Eni's Way: Cina

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Eni’s Way Monografie - Periodico Eni - Ottobre/Dicembre 2007 - Spediz. Posta Target - Torino

OMBRE CINESI IN MOVIMENTO Chinese shadows on the move Eni’s Way n. 4/2007

Eni’s Way

Ombre cinesi in movimento

Chinese shadows on the move



Sommario Contents

Eni’s Way

ENI’S WAY MONOGRAFIE Periodico Eni n. 4 Ottobre/Dicembre 2007 - Anno VI Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 564/2002 del 15.10.2002 DIRETTORE RESPONSABILE EDITOR IN CHIEF: Gianni di Giovanni

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Cina, il ritorno alla ribalta di una grande potenza China, a superpower’s comeback

CAPOREDATTORE EDITOR: Laura Brunetti

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REDAZIONE EDITORIAL ASSISTANTS: Patrizia Arizza, Laura Barbieri, Mariella Diamanti, Miro Gabriele, Alessandra Mina

di / by ROBERTO POLI

Il nuovo centro del mondo The new center of the world di / by ENRICO RAMPINI

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Paesaggi Landscapes Terra di contrasti A land of contrasts

COMITATO DI REDAZIONE EDITORIAL BOARD: Laura Brunetti, Salvatore Colli, Stefano Dellagiovanna, Anna Galdo, Daniele Podofillini, Clara Sanna La foto di copertina e le foto interne sono di Claudio Brufola. Le foto delle pagg. 48-49, 52-53, 60-61 sono di Gettyimages

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Persone People

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Lavoro Job

Uno sviluppo irrefrenabile Unstoppable development

TRADUZIONI TRANSLATIONS: GF Studio

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Traffico Traffic Jam

PRODUZIONE production: Agi agenzia Italia

I mille volti della Cina The thousands faces of China

Una città che non si ferma mai A city that never stops

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Sapori Flavours

Filosofia del cibo Philosophy of food

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Religione Religion Sacro e profano Sacred and profane

The cover picture and the internal pictures are by Claudio Brufola. The pictures of pages 48-49, 52-53-60-61 are from Gettyimages.

PROGETTO GRAFICO DESIGN: Franco Originario GRAFICA E IMPAGINAZIONE GRAPHICS AND LAYOUT Dario Galvagno STAMPA PRINTERS: ILTE S.p.A. - Moncalieri (Torino) DIREZIONE HEAD OFFICE: Eni, piazzale Enrico Mattei, 1 00144 Roma REDAZIONE EDITORIAL OFFICE: AGI, Via Cristoforo Colombo, 98 00147 Roma Tel. 06.51996385 - 06.51996376 Fax. 06.51996536 Sito internet: www.agi.it Sped. in a.p. 70% - Autorizz. Dir. Prov. p.t. Roma. In questa rivista la pubblicità è inferiore al 50%. Eni’s Way non è in vendita Questo numero è stato chiuso in redazione il 10.12.2007 La rivista Eni’s Way, per garantire al massimo l’obiettività dell’informazione, lascia ampia libertà di trattazione ai suoi collaboratori, anche se non sempre ne può condividere le opinioni.

n. 4 - 2007


Cina, il ritorno alla ribalta di una grande potenza di Roberto Poli foto di Claudio Brufola



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arlare della Cina come di un’economia emergente è senza dubbio improprio. Infatti, ancora nei primi decenni dell’800 forniva almeno un terzo del prodotto lordo globale e, per gran parte della sua storia, questo paese ha avuto la più importante economia del mondo di allora. La sua decadenza successiva è la conseguenza di un isolamento che per quasi un secolo e mezzo l’ha resa impermeabile ai grandi rivolgimenti che sul piano economico, politico e sociale stavano avvenendo in occidente. La storia recente della Cina può dunque essere vista come la storia dell’uscita dal suo isolamento e del suo riemergere sulla scena mondiale, cominciata sul finire degli anni Settanta con il programma di riforme e di aperture economiche voluto da Deng Xiaoping. Una scelta strategica di grande lungimiranza, che - caso forse unico fra i paesi in via di sviluppo - proprio dell’apertura al commercio e agli investimenti internazionali ha fatto uno dei suoi capisaldi. Cosicché negli ultimi anni si è assistito all’irrompere della Cina nell’economia mondiale, con un impatto sul resto del mondo difficilmente prevedibile anche solo all’inizio di questo decennio. Nel volgere di pochi anni da paese in via di sviluppo la Cina è passata al ruolo di grande potenza economica mondiale. Naturalmente le dimensioni dell’economia cinese hanno molto a che fare con quelle della sua popolazione, che è un quinto dell’intera popolazione mondiale. Gli straordinari risultati degli ultimi venticinque anni sono stati resi possibili da un’enorme disponibilità di forza lavoro, spostatasi in massa da un settore agricolo di sussistenza, con rendimenti marginali prossimi allo zero, a quello assai più produttivo dell’industria. Poiché su una forza lavoro di quasi 800 milioni di persone il 45 per cento è tuttora impiegato nell’agricoltura, generando solo l’11,7% del p.i.l., la manodopera eccedente nelle aree rurali è ancora enorme (le stime parlano di 150 milioni di persone). Il potenziale di crescita della Cina rimane dunque molto elevato, anche in considerazione del basso livello del reddito procapite e delle forti sperequazioni geo-

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grafiche. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, se dovesse proseguire sul cammino delle riforme strutturali il paese potrebbe sostenere una crescita economica del 7-8 per cento annuo per tutto il prossimo decennio. La presenza di abbondante manodopera a basso costo è, peraltro, solo uno degli elementi alla base dell’intenso sviluppo cinese e forse nemmeno quello decisivo. Ne è prova il fatto che saggi salariali ancora più bassi di quelli cinesi non sono stati in grado di promuovere uno sviluppo altrettanto rapido in altri paesi del sud-est asiatico. Rispetto a questi, infatti, la Cina ha goduto di tassi di investimento elevatissimi, consentiti da un tasso di risparmio delle famiglie

che supera il 40 per cento e da enormi afflussi di capitali stranieri, in gran parte provenienti dall’area asiatica, talché la Cina è oggi il primo recettore mondiale di investimenti diretti esteri. Il tasso di risparmio del paese, tra i più alti al mondo, è motivato dall’inadeguatezza del sistema pensionistico e dei servizi sanitari e assistenziali, che esaltano il movente precauzionale nelle decisioni di risparmio delle famiglie. Alla fine del 2001, l’ingresso nel WTO della Cina è stato un altro fattore di successo. La graduale eliminazione di molte barriere al commercio, infatti, rappresenta una delle più incisive riforme economiche intraprese dal paese negli ultimi vent’anni, che ha


china, a superpower’s comeback by Roberto Poli pictures by Claudio Brufola

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lluding to China as an emerging economy is surely not fitting. Indeed, back in the early decades of the 19th century, it accounted alone for roughly one third of the world’s gross production, and throughout much of its history enjoyed the world’s foremost economy of the time. Its successive decadence was the consequence of an isolation that

preserved it for almost 150 years from the great economic, political and social revolutions going on in the west. China’s recent history can thus be seen as a sort of ‘exit strategy’ from its isolation, and its reappearance on the world stage. This process began in the late 1970s, through Deng Xiaoping’s programme of reforms and economic openings. That was undoubtedly a far-sighted choice,

whose cornerstone was the opening to free trade and international investments – and was probably a unique case among the developing countries. The results are manifest: over the past few years, China has broken into the global economy with an impact on the rest of the world that was hardly foreseeable at the start of the decade. As a matter of fact, it took China only a few years to take on the role of world economic superpower. Obviously, the extent of the growth of China’s economy is strongly linked to its sizeable population, which accounts for one fifth of the entire world population. The extraordinary results achieved over the past twenty-five years were ensured by the availability of a huge manpower, which shifted en masse from a subsistence agricultural sector with profit margins close to zero, to a much more productive industrial sector. Since 45% of the manpower – which overall consists of 800 million people – is currently still working in agriculture, generating only 11.7% of the GDP, the surplus labour in rural areas is still huge (possibly about 150 million people). China’s growth potential is therefore still very high, even considering the low income per capita and the unequal geographical distributions. The International Monetary Fund reckons that, should the country pursue its framework reforms, it could enjoy a 7-8% yearly economic growth for the next decade. Moreover, the abundance of low-cost manpower is only one of the elements that drive China’s consistent development, and possibly not even the crucial one. This is to be seen in the fact that wages even lower than those of the Chinese did not yield such a rapid development in other countries in south-east Asia. Indeed, compared to other countries in the region, China enjoyed extremely high investment rates, made possible by family saving rates exceeding 40% and by a huge flow of foreign capital – most of which comes from Asian countries – which made China the world’s first direct recipient of foreign investments. The country’s savings rate, among the highest in the world, is due to the inadequate pension system and to the inadequate healthcare and assistance. These factors obviously boost families’ propensity to save.

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favorito la sua integrazione nell’economia mondiale, a prescindere dal basso costo dei manufatti. Nel volgere di pochi anni, si è collocata al centro di un’immensa rete di rapporti commerciali, dai quali trae stimoli per la propria crescita che, a sua volta, trasmette a tutta la regione del sud-asiatico. Al punto che quello cinese rappresenta ormai il secondo mercato di sbocco per il Giappone e il primo per gli altri paesi asiatici. La crescita commerciale della Cina, letteralmente esplosa negli ultimi anni, raggiunge ormai i 260 miliardi di dollari ed è interamente imputabile allo spettacolare incremento delle sue esportazioni verso i paesi occidentali. Fra questi, gli Stati Uniti rimangono di gran lunga il mercato più importante, assorbendo più di un quarto delle esportazioni cinesi. Nel tempo, l’accumulo degli avanzi di parte corrente si è riflesso in un aumento esponenziale delle riserve valutarie cinesi, che ormai superano i 1500 miliardi di dollari. Tale fenomeno deriva anche dalla politica del cambio attuato dalle autorità cinesi, che per anni hanno tenuto il renminbi ancorato al dollaro e dal 2005 ne consentono un apprezzamento estremamente graduale per non perdere competitività sui mercati internazionali. D’altra parte quella del cambio non è l’unica riforma di cui il paese ancora necessita. Lo straordinario sviluppo economico di questi ultimi anni ha indubbiamente elevato il livello di benessere di un gran numero di cinesi e la convergenza dei loro modelli di vita verso quelli dei paesi più avanzati. Molti indicatori, culturali e sociali, segnalano queste trasformazioni. I giovani che frequentano corsi universitari e post-universitari oggi sono più di 23 milioni, con rapida tendenza all’aumento, quando nel 2000 erano poco più di 7 milioni; in questa classifica mondiale la Cina è salita al primo posto, superando in pochi anni gli Stati Uniti, che hanno 17 milioni di studenti. Il numero di studenti stranieri che segue corsi in Cina sta crescendo dagli inizi del decennio a un tasso prossimo al 20 per cento annuo e supera ormai le 150.000 presenze. Anche la qualità dell’istruzione è elevata: dai test PISA 2006 condotti dal-

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l’OCSE sulla preparazione scolastica degli studenti quindicenni le città della Cina coinvolte nelle prove matematiche e scientifiche sono risultate ai primi posti, ben al di sopra della media dei paesi sviluppati (e degli stessi Stati Uniti). Infine Internet: dal 2000 a oggi il numero di utenti è salito da 22 milioni a 162 milioni, posizionandosi al secondo posto nella classifica mondiale, dopo gli Stati Uniti (211 milioni). Anche se la Cina rimane un paese ancora mediamente povero, con un tasso di scolarizzazione ancora basso, in cui 130 milioni di persone vivono ancora sotto la soglia di povertà secondo gli standard internazionali e dove pale-

semente gli squilibri economici e le disuguaglianze sociali si vanno acuendo, la programmazione centralizzata consentirà di governare questa ulteriore fase dello sviluppo. In sintesi, in Cina si è realizzato progressivamente un “unicum” nel processo di sviluppo. Economia pianificata centralmente con ricorso progressivo alle forme proprie del mondo occidentale per quanto riguarda le imprese, i mercati finanziari, i rapporti internazionali.

Roberto Poli - Presidente Eni


China joined the WTO at the end of 2001, and that was another key element. Indeed, the gradual removal of many trade barriers was one of the most penetrating economic reforms the country has led over the past two decades, for it favoured China’s integration in the world economy, regardless of the low cost of its manufactures. Over a few years, it became the focal point of a huge trade network, which stimulates its growth, which in turn stimulates the whole of south-east Asia, to the point that the Chinese market is now Japan’s second trade outlet, and the first for all the other Asian countries. China’s commercial growth truly

skyrocketed in the recent years: it has now reached 260 billion dollars, and is entirely ascribable to the amazing increase in its exportations to the western countries. The USA is still, by far, the foremost target market, absorbing more than one quarter of China’s export. With time, the accumulation of current surpluses exponentially increased China’s currency inventories, which now top 1,500 billion dollars. Such a phenomenon is also due to the currency exchange policy the Chinese authorities adopted. For years they kept the renminbi pegged to the US dollar, and as of 2005 they green-lighted an extremely gradual appreciation, to

avoid becoming less competitive on the international markets. But the reform of the currency exchange policy is not the only one the country needs. The extraordinary economic development of the past few years has unquestionably raised the standard of living of many Chinese citizens, aligning their lifestyle to that of the most advanced countries. Many social and cultural indicators give evidence of such a transformation. Over 23 million youths attend university and post-graduate classes, and the trend is soaring. Back in 2000, the figure only just topped 7 million. In the world standings, China is now first, having ousted the United States, with 17 million students. The number of foreign students attending courses in China has been increasing since the beginning of the decade, at an annual rate of almost 20%. There are currently more than 150,000 foreign students in China. Even education standards are high: in the PISA 2006 tests, carried out by the OECD, regarding the scholastic preparation of 15 yearold students, China’s cities involved in the mathematical and scientific came in among the first, ranking well above the average of developed countries, and of the United States too. Finally, the Internet: from 2000 to the present day, the number of Internet users has soared from 22 million to 162 million, making China the second country in the world after the United States (211 million). Albeit China is still a poor country on average, with a literacy rate that is still low, where more than 130 million people still live below the poverty threshold – according to international standards – and where the social and economic gaps are manifestly widening, the centralised planning will enable the authorities to govern this new development phase. Basically, China gradually embodied a “unique example” of development process. It is a centrally-planned economy that progressively resorts to development models of the western world as far as enterprises, financial markets and international relations are concerned.

Roberto Poli - Eni Chairman

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Il nuovo di Federico Rampini foto di Claudio Brufola

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l futuro appartiene a Cindia, e la rapidità con cui lo sviluppo asiatico cambia il pianeta impone scelte urgenti. L’adattamento alle nuove sfide energetiche e ambientali deve inseguire l’accelerazione spettacolare degli eventi. Tre miliardi e mezzo di cinesi, indiani e altri popoli asiatici ci contendono

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le risorse naturali sempre più scarse; le riserve petrolifere mondiali sono sotto una pressione inaudita; l’effetto economico è brutale, l’impatto sull’ambiente è pauroso. L’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) ci avverte che entro il 2030, cioè in soli 23 anni, i cinesi avranno sette volte più automobili di oggi (270 mi-

lioni), il loro consumo di energia sarà più che raddoppiato. Già fra tre anni la Cina avrà superato gli Stati Uniti per il consumo di petrolio: appena due anni fa, la domanda americana era ancora superiore di un terzo. L’India segue dappresso la Cina, la sua domanda di energia sarà più che raddoppiata entro il 2030, e la maggior parte di quel


centro del mondo

fabbisogno aggiuntivo dovrà essere importato. A causa di Cina e India, l’Aie ci avverte che i consumi di petrolio, gas e carbone in un ventennio cresceranno oltre il 50% rispetto ai livelli odierni. I paesi petroliferi dovranno aumentare la produzione a 116 milioni di barili al giorno entro il 2030, cioè 32 milioni di barili in più. A quale co-

sto di estrazione? Già oggi una delle cause del caro-petrolio è la carenza di infrastrutture per estrarre, trasportare e raffinare “l’oro nero”. Per rispondere alla spaventosa impennata dei consumi mondiali bisogna investire altri 22 mila miliardi di dollari nelle infrastrutture per l’approvvigionamento: tutti costi che verranno scari-

cati sull’utente finale, il consumatore. Ogni contadino cinese che abbandona l’agricoltura e si trasferisce in città a lavorare come operaio in fabbrica o come muratore nei cantieri edili, in media aumenta il proprio contributo al Prodotto interno lordo del 700%. Di altrettanto cresce il suo “footprint” o “impronta” ambientale, cioè il suo

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consumo complessivo di risorse naturali. Ogni anno in media sono 15 milioni i cinesi che lasciano le campagne, attirati dalle metropoli industriali. Chongqing ha 30 milioni di abitanti, Pechino e Shanghai si avvicinano ai 20 milioni ciascuna, varie altre città come Guangzhou (ex Canton), Shenzhen, Hong Kong, Hangzhou, Tianjin, Chengdu, Nanchino, avvicinano o superano la soglia dei 10 milioni. Le città “medie” come Xian, Harbin, Dalian, oltre i cinque milioni di abitanti sono molte decine. Lo sviluppo cinese si accompagna a un fenomeno di urbanizzazione che per la sua scala dimensionale non ha precedenti nella storia umana. L’urbanizzazione cinese è un aspetto fondamentale della modernizzazione del paese: oggi per i cinesi rimanere a coltivare i campi nelle regioni rurali significa rinunciare a un consistente aumento di reddito, o rinviarlo di una generazione; è indiscutibile che l’agricoltura cinese non può né potrà mai offrire il tenore di vita desiderabile per 700 milioni di abitanti delle campagne; d’altra parte un ingrediente essenziale dell’ascesa economica cinese è proprio la disponibilità di questo “esercito proletario di riserva”, questo immenso bacino di manodopera a basso costo a cui l’industria e i servizi potranno attingere ancora a lungo. Il futuro è in città, su questo la stragrande maggioranza dei cinesi non ha dubbi. Ma le città sono anche il luogo dove oggi la Cina vive due emergenze gemelle, il boom dei consumi energetici e l’esplosione dell’inquinamento. L’urbanizzazione è la chiave decisiva per capire il dramma che la Cina sta attraversando: è alle prese per la prima volta con i suoi “limiti dello sviluppo”. Il modello di sviluppo fin qui privilegiato per il decollo della Cina ha assegnato un ruolo dominante ai settori industriali più energivori, dal cemento all’acciaio, dall’automobile all’edilizia. Su questi settori sono stati posti pochissimi vincoli in termini di efficienza energetica. In effetti l’economia cinese oggi è un monumento allo spreco. Praticamente in ogni settore produttivo il paese usa tecniche di produzione che consumano più energia dei propri concorrenti giap-

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ponesi, europei o americani. Questo è vero anche nell’urbanistica. Si stima che Pechino potrebbe ridurre del 20% i suoi consumi di energia, se soltanto i suoi edifici adottassero i ritrovati più recenti per il risparmio energetico, a cominciare dall’isolamento termico per ridurre la dispersione di calore nei lunghi e rigidi inverni della capitale. L’energia “alternativa” più a buon mercato, come sanno gli economisti, è l’elettricità non consumata, quella che risparmiamo riducendo i consumi. Questa semplice ricetta continua a essere ignorata nei cantieri edili della capitale: i grattacieli spuntano come funghi, in pochi mesi eserciti di muratori e gru e betoniere passano dalle fondamenta agli ultimi piani; ma in termini di efficienza energetica e tecnologie “verdi” questi grattacieli del XXI secolo spesso sono fermi agli anni Cinquanta del secolo scorso. Nel mese di agosto 2007 è stato compiuto il primo esperimento di riduzione forzata del traffico automobilistico secondo la regola delle targhe alterne. Per quattro giorni la circolazione è stata ridotta di un milione di vetture, su un parco totale di 3,3 milioni di auto della capitale. Uno sfratto ha colpito uno degli ultimi dinosauri industriali di Pechino, l’acciaieria Shougang costruita nel 1919 a soli 17 chilometri in linea d’aria da piazza Tienanmen. L’altoforno è finito molto più lontano, su un’isola artificiale costruita al largo delle coste dello Hebei nella Cina settentrionale. Sono stati sloggiati verso regioni lontane una quarantina fra impianti industriali e centrali termoelettriche. Ma in questo modo le fonti delle emissioni carboniche sono state solo spostate, non eliminate. Con un aumento del 12% annuo del Pil, il benessere del ceto medio urbano fa crescere di mille automobili al giorno il parco circolante nelle congestionate superstrade che traversano la capitale. Per quanto il regime usi il pugno duro per tagliare i gas da effetto-serra, la logica della crescita è implacabile. Perfino un regime autoritario come quello cinese rivela dei limiti nel suo decisionismo. I vincoli del consenso trapelano anche nelle misure, o nelle mezze misure, con cui viene affrontata l’emergenza dello smog. Il primo esempio


the new center of the world by Federico Rampini pictures by Claudio Brufola

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he future belongs to Chindia, and the speed at which Asian development is changing the planet calls for urgent choices to be made. The pace of adjustment to new energy and environmental challenges must keep abreast of the spectacular acceleration seen by the events taking place. Three and a half billion Chinese, Indians and other Asian populations are competing with us for ever-fewer natural resources. World oil reserves are under pressure at never-before-seen levels and the effect on the economy is brutal and the impact on the environment is frightening. The International Energy Agency (IEA) has warned that by 2030, just 23 years from now, the Chinese will have seven times more cars than they do today (270 million), and their energy consumption will have more than doubled. In three years from now China will overtake the United States in terms of oil consumption, while barely two years ago US demand was still a third greater. India will be close on China’s heels, with its energy demand more than doubling by 2030, and most of its added needs will have to be imported. Due to China and India, the IEA has warned that demand for oil, natural gas and coal will increase by over 50pct over the next twenty years compared to today’s levels. Oil-producing countries will have to increase their output by 116 million barrels per day by 2030, 32 million barrels more than today. And how much will crude extraction cost? Already today one of the factors pushing up oil prices is the lack of infrastructure to pump, transport and refine “black gold”. To deal with the frightening upsurge in world demand, it will be necessary to invest 22 trillion more dollars in infrastructure for supply. All of these costs will be unloaded on the end user, the consumer. Every Chinese citizen who leaves farming and makes their way to the city to work in a fac-

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è l’esperimento della circolazione a targhe alterne: la sua durata è stata limitata, troppo corta per avere un effetto sostanziale nella riduzione delle emissioni; né si è voluto sperimentare il divieto totale di circolazione. Per capire quanto sia indigesto il provvedimento, bisogna mettersi nei panni di una nazione che solo da pochi decenni ha iniziato a conquistare il privilegio dell’automobile privata. Tuttora perfino Pechino che è una delle città più ricche della Cina ha un indice di motorizzazione individuale molto inferiore ai paesi ricchi dell’Occidente. L’utilitaria è il sogno delle famiglie del ceto medio, ormai circa 200 milioni in tutta la Cina. Il rapporto affettivo con l’auto assomiglia a quello che caratterizzava l’Italia del miracolo economico degli anni Sessanta: pochi si ponevano allora il problema dei danni ambientali, la conquista di una nuova mobilità era un fenomeno di costume, una emancipazione individuale. Questo spiega la prudenza delle targhe alterne. Per il governo di Pechino il consenso del ceto medio urbano è un elemento

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fondamentale della stabilità politicosociale. Un’altra resistenza emblematica è trapelata di fronte al progetto – più volte discusso – di chiudere tutte le fabbriche nella cintura urbana di Pechino due mesi prima delle Olimpiadi. Per tagliare corto alle indiscrezioni su questo provvedimento è intervenuto il 17 settembre 2007 nientemeno che il segretario del partito comunista di Pechino (nonché presidente del comitato olimpico) Liu Qi, e lo ha fatto con un metodo del tutto inusuale: un’intervista al Financial Times, uno strumento di comunicazione dalla risonanza mondiale. Liu ha dichiarato di non avere “mai richiesto l’interruzione dell’attività delle fabbriche industriali” nel periodo dei Giochi. L’uscita del numero uno del partito comunista della capitale forse non ha chiuso del tutto il dibattito. è possibile che di fronte alla eventuale prospettiva di un’Olimpiade “oscurata” dallo smog il governo debba riesumare provvedimenti estremi. Ma la presa di posizione di Liu la dice lunga sugli interessi toccati, sulle forze in gioco, sulla natura delle resistenze. La

nomenklatura comunista è parte contraente di un patto sociale con la nuova borghesia capitalistica cinese. La continuazione della crescita economica secondo il modello fin qui seguito, l’alto livello dei profitti, la possibilità di investire e produrre senza l’impaccio di regole e controlli troppo stringenti, sono clausole implicite di questo patto sociale. Il settore della speculazione edilizia e delle costruzioni è uno dei luoghi privilegiati dove la politica e gli affari si intrecciano. Il livello di corruzione è elevato in tutte le zone dell’economia cinese, con punte-record nel business immobiliare. è evidente che il governo non ha la forza di imporre ai costruttori degli standard adeguati di risparmio energetico e di efficienza ambientale, perché ha a che fare con uno dei “poteri forti” della Cina di oggi. Più in generale il modo migliore per conseguire riduzioni sostanziali nei consumi di energia sarebbe l’adozione di prezzi trasparenti – eventualmente con l’aggiunta di una carbon tax – che facciano pagare agli utenti il vero costo delle risorse naturali sac-


tory or a building site increases his contribution to gross domestic product by an average 700pct. At the same time their environmental “footprint” grows larger as does their consumption of natural resources. Every year, on average, 15 million Chinese leave the countryside, drawn to industrial metropolises. Chongqing has 30 million inhabitants, Beijing and Shanghai are each approaching 20 million, and various other cities such as Guangzhou (formerly Canton), Shenzhen, Hong Kong, Hangzhou, Tianjin, Chengdu, Nanjing are near or over the 10 million mark. “Mid-size” cities such as Xian, Harbin, or Dalian, with over five million inhabitants, number into the dozens. Chinese development goes side by side with an unprecedented level of urbanization. Chinese urbanization is a fundamental aspect of the modernization of the country. Today, for the Chinese, staying behind to grow crops in rural areas translates into missing out on an increase in income, or postponing it until the next generation comes along. It is unquestionable that Chinese agriculture cannot, nor will ever be able to offer the standard of living 700 million country dwellers are looking for. On the other hand, an essential factor of the Chinese economic boom is the availability of the “proletarian reserve”, this immense source of low-

cost manpower from which the manufacturing and service industries will long be able to tap into. The future is in town, on this the vast majority of Chinese have no doubts. Yet, towns are also the place where China is now experiencing twin emergencies, the boom of energy demand and the explosion of pollution. Urbanization is the key to understand the dramatic situation China is currently experiencing. It has to, for the first time, deal with its “development limits.” The development pattern favoured so far for China’s rise has assigned a dominant role to the industrial sectors with the highest levels of energy consumption, from cement to steel, from automobiles to construction. For these sectors there are extremely few constraints in terms of energy efficiency. In fact, the Chinese economy is today a monument to energy waste. In practically every industrial sector Chinese employ production techniques which consume more energy than their Japanese, European or US competitors. And this is true also in terms of urban planning. It is estimated that Beijing could reduce energy use by 20pct if its buildings were to adopt the latest know-how for energy conservation, beginning with thermal insulation to cut heat loss during the long and severe winters in the capital. The

cheapest “alternative” energy, as economists know, is electricity which is not used, what we save by cutting consumption. This simple recipe continues to be ignored by buildings sites in the capital, with skyscrapers cropping up all over the place, and in the space of a few months armies of workers and cranes and cement mixers go from the foundations to the highest levels. However, in terms of energy efficiency and “green” technology, these 21st Century skyscrapers are still stuck in the middle of the last. In August 2007 the first mandatory reduction of automobile traffic was introduced with a system of odd and evenly numbered number plates taking turns on the road. For a period of four days, the volume of traffic was throttled back to one million vehicles out of the capital’s total vehicle base of 3.3 million. One of Beijing’s last remaining industrial dinosaurs fell victim to an eviction order; this was the Shougang Steelworks, built in 1919 just 17 kilometres as the crow flies from Tiananmen Square. The blast furnace was sited much farther away – on an artificial island built off the Hebei coast in northern China. Around forty industrial facilities and thermal power stations were moved to outlying areas. But this has led merely to the transposition, rather than elimination of these sources of carbon emissions. The annual GDP growth of 12% has led to an increase in affluence of the urban middle classes, and the addition of some one thousand vehicles per day to the congested super-highways crossing the capital. Despite the regime’s recourse to hard-line measures to keep down emissions of greenhouse gases, the logic of economic growth is implacable. Even an authoritarian regime like China’s will be forced up against the limits of its ability to legislate changes. Pressure to maintain consensus is discernible in the measures – or half measures - aiming to tackle the smog crisis. The first example of this is the traffic regulation experiment using odd and even number plates: it was a short-term measure – too short to have a substantial reducing effect on emissions and authorities backed down from experimenting with a total traffic ban. To get an idea to what degree this measure is unbearable to Chinese, you need to put yourself in the shoes of a nation where the privilege of owning a private car was only realised few decades ago. Even now Beijing, one of China’s wealthiest cities, still has a much lower rate of per-capita private vehicle ownership than wealthy Western countries. Economy cars remain the dream of middle

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cheggiate. La Repubblica popolare è ben lontana da questo. Tutti i prezzi energetici, dalla corrente elettrica alla benzina, sono ampiamente sussidiati, amministrati secondo criteri politici, e troppo bassi rispetto ai costi effettivi. I comportamenti di ogni categoria – dagli imprenditori industriali ai costruttori edili, dagli automobilisti alle aziende agricole che acquistano fertilizzanti – sono distorti da una struttura dei prezzi che non incentiva affatto il risparmio. Gli equilibri geopolitici, la sicurezza interna dei nostri paesi, la stabilità e la pace sono minacciate. Da una parte Cina e India si affacciano con piglio sempre più aggressivo in Medio Oriente, Africa e America latina a contenderci le stesse fonti di approvvigionamento da cui dipendiamo; d’altra parte la nuova ricchezza finanziaria generata dalla penuria energetica andrà a concentrarsi in zone come il Golfo Persico dove il fondamentalismo islamico è terreno di coltura del terrorismo. Un’altra minaccia immediata incombe sulla nostra salute e la nostra sopravvivenza. In assenza di una svolta nei modelli di sviluppo e di una conversione repentina verso le fonti alternative, le emissioni carboniche esploderanno del +57% nel prossimo ventennio. “La Cina – scrivono gli esperti Aie – è di gran lunga la maggiore responsabile delle emissioni aggiuntive, superando gli Stati Uniti. L’India diventa il terzo maggior responsabile intorno al 2015”. L’aumento delle temperature scioglie i ghiacciai dell’Himalaya che alimentano i grandi fiumi d’Oriente. Desertificazione, diminuzione delle terre coltivabili, penuria d’acqua, aprono scenari di crisi alimentari che possono sfociare su conflitti armati, in zone ad alta densità di eserciti e testate nucleari. Non siamo al riparo noi, vista la rapidità con cui il nuovo inquinamento made in Cindia arriva nei nostri cieli o sulle nostre tavole. Riconoscere il peso esorbitante di Cindia nei consumi energetici e nell’effetto-serra, non significa che spetti solo a quei paesi prevenire il disastro. L’Aie ricorda che “le emissioni carboniche pro capite della Cina nel 2030 raggiungeranno solo il 40% di

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quelle degli Stati Uniti, in India rimarranno ancora più basse rispetto alla media pro capite dei paesi industrializzati”. L’enorme stazza demografica di quei due paesi non deve farci dimenticare che ogni italiano col suo tenore di vita continua e continuerà a emettere molti più gas carbonici di un cinese o di un indiano. Ai paesi dove si concentra la maggior parte della popolazione mondiale, e dove la miseria di massa arretra solo da pochi decenni, non si può chiedere di bloccarsi. Dobbiamo anche dare un posto a Cina e India al tavolo dei grandi. Il G7 è il luogo per affrontare problemi di governance globale. è assurdo che Italia, Francia,

Inghilterra e Germania vi occupino ciascuno una sedia (sarebbe più logico un unico rappresentante europeo) mentre indiani e cinesi non ne fanno parte. Perché si assumano le loro responsabilità bisogna prendere atto che il loro peso è mutato.

Federico Rampini, corrispondente de La Repubblica da Pechino e inviato per l’Asia, ha insegnato alle università di Berkeley e Shanghai. E’ l’autore dei saggi “Il secolo cinese” (Mondadori 2005), “L’impero di Cindia” (Mondadori 2006), “L’ombra di Mao” (Mondadori 2006) e “La speranza indiana” (Mondadori 2007).


class families, whose numbers have grown to around 200 million China-wide. Their love for the car resembles that of Italians at the time of their economic surge during the sixties: at that time few people considered the problem of environmental damage. The conquest of a new mode of mobility was a cultural phenomenon, one of individual emancipation. This explains the caution of the odd-even registration-plates idea. For Beijing’s government, keeping the consensus of the urban middle classes is a fundamental consideration for maintaining socio-political stability. Another emblematic source of resistance came to the fore in the face of an often-discussed project – that of closing down all of the factories within Beijing’s city limits two months prior to the Olympic Games. In order

to quash the hornet’s nest of rumours about it, on September 17, 2007 there was an intervention from no less an authority than the Secretary of Beijing’s Communist Party (as well as President of the Olympic Committee), Liu Qi. He chose a remarkably unusual method for his intervention: an interview in the Financial Times, a mouthpiece that would ensure a worldwide audience. In it, he stated that he had “never called for an interruption in the activities of industrial facilities” during the period of the Games. But this show of hand by the top of the Communist Party in the capital may not have quietened debate completely. There remains the possibility that, faced with the possible scenario of an Olympic Games “blacked out” by smog, the Government may be forced to impose tough measures. But Liu’s stance says a lot about the vested interests affected, the players involved, the nature of the resistance that has been aroused. The Party’s Nomenclature is a contracting party in a social pact with China’s new Capitalist bourgeoisie. The implicit clauses of this social pact include an economic growth model that pursues the one adopted so far, consistent profits, and the possibility of investing and producing without the encumbrance of too strict rules and checks. The sector of construction and buildings speculation is one of the safe havens where politics and business overlap. Corruption is plentiful in all sectors of the Chinese economy but reaches its apex in the real estate business. Clearly the government isn’t strong enough to impose adequate energysaving and environment-efficient standards on constructors, since the building sector is currently one of China’s driving forces. On the whole, the best way to considerably reduce energy consumption would be to enforce transparent prices – possibly adding a carbon tax – to make end users pay the real cost of the plundered natural resources, but China is pretty far from doing so. All energy prices, from electricity to petrol, are largely subsidised, administered following political criteria, and are low compared with the actual costs. The behaviour in all categories – ranging from industrial businessmen to constructors, from car drivers to farms that purchase fertilisers – are distorted by a price-setting mechanism that doesn’t stimulate saving at all. Geopolitical balances, domestic security in our countries, stability and peace are all in jeopardy. On the one hand, China and India are more and more aggressively looking out to the Middle East, Africa and South America, vying for the very procurement sources we depend on. On the other hand, the new finan-

cial wealth generated by the lack of energy will end up concentrating in areas such as the Persian Gulf, where Islamic fundamentalism fuels the fire of terrorism. Another immediate threat looms over our health and existence. If there is no drastic change in the development models, and if we don’t start resorting quickly to alternative energy sources, carbon emissions will skyrocket by 57% over the next two decades. “China – IEA experts write – is by far the country that is mostly accountable for increasing emissions, having overtaken the US. India is bound to take third place around 2015”. The rise in global temperature is making the Himalaya glaciers melt, which in turn swell the large rivers in the east. Desertification, shrinking farming and water shortages can all trigger food crises that may result in armed conflicts in areas with a high density of armies and nuclear warheads. And we are not sheltered, considering how fast the new, made in Chindia pollution reaches our skies and our dining tables. Acknowledging Chindia’s massive role in energy consumption and the greenhouse effect doesn’t mean it is only up to those countries to prevent the disaster. The IEA reminds us that “in China, carbon emissions per capita in 2030 will be only 40% as much as those in the US, and in India they will remain below the per capita average of industrialised countries”. The huge population of those two countries must not cloak the fact that every single Italian, pursuing the current lifestyle, emits and will keep on emitting far more carbonic gases than a Chinese or an Indian. We cannot ask the countries where most of the world population is concentrated and where mass poverty started dropping only a few decades ago to suddenly freeze their development. China, and India, must sit at the table of big nations. The G-7 summits are the venue where to address global governance issues. It is absurd for Italy, France, UK and Germany to occupy one seat each - having one single European representative would be far more logical - while India and China are left out. In order for them to take on their responsibilities, we must acknowledge that their relevance has changed.

Federico Rampini, La Repubblica’s correspondent in Beijing and reporter for Asia, has taught at Berkeley and Shanghai universities. He has authored the essays “Il secolo cinese” (The Chinese century), Mondadori 2005, “L’impero di Cindia” (The Ch’india empire), Mondadori 2006, “L’ombra di Mao” (Mao’s shadow), (Mondadori 2006 and “La speranza indiana” (The Indian hope), Mondadori 2007.

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Terra di contrasti

A Land of contrasts foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA

Con i suoi 9.596.960 km2 e gli oltre 1.300.000.000 abitanti il “Paese di Mezzo”, questo il significato del nome della Cina, sembra un continente più che uno stato. Un paese capace di affascinare con scenari straordinari, grandi metropoli affollate e natura incontaminata, antiche tradizioni e progresso industriale. Nell’ultimo decennio la Cina ha intrapreso, a tappe forzate, la via del capitalismo attraverso uno sviluppo rapidissimo, soprattutto nei settori dell’energia e delle materie prime.


With its 9,596,960 km2 and over 1,300,000,000 inhabitants, the “Middle Country” (the meaning of the name “China”) seems a continent more than a state. It is a country able to fascinate with its extraordinary backdrops, huge, crowded metropolises and uncontaminated nature, ancient traditions and industrial progress. Over the past decade China has been obliged to set off on the road to capitalism by way of extremely rapid development, especially in the energy and raw materials sectors.


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Stazione di Pechino. La città è un importante snodo ferroviario nazionale e internazionale: vi sono collegamenti ferroviari con le principali città cinesi tra cui Shanghai, Guangzhou e Hong Kong e con la Russia e la Corea del Nord. 24


Beijing station. This city is an important international and national railway hub: there are railway links with major Chinese cities including Shanghai, Guangzhou and Hong Kong, as well as with Russia and North Korea. 25




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Piazza Tienanmen, letteralmente in cinese significa “Piazza della pace celeste”, è al centro esatto di Pechino, a sud della Città proibita. Qui si è svolta la famosa protesta degli studenti e degli operai del 1989.


Tiananmen Square literally in Chinese it means “Heavenly Peace Square� is at the exact centre of Beijing, south of the Forbidden City. It was here that the famous 1989 protest took place.




La Cina è la culla del tè. ancora oggi è uno dei maggiori produttori di tè al mondo. Le piantagioni si trovano principalmente nelle province del sud e nelle regioni centrali. È la bevanda ufficiale del paese, legata a tradizioni e cerimoniali molto antichi.


China is the cradle of tea. still today it lays claim to being one of the major tea producers in the world. Plantations are mostly found in the southern provinces and central regions. It is the national beverage, connected with very ancient traditions and ceremonies.


I mille volti della Cina The thousand faces of China foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA


È il paese più popoloso del mondo: ha quasi 1.400.000.000 abitanti, con 56 differenti etnie. Un sesto dell’intera popolazione mondiale è cinese. Gli abitanti si concentrano prevalentemente a est nelle grandi pianure, mentre a ovest, zona più aspra e arida, vi è una densità bassissima. L’urbanizzazione cinese è un aspetto fondamentale dello sviluppo del paese. Tuttavia è ancora molto forte e sentita la tradizione che si esprime soprattutto nella cultura, nell’arte e nelle rappresentazioni teatrali. It is the most heavily populated country in the world, with almost 1,400,000,000 inhabitants and 56 different ethnic groups. A sixth of the entire world population is Chinese. Inhabitants are concentrated prevalently to the east of the great plains, while to the west – in a harsher and drier zone – the population density is extremely low. Chinese urbanization is a fundamental aspect for the country’s development. However, tradition still has very strong roots, and is seen especially in culture, art and the theatre. 39








I cinesi di domani. La Repubblica popolare cinese sta superando il rigore del controllo delle nascite, oggi le famiglie possono avere piÚ di un bambino, in quanto il crescente benessere economico consente un miglioramento delle condizioni di vita. Il tasso di alfabetizzazione in Cina è molto elevato, circa il 98%.


The Chinese of tomorrow. The People’s Republic of China is moving beyond its formerly strict control of birth levels. Today families can have more than one child and the growing economic well-being is making better living conditions possible. Literacy levels are very high in China, at about 98 percent.


I cinesi di ieri. L’esercito di terracotta dei guerrieri di Xian, capitale della provincia dello Shanxi, scoperto nel 1974, è uno dei ritrovamenti archeologici più importanti degli ultimi anni. Composto da oltre 8.000 guerrieri, vestiti con corazze in pietra e dotati di armi, era il simbolo dell’immortalità del potere del primo imperatore della dinastia Qin, Shi Huangdi, con il quale fu sepolto nel 209 a.C. 48


foto di / picture by Gettyimages

The Chinese of yesterday. The army of terracotta warriors of Xian, capital of the Shanxi province, discovered in 1974, is one of the most important archaeological finds of the past few years. Made up of over 8,000 warriors dressed in stone armour and flanked by their weapons, it is the symbol of the immortality of the power of the first Qin dynasty emperor, Shi Huangdi, with whom it was buried in 209 B.C. 49


Uno sviluppo irrefrenabile Unstoppable development foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA

La Cina di oggi è un grande cantiere aperto, centinaia di realizzazioni architettoniche sono in corso in tutte le zone del paese. Ogni contadino che si trasferisce in cittĂ a lavorare come operaio in fabbrica o come muratore, aumenta il proprio contributo al prodotto interno lordo del 700%. Dagli anni ’90 il paese ha intrapreso, a tappe forzate, la via del capitalismo attraverso uno sviluppo rapidissimo, supportato sia dai massicci investimenti statali (nei settori dell’energia e delle materie prime), sia dagli investimenti sempre maggiori da parte delle multinazionali di tutto il mondo. 50


Today’s China is an open-air work site, with hundreds of architectural structures going up across the entire country. Every peasant who moves to the city as a factory worker or builder, increases his contribution to gross domestic product by 700 percent. Since the 1990s the country has set out on an obligatory path to capitalism by way of an extremely rapid development, supported both by massive state investment (in the energy and raw materials sectors) and by ever greater investment by multinationals the world over. 51


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Uno dei piĂš famosi negozi di Pechino. Ăˆ possibile ordinare un completo su misura, ritirarlo entro 24 ore e pagarlo solo 300 yen (circa 30 euro). Il ritmo incessante della produttivitĂ cinese è qui applicato alla sartoria. 56


One of the most famous shops in Beijing. A tailor-made suit can be ordered and picked up 24 hours later for as little as 300 yuan (approx. 30 euros). The relentless pace of Chinese productivity is also present in dressmaking. 57


Una città che non si ferma mai A city that never stops

foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA

Shanghai è il più importante centro finanziario e commerciale della Cina. In poco più di un decennio ha costruito un’economia basata su servizi finanziari e commerciali, imprese manifatturiere e ad alta tecnologia, attirando i consistenti investimenti di numerose imprese straniere. Oggi il traffico cittadino e l’inquinamento dell’aria nelle città cinesi sono i problemi più gravi. Entro il 2030 ci saranno 7 volte più automobili di oggi e il consumo totale di energia sarà più che raddoppiato. 58


Shanghai is the most important financial and commercial centre in China. In little over a decade it has built an economy based on financial and commercial services, manufacturing and high-tech enterprises, attracting substantial investment from numerous foreign enterprises. Today city traffic and air pollution in Chinese cities are the most serious problems. By 2030 there will be 7 times as many cars as today and total energy consumption will have more than doubled. 59



foto di / picture by Gettyimages

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Spostarsi in cittĂ . Il numero crescente di automobili e la dinamica economia urbana creano notevoli problemi di traffico. Per risolvere i disagi, le autoritĂ cittadine stanno progettando la costruzione di sei nuove autostrade. Ma nonostante questo, il mezzo preferito dalla maggioranza dei cinesi continua a essere quello a due ruote. Moving to the city. The growing number of cars and the fast-moving urban economy are giving rise to considerable traffic problems. To resolve the inconveniences, city authorities are planning to build six new motorways. Despite this, the favourite means of transport for the majority of Chinese people is still the one on two wheels.


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Filosofia del cibo Philosophy of food

foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA


Essendo la Cina un paese molto popolato gli alimenti tipici sono semplici e poco costosi. La cucina si basa su riso e verdure, mentre le carni vengono usate in piccole quantità ed è molto diffuso il consumo del pesce. La cucina cambia a seconda delle zone: quella del «Canton» è la più famosa all’estero per la stravaganza degli ingredienti utilizzati. La struttura di un pasto cinese è orizzontale e collettiva: le portate si susseguono sulla tavola secondo la regola dell’armonia dei sapori, dei colori e delle forme e dell’alternanza di salato, dolce, amaro, agro e piccante. Given the fact that China is heavily populated, typical food is simple and cheap. Cuisine is based on rice and vegetables, while meat is used sparingly and much fish is consumed. Typical eating habits vary form one zone to the next: Cantonese cooking is the most well-known abroad, due to the whimsical nature of the ingredients used. Meal structure in China is horizontal and collective, with dishes following each other on the table according to the rule of harmony of tastes, colours and forms, and salty, sweet, sour and spicy foods are alternated. 67




Ristoranti. La cucina cinese è una fusione di scienza culinaria (tecniche di cottura), di filosofia (scelta degli ingredienti) e di arte (preparazione, composizione e presentazione). Questo lo si ritrova sia nei ristoranti alla moda delle grandi città che nei tradizionali banchi lungo le strade.


Restaurants. Chinese cuisine is a blend of culinary science (cooking techniques) philosophy (choice of ingredients) and art (preparation, composition and presentation). It is found both in the best restaurants in large cities and at traditional street stalls.


Sacro e profano Sacred and profame

foto di / pictures by CLAUDIO BRUFOLA


Una delle prime azioni compiute dal Partito comunista cinese dopo il 1949, fu l’eliminazione ufficiale della religione di stato. In precedenza i credo dominanti erano il confucianesimo, il taoismo e il buddhismo, seguiti dal cristianesimo e dall’Islam. La maggior parte dei templi e delle scuole appartenenti a tali religioni furono poi trasformati in edifici civili. Con la costituzione del 1978 furono ripristinate le pratiche religiose e non, anche tra i non religiosi è molto sentito il culto degli antenati e rituali beneauguranti. One of the first actions carried out by the Chinese Communist Party after 1949 was the official elimination of the state religion. Previously the dominant creeds had been Confucianism, Taoism and Buddhism, followed by Christianity and Islam. Most of the temples and schools belonging to these religions were transformed into buildings for civilian use. With the 1978 Constitution religious practices were reinstated, and even among those not belonging to any religion the worship of ancestors and propitiating rituals are very strongly ingrained. 73




Convivenza di fedi. La Repubblica popolare cinese è ufficialmente atea. I non religiosi sono 900 milioni, mentre la popolazione religiosa si ripartisce in confuciana, taoista e buddista per il 95%, la cristiana 3,5% e l’islamica 1,5%.

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Faiths living alongside one another. The People’s Republic of China is officially atheistic. There are over 900 million not belonging to any religion, while the others are divided into Confucian, Taoist and Buddhist (95 percent), Christian (3.5 percent) and Islamic (1.5 percent).


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