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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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20153

Anno XVII n. 3/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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EDITORIALE

La grande bellezza T

utto è cominciato con un film. Perlomeno, a me piace pensare così! L’Oscar a La grande bellezza di Sorrentino ha innescato una svolta. Quel premio – primo di altri imprevedibili riconoscimenti, come l’“oscar” del tennis mondiale all’US Open di New York, con la finale tutta italiana tra la vincitrice Sara Pennetta e Roberta Vinci – ha fatto inorgoglire e “risorgere” gli italiani. A prima vista non sembrava un granché, quel film ci rappresentava in modo un po’ particolare, si stentava a entrarci dentro. Poi, nel vivo del racconto, ecco la chiave di lettura che te lo faceva capire e amare. È stato questo il primo seme d’orgoglio nazionale che gli italiani hanno messo a frutto. Restando sull’argomento “orgoglio”, non si può non parlare dell’Expo. Siamo convinti che nella ciclopica kermesse Sorrentino troverebbe materia per cavarne un film, magari richiamando l’istrionico Servillo a interpretare il ruolo dell’organizzatore che si destreggia tra trame ingarbugliate. Ma a noi momentaneamente non interessa questo aspetto. Vogliamo invece focalizzarci su ciò che l’Expo è: un evento mondiale che sta riscuotendo un grandissimo successo di pubblico. Io lo paragono a una città di circa 200.000 abitanti, poiché questi sono i visitatori medi di un giorno; basti pensare che all’inizio di settembre erano stati accreditati più di 250.000 giornalisti provenienti da tutto il mondo. Reality era presente a Milano, fra gli stand di Lineapelle, fiera importante per il nostro comprensorio. Ho approfittato dell’occasione per visitare anche EXPO. Ci sono andata per tre giorni in vari momenti, ciò nonostante non sono riuscita a vedere tutti i padiglioni, tanta era l’affluenza dei visitatori. Devo dire che già trovarsi là, con migliaia di persone di tutti i tipi e di tutto il mondo e vedere le scenografie esterne dei padiglioni di quella mirabilandia, è stato molto suggestivo. Molte erano e sono le ore di attesa per visitare alcuni padiglioni come quelli del Giappone, degli Emirati Arabi e in particolare dell’Italia. Altri, come quelli degli Stati Uniti, della Germania, dell’Inghilterra e della Svizzera si visitano bene. Nel padiglione Italia mi hanno molto colpito, a inizio visita, alcune sale con il pavimento a specchio, sulle cui pareti potevi ammirare i nostri paesaggi costieri e montani, le nostre città, le opere d’arte che ti avvolgono e si alternano facendoti sentire parte integrante di quelle visioni. Mi sono sentita orgogliosa di essere italiana, considerando che nel nostro paese ci sono state, e ci sono, persone di grandissime qualità, capaci di creare in molti campi “il bello assoluto”. In un’altra zona del padiglione che mi ha fatto riflettere, poiché noi molto spesso diamo per scontato tutto ciò che ci circonda, è stata collocata una mappa grandissima del pianeta nella quale manca la nostra penisola. Nella parete di fronte, su grandi schermi, volti di personaggi famosi in vari campi – architettura, ingegneria, critica d’arte – raccontano come sarebbe il mondo senza l’Italia: loro non avrebbero potuto studiare e conoscere tante cose e forse non avrebbero intrapreso quelle carriere. Grande è anche lo spettacolo dell’Albero della Vita, che intorno alle 21 si illumina e a tempo di musica, partono fontane bellissime creando uno scenario suggestivo. Devo dire di aver trovato un’organizzazione eccellente perché, oltre ai molti dipendenti, ci sono tantissimi volontari che aiutano dando qualsiasi tipo di informazione; all’esterno del circuito vi è anche un servizio di navette che girano ininterrottamente intorno a tutta l’area agevolandone la visita. Ci sarebbe tanto altro da raccontare su questo evento. Quel che deve essere evidenziato, a mio avviso, è il fatto che in un “fazzoletto” di terreno di qualche ettaro, è stato rappresentato e messo a confronto il mondo. È davvero istruttivo cogliere la dinamica delle diversità, rendersi conto che i nostri sprechi sono la ricerca di altri, i nostri problemi la ricchezza di altri, ma anche considerare che possiamo trovare la via per essere uniti tutti, attraverso l’amore e il rispetto della natura, la solidarietà verso chi ha meno di noi o ha perso quel che aveva a causa di grosse sciagure. Noi italiani dobbiamo farci coraggio, prendere coscienza di essere un grande popolo, una grande nazione, un punto di riferimento e di ambizione per il mondo intero. Passatemi la poca modestia, se dico che per il mondo siamo “la grande bellezza”.

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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina: Marco Fidolini Tubazioni e tiranti, 1981, acrilici e tempera su tela, 70 x 60 cm

Reality numero 77 - settembre 2015 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2014 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

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SOMMARIO

ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 24 26 28

In viaggio con Fidolini Acquietati d’inchiostro Lungo il muro della rocca Ceramicando. Zucconi C’è copia e copia Una vacanza in Valdera

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Il Campanile The queens of records Eno-hospitality granducale La Piazza d’Europa. Telč Un viaggiatore toscano Paesaggi verdi

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Riciclare “ad arte” Ipermondo visionario L’arte in Italia Un paladino nei palazzi incantati L’antica madre di noi Trojai Un “tomista” beatificato

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SOMMARIO

spettacolo EVENTI economia società COSTUME 54 57 58 60 63 65

59 centesimi cad. Novità editoriali Venezia 72a Festival di Locarno 30 anni di teatro La Traviata

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80 82 84 86 87 88

A tutto blog Meglio prevenire a tavola La bellezza è terapeutica Poncho Style Mode di moda Benedetto Croce

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Progetto giovani La Versiliana: il nuovo CDA La pedagogia? Furio Colombo Lineapelle Milano Un menù al profumo di Toscana

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artista

in

viaggio con

Fidolini

Nicola Micieli

Fino dalla metà degli anni Sessanta, Il focus iconografico di tutta la mia produzione artistica ha seguito un tragitto costantemente imperniato su cicli pittorici di forte impatto civile-esistenziale, metropolitano-industriale nell’esaltazione feticistica – subordinata agli ossimori del fascino-repulsione e di un’algidapassione – dei manufatti e delle architetture, delle presenze-assenze dell’uomo come oggetto biologico con l’intento allarmante, a volte perfino gnomico – oggi tuttavia sempre più temerario e opinabile – di interferire sulla condizione umana e le relative inquietudini del nostro tempo. Anche gli stessi inserti autobiografici travalicano il loro vissuto privato e intimistico sottoposti allo stesso sguardo estraniante che accomuna l’inventario figurativo dei lacerti quotidiani sottratti al reale e fissati sulla tela. La mia ostinata e peraltro obsoleta contrapposizione da ogni fuga della realtà o da una miriade di sedicenti avanguardie, immolate all’effimero, al disimpegno ludico e alle stupefazioni sperimentaliste, ha evidenziato i percorsi artistici di un confronto-incontro con la tradizione pittorica più alta nel tentativo ambizioso di restituirla, per altri tragitti stilistici, alla nostra contemporaneità.

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i piace paragonare iI corpus pittorico di Marco Fidolini a un film di ampio respiro. Vorrei dirlo storico e narrativo: un’epopea per quadri e scene, luoghi e presenze, episodi e situazioni. Ogni immagine o sequenza è in sé risolta e significativa, ma la sua portata emblematica si rivela appieno nel contesto dell’opera. Che è tanto ampia e di tale durata sia temporale che espressiva, da rendere difficile, se non impossibile, una rappresentazione integrale. Molti aspetti della pittura di Fidoli-

Fidolini, 2015

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ni fanno pensare al linguaggio del cinema. Penso ai tagli dei ‘’fotogrammi’’, che evidenziano strutture per lo più oblique, prospettive urbane e ambientali, spazi underground o esterni. Quindi alle frequenti inquadrature sui parziali, alla cura dei dettagli enfatizzati dal risalto che assumono sui neutri fondali, alla riduzione delle scale cromatiche alle gamme basse e I’uso dei contrasti di luce propri del bianco e nero. Sono tutti elementi linguistici che specie nei dipinti a grande schermo, e nelle suite tematiche che li


Collettori e torre refrigerante, 1982, acrilici e tempera alla caseina su tela

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Metropolis

Metropolis, 1983-1984, acrilici e tempera alla caseina su tela, 150 x 1865 cm, insieme e parti del polittico

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includono assimilandoli ai fotogrammi d’un film, appunto, per analogia rimandano a un cinema denudante, asciutto per tecnica ed espressione e di un rigore formale che non ammette sbavature. Non mi pare improprio evocare, per una eventuale corrispondenza filmica di Fidolini, che nel caso del ciclo Metropolis (1983-1984) trova addirittura I’analogo nel celebre film di Fritz Lang (1926), lo spirito d’un Buñuel dotato di veggenza apocalittica, laddove Fidolini prefigura non situazioni in atto ma incombenze e direi sironiani, indecifrabili e tragici climi di attesa. è una vigilia i cui corruschi bagliori Fidolini osserva con sguardo mitteleuropeo, non già munito delle sofisticate e mirabolanti apparecchiature computerizzate per gli effetti speciali, in definitiva al servizio della pura spettacolarità, di cui si serve a piene mani I’attuale fiction cinematografica. Una camera da ripresa e un linguaggio parafilmici, quelli di Fidolini, capaci di sottoporre le apparenze e gli assetti esterni della realtà a una perlustrazione metodica in superficie e in profondità, insieme analitica e descrittiva del visibile e radiografica del sommerso, talché nell’immagine razionalmente indagata del reale filtrano e si fissano gli obliqui diagrammi dell’invisibile, che è parte dell’essere non riducibile all’evidenza della figura e nella quale si riversano le latenze oscure dell’anima. Le proiezioni di quel sommerso e di quelle latenze che Fidolini opera su scala ambientale e nel contesto urbano, peraltro senza ricorso a meccanismi surreali, rendono inquietanti i luoghi deputati alla quotidianità e alla vita di relazione, gli apparati produttivi e i canali della comunicazione. Nella concentrazione puramente figurale degli spazi e delle presenze che compongono iI corpo astrale dell’opera, più che abitarla come oggetti o figure, si permutano in territori di confine i luoghi e in feticci persino minacciosi le imprese e le protesi, le appropriazioni e le estensioni dell’homo già faber e sapiens sapiens oggimai bionico e ipertecnologico. In questo senso, il ciclo Homo faber, sottotitolato Manufatti e misfatti, è un vero e proprio “atlante” di situazioni emblematiche. C’è da credere che queste prefigurazioni contengano anche un’intenzione di denuncia, poniamo ecologica, sociologica, antropologica o di altro allarme relativo all’integrità psicologica, culturale e spirituale della persona. Fidolini ha somatizzato, in questi decenni, anche i sintomi della crisi della civilta, il pericolo di una tecnologia e di un sistema di elaborazione

e controllo che sempre più prescindono dalle identità delle persone e dei popoli, assimilati a una massa indistinta di fruitori “eterodiretti”, di servizi e consumatori di prodotti. Nella irriducibile autonomia dell’opera iI pedale critico contingente, pur implicito, ha tuttavia sempre ceduto alla rappresentazione di una

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realtà minacciosa perché svuotata di senso e disumanata. è questa la denuncia di un artista per iI quale la parola impegno ancora oggi non è un lemma quasi impronunciabile, una anacronistica sopravvivenza di altre stagioni, in attrito perdente con la vocazione all’effimero e alla spettacolarità in cui sembrano esprimersi


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colorati come balocchi, che nel ciclo delle Epifanie planano dallo spazio celeste e si insinuano negli spazi ciechi sotterranei, non si sa se temibili invasori sconosciuti o se segnali celesti, appunto, astrali annunci. Altrove la partitura coglie I’aspetto alienante della civiltà dei consumi, che identifica iI prodotto con la sua immagine e induce nel consumatore un analogo meccanismo di riconoscimento di sé nell’immagine del prodotto, per cui nell’appariscenza si compie la falsificazione completa dell’identità. In Homo faber. Manufatti e misfatti, il polittico che ha occupato tre anni di lavoro dal 1986 al 1988, gli aspetti evidenziati e aItri anche ispirati a una sorta di teatro della contenzione e della crudeltà, sono trattati come in una sorta di tavola compendiaria o di sinossi per quadri. Incluse le immagini nelle quali si colgono sotterranee combustioni. L’algore si stempera laddove filtra e si svela I’emozione, sia pure come sentimento e vorrei dire presagio di una combustione sommersa che turba, appunto, attraverso un timbro segnaletico, un viraggio cromatico, un alone di luce o un riverbero fumigante in lontananza. Nel quale è anche la memoria della suggestiva topografia industriale della nativa San Giovanni Valdarno, e del padre operaio, e le arti vincenti dei nostro tempo. Artista, dunque, ancor prima pittore controcorrente, anomalo, improponibile già solo per aver concepito un progetto figurale, dunque un’utopia totalizzante, come si diceva, quindi per averlo perseguito e coerentemente sviluppato nel corso di decenni e con ineccepibile coerenza interna. Del resto, a dire I’inattualità del metodo e del merito pittorico di Fidolini, che è anche provveduto scrittore d’arte e attento osservatore del costume culturale, basta por mente alla importanza sostanziale che egli attribuisce al “mestiere” di pittore. In flagrante contrasto con la prassi artistica dominante del suo tempo, lo sguardo munito di oblò, Fidolini dipinge da viaggiatore subacqueo dentro e attraverso gli spazi aperti e chiusi, gli asettici e algidi spazi attrezzati, i prospetti della landa metropolitana come in quelli schiacciati sul recinto di una parete, un fondo su cui si profila un busto, una testa, una figura o sulla quadrettatura di un foglio che fa da griglia grafica al delinearsi di analoghe evidenze disegnate. L’estrema oggettivazione della forma rende pressoché alieni, dove lo richieda lo sguardo distaccato dell’analista, questi spazi, teatri anche di silenti, misteriose apparizioni di oggetti volanti, insolitamente

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Bombardamento, 1989 acrilici e tempera alla caseina su tela pagina a fronte Nekropolis - II, 1984 acrilici e tempera alla caseina su tela

Automobile, 1989 acrilici e tempera alla caseina su tela


Trittico del delfino, 1992 acrilici e tempera alla caseina su tela e tavole intelate, 300 x 260 cm

di una mitografia del lavoro e della fatica mirata a costruire, dal poco, una speranza di vita e di futuro. Ecco, del sommerso Fidolini svela iI meccanismo, delinea il profilo composito assegnandolo alle figure spiazzanti dello svuotamento e dell’assenza, all’allucinazione visionaria, ma anche alle misteriose apparizioni astrali e alle terrene combustioni, non casuale collegamento tra I’infero e il supero, tra iI mondo ctonio e quello siderale, che credo giustifichi anche il non superficiale interesse da Fidolini coltivato per gli antenati etruschi e le loro pratiche funerarie, alle quaIi ha dedicato il ciclo scultoreo dei Canopi.

Il suo lavoro non è mai stato un normale accumulo di più o meno buona e originale pittura e grafica, da immettere nel circuito delle mostre e del mercato. è stato piuttosto un susseguirsi di ampi cicli o suite o polittici sempre incentrati su un tema, o una questione di fondo, tra esistenziale e culturale. Per non dirla ideologica, e intendo un accesso concettualmente e spiritualmente attrezzato a cogliere la complessità – sottosensi sensi infrasensi sovrasensi – del reale, non già neutro perché in prima istanza disposto alla appercezione delle sue proprietà estetiche, ma contrassegnato da un’acuta incidenza dello

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sguardo analitico e della mens critica nel “paesaggio” metropolitano e correlata antropologia, con i suoi impliciti miti e riti della funzionalità e dei consumi, i suoi feticci e le sue ossessioni. Paesaggio ovvero prospetto o fondale e luogo relazionale di una quotidianità dalla quale Fidolini assolutamente espunge ogni riduzione episodica o intenzione retorica di avvio al racconto. Si tratta piuttosto di un ambito quotidiano, di insorgenze affidate a figure emblematiche, alcune di memoria e proiezione personale, ma immuni da intimiste flessioni autobiografiche, altre apparte-


Canopo I 1994, polimaterico

nenti all’orizzonte artistico e culturale costitutivo della sua sensibilità e del suo pensiero. Fidolini le sospende come in una dimensione potenziale, in un clima metafisico, tra allarmata visionarietà e oggettiva registrazione da école du regard, se non di nuova oggettività, secondo le prescrizioni, certo autonomamente applicate, di uno dei rami della sua formazione linguistica. Che e stata composita e protratta, attraverso le sospensioni della metafisica, la purezza incantata dei realismo magico e, più lontano nel tempo, il lenticolare sguardo dei nordici e di Van Eyek e soprattutto il cristallino calibro della forma del sommo Piero della Francesca. Vero è che ogni immagine è stata da Fidolini esattamente prevista e delineata, al modo delle pietre tagliate a misura dalle maestranze e degli intarsi marmorei disposti a comporre le facciate delle cattedrali, peraltro imprese collettive ed espressione di un sentimento condiviso, davvero comunitario. Con arbitraria dislocazione temporale, penso che da artefice solitario, mente e mano al governo della propria “fabbrica” luogo anche di passione, Fidolini abbia sin qui agito come un antico costruttore di cattedrali. Come dire con I’umiltà e I’orgoglio di un artefice che pensa di costruire un’opera nella quale altri possano riconoscere almeno uno sfondo, un riferimento comune del proprio passaggio nel tempo e nel mondo. Si terrà a San Giovanni Valdarno, dal 21 novembre al 31 dicembre 2015, la mostra Dalla Collezione Comunale di Casa Masaccio: Marco Fidolini. Polittici 19832015 (Epifanie metropolitane), nell’ambito del progetto Toscana ‘900. Musei e percorsi d’arte promosso dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. L’esposizione, che è curata dallo storico dell’arte Giorgio Di Genova, presenta un numero consistente di polittici di varie dimensioni dipinti dal 1983, ed è distribuita in quattro sedi: Palazzo d’Arnolfo, Pieve di San Giovanni Battista, Casa Giovanni da San Giovanni, Museo della Basilica. Nell’occasione verrà presentato il volume di Marco Fidolini Il Novecento a zigzag. Effrazioni critiche sugli aspetti figurativi della pittura, serie di letture critiche “scorrette“ rispetto al quadro generale del panorama artistico più consolidato (Edizioni Polistampa, Firenze, 2015)

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La vera amante dell’ingegnere, 2000 acrilici e tempera alla caseina su tavola intelata Bersaglio - Tersicore, 2010 acrilici e tempera alla caseina su tela Bersaglio (Autocrate e signora), 2010 acrilici e tempera alla caseina su tela

Marco Fidolini è nato a S. Giovanni Valdarno nel 1945. Pittore ed incisore si dedica anche alla saggistica d’arte. Dal 1965 – anno di esordio ufficiale, galleria Vigna Nuova di Firenze – ha allestito numerose personali e partecipato a rassegne nazionali ed internazionali. Nel 1970 ha iniziato a realizzare le prime acqueforti; successivamente l’attività incisoria e la stampa sono divenute un altro mestiere parallelo alla pittura. Una sua selezionata raccolta di 60 acqueforti è conservata presso il Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze. Tra il 1994 e il 1997 ha realizzato una serie di oggetti-sculture mutuati dalla coroplastica etrusca. Il lavoro dell’artista si è distinto fin dal 1965 per una sua specifica connotazione esistenziale espressa in simbiosi fra linguaggio artistico e implicazioni sociali attraverso una sorta di cicli iconografici in cui le tematiche della città e dell’industria, o i loro reperti tecnologico-urbanistici, hanno assunto ruoli primari. Nella sua ricerca artistica si sono rilevati, in più occasioni, gli aspetti neo-metafisici e neo-oggettivi o le stratificazioni culturali degli esiti tedeschi degli anni Venti, del visionario Magischer Realismus o di quello, forse più calzante, della Neue Sachlichkeit. Sono altresì fortemente presenti alcuni modelli pittorici della tradizione quattrocentesca toscana e nordica per certe fissità plastiche e indagini lenticolari. è stato inserito fra i Segnalati Bolaffi della pittura per gli anni 1979 (da Giorgio Di Genova) e 1982 (da Duilio Morosini) e della grafica per il 1980 (da Duilio Morosini). è considerato inoltre in Giorgio Di Genova, Storia dell’arte italiana del ‘900: Generazione anni Quaranta, tomi I e II (pp. 228-232;

1258-1261 con 8 illustrazioni), Edizioni Bora, Bologna 2007 e 2009. Ha pubblicato, fra l’altro: I marmi dell’autunno (1965); Metropolis ed altro (1984); Lucio Venna. Dal Secondo Futurismo al manifesto pubblicitario (1987); Tecnica e mestiere (1988); Impegno e realtà. Da Masaccio alla Nuova Oggettività (1991); Lucio Venna. 10 disegni inediti, 1920 (1994); Comunardo Calussi. Geometrie e arcaismo nell’avanguardia (1997); Lucio Venna. Il siero futurista (1998); Ipogeo. Sembianze e sorrisi di pietra (1999); Canopi & affini (1999); Masaccio. L’occhio ribelle e la coscienza critica (2001); Pustole. Divagazioni sull’arte e sul costume (2003); Lucio Venna e il Carnevale di Viareggio (2004); Arte e artificio. Disvalori, mistificazioni e deliri (2008); Un grande mestiere amaro. Memorie, riflessioni e testimonianze di un pittore (2009); Fuori registro. Gli artisti e la scrittura (2012); Il Novecento a zigzag. Effrazioni critiche sugli aspetti figurativi della pittura (2015). Sulla sua attività artistica sono state pubblicate le seguenti edizioni monografiche: Da i guerrieri alle torturapie (a cura di Mauro Corradini, 1976); Atmos e Thanatos (a cura di Dario Micacchi, 1983); Progetti 1966/1980 (a cura di Elvio Natali, 1985); Fidolini 1965/1985 (a cura di Pier Carlo Santini, 1986); Acqueforti (a cura di Alfonso Panzetta, 1991); Homo faber (a cura di Mauro Corradini, 1992); Fidolini. Il trittico del delfino (a cura di Elvio Natali, 1993); Fidolini. Il vento orbicolare dell’arte (a cura di Riccardo Notte, 2000); Fidolini. 30 disegni (testo dell’autore, 2004); La scatola di Dachau et cetera (AA.VV. 2010); Fidolini. Ordinario/Straordinario (a cura di Nicola Micieli, 2010). Apparizioni I, 2013 acrilici e tempera alla caseina su tela Apparizioni II, 2013 acrilici e tempera alla caseina su tela

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arte

acquietati d’inchiostro raffinatezza e coerenza nelle incisioni di Gianfranco Tognarelli Ilario Luperini

Gianfranco Tognarelli espone una cospicua scelta di sue incisioni alla Bibloteca Comunale di Pontedera (Viale Rinaldo Piaggio) dal 10 ottobre al 28 novembre 2015. La mostra, che si intitola Acquietati d’inchiostro. Incisioni 1970-2014, è patrocinata dal Comune di Pontedera. Il catalogo uscito presso Bandecchi & Vivaldi, è stato pubblicato con il contributo del promotore finanziario Michele Iginetti. Visite dal lunedi al sabato ore 9-19.

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ulla pittura di Gianfranco Tognarelli molto è stato detto. Più di ogni nota critica, rimangono impresse le parole di un gruppo di ragazzi, in un’esperienza di rapporto diretto con Gianfranco e il suo linguaggio «... E così lì dentro, tra quelle pennellate di colore, c’erano il magma incandescente che riposa nel grembo della Terra, le cascate e la forza prorompente dell’acqua e un vortice di liane, di foglie. Un risveglio generale e improvviso generato da un sogno. Addormentarsi per destarsi, finalmente. A conti fatti tutti noi abbiamo visto questo nelle opere di Tognarelli, una grazia e insieme un potere. Un potenziale che aspettava di esplodere, a stento trattenuto dalle cornici del quadro, e di cui solo la natura può essere portatrice, lei coi suoi misteri, lei insondabile, tuttora incomprensibile all’uomo, che ha costruito i grattacieli ed è andato nello

spazio ma di fronte a un cataclisma ancora resta stupito e ammaliato, inerme...» Nient’altro da aggiungere. Le sue incisioni, invece, fino a oggi non sono state oggetto della dovuta attenzione, forse perché lui stesso le ha confinate nei cassetti del suo studio, eppur così dovizioso di lastre che rarissimamente hanno visto una qualche tiratura. Questa esposizione, invece, è giustamente a loro dedicata. I temi che Tognarelli affronta sono quelli della consuetudine, ma assai personale è il modo in cui li sviluppa. Innanzi tutto il segno: lieve e insieme profondo, parco e, allo stesso tempo, ricco di evoluti cromatismi, in continua modulazione di varianti. Nei suoi lavori, di piccole o più grandi dimensioni, trascorre una profonda umanità. Tognarelli entra in totale

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simbiosi con la lastra su cui, con amorevole scrupolo, compone il segno. E, nelle scene che rappresenta, siano esse vedute paesaggistiche o tratti fisiognomici o altro, proietta tutto se stesso, senza riserve o remore. Lo fa con un innato senso dell’equilibrio, alla ricerca di un’armonia che è, prima di tutto, interiore. Osservando le sue prove, sembra di vederlo


The Ticket, 2003 acquaforte e acquatinta su zinco The Ticket, 2003 acrilico su tavola Bucranio, 1991 olio su cartone

pagina a fronte Bucranio, 1991 incisione Piccola quercia e cipressi, 1992 acquaforte su zinco mm 216×250

all’opera: concentrato e attento ai particolari, con la mente e l’anima protese verso i risultati, pronto a variare tempi, morsure, profondità, se il primo tentativo di stampa non lo convince. Nel panorama degli incisori viciniori, si distingue proprio per questo condurre il segno con parsimonia e coerenza stilistica; un segno che già nei primi momenti della creatività nasce carico di equilibrio e di forza costruttiva. Non gli interessa di essere troppo bravo – sono parole sue – ma lo rapisce il desiderio di provare, di sperimentare, di indagare le sottigliezze del lavorio interiore, in

cui manualità e intellettualità si integrano a perfezione. Perizia tecnica e spunti creativi sono in perenne relazione, trovando, ogni volta, reciproci arricchimenti. Nelle tavole esposte, si coglie un percorso interno; non tanto in senso evolutivo, perché l’intensità espressiva è sempre assai alta, quanto nell’ambito di un progressivo processo di analisi e di sintesi che di volta in volta si arricchisce di articolazioni raffinate e convincenti. Proprio per questo, gli esiti formali variano dai toni scuri, in cui la forma prende corpo quasi in bassorilievo, fino a delicatissime e sottili trame

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in cui predomina l’elegante chiarore della luce. In conclusione, possiamo affermare che in Tognarelli si scopre la rispondenza tra un linguaggio grafico nitido ed essenziale, ma nello stesso tempo allusivo ad ariose e sensibili mutazioni liriche dell’immagine, con un sentimento della realtà fatto di un amore che cresce con la più lucida attenzione analitica.

Ombre della sera, 2012 acquaforte e acquatinta su zinco a sinistra Aggregazione, 2007 acquaforte e acquatinta su rame


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ARTE

lungo il muro della rocca dei miei pensieri Giulio Greco

20 opere recenti (tecniche miste su tela applicata su tavola), ma anche installazioni incentrate su un tema da sempre indagato da Giulio Greco: il viaggio, inteso non soltanto come movimento fisico del corpo, ma anche - e forse soprattutto - come percorso di accrescimento spirituale, attraverso l’immaginazione e la memoria. La mostra allestita negli spazi dell’antica torre, quasi un trampolino per il cielo, è stata difatti concepita come un cammino immaginario e atemporale attraverso luoghi reali e fantastici; una sorta di racconto poetico dell’andare, in cui si intrecciano, in modo indissolubile, pagine memoriali del vissuto dell’artista con le tracce di un passato antico, mitico e forse mai avvenuto. Giulio Greco Sentieri per Navis Torre di San Matteo Montopoli Val d’Arno Patrocinio: Comune e Pro Loco di Montopoli Val d’Arno

è

un gomitolo di umori che si srotola lungo il muro. Si va, si parte, è necessario andare, anche se qualche volta il treno ci trascina di spalle. Il legame con il passato è prezioso, se incoraggia il cammino nel tragitto della nostra esistenza. Anche un muro, proprio perché separa, chiude, limita, opprime è spunto più che mai di riflessioni per questa vita che sfugge. Quando ero bambino, all’asilo, durante i castighi in ginocchio, le preghierine e le canzoncine senza senso, volevo volare dalla finestra più alta e stondata. Ma sapevo che solo gli angeli lo potevano fare. Da fanciullo, durante le feste, ricordo solo processioni di statue leggere, portate senza fatica, come cialde vuote, fra cantilene e manine giunte, infreddolite. Volevo correre, scappare, nascondermi per non ascoltare le scilomate di predicatori e comizianti. Le filastrocche cretine mi riecheggiavano nella mente. Mi mortificava quel cestino beffardo di quel: “giro,

girotondo, cestino rotto in fondo...” e in quell’altra: “luna, luna nuova, portami quattro uova: uno a me, uno a te, due al figlio del re”, mi irritava l’ingiustizia di quella spartizione delle uova. Speravo sempre che la luna non ascoltasse quella stupida implorazione. Preferivo non avere niente e sentirmi libero, non suddito e servile. Il figlio del re, d’altronde, non era mai tra noi, come gli angeli, sempre altrove. Solo i poveri cristi rimanevano sempre soli, sofferenti e castigati. Ma la sera la luna era bellissima, elegante, sempre diversa. Splendente, piena di gioia, poi calante, struggente, con quel vuoto dilatante fra le sue braccia sempre più sottili, e che cercando se stessa, svaniva. Poi la luna nuova, come graffio lucente nella notte, seguita dal niente, che man mano si nutriva di luce e cresceva. Tutto senza un gemito, senza sospiri. Speranza, gioia e quella malinconica nostalgia: un ciclo di sensazioni visive che mi sono state maestre. Andava lentissima oltre i monti, la luna. Spesso la osservavo scomparire e, ad occhi chiusi, la seguivo nel sogno. Di giorno mi mancava. Anche d’estate, sotto il sole cocente, quando si sguazzava nel fiume o nei “pozzacchi” tra le forre umide e scivolose. Il mare era lontano. I monti chiudevano i varchi, ma la luna era libera, per questo io l’ammiravo e l’amavo. Quindi, si va, si parte. È necessario andare, anche se qualche volta il treno ci trascina di spalle. Il passato è bene prezioso, se incoraggia il cammino nel tragitto della nostra esistenza.

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Il sentiero ci rivela le sue difficoltà... per trovare la stima di noi. E trovando ognuno la propria luce... si può anche volare. All’alba, domani, ti porterò con me. All’alba, lasceremo ognuno il proprio punto strappandoci dalle consuetudini. Senza cercare strade, vie o certezze. Prenderemo un sentiero, anche se pietroso e contorto. Punteremo in alto, anche scendendo tra anfratti e dirupi. Cammineremo insieme. Quando saremo sul monte, nella bianca spianata, allungheremo lo sguardo, spaziandoci intorno. È bene andare. È utile, proprio ora che i tempi sono incerti: veloci a travolgerci nel turbine dell’inquietudine. In vetta, nella grande piazza di noi, saremo bambini sotto il sole. Cavalcheremo il vento. Su quell’altura arsa troveremo il mare. Navigheremo. In quel luogo aperto avremo il giusto concetto di anima... pindarica sul sentiero dell’angelo.


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ARTe

ceramicando con Luigi Zucconi

un bestiario fantastico in forma di scultura Nicola Micieli Foto Lorenzo D’angiolo

1. Mutazioni zoomorfe. Insetto, ceramica smaltata 2. Mutazioni zoomorfe. Invertebrato, ceramica

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n atlante di singolari figure del transito, di ibridazioni da laboratorio genetico operate manipolando naturalia e artificialia, conformazioni materiali o momenti generativi della natura e prodotti della fabbrica umana. Potremmo altresì chiamarle stati di mutazione zoomorfa che sotto specie di bestiario fantastico, va componendo Luigi Zucconi, scultore in ceramica colorata a smalti sovente cangianti che opera, forse con eccessiva riservatezza, tra Pontedera, Firenze e Toiano. Il suo laboratorio creativo sta tra l’osservatorio analitico dello scienziato naturalista e l’immaginazione progettuale dell’inventore di alterità, delle quali oggi offre un ricco campionario l’industria della fiction. In una recente intervista Zucconi si dichiarava ammiratore di Hans Reudi Giger, il pittore, scultore e designer visionario conosciuto sopratutto come campione di effetti speciali e padre del celebre Alien. Lasciava così sospettare

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una sua filiazione ideale, che in realtà non sussiste se non come contiguità d’aria espressiva, dal maestro svizzero. Giger chiamava “biomeccanoidi” le proprie creature ipervisionarie, terrifiche “macchine” di matrice surreale. Le loro proprietà diciamo futuribili anche in senso tecnologico, ne attestavano la provenienza da altri e diversamente, (se non più) evoluti mondi. Nello stesso tempo, la loro conformazione sinuosa e tentacolare, persino labirintica li assimilava a mostri proiettivi, dunque simbolici, di fantasmi e ossessioni psichiche. C’è senza dubbio una componente proiettiva, una riduzione emblematica di latenze psichiche nei biomeccanoidi di Zucconi. La loro matrice è però sicuramente terrestre, il loro statuto di creature mutanti dal biomorfico al meccanico, li dice versioni aggiornate di ibridazioni e metamorfosi ampiamente praticate dall’immaginario del mondo classico e medievale. Per le quali potremmo ancora e semplicemente parlare di “monstra”, ossia manifestazioni fenomeniche straordinarie, aberrazioni degne di essere

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mostrate, secondo l’etimo, e idealmente raccoglierle in una wunderkammer monotematica. Un bestiario fantastico, appunto. Zucconi pratica le proprie mutazioni zoomorfe attingendo egualmente al mondo sommerso e a quello emerso. Predilige le creature che più di altre l’evoluzione ha dotato di ingegnosi, in molti casi mirabolanti attrezzature


3. Mutazioni zoomorfe. Aracnide, ceramica smaltata 4. Mutazioni zoomorfe. Crostaceo ibridato ceramica smaltata 5. Mutazioni zoomorfe. Invertebrato, ceramica smaltata 6. Mutazioni zoomorfe. Crostaceo, ceramica smaltata

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per l’offesa e la difesa, ai fini esclusivi della sopravvivenza. Creature già strutturate come vere e proprie macchine complesse e funzionali, molluschi ragni coleotteri crostacei e altri raffinati prodotti dell’ingegneria della natura costituiscono, per così dire, i modelli tecnici e formali sui quali si compiono le metamorfosi dello scultore. Per Zucconi la scultura è sintesi volumetrica.

Egli mira a una certa purezza della forma, per ragioni estetiche e funzionali alla rappresentazione della duplice natura – organica e meccanica – della sua zoologia da laboratorio genetico. Ai medesimi fini, enfatizza taluni aspetti anatomici e morfologici – bocche e peduncoli, chele e conchiglie, cavità e orifizi – delle creature in questione. Sulle quali altrove innesta o trapianta che dir si voglia, organi e arti eteronomi. Oppure seziona per metterne a nudo l’interna conformazione, anch’essa ispirata a quell’idea della compresenza dei contrari (la luce e il buio, il razionale e l’istintivo, la tensione di Eros e dell’analogo e contrario Thanatos, che è dell’uomo, tra le altre espressioni della natura) nella quale si riassume, in definitiva, il senso profondo della zoologia fantastica di Luigi Zucconi. 5.

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ARTE

c’è copia e copia c’è copia e copia c’è copia e copia c’è copia e copia

vorrei un Leone X di Raffaello, anzi una Deposizione del...

Paolo Pianigiani

I

primi a copiare furono gli amanuensi, addetti alla riproduzione degli antichi e rarissimi manoscritti, recuperati chissà come e chissà dove. Nel silenzio degli scriptoria dei conventi, riproducevano senza sosta testi latini e greci, arricchendoli di miniature che raggiungevano bellezze incomparabili. Nel medioevo non esisteva il concetto di artista, come lo conosciamo noi. Il pittore era un artigiano, abile nel riprodurre immagini sacre su tavole preparate a gesso e colla di pesce, con gli sfondi d’oro applicato a foglia. Operavano nelle botteghe, dove era prassi imparare il mestiere fin dalle prime attività di scolari,

ad esempio il macinare colori con la pietra. I pittori, quando venne il tempo di unirsi in una corporazione che difendesse i loro diritti, faticarono non poco a trovar casa. Finirono per collocarsi nell’arte dei medici e degli speziali, forse per quel gran trafficare di polveri e colle che comportava il loro lavoro. Ma contava l’opera finita, non chi l’aveva portata a fine. Si diceva, voglio una Madonna con Bambino, non si diceva mai, o quasi, che l’autore doveva essere il tale, o il tal’altro. A meno che non si trattasse di importanti commesse pubbliche, affidate a grandissimi maestri, dove il contratto, stilato da abili notai, prometteva

Raffaello, Ritratto del Papa Leone X. Particolare. Galleria degli Uffizi, Firenze Andrea del Sarto, copia da Raffaello, Particolare. Museo di Capodimonte, Napoli

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pene severissime se il Maestro avesse fatto ricorso agli aiuti. Poi, nel Rinascimento, furono i grandi a giocarci sopra. Chi non ricorda il divino Michelangelo che per mettere alla prova un sedicente esperto, gli confezionò lipperlì una statua autentica romana, che di già era o avrebbe dovuto essere copia di un originale greco. O al massimo, ellenistico. Nel 1526 Federico Gonzaga, Duca di Mantova, in trasferta a Firenze, vede il ritratto di Leone X fra i Cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, opera straordinaria di Raffaello. Lo vuole assolutamente per la sua collezione. E insiste in alto, presso Clemente VII (anche lui un Medici) per


averlo. Questi lo rimanda a Ottaviano de’ Medici, a Firenze, che ne era il geloso custode. Per non arrivare a un incidente diplomatico, il Medici ne fa fare, segretamente, una copia ad Andrea del Sarto (Firenze 1486-1530), il “pittore senza errori” e la invia facendo finta di nulla, in quel di Mantova. Nessuno, per lungo tempo, si accorge dell’inganno. Giorgio Vasari, che era un formidabile chiacchierone, lo svelò a Giulio Romano nel corso di una sua visita alle collezioni dei Gonzaga... Ma sentite cosa disse Giulio, uno degli allievi più bravi di Raffaello: “Io non la stimo meno (la copia) che s’ella fusse di mano di Raffaello, anzi molto di più: perché è cosa fuor di natura che un uomo eccellente imiti si bene la maniera di un altro e la faccia così simile.” Passano gli anni e viene al mondo la strana razza dei collezionisti d’arte. Possedere capolavori autografi era segno di immenso potere e prestigio personale. Per stare sempre a Firenze, il Gran principe Ferdinando, primogenito prediletto di Cosimo III e predestinato al trono di Toscana, prende la fissa di possedere le cose migliori che nel passato non remotissimo i grandi artisti avevano disseminato nel contado fiorentino, in chiese e conventi fra i più disparati. Per cominciare mise gli occhi addosso a una Deposizione dalla Croce, opera su tavola di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, che stava nella Compagnia della Croce, che aveva la propria sede e oratorio all’interno della chiesa conventuale dei frati agostiniani di Empoli. Incaricò un paio di portaborse di allora; uno dei due era l’Abate Pizzichi, che oltre a occuparsi di questi intrighi faceva a tempo perso anche l’esorcista. Gli empolesi, si sa, son gente dura e attaccata ai soldi. E infatti furono avvicinati prima i componenti della Compagnia, uno ad uno, per cercare consensi e alleanze. Quindi fu offerta la somma di seicento scudi, una cifra altissima. I confratelli dissero di no. Il rilancio da Firenze non si fece attendere. Fu promessa la copia su tela eseguita dal pittore di corte, il Gabbiani, celebre allora in tutta Europa. Gli empolesi cominciarono a tentennare. Poi fu calato l’asso. Fu promesso aiuto granducale in certi dissidi che erano intercorsi fra la Compagnia e i frati, padroni di casa. Ci fu l’accordo e la Deposizione del Cigoli oggi sta a Pitti, mentre a Empoli è rimasta la copia del Gabbiani. Per carità, bellissima anche quella!

Raffaello, Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, Galleria degli Uffizi, Firenze Andrea del Sarto, copia da Raffaello. Museo di Capodimonte, Napoli

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VISIBILE PARLARE

una vacanza in

Valdera

Giambattista Casti nei ritratti di Appiani e Goya Roberto Giovannelli

1 O non forse in Orbetello? com’egli stesso affermerà in altre circostanze. Sul tema controverso della data di nascita del poeta si veda, Á. Arce, Reflexiones sobre la fecha de nacimento de Giambattista Casti, in “Cuadernos de filología italiana”, n. 7, Madrid 2000, pp. 115-138. 2. Les Animaux parlans. Poème épique en vingt-six chants. Traduit librement de l’italien en vers français, par L. Mareschal, Paris, a la Librairie constitutionnelle de Brissot-Thivars (de l’imprimerie de Firmin Didot), 1819. 3 Bistro e mina di piombo su carta vergata, mm 185x121, conservato presso la Fundación Lázaro Galdiano, Madrid, che ringraziamo per la gentile concessione della foto. Di questo disegno ha dato notizia J. Camón Aznar, Dibujos de Goya del Museo Lázaro Galdiano, in “Goya. Revista de Arte”, n. 1, 1954, pp. 9-14. 4. Il Casti morì nel febbraio 1803.

Andrea Appiani, Ritratto di Giambattista Casti, in un’incisione di Tavernier, Raccolta Bertarelli, Milano

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ettanta anni suonati, alta statura, cranio ornato dai biondi capelli di una parrucca, fronte regolare, sopracciglio raro, occhi cilestri di Minerva, naso giusto e bocca larga, mento lungo, faccia lunga e pallida velata da una barba biancastra. Con questi connotati, segnati come un acre schizzo in penna sul passaporto rilasciato dai Grandi Edili della Repubblica Romana il 7 pratile dell’anno sesto Repubblicano, Giambattista Casti (Giambatista, così si era sottoscritto) s’accingeva a lasciar l’Italia alla volta di Parigi per la via di Lione. Nei pochi giorni che gli si concedevano per espatriare doveva pure, con grandissima circospezione, ottenere da Ferdinando III granduca di Toscana, un altro lasciapassare, ora redatto come permesso di andata e ritorno, valido sei mesi o anche più, per recarsi nella Repubblica Ligure e Francese. Rispetto al foglio repubblicano, quello granducale rilasciato il 2 giugno 1798, assegnava al dimissionario Poeta della Real Corte d’Austria, in odore di giacobinismo, non solo settanta ma tutti i suoi settantacinque anni; anzi gravava le sue spalle di qualche mese in più a contare dal 29 agosto 1724, probabile giorno della sua nascita in Acquapendente.1 La sua effigie intorno agli anni ‘90 si ritrova, finemente indagata dal pennello di Andrea Appiani, nel ritratto inciso all’acquaforte da Tavernier su disegno di L. Lorin, riprodotto in campo ovale nell’antiporta di una traduzione francese del caustico suo poema, simbolo delle umane ambizioni, Gli Animali parlanti, edita a Parigi nel 1819.2 Qui il «commensale faceto in tutte le corti, derisore dei

loro vizj, indulgentissimo a’ propri», come Giambattista sarà descritto da un contemporaneo, pare aver lasciato le irriverenti corrosive carte per un momento di riposo: indossa una veste da camera su una camicia aperta con trascuratezza sul collo e una floscia berretta a corona della fronte luminosa; lo sguardo è pungente ma come attenuato da un filo di

mestizia e, in quella «natural gentile fisionomia» (ch’egli stesso si era anticamente riconosciuta mirandosi allo specchio) le labbra appena stirate sono come sul punto di abbozzare un sorriso, o d’intonare una frase o una parola, forse non proferite per non distrarre l’artista che lo ritrae. Né il passaporto francese, con la gagliarda figura de La Marianne rivoluzionaria campeggiante tra le parole Libertà

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ed Eguaglianza, né il salvacondotto granducale con l’esanime Toson d’oro pendulo dall’arme della corona imperiale impressa in testa alla pagina, né la dipinta effigie, disvelavano l’assordimento dell’orecchio destro, l’ugola recisa, la voce bassa, alterata, nasale di Giambattista, per le piaghe causate tanti anni prima dal mal francese contratto al tempo del soggiorno in Spagna e in Portogallo. Quel dardo insidioso, già incoccato nelle parole di una canzone lietamente intonata da una servetta ch’egli aveva incontrato in una locanda di Almaraz: non so qui te tiene, ni porque me tiengo, le cui grazie non avrebbe potuto cogliere a motivo dell’astrale ricorrenza della «canicola», l’avrebbe presto trafitto, presto Tantalo (così il nostro si era in qualche frangente definito) avrebbe gustato il frutto velenoso delle Veneri dai seni rigogliosi di Lisbona e di Cintra. Il lampo acuto dell’occhio, il sorriso discreto, il sagace magnetismo del suo volto si ritrovano, questa volta espressi con vibrante leggerezza di tratto, in un disegno in penna attribuito alla mano di Francisco Goya (probabilmente ripreso da un appunto realizzato quando il Casti si trovava a Madrid). Il foglio,3 recante sotto l’effigie dell’«onorato vagabondo» la dedicatoria: «J. B. Casti / cui miro carmine dicere verum / nihil vetuit / muerto en Paris en 1802 de edad de 83 años»,4 seguita dalla indicazione del nome dell’autore: «por Dn. Fran. Goya “Pintor”», ha tutta l’aria di essere la composizione per un’antiporta connotata da quell’emblematico motto latino che egli pare aver appena esposto verso di noi, quale affermazione del suo li-


Élisabeth Vigée-Le Brun, Ritratto di Isabella Teotochi Albrizzi, disegnato in litografia da Camilla Guiscardi (dettaglio), Raccolta Bertarelli, Milano

suo viaggio, «per divertirla un poco» nei giorni di villeggiatura che ella avrebbe presto trascorso nella villa di Famiglia sul colle di Treggiaia in Valdera. Nella lunga lettera il Casti proseguiva poi descrivendo minuti particolari ed eventi della vita parigina. Fra questi l’entusiastico ricordo del dipinto di Louis David, esposto al pubblico ancora fresco di colore, rappresentante Le Sabines: non si poteva veder cosa più bella, «Vi si scorge in ognuna delle moltissime figure un poco più grandi che al naturale, la marcatissima espressione di una differente passione, profonda cognizione della storia e del cuore umano, giusta e ragionata filosofia, mirabile accordo di colori, prospettiva benissimo intesa…».5 Nella residenza di Treggiaia (ove,

Francisco Goya (attribuzione), Ritratto di Giambattista Casti, bistro e mina di piombo su carta, Museo Lázaro Galdiano, Madrid

bero pensare, che tradotto a braccio potrebbe suonare: … al quale nulla impedì di dire il vero con la sua mirabile poesia… . Una composizione, dicevo, forse destinata a ornare la postuma edizione di qualche opera del Casti, o a tramandarne la memoria attraverso una stampa calcografica. Il 10 novembre 1798, dopo «tre mesi e mezzo» da che aveva messo piede nella capitale francese, il «vecchio montone» (com’egli si era anni prima rappresentato in un malizioso battibecco con l’avvenente Isabella Teotochi Albrizzi) inviò alla nobildonna Pisana Lucrezia Monti Quarantotto, una spigliata memoria narrativa del Roberto Giovannelli, 2015, Prima la musica e poi le parole (omaggio a Giambattista Casti), olio su tavola, cm 19x16 (Collezione C. Lapucci, Firenze)

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sulla facciata del palazzo che fu di Lucrezia, ancora si trova un’iscrizione che la ricorda),6 tra ottobre e novembre dell’anno precedente, Giambattista, allietato dalle raffinate attenzioni dell’amabile amica e dalle conversazioni di una scelta e dotta compagnia, aveva trascorso piacevoli ozi creativi, «vado a letto di buon ora e mi levo tardi e leggo, scrivo e compiego». In quelle stanze seguiva un’edizione dei suoi lavori per lo stampatore Zatta di Venezia e già pensava a una nuova accresciuta edizione di tutte le sue opere, fra cui le Novelle e il Poema tartaro, da stampare a Parigi per non sottometter la poesia «al capriccio e alla sofisticheria di una censura arbitraria e talvolta ignorante».

5. Memoria della quale conosco un paio di esemplari quasi identici; Casti probabilmente ne inviò alcune copie (trascritte in bella grafia a causa della sua contorta scrittura), ad altri suoi corrispondenti; qui faccio riferimento al testo pubblicato da M. Tatti, Una lettera inedita di Giambattista Casti a Lucrezia Monti. Parigi 10 novembre 1798, in “La Rassegna della letteratura italiana”, VII, 3, 1991, pp. 93-116. 6. Dell’iscrizione in latino abbozziamo la traduzione: «Lucrezia Monti, unica superstite ed erede della famiglia Quarantotto, dopo aver ridotto a piazza il giardino della sua casa gentilizia, la pavimentò e l’abbellì. E dalla via pubblica, larga circa 11 piedi, segnò il confine con cippi posti fra lo spazio privato e il pubblico e sempre a sue spese costruì il ponte di mattoni nell’anno 1802».


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workshop

riciclare “ad arte” workshop d’arte e design a Santa Croce sull’Arno Angelo Errera

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n inusuale triangolo istituzionale ha sottoscritto una convenzione nel mese di settembre per dare vita ad una formazionesperimentazione sull’uso artistico degli scarti industriali. Un’Accademia di Belle Arti, quella di Firenze; un comune toscano, quello Santa Croce sull’Arno e un’azienda leader nazionale nel settore dei rifiuti industriali, la Waste Recycling S.p.A, sono i protagonisti di questo progetto. Il workshop è attualmente in corso alla Waste Recycling dove gli studenti trascorreranno le settimane formative nell’Officina SCART (allestita presso Waste Recycling) e alloggeranno presso la Residenza dell’Artista (predisposta dal Comune di Santa Croce sull’Arno) presso Villa Pacchiani. Già nel 1997 la Waste Recycling, che si occupava nei suoi impianti di raccogliere, trattare e smaltire rifiuti industriali, decise di lanciare un progetto concreto per il recupero e il riuso.

Il progetto si basa sulla ideazione e realizzazione di opere e installazioni artistiche costituite al 100% da rifiuti e il suo nome è SCART, ormai un marchio registrato in Italia e in Europa che unisce appunto la parola “scarto” alla parola inglese “art”. Con il progetto SCART sono state realizzate innumerevoli opere, mostre, eventi, cataloghi di grande successo, che hanno attirato una notorietà nazionale e internazionale. «Sin dai suoi primi laboratori SCART» dichiara Maurizio Giani presidente di Waste Recycling e ideatore del progetto «furono coinvolti per coordinare la produzione artistica, i due professori Edoardo Malagigi e Angela Nocentini. Alcune delle opere realizzate con la collaborazione dell’accademia sono tuttora esposte nei nostri uffici». I docenti Malagigi e Nocentini intervengono dicendo: «Avvicinare gli studenti dell’Accademia alla conoscen-

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za del mondo degli scarti industriali, considerandoli come prodotto pregiato e tipico della zona di produzione del Made in Italy, ha significato stimolare la loro creatività promuovendo la realizzazione di opere artistiche sostenibili non solo da un punto di vista ambientale, ma anche economico. È stato questo il nostro obiettivo all’interno di una visione in cui la creatività è utilizzata anche per innovare


la formazione universitaria, attivando un fertile scambio tra realtà diverse e dimostrando ancora una volta che il sapere e il saper fare non sono divisi in tanti compartimenti disciplinari separati, ma sono un patrimonio unico da condividere». Il Sindaco Giulia Deidda ha sottolineato: «Abbiamo accolto con entusiasmo quest’opportunità di far parte del progetto, in quanto crea un legame tra la cultura, un’azienda del nostro territorio e un’istituzione pubblica. Il nostro Paese, famoso nel mondo per la produzione artistica del passato, non può trascurare una produzione attenta al presente, ai futuri artisti di domani e all’utilizzo di materiali di scarto che, attraverso l’arte, possono essere nobilitati. L’attenzione di questa Amministrazione agli aspetti della crescita culturale, della tutela ambientale e a tutto quello che riguarda le giovani generazioni, ci ha fatto aderire con entusiasmo mettendo a disposizione degli allievi dell’Accademia il Centro Polivalente di Villa Pacchiani dove gli studenti sono ospitati al termine di ogni giornata formativa trascorsa nell’officina SCART di Waste Recycling.» pagina a fronte Eugenio Cecioni, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Firenze Luciano Modica, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze Giulia Deidda, sindaco del Comune di Santa Croce sull’Arno Maurizio Giani, presidente della Waste Recycling SpA Villa Pacchiani Maurizio Giani, Edoardo Malagigi insieme ad alcuni studenti Vittoria Lapolla mentre assembla l’opera Angela Nocentini e Edoardo Malagigi docenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze sotto alcuni studenti

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MOSTRA

ipermondo visionario sculture di Antonio Lo Pinto a Pietrasanta

Ada Neri

Dal 3 ottobre al 15 novembre, Antonio Lo Pinto espone per la prima volta nel Complesso di Sant’Agostino, a Pietrasanta. Una sorta di antologica, sezioneomaggio, a cura di Viana Conti, è un percorso espositivo che presenta opere dal 2000 alle ultime realizzazioni, con una sezione – omaggio all’Expo di Milano e al tema del cibo.

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l suo è un mondo realista e visionario, dominato dalle grandi dimensioni, dove gli antichi monili si fanno monumentali così come la penna stilografica o i sapori della tavola. Un mondo in cui l’uomo sembra fagocitato dalle forme, dove gli oggetti del quotidiano assumono volumi tali da trasformarsi in icone. Antonio Lo Pinto, classe ‘56, catanese trasferitosi a Firenze, è attratto dalla memoria così come dalla materia e più ancora dalla forma. Nel suo linguaggio non c’è niente di esasperato; Lo Pinto risponde alla semplice voluttà visiva dei suoi soggetti. Niente affida al caso, ad una suggestione improvvisa della manualità: dal progetto all’esecuzione tutto procede secondo un’assoluta definizione dell’opera. Concettuale, surrealista: le sue opere sono ferme davanti ai nostri occhi, frutto puro e diretto di una fervida immaginazione. Nella Chiesa di Sant’Agostino trova spazio, di fronte all’altare, la splendida Collana di perle nere (marmo nero Marquinia e cavo d’acciaio, 20082014), composta da 34 sfere di diame-

tro da 10 a 30 cm, e l’installazione La penna che non scrive più in cui appare un’iperdimensionata stilografica Mont Blanc di oltre tre metri (marmo nero del Belgio e bronzo, 2007), che riporta lo spettatore ai tempi della giovinezza, della formazione, materializzando ricordi di regali per le prime tappe della vita. Quattro imponenti vasi, due bianchi e due neri, non cessano di raccontare storie solenni di Dinastie (marmo nero Marquinia e bianco Carrara, 2004-2015). Avanzando, si presentano due anelli in bronzo e marmo, da mignolo maschile, modello Chevalier, solitamente con sigilli, cifre nobiliari e stemma del casato, in omaggio agli avi, che qui rinviano alla grandezza della scultura classica, greco-romana, e di quella rinascimentale, riportando, in marmo bianco di Carrara, nel primo il rilievo della testa di Antinoo, nel secondo, con riferimento al Michelangelo delle Cappelle Medicee, quella di Giuliano de’ Medici. Infine, all’ingresso della chiesa un dialogo tra cinque inquetanti, abnormi bulbi oculari con una distesa di enormi pillole (rosa del Portogallo, bianco di Carrara, onice, verde delle Alpi, giallo di Siena e nero Marquinia). Entrando nelle sale del Chiostro, si accede a un ciclo inedito di opere nella tematica del cibo, in sintonia con quella dell’Expo Universale di Mila-

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no 2015, che, materializzando sogni e incubi, icone e ossessioni, mette in scena un’antica tradizione della cucina toscana: quella bistecca, il cui nome viene fatto risalire alla festività di San Lorenzo e alla famiglia dei Medici, quando dei cavalieri inglesi, cui venne offerta la costola di bue alla brace, la denominarono, nella loro lingua, beef steak. La Sala del Capitolo ospita due sculture in marmo rosso di Francia e bianco di Carrara di una Bistecca e di una Costata appoggiate su antichi taglieri da macelleria, che rinviano, a parete, a due Nature morte dipinte a olio su tela, in stile fiammingo, improntate all’analogo iperrealismo delle opere scultoree. Nell’adiacente Sala dei Putti lo spettatore si trova a confrontarsi con un’installazione di un grande tavolo da cucina in legno su cui poggiano le sculture di due Tortellini giganti in marmo statuario; a parete sfilano venticinque Tortellini in bronzo, con inevitabili rimandi erotico-anatomici. Più avanti, un ulteriore tavolo di legno con tortelli adagiati su un rialzato, candido letto di farina. Ad interrompere il bianco e nero di questa sala arriva una mini-installazione in bronzo patinato marrone, di cioccolato Toblerone, il primo cioccolato al latte con mandorle e miele, il cui nome deriva dall’unione del marchio svizzerobernese Tobler con l’italiano torrone.


L’arte in italia

I DONI E LE COLLEZIONI DEL RE

LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE

DE CHIRICO A FERRARA

19 novembre 2015 3 aprile 2016

18 ottobre 2015 24 gennaio 2016

14 novembre 2015 28 febbraio 2016

FIRENZE

Roncate (Mendrisio)

FERRARA

Palazzo Pitti

Pinacoteca Züst

Palazzo dei Diamanti

N

L

è

el 1865 Firenze diventa capitale d’Italia, così Palazzo Pitti subisce un accurato restiling vigilato da Vittorio Emanuele II. La mostra propone molte acquisizioni volute dal re per la nuova dimora, in particolare grandi tele a carattere storico, artistico, letterario, non a caso l’esposizione ospita Elemosina del Collare della SS. Annunziata creata da Giuseppe Ciaranfi, Petrarca ritraente l’amata Laura di Pietro Saltini, Nello e Pia de’ Tolomei immortalati nel marmo da Pio Fedi. Il percorso annovera anche mobilio commissionato a manovalanze fiorentine, pipe, carta da gioco, oggetti di utilizzo quotidiano, stampe, tele macchiaiole acquistate alla Esposizione Nazionale del 1861, basti menzionare i Novellieri Toscani di Vincenzo Cabianca, insomma un riuscito studio sui rapporti tra Palazzo Pitti e le professionalità locali chiamate a rimodernare la Reggia.

a silenziosa rivoluzione ottocentesca della lettura in Ticino e Italia raccontata attraverso dipinti, sculture, foto di Ferdinando Scianna che, attraverso scuola e casa, allarga il sapere dai confini domestici, supporta la comunicazione con parenti lontani, permette conoscenza politica, sociale, storica, geografica, romanzata. Molti i maestri presenti nelle sale espositive, basti menzionare Preda, Monteverde, Vincenzo Vela, Luigi Vassalli, Cabianca, Nomellini, Zandomeneghi, l’elvetico Albert Anker, delicato pittore classicista che sublima la funzione della lettura nel suo aspetto educativosentimentale soprattutto del mondo infantile, suscitante nel lettore stati emotivi variegati. Naturalmente Bibbia, corrispondenza, episodi storici diventano protagonisti assoluti nelle scenografia della tela, ne sono testimonianza i dipinti di Induno presenti in mostra.

una pittura silenziosa e lontana quella ideata da De Chirico nella sua permanenza ferrarese, le cui squisitezze metafisiche influenzano Dadaismo, Surrealismo, Nuova Oggettività. Una dimensione sospesa tra irreale ed ambientazioni atemporali fatte di piazze, tramonti, prospettive accentuate, location popolate da particolari misteriosi scovati dall’artista nelle perlustrazioni della città estense, figure senza volto, manichini di sartoria si accendono di un prorompente cromatismo senza una palese connotazione gerarchica, che tuttavia innescano nello spettatore interpretazioni nuove e fantastiche. Il sodalizio con Carlo Carrà, conosciuto nell’ospedale militare cittadino, cotanto influenzano l’operato di Morandi, De Pisis, Man Ray, Raoul Hausmann, George Grosz, René Magritte, Max Ernst, sapientemente illustrato nelle circa 80 opere esposte a Palazzo dei Diamanti.

photolux - biennale internazionale di fotografia 12 novembre - 13 dicembre 2015 LUCCA

sedi varie

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hotolux Festival per l’edizione 2015 sceglie il tema Sacro e Profano. Declinarlo attraverso la fotografia permette, da un lato, di compiere un viaggio anche interiore intorno al mondo, alla scoperta dei luoghi dello spirito e degli uomini che li animano sperimentando una tensione verso il divino di volta in volta diversa e sempre affascinante. Dall’altro, di rileggere l’iconografia sacra in chiave dissacrante o provocatoria, di avventurarsi in territori ritenuti generalmente non rappresentabili, confrontandosi con le pulsioni e i sentimenti più terreni dell’animo umano e le sue aberrazioni. Senza tralasciare tutto quanto si trova nel mezzo, nelle sottili sfumature che sempre colorano contrasti che non possono essere netti. Il mezzo fotografico, dunque, come linguaggio privilegiato per svelare questa dualità e indagarne le diverse declinazioni e interpretazioni possibili.

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Carmelo De Luca

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IL MONDO CHE NON C’ERA 19 settembre 2015 6 marzo 2016 Firenze Museo Archeologico

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20 capolavori delle civiltà Meso e Sudamericane, provenienti dalla Collezione Ligabue, prestiti internazionali, raccolte medicee, raccontano le Indie colombiane svelate al mondo da Amerigo Vespucci come nuovo continente, apprezzate dai Granduchi di To-

Eredità del ’900 5 settembre 31 ottobre 2015 LIVORNO Villa Mimbelli

Silvia Perini

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nche a Livorno va in scena “L’arte del ‘900” con l’adesione alle iniziative promosse dalla Regione Toscana e dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze che, nell’ambito di Expo 2015, hanno coinvolto fondazioni bancarie e musei, fautori di una mostra divisa in due sezioni: una dedicata al design anni Settanta presso la Fondazione Livorno, l’altra rivolta all’arte contemporanea rela-

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scana. L’esposizione vanta un arco temporale abbracciante culture Tlalica e Olimeca, testimoniate da sinuose sculture in ceramica, regione del Chupicuaro con statue policrome di ceramica cava, la mitica città di Teotihucan e i leggendari tagliatori di maschere in pietra formanti un triangolo rovesciato, cultura Zapoteca fautrice di elaborate urne cinerarie, statuette dal forte impatto realistico realizzate da esperti artisti nella Costa del Golfo. Naturalmente i Maya sono presenti in mostra con capolavori appartenenti alla classe sacerdotale ed i vasi di età classica, mentre gli Aztechi primeggiano grazie agli atlati utilizzati per lanciare frecce. Il Sudamerica rivive nelle Veneri ecuadoriane di Valdivia, oggettistica Inca, civiltà Chavin, cultura Nazca e Moche, manifattura aurea con il raffinato collier Taino delle collezioni medicee, una rarità salvata grazie alla sensibilità verso l’arte dei granduchi toscani in un epoca in cui la manifattura in oro e argento veniva fusa dagli spagnoli per coniare moneta.

tiva alla I Biennale del 1974 legata all’apertura del Museo Progressivo e curata da Mattia Patti presso Villa Mimbelli. Quest’ultima racconta la sostanziosa campagna di acquisizioni operata dall’Amministrazione livornese, ripercorrendone alcune esperienze, spesso fra loro antitetiche. Sono così ricostruite da un lato le sale dedicate alla Figurazione critica e narrativa, dall’altro quelle dedicate alla pittura e ai paradossi dello specifico. La mostra della Fondazione Livorno, dedicata al design e curata da Antonella Capitanio, tratta invece una storia nella storia: quella della mostra Progetto-Struttura. Metodologie del design che nel 1975, sempre all’interno della I Biennale del Museo Progressivo, presentava le opere di sei designer – Mario Bellini, Giulio Gonfalonieri, Silvio Coppola, Franco Grignani, Bruno Munari e Pino Tovaglia – all’epoca riuniti nel Gruppo Exhibition Design. In un momento in cui insieme al successo internazionale del design italiano (coronato nel 1972 dalla mostra al MOMA di New York) era ormai da tempo maturato anche un forte ripensamento critico sul fare design. In mostra la documentazione è arricchita anche da filmati e foto d’epoca.


BELLEZZA DIVINA 24 settembre 2015 24 gennaio 2016 Firenze Palazzo Strozzi

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l connubio sacro-arte a cavallo tra XIX e XX secolo, è questa la riuscita tematica ideata da Palazzo Strozzi per la nuova mostra con oltre cento capolavori realizzati da maestri eccelsi, ne sono degna

TOULUSE-LAUTREC VOCI E OMBRE SU MONTMARTRE 16 ottobre 2015 14 febbraio 2016 PISA Palazzo Blu

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ltre 200 opere, tra dipinti, disegni, litografie, manifesti, raccontano l’artista di Albi, conoscitore degli aspetti spiacevoli insiti nell’a-

prova Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, gli internazionali Vincent van Gogh, Edvard Munch, Pablo Picasso, Henri Matisse ed altri augusti nomi. Le scuole pittoriche nate nel vecchio continente, dal Realismo all’Informale, dal Divisionismo al Simbolismo, dall’Espressionismo al Futurismo, intrecciano forti legami plasmati da creatività artistica e sentimento religioso, sottolineando tendenze e rapporti, anche conflittuali, con la dimensione divina esteriorizzata attraverso espressioni pittoriche modernissime. Prestiti eccezionali rappresentano meritato vanto per gli organizzatori e curatori della mostra, non a caso i principeschi ambienti espositivi ospitano la Crocifissione Bianca di Marc Chagall, Angelus di Jean-François Millet, Pietà di Vincent van Gogh, Crocifissione di Renato Guttuso confrontati con altri nomi che, in passato, ebbero meritata nomea. Insomma, il nuovo appuntamento di Palazzo Strozzi permette una interessante intrusione nell’interiorità recondita grazie a grandi firme artistiche europee in epoca moderna.

nimo umano, esternati attraverso celebri volti sinonimo di trasparenza interiore. Le sale espositive ospitano altresì selezionate opere di artisti italiani che, nella Ville Lumière, trovano linfa dall’operato di Touluse-Lautrec. Il fermento culturale, sociale, politico, artistico parigino di fine ottocento riscontra nel giovane maestro un attento osservatore, capace di descrivere attraverso arnesi da lavoro una intera generazione e stili di vita decisamente colorati, eccentrici, avanguardisti nella capitale più cosmopolita al mondo, ne sono rappresentanza i “set” di Montmartre, Moulin Rouge, case chiuse. La ricerca per nuove forme anima gli ambienti artistici della antica Lutezia, facendo confluire in città numerosi addetti pronti al confronto attraverso suon di pennello e matita. Questo fervore non lascia immune Henrie-Marie, provato dalla rottura delle gambe, che sfoga le sue menomazioni nella innovative opere ammirate sino ad oggi. La mostra coglie ogni piccola sfaccettatura animante il pensiero artistico di Touluse-Lautrec attraverso una scelta oculata di opere grafiche, tele, disegni provenienti da prestigiose istituzioni.

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STORIA

Un paladino

nei palazzi incantati

Virginio Orsini alla corte di Elisabetta I d’Inghilterra Paola Ircani Menichini

Virginio Orsini, duca di Bracciano, particolare. Iacopo Chimenti detto l’Empoli, Le nozze di Maria dei Medici con Enrico IV re di Francia, 1600, Firenze, vestibolo d’ingresso del Museo degli Uffizi.

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l 9 settembre 1615 moriva, a 43 anni di età, tormentato dai dolori della gotta, Virginio Orsini duca di Bracciano1. Con lui si spegneva “il più grande signore d’Italia”, come veniva chiamato dai suoi contemporanei. Il fine diplomatico, il cultore delle lettere e della musica, il mecenate di letterati, pittori e cantanti, lasciava un profondo ricordo nella storia della Penisola del Cinque-Seicento e nelle vicende della casa granducale di Toscana, alla quale apparteneva per nascita. Era infatti il figlio di Paolo Giordano I Orsini e di Isabella, terzogenita di Cosimo I dei Medici, entrambi convolati a nozze nel 1556 rispettivamente a quindici e a quattordici anni. Lui, nonostante la giovinezza, era già oppresso dai debiti contratti dai parenti per ricostituire il feudo di Bracciano; lei invece, graziosa e intelligente, pro-

veniva da una delle famiglie più ricche di Europa, la quale intendeva, con il matrimonio, rafforzare le sue relazioni con Roma e avere tranquillo accesso ad alcuni porti della costa laziale. L’unione Orsini-Medici fu caratterizzata dalla confidenza e dalla passione, ma anche marchiata da una precoce instabilità perché finì tra i complotti e gli omicidi. Nel 1576 pare che Paolo Giordano avesse dato ordine di far uccidere Isabella per un presunto tradimento (o, almeno, la morte improvvisa della duchessa dette lo spunto a illazioni e leggende “nere”), mentre nel 1581 fu il mandante dell’assassinio di Francesco Peretti, marito della sua amante Vittoria Accoramboni di Gubbio. L’ultimo delitto ne provocò l’inevitabile fine. Caduto in disgrazia presso papa Sisto V (zio di Francesco Peretti) e oggetto assieme ad altri della lotta senza quartiere contro i banditi dello Stato pontificio, Paolo Giordano si rifugiò nella Repubblica di Venezia dove, già gravemente ammalato, morì nel novembre 1585. Poco più di un mese dopo, Vittoria, diventata sua moglie, venne uccisa dal parente Lodovico Orsini del ramo di Monterotondo. Questo fu l’ambiente familiare in cui Virginio venne al mondo e visse da ragazzo, e le tragiche vicende della sua famiglia lo costrinsero a crescere in fretta. A soli tredici anni, dopo la morte del padre e della matrigna, ereditò il ducato di Bracciano e ne sostenne con coraggio il peso fino al termine della sua vita. Aveva d’altronde una precoce intelligenza, era mite d’animo e disposto all’obbedienza. Cresciuto nella villa di Pratolino con la sorella e i cugini Medici, aveva imparato a valutare con chiara coscienza la propria stirpe e i doveri ai quali

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sottostare per il bene di tutti. Per questo e per la necessità di denaro a causa degli enormi debiti di famiglia, si era posto al servizio dello zio granduca Ferdinando I (15491609), fratello della madre Isabella, senza mai venire meno alla lealtà e all’affetto professatigli. Nel 1589, a diciassette anni, aveva sposato la ragazza che gli era stata imposta, Flavia Peretti, nipote dell’uomo ucciso da suo padre, anche se, pare, coltivasse un sentimento amoroso per la cugina Maria, figlia del granduca Francesco I Medici. Dalla moglie ebbe più di dieci figli. Dal 1595 si trasferì con la famiglia a Palazzo Pitti e fu presto noto ai fiorentini per la sua generosità, il mecenatismo e gli eventi musicali e culturali da lui organizzati. Entrò anche tra gli Accademici della Crusca con il soprannome di Ozioso. Il felice regno di Ferdinando I fu coronato nel 1600 dal matrimonio di Maria con Enrico IV re di Francia, uomo più anziano di lei e fresco di annullamento del legame con Margherita di Valois, che era figlia di un’altra Medici di rango, la regina Caterina. La dote promessa alla sposa ammontava a un milione di scudi, somma iperbolica che aveva attirato l’appetito dei re di tutta Europa e reso orgogliosi i fiorentini della propria ricchezza. In occasione delle nozze Virginio accompagnò la cugina in Francia, entrando autorevolmente a far parte del corteo che nell’ottobre si imbarcò a Livorno, destinazione Marsiglia. Trasferitosi a Lione, lasciò qui Maria allo sposo e al suo controverso e infelice destino di regina, e proseguì il viaggio verso Parigi e il Nord Europa. Nel gennaio 1601 si imbarcò a Calais e giunse a Londra alla corte di Elisabetta I Tudor. La regina Elisabetta d’Inghilterra allo-


di grande onore. Il giorno seguente fu condotto negli appartamenti di lei in una “carrozzetta” chiusa e per una porta segreta del giardino. Scrisse alla moglie Flavia che gli parve di essere diventato “un di quei paladini che andavano in quei palazzi incantati”. Il soggiorno del signore di Bracciano fece una buona impressione agli inglesi. Shakespeare omaggiò la sua passione per la musica raffigurandolo nel Duca Orsino de “La Dodicesima notte”2. In Italia invece gli fu contestato di avere intrattenuto colloqui troppo cordiali con gli anglicani scomunicati e di avere avuto una buona dose di ingenuità nell’omaggiare Elisabetta che, con malizia, aveva colto al volo l’occasione per mettere in imbarazzo le autorità cattoliche romane, tramite il cugino della regina di Francia. Dopo aver lasciato l’Inghilterra, l’Orsini raggiunse Gand e si diresse a Anversa dove arrivò verso metà febbraio. Qui si trattenne per buona parte del mese successivo, sofferente per i dolori della gotta. Tra marzo e aprile soggiornò a Bruxelles e a Nancy. A maggio ritornò a Firenze. ra aveva 68 anni, era stanca e vicina alla fine e tuttavia apprezzò la novità. Tramite il segretario di stato Robert Cecil e il ciambellano George Carey, fece sapere al duca di Bracciano che gradiva “la sua venuta più di ogni altro cattolico che sia mai arrivato nel suo regno”. Virginio pertanto, il 16 gennaio 1601, fu alloggiato a palazzo e accolto con pompa nelle belle sale piene di gentiluomini e gentildonne, di ufficiali della Corona, di cavalieri “della giarrettiera”, tutti vestiti di bianco, “com’era quel giorno tutta la corte” e con tanto oro e gioie “che era cosa meravigliosa” a vedersi. I nobili inglesi parlarono con lui in italiano e nella nostra lingua fu accolto da Elisabetta, pure lei vestita di bianco, “con tante perle, rubini e diamanti”, che il visitatore si domandò come potesse portarli. Fu anche ammesso alla tavola di Sua Maestà, in una sala adornata di arazzi d’oro, e accompagnato dall’ammiraglio Charles Howard conte di Nottingham, nominato maggiordomo maggiore per quel giorno. Dopo cena invece visitò l’appartamento reale e in una sala il segretario Cecil gli fece salutare alla francese tutte le dame titolate (baciare le dita, le lab-

bra e abbracciare la vita). Accompagnò poi la regina nella sala pubblica al suono di musica trionfante. Assistette quindi a un ballo e a una commedia ed ebbe il permesso di stare a capo coperto, cioè con il cappello. Non volle tuttavia sedere su uno sgabello, nonostante Elisabetta glielo avesse ordinato più volte. Qualche giorno dopo la regina lo convocò per concedergli l’udienza privata che desiderava e ballò davanti a lui la “gagliarda”, in segno

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Note 1 Sugli Orsini segnaliamo: G. Brigante Colonna, Gli Orsini, Milano 1955, pp. 249 e ss.; G. de Miranda, Giambattista Marino, Virginio Orsini e Tommaso Melchiorri in materiali epistolari inediti e dimenticati, in «Quaderni d’italianistica», vol. XIV, n, 1, 1993; V. Celletti, Gli Orsini di Bracciano. Glorie, tragedie ..., Roma 1963; V. Orsini, Un paladino nei palazzi incantati, a cura di R. Zapperi, Palermo 1993; Libro d’oro della nobiltà mediterranea, in www.genmarenostrum.com, a Orsini-Bracciano. 2 La Twelfth Night (Dodicesima notte) di Shakespeare inizia proprio con Duke Orsino: - If music be the food of love, play on …(Duca Orsino: Se la musica è nutrimento dell’amore, suonate ancora …).

Marcus Gheeraerts il giovane, Ritratto di Elisabetta I (The Ditchley portrait), circa 1592, Londra, National Portrait Gallery. Castello Orsini Odescalchi sul lago di Bracciano, oggi; da: www.tesorintornoroma.it.


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storia/e

l’antica madre di noi Trojai Vania Di Stefano

Hans Barth, Osteria copertina Il campo di Mariano vicino piazza San Giovanni di Dio

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n serissimo e sobrio comico toscano ha di recente detto che “noi Trojai del XXI secolo”, perduta la guerra della modernità, dobbiamo cercare l’Antica Madre, come fecero i Troiani, ma senza viaggiare; infatti la Madre l’abbiamo già (messa) sotto i piedi, avvelenata,

saccheggiata, ma miracolosamente ancora viva come la conobbe e l’amò Pasolini nel Friuli, come la vidi e l’amai io nella campagna romana di Monteverde Nuovo, che nel 1950 era immune dal cancro dei palazzinari, peggiori dei buzzurri stupratori di vigne calati sulla sfortunata neocapitale, complici un ingenuo Garibaldi e il caduco regno Sabaudo. Se per un attimo dimentichiamo il mortifero Duce – pace all’anima sua e a quella del guardiamarina Ardengo Manzella, coraggioso cugino materno sepolto nel sottomarino Corallo affondato nel 1942 – a questa Antica Madre piacquero sia la battaglia del grano, densa di fascino poetico, sia il riscatto delle paludi pontine, frutto di una storica tenacia, che occorre ritrovare. Come populus infante, orfano del senatus, ci dobbiamo svezzare da soli, senza tradire la mitologica genitrice. Dovremmo farlo da Italiani, protagonisti di un Expo forse non ancora percepito come salvifico

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(l’avrei sottotitolato Ritorno al f... rutteto / ...rumento), ma eccellente e quasi perfetto, se avesse adottato come insegna ammonitrice quel mezzo foglio verde chiamato “tessera annonaria”, che consiglio di esporre in ogni casa. Porta la data del 1949 e mi nutrì attraverso Myriam Manzella, mia antica madre (91 anni il 24 settembre): latte, pane e soporifere cantilene, propedeutiche alla vita: “l’uccellino ch’era nel bosco / è caduto dentro al fosso, / se non c’era l’acqua chiara / l’uccellino s’annegava”. Dopo il latte e il pane venne la frutta che – lo confesso e chiedo perdono – rubai talvolta nel campo di Mariano vicino piazza San Giovanni di Dio, dove finiva Roma e iniziava un Olimpo di mandorli, fichi, grano, carciofi; ciò spiega perché non sopporto le noci californiane, le arance sudafricane ecc. Nel 2011 il 150° anniversario dell’Unità Italiana è stato un fiasco di chiacchiere. Avrei preferito lo fosse


di Brachetto, Chianti, Frascati, Nero d’Avola (l’elenco geografico-alfabetico simboleggia l’unità; chiedo indulgenza per gli eccellenti omissis). Andò meglio nel cinquantenario del 1911, quando i Tedeschi si godettero l’Urbe nella Esposizione Internazionale di Roma, avendo come Führer, fresco di stampa, la seconda edizione del libro di Hans Barth (1862-1928), Osteria. Kulturgeschichtlicher Führer durch Italiens Alessandra Ilii, 1935

Schenken vom Gardasee bis Capri, “Guida storico-culturale attraverso le osterie dell’Italia dal lago di Garda fino a Capri” (prefazione di Gabriele D’Annunzio!). Non so se vi sia stato un secondo volume vom Capri bis Sizilien, vi furono invece due guerre mondiali, l’ultima delle quali ci ha ridotto in schiavitù (penso con malinconia al centenario del 1961, celebrato al ginnasio Luciano Manara con un patriottico libretto ministeriale). Avverrà un miracolo se la rivoluzione dell’Expo sarà capace di farci tornare liberi contadini, solidali e coltissimi in tutte le discipline universitarie, orgogliosi e affrancati dall’ingiustizia e dalla burocrazia (le due facce della morte), consapevoli che questa fottuta civiltà occidentale, esportata e scopiazzata, nacque in Grecia, ma crebbe con Roma in

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Italia e si è anche fatta paesaggio, inebriante paradiso (che vuol dire “giardino”), cui molti tendono anche a rischio di affogare. Sto sognando, lo so, come si addice ai vivi che in qualche modo si salveranno perché conoscono e rispettano la Storia. Dedico queste righe alla mia perduta suocera Alessandrina Ilii (19162009), coraggiosa, forte, saggia contadina abruzzese divenuta cittadina romana per necessità, ma rimasta sempre ricca di quei saperi quotidiani che assicurano la salute del corpo, la pace dell’anima e l’immortalità della discendenza. Brindo a lei e a Barth, che riposa con la moglie presso la Piramide Cestia sotto una lapide che proclama: Rom du bist eine Welt, wir sind Pilger und Fremdlinge, “Roma tu sei un mondo, noi siamo pellegrini e stranieri”.

Carta annonaria 1949



STORIA

un “tomista”

beatificato Mons. Pio Alberto Del Corona

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ons. Pio Alberto Del Corona (Livorno 5 luglio 1837 - Firenze 15 agosto 1912) già vescovo di San Miniato dal 2 febbraio 1897 al 30 agosto 1907, data in cui fu nominato arcivescovo titolare di Sardica, antico nome dell’attuale Sofia in Bulgaria, è divenuto Beato il 19 settembre 2015, per un miracolo attribuito alla sua intercessione. La beatificazione è l’atto con cui la Chiesa riconosce l’ascensione di un defunto al Paradiso e la conseguente capacità di intercedere a favore dei fedeli che lo pregano. A prescindere dagli aspetti religiosi, il Del Corona ricoprì un fondamentale ruolo di rivalutazione e diffusione del tomismo, sulla scia di quanto impartito dal Papa Leone XIII, il quale nell’enciclica Aeterni Patris del 1879 affermò che la maggior parte degli errori di quel tempo nasceva dalla diffusione di teorie filosofiche false e anticattoliche e che se si voleva porre un freno a tanta dilagante immoralità, era opportuno recuperare il rigore della filosofia di Tommaso d’Aquino, tornando a insegnarla nei seminari e nelle universi-

tà cattoliche. Nel XIX secolo si verificò sostanzialmente una straordinaria riscoperta del pensiero di Tommaso da parte della Chiesa Cattolica, in quanto si vide la possibilità di utilizzarlo come strumento di dialogo, proficuo e non sminuente, con i pensieri diversi che la modernità stava facendo emergere. Il Del Corona contribuì alla diffusione della teologia tomistica sulla scorta della filosofia razionale e della patristica, cioè della filosofia cristiana dei primi secoli. In maniera entusiastica e poetica egli presentò San Tommaso nella sua luce più vera, togliendo con la convinzione delle idee e la chiarezza dell’esposizione quanto poteva rendere meno attuale la forza, l’unità e lo stile potente dell’Aquinate. Il Del Corona fu maestro di questa dottrina filosofica, sapendo attrarre l’attenzione degli uditori, fino a condurli quasi in un colloquio più divino, che umano. Sulla scia di San Tommaso, che imparò l’arabo per leggere in lingua originale le opere di Aristotele, note durante il Medioevo per la traduzione e l’interpretazione del filosofo arabo Averroè, il Del Corona non si accontentava che i discepoli acquistassero le nozioni per una traduzione semplice, ma addirittura apprendessero dalla fonte ebraica diretta il pensiero divino, entusiasta di poter leggere e capire la stessa lingua del Redentore. Infatti, il suo allievo Mons. Guido Rossi, presbitero dal 1910 e già Proposto della Cattedrale di San Miniato, conosceva perfettamente l’ebraico. Il Del Corona pubblicò la traduzione della Catena aurea (Savonae, ex tipografia A. Ricci, 1890, 6 volumi) e la Catena d’oro di San Tommaso d’Aquino (San Miniato e Firenze, Tipografia Domenicana di Firenze Via Ricasoli 63, 1902-1910, in 10 volumi). Quest’ultima rappresenta

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una magistrale traduzione del com- Fernando Prattichizzo mento ai quattro Vangeli, messo insieme dall’Aquinate, con passi derivanti dai padri greci e latini. In una lettera del 1° ottobre 1928 all’amico Giovanni Papini, lo scrittore Domenico Giuliotti affermava di aver letto «La Catena d’Oro di s. Tommaso (dieci volumi!), tradotta – e bene – da Monsignor Del Corona, la quale non è altra cosa se non un gigantesco e sfolgorante commento – versetto per versetto – ai quattro Evangeli, messo insieme dall’Aquinate, con passi da lui tolti a tutti i Padri greci e latini. T’immagini lo splendore di questa, davvero, Catena d’Oro? Se non la conosci (come forse è possibile, non avendotene mai sentito parlare) ti consiglio e ti prego di comprarla; forse alla Fiorentina (dove l’ho trovata per caso) ce n’è qualche altra copia; e una inesauribile miniera di diamanti non costa che sole venti peciose lire! ...Tuo tuissimo, benché povero poverissimo, Domenico».

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storia

il campanile che bel segno aereo svetta su Peccioli!

Irene Barbensi

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l campanile è simbolo di una piccola comunità sociale, di un agglomerato urbano ma anche il più importante riferimento visivo del paesaggio; rappresenta quindi anche i suoi abitanti e per Peccioli il campanile del Bellincioni è un segno forte della tradizione paesana. Percorrendo la strada che da Pontedera porta a Volterra risulta chiaro come il campanile di Peccioli non poteva che diventare simbolo per la

sua gente. Il suo profilo e la sua forma atipica svettano sugli altri edifici del paese, rendendolo immediatamente riconoscibile e un unicum nel panorama collinare pisano. Il campanile che si affaccia sull’attuale piazza del Popolo è opera dell’arch. Luigi Bellincioni. La struttura della torre campanaria dalla forma singolare occupa una posizione inconsueta, dal momento che l’entrata al campanile è opposta alla facciata della chiesa propositurale dedicata a San Verano e risalente al XII secolo. Luigi Bellincioni nel corso della sua attività di architetto ha progettato ben otto strutture campanarie, distribuite nel territorio della Valdera e della Val di Cecina, che sono riprodotte su una tavola pubblicata sulla rivista Ricordi di Architettura del 1899, serie II, vol. V parte moderna, tav. 35. Il campanile di Peccioli è il risultato di un intervento di rifacimento e sopraelevazione della precedente torre di impianto romanico-pisano costru-

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ita contemporaneamente alla chiesa attigua. Sono rimaste pochissime testimonianze dell’originario aspetto della torre campanaria, la più interessante è sicuramente quella presente nel dipinto, datato 1854, raffigurante San Verano, attribuito ad Andrea Sorbi e conservato all’interno della pieve. Nel dipinto un angelo offre un modello di piazza del Popolo a San Verano per ringraziarlo di aver debellato la peste a Peccioli. Il campanile di Peccioli è un edificio di 42 metri d’altezza coperto da una pietra scura bocciardata proveniente dalle cave di Montecatini Val di Cecina, la selagite, una pietra di origine vulcanica che si distingue per la notevole resistenza agli agenti atmosferici. La torre, lavoro architettonico iniziato nel 1885 e giunto a conclusione 13 anni dopo, nel 1898, è stata oggetto di controversie e battaglie culturali condotte da tecnici e storici del tempo. Alcuni ritenevano l’opera ardita e moderna, altri al contrario legge-


vano il risultato come qualcosa di irrispettoso nei confronti dei canoni stilistici dettati dalla pieve romanica ad esso affiancata. Nota fu quella riportata sui giornali dell’epoca con il prof. Pasquale Faldi, il quale asseriva, e molti pecciolesi concordavano con lui, che lo stile utilizzato dal Bellincioni «mal si sposava con l’architettura romanza che l’antica chiesa conservava». La risposta a tali accuse venne data dal Bellincioni con una lettera inviata al direttore del giornale Arte e storia datata 4 marzo 1885. L’ingegnere tiene a precisare «che la prima parte inferiore della torre corrisponde a quanto già esiste con le sole modificazioni della porta d’ingresso e l’applicazione dello stemma e quadrante dell’orologio. Se superiormente al terrazzino di coronamento ho costruito un finale piramidale a pinnacolo, lo è stato per mantenere in quel punto la memoria della guglia attuale, divenuta quasi caratteristica di quel paese, sicuri che i pinnacoli non si usano nel solo stile ogivale ma anche in quello romanzo come attestano i molti antichi edifici di questo stile». In questo modo il Bellincioni giustificava le proprie scelte progettuali, che fanno del campanile di Peccioli una delle sue opere più caratteristiche, per la forma da lui adottata e il colore derivante dalle pietra arenaria molto scura in contrasto ai conci di verrucano della chiesa di San Verano. Si racconta, inoltre, che durante il

periodo di costruzione del campanile del Bellincioni molti volontari pecciolesi, muniti di carro, si recarono nella brulla Montecatini Val Di Cecina per caricare i pesanti conci di pietra grigia impiegati per la costruzione dell’imponente torre. Per rendere meno costoso il prezzo della cava, alcuni pecciolesi pensarono di effettuare un singolare baratto. Cominciarono a dissodare, nella campagna di Peccioli, delle zolle di terra ricche di folta erba (le pellicce

appunto) da portare come merce di scambio. Per questo motivo la torre campanaria di Peccioli è conosciuta come il campanile di pellicce.

Il campanile in cifre: 42 mt in altezza, 158 scalini di cui 53 nella parte elicoidale, 1885 anno di inizio dei lavori di rifacimento, 1898 anno della loro conclusione, 1266 data della campana presente nella prima cella campanaria (lato sud). Per visitare il campanile rivolgersi all’Ufficio di Informazioni e Accoglienza turistica di Peccioli, in Piazza del Popolo 5.

Andrea Sordi (attr.) San Verano, particolare, 1854 Pieve di San Verano Peccioli

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STORIA

the queens of records Domenico Savini

La carrozza reale con a bordo la Regina Vittoria attraversa le strade del centro di Firenze per raggiungere Villa Palmieri. Dietro il corteo si vede piazza del Duomo con il Battistero.

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’era una volta… la principessa Vittoria, nata il 24 maggio 1819 a Londra e dal 20 giugno 1837 Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, poi Imperatrice dell’India nel 1876. Muore, il 22 gennaio 1901. Ha regnato per oltre 63 anni. La Regina ammira l’Italia e trascorre tre periodi di vacanza a Firenze: 1888, 1893, 1894. Il primo arrivo, preannunciato nella “Cronaca Cittadina” del giornale «La Nazione», suscita viva curiosità tra i fiorentini e i numerosi inglesi residenti a Firenze, dove la Sovrana arriva alle ore 13 del 24 marzo. Alla stazione è accolta dall’Ambasciatore di Gran Bretagna Sir Clare Ford, dal Console d’Inghilterra Colnaghi e dal sindaco Marchese Torrigiani. Il principe Emanuele Filiberto duca d’Aosta rappresenta il Re Umberto di Savoia. (Il treno reale è composto da 13 vagoni). La carrozza della Regina, e quelle del numeroso seguito, attraversano il centro storico di Firenze tra due siepi di folla plaudente. Le vetture sono dirette a Villa Palmieri, dove la Regina alloggerà. Lo storico edificio si trova al

culmine della salita di via Boccaccio, allora pressoché campestre, prossima al collinare borgo di San Domenico di Fiesole. La villa si chiamò nei secoli Schifanoia e Fonte de’ Tre Visi. Ebbe risonanza per avere ospitato – o ispirato – Giovanni Boccaccio durante la terribile pestilenza del 1348. Nella descrizione del giardino fatta nel prologo della “terza giornata” del Decamerone, la si riconobbe tradizionalmente come villa Palmieri. La villa dòmina un vasto parco ed è stata restaurata nel 1874 dal nuovo proprietario conte di Crawford e Balcarres. La splendida residenza corrisponde perfettamente al desiderio della Sovrana di trascorrere un periodo di riposo, in contatto con la realtà storica e artistica di Firenze. Durante il soggiorno Vittoria visita il parco delle Cascine, la Galleria degli Uffizi, il cinquecentesco Giardino di Boboli. Quasi tutti i giorni scende in città trasportata dal favorito landau, con il mantice abbassato. Spesso disegna i dintorni della villa, di Fiesole e di Castel del Poggio. Da una finestra della Loggia del Bigallo assiste, in piazza del Duomo, al tradizionale Scoppio del Carro. Il 5 aprile raggiunge la basilica di Santa Croce per ammirare le numerose opere d’arte ivi contenute. Nella stessa mattina, arrivano a Villa Palmieri Re Umberto e la Regina Margherita per porgere i loro omaggi alla Sovrana, che nel pomeriggio ricambia raggiungendoli a Palazzo Pitti, dove ammira le preziose collezioni d’arte conservate nella Reggia medicea. Le visite continuano senza sosta: alle colline di Bellosguardo, che circondano, a meridione, Firenze, dove il parco e la Villa di Bellosguardo ricordano i soggiorni di Galileo e di Ugo Foscolo;

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poi alle monumentali Tombe dei Medici nella basilica di San Lorenzo e alla chiesa di Santa Maria Novella. Il 13 aprile il landau di Vittoria percorre, senza scorta, il viale dei Colli, con frequenti soste, per poi scendere lentamente verso la medioevale Porta di San Niccolò. Il 15 raggiunge il Castello di Vincigliata per disegnarne i dintorni nel suo piccolo album. Il 19 è la volta della villa del Poggio Imperiale, ancora circondato da un folto bosco, poi raggiunge il vicino Pian dei Giullari per visitare la chiesa di S. Margherita a Montìci. Ovunque può ammirare, all’infinito, le distese dei coltivati a olivi, le vigne, gli austeri cipressi, così caratteristici della campagna fiorentina. E laggiù in fondo, a nord-ovest, si scorgono le cime più alte della Montagna Pistoiese e quelle delle Apuane. Sosta per ammirare il panorama di Firenze che si stende sotto il piazzale Michelangelo. Da qui, si dirige alla vicina collina ove sorge la millenaria basilica di San Miniato.


Il soggiorno della Sovrana si conclude nel pomeriggio del 21, con una visita al vasto parco e alla villa di Pratolino, sulla via Bolognese. L’ora del commiato si avvicina. La Regina parte dalla stazione ferroviaria di Firenze il 22 aprile, ovunque festeggiata. E in suo onore, su proposta del sindaco Torrigiani, la Giunta Comunale delibera di intitolare “Regina Vittoria” il viale rettilineo che da piazza San Gallo (l’odierna piazza della Libertà) il landau reale percorre per scendere in città o per tornare a Villa Palmieri (dal 1947 è dedicato a don Giovanni Minzoni). Ma in cuor suo la Sovrana spera di tornare a Firenze, che raggiunge dopo cinque anni, nel 1893. Il treno reale arriva a Pisa nel pomeriggio del 23 marzo e alle 17,10 alla stazione di Firenze, atteso dalle autorità cittadine e da alcune nobildonne. La festosa accoglienza dei fiorentini “è degna di un popolo d’alto e gentile sentire”. Le carrozze traversano il centro cittadino dirette al quartiere delle Cure. Salgono lentamente via Boccaccio e finalmente raggiungono Villa Palmieri dove la Regina viene salutata con deferenza da Lady Crawford, dal Prefetto conte Capitelli e altre personalità. La Sovrana ripete il precedente programma. Il 29 visita la Galleria Palatina di Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli. Interessata com’è alle tradizioni locali vuole assistere, la sera del Venerdì Santo, alla famosa processione del Redentore organizzata dalla chiesa di San Felice a Ema. Il landau con la Regina a bordo arriva scortato dai carabinieri a cavallo e sosta sul piazzale antistante la chiesa, circondato dalle altre vetture. La tradizionale processione, che si snoda per un chilometro, è scortata dai figuranti vestiti da soldati romani. Nei giorni successivi la Sovrana visita la Torre del Gallo, nella zona del Pian dei Giullari, e la Villa di Pratolino. L’11 aprile la chiesa della SS. Annunziata. Il 13 aprile arriva a Firenze Re Umberto per rendere omaggio all’anziana Regina. Un’altra memorabile occasione per lei

è lo sfarzoso “corso dei fiori” organizzato in suo onore dalle famiglie nobili di Firenze. Il lungo corteo di carrozze scoperte addobbate con ghirlande di fiori percorre via Martelli, gira intorno al Duomo e prosegue per via del Proconsolo diretto in piazza Santa Croce. Da qui ripercorre via del Proconsolo verso il Duomo e via Cerretani, diretto in piazza Santa Trinita. Le carrozze così addobbate suscitano l’ammirazione della Regina, che, dalla terrazza a fianco del palazzo Medici, in via Cavour, segue la sontuosa sfilata. Nel programma figurano altre visite: alla villa La Petraia e nuovamente alla Basilica di Santa Croce. Inoltre, è da ricordare la gita a San Gimignano (raggiunta col treno fino a Poggibonsi), dove Vittoria sale in cima a una delle torri per ammirare il panorama. Altre fugaci visite ce la ricordano alla Manifattura delle porcellane di Doccia, al Museo di San Marco e nuovamente al Giardino di Boboli. Giunge così anche la fine del suo secondo soggiorno fiorentino. Salutata dalle autorità e applaudita entusiasticamente dalla folla, Vittoria parte il 26 aprile. Il terzo e ultimo soggiorno di Vittoria a Firenze avviene appena trascorso un anno dal secondo: nel 1894, a cominciare dal 15 marzo, quando il treno reale entra nella stazione alle 15,15 precise. La Regina è attesa dal Duca d’Aosta, in rappresentanza del Re Umberto, da altre personalità e dal Sindaco marchese Torrigiani. Il “landau” scoperto della Regina si dirige, seguìto dalle altre carrozze e dalla scorta dei Carabinieri a cavallo, verso la suburbana Villa Fabbricotti (nell’odierna via Vittorio Emanuele II), posta sul colle di Montughi, scelta perché più vicina alla città. Fiori e bandiere appaiono ovunque, allestiti in onore dell’augusta ospite. Tre ore dopo il suo arrivo Vittoria chiede di essere condotta al piazzale Michelangelo. Nonostante l’espresso desiderio di dedicare più tempo al riposo, non rinuncia a percorrere le

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strade del centro cittadino. Attraversa il Ponte Vecchio, ovunque riconosciuta e applaudita, per spingersi fino al cimitero degli Allori, sulla via Senese. Il programma prevede visite alle ville medìcee di Careggi, a La Petraia e alla villa del collezionista inglese Federico Stibbert, il cui parco confina con quello di Villa Fabbricotti. Ridotto il numero delle udienze e dei pranzi ufficiali, finalmente la Regina può dedicare più tempo al riposo. Poiché ama la musica, non può rinunciare all’ascolto di musica classica e di brani d’opera lirica, spesso eseguiti al pianoforte dal maestro Buonamici. Ma l’unico vero suo desiderio è quello di visitare le ville e i giardini allora più famosi: ancora le Cascine, poi Villa La Pietra sulla via Bolognese. Visita nuovamente le collezioni d’arte di Palazzo Pitti e il Giardino di Boboli, poi la chiesa del Carmine con gli affreschi di Masaccio. Al maestro Pietro Mascagni, ricevuto il 6 aprile a Villa Fabbricotti, la Regina ricorda una esecuzione di “Cavalleria rusticana” nel Castello di Windsor, con la partecipazione di un altro famoso compositore: Francesco Paolo Tosti, autore di celebri “romanze”. La Sovrana chiede a Mascagni di suonare al pianoforte alcuni brani di “Cavalleria” e per meglio seguirne l’esecuzione, siede accanto a lui. Infine, il 18 aprile 1894 la stampa inglese informa: “La Regina Vittoria è partita da Firenze ove fece un soggiorno graditissimo”.

Elisabetta II è il Sovrano inglese ad aver regnato più a lungo. Alla sua trisavola Regina Vittoria spettava il record assoluto di permanenza sul trono. Elisabetta II è sul trono dal 6 febbraio 1952 ed è stata incoronata a Londra il 2 giugno 1953. Il 9 settembre 2015 ha raggiunto i 63 anni e 217 giorni di regno, superando così il record dall’antenata.


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Castello di Gabbiano

itinerari

eno-hospitality granducale

Carmelo De Luca Carlo Ciappina

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ulla collina grevigiana coperta da vigneti, cipressi, olivi forzuti, il Castello di Verrazzano domina fiero intorno a quell’arcinota architettura naturale chiamata Chianti Classico. La sua torre millenaria si lascia coccolare dalle postume costruzioni rinascimentali poggianti sopra possenti mura difensive e dal curato giardino all’italiana. Tutto intorno lo spazio sconfina tra uve generate dai nobili vitigni Sangiovese, Merlot, Canaiolo, Cabernet Sauvignon, Colorino con intrusioni di Trebbiano Toscano, Traminer, Malvasia lunga Poggio Torselli

chiantigiana. Dimora del navigatore Giovanni, il maniero porta sentita riconoscenza alla famiglia Cappellini per averlo restituito agli antichi fasti, le cui cinquecentesche cantine proteggono quel vino rosso rubino effigiatosi del blasone col vanitoso “Pennuto Nero” amorevolmente custodito nelle botti in rovere, mentre quercia e nuove barriques si inebriano degli intensi profumi emanati dalla Riserva, Gran Selezione Sassello, Supertuscan Bottiglia Particolare. Qualora vogliate godere questo paradiso, la foresteria Casanova vanta camere matrimoniali superaccessoriate ed appartamenti circondati da ridenti vigneti ed un bosco riecheggianti storie d’altri tempi. Tenuta, archivio storico, prodotti trovano nella Fondazione Verrazzano il promotore privilegiato, supportato dal board scientifico internazionale dedito alla ricerca nella politica agroalimentare, paesaggio, ambiente tra cultura europea ed americana idealmente collegate dal dialogo intellettuale.

Nella vicina San Casciano, un’amena collina protegge Villa Torselli così bella da effigiarsi col titolo di regina tra le storiche dimore presenti in quel nobile territorio. Trionfo barocco toscano, la struttura racchiude affreschi, volte, marmi, saloni, cappella gentilizia, dipinti antichi, mobilio d’antiquariato. L’esterno strabilia in magnificenza per lo splendido giardino all’italiana arricchito da giochi d’acqua, bulbi profumatissimi, piante rare, invitante piscina. Insomma, uno scrigno di arte, cultura, natura, enogastronomia eccellente. Ebbene sì, nella attigua azienda agricola vengono alla luce splendidi rossi, nitido olio, miele, grappa, preziosi nettari fregiatisi di ambiti riconoscimenti, basti menzionare le etichette Chianti Classico, Chianti Classico Riserva, Tieri del Fula, Raniero, Monna Aldola, Lambertesco, Olio Dop Chianti Classico, Grappa del Chianti Classico Riserva, Vin Santo del Chianti Classico. Il tour tra aristocratiche dimore Castello di Verrazzano

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prosegue nelle vicinanze, presso il quadrato maniero di Gabbiano, simmetricamente turrito alla francese come una vezzosa principessa d’alto lignaggio. Auguste sale immergono l’ospite nella storia plurisecolare della dimora coniugante glorioso vissuto, confort, raffinatezza, informalità, eccellente gastronomia grazie alla sua nuova vocazione ricettiva da gustare anche nell’annesso chiostro e giardino sorseggiando un aperitivo o dopo un rilassante bagno in piscina. Al riposo sono addette ben 11 confortevoli camere ubicate nel castello che fu della potente famiglia Bardi e gli accessoriati appartamenti ricavati nella cinquecentesca colonica. Naturalmente il Nero Pennuto trova degna ospitalità nelle sue cantine, avvolte in un silenzio magicamente irreale, custodi di vini nascenti da vitigni prevalentemente autoctoni, facilmente riconoscibili perché franchi e puliti nel gusto. Alleanza I.G.T., Bellezza Chianti Classico DOCG

suoso hotel, perfetto melange tra stile rinascimentale ed accostamenti neogotici, immerso nel giardino a terrazze con invitante piscina perfettamente circolare. I suoi cultori possono contare su confort superlativo e blasonate etichette Chianti Classico DOCG, Chianti Classico Riserva DOCG, Toscana IGT, che potrete anche degustare presso l’antico convento di S. Domenico, trasformato nella House del Chianti Classico grazie all’efficiente Consorzio, una vera mecca per il life style ideato dalle blasonate etichette consorziate, vanto del vino italico nel mondo. Purtroppo la struttura andrà in letargo proprio nel mese di ottobre per svegliarsi nella tarda primavera tra calici di corposo rosso rubino, ottima cucina dedicata alla tradizione toscana, tantissime iniziative sportivo-culturali. Spostata fuori dai confini chiantigiani, Mercatale Valdarno ospita fiera quell’aristocratico palazzo settecen-

Grand Noir Toscana IGT, Toscana IGTLa Cattura, nettari color rubino dal gusto delicatamente fruttato e dai profumi inebrianti. Naturalmente non lasciatevi sfuggire l’attigua tenuta di Ceppiano, perfetta simbiosi tra vigne costiere producenti Violetta Toscana IGT, Alle Viole Toscana IGT, Chianti DOCG, nuova cantina per la vinificazione, sontuosa Villa sede della Fondazione, i cui augusti saloni ospitano una incredibile collezione di quadri, sculture contemporanee, eventi culturali. I signori Castellani saranno ben lieti di congedarsi presso l’efficiente sede madre di S. Lucia, magari dopo una capatina sempre in terra pisana tra Tenuta di Burchino e Fattoria Travalda.

Farmacia Soldani Savini

Gran Selezione, Chianti Classico DOCG, Chianti Classico DOCG Riserva raccontano alcune eccellenze made in Tuscany partorite dal rigoglioso tappeto di vigneto avvolgente l’arcigno Castello. Se impazienti, causa peccati di gola, questi preziosi nettari potrete gustarli nel raffinato ristorante ospitato in una colonica secolare, su in cima alla collina tra fiori e verde quasi fiabesco, dove lo chef Francesco delizierà il palato con ricette della genuina tradizione toscana e non solo grazie ai teneri prodotti a Km zero. Riprendiamo il viaggio, direzione Radda, per raggiungere la scenografica Tenuta Campomaggio, settecentesco borgo rurale con annessa cantina in pietra locale ospitante nobili vini Chianti Classico generati dal fertile terreno in calcare, galestro, alberese. Gestito dalla famiglia Castellani, il fiabesco abitato vanta la villa padronale trasformata in lus-

Campomaggio

tesco, luogo di delizie per dame e galantuomini che nella profumeria e cosmetica al naturale riscontrano degno status symbol. Qui, una armoniosa profumazione speziata avvolge la blasonata farmacia Soldani Savini con i suoi ambienti officinali dal sapore antico, salotto medicinale e lounge dove un bicchiere di buon Chianti convive con ottimi prodotti per la pelle, contraddistinti dal logo Il Signore di Campagna, viaggio speziatissimo tra essenze e fragranze. Ritorniamo in casa Castellani rammentando che Campomaggio non è soletta nel primeggiare in tema enoarchitettonico ed il crespinese vigneto di Poggio al Casone ne rappresenta il ligio guardiano ai leopoldini casolari e alla scenografica dimora padronale, divenuti elegante Resort agrituristico con annesso centro per la sperimentazione viticola. Qui vengono al mondo preziosi vini Chianti Superiore DOCG, Chianti Riserva DOCG, Toscana IGT,

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Poggio al Casone

House del Chianti Classico


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CARTOLINE

Paolo Pianigiani

Foto Alena Fialová

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Telč S

iamo in Repubblica Ceca, al confine fra la Boemia e la Moravia, in un luogo assolutamente magico e fuori dal tempo. Secondo una leggenda locale, la fondazione di Telč risale al 1099, dopo la vittoria del duca moravo Ottone II contro il duca ceco Břetislav. Si dice che in memoria della battaglia il vincitore in primo luogo abbia fondato una cappella, poi una chiesa, quindi un intero paese, che corrisponde al centro storico di oggi. La

città ha iniziato ad espandersi dopo il 1354, da Carlo IV le fu concesso il diritto di eseguire sentenze capitali e di tenere mercati annuali. Essendo costruita in legno, ha subito devastanti incendi; nel 1386 tutta la metà occidentale della piazza, tra cui la chiesa e il municipio, sono stati distrutti. è stata anche al centro di scontri, per le ribellioni degli hussiti. Ma fu con l’arrivo di Zachariáš di Hradec, al quale oggi è intitolata la piazza, che Telč ha cominciato ad avere l’aspetto di oggi. Questo magnate illuminato e ricchissimo (anche grazie alla matrimonio con Kateřina di Wallenstein) rinnovò notevolmente il castello gotico, trasformandolo in un castello in stile rinascimentale. Maestranze italiane furono invitate al castello per aiutare i borghesi a ricostruire le abitazioni gotiche in case bellissime, con le facciate decorate e i portici. Allo stesso tempo, furono costruite

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pa

la rete idrica e il nuovo ospedale. Fu dato impulso all’attività di allevamento dei pesci, sfruttando al meglio la presenza degli stagni. Il maniero, costruito originariamente in stile gotico, nella seconda metà del XVI secolo venne riedificato secondo i dettami rinascimentali, che ne fanno una delle strutture più grandiose del genere. Autore del progetto fu l’architetto svizzero Baldassarre Maggi, attivo nella seconda metà del ‘500 e nel primo ‘600, al servizio della nobiltà ceca. Proveniente da Arogno, nel Canton Ticino, seppe coniugare lo spirito rinascimentale italiano con le tradizioni dei paesi dove ebbe ad operare. Fu molto apprezzato, in particolare dai signori di Rožmberk, per i quali a Český Krumlov ampliò il castello (dal 1575) e il collegio dei gesuiti (1586-88), ristrutturò il castello di Bechyně (1579-87) e la fortezza di Helfštejn (1580-84), e progettò la vil-


la Kratochvíle (1580-89, con Antonio Melana) e la chiesa dei Fratelli boemi a Lipník (1590-91). Per i signori di Hradec ampliò i castelli di Hluboká (l580-98), Jindřichův Hradec (158093, con Antonio Melana e Antonio Cometta). A Telč fu attivo negli anni dal 1575 al 1580. Questi luoghi, rimasti incontaminati per secoli, sono celebri anche grazie ai film storici, che a più riprese sono stati girati da queste parti. Uno per tutti, l’italianissima serie di Fantaghirò. Fino dal 1992 Telč è nella Lista dell’Eredità Mondiale Culturale dell’Unesco, grazie alla piazza unica e al Castello. Un riconoscimento importante, che ne garantisce l’integrità e la salvaguardia anche negli anni a venire.

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avventura

un viaggiatore toscano sulle due ruote 1

quante pedalate, Maurizio, da Bientina all’Iran?

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a maggior parte delle persone usa l’agile bicicletta per spostarsi in città e fuori. In genere si tratta di brevi percorrenze. Per molti, poi, funziona da rigeneratore di energia positiva. Tra esercizio fisico e rilassamento psichico, la pratica anche impegnativa della bicicletta è per loro un modo per ristabilire l’equilibrio “ecologico” compromesso dalla vita quotidiana. Sono infine un’elite i ciclisti di professione e quei cultori per i quali la bicicletta è un modo diverso, e diversamente inteso e finalizzato, di viaggiare. Un mondo variegato, dunque, quello sulle due ruote. In Italia certo non mancano i ciclisti dei quattro tipi ricordati, ma forse a causa d’un territorio per buona parte in salita, non si può dire che il viaggiar pedalando sia una fondata e diffusa cultura. Impossibile competere con paesi come l’Olanda, la Germania, la Francia. Là è normale, anzi una tradizione, spostarsi in bicicletta. Lo fanno anche le teste coronate e i politici di rango. Non a caso nelle loro città abbondano le corsie riservate ai ciclisti, mentre attrezzatissime piste consentono percorrenze extraurbane anche di centinaia di chilometri. Non è raro vedere lungo i perigliosi bordi delle nostre strade europei d’Oltralpe che visitano il “belpaese” pedalando su

Margherita Casazza

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1. Al confine italo-sloveno 2. I “segni” della guerra in Croazia 3. Alla frontiera croato-serba

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biciclette super accessoriate. Ma anche in quei paradisi della locomozione ecologica ad energia muscolare, non trovi poi una folla di adepti disposti e preparati a far scorrere sotto le ruote qualcosa come 4000 chilometri. Quelli macinati in solitario da un quarantaduenne toscano, diciotto giorni in sella dalla sua casa di Bientina a Teheran. Maurizio Gazzarri lavora alla Toscana Palletts di Franco Vierucci, che lo ha sostenuto nell’impresa. La sua giornata lavorativa non è leggera, ma egli trova il tempo e l’energia per lunghe nuotate nelle piscine dei dintorni, per mantenere caldi gli ingranaggi della bicicletta e per accudire una decina di grosse capre. In compenso, da anni trascorre le sue ferie in giro per l’Europa, in bicicletta. Mai, però, si era spinto così lontano, e con così

poco tempo a disposizione. Come e quando è nata la tua passione per i viaggi in bicicletta? Una volta, da piccolo, ero insieme a mia nonna quando vidi una signora olandese ferma sotto una pensilina. Aveva una bicicletta con borse e zaini. Domandai chi fosse e ne rimasi affascinato. Pensai che anch’io, da grande, avrei voluto viaggiare per il mondo in quel modo. Con il passare degli anni la bicicletta mi ha sempre affascinato, e l’ho usata regolarmente per i miei piccoli viaggi e il bisogno/piacere fisico del movimento. Quando poi mi hanno preso altre passioni e curiosità, come le cartine geografiche, le mappe stradali e le monete, ecco, è nata la voglia di mettere le due ruote della bicicletta ai percorsi che immaginavo di fare sulla carta. Nel 2002 decisi di cominciare andando in Basilicata. Partii, ma varie disavventure mi indussero a interrompere il viaggio in Campania. Decisi di riprovarci l’anno successivo, dedicando più tempo alla preparazione del percorso e alle cose necessarie e utili da portare con me. L’avventura riuscì, grazie allo studio e alla programmazione molto anticipati. Da allora è sempre stato così. Viaggi sempre da solo? Che tipo di bicicletta usi? Sì, viaggio in solitario. Ho sempre uti-


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lizzato una normale mountain bike da strada. Qual è il tuo corredo di viaggio? Porto il minimo indispensabile sia come abbigliamento, sia come attrezzatura di pronto intervento e riparazione della bici.

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Quale obiettivo ti poni a ogni partenza? Dal 2003 non mi sono più fermato. Ho percorso migliaia di chilometri in lungo e in largo attraverso molti paesi europei. Le mie scorribande non sono imprese sportive. Io mi sento un viaggiatore. Per me la bicicletta è uno dei mezzi più belli per girare e godersi il mondo, conoscere luoghi e persone nuove, interagire con le loro culture, comprenderle e rispettarle. Ogni viag-

gio è un’emozione diversa e un arricchimento di conoscenze. Racconta l’esperienza di questo viaggio fino a Teheran. Premetto che i giorni disponibili per il mio viaggio erano pochi e a termine fisso. Partito, dunque, con una bicicletta nuova, subito una difficoltà: a Pistoia si rompe il cambio e non può essere aggiustato. Un amico viene a prendermi e rientro a casa, ma non voglio abbandonare il mio sogno. Allora decido di staccare la vecchia bicicletta che mi aveva accompagnato negli altri viaggi, e il giorno dopo riparto. Un atto di fiducia e una scommessa che potevano compromettere tutto. Fortunatamente ogni cosa prosegue al meglio paese dopo paese: Italia, Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, Grecia, Turchia e finalmente l’Iran. In tutti sono stato accolto con cordialità dagli abitanti. Mi offrivano soprattutto tè e formaggio di pecora, chiedendomi di fermarmi un poco con loro. In questo viaggio ho visto paesaggi indimenticabili, città, chiese e moschee e altri monumenti, ma mi hanno soprattutto impressionato i territori devastati dalla guerra. Chilometri di desolazione. A distanza di venti anni dalla guerra dei Balcani, alcuni luoghi sono stati così profondamente feriti, da non riuscire a creare più nuova vita. Ho visto decine, centinaia di case distrutte una accanto all’altra, villaggi vuoti e cimiteri grandi come campi di calcio. È un’altra faccia della Croazia, meno turistica e forse anche dimenticata. Un giorno ho incontrato un sacerdote ortodosso, un pope: era un tipo schietto, e ha voluto benedire me e la mia bicicletta. In Turchia c’è un’eccellente viabilità. Ho percorso 1800 km in un’unica strada, mentre a Istambul, una metropoli densamente abitata, ho avuto come la sensazione di essere inghiottito dal traffico. Percorrendo l’Iran, ho visto una bandiera dai colori uguali alla nostra e questa immagine all’apparenza banale, per me che avevo percorso tutti quei chilometri ed ero arrivato fin là, è stata un’emozione forte. Ho pensato: ecco, ci sono! Ce l’ho fatta... Questo viaggio mi ha dato forti emozioni e ricordi splendidi. Voglio ringra-

ziare quanti mi hanno sostenuto. Specialmente Yusuf, Ariton, Mohamed, Aslan, Milena. Un grazie particolare al poliziotto iraniano che mi ha fatto entrare in autostrada per poter finalmente raggiungere Teheran. Un grazie a tutti coloro dei quali ho impressi nella mente i volti, anche se non ricordo il nome. Dimmi, per concludere, tre o quattro ragioni per cui intraprendi i tuoi viaggi, che penso consiglieresti anche ad altri. Le ragioni sono molto semplici. Intanto il piacere di andare in bicicletta e la conoscenza di terre nuove e culture diverse dalla nostra. Quindi la crescita umana e spirituale conseguente alla sfida con te stesso e i tuoi limiti, alle difficoltà da superare per uno scopo: raggiunge re un luogo fisico, che è in realtà l’affermazione di un valore. Infine la scelta di un’esperienza forte in controtendenza alla superficialità del modo di vivere attuale, estranea al conformismo che chiede comodità, consumismo, utilità, tecnologia, velocità di movimento e di comunicazione per viaggiare nel mondo sfiorandolo. La bicicletta ti porta in un mondo che ti rimarrà sempre dentro, e certo consiglierei a chiunque di inforcarla per mettersi in viaggio. Ma con una certa preparazione.

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4. Nel Kurdistan turco 5. Il pope bulgaro 6. Un territorio di confine tra turchi e curdi, due popoli antagonisti 7. Il monte Ararat dal Kurdistan turco 8. Il centro di Teheran

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intervista

paesaggi verdi come si costruiscono architetture vegetali Roberto Mascagni

Il paesaggista Saverio Lastrucci

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ncontro il paesaggista Saverio Lastrucci nel suo studio che apre le finestre davanti a un giardino. Da mezz’ora parliamo di alberi e di fiori, delle piante in genere e della loro funzione a seconda dell’utilizzo, comunque indispensabili per la nostra salute. Appena lontano da noi c’è Firenze, la città, coi suoi molteplici problemi, gemelli di quelli che assillano ogni agglomerato urbano: il transito veicolare, l’inquinamento atmosferico… Come potersi difendere? Saverio Lastrucci è socio AIAPP (Associazione di Architettura del Paesaggio) e svolge la sua attività di paesaggista IFLA (International Federation of Landscape Architecture) dal 1983. È iscritto alla Società Toscana di Orticoltura, e socio dell’Accademia dei Georgofili e dell’Accademia forestale.

Si è formato anche presso lo Studio del celebre paesaggista Pietro Porcinai. Ha realizzato l’arredo e il restauro di molti àmbiti urbani ed extraurbani, di giardini storici e di aree sportive. È autore di numerose pubblicazioni. Un paesaggista è un designer di spazi esterni basati sulla comprensione, sull’analisi e sulla progettazione; contribuisce allo sviluppo di interventi paesaggistici a scale diverse (grandi territori, comuni, quartieri, parchi, giardini, ecc.), partecipando, tra l’altro, all’ideazione urbana e del territorio. La sua attività professionale si chiama Architettura del Paesaggio o Paesaggistica. L’attività del paesaggista è trasversale alle varie discipline legate alla dinamica naturale (botanica, orticoltura, climatologia, geologia, geomorfologia, etc.) e alle dinamiche culturali (storia, urbanistica, architettura, ingegneria civile, sociologia, economia, etc.). Cosa significa essere o voler essere un Paesaggista? Il termine paesaggista, traduzione impropria dell’anglosassone landscape architect è alquanto riduttivo: in realtà, da chi non è addentro ai problemi legati all’ambiente, il paesaggista è visto come colui che si occupa della ristrutturazione estetica di un parco o di un giardino, del verde privato o pubblico, insomma. Ma il paesaggista non è certo solo questo, anzi direi che la cura estetica è soltanto una piccola parte del suo lavoro. Nell’accezione più ampia e corretta del termine, paesaggista è chi ha tutela dell’ambiente naturale, ovvero colui che alla luce di valutazioni rigorosamente scientifiche, che implicano l’attenta considerazione di tutte le variabili dell’ecosistema, del-

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le condizioni climatiche e geologiche e del patrimonio vegetale, faunistico e idrico, si occupa dell’assetto ambientale operando una serie di interventi a tutela della flora esistente o sostituendo a essa colture che siano più idonee allo sviluppo socio-economico dell’area in cui opera. Quali sono i settori sui quali può essere chiamato a intervenire il paesaggista? Molto ampia è la casistica d’intervento nella quale opera il paesaggista visto che il “verde”, pubblico e privato, necessita di una progettazione intesa a risolvere tutte quelle esigenze ecologiche, urbanistiche e sociali a cui deve assolvere. Si pensi ai parchi storici, ai viali alberati o ai giardini pubblici, alle aiuole spartitraffico, agli impianti sportivi (campi di calcio, piste ciclabili, pattinaggio, piscine, golf, ecc.), alle aree gioco attrezzate delle nostre città ove l’assente o scarsa attenzione progettuale provoca molti dei difetti qualitativi che si riscontrano in queste aree “verdi”. Nel settore privato il “verde” dei giardini condominiali, dei terrazzi, dei piccoli giardini chiusi fra gli edifici, delle ville moderne e storiche ecc. richiede grande competenza per rispondere alle diverse esigenze di godimento, di qualità e, non ultimo, di risparmio sia all’impianto che poi nella futura manutenzione. Con quali criteri si può o si deve gestire un bosco? Nel caso di un bosco questo può significare sacrificare gli alberi più vecchi per permettere a quelli giovani di crescere floridi; oppure studiare e tracciare dei percorsi che permettano di vivere e godere il bosco avendone rispetto e non danneggiando quelle zone che necessitano di cure partico-


lari o sono in rinnovazione. È sempre doloroso sacrificare un albero o della macchia verde? Sì, ma quando lo si fa secondo precisi cànoni di intervento si opera sempre al fine di evitare danni ecologici di più vasta portata e per migliorare l’ambiente stesso. Nel caso di giardini o parchi, cosa devono fare quanti si rivolgono a un paesaggista per una consulenza e una conseguente risistemazione di carattere anche estetico? Il godimento di uno spazio verde privato è tornato a essere un’emozione paragonabile a quella dei secoli d’oro in cui i giardini proprio per l’importanza che rivestivano nella vita quotidiana erano progettati da veri e propri artisti. Per questo motivo e grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico chi si rivolge a un progettista del verde può contare non solo sulla professionalità specifica per la costruzione di un piccolo ecosistema in armonia con il territorio circostante, ma anche su tutte quelle competenze tecniche che vanno dalla costruzione di impianti tecnologici (illuminazione, irrigazione, ecc.) e architettonici alla realizzazione di arredi personalizzati, fontane e giochi d’acqua o di impianti sportivi come piscine, tennis, golf, equitazione. Dunque, conviene rivolgersi a un esperto? Affidarsi a un esperto conviene anche dal punto di vista economico; per esempio si evita il rischio di aver acquistato piante sicuramente belle

ma destinate a una breve sopravvivenza per errore nella scelta del luogo di impianto o incapaci di resistere al clima. Inoltre non va dimenticato che essere professionisti implica l’obbligo di un continuo aggiornamento su tutti i sistemi più avanzati per garantire risultati finali di massima soddisfazione per il committente, e per le inderogabili leggi della natura che tanto spesso vengono violate dalla mancanza di competenze, professionalità e rispetto. Il progetto di un paesaggista è il risultato di una ricerca necessaria per individuare i minori costi, i massimi benefici, i migliori materiali, assicurare la durata e l’affidabilità, infine per semplificare la cura e la potatura delle piante.

Giardino di Collodi Giardino di Boboli (Firenze) - Fontana degli Uccellini del Labirinto superiore. I Labirinti erano un unico progetto del 1612 di Giulio Parigi, coadiuvato da Gherardo Mechini, per l’ampliamento del Giardino di Boboli, comprendente anche il Viale dei Cipressi e l’Isola. La Fontana degli Uccellini, indicata per la prima volta in una planimetria di fine Settecento, venne verosimilmente collocata durante i lavori intrapresi sotto il Granduca Pietro Leopoldo. Giardino di Villa Torrigiani, Lucca

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racconto

59 centesimi cad. 1

Matthew Licht

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eanche l’ombra di un autobus. Si scorgeva il porto alla fine del viale, le luci dei traghetti, delle barchette e le navi. Se strizzava gli occhi, a Pete Helson gli sembrava di vedere il Colosseo, alla torre Eiffel. Nei palazzoni c’erano tante finestre illuminate. Le uniche persone rimaste fuori erano lui e il vecchio col giacchino di nylon. Aspettavano un autobus che non veniva. Pete guardò un’altra volta l’orario. Il vetro che lo copriva era graffiato e appannato e la luce nella pensilina era fioca. Forse era già troppo tardi per l’ultima corsa. Pete non portava l’orologio. Guardare l’orario era solo un pretesto per muoversi. Lui e il vecchio erano più o meno al riparo dal vento, ma non dal freddo. Tubi di neon emettevano un gelido bagliore da dietro un cartello pubblicitario raffigurante una ragazza dal sorriso solare che sorseggiava caffè. Pete avrebbe preferito un panorama della Florida, o di un’isola dei Caraibi; una ragazza in bikini che si tuffa nell’ac-

qua limpida e tiepida per salutare i pesciolini colorati e le simpatiche razze. Pete distolse lo sguardo dalla sorridente bevitrice di caffè e guardò lungo il viale buio, vuoto, spazzato dal vento. Guardò il vecchio, che tremava. Gli si vedeva il fiato. Mandava erratici segnali di fumo. Pete gli sentiva i denti che battevano nel grande silenzio nero. La giacca di nylon del vecchio era di un arancione acceso. Non sembrava che portasse granché, sotto. I barboni s’infilano vecchi giornali appallottolati sotto ai lerci cappotti nelle notti che devono passare sul marciapiede. I barboni diventano bravi a trovare grate sopra le discariche d’aria calda per dormire, oppure cercano le entrate meno esposte al vento dei grattacieli, si creano degli iglù con scatole di cartone. Come mai questo vecchio non sapeva i trucchi per la sopravvivenza dei barboni? Teneva le mani infilate nelle tasche dei pantaloni di flanella grigia. Ai piedi aveva

scarpine da tennis blu. Con calzini di cotone, s’immaginò Pete, o più probabilmente niente calzini. Forse il vecchio era appena sceso da una corriera venuta dalla Florida. Si era addormentato, oltrepassando la sua fermata di 2,000 miglia. Pete aveva addosso il cappotto che si era comprato a un negozio dell’Esercito della salvezza. La sciarpa di lana blu celeste l’aveva preso allo stesso posto. Non era elegante, ma Pete si sentiva perlomeno adeguatamente vestito per reggere il clima della grande città. “Cristo, ma non ti fa freddo?” Il vecchio guardò su piano. “Mi si congela il culo.” “Dài, prenditi questa.” Pete si tolse la sciarpa e l’avvolse attorno alla gola mingherlina del vecchio, di modo che non dovesse togliersi le mani di tasca. Pensò, ‘Niente guanti, niente berretto - neanche un briciolo di buon senso.’ Pete cercò di immaginarsi quel che era successo. Il vecchio forse era sta-


to invitato a venire alla grande città del nord da un amico - un commilitone, un compagno di scuola. Forse c’era stato qualche disastro, nel sud - un lutto in famiglia, una perdita catastrofica all’ippodromo o alla sala Bingo, un peschereccio affondato da un uragano. Forse al vecchio era stato offerto un aiuto, tipo ospitalità, un impiego, un po’ di soldi e compagnia. Ma poi quando era sceso dall’autobus, forse aveva scoperto che l’amico che lo voleva aiutare era morto all’improvviso. Oppure si era ubriacato al punto di essere in preda a deliri, allucinazioni paranoiche, e respingeva tutti i visitatori, veri o immaginari. Il vecchio sudista si era trovato sul lastrico, in una città che non conosceva. Non aveva un posto dove andare, né soldi per il biglietto di ritorno o per una camera d’albergo. Non aveva il vestiario invernale, non poteva comprarsi vestiti più pesanti, e i negozi a quell’ora erano comunque chiusi. Qualche volta si vedono vecchi cappotti malridotti appesi ai recinti dei parcheggi, o che spuntano dalle pattumiere. Il vecchio non aveva ancora preso l’abitudine di razzolare, di frugare. Pete diede un’occhiata in giro, ma lì attorno non c’erano vecchi impermeabili o caccolosi maglioni. Sotto il cappotto, Pete si era messo un pesante maglione di lana. “Senti, amico - perché non ti metti il mio cappotto, almeno per un po’. E poi dimmi dove devi andare. A questo punto non credo che venga, l’autobus. Dev’essere troppo tardi.” “Non ce l’ho, un posto dove andare.” Il vecchio quasi crollò quando Pete gli drappeggiò sulle spalle ossute il cappotto ancora caldo. Pete si sentì come una scossa l’aria fredda. Per alcuni minuti ancora sarebbe stato bene, poi si sarebbe dovuto ficcare le

mani in tasca, alzare le spalle, camminare avanti e indietro battendo i piedi. Il vecchio non si muoveva. Forse era sull’orlo dell’assideramento. Un amico di Pete diceva sempre che non era possibile portarli tutti a casa per fargli fare una bella doccia calda. Usava quel pretesto per non dare l’elemosina ai barboni, come se fosse ingiusto aiutarne uno e non gli altri. Un tassì imboccò il viale. La luce gialla sul tetto segnalava che era libero. Pete aveva in tasca sei dollari e una manciata di monete, forse quanto bastava per tornare a casa in tassì, ma avrebbe dovuto saltare la colazione alla tavola calda l’indomani, che era sabato. Per questo aveva aspettato l’autobus. Aveva anche un gettone per la metropolitana. Poteva darlo al vecchio, dirgli di andare a passare la notte in una delle stazioni, o su uno dei treni - dove c’era calduccio e non si pativa il vento. Le monete sarebbero bastate per offrire al vecchio una corsa sull’autobus, che non veniva. Oppure poteva fare cenno al tassista e far montare il vecchio. Magari il tassista era un tipo caritatevole, e l’avrebbe accompagnato gratis fino al più vicino centro d’accoglienza per vecchietti bisognosi. Pete doveva solo riprendere il cappotto. Il vecchio poteva tenersi la sciarpa blu celeste. Ma il tassista quasi sicuramente avrebbe preteso soldi, e magari non accettava clienti barboni. ‘Forse uno lo posso portare a casa.’ Pete fece cenno al tassista. “Dài,” disse al vecchio, “si va a casa mia. Ti devi riscaldare. Ti do da mangiare.” Il tassì si fermò, ma il vecchio non si mosse. Pete dovette tirarlo via dalla foto della ragazza che beveva caffè caldo. L’interno del tassì puzzava di sudore e fumo di sigaro, ma era caldo. Il tassista ascoltava la radio, una musica

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ubriaca di trombe e tromboni con le sordine. Abbassò il volume. Pete gli diede l’indirizzo. Lo rialzò e partì. Pete sentì la testa del vecchio cadergli sulla spalla e temette subito il peggio. Sarebbero dovuti andare all’ospedale, al comando di polizia, al mortorio. Provò sollievo quando il vecchio iniziò a russare. Il vecchio sbavava, e gli colava il naso. ‘Vabbè, chi se ne frega? Posso lavarlo, il maglione. Anzi, avrei dovuto lavarlo già da un pezzo.’ Quando il tassì si fermò, il vecchio si risvegliò, e guardò fuori dalla finestra annebbiata. Disse, “Non è questo il posto.” Ce ne volle, per farlo uscire dal caldo del tassì. Frugandosi in tasca per le chiavi di casa, Pete trascinò il vecchio fino alle doppie porte di vetro. Il vecchio quasi cadde a terra quando partì l’ascensore. L’appartamento di Pete era surriscaldato. Il padrone di casa faceva del suo meglio per evitare che gli inquilini, organizzati, trattenessero i soldi dall’affitto. Quando era in casa, lasciava le finestre socchiuse. Quando usciva, le spalancava. Pete fece accomodare il vecchio sulla poltrona trovata per strada e chiuse tutto. Riempì il bollitore dell’acqua. Il vecchio era conciato da marinaio, e ai marinai piacerebbe il grog. Ne aveva voglia anche lui.



NOVITà EDITORIALI

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n avvincente thriller psicologico che segna l’esordio ben riuscito dell’autrice. Già tradotto in 14 Paesi, arriva in Italia l’8 ottobre 2015. Rachel è una giovane madre inglese come tante, ancora sofferente per la separazione dal marito John, che si è subito risposato. Durante una passeggiata nel bosco con suo figlio di otto anni, Benedict detto Ben, ed il loro cane, l’incubo di ogni genitore improvvisamente si realizza: suo figlio scompare improvvisamente! Con le ore e i giorni che passano senza notizie e con un’angoscia crescente, Rachel si ritrova anche ad affrontare le critiche dei media e dei social network, dove viene tacciata di negligenza per aver permesso a Ben di raggiungere da solo le altalene. Inoltre, le indagini del detective James Clamo, portano a galla delle verità impensabili che portano la donna a dubitare di chiunque, amici e familiari. La narrazione, veritiera e spesso angosciante, è affidata alternativamente ora alla madre, ora al detective.

9 giorni

Gilly Macmillan Newton Compton editori

THRILLER

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n libro che racconta la Pontedera innovativa e all’avanguardia dai primi anni del XIX secolo fino alla fine del XX secolo: dai medici inventori, agli educatori, all’esperienza del telegrafo, dall’Aeroscalo dei dirigibili, alla genialità di Corradino d’Ascanio che inventò la mitica Vespa. Protagonista è l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, eccellenza mondiale nella ricerca biorobotica che dal 2002 si trova a Pontedera. Un fil rouge accompagna quindi tutta la storia della nostra città, un quid appunto, il quid dell’apertura al nuovo che non spaventa. “Le magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria albergano qui e spingono ancora avanti in una Pontedera futura, città dei motori e dell’innovazione. Il libro si conclude con una straordinaria intervista di Piero Angela al Prof. Paolo Dario, anima e mente dell’Istituto di BioRobotica.

PONTEDERA città dei motori e dell’ innovazione di Valentina Filidei  Michele Quirici  Enza Spadoni Tagete

innovazione

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racconto

iù che un colpo di fulmine, quello di Alice e Francesco è un colpo di bicicletta: lui, instancabile pedalatore salutista e aspirante salvatore del mondo, la investe, mandandola in ospedale. Lei, cacciatrice di volti per campagne pubblicitarie, in mezzo al dolore e alle contusioni nota il suo viso: perfetto per la campagna pubblicitaria che le ha commissionato un produttore di jeans, ma anche e soprattutto perfetto per lei. Lui le racconta di essere vegano, lei, disturbata dal senso di colpa per i panini al salame che sono la sua passione, lì per lì la vede come un’innocua mania, poi, già troppo presa dall’attrazione per lui, abbraccia la sua filosofia. Accettando di vivere insieme a Francesco, Alice rivoluziona completamente il proprio modo di essere, cambia il proprio metodo di fare la spesa, di fare le pulizie, di muoversi per la città, non sempre con estrema convinzione. Questo romanzo è la storia vera di una delle due autrici, e si sente.

U

racconto

n racconto ribelle, vero, arioso e pure così pregnante, denso di emozioni, ricco di forti entusiasmi e grandi amarezze. Questa è la storia di Aldo e la storia di un libro, anzi, è la storia di un libraio e della sua passione, a cui bisogna saper guardare con gli occhi dell’incanto, ma anche della disillusione, perché per volare alto occorre quasi sempre saper fare i conti con la realtà. Eppure, un giorno, nel mare magnum della desolazione prêt-à-porter, una speranza sembra riaffacciarsi sulla soglia della libreria, suonando timidamente il campanello della porta d’ingresso. Una ragazza dal viso di porcellana, Diana, nella sua breve ricerca tra gli scaffali polverosi, sembrerà uscirne insoddisfatta: un veloce saluto, passi piccoli e svelti verso l’uscita. Diana, in realtà, il libro che cerca l’ha trovato e secondo Aldo l’ha anche rubato. È proprio quello a mancare tra tutti i vecchi libri presenti: Il treno mancato di Giorgio Spinazzi, libro sconosciuto di un autore altrettanto sconosciuto, che altro non è che il libro preferito di Aldo.

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Straziami ma di tofu saziami di Paola Maraone e Paola La Rosa

Rizzoli

Miracolo in libreria

di Stefano Piedimonte Guanda

Angelo Errera

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Ven e

cinema

zia 7

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Desde Allá e El Clan: doppietta a sorpresa dell’America Latina Andrea Cianferoni e Giampaolo Russo

Lorenzo Vigas Valeria Golino

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sudamericani hanno fatto man bassa alla 72a edizione della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia: Leone d’Oro al venezuelano Desde Allá, opera prima di Lorenzo Vigas, e Leone d’Argento a El Clan dell’argentino Pablo Trapero. È stato profetico il direttore del festival Alberto Barbera quando, nel presentare la selezione ufficiale, aveva indicato il Sudamerica come artefice del cinema al momento più interessante, con l’Oriente in flessione. Nessuna intromissione campanilistica da parte del presidente di giuria Alfonso Cuarón, messicano. Sia Desde Allá che El Clan si reggono magnificamente in piedi sulle loro gambe. Cuarón stesso ha specificato: «Vorrei chiarire che la mia presenza come presidente della giuria ha lo

stesso valore del voto simbolico della regina di Svezia, come giurati abbiamo tutti lo stesso potere». Desde Allá è la storia di Armando (Alfredo Castro), un uomo benestante di mezza età che non riesce ad entrare emotivamente in relazione con gli altri. Adesca ragazzini di strada con il denaro, non li tocca ma vuole soltanto vederli “da lontano”. Con uno di questi si creerà un rapporto intimo e inatteso. Elder (Luis Silva), però, giovane di strada violento e affascinante, riesce a connettersi a lui. Quello che era un legame basato sui soldi si trasforma in altro, qualcosa che assomiglia a un rapporto padre-figlio. La composizione della loro relazione ha tante sfumature. Anche il suo precedente corto Los elefantes nunca olvidan (Gli elefanti non dimenticano) tratta le conseguenze di traumi legati al padre. Se l’America Latina ha fatto incetta di premi, l’Italia si è dovuta consolare con il premio a Valeria Golino, vincitrice della Coppa Volpi per la sua struggente Anna di Per amor vostro. Golino aveva già vinto la coppa nel 1986 per Storia d’amore di Citto Maselli ma, visibilmente emozionata, ha sottolineato che «l’emozione non conosce tempo. Provo la stessa gioia di quasi 30 anni fa; oggi ho maggiori esperienze e consapevolezza, certo! Ma questo premio mi dà la stessa infantile e ingenua allegria che mi dava allora. Spero che rimanga sempre così. Sono molto contenta per me e per gli altri, per le persone che mi vogliono bene. E tutti i miei amici non udenti che mi hanno aiutato ad imparare un nuovo linguaggio». Il presidente di giuria Cuaròn non si è limitato ad assegnare il massimo premio ad un venezuelano, attribuendo quello d’Argento all’argentino Trape-

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ro per il suo buon crime movie d’azione El Clan. «Proprio qui a Venezia ho vinto il premio opera prima Mondo grua e quindi sono emozionatissimo ed onorato» ha dichiarato il cineasta, ovviamente tradito dalla commozione. La Coppa Volpi maschile è andata all’attore più meritevole di questa Mostra: il francese Fabrice Luchini magnifico protagonista de L’hermine di Christian Vincent, film vincitore anche per la sceneggiatura, tra le più perfette del concorso. Agli americani Charlie Kaufman e Duke Johnson è stato assegnato il Gran Premio della Giuria per il film d’animazione Anomalisa: una storia d’amore esistenziale meno sorprendente dei precedenti di Kaufman e sicuramente meno riuscito di quanto certa critica al Lido abbia decretato, in ogni caso anche il pubblico italiano potrà vederlo e giudicarlo nelle sale dove uscirà prossimamente. Il premio speciale della Giuria è andato al film Abluka del turco Emin Alper. Un film folle e scon-


Riccardo Scamarcio Vasco Rossi Photocall a Bigger Splash gli interpreti di Sangue del mio sangue Alessandro Giannini Juliette Binoche

volgente in ogni sua parte, che riceve un premio giusto per il suo crescendo nella tensione e nella complessità. Il premio Marcello Mastroianni è andato al giovanissimo Abraham Attah, sorprendente debuttante nel film Beasts of No Nation di Cary Fukunaga. Il premio Luigi De Laurentiis miglior opera prima e il premio miglior regia di Orizzonti sono entrambi finiti al film Childhood of a Leader dello statunitense Brady Corbet, assegnato dalla giuria guidata da Saverio Costanzo e consegnato da Antonio Albanese. Il film vanta nel cast star come Robert Pattinson, Stacy Martin, Liam Cunningham e Bérénice Bejo. Il premio Orizzonti, infine, è andato a Free in Deed del neozelandese Jake Mahaffy.

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CINEMA

Festival di Locarno anteprime e grandi ospiti nella rassegna svizzera

Giampaolo Russo

Andy Garcia Edward Norton Carmen Maura

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dward Norton, Michael Cimino, Andy Garcia e Marco Bellocchio. Sono solo alcuni dei volti noti del cinema mondiale premiati durante l’ultima edizione del festival del Cinema di Locarno. Un festival di punta del panorama cinematografico, con ben 68 anni di storia alle spalle, una delle rassegne cinematografiche più longeve, che ogni anno si conquista l’apprezzamento del pubblico svizzero, ma non solo.

Sono infatti molti i milanesi che per l’occasione fanno i “frontalieri” per assistere alle molte anteprime e agli incontri programmati per il pubblico. Quest’anno sono stati ben 18 i lungometraggi e i 3 cortometraggi proiettati in Piazza Grande, in competizione per il Pardo d’Oro nel Concorso internazionale. Concorso che ha visto prevalere il coreano Hong Sang Soo con Right now, Wrong then che ha vinto anche il premio per la migliore interpretazione maschile. Premio speciale della giuria e menzione speciale per la fotografia all’israeliano Tikkun, su un religioso ultraortodosso. Premio per la migliore regia a Cosmos del maestro Andrej Zulawski, un grande film, profondo e divertente, sui mondi perduti, sulla dualità del mondo, degli esseri, degli avvenimenti. Premiato inoltre per la migliore interpretazione femminile tutto il cast del giapponese Happy Hour, film che ha ottenuto anche una menzione speciale per la sceneggiatura. Pardo d’Onore doppio a Michael Cimino e Marco Bellocchio, cui Locarno aveva già dedicato la retrospettiva nel 1998. Due autori distanti tra loro ma che, in modi diversi, hanno segnato e influenzato la scena contemporanea. Uno esponente di quel cinema americano in tutti i sensi “bigger than life”, di progetti ambiziosi e produzioni colossali fino al disastro de I cancelli del cielo. L’altro voce di un cinema d’autore europeo di forte vocazione politica e una solida matrice intellettuale. Cimino ha ritirato il premio in Piazza Grande prima della proiezione de Il cacciatore / The Deer Hunter (1978), il suo più conosciuto. In suo onore sono stati riproposti al pubblico altri tre titoli: Una calibro 20 per lo spe-

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cialista (1974, con Clint Eastwood), I cancelli del cielo (1980) e L’anno del dragone (1986). Il riconoscimento a Bellocchio è stato consegnato prima


della proiezione de I pugni in tasca (1965), che resta uno dei più folgoranti esordi della storia del cinema italiano. Il premio è completato dalle proiezioni di L’ora di religione (2002), Buongiorno, notte (2003) e Vincere (2009) e da un incontro pubblico con il cineasta piacentino. Riconoscimenti anche agli attori Edward Norton e Andy Garcia: al primo l’Excellence Award, al secondo il Leopard Club Award. Un Pardo alla Carriera all’attrice francese Bulle Ogier (Bella sempre di Manoel de Oliveira) e al novantenne regista russo, ma nato a Tbilisi, Marlen Khutsiev (tra i suoi lavori Ho vent’anni del 1965, Ijul’skij dožd’ / July Rain del 1966, Era il mese di maggio del 1970 e Infinitas del 1992). È invece Dead Slow Ahead, l’inarrestabile nave fantasma dello spagnolo Mauro Hence, ad aggiudicarsi il Premio speciale della giuria Ciné+Cineasti del Concorso Cineasti del presente. Menzione speciale per l’attualissima coproduzione russa, estone, ucraina Kiev/Moscow. Part 1, di Elena Khoreva nella sezione First Feature che premia la miglior opera prima. Ricco di film europei il palmarés del Concorso internazionale dei Pardi di domani: due i premi per il georgiano Mama di Davit Pirtskhalava, senza dimenticare la menzione speciale a Fils du Loup.

Raam Reddy Michael Cimino Pardo d’Onore con sua moglie Marlen Khutsiev Pardo alla carriera Bruno Ganz Premio Raimondo Rezzonico Marco Bellocchio Pardo d’Onore

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30 anni di teatro a Santa Croce stagione 2015-2016 al piccolo/grande Verdi

martedì 17 novembre SONO NATA IL VENTITRé con Teresa Mannino di Teresa Mannino e Giovanna Donnini regia Teresa Mannino giovedì 26 novembre TRADIMENTI di Harold Pinter con Ambra Angiolini regia Michele Placido venerdì 18 dicembre Alessandro Benvenuti in CHI È DI SCENA con Paolo Cioni e Maria Vittoria Argenti testo e regia di Alessandro Benvenuti venerdì 15 gennaio Angela Finocchiaro CALENDAR GIRLS di Tim Firth con Laura Curino, Silvana Fallisi, Ariella Reggio, Matilde Facheris, Titino Carrara, Elsa Bossi, Marco Brinzi, Noemi Paroni regia di Cristina Pezzoli martedì 16 febbraio MOLIÈRE: LA RECITA DI VERSAILLES di Stefano Massini, Paolo Rossi, Giampiero Solari con Paolo Rossi e altri 11 attori e musicisti regia di Giampiero Solari canzoni originali Gianmaria Testa

giovedì 25 febbraio Lello Arena, Isa Danieli SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE da William Shakespeare nella riscrittura di Ruggero Cappuccio regia Claudio Di Palma giovedì 17 marzo IL PREZZO di Artur Miller con Umberto Orsini, Massimo Popolizio, Alvia Reale regia Massimo Popolizio produzione Compagnia Umberto Orsini mercoledì 30 marzo 7 MINUTI di Stefano Massini con Ottavia Piccolo, Paola Di Meglio , Silvia Piovan, Olga Rossi, Maiga Balkissa, Stefania Ugomari Di Blas, Cecilia Di Giuli, Eleonora Bolla, Vittoria Corallo, Arianna Ancarani, Stella Piccioni regia di Alessandro Gassman musiche originali Aldo e Pivio De Scalzi giovedì 7 aprile MISTERO BUFFO di Dario Fo con Ugo Dighero

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Provincia di Pisa

La Provincia di Pisa con Determinazione Dirigenziale n.737 del 11/02/2012, n.353 del 27/01/2014, n.433 del 06/02/2015 e 604 del 19/02/2015 ha riconosciuto i seguenti percorsi di formazione CONDUZIONE MACCHINE MOTRICI (UC 1091) DESTINATARI Cittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni, disoccupati o in cerca di prima occupazione REQUISITI DI INGRESSO Ai sensi della DGR 48/12 per i cittadini stranieri, conoscenza minimo livello A2 DEL Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue. DURATA DEL PERCORSO 110 ore di cui 40 ore di stage in azienda TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVEDE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO FORMATIVO: Certificato delle competenze (UC 1091)

FORMAZIONE OBBLIGATORIA PER ADDETTO ALLA CONDUZIONE DI IMPIANTI TERMICI DI POTENZA SUPERIORE A 232 KW. Riferimenti Normativi: L. 615 del 1966; D.p.r. 1391 del 1970; D.p.r. 412 del 1993 (come modificato dal d.p.r. 551 del 1999); Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (come modificato dal D. lgs n. 128/2010); Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome del 25.5.2011 DESTINATARI Cittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni REQUISITI DI INGRESSO Diploma di scuola secondaria di primo grado; Buona conoscenza lingua italiana orale e scritta (utenza straniera) DURATA DEL PERCORSO 90 ore POTATURA (UC 876) TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVEDESTINATARI DE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO Cittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni, FORMATIVO: disoccupati o in cerca di prima occupazione Attestato di Frequenza REQUISITI DI INGRESSO L’attestato rilasciato consente di acquisire il Ai sensi della DGR 48/12 per i cittadini stranie- patentino di abilitazione di 2° grado alla conri, conoscenza minimo livello A2 DEL Quadro duzione degli impianti termici. Comune Europeo di riferimento per le lingue. DURATA DEL PERCORSO 110 ore di cui 40 ore di stage in azienda FORMAZIONE OBBLIGATORIA PER TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVE- OPERARE NELL’AMBITO DELL’ASSISTENZA DE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO FAMILIARE FORMATIVO: Riferimenti Normativi: Certificato delle competenze (UC 876) Si tratta di un percorso di formazione disciplinato dal presente atto regionale (Decreto del 19/12/2006, n. 6219) al fine di fornire specifica preparazione per svolgere attività di sostegno SVILUPPO DI SISTEMI INFORMATIZZATI DI ed assistenza nella vita quotidiana ad anziani INFORMAZIONE AMBIENTALE (UC 962) e disabili, presso il loro domicilio. Consente l’iDESTINATARI scrizione (laddove istituiti) negli appositi elenCittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni, chi per assistente familiare disoccupati o in cerca di prima occupazione DESTINATARI REQUISITI DI INGRESSO Cittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni - Titolo di istruzione secondaria superiore o REQUISITI DI INGRESSO almeno 3 anni di esperienza lavorativa nell’at- In base alla normativa regionale di riferimento tività professionale di riferimento e al progetto, sono requisiti di accesso al corso: - Ai sensi della DGR 48/12 per i cittadini stra- assolvimento del Diritto/Dovere di Istruzione nieri, conoscenza minimo livello A2 DEL Qua- in Italia o nel paese di origine (Circolare Redro Comune Europeo di riferimento per le gione Toscana del 16/06/11); per i cittadini lingue. stranieri, permesso di soggiorno e conoscen- Buone conoscenze informatiche za di base della lingua italiana, livello A2 DURATA DEL PERCORSO DURATA DEL PERCORSO 75 ore di cui 25 di stage in azienda 220 ore di cui 80 ore di stage TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVE- TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVEDE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO DE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO FORMATIVO: FORMATIVO: Certificato delle competenze (UC 962) Attestato di Frequenza

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CORSI DI FORMAZIONE PER TITOLARI ED ADDETTI DEL SETTORE ALIMENTARE (DGRT 559/2008) Corso per addetti con mansione alimentare semplice (8 ore) Corso per addetti con mansione alimentare complessa (12 ore) Corso per Titolari di imprese alimentari e Responsabili dei piani di autocontrollo di attività alimentari semplici (12 ore) Corso per Titolari di imprese alimentari e Responsabili dei piani di autocontrollo di attività alimentari complesse (16 ore) PISCINE - CORSI DI FORMAZIONE PER RESPONSABILI E ADDETTI Formazione Obbligatoria Per Responsabile Della Piscina (30 ore) Formazione Obbligatoria Per Responsabile Della Piscina (percorso abbreviato ex art 52 regolamento 23/R/2010) Formazione Obbligatoria Per Addetto Agli Impianti Tecnologici (20 ore) Formazione Obbligatoria Per Responsabile Della Piscina – Addetto Agli Impianti Tecnologici (38 ore) Formazione Obbligatoria Per Responsabile Della Piscina – Addetto Agli Impianti Tecnologici (Percorso Abbreviato) Ex Art 52 Regolamento 23/R/2010 ( 20 ore) TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVEDE DI RILASCIARE IN ESITO AI PERCORSI FORMATIVI: Attestato di Frequenza SALDATURA CON GAS SALDOBRASATURA, SALDATURA MIG MAG (UC 1831) DESTINATARI Cittadini italiani e stranieri maggiori di 18 anni, disoccupati o in cerca di prima occupazione REQUISITI DI INGRESSO Ai sensi della DGR 48/12 per i cittadini stranieri, conoscenza minimo livello A2 DEL Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue. DURATA DEL PERCORSO 110 ore di cui 40 ore di stage in azienda TIPOLOGIA DI ATTESTATO CHE SI PREVEDE DI RILASCIARE IN ESITO AL PERCORSO FORMATIVO: Certificato delle competenze (UC 1831) Fo.Ri.Um. Sc Via Del Bosco, 264/F - 56029 S. Croce s/Arno (Pi) Tel. 0571/360069 - Fax 0571/367396 e-mail: info@forium.it


La Traviata un promettente esordio produttivo

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na scommessa vinta quella di produrre e mettere in scena per la prima volta un’opera. È il Verdi più adorabile e moderno, tra amori, mondanità, brindisi, tradimenti, soldi, malattie e morte. È il Verdi de La Traviata, prima produzione lirica della Fondazione Peccioliper in collaborazione con l’Accademia Musicale Alta Valdera. Un’opera in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave eseguita dall’Orchestra del teatro Lirico Sinfonico di Volterra e la Corale Valdera, diretta dal M° Simone Valeri, con la regia di Gianmaria Romagnoli, le scenografie di Luciano Nesi e le coreografie eseguite da Arte Danza di Chiara Ribechini. In scena nel ruolo di Violetta il soprano russo Natalia Pavlova, di Alfredo Germont il tenore Diego Cavazzin, di Giorgio Germont il baritono Massimiliano Fichera. Nell’inverno del 1852 Giuseppe Verdi è a Parigi e al Theatre du Vaudeville assiste ad una delle prime rappresentazioni della “Dame aux camèlias”, riduzione teatrale del romanzo di Alexandre Dumas figlio. Il dramma della cortigiana Marguerite Gautier, modellata sulla vera Marie Duplessis, che sfida le convenzioni borghesi e cerca una redenzione nell’amore di Armand, colpisce profondamente il compositore. Il soggetto della nuova opera è deciso e il 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia va in scena appunto, La Traviata. Ma la Censura non può tollerare un tale realismo e impone di retrodatare la vicenda in un più rassicurante “1700 circa”. Forse è anche per questo che la prima fu un fiasco. Un’opera bella, profonda da vedere a tutte le età, con tutto

ancora una volta riattualizzato, e lo sfondo di una società ipocrita e bigotta. La Traviata ha rappresentato per la rassegna 11 Lune una grande sfida, che prima del suo debutto ha comunque ottenuto un grande successo, quello di riuscire a coinvolgere un territorio che ha messo a disposizione prodotti, servizi, competenze in una lunghissima lista di sponsor tecnici che hanno creduto in questo progetto e che hanno dimostrato come la grande musica riesca ad unire generazioni, provenienze diverse, professionisti e semplici appassionati. La scelta di un’opera, dopo l’esperienza di produzioni teatrali è nata dalla volontà e dal tessuto culturale ed associativo del nostro territorio. Una scommessa di sicuro impegnativa ma coinvolgente che ha richiesto l’impegno, la costanza, l’abnegazione di molti. Costumi e sartoria: Magazzini Mangini, La Rosa di Terricciola Costumi: Giuntini s.r.l., Peccioli Trucco e parrucco: Alter Ego Hair Style di Casati Roberta; Colpi di Testa di Erica Ceccanti, Peccioli; Guerrieri Luciana Acconciature Unisex; Kapellò di Francesca e Fabiola Hair Style, Fabbrica di Peccioli; Lory parrucchiera per signora di Santini Lory; Lupi Cristina Istituto di bellezza solarium riflessologia plantare luce pulsata, Peccioli, Monica Magozzi parrucchieri; Up! Estetica e Benessere di Baneschi Alessia & De Biase Evelina, Peccioli. Attrezzerie: Multicolor di Montagnani F. & C. S.N.C., Peccioli, Pasticceria Dolcemania di Buggiani, Capannoli.

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Irene Barbensi

OPERa

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scuola

PROGETTO GIOVANI il Gruppo Lapi riparte per il terzo anno I

l progetto, ideato ed organizzato dalle aziende del Gruppo Lapi, nasce dalla volontà di dare ai giovani del comprensorio un piccolissimo aiuto per affrontare il futuro. Il programma del Progetto Giovani si compone di più attività, ciascuna pensata con particolare obiettivo educativo. Rispetto… a chi? è il progetto che, in collaborazione con la ASL 11 di Empoli e con il Lions Club di San Miniato, si rivolge agli studenti di prima media delle scuole del comprensorio. Dopo le scuole di Fucecchio, San Miniato, Ponte a Egola e Montopoli Val d’Arno quest’anno è la volta dell’Istituto Comprensivo Cristiano Banti di Santa Croce sull’Arno e dell’Istituto Comprensivo Leonardo da Vinci di Castelfranco di Sotto. Ragazzi ed insegnanti saranno coinvolti in un programma di giochi, attività e riflessioni sotto la guida di un esperto della società ludico-educativa Nature-Rock s.n.c. (www.nature-rock.it). Durante i vari incontri avranno la possibilità di conoscersi, confrontarsi, scambiarsi opinioni e soprattutto dovranno collaborare e ideare strategie che coinvolgano tutti i presenti per superare “insieme” le divertenti prove di gruppo. Solo con l’integrazione, la fiducia nel prossimo e la disponibilità all’ascolto si potrà raggiungere l’obiettivo finale che potrà essere misurato con un effettivo miglioramento del clima di classe tra gli stessi studenti e tra

studenti e professori. Il progetto prevede un concorso finale per il quale le classi dovranno realizzare delle foto e un breve video dove rappresentare ed esprimere la loro idea di “rispetto”. Fabbriche aperte, iniziativa accolta da Federchimica, per favorire l’incontro scuola-lavoro, che permette ai ragazzi di alcune classi delle scuole superiori di effettuare una visita guidata all’interno delle aziende del Gruppo Lapi e si svolge durante il mese di maggio. Codice etico per lo sport, progetto con lo scopo di diffondere un messaggio positivo per vivere lo sport in modo leale, sano e collaborativo. Alle Società Sportive della zona che hanno contatti e legami con il Gruppo Lapi viene affidato un “codice etico” di comportamento appositamente realizzato, che deve essere consegnato a tutti i componenti delle squadre di giovani e di giovanissimi che ne fanno parte. Le società devono riconoscersi nel Codice Etico e le regole che lo disciplinano devono essere vincolanti per i soci, i giocatori, il personale tecnico, i genitori, i collaboratori, e per tutti coloro che operano, anche occasionalmente, per e con la società stessa. Ad arricchire il programma del Progetto Giovani anche le sottostanti iniziative intraprese a favore dell’Istituto scolastico superiore IT C. Cattaneo di San Miniato: Mario e Mario per i giovani: in colla-

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borazione con la fondazione Mario Marianelli, il progetto darà la possibilità ad alcuni studenti – del corso ad indirizzo conciario – di fare due diversi tipi di esperienza di lavoro: uno stage – alternanza scuola lavoro - presso alcune aziende del Gruppo Lapi; un Tirocinio formativo retribuito presso una conceria del comprensorio. Adotta una scuola per EXPO: partendo dall’iniziativa promossa da Confindustria e Federchimica, sarà offerta ad una classe di studenti la possibilità di visitare la manifestazione mondiale Expo 2015. Camici da Laboratorio: a tutti gli studenti delle classi prime – industriale Chimico e Chimico conciario – saranno fornite le spolverine che i ragazzi potranno indossare durante le attività didattiche di laboratorio. Si sta dimostrando un impegno costante quello che le aziende del Gruppo Lapi (Figli di Guido Lapi, FGL International, Toscolapi, Finikem, conceria Gi Elle Emme e Lapi Gelatine), perseguono investendo nella formazione ed educazione dei giovani del territorio. I primi appuntamenti con i ragazzi riprenderanno nelle scuole nel mese di settembre, per proseguire nel corso dell’anno con un calendario di impegni legati ai diversi progetti, tra i quali non mancheranno gli eventi organizzati dalle società sportive che avranno aderito al Codice Etico per lo Sport del Gruppo Lapi.


fondazione

La Versiliana: il nuovo CDA S

celte di alto livello per il nuovo CDA della Versiliana. Il sindaco Massimo Mallegni ha ufficializzato le scelte fatte per il comitato di gestione; scelte non casuali dato che la volontà dell’amministrazione è quella di rendere sempre più organica la programmazione di festival, eventi e mostre sul territorio. Alla presidenza della Fondazione La Versiliana è stato chiamato Piero Di Lorenzo, già consulente per le relazioni esterne e i rapporti istituzionali per numerosi enti e società pubbliche e private come Aeroporti di Roma, Guardia di Finanza, Borsa Immobiliare; presidente di LDM Comunicazione e di IRBM Science Park, colosso del biotech. Presidente onorario è Aldo Giubilaro, attualmente procuratore capo di Massa, in magistratura dal 1975, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, componente esterno della Commissione Parlamentare Antimafia. Vicepresidente è Francesco Pellati: è stato membro della consulta sindacale di Confindustria e coordinatore del comitato di presidenza della Camera Nazionale della Moda Italiana, consigliere di amministrazione di Bianchi e Nardi (impresa di produzione borse per marchi internazionali tra i quali Chanel) e membro del comitato diret-

tivo di Mardi (impresa di in joint venture con Christian Dior). Consigliere di amministrazione del Banco di Napoli e della Banca Cassa Risparmio Firenze. Entra nel consiglio di gestione Emilio Giorgi, già direttore di Unicredit, di Citigroup Global Corp & Inv Bank, di Swiss Re Capital Managemnet & Advisory, attualmente capo dell’ufficio investimenti della Fondazione E.N.P.A.M. Così come Maria Antonietta di Benedetto, già responsabile del Research Department del The Boston Consulting Group e successivamante in McKinsey; direttore della divisione New Media del Sole 24 Ore ed ex amministratrice di Global Publishers Italia; Maria Antonietta di Benedetto si è fatta conoscere in Versilia per aver ideato la onlus “Più Forte del vento”. Nel comitato di gestione, designato dalla Banca Versilia Lunigiana e Gar-

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fagnana, fa il suo ingresso anche il commercialista versiliese Simone Tonlorenzi. Direttore artistico è stato nominato invece dal CDA Massimiliano Simoni: già presidente della Fondazione La Versiliana e della Fondazione Festival Pucciniano, con esperienza di direzione artistica maturata in molteplici istituzioni dello spettacolo e della cultura a livello nazionale. Fanno parte del consiglio d’indirizzo: Mirco Baldi, Cristiano Landi, Manuela Bottari, Susanna Biagioni, Anna Silvestro, Maria Grazia Macchiarini, Juri Maremmani, Monica Pardini, Jaele Pasquini, Diego Pelucchini, Nicola Moschetti, Stefano Pellacani indicato dalle opposizioni; dal mondo dell’arte e della cultura arrivano, invece, i membri designati dalla Banca Versilia Lunigiana e Garfagnana, ovvero Lodovico Gierut, Costantino Paolicchi ed Emanuele Giannelli.

da sinistra: Massimo Mallegni sindaco di Pietrasanta, Maria Antonietta Di Benedetto, Piero Di Lorenzo, Francesco Pellati, Simone Tonlorenzi e Aldo Giubilaro. Massimiliano Simoni

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intervista

la pedagogia? è educazione permanente alla vita

intervista a Maria Antonella Galanti Giorgio Banchi

Maria Antonella Galanti Palazzo Lanfreducci Rettorato dell’Università di Pisa pagina a fronte Il Coro dell’Università di Pisa

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aria Antonella Galanti è prorettore ai rapporti con il territorio per L’Università di Pisa, dove insegna Pedagogia speciale, ed è coordinatrice del Centro per la diffusione della cultura e della pratica musicale per lo stesso Ateneo. Si occupa di formazione della vita psichica normale e patologica, di relazionalità educativa e di conflitti con particolare riferimento a quelli adolescenziali e di genere. Perché secondo lei è importate studiare la pedagogia al giorno d’oggi? La Pedagogia non si interessa solo di bambini, ma di tutti gli esseri umani nel loro ciclo di vita e delle loro relazioni. Io, in particolare, mi occupo dei possibili percorsi di prevenzione non strettamente medica, ma educativa, della deriva patologica. Per me parlare di pedagogia significa parlare della nostra vita, delle nostre paure, delle malinconie, delle depressioni, della perdita del senso dell’esistenza; non tanto, cioè, capire perché si

perda questo senso, ma come accade e cosa si può fare perché non si trasformi in una malattia. Viviamo in un’epoca che tende a medicalizzare tutto e che genera patologie di fronte alle incertezze del tempo e ai grandi cambiamenti, non solo nei giovani, ma anche negli adulti. Si sente privilegiata a lavorare tutti i giorni con i giovani? Sì, considero una fortuna lavorare con i giovani perché mi permettono di mantenere vivo il mio passato. Avendo davanti persone che hanno un’ età diversa rivivi le emozioni di quella stessa età, anche se ci sono degli aspetti di differenza. Per esempio, il modo di studiare o di non studiare: anch’io non sono stata una studentessa modello, ma studiavo cosa volevo in base a tante variabili come se, secondo me, avevano senso certi argomenti o meno. Ero un po’ presupponente come si è spesso da adolescenti. L’università l’ho interrotta per una specie di crisi e poi ripresa qualche anno dopo. Anche a me è capitato di studiare meno per un esame rispetto ad altri. Non ricorrevo, però, a certi trucchetti un po’ furbetti che nei ragazzi di oggi mi fanno un po’ rabbia: i riassunti dei libri. Non li avrei mai letti. Un riassunto fatto da un altro non dice niente perché magari l’altro è colpito da elementi che sono importanti per lui e comunque non può usare lo stesso linguaggio del libro. Un libro lo leggevo oppure no. Credo che gli studenti di oggi studino sopratutto per il risultato, che anche a me importava, però mi interessava anche il percorso. Vedo i giovani più disincantati di come erano in anni precedenti, come senza sogni: non si possono nemmeno deludere perché non si illudono.

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L’illusione è una bellissima cosa, ci vorrebbero delle flebo di illusioni. Bisognerebbe praticare l’illusione nei luoghi dove l’illusione stessa si respira, al cinema o a teatro. Nella prima lezione che faccio dopo il fine settimana, chiedo sempre che film hanno visto e ne propongo da vedere, ma non vedo questa grande pratica. Io sono onnivora e mi piace qualsiasi genere di film, in particolare quelli di azione sia per adulti che per bambini. Non amo molto il fantasy a meno che non sia un po’ filosofico, altrimenti lo trovo a volte un po’ paranoico. Quale opportunità offrono i social network? Non sono d’accordo con Umberto Eco quando afferma che i social danno la parola a legioni di imbecilli. È sempre stato così. Se il mondo è fatto da un 80% di imbecilli, che scrivano su Facebook o parlino per strada o scrivano un romanzo o insegnino a scuola, esporranno comunque idee imbecilli con metodi imbecilli: non è il mezzo ma è il timoniere che decide dove va la barca. Il mondo ora è cambiato, ci spostiamo molto, siamo meno abitudinari e questo crea molta più ansia. Si può scegliere a che ora pranzare o cenare mentre quaranta o cinquanta anni fa si cenava ad un’ora


precisa e si viveva più o meno dove si nasceva, difficilmente ci si spostava. Invece ora è un continuo spostarsi, persino le coppie amorose sono divise dai chilometri e, se c’è di mezzo il fuso orario, anche dal tempo. I social permettono prima di tutto di comunicare travalicando questo spazio temporale: se non dormo la notte e ho voglia di scrivere, i miei lettori possono dormire in quel momento e leggerlo il giorno dopo o viceversa. Facebook lo uso in modo particolare, intanto tengo la chat disattiva; non mi piace, si tratta di una questione di gusto, preferisco usare il telefono per sentirsi oppure i messaggi. Non ho messo la mia situazione sentimentale perché credo faccia parte della mia privacy. Scrivo quasi sempre riflessioni sull’attualità, da fatti di cronaca ai conflitti, perché è ciò di cui mi occupo, che siano tra uomo e donna o religiosi o riguardino il rapporto dell’uomo con gli animali. Lo uso anche per condividere delle emozioni, magari se sono sconfortata o felice per qualche esperienza lo scrivo e trovo qualcun altro che prova le mie stesse emozioni e mi sento confortata. Fa sentire meno soli dal punto di vista delle proprie idee sul mondo. Non che non abbia amici nella realtà non virtuale, ma mi piace avere questo doppio binario. Che scopo ha il suo blog? Per me scrivere un blog è come mettere un messaggio in bottiglia, è un atto di fiducia. Io non vedo chi mi legge ma so quanti mi leggono. È un blog molto seguito anche se non so dire chi sono queste persone. È diviso in macro argomenti e in genere

da un episodio singolo traggo delle riflessioni che possono essere condivise con gli altri. Spesso sono anche riflessioni su film, spettacoli o mostre che cerco di collegarli alla mia visione del mondo. L’Europa di oggi è ancora un’opportunità per i giovani? Certamente è ancora un’opportunità per scambi culturali, per viaggiare, per conoscersi. Però l’Europa dovrebbe essere degli europei e non delle banche o di qualcuno che ha il potere di decidere la politica di questo o di quel paese. Ci dovrebbe essere più relazionalità diretta tra gli abitanti. Il coro dell’Università di Pisa di cui lei fa parte, cosa rappresenta e cosa offre ai giovani studenti? Intanto l’Università di Pisa ha un centro di cui io sono coordinatrice che si chiama “Centro per la diffusione della cultura e della pratica musicale”. All’interno del centro ci sono il coro e l’orchestra. Entrambi sono formati in gran parte da studenti: nel coro ci sono esponenti del mondo amministrativo e accademico, quindi è un luogo dove c’è un dialogo tra ruoli diversi sulla base della comune passione per la musica, nell’orchestra sono in gran parte studenti. C’è un percorso di studio che dura tutto l’anno e poi ci ritroviamo ogni settimana con regolarità, proviamo insieme un repertorio che spazia dalle cerimonie accademiche ai due importanti concerti che si tengono a Natale e a giugno. Ultimamente il coro ha eseguito il Requiem di Mozart nella chiesa di Santa Caterina a Pisa ed è stato un vero successo.

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INTERVISTA

Furio Colombo un lucido sguardo sui mutamenti nel mondo

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onserva tutt’ora le movenze eleganti e signorili che da sempre l’hanno contraddistinto, i folti capelli bianchi curatissimi, l’espressione profonda ed indagatrice – non è mai stato tipo da dire le cose dietro, tutt’altro – quel tratto caratteristico di osservatore con la punta delle dita appoggiate sul mento. Furio Colombo, giornalista, saggista, esperto di comunicazione, deputato e poi senatore, ha sempre rivolto un occhio attento ai mutamenti culturali e sociali del mondo tramite lucide analisi, con commenti alquanto “freddi” al bisogno. Da poco è ritornato in vita il quotidiano l’Unità, lei anni addietro ne fu direttore alzandono vertiginosamente le copie: quali furono le sue strategie?

Quelle di lavorare molto, con grande passione, assieme alla fortuna di trovare brave persone. In eredità ebbi quaranta giornalisti di prim’ordine riuscendo a stabilire un ottimo legame con i lettori. In questo mondo sommerso dall’online... E allora? è positivo poiché aumenta il numero di coloro che sanno le cose, che leggono e che le scrivono, non danneggiando la carta stampata. Quest’ultima avrà altri problemi, non quelli di Internet. Tipo? L’affezione o disaffezione dei lettori, il numero di persone che si raccolgono e si identificano intorno ad un giornale, la capacità, la voglia, la volontà delle persone di andare a fondo nelle

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cose... non è un progresso come dice lei, quello c’è da quando è esistita l’umanità – ogni momento cambia e può essere migliore – in questa fase il vero problema è la superficialità della cattiva televisione che scaccia quella buona allontanando anche la lettura. Lei è un grande e profondo conoscitore dell’America, inevitabilmente vengono in mente le Twin Towers considerate dai più l’identità della città. Mah... non so se esse erano l’identità della città, essa fu colpita e l’identità ne fu ferita profondamente: non dimentichiamo che gli americani non hanno mai avuto una esperienza di guerra in casa come gli europei, noi siamo pieni di ferite, basta girare l’Europa per trovarne ovunque. Lo shock fu particolarmente grande, crudele e sproporzionatamente sanguinoso; cose che restano nel ricordo, nella coscienza e nei nervi di un paese. Nel frattempo i combattimenti non smettono. Eh... anche io avrei preferito pensare ad un mondo in cui erano stati raggiunti strumenti... Nazioni Unite, Organizzazioni Internazionali, i Patti di area, le Alleanze che ci avrebbero messo al sicuro ma... i fatti parlano e la paura regna. E un dramma di vite, di destini, di persone coinvolte, di paesi travolti, nonché economico. Con le borse, lo spread e tutto ciò che comporta... Il crollo delle borse nega un’antica presunzione marxista secondo la quale le borse sarebbero andate a nozze al momento in cui si profilava una guerra. Niente affatto, l’economia contemporanea essendo nelle mani di gente che ha gli occhi aperti e gli interessi in tutte le parti del mondo, vede con orrore l’idea di tali eventi.

Carla Cavicchini

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lineapelle

LINEAPELLE Milano conciatori a confronto

Luvi Alderighi

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erza edizione milanese per Lineapelle, quella che si è tenuta dal 9 all’11 settembre scorso nei grandi padiglioni di FieraMilano Rho. Il famoso appuntamento costituito da migliaia di espositori, di cui la maggior parte italiani, ormai da anni rappresenta un punto fermo nel firmamento della calzatura e della pelletteria. Tantissimi sono i visitatori e compratori che vi si recano per prendere spunto per le loro collezioni, per carpire i nuovi trend in materia di pelle made in Italy. Quest’anno la concomitanza con l’evento EXPO ha sicuramente aumentato le visite; infatti già dal primo giorno Lineapelle ha confermato le aspettative, assicurandosi un bel numero di presenze. Ovunque si vedono stand davvero interessanti e curiosi, con scenografiche costruzioni e giochi di colore che catturano subito l’occhio del visitatore. Sembra proprio che il trasferimen-

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to di Lineapelle da Bologna a Milano, capitale della moda, abbia sortito i suoi effetti, permettendo un notevole salto di qualità e dando più ampio respiro e maggiore visibilità alla manifestazione. Resta molto importante soddisfare i bisogni e le richieste dei brand famosi, che rimangono i clienti che permettono le grandi produzioni. Tutto questo per ricordare che ancora oggi il made in Italy rimane molto ambito ed imitato in tutto il mondo. Grande curiosità si manifesta anche per la maggiore attenzione alle problematiche ambientali e all’ecosostenibilità, attuata attraverso l’utilizzo di materiali metal-free. Queste e molte altre sono le novità che Lineapelle ha presentato per il 2016-2017, il tutto garantito da una location di tutto rispetto. Lo sguardo al futuro, con queste premesse, appare decisamente più roseo, e ciò vogliamo sperare per il mondo conciario toscano.


Il Presidente dell’Associazione Conciatori Santa Croce sull’Arno, Franco Donati, ribadisce che lo spostamento da Bologna a Milano di Lineapelle è stato un evento positivo, sia per l’organizzazione, sia per le date, entrambe decisamente più positive. Come vede il rapporto tra Lineapelle e la clientela? «La clientela, in genere, è sempre la stessa di anno in anno, ma il rapporto con essa è continuo; Lineapelle rappresenta solo un punto d’incontro, un appuntamento per mostrare i campionari nuovi e più ricercati.» Secondo lei il mondo della lavorazione della pelle ha un nemico da temere? «L’unica nota negativa, in questo senso, è ancora rappresentata dalla Cina, che fa sempre un po’ paura; il 30-40% del lusso è là.... e ancora per qualche anno questo costituirà un problema.»

«Senz’altro una Fiera di più ampio respiro per location e organizzazione» - afferma l’imprenditore Renzo Lupi - e continua... «Il mondo della pelle vive sulla moda e sui brand internazionali, per cui la crisi spesso fa sentire i suoi effetti, ma chi ha puntato sulla creazione di un prodotto di alto livello avrà sicuramente un futuro roseo». Inoltre la BCN ormai da tempo è molto attenta al problema ambientale e alla ricerca di nuovi prodotti conciari metal-free, come spiega Roberto Lupi, in quanto è un dovere del cittadino e delle aziende voler bene all’ambiente e sostenere l’ecocompatibilità. Punta di diamante della loro azienda è la parola chiave “sinergia”, ossia la ricerca di collaborazione fra titolari, lavoratori e clienti, con l’intenzione di dare maggiore importanza alla piccola impresa e di valorizzare il territorio in cui essa crea la forza lavoro.

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Simone Remi, Presidente del Consorzio Pelle al Vegetale, che ormai da anni valorizza l’antica lavorazione della pelle solo con estratti di legno, sostiene che, nonostante i costi più elevati di questa Fiera milanese, e nonostante sia cambiata la tipologia del lavoro, Lineapelle riesca di nuovo a smuovere le acque del mondo conciario e attirare una clientela alla ricerca di un prodotto di nicchia, lontano dall’idea della produzione di massa. La clientela ormai da anni è sempre la stessa, ma i cambiamenti in atto nella società, riflettendosi sul mondo del lavoro, hanno prodotto una coscienza più attenta nella ricerca del prodotto particolare avente una tradizione importante alle spalle, proprio come la pelle vegetale.

Anche Michele Matteoli, Amministratore Consorzio Conciatori di Ponte a Egola, si ritiene positivo e speranzoso a fronte delle numerose presenze e dell’ottima organizzazione di Lineapelle, affermando che Milano, per lui, è diventata la Fiera sul pellame più importante al mondo. «Oggi la conceria italiana è l’asse portante della moda internazionale», dice Matteoli, «ma la manifattura italiana, per spiccare in eccellenza, deve puntare su prodotti speciali e dalle caratteristiche uniche.» Cosa pensa del rapporto fra Lineapelle e l’uso dei Social Network? Crede possa svilupparsi ulteriormente, dato che oggi tutto viaggia con internet? «La pelle deve essere toccata, ha bisogno di un contatto materiale con il cliente, ma non nego che da tempo noi usiamo WhatsApp per mostrare i colori ai nostri clienti, per cui, in questo senso, forse potrà esserci uno sviluppo maggiore in futuro».


Andrea e Luca Grasso, per Tecnologie Mangusta Pellami, confermano che l’andamento di questa Fiera è stato “abbastanza” positivo e sicuramente migliore della precedente edizione, anche se purtroppo persiste ancora il fantasma della crisi e il momento resta pur sempre molto delicato. Affermano entrambi di aver notato l’assenza dei clienti americani e una notevole diminuzione di quelli cinesi, forse dovuta proprio all’enorme crisi che si è abbattuta di recente sulla Cina. Permane, comunque, la voglia e la ricerca di un prodotto estremamente di lusso. Qual’è, per la vostra azienda, il trend su cui puntate per la stagione 2016-2017? «Per quanto ci riguarda – dicono Andrea e Luca – il trend 2016-2017 è indirizzato su pellami molto classici lisci o con stampa e una qualità a dir poco elevata».

Il signor Castellani, titolare della conceria Sciarada, ha notato un aumento di presenze di acquirenti americani e giapponesi, forse proprio grazie alla maggiore internazionalizzazione della Fiera di Milano e di una logistica più studiata e accurata. Quale è il punto di forza su cui fa leva la Sciarada? «Indubbiamente l’attenzione nel cercare di coprire tutte le nicchie di produzione possibile, dalla calzatura, all’abbigliamento, alla pelletteria; vivendo nel mondo della globalizzazione dobbiamo adeguarci anche in termini di lavoro».

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EXPO

un menù al profumo di Toscana un vero e proprio viaggio alla scoperta della sua anima Federica Farini

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xpo 2015, evento per eccellenza protagonista dell’anno in corso, profuma di Toscana già dalle prime note del concerto inaugurale, andato in scena a Milano il 30 aprile nella suggestiva cornice di Piazza Duomo. Andrea Bocelli ha dato il via ufficiale alla manifestazione sulle arie che hanno segnato la storia della musica italiana – accompagnato dal Coro e dall’Orchestra del Teatro alla Scala e dall’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, affiancato a turno dalla presenza di stelle internazionali come il pianista Lang Lang – regalando un finale a sorpresa sul brano La forza del sorriso, accompagnato dalla magia del prestigioso pianoforte Stainway & Sons realizzato in edizione limitata in marmo statuario di Carrara. È Gianni Salvadori, Assessore all’agricoltura della Regione Toscana, a spiegare il significato dell’immagine concepita e auspicata per Expo 2015: una Toscana affascinante e non legata ai soliti stereotipi. Più simile a un laboratorio che nutra corpo e spirito, ispirato a uno stile di vita moderno, ma al tempo stesso rispettoso della qualità della tradizione come insosti-

tuibile fonte di benessere ed equilibrio. Partendo dal tema portante di Expo 2015, Nutrire il Pianeta. Energia per la vita, la Toscana si propone di alternare ricerca, innovazione e tradizione nella lunga kermesse di eventi che si succederanno fino a fine manifestazione, anche alla luce dei suoi cavalli di battaglia: qualità agroalimentare e turismo. Toscana, come capofila del Padiglione Italia, che ha accolto i visitatori presso lo stand dedicato: tra gli ospiti d’eccezione anche Vittorio Sgarbi, in qualità di estimatore di arte, cultura, odori, sapori di questa terra, il quale non ha mancato di sottolineare l’importanza e l’utilità del percorso sensoriale proposto per conoscere bellezze ed eccellenze regionali. Protagonista la tecnologia, in suoni, video, touch e perfino una app “Appinocchio”, per guidare l’ospite e rendere l’esperienza sensoriale ancora più totalizzante; via libera a Twitter, Facebook e Instagram in pagine appositamente dedicate (#expotuscany e #ajourneyintuscany). Il viaggio – giocato sulla storia e sui sensi – ha dato spazio anche all’innovazione: sì, alla proiezione del video della Venere del Botticelli

Foto Daniele Mascolo

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(e all’imitazione dei profumi ad essa collegati), a pareti riproducenti la formella del Ghiberti per il battistero di Firenze, alla mano robotica della scuola Sant’Anna. Anche la geografia ha fatto la sua parte nelle immagini


tridimensionali, senza dimenticare Dante Alighieri e l’uomo vitruviano di Leonardo, ma anche vino, olio, colline e l’immancabile via Francigena. Nemmeno il Fuori Expo delude, con note di Toscana presenti fino al termine della manifestazione nella prestigiosa sede dei Chiostri dell’Umanitaria, spazio di oltre 350 metri dotati di un meraviglioso giardino: fitto il calendario di appuntamenti

tra eventi promozionali, incontri B2B, mostre, convegni, show-cooking e wine-bar. Sì alla collaborazione con aziende, associazioni, enti pubblici e privati, università e poli scientifici uniti nella causa del “buon vivere” toscano. Opening culinario con la performance di ben 4 chef stellati come Marco Stabile, Filippo Saporito, Cristiano Tomei, Gaetano Trovato, ideatori del “piatto del buon vivere

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Toscano”: ricetta inedita che ha mischiato i sapori e le suggestioni di pappardelle con polvere di cavolo nero, essenza di bistecca, briciole di pane toscano e gocce di vino su una fonduta leggera di fagioli. Un inno alla tradizione che incontra il futuro, nell’intento di promuovere uno stile di vita sostenibile e la riduzione dello spreco di cibo. Tra i vari appuntamenti dei Chiostri dell’Umanitaria si sono


alternate le degustazioni di Strada dell’Olio Monti Pisani e Strada del Vino Colline Pisane, le Storie di Maremma (poesie di una terra antica), il cuore geotermico di Toscana (Volterra), l’Adagio mangiando adagio, il Panigaccio (con le sue regole d’oro: mai usare forchetta e coltello per mangiarlo, mai sovrapporlo e farlo raffreddare), le guide ippiche dei Parchi Naturali Toscani. All’avanguardia anche l’incontro su medicine comple-

mentari, alimentazione e stili di vita, durante il quale l’assessore Saccardi ha sottolineato l’importanza delle medicine complementari. Alcuni tra i temi caldi dell’autunno presso i Chiostri “di Toscana” vedono protagonisti il progetto Valdera (Pisa), Empolese Valdelsa, l’archeologia enogastronomica nelle tradizioni contemporanee della Costa degli Etruschi e perfino una yachting experience (assaporare il mare nel segno del “buon vivere toscano”). Assaggi di territorio toscano nella Milano di Expo anche grazie all’iniziativa di 11 ristoranti milanesi, aderenti a “Vetrina Toscana”, progetto

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promosso da Regione Toscana con Unioncamere Toscana, che, nel mese di maggio e giugno, hanno focalizzato i loro menu sulla cucina regionale, come il Ristorante il Capriolo, portavoce della provincia di Prato e dei suoi prodotti tipici (tra cui il Pecorino DOP, la Mortadella di Prato, il Vermouth e il premiato liquore Numquam) e di delizie culinarie (tra le quali i ravioli di ortica alle patate di Cavarzano in ragù di cinghiale), e anche presso i Chiostri dell’Umanitaria con uno show-cooking dello chef Marco Caciagli. E la sag(r)a continua fino al 31 ottobre 2015.


Dentro e fuori Expo: fuori dalle righe Chianina in show Dall’11 al 31 luglio 2015, nella sezione Toscana del Padiglione Eataly, il Mercato Centrale Firenze si è reso ambasciatore della Chianina: stand-concept pop (sulla base della grafica del mercato fiorentino) con un menù a base di battuta al coltello di Simone Fracassi, maccheroni a mano al ragù bianco, roast-beef, e polpette… tutto di Chianina, naturalmente. Coltivare con l’acqua del mare Da giugno a settembre 2015 @ Work’nFlorence – Expo2015Firenze è stato esposto Jellyfish Barge, progetto che vede protagonista una serra galleggiante – costruita con materiali a basso costo, dal basamento in legno di circa 70 mq su fusti in plastica riciclati e serra in vetro sorretta da struttura in legno – realizzata come sistema autonomo per le coltivazioni fuori suolo, in grado di dissalare l’acqua marina e purificare quella inquinata attraverso un processo di evaporazione/condensazione alimentato da energia solare. L’orto galleggiante dell’ideatore Stefano Mancuso potrebbe produrre 1300 cespi di insalata al mese, contribuendo a combattere la fame in paesi come tropici e equatore. Vino in festa Presso il Padiglione del Vino di Expo Milano 2015 – nato dalla collaborazione tra Ministero delle politiche agricole, Padiglione Italia e Veronafiere-Vinitaly – per raccontare il prodotto attraverso un percorso emozionale: al primo piano una Biblioteca del vino, enoteca con bottiglie provenienti da tutta Italia per le degustazioni con i sommelier. In terrazza una Cantina Web per gli acquisti e uno spazio per eventi/corsi di approfondimento che raccontano la viticoltura italiana… dai piccoli vignaioli ai produttori più famosi. Case per ricordare (e per degustare) Nella seconda metà di agosto l’Associazione Nazionale Case della Memoria ha presentato il progetto A tavola con i grandi: spazio ai cibi che hanno caratterizzato famosi personaggi fiorentini: da Leonardo da Vinci a Giovanni Boccaccio, da Indro Montanelli a Ferruccio Busoni e Piero Bargellini. Qualche esempio per farvi venire fame? Show-cooking tematico a cura del Comune di Certaldo, con lo chef Marco Nebbiai alle prese con: la Cipolla di Messer Boccaccio di Certaldo e Il Mercaccio (biscotto fra Mercantia e Boccaccio). Ma anche il vino e l’olio di Montanelli, accompagnati dalle letture di Andrea Giuntini su Le case di Indro, con pagine toscane e milanesi di Indro Montanelli, a cura della Fondazione Montanelli Bassi di Fucecchio. Più Toscana di così.

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internet

a tutto Leonardo Taddei

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egli ultimi venti anni la nostra società ha subito una radicale mutazione sociale, economica e politica, attraverso la rivoluzione digitale e l’abbandono del formato analogico per gran parte dei canali di accesso all’informazione. Grazie allo sviluppo del World Wide Web è infatti cambiata la modalità in cui l’atto comunicativo viene rivolto al fruitore, sconvolgendo il suo approccio alla cultura, al lavoro e al tempo libero: la trasformazione così generata è stata in grado di influenzare fortemente il rapporto reciproco tra le persone, di modificare profondamente la relazione tra Stato e cittadini e di introdurre enormi cambiamenti nel mondo del lavoro. L’emblema della penetrazione di una simile rivoluzione nei sostrati della collettività, è rappresentato certamente dalla diffusione dei blog, forma di espressione oramai letteralmente alla portata di un click, proprio per tutti. Un blog altro non è che un sito web i cui contenuti sono presentati a ritroso, dal più recente al più remoto: la parola è infatti una contrazione, proposta per la prima volta da Peter

blog ma a ciascuno il suo Merlhoz nel 1999, dell’espressione inglese web log, che significa, appunto, diario della rete. Chi lo gestisce è detto blogger, ed il suo compito è pubblicare contenuti, la blogosfera, sotto forma di testo, immagini o altri formati multimediali, quali, ad esempio, audio e video, in maniera più o meno periodica. La diffusione ha avuto inizio negli Stati Uniti a partire dal 1997, sotto forma di liste di siti internet raggruppati per argomento: una soluzione molto utile al tempo, che è stata però gradualmente soppiantata dall’avvento dei motori di ricerca. Il principio alla base del blog si è quindi dovuto evolvere ed oggigiorno è spesso accomunabile al concetto della pubblicazione di un articolo di giornale, con una modalità che rende però tale azione più libera ed accessibile. In Italia il fenomeno si è sviluppato a partire dal 2001, diffondendosi a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale e spaziando tra le tematiche più disparate: musica, gastronomia, informazione ed attualità, ambiente, sport ed ancora politica, religione, satira, moda, arte ed architettura.

Erika Barbato. Beppe Grillo e Selvaggia Lucarelli, personaggi che hanno il proprio blog

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Tra i blog più conosciuti figura quello di Beppe Grillo, primo incontrastato in Italia per numero di visualizzazioni ed addirittura inserito nella top ten mondiale da diversi anni, anche se ultimamente i click stranieri sembrano essere diminuiti. Molto seguiti anche i blog di cucina, con spunti ed idee per tutti i gusti: dalle ricette elaborate ai menù low cost, dal cibo etnico o fusion fino alle più rapide soluzioni per chi scarseggia in tempo ed esperienza. Tra i più popolari figurano Il fatto alimentare, Dissapore, Intravino, Gluten free, Papille vagabonde, Giallo zafferano ed il blog di Chiara Maci, volto della trasmissione Cuochi e Fiamme di La7. Molte informazioni utili per chi è in partenza o semplicemente per chi vuol lasciarsi ispirare su possibili luoghi da visitare si possono reperire nei blog di viaggi, come Turismo lento, Bimbi e viaggi, Girandolina – I viaggi della bionda Elisa Gonfiantini, blog di nicchia specializzato sopratutto in destinazioni italiane o a corto raggio, e Turisti per caso, del pittoresco duo televisivo Fabrizio Roversi e Syusy Blady.


In un paese come il nostro, dove l’arte dell’arrangiarsi è paradigma assoluto, non potevano certo mancare pagine internet sul fai da te e sul riciclo di oggetti ed abiti usati, forse anche a causa della crisi economicofinanziaria degli ultimi anni. Ne sono esempi Islaura, Unfilodi, Kreattiva, Briciole e puntini, Un’idea nelle mani, il blog di Barbara Gulienetti, presentatrice del programma Paint your life su Real Time, e quello di Detto Fatto, nota trasmissione di Rai 1 condotta da Caterina Balivo. Per conoscere le ultime tendenze in arrivo dalle passerelle, gli accessori ed i look più in voga tra le star italiane e straniere, nonché i must have dello street style, si possono consultare i tantissimi blog di moda presenti in rete, tra i quali primeggiano Fashion times, Very cool, Trescic, La Pinella, Frizzifrizzi, Pizzo cipria e bouquet, Trend and the city, Stylosophy ed il prezioso blog di Erika Barbato. Popolarissimi sono anche i siti di gossip, dai nomi stravaganti quali Gossipblog, Spetteguless, Ginger generation e Forbiciate. Vanno inoltre annoverati in questa categoria il celeberrimo Dagospia di Roberto D’Agostino ed il blog di Selvaggia Lucarelli, che si occupano però entrambi anche di attualità ed informazione. Nel calderone interattivo della rete non mancano neppure proposte naif e bizzarre come Scie chimiche, Segni dal cielo, Noi e gli extraterrestri, Il conte rovescio, La mente mente e Coscienza aliena, specializzati in paranormale, né tantomeno offerte simpatiche ma totalmente inutili quali Pretty colors, un’unica schermata con un colore diverso al giorno, Papertoilet, sito web che permette di srotolare della carta igienica virtuale, Restart, che simula un finto riavvio del computer, o iGod, al quale accedere qualora si abbiano dubbi e quesiti impellenti da rivolgere via chat ad un Onnipotente cibernetico che, però, pare risponda purtroppo solo in inglese. Finita l’estate, è tempo di prepararsi all’arrivo del cattivo tempo: la stagione fredda, si sa, ci costringe in casa con pantofole e coperte di pile, enormi tazze di caffè bollente e, magari, anche un po’ di tempo

libero in più. Un’occasione d’oro da poter cogliere per iniziare a curiosare ed informarsi in modo originale e divertente: chiedere consiglio o cercare ispirazione rivolgendosi a chi è più esperto di noi è sicuramente un vantaggio, soprattutto considerando che la consultazione online è gratuita. Inoltre molti blog offrono la possibilità di commentare i propri post: un’ulteriore opportunità per domandare chiarimenti, scambiare idee con altri utenti oppure semplicemente condividere la propria testimonianza. Un autunno ed un inverno a tutto

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blog, dunque, quelli che ci si potrebbero profilare all’orizzonte: il panorama delle offerte in rete è talmente variegato da poter essere personalizzato secondo le esigenze e gli interessi di ognuno. Anche per coloro che, appassionati di lettura, preferissero trascorrere il proprio tempo in compagnia di un buon libro piuttosto che davanti al computer, è d’obbligo almeno un’occhiata ai principali blog letterari, per informarsi sulle ultime novità editoriali. Insomma, citando Leonardo Sciascia, è proprio il caso di dire: A ciascuno il suo.

Dagospia, blog di Roberto D’Agostino Blog di Caterina Balivo Blog di Viaggi Blog di Barbara Gulienetti


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alimentazione

meglio

prevenire

a tavola nutrizione e tumori

Paola Baggiani

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’importanza di un’alimentazione equilibrata e di uno stile di vita attivo è nota per la prevenzione di numerose malattie come l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari. Più di recente, diversi studi scientifici hanno evidenziato l’esistenza di una relazione tra l’insorgenza di tumori e la frequenza di consumo di determinati alimenti: ben il 30% dei tumori è determinato dalla nostra alimentazione, soltanto un 4% dall’inquinamento atmosferico. La comunità scientifica ha affrontato il difficile e controverso problema della nutrizione e prevenzione dei tumori, e il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro hanno espresso una serie di raccomandazioni in tema di nutrizione e di stile di vita, utili per la prevenzione. Mantenere il normopeso per tutta la durata della vita, con un Indice di Mas-

sa Corporea (IMC) inferiore a 25; valori di circonferenza vita, (che rappresenta un valido indice della distribuzione del tessuto adiposo in sede viscerale), non superiori a 80 cm nella donna e 94 cm nell’uomo sono in grado di prevenire complicanze metaboliche come il diabete e le patologie cardiovascolari e i tumori. Fare quotidianamente un’attività fisica dai 30 ai 60 minuti, contribuisce al dispendio energetico e alla diminuzione del grasso corporeo, potenzia il sistema immunitario, migliora il sistema digestivo e la velocità del transito intestinale, e attraverso questi effetti biologici riduce il rischio tumore. L’allattamento al seno per almeno sei mesi è un fattore protettivo sia per la madre che per il bambino; per la donna protegge dall’insorgenza del tumore al seno e ci sono evidenze che protegga dall’insorgenza del tumore

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ovarico. Per il neonato, oltre a migliorare lo sviluppo del sistema immunitario, è in grado di prevenire l’obesità e le patologie correlate. Nel rapporto tra alimentazione e cancro diversi studi scientifici hanno evidenziato l’esistenza di una relazione tra l’insorgenza di tumori e la frequenza di consumo di determinati alimenti e bevande; d’altra parte, il ruolo protettivo di alcune categorie di alimenti è comunque ormai certo. Limitare il consumo di carne rossa ed evitare il consumo di carni lavorate e conservate (salsicce, wurstel, e tutti i salumi). Per la carne rossa è consigliabile un consumo in quantità inferiore ai 400-500g la settimana; per le carni processate e conservate il consumo deve essere assolutamente occasionale perché i fattori di rischio tumorale potrebbero essere legati al metodo di conservazione (affumicatura, conservanti come i nitriti e i nitrati, coloranti, alte dosi di sale) e dal contenuto elevato di grassi saturi. è necessario evitare le cotture della carne ad alte temperature, come frittura, griglia, perché durante la cottura si formano alcune sostanze come le ammine eterocicliche e gli idrocarburi policiclici, che sono cancerogene; l’associazione più forte è stata riscontrata con i tumori del colon-retto. Per quanto riguarda il consumo di alcol, il consiglio è di evitarne l’assunzione per ridurre il rischio di tumori oro-faringei, esofagei, del colon-retto e del seno. Poiché l’effetto cancerogeno è dose dipendente, si consiglia almeno di limitarne l’assunzione: 1 unità alcolica (che contiene 10-15g. di etanolo, equivalenti a un bicchiere di vino 125ml, o a una birra piccola 33cl, o un misurino 25ml di superalcolico) per la donna, e 2 unità per l’uomo.


Il latte e i suoi derivati aumentano il rischio di tumori alla prostata, mentre esercitano un effetto protettivo sui tumori del colon-retto riducendone l’insorgenza. Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) è la più vasta indagine svolta su una popolazione per conoscere le relazioni fra alimentazione e salute; questo studio ha messo in luce una correlazione inversa tra il consumo di frutta e verdura e il rischio di tumore in generale. Le sostanze protettive contenute nei vegetali sono composti fitochimici come i polifenoli, tra i quali i più diffusi sono i flavonoidi, che svolgono il ruolo protettivo stimolando nel nostro organismo reazioni biochimiche che hanno un grande potere antiossidante in grado di limitare o bloccare i radicali liberi che nascono dai processi di ossidazione e che possono danneggiare le cellule dando inizio ad un tumore. I polifenoli posseggono inoltre proprietà antiaterogene, antimfiammatorie e antibatteriche; essi abbondano oltre che nella frutta e nelle verdure, anche nel tè, nel vino e nel cacao. L’acido ascorbico o vitamina C, presente in frutta e verdura fresca come agrumi, fragole, frutti di bosco, kiwi, verdure a foglia verde, ha un elevato potere antiossidante.

Le crucifere ovvero cavolfiore, broccolo, verza, favoriscono l’eliminazione di sostanze tossiche e hanno potere protettivo nei confronti dei tumori del colon, della prostata, della leucemia e del carcinoma della mammella. I fitoestrogeni, sostanze naturali contenute nei semi di molti vegetali come soia, lino e in misura minore nei cereali integrali, nei legumi, nella frutta secca, hanno un’azione protettiva nei tumori della mammella. L’aglio, la cipolla, lo scalogno, il porro stabilizzano il DNA delle cellule sane e svolgono azione preventiva contro il tumore dell’esofago, dello stomaco e della prostata. Sono protettivi i pomodori ricchi di licopene, le erbe aromatiche, le verdure a foglia verde e l’olio d’oliva. Nutrienti come il resveratrolo (contenuto essenzialmente nel vino rosso), l’acido ellagico (contenuto in fragole, more e lamponi), la genisteina (contenuta nella soia), hanno dimostrato di poter inibire la crescita della cellula tumorale determinando una minor vascolarizzazione della cellula. Ricordiamo infine l’importanza dei probiotici e prebiotici nella prevenzione del cancro del colon attraverso i lattobacilli che agiscono sopprimendo la crescita di specie batteriche che convertono i procancerogeni in cancerogeni, e sequestrando composti potenzialmente mutageni. Le evidenze scientifiche dimostrano che le vitamine, i minerali e i fitocomposti vanno assunti attraverso gli alimenti per l’importante effetto sinergico che si ottiene e che gli integratori alimentari non sono consigliati nella popolazione sana per la prevenzione oncologica; la miglior forma di nutrimento è rappresentata dagli alimenti e non dai supplementi! La varietà della dieta, seguendo la stagionalità con il consumo di cinque porzioni al giorno di frutta, verdure e legumi, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, protegge non

solo dall’insorgenza dei tumori, ma riduce il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete. La nutrigenomica e la nutraceutica sono nuove discipline della nutrizio-

ne che studiano in quale modo un alimento modifica il funzionamento dell’organismo a livello molecolare; studiano l’impatto del genotipo sugli effetti dell’alimentazione, cioè come ciascuno reagisce ai cibi e come questi possono influenzare la comparsa di determinate malattie; esse puntano ad elaborare un’alimentazione che tenga conto del profilo genetico dell’individuo, e abbandonano l’approccio “classico” della dieta basata soltanto sulle calorie e sul proibire determinati cibi. Ovviamente queste scienze sono ancora agli inizi , ma fanno ben sperare! Il numero di persone che hanno avuto diagnosi di tumore e ad oggi sono guarite, è aumentato negli ultimi decenni ed è in costante crescita, grazie all’aumento dei programmi di screening con i quali si è in grado di identificare tumori ad uno stadio precoce e con una maggiore possibilità di guarigione. Avere un corretto stile di vita con sane abitudini alimentari che privilegino il consumo di prodotti di origine vegetale a quelli animali, riduce non soltanto il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, ipertensione e obesità, ma anche, ed è ormai certo, di ammalarsi di tumore.

www.baggianinutrizione.it

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design

la bellezza è terapeutica

Annunziata Forte Cristina Di Marzio

ambienti realizzati dagli architetti per le strutture della casa di cura Dott. Pederzoli

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diversi anni dalla scomparsa della pittrice e scrittrice paesaggista Maggie Keswick, in Gran Bretagna esistono dieci cancer caring centres a lei intitolati, progettati gratuitamente da architetti di fama internazionale. Insieme al marito, lo storico dell’architettura Charles Jencks, era infatti riuscita a convincere l’architetto Frank Gehry a lavorare su un progetto comune. Ma se non sempre è possibile trovare archistar che mettono a disposizione le proprie capacità professionali, noi architetti normali e mortali, quando

abbiamo il privilegio di occuparci di strutture di cura e di residenze per anziani, dobbiamo avere grande consapevolezza della necessità di poter dare con il nostro operato benessere fisico, psicologico e della possibilità di generare emozioni positive. Spesso le strutture deputate alla cura e all’assistenza sono dei “non luoghi”, anonimi e che creano un senso di estraniazione. Noi crediamo fermamente che, sebbene l’aspetto tecnologico sia fondamentale, questo non debba prevaricare e sostituire la compiutezza del luogo sotto il profi-

lo sia funzionale che estetico. Al nostro studio è stata data la possibilità di progettare gli spazi di incontro e di relazione all’interno dei luoghi di cura delle strutture della Casa di Cura Dott. Pederzoli di Peschiera del Garda. Abbiamo svolto questo incarico con la principale finalità che le hall, le reception, gli spazi di attesa, il bar, fossero luoghi funzionali a creare oasi di benessere all’interno delle strutture di cura. Abbiamo così portato avanti una serie di scelte progettuali che non hanno mai rinunciato alla cura del dettaglio e del particolare,


che caratterizza il nostro lavoro nella progettazione di dimore private. Soprattutto nella residenza per anziani, la committenza, in linea con il nostro operato, ci ha chiesto di concepire le camere come stanze di albergo, benché dovessero avere attrezzature prettamente ospedaliere quali sollevatori, gas medicali, spazi e arredi per disabili. È iniziata così la nostra sfida, muovendoci contemporaneamente tra la ricerca di materiali che fossero esteticamente in linea con le tendenze attuali dell’arredamento, e la rispondenza alle normative vigenti in campo sanitario. Attraverso un lavoro attento di selezione di materiali, colori e di progettazione e disegno degli arredi, abbiamo ottenuto un risultato apprezzato da chi lavora nella struttura, da chi vi giunge per curarsi e da coloro che assistono i malati e che hanno necessità di trovare un’oasi di benessere e di tranquillità mentre sono vicino ai propri cari.

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tendenzA

Eleonora Garufi

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Poncho Style

un’altra estate se ne vá! Qualcuno non vedeva l’ora, visto il caldo torrido che ci ha accompagnato per tutta la stagione; altri, come me, faranno fatica ad accettare la mezza stagione invernale, il cambio di temperatura e l’arrivo del freddo. Come sempre, questo periodo accompagna il cambio dell’armadio e la pulizia generale di abiti dismessi o magari poco usati. Fate attenzione però: se tra un trench o un cardigan trovate un poncho tenetevelo stretto! Ebbene sì, la moda autunno inverno di quest’anno porta alla ribalta anche lui, il poncho, che dal Sud America si è fatto strada passando dal west americano fino a raggiungere le più famose passerelle del mondo. Corto, lungo, accollato, impermea-

bile, asimmetrico, caldo, comodo, il tratto distintivo di questo indumento è sicuramente la sua versatilità e la sua connotazione di tinte forti e avvolgenti. Tante le alternative per scegliere quello che più piace. Dai brand low cost come Mango ed H&M, a Burberry Prorsum e Dolce&Gabbana. Le star già lo indossano. Sarah Jessica Parker, Olivia Palermo, Rosie Huntington Whiteley e Cara Delevingne, protagonista insieme a Kate Moss della campagna pubblicitaria di Mango, ci hanno regalato molte idee su l’outfit giusto da creare. Visto che la “poncho mania” sembra ormai inarrestabile, ecco cinque buoni motivi per non rinunciarci:

VERSATILE Come anticipato, è adatto per tutti i momenti: colorato e con frange per il giorno, corto e avvolgente per la sera, magari color nero o grigio. VALORIZZA Che cosa? Ma la vostra linea. Per le più alte con skinn e tacco è il look ideale. UTILE Perché nelle stagioni intermedie è il capo giusto per coprirci dal freddo che arriva o che se ne sta andando. AFFETTUOSO Se qualcuno non ti dà un abbraccio nel corso della giornata per farti sentire al riparo, ci pensa lui. A prova di sicurezza. COOL è moda. è saper giocare con essa. Perfetto per metterti alla prova e testarlo sia in una giornata hippy all’insegna della natura o per un’occasione galante.

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CURIOSITà

mode di moda pillole sulle tendenze 2015

TOR

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er la gioia dei piccini, e non solo, esce il nuovo cartone della Pixar che con i suoi effetti speciali legati al mondo animato digitale, ci regala una nuova avventura. Diretto da Pete Docter, Inside Out impersona le voci di dentro la mente di Riley, che a undici anni deve affrontare sfide e cambiamenti. La vita dentro la nostra mente, un’avventura inside in compagnia delle emozioni come Joy, gioia, e Sadness la memoria, il subconscio, il pensiero astratto e la produzione onirica di una bambina che sta imparando a compensare la propria emotività e ad assestarsi in un’altra città.

GoPro

X-FAC

UT

EO INSID

I

l programma musicale che tiene incollati tutti, ma proprio tutti gli italiani allo schermo nella ricerca della nuova pop star made in Italy, è iniziato. Nuova squadra di giudici stellari: Fedez ha spodestato il vecchio Morgan e si conferma con Mika con toni molto più rilassati. Torna il grande Elio con il suo gusto geniale e strano, ma la vera star è l’entrata di Skin leader dei famosissimi Skunk Anansie, che sembra essere cattivissima! Staremo a vedere, solo su SKY1!

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D

ifficile che non l’abbiate sentita nominare. Si tratta dell’evoluzione della fotocamera. Piccola, compatta ma con la potenza grandangolare, quasi indistruttibile, resistente all’acqua e adatta per pose panoramiche fisse e in movimento. Ma è vera?

Eleonora Garufi

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grafologia

Benedetto Croce B

enedetto Croce (Pescasseroli 1866 - Napoli 1952), il più grande “mostro di cultura” italiano, non era laureato. Aveva studiato in casa, figlio di ricchi possidenti di Pescasseroli. A diciassette anni perse i genitori e la sorella nel terremoto di Casamicciola, nell’isola di Ischia, dove si trovava in vacanza con la famiglia, rimanendo lui stesso sepolto per parecchie ore sotto le macerie. Legato per tutta la vita a Napoli, Benedetto Croce era dotato di una enorme capacità lavorativa, che mantenne fino alla morte. Messo al riparo dalle necessità materiali da un ingente patrimonio personale, svolse come libero scrittore una ininterrotta e intensa attività nei più svariati campi della filosofia, della storia, della letteratura e dell’erudizione. Nel 1903 pubblica, inizialmente a sue spese, il primo numero de La Critica che, realizzata in collaborazione con Giovanni Gentile, durerà con quattro serie, quarantuno anni. Entra nel mondo della politica nel 1910 quando viene nominato senatore per censo e tra il 1920 e il 1921, ricopre la carica di Ministro della Pubblica maria.laura.ferrari@tiscali.it Istruzione. Il 1 maggio 1925 pubblica il www.marialauraferrari.com. Manifesto degli intellettuali antifascisti Maria Laura Ferrari

ritmo di scrittura e ritmo vitale che si contrappone al Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Con la caduta del regime, nel 1943, Croce rientra nella scena politica italiana, diventando leader del partito liberale e viene eletto tra i membri dell’Assemblea Costituente. Nel 1946 fonda a Napoli, nel palazzo Filomarino, l’Istituto Italiano per gli Studi Storici. Nel 1949 è colpito da un ictus cerebrale che gli causa una semiparalisi e muore sulla poltrona della propria biblioteca, all’età di ottantasei anni. Ma vediamo la scrittura del filosofo. Il modello calligrafico di riferimento è il corsivo inclinato inglese, adottato in Italia dopo l’unificazione. Tuttavia la scrittura di Benedetto Croce si discosta dal modello appreso, personalizzandolo. Essa è caratterizzata da un altissimo livello ritmico che si manifesta in una rielaborazione personale del grafismo che appare libero, spontaneo, prodotto con forme calde, originali nel senso dell’autenticità e non dell’estetismo e fluisce ritmicamente, ispirato da spinte interiori che aderiscono a principi d’ordine creativo e non riproduttivo. Questo tipo di ritmo rivela l’alto livello vitale della persona, dotata di una straordinaria energia psichica e capace di seguire liberamente le proprie spinte creative. L’abilità grafomotoria è elevata, il gesto rapido, scorrevole, a tratti precipitato, traccia con movimenti sicuri, sia curvi sia angolosi, forme e collegamenti personalizzati, semplificati, delineando per l’impeto del movimento parole non sempre perfettamente leggibili, dal calibro medio-piccolo ed inclinate a destra. La tenuta del rigo è sinuosa ed ascendente. Queste caratteristiche della scrittura di Croce ci parlano di una persona dall’attività incredibilmente intensa, che scarica con efficacia la tensione nell’azione realiz-

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zatrice, guidata da una mente riflessiva, concentrata e dotata di inventiva, duttilità e capacità di trovare soluzione ai problemi con concisione e capacità di cogliere l’essenziale. I gesti in pince (a “v”), gli ovali merlati (aperti in alto) indicano apertura alle istanze creative dell’inconscio mentre l’interlinea e lo spazio tra parole regolari e le poche alzate di penna nel tracciare le parole, giudizio obiettivo e un tipo di ragionamento caratterizzato da rigore logico. La scrittura è bassa, vale a dire, le aste superiori ed inferiori sorpassano appena il corpo centrale e, a volte, sono della stessa altezza, le “t” hanno la barra in genere corta (ma lanciata in finale di parola), le “r” sono ben formate e la lettera “p” è sopraelevata, cioè si innalza in zona superiore, “m” ed “n” sono tracciate con gesto angoloso a “dente di squalo”: queste caratteristiche grafiche ci parlano, a livello caratteriale, di adesione al reale, ideali non utopici e una modestia di base che si accompagna d’altro lato ad una consapevolezza del proprio ruolo e, talora, ad “impennate” di orgoglio ed aggressività. La pressione è leggera, pastosa: non manca l’intuizione e una finezza di percezione che si fa sintonia con l’ambiente. Ma la traccia di inchiostro densa, piena, con annerimenti degli ovali e ispessimenti in alcuni tratti e gli accenti a forma di cuneo e di mazza, sembrano indicare una difficoltà nel canalizzare sentimenti ed aggressività: ferite a livello affettivo rendono arduo manifestare i sentimenti, nonostante la natura passionale, e possono affacciarsi pulsioni aggressive ed auto aggressive che, tuttavia, in un contesto grafico di livello come questo, sono “addomesticate” dalla lucidità del pensiero e sublimate in determinazione nel raggiungere gli scopi.


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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Anno XVII n. 3/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00


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