella. Ci stabilimmo a Negrar, un paese della Valpolicella, in provincia di Verona. A Brescia iniziai le scuole superiori con indirizzo turistico e ad avere qualche esperienza lavorativa in bar e ristoranti. Matteo tradusse la sua voglia di fare e di esprimersi in piena autonomia misurandosi con diverse realtà. Raggiunse suo padre in Florida dove riprese a studiare per conseguire un diploma di scuola superiore. (Parla un eccellente inglese e ha una buona conoscenza dello spagnolo e del francese). Il diploma gli servì per lavorare in Italia come portiere notturno di un albergo a 4 stelle nella provincia di Brescia. Era il 2006. Per passione, lavora come DJ per vari locali e feste private. Si dimostra capace. Ottiene due contratti lavorativi di sei mesi ciascuno come animatore per Costa Crociere. Come si svolgeva il tuo lavoro a bordo?

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Ero impegnato come animatore per gruppi di giovani dai 13 ai 17 anni. Inventavo giochi o altri passatempi. Gli ospiti vivevano come in un sogno questa nuova esperienza di croceristi e nascevano nuove amicizie. La fine della vacanza e il ritorno alla realtà quotidiana era per loro motivo di forte nostalgìa. Scaduto il contratto Matteo torna in America perché aveva trovato lavoro nel New Jersey. Venuto il momento di rientrare in Italia, decide di stabilirsi a Firenze. Irrequieto, no. Curioso, sì. Riceve offerte di lavoro come fotomodello e indossatore. Ha sempre fatto tesoro di ogni esperienza. Parte del suo tempo libero lo dedica al bodybuilding in palestra. Dal settembre dello scorso anno ha incominciato a praticarlo seriamente; è diventata una grande passione, come la musica: dal Jazz alla Techno, dalla Trance all’Hip-Hop, dalla Chill Out al Metal. Senza trascurare delle buone letture. La partecipazione a un concorso di bellezza è solo divertimento o un’esperienza in più? Tutt’e due. Un amico mi esortò a prendervi parte. La mia prima partecipazione al concorso “Mister Italia” risale al febbraio scorso, la seconda a Siena, nel mese di marzo. Li ho vinti entrambi, perciò continuo. Esperienza fortunata? Mi piacciono le competizioni, ma per questa ragione rispetto sempre il giudizio della giuria, qualunque sia l’èsito.

Domenico Savini

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FORMAZIONE

competenze spendibili i risultati dei corsi di formazione Elena Profeti

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resentati i risultati dei corsi di formazione realizzati da poteco e Forium: 80% di placement e per gli studenti e competenze concretamente spendibili nel mondo del lavoro. I risultati dei corsi di formazione promossi ci gratificano soprattutto per-

formativi promossi dal POTECO con l’agenzia formativa FORIUM e l’Istituto Cattaneo di San Miniato, finanziati dal Fondo Sociale Europeo, i cui risultati sono stati illustrati nel corso di un apposito seminario per la consegna dei diplomi ai partecipanti. LE TESTIMONIANZE DEI CORSISTI: Grazie allo studio più facile l’ingresso o la ricollocazione nel mondo del lavoro. Finalizzati a formare professionisti della filiera-pelle, in grado di rispondere alla reale offerta di lavoro proveniente dal comparto, i corsi, tutti gratuiti per i partecipanti, hanno riscontrato il consenso di addetti ai lavori e studenti, 60 gli allievi complessivi coinvolti nei 4 progetti formativi presentati: Due corsi specifici per il settore conciario, uno finalizzato a formare un Tecnico della Gestione delle fasi produzione della pelle ed uno finalizzato a formare addetti alla selezione del pellame e la gestione del magazzino. Un corso specifico per il settore calzaturiero finalizzato a formare un addetto con competenze di sviluppo e realizzazione del modello di scarpa anche attraverso le tecnologie Cad/ Cam. Un corso specifico per i servizi alle imprese, finalizzato a formare un tecnico per la gestione dei rapporti commerciali con clienti e fornitori.

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ché gli studenti che abbiamo formato hanno acquisito competenze concretamente spendibili nel mondo del lavoro: Domenico Castiello, direttore del Polo Tecnologico Conciario, commenta così l’esito dei progetti

La fascia di età interessata va dai 20 ai 54 anni e una perfetta suddivisione delle classi tra uomini e donne, tutti messi in condizione, attraverso stage in azienda, di sperimentare sul campo quanto appreso. Numerose le testimonianze degli stu-

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denti in occasione della consegna dei diplomi, che ha visto tra gli altri l’assessore alle attività produttive della Provincia di Pisa Graziano Turini, con l’amministratore delegato e il presidente del POTECO, rispettivamente Leonardo Volpi e Osvaldo Ciaponi. Nell’attuale delicato contesto economico-sottolinea Volpi - la formazione, se mirata e qualificata, si rivela una grande opportunità: attraverso gli stage i corsisti imparano come operare e nello stesso tempo le aziende ne possono conoscere le qualità valutando come inserirli in organico -. La componente pratica del corso dice Devra Lari Ronzulli, studente del corso di aggiunteria e sviluppo CadCam - è stata fondamentale per far comprendere come operare nell’ambito della formazione che ci è stata offerta, nel mio caso spendibile nella progettazione e realizzazione di modelli attraverso i sistemi CAD-CAM, con il brillante risultato che a seguito del corso sto già lavorando in questo contesto per me così stimolante. L’alta percentuale di studenti entrati o ricollocatisi nel mondo del lavoro grazie a questi percorsi formativi è incoraggiante, 4 su 5 hanno trovato un occupazione, come il dato dei 5 allievi che si sono dimessi dai corsi perché durante la fase d’aula avevano già trovato un lavoro.


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medicina

camic

n ascesa

sorpassano gli uomini, le donne-medico italiane Paola Baggiani

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ella medicina e nella sanità è avvenuto un evento che può essere esemplificativo di un grande cambiamento. Statisticamente le donne medico sono un'ampia maggioranza rispetto agli uomini: in Europa più della metà dei medici al di sotto dei trentacinque anni sono donne; il record tra i paesi europei spetta all’Italia con una percentuale superiore al 65%, rispetto al 58% dei medici del Regno Unito, del 60% della Francia e 63% della Spagna. Il cambiamento del panorama professionale nella medicina è ormai consolidato, ma la storia delle donne medico parte da lontanissimo… Dalle civiltà asiatiche, a quelle africane, all’epoca atzeca le testimonianze confermano il ruolo della donna come soggetto attivo ed esclusivo come portatore di salute e benessere nel proprio nucleo familiare e nella comunità di cui faceva parte. Nel periodo buio dell’Inquisizione furono spazzate vie tradizioni millenarie di cure e benessere psicofisico e in

particolare la figura femminile venne emarginata, le conoscenze mediche assicurate ai soli uomini e vietate alle donne, grandi vittime di quel periodo. Questa chiusura verso la figura femminile nella medicina (e non solo!) perdurò fino a poco più di un secolo fa, quando le donne ricomparvero

Lucrezia Cornaro Piscopia Maria Montessori Rita Levi Montalcini

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nelle Accademie di Medicina, spesso derise e boicottate dai colleghi maschi, dalle stesse famiglie di origine, dovendo superare mille ostacoli di carattere culturale e organizzativo. Le donne cominciarono a essere accettate nelle università e nella professione medica soltanto a partire dal fine ‘800-inizio ‘900 soprattutto negli Stati Uniti. In Italia la prima donna medico, figura isolata però, laureatasi all’università di Padova nel 1678, Lucrezia Cornaro Piscopia, è anche la prima donna laureata in Medicina nel mondo! In Italia tra le figure di donne medico che si sono imposte nel mondo scientifico, spiccano Maria Montessori, laureata in Medicina e Pedagogia che si impose con il suo metodo educativo apprezzato in tutto il mondo, e tralasciando altri nomi non meno importanti, più recentemente la grande figura di Rita Levi Montalcini, ricercatrice, scopritrice dell’N.G.F, fattore di crescita delle cellule nervose, premio Nobel per la Medicina nel 1986. In Italia dall’inizio di questo secolo c’è stato un aumento vertiginoso dei camici bianchi al femminile: un attento censimento della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici nel 1978 stimava le donne medico circa 17.000 su un totale di 143.000 operatori medici, distribuite soprattutto nell’Italia settentrionale; nel 1994 un sondaggio elaborato dalla stessa federazione, valutava circa 100.000 donne medico su un totale di 330.000 medici (circa 30%), con una distribuzione sul territorio simile ai dati del primo censimento. Nell’anno accademico ’95-’96 si ha un sorpasso da parte delle donne


per ciò che concerne le iscrizioni al corso di laurea in medicina. La crescita numerica delle donne medico se da un lato rende più forte la componente femminile della categoria, dall’altro non bisogna sottovalutare le difficoltà che ad oggi le donne medico incontrano. Le donne hanno occupato alcune branche della medicina che per tanti anni erano state a loro interdette come la chirurgia, tuttavia cercano di conciliare la vita professionale e la famiglia, e spesso prediligono specializzazioni che non le obbligano a fare orari lunghi e gravosi e i turni notturni; la maggior parte sceglie la medicina di base o la pediatria o esercita l’attività ospedaliera con poche velleità di carriera. Ricorre spesso al part time soprattutto negli anni decisivi per la carriera. Da vari rapporti stilati da ordini dei medici e da studi e analisi fatte durante il convegno sulla” Medicina declinata al femminile” organizzato nel 2007 dalla Fnomceo emerge una situazione della donna medico con profondo disagio di lavoro e di relazioni; che subisce svantaggi e discriminazioni, vessazioni, in certi casi molestie sessuali e violenze. La discriminazione è soprattutto nell’esclusione dai programmi di lavoro e da iniziative del servizio di appartenenza; nell’avere meno incarichi e nel

mancato raggiungimento dei livelli apicali (donne professori ordinari di medicina e Chirurgia 8.3%; donne negli organismi direttivi degli ordini dei edici 293su 2000). Circa un 46% delle donne medico afferma di aver subito molestie sessuali e non mancano anche aggressioni fisiche vere e proprie. La donna medico non fa eccezione nel generale panorama lavorativo femminile, subisce però un’accentuazione di questi fenomeni negativi ben oltre la media nazionale. Nonostante parecchie zone grigie contenute in questi rapporti emerge comunque che il 60% delle donne medico si dichiara soddisfatta del

proprio lavoro e ruolo professionale e si sente apprezzata dai propri colleghi; rimane un diffuso scetticismo circa la probabilità di salire tutti i gradini della carriera. All’aumento delle donne in medicina non corrisponde un cambiamento delle strutture, spesso le donne sono obbligate ad adattarsi a regole a dominanza maschile: in futuro saranno necessarie più garanzie (ad es. per la donna in gravidanza), dei nuovi equilibri, delle armonizzazioni e dei compromessi. Le differenze di genere tra medico di sesso maschile e femminile, sono importanti: la differenza è tra il curare e il prendersi cura. In questo senso le donne hanno con il paziente un rapporto diverso: gli uomini sono più razionali, portati a intervenire sul male, le donne conoscono meglio il valore della promozione della salute, hanno più cura per l’integrità della persona. Inoltre la presenza della donna è un ottimo antidoto alla tecnicizzazione e conseguente disumanizzazione che sta avvenendo in medicina. La pluralità degli approcci è una ricchezza; l’approccio ”razionale” maschile e quello ”passionale” femminile non sono in competizione ma entrambe possono concorrere a definire una medicina migliore; entrambe possono essere un valore aggiunto per il malato. La femminilizzazione della medicina è un importante cambiamento che richiederà ancora battaglie da parte delle donne per i loro diritti, in un universo in cui le regole sono ancora declinate al maschile; non è un semplice turn-over di genere, è sopratutto una grande opportunità per migliorare e umanizzare la professione medica. www.baggianinutrizione.it

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benessere

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ounseling

un aiuto per aiutarsi S

alve a tutti voi lettori di Reality! Mi chiamo Sonia Tacchi e sono una Counselor professionista con indirizzo Olistico. Una delle prime domande che molte persone mi pongono quando mi presento loro è: “Cos’è un Counselor?”. Il mio intento con questo articolo è quello di iniziare una dinamica informativa su questa Professione nel campo della Relazione di Aiuto alla Persona e di poter incuriosire voi tutti a scoprire qualcosa di più! Il Counseling Psicosomatico ad Indirizzo Olistico Comunicativo Integrato rientra fra quelle professioni non organizzate in ordini e collegi, regolamentate recentemente dalla legge n° 4 del 14 gennaio 2013. Il Counseling è una professione in grado di favorire lo sviluppo delle potenzialità, qualità e risorse di individui, gruppi e organizzazioni (Ultima Def. approvata dall’Assemblea Nazionale FAIP Counseling del 18 Aprile 2013) Da quando ho iniziato il mio percorso scolastico, integrato con i due tirocini svolti (nel 2011/2012 a Firenze in una

scuola elementare e nel 2012/2013 presso la Pubblica Assistenza di Santa Croce sull’Arno) e completato con esame finale e discussione della tesi, ho compreso, e sono contenta di poterlo condividere con chi sta leggendo, che, per essere in grado di aiutare e sostenere le persone che richiedono un intervento di Counseling, è basilare e fondamentale, essere in grado di aiutare e sostenere, prima di tutto, me stessa. Il “Lavoro Olistico” che ho fatto e faccio su di me quasi quotidianamente mi da modo di poter aiutare e supportare i clienti sempre con più consapevolezza, conoscenza e comprensione delle problematiche che portano in seduta e di come poter svolgere al meglio il mio intervento con ognuna di loro. “Lavoro” perché si tratta di un vero e proprio impegno giornaliero, in cui l’obiettivo è l’ottenimento di uno stato di benessere e di salute migliori. “Olistico“ perché la persona è aiutata e integrata in tutti i propri Se: intellettuale, mentale, fisico, psicologico spirituale, emozionale. Come nasce il Counseling? Il Counseling nasce in America nei primi anni del 1900. Precisamente il dott. Carl Rogers, con il suo libro “Counseling and Psicotherapy“ (1942), si rivela il padre fondatore di questa nuova forma di aiuto alla persona, nella quale è l’Essere Umano al centro dell’intervento di aiuto, piuttosto che il problema che porta. La relazione si svolge nel momento presente, nel Qui ed Ora. Attraverso un rapporto empatico basato sul “Come Se…” Il counselor si muove verso la comprensione del cliente, con un distacco neutrale in modo che non si attivino reciproche dipendenze fra lui ed il cliente medesimo. Insieme a

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Rogers, anche il dr. Rollo May (1939) parla del Counseling come nuovo metodo di sostegno all’individuo che intraprende personalmente e responsabilmente i passi verso l’autorealizzazione. Il Counselor può solo aiutarlo, con empatia e rispetto, a ritrovare la libertà di essere se stesso. Accogliere la persona e farla sentire a proprio agio in un Setting adeguato è fondamentale. Farle comprendere che non è sola con il suo problema, che è ascoltata ed accettata, getta le basi per un intervento di Counseling efficace, mediante il quale, il cliente con i suoi tempi, arriverà a trovare da solo le soluzioni ai propri disagi e scoprire, attivandole, le proprie potenzialità per il raggiungimento degli obiettivi che si propone. In qualità di facilitatore è un mio compito far sì che la persona si possa affidare e fidare del Counselor. La sua privacy sarà assicurata e garantita dal segreto professionale che, come professionista, vengono disciplinati da un Codice Etico e Deontologico che chiunque può visionare! L’aiuto alla persona consiste nel sostenerla ad esporre il disagio (sia emotivo che fisico), a chiarirlo e riformularlo, attraverso l’applicazione di nuove forme di Comunicazione intra ed extra personali. Tecniche Olistiche basate sulla conoscenza del proprio Corpo Emozionale, quindi, della comprensione e riconoscimento di un’Emozione e di come si manifesta sul Corpo Fisico. Successivamente aiuto la persona a gestire l’Emozione ed utilizzare la stessa dinamica emotiva per attivare una o più Risorse interiori positive che tutti abbiamo e che è bene per noi portare alla Coscienza al fine di raggiungere i nostri obiettivi.

Sonia Tacchi

Sonia Tacchi Counselor Psicosomatico Professionista info@soniatacchi.it www.soniatacchi.it

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Jack Russell errier T

amici dell'uomo

un simpatico amico pieno di vita

Luvi Alderighi

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hi ha la fortuna di ospitare in casa un Jack Russell, dal primo istante capisce con chi ha a che fare: un tipetto davvero coraggioso, piccolo di dimensioni, ma estremamente esuberante, intelligente e curioso; insomma, un amico a quattro zampe che lascia il segno. La sua natura è quella di un Terrier e come tutti i cani appartenenti a questa famiglia, possiede un’indole veramente particolare, irrequieta, energica, che gli conferisce una vitalità

fuori dalla norma e immediatamente percepibile nello sguardo vispo e nella fiera postura del corpo. è proprio il caso di dire che per i cani di questa razza le dimensioni non contano, in quanto non sembrano rendersi conto dei loro 25-30 cm di altezza, e sprezzanti del pericolo, osano imprese che altri cani si guarderebbero bene dal tentare; infatti, è abbastanza usuale vederli abbaiare e andare incontro con aria di sfida a cani tre volte più grandi di loro.

Nonostante questo lato del carattere abbastanza irruento e a volte poco gestibile, il Jack Russell Terrier è un cane dal cuore grande, che non si dimentica mai di dimostrare al suo amico umano quanto sia leale e affettuoso nei suoi confronti: proprio questa caratteristica lo ha reso una di quelle razze canine emblematiche, che quasi tutti riconoscono subito. Le sue origini storiche sono piuttosto chiare: il Jack Russell deve il suo nome e i suoi caratteri distintivi (fra cui la forte muscolatura e il manto prevalentemente bianco, solo arricchito da qualche macchia tan o nera) al Reverendo inglese John Russell (1795-1883), allevatore e grande appassionato di caccia, il quale intendeva selezionare un fox terrier che fosse agile, veloce e resistente a tal punto da essere in grado di inseguire la volpe e stanarla, ma senza aggredirla con ferocia. Con queste prerogative in mente, John Russell riuscì ad ottenere, attraverso un rigoroso programma di selezione, un terrier da lavoro molto eclettico che divenne popolarissimo nella seconda metà dell’Ottocento come cane da caccia.

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Dopo la sua morte, gli standard di razza a cui si era attenuto con grande zelo iniziarono a non essere più ben rispettati, e presto emersero vari ceppi che non rispecchiavano la descrizione dell’autentico Jack Russell Terrier. Solo nel 2001 tale razza è stata ufficialmente riconosciuta dalla FCI (Federazione Cinofila Internazionale) grazie all’operato di grandi estimatori che hanno cercato di mantenere il più possibile le caratteristiche originarie, ma la sua popolarità mondiale

è dovuta principalmente a ruoli cinematografici, come quello di “Milo” nel film “The Mask”, che hanno consacrato il Jack Russell come idolo di milioni di persone. I futuri padroni, che intendono farne un compagno fedele di vita, devono però sapere che questo fantastico cagnolino rimarrà pur sempre un terrier da lavoro e come tale avrà bisogno di molto esercizio fisico e di un proprietario altrettanto energico con cui divertirsi.

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gusto

meglio un

u v oggi L’uovo, protagonista indiscusso della nostra tavola, ma anche di arte, cultura e storia Federica Farini

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’uovo, cibo ricco di storia, tradizione e gusto, ha una forma inconfondibile: il simbolismo ad esso collegato è talmente profondo da renderlo sinonimo di vita - nelle credenze pagane e mitologiche del passato - a rappresentare l’unione di cielo e terra come una completa unità. Gli Egizi lo consideravano il nucleo dei quattro elementi dell’universo (aria, acqua, fuoco e terra), i Persiani usavano scambiare uova di gallina all’approssimarsi della stagione primaverile e l’abitudine era simile anche per gli Etruschi, che nelle scene tombali dei banchetti non mancavano di rappresentare i commensali con in mano delle uova, metafora dell’inizio del percorso del defunto stesso nell’oltretomba, rimando alle reincarnazioni nell’eterno riprodursi della nascita dell’universo. I Cartaginesi preferivano le uova di struzzo, i Romani le apprezzavano per colazione, ma anche in dolci e salse. Il “succo” non cambia nemmeno ai giorni nostri: l’uovo costituisce da sempre un elisir di proteine, alimento completo, nutriente e facil-

mente assimilabile. Nella provincia di Pistoia, a Panicagliora, una sagra è dedicata all’uovo sodo: la festa approda ogni lunedì di Pasqua alla benedizione delle uova e ai giochi di paese dopo la processione e la messa. Ed è proprio a questa festività che l’uovo è spesso collegato, perché le massaie contadine di un tempo usavano mettere da parte le uova che galline e oche producevano a ritmo maggiore con l’avvicinarsi della ricorrenza primaverile, per farle benedire dal parroco e lessarle la mattina di Pasqua. La Festa dell’Uovo a Memmenano di Poppi – nel cuore del Casentino – rappresenta un’altra allegra sagra che raccoglie tradizione, musica e balli in onore dell’uovo e di un menù rustico ad esso dedicato, così come le sagre dell’Appennino ToscoEmiliano, tra i comuni di Tredozio e Arcevia, nei giorni “all’insegna delle uova”, protagoniste di gare, mostre d’arte e giochi, dalla “pesca nell’uovo gigante”, alla “pentolaccia”, alla “battitura dell’uovo sodo”, fino alla caccia delle uova sode nascoste in un pagliaio. L’uovo risulta

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essere utile perfino alla pittura, in particolare per quella a tempera, grazie all’efficace potere adesivo e di resistenza all’umidità: durante il Medioevo erano i frati a studiare le formule adatte alla preparazione dei colori, e a loro si rivolgevano celebri artisti come il Perugino e Raffaello richiedendo olii purificati, colori solidi e puri per dipingere. La diffusione dell’uovo come regalo pasquale nasce probabilmente in Germania – quando, durante il Medioevo, era tradizione in occasione della Pasqua donare semplici uova bollite, avvolte in foglie e fiori – fino alle uova in argento, platino e oro commissionate da Edoardo I, sovrano d’Inghilterra dal 1272 al 1307, che si tramutarono nell’uovo di Fabergé nell’Ottocento, grazie all’omonimo orafo che preparò per lo zar di Russia un uovo di platino smaltato contenente un altro uovo (motivo per cui si diffuse la tradizione della sorpresa contenuta all’interno dell’uovo di cioccolato,


che approda alla nostra contemporaneità). È nell’opera di Piero della Francesca, La Pala di Brera, che l’artista rivela la sacralità nella rappresentazione di un uovo di struzzo, che pende da una conchiglia all’interno di una cupola, proprio sopra la testa di Maria, a simbolo del complesso richiamo al dogma della verginità noto agli umanisti del XV secolo. Paul Cézanne nobilita l’uovo rendendolo protagonista nel quadro Natura morta con pane e uova (1865), quasi a sottolineare l’importanza della sua semplicità, e Salvador Dalí omaggia l’uovo nel significato del suo mistero nell’opera La metamorfosi di Narciso (1937), utilizzandolo come simbolo di sessualità anche in altri dipinti. Uovo: bontà, genuinità e ricchezza sempre da (ri)scoprire.

prepara le tue uova medioveli ripiene ricetta ispirata dal “Liber de coquina”, XIV secolo)

Ingredienti per 6 persone: 9 uova sale 60 g. di parmigiano fresco 15 cl. di agresto oppure 7,5 cl. di aceto di mele diluito in 7,5 cl. di acqua 200 g. di strutto origano o maggiorana (freschi o secchi) zafferano chiodi di garofano.

Cuocere le uova fino a renderle sode, sgusciarle, dividerle a metà e togliere i tuorli. In una terrina a parte versare i tuorli, schiacciare e mescolare insieme a un uovo crudo, formaggio parmigiano precedentemente grattugiato e maggiorana. Aggiungere al composto sale, zafferano e chiodi di garofano, amalgamando l’impasto in forma omogenea; formare quindi delle palline della grandezza dei tuorli estratti dalle uova sode, riempire l’albume sodo delle nuova con il nuovo “tuorlo” modificato, friggendo infine le uova ripiene in una pentola, insieme allo strutto. Prima di servire spruzzare con l’agresto o con l’aceto di mele diluito in acqua. 93


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TENDENZE

mode di moda

pillole sulle tendenze 2014

Tramo

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uest’estate mettiamo da parte l’egocentrismo dell’autoscatto e concediamo un po’ più di tempo a quello che viviamo. La moda dell’estate potrebbe essere una foto del tuo tramonto, ovunque tu sei! Vuoi provare?

iorni g e u D d’estate

Summer # g hashta

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Eleonora Garufi

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arà sicuramente il tormentone dell’estate, visto che lo è già stato per l’inverno. Il tag più acclamato dei social si prepara alla sua prima estate all’insegna del mare, dei costumi succinti, e delle situazioni più improbabili da taggare. Basta un insieme di parole (o combinazioni di parole concatenate) inserite nei commenti precedute dal simbolo #, per la gioia di Twitter, instagram e Pinterest.

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è

questo il titolo del cortometraggio del regista Toscano Luca Dal Canto presentato niente di meno che all’ultimo Festivale di Cannes. Realizzato con un budget zero con sole tre persone di troupe, il film parla dell’estate a sedici anni, attraverso la storia di Andrea, che bocciato a scuola, è costretto a trascorrere l’estate nel casolare di campagna dei genitori. Un’estate indimenticabile e di crescita raccontata da uno dei registi tra i più interessanti della nostra terra, fortemente legato alla cultura della sua città, Livorno. Guardare per credere! www.facebook.com/duegiornidestate


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Tintarella

MODA

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ccoci finalmente arrivati nel caldo periodo estivo e Reality Moda è con voi per raccontarvi la storia dell’attività preferita da tutti nell’estate... la tintarella! Per tutta l’antichità, fino all’Ottocento, la pelle doveva essere bianca e candida. Avere la pelle bronzea era segno di povertà e caratterizzava il lavoro manuale della gente che per vivere doveva passare ore e ore nei campi. Le donne delle classi agiate sfoggiavano una pelle bianca, che proteggevano dal sole con ombrellini, oppure rendevano ancora più bianca utilizzando discutibili rimedi chimici di natura ignota. Insomma, più bianchi si era, più si era di moda. Solo all’inizio del Novecento le cose cambiarono. Il premio Nobel Niels Ryben Finsen scoprì l’azione curativa della fototerapia su malattie secolari come il lupus e il rachitismo: l’abbronzatura divenne una vera prescrizione medica e di pari passo, l’avvento industriale, fece si che il lavoro al chiuso

parificasse lo stato sociale, almeno a livello epidermico. L’abbronzatura divenne una moda negli anni ‘20 grazie, di nuovo, a Coco Chanel, che dopo una rilassante vacanza in Costa Smeralda tornò con un colorito vivo ed estivo che divenne subito una tendenza da emulare. Il colorito dorato della pelle abbronzata divenne un potenziale attivo nella pubblicità e con l’arrivo della TV a colori un obbligo estetico per le donne. L’abbronzatura divenne addirittura un sinonimo di democrazia dopo la fine della seconda Guerra Mondiale, quando i soldati vittoriosi tornarono alle loro case tutti abbronzati dalle battaglie al fronte. Come ogni cosa, però, ci vuole la giusta misura: se l’assenza totale dal sole è quasi nociva alla salute del corpo, lo è altrettanto l’eccessiva esposizione. L’abbronzatura selvaggia degli anni Ottanta e Novanta è stata davvero eccessiva, sia per un gusto estetico che propriamente medico. Oggi il sole è più pericoloso che mai e un’esposizione fuori controllo può essere davvero pericolosa. Mai sentito parlare di melanoma? Detto anche tumore della pelle, è principalmente causato da un’esposizione selvaggia al sole. Ecco allora che nel 1923 nasce la crema solare protettiva, a uso e consumo dei giapponesi mentre in Europa bisognerà aspettare il 1935 per un olio contro i raggi UV. Ecco allora qualche regola fondamentale per cercare di salvaguardare la salute e essere al top nell’estate: 1. Usare minimo una protezione 10 e non unguenti. 2. Applicare la crema in maniera omogenea su tutto il corpo e usare uno

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stick ad alta protezione per le zone più delicate come labbra, naso, contorno occhi. 3. Applicare ogni due ore e subito dopo il bagno. 4. Mangiare frutta e verdura in abbondanza per sentirsi idratati, rendere la pelle luminosa e protetta, meglio quelle con vitamina A, come carote, ma anche radicchio, spinaci e albicocche. 5. Non esporsi al sole nelle ore più calde, meglio la mattina e a metà del pomeriggio, specialmente se avete bambini! 6. Per i piccoli “modaioli” meglio protezione totale! Il 50 è d’obbligo!

Eleonora Garufi

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grafologia

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Giacomo Puccini Maria Laura Ferrari

Maria Laura Ferrari. Grafologo giudiziario del Tribunale di Lucca. Socio AGP (Associazione Grafologi Professionisti). info@marialauraferrari.com www.marialauraferrari.com

L’

artista nasce a Lucca il 22 dicembre del 1858, sesto di nove figli, in una famiglia di musicisti: frequenta l’Istituto Musicale di Lucca dove il padre, che perde all’età di cinque anni, era stato docente. La tradizione vuole che egli decise di dedicarsi al teatro musicale nel 1876, dopo aver assistito a una rappresentazione di Aida di Verdi a Pisa, dove si sarebbe recato a piedi con due amici. Grazie all’impegno di amici e familiari, Puccini ottenne dalla regina Margherita una borsa di studio di cento lire al mese, per un anno, che gli consentì di perfezionarsi presso il conservatorio di Milano che era il centro principale del teatro operistico. Durante questi anni divise una camera con l’amico Mascagni. Nel 1884, Puccini inizia una convivenza (destinata a durare, tra varie vicissitudini, tutta la vita) con Elvira Bonturi, moglie del droghiere lucchese Narciso Gemignani, dalla quale ebbe l’unico figlio, Antonio. Puccini che non amava la vita in città, appena ne ebbe la possibilità economica, grazie ai primi successi, appassionato com’era di caccia ed avendo indole essenzialmente solitaria, acquistò un immobile a Chiatri, sulle colline tra la città di Lucca e la Versilia e ne fece un elegante villino, che considerò per qualche tempo luogo ideale per vivere e lavorare. Purtroppo la compagna Elvira mal sopportava il fatto che per raggiungere la città si doveva andare a piedi o a dorso d’asino, fu quindi giocoforza per Puccini spostarsi da Chiatri verso il sottostante Lago di Massaciuccoli (del quale da Chiatri si gode una ineguagliabile vista). Nel 1891 Puccini si trasferì dunque a Torre del Lago (ora Torre del Lago Puccini,

frazione di Viareggio): ne amava il mondo rustico, la solitudine e lo considerava il posto ideale per coltivare la sua passione per la caccia e per gli incontri, anche goliardici, tra artisti. Di Torre del Lago il maestro fece il suo rifugio, prima in una vecchia casa affittata, poi facendosi costruire la villa che andò ad abitare nel 1900. Puccini la descrive così: Il maestro la amava a tal punto da non riuscire a distaccarvisi per troppo tempo, ed affermava di essere «affetto da torrelaghìte acuta». Un amore che i suoi familiari rispetteranno anche dopo la sua morte, seppellendolo nella cappella della villa. Qui furono composte, almeno in parte, tutte le sue opere di maggior successo, tranne Turandot, alla quale si dedicò a Viareggio, dove era andato ad abitare in un elegante villino perché disturbato dall’apertura a Torre del Lago di un impianto per l’estrazione della torba.

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Ma vediamo la scrittura: grande, rapida, spontanea non risponde ai canoni dell’epoca: Puccini era una persona moderna, curiosa e amante delle novità. La grafia, ritmata, vivace, dalle forme originali ed i collegamenti agili, ci rivela una personalità innovativa, dinamica ed intellettuale. La traccia di inchiostro è densa e calda, indice di ricchezza di sentimenti e sensibilità. Lo spazio è gestito liberamente: buchi e canali, rappresentano le vie della fantasia e dell’immaginazione che portano alla luce il mondo delle impressioni; la zona inferiore “in pince” si apre a ricevere le suggestioni che sgorgano dal profondo. Il musicista attinge la sua ispirazione dall’inconscio, la musica è il suo modo per comunicare, per trasmettere il suo mondo interiore. La tenuta del rigo è sinuosa, ciò indica la capacità di penetrazione psicologica e la determinazione nel perseguire gli obiettivi, dote quest’ultima segnalata anche dalle barre del “t” lanciate e dalle “r” ben formate. Chi ha una scrittura sinuosa possiede inoltre l’arte dell’educazione e della diplomazia, che sa utilizzare anche per “incantare” l’altro sesso. Famose sono rimaste le numerose relazioni dell’artista lucchese, grande corteggiatore ma incapace di mantenere una relazione stabile, tranne che con l’amata/odiata Elvira. La grafia è elegante ma non artificiale, si tratta di un’eleganza naturale, che fa parte di lui. Le numerose irregolarità rivelano una profonda emotività; è inoltre poco leggibile, sfugge: Giacomo non vuole rivelarsi completamente, protegge e custodisce gelosamente la propria indipendenza.


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Anno XVI n. 2/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


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