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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE DIPARTIMENTO DI ECONOMIA, SOCIETA' E TERRITORIO

CORSO DI COMUNICAZIONE A.A. 2002-3

DISPENSA

LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE A CURA DI

NICOLA STRIZZOLO

A.A. 2002-3

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INDICE 1.

LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE L’ELENCO DELLE FUNZIONI GLI ATTI LINGUISTICI Massime conversazionali o principi generali Il principio di cooperazione Massima di qualità Massima di quantità La massima di relazione La massima di modo GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI LE EMOZIONI NELLE PAROLE

2.

4 6 8 8 8 8 8 9 11 14

LINGUAGGIO CORPOREO ANALOGICO E DIGITALE DAL SEGNALE ALLA VERIFICA 5 CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO L’ATTEGGIAMENTO MIMICA FRONTE LO SGUARDO I MOVIMENTI OCULARI LA BOCCA LA GESTUALITÀ LA DISTANZA ZONA INTIMA ZONA PERSONALE ZONA SOCIALE ZONA PUBBLICA IL TONO LA RISATA L’EFFETTO PIGMALIONE

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1.

LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO NELLA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE

Quando comunichiamo con gli altri non passiamo solo informazioni sull’argomento trattato, altrimenti “informeremo” nell’accezione più tecnica del termine, comunicare invece è molto di più. Il linguaggio che noi adoperiamo quotidianamente, ogni nostra espressione, anche in una conversazione al telefono non è esente dall’essere molto di più della semplice risultante dei significati delle parole usate. Pur anche ci sforzassimo di essere più neutri possibile nella conversazione, trasmetteremo qualcosa, e cioè distacco dal messaggio e dall’emittente/destinatario. Provate a porvi una domanda: è possibile non comunicare? Vi invito a provare il seguente esperimento: trovate un gruppo di persone in una stanza, fate uscire due di queste, possibilmente un ragazzo ed una ragazza. Ai due dite che una volta rientrati devono simulare un viaggio in un mezzo pubblico, possibilmente vicini e non devono trasmettersi nulla. Prima di farli rientrare dite a quelli dentro di capire che cosa i due, una volta rientrati, si comunicano. Solitamente, il vuoto richiesto tra i due, viene abbondantemente colmato dalla fantasia del pubblico. Perché questo? Per diversi motivi: noi siamo nati e viviamo in un ambiente comunicativo, la prima comunicazione interpersonale avviene tra madre e bambino. Delle casualità vengono mutate in casualità attraverso la dialettica stimolo-risposta1 e si costruisce il linguaggio tra madre e figlio: quando il bambino piange in una data maniera ottiene una determinata cosa. Il dare significato a, il creare significato, il dare un senso, lo spiegare, sono attività umane che non riguardano soltanto l’empiricamente dimostrabile, ma anche il soprannaturale. Trovare o cercare, presupponendo che ci debbano essere, delle regolarità, rassicura e nella più comune e diffusa visione religiosa, dalle molteplicità di divinità alle quali ci si rivolge e rivolgeva, attraverso preghiere, suppliche, voti e rituali, ci si attende e spesso nella fede si vede una risposta, dunque, per un credente, c’è comunicazione con Dio.

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Ricci Bitti

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L’ELENCO DELLE FUNZIONI Più dati vengono trasmessi attraverso il linguaggio naturale, molti che neppure controlliamo consciamente, altri ancora che possiamo simulare. Questo rappresenta un surplus informativo, che può essere visto come il valore aggiunto alla cruda informazione trasmessa su un determinato oggetto, in tal modo la comunicazione diventa effettivamente il passaggio e la messa in comune di dati, informazioni, valori, regolatore sociale in maniera interattiva e reciproca e il linguaggio, anche attraverso queste sovrappiù di dati, svolge le seguenti funzioni2: a) Referenziale (o rappresentazionale) Quando descriviamo il reale o uno stato di cose veicoliamo informazioni che si riferiscono all’oggetto che descriviamo. b) Interpersonale (o espressiva) In ogni comunicazione con l’altro non si veicolano solo significati ancorati all’uso del vocabolario e alla loro combinazione, ma anche ciò che noi siamo in relazione al mondo e all’interlocutore, ciò che l’interlocutore è per il resto del mondo e per noi, includendo in questo l’identità personale, lo stato emotivo temporale e atteggiamenti abituali e le relazioni sociali. Ponendo la società in un diagramma esemplificabile in n variabili (x, y, z...) è come se ciò che diciamo e ancor più come lo diciamo andasse a riempire queste variabili e collocarci in un sistema di riferimento sociale. Un esempio bellissimo, caricatura letteraria di questa possibilità, ci viene dato dal Pigmalione di Show, dove Higgins, un appassionato di sociolinguistica, riesce a collocare gli individui in base al loro modo di esprimersi, esattamente nella via della città e nel tipo di settore lavorativo che occupano e i due protagonisti, per scommessa prendono una ragazza povera di bassa estrazione culturale e le fanno assimilare i codici dell’alta società (cultura, accento, linguaggio del corpo) con la quale interagirà da pari a pari. Facciamo alcuni esempi dalla vita reale: un inglese impeccabile da Public School3 indica con grande probabilità non solo una provenienza geografica, ma anche quella sociale.

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Lo stesso elenco, trattato in maniera più precisa ed approfondita lo si trova in Pio E. Ricci Bitti e

Bruna Zani, La comunicazione come processo sociale, il Mulino, Bologna, 1993, pagg. 53-71. 3

Per uno strano paradosso, o forse per semplice humor inglese, in Inghilterra le public school non sono le scuole pubbliche per tutti, ma le scuole d’elite.

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Un dialogo dove uno dei due da all’altro del “lei” e riceve del “tu” indica una differenza di status e in diverse lingue la forma di cortesia cambia anche per differente genere. In lingusitica, generalmente, particelle che si riferiscono ad altre parti del testo o ad fuori di questo, vengono identificate come deissi, testuali le prime, extratestuali le seconde (di tempo, di luogo, sociali...) Nella funzione interpersonale-espressiva un importante ruolo è svolto dal linguaggio non verbale [tono dell’eloquio (tratti paralinguistici), linguaggio del corpo (cinesica), gestione dello spazio e della distanza (prossemica)]. Dedicheremo a questo tema un intero capitolo, per ora basti pensare a quanto può venire espresso in un semplice “ciao” alla persona che più amiamo e desideriamo di vedere e nella stessa parola pronunciata alla persona che più detestiamo e non vorremo mai vedere: solo nel caso di bravi attori si riescono a simulare o dissimulare questi stati d’animo tanto forti e contrapposti, altrimenti, nei casi di maggior spontaneità ed immediatezza, difficilmente il nostro linguaggio corporeo mente. c) Di auto ed eteroregolazione Usiamo il linguaggio per regolare le nostre azioni e quelle degli interlocutori, attraverso richieste, ordini, comandi, persuasioni. Quando chiedo qualcosa a qualcuno, intervengo sul mondo reale. Perfino nel linguaggio interiore mi do ordini. d) Di coordinazione delle sequenze interattive Nella comunicazione l’alternanza tra emittente e destinatario, non dovrebbe essere casuale ma gestita da regole e l’inizio della conversazione, il passaggio di ruolo emittente/destinatario e la fine della comunicazione vengono segnalati dal linguaggio: esempi possono essere uno sguardo e una domanda all’interlocutore, un “bene” sempre più veloce e accentuato in chiusura di una conversazione telefonica... e) Di metacomunicazione Ciò che ci distingue dagli animali in particolare sembra essere la metacomunicazione, ossia il comunicare sulla comunicazione. Noi dissertiamo spesso su ciò che un altro aveva detto o noi stessi avremmo voluto dire e non siamo stati intesi, o riusciamo per mezzo di segnali paralinguistici e del linguaggio del corpo a simulare e dissimulare messaggi su stati interiori o esteriori, per esempio con ironia, clamore o menzogna. Posso dire una cosa seria e renderla risibile con l’espressione, oppure pronunciare una notizia allegra con tono tragico. Questa funzione può diventare di grande utilità nel gestire situazioni d’incomprensione reciproca, nel cercare d’interpretare e tradurre il messaggio che ha generato la turbativa nella comunicazione, nello sdrammatizzare con il tono certe situazioni gravi e fare sentire a suo agio l’interlocutore. Info: www.uniud.it/comunicazione/

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GLI ATTI LINGUISTICI In base a quanto esaminato finora, abbiamo visto che con il linguaggio si possono fare un sacco di cose. L’intervento sulla realtà, può avere conseguenze fortissime, in contraddizione con tutti coloro che sostengono che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Pensiamo alle conseguenze che in qualsiasi momento può avere sulla nostra vita e quella degli altri una certa frase detta in una certa maniera. L’impiego energetico per proferirla è pressoché nullo, ma possiamo produrre nella realtà una separazione, l’interruzione di un rapporto di amicizia, una reazione violenta. Il senso di queste frasi non è tanto nella loro verità o falsità quanto su come vadano ad interferire sul piano della realtà. Infatti, quando agiamo con le parole, se per esempio facciamo una scommessa, una promessa o offendiamo qualcuno la nostra attenzione non si pone tanto sulla verità o meno dell’enunciato proferito, bensì su come esso agisca sulla realtà. Se chiediamo per esempio ad una ragazza “Vuoi uscire con me?” non ci attendiamo la risposta “falso” ma una risposta che vada a intervenire sulla realtà sperabilmente in maniera positiva. Esiste una categoria di verbi che danno alle parole la “forza” per agire sulla realtà: sono i performativi. Per esempio “io scommetto”, “prometto”... Possono essere sia espliciti che impliciti:”Vieni qua!” può essere esplicitato con “ti ordino di venire qua”. Presupposta una competenza comunicativa che accomuna tutti i parlanti in quanto capaci d’intendere, di volere e in grado di comprendere e formulare frasi di senso compiuto, non tutte le azioni linguistiche riescono. Qui di seguito enucleiamo quelle che sono le condizioni di buona riuscita di una atto linguistico, ovvero regole da seguire affinché un atto linguistico abbia la forza appropriata - ma non è detto le conseguenze - : “A. 1. Deve esistere una procedura convenzionale che abbia un effetto convenzionale. 2. Le circostanze e le persone devono essere appropriate secondo quanto specificato dalla procedura. B. La procedura deve essere seguita: 1. in modo corretto e 2. in modo completo.

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C. Spesso: 1. le persone devono avere i pensieri, i sentimenti e le intenzioni richieste dalla procedura e 2. se è specificato un comportamento conseguente, esso deve verificarsi.”4 Le violazioni delle regole in A e in B: originano delle azioni che non hanno esito, pensate per esempio a un matrimonio celebrato da un falso prete, come nel film Tre scapoli ed una bimba, dove Ted Danson si traveste da prete e officia un matrimonio che è di per se nullo. Le violazioni delle regole in C non sempre si possono individuare e si agisce in maniera inappropriata o insincera, e siamo nell’ambito delle certificazioni di stati e motivazioni interiori, delle quali siamo unici giudici e testimoni. Ovviamente le tre classi di condizioni non sono sufficienti affinché si abbiano sulla realtà le conseguenze che ci siamo prefissati. L’imprevedibile può sempre accadere: una reazione inattesa da parte del nostro interlocutore o uno o più elementi inattesi si aggiungono alla situazione. Abbiamo così tre livelli, per come dal “dire” si passa al “fare”5: •

atto illocutorio (illocuzione): il dire la frase grammaticalmente compiuta. Si può gridare un comando al vento, oppure insegnare una fase grammaticalmente corretta a un pappagallo, non ha forza alcuna. Vi offendereste mai per parole ingiuriose proferite da un pappagallo?

atto locutorio (locuzione): il “fare” convenzionalmente legato ad un atto linguistico, con la forza di un comando, di un ordine, di una condanna, avvenuti secondo le condizioni di buona riuscita. Un comando legittimo, fatto dalla persona autorizzata a chi deve obbedire anche se non eseguito ha la forza di un ordine, il cui mancato adempimento avrà delle conseguenze in virtù di quelle forze ritenute proprie dell’ordine e dell’autorità legata a chi ha il comando.

atto perlocutorio (perlocuzione): ciò che consegue al “fare” convenzionale, che non è di per se convenzionale, ossia all’ordine ben formulato potrà seguire il comando oppure una pernacchia per risposta, ciò non inficerà un ordine compiuto dall’autorità competente e nei modi ad essa dovuti, semplicemente avrà delle conseguenze non previste.

Stephen C. Levinson, La pragmatica, Il Mulino, pag. 293. Su tale argomento consiglio J. L. Austin, Come fare cose con le parole, Genova, Marietti, 1987. 5 Cfr. Cfr. Stephen C. Levinson, La pragmatica, Il Mulino, pag. 301. 4

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GLI ATTI LINGUISTICI INDIRETTI Ma non soltanto attraverso l’uso di performativi agiamo sulla realtà e formuliamo richieste, anche attraverso delle asserzioni dichiarative e preposizioni interrogative si possono formulare delle richieste, per esempio in una stanza fredda posso dire “fa freddo, non trovi?” per chiedere non troppo velatamente l’accensione del riscaldamento. Come avviene ciò? Quando noi conversiamo con un altra persone è sottinteso che si seguano delle regole, che vengono esplicitate dalla seguente lista6, alla quale è meglio fare intendere che ci si attiene durante una conversazione formale , come può essere un colloquio di lavoro.

Massime conversazionali o principi generali Il principio di cooperazione Fornite il vostro contributo così come è richiesto, al momento opportuno, dagli scopi o dall’orientamento del discorso in cui siete impegnati: Ossia aderite al contesto seguendo il turno della conversazione

Massima di qualità Cercate di fornire un contributo vero; in particolare: 1.

non dite cose che credete false: pensate alla frase “la mia casa è rossa e non credo che lo

sia”, che senso avrebbe? Così se fate una domanda: “dov’è Luigi?” implica che non lo dovreste sapere 2.

non dite cose per le quali non avete prove adeguate:

se chiedete un’informazione e uno vi risponde a casaccio si può andare incontro a grosse complicazioni.

Massima di quantità 1.

fornite un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in un modo adeguato agli scopi

del discorso: “ho dodici libri”, è vero allora anche che ne ho dieci o due e l’enunciazione sarebbe vera anche se ne avessi 50, ma, se dico dodici, l’implicatura è che non ne ho uno di più o di meno. 2.

non fornite un contributo più informativo del necessario

“Che ore sono?” Non rispondete con il dire la marca dell’orologio, dove l’avete comprato e poi l’ora ma semplicemente quest’ultima.

La massima di relazione Fornite contributi pertinenti 6

La lista, senza gli esempi è tratta da Stephen C. Levinson, La pragmatica, Il Mulino, pag. 140.

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Se vi chiedono che ore sono non è appropriato rispondere “Non lo so, ma è una bella giornata”

La massima di modo Siate perspicui, e in particolare: 1.

evitate oscurità: Chiarezza nel linguaggio e nella forma espositiva

2.

evitate le ambiguità: Definite ogni significato senza margini di dubbio

3.

siate brevi

4.

procedete in modo ordinato “Sono andato a casa ed ho pranzato” (se ho pranzato a casa dopo

esservi arrivato). Viene subito da pensare che sono più le volte in cui le massime vengono violate che seguite. In effetti potrebbe anche essere così, ma dal chiedermi perché c’è stata una violazione arrivo a un’inferenza chiamata nella pragmatica implicatura conversazionale. Quando do per sottinteso che sussista la collaborazione conversazionale e viene palesemente violata, mi posso trovare di fronte a) ad un tentativo e dichiarazione di non collaborazione, di sfida e messa in discussione del rapporto comunicativo o b) ad una collaborazione che mi fa approdare alle implicature conversazionali. Cioè se è stata detta una certa cosa che apparentemente non rispetta la collaborazione, cerco di capire quale è il suo senso all’interno della collaborazione. Ecco alcuni esempi7: [indica ciò che è implicato] “Che ore sono? È da poco passato il lattaio. [Il lattaio passa sempre alla stessa ora] Dov’è Marco? C’è una Volkswagen gialla davanti alla casa di Laura. [Marco ha una VW gialla] Cambiare argomento di colpo mentre si sta parlando male di una persona [la persona sta passando vicino] In tal modo riesco anche a formulare delle richieste: una persona guardando la tv mi dice che ha freddo può voler dire: “accendi per cortesia il calorifero”. Se mi chiedono se so che ore sono, la risposta positiva attesa non è un semplice sì.

7

Cfr. Stephen C. Levinson, La pragmatica, Il Mulino, pagg. 140-159.

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Questo tipo di inferenze appena trattate non appartengono a quelle ingenerate dall’uso di particolari toni (segni paralinguistici) e neppure derivano dai significati contenuti o risultanti nelle frasi, si fondano bensì, attraverso il contesto, sul principio di cooperazione conversazionale. Per esempio il dire che ho freddo, si applica al contesto e assume senso di fronte ad una finestra aperta.

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GLI ATTIVATORI PRESUPPOSIZIONALI La collaborazione conversazionale durante particolari confronti dialettici non viene meno ma può essere continuamente contrattata e specificata, esempio di ciò nella memoria collettiva è l’interrogatorio che l’avvocato americano fa a un testimone, le cui domande vanno alla ricerca delle maggiori informazioni possibili che attestino una data tesi e le risposte sembrano essere più succinte possibili. Per ottenere quanti più dati possibili da affermazioni povere di informazioni esplicite, di grande ausilio è tenere bene a mente quelle particolari parole (nomi, verbi, avverbi..) grazie alle quali partendo da una asserzione si arriva a delle conclusioni su uno stato di cose8, Anziché essere legati al contesto gli attivatori presupposizionali sono legati al significato delle parole interne al testo e generano delle inferenze su ciò che deve essere vero affinché un enunciato abbia senso (e rimane vero anche nella sua negazione), che definiamo con il nome di presupposizioni, ed hanno validità universale, in qualsiasi contesto vengano pronunciate da qualunque attore. Più chiaramente: la frase “I figli di Marco sono biondi” ha senso solo qualora esistano Marco e i suoi figli, sia che i figli siano biondi o mori e cioè sia vera la sua negazione. La presupposizione della frase “I figli di Marco sono biondi” è “Marco ha dei figli” Ecco alcuni attivatori9: [presuppozione] 1. Descrizioni definite: Ho cavalcato non ho cavalcato Furia

[esiste Furia]

2. Verbi fattivi Rimpiangere sapere

essere consapevoli

non consapevoli di, rendersi conto di

dispiacere

essere orgogliosi del fatto che essere indifferenti al fatto che essere contenti del fatto che

essere tristi per

[esiste l’oggetto o è avvenuta la situazione che si rimpiange, di cui si è consapevoli...]. 3. Verbi implicativi 8

Mentre al contrario con le implicature conversazionali, da un’asserzione su uno stato di cose, si

arriva al senso della proposizione.

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Riuscire [cercare di fare] dimenticare [si sarebbe dovuto ricordare, si aveva intenzione di ricordare] capitare qualcosa [non era prevista quella cosa] evitare qualcosa [si aspettava quella cosa] 4. Verbi di cambiamento di stato Smettere

cominciare

Prendere

partire/lasciare

Andare

arrivare

continuare entrare

venire

ecc.

[esisteva già uno stato o un’azione precedente] 5. Iterativi Di nuovo

non più

un’altra volta ripristinare

ritornare ripetere

[esisteva già uno stato o un’azione precedente alla quale si fa riferimento] 6. Verbi di giudizio Accusare di

criticare

[ciò di cui si accusa o ciò che si critica si ritiene negativo] 7. Proposizioni temporali Prima

mentre

Dopo

durante

da quando quando nel

[la situazione alla quale si riferisce la proposizione è vera] 8. Frasi scisse É stato Gianluca a tirare il sasso. [qualcuno ha tirato il sasso] 9. Paragoni o contrari Anche

invece

poi

a sua volta

in cambio

[l’esistenza e la qualità dello stato a cui si fa riferimento] “Anche Marco a scuola va male” [C’è qualcun altro che non va bene a scuola] Notare come cambia “Anche a scuola Marco va male” La lista più completa e approfondita si trova in Stephen C. Levinson, La pragmatica, Il Mulino, pagg. 233-240. 9

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[C’è qualcos’altro in cui Marco va male] 10. Preposizioni relative non-restrittive Marco che è l’ultimo figlio di Laura, oggi è/non è andato a scuola. Laura] 11. Ipotetiche controfattuali Se solo fossi andato piano avresti frenato in tempo [non andavi piano] 12. Domande C’è un macchinetta per il caffè? [o c’è o non c’è] Monfalcone è in provincia di Trieste o di Gorizia? [una delle due] Chi è il vostro professore di matematica? [avete un professore di matematica]

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[Marco è l’ultimo figlio di


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LE EMOZIONI NELLE PAROLE Esistono diverse immagini e sensazioni legate alle parole. Questi legami possono influenzare le disposizioni interiori, il contesto emotivo e lo svolgersi dell’interazione. Le ancore possono essere collettive, culturalmente condivise, di specifici gruppi o isolate alle esperienze personali. Poniamo un esempio concreto: molto di voi avranno visto il film “Jonny Stecchino”? Vi ricordate che cosa vi ha veramente fatto ridere di quel film? Bene ora, ma sicuramente lo avrete già fatto, pensate alla parola “mafia”. Per quanto drammatico l’alone semantico che evoca questa parola, è comunque inferiore, qualora non siate già arrivati, se vi avessi ricordato prima i numerosi attentati di mafia e le vittime non solo innocenti, ma anche di pochi anni. Molto probabilmente, ora, la stessa parola lascia a molti sensazioni ancor più negative. Così può avvenire all’interno di conversazioni: citare avvenimenti o cose positive o negative può indirizzare, anche se solamente a livello inconscio, gran parte della decodifica del messaggio. Un esperimento - da non fare - è rievocare a due persone un litigio passato, si ritorna molto probabilmente allo scontro aperto per due motivi principali: si rievocano sensazioni rancorose che disporranno in tale maniera l’uno verso l’altro. Secondo motivo: nell’economia della mente certe situazioni si armonizzano in base ad un contesto individuale, per cui, il ricordo che le controparti hanno del motivo dell’incomprensione, delle ragioni evidenziate e di quale compromesso è stato raggiunto difficilmente concorda e la “ferita” viene riaperta. In ogni scelta la componente emotiva è fortissima, regole che gli esperti venditori ben conoscono, per questo, durante una conversazione, preliminare a qualche tipi di decisione, è importante sapere gestire le sensazioni che si veicolano attraverso i messaggi. Altre sensazioni, vengono veicolate, per lo più inconsciamente, attraverso il linguaggio corporeo, parte che ora andremo a sviluppare.

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2.

LINGUAGGIO CORPOREO

ANALOGICO E DIGITALE Nell’interazione di ogni giorno non comunichiamo soltanto attraverso il contenuto espresso nelle parole, ma veicoliamo anche emozioni, intensità e passioni attraverso la cadenza, le posizioni del corpo e lo sguardo. Ripensiamo a quanto ci può essere in un semplice “Ciao” rivolto ad un amico. Nel proferirlo non trasmettiamo solo il significato del saluto, ma possiamo anche esprimere un mondo di relazioni: Quello che è l’altro per noi, quello che noi reputiamo di essere per lui, il nostro stato d’animo, tutto il nostro vissuto fino a quel momento e quello che è intercorso con l’altro. Potremo perciò fare una divisione tra ciò che una parola convenzionalmente vuol dire ed è composta da un segno finito, che può essere modificata attraverso altri segni finiti e convenzionali (plurali, diminutivi, maggiorativi, aggettivi numerali o di qualità, che di per sé seguono le regole della parola che modificano: grande, grandi, grandissimo…). Concetto che la linguistica definisce come morfemi lessicali (buon, am) in unione con dei morfemi grammaticali (buono, amo). Niente, a livello figurativo, del concetto della parola è immesso nella parola stessa, tranne nel caso di onomatopee, che hanno un suono che per analogia ricorda il significato che evocano: “Gong”, “Trillare”. Ma Casa o Gatto, nulla mi dicono della casa o del gatto, e “cccaaasssaaa” o “gggaaatttooo” non mi indicano una casa o un gatto più grande, mentre “grande casa” o “grande gatto” sì, proprio come “13” mi indica un numero di tre unità più grande di dieci, ma non posso indicare ciò che sta in mezzo, tra una casa grande e una meno grande. Ovvero non si può esprimere continuità tra una grandezza e l’altra, cosa che invece si può fare per analogia, magari con un gesto delle mani “era alto così” o con un suono “ha fatto boom!!!”. Indicheremo i primi segni “casa” “1” come segnali discreti o digitali e i secondi “boom” come continui o analogici. Nei caso di segni/segnali digitali, la relazione tra segno e significato è arbitraria e convenzionale. Ad un segno arbitrario del codice facciamo per convenzione corrispondere un significato. Il segno predefinito non può subire variazioni al di fuori di quelle permesse dal codice: nell’insieme dei numeri naturali, nella declinazione al plurale, nella scala degli aggettivi, si passa da un segno all’altro senza possibilità di vie di mezzo.

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Nel caso di segni/segnali analogici il significato si assume per analogia al referente, ossia sussiste un’analogia, qualcosa che lega per similitudine il significante (il segno) al significato (il referente). La similitudine, non essendo attuata per mezzo di un segnale definito, ma attraverso la riproduzione di una delle qualità dell’oggetto riferito non è suscettibile della scalarità dei segni digitali: io posso allargare le mani in maniera continua per indicare una grandezza, così il tono della voce per riprodurre un suono. Posso usare segnali digitali per combinare dei segnali analogici. Nella poesia ad esempio, l’unione di segni discreti, quali le parole, formano analogie con sensazioni e significati che si vogliono riprodurre. L’oggetto della poesia, spesso ancorato all’interiorità, è di per sé maggiormente esplicabile attraverso segnali analogici e la bravura di chi recita si valuta in gran parte per come sa riprodurre stati d’animo attraverso il tono della voce, la velocità dell’eloquio, l’espressione del volto e i gesti del corpo. Ecco tre esempi di poesie, che per analogie rimandano a un qualcos’altro di per se di difficile definizione: …finché saremo vivi faremo nostra tutta la vera vita, ma anche i sogni: tutti i sogni: tutti i sogni sogneremo. (P. Neruda) Neruda descrive la sua esperienza intima del cinema assieme ad una ragazza e poteva concludere con il dire semplicemente “sogneremo tutto ciò che è possibile sognare”, mentre nella ripetizione di “tutti i sogni” legato a “sogneremo” crea un’analogia con l’atmosfera soffusa ed indefinita del sogno.

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…ta ta ta ta giii tumb giiii tumb ZZZANG-TUMB-TUMB (280 colpi di partenza) srrrrrr GRANGGRANG (colpi in arrivo) coooc-craaac grida degli ufficciali sbattacchiare come piatti d’ottone… (F. T. Marinetti) Marinetti, per rievocare la battaglia, crea una forte analogia, con l’ausilio delle lettere (digitali) utilizza delle onomatopee (segnali analogici) con il campo di scontro in un contesto di esplosioni di armi da fuoco. Tu sei come una giovane, Una bianca pollastra. (U. Saba) Il Poeta qui avrebbe potuto scrivere: “donna giovane di razza bianca con probabile anemia” se avesse voluto simulare la descrizione fatta da una persona patita di medicina, mentre ha creato un continuum, poco onorevole raffronto, tra la giovane descritta nel testo e una gallina. Per chiudere, per capire la differenza che intercorre tra il segnale analogico e digitale, basta fare i seguenti due esperimenti: prendiamo, con il massimo rispetto per l’Altissimo Poeta, un po’ meno per la metrica, il seguente verso:

103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona, (Divina Commedia, canto V) l’insieme di queste parole esprime più o meno il seguente significato: l’amore è una cosa così intensa, che non può lasciare indifferenti dall’amare chi è fatto oggetto di questo sentimento. Prendiamo una parola a caso nel testo e facciamo quello che Neruda ha fatto con i “tutti i sogni”: per esempio la parola “nullo” ripetiamola due volte – licenza poetica e pazienza per l’endecasillabe il risultato è il seguente Amor, ch’a nullo nullo nullo amato amar perdona La ripetizione della parola “nullo”, pone l’attenzione, con una tensione che potremo definire drammatica sul significato di nessuno, ovvero in analogia con l’importanza che vi intendiamo dare e che un bravo attore, avrebbe fatto caricando d’enfasi con il tono della voce, magari con una misurata pausa dopo aver pronunciato “nullo”. Qualcuno però potrebbe obiettare che l’analogia viene posta su un piano di scalarità, e che ogni “nullo” in più, un gradino digitale, aumenta d’intensità l’analogia. La prima risposta è che la tecnologia dei media si basa oggi giorno quasi esclusivamente su strumenti digitali, ma il cui elemento minimo di rappresentazione in cui viene scomposta l’immagine, per cui ne rappresenta una piccolissima parte, o meglio ancora un colore, non è percettibile ai nostri sensi, per cui il risultato sono immagini analoghe alla realtà: noi non vediamo un insieme di pixel, ma immagini, e tantomeno vediamo la matrice numerica che codifica la rappresentazione di un suono, di un video, ma il video, che per analogia – non ha tutte le caratteristiche della realtà come la tridimensionalità, la grandezza naturale, gli odori, ma sono alcune che abbiamo imparato a decodificare attraverso il linguaggio filmico, quello fotografico o della pittura - ci rimanda all’immagine reale di ciò che vuole rappresentare e quasi sempre non ci rimanda alla finzione della scena ma a ciò che intende rappresentare, come la parola gatto non mi rimanda all’immagine di chi la pronuncia e al suo atto linguistico ma a quella generale di “gatto”. Tornando al “nullo” potremo ridurre la parola nullo, e porlo su un piano di continuità con l’intera frase, usando il seguente stratagemma: Amor, ch’a nullo nullo nullo nell’amato amar perdona La preposizione “nell’” è simile a “nullo” (presenta delle analogie), lo richiama e intensifica la sua importanza, ma questa volta in maniera più indefinita fondendosi con tutta la frase, in quanto “nell” apostrofato si appoggia e si completa foneticamente e semanticamente con “amato”. Un po’ come

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quando si pronuncia qualcosa, la grandezza del gesto non è di per se misurabile in maniera precisa e infatti neppure replicabile in maniera esatta, si pone semplicemente su un paio di continuità, come la voce, i sorrisi, i gesti delle mani. Questa considerazione ci porta al secondo esperimento: di fronte ad una platea provate a usare la stessa parola con esiti diversi a secondo di come la pronunciate. Individuata una persona del pubblico, le dite “attento” con tono basso e lentamente. Se c’è qualche affetto, sarà del tutto impercettibile, forse un po’ di perplessità. Provate poi subito dopo, individuando un soggetto giovane e sano, a gridare velocemente la stessa parola scattando con il corpo. L’effetto indotto è di panico e agitazione. Eppure era la stessa parola. Che cosa ha fatto la differenza? Il linguaggio del corpo. Perché una parte così importante della comunicazione è lasciata ad un codice non strutturato e con elementi non strutturabili ad un alto livello di complessità, quindi anche difficilmente definibile come un codice? La spiegazione che presumo più plausibile è la seguente: un codice gestibile da molti utenti deve avere come riferimento un insieme di significati definiti, condivisibili e finiti. Le generalizzazioni e le classificazione riguardanti il mondo sensibile sono definite e limitate all’interno di ogni paradigma culturale. Un codice standard, può facilmente veicolare tutte queste informazioni. Ma quando comunichiamo veicoliamo attraverso i messaggi molto di noi stessi, della nostra interpretazione del mondo, delle cose, di noi stessi rispetto al mondo. Contenuti questi che possono anche essere molto idiosincratici, diversi per ciascuno di noi, dunque difficilmente codificabili se lo si volesse - attraverso un linguaggio standard e per i quali è impossibile definire dei significanti standard. Non tutti riusciamo ad esprimerci come Dante o Neruda, probabilmente neppure loro in maniera immediata nelle più alte forme di poesia10 attraverso gli elementi standardizzati del codice naturale per arricchire di posizioni personali il messaggio. Le combinazioni possibili del linguaggio naturale (le parole) sono infinite e la lunghezza delle frasi potenzialmente illimitata, ma la linearità del linguaggio produrrebbe una lunghezza ed una spesa di risorse mentali spropositata semplicemente per esplicitare un battito di ciglia. La soluzione migliore è un codice di pochi elementi graduabili in maniera pressoché infinitesima nelle loro espressioni continue, talmente immediato da essere a volte incontrollabile. In conclusione vorrei rispondere a due domande che talvolta mi vengono fatte ai corsi e che mi fanno ripensare su cosa effettivamente sono stato in grado di spiegare: 1)I segnali analogici sono caldi, quelli digitali freddi? 2)Una lettera è analogica, una mail digitale? Con un segno analogico posso riprodurre l’idea di calore e freddezza: l’intensità di un abbraccio è proporzionale al calore che si vuole trasmette quanto un silenzio11 può essere glaciale, ma anche una combinazione di parole scritte (lontane da possibili linguaggi corporei) possono avere lo stesso potere. E come abbiamo visto posso costruire un segno analogico composto da segni digitali, quindi in se la domanda non ha molto senso. Così la seconda, un mezzo come la mail che sfrutta delle codifiche digitale può supportare un segnale analogico, come una poesia. Nella scrittura a mano l’intensità delle emozioni dello scrivente può deformate la scrittura, allora abbiamo un segnale analogico. Attraverso una mail posso anche veicolare una foto, la quale riproduce per analogia con alcune qualità la realtà, dunque è un segno analogico, ma il supporto è digitale e vi possono essere tecniche di riproduzione fotografica sia analogiche che digitale, ma non cambia il fatto che la foto sia un segnale in analogia con ciò che mostra.

Ecco una tabella delle distinzioni tra digitale e analogico.

10

Da poiein (fare), creare e dunque, forzando, creatori di nuove forme il silenzioe forse è un esempio infelice che potrebbe anche letto come non segno dunque ne digitale ne analogico, forse meglio pensare a un tono di voce 11

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DIGITALE ¾ ¾ ¾ ¾ ¾

ANALOGICO

le parole ¾ il quadrante dell’orologio in cifre (si passa da un secondo all’altro) ¾ la codifica dei computer ¾ o è “0” o è “1”, 8 bit formano un byte che codifica un carattere) ¾

l’uso delle mani per indicare quantità o intensità “ho visto miao miao” (un gatto) (onomatopee) il tono e la velocità dell’eloquio basta!!!! (tratti paralinguistici) il gesticolare, le espressioni del volto, la distanza corporea (linguaggio del corpo) ¾ la poesia ¾ il quadrante con le lancette ¾ (viene indicato il passare parziale del tempo) ¾ la vecchia linea telefonica ¾ (il messaggio viene modulato in impulsi elettrici che riproducono analogicamente il suono) il modem (modulatore demodulatore) fa da tramite tra il computer (digitale) e la linea telefonica (analogica)

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Abbiamo ampiamente analizzato la divisione tra segnali digitali e analogici. È stato inoltre chiarito che con i segnali digitali veicoliamo contenuti. Un po’ meno chiaro, perché è meno usuale discuterne, che cosa veicolino i segnali analogici.

È importante sapere che nella comunicazione interpersonale possiamo effettuare distinzione tra “ciò che si dice” e “come lo si dice”, ovvero tra i segnali sul piano contenuto, espresso prevalentemente con le parole, e i segnali sul piano della relazione. I primi veicolano informazioni, i secondi veicolano informazioni sulle informazioni12.

Tra ciò che esprimo con le parole (segnali digitali) e ciò che esprimo con il corpo (segnali analogici) vi può essere congruenza o incongruenza. È importante sapere che la congruenza tra i due piani (contenutistico e relazionale) convince di più mentre l’insicurezza porta all’ incongruenza e dunque a non essere creduti. Per questo degli ottimi attori riescono a far sembrare vero qualsiasi messaggio mentre un timido veritiero non sempre viene creduto. Ovviamente la relazione tra gli interlocutori può essere buona o cattiva ed esprimere aggressività, incongruenza o non ascolto, e lì dove si riesce a creare una buona dinamica della relazione tra gli interlocutori si facilita la comprensione, in quanto, se ci sentiamo in qualche attaccati, agisce la parte più emotiva di noi, e subentra quella che viene definita “nebbia psicologica”, un’incapacità a razionalizzare e ad esprimere le nostre ragioni, perfino a ricordare. Non vi è mai capitato di non riuscire a ragionare sotto una stressante interrogazione, quando un minuto prima vi ricordavate tutto? Molto probabilmente eravate in mezzo ad una cattiva dinamica comunicativa.

12

gli argomenti sono tratti dal libro Vera f. Birkenbihl, Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998, libro che consiglio in quanto include un percorso di riflessione, analisi ed esercizi formativi sull’interpretazione e la simulazione di segnali del linguaggio corporeo. L’immagine in questione è da pag. 19. Info: www.uniud.it/comunicazione/

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DAL SEGNALE ALLA VERIFICA Poiché non sempre a un segnale corporeo corrisponde al significato più frequente di passa ad un verifica per vedere se ciò che si esprime con un segnale del corpo viene confermato da altri o dalle parole. la verifica può essere di tre tipi 1. la domanda aperta 2. la domanda chiusa 3. il silenzio La domanda aperta è quando formulo un quesito per far parlare quanto possibile l’interlocutore, preferibilmente su un atteggiamento interiore (Es. “Cosa le sembra della proposta?”). La risposta che ne segue non solo verifica le mie impressioni, ma mi permette anche di condurre ulteriori analisi sui suoi segnali, eventuali congruenze o incongruenze Alla domanda chiusa si risponde con un “sì” o con un “no”. Chiedere un’informazione in maniera così diretta, se non si ha acquisito un certo grado di fiducia nell’interlocutore può essere pericoloso, poiché, di fronte a delle variabili da ponderare, l’interlocutore può anche ipotizzare conseguenze svantaggiose da una sua concessione e interpretare la nostra richiesta esplicita come uno stratagemma per concludere senza farlo arrivare a percepire elementi che lo influenzerebbero negativamente. Il silenzio può essere un’ottima strategia, ma bisogna essere molto esercitati a praticarlo nelle trattative, per esempio, fare una breve osservazione sul prezzo, come “è troppo”, e con sicurezza, senza dire null’altro, aspettare in silenzio una risposta. Quasi sicuramente l’interlocutore si sente costretto a dovere dire qualcosa, oltre che per motivare le sue ragioni, scendere a trattative e riempire il silenzio.

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5 CATEGORIE DI SEGNALI DEL CORPO In base alla definizione di comunicazione considerata nella prima parte delle lezioni, non è propriamente legittimo chiamare il linguaggio corporeo “comunicazione corporea”, poiché di tanti segnali che partono dal nostro corpo, non sempre ne abbiamo padronanza e quindi non si può parlare di intenzionalità. Costituiscono però pur sempre un feedback alla comunicazione, ovvero quando io comunico con qualcuno gli elementi della sua risposta possono anche essere a livello corporeo. Conoscendo per lo meno i principi base, si può cercare di simulare o dissimulare i segnali corporei, in maniera da incidere con maggior chiarezza sull’interazione in corso, ovvero, qualora qualcuno non avesse inteso le mie parole, può intendere il mio atteggiamento interiore in relazione agli elementi della comunicazione (per esempio con i segnali del corpo uno può caricare d’enfasi o svuotare d’importanza un messaggio, ma può anche esprimere imbarazzo o simpatia verso l’interlocutore oppure disagio o serenità verso il contesto) La pratica di questi segnali si può dire dissociata dalla loro conoscenza, in quanto pur non conoscendo la loro classificazione, nomenclature e definizione, c’è chi li usa quotidianamente e li ha affinati attraverso un lungo esercizio nelle relazioni umane. Ma è anche vero che c’è chi fa un uso errato di essi, non viene creduto, produce antipatia o altre conseguenze svantaggiose nei rapporti con gli altri. I primi probabilmente si ritroveranno nel breve excursus che seguirà e magari scopriranno qualcosa di nuovo, i secondi forse capiranno le proprie gaffe, ma in entrambi i casi è importante sapere, che non è la lettura di queste regole a determinarne l’efficacia nella pratica, quanto, una volta appresi, il loro continuo esercizio, perché no, anche davanti ad uno specchio. Ecco qui elencato, sempre rifacendosi alla Birkenbihl, una possibile suddivisione in 5 tipologie dei segnali del corpo. 1. L’ATTEGGIAMENTO La postura e le sue modificazioni 2. LA MIMICA Segnali dal volto 3. LA GESTUALITÀ Movimenti delle mani e delle braccia anche nell’eseguire azioni 4. LA DISTANZA La gestione dello spazio intorno a sé e in relazione all’altro 5. IL TONO Tutti i tratti paralinguistici: velocità dell’eloquio, il volume della voce, il ritmo ed eventuali espressioni sonore prive di contenuto verbale (riso, sospiri…)

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L’ATTEGGIAMENTO La cosa più naturale, nelle situazione nelle quali sentiamo una qualche forma di pericolo, secondo l’autrice del libro citato, è proteggersi le zone vitali e anche se minimamente, prepararsi alla fuga. Ciò vuol dire che colui che si sente perfettamente a sua agio in una situazione non cerca barriere o difese alla comunicazione ed ha una posizione perfettamente retta (ovviamente vi possono essere altri problemi, come mal di schiena, altezza…). Mentre se ritiene di avere l’autorità per dominare completamente la situazione, può avere una posizione leggermente inclinata e flessa sulla schiena. Nel caso opposto più estremo, avrà invece il capo e il corpo chino in avanti. Ovviamente tutte queste posizioni e quante altre, possono non avere nulla a che fare con il reale stato interiore, però è importante sapere che la maggior parte delle volte vengono interpretate così e che, poiché siamo anche noi, con la percezione che diamo l’uno all’altra a condurre il gioco, è inutile pregiudicarlo con errate proiezione di quello che siamo, se non rientra in una strategia determinata.

Una breve descrizione degli esempi13:

13

L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio

corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998, libro che consiglio perché include un percorso di Info: www.uniud.it/comunicazione/

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Il primo atteggiamento sulla destra fa trasparire un atteggiamento sicuro, e dunque senza timori e che tenderà a non porre difese tra le zone più vulnerabili del corpo e gli altri, cosa che invece accade nell’atteggiamento di chiusura (secondo disegno). Nel primo disegno della seconda immagine, la persona può trasmettere presunzione di superiorità (in realtà potrebbero esserci anche altri motivi, a scandagliare ciò servono le domande di verifica). Nella seconda posizione di comunica un’apertura equilibrata verso gli altri (“ne sopra ne sotto di te”). Infine nell’ultimo disegno viene espresso un atteggiamento di sottomissione.

MIMICA Il volto può venire

suddiviso in tre zone espressive14

1. FRONTALE 2. MEDIANA 3. BOCCA

FRONTE Le pieghe orizzontali significano che l’attenzione è attratta da qualcosa mentre le pieghe verticali ci si sta concentrando su qualcosa

riflessione, analisi ed esercizi formativi sull’interpretazione e la simulazione di segnali del linguaggio corporeo, p78-79. 14

L’immagine è tratta da Vera f. Birkenbihl, Segnali del corpo. Come interpretare il linguaggio corporeo, Franco Angeli, Milano, 1998, libro che consiglio perché include un percorso di riflessione, analisi ed esercizi formativi sull’interpretazione e la simulazione di segnali del linguaggio corporeo, pag. 96.

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LO SGUARDO Non sempre una persona che non ci guarda non ci sta seguendo ma è questa l’impressione che se ce ne riceve dunque per una buona conversazione guardare in direzione dell’interlocutore

I MOVIMENTI OCULARI Alcuni luoghi comuni dicono che gli specchi siano lo specchio dell’anima, senza esagerare i termini, sono spesso un buon indice per sapere che tipo di zone del cervello va ad utilizzare l’interlocutore, in quanto si compiono dei movimenti automatici a livello oculare. Ovvero se la persona

•accede alla memoria visiva, dunque ricorda immagini, muove gli occhi in alto alla sua sinistra, •se invece crea immagini visive muove gli occhi in alto alla sua destra e questo può voler dire che

mente;

•accede a ricordi uditivi muove gli occhi alla sua sinistra •crea “immagini” sonore muove gli occhi alla sua destra •se ha un dialogo interno muove gli occhi in basso alla sua sinistra •se pensa ha sensazioni cenestetiche (sul toccare qualcosa) muove gli occhi in basso alla sua destra [SU QUESTO VORREI COSTRUIRE UN’IMMAGINE, HO ANCHE L’ORIGINALE]

LA BOCCA I segnali della bocca, in base alle pieghe, agli angoli, alle chiusure delle labbra, non solo sono molto intuitivi e generalmente riconoscibili (anche simulabili), ma in diretta connessioni con zone cerebrali, per cui se assaggio qualcosa di amaro, meccanicamente le mie labbra assumeranno l’aspetto definito “amaro” e quando provo una sensazione interiore di amarezza anche le labbra assumono quell’aspetto. Questo mette in evidenza una tecnica di recitazione diffusa tra gli attori professionisti: non si recita falsificando uno stato d’animo, ma indossandolo, ovvero evocando interiormente una situazione vissuta che ha provocato quella sensazione.

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LA GESTUALITÀ Basti sapere che più nella comunicazione sono coinvolti emozioni e sentimenti (gioia, rabbia, dispiacere, insicurezza), più intensi e frequenti saranno i gesti

LA DISTANZA La DISTANZA fisica tra noi e gli altri comunica la distanza sociale e relazionale, in quanto in ogni cultura è codificato l’uso dello spazio.

Ecco la suddivisione nella cultura europea ed americana, che comunque hanno differenze quantitative, ovvero dello spazio che ricopre ciascuna area..

ZONA INTIMA È la zona più privata, nella quale facciamo entrare solo chi nutre la nostra intima fiducia e non sempre.

L’invasione di questa area produce senso di lotta o di fuga, che se non espresso, può dare origine a stress. [qui vorrei introdurre una scena di Full metal jacket) Maggiore è l’autorità della persona più grande è lo spazio di zona intima che le viene riconosciuto Qualora si è costretti ad una momentanea invasione reciproca della sfera intima (es. in bus, ascensore), si tratta l’altro come non persone (non lo si guarda, non li si parla), se prolungato ci si può sentire più a

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proprio agio trasmettendo messaggi che nulla hanno a che fare con il loro contenuto ma con il loro tono rassicurante.

ZONA PERSONALE Nella sfera personale hanno accesso quelle persone che non sono dei semplici conoscenti, ma neppure in tale confidenza da avere accesso alla zona più prossima

ZONA SOCIALE È la zona deputata allo scambio formale e a contatti superficiali con conoscenti o colleghi di lavoro.

ZONA PUBBLICA Tutta la zona visibile oltre alla zona sociale Grazie ai nuovi media è possibile che la zona pubblica di una persona entri in quella personale di altre, per cui le seconde si sentono di diritto rientrare nella zona personale dei primi (es. i divi televisivi) L’invasione di una sfera nella quale non abbiamo diritto d’accesso, può pregiudicare le dinamiche della comunicazione, anche se non ce ne rendiamo spesso conto, può incidere negativamente sulle decisioni dell’interlocutore.

IL TONO La congruenza fra tono e contenuto è determinante per l’efficacia del messaggio Spesso è più importante il tono e non il contenuto per mettere a proprio agio l’interlocutore, per sedurre o convincere

LA VELOCITÀ Nella comprensione è un fattore importantissimo la velocità dell’eloquio e purtroppo la tendenza della velocità tra il pronunciare ciò che ci è noto è la necessità di ascoltare ciò che ci è nuovo vanno in direzioni opposte. Troppe volte si parla velocemente per i seguenti motivi: ¾ perché si conosce a memoria l’argomento

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¾ perché si preferisce mostrare piena conoscenza dell’argomento, ma non vogliamo che chi ci ascolta si soffermi su nessun termine in particolare ¾ per non essere compresi anche se si dicono corbellerie Perché invece avremo bisogno di ascoltare qualcosa di nuovo pronunciato lentamente: ¾ perché ogni parola ha bisogno di essere contestualizzata per assumere il giusto significato ¾ perché noi elaboriamo le informazioni mentre ascoltiamo e spesso dobbiamo ricostruire parole incomplete ¾ perché ci può essere una pessima acustica, per cui l’ascolto è veramente una ricostruzione minuziosa non solo di significati, ma anche di significanti ¾ per lasciare il tempo, le giuste pause, per fissare i concetti del discorso. Se tutto viene detto velocemente, anche le enfasi, le pause, saranno più brevi e dunque meno percettibili

Ecco uno schema delle velocità contrapposte

o qui metterai qualche scena di film, magari da Amici miei]

Una notizia a noi nota e da noi già ripetuta la pronunciamo relativamente più veloce

LA RISATA Non credo che vi sia una diretto legame con lo stato

Una notizia ignota per essere appresa bisogna che sia pronunciata relativamente più lentamente

interiore tra la risata e lo stato d’animo, ma non ho neppure elementi scientifici per non credervi, se non il buon senso, mentre è stato rilevato che la risata in

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•“a” esprime gioia •“e” può venire interpreta come disprezzo, sarcasmo, sfida o falsa. •“i” può far pensare a una “gioia maligna repressa” •“o” esprime meraviglia e sarcasmo •“u” può essere interpretata di “paura, spavento” [potrei includere audio ?]

L’EFFETTO PIGMALIONE La situazione comunicativa si contratta dalla definizione di entrambe le parti attraverso la proiezione di quella che si ritiene essere la reale situazione comunicativa. Esemplificazione: se io credo che il mio interlocutore sia falso, probabilmente diventerò anch’io meno sincero, lui avvertirà la mia simulazione e lo sarà a sua volta e io così avrò ulteriori segnali di conferma della mia aspettativa iniziale. Dunque, trasmettete fiducia e positività all’interlocutore – ciò non vuole dire concederla – ed è molto probabile che la riceverete.

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