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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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Anno XVI n. 4/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


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EDITORIALE

Stare sereni? C

hiusura dell'anno, tempo di bilanci. Ma sarà il caso? I vecchi e irrisolti problemi si accumulano ai nuovi. La "monnezza" che invade le strade occupa anche i penetrali del "palazzo", come Pasolini chiamava le stanze del potere. "Roma caput mundi, ma de che?" Come siamo caduti in alto nella graduatoria della corruzione! Contendiamo il posto in classifica alla Romania, che per nostra consolazione è pur sempre un membro della comunità europea. Con molto rammarico devo dire che non pensavo di arrivare a scrivere parole così nere. Sarà il diffuso clima negativo di questo periodo. Purtroppo non esistono più le mezze stagioni: tutto passa dal caldo al ghiaccio; ogni volta che piove succede un disastro; le parole impazzano, ma i fatti tardano ad arrivare. Non so cosa ne pensate voi. Per quanto mi riguarda, non mi par proprio che in questo momento ci sia da "stare sereni", per usare un'espressione cara al nostro premier. Mi sembra che i "manovratori" della macchina Paese non abbiano ancora capito che i soldi di tasca se li devono levare "loro", non noi; che gli affari da milioni di euro con la malavita li fanno "loro", non noi; e sopratutto che devono essere "loro" al nostro servizio, non viceversa. Ci si lamenta dell'antica politica, e che dovremmo dire di quella attuale? Che altro occorre per capire che bisogna cambiare questo Paese. Le chiacchiere ormai stanno a zero: ci vogliono i fatti! Non è possibile scoperchiare il pentolone del marcio e della corruzione ogni volta che si apre la porta d'una stanza del "Palazzo". Rispetto al dopoguerra oggi abbiamo davvero tanto. I nostri padri partivano da una situazione disastrata, ma avevano la speranza che a noi manca, la prospettiva di un futuro migliore nel quale non crediamo più. Tuttavia, signori miei, bando ai crucci, sospendiamo la malinconia! Sta arrivando il Natale, le feste sono alle porte: le famiglie tornino a riunirsi, si incontrino gli amici, ci si scambi i regali e si facciano buoni propositi per il futuro. In questi giorni proponiamo a noi stessi di essere più buoni e perché no!, anche i grandi facciano idealmente una letterina a Babbo Natale, anche se in cuor loro dubitano che quest'anno gli arrivi per tempo. Finisce un anno, se ne apre uno nuovo, si passa da una generazione all'altra, continua la vita e nel mistero luminoso di una capanna, la nascita di un Bambino ci dice che non dobbiamo arrenderci. Quando leggerete questo numero di Reality starete già celebrando le festività nelle vostre dimore, nel calore della vostra famiglia. Porgo a voi e ai vostri cari i miei più sentiti auguri di un sereno e felice Natale, con la speranza che tutte le vostre lettere arrivino a Babbo Natale e siano esauditi i vostri propositi.

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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina: Sergio Vacchi Autoritratto con il basco rosso 1986, grafite e smalto su carta, cm 50x50 Foto di Alessandro Paladini

Reality numero 74 - dicembre 2014 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007

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SOMMARIO

A 10 20 22 24 28 30 33 34 37

ARTE E MOSTRE

In viaggio con Vacchi Paesaggi in fuga Con un centimetro di poesia Volterra in Rosso! La Madonna della Misericordia Daniele da Volterra Il pittore e il santo Il sarto e la modella L’arte in Italia

T 40 43 44

L 46 48 51

letteratura

Un poeta contro tutto e tutti Pùgia per un fratello Novità editoriali

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territorio e storia Wine & Art Bled C'era una volta a Peccioli

S



SOMMARIO

S

spettacolo Al cinema con gli sceicchi Il ballo della debuttante Il mio canto libero

52 54 57

E 58 61 62

C 64 66 68 70 72 74 77

COSTUME D'inverno? Décor d'autore

Che cosa hai messo nel caffè? Cravatta che passione! Cirneco dell'Etna La tradizione del presepe Oroscopo 2015

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economia e società Natale is movies Red Night Kazi: progetto

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A

artista

in

viaggio con

Nicola Micieli

Figura con casa su palafitte, 1950, grafite e olio su carta intelata Pagina a fronte Figura accesa, 1959 olio e smalto su tela

Vacchi

I

l viaggio con Sergio Vacchi ha sicuramente un carattere iniziatico, di attraversamento delle soglie tra la la consapevole presenza e la sconfinata estensione, psichica e fisica, dell’ignoro. Vacchi ha sempre e solo dipinto quel che non conosce. La visione è stata in lui sempre un percorso rivelato nel rapimento dell’atto del dipingere, che non ha mai avuto a che fare con gli automatismi e le proiezioni surrealiste. Un visionario che definirei mercuriale, incline alla filosofica e düreriana “melancholia”. Pittore di singolare eccentricità e intuitiva preveggenza, quanto mai estraneo ai formalismi compiaciuti delle nuove accademie astratte, figurative e concettuali, con le quali pure si è confrontato nel corso dell’intero secondo Novecento, ma per contestarne la superficialità dello sguardo incapace di letture trasversali del reale. Vacchi è stato un viaggiatore dei labirinti della mente, frequentatore abituale, direi rabdomantico, dei sustrati psichici, per quanto non sia mai appartenuto, ripeto, alla famiglia funambolica dei surrealisti e conti semmai tangenze simboliste e metafisiche di ascendenza mitteleuropea. Lo era già allo scorcio degli anni Quaranta, con la fase neocubista degli esordi nella Bologna dominata dalla veneranda presenza del genius loci e sacerdote Morandi, alle cui reliquie pittoriche opponeva il gigantismo della sue “scomposizioni” di oggetti e figure sicuramente dilatate e di risoluzione immaginaria. Dal suo osservatorio apparentemente appartato, dallo studio/sacrario di via Fondazza, a Morandi non sfuggì la presenza di quel giovane irregolare che dipingeva quadri spropositati,

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e forse giudicati arroganti dal cultore delle essenze materiche e formali davvero contenute in minimi recinti pittorici. A Francesco Arcangeli che di Vacchi è stato il primo convinto estimatore, Morandi non mancò di dire: «Senta, ho saputo che Lei sta appoggiando un giovane di nome Sergio Vacchi che è reputato un buon pittore e un bravo ragazzo, però gira voce che faccia dei quadri molto grandi. Speriamo che non gli cadano addosso!, perché altrimenti se sono troppo grandi potrebbero fargli male.» Era un modo, lo sprezzo morandiano, di rilevare e in definitiva considerare l’apparizione di Vacchi al primo viaggio. Dalla sintassi neocubista pur otticamente deformata, nel corso degli anni Cinquanta Vacchi gradatamente sintetizzava la forma sino a farsi aniconico, infine defluendo da protagonista nell’informale, che declinava in chiave viscerale e come contaminata discesa nel laboratorio organico della materia. Invero introduceva una flagrante anomalia nel più castigato “ultimo naturalismo padano” teorizzato da Francesco Arcangeli. Nel versante informale Vacchi approdava con lo spirito dell’esploratore speleologo, irresistibilmente attratto dalla concretezza del reale, in accezione primigenia in quanto ancorato ai radicali biologici della forma, più che antropologici nel senso culturalmente codificato del termine. Con il suo gesto che scaricava energie pulsionali, Vacchi provocava fibrillazioni e pulsazioni vitali della materia agglutinata in embrioni vagamente antropomorfi. Non a caso, intorno al ’57-’58 chiamava spesso “figure” o “ritratti” i suoi brutali brandelli organici che dopo il suo trasferimento a Roma ai primi anni Sessanta, con la serie dedicata a Michelangelo e con il ciclo del Concilio, doveva assumere più riconoscibili parvenze umane, per quanto di soma abnorme. infine, negli anni Sessanta della ripresa figurativa, Vacchi ha vissuto la dicotomia tra la cultura d’immagine a diversa connotazione pop e quella di matrice espressionista in peculiare accezione esistenziale, della quale Vacchi ha interpretato il versante più sotterraneo e irto di implicazioni antropologiche, anche di tipo esoterico e con quella tensione visionaria cui si accennava. Una posizione, questa, che giocando sulla singolarità del linguaggio, ha sostenuto sino al presente; e pressoché da solitario, se si considera che la sua lezione ha trovato taluni punti

di tangenza solo nelle parallele, ed egualmente anomale nel contesto italiano, ricerche di Giannetto Fieschi e di Mattia Moreni. Nel suo variegato percorso figurativo Vacchi ha scrutato con lucida ebbrezza, per cavarne baudeleriani “fiori del male”, e la magica inquietante bellezza delle apparizioni creaturali anche domestiche, il cono d’ombra dove si intorpida il sentimento dell’essere e dove l’immaginario prefigura il luogo della soglia tra il visibile e l’invisibile, tra il qui e l’altrove. In quell’area interedetta e misteriosa del transito verso l’ignoto, in quella terra liminare o Finisterrae come dal titolo d’un suo ciclo pittorico, Vacchi collocò allora e vi ha sin qui mantenuto, l’oblò deformante e rivelatore del suo terzo occhio di veggente e di

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sciamano, permutando in fantasmatiche mostruosità (da mostra, cose degne di essere mostrate) le apparenze del mondo sensibile. Nello stesso logo del transito ha attinto succhi fisiologici, umori ed essudazioni, spurghi e linfe, insomma il sangue e il nerbo della sua materia fatta di smalti e colori metallici e della sua lingua pittorica, che certo non disdegna le difformità morfologiche e le precipitazioni anche kitsch, cosi come sa attingere straordinarie modulazioni della forma fluente e del décor che in interno e in esterno determinano in clima magico delle manifestazioni rituali. Intendo dunque le tetraggini plumbee come le accensioni sulfuree, le infiorescenze carnali come le putredini, le esplosioni purpuree

Pagina a fronte Spaccatura del Concilio, 1975, smalto e colori metallici su tela Segnatura di Galileo, 1967, smalto e colori metallici su tela


Pagina a fronte Il suonatore di cuscini, 1990 smalto e colori metallici su tela

come gli alchemici viraggi in oro e argento del colore. E ancora gli spasimi della materia squassata come da un sismo che si scatena negli strati profondi, lacerata dal segno che la percuote e la incide tramutando in gridi le ferite; e al contempo il ricamo prezioso della materia/luce che si distende come lieve manto, un velo d’oro di trasmutata bellezza laddove le creature elettive della memoria e del sogno, finalmente evocate abitano la scena. Infine le alterazioni morfologiche delle creature sempre allarmanti nella loro aliena corporeità, e sono pur sempre presenti al vissuto familiare, artistico e letterario dell’artista, quando non arcane prefigurazioni ovvero incarnazioni simboliche del suo immaginario mitografico; feticci liturgici disseminati entro i recinti magici e gli oggetti comuni che dal confino nella terra interdetta di cui dicevano, paiono chiamati a manifestarsi nel limbo della scena. La quale scena era data un tempo sotto specie di purgatoriale habitat palustre, di piscina lustrale, di landa desertica o di brulla spiaggia, di stanza iniziatica, e oggi coincide per lo più con gli interni medievali, i saloni di antiche pietre e possenti pilastri, il giardino e gli esterni del Castello di Grotti, nella modulata distesa collinare della campagna senese dove Vacchi risiede e dove ha sede la Fondazione che porta il suo nome: un severo imponente edificio che nella fiction pittorica pare uscito da un romanzo gotico, ed è senza dubbio lo sfondo ideale delle “convocazioni”, ovvero chiamate e invocazioni, di personaggi cruciali nella genealogia artistica e intellettuale di Sergio Vacchi e, contestualmente, nella cultura moderna. Tra i più assidui convitati ad adunanze che sembrano le inenarrabili prove generali d’un nuovo giudizio universale prossimo venturo, che egli vorrebbe scongiurare con l’esercizio della memoria, incontriamo Marcel Proust dal pittore ritrovato nel 1988, quindi studiato e analizzato nella sua visione letteraria e culturale. Con Proust, negli anni di Grotti, Vacchi ha dipinto molti ritratti di amici e di personaggi da lui amati e ammirati: Samuel Beckett, Franz Kafka, Alberto Savinio, Otto Dix, Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, Greta Garbo, Francis Bacon. Scriverà nel 2002 Pierre Restany: «Vacchi ha “ripreso” tutti i suoi amici e anche tutti coloro – pittori, scrittori, filosofi, critici e storici dell’arte – che considera come dei complici delle sue visioni e dei suoi fantasmi travestiti in una semantica dell’orrore latente (…)

L'ultimo Arlecchino, 1988, smalto su tela La piscina della sera, 1975, olio, smalto e colori metallici su tela

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Tutti i suoi amici Vacchi li estrae dalla sua notte culturale per metterli in luce sulla tela, tutti con un loro stesso sguardo insonne che è il marchio della loro complicità». Nella sua unicità, Sergio Vacchi non ha avuto scuola e non ha fatto scuola, perché ha dato udienza solo alle voci disparate che dall’immenso pianeta dell’arte di tutti i tempi hanno fatto risuonare, per simpatia, le corde della sua sensibilità e dei suoi allarmi, hanno suscitato illuminazioni nel suo immaginario innescando nuove concatenazioni creative. Per questo i ritratti degli artisti e intellettuali suoi compagni di viaggio reali e ideali, continueranno ad accompagnare l’opera sua ben oltre i novant’anni che egli si appresta a festeggiare nel suo buen retiro di Grotti.

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Insaccati dell'occulto. Fine delle ragioni del travestimento di massa, 2002, smalto su cartone I globi sui tetti di Roma, 1995 smalto e colori metallici su tela Pagina a fronte Il mistero di Greta Garbo, 1990, smalto su tavola di legno


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asce a Castenato di Bologna nel 1925. Non segue studi artistici regolari, ma partecipa attivamente al fermento culturale dell’Italia del dopoguerra: Bologna gioca un ruolo strategico molto importante in questo contesto grazie alla presenza di due personaggi come Longhi e Morandi. Sin dagli esordi Vacchi è fortemente sostenuto dal critico Francesco Arcangeli. Nel 1951 realizza la sua prima personale alla Galleria Il Milione di Milano. Dalle opere emerge una sostanziale affinità al movimento post-cubista e di Picasso, dal quale poi si distacca per intraprendere una strada autonoma. Una svolta si registra nella seconda metà degli anni 50, quando si avvicina per qualche anno all’informale, con una pittura che mantiene sempre una forma propria. Negli anni 1956-57 viene invitato due volte alla Biennale di Venezia. Nel 1959 si trasferisce a Roma dove la sua pittura si va sempre più solidificando e risvegliando a quella figurativa. Dal 1962 al 1968 dà vita ad un’approfondita riflessione sul “potere”. Realizza tre grandi cicli pittorici: Il Concilio raffigurazione ironica delle gerarchie ecclesiastiche; La morte di Federico II e Galileo Galilei. Nel 1964 viene invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia. Dalla fine degli anni '60 fino ai '90, la sua arte si fa sempre più visionaria, il suo immaginario pittorico si popola di figure vitali ed erotiche, di mostri e icone metamorfiche, ritratti di persone-animali in un inedito rapporto tra quotidiano e favoloso, norma ed eccezione, presenza e lontananza. Il Museo Archeologico di Grosseto ospita una personale di 25 disegni di grandi dimensioni. Ampie antologiche a Cestenaso nel 1990 e a Paternò nel 1991 evidenziano appieno il carattere visionario della sua pittura che accentua ulteriormente, nell’ultimo decennio, l’aspetto fantastico in scene macabre, figurate con apparente distacco da una pittura molto disegnata, sempre impostata su salde radici di dissenso. Numerosissime le esposizioni di questi anni. Fra i tanti ricordiamo l’antologica svoltasi nel 1994 al Museo della Permanente di Milano, voluta da Giovanni Testori, mentre nel 1996 si tiene la mostra al Boca Raton Museum di Miami in Florida voluta da George S. Bolge. Nel 2001espone in uno dei luoghi museali più suggestivi di Firenze, l’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti. Dodici disegni e un autoritratto vengono acquistata dal Museo degli Uffizi. Nel 2002 riceve il Premio Scipione e nell’occasione viene allestita un’antologica a Palazzo Ricci a Macerata. Nel 2003 inaugura al Palazzo del Ridotto a Cesena l’antologica su Greta Garbo e a Vinci presso il Museo Leonardiano e la casa natale di Leonardo ad Anchiano viene presentato al pubblico un grande ciclo di opere realizzate dal 93 al 97 dal titolo: Leonardo Codice Verso. Il ritorno e l’andata. In mostra venti dipinti della serie e i disegni preparatori di un surreale ritorno del genio di Vinci ai giorni nostri. A Bologna viene consegnato all’artista il Premio Marconi 2007.

Foto di Roberto Testi

Fondazione Vacchi

Pagina a fronte La ballerina e il suo partner, 1993 smalto e colori metallici su cartone

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mostra

paesaggi in fuga Matteo Paolantonio alla Galleria Il Germoglio Giulia Brugnolini

Matteo Paoloantonio Paesaggi in fuga Galleria Il Germoglio Pontedera fino al 31 gennaio

Nuvole rosa, 1999 olio su tavola

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Paesaggi animati e “in fuga” è il titolo della mostra personale di Matteo Paolantonio, pittore classe 1970, nato a Manfredonia e naturalizzato fiorentino, formatosi all'Accademia di Belle Arti nella scuola di pittura del prof. Roberto Giovannelli, dedicandosi allo studio della prassi e della storia della pittura nel contesto di una dialettica di continuità con i linguaggi contemporanei. È stato coordinatore dei seminari “d'après i Maestri del Novecento” presso la Galleria d'Arte Moderna a Palazzo Pitti. Attualmente vive ed opera nel Valdarno, lavora come insegnante di Discipline Pittoriche all'istituto d'arte di Montevarchi. La galleria “Il Germoglio” di Pontedera ospita per tutto dicembra, alcune delle sue tele e tavole che sono aperture d'ambiente e che fanno della franchezza il loro punto di forza. Paolantonio non è pittore di retroguardia e realizza dipinti con maestria tecnica sulla scia rinnovata di un vedutismo e di un

paesismo che in Toscana conta un fecondo retroterra. L'influsso della mediazione figurale e iconica di Roberto Giovannelli – suo maestro all'Accademia di Firenze – unito alla sua sensibilità artistica danno vita ad un'opera completa, mai scontata. Ma la sua particolarità è, più che mai, attuale:

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non s'incontrano figure umane negli ambienti – puntualmente in esterno – di Paolantonio, l'ambiente antropico ritorna al suo stato originale restituendosi alla natura, ripulendosi dall'operato dell'uomo ma non dal suo sentire. Pur non avendo mai usato come strumento la macchina foto-


grafica, le visioni d'ambiente di Paolantonio, in particolare quelle degli anni Novanta, rivelano uno sguardo confidente dello specifico linguistico della fotografia, negli scorci arditi e i grandangoli. Ma come si “animano” questi paesaggi? Una dinamica interna interessa continuamente la totalità della scena, fino, talvolta, a ridurla in pura astrazione di segni e linee, non per questo meno riconoscibili nella loro essenzialità. Sorprende come il suo modo di catturare l'immagine sia “in presa diretta”, con l'uso di pochi ausili. Una mostra da non perdere, più che mai improntata sulla visione romantica di un paesaggio fuori dal comune ma che si ritrova nei nostri sogni più reconditi.

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a Galleria d´arte Il Germoglio di Pontedera è stata inaugurata nel 1996 ed è nata da un’idea di Afram Agenzia Formativa per la promozione di uno spazio culturale in grado di assumere un ruolo fondamentale nella diffusione dell’arte contemporanea e nella ripresentazione di icone del recente passato artistico toscano e nazionale. Nel corso degli anni la sua attività è stata molto vivace, programmando esposizioni di grande rilievo artistico, considerando sempre prioritario il rapporto con il territorio e il coinvolgimento della comunità, soprattutto delle giovani generazioni, e sapendosi rinnovare continuamente nelle proposte e negli obiettivi. Oggi più che mai l’arte costituisce un canale comunicativo e di incontro privilegiato, un’importante chiave di lettura di epoche e generazioni diverse, uno strumento per esprimere e comprendere se stessi e gli altri, per cogliere l’essenza dei diversi modi di essere permettendo loro di coesistere ed arricchirsi vicendevolmente.

Barchino, 2003, olio su tavola Ponte rosso, 2009, olio su tela

foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz

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mostra

con di in

centimetro poesia tasca Tullio Pericoli al Museo della Grafica

Stefano Stacchini

Terre, 2001 acquaforte e acquatinta Veduta aerea, 1981 acquaforte e acquatinta Italo Calvino, 2002 acquaforte Pagina a fronte Francis Scott Fitzgerald, 2013 acquaforte, puntasecca e acquatinta Gioachino Rossini, 2001 acquaforte, puntasecca e acquatinta

Una storia di segni Le incisioni di Tullio Pericoli Museo della Grafica Palazzo Lanfranchi, Pisa fino al 15 marzo 2015

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ollicino per non perdersi durante il suo viaggio seminava bricioline di pane, Arianna srotolava il suo gomitolo di lana e via avanti così, con mezzi e tecniche sempre più sofisticate fino ai nostri giorni, per vincere le paure degli Orchi e dei fantasmi. Invece per non perdersi e non perdere la linea dell’orizzonte tra le incisioni di Tullio Pericoli a Palazzo Lanfranchi a Pisa occorre accendere la memoria e portarsi un centimetro di poesia in tasca. Le carte di Pericoli, che in quel Palazzo galleggiano sottovetro come il brodo dei santi nelle bottiglie delle cripte o come saponette appena sgusciate dalle loro veline, sono poca cosa rispetto alle lastre che le hanno generate. Tracce labili di una vita più forte, icone inanimate di gesti e volontà.

L’inchiostro che è scorso nelle vene di quelle genitrici, sotto la pressione del torchio, ha lasciato sulla carta deboli frammenti del DNA originario, così deboli da farli sembrare romanticamente malati. E sono fragili e delicati, figli di graffi superficiali lasciati da un vento appena abrasivo. Come se affondare la punta nel metallo per Pericoli significasse uccidere i sentimenti. Quanto ho desiderato una di quelle lastre! Poterla accostare all’orecchio come una conchiglia e sentire le deboli voci che la animano. Poter toccare quei solchi e chiedere loro come hanno fatto a non chiudersi alla prima passata. Giuro che i trucioli di tutte quelle incisioni potrebbero stare nel palmo della mano di un bambino. Ho visto le città invisibili di Calvino e l’Atlante di Kublai, Atlante delle mappe di nessun luogo, tanto più preziose perché ricordate, tanto più

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belle perché immaginate, tanto più vere perché inesistenti. E Calvino, in mostra, mi ha fatto cenno di sì col capo. La memoria… sì, proprio quella, di tanta vita vissuta e sognata, mi ha fatto vedere i paesaggi, le invenzioni, i personaggi e l’ironia di Pericoli su quelle carte. E i colori delle stagioni, lasciati dalla acque tinte e forti mi hanno svelato la natura della geografia interiore dell’Artista, geografia del desiderio e del rimpianto. Ho visto il libro di sabbia, paesi dove stare insieme è civile, dove c’è paura della guerra ma non del vicino, Petrarca mangiarsi le unghie per lo struggimento, la luna dell’Ariosto e il Tasso con gli ideali di cavalleria di tutti i tempi. Ho visto silenzio rispettoso. E qui mi ha dato una mano il centimetro di poesia che mi ero portato in tasca.


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mostra

Volterrain Rosso! L

Lascia per molti versi perplessi la messa in opera, direi meglio la messinscena in cinque luoghi storici e museali di Volterra – Pinacoteca ed Ecomuseo dell’Alabastro, Battistero, Palazzo dei Priori, Museo Etrusco Guarnacci e Teatro Romano – di Rosso Fiorentino. Rosso vivo. La Deposizione, la storia, il ’900, la contemporaneità. Si tratta di una disseminata rivisitazione della Deposizione dalla Croce del Rosso prodotta da Artemisia Group, sponsorizzata da Knauf Italia e curata da Vittorio Sgarbi, su un ambizioso progetto ideato e coordinato dall’architetto Rosso Fiorentino Rosso vivo Alberto Bartalini, deus ex machina Il '900 dell’intera operazione. Come semIl contemporaneo pre nei suoi interventi, animazioni e inserimenti artistici a scala per lo più Volterra urbana, oltre che negli allestimenti Pinacoteca Ecomuseo dell'Alabastro propriamente scenici, Bartalini comBattistero di San Giovanni pare come regista nei titoli di testa Palazzo dei Priori anche di questa – a suo modo sacra, Museo Etrusco Guarnacci per quanto sofisticata – rappresentaTeatro Romano zione. E a Volterra si conferma estrofino al 31 dicembre 2015 Nicola Micieli

so ma non rigoroso maestro concertatore e contaminatore di materiali, codici, linguaggi propri dell’arte e dei nuovi e meno nuovi media visivi. Il tutto, almeno nelle intenzioni, mixato all’insegna della spettacolarità, della stupefacente quanto effimera rivelazione visiva d’una drammaturgia in più quadri imperniata, come spesso Bartalini ama fare, su un classico e celebrato “monumento” iconico che dovrebbe riverberare sulla più stringente attualità. In gioco, questa volta, la straordinaria Deposizione del Rosso conservata alla Pinacoteca di Volterra, uno dei capisaldi del manierismo toscano, unico ed esemplare per originalità di concezione ideologica, impianto e soluzioni formali, convergenza e articolazione di linguaggi e stilemi. Opera ardita e imprevedibile anche rispetto ai più eccentrici esiti manieristi del suo tempo, capace ancor oggi di interloquire con le più avanzate sensibilità e modalità d’uso della

Installazione di Igor Mitoraj nel Teatro Romano Pagina a fronte “affreschi digitali” di Stefano Stacchini e Opus 137 di Graziana Forzoni e Paolo Cresti nel Battistero di San Giovanni

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pittura, nel senso in cui la intendeva Ragghianti inscrivendola nel novero – dunque in sinergia linguistica – delle “arti della visione”. E a una lettura in termini di ingegno e congegno scenico da teatro della visione, funzionale alla rappresentazione d’un dramma sacro in atto, si presta ottimamente la Deposizione dalla Croce del Rosso. In questo senso è stata una bella intuizione aver concepito la mostra come una serie di ribalte animate da opere e materiali e media molteplici e interagenti, sempre in colloquio e frizione con i depositi artistici e le evidenze architettoniche dei contesti monumentali e museali che le accolgono e dalle quali sono al contempo segnalati. Alla pala del Rosso rivisitata si riconosce pertanto una sorta di funzione/cerniera tra la civiltà artistica della Volterra etrusca, romana e medievale e quella postero rinascimentale che porta all’età moderna. Significativa cartina tornasole, dunque, delle luci e delle ombre d’una città di stratificata cultura, indubbiamente non priva di singolari risposte a ogni mutamento epocale. Sempre intendendo la mostra come teatro di visione, e considerando l’atipicità della figura artistica del Rosso Fiorentino e la sua proiezione personalistica sulla ribalta della Deposizione dalla Croce, trovo che sia giustificata e pertinente la proposizione registica di Bartalini. Il quale non nasconde che mostrare opere d’arte è in definitiva un mostrarsi. La qual cosa giustifica l’uso che egli fa, la contaminazione che pratica tra materiali artistici e iconici alti e bassi, storici e di consumo, duraturi ed effimeri, comunque di immediato impatto visivo; ma anche il suo


araldica alla mostra, e spicca come puro timbro cromatico in alcuni inserti di Venio Santoni e Valeria Paniccia alla Torre Minucci, dove si celebra con l’alabastro l’artigianato di qualità. Sono difatti davvero numerose e debordanti i contributi “necrofili” (crocifissioni, maschere funeree e altro) disseminati un po’ ovunque nelle installazioni. Se è fuor di dubbio che nella pala del Rosso si rappresenti la deposizione del Cristo morto sulla croce, e dell’azione ispirata a umana pietà le figure recitanti esprimono intera e variegata l’intensità drammatica, è altresì innegabile che una serpentina di luce prismatica investe la scena e si snoda intorno al corpo martoriato e preannunciandone la resurrezione. Mi pare eccessiva la gesuitica venatura d’umor nero della “vanitas vanitatum” che si celebra al Museo Guarnacci, dove certo la vita e la morte, e il transito dei padri etruschi dall’una all’altra come viaggio nell’ultramondo, è splendidamente testimoniata dalla fitta collezione di urne cinerarie. In quanto esorcismo grottesco, le sculture di Cesare Inzerillo certo negano la morte, al pari della Deposizione, come afferma Sgarbi che giustamente riconosce nella pala una «componente dionisiaca ed eversiva. Il canto di una resurrezione perenne», ma certo non appartiene al Rosso né è possibile in qualche modo desumerla da un qualche elemento formale e stilistico oltre che concettuale, la componente feticista e neogotica delle opere di Inzerillo, che stanno tra la stenderia di mummie dei sotterranei dei Cappuccini palermitani e la galleria degli orrori da baraccone di fiera. Non entro nel merito artistico delle opere, beninteso, in questo come nei numerosi altri casi citabili di impertinenza rispetto all’ideale riferimento delle opere esposte al “testo”, e non al “pretesto”. In Palazzo dei Priori non mancano gli episodi di alta qualità artistica e indubbia pertinenza, e non sto a fare nomi non potendone poi dare qui anche una minima rappresentazione. Il “pretesto” è però altrettanto presente. Spesso si ha l’impressione che gli inserimenti siano un po’ troppo fatti in casa, per l’occasione. Il massimo dell’impertinenza mi sembra però che si raggiunga nelle sale – invero anguste e decisamente sovraffollate con i nuovi ospiti – della Pinacoteca. A parte, anche qui, la “contemplatio mortis” e la vena necrofila che dicevo, nella sezione “Il Novecento e Rosso” che si deve a Vittorio Sgarbi, è perfino divertente (che è tutto dire nel clima da cripta neogotica delle sale, dove si stenta a leggere un cartellino e la scultura di Vangi è lette-

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appropriarsi del lavoro degli artisti per manipolarlo e piegarlo alle proprie drammatizzazioni. Vero e proprio teatro visionario è l’installazione del Battistero, a mio avviso il fulcro concettuale e il più suggestivo luogo scenico dell’intera operazione volterrana, e basterebbe da solo a esemplificare il senso dell’intero progetto. In Battistero, difatti, le sei grandi e belle pale di Stefano Stacchini che occupano le nicchie delle finestre – elaborazioni videografiche definite “affreschi digitali”, che è una delle tante contaminazioni qui e altrove perpetrate – sono un vero e proprio, interessante palinsesto di analisi formale e critica e di possibili ipotesi evolutive moderne della Deposizione dalla Croce. La video installazione di Graziana Forzoni e Paolo Cresti che anima la cupola/schermo del Battistero, organica integrazione delle pale di Stacchini, è a sua volta un grande sguardo mobile e aereo, che idealmente scruta la Deposizione del Rosso e vi proietta inserti di vita reale e fughe nell’immaginario. Di indubbia efficacia, al Teatro Romano, le opere di Igor Mitoraj: il busto eretto che una croce commissa attraversa e il torso frantumato che giace supino tra la rovine. Sono anch’essi rovine spettacolari per gigantismo, reperti ricomposti consonanti nel contesto archeologico. Rimandano rimandando alla Deposizione dalla Croce per il tema della consunzione e della morte celebrato nel luogo corporale, nel quale si traduce emblematicamente lo stesso destino delle civiltà, ma sono simulacri che inducono la malinconia della bellezza estinta e non recano segno che sia preludio alla luce e al fervore della resurrezione. La suggestione spettacolare e la lettura attualizzata dell’installazione in Battistero decisamente si attenuano nel chiostro della Pinacoteca, alle cui pareti Ugo Nespolo ha installato una serie di parziali in tondo e sul pavimento dell’impluvio un estenuato ingrandimento, ovviamente “nespolizzato” ossia ridotto a puzzle/scacchiera dinamica, della Deposizione. Schiacciata a terra e da terra non rilevabile, perché leggibile a cannocchiale dall’alto della loggia superiore (inaccessibile quando ho visitato la mostra), la gigantografia certo non irradia la luce scomposta in prismi colorati dei panneggi del Rosso, e avrebbe guadagnato in spettacolarità teatrale se la medesima immagine fosse stata realizzata in vetrofania intelaiata, rialzata da terra e illuminata da sotto, a mo’ di vetrata pavimentale. Non sembra godere ottima salute il “Rosso vivo” che fa da insegna

ralmente al buio) constatare quante opere indubbiamente eminenti, per autore e qualità, sono lì solo perché il curatore le aveva a portata di mano, per così dire, e tanto valeva spenderle a testimonianza della continuità dello spirito del Rosso nel Novecento italiano. Non credo che basti, per fare pochi esempi e poi chiudere, la presenza di una scaletta in legno che una donna scende, in un dipinto di Fausto Pirandello, o l’interno d’osteria vuota di Domenico Gnoli per richiamare sic et simpliciter e con un riferimento del tutto letterario, un episodio della scenografia della Deposizione dalla Croce, dunque parlare di uno sguardo del Novecento sul Rosso. Una cui eco formale, relativa alla scomposizione prismatica dei panneggi in astratte figure geometriche potremmo giustamente indicare nei dipinti di Gino De Dominicis e Osvaldo Licini. Lo stesso ragionamento lo farei a proposito della Donna siciliana di Mino Trafeli, già in permanenza al Palazzo dei Priori. Non credo che in qualche modo Trafeli pensasse al Rosso quando saldava lamiere per le poderose e sofferte forme di quella sua donna contadina appartenente a una stagione socialmente impegnata della scultura italiana del Secondo dopoguerra. Sicuramente informato, per eccentricità e imprevedibilità di ricerca, allo spirito del Rosso, il volterrano Trafeli poteva mostrare ben altro – anche in alabastro e anche sotto specie di installazione “teatrale” – che rimandasse alla scena della Deposizione dalla Croce. Si dice che l'operazione “Rosso vivo” sia in progress, come la bella pala di Renzo Galardini che rivisita in scala

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1:1 la Deposizione. Di qui alla fine del 2015 accoglierà dunque nuovi e sostitutivi interventi. Se già merita una full immersion volterrana nei suoi luoghi storici e museali visitati dagli artisti contemporanei nel segno di Rosso Fiorentino, tanto più sarà godibile e spettacolare quando altri più rigorosi inserti la integreranno.

Installazione di Ugo Nespolo nella Pinacoteca Installazione di Cesare Inzerillo nel Museo Etrusco Guarnacci Redwaste di Maurizio Giani e Elvira Todaro nel Palazzo dei Priori


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FOCUS

Madonna dellaMisericordia Museo del Bigallo

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Paolo Pianigiani

Foto di Antonio Quattrone

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iamo nella sala dell’Udienza Vecchia o Sala dei Capitani all’interno dell’odierno Museo del Bigallo, in piazza San Giovanni a Firenze. Il restauro, eseguito da Lidia Cinelli, ha ridato nuova leggibilità e l’antico splendore a questa antica immagine che rappresenta la Madonna che domina Firenze. L’autore è ignoto, ma fu eseguita da un pittore della cerchia di Bernardo Daddi. L’affresco reca la data del 1342 (in un’iscrizione posta in basso e nei secoli ripetutamente ritoccata) e può essere descritto riferendo le parole dell’abate Giuseppe Richa: «una antichissima pittura a fresco ed una figura gigantesca della Misericordia espressa in una persona ammantata di piviale con mitra tonda in capo e stolone fino ai piedi, nella quale stola veggonsi alcuni ovati

in cui sono effigiate le Opere della Misericordia con lettere longobarde. Questa figura sta in aria con atto maestoso di padrona, sopra a Firenze dipintale sotto col popolo inginocchioni.» Sono tre le parti principali dell’affresco: 1) La Madonna frontale e ieratica abbigliata curiosamente con un copricapo a forma di mitra segnato dal Tau (simbolo di redenzione) e con un ampio manto su cui si susseguono undici tondi con iscrizioni e con le raffigurazioni di opere di Misericordia e di carità cristiana. 2) La straordinaria veduta della città di Firenze erta di torri e campanili, chiusa entro una cerchia di mura (la seconda cerchia ci dice il Richa) e raccolta intorno al poliedro marmoreo del Battistero di San Giovanni con accanto la facciata

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del Duomo e la torre di Giotto entrambe ancora in costruzione. Entro la cerchia di mura (con in primo piano quella che dovrebbe essere Porta San Gallo) circondate da un fossato, si distinguono chiaramente i principali edifici cittadini: il Battistero, il Duomo ed il suo campanile, Palazzo Vecchio, le chiese di Santa Maria Novella e Santa Croce, Il Bargello e la Badia Fiorentina. Grazie al restauro si possono ora notare una quantità di particolari prima di incerta lettura, quali ad esempio le acque del fiume Arno che attraversa la città. 3) La piccola folla di uomini e donne, suddivisi scrupolosamente sulla base del sesso, descritti minuziosamente nelle fisionomie, negli abiti, nei copricapi e nelle acconciature. Tra gli uomini si potrà così distinguere l’aristocratico, il commerciante, il notaio e, tra le donne, le più giovani ed eleganti e le più attempate e timorate, ciascuna individuata singolarmente negli ornamenti e nei modi vezzosi o semplici di portare veli, trecce e ornamenti per capelli. La descrizione di Firenze è la più antica che si conosca e insieme alla rappresentazione della sua popolazione di allora, cattura l’occhio e lo stupore di chi guarda e ci offre un brano davvero unico della Firenze della metà del Trecento. Il Progetto, vincitore del primo concorso al Salone del Restauro di Firenze nel novembre 2012, è stato finanziato da Friends of Florence. La direzione tecnico-scientifica è stata seguita dalla Dott.ssa Maria Matilde Simari, della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Polo Museale del quartiere di S. Giovanni della città di Firenze e direttrice della Villa Medicea di Poggio a Caiano.


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focus

Daniele da Volterra e l’amico Michelangelo I disegni preparatori di Enea e Didone e del Battesimo di Cristo Paola Ircani Menichini

Michele Alberti, Il Battesimo di Gesù, Roma, San Pietro in Montorio, olio su ardesia, da www.iccd.beniculturali.it. Michelangelo Buonarroti, Studio per una composizione rappresentante Mercurio che ordina a Enea di lasciare Didone, Haarlem, Teylers Museum. Daniele Ricciarelli, Tre studi di un uomo che si spoglia aiutato da un bambino, Londra, British Museum.

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ell’insieme dei lavori minori di Daniele Ricciarelli da Volterra (1509-1566), pittore e scultore allievo di Michelangelo (1475-1564), merita attenzione un disegno a matita nera su carta color crema conservato al museo Fabre di Montpellier (Francia). Il suo particolare interesse è stato messo in evidenza in una scheda curata da Éric Pagliano, accademico di Francia a Roma, intitolata Dessins Polygénétiques. Dessins a utilizations multiples inserita nel catalogo della mostra di disegni italiani allestita nel 2013 nello stesso museo1. L’opera di Daniele rappresenta lo studio di un uomo in piedi seguito da un bambino che gli tiene la mano destra e ha in testa un voluminoso cappello. Si tratta del disegno preparatorio di una pittura per la chiesa romana di San Pietro in Montorio, Il Battesimo di Cristo, eseguita da Michele Alberti, assistente e collaboratore del Ricciarelli, documentato tra 1535 e 1582. Il disegno fu scoperto nel 1983 e dapprima messo in relazione con un dipinto su tela commissionato all’artista alla fine dell’anno 1555 e all’inizio

dell’anno 1556 da monsignor Giovanni della Casa (1503-1556). Quest’opera oggi è perduta anche se si può ancora studiare grazie a una riproduzione pubblicata da Hermann Voss nel 1922. Rappresentava un episodio dell’Eneide in parte immaginario: Mercurio, mentre scende dal cielo, ricorda a Enea il suo destino di fondare un impero in Italia e lo invita a lasciare Didone che giace sul letto nuziale. Il Vasari nell’edizione Giunti delle “Vite”, ricordando la committenza, precisa che monsignor Della Casa aveva l’intenzione di inviare la pittura in Francia come dono diplomatico. E in effetti suo nipote Annibale Rucellai fu mandato là in missione dal settembre al novembre 1555 e di nuovo nel maggio 1556, poco dopo l’elezione di papa Paolo IV Carafa. Non si sa però se il quadro sia effettivamente pervenuto a destinazione. In tale dipinto Enea era raffigurato

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come un uomo nudo barbuto e atletico simile ad un Ercole Farnese ed era accompagnato da un paggio. Nel disegno preparatorio per San Pietro in Montorio invece Daniele ha disegnato un uomo glabro dai tratti fini alla maniera di un Apollo del Belvedere, vestito con una specie di giacca che in verità si nota poco. Sembra che si rivesta (o si svesta) ed è aiutato in questo dal bambino con il cappello. Nel 1986, in un ulteriore studio, il disegno fu messo in rapporto anche con la composizione commissionata a Daniele dal cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano (1495-1574) per la sua cappella funebre nella chiesa di San Pietro in Montorio. L’artista era stato incaricato di concepire tutta la decorazione sul modello della vicina cappella Del Monte. Il soggetto de Il battesimo di Cristo fu scelto per ornare la pala d’altare costituita da


una grande lastra d’ardesia, mentre due statue rappresentanti San Pietro e San Paolo furono poste da una parte e dall’altra. Nonostante la commissione, non fu Daniele che eseguì l’opera ma, come detto sopra, l’assistente Michele Alberti che si servì del progetto del maestro. Infatti, osservando l’ardesia dipinta, si nota che il giovane e il bambino raffigurati a sinistra dietro San Giovanni Battista sono pressoché uguali a quelli del disegno del museo Fabre. La genesi di tale raffigurazione però è più complessa di quanto appaia e per analizzarla occorre fare riferimento a tre studi di piccolo formato appartenenti forse in origine ad un solo foglio, e a cinque disegni più grandi conservati in vari musei d’Europa. In essi le rappresentazioni meticolose della scena da parte di Daniele inducono a concepire dei valori scultorei, cioè a individuare delle “statue di carta”, come Éric Pagliano scrive felicemente nella scheda del catalogo della mostra. Questo perché il Ricciarelli, secondo il Vasari, seguì le idee di Michelangelo e si consacrò esclusivamente alla scultura a partire dal 1555. Dei cinque grandi disegni, due sono direttamente preparatori alla figura dell’Enea che si spoglia con Didone distesa sul letto e gli altri tre si rapportano alla tavola di ardesia di San Pietro in Montorio. Agli studi in piccolo e a quelli in grande devono essere aggiunti due fogli attribuiti a Michelangelo con disegnati sopra un uomo muscoloso che porge i vestiti a un bambino. In uno è abbozzata anche una figura femminile che sembra distesa su una specie di triclinio. Si è detto spesso come Daniele concepisse la pittura alla luce della scultura e che in questo seguisse i precetti del suo grande maestro. La

“scultura è la lanterna della pittura” – diceva il Buonarroti, esprimendo la sua opinione a chi gli chiedeva di fare il paragone tra entrambe le arti. Il confrontare poi tra loro questi disegni preparatori ne mette ancora di più in evidenza l’amichevole collaborazione e pone un interrogativo sul ruolo svolto in tale occasione da monsignor Della Casa che non fu solo un uomo di Chiesa, ma anche un fine letterato e un poeta. Conoscendo infatti la cronologia degli avvenimenti – purtroppo non esistono documenti diretti – si può dire infatti che anche l’erudito arcivescovo entrò in questa collaborazione. Dovette cioè scegliere e inventare il soggetto e discuterlo con Daniele e pure con Michelangelo, per ottenere la migliore disposizione possibile delle figure. In effetti, dopo il suo ritorno a Roma da Venezia nel maggio 1555, commissionò Enea e Didone al Ricciarelli e alloggiò nel palazzo di città del cardinale Ricci in via Giulia. Ciò fa supporre che i due progetti (il secondo è quello della cappella funebre) dovettero avere origine nel medesimo spazio di tempo. I disegni “in collaborazione” poi furono utilizzati per entrambi. Il rivolgersi agli amici per avere un parere non era una novità. Nel sottoporre i progetti al giudizio di Michelangelo, Daniele seguì infatti il saggio consiglio che Leon Battista Alberti (1404-1472) scrisse nel suo De pictura (III, 61): «E quando aremo a dipignere storia, prima fra noi molto penseremo qual modo e quale ordine in quella sia bellissima, e faremo nostri concetti e modelli di tutta la storia e di ciascuna sua parte prima, e chiameremo tutti gli amici a consigliarci sopra a ciò. E così ci sforzeremo avere ogni parte in noi prima ben pensata …». Note 1 Questo articolo si basa sulla scheda n. 30 (pp. 139 e ss.) de L’atelier de l’oeuvre. Dessins italiens du Musée Fabre. Catalogue des dessins exposés suivi du repertoire du fonds, a cura di Éric Pagliano “pensionnaire à l’Académie de France à Rome – Villa Médicis”. La mostra ha avuto luogo dal 16 febbraio al 12 maggio 2013. Lo studio fu presentato anche il 24 aprile 2012 sotto il titolo Il disegno poligenetico. Disegni a usi molteplici. L’esempio di Daniele da Volterra nell’ambito di una giornata di studi organizzata all’Accademia Nazionale di San Luca e all’Istituto Svizzero di Roma, intitolata Storia dell’arte tra scienza e dilettantismo. Metodi e percorsi. Le fotografie sono state riprese dallo stesso catalogo, eccetto quella de Il Battesimo di Cristo di San Pietro in Montorio che proviene da internet.

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Daniele Ricciarelli, Mercurio ordina a Enea di lasciare Didone, già a Stoccolma. Daniele Ricciarelli da Volterra, Studio di un uomo in piedi, con un bambino che porta in testa un cappello voluminoso e gli tiene la mano destra, Montpellier, Museo Fabre. Daniele Ricciarelli, Enea si spoglia aiutato da un bambino, Vienna Albertine Grafische Sammlung.


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focus

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pittore e il santo

Dilvo Lotti e San Giovanni Bosco

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ell’approssimarsi del bicentenario dalla nascita di San Giovanni Bosco, che avvenne a Castelnuovo in provincia di Asti il 16 agosto 1815, diventa interessante proporre le opere realizzate sul Santo dal pittore samminiatese Dilvo Lotti, la cui presenza artistica a Torino è attualmente assicurata dall’opera sulla Madonna della Divina Provvidenza, custodita dal parroco Don Sergio Baravalle nell’omonima Chiesa. Tale opera contiene un autoritratto di Dilvo Lotti, oltre che il ritratto del pittore samminiatese Giorgio Giolli e dell’ex Presidente della Cassa di Risparmio di San Miniato Giuseppe RousseauColzi. Del tutto recentemente nelle cantine dell’Arcivescovado di Torino, in occasione di lavori di scavo, è stato ritrovato anche un “particolare”, raffigurante soltanto le quattro figure

poste in basso a sinistra del quadro completo, quindi anche i due pittori samminiatesi. La figura del Santo, canonizzato dal Papa Pio XI nel 1934, ispirò prontamente Dilvo Lotti, che nel 1938 realizzò su commissione un affresco sui miracoli di San Giovanni Bosco nell’ingresso della casa a San Miniato in via Maioli, 6 dei fratelli Ariberto ed Emiliano Braschi. L’opera, di tre per due metri, occupava la parete sinistra del monumentale ingresso della casa settecentesca, costruita dai nobili Ansaldi, ed è andata distrutta dalla seconda Guerra Mondiale durante la ritirata tedesca del 1944. Si componeva di un riquadro centrale, dove il Santo, con l’abito nero e la cotta bianca ricamata, indicava il cielo con la mano destra e reggeva una nave con la mano sinistra. La nave rispondeva ad una triplice esigenza: si trattava di un’opera dedicatoria, poiché il capitano di marina Emiliano Braschi aveva acquistato per mettersi in proprio una nave e l’aveva denominata “Don Bosco”; sottolineava le due missioni in Argentina, promosse dal Santo a partire dal 1875; ricordava la nave del suo famoso “sogno delle due colonne”, raccontata nel 1862. Ai lati le otto formelle raccontavano i suoi miracoli. In particolare, il secondo riquadro a sinistra rappresentava la guarigione di Suor Provina Negro, il secondo riquadro a destra ricordava la guarigione di Teresa Callegari e il quarto riquadro a destra rimarcava l’opera a favore dei carcerati, condotta insieme a San Giovanni Bosco da San Giuseppe Cafasso. Dell’opera resta solo la fotografia in bianco e nero, scattata nel 1940, e un grande foglio ingiallito, ripiegato, che era servito da spolvero per l’affresco.

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Straordinariamente la figura del San- Fernando Prattichizzo to torna alla mente di Dilvo Lotti il giorno prima della sua improvvisa scomparsa, cioè il 21 aprile 2009, quando realizza uno splendido dipinto ad acrilico su Don Bosco, circondato da due maschere carnevalesche. L’attività di saltimbanco e di prestigiatore aveva aiutato Don Bosco ad attirare i giovani e la figura dei clowns aveva sempre attratto il pittore Dilvo Lotti, che era solito rappresentare i “contrasti”, in questo caso il contrasto tra il serio e il faceto. Tornato a casa, la moglie Giuseppina gli chiese: «O come mai ti è venuto a mente San Giovanni Bosco?». «Mah, si vede che mi è venuto nel pensiero!» rispose Dilvo.

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VISIBILE PARLARE

sarto e la modella il

Roberto Giovannelli

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ulle ali dell’immaginazione lascio foglio e matitatoio per velare la nudità della modella in posa nel mio studio, sfiorata dalla magica luce che filtra da un gran finestrone a nord, come per preservarne, cingendola in delicati teli e ornamenti, inalterabile la giovinezza: Una giovane v’era ben formata, che da poco serviva da modello: avea ogni parte sì proporzionata, quanto farla potea un buon scarpello.

Ritagli, 1980, carta, terre colorate, spilli, spolvero, cm 42x70. Veste per Astlik, studio preparatorio, 2011, grafite, matita rossa e acquarello su carta Corona, cm 50x70. Veste per Artemisia, 1998, colori litografici, spolveri su seta, taglia 42. Amore (veste altocinta per Elena), 2013, colori litografici, spolveri su panno di lana bianca (taglia 42).

Mi trasformo in sarto e, panneggiando quella soave figura, avvolgo la «beltà delle ignude membra» in drappi leggeri che prenderanno forma di pittoriche vesti. Tra il panneggiamento e il nudo – ricordo con Winckelmann (precursore per molti aspetti di un’estetica dell’abbigliamento) – «v’ha lo stesso rapporto che tra l’espressione d’un pensiere (che n’è come il vestito), e il pensiere medesimo». Già in una mostra del 1981 allestita all’Expo Arte di Bari, introducevo a seguito di un Breve dialogo di pittura con un Amico, un nucleo di composizioni per giocosi capi d’abbigliamento realizzati con

sagome piane di carta e cartone. Ne riporto qui alcune battute: PITTORE. Ho ideato vestiti femminili leggeri e fruscianti come cartamodelli: rosa geranio e arancio, sfumati in giallo cadmio limone, acido e dolce; o teneri e bianchi come carta bambagina, ritagliata lungo fili color ciliegia. AMICO. Sono codesti vestiti colorati e leggeri come aquiloni o nastri di seta al vento? Forse una fanciulla potrebbe indossarli, leggiadra, graziosa e bella. PITTORE. E un poco vanitosa! Sono vestiti di una favoletta che vado componendo lungo i bordi di una tela bianca (cm 145x165) tesa e vibrante. Una favoletta che si scioglie sui teneri fogli di carta, animati da una gioia fanciullesca. Le vestine ritagliate, pezzo per pezzo e disegnate, sfumate, impreziosite, increspate e connesse con gli spilli acuminati (oh! la perfidia del sarto, i punti rapidi della memoria) son pronte per coprire con i loro colori profumati i

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corpi delle signorine discinte, Amalia, Aspasia, Artemisia, Luisa, Amarena… Non è pontino in loro, che se li disconvenghi: tutte graziate, tutte belle. Sono disegni, colori, composizioni, non immemori della suggestione prodotta da tanti vagabondaggi e soste per i sentieri dell’iconografia, comprese certe fascinose, lontane copertine e pagine di “Vogue”, che nella loro persistenza si riversano in questi nuovi lavori: sagome o dime, drappi, pannilini, sete con Spolveri d’Amore, Cacciatori di lune, cavalli, teste di antichi guerrieri, fulmini e saette, destinate a modelli di sartoria, per la leggiadra modella, per l’inalterabile giovinezza della Pittura.


Veste per Artemisia (particolare davanti), 1998. Il cavalletto del pittore, 2014 (veste per incognita fanciulla), 2014, colori litografici, spolveri su seta nera, cm 100x150. Incantamento (vesti per Artemisia), 1983, olio su tela, cm 145x165.

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L’arte in italia

PASSIONE E COLLEZIONE

GHERARDO DELLE NOTTI

IL DEMONE DELLA MODERNITÀ

18 novembre 2014 10 febbraio 2015

10 febbraio 24 maggio 2015

14 febbraio 14 giugno 2015

FIRENZE

FIRENZE

ROVIGO

Casa Buonarroti

Galleria degli Uffizi

Palazzo Roverella

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mmirando i piccoli capolavori, ospitati presso Casa Buonarroti, si constata l'amore viscerale del suo collezionista per ceramiche e maioliche create in Toscana dal trecento al settecento. Il percorso espositivo parte con manufatti appartenenti al periodo antico della collezione, prosegue con imitazioni curatissime dagli originali spagnoli-moreschi e sfocia nella produzione rinascimentale, segnante il trionfo della policromia, del colore, dell'invetriato, senza dimenticare la fortunata trasversalità avuta dalle manifatture montelupine: un'aurea fucina, che ha prodotto gioielli invidiati in tutta Europa. I manufatti in esposizione testimoniano la fiorente attività delle fornaci presenti nel Valdarno fiorentino e Toscana centrale sino al settecento, dalle quali si possono cogliere caratteristiche, tipicità, lavorazioni, che fanno assurgere ogni singola creazione a meravigliosa opera d'arte.

nnamorato di Roma in piena rivoluzione caravaggesca, Gerrit van Honthorst produce proprio in Italia opere innovative e saranno le luminose scene notturne, così naturali, a commuovere Cosimo II di Toscana, grazie al quale Firenze possiede dipinti conviviali e l'Adorazione dei pastori, deturpata nell'attentato in Via dei Georgofili. Gli Uffizi dedicano al maestro la prima monografica internazionale grazie alla produzione italiana esistente e le menzionate tele conviviali: Cristo morto con due angeli, Cristo dinanzi a Caifa, Santa Teresa incoronata da Cristo, Decollazione del Battista, Madonna in gloria con i Santi Francesco e Bonaventura rappresentano un assaggio dei dipinti presenti nel Museo. L'esposizione trova supporto in alcune opere testimonianti l'influenza dello stile "gherardiano" su colleghi italici, d'oltralpe e il raffronto con la scuola romana.

una stridente rottura con il passato la lettura visiva delle opere presenti presso Palazzo Revorella, la cui modernità riguarda l'insolito connubio tra bene e male, morte e luce, tangibile ed inconscio, insomma un itinerario alla scoperta della luce spirituale passando dall'oscuro irrazionale, decantato in mostra attraverso opere impregnate da simboli, ideali utopistici, visioni, sogni, sorprendenti precursori della imminente Prima Grande Guerra. Anche il linguaggio figurativo si evolve attraverso contaminazioni tra generi diversi, suoni estremizzati, dinamicità. Un elenco qualificatissimo di maestri presenti a Palazzo faranno rivivere al visitatore questa sensazione di rinnovamento, basti menzionare Franz Von Stuck, Paul Klee, M. Kostantinas Ciurlionis, Max Klinger, Gustav Moreau, Wilhelm Diefenbach, Guido Cadorin, Alberto Martini ed altri nomi illustri.

1954-2014 I sessant'anni del film Cronache di Poveri Amanti di Carlo Lizzani 12-20 dicembre 2014

FIRENZE

Palazzo Bastogi

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a mostra intende celebrare l'opera del regista Carlo Lizzani in concomitanza dei sessant'anni dall'uscita del film Cronache di poveri amanti (1954-2014) tratto dal libro di Vasco Pratolini. L'evento prevede la proiezione delle scene salienti dello storico film, con la partecipazione di vari personaggi del mondo del cinema, tra i quali il regista Giuliano Montaldo ed altri autorevoli critici. Nei saloni sono esposti, tra l'altro, bozzetti dei costumi dell'epoca firmati dalla stilista Regina Schrecker e ritrattistiche varie di Carlo Lizzani firmate dal maestro Silvano Campeggi detto “Nano”. è esposto vario materiale fotografico tra cui istantanee tratte da locandine cinematografiche nonché scene di vita sul set e alcune foto inedite del regista recentemente scomparso. Durante l’incontro ci saranno letture varie degli attori di Cronache di poveri amanti.

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Carmelo De Luca

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LA GRANDE GUERRA A BOLZANO 20 novembre 2014 31 ottobre 2015 BOLZANO Palazzo Mercantile

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iscoprire Bolzano e dintorni, attraverso la memoria storica legata al primo conflitto mondiale, rappresenta il filo conduttore della interessante mostra fortemente voluta dalla locale Camera del

DONI PREZIOSI 13 Dicembre 2014 22 Marzo 2015 TRENTO Castello del Buonconsiglio

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onare richiede una qualità, chiamata gusto, legata alla bellezza artistica dell'oggetto stesso. La riuscitissima mostra tridentina indaga su questa affascinante tematica attraverso opere prove-

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Commercio. Presso Palazzo Mercantile, materiale grafico documenta egregiamente la situazione economica durante quei tragici anni attraverso artistici manifesti, spesso inediti, che abbelliscono gli spazi espositivi grazie a prestiti eccezionali, documentanti come la propaganda bellica possa avere un ruolo rilevante anche in periodi burrascosi. Ne sono chiara testimonianza opere realizzate da case editrici e illustri cartellonisti del tempo relative alla emissione dei prestiti di guerra, i cui contenuti giocano su fattori emotivi, sentimentali, patriottici, individualistici. Casse vuote e pauperismo imperante costringono il governo austriaco a vendere titoli di stato supportandosi attraverso propagande inneggianti amor patrio ed iconografia tirolese. In mostra, il visitatore potrà scoprire questa interessante realtà attraverso una nutrita documentazione artistica dalla fattura eccezionale richiamante anche pietismo, solidarietà, attività svolte dalla Camera di Commercio bolzanina in tale periodo, come documentato nella esauriente pubblicazione edita in occasione della mostra.

nienti dalle proprie collezioni museali, alcune appartenenti ai depositi e, pertanto, occasione unica per ammirare capolavori nascosti. I manufatti selezionati al riguardo vantano un bellissimo calice in vetro lattimo di Murano, tabacchiere in metallo prezioso, ventagli finemente lavorati a intaglio oppure dipinti, un medievale cofanetto in avorio e osso, pregevoli medaglie cesellate a sbalzo, cassoni nuziali in legno pregiato magnificamente dipinti a mano oppure intarsiati, il tutto supportato da artistiche tele richiamanti la tematica oggetto della mostra, tra cui spiccano S. Martino nell'atto di donare il mantello ad un povero ed alcune toccanti Adorazione dei Magi. Ammirando le numerose meraviglie presenti nelle sale espositive, si rimane affascinati dall'aspetto sociologico legato alla tematica del dono, che lascia sorprendentemente trasparire la sfera affettiva del committente verso parenti, amici, amore e speranze nell'intessere fruttuose relazioni con i potenti. Laboratori tematici, ideati per famiglie, bambini, gruppi, completano l'offerta di questo imperdibile evento.


QUADRI DA STANZA EMILIANI dal 8 novembre 2014 BOLOGNA Galleria Antiquaria FondAntico

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'arte antica nuovamente protagonista presso la bolognese Galleria Fondantico con opere significative dal XVI al XIX secolo. Decisamente prestigiosa, la collezione vanta firme illustri apparte-

I TESORI DELLA FONDAZIONE BUCCELLATI 2 dicembre 2014 22 febbraio 2015 FIRENZE Palazzo Pitti

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irenze ha un ruolo rilevante nella formazione artistica di Mario Buccellati grazie al patrimonio rinascimentale presente in città, dal quale attinge energia a supporto del suo stile inconfondibile, unico,

nenti alla scuola ferrarese, ne sono degna rappresentanza la serie dedicata alla Sacra Famiglia, quella bolognese con il delicato rame ideato da Francesco Cavazzoni e molti maestri emiliani, basti menzionare Santa Caterina e l'eremita di Francesco Albani, la cui mistica espressività viene rischiarata da una candela, oppure l'inedito S. Sebastiano di Guido Cagnacci, opera toccante dove il Santo Soldato martirizzato trasuda una composta tragicità. Nutritissimo l'entourage aderente alla bottega di Guido Reni, nella quale spicca Francesco Cittadini con la sua pittura decisamente plasmata dall'osservazione e attenta nell'accordare colori come sapientemente dimostrano Ratto di Proserpina e Natura morta, Carlo Cignani con la delicata scena biblica di Giuseppe e la moglie di Putifarre, Alessandro Tiarini la cui mano vanta l'arcinota e tragica Morte di Didone, opere dalla squisita fattura tutte presenti in esposizione. Il gruppo di pittori sette-ottocenteschi è presente in Galleria con una selezione di opere decisamente interessanti sotto il profilo artistico, storico, iconografico.

creativo, apprezzato da potenti, cultori, ammiratori. Tulle e nido d'ape rappresentano le originali tecniche lavorative affinate negli anni dalla Maison magnificamente impresse in spille, tiare, bracciali esposti nella riuscitissima monografica presso Palazzo Pitti, che custodisce alcune creazioni dalla bellezza incomparabile ideate per D'Annunzio e riproduzioni in argento cesellato del celebre tesoro scoperto a Boscoreale. La tradizione orafa familiare ha trovato continuità nel figlio Gianmaria, che nel Museo degli Argenti attinge linfa creatrice e molte opere presenti in mostra ne sono degnissima prova, basti menzionare la Coppa dell'amore in stile rococò, l'eterea Venere con tre Cupidi, il diaspro rosso lavorato con motivi a rouches, il Cratere delle muse dalle morbide forme neoclassiche. Naturalmente non manca il celebre Scrigno mediceo, squisito esempio di armonia tra oro e brillanti sapientemente assemblati su lastre in acciaio brunito a mo' di formelle, come si conviene nella tradizione architettonica rinascimentale, formanti un decagonale perfetto.

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cartolina

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Castello del Nero Hotel & Spa Brunello di Montalcino Fonteverde Tuscan Resort & Spa Brunello di Montalcino Vigne del Chianti Classico Abbazia di S. Antimo Castello del Nero Castellina in Chianti Cantina del Chianti Classico

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carrozzare in Toscana, fuori dai percorsi turistici cittadini, ci riporta in una natura da sogno costellata da rilevanze architettoniche, la cui rinata bellezza trova spesso supporto nella ospitalità alberghiera che, acquisendo la proprietà, ne permette restauro e sopravvivenza. Spesso accessibili per visite e naturalmente soggiorni da nababbi, questi luoghi sono ospitati in conventi, manieri, dimore storiche, edifici rurali, creando un unicum al mondo. Per appurare di persona, puntate verso S. Casciano dei Bagni, altezzoso abitato medievale celebre per le sue acque termali, il cui contado ospita il lussuosissimo Fonteverde Resort trasudante storia, arte, leggenda: la scenografica struttura fu voluta dal Granduca Ferdinando I nel lontano 1607. Provvista di elegante porticato in stile tuscanico, reggente finestroni con frontoni triangolari, la struttura possiede saloni ricchi di rilevanze artistiche, esempio riuscitissimo del primo barocco mediceo. Ancora non soddisfatti? Spostiamoci pindaricamente a Castello del Nero, presso Tavernelle. Circondato da rigogliosa

vegetazione, la residenza del XII secolo vanta soffitti a volta, caminetti in pietra, affreschi, pavimenti in cotto, mobili antichi, pertanto non poteva che diventare un albergo 5 stelle! Lasciamo alla vostra curiosità nuove scoperte, consigliando altre appetitose destinazioni. Effettivamente questi territori vantano luoghi benedetti, che acquietano spirito e gola grazie a una tradizione vinaria blasonata, basti menzionare il gettonato Chianti Classico. Qui, cipressi disposti a filari, mura merlate, architettura rustico-chic, oliveti, proteggono scenografiche vigne e deliziosi borghi. E sono Greve con la sua medievale piazza porticata e la rinascimentale S. Croce con il Trittico di Neri di Bicci di Lorenzo, ad omaggiare passanti, turisti, cultori, mentre un altezzoso castello annuncia Panzano con la romanica Pieve di S. Leolino. Proseguendo verso Siena, tombe etrusche, palazzi patrizi, la Rocca e fortilizio provvisto di camminamento coperto contrassegnano Castellina, una vera bomboniera dall'urbanistica, scenografia che condivide con Radda, le cui mura custodiscono il

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Palazzo del Podestà e la Chiesa di S. Niccolò. Nelle vicinanze si trova il bellissimo borgo fortificato di Volpaia ora destinato a degustazioni enogastronomiche. Estremo lembo chiantigiano, Castelnuovo Berardengo non ha rivali per consistenza inerente patrimonio religioso, ville nobiliari, costruzioni militari, ma i veri cocchi di mamma sono le celeberrime etichette prodotte in loco, nei magici luoghi menzionati e anche presso Barberino Val d'Elsa, Poggibonsi, S. Casciano Val di Pesa, Tavernelle Val di Pesa, la cui principesca nomea nasce dalle ottimali condizioni morfologiche, mineralogiche, climatiche, protocollo rigidissimo. Non a caso il made in Coc Noir miete ancora successi strepitosi! Basti menzionare la nomination al titolo di Wine Region of the Year 2014, Chianti Classico Gran Selezione San Lorenzo 2010 di Castello di Ama e Chianti Classico Riserva 2010 Castello di Volpaia inseriti dal temuto "Wine Spectator" al sesto e ventunesimo posto nella classifica mondiale Top 100, 10 Gran Selezioni menzionate sul numero ottobrino di "Wine Adcocale". Ge-


nerato dal vanitoso Sangiovese con intrusioni chiamate Canaiolo, Colorino, Cabernet Sauvignon, Merlot, il nettare DOCG vanta colorazione rubino, profumo misto tra note floreali e frutti rossi, gusto tendente al vellutato. A proposito, le attesissime news aspettate da VIP, buyer, stampa specializzata saranno anticipate, come da tradizione, presso la fiorentina Stazione Leopolda tra 17 e 18 febbraio 2015. E per i non addetti? Nessuna paura, conoscere questo mondo incantato è decisamente easy, basta recarsi a Radda presso il complesso conventuale ospitante la House of Chianti Classico provvista di enoteca, boutique, ambienti preposti per corsi sul vino, eventi espositivi, enogastronomia da leccarsi i baffi. Riprendiamo il nostro viaggio, puntando verso sud-ovest. Conosciutissima ai cultori alto-medievalisti, merita degna visibilità S. Antimo. Complesso monastico nel comune di Montalcino, l'Abbazia è un vero gioiello dell'architettura romanica con pianta basilicale e deambulatorio a cappelle, realizzata in travertino. Diviso in tre navate da eleganti colonne sorreggenti matronei, l'edificio rappresenta un unicum nel suo genere, completato da un alto campanile in stile lombardo e significative vestigia della parte con-

ventuale. Naturalmente non azzardatevi ad abbandonare Montalcino senza aver assaggiato sua maestĂ il Brunello. Colore rubino tendente al granato, profumo miscelato da sentori di vaniglia, sottobosco, legno aromatico, frutti di piccolo calibro, contraddistinguono una leggenda italica dal gusto corposo, armonico, asciutto, aromatico. Generato dal vitigno Sangiovese, il DOCG di razza si presta per pietanze a base di carne rossa, selvaggina, funghi, tartufi, formaggi. Vendemmia 2014, nuovi vini, Premio Leccio d'Oro, come da tradizione, saranno ufficializzate a febbraio con la notoria kermesse lunga due giornate. Anche Montalcino e dintorni riservano rilevanze divenute resort da urlo, come la storica tenuta Castel del Bosco. Dimora padronale, chiesa, borgo trasudano storia architettonica e familiare lunga 4 secoli attraverso il riuscitissimo recupero immerso in un magnifico campo da golf, mentre, a soli 10 Km dall'abitato, il lussuoso Castello di Velona con torre medievale, loggiato rinascimentale ed aggiunte neo-gotiche rapisce il cuore per cotanta bellezza. Gli interni non sono da meno, infatti tra mobili d'epoca, travi a vista, soffitti a volta, affreschi, preziosi tessuti da parete, pavimenti originali, sembra di sognare.

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cartolina

Bled

il lago terapeutico

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d un'ora e mezzo di viaggio dal confine di Trieste, ci troviamo già immersi nel cuore della Slovenia, attraversando un’autostrada pulitissima che percorre chilometri e chilometri tra prati verde smeraldo e lontani paesini con casette che ricordano baite di montagna. La meta è Bled, il paesaggio che si presenta alla vista dei turisti è quello di un bellissimo lago con un’isoletta al centro, incastonato fra splendidi pendii boscosi e sovrastato da un’alta rupe su cui troneggia un castello risalente al 1004 d.C.. La bellezza paesaggistica di questo luogo lascia lo spettatore senza fiato; qui è facile sentirsi parte della natura e abbandonarsi magicamente in un’atmosfera quasi fiabesca. Sappiamo da fonti storiche che Bled, ovvero la rocca del Castello e l’isola in mezzo al lago, sono stati sempre così invitanti per l’uomo da far sì che questo piccolo angolo di paradiso fosse abitato sin dall’alba dei tempi, dato che le prime tracce di presenza umana risalgono addirittura all’età della pietra. Per non parlare poi, a partire dal 16001700, dell’avvento dei primi turisti che venivano a curarsi presso le fonti ter-

mali di Bled, bagnandosi nelle acque dall’effetto terapeutico e che spesso, come varie testimonianze lo dimostrano, a guarire. Il turismo andò intensificandosi dal 1855 circa, quando il medico svizzero Arnold Rikli fondò l’istituto di cure naturali e iniziò ad applicare i suoi metodi di cura sfruttando i vantaggi che le condizioni climatiche del luogo offrivano. Oltre alle bellezze naturali, come già accennato, il lago di Bled è sovrastato da un pittoresco castello, oggi adibito a museo, dal quale è possibile godere di un panorama mozzafiato e nelle cui cantine si trova un caratteristico ristorantino famoso per i piatti tipici del luogo. Non dobbiamo dimenticare la bellissima isola in mezzo al lago, cui si può accedere con originali imbarcazioni a remi; su di essa è situata un’antica chiesetta barocca impreziosita dalla così detta “campana dei desideri”, realizzata da F. Patavino da Padova sull’ultima trave della navata nel 1534. Secondo la leggenda, al castello di Bled viveva la ricca vedova Polissena che dopo la triste morte del marito donò una campanella alla chiesa dell’isola; a causa di un fortissimo tempo-

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rale l’imbarcazione che la trasportava si capovolse con tutto l’equipaggio e la campana finì sul fondo del lago, dal quale si narra ne riecheggi ancora il suono. Il Papa, alla morte di Polissena, decise di inviare un’altra campana alla chiesetta e da allora si dice che chiunque, per onorare la Madonna, riesca a suonarla, vedrà avverarsi un suo desiderio. Ebbene, recarsi a Bled e riuscire ad ascoltare nel silenzio della natura circostante, l’improvviso suono della magica campana, sarà un’esperienza senz’altro unica e rilassante.

Luvi Alderighi

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evento

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11Lune d'inverno | 26/12/2014 - 6/1/2015

Irene Barbensi

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e noi ombre vi siamo dispiaciuti, immaginate come se veduti ci aveste in sogno, e come una visione di fantasia la nostra apparizione. Folletti, Puk, Giulietta e tanti altri personaggi di Shakespeare vi condurranno tra sogni, magia e arte nell’atmosfera incantata di Peccioli per raccontare le loro e molte altre storie il 26 dicembre 2014 e il 6 gennaio 2015 dalle 15 alle 19. Una lunga serie di appuntamenti daranno il via alla se-

conda edizione di 11Lune d’Inverno. C’era una volta a… Peccioli L’iniziativa nasce a dicembre 2013 dal desiderio dei Commercianti, della Pro Loco e dei cittadini di Peccioli di animare il centro storico durante le Feste per antonomasia, quelle natalizie, stringendosi insieme in una rete virtuosa di collaborazione pubblica, portando avanti lo spirito della festa, il tutto organizzato, coordinato e promosso dalla Fondazione Peccioliper. Molte le iniziative organizzate; il pomeriggio sarà allietato da spettacoli di strada, laboratori di cucina, attività ludico-didattiche all’interno dei Musei, letture animate alla Mediateca Comunale, un mercatino artigianale, letture, racconti e merende in abitazioni private e negozi che i cittadini di Peccioli hanno messo a disposizione. Venerdì 26 dicembre i laboratori inizieranno alle 15, al Museo Archeologico Giulietta realizzerà il suo tesoro di gioielli in rame, alla Mediateca Comunale un laboratorio in lingua inglese

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ci guiderà attraverso le opere più famose di Shakespeare per continuare i festeggiamenti del 450° anniversario della nascita del commediografo inglese, alle Salette Espositive di Via Lambercione i bambini verranno coinvolti in un’esperienza di falegnameria e riprodurranno il bosco delle fate di Sogno di una notte di mezza estate. Le vie del centro saranno animate da spettacoli itineranti di magia, con la bellissima fiaba dei Tre capelli d’oro e lo strabiliante ed emozionante spettacolo in verticale della “Compagnia volante Mattatoio sospeso” per trasportare tutti i bambini in una dimensione onirica dove tutto può accadere, non ci sono più regole per volare e sognare ad occhi aperti. Martedì 6 gennaio i laboratori didattici saranno dedicati al campanile della pieve di San Verano di cui ricorre il 130° anniversario dalla riprogettazione ad opera dell’architetto Luigi Bellincioni. Il campanile verrà ricostruito, rivisitato. Verranno riprodotte le sue


campane. Con Campane in musica verranno riprodotti i ritmi delle campane tubolari con la direzione del M° Simone Valeri e in collaborazione con l’Accademia Musicale Alta Valdera. E ancora, spettacoli itineranti di magia, “tante storie, quattro in uno” con Alessandro Gigli, uno spettacolo di cantastorie, di burattini, di animazione con l’organetto di Barberia per finire con zucchero filato per tutti i bambini. La giornata si concluderà con la Compagnia I Lusiadi con la favola La principessa annoiata. Rinnovata è inoltre la collaborazione con i commercianti di Peccioli e i cittadini che hanno aperto le loro case. Alla rivendita Tabacchi n. 2 ci immergeremo nel magico mondo di Andersen con la fiaba della piccola fiammiferaia, al Grano e l’uva saranno presentati due libri per bambini Il magico mondo oscuro e Giacomino nel villaggio del silenzio, alla Pasticceria Ferretti ci delizieremo con un laboratorio di decorazione di cup cake. Tante altre saranno le attività e le sorprese programmate in collaborazione con la Filarmonica di Peccioli, i Commercianti e i cittadini di Peccioli. Un’intera comunità si è messa all’opera per offrire ai bambini di tutte le età due pomeriggi di divertimento Per informazioni: Fondazione Peccioliper Piazza del Popolo 10, Peccioli Tel. 0587 672158 info@fondarte.peccioli.net www.fondarte.peccioli.net

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lo scaffale del poeta

poeta un

contro tutto e tutti

Ezra Pound o la grande contraddizione Paolo Pianigiani

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zra Weston Loomis Pound, nacque a Hailey, il 30 ottobre 1885 e morì a Venezia il 1º novembre 1972; americano di nascita, ma vissuto prevalentemente in Europa. è considerato uno dei principali autori del movimento letterario del Modernismo (principalmente dell’Imaginismo e del Vorticismo), e ha influenzato in maniera significativa la lirica inglese, introducendovi al contempo elementi orientali, occidentali, americani ed europei. Ha fatto da fulcro e da istigatore. Ha fatto conoscere presso il pubblico inglese le opere di Dante e di Guido Cavalcanti. Il che non è poco, visto dalla nostra parte. Ha scoperto Joyce quando ancora era un giovane professore d’inglese a Trieste, con scarse possibilità di emergere, per non dire nessuna. Gli scrisse una lettera nel dicembre del 1913 dicendogli più o meno: mi hanno parlato di lei, non so cosa sta

scrivendo. Me lo mandi, forse possiamo esserci utili a vicenda. Per Joyce fu la luce e la possibilità di pubblicare su riviste importanti, come l’inglese Egoist e l’americana Poetry, diretta da Harriet Monroe che per lui affrontò un celebre processo. L’amicizia e la collaborazione con lo scrittore irlandese si consolidò a Parigi, dove l’Ulysses sarà pubblicato nel 1922. Ma si interruppe bruscamente quando Joyce iniziò a scrivere Finnegans Wake, che Ezra non digeriva nei suoi esiti più arditi. Nel mondo c’è spazio per gli errori di tutti e due, gli mandò a dire. E fu la fine di un’amicizia meravigliosa. Pound ebbe un ruolo pieno di contraddizioni durante il Fascismo, che lo aveva convinto per le riforme economiche e di facciata. Fu una scelta difficile che gli mise contro tutti i suoi precedenti lettori e ammiratori. Rischiò la pena di morte per tradimento e si salvò solo per la sua presunta follia. Rimase in prigione

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per 13 anni, recluso nell’ospedale St. Elizabeths a Washington, e quando fu liberato trascorse gli ultimi anni qui da noi, in Italia, paese che amava immensamente e che considerò sempre la sua patria ideale. Ci ha lasciato opere raffinatissime, come i testi poetici Personae, uscito nel 1909, e A lume spento, che pubblicò nel 1912 a sue spese a Venezia. Ma l’opera per cui è celebre sono i Cantos, ai quali ha lavorato fin dal 1917, che uscirono a più riprese. Fino ai Canti Pisani, un affresco di tutta la sua vita, ritenuto forse la sua opera maggiore, che scrisse mentre era detenuto a Pisa, in attesa di essere processato. Fu un grande intellettuale e un sensibile poeta, impossibile non pensare a lui parlando della letteratura inglese del Novecento. E la sua influenza dura fino a noi. è stato “Il miglior fabbro”, come scrisse Thomas Eliot dedicandogli La terra desolata, che pure Pound aveva tagliuzzato e ridotto all’osso, rendendola essenziale.


Histrion

Dai Canti Pisani.

Nessuno mai osò scrivere questo, ma io so come le anime dei grandi talvolta dimorano in noi, e in esse fusi non siamo che il riflesso di queste anime. Così son Dante per un po’ e sono un certo Francois Villon, ladro poeta o sono chi per santità nominare farebbe blasfemo il mio nome; un attimo e la fiamma muore. Come nel centro nostro ardesse una sfera trasparente oro fuso, il nostro “Io” e in questa qualche forma s’infonde: Cristo o Giovanni o il Fiorentino; e poi che ogni forma imposta radia il chiaro della sfera, noi cessiamo dall’essere allora e i maestri delle nostre anime perdurano.

Quello che veramente ami rimane, il resto è scorie Quello che veramente ami non ti sarà strappato Quello che veramente ami è la tua vera eredità Il mondo a chi appartiene, a me, a loro, o a nessuno? Prima venne il visibile, quindi il palpabile Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno, Quello che veramente ami è la tua vera eredità La formica è un centauro nel suo mondo di draghi. Strappa da te la vanità, non fu l’uomo A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia, Strappa da te la vanità, ti dico strappala Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice. Strappa da te la vanità, Paquin strappala! Il casco verde ha vinto la tua eleganza. «Dòminati, e gli altri ti sopporteranno» Strappa da te la vanità Sei un cane bastonato sotto la grandine, Una pica rigonfia in uno spasimo di sole, Metà nero metà bianco Né distingui un’ala da una coda Strappa da te la vanità Come son meschini i tuoi rancori Nutriti di falsità. Strappa da te la vanità, Avido di distruggere, avaro di carità, Strappa da te la vanità, Ti dico, strappala. Ma avere fatto in luogo di non avere fatto questa non è vanità Avere, con discrezione, bussato Perché un Blunt aprisse Aver raccolto dal vento una tradizione viva o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata Questa non è vanità. Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare. Ezra Pound, Pisan Cantos, LXXXI (versi finali), trad. di Alfredo Rizzardi, ed. Garzanti - I grandi libri, pp. 190-195

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racconto

Pùgia 1

per un fratello

Matthew Licht

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a persona che mi era stata presentata come cugino Jack in realtà era mio fratello maggiore. I miei non dissero che in realtà le cose stavano così, e non era perché non mi stimavano abbastanza maturo da poter assimilare i fatti. Quando scopersi di avere un fratello, non negarono, né confessarono di aver occultato prove. Si comportarono come se la cosa non avesse importanza. Jack, inutile negarlo, era strano. Anche un bambino di sei anni – la mia età quando lo conobbi – poteva capire che qualcosa non andava. Emanava uno strano odore, e sfuggiva lo sguardo. Mi strinse la mano come se si aspettasse una punizione se non me la stringeva. Aveva la mano ruvida come il cemento. Parlava poco. Diceva sì e no quando i miei genitori, cioè i nostri genitori, gli facevano domande, anche se non erano domande di tipo sì o no. Mangiava prodigiosamente, ma non sembrava trarre piacere dal cibo. Si riempiva la bocca e basta. Ma' e Pa' non vollero parlare del primo figlio, che non era venuto come avrebbero voluto. Mi venne voglia di fargli altre domande invadenti: erano fratello e sorella? Avevano forse entrambi gemelli parassiti

che spuntavano dai loro addomi? Forse per questo non li avevo mai visti nudi. Dissero soltanto che Jack se ne andò di casa a quindici anni. Stavano per mandarlo in un posto, tipo ospedale o scuola speciale – dissero di non ricordare quale. Jack era diverso quasi sin dall’inizio, e glielo facevano capire tutti. Io avevo solo due anni quando se ne andò, quindi non me lo ricordo per nulla. Lui ne aveva quindici. Era un ragazzone imponente, a quanto pare, ma era solo quindicenne, e sapeva di non avere la testa proprio a posto. Partì da solo, con ciò che riuscì a far stare nello zainetto da Boy Scout. Gli Scout lo avevano licenziato dopo pochi giorni, pare. La cosa più strana è che Jack sia tornato affatto a casa, visto che i suoi avevano complottato per farlo rinchiudere. Ciò spiegherebbe il suo spiccato nervosismo, quelle poche volte che venne a trovarci. Forse si aspettava la camicia di forza. Non hai tante opzioni quando scappi di casa a quindici anni. Jack mentì al Sergente reclutatore, e si arruolò nei Marines. Era abbastanza sano di mente da sapere che nessuno sbatte in manicomio un Marines. Jack, l’omone nel macabro completo

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grigioverde, non disse niente quando venne presentato al proprio fratellino come fosse qualche cugino di terzo grado. Forse gli sembrava giusto, visto che era sloggiato furtivamente. Capii che Jack era qualcuno che non avrei mai conosciuto bene, una persona che forse sarebbe apparso ogni tanto, per comportarsi in modo bizzarro. Crebbi. Ci vuole un certificato di nascita per ottenere la patente di guida, nel New Jersey. Non ce l’avevo. Perquisii inutilmente tutta la casa. I miei dissero di averlo perduto nella mischia, anche se non avevamo mai fatto un trasloco. Scrissi all’anagrafe della contea per chiederne una copia. Qualcuno aveva battuto un “1” nella casella “bambini già nati/viventi”. Ci misi un istante per intuire chi era, quell’uno, e mi sentii solo al mondo, o quasi. I miei, che prima mi erano sembrati normali, se non proprio calorosi, si erano trasformati in personaggi pressoché sinistri. Sicuramente non sono poche, le famiglie con figli idioti nascosti in cantina, parenti difettosi rinchiusi in manicomio. Quasi subito dopo aver superato l’esame statale di guida, mi misi dietro lo sterzo d’una brutta macchina che


avevo comprato coi soldi che avevo guadagnato lavorando tutta l’estate in un bar sulla spiaggia, e partii. Tra l’altro, volevo cercare Jack. Non c’era una pista da seguire. Jack non ci aveva mai scritto una lettera. Pa' disse che forse si era scordato come si fa a scrivere. L’aveva imparato solo con grande difficoltà, a scuola. Che Jack fosse ancora vivo non si poteva nemmeno dare per scontato. C’era una brutta guerra in corso, l’ultima volta che apparve, e lui era in divisa. L’ho già detto: se guidai verso ovest, non era solo per cercare mio fratellone disperso. Quel poco che avevo studiato era bastato per farmi capire che l’unico modo per riuscire, in questa vita, in questo paese, in questo mondo, è di diventare una stella di qualche tipo. È banale, da egoisti, lo so, ma non ho il cervello che ci vuole per brillare come scienziato o inventore o artista. Ciò non importa, nel mio caso. A rischio di sembrare un vanesio, devo dire che Ma' e Pa' hanno fatto un gran bel lavoro nel mettere insieme me. Lo specchio non mente. Ho una faccia da stella del cinema e un bel fisico, ma non riesco a suonare la chitarra né cantare. Persi poche ore a dormire, durante il viaggio. Quasi tremila miglia svanirono presto. Appena imboccai l’autostrada di Hollywood, ebbi l’intuizione che Jack era lì da qualche parte. Ma sentii anche che far carriera nel cinema sarebbe stato molto più duro di quanto avevo creduto. Trovai senza problemi una stanza in affitto a Hollywood, che nella realtà è un quartieraccio. Nessuno voleva

abitarci. La macchina che comprai nel New Jersey era un rottame. Presi un bolide californiano per trecento miseri dollari, una formosa Buick che era rimasta ad aspettarmi in un garage nella San Fernando Valley. Accanto al garage, c’era un rottamaio. La massa di ruggine del New Jersey valeva venti dollari, disse il gestore. Con quei venti dollari feci il pieno di benzina e andai di furia verso la spiaggia di Santa Monica. Non c’è altra sensazione al mondo come quella che si prova entrando nella galleria alla fine dell’autostrada transcontinentale ed essere sparati dal buio al sole abbacinante, sulla spiaggia ubriaca di palme al bordo dell’oceano. Attraverso il parabrezza vidi schiantare le onde e quasi schiantai anch’io, preso dal delirio. Camminai lungo la spiaggia di Venice mentre una squadriglia di uomini neri in tute bianche lavava e dava la cera alla Buick bianca. Osservai numerosi reietti che dormivano sdraiati sulla sabbia o barcollavano lungo il bordo della spiaggia a chiedere l’elemosina. Captai la vibrazione di mio fratello. Bazzicai la zona del lungomare, cercavo tipi che non reggevano lo sguardo. Diventai un contatore geiger della schizofrenia. Jack era grosso, un vero quarto di bue, ma a parte ciò poteva essersi completamente trasformato. Tenevo nascosto da qualche parte del cervello un ricordo olfattivo. Girai, annusando barboni e fricchettoni come un intenditore di vini. Ai barboni che sembravano ancora provvisti di parola, chiesi se c’erano in zona degli ex-Marines. Collezionai cattivi odori e sguardi vacui.

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Nei giorni feriali, feci lunghi deprimenti giri di provini. Nei fine settimana, tornavo a Venice alla ricerca di mio fratello pazzo. Sulla spiaggia mi abbronzai per riuscire meglio nei provini. Entrai nella gabbia per esibizionisti coi vari ridicoli Mister Muscolo, e sviluppai pettorali, bicipiti e addominali. Divenne una uggiosa routine. Presi lavoretti da comparsa, e un ruolo di leggero rilievo in un film indipendente, da zero soldi, forse il primo film di qualche studente. In quella boiata, una banda di motociclisti cattivoni, i Pirati, rapinano la gente, spacciano droga e seppeliscono le loro refurtive sotto la spiaggia di Venice. Ebbi una battuta, baciai una bella ragazza tettuta, feci a botte, andai in moto, buttai per aria banconote finte, scavai una fossa che non sapevo fosse per me. I miei compagni mi uccisero. Non mi presi la briga di sentire come finiva la storia, dopo che il personaggio che interpretavo, Bad Bruce, non c’entrava più. Trovai mio fratello Jack a Venice. Non condivideva una scatola di cartone con una muta di cani rognosi. Era proprietario di una piccola casa, l’aveva costruito lui, sul terreno che comprò mentre il mercato dell’immobiliare era praticamente sottoterra. Sua moglie stette ferma sulla soglia mentre Jack mi fissò senza guardarmi negli occhi, senza espressione. Scopersi le tracce di Jack una domenica sera in un bar vicino alla spiaggia. Notai che il tipo seduto accanto a me aveva “Semper Fi” tatuato sulle nocche. Quello è il motto dei Marines...


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NOVITà EDITORIALI

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mpolesi, brava gente. È già un’assoluzione, un raccontare benevolo di storie o storielle. Non si condanna nessuno. Abbiamo bisogno di essere assolti, se non perdonati, da giudici immaginari, sempre, nel nostro vagare per il mondo. Che in questo caso è un castello senza mura, in gran parte distrutte, non essendoci da tempo più bisogno di protezione dalle cannonate spagnole e imperiali. Son racconti veritieri o quasi, per lo più frutto di memorie apprese sui libri, ma anche ascolti da bar o sogni notturni, quando la verità si svapora e hanno dominio i ricordi immaginati e le sensazioni. E gli uomini e le donne (una sola, in verità, Ginevra), che nelle nostre strade hanno lasciato traccia. Storie che scorrono e si accavallano, con Empoli sullo sfondo, ma con i necessari rimandi spaziali e logistici altrove, quando necessario. Fino in Brasile, per esempio. Ventidue i protagonisti, ventidue storie. Comunque e sempre da conoscere e far conoscere, a chi c’è e a chi verrà nel futuro. Anche per questo e soprattutto, si scrivono i libri.

Empolesi brava gente

di Paolo Pianigiani Editore Ibiskos Editrice Risolo

racconto

T

roviamo la protagonista, Haya Tedeschi, seduta da sola a Gorizia, circondata da una cesta di fotografie e ritagli di giornali. è una donna anziana, che dopo 62 anni aspetta di ricongiungersi a suo figlio, avuto da un ufficiale delle SS e rapito dalle autorità tedesche. Il figlio che sta cercando disperatamente era nato nel 1915. Haya riflette sulle esperienze della sua famiglia ebrea convertita al cattolicesimo, e sul massacro spietato degli ebrei italiani nella Risiera di San Sabba, il campo di concentramento di Trieste. La ricerca ossessiva di suo figlio la conduce verso fotografie, mappe, frammenti diversi, verso le deposizioni durante i processi di Norimberga e le interviste con gli ebrei di seconda generazione, e ai racconti dei testimoni oculari delle atrocità avvenute sulla sua porta di casa. Daša Drndic ha realizzato uno sconvolgente contributo alla letteratura del XX secolo.

Trieste

di Daša Drndic traduzione di Ljiljana Avirovi Bompiani

racconto

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gni anniversario ragguardevole porta con sé celebrazioni, per Michelangelo lo più sostenute da fondi appositamente stanziati, cui, con di Antonio Natali sempre maggiore frequenza, si volgono enti e istituzioni, che in queste speciali ricorrenze intravedono una delle poche possibilità Maschietto Editore per organizzare imprese culturali. Questa circostanza centenaria è sembrata buona per proporre dei pensieri vecchi e nuovi del direttore degli Uffizi Antonio Natali su due opere di Michelangelo, fra le più emblematiche: il David e il Tondo Doni. Uno fuori, l’altro dentro gli Uffizi. Questa piccola silloge è nata non già per alimentare la devozione a due capi d’opera del Cinquecento, bensì per favorirne la comprensione. Sulle pareti dove campeggiavano le pale d’altare del Cinquecento sono esposte le tavole che furono dipinte agli esordi di quello stesso secolo: il Tondo Doni di Michelangelo e le opere dei pittori Francesco Granacci, Fra’ Bartolomeo e Mariotto Albertinelli, e dirimpetto Andrea del Sarto e il Franciabigio.

arte

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na bottiglia di vermentino Claudio Barontini che ha

i in una sequenza di conti-

alta l’evidenza di un partiosserva. Luciano Caprile

fotografia

mmagini dimenticate dal tempo, quelle fissate e ritagliate nel muscolai bianco e nero da Claudio Barontini. Racconti di gesti antichi foto di Claudio Barontini che si ripetono all'infinito con la pazienza e solennità di un rito che si compie in mare. Frutti prelibati, mitili o "muscoli", come Bandecchi & Vivaldi Editore vengono chiamati in Liguria e in Toscana, da innestare e da coltivare su lunghi filari, alla stregua di grappoli d'uva, accolti in un'ideale vigna subacquea che offre rifugio a piccoli pesci. Questo volume distilla il vero e va assaporato fino all'ultima goccia come avviene per una bottiglia di vermentino, sapendo cogliere i momenti essenziali da fermare con un clic raccogliendoli in una sequenza di continue rinnovabili seduzioni visive da offrire agli amici. Una tradizione secolare, una riscoperta dell'eccellenza e un patrimonio di qualità, che ben rappresentano i mitili del Golfo della Spezia.

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Angelo Errera

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cinema

Al cinema con gli sceicchi VIII° Abu Dhabi Film Festival - A Leviathan il Black Pearl Award Andrea Cianferoni

Marc de Panafieu e Alexey Serebryakov Open Ceremony Party

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i spengono le luci dell’Abu Dhabi Film Festival, rassegna cinematografica che raccoglie un pubblico eterogeneo ed entusiasta verso il nuovo cinema arabo e focalizza il ruolo della capitale degli Emirati come luogo ideale per scopriere e valutare la recente cinematografia araba. Cospicui sono i premi delle varie sezioni competitive: al miglior film viene riconosciuto un premio di 100 mila dollari, così come alla migliore opera prima e ai migliori attori e attrici. La somma totale dei premi in denaro è di 900 mila dollari e rende, di gran lunga, Abu Dhabi il festival più munifico al mondo, grazie anche al lavoro svolto dall’authority per la cultura e il patrimonio artistico, ente incaricato di conservare e valorizzare il patrimonio e la cultura. L’Authority, fondata nell’ottobre del 2005, è amministrata da un consiglio di amministrazione presieduto dallo Sceicco Sultan bin Tahnoun Al Nahyan. è un’organizzazione di respiro internazionale che ha l’obiettivo di contribuire al rafforzamento del dialogo interculturale e la valorizzazione delle diverse culture attraverso lo svi-

luppo di progetti che incoraggino la condivisione delle tradizioni culturali. Ad aggiudicarsi quest’anno il ricco premio come miglior film è stato il regista russo Andrey Zvyagintsev con il film Leviathan. A lui è andato il Black Pearl Award dell’ottava edizione dell’Abu Dhabi Film Festival, mentre il suo protagonista Alexey Serebryakov, è stato premiato come miglior attore maschile. Un successo confermato dopo la vittoria al London Film Festival. Il premio come miglior attrice del festival è andato a Maria Bonnevie per il ruolo drammatico di una donna fragile nel film di Susanne Bier A Second Chance. Vincitore della sezione Nuovi Orizzonti, dedicata ai registi più giovani, direttamente dai trionfi veneziani, dove ha vinto la coppa Volpi, Alba Rohrwacher, accompagnata dal regista Saverio Costanzo. «è un film su una relazione, una storia d’amore che abbiamo cercato di costruire in modo da riconoscere i due lati della relazione. Ci abbiamo davvero creduto.» Rohrwacher aveva già lavorato con Costanzo nel 2010 ne La solitudine dei numeri primi e nel film Hungry Hearts, girato in inglese ne-

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gli Stati Uniti. «Penso che fare un film sia una questione di fiducia», dice Alba. «Di Saverio, della sua visione della storia mi fido davvero. Lavorare con lui è come fare un’avventura dove tutto mi può sorprendere. Con mia sorella è stato molto semplice: la fiducia è qualcosa dentro il mio sangue. Per il direttore del festival Ali Al Jabri «Si tratta di una delle edizioni di maggior successo degli ultimi anni. Sono nove giorni di grande cinema che passano in un batter d’occhio e la magia del cinema ci sorprende ogni volta. Abbiamo avuto film di grande trasporto, tragedia e gioia mescolate insieme, film che ci hanno aperto gli occhi, i nostri cuori e le nostre menti». Tra le novità dell’ottava edizione, dopo anni di assenza dedicati alla realizzazione di due documentari, la regista iraniana Rakhshan Bani-Etemad è tornata sugli schermi cinematografici con il film Tales, già vincitore del premio per la Migliore Sceneggiatura a Venezia. Tales, è un progetto rimasto in cantiere sin dal 2011 ed è stato solo dopo l’elezione del presidente Hassan Rohani ed il conseguente allentamento delle restrizioni


Nesrin Sanad con un accompagnatore Party inaugurale Carmen Chaplin, Wonho Chung con due amici Mohammed Al Turki Carmen Chaplin Opening night Noura Al Kaabi Aryam Ali Mostafa all'opening party Koussay Khawli Soulafa Memar

da parte del ministero iraniano della Cultura e della Guida Islamica che Bani-Etemad ha deciso di riprenderlo in mano e terminarlo. Attraverso la rivisitazione di sette personaggi apparsi nei suoi film precedenti, il film offre un attento spaccato della classe lavoratrice iraniana, descrivendone in dettaglio le dure realtà degli abusi, della dipendenza, della burocrazia. I suoi protagonisti vanno dal tassista cacciato dall’università per attivismo politico alla moglie che fugge da un marito violento. «È stata una sorta di esperimento. Questi sono personaggi che ho sempre ricordato con affetto e volevo onorarli, riportarli sullo schermo e vedere come erano cambiate le loro vite», ha dichiarato la regista, considerata la first lady del cinema iraniano.

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MUSICA

il ballo

della debuttante Junior Eurovision Song Contest 2014 Leonardo Taddei

La vincitrice dell'edizione 2013 Gaia Cauchi Il vincitore della manifestazione, l'italiano Vincenzo Cantiello, viene intervistato dalla stampa internazionale subito dopo il trionfo Esibizione di danza contemporanea durante l'intervallo

L

a XII edizione della manifestazione canora Junior Eurovision Song Contest si è svolta lo scorso 15 novembre a Marsa, nell'incantevole isola di Malta, in un cantiere navale appositamente trasformato per l'occasione in un avveniristico e futuristico palco internazionale. La rete organizzatrice dell'evento, la maltese PBS, si è detta particolarmente soddisfatta della riuscita del concorso, rivolto a bambini provenienti da ben sedici paesi europei e che si sono esibiti dal vivo con una canzone della durata massima di tre minuti: oltre 4500, infatti, le persone presenti in sala, mentre diversi milioni sono stati i telespettatori che hanno seguito l'evento in diretta tv. Graditissimi i ritorni alla competizione da parte di Bulgaria, Cipro, Croazia e Serbia, e, nonostante i ritiri di Azerbaijan, Macedonia e Moldavia, particolarmente atteso era il debutto di nazioni quali Montenegro e Slovenia, e, soprattutto, dell'Italia, unico stato in gara tra i Big Five: gli altri maggiori sostenitori finanziari dell'evento – Regno Unito, Spagna e Francia, che latitano oramai da anni

– non hanno aderito al concorso neppure in questa occasione, mentre la Germania, addirittura, non ha mai preso parte alla manifestazione, con grande disappunto di moltissimi fans internazionali. Particolarmente emozionante e ricca di colpi di scena fino all'ultimo istante è stata la volata per il secondo posto, che ha visto arrivare al fotofinish la Bulgaria, seconda classificata con la

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canzone Planet of the children (Pianeta dei bambini) cantata da Krisia con i fratelli Hasan e Ibrahim, e l'Armenia, con la caucasica Betty e la sua People of the sun (Gente del Sole), superata all'ultima voltazione per un solo punto. A trionfare, invece, è stata una sorprendente Italia rappresentata da Vincenzo Cantiello, reduce dal successo del seguitissimo programma Ti lascio una canzone – condotto da Antonella Clerici su Rai1 – che ha sbaragliato la concorrenza degli agguerritissimi avversari e, soprattutto, quella di Malta, data come grande favorita della vigilia. A ben guardare, molti tasselli vincenti del format nostrano sono stati in effetti riproposti anche nella manifestazione internazionale, quasi a suggellare il sodalizio artistico che lega le due emittenti televisive, Rai e PBS. Innanzitutto la canzone vincitrice, Tu primo grande amore, cantata appunto dal piccolo Vincenzo, è stata scritta da Leonardo De Amicis, già direttore d'orchestra del programma italiano, mentre lo show, in diretta da Marsa, è stato condotto su Rai Gulp proprio


da Antonella Clerici. Malta era rappresentata quest'anno da Federica Falzon, fresca vincitrice di Ti lascio una canzone, e succeduta a Gaia Cauchi, che aveva partecipato in Italia all'edizione del 2013 e vinto il Junior Eurovision Song Contest esattamente un anno fa. Ma non è tutto. Il rappresentante di San Marino del 2013, Michele Periola, trionfatore della VI edizione del talent Rai, era presente anche quest'anno nel backstage maltese, sfoggiando un look street-style e soprattutto un nuovo taglio di capelli alla mohicana, a sostenere la sorella Raffaella, una delle cinque Peppermints, la girl band in gara per la Serenissima Repubblica. E proprio Michele Perniola, insieme ad un'altra componente del quintetto, Anita Simoncini, rappresenterà lo stato del Titano all'edizione Senior dell'Eurovision Song Contest 2015, che si terrà a Vienna in maggio. Nel frattempo, in attesa di scoprire se l'Italia ospiterà o meno il concorso dell'anno prossimo, in qualità di campionessa in carica, i numerosissimi aficionados di tutta Europa festeggiano il successo del Bel paese: nonostante tutte le difficoltà econo-

miche, e, diciamolo pure, a dispetto di tutte le critiche delle malelingue, estere e locali, che sempre mettono zizzania presentando la Penisola a stivale come la Cenerentola derisa di ogni manifestazione, questa volta, impegnata al ballo delle debuttanti, l'Italia ha concluso i giri di valzer in prima posizione. Ma nel quartier generale di Viale Mazzini in Roma, però, i problemi sono arrivati ancor prima di iniziare i festeggiamenti. Purtroppo gli ascolti italiani sono stati piuttosto deludenti, con un share dello 0,66% ed un totale di soli 151.000 telespettatori. D'altro canto la partecipazione era una scommessa rischiosa in termini di audience, visto che anche per l'edizione Senior i dati sono molto più bassi rispetto a quelli delle altre nazioni che trasmettono l'evento. Ed in effetti niente è trapelato fino ad adesso: i fans trepidano in attesa di conoscere la nuova location per il 2015 mentre i vertici dell'EBU, l'European Broadcasting Union che sovrintende la manifestazione, tremano all'idea che si possa ripetere la situazione di stallo del 2012, quando sono dovuti intervenire i Paesi Bassi a risolvere un'imbarazzante impasse per mancanza di sedi candidate ad ospitare l'evento. Ancora nessuno si sbilancia, neppure il capo della nostra delegazione Nicola Caligiore, asserragliato nel suo ufficio: in casa Rai, come è comprensibile, tutto continua a tacere. La manifestazione è complessa, richiede molto impegno, ingenti somme di denaro che difficilmente potrebbero rientrare tramite gli spazi pubblicitari, visto lo scarso interesse del pubblico italiano, ed anche la collocazione all'interno di un già blindatissimo palinsesto appare difficoltosa. Ma non è ancora tempo di disperarsi, per nessuno: come recita un vecchio e saggio motto, "nessuna nuova, buona nuova". Foto: Elena Volotova e Maria Mifsud (EBU)

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La girl band ''The Peppermints'', durante l'esibizione di San Marino La performance della Slovenia Le tre rappresentanti dell'Ucraina La cantante svedese durante la finale La coreografia della Svezia Tutti i piccoli concorrenti insieme sul palco per l'esibizione di gruppo


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intervista

il mio canto libero Scusa, Lucio, se t’ho preso in prestito

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ccolo dal vivo alla libreria Feltrinelli di Firenze con la band mentre canta a squarciagola, ma non sguaiato. è uno dei cantanti rock più trasgressivi del momento: Piero Pelù, fiorentinissimo ed orgoglioso d’esserlo. Identikit della Sony è un viaggio che attraversa la sua anima, una raccolta che identifica il percorso artistico del rocker nostrano, dal ’99 ad oggi. Ex frontman dei Liftiba, il gruppo nel 2009 si ricompatta col ritorno di Pelù alla voce. Lui è così…sfrontato, senza tanti peli sulla lingua e molto ‘animal’, col suo timbro così particolare e penetrante. Lo incontrai non molto tempo fa durante la kermesse pittiana in un noto padiglione. Diceva che era lì poiché Roberto Carmignani, il titolare dell’azienda, era un suo compagno di classe – o di banco, non ricordo – e che quindi aveva mantenuto saldi rapporti d’amicizia. Una “tipa” mi scavalcò domandandogli cosa non mancava mai nel suo guardaroba: “gli stivaletti, evvia, è chiaro!” Se facciamo un passo indietro, andiamo agli anni del Liceo classico e a quel gruppetto musicale che si chiamava Mugnions, ragazzetti col sangue agitato e argento vivo addosso che lui capitanava. Un nome preso dal torrente Mugnone che scorre adiacente al condominio dove abitava la famiglia Pelù. Ma la trasgressione era troppo forte per il caro Pierino… chi lo chiamava così diventava cadavere!!! per tutti era Pierotten in onore ad un suo idolo, con quel ‘rotten’ che sapeva di marcio e quindi andava di brutto per i cultori del punk. Ecco Londra, il suo sogno di giovincello, che però lascia perché di punk gli inglesi avevano troppo

poco – troppo borghesi – ed il ritorno nella città dantesca è inevitabile. Dal 1980 in poi è sempre un travolgente successo: la new wave viene personalizzata in chiave mediterranea mescolando etnie persino arabe con l’appuntite e ruvide atmosfere dark anglofone. Nel ’90 la band ha una grinta da pirati, sono tipi selvaggi nel loro linguaggio hard rock che poi, potenza delle tecnologie! passa al pop rock elettronico scuotendo folle oceaniche di affecionados. Il resto è storia. E ci piace molto il suo impegno nel sociale. «Parlerei di solidarietà; invito pertanto gli altri a farlo, è una grande fonte di arricchimento anche se i media tralasciano troppo questo aspetto.» Lo guardo così sicuro di sé con maglietta e via, il codino, i numerosi tatuaggi sparsi più che altro sulle braccia, il pizzetto mefistofelico e, soprattutto, lo sguardo inchiodatore che se ti fissa ti cementa. E poi quel …“fanculo” detto bonariamente, tanto che: «posso dire “fanculo” ai signori che lo vogliono qual grido contro la guerra e contro tutti quei politici che prendono... (sic!) decisioni importanti? Temo però che questo mio urlo cascherà nell’aria e che le armi saranno sempre presenti tra noi!» C’è un gran fermento e le persone, giovani e meno giovani, sono dotate d’una mascherina simpatica cartonata da appoggiare al volto qual inno al loro divo. I più vogliono la dedica: dedica ottenuta grazie all’acquisto del cd presso la libreria che dava pure il pass per l’evento. Tanti i motivi che intona assieme al suo gruppo precisando che: «Il mio nome è mai più è il mio preferito e se non è servito a far cessare gli orrori, ha avuto

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modo tuttavia di far costruire quattro ospedali in Afghanistan grazie all’impegno nobilissimo di Emergency.» Eccolo cantare dopo la pausa con una birretta Io ci sarò e le persone galvanizzatissime con quel cartoncino che ha appena i buchi per gli occhi, si alzano in piedi ritmando i tempi. Pelù percepisce la grande energia facendo: Che bello! Uh, uh! in un ritmo travolgente che lo percorre da testa a pie'. Grande adrenalina!! è il momento di Tutti fenomeni, e l’esibizione è così intensa che la mano scorre sulla chitarra come l’olio. Non a caso è “portatore” non so di quanti fan club. Racconta che… «Quando lavoro c’è alta creatività anche se ogni passaggio è diverso l’uno dall’altro e quindi mi capita di stravolgere tutto». Gli domando della sua esperienza di coach del talent show con la Carrà, Cocciante e Noemi: «Lo sai che m’è piaciuta? Sì, godevo d’una grande libertà di pensiero e quella “Voice” ascoltata di spalla non era proprio male. Lo considero un vero programma musicale, seguivo tutti ed in particolar modo le loro performance. Tutto sommato affermo che è stata un’esperienza più che positiva e concludo dicendo che dai produttori cerco più coraggio da parte loro ed anche… più rock! Evviaaa!» Ma non con il “lixsio, bensì col rock!” Corro anche io per l’autografo – lo ammetto, è fatica crescere – e, mentre gli dico “Cavicchini” lui: «Che sei parente per caso di Thimoty Cavicchini?» Già – rispondo – veniamo dalle zone del Mantovano. «Ah siiiii?» Eh sì!

Carla Cavicchini

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FILM

Natale

is movies

Eleonora Garufi

E

ccoci qui, alle porte del Natale. Le strade in città si sono illuminate di luci e addobbi, il freddo è finalmente arrivato e la frenesia dei regali è iniziata. La magia del Natale si accende e tutto diventa possibile. A Natale ci sono delle cose simboliche e fondamentali che rendono questa festa universale, globale, senza limiti di etnie e religioni. Il Natale è dei bambini. Il Natale è rosso, verde e bianco. Il Natale è l’albero addobbato, il pandoro e il panettone, il vischio, la stella di Natale, la corona, il cero, il torrone, la tombola. Oltre a tutte queste meravigliose usanze che fanno del Natale il momento della famiglia e della tradizione popolare, c’è qualcosa che ormai da anni non abbandona questo periodo: l’attesa uscita dei film di Natale. La settimana e il periodo sono un ottimo momento per la filmografia

nazionale – non per l’uscita di film importanti – ovviamente a sfondo natalizio. Ecco allora la top ten dei film di Natale che è quasi obbligatorio vedere nella vita in questo periodo dell’anno. 1. Una poltrona per due di John Landis, una delle favole metropolitane più viste: per la scommessa di un dollaro di due avidi imprenditori, la vita di un mendicante e di un manager di banca si trasformeranno per un finale a sorpresa. Con Dan Akroyd, il Ray de I Ghostbusters, Eddie Murphy e Jamie Lee Curtis. Non ditemi che non l’avete mai visto? 2. Mamma ho perso l’aereo di Chris Columbus. Un film indimenticabile degli anni ‘90 che ci ha fatto crescere tra la paura e il desiderio di essere scordati a casa da mamma e papà per le vacanze: un gioiellino di scrittura e divertimento con Macaulay Culkin e con una fantastica colonna sonora di John Williams.

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3. Gremlins di Joe Dante, storia dei mogwai, teneri animaletti dal lato oscuro specialmente se non si rispettano le tre regole: mai nutrirli dopo mezzanotte, mai bagnarli, mai esporli alla luce. Ci muoviamo tra horror e commedia: i bambini siano


accompagnati nella visione, grazie! 4. La storia di Babbo Natale. SantaClaus di Jeannot Szwarc. Dalle critiche contrastanti, per noi rimane un degno film natalizio che i bambini devono guardare. Una lotta per il vero senso del Natale portato avanti dallo stesso babbo panciuto e dalla sua squadra di elfi. 5. Love Actually (L’amore davvero) di Richard Curtis. Natale a Londra in un mix di storie intrecciate con un cast di grandi attori che con leggerezza e intensità mostrano come l’amore sia ovunque, a partire da un aeroporto. 6. Il Grinch di Ron Howard. Nel paese di Chinonso ci si prepara al Natale, tutti tranne il Grinch. La piccola Cindy Lou vuole riportare in lui lo spirito del Natale e ricordare a tutti il vero significato di questa festa.

7. Elf di Jon Favreau. Buddy è un bambino curioso che vive in un orfanotofrio. La notte di Natale si infila nel sacco di Babbo Natale, che se ne accorge solo una volta tornato al Polo Nord. Qui il barbuto Santa Claus diviene una specie di padre adottivo del bambino, che cresce assieme agli altri elfi aiutanti di Babbo Natale, ma arriverà un giorno in cui dovrà tornare nel mondo in cui è nato. 8. Edward Mani di forbice di Tim Burton: il film che ha lanciato Johnny Depp esaltato dalla poetica di Tim Burton incentrata sul diverso e sulla sua magia. La storia di Edward scappato dal suo regno e con le forbici al posto delle mani. Adottato da una famiglia amorevole, dovrà fare i conti con una cittadina di provincia bigotta e maligna.

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9. Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato di Mel Stuart: parliamo rigorosamente della versione del ‘71 e non del remake di Burton del 2005. Il film ha allietato spesso le mattine della vigilia di Natale in tv: Wonka, un meraviglioso Gene Wilder, proprietario di una mirabolante fabbrica di cioccolato bandisce un concorso, i primi cinque che troveranno il biglietto d’oro potranno fare un tour nella sua impresa. 10. A Christmas Carol è un film fantastico del 2009 adattatamento cinematografico del famoso Canto di Natale di Charles Dickens. Il vecchio Ebenezer Scrooge, avaro e scorbutico proprietario di un negozio di cambio, rifiuta il Natale e la sua atmosfera. Così alla vigilia di Natale riceve la visita di tre fantasmi che gli faranno ritrovare lo spirito natalizio.


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evento

Red Night in scena la Illy Art Collection

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n occasione del lancio della Watermill Center Illy Art Collection, la nuova collezione di tazzine curata da Bob Wilson e da lui creata insieme agli artisti che gravitano intorno all’omonimo laboratorio d’arte contemporanea, Illycaffè, noto brand leader nel settore del caffè di alta qualità, ha invitato nei giardini della Triennale di Milano amici e ospiti d’eccezione a un evento esclusivo, la Red Night, una serata di performance live durante la quale si sono esibiti oltre venti giovani artisti provenienti da dodici nazioni. La Red Night è stata un momento di immersione totale nel mondo della performance art e in quella multidisciplinarietà dedicata alla creazione condivisa che è alla base dell’istituzione fondata da Wilson nel 1992, lo stesso anno in cui Illy lancia la Illy Art Collection. Da molti anni ormai Illy promuove l’arte contemporanea e i giovani artisti e grazie alla lungimiranza del suo presidente Andrea Illy, il maestro Robert Wilson e il Watermill Center di New York sono stati i protagonisti della Red Night ideata anche per presentate le nuove tazzine. La scelta della location non è casuale perché rappresenta il proseguimento della collaborazio-

Giampaolo Russo

Triennale di Milano Giuliano Pisapia, Andrea Illy, Robert Wilson

ne con la Triennale, all’interno della quale Illy sta costruendo un percorso fatto di caffè, arte e sostenibilità che condurrà fino ad EXPO 2015 di cui Illy è Official Coffee partner e sarà il curatore del Coffee Cluster, il padiglione del caffè dell'esposizione”. Le installazioni e performances erano a cura di noti artisti internazionali: Alex Berlage (Australia), Krystian Lyson (Polonia), Annick Lavallée Benny (Canada), Christina Sotiropoulou (Grecia), Alessandra Armenise (Italia), Francesca Fini (Italia), Fanny Lavergne (Francia), Mette Sterre (Olanda), Doran Silek Patec (Slovenia), Paula Garcia (Brasile), Marianna Kavallieratos (Grecia), Carlos Soto (USA), Christopher Knowles (USA), Gintare Minelgaite (Lithuania), Emma Tubbs (UK).

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I fratelli Francesco e Andrea Illy installazione Tazzine arte contemporanea

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KAZI: PROGETTO I

l progetto mira a migliorare lo sviluppo delle competenze interculturali sul luogo di lavoro È indirizzato ai lavoratori stranieri, colleghi e supervisori/datori di lavoro. Il corso formativo combinerà sia un apprendimento in presenza che a distanza. Sarà basato su metodologie di apprendimento attivo. La formazione potrà avvenire sul luogo di lavoro, attraverso corsi di formazione professionale e linguistici indirizzati ai lavoratori stranieri. PRINCIPALI ATTIVITÀ SVOLTE FINORA Relazione generale sull’analisi dei bisogni Studio finale sulla formazione interculturale sul luogo di lavoro Attività di disseminazione Secondo incontro tra nazioni ad Atene (1617 Luglio) Relazione generale sull’analisi dei bisogni sulla formazione internazionale Dalle informazioni raccolte nelle relazioni a livello nazionale in ogni paese, sulla base di 600 questionari e 40 interviste, il partner IDEC SA ha elaborato una relazione generale con le seguenti conclusioni: Quello che emerge dal quadro complessivo è che non c’è una situazione negativa, in realtà, nessuno ha riferito di fenomeni di razzismo e i cittadini stranieri dicono di sentirsi a loro agio sul posto di lavoro. Questa situazione di benessere è anche dovuta alle caratteristiche del territorio: una zona meno urbanizzata crea maggiori opportunità per l’integrazione degli stranieri, grazie a rapporti umani migliori, servizi locali più efficienti e un sistema di associazioni attivo, sindacati ed enti pubblici. Tuttavia, da un’analisi più approfondita, possiamo descrivere le esigenze e le sfide per l’inclusione dei lavoratori stranieri e per il benessere di tutti gli individui coinvolti: Una maggiore conoscenza delle culture dei lavoratori stranieri, delle loro tradizioni e abitudini da parte dei colleghi e datori di lavoro autoctoni, al fine di comprendere meglio le loro esigenze, al fine di evitare l’emarginazione e l’incomprensione culturale. Promuovere e aumentare le offerte formative, in particolare, vi è la necessità espressa dai lavoratori stranieri di un corso di formazione sulla lingua per scopi specifici, sulla terminologia tecnica e sulle competenze. Ogni gruppo target sottolinea la necessità di creare maggiori opportunità per lo sviluppo delle reciproche relazioni di amicizia tra colleghi, attraverso attività per favorire contatti meno superficiali. Il ruolo degli stakeholder e dei decisori nell’amministrazione è fondamentale per trasformare le singole iniziative in una pratica strutturata nel territorio. I corsi di formazione per i lavoratori stranieri

hanno generalmente una scarsa partecipazione e una presenza fluttuante. Questo punto critico dovrebbe essere studiato di più. Il resoconto sarà pubblicato sul sito del progetto. Studio finale sulla formazione interculturale sul posto di lavoro Folkuniversitetet, con l’apporto delle relazioni di ogni nazione partner in materia di formazione interculturale e di risorse a livello locale, regionale, nazionale e internazionale, ha elaborato la relazione di sintesi. In conclusione, si può osservare: “Le società europee si confrontano sempre di più con domande riguardanti le affiliazioni sociali e politiche e le possibilità di partecipazione alla vita civile di tutti i cittadini – compresi i gruppi tradizionalmente esclusi, come gli immigranti e le minoranze etniche e religiose, e altre persone socialmente svantaggiate. L’educazione degli adulti può svolgere un ruolo chiave in questo senso: la promozione delle competenze chiave degli immigranti per la cittadinanza attiva, l’apprendimento permanente e la partecipazione nelle società civili sono aspetti importanti per migliorare le loro probabilità di essere coinvolti nel mercato del lavoro e nella società civile. Ma è importante concentrarsi non solo sugli immigranti e le minoranze: Rappresentanti chiave della società di maggioranza devono essere rivolti e autorizzati a superare i blocchi strutturali di integrazione all’interno delle istituzioni centrali dei paesi ospitanti “. Il resoconto sarà pubblicato sul sito del progetto. Attività di disseminazione Tutti i partner hanno realizzato attività di diffusione, per esempio: - In Austria il lavoro di The Multicultural Association (Verein Multiculturale - VM), potrebbe raggiungere una collaborazione con l’Austrian Federal Trade Union (il Sindacato Federale Austriaco) per l’attuazione di corsi di formazione interculturali sul posto di lavoro. Nel frattempo, nella scuola sindacale, VM offre seminari informativi su “KAZI” e le sue metodologie. - In Italia, Fo.ri.um. ha presentato il progetto KAZI in occasione del Tavolo del Lavoro – “Una rete per il lavoro”, un accordo di rete formale tra soggetti diversi che si incontrano mensilmente per discutere in materia di lavoro. L’incontro si è tenuto nelle sale del comune di Santa Croce sull’Arno. -In Svezia, il Folkuniversitetet ha sviluppato attività faccia a faccia finalizzate a gruppi di insegnanti, immigranti e datori di lavoro. Secondo incontro transnazionale a Atene (16/17 Luglio) Principali questioni discusse: §Monitoraggio delle attività svolte durante i

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primi 6 mesi del progetto. §Revisione del Manuale della Qualità. §Discussione delle consegne: - Analisi dei bisogni in materia di formazione interculturale. - Analisi dello Stato dell’arte sulla formazione all’interculturalità. §Monitoraggio e pianificazione della disseminazione. Progetto del volantino illustrativo. §Presentazione dell’utilizzo e della valorizzazione dei risultati del progetto: bozza del piano di utilizzo e valorizzazione dei risultati del progetto. §Accordo sul Copyright. §Presentazione della versione elettronica dell’I-Pack e del manuale per la versione in presenza: decisioni su materiale di formazione, moduli, piattaforma Moodle, scadenze. §Presentazione della fase pilota, sviluppo di questionari pilota. §Programmazione delle attività per i succesivi 6 mesi. Second transnational meeting A SEGUIRE • Sviluppo della versione Elettronica dell’ IPACK • Sviluppo della versione in presenza dell’ IPACK • attività di diffusione • Volantini, manifesti e materiale di cancelleria PARTNERS FORIUM , Italy: www.forium.it - info@forium.it Folkuniversitetet, Sweden: www.folkuniversitetet.se ingmarie.rohdin@folkuniversitetet.se Verein Multikulturell, Austria: www.migration.cc - office@migration.cc IDEC SA, Greece: www.idec.gr - info@idec.gr SANTURBAN, Spain: www.santander.es proyectoseuropeos@ayto-santander.es Website: www.kaziproject.eu


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MODA

D’inverno?

vestite come in primavera!

Roberto Mascagni

T

erza sfilata di Alta Moda Italiana a Firenze e terzo successo consecutivo ottenuto dall’infaticabile e abile Giovanni Battista Giorgini che presenta i modelli delle sartorie più affermate nel salone bianco del Grand Hôtel. Il lussuoso albergo fiorentino, ai nostri tempi denominato St. Regis Florence Hotel, affaccia le sue panoramiche finestre sul lungarno Amerigo Vespucci, l’ingresso è dalla piazza d’Ognissanti. Questo terzo appuntamento fiorentino – The Third Italian High Fashion Show – si svolge dal 18 al 22 gennaio 1952 . Le indossatrici presenteranno le collezioni per la prossima primaveraestate. Per loro il problema sorgerà quando i servizi fotografici dovranno essere ambientati all’esterno, indossando abiti leggeri. (Intanto, l’abbigliamento sportivo per l’estate preannuncia pantaloni coloratissimi e molto affusolati – detti alla “pescatora” –, a 15 centimetri da terra, ispirati ai costumi delle maschere, inoltre sottane più

lunghe che corte ma non troppo, spalle leggermenti cadenti, fianchi stretti, cappelli grandi e piccoli, scarpe col tacco alto). Così come hanno fatto per assistere alla seconda sfilata, nel luglio 1951, i giornalisti e gli acquirenti dei modelli raggiungeranno nuovamente il Grand Hôtel. Fra i giornalisti italiani spiccano i nomi di Anna Vanner direttrice del trimestrale “Linea Italiana”: un’elegante signora importante redattrice di moda anche per “La Stampa” di Torino, di “Grazia” e di altre numerose testate. È una giornalista di moda fra le più instancabili sostenitrici di quella italiana. Un’altra celebrità del giornalismo è Elsa Robiola, inviata speciale per la moda del settimanale “Tempo”. Le altre sono Elisa Massai (corrispondente del “Women’s Wear Daily”), Gemma Vitti (del “Corriere Lombardo”), Vera Rossi (di “Novità”) e Misia Armani (“I Tessili Nuovi”) e Sandra Bartolommei Corsi (del genovese ”Il Secolo XIX“). Insieme

St. Regis Florence Hotel Il geniale Giovanni Battista Giorgini, fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo (1960) - Firenze www.newpressphoto.it

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rappresentano il Gotha del giornalismo italiano dedicato alla Moda. (Fra queste, appena ventitreenne, Oriana Fallaci, già scintillante per intelligenza e professionalità, inviata dal settimanale ”Il Tempo“. Un altro autorevole nome vale quanto una garanzia: quello dell’americana Hannah Troy della Troy Corporation di New York: uno dei maggiori grandi magazzini americani. Più che creatrice di moda bisogna considerarla una imprenditrice della moda. Compra modelli francesi e italiani per replicarli. Ma preferisce quelli delle sartorie italiane. (Per questa sua predilezione, le fu conferito, nel 1954, l’Ordine al Merito della Repubblica Italiana). Piccola di statura, si è specializzata in abiti per donne sotto il metro e 60: sia per il giorno come per la sera. Infine, non si potrebbe immaginare il palpabile successo della manifestazione, senza elencare la folta pattuglia dei compratori dei modelli (i buyers) europei e, soprattutto, americani, elencati dall’autorevole giornale ”The New York Times“ nell’edizione del 29


gennaio: B. Altman, Henry Bendel, Lord and Taylor, Bonwit Teller and B. Wenstein of New York, Kaufmann’s (Pittsburg), Pogue’s (Cincinnati), Neiman-Marcus (Dallas), Marshall Field (Chicago), I. Magnin (Los Angeles), e Gump’s (San Francisco). La ”Neuen Zuercher Zeitung“ di Zurigo, il più importante e autorevole giornale svizzero-tedesco, scrive: «Un gran numero di visitatori stranieri interessati [vi erano molto ben rappresentate le Ditte più importanti dell’Industria Svizzera della Moda] hanno potuto apprezzare nei primi due giorni le eccellenti doti dell’Alta Moda Italiana: Favro di Torino; Noberasco, Marucelli, Vanna e Veneziani di Milano, e così le ditte Antonelli, Carosa, Fontana, La Boutique, Gabriella Sport e Schubert di Roma (cui si aggiungono le pelliccerie Pellegrini e Carinato di Milano, Rivella e Viscardi di Torino) hanno mostrato nello sfarzoso salone del Grand Hôtel [l’odierno The St. Regis Florence] centinaia di sorprendenti abiti da cocktails, tailleurs e abiti da sera. (…) Gli italiani hanno nuovamente dimostrato in questa occasione la loro esperienza, il loro gusto sicuro e il loro spirito inventivo. I modelli mostrati dai grandi sarti erano per la maggior parte creazioni proprie che hanno incontrato anche il gusto svizzero (…). Questa eccezionale settimana ha dato un notevole impulso alla creazione internazionale della Moda. Sebbene il High Fashion Show tendesse a interessare la clientela americana, ha riscosso in pieno l’approvazione dei partecipanti europei. A chi, pur non facendone parte, conosce l’ambiente dell’Alta Moda, si rende conto del valore dell’impresa organizzativa compiuta da Giovanni Battista Giorgini, portando a fondo una manifestazione collettiva in Italia, paese individualista per eccellenza». Emilio, invece, secondo la stampa americana, ha fatto diventare famoso l’abbigliamento sportivo. In America, dici Emilio e tutti pensano al geniale Emilio Pucci, un nome già mitico. Il magazine ”Picture Post“, in data 1 marzo 1952, titola: Florence Declares Fashion War and / Paris has a rival e precisa: «Parigi mostra segni di irritazione, ma non di allarme», aggiungendo che gli italiani sono sempre stati famosi per le scarpe, e Ferragamo è sempre stato il re dei calzolai (“Ferragamo is a monarch among shoemakers”), e Gucci vince ai punti contro il francese Hermès (“win on points against the French Hermes”). Ciò nonostante, Elisa Vittoria Massai,

in una illuminante corrispondenza pubblicata nel gionale economico “Il Sole 24 ore” informa: «La stampa francese, tuttavia, ha voluto mandare un suo rappresentante, Graziani, di “Paris Match”, ed è innegabile che la più viva curiosità è in sarti, creatori, organizzatori e giornalisti nei riguardi del servizio sulla moda italiana a Firenze che farà questo corrispondente». Le cronache da Firenze registrano inoltre l’acclamato debutto di un giovanissimo sarto romano: Roberto Capucci, destinato a rapida ascesa. La sua prima collezione comprende un abito da gran sera a “volanti”. La mannequin che lo presenta è accompagnata da un “cavaliere” che indossa un abito

da società creato da Brioni, a doppio petto di sciantung nero. Meraviglia delle meraviglie! Un uomo sulla pedana? Spiega Cristina Giorgetti, storica dell’abbigliamento: «La Moda ha visto sfilare per la prima volta un uomo non

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nel ruolo di modello, ma solo come accompagnatore dell’indossatrice, perché l’idea di modello veniva, all’epoca, completamente rifiutata. Lo stesso Giorgini non vedeva di buon occhio questo connubio, tanto meno l’uomo solo in passerella, che poteva sussistere, come ho detto, eventualmente come accompagnatore dell’indossatrice.» L’uomo che sfila per la prima volta al mondo – continua Cristina Giorgetti – è vestito completamente dall’Atelier Brioni. È un’idea di Gaetano Savini, contitolare di Brioni insieme con Nazareno Fonticoli, che chiede a Giorgini di ammettere a sfilare anche gli uomini. Giorgini rifiutò perché all’epoca far sfilare un uomo era considerato assolutamente sconveniente, non era considerato “maschile”. Da parte sua Savini fece leva sulle Sorelle Fontana e su altre sartorie romane, e nel 1952 riuscì a far salire in pedana l’uomo. Giorgini accettò gli indossatori a patto che non fossero giovanissimi, non particolarmente belli, con lineamenti molto maschili e marcati, e apparissero solo come accompagnatori delle donne, cioè come “cavalieri”. Nel libro Brioni. Cinquant’anni di stile Cristina Giorgetti scrive: «I celebri shops di B. Altman & Co. dedicarono un’intera vetrina alle creazioni da sera di Brioni». L’intraprendenza di Giorgini, rafforzata dal successo internazionale, decretò l’ufficializzazione dell’evento. Si apriranno così le avìte porte della Sala Bianca di Palazzo Pitti, e comincìò l’avventura della Moda Italiana in Italia.

Sorelle Fontana, tra le molte celebrità, l’atelier delle Sorelle Fontana era frequentato da Jackie Kennedy, Marella Agnelli, dall’imperatrice di Persia Soraya e da un’altra star del cinema: Elizabeth Taylor. Uno storico salone del St. Regis Florence Hotel, che si distingue per la raffinata eleganza.


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design

D

' ecor 'autore

Annunziata Forte Cristina Di Marzio

C

on un tocco Décor: è questa la nota comune che descrive molti dei nostri lavori, sempre diversi per materiali, ambientazione, forme. Il décor quindi ci contraddistingue da tempi non sospetti, prima cioè che diventasse una moda, una tendenza e prima che accenti décor si ritrovassero in ogni pagina di qualunque rivista di architettura di interni. Per noi la "decorazione" è parte integrante dell'intervento e non si sovrappone a lavoro finito, ma ne rappresenta il naturale completamento. Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento l'Art Nouveau con i suoi motivi decorativi fitomorfici investe non solo l'architettura, ma gli interni, gli arredi, i gioielli, le lampade. In Italia il movimento arriva con il nome di Liberty, poiché nei magazzini londinesi di Arthur Liberty si esponevano oggetti d'arte, tessuti, elementi di arredo in stile Art Nouveau. In contemporanea alla magnifica e fiorente stagione del Liberty Adolf Loss realizza un breve scritto Ornamento e delitto che definisce l'ornamento sugli edifici puerile ed inutile; passando attraverso "il meno è il più", anche gli interni delle case diventeranno poi minimalisti, forgiati dal movimento moderno. Noi che abbiamo vissuto la nostra giovinezza tra il dècor psichedelico degli anni Settanta, dove i motivi floreali erano di derivazione pop, cerchiamo ora di trovare nei nostri progetti una giusta alchimia tra la purezza delle forme, la preziosità dei materiali e un tocco dècor, puntuale e non ridondante, che dà calore e atmosfera agli ambienti del vivere quotidiano e conferisce loro quello stile che attraversa le mode per rimanere nel tempo. Consapevoli delle molteplici poten-

zialità del dècor, portiamo avanti una ricerca continua di motivi decorativi e di materiali e tecniche sempre nuove con le quali realizzarli. La stessa passione e la stessa impostazione la trasferiamo quando ci occupiamo di allestimenti temporanei che devono suscitare emozioni immediate e realizzare atmosfere suggestive e per i quali il décor è una risorsa . Dall'esperienza degli allestimenti temporanei e dalla passione per il dècor è nato un segmento Young dello studio che si occupa di Cheap Design: non tutti infatti possono affrontare interventi dispendiosi per trasformare e rinnovare la propria casa. Offriamo quindi soluzioni studiate e personalizzate, accurate scelte cromatiche e grande attenzione all'illuminazione. Attingendo all'ampio repertorio décor e proponendo anche una rivisitazione di "pezzi di famiglia" di svariata provenienza, la nostra espe-

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rienza e la nostra sensibilità riescono a creare nuove ed accoglienti atmosfere anche con costi contenuti: Cheap & Chic!


In questo ambiente Il tocco dÊcor da noi proposto vede i motivi dipinti direttamente sulla parete e caratterizzati dall'uso del fuori scala: del motivo decorativo, scelto nel nostro archivio di forme, disegni, immagini, ne viene "ritagliato" un dettaglio e riprodotto ingrandito sulla parete. La parete dÊcor fa da fondale al letto rivestito di un intenso colore blu. Realizzata dall'artista Alice Corbetta, risulta contemporanea per la realizzazione con microcementi e retrò per l'uso di rulli decorativi dei primi del Novecento. Gli arredi della zona giorno, interamente realizzati su nostro disegno, sono caratterizzati dalle particolari ante dove, accanto al noce canaletto e agli specchi molati, troviamo la pelle scamosciata proposta con una lavorazione laser e montata su pelle oro laminata. Un tocco dÊcor estremamente ricercato, mix di preziosità di materiali e sapienza artigiana.

foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzz

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alimentazione

che

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Paola Baggiani

I

l caffè è forse dopo l’acqua una delle bevande più diffuse al mondo, sebbene in ogni paese venga preparato secondo specifiche tradizioni locali; ma la tazzina del caffè rappresenta sopratutto un rito tipicamente italiano, frutto di un’abitudine radicata e molto amata, tanto da essere studiato per comprendere i rischi e i benefici per la salute. Il caffè è una droga alcaloidea ricavata da una pianta nota come coffea arabica che dà il nome alle miscele di caffè più pregiate, esistono tuttavia moltissime altre specie e varietà a differente contenuto in caffeina. La pianta originaria dell’Etiopia e della penisola Arabica, attualmente è coltivata in Sud America e sopratutto in Brasile che è il principale produttore di caffè al mondo. Il caffè richiede una lavorazione piuttosto laboriosa che passa dalla raccolta delle bacche dalle quali vengono estratti i semi, seguita da processi di essiccazione, e infine dalla torrefazione che è un processo di cottura dei semi a temperature di 200-240° che conferiscono al caffè la classica colorazione bruno-nerastra, e le caratteristiche organolettiche e morfologiche tipiche. Il caffè può essere decaffeinato secondo diverse modalità come la decaffeinizzazione ad acqua e quella a CO2. La prima più usata, comporta il passaggio dei chicchi di caffè crudo in vasche di acqua dove sono presenti filtri a carboni attivi; l’acqua come solvente estrae la caffeina permettendo di ottenere un caffè con una quantità bassa di caffeina (5mg.

mes so

caffè?

per tazzina contro i 60 mg. che contiene una tazzina di espresso). Il contenuto in caffeina varia a seconda dei metodi di preparazione: è inferiore nel caffè solubile, intermedio nell’espresso, elevato nella moka tradizionale (85-100mg per tazzina). Il caffè è una bevanda che ha soltanto 6 calorie per 100ml., quindi con una tazzina di caffè si assumono circa 2 calorie, ma aggiungendo un cucchiaino di saccarosio (il normale zucchero da cucina) si raggiungono le 20 calorie. Esistono diversi tipi di caffè come il caffè verde,

di grande attualità e moda, che è costituito dai semi estratti dalle bacche al momento della raccolta, che salta il passaggio della torrefazione, per questo è definito “crudo”; è ricchissimo di antiossidanti mentre presenta una quantità bassa di caffeina; presenta elevate quantità di acido clorogenico che agisce buciando i grassi ed è utile nel dimagrimento.

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Altri caffè esplosi come moda negli ultimi anni sono il caffè ginseng, una bevanda che accoppia il ginseng al caffè, beneficiando delle proprietà del caffè senza gli effetti indesiderati legati al nervosismo e alle aritmie visto che il ginseng è rilassante. Altre bevande utilizzate come surrogati del caffè sono il caffè d’orzo che è un cereale che non contiene caffeina, ma con proprietà antinfiammatorie e ricco di fosforo; il caffè di cicoria che mantiene le stesse proprietà del caffè normale sul sistema nervoso centrale, è un digestivo, ma possiede anche attività ipocolesterolemizzante. Il caffè guaranà che contiene un 4% di caffeina ma anche tannini e polifenoli che depurano il fegato e stimolano la circolazione. Tra le molte componenti nutrizionali del caffè come sali minerali, composti fenolici antiossidanti e modeste quantità di vitamine, la più nota e la più studiata è senza dubbio la caffeina. Essa è dotata di importanti proprietà ed è presente in prodotti farmaceutici, dietetici e cosmetici. Ha un effetto stimolatorio sulla secrezione gastrica e su quella biliare con effetto blandamente digestivo, aumenta la motilità intestinale per cui consumarne con moderazione ha effetti lassativi. La caffeina stimola la funzione cerebrale, con aumento della concentrazione e della veglia, migliora l’attività psicomotoria, le prestazioni atletiche e la resistenza al sonno e alla fatica. è un cardiotonico, stimola la frequenza cardiaca; in campo farmaceutico rientra nella composizione di farmaci antiemicranici; ha effetto lipolitico, cioè stimola la mobilitazione dei


grassi e riduce la ritenzione idrica favorendo la diuresi e in dosi elevate ha effetto anoressizzante. Anche preparazioni per uso cosmetico locale come creme a base di caffeina vengono usate nel trattamento della cellulite; lozioni e shampoo con caffeina agiscono sul bulbo pilifero stimolando la ricrescita. Ma quanto caffè? La dose sicura di caffeina in una dieta giornaliera è di 300mg (la stessa contenuta in circa tre tazzine di caffè espresso). Bisogna considerare tuttavia che la caffeina è presente in vari alimenti come il cioccolato, il thè e bevande come la coca cola, quindi bisogna sempre tenere in considerazione l’effetto sinergico e cumulativo dei vari alimenti e anche il contributo di alcuni farmaci, come certi analgesici, e dietetici anoressizzanti e brucia grassi. Le ripercussioni della caffeina sulla salute sono dose dipendenti: un consumo elevato di caffè al di sopra delle dosi consigliate espone l’organismo a diversi rischi. Gli effetti più evidenti della caffeina sono quelli sul cuore dove aumenta la frequenza cardiaca, può provocare sbalzi pressori con lieve aumento della pressione sistolica e aritmie. Sul sistema nervoso ha effetto ansiogeno, determina insonnia, eccitabilità e essendo un simpatico mimetico aumenta tremori, palpitazioni. Può causare se con-

sumata a digiuno, bruciori, acidità di stomaco, fino ad esofagite e reflusso gastroesofageo. Facilita e aggrava l’osteoporosi riducendo l’assorbimento del calcio e stimolandone la perdita attraverso la diuresi. Riduce l’assorbimento del ferro favorendo l’instaurarsi di quadri anemici. Bere troppi caffè è deleterio non solo alla salute ma anche alla pelle: il caffè causa la formazione di rughe attraverso l’acido benzoico che inattiva una sostanza, la glicina, deputata a riparare e costruire fibre collagene essenziali per il tono e l’elasticità della pelle. Inoltre macchie giallastre sui denti che non si eliminano con le normali pratiche igieniche e professionali hanno come cause principali il caffè e il fumo. Infine in gravidanza e in allattamento è bene limitare il consumo del caffè ad una tazzina al giorno, poiché può interferire con la crescita del feto e creare stati di agitazione e di irrequietezza materna e del neonato con il passaggio della caffeina nel latte. L’abuso di caffè, che si ha già al superamento di una dose di quattro tazzine al giorno, può portare all’instaurarsi di una dipendenza e al manifestarsi di una vera e propria sindrome da astinenza quando non lo si assume, con un declino della capacità di attenzione e di concentrazione, con astenia e intorpidimento che può sfociare anche in uno stato depressivo.

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Nella soc i e t à attuale con i suoi ritmi frenetici e stressanti sembra essersi instaurato un circolo vizioso tra consumo di caffè per aumentare concentrazione e prestazioni intellettive e nervosismo dovuto alle stesse; l’abitudine del caffè è spesso peggiorata dal fumo di sigaretta: entrambi potenziandosi a vicenda danneggiano l’apparato cardiovascolare aumentando il rischio d’infarto e di scompenso cardiaco. La tazzina del caffè per molti è un rito, per tanti un abitudine, per quasi tutti è sopratutto un piacere! Ma come sempre la virtù è nella moderazione: il caffè in piccole dosi ha effetti benefici, ma se si esagera con il consumo le conseguenze sulla salute possono essere severe. www.baggianinutrizione.it info@ baggianinutrizione.it


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simbolo

cravatta

che passione Ditemi che ho sbagliato

Margherita Casazza

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a cravatta rappresenta molto per l’uomo: è un biglietto da visita, il “suo“ biglietto da visita. La cravatta giusta, indossata nel modo e nel momento opportuno può davvero cambiare l’esito di un incontro di lavoro o il primo approccio con una donna. La cravatta ha subito negli anni diversi tentativi di boicottaggio; stilisti e grandi “esperti” l’hanno affossata come inutile e poco moderna, ma la cravatta ha resistito a tutto questo senza grandi tremori ed è ancora oggi un accessorio indispensabile per un vero gentleman. Un po’ di storia... Molte pubblicazioni raccontano l’origine della cravatta sostenendo che discenda direttamente da un pezzo

Francesco Nesi

una battuta, ma non che ho sbagliato cravatta

David Nieven

di stoffa che i legionari romani utilizzavano nel II secolo d. C. Una raffigurazione si trova sulla Colonna di Traiano del 113 d.C., eretta per celebrare le vittorie di Traiano sui Daci fra il 101 ed il 106 d.C. Mentre i veri precursori della cravatta sono i fazzoletti da collo che apparvero intorno al 1650. In quel periodo la cravatta a punta costituiva simbolo di immensa ricchezza, basti pensare che il re d’Inghilterra Carlo II indossava una cravatta costata oltre 20 sterline già nel 1660. Per avere un’idea del valore della sterlina a quell’epoca, si consideri che una persona che possedeva una rendita “annua” di 2 sterline beneficiava di un introito di buon livello. Il prototipo della cravatta attuale è di origine americana e risale al 1700. Inizialmente era sostanzialmente una bandana annodata a fiocco e, strano ma vero, fu un pugile a renderla popolare: James Belcher.

Lord George Bryan Brummel

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dal fregio della Colonna Traiana

Claudio

Cargiolli

In seguito, all’inizio del 1800, L o r d George B r y a n Brummel i n t ro dusse una m o d a innovativa. Personaggio particolare, dandy leggendario oltre che grande stilista, aborriva qualsiasi esagerazione, sostenendo che l’eleganza non va a braccetto con ridicolaggini ed esagerazioni. Il Lord aveva un look molto personale con frac blu, panciotto, pantaloni beige, stivali neri e fazzoletto da collo bianco. Pensate che era tanto attento al proprio look da cambiare fazzoletto nel caso in cui il primo tentativo di nodo risultasse di brutto effetto: una volta stropicciato non era più utilizzabile. Inutile specificare che possedeva una quantità impressionante di fazzoletti da collo candidi ed inamidati. Facendo ancora un balzo nel tempo


ci troviamo nel 1880, epoca in cui i membri dell’Exeter College di Oxford tolsero i nastri dai propri cappelli per annodarseli al collo creando, di fatto, la prima vera cravatta da club. Il 25 giugno 1880 ordinarono a un sarto di produrre dei nastri appositi con i colori del club. Diedero così il via a una moda che contagiò presto club e college inglesi. Dal 1924 la cravatta divenne quella che conosciamo oggi. Fu Jesse Langsdorf (New York) a trovare la soluzione giusta per la produzione: tagliò il tessuto con un angolo di 45° rispetto al drittofilo e impiegò tre strisce di seta da cucire successivamente. L’idea venne brevettata ed esportata in tutto il mondo. Ancora oggi le cravatte di qualità sono create con il medesimo procedimento. Esistono 85 modi per annodare una cravatta, sembra incredibile! Fino al 1900 esisteva un unico modo per fare il nodo; dagli anni Trenta, grazie ad Edoardo principe di Galles, ne nacquero altri due e nel 1989 se ne scoprì un quarto: in cinquanta anni di storia della cravatta erano universalmente conosciuti solo 4 modi di annodarla. Due fisici di Cambridge, volendo slegare il mondo della moda dal tabù del nodo, sfruttarono un modello basato sul moto degli atomi analizzando tutte le possibilità fisiche di creazione del nodo. Arrivarono così alla clamorosa cifra di 85. Bisogna specificare, però, che sulla base dei criteri estetici come simmetria ed equilibrio, solo 13 di questi sono definibili eleganti. Ecco i nodi principali: semplice, doppio, mezzo inglese, inglese, piccolo, mezzo windsor, windsor, tiro a quat-

Enzo Tinarelli

tro (four in hand), papillon o farfallino, cache-col. Scoprirete nelle pagine delle prossime uscite di Reality del 2015 tante curiosità sulle cravatte. Stoffe, colori, fantasie, simbologie, modi di indossarle e personaggi del mondo che hanno fatto della cravatta un proprio segno distintivo incontrerete inoltre alcuni originali interpretazioni della cravatta dovuta ad artisti contemporanei, attinte a una cospicua collezione della quale anticipiamo qui pochi esemplari.

Gianfalco Masini Glauco Di Sacco

Gianfranco Pacini

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amici dell'uomo

Cirneco dell’Etna

misterioso sofisticato affascinante quattro zampe di antichissima classe

Federica Farini

Smigol con Nicola Micieli

è

stato Antonio Canova a trasmetterne l’animo elegante e composto, nella scultura Venere e Adone (1789-1794), commissionata dal marchese di Salsa Berio di Napoli; dietro alle due divinità in piedi, languidamente avviluppate, compare il cane fedele di Adone, curiosamente appoggiato al proprietario: un esemplare di Cirneco dell’Etna. La razza affonda le sue radici in un passato che si mischia a leggende e misteri: l’epoca egizia lo vede comparire a Menfi in un bassorilievo antico di 6000 anni e spesso viene accostato al Levriero africano o al dio dei morti Anubi. Grazie ai Fenici, commercianti del Mediterraneo, il “Levriero dalle orecchie diritte” si diffonde nelle isole, generando a Ibiza la stirpe del Podengo, abile nella caccia al coniglio,

straordinariamente prolifico e dannoso per le coltivazioni. Le origini del Cirneco, tuttavia, sembrano staccarsi da quelle dei Levrieri e avvicinarsi al Lupo abissino: rispetto ai primi, infatti, il Cirneco appare più rustico – adatto a quella roccia vulcanica sulla quale si deve muovere – capace di usare in caccia molto più l’olfatto che la vista (mentre i Levrieri cacciano quasi esclusivamente a vista), tratti che hanno portato la classificazione della Federazione Cinologica Internazionale (F.C.I.) a inserire il Cirneco nel 5º Gruppo, quello delle razze primitive (non “costruite” dall’uomo, con evoluzione naturale), piuttosto che nel 10º gruppo dei Levrieri. Su varie monete battute, didramme di Segesta del V secolo a.C., si ritrovano le prime effigi del Cirneco, così come

statue e incisioni su pietra che sanciscono la distinzione del cane sull’isola. Ai tempi dell’antica Roma è Aristotele nel De natura animalium a spiegare che ad Adrano, in Sicilia, alcuni Cirnechi, la “razza di Cirene” – “cane dalle orecchie aguzze” definito “antico cane mediterraneo” – sorvegliano un tempio dedicato a una divinità locale: grazie a soprannaturale capacità essi sono in grado di distinguere i devoti dai ladri sacrileghi, facendo feste ai primi e attaccando i secondi, prodighi nell’aiutare i visitatori con problemi di deambulazione e nel sorreggere gli ubriachi. Nel Medio Evo l’impiego del Cirneco per la caccia di conigli trova il suo apice, portandolo dritto al 1940, anno in cui la razza viene riconosciuta dall’ENCI, fino al 1972 con la pubblicazione dell’accurata monografia di Giovanni Bonatti Nizzoli di Carentino. Longevo (può raggiungere anche i 20 anni), non più alto di 50 cm al garrese, agile, velocissimo nella corsa (può raggiungere i 40/45 chilometri orari), scattante nel cambiare direzione di inseguimento della preda. La lunghezza del tronco corrisponde in media all’altezza al garrese: la costruzione del Cirneco è pertanto quadrata e strutturalmente è dotato di una massa muscolare pari all’80% del corpo. I colori del mantello sono fulvo uniforme, isabella, fulvo e bianco, è tollerato il colore bianco uniforme con macchie arancio. Il suo carattere è noto per essere particolare, di norma diffidente con gli estranei, legato al padrone, intelligente, indipendente e solitario. Quando socializza lo fa in maniera naturale e si mostra molto fedele: se accolto fin da cucciolo in famiglia diventa con facilità estroverso e giocherellone, contro le leggende che lo vedono


un cane “isolato”, proprio come la terra che vede nascere e proteggere la razza per mano dei gelosi cacciatori locali: la Sicilia. È importante stabilire con il Cirneco un rapporto di fiducia basato sul rispetto, fattori che risulteranno fondamentali nel tempo per gestirlo in libertà e in spazi aperti, luoghi che risvegliano in lui l’atavico e irresistibile richiamo selvatico: è pur sempre un cane primitivo. L’educazione del Cirneco risulta impegnativa perché necessita della giusta dose di polso e di perseveranza anche quando il soggetto sembra aver dimenticato i precedenti insegnamenti: quando smette di rispondere al richiamo, è opportuno continuare l’addestramento senza farsi scoraggiare o spaventare dal rancore che potrebbe esplodere se rimproverato o trattato con durezza. La dedizione

premierà dopo la giovinezza più ribelle, mutando in un rapporto unico: con la maturità la razza mostra un carattere più affettuoso, disponibile e flessibile verso le esigenze dei membri della famiglia. È fondamentale lasciargli spazi aperti dove correre e sfogarsi: in assenza di conigli, la sua attenzione non mancherà di concentrarsi nella ricerca di talpe, topi, ricci e lucertole. Qualche curiosità? Cirneco è anche il nome di un vino prodotto dal 2008 nel comune di Randazzo: sapore maturo, tinta rubino a note legnose di fiori densi, lampone ed erbe aromatiche, un gusto intenso come la razza del cane che lo ispira. Nel 2003 il Cirneco viene inserito – dalla Carta del rischio del Patrimonio culturale ed ambientale della Sicilia – tra i beni immateriali da tutelare. Nel 2011 al Cirneco viene dedicata una suggestiva manifestazione organizzata dall’Enci (Ente Nazionale Cinofilia Italiana) e dalla Società amatori Cirneco, in collaborazione con il Comune di Catania, presso il Palazzo della Cultura di Catania: Il cirneco dell’Etna: millenni di storia, cinquant’anni di selezione. La mostra iconografica e il convegno, alla presenza del Sindaco e del Presidente della Regione, hanno raccontato la storia della razza attraverso l’impegno della nobildonna catanese Agata Paternò Castello di Carcaci, la quale nel 1939 riesce nell’impresa di coinvolgere il professor Solaro, più importante cinologo italiano, per la stesura dello standard del Cirneco come cane più antico del Mediterraneo. La mostra ha raccolto i ritratti di tutti i capostipite della selezione avviata negli anni Trenta, provenienti proprio da Adrano, oltre ad accogliere il raduno ufficiale in onore della razza. Il Cirneco non manca

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nemmeno di regalare la sua grazia attraverso il film Agorà (2009), per la regia di Alejandro Amenábar, dove, tra le strade di una violenta Alessandria d’Egitto del 4° secolo d.C. in lotta religiosa, l’astronoma e filosofa Ipazia (Rachel Weisz), cerca, insieme ai suoi discepoli, di salvaguardare cultura e libertà di pensiero. «Non ho mai avuto un vero amico, a parte te», esclama Ipazia, rivolgendosi al suo cane dallo sguardo profondo e penetrante. Poteva non essere un Cirneco dell’Etna?


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tradizione

la tradizione del presepe Angelo Errera

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urante il periodo natalizio, i cristiani festeggiano l'incarnazione di Dio, e in molte case e chiese, per tradizione si allestisce il presepe, una rappresentazioni artistico-figurativa della nascita di Gesù in una stalla a Betlemme, adagiato nella mangiatoia. Nella capanna vengono collocati la Sacra Famiglia, l'asinello e il bue; nel paesaggio d'intorno stanno i pastori con i loro animali e altri personaggi. I tre Re Magi vengono invece inclusi il 6 gennaio, giorno dell'Epifania. Gli evangelisti Luca e Matteo furono i primi a descrivere la storia dell'incarnazione di Cristo. È famoso il Vangelo

di Natale di Luca, apparso nel secondo secolo dopo Cristo e poi divulgato nelle prime comunità cristiane. Nel IV secolo d.C. troviamo a Roma (nelle catacombe) immagini della natività. L'origine esatta del presepe è difficile da definire, in quanto è il prodotto di un lungo processo, storicamente documentato già in tempo paleocristiano, quando il giorno di Natale nelle chiese venivano esposte immagini religiose, che dal decimo secolo assunsero un carattere sempre più popolare, estendendosi poi in tutta l'Europa. Comunemente il "padre del presepe" viene considerato San Francesco d'Assisi, poiché a Natale del 1223 fece

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il primo presepe in un bosco. Allora, Papa Onorio III gli permise di uscire dal convento di Greggio, così egli eresse una mangiatoia all'interno di una caverna in un bosco, vi portò un asino ed un bue viventi, ma senza la Sacra Famiglia. Poi tenne la sua famosa predica di Natale davanti a una grande folla di persone, rendendo così accessibile e comprensibile la storia di Natale a tutti coloro che non sapevano leggere. Nella Cappella Sistina della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma, si può ammirare uno dei più antichi presepi natalizi. Fu realizzato in alabastro nel 1289 da Arnolfo di Cambio e donato


a questa chiesa. Il presepe ha la forma di una casetta, in cui è rappresentata l'adorazione dei Re Magi. Si considerano precursori del presepe anche gli altari gotici intagliati con immagini della natività, che non fu possibile rimuovere. Uno di questi altari con il gruppo dei tre Re Magi si trova in Austria nella chiesa di S. Wolfgang nella regione di Salzkammergut. Questo altare venne realizzato dall'artista brunicense Michael Pacher. L'arte dei Presepi visse un periodo aureo nel XVIIIo secolo, quando si cominciò ad ampliare e completare la storia di Natale con stazioni ed episodi, sia nei presepi delle chiese e dei castelli, sia nelle case della gente comune. Nel museo di Bressanone è possibile ammirare il più famoso di questi "presepi annuali" composto da più di 4000 figure, realizzato da Augustin Propst e dal suo fratellastro Josef, di Vipiteno. Fra il 1800 e il 1900 diminuì sensibilmente l'interesse per i presepi, ma ci furono dei collezionisti che impedirono che molte rappresentazioni andassero irrimediabilmente perdute. Ne fu un esempio Max Schmederer, consigliere di commercio di Monaco, che raccolse presepi di tutti i paesi e lasciò in eredità ai suoi posteri una delle più grandi collezioni di presepi del mondo, che oggi è possibile am-

mirare al Museo Nazionale di Monaco di Baviera. Il presepe è una rappresentazione ricca di simboli. Alcuni di questi provengono direttamente dal racconto evangelico. Sono riconducibili al racconto di Luca la mangiatoia, l’adorazione dei pastori e la presenza degli angeli nel cielo. Altri elementi appartengono ad una iconografia propria dell’arte sacra: Maria ha un manto azzurro che simboleggia il cielo, San Giuseppe ha in genere un manto dai toni dimessi a rappresentare l’umiltà. Molti particolari scenografici nei per-

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sonaggi e nelle ambientazioni del presepe traggono inoltre ispirazione dai Vangeli apocrifi e da altre tradizioni. Per citarne alcuni, il bue e l’asinello, simboli immancabili di ogni presepe, derivano dal cosiddetto protovangelo di Giacomo oppure da un’antica profezia di Isaia. Sebbene non si riferisse alla nascita del Cristo, l’immagine dei due animali venne utilizzata comunque come simbolo degli ebrei (rappresentati dal bue) e dei pagani (rappresentati dall’asino). Anche la stalla o la grotta in cui vide la luce il Messia non compare nei Vangeli canonici: sebbene Luca citi i pastori e la mangiatoia, nessuno dei quattro evangelisti parla esplicitamente di una grotta o di una stalla. A Betlemme la Basilica della Natività sorge intorno a quella che è indicata dalla tradizione come la grotta ove nacque Cristo e anche quest’informazione si trova nei Vangeli apocrifi. Tuttavia, l’immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli soprattutto del settore mediorientale. I Magi invece derivano dal Vangelo di Matteo, fornendo informazioni sul numero e il nome di questi sapienti orientali: il vangelo in questione fa i nomi di tre sacerdoti persiani: Melkom, Gaspar e Balthasar, rispettivamente un persiano (recante in dono oro), un arabo meridionale (recante l’incenso) e un etiope (recante la mirra). Così i re Magi entrarono nel presepe, sia incarnando le ambientazioni esotiche sia come simbolo delle tre popolazioni del mondo allora conosciuto, ovvero Europa, Asia e Africa. Anche il loro numero fu piuttosto controverso oscillando fra due e dodici, finché per decreto furono tre, come i lori doni.



OROSCOPO 2015

Un anno 2015 all’insegna del Trigono di Fuoco: con il lungo passaggio di Giove nell’ottimista segno del Leone, sostenuto non solo dagli antichi (Urano in Ariete e Saturno in Sagittario), ma anche dalla lunga sosta di Venere in Leone da giugno ad ottobre, la prima parte dell’anno zodiacale si presenta all’insegna dell’entusiasmo, di slanci (a volte eccessivi e rischiosi) e desiderio di rivalsa per uno zodiaco che metterà l’anima per la riuscita, per la felicità e anche, estremamente necessaria e benvoluta, un po’ di sana leggerezza. Di contro tuttavia, il severo Saturno penserà bene di ritornare sui suoi passi in Scorpione, da metà giugno a metà settembre - sempre affiancato dalla baruffa stellare di Plutone in lotta con Urano – scontrandosi nuovamente con il “piacere” inseguito dal focoso Leone, ricordando a noi fallaci esseri umani quanto sia importante anche il sacrificio e mantenere un low-profile rigoroso e parsimonioso, insegnamento che porrà equilibrio e ragionevolezza anche grazie all’ingresso di Giove in Vergine, da agosto in poi, inseguito da Marte e Mercurio in Bilancia: pace, calma e misura come miglior antidoto per l’armonia e la saggezza delle scelte che verranno. Federica Farini

GEMELLI Parola d’ordine del 2015: costanza Se il 2014 ha portato un mare di leggerezza, affetto e incontenibilità, il 2015 esige maturità. Nei primi otto mesi dell’anno forte è la presenza del positivo Giove in Leone, che seguita a sostenere la vostra incontenibile velocità, desiderio di conoscere, di fare amicizia e scoprire ogni ambiente sociale, dal circolo culturale al locale alla moda. Leggeri come siete nell’animo, Venere e Urano vi faranno compagnia dal Leone e dall’Ariete non facendo mai mancare il buonumore. È il mese di settembre – con Giove in ingresso in Vergine a fare compagnia a Saturno nell’opposto Sagittario – che sancisce l’inizio dell’impegno: fine del Paese dei Balocchi? Sarà necessario mettervi un po’ in riga: per diventare più responsabili, magari decidendo di frequentare un corso impegnativo ma premiante per la vostra carriera. Non ne avete voglia? Le stelle potrebbero “punirvi” come Pinocchio, in autunno con Marte nella rigida Vergine: per crescere bisogna talvolta faticare. Ma la libertà vi attende alla fine del sacrificio, che mai come quest’anno vi potrà rendere felici. BILANCIA Parola d’ordine del 2015: novità Attraversate le baruffe del 2014, il 2015 si presenta al sapore di cioccolato. La ritrovata energia che accompagnerà tutto l’anno vi riporterà finalmente l’armonia che per indole tanto amate. Anche se Urano in Ariete e Plutone Capricorno restano ostili – ricordandovi che dovete mantenere la pazienza – il vostro cielo si rasserena deciso: la felicità si può ottenere anche a piccoli passi. L’acciaccata forma fisica rinasce come l’Araba Fenice durante quasi tutto il 2015: belli come mai, energici e leggeri (nel corpo e nell’anima). In particolare con Venere dall’amico Leone, i mesi di agosto e settembre, fino ai primi ottobre, vi regaleranno il pieno di affetto e amore. Giove, anch’esso nell’amico Leone, risveglia fino ad agosto l’undicesima casa, quella delle amicizie: gruppi e allegre brigate, ma anche viaggi e divertimento. Saturno dalla vostra parte dal Sagittario regalerà progetti in amore, stabilità e anche ottime capacità comunicative, stimolando la terza casa solare, fondamentale per la professione. L’emozione della competizione vi donerà coraggio senza eguali e desiderio di esplorare campi e ambienti nuovi. Nemmeno in autunno i faticosi passaggi di Marte e Mercurio smorzeranno la vostra voglia di curiosità. Avventura è bello. ACQUARIO Parola d’ordine: gruppo Se il 2014 è stato faticoso e insieme adrenalinico, il 2015 vedrà produttive raccolte di risultati delle semine effettuate. Nei primi otto mesi dell’anno sarà ancora fondamentale l’impegno nella professione. Con Saturno in sosta nel Sagittario il morale si solleva e la salute migliora, ormai libera dalla pesantezza di Saturno nell’ostico Scorpione; mai come ora il fisico ritrova la forma (anche se Giove in Leone rammenta di non esagerare con gli sgarri a tavola, pena malanni). Impegni e responsabilità si tradurranno in incredibile capacità di adattamento e lavoro in team, con la vostra casa undici a sorreggervi non sarà escluso che possiate fare nuove amicizie e trovare l’amore, per chi tra voi è ancora single. Pazienza in estate con Saturno in passaggio difficile, a generare nervosismo e inquietudine insieme a Giove e Venere in Leone: il rischio? Ancora una volta la fuga dal nido e desiderio di cambiare vita. La calma arriva da settembre in poi, con lo spostamento di Giove dal Leone e il suo ingresso in Vergine: chi tra voi ha cambiato casa, lavoro o si è trovato più volte in scontro con l’autorità, capirà dall’autunno quanto a volte sia bello… non fare nulla e attendere. Fine anno premiante con Marte e Mercurio in Bilancia: perdete il pelo, ma mai il vizio!

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TORO Parola d’ordine del 2015: ordine Se il 2014 ha messo alla prova la vostra proverbiale pazienza e affabilità, impennando l’umore in qualche dissapore, il 2015 porterà certamente più forza, stabilità ed equilibrio ai quali approderete dopo aver faticato ancora un po’. Gli attacchi planetari di Giove – ancora in Leone fino ad agosto, in quarta casa – si divertiranno a destabilizzare il vostro quotidiano, che potrebbe tramutarsi in caotica confusione anche per colpa della vostra famiglia, desiderosa di ricevere da voi sempre più attenzioni o appoggio per cambiamenti importanti (anche di casa). Qualche episodio di stanchezza e irritabilità potrebbe fiaccarvi più del previsto e, per i primi sei mesi dell’anno, non siete nemmeno disposti a tollerare troppe richieste esterne al vostro provato ego. Per fortuna Saturno si è spostato dall’opposizione in Scorpione, suggerendovi dal Sagittario ordine e cambiamenti e, soprattutto, nuovi progetti. Quando? Certamente da settembre in poi, con Giove nell’amica Vergine, che riporterà pace, allegria e disponibilità, nella quinta casa solare… qualche avventura del cuore, di certo una novella compagnia che premierà e rigenererà le stanche membra. Ora è il momento: con Marte in Cancro e poi in Vergine da fine settembre a novembre, la vostra energia sarà alle stelle, perfetta per guardare al vostro (finalmente) ordinato futuro. VERGINE Parola d’ordine del 2015: organizzare Ottimo trampolino di lancio per le attività che vedranno il loro sviluppo e successo nel 2016. Importantissimo pianificare e organizzare, come non vi dispiace affatto, mentre sostate intenti a osservare con aria intelligente e attenta il prender forma attorno a voi. Quest’anno come mai vi dimostrerete maturi, misurati e soprattutto attenti. L’armonia è di casa e le relazioni non sembrano risentire di nervosismi e scossoni, che non amate per nulla, se non fosse per quel Saturno quadrato dal Sagittario che appesantisce la suscettibilità nei cambiamenti domestici. Non siete nel mood di trasferimenti, viaggi e riassetti che a voi precisi sconvolgono l’ordine amato e lo farete capire se necessario con qualche sonoro commento. Se la dolce metà vi vuole più spericolati e a voi non interessa affatto, da metà agosto Giove nel vostro segno porterà invece una ventata di verve: sbaragliata la paura e vinti i tentennamenti, sarete più carichi e pronti al nuovo. In estate con gli aiuti svolazzanti di Marte in Cancro e poi nel vostro segno tutto sarà possibile: riportare la pace in famiglia e incontrare persone interessanti e di grande aiuto per programmare future avventure. Il sogno è adesso. CAPRICORNO Parola d’ordine: leggerezza Alleviati dai bombardamenti celesti che il 2014 vi ha poco gentilmente riservato, entrate nell’anno 2015 più forti, temprati ed esercitati per qualsiasi altro numero difficoltoso si presenti. Nessuna scalata o cerchio di fuoco potrebbe spaventarvi, stoici e tranquilli nei primi mesi dell’anno, quelli freddi, che riflettono la vostra tempra dura, ma solo in apparenza: riposo per riappropriarsi della gioia di vita insieme alla famiglia. La ritrovata tranquillità viene coronata dall’estate in poi con l’ingresso di Giove nella cugina Vergine, da metà agosto, che sancisce nella nona casa solare anche la voglia di scoprire ambienti nuovi nei quali vi sentirete a vostro agio come pesci d’acquario. La vostra energia si sposerà con l’incredibile resistenza che vi porta sempre Plutone nel segno. E se avete cambiato casa o se la vita è stata un po’ ruvida con voi, questo sarà l’anno del sì: senza particolari azioni eroiche, potrete viaggiare, fare, cambiare: tutto avrà un retrogusto speciale. Marte e Mercurio a tratti un po’ nervosi in autunno non vi rattristeranno: non siete mai stati così a vostro agio come ora.


ARIETE Parola d’ordine del 2015: ricompensa 2015 gioia per i nativi Ariete: l’escalation vi vede al centro dell’affetto della famiglia. Aprile sancisce l’inizio della stagione dell’amore, con Venere nel segno, così fino all’estate: troverete la compagna o il compagno ideale, circondandovi (anche) di figli o bambini. Con Giove in Leone che sorregge la vostra allegria e il buonumore, per tutto l’anno l’amore sarà il protagonista. Il benessere si rifletterà anche nella linea: aumento di peso e golosità alle stelle, segno della vostra ritrovata armonia. Sicuri e determinati, anche la sfera “lavorativa” vi vedrà sulla cresta dell’onda per il cambiamento: se nel 2014 avete faticato, il 2015 vi sostiene con Saturno nell’amico Sagittario. La casa nove sprona a scoprire terre straniere, ricche di nuove culture e ambienti sconosciuti: qualche trasferimento potrebbe anche avvenire – magari non definitivo – giusto il tempo per spargere buonumore o la vostra calda presenza. Urano sostiene durante l’anno ogni genere di cambiamento: la raccomandazione delle stelle è solo quella di non eccedere in impeto e passione, pena qualche caduta in autunno, colpevoli Marte e Mercurio nell’opposta Bilancia. Equilibrio contro ogni fastidio. LEONE Parola d’ordine del 2015: piacere Se il 2014 è stato l’anno dell’impegno e della fatica, il 2015 regala ai nativi Leone (finalmente) una ventata di gioia, freschezza e raccolta dei frutti seminati con impegno. Dopo i primi mesi invernali in sordina, prenderete coscienza di quanto Giove vi sorregga: più di un amore e più di un’offerta lavorativa. Sarete voi a decidere e condurre il gioco, in primavera con Venere in Ariete e poi nel vostro segno in estate, a rendervi piacevoli, amichevoli, giocherelloni, divertenti: ricchi di amore da dare e ricevere. Più buoni e meno altezzosi, con Saturno in Sagittario nella casa quinta il piacere la farà da padrona in ogni settore della vostra vita, che potrebbe cambiare improvvisamente, con Urano a surriscaldarvi: avventuratevi e scoprite. Tra l’estate e settembre, il ritorno di Saturno in Scorpione richiederà a tratti ancora qualche sacrificio, misura, ragionevolezza e chiusura di quei comparti stagni della vostra (ormai nuova) esistenza che ancora sono rimasti aperti senza utilità. Pronti per spiccare il volo, più liberi, capaci e leggeri che mai. SAGITTARIO Parola d’ordine: scoprire 2015 all’insegna della libertà, parola magica per il vostro vocabolario: l’anno riserva un buon compromesso tra occasioni di incontri-viaggi-fortuna in abbinamento a un costante impegno nella carriera, che vi vedrà salire sulle vette più alte del podio quasi senza accorgervene. Saturno sosta infatti quasi sempre nel vostro segno, affinando i cinque sensi, l’intuito, carpendo con l’aiuto di Giove-amico il successo di quei (nuovi) progetti che da tempo avevate nell’anima e nella mente. E poi ancora calda l’estate, con il lungo transito di Venere, maliarda, nella vostra casa solare (la nona) a regalarvi più di un amore, proveniente da lontano, da terre e braccia straniere (come piace a voi). Saturno richiederà maturità da settembre in poi, quando Giove farà il suo ingresso nel segno della Vergine: sarà l’ora di avventurarsi ma solo con il permesso di chi vi sta accanto e con progetti pianificati, dosando il vostro spirito avventuroso all’interno di progetti definitivi. Non si può sempre cambiare, ma si può migliorare e, ancora, sognare: la fine del 2015 vede un super Marte che dalla Bilancia vi sostiene insieme a Mercurio: lavorare, imparare e aiutare. Dosando impegno e fantasia la pozione risulterà perfetta per ottenere il massimo, compreso un viaggio senza fiato né confini.

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CANCRO Parola d’ordine del 2015: armonia Il 2015 vi attende a braccia aperte, ché a vostro agio vi muoverete come nel vostro ambiente preferito: quello di casa, per eccellenza “guscio” di sicurezza, intimità e stabilità. Nella prima parte dell’anno Saturno nel segno del Sagittario, per voi nella sesta casa, suggerisce capacità nell’apprendimento, premiando i progetti professionali intrapresi nel 2014, quando Saturno e Giove vi strizzavano l’occhio per un impeccabile intuito. Il fiuto da Signora in Giallo non vi è mancato né vi mancherà nel corso del 2015: i compiti e i successi quotidiani saranno stimolanti, ma senza eccedere nei cambiamenti. Urano in Ariete e Plutone in Capricorno consigliano infatti di evitare rivoluzioni e avventure fuori programma, anche relativamente a trasferimenti di casa, e voi li ascoltate con piacere perché i cambiamenti non vi sono mai piaciuti eccessivamente. Da settembre un leggero Giove in Vergine, nella terza casa solare, vi invita a uscire fuori dalle solite mura: vita di società e impegni, dall’happy-hour alle gite campagnole e cittadine, il che potrebbe a tratti stancarvi in autunno, con Marte e Mercurio dissonanti, ma senza gravi conseguenze per la salute. Da pantofolai muterete con nonchalance a mondani, senza esagerare: per voi la tranquillità è una merce inestimabile. SCORPIONE Parola d’ordine del 2015: forza Dopo un 2014 ricco di novità ma anche di responsabilità, per i nativi Scorpione il 2015 rappresenterà il banco di prova per mantenere ciò che avete scelto di intraprendere, oppure per decidere di cambiare completamente. Con Giove nel duro Leone, fino a metà agosto, non vivrete giornate particolarmente eccitanti o leggere, l’umore prevalente sarà quasi sempre serio e molto impegnato, con Plutone che sorregge la vostra forza, intelligenza e resistenza fisica. Certo è che la gioia sopperirà a scapito di saggezza e maturità, motivo per cui la dolce metà e gli amici potrebbero allontanarsi da voi, o di contro riempirvi di tenerezze e coccole (anche i duri si sciolgono). L’allegria tornerà da metà agosto in poi, con l’ingresso di Giove in Vergine, perfetto per tirare il fiato, concedendosi pause in compagnia e in una salutare e festosa confusione (senza esagerare, gli accampamenti non fanno per voi). Marte in Cancro e poi in Vergine, dall’estate all’autunno e in danza con il bel Mercurio, risveglieranno il vostro atavico istinto (e anche la testardaggine, con Saturno in ritorno di passaggio nel vostro segno): come per magia vi sentirete più propensi a incontri, che da timidi e schivi muteranno in passione, risvegliando il vostro cuor di leone e inaspettati regali. Fiocco rosa o azzurro? PESCI Parola d’ordine: quotidianità Se l’anno 2014 è stato gustoso per molti nati sotto il segno dei Pesci, il 2015 vi metterà alla prova per maturare e non essere sempre e solo gli artisti di casa. Plutone e Nettuno restano dalla vostra parte, a sostenere cambiamenti e romanticherie, anche con amori girovaghi e sconosciuti: per chi è alla ricerca di un legame stabile, l’anno 2015 potrebbe essere quello giusto. Giove dal Leone nella sesta casa sorregge ogni attività quotidiana: mai prima d’ora vi siete dimostrati tanto efficienti in amore come nella professione. È tuttavia Saturno dal faticoso Sagittario che vi propone stimoli costanti, anche quando preferireste riposarvi. Coraggio, regole e costanza dovranno essere le vostre parole d’ordine: se lavorerete con impegno la vostra immagine sociale e la carriera ne trarranno grande beneficio. L’estate vi vede vincenti, con il passaggio di Saturno nell’amico Scorpione, insieme a Marte in Cancro, che vi daranno l’opportunità di salire su più di un podio: cogliete al volo l’attimo come solo il vostro intuito sa fare. Da agosto in poi, con l’ingresso di Giove in Vergine, sarà importante seguire disciplina anche nell’alimentazione e smettere i panni dei capricci infantili, pena qualche disturbo e litigio. Ricordate che tenacia fa sempre rima con successo, anche per voi fantasisti.

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Anno XVI n. 4/2014 Trimestrale â‚Ź 10,00


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