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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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20154

Anno XVII n. 4/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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EDITORIALE

Vi racconto una storia

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i era appena addormentata nel suo morbido e profumato giaciglio, quando un brusco rumore la fece sobbalzare. Era inverno. Seppe poi che c’erano state molte vittime. Seppe inoltre che si sarebbero aperte le porte sante. Non solo in Vaticano, ma anche nell’Africa martoriata da conflitti etnici e religiosi. Francesco, il papa che sta cambiando il volto della chiesa, dà inizio al giubileo, ed è prossimo anche il Natale. Lei vola, vola, vola… Vede nella gente un gran fermento, un po’ per vincere la paura, un po’ per la frenesia delle feste. Tutti corrono a destra e a sinistra, e anche lei si lascia prendere nel vortice. Osserva cose diverse e nota che c’è un cambiamento in atto. Non è veramente una novità. Questa tendenza forse adesso si nota di più, specie nei giovani, ma certo sta contagiando anche i più grandi. In giro per ristoranti, bar, scuole, palestre, campi di calcio; alle fermate degli autobus, nelle stazioni e nei parcheggi, perfino camminando sui marciapiedi e per strada, o alla guida delle automobili in viaggio, si vedono persone con il telefonino o, meglio, lo smartphone in mano. Questi diabolici strumenti che ci accompagnano a tutte le età, hanno preso il posto persino del caro amico immaginario d’infanzia. Sembra proprio che la gente viva oggi in loro funzione, come a proiettarsi in una realtà virtuale. Lei lo notava proprio ieri in un bar, non molto lontano da qui. Quattro ragazzi intorno a un tavolo non parlavano tra loro, non sembrava che progettassero di cambiare il mondo. Stavano ognuno a capo basso, concentrato sul proprio smartphone, forse a giocare, forse a “messaggiare” non si sa con chi, non si sa per dirsi cosa. Il compagno seduto al tavolo con lui, come se non ci fosse!, lui pure impegnato in proprio in un gioco di ruolo, via telefonino o smartphone, con un “amico” cubano conosciuto in un blog tedesco specializzato nella ricerca di nuovi ecosistemi. Continuando a girovagare qua e là, la sera dello tesso giorno, quando i quattro “amici” del bar si erano lasciati per andare a cena ognuno con la propria famiglia, curiosando a una finestra, lei vede Maicol armeggiare con il telefonino sotto il tavolo apparecchiato. Lo fa di nascosto, durante la cena, perché suo padre è all’antica, e se se ne accorgesse gli tirerebbe le orecchie. Il matusa pretende che a tavola si parli di ciò che è successo nella giornata, si dialoghi, si stabilisca uno scambio di parole e di attenzioni nell’ambito familiare. Maicol invece “messaggia” con Luca, con il quale era stato insieme nel pomeriggio, al bar, senza riuscire a “beccarsi”, nemmeno sulla chat. Oggi è possibile essere connessi con tutto il mondo, avere mezzi da fantascienza e non accorgersi di ciò che sta succedendo accanto a noi. Esagerata! Voi direte che questo è progresso. Ormai la comunicazione avviene non più direttamente, de visu, ma tramite questi mezzi tecnologici. Abbiamo bisogno di questi filtri per poter costruire nuovi rapporti. Certo mi torna in mente la fatidica frase: mi chiedi amicizia su facebook, poi mi incontri per strada e neppure mi saluti. Certo non si deve generalizzare, non tutti i rapporti sono così, però è un fenomeno da prendere in considerazione e da valutare. Viene voglia di dire beata lei che zitta zitta, riesce a vedere e seguire tutto senza usare questi infernali strumenti, senza farsi notare. E nessuno che le presti attenzione, anche se silenziosa e piccola, la pungente zanzara un po’ fastidiosa lo è.

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Photo Archivio CTE Stampa Bandecchi & Vivaldi s.r.l. - Pontedera (PI) ISSN 1973-3658

In copertina: Gianfalco Masini I guardiani dell’albero magico, 2014 tecnica mista su tavola intelata, ø 50 cm

Reality numero 78 - dicembre 2015 Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998 Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007 © La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore. Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2014 - Largo Pietro Lotti, 9/L - Santa Croce sull’Arno (PI) - tel. 0571 360592 - mail: info@ctedizioni.it AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

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SOMMARIO

ARTE MOSTRE letteratura territorio storia 10 20 22 24 26 28

In viaggio con Masini Io, cibo, sposo te, arte Restiamo umani Ceramicando Barbara Calonaci Il nuovo Museo dell’Opera Quando a Firenze c’era il Re

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Granduchi di Toscana al Forte Giubileo anno 1700 Un corteo color turchino Gli amici degli amici 59 centesimi cad. Il linguaggio segreto dei fiori Sveva Casati Modignani Novità editorialli

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Gabbia-no Scarpe rosse 1522 Portatori di stelle L’arte in Italia Umanesimo versiliese La storia in posa

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SOMMARIO

spettacolo EVENTI economia società COSTUME 58 61 62 65 66 68

Madrid dai mille volti Borghi toscani Enonobiltà chiantigiana A tavola, che piacere! Blue Film Festival Emanuele Barresi

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Guglielmo Marconi M’illumino d’immenso Christmas Song Mode di moda Oroscopo 2016 Jingle bells

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Chiara Basile Fasolo Valeria Valeri Uniti per un’idea Ieri e oggi insieme Snoopy Donne & cibo Parkinson

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artista

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viaggio con

Masini A

Nicola Micieli

Se non avessi fatto il pittore, forse avrei potuto fare l’aviatore. Da ragazzo sognavo spesso di volare. Senza ali, con il solo ausilio delle braccia che roteano nell’aria, a mo’ di ruote. Così, nel tempo, come viaggiatore da “fermo”, con i miei sogni ho volato su mondi reali e immaginari, e attraverso la mia pittura li ho proposti ad altra gente. Sono felice che ciò sia accaduto e continuerò a farlo finché gli occhi, la mente e le mani me lo consentiranno. Gianfalco Masini

rtista di mai tradita appartenenza fantastica, incline al racconto favolistico, il lucchese Gianfalco Masini è uno dei più assidui e fecondi frequentatori del pianeta dell’immaginario. Al ventaglio delle modalità d’accesso linguistico e stilistico a questo versante espressivo, dagli anni Sessanta la Toscana ha dato non pochi contributi originali. Lucca in particolare, per il numero e la singolarità delle esperienze che vi sono maturate, ha fatto parlare d’una peculiare tendenza stilistica, se non d’una scuola locale. In ambito toscano, penso, tra i numerosi altri, a Granchi, Possenti, Poggiali Berlinghieri, Cargiolli, Alinari, Galardini, Varetti, Gasperini, Ghelli, Bobò, Fontirossi, Bigi, De Rosa, e Masini, appunto. Il tratto distintivo della pittura di Masini è la proliferazione immaginativa. Parlo di pittura, ma bisogna dire che egli è altresì un grafico dal disegno sciolto e pungente e dal décor dovizioso, oltre che un infaticabile assemblatore di trouvailles organizzate in stele e teche, in monumenti minimali e in macchine ludiche che chiameremmo pittosculture. Sono aspetti diversi del suo segnare e manipolare ed estetizzare tele, carte, supporti lignei o d’altra natura e una pletora di materiali e oggetti eteronomi, che spesso convergono nella medesima opera. Nella partitura esclusivamente pittorica spiegata a tutto campo, Masini è solito procedere aggregando, su una struttura spaziale in genere a sequenza di piani o fasce o registri orizzontali, morfemi e lacerti figurali ognuno dei quali, a sua volta, è un piccolo inserto in qualche modo compiuto, una tessera pittorica nella quale il segno o la linea grafica e il décor compongono più complesse figure e spesso invadono e coprono foto Riccardo Gambogi

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a tappeto o a tarsia l’intera superficie, per una sorta di horror vacui che permuta la scena in formicolante costellazione visiva. Non è poi raro il caso delle partiture che recano inclusi e pittoricamente assimilati ai morfemi e lacerti figurali, oggetti e materiali a loro volta sottoposti a quel minuto processo di qualificazione grafica e decorativa di cui si è detto. In questo meccanismo formatore delle immagini, che distingue il linguaggio


Volare ad arte, 2012, acquerello su tela

pittorico di Masini da altri congeneri non solo del contesto lucchese, consiste la proliferazione immaginativa che determina anche direi la filogenesi del racconto, come dire le mutue relazioni di discendenza e di affinità degli organismi morfologici e dei nuclei figurali che quasi per gemmazione, suggeriscono e inanellano storie la cui trama è affidata all’immaginazione dell’osservatore in viaggio nell’atomizzazione dei frammenti di storia portati dalla partitura pittorica. Proliferante è dunque la capacità di far scaturire sempre nuove situazioni narrative dagli oggetti e dalle creature che animano i giardini, le spiagge, le isole della topografia incantata, da atlante delle meraviglie, di Masini. Sono personaggi leggendari che sembrano discendere da cantari cavallereschi, animali fantastici da bestiario medievale, splendidi nelle loro vesti sontuosamente ornate. Sono ircocervi, grilli e maschere da codici miniati, ma anche oggetti e cose che pur appartenendo alla riconoscibile e grata quotidianità, per essere parte dell’inenarrabile apparecchiatura scenica, nella quale Masini manifesta e anima in sincrono ogni cosa, assumono essi stessi lo spirito e i caratteri delle presenze d’invenzione. A queste presenze che appartengono a «mondi reali e immaginari», sui quali Masini afferma di aver volato «senza ali, con il solo ausilio delle braccia che roteano nell’aria ... come viaggiatore da “fermo”», si deve guardare avendo l’animo disposto alla meraviglia. Occorre certo lasciarsi suggestionare dalla magia delle luci e delle invenzioni sceniche, perché alla complicità del coinvolgimento teatrale invita il pittore con la sua fastosa apparecchiatura visiva. Alla base della proliferazione fantastica di Gianfalco – nome grifagno, la sua parte araldico, idoneo a introdurre una saga cavalleresca medievale, e avrebbe potuto affascinare Italo Calvino autore della Trilogia degli Antenati – c’è il meccanismo poetico dell’analogia. Dipingere significa sostanzialmente cogliere le connessioni formali e semantiche tra gli aspetti diversi della mutevole realtà e la molteplice disse-

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Sempre liberi, 2015 tecnica mista su cellulosa

minazione di cose e presenze appartenenti tanto all’ambiente naturale e antropico quanto al recinto familiare. Il processo analogico è un atto anzitutto di selezione, avendolo individuato, e di estrapolazione di un dato significativo da un contesto anonimo e omologante. Bisogna dire che è prerogativa dell’artista percepire e riconoscere come dotati di significato e spendibili a incremento creativo della conoscenza, elementi marginali che per altri sono insignificanti e dissolti nel Animalia, 2014 continuum del reale. Il riconoscimento libro d’artista avviene per affinità di sensi e di spirito con quel che l’acutezza dello sguardo Profondo rosso, 2014 olio ed encausto su tavola discerne ed estrapola.

L’immaginazione dell’artista sa compiere il miracolo di trasformare i documenti sommersi del vissuto in materiale dilatato nella dimensione della favola. Stimolata da un’occasione visiva anche consueta e persino banale, l’immaginazione diviene un potente fattore creativo quando si innesca la catena delle associazioni, per cui da un primo nucleo figurale, magari determinato dal casuale agglutinarsi della materia stesa in modo informale, scaturiscono innumerevoli eventi e personaggi che finiscono con l’assumere un ruolo narrativo, trasformando in ribalta incantata il recinto pittorico. E c’è in questo disseppellire latenze

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di forme e figure dall’informe della materia pittorica anche casualmente posta e attraversata, un residuo processo di individuazione surrealista che contribuisce a determinare il clima magico e fantastico della scena. Il meccanismo della proliferazione immaginativa scatta già prima di mettere mano alla partitura e avviare il processo formatore. Intendo dire che si mette in moto già quando lo sguardo di Masini compie ricognizioni apparentemente svagate nel reale fenomenico, e incrocia frammenti o reperti che recano i segni del tempo e dell’uso, e sono in qualche modo “illuminazioni”, dunque, di per sé


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L’oracolo, 2010, polimaterico Ti aspetto a braccia aperte, 2014 tecnica mista su tavola Di passaggio da Rowena, 2014 tecnica mista su tela Il suono dei sogni, 2013, olio su tela

potenziali protagonisti di una storia o di una sequenza narrativa. Per intendere il senso di queste ricognizioni, sarebbe quanto mani istruttivo visitare, come mi è capitato di fare più volte, lo studio, o meglio lo spazio fisico nel quale normalmente riconosciamo lo studio d’un artista, che nel caso di Masini è un insieme di luoghi per i quali sarebbe più appropriato parlare di depositi merceologici e di retrobottega d’un poeta/viaggiatore incantato e onnivoro trovarobe, assediato da conchiglie, giunchi, fasciami di legni corrosi, gessi, balocchi, stracci, pietre, carte, talismani, libri e insomma un universo accumulato di preziose e profane reliquie. Questi e mille altri straccali depositati dai marosi della vita sulle spiagge invernali, voglio dire nel grigiore dei luoghi della marginalità e del disuso, Masini intercetta, riconosce, preleva e riversa nel suo laboratorio, per manipolarli e rilanciarli sotto specie di barbarici totem, di valigie e cassette, di teche alveolate, di recinti pittorici o di pittosculture nelle quali i singoli frammenti compongono, come si diceva, formicolanti universi. Occorre che si destino i nostri sensi soffocati nel commercio accidioso dell’esistenza quotidiana, per accedere a questi luoghi consacrati agli elettivi colloqui delle cose e delle creature. Masini ha puntato le vibratili antenne del cuore e ha catturato flebili fiati, voci sommesse, scie di bagliori già fulminanti, tracce non neutre di passaggi silenti come nebulose code di comete, estremi palpiti di creature e di cose che furono, e sono in durata emozionale, nella deriva dell’essere. Per sortilegio, al crocevia dell’opera si compie il miracolo del nostro riconoscerci nella ritrovata identità dei frammenti, nel recinto della pittura. L’incontro è come il ritrovamento del volto segreto dell’anima. Gli straccali, dunque, sono i materiali fondativi dell’edificio fantastico di Masini. Peraltro, non si tratta, o meglio non è normale il caso che si tratti di documenti, artistici o etnografici, che siano in qualche modo dotati di una loro identità estetica e comunque di una riconosciuta valenza culturale. Certo non mancano gli oggetti anche rari e preziosi che entrano nel gioco delle combinazioni analogiche e dei cortocircuiti estetici, testimoniando la civiltà dell’uomo, nelle collezioni di Masini accatastate nello studio o in

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qualche modo inglobate nelle opere. Masini raccoglie preferibilmente povere cose, direi propriamente resti o rifiuti della società e della natura, oggetti consumati che funzionano, per lui che sa osservarli, come talismani preziosi, che egli inserisce nella scena pittorica debitamente segnandoli con i suoi colori e le sue cifre grafiche, sicché li fa rivivere in un nuovo ordine visivo. C’è in Gianfalco Masini un’inesauribile curiosità, una simpatia per il mondo e le creature, una disponibilità al coinvolgimento giocoso. Il gioco è parte integrante della vita, ed è attività cognitiva, oltre che espressiva di valori personali. Nello spirito del gioco il pittore assume anche il marginale e il minimo nel suo universo fantastico. Mi riferisco a piccole e piccolissime opere che escono dalle

sue mani infaticabili: sculture di mollica di pane, dipinti del respiro di una scatola di fiammiferi, rametti contorti che in assenza di referenti dimensionali, prenderesti per strutture di altro sviluppo, allorché compaiono sulla scena come protagonisti di un racconto. Per non dire dei suoi libri d’artista, per lo più figurati all’acquarello e vergati da una scrittura graficamente organica alla pagina illustrata: una miniera di opere in folio o in vario modo legate o rilegate, alcune di rispettabile formato, altre, e numerose, piccoli e piccolissimi scrigni di storie da sfogliare. Masini dipinge altresì grandi quadri, e per la natura proliferante del suo processo formatore si capisce che potrebbe, come ha fatto in molte occasioni, invadere spazi ulteriori e idealmente travali-

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care lo stesso recinto delle tele, che non a caso è quasi sempre tagliato sulla scena figurale, presupponendo un oltre ove seguitare. Sono le dimensioni estreme di un’unica amorevole ricognizione, di un unico sogno che non mira allo straniamento onirico del reale, ma alla sua restituzione come maschera della fantasia. Gli oggetti bizzarri e curiosi sono, non meno delle scene corali, una parte costitutiva del suo immaginario, perché la pittura e la pittoscultura, il colore e la materia, la maschera e la figura, l’oggetto recuperato e l’oggetto dipinto con estrema abilità di simulazione, fanno parte del medesimo repertorio, appartengono alla medesima attrezzatura di scena di un mago incantatore che non si sottrae, lui per primo, alla magia della finzione.

Non aver paura, 2013 tecnica mista su tela Incontri di Kallisto Kouborn, 2013 tecnica mista su tela Notturno dell’angelo, 2013, tecnica mista su tela


Florilegio, 2014, acrilico su marmo, cartoncino e carta Ricordi africani, 2013, acquerello su cartoncino Carnevale a casa di Rufus, 2010, tecnica mista su tela

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Nato a Lucca nel 1945, inizia l’attività pittorica sullo scorcio degli anni Sessanta partecipando a diverse rassegne e premi in cui riceve sempre lusinghieri consensi. Nel 1975 tiene la prima personale, con opere selezionate alla Galleria Spampanato di Lucca e dirada la sua presenza a estemporanee e contemporanee. Nella sua pittura la surrealtà, si spinge sul terreno ambiguo, infido, in cui la forma allude a qualcosa di diverso: l’ironia. Non teme le contraddizioni interne alla pittura, insiste con il suo tipico spirito toscano. l paesaggi si animano di figure inventate, magari grottesche. La fantasia prende il volo. La realtà diventa un pretesto. Fra le mostre personali ricordiamo: 1987 Le ore nelle stagioni dei sogni, Galleria Fogolino, Trento; 1991 I viaggi di Icaro, Granai della Magione del Tau, Altopascio; 1993 I voli della fantasia, Calkins Hall Gallery, Hofstra University, New York; 2002 Gioco delle differenze, Camaiore, Lucca; 2006 Liberi insieme, personale a Villa Volpi, Mastiano, Lucca; 2009

Sensazioni, personale alla Galleria Europa, Lido di Camaiore; 2010 Le stagioni attraversate, personale Fondazione Banca del Monte, Lucca; Percorsi paralleli, Masini e Soriani, Galleria Civica Stanze della Memoria, Barga. Fra le rassegne ricordiamo: 1995 Libretto digitale, Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze; 1996 Imago, Four Contemporary Italian Artists, Hofstra University, New York; La pelle nel muro dipinto, comune di S. Croce sull’Arno; 1997 Immagini della fantasia, Art exhibit, Chamber of Commerce, Long Beach, New York; 1998 Four Contemporary Italian Artists, Seton Hall University, New Jersey; Occasioni in corso, ex ospedale psichiatrico, Maggiano, Lucca; tra il 2000 e il 2008 ricordiamo Comunicare per l’arte, Castello della Gherardesca, Castagneto Carducci; Ex voto per il millennio, Museo Nazionale della Certosa di Calci; Gioco delle differenze, Camaiore, Lucca; In Itinere. Incontri e svelamenti in un luogo storico di

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Livorno, Bottini dell’Olio; 2010 La ciliegia nell’arte, Castello di Lari, Pisa; nel 2011 ha partecipato con Ri-Generazioni, percorsi e soste del Padiglione Italia, alla 54° esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, “La Brilla”, Massarosa; Fantasticarte, Carismi per l’Arte, San Miniato 2012; Mi stupisco ancora, Lodi Bros Antic, Lucca; Il mio fiume, Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno, 2013; Ruote d’artista, Palazzo Ducale, Lucca, 2014; Emozioni, Real Collegio, Lucca, 2015; Bozzetto per un carro del carnevale, Museo Michetti, Francavilla al Mare; Artisti toscani, Galleria La Pigna, Roma; Formicolii pietrificati, San Michele degli Scalzi, Pisa. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in tutto il mondo. Al suo lavoro si sono interessati: Ernesto Borelli, Mara Borzone, Danilo Eccher, Nicola Micieli, Marco Palamidessi, Vittorio Sgarbi, Gianluigi Ruggio, Ennio Pouchard, Marcello Venturoli, Piercarlo Santini, Eleonora Romiti.

Collezione, 2013 tecnica mista e inclusioni su bacheca di legno


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arte

io cibo sposo te arte sei mesi di variegate scoperte artistiche Federica Farini

Vittorio Sgarbi presenta il Tesoro d’Italia in mostra a Eataly I guardiani del cibo di Dante Ferretti Hora, I sec. d.C.

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xpo Milano 2015 non ha raccontato soltanto il “palato”, ma anche l’arte come forma unica capace di esprimere e caratterizzare l’identità del territorio, regalandola agli occhi della kermesse dell’Esposizione Universale di Milano con uno specifico messaggio: la bellezza della vita, nel cibo inteso come forma di espressione e consapevolezza. Negli spazi della Triennale ha preso vita l’Arts & Foods. Rituali dal 1851 nella variopinta relazione tra arti e cibo, mostra declinata attraverso linguaggi oggettuali e ambientali che si sono succeduti dal 1851, anno della prima Expo a Londra: un viaggio nel tempo (gratuito per i visitatori di Expo) e curato da Germano Celant. Ma è all’interno del lungo e ricco percorso dei padiglioni fieristici che l’arte si è distinta in forme molteplici, accompagnando all’unisono i concetti di Expo 2015. Il padiglione zero ha accolto con La conoscenza di Mimmo Paladino e Michele De Lucchi, nella figura umana seduta nel gesto di prendere in mano un libro in segno di quel sapere che si sviluppa attraverso versi poetici e disegni rupestri.

Il concetto di “interregionalità” è stato affrontato da Vittorio Sgarbi nella mostra Il tesoro d’Italia all’interno del Padiglione di Eataly, che ha celebrato le bellezze artistiche del nostro Paese in una selezione di 350 opere, con la presentazione di un artista per ogni Regione d’Italia. Tra queste, il tema degli oggetti della vita quotidiana è stato realizzato da Gaetano Pesce: Senza fine unica: due enormi troni composti grazie ad un lunghissimo gomitolo di silicone policromo. La “fertilità” della terra come sinonimo di abbondanza-stagionalità-ripetizione del ciclo vitale è stato rappresentato presso Palazzo Italia nella statua in marmo Hora (I sec. d.C.), opera proveniente dalla Galleria degli Uffizi di Firenze: Carpo, protettrice delle primizie autunnali (una delle Horai, figlie di Zeus e Themis, che favorivano l’abbondanza e la stagionalità dei raccolti) avvolta in un panneggio amplificante la gestualità e il movimento. Il Decumano di Expo ha accolto gli ospiti attraverso I guardiani del cibo. Il mercato di Dante Ferretti, nella parata di statue ispirate ai ritratti di Giuseppe Arcimboldo, che in forma antropomorfa hanno raffigurato i prodotti tipici e le professioni appartenenti alla tradizione italiana dell’incontro del “mercato” come punto di contatto tra la produzione agricola e l’interazione umana. Originale presso il Cluster Isole Mare Cibo anche Guido Scarabottolo, con la sua statua del pescatore Giant fisherman, a omaggiare la “pesca” come primaria fonte di sussistenza di molti paesi. A Palazzo Italia anche Renato Guttuso, con La Vucciria, il mercato di Palermo, opera del 1974 che ha raccontato con realismo e toni sanguigni la folla tra i banchi del mercato cittadi-

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no, nella schiettezza espressiva della carne appesa e dei prodotti della cucina siciliana. Nella zona dei bar e ristoranti si è distinto presso il Tracce il CIR food - Cooperativa Italiana Ristorazione – che ha ospitato una collezione di opere d’arte a sostegno dello slogan del cibo sano prodotto a tecniche sostenibili per il pianeta, con la partecipazione di artisti come Renata Boero, Paola Levi Montalcini, Elisa Montessori, Sara Campensan e Marilù Eustachio ed in particolare


Giuliano Tomaino, con le sue sculture color rosso acceso a rappresentare in scala urbana i temi dell’infanzia, del gioco, della natura e dell’illusione. Emblematico il concetto di “vita”,

ni nel Padiglione Eataly, provocatorio corpo di donna che muta in carota (rilettura moderna del mito di Persefone). Anche il Padiglione Francia non ha mancato di riprodurre il concetto di “vegetale” nelle opere di Patrick Laroche: Carciofi In contrasto con il gusto classico, ispirato a Rodin e Carpeaux, parte della collezione “Vegetables”, in bronzo e resine ricoperte da vernice cromata, ad esprimere l’amore dell’autore per la gastronomia. Giuseppe Arcimboldo ha proposto Ortolano. Ciotola di ortaggi su ispirazione delle caricature di Leonardo da Vinci (dai ritratti prodotti nella seconda metà del Cinquecento, con richiamo al concetto di fecondità). Il tema dell’”ecologia” è stato interpretato da Fabio Novembre – Per fare un albero. Fiat 500 – nel concetto di natura tradotto nelle fioriere in scala 1:1 a forma di Fiat 500, contenenti alberi e dipinte con vernice antismog – e da Philippe Pastor, all’interno del Padiglione Monaco, con Gli alberi

tradotto nell’Albero della vita, simbolo del Padiglione Italia nel disegno di Michelangelo: metafora dello slancio verso il futuro, nell’innovazione e nella tecnologia: la folta chioma tesa verso il cielo, per 37 metri di altezza, sorretta dall’intreccio di legno e acciaio ha sintetizzato il concetto dell’arte italiana rinascimentale quando, durante gli anni Trenta del XVI secolo, Michelangelo sistemò per il Papa Piazza del Campidoglio pavimentandone lo sterrato attraverso un disegno a losanghe culminante in una stella a dodici punte, indicante le costellazioni. È stato Marco Balich, direttore artistico di Padiglione Italia, a desiderare l’albero della vita per sintetizzare una forma che unisse l’idea di installazione, monumento, scultura, edificio, nel simbolo al tempo stesso anche primordiale della Natura Primigenia: perfette le più avanzate tecnologie di spettacolo che lo hanno trasformato in albero del “futuro”. Il seme d’arancia ingrandito 1,5 miliardi di volte di Emilio Isgrò ha simboleggiato invece la speranza per il “nutrimento” in chiave universale, come la Donna carota di Luigi Serafi-

bruciati: i tronchi neri come sinonimo di decadenza della società attraverso l’immagine deturpata di alcuni alberi bruciati durante un incendio nel sud della Francia, denuncia della violenza dell’uomo sulla natura. Expo ha aggiunto anche un tocco di “futurismo”, in mostra nel Waterston di Intesanpaolo: Le officine di Porta Romana di Umberto Boccioni (1910), a rappresentare una città nel pieno dello sviluppo della società industriale, il divenire frenetico del progresso nel paesaggio periferico della metropoli illuminata dalla luce delle sagome degli operai e le case in costruzione. Presso Palazzo Italia è stato presente anche Giacomo Balla con il suo Genio futurista, inno del movimento: l’arazzo, del 1925, a testimonianza dell’interpretazione delle relazioni universali attraverso l’uso dell’intelletto e dei colori. Non è mancata nemmeno la “religiosità” all’interno del Padiglione della Santa Sede, con Pieter Paul Rubens – ne L’istituzione dell’eucarestia (1632-1650) – arazzo ispirato all’ultima cena nella chiave della Controriforma fiamminga, dove Giuda spicca

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in una posa distratta e poco coinvolta della scena in cui è presente, in un ambiente scuro, affollato, sullo stile di una fattoria ospitante la cena dei contadini, rappresentazione più incline al caos e al manierismo, differente rispetto alla geometrica rappresentazione di Leonardo. Tocchi Expo-Pop si sono distinti per L’arte in bottiglia, Archivi Coca-Cola di Atlanta – ovviamente all’interno del Padiglione Coca-Cola – in una mostra di 8 delle 500 opere d’arte contemporanea custodite negli Archivi Coca-Cola di Atlanta. E come dimenticare Andy Warhol, per l’Album Velvet Underground, sequenza realizza nel 1967 come copertina di uno degli album del gruppo rock americano, opera che ha reinterpretato l’arte nel linguaggio della società consumistica che si concentra sulla focalizzazione dell’anonimato degli oggetti. Warhol si è collocato anche all’interno dell’Arts & Foods. Rituali dal 1851, nella versione vietata agli adulti, esclusivamente concepita per bambini e adolescenti nella relazione tra arti e cibi attraverso giocattoli, animazioni, fumetti, costumi e opere d’arte pensati appositamente per il mondo dell’infanzia: oltre 93 opere di Andy Warhol destinate ai più piccoli.

Il seme dell’altissimo di Emilio Isgrò Padiglione Italia La conoscenza di Mimmo Paladino e Michele De Lucchi Donna carota di Luigi Serafini


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ARTE

Stefano Tonelli

I L N ATA L E D E G L I U LT I M I Chi è arrivato Fradicio di acqua, di sale e di viaggio Non sa quanti di loro Sono rimasti a dormire tra le onde, Quante voci sono diventate mute Come le conchiglie nere sul fondale. Quanti pesci portano i loro nomi Tra lo stomaco e la lisca E nuotano felici a pelo d’acqua. Sopravvissuti all’ultimo naufragio Si muovono come ombre Sulla banchina del porto che non è mai casa, Li illumina il sole sfacciato del cielo siciliano Ed il salmastro pietoso guarisce lentamente Le ferite profonde nei loro piedi. Dove le carcasse delle barche sono buttate

Sta una giovinetta scura sotto un gozzo Con un bambino appena nato che piange Come il padre con la barba, Piegato in due dal peso di non avere nulla. Hanno negli occhi l’odore del deserto E nella bocca tanta fame. Qualcuno porta un pesce povero come loro, Un pezzo di pane nella plastica E una bottiglia d’acqua scolorita. È sempre il Natale degli Ultimi che fa la storia, Che stride contro i nostri addobbi inutili, Contro il vuoto della nostra altezzosa distanza. A mezzanotte rintoccano le campane nello scirocco, In questo stivale pieno d’Africa. Chi s’inchinerà davanti a quel bambino?

restia m o u m ani 22


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estiamo Umani nasce da un’intuizione a Bolgheri nell’aprile del 2014. I tempi non erano scuri come quelli di oggi ma già si sentivano nell’aria segni di peggioramento. Fu realizzata perché in quei giorni combaciava la Pasqua Cristiana con quella Ebraica e mi sembrava un buon gesto di “servizio”. In più era un modo per ricordare Vittorio Arrigoni, operatore di pace ucciso da un gruppo terrorista nel 2011, il quale finiva i suoi articoli dalla striscia di Gaza proprio con questa frase. E così la spiegava: “Restiamo Umani è un invito a ricordarsi della natura dell’uomo. Io non credo nei confini, nelle barriere, credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini o longitudini, ad una stessa famiglia che è la famiglia umana.” Dopo Bolgheri fu portata nella piazza del Castello di Montescudaio e, fino al 10 di novembre, nell’Anfiteatro Romano di Volterra. Poi ci sono stati i tragici fatti di Parigi e tutto sembra ora precipitare. La scritta è diventata ancor più necessaria, necessario oggi più di ieri Restare Umani. Adesso è a San Miniato, ai piedi della Rocca di Federico II e non a caso. Proprio Federico II, dialogò con successo con l’Islam pur mantenendo le sue radici cristiane. E da qui, secondo me, dobbiamo ripartire, con più coraggio e più umanità. Tentazioni populiste, nazionalistiche

e anche xenofobe stanno chiudendo l’Europa dentro i suoi muri. Ovviamente io non ho ricette, sono un artista, un sognatore e per questo da sempre appartengo a una minoranza. Ma una cosa mi è chiara nella coscienza: l’arte deve diventare più servizio e meno vanità e l’artista ha il dovere di ritornare nella trincea del suo tempo, allontanandosi da quelle sirene del mercato e della moda che da troppo tempo hanno lesionato le sue orecchie. Deve comunicare con le scuole, con i giovani e gli ultimi restituendo così il talento che ha ricevuto in dono fuori dai lager del “sistema dell’arte”, riappropriandosi della sua Sacra Libertà. Le tredici lettere che compongono Restiamo Umani, come si vede dalle foto, hanno subito negli spostamenti delle ferite. Rifacendomi ad un’antica cultura giapponese ho deciso di non restaurarle, ma di evidenziarle con l’oro. Credo che se abbiamo il coraggio di esporre le nostre ferite, i nostri dolori,

le nostre amarezze ed i nostri tradimenti possiamo crescere ed evolvere. Sono loro che ci hanno insegnato a vivere e ci indicano della vita il senso. Se le nascondiamo, se le teniamo dentro continueremo a farci la guerra, continueremo a criticare la pagliuzza negli occhi dell’altro e non la trave che ci oscura la vista.

da sinistra Manola Guazzini assore del comune di San Miniato, Paolo Pesciatini della Confcommercio di Pisa, sindaco Vittorio Gabbanini, l’artista Stefano Tonelli, Filippo Lotti consigliere della Fondazione San Miniato Promozione, Roberto Milani del Centro Raccolta Arte (C.R.A.) e il vice sindaco Chiara Rossi.

Prendendo in prestito le parole di Vittorio Arrigoni - attivista, giornalista e scrittore ucciso a Gaza nel 2011 - nasce l’installazione “Restiamo umani”, opera firmata da Stefano Tonelli e curata da Bolgheri Art, micro cantiere di idee. L’installazione è una grande scritta di circa 20 metri di lunghezza per 2, composta da 13 lettere alta da terra 32cm. Dopo l’esperianza di Bolgheri (2014), la scritta ha trovato posto nella Piazza del Castello di Montescudaio (luglio 2015) e nell’area archeologica del Teatro Romano di Volterra (ottobre 2015), il 3 dicembre è stata installata sul prato della Rocca di Federico II a San Miniato al Tedesco, visibile dall’alto della Torre e fotografata da un drone, per cogliere il messaggio nella sua dimensione urbana e restituirlo contestualizzato, in modo da aggiungere tasselli alla storia che anche San Miniato stà contribuendo a costruire. L’installazione sarà visibile fino al 10 gennaio 2016.

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ARTE

ceramicando con Barbara Calonaci

Nicola Micieli

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anno una grazia lieve e trasognata le sculture in ceramica di Barbara Calonaci, delle quali propongo qui una scelta anche tematicamente mirata, assegnabile a un versante espressivo che reca una memoria metabolizzata e direi un’eleganza tra liberty e simbolista, della forma. Grazia trasognata quale si evince dagli sguardi “accecati” delle sue donne, protagoniste indiscusse d’un mondo poetico ispirato, per così dire, a un senso se non orfico o panico, certo di ideale comunione con gli esseri e il molteplice spirito della natura, che si manifesta nei caratteri e nei comportamenti delle creature nelle quali la

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scultrice si riconosce. Quelli che affida alla materia smaltata della ceramica, sotto specie di simulacri delle proiettive sue figure femminili, sono sguardi introspettivi anche a palpebre aperte: finestre certo leggibili quali “specchi dell’anima”, ma che dal nostro reale visibile introducono al reale sommerso, attestando l’immersione nel sogno di quelle presenze muliebri. Levità trasognata perché i sensi e il sentimento della vita trapassano nel sogno, ma anche per la concezione che Barbara Calonaci ha del linguaggio della ceramica e per l’uso espressivo che ne fa. A cominciare dai bianchi degli smalti che attenuano lo statuto materiale, rendono a loro modo incorporeo il pur saldo modellato e idealizzano la forma figurale. Quando non si affidi alla tecnica raku, per la quale è fondamentale l’azione finale del fumo, che abbrunisce i fondi e incide sulla resa cromatica delle zone dipinte con diversi colori, Barbara Calonaci predilige e magistralmente governa il paramento del bianco, oltremodo sensibile alla restituzione della luce. Aggiunge poi l’oro zecchino, a ulteriormente idealizzare la forma plastica e quale assegnazione simbolica alle parti che l’oro investe ed evidenzia. Sostanza essenziale per eccellenza, tradizionalmente usata nella segnaletica e nel simbolismo della trascendenza, con l’oro Barbara Calonaci connota i valori assegnati alle creature che si rivelano con e nei busti di donne variamente ibridate, ornate, visitate, in una parola: compenetrate dallo spirito della natura, sotto specie di maschere e parti anatomiche zoomorfe quando non siano, in effige, un gatto, una farfalla, una stella marina o altro animale domestico o selvatico. Va da sé che l’artista, in quanto persona e donna, riconosca altrettanti aspetti di sé nelle diverse

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figure del suo gineceo. In tal modo assume e veicola i tratti distintivi della “personalità” delle creature alle quali, di volta in volta, variamente ed emblematicamente si associa, e intendo le qualità e i caratteri che riconosciamo propri alle diverse specie e che sotto forma metaforica, rispecchiano valori che vorremmo possedere. Non a caso è inesauribile il repertorio zoologico al quale l’iconologia tradizionale di tempi e culture diverse, ha assegnato ricorrenti e differenziate funzioni simboliche. Quanto sia sinceramente sentita e vorrei dirla persino fervida l’identificazione di Barbara Calonaci con lo spirito della natura che circola nella sua ceramica, lo attesta una scultura del ciclo dei quatto elementi, Il fuoco. Per essere coerentemente organica al tema, quest’opera non poteva mantenere la levità propria alle partiture candidamente smaltate. In essa, tuttavia, Barbara Calonaci ha mantenuto, e forse a un maggior grado di intensità, un’espressione interiorizzata allo sguardo egualmente accecato della donna dal corpo ardente solcato da brune lingue plastiche ascendenti, i cui apici e creste rilucono dell’oro che alchemicamente, la materia in mutazione trasuda. Nel suo ormai lungo magistero ceramico, Barbara Calonaci ha creato non poche altre variazioni di stato e manifestazione visiva della materia formata o che va formandosi, in effige o simulacro femminile che trapassa da una condizione all’altra dell’essere, sempre in qualche modo nel flusso di una più ampia e differenziata circolazione vitale. Sempre l’artista ha affrontato la terra e il fuoco della ceramica, la duttilità della materia plasmata e la tenacia anche capricciosa del fuoco, avendo in mente il suo poetico sogno di liberare e rivelare lo spirito della natura insito nello stato magmatico della materia.


1. Io rinascerò, 2015, ceramica terzo fuoco, oro zecchino e ferro 2. I quattro elementi. Il fuoco, 2012, galestro e oro zecchino 3. Io animalista, 2010, ceramica terzo fuoco e oro zecchino 4. Inteligenza felina, 2014, ceramica terzo fuoco e oro zecchino 5. Donna gatto, 2015, ceramica terzo fuoco e oro zecchino

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museo

il nuovo Museo dell’Opera Intervista a Bruno Santi Paolo Pianigiani

Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso: Storie di Isacco, Esaù e Giacobbe Andrea Pisano, Profeti

Bruno Santi, uno dei sette consiglieri del Consiglio di Amministrazione dell’Opera del Duomo. Ha ricoperto la carica di Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro di Firenze

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ottor Santi, ora che anche Papa Francesco ha portato la sua meraviglia al Museo dell’Opera, appena inaugurato, possiamo dire che Firenze ha tutti i suoi capolavori in mostra? Il patrimonio storico-artistico di Firenze, costituito anche di “capolavori”, ha una così grande diffusione e articolazione, sia nei musei, sia nelle chiese sia ancora in àmbiti privati, che non è possibile parlare di una compiuta esposizione di opere provviste di grande attrattiva. A mio avviso, perché un auspicabile godimento di tutta la capacità creativa che nei secoli si è manifestata nella città, occorrerebbe davvero una sorta di convenzione tra tutti i soggetti proprietari perché – anche se in occasioni particolari – ciò che fino a un certo momento è stato precluso alla vista, potesse esser messo a disposizione di visite. Ma per questo occorre una volontà condivisa – considerato lo spirito di competizione – e talvolta di contrapposizione – che caratterizza i vari ambienti fiorentini, credo che sarà molto difficile realizzare ciò che mi sono permesso di proporre... È l’ultimo Museo fiorentino in ordine di tempo a riaprire i battenti; possiamo parlare di un Museo contemporaneo, non convenzionale? Credo che la definizione avanzata da lei sia corretta. Il Museo dell’Opera del Duomo nel suo nuovo ordinamento e allestimento è davvero un museo “nuovo”. La sua concezione, dovuta all’idea conduttrice del direttore, Monsignor Timothy Verdon, è soprattutto la riproduzione e la riproposizione del contesto in cui sono state realizzate le opere d’arte che hanno costituito durante il tempo della costruzione, dell’ampliamento,

della trasformazione del complesso religioso maggiore della città: la cattedrale, il battistero, il campanile. Al loro arredo figurativo era stato assegnato un compito di comunicazione del contenuto dottrinario, scritturale e liturgico presente nella tradizione della Chiesa. Basti pensare alla spettacolare ricostruzione della facciata arnolfiana, demolita nel 1587, con le statue originali e le copie di quelle disperse in varie località, anche straniere, inserita nella grande sala detta “del Paradiso”, che ricostituisce l’unità dello spazio davanti alla cattedrale, con le porte del Battistero, le statue che le sovrastavano e la colonna di San Zanobi. E così la collocazione, a un tempo essenziale e “drammatica”, della Pietà di Michelangiolo. E ancora, la “Sala del tesoro”, con l’Altare d’argento e le suppellettili sacre. Eppoi, la spettacolare teoria delle statue e dei rilievi già collocati nelle facciate e nelle nicchie del campanile, ciclo ispirato alla tradizione scritturale e alle teorie medievali sul rapporto tra divinità, condizione dell’uomo e anelito alla salvezza. E – ma sono solo alcuni esempi – la sala della Cupola, con i modelli e le memorie brunelleschiane. A cui si accompagna la veduta reale dell’incombente capolavoro del Brunelleschi in un locale attiguo attraverso un lucernario. Insomma, un museo dotato di strumenti conoscitivi e comunicativi davvero nuovi, favorito (è corretto dirlo) dalla opportunità di usufruire di un ambiente totalmente a disposizione (l’ex-Teatro degl’Intrepidi) e di strumenti comunicativi affidati alle più moderne tecnologie (filmati, app) che si aggiunge opportunamente – e direi, suggestivamente – al panorama così ricco e articolato delle strutture espositive fiorentine,

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che sono di diversa origine e caratteristiche ambientali e formali (basti pensare alle differenze tra Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti, Bargello, San Marco, Davanzati, Cenacoli eccetera). Una concezione – quindi – dotata di grande sensibilità per le esigenze del pubblico contemporaneo, a cui però non viene sottratta la conoscenza delle motivazioni per cui questo vasto patrimonio era stato concepito e realizzato. Capolavori e non capolavori; come ha fatto la moderna tecnica museale a farli convivere? Le espressioni creative degli artisti non sono certamente tutte della stessa qualità, e diversa è anche la capacità degli artefici di esprimere pienamente una forma. Da qui credo che derivi la concezione di un capolavoro rispetto a una realizzazione non completamente riuscita. Anche nel Mu-


seo dell’Opera del Duomo convivono così i capolavori (e son tanti!) di artisti unanimemente considerati capaci di esprimere al meglio la loro manualità (come non ricordare Arnolfo, Andrea Pisano, Donatello, Luca della Robbia Ghiberti, Verrocchio, Pollaiuolo, Michelangelo, solo per fare i nomi più prestigiosi), con altri forse di minore attrattiva, ma tutti impegnati verso un solo fine, la comunicazione di un messaggio religioso. Il principio dell’allestimento li vuole uno accanto all’altro; le moderne tecniche d’informazione spiegano la loro convivenza, nell’interesse superiore di una compiuta illustrazione dei significati nell’àmbito unitario del complesso sacro... Michelangelo: la sua “Pietà Bandini” ha ritrovato unità e spazio intorno, che non ha mai avuto in passato. Secondo lei, se la potesse vedere adesso, la prenderebbe ancora a martellate? La nuova sistemazione della cosiddetta “Pietà Bandini”di Michelangelo esalta nel modo probabilmente più

adatto possibile (isolamento del gruppo, semplicità nell’allestimento, colori tenui, illuminazione opportuna, presenza delle iscrizioni che ne illustrano esaurientemente la vicenda) questo estremo lavoro del sommo artista. Quello che mi è chiesto è suggestivo, ma credo che il prestigioso autore, considerato il suo perfezionismo, il suo carattere generoso ma insofferente e iroso, venuto a contatto con quello che lui considerava un difetto irrimediabile nel marmo, l’avrebbe ancora una volta fatta a pezzi. Era il suo temperamento e la sua ricerca della perfezione che lo portava a questi gesti estremi. Ma mi si lasci dire che l’indubbia qualità dell’esposizione di questo sventurato manufatto, l’avrebbe forse portato a più miti consigli… Storici dell’arte e architetti contemporanei: professioni spesso incompa-

tibili fra loro. Come hanno fatto questa volta a lavorare insieme? In realtà, il gruppo di architetti che hanno realizzato così efficacemente la ristrutturazione degli ambienti del nuovo (quante volte abbiamo ripetuto questo aggettivo!) museo, ossia Natalini, Guicciardini e Magni, si è confrontato fruttuosamente con l’unico storico dell’arte ideatore del progetto espositivo, il già ricordato monsignore Timothy Verdon. Questo ha senz’altro facilitato i rapporti tra le due professionalità. Credo che il lavoro sta stato pienamente e cordialmente condiviso, anche se ovviamente non saranno mancati aggiustamenti, modificazioni, ripensamenti e forse, anche qualche discussione, com’è naturale nella natura diversa per formazione, impostazione teorica e operativa tra architetti e storici dell’arte. Il risultato è quello di un disegno architettonico pienamente allineato sull’idea ordinatrice. Non va quindi sottovalutata questa felice risultanza che ha permesso la realizzazione di una struttura espositiva di gran fascino e che già sta riscuotendo approvazione e apprezzamento da parte di chi ha avuto l’occasione di visitarla. Qual è, a suo parere, il ruolo e la funzione del Nuovo Museo dell’Opera, in rapporto agli altri edifici sacri che occupano piazza San Giovanni, cuore pulsante della storia fiorentina fino dalle sue origini? Il museo ha il compito fondamentale di assicurare la memoria delle tante e varie trasformazioni del secolare arredo figurativo del nucleo religioso più importante della città. Attraverso i secoli, le mutate necessità rituali, il cambiamento di gusti estetici anche nel campo delle rappresentazioni religiose, le riforme liturgiche, hanno fatto mutare aspetto, in particolare negl’interni, dei tre monumenti sacri. Il museo ha la funzione di riannodare questi rapporti interrotti, di metterli di nuovo in reciproco contatto, illustrando ai visitatori ciò che è avvenuto

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durante lo scorrere nel tempo, anche nelle realizzazioni cosiddette effimere, che comunque hanno svolto un ruolo comunicativo nella vicenda degli edifici. Penso – per esempio – ai vari progetti e alle decorazioni della facciata dopo la demolizione del prospetto arnolfiano, ai progetti di apparati celebrativi in occasione di particolare rilievo, come i matrimoni o le esequie di sovrani, alle modificazioni di ambienti subite in varie epoche, dal Seicento al Novecento, alla sostituzione con copie, per ragioni conservative, di tanti rilievi presenti all’esterno del duomo, del battistero, del campanile. Ricostruire, anche con adeguati sistemi informativi, tutto il complesso delle dispersioni, degli adeguamenti, degli allontanamenti subiti dalle varie zone dei tre monumenti è facilitare la comprensione, da parte dei visitatori, dell’impegnativo, costante lavoro di trasformazione che questo complesso ha dovuto affrontare, sempre però con lo scopo – che a noi contemporanei può anche sfuggire, abituati ad altri criteri d’intervento, soprattutto nella prospettiva di conservare il più possibile il patrimonio originale – di celebrare nella maniera più adeguata e aggiornata il significato religioso dell’arredo di questi tre insigni monumenti ecclesiastici.

Servizio fotografico Alena Fialovà

Michelangelo, Pietà Bandini La Sala della ricostruzione della Facciata del Duomo Vincenzo Danti, La Decollazione del Battista, Particolare


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MOSTRA

quando a

Firenze

c’era il

RE

memorial sabaudo a Palazzo Pitti

Andrea Cianferoni

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obili, dipinti, sculture, oggetti della vita quotidiana ripercorrono in una bella mostra dal titolo “Firenze Capitale 1865-2015. I doni e le collezioni del Re” allestita fino al 3 aprile 2016, le vicende del re Vittorio Emanuele II e della sua famiglia che dopo la proclamazione di Firenze Capitale del Regno d’Italia si trasferì a Palazzo Pitti. L’esposizione vuole ricreare in alcuni degli spazi originari una suggestiva rievocazione della vita del Sovrano, dei suoi gusti artistici e dei suoi principali interessi e legami, cercando di coinvolgere il visitatore nelle atmosfere della reggia. Dopo l’elezione della città a Capitale, si rese necessario un riallestimento che coinvolse sia la residenza privata del nuovo Sovrano nella Palazzina

della Meridiana, attuale Galleria del Costume, che gli Appartamenti Reali al piano nobile della Galleria Palatina, che vennero utilizzati esclusivamente per cerimonie e incontri di rappresentanza di alto rango. Una mostra simbolicamente importante in quanto “è la prima nell’ambito di Un anno ad arte – commenta il neo direttore della Galleria degli Uffizi Eike Schmidt – precedentemente sospesa in attesa della nuova direzione e ora in fase di sblocco”. Per Schmidt è la prima uscita come direttore non solo della Galleria degli Uffizi ma anche di Palazzo Pitti, del Giardino di Boboli e del Corridoio Vasariano. Gli ambienti si offrono con il loro arredo originario, risultato di un importante riallestimento (1993) basatosi sull’ultimo Inventario Oggetti d’arte

Corona sabauda Antonio Dugoni Ritratto Vittorio Emanuele II Eike Schmidt Enrico Fanfani L’arrivo di Vittorio Emanuele II in Piazza della Signoria di Firenze

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risalente al 1911. Le stanze sono ampliate per la mostra da ambientazioni dedicate alla presenza Savoia, anche attraverso oggetti di uso quotidiano che rispecchiano gusto e personalità dei regnanti, primo fra tutti Vittorio Emanuele II. Importante testimonianza del gusto eclettico del re, gli ambienti hanno raggiunto il loro aspetto attuale, grazie alla sovrapposizione di


manufatti e arredi appartenuti a quelle dinastie che avevano precedentemente abitato il palazzo, e che furono poi rimessi in uso dopo i necessari restauri dai nuovi reali. A questa prima immagine si uniscono oggetti come la monumentale specchiera eseguita dai fratelli Levera ed acquistata da Vittorio Emanuele II all’Esposizione Nazionale del 1861, visibile nel Salotto Rosso. Lasciando la Sala della Musica ed entrando nel Salotto Giallo, si trovano testimonianze delle passioni del “re gentiluomo”, i cani, la caccia, i cavalli, oltre che tracce di quei passatempi prettamente maschili come il fumo e il gioco. Proseguendo si incontrano le presenze femminili che accompagnarono la vita del sovrano, Margherita di Savoia, nipote e nuora di Vittorio Emanuele e le figlie, Maria Pia e Maria Clotilde. Nelle sale che furono abitate probabilmente anche da queste donne si possono ammirare, come in una suggestiva ricostruzione, oggetti legati alla moda dell’epoca. Un percorso che si compone di arredi, abiti eleganti, oggetti domestici insieme a fragili accessori come ventagli, ombrellini, porta bouquet o

carnet da ballo, ed infine un piccolo repertorio di fotografie del tempo. Nella stanza dei camerieri è stata allestita infine una sorta di galleria dove si possono ammirare i ritratti di personalità maschili e femminili che segnarono gli avvenimenti politici e culturali del tempo, parete che si collega all’apposito riallestimento della Sala 16 della Galleria d’Arte Moderna. In numerose altre sale di Palazzo Pitti si sono mantenute testimonianze della breve permanenza del re a Firenze. Oltre alle sale della stessa Galleria d’Arte Moderna dove le opere esposte, acquistate e donate dai membri della famiglia reale, sono segnalate attraverso il Nodo Savoia e quelle della Palazzina della Meridiana, scelta dal re come sua residenza privata proprio nel 1865. Questi ambienti furono rinnovati nelle tappezzerie e nelle decorazioni murarie e venivano utilizzati come luoghi di rappresentanza arredati con mobili acquistati all’Esposizione del 1861 di cui rimangono alcuni esempi, mentre nell’ala opposta della Palazzina si trovavano le stanze private del sovrano nelle

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quali rimane testimonianza solo degli affreschi sulle volte. La mostra a cura, come il catalogo edito da Sillabe, di Simonella Condemi, è promossa dal Ministero dei beni e delle Attività Culturali e del turismo con il Segretariato regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo della Toscana, la Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, le Gallerie degli Uffizi con la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti e Firenze Musei.

Giovanni Mochi Atto d’annessione al Regno d’Italia presentato a Vittorio Emanuele Palazzo Pitti, Appartamenti Reali


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MOSTRA

Gabbia-no

Pietrasanta: istallazioni e bozzetti di Paolo Ruffini

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l comune di Pietrasanta in collaborazione con la Fondazione Versiliana inaugura il nuovo corso S.T.Art: Grandi Eventi, un progetto innovativo ed originale fino ad oggi mai sperimentato. Un percorso difficile da “ingabbiare” all’interno di una categoria dove il concetto di libertà, in tutte le sue forme, interpretato dall’attore, regista, conduttore e scrittore, si traduce utilizzando le tecniche miste (legno, ferro, cartapesta, resine e poliesteri scolpiti) e la manualità di eccelsi artigiani, i Maestri del Carnevale di Viareggio. Gabbia-no, titolo della mostra che si propone come un qualcosa di assolu-

ha la negazione stessa della gabbia. Gabbia-no, un inno alla Libertà! Dall’ 11 dicembre e per tutto il periodo delle festività, fino al 7 febbraio, una decina d’installazioni popoleranno Piazza Duomo, il Sagrato e la Chiesa di S. Agostino, con il suo Chiostro. Nella Sala del Capitolo saranno allestiti i bozzetti, i disegni, le testimonianze, le foto degli “Amici di Paolino”, che narreranno, come lo story-board di un film, l’evoluzione del progetto realizzato dal Nido del Cuculo e da Artitaly. Paolo Ruffini racconta cosa è il Gabbiano, può essere un sopracciglio, può essere simbolo dell’infinito se specchiato sul mare, può essere un cuore

tamente diverso, non una mostra convenzionale e neppure un déjà-vu, un evento d’arte che sta già spopolando sui social. Paolo Ruffini si cimenta per la prima volta con le arti figurative, non da scultore, non da pittore, ma da artista a tutto tondo, “divulgatore” del messaggio, del concept che le sue installazioni vogliono trasferire ai visitatori. Il simbolo che anima i suoi allestimenti è il gabbiano che dentro il suo nome,

se unisci le ali, può essere il segno delle forme generose di una donna, può essere il promontorio di un’isola, può essere di carta, può essere un abbraccio, la forma di una mezza luna, o di un aquilone, può essere frasi importanti, può essere la mia città, Livorno. Li ce ne sono tanti”. Mentre la gabbia-prigione si dissolverà gradualmente nel percorso che il visitatore sarà invitato a fare. Il Gabbiano librandosi nel cielo della libertà,

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ci affrancherà idealmente dalle costrizioni, dalle imposizioni, dalle paure, dall’ideologie, dai dogmi, dalle guerre, dalla fame, dalla schiavitù. Da tutto ciò che ci tiene prigionieri. E come Jonathan Livingston si dissolverà nel cielo. Saranno nel complesso tre gli appuntamenti con l’arte a Pietrasanta. Oltre alla mostra di Ruffini, nel Chiostro con la personale di sculture di bronzo di Alfredo Lucifero nella Sala Putti e di Claudio Tomei nella Sala Grasce. Info su www.laversilianafestival.it e www.museodeibozzetti.it Foto Gabriele Ancillotti

Angelo Errera

Paolo Ruffini con Massimiliano Simoni alla conferenza di presentazione della mostra Pietrasanta, Piazza Duomo

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mostra

Scarp e Rosse intervista ad Alessandra Borsetti Venier Emily Villa

Pontassieve, La Barbagianna: una casa per l’arte contemporanea, installazione Femminicidi 1522 di ABV. Sui quattro pannelli metallici sono scritti i nomi delle donne vittime di femminicidio in Italia dal 2011 al 2014. Colle Val D’elsa, Teatro del Popolo, ABV nella performance Violazione. (ph. G.Sparapani) Pontassieve, La Barbagianna, mostra Rosso di Donna.

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a anni realizzi Scarpe Rosse 1522 in varie città d’Italia. Come è nata questa manifestazione? Scarpe Rosse 1522 è una manifestazione d’arte che si svolge perlopiù negli spazi urbani, grazie al coinvolgimento attivo del pubblico, chiamato a partecipare alla sua realizzazione. Nel 2012 ho ideato la prima installazione con la raccolta delle scarpe – che continua ancora – donate da persone che aderiscono a una rete di solidarietà attiva sul territorio specifico in cui si organizza di volta in volta; rete di cui fanno parte enti pubblici, gallerie d’arte, associazioni culturali e di promozione sociale, gruppi, scuole e cittadini. Le scarpe femminili – circa 500 paia dipinte completamente di rosso – fino al 2014 non sono state disposte a caso, come si usa fare in altre installazioni, ma in modo da formare il numero delle donne uccise ogni anno in Italia. Non è stato facile conoscere le cifre ufficiali divulgate dallo Stato

italiano sulle vittime di femminicidio perché esiste un forte tabù culturale che tende a considerare la violenza domestica una questione privata e, soprattutto, a non denunciare i fatti. Qual è lo scopo e il significato della manifestazione? Sono convinta che di fronte a una realtà così drammatica anche l’arte visiva e la poesia non possano esimersi dal condannare, sempre e comunque, questa strage, prendendo posizione contro un fenomeno che richiede nuovi e più efficaci strumenti di informazione, tutela e prevenzione. All’inizio lo scopo era di rappresentare visivamente il numero annuale dei femminicidi. Quel numero era sconosciuto alla gente e quindi impressionante sia esteticamente che concettualmente, per questo coinvolgeva davvero chiunque. In seguito, avendo scoperto che il Ministero delle Pari Opportunità aveva istituito un centralino antiviolenza, ho ritenuto più importante far conoscere questo numero quasi sconosciuto alla maggior

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parte delle persone e in particolare delle donne che è, appunto, l’1522. Si continua a dire di denunciare le violenze ma non si sa né come fare né a chi rivolgersi. Ricordiamo che in Italia soltanto il 6% delle donne denuncia le violenze subite. Come si svolge? Si tratta di una manifestazione articolata in due parti; l’installazione Scarpe Rosse 1522 e la mostra d’arte contemporanea Rosso di Donna. Nella prima parte, insieme all’installazione delle scarpe sono previ-


sti interventi di rappresentanti del Comune che di volta in volta ospita la manifestazione, di esperti su problematiche giuridiche e legislative, letture live di poeti, performances di artisti e musicisti, letture di studenti e la proiezione del video d’arte Red iceberg con le voci registrate di poeti mentre leggono le loro poesie che si alternano a fotografie e a video di performances inerenti al tema. La seconda parte prevede l’inaugurazione della mostra Rosso di Donna ideata nel 2014 con lo scopo di coinvolgere gli artisti a essere attivi nella sensibilizzazione e prevenzione della violenza domestica contro donne e minori. La mostra prevede un numero di artisti in progress: in questo

momento nella mostra, inaugurata il 25 novembre scorso a Pontassieve (Fi) presso “La Barbagianna: una casa per l’arte contemporanea”, sono presenti circa 90 artisti a livello nazionale e internazionale. Intanto hanno già aderito altri 50 artisti e spero di arrivare presto a 200 in modo da realizzare la manifestazione in molte città e non soltanto in corrispondenza delle date canoniche dedicate alle donne. La prospettiva è di fare nel 2017 un’asta pubblica per vendere le opere – il formato deve essere 30x30 cm eseguite con la tecnica preferita – e poter devolvere il ricavato a una casa di accoglienza per donne maltrattate. La mostra sarà visitabile fino al 31 gennaio 2016 da scolaresche, privati e amministratori pubblici interessati a realizzare la manifestazione. Credi che l’arte possa essere efficace per affrontare queste problematiche civili? L’arte ha sempre dato voce e riconoscibilità ai problemi dell’uomo che sono il contenuto della sua stessa ricerca. Dobbiamo confidare nel valore

dell’arte e nel suo potere di smuovere dal di dentro le coscienze. Inoltre, agendo nella sfera del simbolico, essa può indagare, con i propri mezzi, i meccanismi di una realtà, l’aspetto di un comportamento, la verità di una situazione. “Così può muovere – cito Attilio Maltinti – e modificare consapevolezze, intervenendo su emozionalità e riflessione, sentimento e pensiero, urlo e ragione. Può essere più efficace di un discorso, più introspettiva di una legge, più duratura di una sentenza”. La Convenzione di Istanbul del 2011 rappresenta un passo importante verso la condanna giuridica, legislativa e culturale del femminicidio. E la volontà di portare in piazza la rabbia, il dolore, così come la speranza e l’ottimismo comincia a riprodursi senza sosta, mentre l’arte si fa messaggera di questo risveglio.

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Colle Val D’Elsa, Piazza Arnolfo di Cambio, installazione Scarpe Rosse 1522 di ABV. Circa 500 paia di scarpe femminili dipinte di rosso compongono il numero del centralino antiviolenza. Pontassieve, La Barbagianna: una casa per l’arte contemporanea, installazione Femminicidi 1522 di ABV. Sui quattro pannelli metallici sono scritti i nomi delle donne vittime di femminicidio in Italia dal 2011 al 2014. Bolzano, Piazza del Municipio, installazione Scarpe Rosse 1522, proiezione del video Red iceberg, letture di poeti e performance Violazione di ABV con due sculture di Giampiero Poggiali Berlinghieri. (ph. M. Lupi) Colle Val D’elsa, Teatro del Popolo, ABV installazione per la performance Violazione. (ph. M. Lupi)


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VISIBILE PARLARE

Portatori di Stelle alla Madonna del Buon Consiglio Roberto Giovannelli

Roberto Giovannelli, Tavolozza in arcobaleno «non son colori giù buttati a caso / né cenci allegri d’antiquata foggia / ma tagliate nel più cangiante raso / gonne al vento sui prati della pioggia», 2014, olio su tavola

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ella lettera all’Egregia Signora Contessa M.P., apparsa sul “Giornale del Commercio” n. 44 del 31 ottobre 1838, l’anonimo estensore “A.Z.”, descrivendo le opere di un’esposizione fiorentina di Belle Arti, ravvisava «molta novità» nel quadro del pittore pistoiese Niccola Monti (1781-1864), raffigurante La Madonna del Buon Consiglio commissionatagli dal marchese Leopoldo Feroni. Nella circostanza l’artista esponeva anche il dipinto con Michelangelo che sospende di scolpire la statua del Mosè per riflettere sul suo lavoro – l’opera forse più intensa della sua produzione – ben evocata dal “misterioso” osservatore di quella scena e della figura di Michelangelo: «un uomo di volto austero, scarno, barbuto, assiderato, racchiuso in una stanza non ricca di suppellettili, né di modelli in gesso, con davanti un marmo sbozzato che profondissimamen-

te contempla», tutto nel quadro spirava verità, esattezza e quella semplicità che era propria dell’antico scultore. La consonanza che trovai tra quest’ultimo lavoro che mi era ben noto e la sua breve ma penetrante descrizione, accrebbe il mio desiderio di rintracciare anche la ricordata Madonna per considerarne e magari apprezzarne l’originalità che, alla luce della qualità riscontrata nel Michelangelo, avrebbe potuto essere davvero alta. Fui portato, quasi per caso, sulla giusta pista seguendo le vicende del maestro del Monti, Pietro Benvenuti, che per il medesimo colto mecenate aveva dipinto alcune tele destinate alla sua «nuova villa di Frosini» nella campagna senese, come si legge in una frammentaria autobiografia dell’artista compresa nel volume Arezzo e gli aretini, pubblicato da Ugo Viviani nel 1921 (pp. 178-185). Dove si trovava il maestro – pensai – avrei potuto

Roberto Giovannelli, Archi in cielo «lo sparso arcobaleno dei colori / sogna sé lungo il brivido dei venti», 2015, olio su tavola in cornice ovale dorata Niccola Monti, La Madonna del Buon Consiglio, 1838, olio su tela (dettaglio con angioletto sollevante nuvole fuligginose), chiesetta medievale di San Michele Arcangelo, Frosini (Siena). Niccola Monti, La Madonna del Buon Consiglio, 1838, olio su tela (dettaglio), chiesetta medievale di San Michele Arcangelo, Frosini (Siena)

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incontrare anche quella «testa matta» del suo allievo.1 Il dipinto del Monti lo troviamo infatti proprio a Frosini, non appeso nella chiesa di stile Neoclassico che ospita le nitide immagini del Benvenuti, annessa alla villa rinnovata per volontà del Feroni, ma a pochi passi da quella, in una cappella nella chiesetta medievale di San Michele Arcangelo (Compagnia del SS. Sacramento e Carità),2 ove in tempi non lontani (ricorda un gentile paesano) fu traslata dall’altare maggiore della vicina pieve di Malcavolo, sua


Roberto Giovannelli, Volti in cielo «l’arcobaleno sembrava impazzito / non riusciva a tracciare / nel torbidume dell’aria infetto / un solo arco perfetto…», 2015, olio su tavola Roberto Giovannelli, Raccoglitore di cieli e di stelle, 2014, piccola architettura per lapidi terragne, olio su tavola, gesso e lamina d’oro Niccola Monti (attribuzione), composizione dell’altare maggiore e spartito della parete della pieve di Malcavolo presso Siena, ove originariamente era collocata La Madonna del Buon Consiglio da lui dipinta nel 1838.

originaria collocazione. In quell’abbandonato edificio è ancora integro il riquadro che conteneva la tela dell’artista pistoiese, il quale presumo avesse ideato anche la garbata composizione della parete cui è addossato l’altare, connotata da due vani laterali sovrastati da finte nicchie arcuate tinteggiate di colore azzurrino. Di quel dipinto mi piacque la figura della Madonna con il Bambino, seduta sull’arcobaleno mentre due angeli, a corona della nuvola che la sostiene, sciolgono un cartiglio ove in lettere d’oro si legge MATER BONI CONSILII. In un ricciolo di quel cartiglio, un poco sbiadita si trova la firma dell’autore: N. Monti [pitt. pist.] 183… Intanto, nello spazio superiore del quadro, due putti alati, di memoria vagamente correggesca, disvelano un fulgido cielo sollevando i lembi di un sipario affollato di cirri fuligginosi, come a rispecchiare il pensiero del pittore che in un Salmo dedicato a un amico, poco tempo prima aveva scritto: Folta e permanente caligine adombrava la luce del sole: gli uomini non si conoscevano fra di loro: molti credendo andar dritti incontravano il precipizio… Del nostro dipinto pochi brani sono ancora leggibili, come il volto della Vergine dallo sguardo perso in orizzonti lontani, modellata nel segno di un castigato purismo, o, alzando l’occhio, l’angioletto a sinistra, dalla capigliatura a grossi ricci attortigliati (il cui volto è vivido come quello di

un bambino sorpreso in azioni pericolose nella sua stanza dei giuochi) che ci lancia una fulminea occhiata. Per rinnovare la brillantezza e l’animazione di quelle figure – martoriate dal tempo ma soprattutto dall’incuria degli uomini – feci qualche schizzo acquarellato che poi tradussi liberamente in alcuni bozzetti ad olio. Così in un ludico svagato operare tra figure e colori, mi son ritrovato a fissare particolare attenzione sul nastro lungo dell’arcobaleno. In alternativa a quello mirabile di pietra al culmine del quale l’Ammannati pose Giunone, l’arcobaleno del nostro quadro (che ha un precedente in uno studio fatto dal professor Monti nello stesso anno per rappresentare L’Italia in mezzo ai più illustri figli suoi ), si risolve in un impalpabile ponte iridescente gettato fra terra e volta celeste, anch’esso, come quello, foriero di spunti per nuovi Archi in cielo e ambientazioni germoglianti nell’etereo immenso cortinaggio ove si rinnova la vicinanza poetica fra i giovani sgominatori di nuvole appena incontrati, precursori e fratelli carnali dei miei Portatori di stelle, portatori di paesi e di volanti architetture. NOTE 1 Vedi R. Giovannelli, Memorie di un convalescente pittore di provincia. Appunti autobiografici di Niccola Monti pittore pistojese, scritti dal 1839 al 1841, Firenze, Polistampa, in preparazione. 2 Vedi S. Colucci, I marchesi Leopoldo Feroni e Caterina Gori Pannilini, signori e mecenati di Frosini nell’Ottocento, in “Accademia dei Rozzi”, XVIII, n. 35, dicembre 2011, pp. 27-34.

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L’arte in italia

Carmelo De Luca

Heritage. Storia di tessuti e di moda

LE SCELTE DI GREZLER

GIUSEPPE CASTIGLIONE

22 novembre 2015 30 aprile 2016

6 dicembre 2015 1 maggio 2016

31 ottobre 2015 31 gennaio 2016

PRATO

Trento

firenze

Museo del Tessuto

Castello del Buonconsiglio

Opera di Santa Croce

I

I

U

l Museo del Tessuto festeggia ben 40 anni con una oculata esposizione dedicata ad abiti e bozzetti, figurini, accessori, stoffe raffinatissime, libri campionario, giornali antichi di moda, rari libri sui tessuti tra XVI e XX secolo. La mostra trova ispirazione nel vissuto dei personaggi legati a questo incredibile mondo, non a caso le sale ne raccontano curiosi aneddoti ed ospitano materiale inerente motivi decorativi, stili, sostanze coloranti, delicate manifatture, collezioni permanenti. Per l’importante genetliaco, l’istituzione pratese si è messa in ghingheri sfoggiando tutti i “gioielli di famiglia”, tra i quali si annoverano tessuti copti, artistici broccati, corredi sacri, un tesoro cresciuto grazie ad acquisizioni, donazioni, lasciti conosciuti a livello internazionale, che racconta il proprio vissuto supportando il carattere stesso della mostra.

l Castello del Buonconsiglio rende omaggio al collezionista Claudio Grezler, animo sensibile, esteta contemplativo, studioso acuto, caratteristiche manifeste nelle opere entrate a far parte delle sue collezioni. Paesaggi, battaglie, ritratti, tematiche sacre e profane spiccano tra la voluminosa quadreria, oggi visibile al pubblico per volontà dello stesso estimatore, che ne fece dono all’Istituto Trentino Alto Adige per Assicurazioni. In sintonia con la prestigiosa Istituzione , il “maniero tridentino” ospita nei suoi augusti ambienti capolavori della pittura italo-fiamminga a cavallo tra XVI e XIX secolo, ne sono degna rappresentanza la tenera Sacra Conversazione assegnata a Nicolò de Barbari, una Baccanale fiamminga, Venere e Vulcano di Bernardino Nocchi, dalle quale si evince la passione di Grezler per l’estetismo assoluto.

n gesuita nella Cina del XVIII secolo rivive attraverso la propria arte esposta nel Memoriale di S. Croce, riuscitissimo tributo a Giuseppe Castiglione, pittore delicatissimo ed oculato riproduttore della flora, fauna, realtà locale. Interagenti con tecnologie multimediali, 30 opere raccontano contaminazioni tra stile europeo e tradizione cinese, in particolare inerenti la prospettiva, ma anche il dialogo culturale tra due mondi in avvicinamento grazie all’operato di Castiglione, che ha saputo comunicare il vivere italiano attraverso la lingua appartenente alla radicata cultura locale. La comprensione tra popoli manifestanti volontà di apprendimento reciproco rappresenta il filo conduttore del percorso espositivo, suddiviso in sezioni dedicate all’incontro virtuale tra Europa e Cina, comprendente dodici bellissime repliche di alcuni suoi dipinti.

DIPINGERE L’INCANTESIMO

19 dicembre 2015 - 17 gennaio 2016 LUCCA

L

Fondazione Banca del Monte di Lucca

ucca dedica una mostra ai pittori che dalla Lucchesia novecentesca hanno tratto ispirazione. Prestiti eccezionali raccontano il paesaggio della Piana, Versilia, Garfagnana, gettonato set per tele ritraenti montagne, campagna, spiagge, Lago di Massaciuccoli, raffigurati quale paradiso non deturpato dalla incombente modernità. Conquistati dal pensiero romantico di Percy Bysshe Shelley, gli artisti britannici presenti in questa terra diventano numerosissimi nei primi decenni del XX secolo, come raccontano molte opere in mostra, omaggio ad un paesaggio in naturale simbiosi con i suoi abitanti di campagna e della stessa Lucca, monumento eterno alla bellezza creata da mano umana, anche testimoniata dalla scuola italiana e lucchese. Moses Levy, Alfredo Meschi, Nino Carrara, Plinio Nomellini, Lorenzo Viani rappresentano alcuni grandi nomi presenti nelle sale espositive.

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IL CORAGGIO DI VOLARE

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eaprirla di Lajatico. ,sintesi l’uomo lo getto ria da non lonell’album preme azione. I essante La facciata vestita di nuovo o, ilesposto vomere sottili ali iliù,rapido nfatta, facilità il se talvolta nomia Il muro assume rassicuranti prattutto, mbianza lla societàe namento, a gabbiano, anza, di colori cerulei, le otto ampie àne tra la lucidità aperture sono inquadrate da caparbietà, rdello volare alto. mo. Iltuttora bove candide cornici lievemente ,Simbolo l’uomo anche il lo mento peraggettanti, tutta la superficie è ne originaria a.lo preme descritta da razionali partiture aprirla diilLajatico. o, vomere calma e getto da nongeometriche che, nel loro niasintesi facilità insieme, assumono il sapore nell’album ssante prattutto, vazione. I di un tenue componimento esposto iliù,rapido anza, sottilidiali poetico. In basso, un vibrante se talvolta nomia caparbietà, fatta, il lla societàtappeto di diverse essenze namento, Simbolo e mbianza arboree trascolora nei toni del àe tra lucidità nelagabbiano, originaria un verde, ravvivati dalle multicolori mo. Iltuttora bove dello Lajatico. rdivolare alto. l’uomo anche il locorolle dei fiori. Da lì, esili e ia da non lo preme profumate, si alzano verzure di .ssante o, il vomere e rampicanti, a formare naturali ilcalma rapido facilità arcate che si imprimono sintesi nomia prattutto, azione. I sull’ampia superficie retrostante. namento, nza, diali La luce notturna esalta la delicata sottili e la lucidità caparbietà, fatta, il sinfonia di colori. Una nuova dello tuttora Simbolo eveste dagli antichi connotati: mbianza anche il restano, ammiccanti, gli stemmi ne originaria n. gabbiano, con il loro intenso significato di divolare Lajatico. rcalma e alto. a da non memoria. Elegante sobrietà, stile sintesi ssante raffinato, odierna architettura azione. I l rapido che sempre più affida le proprie sottili ali nomia sorti all’equilibrato rapporto con fatta, il amento, gli elementi naturali. Serenità mbianza e e ottimismo si diffondono e la lucidità n gabbiano, all’intorno, in stringente dello tuttora r volare alto. nche il coerenza con la squisita ricercatezza degli interni. Si entra calma e in banca fiduciosi, consapevoli sintesi delle sue radici popolari che nel azione. I tempo si ammantano di raffinate ottili ali peculiarità estetiche. Ecco il atta, il credo della Banca Popolare di mbianza eLajatico: rafforzare la sua più tradizionale missione e, insieme, n gabbiano, offrire nuovi orizzonti, scoprire volare alto. quegli spazi di fantasia, di realizzazione di sé, di donazione di sé che stanno oltre la linea del semplice benessere materiale.

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aul Jenkins, Edgardo Mannucci e Silvio Amato, sono questi alcuni artisti protagonisti delle mostre che si alternano a Livorno.

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l’età formativa dell’artista tra Roma e Milano presso i maestri Simone Peterzano (in mostra è esposta la dolcissima Sacra Famiglia) ed il Cavalier d’Arpino, a cui fa seguito l’accurato studio per la natura morta, squisita signora della realtà illusiva presso la raffinata Accademia del marchese Giovanni Battista Crescenzi. Si prosegue con uno spazio tutto dedicato alla suadente Maddalena proveniente dalla romana Galleria Doria Panphilj, trasparente verità del pentimento sgombro da accademismi artistici e religiosi, tela ammiratissima dal gotha europeo coevo all’artista. Il percorso espositivo trova conclusione nella scuola caravaggesca dedicata al vero, della quale Rutilio Manetti, Gioacchino Assereto, Giovanni Serodine, Mattia Preti, Ribera con Lacrime di San Pietro e La testa di San Giovanni Battista ne rappresentano degno lignaggio. Le sale ospitano due tele enigmatiche riguardo l’attribuzione ma di una bellezza incomparabile: S. Francesco in meditazione, proveniente da Malta, e l’udinese S. Francesco in estasi.

La Galleria Guastalla Centro Arte ha i riflettori puntati su Paul Jenkins (nato nel 1923 a Kansas City e scomparso nel 2012 a New York), con un totale di venti opere: un grande dipinto, vari acquarelli e alcune opere grafiche, principalmente risalenti dagli anni ’70 agli anni ’80. I titoli delle sue opere sono preceduti dalla parola “Phenomena”, sulla quale commenta: “il fenomeno per me significa la cattura della realtà nelle sue perpetue metamorfosi allo stesso tempo l’atto del dipingere e il suo risultato”, “posso definire me stesso come un abstract phenomenist, uno che affronta la realtà in movimento”, spiega Jenkins inventando peraltro una definizione nuova. Attratto dalla natura primordiale del colore e del suo purissimo rifrangersi sulla tela bianca, accosta colate di colori assoluti che si distendono sulla tela con gesto calmo: fa calare liquidi sulla carta o sulla tela, poi li indirizza, li corregge, li assesta con una lama d’avorio, obbligandoli a concentrarsi, a stendersi e a trovare la forma. La luce che crea il colore è un argomento determinante della sua poetica: il prisma spesso presente nella pittura, non è l’immagine, ma la prova fondamentale che la luce crea il colore.


ANTICHI MAESTRI ITALIANI dal 7 novembre 2015 bologna Galleria d’Arte Fondantico

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uova mostra per la Galleria d’Arte Fondantico dedicata a dipinti e disegni dal XVI al XIX secolo. Blasonatissimo il parterre delle opere selezionate, basti menzionare la te-

CARLO PORTELLI 22 dicembre 2015 30 aprile 2016 FIRENZE Galleria dell’Accademia

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ella Galleria dell’Accademia, l’innovativa pittura alla maniera trova degna rappresentanza nella monumentale ed eterea Immacolata

nera Madonna con Bambino realizzata da Benvenuto Tisi, maestro della cinquecentesca scuola ferrarese, e la pala dedicata a San Girolamo di Filippo da Verona, mentre l’arcinoto Annibale Carracci si distingue con la difficile tematica religiosa dedicata alla Madonna incinta con S. Maria Maddalena e Santa Monaca. L’età barocca trova apogeo in Guido Reni artefice del giovanile Orfeo ed Euridice, ma anche nei dipinti creati da Giovanni Antonio Burrini, raffiguranti Cristo fra dottori e la biblica Lot con le figlie. L’età dei lumi si materializza nelle opere realizzate da Donato Creti, Ercole Graziani, Giuseppe Varotti, esponenti del barocchetto locale. Due ovali di Gaetano Gandolfi con rubicondi putti dediti alla spensieratezza ludica contendono la scena al vedutismo di Vincenzo Martinelli e alle nature morte di Elisabetta Marchioni. L’ottocento trova rappresentanza in Antonio Basoli con alcune opere raffiguranti edifici, S. Giuseppe a matita rossa di Giuseppe Maria Crespi, studi su carta di Felice Giani. L’elenco dei capolavori presenti in Galleria è ancora lungo, venite a scoprirlo.

Concezione di Carlo Portelli, opera visionaria, studiata nelle pose contrapposte, movimentata dalla disinvolta nudità di Eva, ricchissima in significati letterari, satura nelle complesse figurazioni. Formatosi nell’arcinota bottega del Ghirlandaio, l’artista vanta importanti commissioni presso la colta Firenze medicea, basti menzionare la Trinità di Santa Felicita, composizione orchestrata in una dimensione spaziale illusoria, Disputa sulla Trinità dipinta per Santa Croce, Adorazione dei Pastori di San Salvi, il neo rossesco Martirio di S. Romolo. La produzione sacra trova anche supporto nella committenza privata, che si estende al genere ritrattistico con capolavori assoluti, oggi presenti nelle maggiori istituzioni museali a livello internazionale, trai quali si annovera il celebrativo Giovanni dalle Bande Nere. A conclusione di un Anno ad Arte 2015, il museo fiorentino dedica al grande artista una mostra riabilitativa con disegni, dipinti, documenti, preziose testimonianze di una originale pittura concettuale dalle connotazioni fantasiose, degno tributo ad un grande artista ancora sconosciuto al grande pubblico.

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storia/e

Umanesimo versiliese alla corte dei Tommasi

Vania Di Stefano dall’alto Vania Di Stefano ritratto da Riccardo Tommasi Ferroni (1968) Vania Di Stefano e Riccardo Tommasi Ferroni (c.1975) Fonderia di Luigi Tommasi sotto testo dell’epigrafe commemorativa e firme degli accademici

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a mitologia e la storia della Versilia moderna negli anni ’70 del XX secolo rivivono nel bel romanzo di Luigi Testaferrata: L’Altissimo e le rose (1980). Personaggi reali coi loro veri nomi (c’è anche Vania, detto Ivàn) si riunivano nei luoghi più diversi, ma specialmente nella terrazza d’una casetta in località Solaio; qui, contemplando il Padreterno, banchettavano lieti per onorare la vita e l’amicizia, accomunati da un sogno collettivo destinato all’immortalità per virtù di poesia, un sogno nato

fra la tribù dei Tommasi, che nell’agosto 1969 m’accolse a Pietrasanta promuovendomi a fratello minore, figlio, nipote, amico, compagno di giochi e di cene, suonatore di chitarra. Fu un privilegio e insieme una fortuna. Mi travolse e mi nutrì un concentrato di intelligenza creativa, di umorismo toscano beffardo, corrosivo, polemico, talvolta aggressivo; mi contagiò la fiamma di un Umanesimo imbevuto di una concezione aristocratica dell’esistenza goduta in nome dell’Arte, cioè della bellezza riflessa nel paesaggio dei loro volti, delle loro menti, delle mani tese a modellare argilla, a disegnare leonardescamente, a inventare mondi pittorici nuovi all’insegna della più classica, rivoluzionaria figurazione moderna. Nell’archivio della memoria ho antiche pagine che li riguardano: scaldano il cuore, attenuano la malinconia, rivelano gioie comuni e imprese surreali, come la fondazione dell’Accademia Stendhaliana, promotrice di un’epigrafe commemorante la ... assenza di Stendhal a Malbacco (vedi il foglio volante col testo e le firme degli accademici). Ho vissuto con loro anche momenti tristi, cristianamente condivisi, e persino pause ludiche, come il gioco del piattino rovesciato: ignoti spiriti, giovandosi delle nostre dita convergenti, lo muovevano sul tavolo entro un cerchio formato da caratteri alfabetici. Lettera dopo lettera veniva fuori di tutto, persino ottave: l’antica luce che dilegua a sera / perde l’oro di cui fu carco il giorno. / Ormai l’azzurro imbruna e quella sfera / ci lascia sospirar del suo ritorno. / S’acqueta nella mente ancor la fiera / che tutto il dì mi fa girare intorno. / La desterà il diman, se non l’uccide, / la bocca di costei che mi sorride. Che

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l’avessi composta io (lo confesso), lo capirono subito, fingendo teatralmente spiritico stupore. Non conobbi il patriarca di famiglia, lo scultore Leone, ma quando fui


ospite nella sua casa in viale Marconi sentii forte la presenza del suo nume irrequieto che abitava lo studio, colmo di gessi, e che aleggiava sul destino dei figli: Luigi focoso direttore della fonderia d’arte, Riccardo olimpico pittore emigrato a Roma, Marcello sanguigno scultore radicato a Firenze, Paolo generoso e onesto avvocato in Pietrasanta. Le loro belle mogli crescevano i figli sotto gli occhi

affettuosi e severi di Carolina Ferroni, sposa di Leone, attorniata da una folta, mobile, inquieta selva di parenti che ho nel cuore. Alla corte dei Tommasi passarono tutte le arti dell’uomo. Ai nomi dei celebranti il centenario stendhaliano aggiungo quello della pianista Maria Tipo e del pittore Alejandro Kokocinsky, ma l’elenco intero sarebbe lungo. Convitato speciale era Manlio Cancogni, personaggio oracolare, disincantato scrittore e giornalista; di me disse a Riccardo che sapevo scrivere, ma definì “sbagliato” il mio primo, inedito romanzo, L’apprendista, bocciato anche da Sergio Pautasso e dall’editore Baldini & Castoldi. Era piaciuto a Riccardo, a sua moglie Rossana, a Fortunato Bellonzi, a Igor Man (aspetto ancora il giudizio di Testaferrata). Dopo tanto tempo valeva la pena ricordare con gratitudine il privilegio della ricchezza accumulata in quegli

anni, io civis Romanus abbracciato dalla corte dei Tommasi e promosso cittadino di quella godibile Repubblica di Versilia descritta da Gigi nel suo immortale, onirico racconto; la copia che conservo ha questa dedica autografa: “Al mio Ivan, vivo, insieme a me, in questo libretto, per una brevissima, effimera eternità. Gigi”.

Luigi Testaferrata (1973) frontespizio del romanzo di Testaferrata con dedica Luigi Tommasi (1970) Vania Di Stefano nello Studio di Leone Tommasi (1969) Casetta dei Tommasi in località Solaio (1972) Paolo Tommasi a pranzo dai Tommasi (1969); da sinistra: Marcello, Carolina junior, Riccardo, Andreina, Ilaria, Vania Di Stefano, Maria Grazia Bastreri, Carolina Ferroni

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storia posa

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1887 prima mostra di fotografia a Firenze

Moreno Vassallo

Il disegno accanto al titolo, eseguito da Moreno Vassallo, rappresenta l’illustrazione del processo fisico del “foro stenopèico” Moreno Vassallo (autoritratto) è storico della fotografia.

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otografia è una parola composta da due termini derivanti dal greco antico phos (fos) che ha come significato Luce e graphé, ovvero scrittura. È dunque semplice comprenderne il significato, ovvero “scrivere con la luce”. Ma quanto effettivamente è antica la fotografia? Fin dalla preistoria l’uomo ha cercato di rappresentare la realtà che lo circondava attraverso le pitture rupestri. Addirittura si ipotizza che l’uomo primitivo osservasse il fenomeno della luce che, passando attraverso un piccolo foro fatto sulle pelli per

chiudere l’ingresso alla caverna dove abitava, vedeva la proiezione dell’esterno stesso, ma capovolta. Una spiegazione plausibile è il famoso cavallo rovesciato disegnato sulle pareti della grotta di Lascaux in Francia, vicino al paese di Montagnac. Passando dalla preistoria all’antica Grecia, nei Problemata physica, attribuiti ad Aristotele e tuttavia poco studiati e conosciuti, il filosofo dichiara di aver studiato un’eclissi di Sole all’interno di una piccola stanza buia: “... i raggi del sole che passano per un’apertura quadrata formano un’immagine circolare la cui grandezza aumenta con l’aumentare della distanza dal foro”. Arriviamo finalmente al concetto base della fotografia: la camera obscura. Coniato da Keplero in Paralipomena ad Vitellione è riferito a un ambiente ermetico e buio avente su una parete un foro per far filtrare la luce. Cardano introdusse una lente convessa per aumentare la luminosità e Daniele Barbaro aggiunse un diaframma per ridurre le aberrazioni. Inizialmente il sistema venne adottato in pittura; sono stati di recente svolti alcuni studi per dimostrare che anche il famoso pittore Michelangelo Merisi, il Caravaggio, utilizzasse la tecnica della camera oscura per riprodurre in maniera perfetta e fedele i modelli che dipingeva. La mancanza dei bozzetti preparatori ne sarebbe una prova inconfutabile. Fino a ora si è discusso del procedimento fisico che sta dietro alla luce, ma l’immagine fotografica, per come la conosciamo noi, cioè il negativo a pellicola, quando è nato? Passeranno diversi anni prima che il chimico svedese Scheele porti a ter-

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mine i primi esperimenti. Si parla del 1770, quando riuscì a ottenere delle riproduzioni di incisioni esponendo alla luce solare un foglio adeguatamente preparato ricoperto di cloruro d’argento. Il prodotto finito, però, aveva un grave difetto, quello di non poter essere conservato che in oscurità, poiché appena portato alla luce, anneriva completamente. La gloria di aver trovato rimedio spetta al francese Joseph Nicephore, che spese sedici anni di pazienti ricerche per arrivare a produrre lastre di rame ricoperte di uno strato di bitume di Giudea. Una volta esposta, l’immagine era resa permanente immergendola in un miscuglio d’olio di lavanda e di petrolio che scioglieva il bitume non impressionato, il tutto in un processo che richiedeva delle ore solamente per scattare una fotografia. Il francese Louis Mandé Daguerre, pittore, fisico e chimico, stava sviluppando nello stesso periodo un procedimento simile a Niepce. Venendo a conoscenza l’uno dell’altro, associandosi e raddoppiando gli sforzi, perfezionarono il processo che di lì a poco avrebbe dato vita alla nuova tecnica più utilizzata fino ai nostri giorni. Il 1839, che segna la nascita della fotografia. Negli anni a venire ci furono ulteriori sviluppi, dai negativi del francese Talbot, che permettevano di duplicare in positivo copie infinite della fotografia, alle modifiche del dagherrotìpo apportate da Evrard, fino al nuovo processo del britannico Frederick Archer molto più veloce: il collodio in umido. Arrivati a questo punto dell’articolo, ci si chiede se nei nostri lettori sia


sòrta questa domanda: ma quale ruolo ha svolto l’Italia per la fotografia? Non per quel che riguarda l’informazione sulla scoperta e sui contenuti tecnici, ma la fotografia come “arte”. Purtroppo la storia della fotografia italiana ha avuto fin dagli inizi problemi principalmente di tipo politico, basti pensare allo scandalo che nel 1862 scosse la Roma papalina. Uno scandalo senza precedenti: l’ex regina di Napoli, Maria Sofia di Baviera, sarebbe stata fotografata nuda! Le foto furono fatte circolare da agenti liberali filo-piemontesi, storia vera e confermata, tranne che per un particolare importante: erano dei “fotomontaggi” elaborati da Antonio Diotallevi. Solamente il volto era della Sovrana, il corpo, invece, era di una cortigiana, che poco tempo dopo confessò la verità. La vicenda non recò certo giovamento alla “giovane arte”, che nello stesso anno venne messa sotto controllo dal Vaticano con il pretesto dell’oscenità e non fu né il primo né l’ultimo caso. Tuttavia la fotografia trovò il modo per crescere anche in Italia. Non sono generalmente conosciute le vicende che caratterizzarono la “Prima Esposizione Italiana di Fotografica con annessa sezione Internazionale”, presentata a Firenze addirittura nel 1887, ben prima della famosa mostra di Torino del 1898. Era la mattina del 12 maggio 1887 quando Re Umberto di Savoia e la Regina Margherita giunsero a Firenze per inaugurare la nuova facciata della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Un folto programma di inizia-

tive collaterali solennizzò ulteriormente l’evento. Fra queste, era in programma un’altra inaugurazione:

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quella del Primo Congresso Fotografico Internazionale che prevedeva un’esposizione di quella “gentile attività, che volge a servizio dell’arte le stesse forze della natura”. La mostra, inaugurata dai reali il 15 maggio, era stata allestita nella brunelleschiana sede dell’Ospedale degli Innocenti, in piazza SS. Annunziata. Rivolgendosi ai sovrani, il commendator Nobili, presidente del comitato organizzatore, sottolineò “come l’arte e l’industria per mezzo della scienza associate tra loro sieno l’una all’altra di potentissimo aiuto”. Lo svolgersi dell’evento e dei suoi protagonisti, alcuni addirittura giunti dall’estero, e il concorso di un vasto pubblico di curiosi, sono ragioni più che sufficienti per occuparcene, a seguire, in un secondo articolo.

La nuova facciata di Santa Maria del Fiore, Cattedrale di Firenze, inaugurata il 12 maggio 1887 dai Reali d’Italia Umberto e Margherita di Savoia. (Fotografia di Moreno Vassallo). Storica fotografia stereoscopica della piazza della Santissima Annunziata. La brunelleschiana Piazza della Santissima Annunziata. A destra il loggiato dello Spedale degli Innocenti, sede, nel 1887, della Prima Mostra Internazionale di Fotografia. (Fotografia di Moreno Vassallo).


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Granduchi di Toscana al Forte da Leopoldo II a Sigismondo d’Asburgo Lorena Domenico Savini

Fortino di Forte dei Marmi Domenico Savini insieme con Sigismondo d’Asburgo Lorena Pietro Leopoldo II Sigismondo d’Asburgo Lorena

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igismondo d’Asburgo Lorena è diretto discendente del granduca Leopoldo II e come lui ama la Toscana e Firenze. È discendente alla sesta generazione in quanto Leopoldo II, che sposò Maria Antonietta di Borbone-Sicilia, ebbe, come primogenito Ferdinando IV, il quale, dalle sue nozze con la principessa Alice di Borbone-Parma generò, tra gli altri figli, Pietro Ferdinando, che raccolse l’eredità del padre e degli avi, infine assumendo il titolo di Granduca di Toscana, pur non regnando più sulla regione. È infatti dal 27 aprile 1859, come sappiamo, che la dinastia asburgica, tra grandi rimpianti della popolazione, fu costretta a lasciare il trono dell’amata Toscana per trasferirsi nei territori dell’Impero austro-ungarico, allora governati dal cugino Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e re d’Ungheria. Da Pietro Ferdinando e dalla moglie principessa Maria Cristina di Borbo-

ne-Due Sicilie, che era a sua volta nipote della granduchessa Maria Antonietta, nacque, tra gli altri figli il granduca Goffredo, nonno dell’attuale Capo di Casa, il granduca Sigismondo. Dal matrimonio del granduca Goffredo con la principessa Dorotea di Baviera nacque il granduca Leopoldo, padre dell’attuale granduca Sigismondo. A sua volta, l’arciduca e granduca Leopoldo, sposato con la principessa Letizia Belzuce d’Aremberg, ha generato, oltre Sigismondo, l’arciduca Guntram, che ricorda nel suo nome il capostipite degli Asburgo, vissuto nel X secolo. L’arciduca Sigismondo, come detto, ama la terra d’origine dei suoi ascendenti: la Toscana e Firenze, e le tradizioni di famiglia. Pur non risiedendo in Italia, mantiene vivo l’interesse storico e cavalleresco dinastico come era stato coltivato e trasmesso dai suoi nonni e bisnonni. Legatissimo a un folto gruppo di intellettuali toscani, si è dedicato alla storia della sua dinastia e del Granducato. È Gran Maestro dell’Ordine di Santo Stefano e dell’Ordine di San Giuseppe. Frequenti sono le sue visite nella no-

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stra Regione. Si interessa soprattutto, oltre che alla storia e alle tradizioni cavalleresche della sua Casata, anche della vita culturale della Toscana partecipando a conferenze e studi per approfondire la nostra storia toscana. Recentemente si è fatto promotore della salvaguardia dei beni storicoartistici legati alla Versilia. Come sappiamo, fu il suo diretto antenato, il granduca Pietro Leopoldo I di Toscana, figlio della grande riformatrice Maria Teresa d’Austria a volere il Fortino che dal 1786 dà il nome alla celebre località di Forte dei Marmi. Dove prima erano solo paludi e terre malariche, il Granduca, come in molte altre località della Toscana, ad esempio la Val di Chiana e nel Palude di Fucecchio, bonificò e ripopolò quelle zone rendendole fertili. E in questo caso, più belle e più adatte a incrementare anche il turismo, che già dalla prima metà dell’800 rese celebri queste zone. Il Fortino aveva scopi difensivi e di dogana, e da questo punto di vista incrementò notevolmente il commercio dei marmi. La rovinosa tempesta del 5 marzo scorso ha devastato la Versilia, abbattendo le celebri pinete della Versiliana, cantate dai poeti, non ha trovato insensibile il granduca Sigismondo. La sua attiva e presente azione per il recupero di queste “grandi opere della natura” gli ha valso, da parte del sindaco di Forte dei Marmi, la cittadinanza onoraria che il Granduca, attualmente soggiornante in Versilia coi figli durante l’estate, ha accettato con commossa gratitudine. Frequenti le visite del Granduca a Firenze. Tutti gli anni, il 19 marzo, presiede alla celebrazione di San Giuseppe, Ordine dinastico del quale è il Gran Maestro.


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giubileo aNNO 1700 P

er i cattolici l’Anno Santo o Giubileo, termine derivante dall’ebraico e riferentesi al corno di montone suonato per segnalarne l’inizio, consente la remissione dei peccati, cioè l’indulgenza plenaria, ed è celebrato ordinariamente ogni 25 anni, salvo i casi di Giubileo straordinario, come l’Anno Paolino, proclamato dal Papa Benedetto XVI dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 per ricordare il bimillenario dalla nascita dell’apostolo Paolo di Tarso, e come il Giubileo della Misericordia, proclamato dal Papa Francesco dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016 per ricordare il cinquantenario dalla fine del Concilio Vaticano II. La porta santa che viene aperta per il Giubileo rimane murata negli altri anni. Hanno una porta san-

ta soltanto le quattro maggiori basiliche di Roma: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore. Nella storia di tali eventi un ruolo di primissimo piano fu rivestito dalla curia fiorentina nel 1700. Per quell’anno il Giubileo fu proclamato da Innocenzo XII, molto anziano e gravemente malato, per cui la porta di San Pietro fu aperta dal suo delegato, il vice decano Cardinale di Bullione. A San Paolo fuori le mura la porta fu aperta dal fiorentino Cardinale Bandino Panciatichi, che si era fatto apprezzare per la sua reggenza della Dataria apostolica, un ufficio competente per i benefici ecclesiastici e le grazie, elargiti attraverso autorizzazioni e concessioni statali, dette “brevi”, e che può essere assimilato all’attuale agenzia delle entrate. L’evento è tuttora ricordato nella cappella del suo palazzo di via Cavour a Firenze da una croce di marmo e da una specifica dedica. Nella basilica di Santa Maria Maggiore o liberiana la porta santa fu aperta dal suo Arciprete, il Cardinale Jacopo Antonio Morigia, di origini milanesi, il quale era stato Vescovo di San Miniato dal 1681 e poi di Firenze dal 1683, incarico che lasciò il 28 ottobre 1699 per dissidi col Granduca Cosimo III. Il regolare svolgimento del Giubileo fu perturbato dalla morte di Innocenzo XII il 27 settembre 1700, cui seguirono due mesi di vacanza del trono, e da uno straripamento del Tevere, che impedì l’accesso alla basilica di San Paolo. Entrambi i cardinali presero parte al conclave tra il 9 e il 23 novembre, influenzato dai timori per un conflitto europeo e per la successione al re Carlo II di Spagna. Il Panciatichi fu proposto per l’elezio-

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ne dal cardinale veneziano Pietro Fernando Prattichizzo Ottoboni, ma la candidatura non Maria Rosa Toscani trovò l’appoggio di coloro che non apprezzavano il rigore e l’autonomia da lui sostenuti nell’amministrazione della Chiesa. Il 23 novembre fu eletto il cardinale urbinate Gianfrancesco Albani, che accettò a malincuore e che prese il nome di Clemente XI. Il Giubileo fu protratto da Clemente XI fino al 25 febbraio 1701, anche per accogliere i pellegrini accorsi a riverire il nuovo Papa. Dopo la chiusura dell’Anno Santo, per esaudire le richieste dei fedeli impossibilitati alla partecipazione, fu distribuita una medaglia devozionale in bronzo, che raffigurava sul diritto San Pietro e San Paolo, mentre sul rovescio ricordava la cerimonia di apertura della Porta Santa. Il caso particolare fu che per quell’anno non fu inserita Porta Santa, Basilica nella medaglia alcuna data o eledi San Pietro, Roma mento particolare di riferimento, essendosi verificato per la prima volta Medaglie devozionali in bronzo, 1701 che il Giubileo fosse stato aperto da un Papa e chiuso da un altro. Porta Santa Cattedrale di Banqui, Centrafrica


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storia

un corteo color turchino Maria Maddalena d’Austria pellegrina a Loreto nel 1613 Paola Ircani Menichini

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na principessa alta e di bella costituzione, appassionata degli svaghi all’aria aperta, della caccia e del buon mangiare, tanto che in alcuni ritratti appare con dei chili di troppo: così, almeno in parte, fu Maria Maddalena d’Austria, granduchessa di Toscana, nata a Graz nel 1589 e sposa del granduca Cosimo II dal 1608. Se lei si presentava robusta, il coniuge, al contrario, sembrava – ed era realmente – di complessione più debole e soggetto a frequenti malattie tanto che nel 1621 a soli 31 anni sarebbe morto per una forma grave di tubercolosi. Fatto raro tra le case regnanti di Europa, lui si era da subito affezionato alla moglie e in ogni occasione le dimostrava quanto gli piacesse stare in sua compagnia. Così volle scortarla anche per un tratto del pellegrinaggio a Loreto che la granduchessa fece nel 1613, in scioglimento di un voto per la guarigione di una sua malattia di quattro anni prima.

Allora, un pellegrinaggio di un membro di una casa regnante non era una cosa semplice da organizzare perché doveva svolgersi in una forma congrua al rango e quindi prevedeva la partecipazione di un numeroso seguito di gentiluomini a cavallo, di gentildonne in lettiga o in carrozza, e di varia gente di supporto a mulo o a piedi. Si doveva quindi sceglierne con cura i componenti che poi erano da alloggiare e sostentare durante le soste e le tappe. Lei, la principale interessata, espresse la volontà di fare le cose conformi a quelle volute nel 1593, in un caso analogo, da Cristina di Lorena, sua suocera. E così fu eseguito. In ogni modo, per prima cosa, l’organizzazione fu affidata allo zio di Cosimo, don Giovanni de’ Medici, che ebbe anche il comando della cavalleria e dei soldati di scorta. Del corteo quindi fece parte una rappresentanza scelta della nobiltà, oltre ai vescovi di Volterra, Arezzo e Colle Val d’Elsa, al conte di Warwick,

Justus Sustermans, Cosimo II, Maria Maddalena e il figlio Ferdinando II, 1640 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi. La Santa Casa di Loreto protetta dal rivestimento marmoreo disegnato dal Bramante (1509), 2014. La statua della venerata Madonna nera di Loreto. Il Santuario di Loreto, 2014.

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Robert Dudley, ingegnere navale al servizio del granduca, al marchese Angelo del Bufalo in veste di maggiordomo, e ad Angelo Marzi elemosiniere, incaricato di “amministrare” la pace e del Vangelo alla Messa. Tra i “servitori” vi furono il p. Girolamo gesuita confessore, Giovanni Battista Aggiunti medico e m. Simone Cresci cerusico, insieme a una pletora, per lo più non ricordati con il nome, di maestri di casa, furieri, dispensieri, credenzieri, canovai, “tinellanti” per gli uomini e per le donne, capi vetturini, ufficiali delle stalle, staffieri, 24 tedeschi alabardieri di scorta, corrieri… e due “trombetti” che, suonando lo strumento, invitavano ognuno alla partenza e di quando in quando sollecitavano a marciare “allegramente”, come scrive il cronista1. Poi ci furono i dettagli, che non si rivelarono affatto tali, e tra questi il colore del pellegrinaggio. La granduchessa volle vestirsi di turchino, considerato allora l’austero colore della Madonna, e così desiderò che facessero le dame, i cavalieri e la gente a piedi del seguito e che fossero addobbati con coperte, gualdrappe e finimenti turchini pure i cavalli, le carrozze, le lettighe e i carriaggi. L’8 ottobre dunque il granduca, la granduchessa e il seguito lasciarono Firenze dopo una preliminare visita al Santuario della SS. Annunziata. Nella tappa del desinare di Santa Maria in Bossolo furono raggiunti da “Madama”, che era l’appellativo dovuto a Cristina di Lorena, e dal suo corteo tutto vestito di nero, e insieme proseguirono per Siena, dove arrivarono il giorno dopo. Qui la granduchessa visitò la madre cappuccina Passitea Crogi, alloggiò la notte e il 10 ottobre, dopo aver reso omaggio alla


Madonna di Provenzano, fu di nuovo in viaggio, accompagnata da Cosimo II fino a sei miglia dalla città. Buonconvento, San Quirico, Pienza, Montepulciano, Cortona … questi i centri attraversati giorno dopo giorno, e i loro abitanti con curiosità si avvicinavano alle strade a commentare il corteo turchino, mentre i vescovi, la nobiltà locale, i soldati, i gonfalonieri, i priori, i commissari facevano riverenza solenne, davano feste, presentavano doni e ordinavano all’artiglieria di sparare dalle fortezze o di fare i fuochi di artificio e di accendere i lumi notturni. Quando la granduchessa, il 12 ottobre, entrò in Umbria, pure Domenico Marini, vescovo d’Albenga, governatore di Perugia, le portò il benvenuto del papa insieme al comando di servirla fin dove avesse voluto andare negli stati della Chiesa. Il prelato si pose così al suo seguito. Dopo di che il corteo compì la discesa al lago Trasimeno, fino a Passignano e alla stessa Perugia. Il 14 ottobre i toscani giunsero alla Madonna degli Angeli di Assisi dove furono accolti da 300 soldati del papa “in battaglia” disposti ai lati della strada; poi lucrarono l’indulgenza della Beata Vergine del Perdono, ammirarono le lampade ex voto d’argento collocate presso l’immagine antica, e nella cappella di Santa Chiara videro l’effigie e la lapide di Lorenzo de Medici “il vecchio” considerato un benefattore, in quanto aveva fatto fare a sue spese le fontane e la strada di collegamento con Assisi. Maria Maddalena visitò anche la cappella delle Rose, le reliquie di sagrestia, il crocifisso che parlò al Poverello e,

nella chiesa di San Francesco, contemplò le bellissime pitture di Giotto e Cimabue. Proseguendo nel viaggio, Spello le riservò la vista delle vicine terme romane e dei resti dell’anfiteatro distrutto dai “Goti”, Foligno la reliquia del corpo di Santa Secondina “di nuovo ritrovata in quella città”; mentre a Camerino il senese “Armonio” Tondi le mostrò delle piccole opere d’arte fatte da “piegature di salviette” (l’origami del tempo?) o modellate con lo zucchero. Sulla strada tortuosa e rovinata che portava a Macerata, avvenne la caduta in un precipizio (senza conseguenze) del cavallo del soldato “lancia spezzata d’onore” Guido Antonio Arcibollo. Tolentino invece festeggiava, proprio il giorno dell’arrivo del corteo, il patrono San Catervo martire insieme alla moglie Settimia Severina e a Basso loro figlio (o “servitore”, secondo

il cronista). Qui la granduchessa visitò il chiostro dove era dipinta la vita di San Nicola e le sue reliquie. Poi i pellegrini raggiunsero Macerata e Recanati, ricevendo le solite accoglienze festose, e il 19 ottobre, finalmente, Loreto. Alla vista della santa cupola, i gentiluomini smontarono da cavallo e Maria Maddalena scese di lettiga, si mise in ginocchioni e rese grazie alla Vergine del felice viaggio. Al Santuario arrivò con fatica per la tanta gente che era per la strada. Quando con umiltà si mise in preghiera davanti alla Santa Casa, non osando entrare prima di essersi confessata, fu cantata musica a due cori. Era stata allestita anche una costruzione a forma di tempietto rappresentante la “Fama”, la quale per tutto il tempo della sua permanenza versò vino bianco e vino rosso a chiunque lo desiderasse. Nei giorni seguenti la granduchessa compì con fervore le devozioni alla Madonna, ricevette in regalo dal cardinale Antonio Maria Gallo, protettore di Loreto, una tela del Pomarancio rappresentante la Vergine portata dagli angeli, ed ebbe il privilegio di venerarne la statua senza il “mantellino” e di vedere come questa avesse i piedi avesse i piedi e le mani bianchi, in contrasto con il nero del volto. Prima di partire donò elemosine e oggetti preziosi, quali candelieri d’argento e paramenti sacri. Riprese il cammino verso la Toscana il 22 ottobre, assieme al suo corteo turchino, facendo pressappoco le stesse tappe dell’andata. Il 30 ottobre, a Strada, tra Arezzo e Siena, incontrò Cosimo II, desideroso di rivederla e di salutarla con “affettuosi” complimenti.

Note 1. “Diario Fiorentino” di Cesare Tinghi, manoscritto, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Capponi. 261. I (16001615), ff. 612v e ss (da una Relazione di prete Francesco “Canpani” maestro dei Paggi). Le parole originali sono tra virgolette.

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storia

gli

amici

prosperitati publicae augendae

degli

amici

in favore della pubblica prosperità Roberto Mascagni La marchesa Vittoria Gondi è presidente dell’Associazione “Amici dei Georgofili” e autrice del libro La natura in tavola. Fattoria di Volmiano: ricette e segreti (Edizioni Sarnus) La Sala delle Adunanze dell’Accademica dei Georgofili. Alla parete il dipinto di Cornelis Schut (Anversa, 1597-1655).

foto Moreno Vassallo

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ell’accezione comune, l’espressione “amici degli amici” può destare qualche legittimo sospetto di maneggi o insinuare intrìghi per ottenere vantaggi diretti o indiretti. Inutile dirlo: questi espedienti sono a loro del tutto estranei, perché gli “Amici” di cui ci occupiamo riguardano la storica Accademia dei Georgòfili, fondata a Firenze il 4 giugno 1753 per volontà del canonico

lateranense Ubaldo Montelatici, un erudito fiorentino che si proponeva di contribuire al progresso delle scienze e delle loro applicazioni all’agricoltura in senso lato, alla tutela dell’ambiente, del territorio agricolo e allo sviluppo del mondo rurale, che raccomandò di porre ogni studio in «far continue e ben regolate esperienze, ed osservazioni, per condurre a perfezione l’arte tanto giovevole della toscana coltivazione». L’Accademia trasse l’ètimo dal greco classico: infatti “georgòfili” significa “amici dell’agricoltura”. Il Governo Granducale Lorenese le conferì sollecitamente carattere di Istituzione pubblica (prima nel mondo), affidandole importanti incarichi. Con l’Unità d’Italia, l’Accademia dei Georgofili, che già di fatto aveva una dimensione extra-toscana, divenne anche formalmente nazionale. Nel 1897 fu riconosciuta come Istituzione Statale e nel 1932 fu eretta in “Ente morale”. L’Accademia è la più antica Istituzione del genere in àmbito internazionale a occuparsi di agricoltura, ambiente, alimenti, e promuove il progresso delle co-

foto Moreno Vassallo

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noscenze, l’incremento delle attività tecnico economiche e la crescita sociale, accompagnando lo sviluppo delle scienze agrarie, nella loro accezione più ampia. È un’attività importante, quella dei Georgofili, alla quale si è affiancata, dal 25 giugno 2001, l’associazione “Amici dei Georgofili” voluta da mogli e figli di Georgofili come Giorgiana Corsini, Rezia Miari Fulcis (ex presidente), Elena Torrigiani di Santa Cristina, Bona Frescobaldi, Oliva Scaramuzzi, Lorenzo Ginori Lisci, Bettina Ricciardi e Vittoria Gondi. Presidente è la marchesa Vittoria Gondi. Marchesa, lei è figlia e moglie di agricoltori, come svolge il suo ruolo di Presidente? Sono cresciuta fra agricoltori, mio nonno e mio padre erano imprenditori agricoli, in realtà mio nonno era un antiquario convertito all’agricoltura e mio padre ha chiuso tutte le nostre attività di antiquariato, in nome della sua grande passione per l’agricoltura e gli ulivi. Diventando un importante produttore di olio extravergine di oliva, franto a fred-


do con macine di pietra. Io stessa, dopo aver avuto un’esperienza nella moda, in gioventù, ho poi aiutato mio padre nella nostra Fattoria “Volmiano” e sono stata contagiata dall’amore per la terra. Per di più mi sono sposata con un agricoltore che produce vino nel Chianti Rufina e i miei figli hanno deciso di lavorare con noi, dividendosi fra vino e olio. Gli scopi dell’associazione sono importanti come si vede dall’art. 2 del nostro Statuto: è prioritaria, l’organizzazione di convegni, congressi e tavole rotonde finalizzate a trattare e approfondire tematiche legate alla tutela e valorizzazione del patrimonio agro-ambientale, la sensibilizzazione dell’opinione pubblica ai problemi agro-ambientali e la sollecitazione all’ottenimento di op-

portuni provvedimenti anche in sede amministrativa e legislativa. Per il raggiungimento di tali scopi può essere prevista anche la costituzione di sedi distaccate dell’associazione, come è successo, visto che da poco è nata l’Associazione “Amici dei Georgofili” a Pisa. Lei, marchesa, è prodiga di energie e buona volontà per divulgare le attività dei Georgofili, non di meno come Presidente dell’associazione del Garden Club di Firenze. Come concilia questi impegnativi compiti? Chi sono i suoi collaboratori? Occuparmi delle due associazioni è piuttosto facile, visto che non c’è molta differenza fra l’amore per la terra e l’amore per il paesaggio e il giardino. Gli “Amici dei Georgofili”, è un’associazione forse un po’ più

mondana, ma ammirare un’estesa uliveta, un mare grigio-argenteo oppure visitare un roseto multicolore, dà sempre la stessa intensa felicità. Ho la fortuna di avere due generose volontarie, per gli “Amici dei Georgofili” mi sostiene e coadiuva Bettina Ricciardi e per il Garden Club Antonietta Luchinat, senza di loro non mi sarebbe possibile andare avanti. Il punto di congiunzione fra l’Accademia dei Georgofili e l’associazione che lei presiede si può ravvisare nella divulgazione delle finalità istituzionali dei Georgofili? Come potete immaginare siamo un’associazione satellite dell’Accademia, quindi mentre i Georgofili fanno circolare le idee, le confrontano e soprattutto le approfondiscono contribuendo a mantenere alto il prestigio della nostra cultura, sempre nel pieno rispetto del proprio motto “Prosperitati Publicae Augendae”, noi affrontiamo gli argomenti dal lato più pratico e meno tecnico. Organizziamo conferenze come, per esempio, con il professor Stefano Mancuso, famosissimo perché ha dimostrato che le piante comunicano fra loro; con la dottoressa Cristina Acidini che ci ha fatto sognare con “Un Pegaso nel giardino” e visite a realtà agricole uniche: siamo riusciti a vedere un allevamento ittico e una cantina all’avanguardia, perfino uno stabilimento a biomassa alimentato con bucce di pomodoro!

foto Moreno Vassallo

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L’ingresso principale dell’Accademia dei Georgofili si apre sul Piazzale degli Uffizi. Fra i Soci Corrispondenti dell’Accademia figuravano alcuni Presidenti degli Stati Uniti d’America: James Monroe, James Madison, Thomas Jefferson. L’entrata posteriore dell’Accademia dei Georgofili con l’annessa Torre dei Pulci, coinvolte nell’attentato dinamitardo del 27 maggio 1993.


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racconto

59 centesimi cad. Matthew Licht

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rese un asciugamano pulito dall’armadio vicino alla stanza da bagno, l’unica parte dell’appartamento dove regnava l’ordine. Non era Pete che organizzava asciugamani e lenzuola puliti. Ci pensava Maggie, la sua ragazza. Maggie rientrava tardi. A volte non rientrava per niente, specialmente di venerdì sera. Ci avevano fatto delle litigate. Maggie lavorava in un bar in un’altra parte della città. Sosteneva che passava i venerdì notte a casa della sua collega e amica Nanette, che ci abitava vicino. Pete non aveva fatto accertamenti. Non aveva voglia di pedinarla o assumere investigatori privati. Così, se Maggie dovesse tornare a casa, e se era stata una buona serata, in quanto a mance, allora potrebbe ancora essere un sabato decente. L’appartamento era di Pete. Maggie viveva con lui. Costava poco, e non era piccolo. C’era persino una camera per gli ospiti. Visto che il vecchio

non era un tipico barbone – non puzzava, e non sembrava sbronzo – Pete pensò di poterlo ospitare senza che Maggie se ne lamentasse. Avrebbe scoperto cosa gli era successo. L’avrebbe aiutato a tornare giù in Florida, se era veramente venuto da lì, oppure l’avrebbe portato ad un centro d’accoglienza per anziani in difficoltà. Qualcuno strillò da spaccare i timpani. Un oggetto pesante cadde a terra e si frantumò. Il bollitore fischiò. Maggie gridava. Faceva rumori incomprensibili, animaleschi. Pete corse nel salotto. Il vecchio si era alzato dalla poltrona dove Pete l’aveva ormeggiato per andare alla finestra. Si scaldava le mani sopra il radiatore. Aveva ancora sulle spalle il cappotto di Pete. L’aveva sbottonato, e anche la giacchina di nylon arancione. Sotto aveva la camicia bianca, pulita e stirata, cosa che Maggie avrebbe dovuto apprezzare. Maggie si era messa le mani sulla fac-

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cia. Aveva gli occhi sgranati dal panico. Era rigida, tremava. Ai suoi piedi, da una bottiglia rotta, si espandeva una pozzanghera alcolica a 40 gradi. Una macchia scura le si allargava alla patta dei jeans. Maggie che lavorava in un brutto bar si era pisciata addosso alla vista di un innocuo vecchietto. Pete dovette trattenersi dal ridere. Buttò l’asciugamano sul sofà e afferrò la sua ragazza in procinto di svenire. “È tutto OK,” disse, stringendola forte. “È solo un tipo che ho incontrato. Non ha dove andare. Volevo aiutarlo. Non c’è d’aver paura.” “Oh! Ma lì… sei tu! Ma lui… lui è… ” Maggie era sotto choc. Non riusciva a dire neanche una semplice frase. “Ora ti ripuliamo un po’, baby. Hai avuto un piccolo incidente. Ti fai una doccia calda, ti calmi, e intanto ti preparo da bere.” Maggie tremava ancora, ma le era passata la paralisi. Si lasciò portare fino al bagno. Lasciò che Pete la spogliasse. Niente mutandine, ma ciò non era, per Maggie, del tutto insolito. Pete sciacquò i jeans impisciati nel lavabo mentre lei si faceva la doccia. Una nuvola di vapore si formò, e annebbiò lo specchio. Pete scostò la cortina di plastica semi-trasparente per sbirciarla. Maggie aveva i capelli scuri in faccia. Pete le mandò un bacino, per non spaventarla un’altra volta. “Mi dispiace, Pete. Non so cosa m’abbia preso, ma per un istante pensavo che… ” “Non ti preoccupare.” “Credevo di vedere un fantasma, oppure… ” “Capisco.” “…oppure qualcosa di molto peggio.” “È solo un vecchietto.”


casa dal lavoro, e non l’avessi vissuta?” “Hai bevuto tanto, eh?” “Non così tanto.” “Dove vai, le notti che non torni a casa?” “Da Nanette. Te l’avrò detto mille volte.” “Ma so che non è vero.” “Cosa? Mi stai pedinando, forse?” “È solo la sensazione che ho.” Anche Maggie si alzò a sedere nel letto. Era nuda. Di solito si metteva una maglietta. Nella luce che veniva dalla strada, Pete la vide pallida, con la pelle d’oca, i capezzoli intirizziti. Lei lo guardò duro. “Davvero lo vuoi sapere?” Pete fu preso dal panico. Gli sembrò di rivivere tutti gli sforzi accaniti che aveva fatto per farsi notare da Maggie, chiederle di uscire con lui, convincerla a venire a vivere con lui. Quel vecchio nel salotto era solo al mondo. Forse il primo passo per finire come lui era chiedere alla tua donna dove va, cosa fa, quando è fuori dalla tua vista. Il vecchio probabilmente aveva affittato appartamenti. Forse aveva avuto figli, che ora erano a giro nel mondo, e una moglie, o più mogli, ex-mogli – oppure aveva mogli e bambini morti e sepolti. “Senti,” disse Pete. “Non devi dirmi nulla. Mi dispiace che ti sia spaventata. Sono sempre felice quando torni a casa, e quando sei qui con me.” “Oddio, non fare il piagnucoloso. Va tutto bene. Stiamo abbastanza bene insieme. Non sto andando da nessuna parte.” “Ne sono contento, Maggie. Ti amo, bella.” Maggie gli diede un bacio. “Ma non possiamo chiudere quella maledetta finestra? Dobbiamo per forza far finta di essere boscaioli o indiani? Si gela.” Pete andò a chiudere la finestra. Si sporse, nudo, a guardare i rifiuti che il vento spazzava sotto la luce gialla dei lampioni. Si sentì gelare. Nel letto, Maggie respirava forte. Era KO, oppure faceva finta. Gli sembrava di sentire ronfare il vecchio nella stanza accanto. Il vecchio e Maggie dormivano insieme. Quando Pete si risvegliò, il vecchio non c’era più. Non aveva lasciato il cappotto. Pete ispezionò l’appartamento. Mancava anche una lattina di filetti di sgombro che stava sopra il frigorifero da anni, un rimasuglio del periodo in cui Pete aveva condiviso l’appartamento con altri uomini. La lattina aveva l’etichetta blu scuro, con al centro un disegno di un gigantesco pesce argenteo che saltava dalle onde. Sulla testa portava una corona d’oro.

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C’era una volta a... Peccioli

26dicembre 6 gennaio dalle 15,30 alle 19 2015 2016

Storie e racconti tra le vie del borgo Cantastorie Attività ludico didattiche Artisti di strada

Street band Laboratori scientifici

Me r c ati n o ar ti gi an al e

Spettacoli di fuoco M OST R E D’ARTE

Per info: 0587 672158

Progetto grafico Fondazione Peccioliper - Disegno di Camilla Garofano

“Sicché ora porti in casa barboni.” “Dài, fuori si gela. Aveva solo quel giacchino. Non sa badare a se stesso, ma non è ubriaco.” “Vorresti dire che non è ubriaco come me.” “Perché, sei ubriaca?” “Forse un po’.” “Ora gli faccio qualcosa da mangiare. Ne faccio anche per te. Lo metterò a dormire nell’altra stanza, o sul sofà, se preferisci. Domattina vedremo di aiutarlo.” “Vorrai dire: vedrai di aiutarlo.” “Ecco. Volevo dire questo.” Pete mollò la tenda della doccia e tornò nel salotto. Il vecchio dormiva sulla poltrona avvolto nel cappotto. Maggie andò dritta a letto, ancora umidiccia, coi capelli che le odoravano leggermente di birra e fumo. Pete si era abituato all’idea che non sarebbe tornata, che avrebbe dormito solo. Le mise una mano sulla spalla. Lei si svegliò di scatto, con un grido soffocato. “Eh! Cosa!” “Perché hai avuto tanta paura?” “Ma che dici? C’era un estraneo in casa mia.” “Va bene, ma la reazione normale sarebbe di urlare, ‘Che cazzo ci fai, qui?’ e scappare a chiamare la polizia o farsi aiutare dai vicini. Non sei tipa da restare paralizzata dal terrore e pisciarti addosso.” “Allora sono impazzita. Fòttiti.” “Dì la verità.” “Nulla d’importante. Ho creduto che fosse mio padre… ” Aveva avuto brutti problemi, col padre. Era andato via di casa, oppure era stato mandato via, forse anche dal tribunale, quando Maggie aveva solo quattordici anni. Era morto, da oltre dieci anni, o perlomeno Maggie diceva così. “…e poi ho pensato che fossi tu,” disse Maggie. Pete si alzò a sedere nel letto. Sentì subito freddo. Aveva lasciato spalancata una delle finestre della camera da letto. “Che fossi io? Ma se non mi assomiglia per niente.” Maggie strinse attorno a sé le coperte. “Lo so che è strano, e mi ha fatto una grande paura. Prima vidi un fantasma – il peggior fantasma che mai mi potrebbe capitare di vedere – e poi mi sembrava di vedere te già vecchio, che guardavi dalla finestra, tutto rimpicciolito nel cappottone. Avevi l’aria così triste, sembravi sfinito. Pensai, ‘Aspetta, è andato tutto troppo veloce. Non sono ancora pronta.’ Naturalmente sono rimasta sconvolta. Tu cosa faresti, se pensassi che la tua vita fosse passata mentre tornavi a

Fondazione Peccioli per

www.fondarte.peccioli.net


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LIBRO

Il linguaggio segreto dei fiori Patrizia Bonistalli

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itenuto il romanzo più importante del 2011, Il linguaggio segreto dei fiori è stata la prima opera narrativa di Vanessa Diffenbaugh, nata a San Francisco e Laureata a Stanford in scrittura Creativa ed Educazione artistica. La coinvolgente e toccante vicenda di Victoria, una delle protagoniste più indimenticabili della letteratura contemporanea, si è rivelata un fenomeno narrativo conteso da tutti gli editori del mondo. In Italia il libro è stato pubblicato con quattro diverse copertine, ognuna riporta un fiore con un preciso significato:

Se era vero che i muschi non hanno radici e l’amore materno può nascere spontaneo, apparentemente dal nulla, allora forse avevo sbagliato a ritenermi incapace di crescere mia figlia. Forse anche chi aveva vissuto isolato e senza affetti poteva imparare ad amare profondamente al pari di chiunque altro... la rosa, eleganza; la camomilla, forza; la gerbera, allegria; la buganvillea, passione.

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i può lottare per un’esistenza migliore pur senza avere avuto solide radici. Victoria vive in istituto in seguito alla mancanza che ha inciso la sua na-

scita. “Mi chiesi se qualcuno avesse cantato per me da piccola … qualcuno che mi avrebbe abbandonata” Nella piccola orfana attecchiscono atteggiamenti di una brutalità irrefrenabile e reazioni furiose verso chiunque. “Da bambina vomitavo se mi toccavano” . Qualsiasi tentativo di adozione si frantuma: Victoria viene respinta ogni volta che viene portata come “un pacco dono” ad una coppia per una prova di affidamento. Tuttavia, perfino la creatura più inferocita può celare attese di umanità, e l’unica donna che lo sente e la accoglie senza condanne né compromessi è Elisabeth. Victoria la mette a dura prova, respingendola spietatamente, scagliandole frasi cruente. La sua ripugnanza, però, inizia per la prima volta con Elisabeth a fluire nel desiderio di essere figlia. “Mi era capitato raramente che qualcuno si rivolgesse a me come se fossi in grado di capire”. Elisabeth le insegna il linguaggio dei fiori, ed attraverso questo codice la bambina si appresta a comunicare. I petali e le foglie prendono il posto delle parole, restituendo voce alla sua anima graffiata. Neppure questa adozione però si realizza. Victoria ha dieci anni quando viene riconsegnata dove “nessuno finge di volerti bene”, in comunità ad attendere il niente. A diciotto anni, depredata di ogni sogno si avventura nel mondo. Una piccola radura diventa la sua casa. Victoria inizia a seminarvi fiori e li accudisce: proprio lei stessa pianta le sue radici. Benché il suo agire sia indotto da un frustrante senso di inadeguatezza, incoraggiata dalla sua passione accetta un lavoro come fioraia. Grazie alla sua conoscenza dei fiori

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ed abilità nel creare composizioni floreali attrae la gente e si avvia a stabilire il primo contatto con le persone. Il linguaggio dei fiori è il solo linguaggio che la predispone all’accoglienza delle aspettative altrui. Perfino il primo scambio con il giovane Grant avviene tramite quel linguaggio segreto.” ...cominciai a chiedermi se anche per me fosse possibile cambiare”. Di li a poco, Victoria, risolutamente sospettosa verso i sentimenti, riscopre con lui la percezione del perdono e della sincerità e si immerge nell’incontro con l’altro. Incontro che germoglierà in una nuova vita nel suo grembo: divenire madre innesta in lei l’angoscia di intrappolarsi in un mortificante vortice del destino, ma sottrarsi da esso vuol dire perdere ancora.


LIBRo

Sveva Casati

Modignani

raccontare è un po’ donare

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iatto forte: la presentazione dell’ultimo libro di Sveva Casati Modignani La vigna di Angelica. La lussureggiante campagna sanminiatese che circonda la splendida Villa La Selva, con Cucina d’Autore, ha offerto prelibatezze uniche coi raffinati vini dell’azienda Cosimo Maria Masini con quell’aria di familiarità avvolgente, tanto che la scrittrice...”che bello essere qua, in un convegno di donne dove, dopo i lamenti con i mariti, finalmente ci sfoghiamo tra noi!” La signora Sveva slanciata e gentile, possiede l’innata eleganza dei movimenti nei modi di porgersi agli altri. Simpaticamente osserva poi che gli uomini fanno fatica a tenere a bada l’altra metà del cielo, prova ne è la presenza di ben 47 donne stellate. «Grazie all’associazione italiana Donne e Vino – che solidarietà, che affiatamento – ho avuto modo di frequentare tale universo, in un dipanarsi di vigneti, casolari e vendemmie. Nonostante la dominante presenza maschile, ho sempre amato parlare di coloro che, nelle loro attività hanno avuto competenze e successo come le ‘corallare’ di Torre del Greco. La loro maestria è così alta, che i loro manufatti, trovano posto nelle migliori boutique del mondo. L’artigianato sarebbe da rivitalizzare: parlando con un ebanista fiorentino...”purtroppo è un patrimonio che sta morendo, i ragazzi sono attratti dal far commessi, parrucchieri... mah,è giusto gettare tali ricchezze?» Prosegue poi cadenzata con quel bell’accento del Nord. «La nostra Italia è semplicemente splendida, tutta! Dalle Alpi alla Sicilia. Pensiamo all’apoteosi del Rinascimento, alle nostre risorse. Un museo all’aria aperta, ecco! la nostra penisola, giustamen-

te, viene considerata il giardino d’Europa! Peccato che in tal magnificenza alberghi un forte inquinamento: viceversa, l’agricoltura, sta diventando un vero e proprio polo d’eccellenza.» È il momento di parlare di questo tomo notevole; in copertina s’affaccia una fiammante coppa di vino che arde a metà. Sullo sfondo l’intenso ma anche inquietante profilo femmineo. Ognuno cerca la propria perfezione: roba da favole? L’ospite racconta che in Lombardia è d’uso mangiare la cassoeula (cavolo stufato con le parti meno nobili del maiale). «Dopo la lenta digestione, tratteggiai la protagonista: Angelica.» Non a caso I gioielli della madre-terra sono il buon vino, il buon cibo: posti in un contesto di tutto rispetto, ecco che affiora quella filosofia di vita e di buon palato, capace d’apprezzare l’uva giusta con tanto di vino eccellente! Doveroso tornare al romanzo dove dentro c’è tutto, la passione per il lavoro, la terra fertile che dà i suoi frutti, ma anche quell’amore ferito che brucia da impazzire. Sullo sfondo un nuovo sentimento stenta a nascere nei confronti di quel Tancredi – che uomo misterioso... – i cui incontriscontri sono inevitabili. Immancabilmente questi personaggi “a fior di pelle“, te li senti addosso, percependo una buona sorte di identificazione. Come si riesce in questo? «Beh... non sono un fenomeno, è il mio mestiere, se non riuscissi ad intessere un dialogo con il lettore dovrei cambiar lavoro. Non è che la mia sia una particolarità così eclatante, non esiste una chiave di lettura. lo fai oppure non lo sai fare. Personalmente non faccio sforzi e sacrifici per coinvolgere chi mi legge, penso di

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essere fortunata in questo». Arriva la zuppa inglese; graditissima a tutti. Alla scrittrice si affacciano alcuni ricordi; un tocco alla pashima rosa e... «Ero una bambina, in Italia c’era la guerra, Milano era una città continuamente devastata dai bombardamenti, gli aerei scaricavano bombe e i milanesi che potevano, sfollavano. Finii da due mie zie, a Trezzano sul Naviglio; avevano una importante azienda agricola con tanto di risaie, mucche, latte, ed io, cittadina, per due anni, crebbi in quel contesto di formazione contadina. Ricordo i fuochi che incendiavano le notti e le sere a veglia: d’estate nell’aia e d’inverno nelle stalle. Con gli altri bambini amavo giocare nonchè intrufolarmi ad ascoltare gli anziani del posto con le loro storie fantastico-suggestive. Eventi straordinari, affascinanti,che raccontavano di disgrazie, di miracoli in quel cascinale con tanto di diavoli dentro, ed ancora ancora. Ecco, io dovevo sentirlo questo! Queste cose arcaiche, questo modo di affabulare che mi appassionava tantissimo... cose che dopo anni ed anni sono tornate fuori. Per il mio romanzo Anna dagli occhi verdi era la voce contadina che parlava. Sì, tale arte mi è stata trasmessa.» Saggezza popolare. «Più che altro un modo per appagare un bisogno primordiale dell’essere umano, in quanto l’uomo della pietra raccontava attraverso i graffiti. L’affabulazione è nata con l’uomo. Quando scrivo mi diverto moltissimo, raccontare deve essere un piacere, anche nei confronti di chi legge.» Avete capito perchè appena i suoi libri entrano nelle librerie, vengono letteralmente divorati?

Carla Cavicchini

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NOVITà EDITORIALI

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L’AZZARDO

rrivato a New York dall’Italia per emergere e avere successo, Filippo incontra un mondo di sogni da realizzare, speranze da coltivare e opportunità da cogliere. Occorre però abbandonare inibizioni, incertezze e paure e la posta in gioco può essere molto alta, anche la vita. Che fine hanno fatto opere più o meno antiche dal valore inestimabile, scomparse da anni, riapparse poi sul mercato dell’arte per scomparire di nuovo? E qual è il gioco che si cela nel commercio internazionale delle opere d’arte? Cosa lega la gestione di alcune cliniche sparse nel mondo e dotate delle attrezzature più evolute e sofisticate a organizzazioni umanitarie e a gruppi di affaristi privi di scrupoli? Una cornice nella quale i giochi di potere sempre aperti e in cui la posta in gioco è ai massimi livelli. Del resto, come affermava Dostoevskij, l’azzardo, come il gioco, induce abitudine, assuefazione, piacere... e smettere è quasi impossibile!

Angelo Errera

Roberto Spingardi Fausto Lupetti editore

THRILLER

C

ome in precedenti lavori, gli scritti di Marco Fidolini qui raccolti propongono una serie di letture critiche scorrette rispetto al quadro generale del panorama artistico più consolidato. Ma in questa circostanza la struttura del libro è volutamente svincolata da ogni tracciato storico-cronologico. Si tratta, infatti, di una serie di piccoli saggi sulla pittura del primo e secondo Novecento sollecitati da qualche occasione espositiva o dal flusso disordinato di alcuni spunti còlti nell’opera di artisti storici o comunque considerati di prestigio. La raccolta, come in altre circostanze, segue percorsi alternativi rispetto alla saggistica d’arte che ha inteso livellare i picchi e le cadute, ingarbugliare le stature degli artisti o comporre un quadro di valori omogenei, all’interno delle varie stagioni artistiche di molti protagonisti del Novecento.

Il Novecento a zigzag di Marco Fidolini Edizioni Polistampa

ARTE

U

di Scrittura

nel 1947 e sposato da oltre figli: Cristiano 32 anni e scita di Tiziana, bambina otare per l’impegno profuso soprattutto dei disabili. Da i primi servizi sul territorio, miglia Caritas. Il suo primo (La conchiglia di Santiago, ande successo, soprattutto nfatti guadagnato una vasta no incoraggiato a scrivere, ntinuare ancora a scrivere, o.

San Miniato: storie tra il sacro e il profano racconti sono ancora ambientati a San Miniato e in Toscana: si PIAN DELLE tratta infatti di un piccolo ponte di terra che divide una vallata a FORNACI pochi metri dalla cittadina. Tutto questo non dà al libro un caratdi Giancarlo Pertici tere localistico e provinciale, ma lo rende invece assoluto. Un perfoto di Francesco Gallerini corso che attraversando tutti gli anni 50, va a soffermarsi almeno alla fine dei 60, quando il miracolo economico sembrava rendere La Conchiglia possibile qualsiasi sogno. Ci sono mestieri scomparsi col tempo, fino a questoEditore nuovo libro. di Santiago abitudini cambiate radicalmente che hanno svuotato alcuni luoFrancesco Gallerini, ha vissuto Giancarlo e lavoratoPertici, a San nato nel 1947 e sposato da oltre ghi. Persone e personaggi che hanno lasciato il loro segno. Riti, Miniato, dove è nato nel 1920quaranta ed è morto anni, nel ha due figli: Cristiano 32 anni e 2001. Dal suo studio fotografico di via 30. Augusto Tiziana Con la nascita di Tiziana, bambina Conti, sono passate tutte le immagini città esi fa notare per l’impegno profuso consuetudini, liturgie tra il sacro e il profano, per non dimenticare, down, della Giancarlo dei suoi abitanti, con gli avvenimenti degli a favore dei ultimi più deboli, soprattutto dei disabili. Da sessanta anni del 900. Di grandequest’impegno significato anche per continuare a sognare un mondo migliore. I ricordi prendendo nascono i primi servizi sul territorio, la raccolta di immagini più antiche, dalla fine la Ludoteca e ladel Casa Famiglia Caritas. Il suo primo 800 agli inizi del 900, che permette di conoscere le libro: I racconti dell’Orto (La conchiglia di Santiago, vita diventano racconti. Tante storie, vere o verosimili a rendere trasformazioni della città e del suo paesaggio. 2014), ha avutoLeun grande successo, soprattutto foto riprodotte nel libro rappresentano gruppi di si è infatti guadagnato una vasta tra i lettori. Pertici vivi quei luoghi. Gli anni. Quelli di intere generazioni cresciute persone per le strade di San Miniato, rete diquasi fans,rubate che lo hanno incoraggiato a scrivere, tra la fine anni ‘40 e gli inizi deia ’50. In Pian edelle pubblicare, poi a continuare ancora a scrivere, con identità di vita in quel fazzoletto di terra. I bambini e i ragazzi Fornaci Francesco Gallerini è presente, con il nuovo suo libro. fino a questo soprannome di “Viva Gesù”. che hanno attraversato questi luoghi nell’immediato dopoguerra, Francesco Gallerini, ha vissuto e lavorato a San Miniato, dove è nato nel 1920 ed è morto nel sostenuti da un miracolo di umanità e in un clima di naturale con2001. Dal suo studio fotografico di via Augusto Conti, sono passate tutte le immagini della città e divisione, facendone tesoro e memoria. dei suoi abitanti, con gli avvenimenti degli ultimi

Giancarlo Pertici

Pian delle Fornaci Fotografie di Francesco Gallerini

vissuto e lavorato a San nel 1920 ed è morto nel otografico di via Augusto te le immagini della città e li avvenimenti degli ultimi Di grande significato anche più antiche, dalla fine del he permette di conoscere le à e del suo paesaggio. Le o rappresentano gruppi di San Miniato, quasi rubate i inizi dei ’50. In Pian delle rini è presente, con il suo esù”.

racconto

Giancarlo Pertici

I

Pian delle Fornaci Giancarlo Pertici

il profano

ogo privilegiato di giochi e scorribande iato, in Provincia di Pisa), che comincia io il ritorno dalla prigionia dell'ultimo usanze, personaggi, lavori perduti. possono assomigliare a quelli di un uno scrittore straordinario come Luigi o subito fuori, che diventano pagine acconti dell’Orto, uscito l’anno scorso), ad el tema. Un percorso che attraversando e dei '60, quando il miracolo economico

di Scrittura

di Scritt

premio Nobel, come Jean Patrick Modiano o di uno scrittore straordinario come Luigi Meneghello, ricerche nella propria memoria, o subito fuori, che diventano pagine memorabili. Il libro nato sulla scia del primo (I racconti dell’Orto, uscito l’anno scorso), ad esso è strettamente legato, sia nella forma che nel tema. Un percorso che attraversando tutti gli anni '50, va a soffermarsi almeno alla fine dei '60, quando il miracolo economico sembrava rendere possibile qualsiasi sogno. È dal Pian delle Fornaci, che negli anni '50 era il luogo privilegiato di giochi e scorribande dei bambini dello Scioa (un quartiere di San Miniato, in Provincia di Pisa), che comincia Pertici,dinato nel 1947 ePertici, sposato da oltre ilGiancarlo nuovo libro Giancarlo con all'inizio il ritorno dalla prigionia dell'ultimo quaranta anni, ha due figli: Cristiano 32 anni e soldato. PoiCon tantela storie seguire, rivivere usanze, personaggi, lavori perduti. Tiziana 30. nascitaa di Tiziana,a far bambina Abbiamo bisogno di libri come questo, down, Giancarlo si fa notare per l’impegno profuso che possono assomigliare a quelli di un a favore Nobel, dei più deboli, dei disabili. Da o di uno scrittore straordinario come Luigi premio comesoprattutto Jean Patrick Modiano quest’impegno nascono i primi servizi sul territorio, Meneghello, nellaCaritas. propria o subito fuori, che diventano pagine la Ludoteca e laricerche Casa Famiglia Il suomemoria, primo memorabili. libro nato sulla sciadidel primo (I racconti dell’Orto, uscito l’anno scorso), ad libro: I raccontiIldell’Orto (La conchiglia Santiago, 2014),è strettamente ha avuto un grande esso legato,successo, sia nellasoprattutto forma che nel tema. Un percorso che attraversando tra i lettori. Pertici si è infatti guadagnato una vasta tutti anniche '50,lovahanno a soffermarsi alla fine dei '60, quando il miracolo economico rete gli di fans, incoraggiatoalmeno a scrivere, sembrava rendere sogno. a pubblicare, e poi a possibile continuare qualsiasi ancora a scrivere,

racconto 8

8 Pian delle Fornaci

n romanzo suggestivo, dinamico e intenso, che saprà sì conME LO HA durre il lettore alla scoperta di una storia d’amore profonda CHIESTO e delicata, ma al tempo stesso accompagnarlo nel significato più IL MARE vero dell’amicizia, soprattutto femminile. La vita riserva ad Alice e di Federica Farini Denis questo regalo, nel trasformarsi della loro amicizia di bambini problematici in innamoramento adolescenziale, fino a portarli EIFIS Editore a decidere, alle porte della maturità, di partire insieme per una nuova avventura, lontano dalla loro terra d’origine: l’isola di Ibiza. Ironia della sorte, sarà proprio il sogno comune di Alice e Denis di Scrittura a separarli in maniera improvvisa. La sparizione di Denis aprirà le San Miniato: storie tra il sacro e il profano porte di un mondo diverso ad Alice, fatto di nuovi progetti incontri e scoperte dove l’amicizia, soprattutto femminile farà da pro- È dal Pian delle Fornaci, che negli anni '50 era il luogo privilegiato di giochi e scorribande dei bambini dello Scioa (un quartiere di San Miniato, in Provincia di Pisa), che comincia tagonista diventando il sostituto della famiglia di origine. Quali il nuovo libro di Giancarlo Pertici, con all'inizio il ritorno dalla prigionia dell'ultimo soldato. Poi tante storie a seguire, a far rivivere usanze, personaggi, lavori perduti. segreti si sveleranno alla protagonista alla ricerca della verità. Abbiamo bisogno di libri come questo, che possono assomigliare a quelli di un

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e 16,00

sessanta anni del 900. Di grande significato anche la raccolta di immagini più antiche, dalla fine del 800 agli inizi del 900, che permette di conoscere le trasformazioni della città e del suo paesaggio. Le foto riprodotte nel libro rappresentano gruppi di persone per le strade di San Miniato, quasi rubate tra la fine anni ‘40 e gli inizi dei ’50. In Pian delle Fornaci Francesco Gallerini è presente, con il suo soprannome di “Viva Gesù”.


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cartoline

Madrid dai mille volti Luvi Alderighi

Piazza de Cibeles Palazzo Reale Parco del Ritiro Museo del Prado

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apitale e centro politico della Spagna, nonché sede del governo e residenza del monarca spagnolo, Madrid, oltre ad essere una città multietnica e a possedere infrastrutture moderne, ha saputo conservare quasi in maniera intatta l’aspetto originario di molte strade e quartieri storici. Ci sono diverse ipotesi relative all’origine del suo nome, così come diverse sono state le popolazioni che nel corso dei secoli si sono alternate sul suo territorio, cominciando dai romani, per poi passare ai visigoti e giungere persino ai francesi. Inoltre, Madrid, è stata lo scenario che ha fatto da sfondo alla Guerra Civile spagnola (1936-1939),

che vide spuntare come protagonista il dittatore Franco, personaggio storicopolitico assai controverso e austero: sotto la sua dittatura tutta la Spagna visse un periodo di estremo rigore che mutò solo alla sua morte, quando ci fu un repentino e tanto sperato passaggio alla democrazia. Durante gli anni Ottanta del Novecento, la città si rinnovò sotto tutti gli aspetti; il fermento culturale faceva da padrone e la “Movida madrilena” ne fu l’esempio più lampante. Proprio in quegli anni ci fu anche un deciso miglioramento della qualità di vita degli abitanti. Non mancano, purtroppo, eventi negativi che hanno segnato drasticamente la storia di questa perla spagnola: nel 2004, infatti, Madrid è stata vittima di un terribile attacco terroristico di matrice islamica che ha provocato numerose vittime. Molti sono i luoghi d’interesse degni di essere visitati da un attento turista: il

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Museo del Prado, il Museo Reina Sofia (dove si trova il famoso quadro di Picasso “Guernica” e altri capolavori del surrealista Dali’), il monumentale Palacio Real, la Puerta del Sol in cui è situata la placca del chilometro zero (usata per il calcolo delle distanze nello Stato spagnolo), la Plaza Mayor, il Parco del Retiro (dove molti madrileni si recano a fare jogging), ecc ecc; arte e architettura fanno bella mostra di sé in ogni angolo. Connubio perfetto tra antico e moderno, tanto da sembrare una città dai mille volti, Madrid è un’eccellente e curiosa meta turistica, anche dal punto di vista eno-gastronomico; infatti non solo i madrileni, ma anche i turisti amano spesso ritrovarsi a fine giornata, per un aperitivo, presso il Mercato di San Miguel, dove è possibile degustare vini e prelibatezze tipiche della cucina spagnola. Allora cosa aspettate? La Movida vi attende! Buon Viaggio!


Sport e rispetto: Il Codice Etico del Gruppo Lapi

S

ono sempre di più i ragazzi giovanissimi che si avviano ad una pratica sportiva, per diletto, passione o semplicemente per un sostegno ad una crescita sana e forte. In una società dove si crede che per essere apprezzati e rispettati dagli altri sia importante “esibire” i propri successi, è frequente che nella competizione tra i ragazzi e nel supporto che dovrebbe arrivare da allenatori e genitori, manchi la lealtà che è alla base del vero spirito sportivo. La cura dei valori morali e l’importanza del rispetto sono temi molto cari alle aziende del Gruppo Lapi, che stanno portando avanti, già da alcuni anni, diversi progetti formativi a sostegno dei ragazzi in età scolare. Le iniziative, ciascuna con un particolare obiettivo educativo, sono state racchiuse in un programma denominato “Progetto Giovani”, e sono diversi gli Enti, le Associazioni e le Istituzioni locali che a seconda del progetto affiancano il Gruppo Lapi. “Codice Etico per lo Sport”, questo il nome del progetto dedicato ai settori Giovanili delle Società Sportive che hanno legami e contatti con le aziende del Gruppo Lapi. Lo scopo è quello di promuovere un modo positivo di vivere lo sport, educando al rispetto e alla lealtà e incoraggiando l’unione senza

discriminazioni. Tutti presupposti per un clima sereno e per rendere piacevoli e divertenti i momenti di svago e aggregazione.

corretto. La vera vittoria nello Sport si raggiunge con l’appagamento e la soddisfazione di essersi messi in gioco con determinazione, impegno e lealtà, indipendentemente dai risultati della competizione. Lo Sport aiuta a conoscere i propri limiti, spinge a lottare per i propri sogni, insegna a superare le sconfitte e a gioire per le vittorie, un vero e proprio allenamento ad affrontare la vita con entusiasmo e determinazione. Grazie alle seguenti squadre aderenti al progetto, i bambini finora raggiunti sono stati oltre 1500: Lupi Pallavolo, Romaiano Calcio, Cerreto Basket, Lucca Volley, Fucecchio Calcio, Pagnana Calcio, Videomusic FGL Pallavolo Castelfranco.

E’ un vero e proprio impegno a cui le Società Sportive aderenti al progetto si vincolano. Hanno l’obbligo di riconoscersi nei principi del Codice Etico e di far rispettare le dieci regole di comportamento in cui sono racchiusi i fondamenti essenziali. Dai dirigenti, tecnici, allenatori della società sportiva, ai ragazzi ed ai propri genitori, parenti ed amici, ciascuno ha il dovere di attenersi ad un comportamento

Con l’obiettivo di arrivare ancor più in modo chiaro e diretto ai principali destinatari del progetto, i bambini, il Gruppo Lapi ha pensato di far riscrivere ed illustrare le dieci regole del Codice Etico direttamente dalla mano di un bambino che, con colori e fantasia, grazie alla guida di specialisti del Centro multidisciplinare “ComunicArea” di Santa Croce sull’Arno, è riuscito ad esprimere in modo semplice ed immediato lo spirito del progetto.

CODICE ETICO PER LO SPORT GIOVANILE

CODICE ETICO PER LO SPORT GIOVANILE: 10 SEMPLICI REGOLE

FARE SPORT (giocare) serve ad imparare, migliorare le proprie abilità;

1. FARE SPORT significa giocare con impegno e passione, divertendosi; 2. Mantenere un COMPORTAMENTO LEALE verso tutti: compagni, avversari, allenatori e arbitri;

GIOCARE (fare sport) significa stare insieme agli altri, sentirsi bene divertendosi;

3. RISPETTARE lʼavversario durante la gara e dopo, evitando insulti o parolacce;

Che possono fare gli adulti per rendere il gioco piùʼ bello? Chi sono gli adulti?

4.

- i GENITORI devono dare lʼesempio con un comportamento giusto e rispettoso mentre si fa sport. Non devono mai criticare allenatore, dirigenti della società e arbitri. I genitori devono far capire ai figli che si può parlare di vero “spirito sportivo” giocando stando calmi e sereni.

RISPETTARE le decisioni dellʼallenatore e degli arbitri anche quando “non siamo dʼaccordo”;

5. Avere un LINGUAGGIO RISPETTOSO verso tutti: compagni, avversari e adulti; 6. ALLENARSI sempre, rispettare gli orari degli allenamenti e lasciare puliti gli spazi usati (palestra, spogliatoi, piscina…);

- gli ALLENATORI hanno la missione di rendere i bambini felici di giocare e stare insieme (fare squadra). Non è importante essere campioni ma diventare leali, onesti e giustamente competitivi;

7. ESSERE SQUADRA significa dare il massimo tutti insieme;

- la SOCIETAʼ SPORTIVA deve sapere bene che lo sport è un modo per stare insieme e divertirsi; solo così può diventare educatore e trasmettere i valori in cui crede come “pari-opportunità”, “fair-play” (gioco giusto-leale), unione tra compagni e socializzazione. Parole molto importanti sono rispetto, correttezza e lealtà;

8.

ESSERE CORRETTI prima, durante e dopo la gara per sentirsi bene con se stessi e con gli altri;

9.

PARLARE con gli adulti (genitori, allenatori, e dirigenti sportivi) se “vediamo” dei comportamenti sbagliati;

10. ESSERE FELICI quando si vince ed evitare di prendere in giro gli avversari che hanno perso.

- i DIRIGENTI DELLA SOCIETAʼ devono promuovere il codice etico e fare in modo che venga rispettato.

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Vicolo Molise, 8/10 - Santa Croce sull’Arno - PI - Italy | Tel. 0571 367272 www.facebook.com/maryamconceria


Andar per

borghi toscani di Lucard

PANCOLE

Pancole vanta origini tardo medievali, le cui vestigia sono riscontrabili in alcuni edifici rurali dello scenografico borgo attraversato dalla storica Via Francigena. Nei dintorni trovano dimora il trecentesco Santuario dedicato alla Madonna di Pancole e la Pieve di S. Maria a Cellole costruita nel X secolo. Grazie alla sua posizione dominante, l’abitato offre panorami mozzafiato su bellissimi vigneti, uiliveti, campagna.

MONTERAPONI

Pancole

Feudo del Conte Ugo di Toscana, il borgo medievale sorge su un poggio dominato da torre a base quadrata, il cui cassero conserva intatti archivolti e finestre del XII secolo, i sotterranei custodiscono cantine coeve con scenografico soffitto a volta. Tutt’intorno abitazioni dal sapore fiabesco circondato da ulivi, vigne, cipressi, querce, castagni ospitati in un anfiteatro naturale.

Monteraponi

PERNOTTAMENTO: Molti edifici della località possiedono destinazione ricettiva. Sapientemente recuperati, gli appartamenti proiettano l’ospite nella storia plurisecolare di questo magnifico borgo.

PERNOTTAMENTO: Pancole dispone di sette appartamenti, il cui restauro conservativo ne ha preservato soffitti a travi, pavimenti in cotto, esterni latero-lapideo. WINE&FOOD: L’annessa Fattoria è il luogo adatto per degustare prodotti biologici a Km zero, supportati dai locali vini DOCG, DOC, Supertuscans custoditi nella cantina.

WINE&FOOD: Cucina nostrana eccellente abbinata agli autoctoni Chianti Classico, Rosato IGT, Trebbiano IGT, Rosso di Monteraponi, grappa. INDIRIZZO: Località Monteraponi 53017 Radda in Chianti (Siena)

INDIRIZZO: Località Pancole 53037 San Gimignano (Siena)

TENUTA BOSSI

Possesso dei Marchesi Gondi, Bossi vanta una scenografica Villa, il cui aspetto attuale risale all’ampliamento settecentesco voluto da Niccolò Antonino. Pregiate decorazioni barocche, Cappella con frontone a volute ondulate, organo a mantice e coretti laterali, sontuoso salone ottocentesco racchiuso tra i preesistenti corpi aggettanti, romantico parco adorno da piante plurisecolari e giardini all’italiana fanno della dimora un unicum nella storia architettonica toscana.

LAVACCHIO

Tenuta Bossi

Settecentesca dimora edificata dai nobili Peruzzi, l’edificio padronale vanta una costruzione centrale con due simmetrici corpi laterali in pietra a vista, intorno l’occhio spazia tra pertinenze antiche, mulino a vento, laboratorio per la produzione di ceramiche, vigneti, uliveti, un plurisecolare cedro del Libano. PERNOTTAMENTO: La tenuta possiede camere ed appartamenti destinati al soggiorno.

Lavacchio

WINE&FOOD: Cucina nostrana fatta di salumi, tartufi, verdura, olio extra vergine, frutta a Km zero. Si consigliano le etichette Puro Rosso Chianti DOCG, Cedro Rosso DOCG Chianti Rufina e Riserva DOCG, Albeggio IGT Rosato, Vin Santo DOC Chianti Rufina.

PERNOTTAMENTO: Pertinenti alla proprietà, antiche costruzioni coloniche sono state sapientemente ristrutturate per un utilizzo ricettivo. WINE&FOOD: Olio extra vergine eccellente, magari accompagnato da buon pane casereccio, e gustosi vini Rufina DOCG, IGT, DOC.

INDIRIZZO: Tenuta Lavicchio, Via di Montefiesole 55, 50065 Pontassieve (Firenze)

INDIRIZZO:Tenuta Bossi, Via dello Stracchino 32, 50065 Pontassieve (Firenze)

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itinerario

enonobiltà

Barricaia, Castello di Fonterutoli

Carmelo De Luca Carlo Ciappina

Villa La Calcinaia

A

chiantigiana

more a prima vista? Capita se la nobile fanciulla appartiene al casato Le Filigare, seicentesco borgo sulla collina di S. Donato in Poggio, nel Chianti barberinese, rilassante soggiorno per lo stesso Papa Pio IX nel 1875. Qui, la natura si è divertita nel rendere magico questo luogo, non a caso i declivi esposti a sud fungono da supporto per un paesaggio estremamente bello, prolifica mamma di ottimi vini Chianti Classico DOCG dominati dal Sangiovese con contaminazioni di Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. Edifici storici con pavimento in cotto e travi a vista made in Tuscany ospitano appartamenti per il soggiorno, arredati con mobili in stile e scenografici letti a baldacchino o in ferro battuto, insomma una full immersion nel delizioso paesino d’altri tempi circondato da ordinati filari di vigneto salutari per camminate, jogging, mountain-bike. Naturalmente la gastronomia rappresenta una vera chicca, non a caso le sue mura custodiscono segreti secolari, svelati agli ospiti desiderosi di apprendere l’arte della pasta fatta in casa ed

altre prelibate leccornie. Lasciare il territorio di Barberino su due piedi potrebbe arrecare tristezza, ma l’allegria tornerà nella trecentesca Villa Casagrande, dimora dei Serristori e amata da Marsilio Ficino, Carlo VII di Borbone, Carlo V di Spagna, Papa Leone X. Sfacciatamente scenografica sulla cittadina di Figline, la cinta muraria con tanto di torre si impone sul giardino ingentilito da cipressi e squadrate siepi, prezioso ornamento per lo scenografico doppio porticato sorretto da colonnine tuscaniche. Divenuto lussuosissimo albergo, il suo interno rappresenta un’immersione nella storia, ne rappresenta lignaggio il quattrocentesco salone, un vero museo di pitture, sculture, mobilio d’epoca. L’annessa Fattoria protegge fertili terreni, genitori dei vini Casagrande Chianti DOCG, Donna Claudia Chianti DOCG, Donna Claudia Riserva Chianti DOCG, Ser Ristoro Rosso IGT, Vin Santo Chianti DOC. Il nostro fantastico viaggio tra manieri riprende in quel di Vicchiomaggio, grevigiana dimora rinascimentale arcignamente difesa dall’austera torre merlata, su cui poggia l’abitazione

Villa La Calcinaia

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signorile con tanto di mura difensive ed incantevole giardino all’italiana. Negli augusti ambienti trovano dimora eleganti suite in stile toscano con vista sui longilinei vigneti della tenuta, colline, uliveti. Ricchissima l’offerta per i visitatori, basti menzionare la panoramica cantinetta S. Vicchio Maggio


Villa Casagrande

Jacopo votata alle degustazioni guidate, tour nelle vigne, ottima cucina accompagnata dai blasonati vini S. Jacopo Bianco, Ripa delle Mandorle Bianco, S. Jacopo Rosato, Ripa alle Mandorle Rosso, S. Jacopo Chianti Classico, Ripa delle More, FSM Federico Secondo Matta, Riserva Petri Chianti Classico, Vigna La Prima Chianti Classico. Rimanendo in zona, si incappa un lungo viale protetto da irti cipressi annuncianti la manierista Villa La Calcinaia, dimora dei Conti Capponi sormontata da possente torre quadrata, preceduta dal geometrico giardino conforme alla nobile tradizione italiana. Qui si respira storia, arte, bellezza, basti entrare nella Sala Bianca o nella Cappella dedicata a S. Carlo Borromeo per percepire atmosfere d’altri tempi, impregnanti le scenografiche coloniche annesse alla tenuta, trasformate in confortevoli strutture ricettive immerse tra vigne, uliveti, campagna, luoghi di delizie per vista e gola. Ebbene si, qui si produce il buon vino Gallo Nero chiamato Villa Calcinaia Rosato IGT, Chianti Classico DOCG, Chianti Classico Riserva DOCG, Casarsa IGT, Vigna Bastignano Gran Selezione DOCG, Villa Calcinaia Comitale IGT, Vinsanto DOC ed una invitante cucina nostrana fatta di

agricoltura biologica. Il nostro viaggio nella storia termina a Castellina in Chianti, più esattamente nel Castello di Fonterucoli, la cui annessa chiesa dedicata a S. Miniato ha visto nascere alleanze tra le blasonate Repubbliche senese e fiorentina. A fine cinquecento, il borgo subisce una radicale metamorfosi, della quale Villa Mazzei ne rappresenta l’apoteosi. Ingentilita da una bella loggia in stile rinascimentale, la dimora marchionale ingloba tratti dell’antiche mura difensive, intorno uno scenografico parco custodente gentilizie aiuole all’italiana e romantico garden inglese. Qui, la tradizione viticola-ricettiva ha radici antiche, non a caso l’illustre antenato Ser Jacopo, già nel 1398, effigia il proprio nettare col titolo di “Vino di Chianti”. E vivere la favola diventa mera realtà nel Borgo di Fonterucoli, grazie al sapiente restauro degli edifici storici arredati in stile chiantigiano-chic per ospitare gli amanti di questo eden custodente l’Enoteca ed un’architettonica cantina sotterranea, degno caveau per blasonate etichette Chianti Classico. Rifocillarsi, poi, è una vera goduria per il palato grazie alla tradizione culinaria racchiusa nelle ottime ricette stagionali preparate presso l’Osteria. Villa Casagrande

Le Filigare

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Castello di Fonterutoli

Villa Casagrande

Enoteca Castello di Fonterutoli


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enologia

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tavola che piacere!

alla Stazione Leopolda a Firenze con le guide dell’Espresso 2016 1

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ei ristoranti italiani non si è mai mangiato così bene come adesso, grazie alla impostazione alla qualità e all’identità di ciascun locale. Una crescita marcata dal 2005, un decennio fa, quando ha preso corpo la cosiddetta “Nuova cucina italiana”. E se si vuole una serata memorabile occorre andare al ristorante Osteria Francescana, attivo a Modena dal 1995, ora ritenuto nella guida dell’Espresso “I ristoranti d’Italia 2016” il migliore in assoluto, con tanto di punteggio 20 ventesimi, una valutazione mai assegnata prima d’ora! Lo chef è Massimo Bottura, che diventa così il più bravo d’Italia. E ai grandi riconoscimenti è abituato, essendo secondo nella classifica mondiale dei 50Best, e fregiato di 3 stelle Michelin. “Nel mio locale – ha dichiarato con modestia – siamo più di quaranta persone, impegnate per meno di trenta coperti”. Se non è alta professionalità questa… In Toscana il migliore locale è, da tempo, l’Enoteca Pinchiorri a Firenze, presente Annie Feolde, menu da 175, 225, e 250 euro, invece circa 200 scegliendo alla carta. Seguìto dall Hotel

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Four Seasons il Palagio, sempre nella città del giglio, e appaiato nel punteggio a Lorenzo (Viani), uno chef che a Forte dei Marmi continua a crescere di un mezzo punto fino a 18/20, e al quale viene riconosciuta la migliore cantina dell’anno, e di essere il migliore ristorante di pesce in Italia. Della stessa località sono citati anche il Bistrot, l’hotel Byron la Magnolia, l’hotel principe Lux Lucis. Assenti il permaloso Gianfranco Vissani, e il vulcanico Fabio Picchi del Cibreo.Torneranno? La Guida Vini ha 575 pagine, e racconta a sua volta di tutto di più. Per “I vini dell’eccellenza”, tra i toscani in testa Bolgheri, il Brunello, il Chianti. E sono citati anche quelli a Fucecchio della Fattoria Montellori, e a San Miniato Beconcini Pietro, mentre a Vinci la Fattoria Dianella. In sala oltre mille presenti, ingresso gratis alla Stazione Leopolda, ma soltanto su invito. “Supportiamo questo evento per il suo valore di volano per i grandi vini e la grande ristorazione italiana - ha rimarcato Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine -. Due settori che abbiamo visto evolvere e crescere sempre di più, oggi più che mai imprescindibili di lifestile, e per noi un territorio di

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sperimentazione attraverso il nostro salone Taste, ma anche attraverso i mille link e contaminazioni che questi hanno con il design, la moda, le idee e la cultura contemporanea”. L’enogastronomia è la cultura di un piacere intellettuale tra fare e raccontare la cultura materiale, perché tratta di cose buone, e a Firenze il sindaco Nardella fin dalle scuole vuole che i bambini conoscano i prodotti della terra e anche il gusto. Infine Enzo Vizzari, direttore di entrambe le Guide, ha rimarcato con soddisfazione che i nostri vini stanno surclassando quelli francesi sulle più importanti tavole del mondo. I ristoratori e i produttori di vini hanno un mercato potenziale di un miliardo di consumatori, e c’è ancora tanto da fare per conquistarli.

Luciano Gianfranceschi

Buongustai in tentazione. Massimo Bottura, lo chef che ha stravinto, 20//20, punteggio mai raggiunto prima. Il direttore delle due Guide, Enzo Vizzari. Assaggi alla Stazione Leopolda per i mille presenti.


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cinema

Film Festival

al Museo Oceanografico di Montecarlo una rassegna cinematografica dedicata alla salvaguardia degli oceani

Andrea Cianferoni

Museo Oceanografico Debbie Kinder

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ilm, documentari, conferenze e seminari hanno coinvolto esploratori, registi, scienziati, diplomatici che per una settimana si sono dati appuntamento nel celebre Museo Oceanografico di Monaco, fondato nel 1889 dal “principe navigatore” Alberto I per un festival del cinema tutto dedicato al tema della salute e salvaguardia degli oceani. Blue è una organizzazione non governativa di diritto statunitense che utilizza il linguaggio del cinema, delle arti, della scienza per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema che riguarda tutta la popolazione mondiale. Nei giorni del festival, nato dalla collaborazione con la Fondazione Principe Alberto II di Monaco, il pubblico ha avuto la possibilità di farsi un’idea su quello che è lo stato di salute dei mari, interagire con scienziati e ricercatori, assistere a conferenze, ascoltare grandi esperti quali Sylvia Earle, Jon Bowermaster, Céline Cousteau, Carl Lundin, Paul

Nicklen, Greg Stone, Torsten Thiele, James Marshall Crotty, Antidia Citores, James Honeyborne. Inoltre sulle pareti del Museo Oceanografico sono state esposte delle fotografie del Principe Hussain Aga-Khan che ha anche omaggiato gli accreditati del festival del suo ultimo libro fotografico “Diving with Wildlife”. Svoltosi a poche settimane dall’inizio della conferenza mondiale sul Clima di Parigi COP21, il festival si è concentrato sui cambiamenti climatici e la necessità di una repentina accelerazione delle politiche che gli Stati devono mettere in essere per evitare la catastrofe ambientale. Registi “ecologisti” da tutto il mondo, con le loro opere ad alto impatto, hanno parlato ad un vasto pubblico composto non solo da addetti ai lavori ma anche alle scolaresche di tutto il principato e della vicina Italia. Il Blue Ocean Flm festival è un evento annuale che si svolge alternativamente a St Petersburg (Florida, Usa) e a Mo-

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naco, grazie ad un qualificato comitato scientifico presieduto dalla dottoressa Debbie Kinder e con il supporto del Principe Alberto di Monaco il quale ha ricevuto il Blue Legacy Award per il suo impegno profuso alle tematiche ambientali particolarmente dedicate ai mari. “L’intento


del festival – afferma la dottoressa Kinder – è usare il potere del film per proteggere l’oceano e la vita del mondo marino. L’oceano occupa un posto centrale nella nostra vita. Non riguarda solo gli animali. Si tratta di preservare le nostre vite e il nostro sistema e facciamo questo affinché la gente capisca tutto ciò”. Anche il principe ha affermato: “Oggi più che mai, dobbiamo approfittare del grande potere di comunicazione del cinema, per spronarci ad unire i popoli del mondo per un obiettivo comune”. Tra gli eventi di maggior spicco del festival, il Premio Sylvia Earle conferito dalla stessa esploratrice che effettua missioni dal 1950 al presidente della Repubblica di Kiribati Anote Tong, un complesso di isole nell’Oceano pacifico che entro il 2050 rischiano seriamente di essere sommerse a causa dello scioglimento del Polo. Come ha detto Sylvia Earle nel suo discorso di presentazione del premio “La cosa più importante che possiamo prendere dagli Oceani è l’essenza della nostra esistenza”. Al film Racing Extinction, prodotto e realizzato da Louie Psihoyos, è andato il premio come miglior

lungometraggio. Il premio come miglior programma televisivo è andato a The Dark Side of the Ocean prodotto da Kayta Shirokow per la regia di Rick Rosenthal. Miglior cortometraggio (da 15 a 30min) Fragile Legacy, prodotto da David Brown & Denis Jensen. Miglior cortometraggio (meno di 15min) One Voice prodotto da Chris Clifone.

Debbie Kinder e SAS Principe Alberto Il Museo Spazzatura trovata nel mare Il Presidente di Kiribati Anote Tong Andy Parant, Alban Michon

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teatro

Emanuele

Barresi Giorgio Banchi

da La vedova scaltra

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om’è nata la passione per il teatro? A dire il vero non è che ci avessi mai pensato, ma il primo anno di università un mio amico, Francesco Bruni, mi convinse a fare con lui un corso di teatro tenuto da Insina Conte che a Livorno aveva insegnato a tanti la recitazione e la dizione. Mi convinse dicendomi che c’erano un sacco di ragazze; in effetti la presenza di ragazze era alta e mi convinsi! Dopo un po’ mi resi conto che mi piaceva davvero e mi sono così appassionato da continuare. Per molto tempo ho fatto tetro da amatore perché continuavo a frequentare l’università, studiavo giurisprudenza. Ho interrotto gli studi per dedicarmi a tempo pieno al teatro. A quel tempo, oltre che recitare in teatro, facevo anche cabaret con il nome di Tommaso Garza perché mi sembrava una cosa molto diversa da quando invece lavoravo in compagnia, per distinguere i due ambiti. Quindi, la mia passione è nata in quella stanzetta con Insina Conte pensando di fare conoscenze femminili invece scoprendo qualcosa di più importante. Quindi da quel che dici non hai mai sognato da bambino di diventare un attore? No. Da bambino sognavo prima di fare il giornalista perché Clark Kent era un giornalista e poi guardavo in televisione Perry Mason e allora cambiai idea e volevo fare l’avvocato. Mi lasciavo molto influenzare dal momento, poi facendo giurisprudenza mi accorsi che era molto diverso dalle serie televisive che amavo. Quale lavoro nella tua carriera ti ha dato più soddisfazione? In realtà il film che ho fatto “Non c’è più niente da fare” (2008), mi ha dato molta soddisfazione, anche se quan-

do è uscito rimasi un po’ male perché sognavo di vincere l’Oscar, ma non è così facile. Il film fu accolto in modo molto controverso dalla critica. La casa di distribuzione Eagle Pictures ci concesse trentacinque sale, ma l’uscita in febbraio, periodo in cui escono molti film importanti, e un solo weekend nelle sale non permisero di fare incassi significativi. La critica fu divisa: le testate di settore ne parlarono molto bene definendolo anche “il film più bello dell’anno”, invece sui siti specializzati molti scrissero che era un film orrendo, quasi pellicola sprecata. Me ne dissero di tutti i colori. È curioso il fatto che non ci furono vie di mezzo, o era bellissimo o bruttissimo. Hai provato in seguito a scrivere altri film? Si, ne ho scritti altri: uno con Rai Cinema e uno con Mediatrade, ma non li abbiamo mai realizzati. Con Rai Cinema, poiché Macchitella ebbe problemi con la giustizia, il capo della struttura organizzativa, il progetto non arrivò a conclusione. Nel caso di Mediatrade, il

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direttore ebbe un altro incarico prima che finissi la sceneggiatura. Si trattava di un film per la televisione in due puntate. Nel frattempo, avevo fondato la compagnia teatrale che impegnava tutto il tempo che avevo. Tra scrivere e recitare cosa ti diverte di più? Sinceramente, sono incerto tra la regia e la recitazione, ma credo recitare. È più divertente stare davanti alla telecamera. Come ti cali nel personaggio da interpretare? Cerco di capire che senso ha la storia e il fine del film. Una volta capito questo, cerco di ricordarmi se c’è qualcuno che conosco che assomiglia al personaggio che devo interpretare cosi da potergli rubare qualche gesto o qualche espressione. Spesso è lo stesso Virzì che me lo indica quando recito nei suoi film. Come ti prepari alle fatiche del set? Cerco di dormire molto, perché sul set ho sempre l’impressione di avere sonno. E quando sto girando non perdo


occasione per fare pisolini anche di una mezz’ora. Perché un attore del tuo calibro che fa teatro impegnato finisce per fare spot pubblicitari in televisione? Il teatro è più una cosa dove si investono energie e tempo. Gli spot pubblicitari offrono la possibilità di essere retribuito in poco tempo. Vengono girati in pochissimi giorni; in questo modo non portano via tempo al teatro. Com’è nata la tua amicizia con Paolo Virzì? Mi venne presentato da un amico in comune e a quell’epoca Paolo aveva diciassette anni e mi sembrò molto intelligente per la sua età. Mi fece una bella impressione anche un po’ strana, mi sembrava addirittura troppo intelligente. C’era qualcosa di geniale in lui. Facevamo tutti gli attori a quel tempo, ma Virzì sembrava poco portato per la recitazione, amava scrivere. Mi portava continuamente testi, farse, atti unici, scriveva notti intere. Avevo conosciuto la sua mamma che mi pregava di farlo smettere perché non si scollava mai dalla sua macchina da scrivere. Poi lui si scrisse al centro sperimentale a Roma come sceneggiatore e dopo un po’ che scriveva per gli altri, decise di fare anche il regista, come dice lui «almeno le sciupo da solo le sceneggiature invece di farle sciupare agli altri». Lavoro spesso con lui, di solito nei film girati in Toscana. Raccontaci come è nata la tua compagnia. Ho sempre avuto un rapporto molto intenso con Livorno, la mia città. Anche se ho vissuto sedici anni a Roma, non ho mai tagliato il cordone ombelicare e affettivo con le origini. L’idea della compagnia nasce così…dal legame forte con Livorno. L’ho chiamata “La compagnia degli onesti” per andare un po’ controtendenza perché era un periodo di scandali e anche

perché quelli che conosco che non fanno questo lavoro, mi dicono sempre che il nostro ambiente è fatto di raccomandazioni e figli di qualcuno. Decisi di chiamarla cosi per dichiarare subito qual era lo spirito che mi animava e che spero animi anche tutti i membri della compagnia. Tutto ebbe inizio da un evento fortunato: un’amica mi chiamò dicendomi che voleva produrre uno spettacolo ma che aveva discusso con il regista e mi chiedeva se ero disposto a lavorare con lei; in quel frangente accordandomi con il Teatro Goldoni di Livorno, fondai la mia compagnia, realizzando lo spettacolo “La donna di Garbo” di Carlo Goldoni, che poi abbiamo portato in una lunga tournée. Lo spettacolo piacque molto

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e mi venne proposto di rendere stabile la compagnia. Come ti stai trovando con questo nuovo Teatro dei Quattro Mori? Ho chiesto a questo teatro di avere in gestione la stagione della prosa in cambio di ammodernare un po’ il teatro, che precedentemente veniva utilizzato molto per il cinema. Ho fatto mettere un bar all’interno della struttura e ho sistemato un po’ il tutto. Dopodiché ho organizzato un cartellone per la stagione invernale, con spettacoli di compagnie che vengono da fuori e speriamo di aver trovato una nuova casa. I costumi di tutti i miei spettacoli sono stati disegnati da Adelia Apostolico che è la mia compagna. C’è differenza tra scrivere su commissione e scrivere liberamente. Tu quale preferisci? Il film che ho scritto e diretto era un’idea tutta mia, ambientata in teatro. Però devo dire che su commissione è più facile; se sono libero di scrivere cosa voglio mi vengono in mente cento cose e non so più quale portare avanti e finisce che poi non termino il lavoro. Se invece qualcuno mi indirizza mi è più facile scrivere perché così ho dei limiti e sono più stimolato. Alla fine qualsiasi storia tu scriva parli sempre di te, è inevitabile che tu metta una parte di te stesso in quello che scrivi, qualsiasi storia sia. Molti mi chiedono di fare il mio secondo film: sto cominciando a pensarci.

da La vedova scaltra da La fortuna si diverte


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cinema

Chiara Basile Fasolo Giorgio Banchi

Paolo Conticini e Chiara Basile Fasolo

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i stai affermando come attrice. In quale momento della tua vita hai capito che la recitazione era la tua strada ? Molto presto, per fortuna. Da bambina ero pervasa da questa mia passione per la recitazione e ho deciso di farne una professione. Facendo il lavoro che ti piace senti meno fatica perché la passione e la gioia smorzano le difficoltà che questa professione, come ogni altra, presenta. Mi sento molto legata a “Il piccolo principe” perché mi sono esibita a teatro proprio con questo testo. Per questo motivo affettivo ancora oggi lo apprezzo moltissimo. Sei un’attrice, ma hai avuto anche esperienze di doppiaggio. Ti senti più attrice o doppiatrice? Mi sento più attrice sicuramente, perché è più completo rispetto al doppiaggio. C’è tutta una gestualità e una mimica che con il doppiaggio, purtroppo, va perduta. Invece l’attore di teatro o di cinema ha tutti que-

sti strumenti in suo possesso, è più a tutto tondo. L’esperienza di attore è certamente più completa. Credo che doppiare sia un’esperienza più faticosa della recitazione tradizionale, perché devi adattare il tuo modo di recitare a quello di un’altra persona che non sei tu. Per ottenere buoni risultati bisogna fare sforzi notevoli. Basti pensare che, doppiando attori di nazionalità diversa, come statunitensi inglesi o giapponesi, si incontrano modi di recitare meno consueti e dei modi di dire e di articolare le frasi completamente differenti da come siamo abituati. Bisogna avere una grande capacità di adattamento, abili doti di recitazione, ma soprattutto una mente molto aperta. Possiamo dire che uno dei tuoi ruoli più importanti è stato quello di Daniela in Squadra Mobile. Come ti ha cambiato questa esperienza? L’esperienza sul set è stata davvero molto coinvolgente perché ho interpretato un personaggio profondamente diverso dalla mia personalità e non è stato semplice entrare nel ruolo. Daniela è una ragazza ricca che non ha certo bisogno dello strumento della prostituzione per guadagnare soldi, ma lo fa per una questione di moda o di rivalsa nei confronti della società. È stato un ruolo importante ed anche un bel confronto con la vita del set. Come ti prepari al set? Questo in realtà sarebbe un segreto... ogni attore ha un piccolo segreto. Diciamo che cerco di immedesimarmi nella psicologia del personaggio, quanto più possibile. Recitare ha cambiato la tua vita personale e affettiva? Sicuramente il fatto di trasferirsi da Pisa a Roma costituisce un allonta-

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namento dal tuo ambiente e implica già una separazione e una difficoltà. Il contatto con la famiglia e gli amici non è più intenso e frequente come prima, visto che recitare richiede totale disponibilità e flessibilità da parte dell’attore. Però, dipende molto dalle persone. Sono stata sempre legata alla mia famiglia e alle mie migliori amiche e, quindi, con loro ho sempre mantenuto un rapporto vivo e costante. Anche quando sono lontana tramite telefonate e messaggi mi sono tenuta in contatto. Se davvero tieni ai tuoi affetti e alle tue amicizie il modo di coltivarli si trova. Ora che sei attrice a tempo pieno pratichi ancora lo sport che amavi da piccola? Sì assolutamente. Mi piace molto andare a cavallo e danzare. In estate pratico il nuoto; in altri momenti ho fatto danza anche a livello agonistico ma adesso sarebbe proprio impossibile. Sei nata e cresciuta a Pisa. Di cosa hai nostalgia durante le tue lunghe trasferte? Sicuramente della mia famiglia, degli amici ma anche dei miei animali. Ho molti animali in casa tra cui cani, gatti e anche un’oca. Nelle mie lunghe trasferte mi mancano molto i miei amici a quattro zampe, perché se sei cresciuto e hai vissuto con loro fanno parte in qualche modo della tua vita. E comunque quando manca la terra manca davvero tutto. Per fortuna torno molto spesso perché sono iscritta all’università di Pisa, anche se mi è difficile frequentare la facoltà. Quali progetti hai per il futuro? Ho una parte nella terza stagione di Braccialetti Rossi che uscirà a febbraio su Rai 1. Mi raccomando non perdetevela!


TEATRO

Va l e r i a

Valeri la bellezza è in ogni stagione

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na signora bionda e dolcissima con 90 anni e più alle spalle e la freschezza d’una adolescente innamorata. Innamorata ancora del teatro – brillante non guasta! – e della vita. Dialogando è inevitabile ricordare il grande Enrico Maria Salerno e il loro bellissimo legame, seppur di un bel po’ di tempo addietro. Sorride, gli sembra di rivederlo mentre si tocca l’oro dei capelli. «Mi fa ricordare un pezzo di vita importante, molto! Da lui ebbi una figlia, Chiara e... che dire? L’incontro fu fondamentale, una pietra miliare.» Se facciamo un tuffo all’indietro – televisivamente parlando – eccoci proiettati nel ‘68 - ‘69, sino a sentire quella musichetta di Trovajoli ‘ta ta tta tata....tatatatààààààà’ quale incipit de: “La famiglia Benvenuti” dove lei, la signora Stoppani, coi capelli girati all’insù – come usava – viveva letteralmente per il suo Alberto (Salerno per l’appunto), spianando quo-

tidianamente i problemi familiari. Bizze comprese. Salerno oltre ad essere stato un vero e proprio animale da palcoscenico, viene ricordato per la sua forza, per il suo essere così versatile, carismatico, ma anche con la sua personalità alquanto ingombrante. Tra voi, quando finì, in quali rapporti rimaneste? «Beh... rimanemmo amici, non ci furono grandi traumi. Con Enrico ho lavorato insieme ma non moltissimo. Fondammo lo Stabile di Genova con Chiesa e ci innamorammo, poi facemmo alcune commedie in televisione, ricordo Antonio e Cleopatra ed altre ancora, con un buon successo di pubblico. Poi... il tempo passa!» Prima ancora era stata la mamma di Rita Pavone per “Il giornalino di Gian Burrasca”, quel monellaccio impenitente che, tra una marachella e l’altra, smascherava l’ipocrisia degli adulti in una verità altamente elastica, senza cattiveria ed arroganza. «Sei la mia

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mamma» le sussurrava dolcissimamente a mo’ di cantilena la pestifera Pavone a lei abbracciata, mentre la signora Valeri dolcissima cogli occhi buoni, lo/la coccolava con carezze e bacetti sulle guance. Sua figlia ha seguito le orme dei celebri genitori, che rapporto ha con lei? Due attrici, due doppiatrici... e che spessore! «Splendido, bellissimo, alle mie nipoti – è tutta una questione di temperamento – auguro di scegliere la loro vita. Personalmente come del resto tutte, nonni compresi, vediamo nei nipotini dei fenomeni con una adorazione totale che ha dell’incredibile. Adorazione poi che diventa reciproca. Una cosa meravigliosa.» Non sono solamente i figli “piezzi e core”

Carla Cavicchini

il Presidente Ciampi consegna le Insegne di Grande Ufficiale a Valeria Valeri nel 2006

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società

uniti per un’idea

sei comuni per una città policentrica Giorgi Donin

da sinistra Ilaria Parrella sindaco di Santa Maria a Monte, Alessio Spinelli sindaco di Fucecchio, Giulia Deidda sindaco di Santa Croce sull’Arno, Giovanni Capecchi sindaco di Montopoli Valdarno, Manola Guazzini assessore di San Minniato, Gabriele Toti sindaco di Castelfranco di Sotto.

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ei comuni insieme per un’idea di sviluppo sostenibile. Con questo slogan le amministrazioni di Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto, Fucecchio, Montopoli in Val d’Arno, San Miniato e Santa Maria a Monte hanno annunciato la condivisione del loro Progetto di Innovazione Urbana (PIU). I sei comuni che fanno parte del distretto industriale, hanno colto questa occasione unendo i loro sforzi e dando vita, di fatto, a quell’idea di città policentrica che i sei comuni, con oltre 100mila abitanti, rappresentano per la regione Toscana, riconoscendo questo territorio come un’Area Funzionale Urbana (FUA),

dovuta a una presenza ininterrotta di insediamenti abitativi con una omogeneità sociale, economica e ambientale. Pertanto le amministrazioni hanno deciso di unirsi per partecipare conun progetto di Innovazione Urbana, al bando regionale che attribuirà ingenti risorse economiche da investire nella riqualificazione dei centri storici e nel potenziamento ai servizi educativi, nei progetti di cohousing, nella creazione di nuove strutture sociali per la riduzione del disagio cittadino, nel rafforzamento dei collegamenti interni al distretto, nell’efficientamento energetico e nella tutela dell’ambiente. Il tutto rafforzando il senso di ap-

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partenenza comune e favorendo lo sviluppo di idee imprenditoriali giovanili (start up) all’interno di un territorio che propone come obbiettivo la crescita. Gli amministratori hanno visto in questa chiamata regionale un’opportunità significativa per costruire insieme la strategia a medio-lungo termine per l’area distrettuale. Il disagio economico e sociale della popolazione, da loro rappresentata, non si affronta con interventi spot e con politiche rinchiuse all’interno dei propri confini amministrativi e dei propri bacini naturali di consenso, ma necessita di una visione d’insieme e a medio termine. Il lavoro intorno a questo PIU è stato quindi interpretato dalle sei amministrazioni come la sperimentazione di un nuovo metodo di politica per i territori, in cui partendo dalla specificità del distretto nel suo insieme, si definiscono per esso obiettivi comuni, si identificano le strategie e le azioni che ognuno può mettere in campo per il bene di tutti, si mira ad implementare ognuno beni e servizi che si integrino con quelli offerti dagli altri, si stimola il confronto e l’innovazione in tutti gli attori locali e il senso di appartenenza e di identità nelle popolazioni, il tutto per perseguire il risultato di migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione distrettuale tutta. Nel mese di dicembre ogni comune ha organizzato un percorso partecipativo di incontri con i cittadini ai quali parteciperanno tutti e sei i sindaci del distretto per condividere e portare nuovi elementi a sostegno del progetto.


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industria

ieri e oggi

insieme

costruire il domani del distretto conciario

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e nuove strategie Assoconciatori per la valorizzazione dell’impegno dei conciatori Valorizzare la qualità complessiva del distretto conciario toscano con una certificazione che ne riconosca l’eccellenza di prodotti e impianti industriali, e portarvi clienti e case di moda da tutto il mondo, per mostrare dove e come nasce la concia di qualità, quella concia made in Tuscany che ogni giorno incrocia le rotte del fashion internazionale. Le nuove strategie dell’Assoconciatori, illustrate dal presidente Franco Donati nel corso del convegno sul futuro del distretto conciario toscano, puntano definitivamente a vedere premiato l’impegno dei conciatori del comprensorio del cuoio: entro 12 mesi dovrebbe essere pronto il set di requisiti e il modello di capitolato per la nuova certificazione di qualità del prodotto, cui l’Assoconciatori sta lavorando con il supporto scientifico della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «L’idea di

una nuova certificazione – dice il presidente Assoconciatori Franco Donati – nasce dalla necessità di tutelare i nostri imprenditori conciari e mostrare all’esterno, anche nel rapporto con la clientela, come arriviamo a produrre certe pelli rispettando, con i fatti e non a parole, tutte le regole per fare impresa nel modo migliore. Regole che dal nostro punto di vista possono essere disciplinate in modo ancora più severo, purché secondo una logica che sia coerente con il comparto. Ancora oggi invece siamo spesso penalizzati da richieste e capitolati formulati in modo scoordinato rispetto alla natura e alle caratteristiche dei nostri prodotti e della nostra attività e ci rendiamo conto che anche molti dei clienti più autorevoli non conoscono il nostro sistema distrettuale». La nuova certificazione di qualità sarà volontaria, tutte le aziende che vorranno, se ne potranno avvalere se in grado di rispettare parametri, ambientali ed etici, individuati ad hoc, «dal riciclo delle

acque, al non conferimento dei fanghi in discarica – aggiunge Donati – tutte pratiche che vedono il distretto conciario toscano in una posizione di assoluta avanguardia anche grazie agli impianti industriali che negli anni abbiamo realizzato nel nostro distretto, e che raramente riscontriamo in analoghe realtà nel mondo». In quest’ottica di valorizzazione della competitività del polo conciario toscano, l’altro importante evento spiegato dal presidente Franco Donati come un’ulteriore opportunità per dare all’esterno una testimonianza concreta di tutto il talento che sta dietro la concia toscana: in un periodo di circa tre settimane non impegnate dalle fiere di settore, produttori, designer e tecnici della filiera-moda, saranno invitati “sul campo” tra le concerie e gli impianti industriali del distretto per toccare con mano il complesso ingranaggio che regola il sistema di lavorazione delle pelli.

Carlo Junior Desgro

Erano presenti Franco Donati presidente Assoconciatori, Fabio Iraldo dell’Istituto Management Scuola Superiore Sant’Anna, Guido de Vecchi Vicedirettore Generale Banca CR Firenze, Giuseppe D’Onza Dipartimento Management Università di Pisa, Maria Chiara Carrozza Scuola Superiore Sant’Anna

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moda

cento passi per unire la tradizione all’innovazione Elena Battaglia

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uesta è la distanza che separa la vecchia sede di “Snoopy”, lo storico negozio di abbigliamento da 0 a 16 anni di Santa Croce sull’Arno, da quella inaugurata lo scorso 4 ottobre. La cornice è sempre la stessa: da quando è stato aperto nel 1976 da Carla Favilli, il punto di riferimento è rimasto la centralissima piazza Matteotti, dove trovano spazio numerose attività commerciali della cittadina. Ma la decisione di Paola e Daniela, le attuali proprietarie, di trovare una collocazione diversa per le proprie collezioni, nasce dalla voglia di espandersi e di rinnovarsi pur rimanendo in linea con quella che per loro rappresenta un vero e proprio fiore all’occhiello: la tradizione. Tenere uniti questi due aspetti è fondamentale per le due commercianti, convinte che non si possa costruire un futuro senza conservare i preziosi insegnamenti del passato. La “mission” del negozio di abbigliamento per ragazzi, infatti, è quella di offrire

una vasta gamma di prodotti all’ultima moda, in linea con le richieste del mercato e il trend del momento, senza perdere di vista il contatto umano fra cliente ed esercente. Fidelizzazione è la parola chiave: chi decide di acquistare un capo di abbigliamento nel negozio di piazza

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Matteotti opta per un prodotto di qualità, per i migliori marchi del settore e trova uno dei migliori rapporti qualità-prezzo reperibili sul mercato. All’interno del negozio possiamo allontanarci per un momento dalle logiche “fast” della grande distribuzione e scegliere con cura fra una va-


sta gamma di merci accuratamente esposte e suddivise in due fasce di età, una per bambini da 0 a 7 anni ed una per gli adolescenti da 8 ai 16 anni. Le mamme che vestono i propri figli in questo negozio spesso sono state esse stesse delle giovani clienti, negli anni dell’infanzia: una prova tangibile dell’abilità delle gestrici di intercettare le esigenze del territorio e reperire prodotti di alta qualità, anche dopo l’avvento della crisi economica, e testimonianza della capacità di far affezionare la clientela attraverso il cambiamento e il trascorrere del tempo. Ad aprile Paola e Daniela hanno de-

ciso di festeggiare il decimo compleanno della propria attività con una sfilata speciale, che si è tenuta alla Vecchia Fornace, durante la quale per una sera i bambini e i ragazzi della zona si sono trasformati in modelli, indossando i capi di abbigliamento di Snoopy, ed esibendosi a ritmo di musica grazie alle coreografie studiate dall’insegnante di danza Perla Francalanci. Le novità non finiscono qui. Con l’arrivo della stagione primaverile nel negozio sboccerà una nuova linea di abiti da cerimonia e da comunione, in attesa delle occasioni speciali della prossima estate.

appuntamento al ventennale... 77


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ALIMENTAZIONE

&cibo

donne

quale rapporto? Paola Baggiani

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a donna ha un rapporto con il cibo complesso e contraddittorio, certamente più difficile rispetto all’uomo, diviso fra desiderio e colpa. La donna è la prima nutrice: nel grembo durante la gravidanza, al seno dopo la nascita; in seguito con la preparazione dei cibi per i figli e i familiari. In molti paesi del mondo con economia agricola, è ancora affidata alle donne la coltivazione dei campi e il rifornimento delle scorte alimentari. Anche nella nostra società, fino a pochi decenni fa, la donna si occupava della spesa e del menù; con l’avvento dell’era industriale il ruolo della donna è cambiato, la donna ha lasciato la casa, per ricoprire ruoli nel mondo del lavoro uguali all’uomo. La preparazione dei pasti spesso avviene in maniera frettolosa, le scelte alimentari sono pilotate da messaggi e immagini diffuse dai media che orientano alla spesa del superfluo, dei pasti preconfezionati, di maxi confezioni di alimenti energetici, con un’alimentazione spesso inadeguata e non bilanciata. D’altra parte nel ventesimo secolo sono cambiati anche i canoni della bellezza, passando da un ideale di corpo robusto e flori-

do a quello della magrezza: i magri sono le persone efficienti, i vincenti. Ma nonostante l’aspirazione a corpi magri e perfetti, la realtà è che nel mondo, come mai nella storia, si assiste ad un aumento di sovrappeso e obesità. I popoli occidentali sono oppressi dal grasso al punto che un nuovo fenomeno è diventato parte della cultura occidentale: la Dieta. Di dieta si parla ovunque; molte riviste, molti siti web, personaggi dello spettacolo consigliano diete di ogni tipo: intransigenti, restrittive, falsamente gratificanti, spesso accompagnate da “rimedi magici”, ma trascurando ogni fondamento scientifico. La dieta è un enorme business per le multinazionali del dimagrimento! La dieta è ormai diventata un’ossessione collettiva, e nella schiera dei “seguaci di dieta”, sono presenti sopratutto le donne (una donna su due segue diete, anzi è a dieta”per la maggior parte del tempo”). Oggi spesso le donne mettono al primo posto la propria immagine e in omaggio ad essa si negano al cibo. Il cibo è diventato per la donna un amico-nemico, fonte di piacere e di sensi di colpa; da un lato nella nostra società il piacere del cibo da parte delle donne, diventa espressione di lusso, di sensualità e di trasgressione, di godimento e di piacere, come tanti messaggi pubblicitari raccontano (consumo di piatti succulenti; la cioccolata, etc). Questi messaggi contrastanti hanno generato nella donna conflitti emozionali; la confusione del cibo con i sentimenti e la fame emotiva sono caratteristiche quasi esclusivamente femminili. Questa ossessione per la magrezza e per le diete ha fatto aumentare nei paesi occidentali i disturbi dell’alimentazione, anoressia,

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bulimia e tutte le dipendenze legate al cibo; colpiscono per lo più giovani donne (su dieci malati nove sono di sesso femminile), complice appunto il crescente risalto dato dai media al mito della bellezza e della magrezza estrema. Sono patologie gravissime sempre più diffuse, scatenate oltre che da problematiche individuali e familiari profonde, anche da una società e da una moda che riverbera su spot e riviste il mito di una magrezza estrema che è un passe-partout per il successo nella vita, incarnato da personaggi da copertina o dai protagonisti tv. Quasi sempre queste giovani donne hanno difficoltà a riconoscere i propri bisogni e farsi aiutare, sviluppando angosce e strategie di difesa, arrivando a gravi quadri clinici, e la strada della guarigione è spesso lunga e complessa. Il difficile compito della donna è quello di riappacificarsi con il cibo, anche se il mondo commerciale e dell’informazione certo non l’aiuta; è importante riprendere antiche abitudini quali tornare a piatti semplici, fare la spesa in modo consapevole, riappropriarci del tempo per ritrovare i propri cari e consumare insieme un buon pasto senza sensi di colpa; ritornare al ruolo di educatrici alimentari dei figli. Il legame delle emozioni con il cibo è sicuramente forte e ciò vale per la donna più che per gli uomini; bisogna cercare di convogliare queste emozioni verso il bello del cibo: la convivialità, la festa, il sedersi insieme a tavola, che è il circolo nel quale le persone si ritrovano, si parlano, si ascoltano; ed è la donna ad avere il ruolo primario: quello della cura e dell’attenzione, della trasmissione di saperi e cultura del cibo. www.baggianinutrizione.it


medicina

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Parkinson una speranza ricerca cura insegnamento col neo Fresco Institute di Fiesole

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razie ad una donazione dell’avvocato Paolo Fresco, già Presidente esecutivo della Fiat per cinque anni e prima di ciò Vice Presidente Esecutivo della General Electric dove ha lavorato per più di 35 anni, nasce a Fiesole (Firenze) il “gemello” italiano del centro contro il Parkinson che ha sede presso la New York University Langone Medical Center di Manhattan. La struttura lavorerà in stretto contatto con l’omologo centro americano, guidato congiuntamente dal clinico Alessandro di Rocco e dal neuro scienziato Richard Tsien, per migliorare la conoscenza e favorire la cura e la ricerca sul Morbo di Parkinson e i disordini del movimento. È complessivamente di 25 milioni di dollari la donazione da parte di Paolo Fresco, dei quali 14,5 milioni saranno destinati all’Italia. L’Istituto rappresenta probabilmente il primo centro sul Parkinson di questo tipo. Il programma di coordinamento e di condivisione accademica e scientifica tra USA e Italia consentirà un forte impulso alla ricerca scientifica e clinica nel settore, superiore a quanto ottenibile se affidato a una singola istituzione. Nel mondo si stima che siano tra i quattro e i sei milioni le persone afflitte dal Morbo di Parkinson, un incurabile disordine neurologico che progressivamente colpisce la parola, l’umore, il pensiero e il movimento. In Italia sono circa 200.000 i malati, con almeno 5.000 nuovi casi ogni anno. La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa, a evoluzione lentamente progressiva, che coinvolge, principalmente, la funzione motoria. Si tratta di una malattia, presente in tutti i gruppi etnici e riscontrabile in entrambi i sessi (con una lieve pre-

valenza in quello maschile) a elevata prevalenza che aumenta in rapporto all’età. Esordisce mediamente intorno ai 60 anni ma può comparire anche in età giovanile (nel 5-10% dei pazienti prima dei 40 anni).Dal punto di vista anatomico la malattia coinvolge principalmente strutture nervose situate nella profondità dell’encefalo, in particolare, la c.d. “sostanza nera” ove si osserva la progressiva degenerazione delle cellule nervose che producono dopamina, la cui riduzione si associa alla comparsa dei principali sintomi motori. Tuttavia, studi recenti suggeriscono come il processo patologico sia più diffuso e verosimilmente legato all’accumulo di una proteina chiamata alfa-sinucleina. La causa della malattia, tuttavia, non è ancora nota ed è probabile che molteplici fattori sia genetici (la storia familiare può risultare positiva in circa il 15% dei casi) sia ambientali (di natura tossica) possano contribuire allo sviluppo della malattia. I sintomi non motori più frequentemente osservati sono: disturbi vegetativi, riduzione dell’olfatto, turbe del sonno, depressione

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del tono dell’umore, ansia, tendenza all’affaticamento, dolori, compromissione di alcune funzioni cognitive. «La cura del Parkinson varia da caso a caso» - dice il Prof Alessandro di Rocco, Direttore dell’Istituto Fresco a NYU Langone. - «Bisogna continuare a valutare e personalizzare la cura basandosi sull’evoluzione e sui sintomi del paziente e la sua qualità di vita. Attraverso i programmi di borse di studio, la collaborazione clinica e scientifica con Istituti e ricercatori Italiani, otterremo cure migliori e una migliore comprensione della malattia.» «L’Istituto Fresco stabilirà forti legami tra la ricerca clinica e di base sui disturbi del movimento, in particolare del Morbo di Parkinson» - dice Richard Tsien, Direttore scientifico del Fresco Institute. «Creerà anche proficui contatti tra scienziati in USA e Italia nella ricerca sui disturbi neurologici grazie alla visione, leadership e generosità di Paolo e Marlene Fresco che hanno permesso la realizzazione di questo progetto». Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito: www.frescoinstituteitalia.it

Giampaolo Russo


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grafologia

Guglielmo Marconi cuore e mente Maria Laura Ferrariz

maria.laura.ferrari@tiscali.it www.marialauraferrari.com.

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remio Nobel per la fisica nel 1909, a soli 35 anni, Guglielmo Marconi nasce il 25 aprile 1874, bolognese per parte di padre e irlandese da parte di madre. Trascorre l’infanzia a Pontecchio, Villa Griffone, cittadina vicino a Bologna, dove sviluppa le prime curiosità scientifiche e matura la sua grande scoperta, la radio. È proprio qui infatti che nel 1895 lo scienziato lancia da una finestra, tramite un’antenna trasmittente da lui creata, il primo segnale di telegrafia senza fili. Marconi dedicherà tutta la sua vita allo sviluppo e perfezionamento delle radiocomunicazioni, studiando privatamente e traendo ispirazione dall’opera del fisico tedesco Hertz sulle onde elettromagnetiche. Forte delle sue scoperte e galvanizzato dalla prospettive (anche commerciali) che potevano aprirsi, nel 1897 fonda in Inghilterra la “Marconi’s wireless Telegraph Companie”, non prima di aver depositato, a soli ventidue anni, il suo primo brevetto. I

benefici della sua invenzione si fanno subito apprezzare in modo clamoroso: il primo salvataggio avvenuto in quegli anni, a mezzo appello radio, di una nave perduta sulla Manica e, pochi anni dopo nel 1912, dei 706 superstiti del noto disastro del Titanic. Anche in Toscana, nella storica palazzina di Coltano in provincia di Pisa, sono state scritte pagine importanti di questa storia. In questa località Marconi installò nel 1903 un grande impianto per le comunicazioni a lunga distanza: un trasmettitore a scintilla che dal 1919 al 1924 venne gestito dalla Marina come importante centro di trasmissione e dal 1930 passò al ministero delle Poste e Telegrafi, divenendo uno dei più importati centri radio marittimi e radiotelefonici europei. La seconda guerra mondiale distrusse purtroppo sia le antenne che il fabbricato trasmettitori P.T., lasciando quasi intatta la palazzina Marconi, oggi in completo degrado. La scrittura La grande passione e motivazione

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dello scienziato emergono chiaramente dal tratto marcato, pastoso e omogeneo della sua grafia; l’attività è impetuosa: movimento veloce, allargato, finali prolungate, ma l’inventore riesce a mantenere una visione realistica, obiettiva delle situazioni (ampi spazi tra parole e righe). Costanza, determinazione, spirito agonistico vengono rivelati dalla buona tenuta del rigo, dalle forme semiangolose (gesti a “dente di squalo”), dai legamenti assidui tra le lettere, dalla barra del “t” affermata, dalle sopraelevazioni; le forme personalizzate, ovoidali, i gesti in “pince”, le lettere aperte, chiare, semplificate e le ricombinazioni, indicano un’intelligenza non convenzionale, creativa ma anche capace di trasporre la teoria nella pratica e ben organizzare. La tenuta del rigo sinuosa, l’eleganza e fluidità nel procedere, la chiarezza delle lettere ci suggeriscono doti sociali di comunicativa, diplomazia e un certo savoir-faire.


design

m’illumino

d’immenso I

l potenziale emozionale della luce è tanto importante quanto la sua funzione pratica. Se un ruolo fondamentale svolge negli edifici la luce naturale che l’architettura riesce a plasmare con scelte di materiali e alternanze di pieni e di vuoti, allo stesso modo il progettista si avvale della luce artificiale per definire il design degli interni, garantire la giusta luce e suscitare emozioni. L’intento di un bravo progettista è una luce che illumini e non un bagliore che oscuri, il medesimo intento di un grande marchio produttore di corpi illuminanti che da anni ha attivato una campagna contro l’inquinamento luminoso. È quindi importante avere i giusti requisiti illuminotecnici e attivare le giuste sensazioni, diverse a seconda che si parli di spazi all’aperto, di luoghi di lavoro, di spazi di vendita e infine di dimore private. Una constatazione che vale però per tutti gli ambiti operativi è che la luce naturale e la luce artificiale cooperano e coesistono per buona parte della giornata

e che la luce artificiale dovrà essere grandemente flessibile per compensare ed integrare la grande variabilità della luce naturale dall’alba al tramonto. All’interno di una casa la luce naturale ed artificiale entrano poi in simbiosi con i materiali, le superfici e i colori con effetti a volte sorprendenti, condizionandosi a vicenda. Le luci cambiano i colori delle pareti a seconda delle caratteristiche del corpo illuminante, e, a loro volta, i colori e i materiali scelti limitano od esaltano le prestazioni di un corpo illuminante assorbendo o riflettendo la luce. È quindi la grande esperienza e preparazione tecnica del progettista che delinea il risultato. In ambito domestico la flessibilità della luce artificiale gioca un ruolo importante non solo per gli aspetti funzionali, ma soprattutto per gli aspetti estetici ed emozionali che caratterizzano il design degli interni. La modulazione della luce attraverso una varietà di corpi illuminanti, ci permette di creare ad ogni ora ed in ogni situazione la giusta atmosfera. Si parla infatti di luce diffusa e d’ambiente, di luce di servizio, di luce direzionale e d’accento e infine di luce decorativa, con corpi illuminanti in cui è spesso predominante la componente estetica e fortemente suggestiva. Le nuove tecnologie vengono in aiuto per introdurre un tocco poetico e di magia nella progettazione dei punti luce per interni. La tecnologia led, caratterizzata da consumi e dimensioni minimi e da una produzione di calore estremamente ridotta, ha aperto nuovi orizzonti alla creatività: un esempio per tutti la “Led table” di Ingo Mauer con 278 piccoli led bianchi posizionati tra due lastre di vetro. Sono quindi in continua evoluzione non solo gli

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aspetti tecnici, ma anche l’estetica dei corpi illuminanti, completamente rinnovata dalle caratteristiche dimensionali e prestazionali di questi elementi. Accanto alle lampade protagoniste del design che hanno semplicemente “cambiato le luci”, ci sono le nuove sorgenti luminose che partono da concezioni e requisiti completamente nuovi. Concludiamo queste note guardando fuori, all’esterno, sottolineando l’importanza della luce artificiale nell’illuminare giardini e terrazze, che completano e arricchiscono l’identità di una casa. Riaffermiamo così l’intento di suggestionare con le luci e non di abbagliare, suscitando l’ira dei vicini!

Annunziata Forte Cristina Di Marzio

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tendenza

ChristmasSong Eleonora Garufi

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inalmente il freddo è arrivato per accompagnarci, come vuole la tradizione, tra palline di Natale, regali, buoni propositi, amici e parenti. Il conto alla rovescia per il Natale è davvero iniziato. C’è chi vive questo periodo con trepida eccitazione, chi per esempio ha iniziato a preparare palline e decorazioni a luglio per promuovere l’homemade e arrivare in tempo per preparare tutto. Ma c’è anche chi invece il Natale proprio non lo sopporta e per questo periodo preferisce andare ai Tropici piuttosto che rimanere incastrato nel buonismo contagioso. Dopo gli ultimi episodi terroristici che hanno colpito la Francia e il mondo in generale, forse questo Natale, queste festività avranno un sapore diverso. Forse davvero in questo periodo dell’anno in cui si celebra la nascita, l’amore, la vicinanza familiare saremo più sensibili a riflettere sull’importanza che questi valori hanno nella vita senza limiti di tempo o stagione. Ma al di là della dura verità sulla realtà, il Natale è la festa dei bambini, è la festa che unisce le famiglie. Per questo noi di Reality abbiamo pensato di consigliarvi le migliori colonne sonore di questo periodo dell’anno. Canzoni storiche, rivisitate, vere e proprie compilation scintillanti per accompagnare e scaldare i momenti più importanti di queste feste. Pop, Rock, Cantautorato, alternative. La musica natalizia raccoglie interi cofanetti che spaziano in tutte le gamme musicali. New Hit oppure canti tradizionali rivisitati dalle star del momento. Ecco quindi la Top Ten delle compi-

lation natalizie in ultima uscita che vi consigliamo: Kylie Christmas di Kylie Minogue. La versatile star australiana è in veste natalizia. Il nuovo album,dedicato ai grandi classici del Natale, uscito il 13 novembre per Warner Music Italy, offre duetti con la sorella Dannii e con un “tipo” che non richiama alla mente canzoni da cantare vicino all’albero: Iggy Pop. No Place in Heaven – Special Edition di Mika. Il giudice più amato di X Factor ristampa il suo ultimo album in una speciale edizione che contiene due cd: il primo con 5 nuove canzoni, tra cui i duetti con il compare di talent Fedez e Franco Battiato, mentre il secondo è la registrazione del concerto tenuto dalla popstar a Montreal accompagnata dalla Montreal Symphonic Orchestra. The Christmas Album di Tony Hadley. Anche il frontman degli Spandau Ballet arriva in versione “Babbo Natale” (e non più sex symbol) con un album di successi natalizi passati e più recenti in uscita il 27 novembre. Anthology – Le nostre anime di Franco Battiato. Il “Maestro” che non ama essere chiamato così raccoglie parte della sua discografia (con inediti e nuovi arrangiamenti) in una antologia da collezione. We Love Disney. Nato da un progetto internazionale arriva la versione italiana dell’omaggio ai brani Disney più iconici. Alcuni dei più grandi artisti italiani reinterpretano le canzoni della nostra infanzia, da I sogni son desideri (Cenerentola, Carmen Consoli) a Una stella cade (Pinocchio, Nina Zilli), passando per Romeo (Gli Aristogatti, Francesco Sarcina). The Ties That Bind: The River Col-

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lection di Bruce Springsteen. Dal 4 dicembre, retrospettiva dedicata a The River, il quinto album del Boss uscito nel 1980: il cofanetto, per veri fan, contiene 4 cd con 52 brani, 3 dvd e un libro illustrato con 200 immagini rare e inedite. Fabrizio De André. In studio. Una discografia completa che si arricchisce anche di un libro a colori che narra la nascita dei vari album per i veri amanti del cantautorato. Ultimate Collection di Anastacia. La cantante americana diventata famosa per essere una “bianca dalla voce black” sarà in tour nel 2016 in Italia con i suoi più grandi successi. 15 anni di canzoni contenuti in questo cd, dal celebre brano di esordio I’m Outta Love fino all’inedito Take This Chance. Dal 16 novembre per Sony Music. MTV Unplugged dei Placebo. Negli anni 90 i “concerti live” firmati da Mtv sono entrati nella storia della musica (basti pensare a quelli di Nirvana o Pearl Jam). È ora il turno dei Placebo che raccolgono in quest’album il live del 19 agosto a Londra. Vere e proprie chicche dal vivo, brani dei Placebo in una veste davvero inedita. Se io avessi previsto tutto questo – Gli amici, la strada, le canzoni di Francesco Guccini. Un’“opera monumentale” dedicata al cantautore: ci sono le sue canzoni più celebri e quelle più rare, canzoni cantate in duetto e brani tratti da concerti. Per chi invece vuole rimanere legato alla tradizione e cerca un Natale a profusione, vi consigliamo di scaricare la compilation “Le 100 canzoni di Natale”. I brani tradizionali, quelli delle colonne sonore dei film per un Natale senza tempo.


CURIOSITà

mode di moda pillole sulle tendenze 2015 gotta Una Pi atale per N

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n oltre 600 piazze italiane possiamo acquistare una Pigotta, la bambola di pezza Unicef che con soli 20 euro permette di far entrare un bambino in un progetto di vaccinazioni e cure per permettere la sopravvivenza e la vita ai bambini colpiti da guerra, e da condizioni di povertà. Un pensiero anche per loro. www.pigotta.unicef.it

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Il film del regista Mark Osborne uscirà nelle sale a gennaio ed è già attesissimo. Una bambina dal futuro già scritto viene a conoscere la storia di un piccolo principe conosciuto dal vicino di casa, un anziano aviatore nel deserto. Osborne e i suoi sceneggiatori Irena Brignull e Bob Persichetti hanno racchiuso le vicende del biondo principe e dell’aviatore all’interno di una storia che vede la piccola protagonista destinata ad un precoce adultismo. La bambina progressivamente si ribellerà a quello che sembra essere il suo percorso ormai segnato non in nome del “non crescere mai” alla maniera del Peter Pan di Barrie quanto piuttosto del conservare senza alcun timore il proprio bambino interiore.

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Iphone

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6S

l nuovo passo avanti della Apple si veste Iphone 6S. Nuova tecnologia Touch 3D, dispositivo di telecamera che dall’alto dei suoi 12MP è pronta a stupirti con immagini nitide e dettagliate, e fantastici video a 4K: una risoluzione quattro volte più alta del formato HD a 1080p. A Natale tutti selfie e video slow motion. Lo voglio!

Eleonora Garufi

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oroscopo

Federica Farini

oroscopo 2016

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016 sulle ali della mobilità e del cambiamento: fluttuare, volare, non volersi o sapersi fermare per un progetto che non vuol chiamarsi definitivo? È questo il sentimento che spirerà su tutto lo zodiaco a causa del vento portato dalla contrapposizione della croce mobile (Giove in Vergine, Nettuno in Pesci, Saturno in Sagittario), per un anno ricco di metamorfosi culturali, ma anche di soste spesso necessarie per respirare un po’ di pace e sentimenti, più che nuovi traguardi. A volte è bello (e meglio) frenare: per dedicarsi alla semplicità, per assaporare un ricordo (molti saranno i pianeti retrogradi che porteranno voglia di riflessione e uno sguardo al passato). Per costruire, con Saturno sempre presente a sostenere ideali e rivoluzioni, ma anche per pianificare al meglio i sogni e regalare loro la più auspicabile solidità.

ARIETE. Parola d’ordine del 2016: mantenimento. Il fuoco che ha acceso gli animi per lungo tempo arde ancora nel vostro cuore. Siete stati così abituati ad essere flessibili, cambiare, arzigogolare, che avete imparato a fare del calore una preziosa fiamma per tenere acceso il vostro focolare (domestico e non). Con Saturno e Urano ancora dalla vostra per tutto l’anno, il 2016 ha sempre il sapore di cambiamenti e scoperte (solo se vorrete e se ancora non avete avuto modo di cambiare qualcosa). Liberi da condizionamenti di capi e doveri nel lavoro, non muterete in uccelli selvatici, ma potrete scegliere di essere meno pressati per, a vostra volta, iniziare a comandare sulla vostra esistenza (vi piace in suono di questa frase). È il mese di settembre (dal 10 con Giove in ingresso dall’opposta a Bilancia) e poi i mesi di ottobre e novembre (con Marte agitato in Capricorno) a chiedervi di fermarvi e accontentarvi, pena salute e acciacchi fisici da non sottovalutare. Chissà che l’autunno non porti la legalizzazione di un’unione amorosa (matrimonio, fidanzamento anche per i meno giovani) e sorprese collegate al cuore. Un piccolo Ariete non era contemplato in famiglia? TORO. Parola d’ordine del 2016: espansione. Con lo sguardo del marinaio vi apprestate a osservare alle vostra spalle le tempeste che si spostano come un uragano ormai lontano. A singhiozzo tra gennaio, marzo, giugno e luglio Marte in Scorpione cercherà di destabilizzare le relazioni amorose che ancora persistono e che hanno fatto orecchie da mercante davanti a problemi e difficoltà che andavano e (vanno) risolti. Pigrizia e staticità non sono parole contemplate in questo 2016: per riposarvi avrete tempo (poi). È Mercurio nel vostro segno – da aprile a giugno – a portarvi finalmente l’agognata soluzione (illuminazione). Con Mercurio e Giove amici dalla Vergine è solo tempo di una cosa, per ogni settore della vostra vita: innovazione, dinamismo, nuovi progetti, mood che vi insegnerà quanto spesso l’imprevedibilità e l’inquietudine non siano fonte di guai, ma di incredibili e nuove soluzioni, per essere felici e sentire nuovamente il cuore battere forte e felice. Autunno caldo e passionale con Marte amico dal Capricorno. Largo ai voli (pindarici e non).

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GEMELLI. Parola d’ordine del 2016: praticità. Un anno controverso il 2016 per i nati sotto il segno dei Gemelli. La prima parte dell’anno più che mai – con Saturno opposto e Giove esigente dalla Vergine – il senso pratico dovrà essere il vostro companatico per risolvere qualsiasi questione, dal lavoro, alla salute, alle relazioni: in particolare quelle di coppia e di vecchia data, che andranno a farsi benedire per la maggior parte se non curate ad arte. Pochi passi falsi e atteggiamenti da primi della classe: meglio incassare, pianificare e organizzare… studiare la giusta strategia, perché Nettuno in Pesci mai come ora potrebbe farvi capitare grandi fischi per fiaschi. Se da settembre Giove dalla Bilancia favorirà il divertimento e qualche pausa di leggerezza fino a fine anno, incoraggiando anche nuovi flirts, è Mercurio dalla Vergine che vi riporta ancora qualche grana in casa o in famiglia. Se vi manterrete sul pezzo il 2016 potrà essere un anno produttivo. Dicembre fortunato con Marte in Acquario a favorire buoni incontri e idee lampadina. Le stelle premiano la resistenza e bocciano l’impazienza.

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CANCRO. Parola d’ordine del 2016: decisione. È da un po’ che vi state applicando, da molto che state cambiando. Se Urano e Plutone resteranno anche in questo 2016 non inclini a favorire i colpi di fortuna immediati e senza logica razionale (ma di questo ve ne eravate già accorti), è vero che il 2016 premierà i più operosi e infaticabili. Non vi siete trasformati in api o formiche operaie, ma poco ci manca? Siete in ballo e potete ballare: tra gennaio, marzo, giugno e luglio i nati sotto il segno del Cancro potranno avere picchi di ottimo sprint fisico ed energetico grazie a Marte in Scorpione, che rallegrerà la quinta casa: passione e incontri palpitanti per single e meno single. Dal 10 settembre, con picco a novembre, Giove in Bilancia e Marte in Capricorno si scateneranno nel mettere a soqquadro casa e relazioni: avete voglia di vie di fuga? State pensando a un nuovo nido? Questa volta non agirete con la calma che vi contraddistingue, ma con l’impeto che travolge. Anno da ricordare. LEONE. Parola d’ordine del 2016: solidità. Con le tasche piene di sogni (realizzati) o comunque sia di novità che non vi hanno lasciato nemmeno il tempo di assaporare il gusto della soddisfazione, i nati sotto il segno del Leone si apprestano a vivere i primi mesi dell’anno all’insegna degli imprevisti prodotti a singhiozzo da Marte in Scorpione. In casa e in famiglia il clima quotidiano – tra gennaio, marzo, giugno e luglio – potrebbe essere messo alla prova dal veloce tran-tran, soprattutto prima dell’estate, quando anche Mercurio in Toro darà manforte al caos. Ma non dovevate riposare? Il trucco sarà non mettersi a remare contro i mulini a vento, dato che praticamente nessun altro pianeta vi sarà contro e che la stabilità del vostro successo resta innegabile. Con Saturno e Urano costruttivi potrete finalmente abbandonarvi alle braccia di un nuovo amore, o di una relazione stabile che rinasce come l’araba fenice. Il lavoro soffia piacevole come un vento frizzante e come un diversivo che vi regala momenti di intuito e creatività, ma è dal 10 di settembre con Giove in Bilancia in terza casa e un passaggio di Marte dal Sagittario che un po’ di sano relax potrebbe darvi più soddisfazioni che altro (siete stanchi anche voi inarrestabili), alla ricerca di profumi e colori sparsi per il mondo, come tornare un po’ adolescenti. Meritata pausa caffè. Nessun mattone vi cadrà in testa mentre vi godete il panorama! VERGINE. Parola d’ordine del 2016: alleggerimento. Partenza piena di verve per i nati sotto il segno della Vergine nei primi sei mesi dell’anno: se Saturno in Sagittario continua a richiedere che vi applichiate soprattutto nella professione (questo non vi pesa, vi piace e la pazienza è il vostro forte) e nelle questioni praticofamiliari, è Marte dallo Scorpione che favorirà l’energia e la comunicazione, potenziate dal transito di Mercurio in Toro da aprile a giugno. Potrete spingervi al confine della vostra immaginazione: arrivare a ciò che fino a poco tempo fa vi appariva poco possibile, ma dovrete farlo senza paura di rinunciare a ciò che è ormai inutile. Nettuno conflittuale vi renderà affascinanti e intensi, provate: siete sempre così duri da convincere? Da luglio a ottobre anche Mercurio vi farà compagnia nel vostro segno, sostenendo i transiti di Giove: tagliate le cose superflue e imparate a scegliere solo quello che (ben sapete) fa per voi. Avete davvero ancora bisogno della famosa coperta di Linus? Plutone in Capricorno, da lungo fautore del vostro cambiamento, non aspetta altro che ricompensare i più audaci (con piano d’azione). Sotto a chi tocca!

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BILANCIA. Parola d’ordine del 2016: riuscita. Stakanovisti del cambiamento inaspettato, causato da Urano e Plutone dissonanti, a sorpresa i nativi Bilancia vivranno ancora per tutto il 2016 novità, irrequietezza e colpi di testa. Il bisogno di libertà e autonomia verrà in ogni caso supportato dal bell’aspetto di Saturno (e a tratti Marte) in Sagittario, che nella terza casa vi faranno trovare al posto giusto nel momento giusto, per suggellare contratti di lavoro e amori nuovi di zecca. Tra fine marzo e metà agosto Saturno riporterà a galla la problematica legale, contrattuale o di portafogli al verde, ma solo per sistemare le grane. Quando? Come abili trasformisti dal 10 di settembre in poi, quando accoglierete Giove nel vostro segno: se avrete seminato bene, fiori e poi frutti orneranno il meraviglioso giardino della vostra felicità (e voi amate le cose belle). Il cuore è gonfio di passione e d’amore come un panino imbottito. A fine di questo anno potrete festeggiare come il coraggioso pilota che arriva a destinazione dopo un lungo viaggio. Con Marte in Acquario le stelle scommettono che potreste anche ripartire… per una nuova vita, è ovvio. SCORPIONE. Parola d’ordine del 2016: gioia. Lampi di felicità baleneranno sul cielo dei nativi Scorpione fin dai primi mesi dell’anno. Con Giove a favore e Marte nel segno in via vai tra gennaio, marzo, giugno e luglio, l’energia e la capacità di realizzazione saranno alle stelle. Non esisterà stanchezza a bloccare i vostri sogni: gli anni passati hanno sancito la vostra trasformazione mutando le difficoltà in forza fisica e mentale. In questo stato d’animo poco vi spaventerà Mercurio in opposizione da aprile a giugno, che destabilizzerà le relazioni già consumate (e finite). Non vi è mai piaciuto trascinare le cose, men che meno in questo 2016. Non ci sono raccomandazioni che le stelle desiderano farvi se non quella che a voi piace un sacco: carpe diem. SAGITTARIO. Parola d’ordine del 2016: lungimiranza. Se l’avanzamento di carriera non è la vostra priorità (ma chi lo ha detto?), per i nati sotto il segno del Sagittario, con Nettuno-immaginazione in Pesci per voi dispersivo e Giove quadrato in Vergine, i primi sei mesi del 2016 si presentano da cardiopalmo come una corsa di velocità. I premi della vostra saggezza, della pazienza e della volontà si raccoglieranno (eccome!) a partire dal dieci di settembre, quando Giove passerà in Bilancia, sancendo la vostra fortuna grazie a contatti giusti e appoggi che non pensavate nemmeno di avere. Gli amici vi traghettano in questo anno con la leggerezza dell’ironia, fino al cerchio che si chiude, se è ciò che desiderate avvenga. In amore la lunga sosta di Marte nel segno da aprile e poi da agosto a settembre regalerà coraggio ai cuori che fino ad ora hanno tentennato nelle decisioni, trasformando il vostro battito animale in sentimenti più duraturi e costruttivi. Saturno è infatti sempre dalla vostra per solide basi che sorreggeranno anche le vostre virate più pericolose, in particolare tra luglio e ottobre con Mercurio ardito (o avventato) in Vergine. Nessun Sagittario illeso, a patto che respiriate prima di agire, contando fino a dieci prima di lanciarvi nel cielo. Controllate il paracadute.


CAPRICORNO. Parola d’ordine del 2016: novità. Marte nel 2016 a ripetizione dal segno amico dello Scorpione rasserenerà le giornate dei nativi Capricorno: le nubi si spostano, l’umore è spensierato a gennaio, febbraio, giugno e luglio come picchi di massima resa (per minima spesa). Con Giove a favore nella prima parte dell’anno il fisico splende e l’amore di conseguenza. Sarete curiosi e dinamici come camaleonti lasciati liberi su un prato sconfinato: vi muoverete lenti ma sicuri di ciò che state facendo. Amici in prima linea a salvarvi da quel Giove che barbino si sposta da settembre fino a fine anno nell’ostica Bilancia. Qualche fatica in più nel lavoro, che a voi di certo non spiace, perché in saccoccia potete contare lo stesso sull’aiuto di Mercurio in Vergine e Marte in Capricorno, che vi porteranno molto più lontano di ciò che immaginate: anno ricco di cambiamenti variopinti come gli (infiniti?) toni dell’arcobaleno. ACQUARIO. Parola d’ordine del 2016: energia. Professione e carriera a rischio di gastrite tra gennaio, marzo, giugno e luglio per i nativi Acquario? Se non avete messo in conto di poter fallire in un progetto già in corso, avrete di certo valutato di doverlo modificare (ancora), con Marte che sollecita dispettoso dallo Scorpione la decima casa. E per voi, ormai maghi del compromesso, tutto il resto è noia: va bene così, perché questo dinamismo sarà proprio la ragione del vostro successo. Le novità saranno invece rischiose da aprile a giugno, con Marte in opposizione che vi sferza colpi per rendervi ancora più preparati e veloci. Dal 10 di settembre, con Giove dall’amica Bilancia, la vostra rinascita sarà sancita in grande stile: sì a viaggi o trasferimenti – per amore o per lavoro – e la resurrezione vi aiuterà a raggiungere ciò che ancora vi manca. Agosto e settembre clima magico in ogni settore. Chi vi prende più? PESCI. Parola d’ordine del 2016: ordine. Scremare – che vi piaccia o meno – sarà il motto dei nati sotto il segno zodiacale dei Pesci durante l’anno 2016: se fronzoli e situazione ormai ammuffite fanno ancora capolino nel vostro armadio come abiti sotto naftalina, sappiate che le stelle hanno in programma per voi un lavaggio ad alte temperature. Con gli attacchi congiunti di Giove dalla Vergine e Saturno dal Sagittario, l’impegno nella professione come nella vita di coppia dovrà essere (o almeno apparire) doppio rispetto al solito. Ma si sa, è quando le acque diventano agitate che le vostre pinne riescono sempre a portarvi in salvo. Come? Grazie a capitan Marte in Scorpione potrete concedervi delle fughe-sfintere per poter sfogare i bollenti spiriti. Ricaricati da scappatelle o incontri flash sarete perfino più affabili con tutti: a volte è meglio peccare. Da settembre Giove vi lascia in pace e Mercurio sì insinua ancora un po’ per farvi mettere a punto i dettagli di un progetto che da tempo attende di essere partorito. Il parto ci sarà, a fine anno e, oltre alle stelle, anche chi vi vuole bene vi guarderà foto di zzzzzzzzzzzzzzz zzzzzzzzzzzzzzzzzzzzzz finalmente con lo sguardo di chi sa che il peggio è passato. Sani e salvi? zzzzzzzzzzzzzzzzzz

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jingle bells

CURIOSITà

la più famosa canzone natalizia, origini e storia Patrizia Bonistalli

Correndo nella neve su una slitta trainata da un cavallo attraversiamo i campi …

Copertina originale – anno di pubblicazione 1857

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ingle Bells, uno tra i motivi Natalizi più conosciuti al mondo, potrebbe in realtà vestire un’origine che nulla attribuisce al Natale. Diverse sono le versioni sulla derivazione del celeberrimo ritornello, il cui titolo originale era “One Horse Open Sleigh” (una slitta “aperta” trainata da un cavallo). La prima ipotesi, riscontrata anche nel Boston Curioisities, individua la nascita approssimativa della canzone intorno al 1850, periodo in cui il musicista James Pierpont si trovava spesso a suonare dentro una taverna a Medford (Massachussets); in occasione di un momento vivace, seduto all’unico pianoforte della città, sembra che egli abbia proposto un amabile Jingle. Il motivo effondeva un senso prettamente ludico, ispirato ad un tipico inno d’intrattenimento cantato durante le corse sulle slitte, che nel XIX secolo animavano l’inverno sul Mystic River. Una versione successiva, anch’essa senza prove certe, supponeva invece che fu l’autore stesso a

dichiarare di aver scritto il brano nel periodo in cui era Educatore del coro infantile di Savannah (Georgia). Il componimento sarebbe stato suonato la prima volta per il coro dei bambini della chiesa dove Pierpont era organista, in occasione del giorno del Ringraziamento. Pubblicata nel 1857 da Oliver Ditson, la canzone riscosse un tale apprezzamento tra i parrocchiani, che a grande richiesta venne eseguita nuovamente a Natale. Da brano ludico, si sarebbe dunque a questo punto passati ad un Canto Religioso. Modificato con il titolo di “Jingle Bells” e ripubblicato nel 1859, il pezzo assunse popolarità prevalentemente nei paesini e nei borghi, dove veniva festosamente intonato durante le funzioni Natalizie, nonché alle feste cittadine. Ci vollero anni prima che il componimento divenisse uno dei più noti al

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mondo. Nel 1898, dopo che l’Edison Male Quartet ne ebbe effettuata una registrazione sul Fonografo, la melodia prese a diffondersi consistentemente. La celebre arietta fu rimaneggiata in tutte le salse e reinterpretata da nomi illustri, che ne decretarono il crescente successo: tra questi, Bing Crosby, Louis Armstrong, Glenn Miller, Nat King Cole, Perry Como, i Beatles, Pavarotti, Placido Domingo. La melodia ancora oggi cattura con il suo intramontabile effetto lieve ed immediato, ed un modo di fluire impalpabile come neve. Sebbene non menzioni il Natale, il refrain custodisce indiscutibilmente, da generazioni, il proprio primato: evocare la nostalgia di Natali passati e celebrare il tintinnio celestiale della slitta, che annuncia l’eternamente atteso Babbo Natale.


Rag. Alessandro Susini Agente procuratore Promotore finanziario

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Centro Toscano Edizioni ISSN 1973-3658

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771973 365809

20154

Anno XVII n. 4/2015 Trimestrale â‚Ź 10,00


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