La Leggenda Ritrovata (PARTE PRIMA)

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LINO GEREMIA

LINO GEREMIA

LINO GEREMIA

la Leggenda ritrovata

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viaggio nella piccola, grande storia della comunitĂ di Santa Croce Bigolina di Cittadella

viaggio nella viaggio piccola, nella grande piccola, storia grande della comunitĂ storia della com di Santa Croce di Bigolina Santa Croce di Cittadella Bigolina di Cittadella



DEDICA

Questa ricerca è dedicata a quanti hanno amato Santa Croce Bigolina e lavorato per renderla migliore e a tutti gli abitanti di questa Comunità, soprattutto alle nuove generazioni, perché UNA COMUNITÀ SENZA MEMORIA NON HA FUTURO.

I


Ricerche storiche, testo e redazione: Lino Geremia Ricerche iconografiche: Giuliano Basso Fotografie: -archivi privati -archivio Biblos -Cesare Gerolimetto Progetto grafico e impaginazione: Basso, grafica e design Stampato nel mese di novembre 2005 presso Continuos s.a.s. di Cittadella - PD


LINO GEREMIA

la Leggenda ritrovata

viaggio nella piccola, grande storia della comunitĂ di Santa Croce Bigolina di Cittadella


LA LEGGENDA RITROVATA

IV


questa pubblicazione è stata resa possibile grazie al contributo della Pro Loco Santa Croce Bigolina e alla sensibilità di un Anonimo mecenate


LA LEGGENDA RITROVATA

Prefazione Introduzione Avvertenze Abbreviazioni Premessa

pag. X pag. XIII pag. XIV pag. XV pag. XVI

CAP. 1°

La storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

CAP. 2°

Il monastero di Santa Lucia di Brenta pag. 25

CAP. 3°

Il nostro territorio dal sec. XIII al dominio di Venezia

pag. 39

CAP. 4°

I Bigolini

pag. 45

Battista Bigolino

pag. 19

pag. 45

Alessandro Bigolino

pag. 47

Gasparo Bigolino

pag. 60

Polo e Ruggero Bigolino

pag. 63

Le due Giulie Bigoline

pag. 64

Gli altri Bigolini

pag. 65

CAP. 5°

Il convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

pag. 75

CAP. 6°

Il mulino e l’edificio da sega di Santa Croce e i Michiel

pag. 91

CAP. 7°

Il Comune rurale di Santa Croce Bigolina pag. 99

CAP. 8°

Santa Croce Bigolina diventa curazìa pag. 109

CAP. 9°

La separazione da Tezze e l’erezione in Parrocchia di Santa Croce

pag. 117

CAP. 10°

Don Francesco De Pretto, primo parroco di Santa Croce

pag. 135

CAP. 11°

Fine di un Mondo: la sconfitta del Leone e l’umiliazione del Comune rurale pag. 145

CAP. 12°

Don Giuseppe Pettenoni, secondo parroco di Santa Croce

pag. 159

CAP. 13°

L’istituzione della Fabbriceria

pag. 173

CAP. 14°

La sconfitta di Napoleone e il ritorno dell’Austria. L’annessione del Veneto al Regno d’Italia con i Savoia

pag. 179

pag.

VI


INDICE GENERALE

CAP. 15°

I parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

Don Andrea Compostella, 3° parroco

pag. 187

Don Francesco Bonato, 4° parroco

pag. 189

Don Girolamo Zannonato, 5° parroco

pag. 190

Don Angelo Costantini, 6° parroco

pag. 191

Don Sante Vangelista, 7° parroco

pag. 198

CAP. 16°

Santa Croce Bigolina nell’Ottocento: una vita difficile tra fame, epidemie, povertà e tasse pag. 203

La popolazione

pag. 203

Le nascite

pag. 203

Le morti

pag. 206

I matrimoni

pag. 209

La fame e le tasse

pag. 210

L’istruzione

pag. 214

CAP. 17°

pag. 187

I primi decenni del Novecento. Don Antonio Santacatterina conduce la Parrocchia nel nuovo Secolo

Don Antonio Santacatterina, 8° parroco

pag. 225

L’ampliamento e la decorazione della chiesa parrocchiale

pag. 226

Regolamento per i sacrestani - campanari della parrocchia di Santa Croce

pag. 235

Un inaspettato Ospite illustre

pag. 237

Relazione sulla parrocchia in preparazione della visita pastorale

pag. 238

L’attività sociale di Don Antonio Santacatterina: il primo sindacato cattolico a Santa Croce

pag. 239

La visita pastorale di Mons. Rodolfi il 9/X/1913

pag. 240

La nuova immagine della Madonna del Rosario

pag. 241

pag. 225

pag.

VII


LA LEGGENDA RITROVATA

La prima guerra mondiale e le sue conseguenze a Santa Croce

pag. 242

I caduti di Santa Croce nella guerra 1915-18

pag. 244

L’oratorio alla Regina della Pace

pag. 246

Il campanile e le campane

pag. 247

Bussola della porta maggiore

pag. 252

Oratorio nel Cimitero

pag. 252

Consacrazione dell’Altare Maggiore nella chiesa parrocchiale

pag. 253

La costruzione della Scuola Materna

pag. 255

L’arrivo delle Suore

pag. 256

La costruzione della mura di cinta dell’Asilo e l’ampliamento del corridoio della chiesa

pag. 256

La questione della contrada Ca’ Michieli

pag. 258

Gli ultimi lavori di Don Antonio Santacatterina

pag. 262

Don Silvio Mozzato, 9° parroco

pag. 263

CAP. 18°

Don Domenico Valente e Santa Croce tra guerra e dopoguerra

Don Domenico Valente, 10° parroco

pag. 277

L’azione pastorale e organizzativa di Don Domenico a Santa Croce

pag. 278

I lavori più importanti dal 1936 al 1939

pag. 279

L’organo di Santa Croce: una nobile storia terminata nella decadenza

pag. 280

Santa Croce durante gli anni della seconda guerra mondiale

pag. 285

Il ricordo delle vittime della guerra: dalla lapide voluta da Don Domenico al Monumento ai Caduti del 1983

pag. 288

L’azione sociale di Don Domenico Valente dal 1946 al 1960

pag. 289

pag.

VIII

pag. 277


INDICE GENERALE

I Cappellani coadiutori di Don Domenico

pag. 290

Gli ultimi giorni di Don Domenico

pag. 291

I sucessori di Don Domenico Valente

pag. 292

APPENDICE 1 Gli Oratori a Santa Croce L’Oratorio di San Gaetano a Ca’ Michieli

pag. 297

L’Oratorio di San Martino a Villa Kofler

pag. 301

L’Oratorio (ora demolito) di San Francesco

pag. 302

L’Oratorio (ora demolito) di San Bellino in Via Volto. La riscoperta della devozione al Santo e il nuovo capitello

pag. 303

pag. 297

APPENDICE 2 Elenco dei Parroci, degli Economi Spirituali, dei Cappellani, dei Sacerdoti e delle Religiose di Santa Croce Bigolina

pag. 308

APPENDICE 3 Quando passava “Pippo”

pag. 311

APPENDICE 4 Bombe su Santa Croce

pag. 317

APPENDICE ICONOGRAFICA

pag. 324

Cartoline dal passato

pag. 324

Ieri e oggi

pag. 362

La Storia in quattordici pagine

pag. 376

I colori di Santa Croce

pag. 390

Conclusione

pag. 401

“Cio’, come te ciamito ti?”

pag. 402

Bibliografia

pag. 411

Ringraziamenti

pag. 413

pag.

IX


LA LEGGENDA RITROVATA

1. Nel breve spazio di due pagine consecutive (419-420) un annuario della Diocesi di Vicenza, ristampato con notevoli migliorie per ricordare il decimo anniversario del servizio episcopale di chi scrive (Curia Vescovile di Vicenza, 1998), si addensano numerose, suggestive notizie riguardanti le due comunità parrocchiali che oggi portano, in luoghi alquanto distanti, lo stesso nome. E’ un nome glorioso, quello della santa Croce, celebrata il 14 settembre, alla quale nel territorio della Diocesi vennero dedicate in tempi diversi realtà religiose – edifici, parrocchie, luoghi di spiritualità ed attività pastorale – parecchie delle quali portano ancor oggi quel nome della santa Croce, che un tempo copriva più precisi e intensi significati, o suscitava riferimenti devozionali e concreti, più di quanto non avvenga oggi. 2. Penso, come spesso mi avviene mentre m’inoltro nell’età senile, all’importanza ed al significato che la Croce aveva nella vita delle nostre famiglie, e di tutto il popolo, fino ad alcuni decenni fa, quando la mia generazione era bambina. La croce era il “segno” che il cristiano imparava a “fare” fin dall’infanzia, almeno due volte al giorno; e poi quando suonava la campana dell’ angelus, e poi quando c’era un funerale, e ancora quando s’inaugurava una qualche realtà nuova, fosse pure modesta, o si assumeva una primizia. La croce segnava, nella caldiera di rame lucido in cui si faceva ogni giorno la polenta, il momento cruciale nel quale la massaia faceva cadere la farina di mais nell’acqua bollente. Ci si segnava con la croce prima di avviarsi, fosse pure in bicicletta, per un tragitto magari breve; quando si passava davanti a una chiesa, a un cimitero o, semplicemente, ad un’immagine sacra. La croce era pure entrata nel linguaggio quotidiano, come sinonimo di difficoltà che va portata necessariamente, e che nessuno può evitare, alla lunga, nel corso della vita. Insomma, che la santa Croce fosse familiare nella vita dei cristiani di un tempo è ancor oggi testimoniato dalle località che ne portano la denominazione. Nell’elenco delle parrocchie della Diocesi la denominazione ricorre almeno cinque volte, riferendosi a realtà più o meno storicamente radicate. La pubblicazione che qui si presenta rintraccia ed inquadra con appassionata competenza la storia tribolata e varia della comunità di Santa Croce Bigolina che si trova presso Cittadella. Ma giova fare un cenno anche all’altra realtà, che porta lo stesso nome, e si trova alle porte di Vicenza, sulla quale sembra opportuno, per non tornarci più su, riportare il cenno sostanzioso che ne fa l’annuario suddetto (p. 420): “La zona di Santa Croce Bigolina è situata nella periferia sud-est di Vicenza (detta Coltura Berga o anche Riviera Berica), nel territorio compreso tra le parrocchie di Campedello e Longara, ed è così denominata, da secoli, da un’antica cappella dedicata alla Santa Croce, che sorgeva sulla proprietà della nobile famiglia Bigolin. A partire dal 1959 si è avuto, in tale località, un intenso sviluppo edilizio con conseguente rapido aumento della popolazione. Alle necessità pastorali si è provveduto con l’invio di un sacerdote stabile sul posto il quale, inizialmente, usava come luogo delle funzioni liturgiche il garage di un condominio. Organizzatasi un po’ alla volta tutta la vita parrocchiale ed essendo predisposto il piano per la costruzione degli edifici necessari alle attività pastorali, il 27 dicembre 1975 fu eretta la nuova parrocchia, dedicata a san Giovanni Evangelista”.

X


PREFAZIONE

di Mons. Pietro Nonis, Vescovo Emerito di Vicenza

3. La chiesa di S.Croce Bigolina della quale la presente pubblicazione si occupa ha, come è possibile subito vedere affrontando le prime pagine del libro, ben altra storia. Fin troppo estesa nel tempo, fin troppo complicata nelle vicende, verrebbe da dire. Ci hanno contribuito, oltre alle situazioni spesso aggrovigliate degli uomini – e di Chiesa e di ordinaria appartenenza sociale – anche fatti storici famosi e tragici, come le vicende dell’antico impero romano e dei più o meno intersecantisi istituti medioevali, sacri e profani, con particolare riguardo al sorgere ed allo svilupparsi di famiglie religiose, anzi monastiche, che segnano, anche in relazione con la madre Francia (Cluny!) la storia spirituale e materiale della varia popolazione venuta a stabilirsi sul territorio. Un particolare ruolo svolge, nel corso di lunghi secoli, il fiume, il Brenta, che dalla valle da cui esce alla foce a lungo incerta costituisce per le plebi rurali motivo di vita e di paura. 4. Lino Geremia ha rintracciato, ordinato ed utilizzato, per la sua cospicua ricostruzione storica suggestivamente chiamata “La leggenda ritrovata”, un’enorme quantità di materiale documentario, stabilendo anche sapienti scelte e distinzioni fra il necessario-essenziale, e il superfluo-curioso che continuamente preme in questi casi per avere un suo spazio. Le notizie sono tutte credibili, perché accreditate sulla base dei documenti, sempre più abbondanti e precisi. Ciò che si riferisce propriamente all’ istituzione ed alla vita ecclesiastica è inevitabilmente soggetto a contatti, qualche volta intricati o intriganti (come quando si ha a che fare con un traditore come Pandolfo Malatesta), fra i quali i personaggi storici della famiglia Bigolin, inevitabilmente obbligata a far i conti coi potentati vicini e lontani – da Padova a Verona a Venezia – si distinguono con varia indole e fortuna. 5. Alimentandosi, in contemporanea o per affinità, alle fonti che alimentano la storia civile e quella militare, l’ecclesiastica istituzionale e la monastica, la “storia” appare via via non solo ricca di fatti e di dati, ma anche piena di suggestioni per gli interrogativi che le persone e le vicende suggeriscono, a chi non voglia fermarsi all’essenziale. Forse un’articolazione più mossa e varia del dettato, specialmente là dov’esso appare particolarmente denso e carico di dati, ne alleggerirebbe la lettura: che permane comunque, specialmente per chi, come noi, si dichiara digiuno o quasi di storie specifiche come questa, altamente ricca di sostanza, e suggestiva. Ritengo che un lavoro come quello del Geremia venga a colmare più vuoti, a rettificare più incertezze sinora vigenti, a proporre vicende e personaggi degni di figurare non più soltanto nelle limitate storie locali o paesane, ma anche nella storia “grande”, nella quale un popolo può sempre riaffondare le proprie radici, alimentare il proprio sapere incompiuto.

Brendola, 20 settembre 2005

+ Pietro Nonis

XI


LA LEGGENDA RITROVATA

LunedÏ 26 maggio 1997: i primi curiosi si aggirano nella navata della chiesa resa irriconoscibile dai lavori di rifacimento del pavimento e dove, da poche ore, è venuta alla luce la lapide che identifica la sepoltura di Alessandro Bigolino, visibile in secondo piano sulla destra della foto. In primo piano la lastra in marmo rosso asiago che ricopre la tomba di Don Francesco De Pretto primo Parroco di Santa Croce Bigolina.

XII


INTRODUZIONE

Lunedì 26 maggio 1997, ore 15. La notizia si sparge per il paese di Santa Croce Bigolina nel pigro pomeriggio come la saetta di un temporale estivo e con l’effetto di un fragoroso rombo di tuono: “Xè stà catà la tomba del Bigolin soto el pavimento de ‘a ciesa; el xè proprio lù, Alessandro”. I lavori di rifacimento del pavimento si devono fermare: comincia una processione incessante, quasi un pellegrinaggio; sul volto di tutti emozione e commozione, quasi la Comunità avesse ritrovata improvvisamente la memoria perduta da troppo tempo e la consapevolezza di se stessa. Ecco, senza quel ritrovamento non esisterebbe questo lavoro, la cui idea è nata proprio in quei giorni, in cui tutti abbiamo capito che anche Santa Croce aveva un passato di cui nessuno mai si era veramente occupato (a parte, per qualche parziale aspetto, Gisla Franceschetto), ma che forse poteva essere interessante e bello. E tale si è effettivamente rivelata questa storia che racconta le vicende di gente povera, ma non è mai storia povera. Sembrava che su Santa Croce ci fosse poco o niente da dire: e invece dagli archivi, dalle biblioteche, dalle riviste specializzate, da una recente tesi di laurea e persino da ricerche di studiosi americani sono saltate fuori tante di quelle notizie di cui mai si sarebbe sospettata l’esistenza. Ma valeva la pena di “perdere” tante giornate su documenti ingialliti e spesso poco leggibili? Io credo proprio di sì, perché ora anche Santa Croce può dire finalmente di aver recuperato gran parte della sua memoria storica, mentre invece, come accade per una persona normale, quando una Comunità è smemorata, non può avere pienamente coscienza del suo presente nè tantomeno progettare il futuro e preparare ai suoi figli un buon avvenire. Siamo come foglie che prendono linfa vitale dalle radici. Il ramo cui siamo attaccati è la nostra storia personale e quella della nostra famiglia, ma senza andare alle radici, cioè senza attingere al nostro passato comune, ci inaridiamo. Speriamo che queste pagine siano lette da tutti e soprattutto dai giovani, e non certo per la fatica che sono costate o perché le ha scritte uno di Santa Croce, ma per due altri motivi: primo, per riconoscenza verso chi è venuto prima di noi ed ha voluto bene a Santa Croce, lavorando per essa, e poi perchè questa Comunità potrà avere un futuro almeno un po’ migliore solo se riuscirà a ritrovarsi unita nella conoscenza e nella comprensione della propria storia.

XIII


AVVERTENZE

Questo lavoro era terminato già fin dal 2001. Purtroppo, una serie di vicende e la mancanza di fondi, di anno in anno, ne hanno ritardato la stampa. Ma tutto è bene quel che finisce bene ed ora, finalmente, dopo tanta attesa, siamo arrivati alla conclusione. Devo dire comunque che le mie ricerche sono state necessariamente limitate. Chissà quanti documenti avrei dovuto ancora cercare e consultare e di quanti altri ignoro persino l’esistenza. Ma è sempre così, nella ricerca storica: o si continua a vagare per gli archivi alla ricerca di nuove carte, che peraltro spuntano come i funghi, e allora si corre il rischio di non iniziare a scrivere mai; oppure, e ci vuole coraggio, ad un certo punto si dice basta, si utilizza quello che si ha e si realizza qualcosa, seppure di imperfetto. Qualcuno potrà osservare che il testo è “appesantito” da un’eccessiva mole di documenti, che avrei magari potuto riportare o riassumere in italiano corrente. Può essere senz’ altro così, ma mi pareva opportuno ed importante inserirli tali e quali, pensando che forse era l’unico modo di salvarli dalla polvere dell’ oblìo. E poi, avrò sicuramente commesso sviste ed errori, di cui mi scuso fin d’ora; sarò grato comunque a chi avrà la cortesia di segnalarmeli. Ma alla fine, spero di aver fatto cosa gradita soprattutto ai miei compaesani, restituendo loro una storia perduta e, almeno in parte, ritrovata.

Santa Croce Bigolina, novembre 2005 Lino Geremia

XIV


ABBREVIAZIONI

A.C.V.

Archivio della Curia Vescovile di Vicenza.

A.P.S.C.

Archivio parrocchiale di Santa Croce Bigolina.

A.S.B.

Archivio di Stato di Bassano.

A.S.P.

Archivio di Stato di Padova.

A.S.V.

Archivio di Stato di Venezia.

B.M.C.

Biblioteca del Museo Correr di Venezia.

b. busta. c. carta. doc. documento. f. o fasc. fascicolo. id.

nella stessa opera sopraindicata.

ms. manoscritto. op. cit.

opera citata.

p. pagina. V. vedi. vol. volume.

XV


LA LEGGENDA RITROVATA

S

FOTO DI UGO SILVELLO

anta Croce Bigolina è una frazione del Comune di Cittadella. Si trova all’estremo nord-ovest della Provincia di Padova; confina a nord con Tezze sul Brenta, Comune già in provincia di Vicenza, ad ovest con il fiume Brenta, da cui dista appena qualche centinaio di metri, a sudest con Fontaniva e con Cittadella, da cui è lontana otto chilometri, ad est con Laghi e con la Via Postumia. Si estende per tre chilometri in lunghezza e per due e mezzo in larghezza. Conta circa mille abitanti. Paese essenzialmente agricolo fino ai primi anni seguiti alla seconda guer-

pag.

XVI

ra mondiale, ma con pochi piccoli proprietari terrieri, la maggior parte degli abitanti sono stati mezzadri impiegati nei fondi di grandi latifondisti ed hanno conosciuto la miseria tanto che, nel secondo dopoguerra, si verificò una notevole emigrazione verso le più industrializzate regioni della Lombardia e del Piemonte. I miglioramenti economici degli anni Sessanta e l’industrializzazione del Veneto, e in parte anche di Santa Croce, hanno successivamente portato ad un’economia mista: si diventava operai, ma si continuava a lavorare anche i campi.


PREMESSA

Un po’ alla volta le condizioni sociali sono migliorate, tanto che oggi sono pochi coloro che non possiedono una casa propria. Dagli anni Ottanta però l’espansione del paese si è pressochè bloccata, a causa della mancanza di aree fabbricabili, dell’entrata in vigore di leggi restrittive per chi aveva intenzione di costruire e dei costi sempre maggiori della terra e dei materiali edili. Oggi Santa Croce è una comunità al bivio: può andare verso un lento collasso, se non ci sarà un possibile sviluppo edilizio, così come può prendere la strada dell’espansione e di un rinnovamento, se nuove aree edifica-

bili e nuove zone artigianali o industriali richiameranno gente nuova ad incrementare la popolazione che ormai sta sempre più invecchiando. Tutto dipenderà dalle scelte politiche delle future Amministrazioni comunali, ma anche, e forse in modo più incisivo, dalla volontà forte e concorde (ciò che non sempre è avvenuto) della popolazione e dei suoi rappresentanti nell’Amministrazione. Una cosa è certa: non dobbiamo lasciare morire Santa Croce, tanto più che questo paese ha un passato ricco di storia, quale forse non ce lo siamo mai immaginato.

pag.

XVII


pag.

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Nell’immagine a sinistra: tratto di strada romana ad Aquileia. Così, probabilmente, si presentava, nel nostro territorio, la Postumia. Degni di nota sono i solchi incisi sul lastricato dalle ruote dei carri (foto archivio Biblos).

C

ominciamo il nostro viaggio nella storia di Santa Croce tornando indietro di circa duemila anni: come sarà stato, allora, il nostro territorio? Chi ci avrà abitato? Certo, se avessimo una macchina del tempo, potremmo dare risposte precise ai nostri interrogativi; dobbiamo invece accontentarci di quanto ci dicono gli storici e gli archeologi, in base alle ricerche e agli scavi da essi compiuti. Sappiamo, ad esempio, che la presenza dell’uomo nel territorio del Cittadellese si può far risalire a tempi antichissimi, addirittura all’età del bronzo recente e cioè a 1200 anni prima di Cristo1. Ma, per sapere qualcosa di più, dobbiamo fare un salto di qualche secolo in avanti e arrivare all’epoca romana. I Romani, si sa, un po’ alla volta estesero il loro dominio prima a tutta l’Italia e poi a gran parte dell’Europa e dell’Africa settentrionale, formando un vastissimo impero. I primi amichevoli rapporti dei Romani con i Veneti risalgono all’inizio del IV secolo a. C. I Veneti continuarono poi a collaborare con Roma, ostacolandone i nemici e fornendo truppe, tanto che Giulio Cesare, nel 49 a. C., concesse al popolo veneto la cittadinanza romana. All’interno di questi rapporti e per fa-

CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

cilitare i contatti politici ed economici con Roma, il console Spurio Postumio Albino, nel 148 a. C., fece costruire la via che da lui si chiamò appunto “Postumia”. È interessante sapere che, dopo aver conquistato un territorio, Roma ne sistemava il terreno servendosi di esperti chiamati “agrimensori” i quali, usando uno speciale strumento detto “groma”, tracciavano due linee principali: una da nord a sud, detta “Cardo Massimo”, l’altra da est ad ovest, detta “Decumano Massimo”. Poi, da queste due linee principali, ne segnavano altre a distanza regolare. Questa operazione veniva chiamata “centuriazione” perché dava luogo a suddivisioni di cento campi (agro centuriato). Nell’agro centuriato di Bassano-Cittadella il Cardo Massimo corrisponde circa alla strada che collega Padova a Cittadella e a Bassano, mentre il Decumano massimo è individuato proprio in corrispondenza della Via Postumia2. Ma la Postumia partiva da molto più lontano, cioè da Genova, e per Piacenza, Cremona e Verona giungeva fino a Vicenza per poi proseguire verso Oderzo e terminare ad Aquileia. Più vicino a noi, sulla destra Brenta, la Postumia entrava nel territorio pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

di Carmignano a Camazzole e verso occidente proseguiva per Spessa di Carmignano, San Pietro in Gu e Bolzano Vicentino. A levante di Cittadella, invece, passava per il territorio di Galliera. Sono stati quindi prevalentemente i Romani a dissodare il nostro territorio, come dimostrano i numerosissimi ritrovamenti di cippi, iscrizioni funerarie, lastre marmoree, oggetti domestici. A pochi metri dalla sponda sinistra del Brenta, ad esempio, all’altezza di Ca’ Micheli, è stata rinvenuta negli anni ’50 un’ancora romana databile al II o III secolo dopo Cristo3. Possiamo quindi dire che il sito dove sorgerà successivamente Santa Croce Bigolina era un territorio romanizzato4. La Postumia favorì anche la diffusione del Cristianesimo. Da Aquileia esso si irradiò alle altre città venete, fra cui Vicenza e Padova e da queste nel nostro territorio. L’imperatore Diocleziano nel 303 tentò di eliminare la religione cristiana e molti furono i martiri della sua persecuzione; qui ricordiamo solo i santi vicentini Felice e Fortunato e la padovana Santa Giustina. Ma solo dieci anni dopo, nel 313, l’imperatore Costantino diede ai cristiani piena libertà di culto. La Chiesa poté allora pag.

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finalmente organizzarsi. I vescovi cominciarono ad inviare nelle campagne i loro rappresentanti; nacquero le prime Pievi (più o meno corrispondenti ai nostri Vicariati) e, attorno a queste e dipendenti da esse, si formarono le “Cappelle” (all’incirca le nostre parrocchie). La prima pieve della nostra zona fu San Donato a Cittadella, attribuita all’Alto medioevo e Fontaniva divenne una sua “cappella”, insieme con Santa Maria di Fratta, San Giorgio in Brenta, San Giorgio in Bosco, tanto per citarne alcune, senza dimenticare il monastero di Santa Lucia di Brenta (V. Cap. 2). San Donato sorge su un’area verosimilmente appartenente all’agro patavino e passata sotto il controllo dei duchi longobardi di Vicenza. Allora tutta la zona del Cittadellese fu assorbita dalla diocesi di Vicenza, fino al 1818, allorché una parte del vicariato di Cittadella tornò alla diocesi di Padova, a cui appartiene tuttora; Fontaniva e Santa Croce invece sono rimaste alla diocesi di Vicenza fino ad oggi5. Purtroppo, servendosi delle vie costruite dai Romani, non arrivarono solo gli apostoli del Cristianesimo, ma giunsero anche i barbari che, scalzando l’ordinamento giuridico e il tessuto sociale costruito dai Romani, provoca-


CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

rono saccheggi e distruzioni e infine, nel 476, lo sfacelo stesso dell’Impero. Anche il nostro territorio dovette subire le loro invasioni, fra cui quella degli Unni di Attila, nel 452, che portarono terribili distruzioni in tutto il Veneto, saccheggiando anche Vicenza e Padova e “abbattendo quasi tutti i segni di civiltà e di culto e gli insediamenti umani posti ai lati della Postumia”6. Nel 568 fu la volta dei Longobardi, provenienti dall’attuale Ungheria. Dopo aver conquistato Aquileia, essi occuparono Vicenza, giungendo fino a Brescia e a Milano. Nel 602 incendiarono Padova. Anche dopo la loro conversione, dovuta alla regina Teodolinda, essi non persero il loro spirito bellicoso e dovette passare molto tempo prima che prendessero avvio le prime forme di collaborazione con il popolo veneto. La presenza longobarda è evidente anche nel Cittadellese. Nel cimitero che circondava la Pieve di San Donato si sono trovate tombe con oggetti longobardi. San Giorgio, San Martino, San Michele, che danno il nome a diversi paesi a noi vicini, sono stati Santi onorati dai Longobardi. Anche la potente famiglia dei Fontaniva, che diede parecchi abati a Santa Lucia di Brenta, seguiva il retaggio della legge longobarda.

I Longobardi furono definitivamente sconfitti nel 774 da Carlo Magno, re dei Franchi, chiamato in Italia dal Papa, stanco delle prepotenze di Desiderio, ultimo re longobardo. Carlo Magno, coronato imperatore da Papa Leone III la notte di Natale dell’anno 800, costituendo il Sacro Romano Impero, riorganizzò l’Europa sia sul piano politico e legislativo sia dal punto di vista civile, sociale e culturale. Egli suddivise il territorio italiano conquistato (quasi tutta l’Italia settentrionale e centrale) in distretti amministrativi (comitati e marche), corrispondenti ai ducati longobardi, e li assegnò ai suoi vassalli più fedeli. Così fece anche da noi, allorché, di ritorno dal Friuli, seguendo la Postumia e passando forse per Fontaniva, si fermò, a quanto pare, a Vicenza, presso il monastero di San Felice: boschi e terre incolte furono distribuiti agli Abati e ai Vescovi per essere bonificati e coltivati. Fu a partire dall’epoca carolingia che si diffuse l’opera religiosa e sociale dei monaci benedettini, i quali fondarono a Santa Croce la chiesa e il monastero dedicati a Santa Lucia. Ma tempi difficili dovevano presto giungere. Morto nell’814 Carlo Magno, i suoi eredi si divisero l’impero; mancando un’effettiva autorità, i signori pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

rurali cominciarono a combattersi fra di loro, le guerre locali divennero sempre più numerose, spesso le campagne venivano devastate, la vita religiosa cominciò a decadere; infine, come se non bastassero, oltre a questo, pestilenze e inondazioni, piombò sulle nostre terre una nuova invasione barbarica, quella degli Ungari. Essi venivano dalla Pannonia e arrivarono da noi nell’899, passarono il Brenta a Camazzole, saccheggiarono Vicenza, incendiarono il monastero di San Felice. Ma la loro avanzata fu fermata presso il fiume Adda da Berengario, nuovo re d’Italia. Nella fuga, si fermarono presso il Brenta, sembra a Fontaniva. Inseguiti dall’esercito di Berengario, chiesta e non ottenuta la pace, si gettarono in una battaglia disperata che riuscirono a vincere. Continuarono poi a terrorizzare le nostre popolazioni fino al 955, quando vennero definitivamente sconfitti dall’imperatore tedesco Ottone I. Era tempo che ritornasse un po’ di tranquillità e di pace e questo fu finalmente possibile anche da noi, grazie all’opera dei Vescovi vicentini, dei monaci benedettini e della pacifica famiglia dei “da Fontaniva”.

pag.

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NOTE AL CAP. 1 1.

G. Ramilli, L’agro di Cittadella dalla preistoria all’età romana: la Centuriazione, a cura del LIONS CLUB – Cittadella, 1998.

2. V. Don Marcello Rossi, Fontaniva nella storia, Fontaniva, 1993, p. 38-39. 3. V. D. M. Rossi, op. cit. 4.

V. Gisla Franceschetto, Cittadella prima del Mille: la centuriazione romana, le ville, i monasteri, in Cittadella-Saggi storici, LIONS CLUB, 1990.

5. Per quanto viene qui succintamente riportato, si vedano le notizie in merito molto più ampie riferite nelle opere citate di D. M. Rossi e Gisla Franceschetto. 6. V. D. M. Rossi, op. cit., pag. 54.


CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

Il monastero di San Fortunato si staglia contro l’imboccatura della Val Sugana in una splendida foto di Cesare Gerolimetto. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: mappa del 1595 conservata negli archivi di Villa Contarini di Piazzola sul Brenta che illustra i passi ed i traghetti lungo il fiume. Il particolare riprodotto in basso, ingrandito e capovolto, riporta l’indicazione di Santa Lucia Vecchia, ubicata in prossimità del “passo di Santa Croce” poco più a nord di Fontaniva, riconducibile all’attraversamento sul Brenta della via Postumia, identificabile oggi con via Basse del Brenta.

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l nostro paese entra nel vivo della storia documentata con la costruzione del monastero di Santa Lucia, dovuta, come si è detto, ai monaci benedettini. Seguiamone insieme le interessanti vicende. Le invasioni degli Ungari avevano fatto capire che era necessario costruire delle difese valide e capaci di accogliere la gente in caso di pericolo. Si cominciò così, da parte dei feudatari, a edificare i castelli. D’altra parte, dopo tante incursioni barbariche, le campagne, devastate e spopolate, dovevano essere risanate. I Vescovi diedero l’incarico di dissodare e riorganizzare i terreni più abbandonati ai monaci e in particolare, nel territorio vicentino, ai Benedettini, che risiedevano a S. Felice in Vicenza. Essi, lungo tutto il sec. X, seguendo la via Postumia, fondarono corti e poderi e risanarono le terre di San Pietro in Gu, di Camazzole, di Santa Maria di Fratta, di San Giorgio in Brenta7. Non è da escludere che, in data imprecisata, abbiano fondato anche il monastero di Santa Lucia di Brenta con una chiesa ad esso annessa, proprio dove terminava la via Postumia per lasciare il posto al traghetto per Camazzole, poco a nord di Ca’ Micheli (vedremo

CAPITOLO 2

Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

più avanti perché in questo luogo e non dove tradizionalmente si è sempre creduto, cioè ai confini con Tezze, dove ora sorge l’attuale chiesa dedicata a Santa Lucia). Il monastero diventò ben presto importante, anche per la protezione ad esso accordata dalla nobile Famiglia dei “da Fontaniva”. La loro presenza è documentata fin dal 1064; essi erano difensori dei diritti temporali, di vari enti religiosi, di monasteri, tra cui quello veneziano di S. Ilario e del Vescovo di Padova, e in tale attività furono sostenuti dal Doge veneziano Domenico Contarini. A Fontaniva possedevano un castello, distrutto dai Padovani nel 1228. I “da Fontaniva” beneficarono ampiamente il monastero di Santa Lucia, e ne accompagnarono le vicende, secondo qualche ipotesi; alcuni anche ne divennero abati, come Guido di Fontaniva, nel 1255, Pellegrino nel 1258 e Obertino nel 12648. Il primo documento, ancora poco noto, su Santa Lucia risale al 7 settembre 11229. Si tratta della donazione del nostro Monastero a quello di San Pietro di Cluny, in Francia. Per comprendere l’importanza del documento, dobbiapag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

mo dire due parole sul movimento religioso dei cluniacensi. L’ordine di Cluny fu fondato nel 910 da Guglielmo di Aquitania. In un periodo in cui la Chiesa attraversava una grave crisi, sottomessa al potere imperiale mentre i Vescovi pensavano più ai privilegi materiali che alle anime, si diffuse da Cluny in tutta l’Europa un movimento che si proponeva di rinnovare i costumi della Chiesa, sottraendola alla supremazia e alle ingerenze dell’imperatore e dando una forte preminenza al Papato, cui dovevano essere soggette tutte le chiese locali. Alcuni abati di Cluny furono eletti anche papi, come Ildebrando di Soana, che diverrà il famoso Gregorio VII. La donazione di Santa Lucia a Cluny, se dimostra da una parte la larga diffusione dell’opera riformatrice cluniacense, attesta anche dall’altra il fatto che il nostro era ormai un monastero che godeva di una certa fama. Ma vediamo, tradotto in sintesi, quanto si dice nel documento: “Nell’anno del Signore 1122, nel settimo giorno del mese di Settembre… Rolando, Ermanno, Wenegiso e suo figlio Benzo, Walgano, Conone, Adamo da Fontaniva… alla presenza di molti uomini, donarono a San pag.

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Pietro di Cluny il monastero di Santa Lucia, che è situato nella marca di Treviso10, non lontano dal fiume Brenta, affinché da questo giorno in poi sia sotto la tutela e la potestà dell’abate di Cluny… Nello stesso luogo i predetti… deposero, sopra l’altare di Santa Lucia, nelle mani di Ottone e di Obizone, monaci della congregazione, quanto loro pertineva giustamente o no dei beni della predetta chiesa, per la remissione dei peccati e la salvezza delle loro anime… A titolo di obbedienza, questo monastero deve dare il censo di un marco d’argento al monastero di Cluny…”. Da questo momento i documenti su Santa Lucia si moltiplicano11. Il 15 giugno 1127 Milone di Giovanni Ponga, avvocato di Fontaniva, “riflettendo sulla fragilità umana, per la salvezza della sua anima” lascia nel testamento al Monastero intitolato a Santa Lucia un manso di terra (20 campi) situato a Bassano. Il 15 febbraio 1141 Beroardo di Fontaniva e sua moglie Sofia vendono al monastero di S. Cipriano di Murano un manso in Mellaredo. L’atto viene firmato nel chiostro di Santa Lucia. Il 10 aprile 1149 Richilio, abate del monastero di Santa Lucia del territo-


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Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

rio di Fontaniva, permuta terreni in zona di Meianiga e Scarfanesco, verso Tombolo, col monastero di S. Cipriano di Venezia. Il 2 ottobre 1192, Speronella Delesmanini, seconda moglie di Ezzelino II da Romano, signore di Bassano, nel suo testamento, lascia, fra gli altri, un manso di terra in eredità a Santa Lucia di Fontaniva. Ma sui rapporti tra il monastero di Santa Lucia e gli Ezzelini dobbiamo fermarci per alcune interessanti notizie. Come ha fatto acutamente osservare Sante Bortolami12, una errata traduzione francese del documento di donazione di Santa Lucia a Cluny, ha impedito di riconoscere, accanto ai nominativi dei donatori del casato feudale dei da Fontaniva, anche quello di un Ezelo da Romano, antenato del famoso tiranno Ezzelino III (1194-1259). Le fortune degli Ezzelini vanno di pari passo con la decadenza dei da Fontaniva e ben presto diventano loro i “protettori” del monastero di Santa Lucia, che si trasforma in un caposaldo per il controllo del fiume Brenta. Ne è prova il ruolo che ebbe l’abate di Santa Lucia, Pellegrino, “tesoriere” di Ezzelino III ed anche suo intermediario

con il fratello Alberico, se dobbiamo credere a quanto afferma il cronista Rolandino da Padova, che lo definisce “abilissimo” e lo descrive mentre “di notte, per molti vicoli, portava lettere segrete da un fratello all’altro”. Questo sta a dimostrare il rapporto di amicizia e di servizio che legava l’abbazia al casato feudale dei da Romano, e fu certo a motivo di tale rapporto che Pellegrino potè ottenere la promozione alla guida della maggiore abbazia benedettina di Vicenza, quella di S. Felice. Il volpone riuscì a sopravvivere anche alla strage della famiglia degli Ezzelini. Lo troviamo, infatti, il 25 marzo del 1262, mentre presenzia come “abate di Santa Lucia”, di cui ha conservato il titolo, a una donazione di beni fatta dal notaio Ognibene da Fontaniva al monastero del Camposanto di Cittadella, sorto come sacrario delle vittime di Ezzelino appena fuori le mura13 . Purtroppo siamo costretti a rinchiudere in un elenco abbastanza arido solo alcuni fatti di cui siamo a conoscenza, e questo non dà certo l’idea della vita quotidiana che si svolgeva nel monastero. Tuttavia, se lasciamo libera la fantasia, possiamo immaginare l’attività fervorosa dei monaci: la pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

preghiera corale che essi innalzavano nelle ore canoniche, cioè al mattutino, nel cuore della notte, alle lodi, prima dell’alba, e poi nell’ora prima (le sei), terza (le nove), sesta (mezzogiorno), nona (le quindici) e infine al vespro e a compieta, prima del riposo; l’organizzazione del lavoro nei campi e negli orti, nella falegnameria e nella fucina; l’assistenza spirituale e materiale alla gente che si raccoglieva attorno al monastero, alla quale veniva data la possibilità di dissodare e coltivare i terreni per avere di che vivere; l’accoglienza agli ospiti, anche illustri. Insomma, Santa Lucia era un cuore pulsante di vita religiosa, civile ed economica i cui benefici effetti si diffondevano in tutto il territorio circostante. La sua importanza era tale che esso si trovava addirittura sotto la diretta protezione della Santa Sede. Ma, verso la fine del Duecento, qualcosa purtroppo comincia a cambiare. Ecco che, nel 1297, l’abate viene denunciato perché, per negligenza o mancanza di mezzi, non paga la decima papale. Che cosa stava accadendo? Due fatti principalmente. Abbiamo appena detto che il Monastero dipendeva direttamente dal Papa; probabilpag.

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mente, dato che in quei tempi Papato ed Impero erano in continua lotta fra di loro14, i sostenitori di quest’ultimo, presenti anche da noi, danneggiarono gravemente il Monastero. Infatti un documento dell’Archivio Vaticano del 1322 riporta una lettera del Cardinale Legato Bertrando, in cui si dice che il Monastero è “distrutto, andato in rovina per le prepotenze e le continue devastazioni degli eretici e dei ribelli alla Chiesa di Roma” e perciò è cessato il culto divino “che di solito veniva là celebrato” così come non vi è più “l’accorrere dei fedeli che per devozione frequentavano il luogo”. Come se non bastasse, ci si mise anche il Brenta con le sue piene a completare l’opera di distruzione. Nel 1406 il Vescovo di Vicenza testimonia ancora una volta che il Monastero è “distrutto e abbandonato e la chiesa stessa, sommersa dall’acqua del fiume Brenta, è totalmente crollata”15. Ma non era ancora la fine. Intanto restava il nome, a ricordo di un passato glorioso. Santa Croce infatti continuerà ad essere denominata “Villa di Santa Lucia di Brenta” ancora per un secolo e con questo nome il nostro paese è indicato in una mappa del 1440, una delle più antiche del nostro circon-


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Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

dario, custodita nell’Archivio di Stato di Padova e conservata in copia nella Biblioteca Comunale di Carmignano di Brenta, in un’altra che rappresenta il territorio padovano nel 144916 nonchè in moltissimi atti notarili e dichiarazioni di possedimenti. Restavano poi i campi che le piene del Brenta non avevano divorato e che avrebbero potuto essere lavorate a beneficio di qualche altro monastero. E così accadde. Il 21 agosto 1412 il Vescovo di Vicenza unisce i beni di Santa Lucia a quelli del Monastero di San Fortunato di Bassano (a sua volta dipendente dal convento di Santa Giustina di Padova), i cui monaci non avevano di che vivere17. Nell’atto di unione si dice, fra l’altro, che poiché Santa Lucia di Brenta “dove i monaci benedettini erano soliti risiedere, è stato abbandonato perché totalmente distrutto, e la Chiesa del suddetto monastero nonché lo stesso monastero sono stati sommersi dall’impeto del fiume Brenta” il Vescovo “deliberò che il detto monastero di Santa Lucia ossia i suoi possedimenti, affinché non siano lasciati andare in rovina ma servano piuttosto a qualche disegno divino, siano in perpetuo trasferiti e uniti al monaste-

ro e alla Chiesa di San Fortunato di Bassano” (Da questo momento troveremo sempre i beni di Santa Lucia identificati indifferentemente con quelli di San Fortunato o di Santa Giustina di Padova). Ma gli utili delle terre di Santa Lucia non risolsero le gravi difficoltà di San Fortunato. Nel 1433 infatti i monaci abbandonarono il convento finché Ludovico Barbo, priore di Santa Giustina, vi inviò, per tentare di risollevarne le sorti, il sacerdote ferrarese Nicolò da Fiesso, con alcuni compagni. Questi, visto che dai beni di Santa Lucia veniva scarsa utilità, si decise a cederli in enfiteusi perpetua18 in cambio di un compenso annuo di 14 ducati d’oro19. È a questo punto che c’imbattiamo, per la prima volta nella storia del nostro paese, in un Bigolino, cioè Battista; è lui infatti che, insieme con Giovanni Malipiero di Venezia (nipote del Vescovo di Vicenza), riceve in affitto le terre di Santa Lucia di Brenta (v. cap. 4). Torniamo a Santa Lucia ancora per un poco. Si è sempre pensato, finora, che il monastero si trovasse dove attualmente c’è la chiesa restaurata dedicata alla Santa, ai confini con Tezze. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Ma non è così. L’antico monastero infatti, come si è già detto, sorgeva poco più a nord della contrada di Ca’ Micheli, proprio a ridosso della strada Postumia che qui si fermava per cedere il posto al Brenta. A confermare quanto andiamo dicendo sembrano esserci diverse prove. Don Marcello Rossi, nel suo libro “Fontaniva nella storia”, riporta una notizia riferita dallo storico F. Repele20, il quale afferma: “…Una chiesa intitolata a Santa Maria costruita accanto al convento di Santa Lucia esistette per davvero e possiamo identificarne il luogo perché, ancora ai nostri giorni, si chiama Santa Lucia Vecchia la contrada che dall’oratorio di Ca’ Micheli si distende fino al Brenta…”. Lo stesso Repele riporta un documento del parroco Antonio Macario Disconzi, arciprete di Fontaniva dal 1713 al 1755, il quale, riferendosi a Ca’ Michieli, scrive: “Quei vasti terreni che si nominano Ca’ Michieli e Basse di Ca’ Michieli, dove un giorno stava il Convento e Chiesa di Santa Lucia in Brenta…”21 . Le affermazioni del Repele e del Disconzi trovano riscontro in una mappa risalente al tardo Medioevo e tuttora custodita nell’archivio parpag.

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rocchiale di Fontaniva, la quale rappresenta la “chiesa rovinata” di Santa Lucia proprio presso Ca’ Micheli e la via Postumia. D’altra parte, come si può vedere in carte topografiche di appena vent’anni fa, l’attuale Via Michela era ancora chiamata “Santa Lucia Vecchia”. Successive ricerche hanno consolidato le nostre convinzioni. Infatti, una prima mappa del Cinquecento custodita nell’Archivio di Stato di Venezia e cortesemente segnalata dall’Architetto Walter Meneghelli di Fontaniva, interessantissima, getta una chiara luce sull’aspetto di Santa Croce in quel periodo: sono individuabili il palazzo, il brolo, la sega e i beni appartenuti ai Bigolini, ma soprattutto i terreni appartenenti all’ex monastero di Santa Lucia passati ai Padri di San Fortunato, localizzati lungo l’attuale via Basse del Brenta. Un’altra mappa del 1612, che si trova nell’archivio di Villa Contarini a Piazzola, rappresenta Santa Lucia con una chiesa vicinissima al ramo principale del Brenta e al passo ovvero traghetto di Santa Croce. Ora, questo passo si trovava in corrispondenza della linea che unisce Camazzole, la Postumia e Ca’ Micheli, come si può


CAPITOLO 2

Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

ricavare da una cronaca cinquecentesca riferita dal Mantese22: “…Un traghetto simile a quello di Cartigliano esisteva anticamente nei pressi di Santa Croce Bigolina. Infatti in una cronaca cinquecentesca si legge che durante la guerra di Cambrai “adì sabato 25 octobre 1511” l’esercito dell’imperatore Massimiliano “passa la Brenta in ver el porto de Sancta Croxe per mezo le Camazole”. Un’ ulteriore mappa, datata 16 marzo 161923, ancor più chiaramente, indica “Santa Lucia Vecchia delli Rev. Padri di San Fortunà” a sud della “Villa di Santa Crose da Bigolin”. Anche una mappa ottocentesca conferma quanto stiamo dicendo come si può osservare nella riproduzione di pag. 373. Ma allora, ci si può chiedere, che rapporto ha con il monastero l’attuale chiesa di Santa Lucia? Quando è stata costruita e perché così lontana dal monastero antico? Cerchiamo di dare una risposta. Tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, il monastero di San Fortunato, pur dipendendo da quello di Santa Giustina, attraversava un periodo di tranquillità e di prosperità. Possiamo ipotizzare che quei mona-

ci abbiano voluto far rivivere Santa Lucia, ricostruendone prima di tutto la chiesa, ma in un luogo più vicino a Bassano e comunque senz’altro più al sicuro dalle acque del Brenta. Può darsi anche che i monaci abbiano pensato al servizio spirituale degli abitanti di Tezze, i quali fino alla fine del Quattrocento “non potevano ascoltare messe e divini uffici e ricevere i sacramenti” se non recandosi “a Bassano o alla chiesa di Cartigliano o alla chiesa e monastero di Santa Croce di Cittadella24 con loro grave incomodo e danno”25. Sicuramente possiamo dire che l’attuale chiesa di Santa Lucia fu costruita nel terzo decennio del Cinquecento; infatti, durante i restauri del 1992, nella pietra di fondazione venne ritrovata una “osella”, cioè una moneta d’argento del doge di Venezia Andrea Gritti, eletto nel 1523. Il 17 ottobre 1536 don Mattia, priore di San Fortunato, diede incarico a Francesco il Vecchio, padre di Jacopo da Ponte, di affrescare le pareti, l’arco trionfale e l’abside della chiesa. I dipinti furono eseguiti dal grande Jacopo stesso e costituiscono una importante testimonianza della sua prima produzione ad affresco26. Finalmente la pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

chiesa, splendidamente affrescata all’interno e all’esterno, viene affidata dai monaci di San Fortunato ad un religioso eremita, Pre’ Giacomo Grisan, cui vengono consegnate in Santa Lucia “poche cose, povere, tali da destare la devozione e la fiducia: un calice con la coppa d’argento e rame, una patena d’argento, un corporale, una pianeta, un Messale romano con borchie d’argento, due candelieri di ferro, altri di legno, un pallio di tela con fiori azzurri, una campana…”27. E poi? Probabilmente il destino di Santa Lucia nuova fu legato ancora a quello di San Fortunato, e ne seguì la decadenza causata dagli avvenimenti tristi del Seicento: la carestia e la peste terribile che colpì, tra il 1630 e il 1631, l’Italia e che infierì anche su Bassano, il terremoto del 1695... Infine ne ritroviamo traccia nel 1787, quando, nel resoconto di una visita pastorale a Tezze, si definisce la chiesa di Santa Lucia “oratorio pubblico dei monaci di Santa Giustina di Padova sotto la invocazione di Santa Lucia. Non ha obbligo di messe”28. Nel 1867 la chiesa era ancora in funzione, poi venne tramutata in una casa colonica, identificata come quella delle Statue e di essa si perse anpag.

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che il nome finché, dopo la guerra, fu rintracciata da Giuseppe Cappello, ispettore onorario ai monumenti, sulla guida di un libriccino di conti tenuto dal pittore Jacopo da Ponte e scoperto dal professor Michelangelo Muraro. Finalmente restaurata, riapparvero gli affreschi del grande artista e soprattutto quello dell’abside, il più bello e conservato. Come dice Gisla Franceschetto con grande sensibilità, “i colori sono di pura gemma, la composizione è grandiosa e solenne, la Vergine avvolge il Bambino in un amplesso che le linee definiscono con tenerezza, sopra sta lo Spirito Santo e ai lati i quattro Santi intorno ai quali si è svolta la storia della chiesa: San Benedetto, Santa Lucia, San Fortunato e Santa Giustina. Hanno la maestosa dignità di ambasciatori di un altro mondo e i colori alternati delle vesti chiare e scure, danno risalto alla scena di questa pittura fra le più fresche e splendenti di Jacopo Bassano”29. La chiesa di Santa Lucia, riaperta al culto, rimane così tuttora preziosissima testimonianza dell’indimenticabile glorioso passato dell’antico monastero; a noi e a chi verrà dopo di noi il compito di mantenerla integra e viva.


CAPITOLO 2

Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

NOTE AL CAP. 2 7. V. D. M. Rossi, op. cit. 8. V. D. M. Rossi, op. cit. e G. Franceschetto, Santa Lucia di Brenta, in Appunti di storia - 1990.

9. Siamo grati al prof. Alberto Golin per averci segnalato copia del documento, riportato al n. 3960 nel vol. V degli Annali di Cluny pubblicati dal Governo francese e citato da Diego Sant’Ambrogio in Nuovo Archivio Veneto, N. S., XIII, 141, 1907. 10. Fino al 1147 (anno in cui venne firmata la pace di Fontaniva, dopo una sanguinosa guerra che aveva coinvolto dapprima Vicenza e Padova e poi Verona, Treviso, Conegliano e Ceneda) il territorio del Comitato Trevigiano arrivava sicuramente fino al Brenta. Padova invece comincia ad allargare i suoi confini verso la fine del XII sec. (Battaglia di Carmignano, 1198). 11. Attingiamo molte delle notizie qui riportate dagli studi su Santa Lucia di G. Franceschetto, in: Cittadella. Saggi storici Lions Club – 1990, pp. 41-42. 12. Ringrazio vivamente il prof. Sante Bortolami per avermi comunicato il frutto delle sue ricerche sull’argomento, in parte ancora inedite. V. S. Bortolami, La difficile “libertà di decidere” di una città mancata: Bassano nei secoli XII-XIII, in Giornata di studi di storia bassanese in memoria di Gina Fasoli, (Bassano del Grappa, 23 ottobre 1993), “Bollettino del Museo civico di Bassano”, 13-15 (1992-94), pag. 35-36. 13. V. S. Bortolami, “Callidissimus exactor in pecunia congreganda”. Gli uomini e le finanze di Ezzelino da un documento del 28 giugno 1255, in corso di stampa nella Miscellanea di studi in onore di Valerio Seneca.

14. Bisogna ricordare fra l’altro che, agli inizi del Trecento, il Papato stesso conobbe una grave crisi e la sede papale fu spostata,dal 1309 al 1378, da Roma ad Avignone. 15. Si tenga presente che il corso del Brenta è sempre stato estremamente instabile e talora ha subito radicali mutamenti. 16. V. D. M. Rossi, op. cit., pag. 77. 17. V. G. Franceschetto, Appunti di storia, 1990. Si veda anche: San Fortunato 1879-1979 (Centenario della Festa Votiva) Pubblicazione a cura del Comitato per la Festa Votiva di San Fortunato 7-8 ottobre 1979. 18. “Enfiteusi” è il diritto per il quale si gode di un fondo altrui con l’obbligo di migliorarlo, dietro pagamento di un canone al concedente. 19. Nicolò da Ferrara rimase a San Fortunato fino al 1450, poi si recò presso la prima chiesetta di Monte Berico, costruita nel 1428 e là condusse vita da eremita. Il 4 novembre 1450 il convento di San Fortunato fu annesso a quello di Santa Giustina di Padova che lo governò con un priore e poi con un rettore fino a che fu soppresso da Napoleone nei primi anni dell’800. V. G. Mantese, Scritti scelti di storia vicentina Vol. I - Ist. per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa, Vicenza - 1982. 20. F. Repele, Il Beato Bertrando di Fontaniva, Tip. Giuliani (VI) 1943. 21. D. M. Rossi, op. cit., p. 395. 22. V. Mantese, op. cit., vol. II, p. 250. 23. “Territori di Cittadella, dai molini sotto Santa Croce Bigolina lungo la roggia per Fontaniva fino al Brenta. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Autore: Lorenzo Giavarina per. ord. e Zambattista Panatta per. str. Supplicante: Andrea Cappello…” Arch. Stato - Venezia.

24. Qui ci si riferisce al monastero dei Francescani fondato nel 1460 da Battista Bigolino. 25. Tezze diventa parrocchia nel 1490, ma i parroci di quel tempo erano spesso assenti e poco attivi sotto il profilo pastorale, tant’è vero che già nel 1532 la chiesa parrocchiale di Tezze è in stato di abbandono. V. E. Reato, Aspetti e momenti di vita religiosa a Tezze sul Brenta, in “Una terra, un fiume, una comunità” I. S. G. Vicenza - 1990. 26. V. G. Ericani, Sulle tracce di Jacopo Bassano, Bibl. Civ. di Bassano.

27. V. G. Franceschetto, Cittadella: Saggi storici… 28. Archivio Curia di Vicenza, Visitationum, b. 20/0572. 29. V. G. Franceschetto, Appunti di storia…

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Castelli e villaggi lungo il Brenta, nell’alta pianura veneta. Dal prezioso schizzo risalente al 1440 emerge tutta l’importanza strategica del fiume Brenta in un’area di confine lungamente contesa tra Padova e Vicenza. A destra, addossati alle montagne, i centri murati di Bassano, Marostica e Romano.

CAPITOLO 2

Il Monastero di Santa Lucia di Brenta

In prossimità del Brenta e delle sue diramazioni si notano la fortezza di Canfriolo, eretta dai padovani nel 1191, Fontaniva, anch’essa sede di un castello e di un “passo”sul fiume e Carmignano (al centro sopra le “mottarelle”), antemurale fortificata vicentina. Da notare anche l’esistenza di insediamenti non difesi (Camazzole, Friola, Cartigliano), talora raggruppati intorno a chiese: l’ospedale del Brenta, la chiesa delle Fratte, il monastero di Santa Lucia. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

A destra: l’”osella” d’argento del Doge Andrea Gritti risalente al 1523 ritrovata nella pietra di fondazione dell’attuale chiesetta di Santa Lucia di Brenta durante i restauri del 1992 e conservata presso il Comune di Cittadella. In basso: l’esterno dell’attuale chiesetta di Santa Lucia affrescata da Jacopo Bassano detto il “Da Ponte”. Nella pagina seguente: l’interno della chiesetta con l’abside in cui l’affresco del Da Ponte rappresenta San Benedetto, Santa Lucia, San Fortunato e Santa Giustina.

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CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: suggestiva vista notturna della maestosa cinta fortificata di Cittadella edificata nel 1220 dal Comune di Padova (foto archivio Biblos).

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uesto non è un libro di storia generale ma, prima di parlare dei Bigolini, qualcosa dobbiamo pur dire sugli avvenimenti che interessarono il nostro territorio e che, poco o tanto, coinvolsero anche Santa Croce; questo ci aiuterà, fra l’altro, a capire meglio la nostra “piccola” storia. Abbiamo visto che, durante il Medioevo, per essere meglio difesa e poter lavorare i campi con una certa tranquillità, la gente si raccoglieva attorno a centri fortificati o, dove questi non c’erano, presso i monasteri, come nel caso di Santa Lucia. In tempo di pace, i castelli, nelle nostre campagne, avevano anche la funzione di aziende agricole. Oltre alla dimora del feudatario, vi si trovavano le abitazioni dei dipendenti e i granai, le cantine, le stalle. Infine non mancava mai, dentro le mura, la chiesa, che in epoca più tarda diventerà spesso parrocchiale30. Vicino a noi sorgevano molti castelli, costruiti o da potenti famiglie o dai governi comunali delle città per difendere i confini: oltre che a Fontaniva, se ne trovavano a Carmignano31, a Canfriolo32, presso Grantorto, a Carturo, a Onara, possesso degli Ezzelini. Nel 1220 poi fu costruita la città murata di Cittadella, per decisione del Comune di Padova che

CAPITOLO 3

Il nostro territorio dal secolo XIII al domino di Venezia

voleva proteggersi da Castelfranco. Nel sec. XIII le nostre zone risentirono le tristi conseguenze delle distruzioni e dei saccheggi provocati da Ezzelino III da Romano33. Questi, dopo essersi impadronito di Verona e Vicenza, entrò in Padova esercitandovi una spietata tirannia per una ventina di anni. Nel frattempo si era impossessato anche dei castelli e dei poderi della nostra zona, da Carmignano a Fontaniva, da San Piero in Gu a Santa Lucia di Brenta34. Egli riuscì ad attirarsi tanto odio che, quando morì nel 1259, padovani, vicentini, veronesi, trevisani e friulani, una volta tanto uniti, presero suo fratello Alberico da Romano, sua moglie e i loro otto figli e li misero barbaramente a morte, squartando i maschi e bruciando le femmine; poi rasero al suolo tutti i castelli e le dimore della famiglia maledetta. A Cittadella, Ezzelino fece costruire la Torre di Malta, che egli utilizzò come prigione, ricordata anche da Dante nella “Divina Commedia”, dove trovarono orribile morte molti suoi avversari. Gli echi delle sue scelleratezze dovettero risuonare vivi anche a Santa Croce. Infatti è tuttora ben visibile, sul soffitto della chiesa, un dipinto (il primo entrando) che raffigura Sant’Antonio nell’atto di pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

rimproverare il tiranno; ma, a quanto sembra, neppure lui riuscì a convertirlo. Non tutto, ovviamente, fu negativo nel corso del Duecento. La nascita di nuovi ordini religiosi e l’opera di grandi Santi quali San Domenico, San Francesco e Sant’Antonio, rinnovarono gli ideali di vita cristiana e lasciarono un segno profondo anche nella nostra gente. Ricordiamo che la nostra chiesa parrocchiale nacque francescana, così come francescani furono i frati che abitarono il convento fondato da Battista Bigolino. Nel 1222 viene fondata anche l’Università di Padova, che diverrà centro culturale di grande richiamo internazionale. Migliorò pure l’agricoltura; in seguito alla costruzione degli argini del Brenta, fu possibile lavorare nuovi terreni35. Ma la storia, si sa, non ha sempre un percorso lineare, spesso a causa degli uomini. Ed ecco che nel sec. XIV torniamo alle crisi politiche, ai conflitti sociali, alle guerre aggravate da carestie e pestilenze, la più grave delle quali, nel 1348, uccise ben venticinque milioni di persone in tutta l’Europa, un numero impressionante per quei tempi. E da noi? Le nostre comunità continuano a risentire delle lotte incessanpag.

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ti fra Trevisani, Padovani e Vicentini, acerrimi nemici da sempre. Non è facile riassumere brevemente le complicate vicende di questo periodo e forse non è qui neppure il caso di farlo. Ci limiteremo quindi solo ad alcuni indispensabili accenni. Nel 1310 scende in Italia dalla Germania l’imperatore Arrigo VII, deciso a ripristinare il suo potere sulle città italiane imponendo un Vicario imperiale. A Vicenza egli nominò Cangrande I della Scala, signore di Verona. I Padovani furono dapprima costretti a sottomettersi e ad accettare il vicario imperiale ma, dopo l’improvvisa morte di Arrigo VII nel 1313, si ribellarono a Cangrande. Questi, nel 1317, sconfisse i Padovani, occupando le loro piazzeforti, compresa Cittadella e Fontaniva e giungendo fino alle porte di Padova, che si affidò allora al nobile Giacomo da Carrara. Egli concluse una pace onorevole con Cangrande il quale però, tradendo i patti, riprese a saccheggiare Bassano, Cittadella e Carmignano e infine riuscì ad entrare in Padova, passata in suo possesso insieme con Verona, Vicenza, Feltre, Belluno e Treviso. Morto improvvisamente Cangrande, la potenza scaligera cominciò a declinare, mentre si rafforzò quella dei Da Carrara il


CAPITOLO 3

Il nostro territorio dal secolo XIII al domino di Venezia

cui stemma, l’aratro a quattro ruote, si può ancora vedere sulle pareti sud del torrione di Porta Bassano e della Torre di Malta a Cittadella36. All’interno di tutti questi avvenimenti, ce n’è uno che riguarda da vicino Santa Croce. A complicare ulteriormente le cose, nel 1356 re Luigi d’Ungheria viene in Italia per vendicarsi dell’assassinio del fratello Andrea per opera della moglie, Giovanna I, regina di Napoli; intanto occupa Asolo, Serravalle e Conegliano e assedia Treviso, dominata ora dai Veneziani. Ne nasce naturalmente la solita guerra tra gli Ungari e i Veneziani, ma Luigi entra in territorio vicentino senza incontrare resistenza, anzi annienta un corpo di mercenari tedeschi assoldati dai Veneziani che attendevano, proprio qui da noi, l’abbassarsi delle acque del Brenta per portare soccorso a Treviso37. L’episodio è riferito dal Salomonio38 fra le notizie e le iscrizioni riguardanti Santa Croce: “Qui oltre la Brenta incontrate da alcune Truppe Ongare le militie, che in aiuto de Venetiani venivano per soccorrer Trivigi strettamente assediato dal Re d’Ongaria assistito dal Carrara, furono improvvisamente assaliti, la più parte ammazzati, et il

resto fatti prigioni”. Come si vede, anche il nostro paese, pur ai margini della storia, non era esente da battaglie e saccheggi. Ma concludiamo. Siamo alla fine del Trecento: Scaligeri, Carraresi, Visconti di Milano, Veneziani si sono alleati, combattuti, riappacificati, traditi; eccone i risultati: nel 1387 Verona e Vicenza passano sotto i Visconti, che nel 1388 occupano anche Padova, Belluno, Feltre e Bassano. Nel 1390 Francesco Novello da Carrara riconquista Padova. Ora i nemici sono Venezia e i da Carrara, diventati troppo potenti. L’ultima guerra tra i due si conclude nel 1404, con la vittoria di Venezia, che in breve espanderà il suo dominio su tutto il Veneto, fino al 179739. Adesso è giunto il momento di soffermarci sui Bigolini, fedeli servitori di Venezia, che proprio nel Quattrocento diventeranno una fra le più note e ricche famiglie della nobiltà padovana e cittadellese.

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LA LEGGENDA RITROVATA

NOTE AL CAP. 3 30. V. G. Franceschetto, La società feudale in territorio di Cittadella, in “Saggi storici… ”. 31. V. A. Nodari, Storia di Carmignano, Abbazia Pisani - 1986.

32. V. Grantorto, a cura di Sante Bortolami Landitalia S.a.s. Cadoneghe - 1997. 33. Gli Ezzelini erano di stirpe germanica. Dapprima stabilitisi ad Onara, presero in seguito il nome “da Romano” da un loro castello che si trovava nel luogo ancor oggi chiamato Romano d’Ezzelino. 34. V. Grantorto, a cura di Sante Bortolami p. 18. 35. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 169. 36. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 188 e seguenti V. A. Nodari, op. cit., p. 64 e seguenti. 37. V. A. Nodari, op. cit., p. 71. 38. V. F. J. Salomonio, Agri patavini inscriptiones sacrae et prophanae, Patavii 1696.

39. V. A. Nodari, op. cit., p 72 e ss.

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A destra: lo stemma dei Carraresi affrescato sulla Torre di Malta a Cittadella. Dopo la Croce del Comune di Padova e prima del Leone di San Marco rappresentò la potente Signoria che dominò il nostro territorio nel Trecento (foto archivio Biblos).


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LA LEGGENDA RITROVATA

Sullo sfondo di un corteo nuziale degli anni ‘60 si staglia la parte est dell’antica dimora dei Bigolini, oggi trasformata nell’abitazione privata visibile nel riquadro a fianco. pag.

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CAPITOLO 4

I Bigolini

L

a famiglia dei Bigolini40 ha origini nel territorio trevisano, intorno alla metà del Trecento. In realtà essi venivano chiamati, all’inizio, “de Mainardis” ed il primo ad entrare sulla scena della storia fu Victor (o Vittore) de Mainardis, come racconta un cronachista medioevale suo contemporaneo. Poiché risiedevano a Bigolino, paese che si trova presso Valdobbiadene, presero più tardi la denominazione “de Bigolino” o anche “Bigolin”, che poi diventò il loro cognome. Victor non aveva probabilmente problemi economici, dato che poté studiare e diventare dottore in legge. Trasferitosi a Padova, fu professore di figli di nobili famiglie e nel 1424 risulta ancora esercitare la professione, seppur facoltoso. Si può pensare che egli abbia voluto, attraverso l’insegnamento, cominciare a conoscere l’ambiente per avere la possibilità di introdursi tra la nobiltà padovana. Infatti, usando la sua viva intelligenza e la sua parlantina ma anche il suo senso pratico e la sua abilità, riuscì a sposare una donna ricchissima e a diventare ancor più ricco, investendo il suo capitale in case e terreni a Padova.

Battista Bigolino Suo figlio fu quel Giovanni Battista Bigolino a cui abbiamo più volte accennato e a cui dobbiamo la creazione di Santa Croce. Egli preferì trasferirsi da Padova nella campagna cittadellese, costruendo qui, nel nostro paese, allora chiamato ancora Santa Lucia di Brenta, una casa fortificata, in località Volto41. Da qui G. Battista poteva controllare i suoi possedimenti e riscuotere anche i pedaggi di chi voleva attraversare il Brenta o si recava a Tezze42. Poi, come erano solite fare tutte le nobili famiglie, Battista fece edificare la chiesa, all’inizio cappella privata a cui potevano accedere comunque anche i contadini per le funzioni religiose. La chiesa, dedicata alla Santa Croce, fu consacrata il 31 agosto 1415. L’avvenimento è ricordato da una lapide con lettere dorate che si trova sulla parete destra dell’abside. Vi si legge: “CONSECRATIO HUIUS ECCLESIAE CELEBRATUR DIE XXXI AUGUSTI ANNO DOMINI MCDXV”. Poco più tardi Battista fece costruire anche un convento che, nel 1460, fu donato insieme con la chiesa ai Frati Minori Osservanti (v. cap. 5). G. Battista era un personaggio davpag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

vero importante, come testimoniano molti documenti. Il 26 gennaio 1444 gli scrisse una lettera addirittura papa Eugenio IV43. Intanto, l’anno precedente, Franceso Foscari, doge di Venezia, aveva concesso “al Priore e ai frati del monastero di San Fortunato di Bassano e di Santa Lucia di Brenta, che hanno nel distretto di Cittadella alcuni boschi e una campagna che viene detta campagna di Santa Lucia, nella quale ci sono alcuni prati e pascoli dai quali ricavano poca anzi quasi nessuna utilità”44 di dare a livello perpetuo i detti terreni per undici ducati annui, con la possibilità per il livellario di acquistarli ed affrancarli. Poco più tardi, il 5 settembre 1443, anche il Vescovo di Vicenza, Francesco Malipiero, concedeva a Nicolò da Ferrara, rettore dei monasteri di San Fortunato e di Santa Lucia, di cercare due “livellarii”45 che accettassero in livello perpetuo “i prati, i boschi, i pascoli, le terre coltivate e i molti altri possedimenti” di Santa Lucia di Brenta, “pagando ogni anno… quattordici ducati d’oro nella festa di Santa Giustina di Padova”46. I due livellarii furono trovati. Uno era Giovanni Malipiero di Venezia, nipote pag.

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del Vescovo di Vicenza, l’altro appunto Battista Bigolino. Il 30 dicembre 1444 Nicolò da Ferrara, “in qualità di rettore, governatore e amministratore dei monasteri di San Fortunato fuori territorio di Bassano e di Santa Lucia di Brenta del distretto di Cittadella uniti insieme, avendo… licenza e potestà… dal serenissimo e illustrissimo Doge signore delle Venezie… e dal Reverendissimo in Cristo… Francesco Malipiero, Vescovo di Vicenza per grazia di Dio e della Sede Apostolica, conferì il possesso al nobile uomo Ser Battista de Bigolino, figlio del signor Vettore di Padova… per lui e per i suoi eredi… di tutti i singoli boschi, terre coltivate, prati, pascoli di pecore e di qualsiasi genere di animali e ghiaie spettanti e pertinenti al monastero di Santa Lucia di Brenta sopradetto e con tutte le giurisdizioni, le potestà, le acque e i diritti che aveva il detto monastero, così che il nominato livellario possa, tanto lui quanto i suoi eredi, costruire e far costruire i mulini, le seghe ed ogni altro edificio… e con il diritto di cacciare, pescare… e di fare ogni altra cosa che poteva fare il detto monastero… ”. I confini della proprietà erano questi: “a mezzogiorno la via detta


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Postumia fino al Brenta grande” (cioè il ramo principale) “a mattino la campagna di Fratta, a monte il Comune di Bassano, a sera il Brenta grande… Poi diede in possesso a ser Battista un’altra pezza di terra coltivata, che è detta terreno spinato posta ai confini di Fontaniva in contrada della Postumia e possono essere circa cento campi, cui è adiacente a mattina la strada per la quale si va da Cittadella a Bassano, a sera la via dei roveri e il Comune di Villa Fratta47, a mezzogiorno la via Postumia…”48. Battista si trovava, in questo modo, proprietario di un vasto territorio che, a nord della Postumia, si estendeva dal Brenta ai confini con il bassanese e con Cittadella. Il possesso di tutte queste terre gli venne solennemente confermato con una lettera di papa Callisto III del 1° aprile 145649. Nel 1460 G. Battista venne nominato cavaliere, titolo che veniva subito dopo quello di nobile. Più tardi, ormai in età matura, si trasferì da Santa Croce a Padova e nel 1477 venne eletto deputato di questa città. Intanto si era sposato due volte ed aveva avuto sei figli: Vettore, Alessandro, Raffaele, Anzolo, Girolamo e Conte50. Dall’atto notarile con cui

G. Battista emancipa i figli Vettore ed Alessandro, si ricava l’elenco dei beni spettanti all’uno o all’altro. A Vettore toccava una casa di muro e legname, coperta con coppi, nella terra di Cittadella, con annessi corte, orto, pozzo e recinto per cavalli; inoltre poteva contare su parecchi altri poderi a Villa del Conte e su diversi fondi di terra arativa e prativa, uno dei quali comprendeva ben 200 campi. Come il fratello, Vettore era obbligato a conservare i beni immobili e a trasmetterli, dopo la morte, ai figli maschi e questo per conservare la ricchezza della famiglia51. Alessandro Bigolino Ma soffermiamoci ora sul più noto ed illustre rappresentante della famiglia, Alessandro Bigolino. Nato nel 1448, quando fu sciolto dalla patria potestà aveva 24 anni. Il padre gli lasciò in eredità un possedimento in Villa di Santa Lucia di ben 1500 campi; erano le terre del monastero e infatti egli doveva pagare per queste in favore del convento di San Fortunato 7 ducati e 20 piccoli52. Gli toccarono pure 14 campi a Fratta, 100 campi di vigne a Cittadella e, come a Vittore, 35 vacche e due mandrie di cavalli. pag.

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A Padova poi ebbe tre case, ma preferì risiedere definitivamente a Santa Croce. Gli scrittori suoi contemporanei lo ricordano come un grande comandante. Fin da giovane infatti si diede alla carriera delle armi, servendo fedelmente Venezia, riportandone onori ed ottenendo l’ambìto titolo di Cavaliere. Ritirandosi dalla milizia, pensava forse di vivere il tempo che gli restava nella tranquillità campestre di Santa Croce, famosa in quei tempi per l’aria sana e i vini squisiti. Ma il destino aveva deciso altrimenti e Alessandro si trovò, a ben 60 anni, ad essere una determinante pedina nella cruenta partita che si stava per giocare nello scacchiere europeo. Del ruolo di Alessandro in questi avvenimenti parla ampiamente lo storico Giovanni Attilio Zanon53, agli scritti del quale ci riferiremo. Lo Zanon d’altra parte ha attinto le sue informazioni da uno scrittore veneziano del Cinquecento, Marin Sanudo (1466 - 1536), il quale era un osservatore privilegiato degli eventi contemporanei, poiché rivestì più volte cariche importanti negli organismi di governo della Serenissima Repubblica. Sanudo riporta minuziosamente pag.

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i fatti accaduti giorno dopo giorno, dal 1496 al 1533, nei suoi Diari, facendo numerosi riferimenti alla parte svolta da Alessandro Bigolino. Dalla cronaca del Sanudo abbiamo preso alcuni particolari inediti non riportati dallo Zanon. Ma torniamo alla nostra storia. Che cosa era accaduto? Venezia si stava estendendo troppo e questo preoccupava papa Giulio II; egli allora riunì contro il Leone di San Marco l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo, la Spagna, la Francia, i Savoia ed i Gonzaga, che formarono la Lega di Cambrai. La guerra era inevitabile. Venezia radunò a difesa tutti i suoi sudditi fedeli e richiamò in servizio il valoroso generale Bartolomeo D’Alviano, il quale riusciva il 10 maggio 1509 a respingere oltre l’Adda i Francesi. Ma il 14 maggio la Serenissima subì una gravissima sconfitta ad Agnadello, che gettò Venezia nel più grande sconforto e determinò il voltafaccia di molti suoi sudditi. Fra i traditori anche Pandolfo Malatesta, podestà di Cittadella54, che dopo la conquista di Padova da parte delle truppe imperiali, per conservare il potere, aveva ceduto la podesteria ai nemici asburgici.


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Ma a Cittadella pochi accettarono il tradimento e in particolare si ribellarono le Ville della podesteria esterna55, di cui faceva parte anche Santa Croce. Nel luglio 1509, Alessandro Bigolino raduna le truppe formate dai contadini che, stanchi delle continue prepotenze, erano venuti da ogni parte del distretto, e corre all’assalto di Cittadella per scacciare il Malatesta. Questi, costretto ad ingaggiare battaglia, viene clamorosamente sconfitto e a malapena riesce a ritirarsi all’interno delle mura. Nella notte, però, con un piccolo seguito, fugge, lasciando la difesa del castello al suo luogotenente, l’avventuriero Almerico di Sanseverino e ad una guarnigione di 500 fanti spagnoli. Intanto, verso la fine di luglio, Alessandro e due patrizi tentano di farsi consegnare una delle porte di Cittadella, corrompendo uno dei guardiani, ma il tentativo non riesce. Il Bigolino allora si reca a Venezia a chiedere aiuti; gli vengono concessi dapprima 100 cavalli leggeri e 200 fanti e poi, ai primi di agosto, altri 300 cavalli e 500 fanti. Egli poteva ora contare su quattromila abitanti della podesteria da lui sollevati e mantenuti a proprie spese, senza tuttavia mai rivendicare per sè

il dominio di Cittadella. Ma adesso le cose si complicano per Venezia. Il marchese Gonzaga di Mantova muove verso Verona per congiungersi con le forze francesi, mentre l’imperatore stesso attraversa le Alpi per riconquistare Padova. L’ex podestà di Cittadella, Pandolfo Malatesta, è pronto a corrergli incontro e a dichiararsi suo servitore. Nel frattempo le milizie imperiali si ammassano verso Bassano e Cittadella, mettendo a ferro e a fuoco il territorio; poi, arrivato l’Imperatore, tutto il campo tedesco e francese si muove per espugnare Padova. Il Malatesta viene incaricato di impedire che il territorio cittadellese venga ripreso dai Veneziani. Comincia l’assedio di Padova, difesa dal provveditore della Serenissima Repubblica Andrea Gritti, che più tardi diventerà Doge. A dar man forte ai Padovani accorre da Vicenza anche Alessandro Bigolino, con la sua cavalleria leggera. Si alternano i combattimenti, si rincorrono le voci. Agli inizi del settembre 1509 il cognato di Vincenzo Balbi, podestà di Padova, gli scrive di aver sentito che Alessandro aveva preso a Curtarolo Pandolfo Malatesta, ma la notizia non è vera. Poi un brutto colpo per il Bigolino. pag.

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L’11 settembre giungono a Venezia lettere da Padova, con le quali si informa che i nemici erano giunti fin verso Bovolenta e Roncaiette “dove su la Brenta era domino Alessandro Bigolin con 200 balestrieri et molti villani. E perché i nemici veneno con artilarie… messeno in fuga i nostri, et cussì a guazo passono la Brenta vecchia”. Dopo la ritirata, mancano all’appello 34 balestrieri a cavallo “tra i qual il fiol di Alessandro Bigolin… et non sanno si sieno vivi o feriti”56. Ma alla fine Venezia ha la meglio, Padova è liberata e l’Imperatore, inseguito dalle beffe popolari dei cittadini e degli studenti padovani, decide di abbandonare l’Italia. Purtroppo il 7 ottobre una parte dell’esercito tedesco, per vendetta, entra a Cittadella e la saccheggia uccidendovi molti abitanti. Finora il territorio cittadellese ne aveva passate davvero tante: prepotenze continue da parte degli Spagnoli o dei Tedeschi che vi stavano di presidio o vi passavano, saccheggi, incendi, vessazioni, tasse. Adesso però sembrava il momento della speranza. Alessandro Bigolino ritiene giunta l’occasione di liberare Cittadella. Cerca il sostegno di Piero Marcello, provveditore di Noale, il quale è d’accordo, però non vuole pag.

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affrontare l’impresa senza il consenso del capitano e dei rettori di Padova e il 23 ottobre scrive a Venezia che Cittadella si può conquistare… “con el mezo de domino Alexandro de Bigolin… che l’intrerà in Citadella et tajarà a pezi tutti li todeschi che lì se atrovano, che sono, per quanto intendo, de zercha 300; e che, poi intrato che ‘l sia… lui se offerisse mantegnirla a tutte sue spese senza altra spesa di la Signoria nostra, pur che ‘l sia subvenuto de 4 pezi de artellarìa…”57. Venezia e Padova danno risposta affermativa, ma sul più bello, il Malatesta, eludendo la sorveglianza del Marcello e col favore della notte, passa il Brenta a Bassano e con cento dei suoi rientra a Cittadella. Siamo agli inizi di novembre e anche Alessandro Bigolino ha un momento di scoraggiamento, tanto che a Venezia gira la voce che “pare… habi refudà la compagnia. Non vol far più el mestier dil soldo (= del soldato)”58. Tuttavia, chissà per quale suo progetto, dopo pochi giorni il Malatesta parte da Cittadella, per rientrarvi il 19 novembre. Questa volta il Bigolino, ripresa in mano la situazione, decide di farla finita sul serio. Si mette a capo di duemila abitanti insorti, in soccorso dei quali giunge


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anche il provveditore di Castelfranco. Adesso veramente il traditore e i suoi sono costretti alla resa e alla fuga, inseguiti da Alessandro, che scrive a Venezia che “è a la Rosà vicino a Bassan et dimanda fanti e ajuto dicendo “Son vostro servitor al nome dil diavol, si vollè o no, e presto presto mandeme zente che haverò Bassan”59. E qui si sente la rabbia del condottiero che vuol far capire a Venezia che con qualche soldato in più avrebbe potuto chiudere finalmente la partita. Ma l’importante era che, dopo sei mesi di calvario, la comunità cittadellese era libera e il 26 novembre 1509 le squadre del Bigolino potevano entrare trionfanti a Cittadella, dove la bandiera di San Marco tornò a sventolare, salutata dal suono festoso di tutte le campane, mentre nel Duomo di San Prosdocimo si cantava un solenne Te Deum. Intanto però, nel ritirarsi, le truppe imperiali avevano fatto grandi danni a nord di Cittadella e nel bassanese, in particolare a Rossano, i cui abitanti si erano messi a disposizione di Alessandro. Egli allora si rivolge al governo di Venezia per impetrare aiuto per loro: “1509 adì 12 decembrio Cittadelle. Sia noto à chadauna persona como

io Alexandro de Bigolin facio fede como la villa de Rossan è stata tutta sachezata de bestiame pane vino, et strame, et morti homeni, et ha habuto grandissimo danno, et à quella se die’ haver misericordia, et darli ogni favor per esser loro fidelissimi della illustrissima Signoria nostra, et per haverli provati alli bisogni sui alli tempi de’ Spagnoli, li quali venero con le lor arme de mia compagnia, et anche de’ Todeschi, et per il suo bon valor meritano piacevoleza, et bene verso à questo Stado, al qual io li aricomando humilmente”60. Purtroppo la guerra non era finita. Le alleanze fra gli Stati si facevano e disfacevano, a seconda della convenienza del momento. Ora è il Papa che fa la pace con Venezia e stringe alleanza con la Spagna, ora è Venezia che si allea con i Francesi. Gli avvenimenti si accavallano e si ripercuotono nuovamente su Cittadella e sul nostro territorio. Momenti di terrore, di difficoltà e di miseria si alternano a pochi periodi di relativa tranquillità. In tutto questo, il nostro Alessandro continua ad avere una parte di primo piano. Nel 1510, ad esempio, duemila fanti tedeschi, approfittando del fatto che le truppe veneziane avevano lasciato pag.

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sguarnita Cittadella, calarono da Bassano per depredarla. Si fece loro incontro allora Alessandro Bigolino che, dopo averli sconfitti, li costrinse a ritirarsi e quindi riconquistò Bassano. Intanto il nuovo podestà di Cittadella, Gregorio Pizzamano, chiese ed ottenne da Venezia l’affidamento ad Alessandro della difesa della città murata. Come ricorda il Sanudo, il 25 maggio 1510, “fo commesso a domino Alessandro Bigolin il governo e cura dil loco di Citadella, sichome si oferse voler far”61. A rinforzo del presidio giunsero trecento cavalleggeri e persino un contingente turco il quale però, più che d’aiuto, creava scompiglio con devastazioni giornaliere, aggiungendosi alle scorrerie dei nemici che, da Vicenza, si spingevano frequentemente nella podesteria di Cittadella. Il 29 maggio 1510 questi trovarono sulla loro strada il Bigolino e i Turchi, che li sconfissero. Ma Pandolfo Malatesta, lo scacciato podestà, voleva vendicarsi dello scacco subito e riprendere Cittadella. Quando le truppe nemiche si trovavano ormai a non più di tre miglia, Alessandro chiese rinforzi alla Serenissima, che gli inviò ben 4000 cavalieri, 200 cavalleggeri e 1000 fanti. Dopo qualpag.

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che tempo, tuttavia, Venezia dovette richiamare queste forze su un altro fronte e decise di abbandonare Cittadella al suo destino, mentre il Senato veneto dava ordine di sfondare le botti e di spargere il vino, per non lasciarlo ai nemici. Alessandro si rifiutò di farlo, mandando a dire ai senatori che “è mal, perché gli homeni e chi resta morirano senza vin et è meglio morir combatendo che da malatie”62. Queste ed altre vigorose parole convinsero i governanti veneziani a difendere quella terra tanto fedele, tanto che fu comandato ai provveditori del campo militare di soccorrere Cittadella e fu concesso al podestà Pizzamano di rifornire il castello di vino e di frumento. Ma i duemila ducati chiesti dal Bigolino per mantenere le truppe e i cittadini non furono inviati. Nel frattempo donne e bambini furono mandati al sicuro, in attesa del nemico, che finalmente si presentò con un numero così sovrabbondante di soldati, che Alessandro Bigolino e il podestà Pizzamano dovettero ritirarsi a Padova e abbandonare Cittadella in mano ai francesi, capeggiati da Giulio di Sanseverino. Alessandro manda lettere a Venezia, lamentandosi di aver perso tutto l’an-


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no passato e anche questo e chiedendo che si provveda a lui. Il 25 luglio si reca personalmente a Venezia, dove viene accolto come “citadino fidelissimo” e finalmente ottiene 150 ducati. Intanto, non trovando di che nutrirsi, l’esercito francese si accampò tra Santa Croce e Rosà, occupando quindi Marostica, Bassano e la fortezza del Covolo. A Cittadella non rimasero che pochi nemici. Approfittando di questo, Alessandro Bigolino e il Pizzamano la riconquistarono, rientrandovi l’8 agosto 1510. In questo modo, dopo appena 24 giorni di occupazione francese, il vessillo di San Marco tornò a sventolare dalle torri ancora una volta e ancora una volta per poco, poiché appena un anno dopo ritroviamo Cittadella in mano ad un nipote del Malatesta, mentre il podestà Pizzamano dovette rientrare a Venezia. E di nuovo, il 22 settembre 1511, Cittadella torna alla Serenissima, mentre truppe tedesche e francesi, inseguite, verso la fine di ottobre attraversano il Brenta a Santa Croce e vengono sconfitte a Soave. Adesso Cittadella poteva stare un po’ in pace. Il podestà Pizzamano, processato per sospetto tradimento ma riconosciuto innocente, venne comunque

sostituito nell’agosto del 1512 da Zaccaria Contarini, che si dedicò a migliorare le condizioni della popolazione, facendo riprendere anche le attività della vita civile. Ma riesplode ancora la guerra. Il Vicerè di Napoli, Raimondo di Cardona, marcia contro Vicenza. Alessandro Bigolino e Zaccaria Contarini accorrono a difenderla, ma ogni resistenza è inutile e devono rientrare a Cittadella. Qui radunano foraggio, buoi e carri e, con mille uomini, si recano a Padova, per dar man forte alle truppe del grande capitano Bartolomeo d’ Alviano. Il Vicerè assedia la città per diciotto giorni, ma è costretto a ritirarsi. Allora, a capo di un esercito composto da 4000 Spagnoli, 2000 “schioppettieri” tedeschi e 1200 “Sguizzari”63, si avvia verso Cittadella, assalendola il 2 ottobre 1513. A difesa dei cittadellesi accorrono il podestà di Bassano e il provveditore di Treviso. Dopo sei ore di continua battaglia, gli assalitori sono costretti a ripararsi nelle case di borgo Bassano, poi iniziano la ritirata, molestati dai nostri, dirigendosi verso il Brenta a Fontaniva. Non potevano però attraversare il fiume da quella parte, poiché sulla riva pag.

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opposta stazionavano le artiglierie veneziane. Allora, come dice il Salomonio64, “non havendo li Spagnuoli e Tedeschi potuto passar la Brenta nelle parti di Cittadella in vicinanza di Fontaniva, per havere il Liviano General dell’essercito Veneto dall’altra riva del Fiume piantate molte Artiglierie per impedirgli il passo, quelli accortamente per qui” (cioè a Santa Croce) “passarono et entrarono nel Vicentino”, ripiegando poi verso Bassano. Tra tutte queste caotiche vicende, Alessandro Bigolino viene persino fatto prigioniero. A Venezia si rincorrono e si accavallano le voci della battaglia e della sua cattura. Il 4 ottobre 1513 il provveditore generale Andrea Gritti scrive al Senato da Treviso informandolo che i nemici stavano per conquistare Cittadella e hanno combattuto più di 6 ore, ma i cittadellesi si sono difesi “virilmente” e il podestà Contarini deve essere lodato per il suo coraggio. Il 3 e il 4 dello stesso mese giungono anche lettere da Andrea Loredan, provveditore generale in campo, che scrive dalle rive del Brenta a Fontaniva: “Ho aviso certo che Alessandro Bigolino… volendo intrar in Citadella, pag.

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è stà preso da i nimici”, i quali nella notte hanno passato la Brenta senza fare alcun rumore. Il podestà di Cittadella conferma entrambi i fatti e asserisce che Alessandro, ormai in mano ai nemici, “ven a le fosse, butandose in zenochioni” e pregando i cittadellesi di arrendersi che avrebbero avuti salvi gli averi e le persone e a lui sarebbe stata risparmiata la vita, “altramente li voleno taiar la testa”65. Dobbiamo pensare che Alessandro abbia pronunciato queste parole sotto la minaccia delle armi e infatti il podestà preferì non arrendersi, attenendosi agli ordini della Signoria Veneta, pur sapendo di mettere a rischio la vita del Bigolino. Ma questi aveva la pelle dura e seppe cavarsela anche questa volta. Infatti, appena sei giorni dopo, il 10 ottobre 1513, riuscì a fuggire e si nascose in una chiesa. Aspettò che tutti i nemici, passata la Brenta, se ne fossero ritornati a Vicenza e “poi andò per certa via e se inscontrò in alcuni cavali lizieri nostri, e lo tolseno in gropa e lo salvono e condusselo a Padoa; el qual subito dimandò un poco de pan, era stà un zorno e mezo non avìa manzà bochon; sichè questo scapoloe da i nimici”66. Così, come dice il podestà Contarini, si


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salvò Alessandro, definito con ammirazione “primario di Citadella e citadin padoan molto marchesco”. Intanto gli Spagnoli, sconfitti a Vicenza i Veneziani il 7 ottobre, divennero padroni di quasi tutto il Veneto, eccetto Padova e Treviso. L’indomito Alessandro corse allora a Venezia, per sollecitare la riscossa, facendo capire che, se si voleva salvare Padova, bisognava difendere Cittadella, oppressa e saccheggiata in tante guerre ed esentarla dalle tasse più gravose. Adesso però la minaccia più grave non erano le tasse ma il nemico: a Cittadella dominava il terrore, tanto che i più stimati cittadini si erano rifugiati a Padova e a Venezia; lo stesso podestà Contarini non osava più starsene dentro le mura, ritenendo più sicura la campagna, tanto più che il 18 ottobre Bassano era caduta in mano ai nemici. Venezia, agli inizi del 1514, inviò allora a Cittadella quale podestà un abilissimo soldato, Francesco Coco. Ma la situazione si faceva sempre più difficile e la difesa di Padova sempre più necessaria. A tutti gli abitanti di Cittadella fu imposto di contribuire alle spese di guerra senza riguardo per alcuno. Oltre alle nuove tasse, i cittadellesi dovevano sopportare anche le prepotenze di Bernardi-

no dell’Antignola, giovane condottiero inviato per difendere la città, ma che intanto faceva i comodi suoi, senza rispetto per nessuno, deridendo i contadini e chiedendo loro “latte di gru” e “zucchero garbo”. E il Bigolino? Perduti i suoi beni, mandata la moglie a Venezia, non cessava di tormentare con scorrerie continue il nemico. Cittadella però non era mai stata minacciata da forze così ingenti: spagnoli e tedeschi, guidati dal Marchese di Pescara, e subito dietro l’artiglieria del Vicerè Cardona. Verso la fine di giugno i nemici passano il Brenta e sono attorno alle mura, dove non c’è presidio. I cittadellesi e i soldati dell’Antignola li affrontano in campo aperto, ma hanno la peggio. L’artiglieria apre una breccia nelle mura (la si vede ancora adesso tra Porta Bassano e Porta Vicenza), altri riescono a superarle appoggiandovi le scale. Dopo sedici ore di battaglia, Cittadella è presa, Bernardino di Antignola e il podestà Coco vengono fatti prigionieri. Alessandro Bigolino, apertosi un varco, trova invece rifugio a Bassano: è il 23 giugno 1514. La notizia della presa di Cittadella giunge alle corti di Napoli, di Roma e perfino in Inghilterra. Ancora una volta però la conquista è pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

provvisoria. Le truppe nemiche, richiamate ora su questo ora sull’altro fronte, consentono a Bartolomeo d’Alviano di riprendere la città murata. E finalmente, nel 1516, la lunga e confusa guerra generata dalla lega di Cambrai termina: il Leone di San Marco ne esce vittorioso e anche per Cittadella si apre un lungo periodo di pace. Forse fece in tempo a vederne l’inizio anche Alessandro, nominato per le sue imprese conestabile (grado che corrisponde circa a quello di generale) della Serenissima. Ma ormai debilitato e malato, nel gennaio 1516, sentendo avvicinarsi la fine, Alessandro si decise a fare testamento. Il prezioso documento inedito ci è pervenuto grazie ad un inaspettato colpo di fortuna (o forse, ci piace immaginare, per ispirazione di Alessandro stesso)67; lo riportiamo pressochè integralmente, tradotto dal latino un po’ liberamente, per consentire alla nostra fantasia di immaginare la scena. Trasportiamoci dunque nel palazzo dei Bigolini in Via Volto, nella sala dove giace Alessandro, vicino al grande camino incessantemente acceso per mitigare il rigore di quel gelido lunedì 14 gennaio e dare un po’ di ristoro al corpag.

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po del nobile condottiero, sfinito da tante battaglie e innumerevoli disagi. Il suo volto, segnato da rughe profonde, è già ricoperto di un pallore mortale. Gli tiene una mano il figlio Gaspare, cercando di infondergli un po’ delle sue forze insieme al conforto del suo affetto. Attorno al letto sono presenti però altri sette personaggi, mentre uno è seduto ad un tavolo, con una penna in mano e una pergamena davanti: è il notaio Gaspare de Furlanis, figlio di ser Bartolomeo, di Cittadella, pronto a stendere le ultime volontà del Bigolino. Gli altri sono stati chiamati per assistere quali testimoni alla dettatura del testamento, e sono: “il Magnifico signor Giovanni Francesco da Molino, figlio del fu magnifico signor Filippo, patrizio veneto, eccellente dottore nell’arte della medicina; il signor Giovanni militare di Anguillara, figlio del fu signor Angelo, abitante a Castelfranco; Tomeo Fabio di Cittadella, figlio del fu maestro Giovanni; Tommaso da Marsano, figlio del fu Pietro Gerardeli, abitante a Santa Croce; ser Giulio Albertino, figlio di ser Stefano dalle Pelli di Padova, abitante a Cittadella; Baldassare Teutonico, figlio di maestro Enrico e maestro Girolamo barbitonsore, figlio


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I Bigolini

di maestro Alberto, entrambi ugualmente abitanti a Cittadella”68. Avviciniamoci e ascoltiamo quanto Alessandro, con voce debole ma ferma, sta dettando al notaio: “Benchè in questa vita nell’animo del prudente debba sempre esistere il sospetto della morte e sia l’ora di questa incerta e dubbia, tuttavia ancor più grandemente io temo per la mia vita per l’incombente debolezza del mio corpo. Perciò, affinchè non mi accada di morire senza aver disposto dei beni materiali, devo ora preoccuparmi soprattutto di far conoscere le mie ultime volontà. Adunque io, il magnifico signor Alessandro Bigolino, figlio del fu magnifico cavaliere signor Battista, cittadino di Padova, seppure malato nel corpo ma sano di mente e di intelletto, ordino che si disponga dei miei beni secondo il modo descritto nel presente testamento. E innanzitutto ordino di raccomandare la mia anima al suo Altissimo Creatore e alla gloriosa Vergine Madre Maria e a tutta la Corte Celeste; e quando sia arrivato il momento di partire da questa vita, voglio che il mio corpo sia sepolto nella Chiesa di Santa Croce, davanti all’altare

di San Giovanni, nel sepolcro della famiglia dei Bigolini69. Poi ordino che gli introiti provenienti, fra gli altri, dal podere coltivato da Gaspare Geremia, siano dati e consegnati da Gaspare, mio figlio ed erede, al signor Benedetto Novello, cittadino di Treviso, a compenso della dote della signora Franceschina mia figlia, affinchè sia soddisfatto quanto più presto possibile, e che un altro podere, tenuto dal detto signor Benedetto, sia recuperato quale computo della dote, che Gaspare mio erede consideri liquidata, sempre tuttavia restando immutata l’obbligazione del detto possedimento, fatta da me in favore della signora Bigolina mia figlia per la sua dote, secondo la forma del relativo atto notarile. Voglio ancora che il podere coltivato dai Todeschi rimanga vincolato al signor Alberto da Tavola70, mio genero, in compenso della dote della signora Mattea, mia figlia, come risulta dalla scrittura di mano del detto signor Alberto, depositata presso il signor Febo Capello71, pure mio genero e ordino che il predetto signor Febo debba avere l’usufrutto del possedimento coltivato da Zanoto Lasagna, come ha fatto finora, secondo quanto riportato nella pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

scrittura fatta di mano di ser Giacomo Prandini notaio di Cittadella, e questo a compenso della dote della signora Clara, mia figlia e moglie del signor Febo. Ancora ordino per testamento di dare a Mainardo, mio figlio naturale, duecento ducati dei miei beni, per il suo mantenimento e di consegnare altri duecento ducati a mio nipote Alessandro, figlio della signora Bartolomea, mia figlia legittima e naturale. A Lucrezia e a Girolama, mie figlie naturali, saranno consegnati duecento ducati ciascuna, sia per il loro mantenimento sia per la loro dote. Lascio inoltre alla signora Madremaria, che per diversi anni ha abitato in questa mia casa, cento ducati d’oro a ricompensa del suo servizio. Lascio ancora alla signora Negra72, mia ancella, cento ducati d’oro, nel caso che non possa rimanere ad abitare nella casa di mio figlio; e se se ne andrà, voglio che sia mantenuta, restituendo a Gaspare i sopraddetti cento ducati per il tempo del mantenimento e voglio anche che le siano intestati in usufrutto un numero di campi equivalenti alla detta somma, campi che Gaspare potrà recuperare al momento di sborsare alla pag.

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signora Negra i cento ducati. Questa clausola deve essere valida anche per gli eredi di Negra e di Gaspare. Ordino che i lasciti di Mainardo, Alessandro, Lucrezia, Gerolama e Madremaria abbiano valore altrettanto e nello stesso modo in cui ho comandato riguardo alla signora Negra e che trovino fondamento sui campi posti fra i fossati che si trovano presso il fondo grande nel quale io stesso abito, tuttavia a questa esplicita condizione, che la signora Negra e la signora Madremaria non possano fare testamento dei predetti beni nè disporne altrimenti se non distribuendoli, dopo la loro morte, fra i soprannominati legatari e beneficiate o i discendenti e le discendenti della famiglia dei Bigolini, tanto maschi quanto femmine; se faranno diversamente, i lasciti non dovranno valere per legge se non per entrambe esse sole73. Voglio ancora che siano date duecento lire, prelevate dai miei beni mobili, alla signora Nicodema, figlia di maestro Bernardino dai Pozzi, mio compare, da utilizzare per il suo matrimonio. Al magnifico signor Pietro Cantareno da Malvatisio e al magnifico signor Francesco da Mula, patrizi veneti,


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dovrà essere pagato per intero il debito che ho nei loro confronti e così pure dovranno essere pagati gli altri miei creditori, dopo che si sarà stabilito il reale ammontare di tali debiti con il mio erede Gaspare. Di tutti gli altri miei beni, poi, tanto mobili quanto immobili, di tutti i diritti e le facoltà giuridiche di qualsiasi genere, stabilisco e voglio che sia mio erede universale l’eccellente signor Gaspare Bigolino, mio figlio diletto qui presente. Questo voglio che sia il mio ultimo testamento e l’ultima volontà, confermando l’obbligo di trasmettere l’eredità al mio primogenito, così come hanno fatto i miei antenati e come ha fatto mio padre e voglio che questo testamento e questa ultima volontà abbiano valore per diritto di testamento e di ultima volontà. E se non potranno essere validi per diritto di testamento e di ultima volontà, dovranno trovare valore per diritto dei codocilli; se poi non potranno essere validi nemmeno così, quanto ho stabilito valga a titolo di donazione per causa di morte o di qualsiasi altra norma possa rendere le mie decisioni efficaci. Sia resa lode a Dio Sempiterno”.

Poco tempo dopo, carico di onori e di gloria, Alessandro lasciò questa vita. Aveva 68 anni. Anche se si era persa memoria della sua tomba, incorporata nella chiesa nell’ampliamento del 1794 e ricoperta dal pavimento rifatto a fine Ottocento, il ricordo della figura di Alessandro continuò ad aleggiare su Santa Croce, trapassando quasi in leggenda (e forse qualcuno avrà anche dubitato della sua esistenza). Ma il 26 maggio 1997, durante i lavori di rifacimento del pavimento, ecco riaffiorare, in un momento di indicibile emozione, la sua sepoltura, ricoperta da una lastra di pregiato marmo, su cui è incisa un’iscrizione che, pur se solo in parte leggibile, corrisponde perfettamente a quella riportata dal Salomonio74 e conferma l’autenticità del ritrovamento: “NOBILIS AC BELLO STR. PACEQ; CLARUS D. ALEXAND. BIGOLINO Q. CL. EQUITIS D. BAPTISTAE, ULTIMIS JAM SUAE AETATIS DIEBUS PATRIAE, VENETOQ; SENATUI HAUD SEGNITER IMPENSIS MORIENS HIC SUA, GASPARE FILIO CURANTE, VOLUIT OSSA RECONDI. OBIIT AUTEM ANNO DOMINI MDXVI SUAE VERO AETATIS LXVIII”. pag.

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(= “Il nobile, valoroso in guerra e illustre in pace Signor Alessandro Bigolino, figlio dell’illustre Cavaliere Signor Battista, negli ultimi giorni della sua vita spesi senza risparmio per la Patria e il Senato Veneto, morendo, volle che le sue ossa fossero qui riposte, a cura del figlio Gaspare. Morì nell’anno del Signore 1516, all’età di 68 anni”). Tre anni prima di Alessandro, il 5 dicembre 1513, era morta sua moglie, Antonia, appartenente alla nobilissima famiglia Memmo, una fra le dodici più antiche casate veneziane, dette anche “apostoliche”75. La sua lapide sepolcrale, che anticamente, come dice il Salomonio, si trovava su una parete della chiesa con le insegne dei Bigolini e dei Memmi, poi murata alla base del pilastro sinistro d’entrata al cimitero, si trova ora di fianco alla facciata della chiesa, sul muro esterno di quello che originariamente era il chiostro del convento francescano. Vi si legge: “MDXIII ADI’ IIIII DECEMBRIS HIC JACET DNA ANTONIA DE MEM. NOBILIS VENETA CONS DNI ALEXANDRI BIGOLINI” (= 1513, 5 dicembre. Qui giace la Signora Antonia dei Memmi, nobile veneta, moglie del Signor Alessandro Bigolino) pag.

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Così, nelle scarne parole di due lapidi, Santa Croce Bigolina ha ritrovato la sua leggenda. Gasparo Bigolino I discendenti di Alessandro e del fratello Raffaele consolidarono la loro posizione di rilievo nella società padovana. A Padova e nelle località vicine infatti la maggior parte dei nipoti di G. Battista possedeva terreni e case. Gasparo, figlio di Alessandro, continuò comunque ad abitare a Santa Croce. È proprio lui che ci attesta, dichiarando al fisco i propri beni, il cambio di nome del nostro paese da Santa Lucia di Brenta in Santa Croce: “Beni de mi Gasparo Bigolin, posti nel teritorio de Citadela exempti” (cioè non dovevano pagare tasse). “Una casa in Citadella la qual tegno per mio uso posta su la piaza. In la villa de Santa Croxe de Santa Lucia de Brenta campi arativi circa 800…”76. E ancora, nel 1543: “Beni de mi Gasparo Bigolin cavalier” (Il titolo di “cavaliere”, attribuito anche a lui come al nonno e al padre, dimostra il conservato prestigio). “In Cittadella una casa su la piaza qual tegno per mio uso de la qual pago lo livelo al magnifico messer Jerolamo Gradenigo ducati 24 al’anno.


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Item77 campi 396… arativi e prativi con li cuperti de lavoratori in la vila de Santa Lucia de Brenta al presente chiamata Santa Croxe. Item campi quatrocento e cinquanta giare e letti de Brenta in ditta villa. Item in ditta villa pascoli da bestiame campi cento e setanta. Item in ditta villa una casa con cortivo e brolo de campi diese per mia abitation…”78. Ma ormai il possesso delle proprietà terriere dei Bigolini non è più tanto pacifico e per esse Gasparo comincia anche a far lite. Degli 800 campi denunciati nella dichiarazione a cui abbiamo accennato poco sopra, infatti, egli ne fa lite per 70 con Benito da Novello di Treviso, per 40 con Simon Premarin da Venezia, per 14 con Marco da Fontaniva. Abbiamo trovato anche la testimonianza di una causa da lui fatta contro due suoi affittuali ai quali non voleva riconoscere i danni provocati dalla grandine, perché, secondo lui, dovuti quasi solo alla “brumesta”, cioè alle brinate. Il documento, oltre che piacevole, è interessante perché è una testimonianza della lingua che si parlava allora, infarcita ancora di latinismi. Se ne riporta qualche passo: “Capitoli qual io Gasparo Bigolin in-

tendo provar a favor della mia rason in la causa… con Jerolamo Negro e Nicola Gardelin da Bassan miei afituali in execution de lettere delli Magnifici Siori Auditori Novi, de dì 6 setembre 1541… 1°. Che la nibia, hover brumesta quando la vien in le campagne e possession fa gran dano ale uve et vigne et altri fruti diversi che se li ritrova. 2°. Che la nibia hover brumesta la qual venne su le possession de Santa Crose avanti la tempesta de luio prossimo passado fece grandissimo danno ale piantade et vigne… et etiam fece caschar le foglie e nose ale nogare ofendendo etiam ale biave de ogni sorte grandissimamente et non solamente in ditto locho de Santa Crose, ma in molti altri lochi. 3°. Che dove non è stà tempesta, ma solum la nibia over brumesta li è stà un danno evidentissimo… 4°. Che in molti luogi et quasi per tuto et spetialmente ne le possession de Santa Crose ogni anno è consueto che le piantade et vigne ancor che non li venga tempesta o nibia, sempre hanno difetto de qualche quantità de uve seche e morte per li graspi, il che in gran numero de piantade importa assai. pag.

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5° Che l’asserto danno della tempesta che venne da poi ditta nibia non fu apena per la quarta parte del danno della stima fata per li stimadori, et sia letta la stima ali testimonij che saranno examinati. 6°. Che l’asserto danno della tempesta sollo, senza li altri danni, fu re vera79 sì pocho et de tal sorte che dette possession non averiano abuto quasi niente mancho de uve l’anno presente de quanto è solito aversi li anni passati. 7°. Che li graspi dove à dato la tempesta sono batudi da una parte solla et poco et se conosse le botte, ita che diti grani tempestadi non sono sechi del tutto anzi hanno molto ben del mosto più delli due terzi. 8°. Che al tempo de far la stima del ditto asserto danno de uve, li stimadori stimarono tuto el danno delle uve, cossì le secche come le macade sotto nome de danno de tempesta solla senza aver altra consideration de altri danni de nibia nè de altro. 9°. Che li stimadori de Cittadella hanno stimado in diversi altri luogi et simplicemente hanno messo sotto nome de tempesta tuto el danno de le uve batude, seche e roinade, senza aver consideration alcuna del danno pag.

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de nibia over brumesta…”80. Ma Gasparo risulta essere stato un vero attaccabrighe. Egli approfitta dello stato di tensione creatosi anche a Cittadella a seguito della diffusione delle idee luterane81 per combattere i suoi nemici, schierandosi ovviamente dalla parte dell’arciprete Pietro Cauzio a difesa del cattolicesimo. Gasparo e i suoi due figli si scagliano contro la famiglia Farfarello, creando tanto scompiglio che i vari podestà di Cittadella devono chiedere a Venezia aumento di soldati per evitare il peggio. Nel 1542 il podestà Benedetto Corner lamenta le insolenze dei Bigolini e un anno dopo chiede di poter procedere contro l’una e l’altra parte “se venissero alle armi”, cosa che puntualmente accadde quando il 24 maggio 1543 si ebbe uno scontro a sangue. Il podestà successivo, Gasparo Salomonio, scrivendo al governo veneziano, dice di aver trovato Cittadella molto devota, salvo le risse provocate “dal cavalier Bigolin et fioli”. Ancora cinque anni dopo il podestà Angelo Baroccio chiedeva nuove guarnigioni, data la situazione in cui si trovava “questa povera terra per li antiqui et moderni odii et nimicitie chel haveano


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redutta quasi tutta in due parti, l’una detta Bigolina et l’altra detta Farfarella” ed intimava ai capi delle due fazioni di non uscire di casa82. Per fortuna Gasparo non pensava solo a litigare, ma anche ad abbellire la chiesa. Egli commissionò infatti a Zanbatista da Ponte, fratello di Jacopo, una pala d’altare. Se ne trova memoria nel secondo libro di conti di Francesco e Jacopo da Ponte83: “Adì 1 otobrio 1539. Noto sia como adì ditto feci marchà (= feci contratto) con la signoria del misier Gasparo cavalier Begolin, qual per ananti (= per il quale precedentemente) mio fradel Zanbatista li aveva lavorado uno adornamento de una Madonna qual li haveva devotion, et ditta Madona era in un quadreto de circa piè 1 et 1/2, et è posto a man destra per pala a lo altaro a man destra de l’altaro grando de la villa de Santa Croce del tegnir (= del territorio) de Cittadella; et dito adornamento è in campo zalo con frisi de più colori. Restai d’acordo con ditto misier Gasparo, essendo in letto amalado, de ditto adornamento lire cinque”. Purtroppo, non si sa come nè quando, il dipinto è andato perduto.

Polo e Ruggero Bigolino I due figli di Gasparo, Polo e Ruggero, vivono a Santa Croce; entrambi hanno una casa con cortile ed orto; sono sposati e, seppur confinanti, vivono indipendentemente. Interessante la dichiarazione delle proprietà che fa Ruggero: “Poliza de mi Ruggero Bigolin deli beni che mi atrovo haver et posseder sul territorio Padoan che il resto è sul Bassanese. In villa de Santa Crose sotto Cittadella una casa con cortivo et horto de campo uno e mezo qual tengo per mio uso. Confina a mezodì la strada et a sera a monte et a matina messer Pollo mio fratello. Item in ditta villa verso de Santa Lucia campi dosento e diese… et parte piantà et parte non, quali sonno lavoratti dali Brotti et dali Sampieri cole sue abitation et dali Cusinati quali stà alla Rosà sul Bassanese, li qual campi sono fra li infrascritti confini: a matina Piero Paradiso, li eredi del… magnifico messer Simon Premarin et li eredi della… madonna Chiara Capella, a mezodì messer Pollo mio fratello, a sera la strada che va alla villa delle Tezze et a monte parte il Bassanese et parte il ditto Piero Paradiso et messer Isepo dala Tavola84. Item in ditta villa la pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

mità de campi sessanta… per indiviso con messer Pollo mio fratello… Item in ditta villa la mità de campi setanta de giara e letti de Brenta inuttili per indiviso con messer Pollo mio fratello…”85. Come si vede, il patrimonio era ancora ben consistente. Polo ebbe tre figli, un maschio e due femmine. Nel 1603 fa testamento, da cui risulta vedovo ma non risposato. Oltre che la moglie, gli era morto anche il figlio Giulio, dottore in legge, che dopo aver vissuto la prima giovinezza a Cittadella, si era trasferito definitivamente a Padova e nel 1589 aveva sposato Camilla Guidotta, “donna la più bella che oggi ci sia a Padova, et molto amata, copiosa d’amanti”, come dicono le cronache del tempo. Giulio e Camilla ebbero cinque figli. Le due Giulie Bigoline Polo Bigolin morì a Santa Croce confortato dalle cure amorevoli della figlia Giulia, a cui lasciò la casa “con il suo cortivo, la colombara”, un discreto numero di campi e ancora un’altra casetta di coppi, sempre a Santa Croce. Inoltre dispose alcuni provvedimenti perché a Giulia, vedova con tre figli di Antonio Camposampiero86, non fossero fatti torti da pag.

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parte di altri eredi maschi. La figlia di Polo è stata, a partire dal XIX secolo, confusa con un’altra Giulia, ben più importante, figlia di Gerolamo, fratello di Alessandro, e sposa di Bartolomeo Vicomercato, che risulta essere la prima romanziera italiana; ella rappresenta infatti uno dei pochi esempi di donne letterate che si affermarono nel corso del Cinquecento87. Vissuta circa tra il 1516 e il 1569, si dedicò per tutta la vita all’attività di scrittrice. Frequentò i circoli intellettuali padovani e godette di una certa fama, tanto che conobbe e divenne amica del celeberrimo scrittore Pietro Aretino e del grande pittore Tiziano Vecellio. Gaia, divertente, avventurosa e di facile lettura, scrisse novelle che rispecchiavano il tipo di vita spensierata ed elegante delle corti rinascimentali (ci è giunta “La novella di Giulia Camposanpiero e di Tesibaldo Vitaliani”) e il romanzo “Urania”, storia di amori contrastati, di cui una copia si conserva nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Completamente dimenticata nel XX secolo, Giulia è stata “riscoperta” in tempi recentissimi da studiosi americani88.


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Gli altri Bigolini Facciamo ancora alcuni accenni a quei membri della famiglia Bigolina che ci interessano da vicino o che hanno avuto un ruolo particolarmente importante nella storia padovana. Socrate Bigolin, nipote di Vittore, fratello del condottiero Alessandro, pur vivendo a Padova, ha proprietà e case a Santa Croce, oltre che a Camposampiero e a Villa del Conte. Nel denunciare i suoi beni, egli scrive tra l’altro: “…Item in villa de Sancta Croxe una casa da lavoradori cum cortivo et brollo de campi dui… Item in ditta villa campi tredexe ali quali confina da tre parte la via comun, da l’altra l’aqua della roza… Item in ditta villa campi diexe ali quali confina la campagna in Cittadella da una, da l’altra li heredi de messer Francesco Bigolin89, da l’altra li heredi del magnifico messer Lorenzo da Mula… Item campi cinque in ditta villa… Item in ditta villa campo uno… Item in ditta villa campi otto de pradi alla bassa quali erano giarre che li ho fatti restare alla parte et ricava poco utile”90. Il ramo della famiglia che seppe mantenere alto il nome dei Bigolini a Padova fu quello dei discendenti di

Raffaele, fratello di Alessandro. Essi sono enumerati fra i nobili della città. Galeazzo, figlio di Raffaele, viene ricordato come “uomo illustre di insigne pietà” nella lapide sepolcrale della chiesa di Santa Maria dei Servi a Padova. Dioclide Bigolin, figlio di Galeazzo, nel 1540 sposò Gerolima Papafava, gentildonna appartenente ad una delle famiglie padovane più in vista. Dioclide è ricordato come un prode cavaliere; sfortunatamente morì nel 1549 a Padova durante uno spettacolare torneo. Dioclide ebbe quattro figli: Galeazzo, Alessandro, Horatio e Conte. Horatio si mise al servizio del Duca Emanuele Filiberto di Savoia. Conte si dedicò alla vita religiosa. Così pure fece Galeazzo il quale, laureatosi nel 1569 in diritto civile e canonico, insegnò all’ Università di Padova; ebbe anche incarichi di rilievo, come quello di scrivere il discorso di congratulazione per l’elezione di Sebastiano Venier a doge di Venezia. A nome dell’Università, compose anche un elogio per la nomina a Cardinale del Vescovo di Padova, Federico Cornaro. Nel 1581 fu nominato arciprete della Chiesa di San Lorenzo ad Abano. Nel tentativo di salvare a tutti i pag.

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costi la stirpe e il patrimonio dei Bi- NOTE AL CAP. 4 golini, che andavano estinguendosi, 40. Molte delle notizie qui riferite sono tratte dalla tesi di laurea che la dott.ssa Stefania egli volle che Gasparo e Alessandro, Nicoletto ci ha messo cortesemente Copia della tesi figli di Giulio e Camilla, sposassero le aè disposizione. depositata presso l’Arch. di Stato di Padova. cugine Gerolima e Chiara. V. S. Nicoletto, Ma ormai il declino della famiglia Bi- Una famiglia padovana tra il XV e il XVII sec.: i Bigolini. golina era segnato. L’ultimo maschio, Tesi di laurea - Università degli Studi Padova, Facoltà di Magistero Conte, figlio di Dioclide, morì nel di Relatore Ch. mo Prof. Sandra Secchi Olivieri 1650 e l’ultima discendente, Camilla, A. A. 1991-92. figlia di Gasparo, sposò in prime nozze 41. Una parte della casa -forte fu abbattuta dopo la seconda guerra mondiale Gasparo Orsato, nobile padovano, e in dai Kofler, un’altra parte fu adattata colonica, ed è ora abitazione privata seconde nozze Tiso Camposampiero, adelcasa sig. Basso Settimo. corpo interno di questa, più sopraelevato, che entrarono in possesso così di gran Ilè quanto rimane dell’antica dimora parte del patrimonio accumulato dai dei Bigolini. Le due parti della costruzione erano Bigolini91. collegate da un portico, su cui era stato

dipinto il volto di Cristo. Per questo il luogo porta ancora il toponimo di Via Volto. Secondo un’altra ipotesi il termine “volto” deriverebbe dalla parola dialettale “volto” riferita ad arco come elemento architettonico.

42. V. G. Wiel Marin, Antiche vicende di Santa Croce Bigolina, in “Padova e la sua provincia”, II 1969, p. 31-35. 43. “Nobili viro Baptiste Bigolino domicello paduano”. La lettera è conservata nell’Arch. Vaticano, Reg. Vat. 415, f. 81. V. G. Mantese, Memorie storiche della Chiesa vicentina Vol. III parte II Neri Pozza ed. VI – 1964, p. 443. 44. A. S. P. - Polizze - Estimo 1418 b.4. (Traduco e sintetizzo, per comodità del lettore, i documenti in latino). 45. Assegnatari di un fondo in godimento in cambio di un compenso. 46. A. S. P. - Polizze - Estimo 1418 - b. 4. pag.

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47. Fratta era allora centro importante e comune autonomo. V. G. Franceschetto, Cittadella. Saggi storici…, p. 39.

48. A. S. P. - Polizze - Estimo 1418 - b. 4.

61. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. X.

49. V. G. Mantese, op. cit., p. 443.

62. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. X.

50. Fu forse facendo confusione con il nome di uno dei figli di G. Battista, Conte appunto, che si attribuì e si continua ad attribuire, per errore, ad Alessandro il titolo di “Conte Bigolin”.

63. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 232.

51. V. S. Nicoletto, Una famiglia padovana… È giusto dire che continuo a riferirmi a quanto scrive la dott.ssa Nicoletto nella sua tesi di laurea.

66. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. XVII.

52. Il “piccolo” era una moneta di basso valore, ma è praticamente impossibile fare confronti con la moneta di oggi. 53. V. G. A. Zanon, Saggi storici su Cittadella nel sec. XVI, Forni Editore - Voghera 1905.

54. Pandolfo Malatesta ottenne il governo di Cittadella da Venezia e ne fu podestà dal 1503 al 1509. 55. Venezia aveva diviso il territorio in “Podesterie”; una di queste fu Cittadella, suddivisa a sua volta in podesteria interna, di cui facevano parte il territorio entro le mura e quello immediatamente circostante, come Fontaniva, e podesteria esterna, cui appartenevano le Ville di campagna, come Santa Croce. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 231. 56. V. Marin Sanudo, I Diarii, pubblicati per cura di F. Stefan Vol. IX-Venezia, MDCCCLXXXIII. 57. V. M. Sanudo, I Diarii, Vol. IX. 58. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. IX. 59. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. IX. 60. Il documento mi è stato cortesemente fornito dal Prof. Stefano Tonietto, docente di Letteratura Italiana

ed è conservato presso il Museo Biblioteca Archivio di Bassano, Vol. 2/101, Comuni del territorio, contese varie, fasc. 7, carta non numerata.

64. V. Salomonio, op. cit. 65. V. M. Sanudo, op. cit., Vol. XVII.

67. Il testamento di Alessandro è stato ritrovato casualmente dal Prof. Alberto Golin di Carmignano, nel Dicembre 2000, durante le sue ricerche sulla storia di Friola; egli ce l’ha immediatamente segnalato, facendone anche una trascrizione, e di questo dobbiamo essergli davvero riconoscenti. Il documento è conservato presso la sezione di Bassano dell’Archivio di Stato di Vicenza in: Notai di Cittadella, Notaio Gaspare Furlan, b. 4, c. 252: “Testamentum Magnifici domini Alexandri de Bigolino”. 68. La presenza di così tanti illustri testimoni dimostra la fama goduta da Alessandro. 69. Non ho trovato nei documenti altri riferimenti a questo altare. La tomba dei Bigolini è quella in cui sono stati ritrovati i resti di Alessandro e in cui fu sepolta anche sua moglie. 70. La nobile famiglia dei Dalla Tavola possedeva molti beni a Friola fin dagli inizi del Quattrocento. Si veda: A. Golin, “Ghiaia Brenta” nel Territorio della Friola, Carmignano di Brenta, 2000. 71. I Capello, nobili veneziani, erano proprietari della villa di Galliera ed avevano numerosi possedimenti anche a Fontaniva. 72. “Negra” potrebbe essere un soprannome pag.

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(come ad es. il nostro “Mora”) o potrebbe voler dire “della famiglia dei Negri”. Il fatto che a questa domestica sia dato anche l’appellativo rispettoso di “signora”, come alla Madremaria appena nominata, e che le siano ugualmente assegnati cento ducati, può indicare una posizione di privilegio o di direzione dei servi senz’altro numerosi della famiglia Bigolina.

73. Alessandro si preoccupa che i beni della famiglia non vadano dispersi. 74. V. G. Franceschetto, Le ville venete del cittadellese e la loro impresa economica, in Cittadella, città murata, ed. Biblos, Cittadella, 1990, p. 208. 75. V. A. Zorzi, La Repubblica del Leone, Rusconi ed., 1981. 76. A. S. P., Polizze, b. 3. 77. Item = e così pure. 78. A. S. P., Polizze, b. 3. 79. Re vera = in verità. 80. A. S. B., Notai di Cittadella, M. A. Illini, b. 34.

81. Martin Lutero, monaco agostiniano, fu condannato per eresia nel 1520; da lui partì il movimento che spaccò la Chiesa e diede origine al protestantesimo. Dalla Germania, le nuove idee si diffusero ben presto in tutta Europa e trovarono seguaci anche a Cittadella. V. E. Zille, Gli eretici a Cittadella nel Cinquecento, Rebellato ed. - 1971.

90. A. S. P., Polizze, b. 3.

83. Devo la segnalazione alla cortesia di G. Franceschetto. V. Il libro secondo di Francesco e Jacopo da Ponte, Ed. Verci - Bassano.

91. V. S. Nicoletto, op. cit.

85. A. S. P., Polizze, b. 3.

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87. Almeno fino all’Ottocento, non era frequente che le donne studiassero o si inserissero nei circoli culturali e letterari. Tuttavia, nel Cinquecento, la cultura umanistica diede spazio anche alla poesia femminile e alle opere della romana Vittoria Colonna, della padovana Gaspara Stampa e, appunto, di Giulia Bigolina. 88. Per la riscoperta di Giulia Bigolina da parte degli Americani, si vedano: a) l’opera di Christopher Nissen, docente di lingua e letteratura italiana presso la facoltà di Lingue e Letterature straniere della Northern Illinois University di Dekalb: C. Nissen, Urania the story of a Young Woman’s love & The Novella of Giulia Camposanpiero and Thesibaldo Vitaliani, by Giulia Bigolina, Tempe, Medieval & Renessaince Texts & Studies, 2004. Molto più accessibile il saggio dello stesso Christopher Nissen e di Rossella Consiglio, Giulia Bigolina la prima romanziera italiana. Una donna dell’ Alta Padovana tra i letterati del ‘500, nella rivista “Alta Padovana: storia, cultura, società”, numero 4 – gennaio 2005, edito da Fondazione “Alta Padovana Leone Wollemborg” - Campodarsego; b) il lavoro di Valeria Finucci, docente di lingua e letteratura italiana alla Duke University della città di Durham, North Carolina: GIULIA BIGOLINA, Urania, a cura di V. Finucci, Roma, Bulzoni, 2002.

82. V. E. Zille, op. cit., p. 69-71.

84. Un dalla Tavola sposerà più tardi una Bigolina.

pag.

86. I Camposampiero erano una delle quattro principali casate della Marca trevigiana, insieme agli Estensi, ai Da Camino e ai Da Romano.


In basso: ricalco a carboncino su carta velina eseguito sulla lapide rinvenuta lunedÏ 26 maggio 1997 durante i lavori di rifacimento del pavimento della chiesa parrocchiale di Santa Croce Bigolina. L’iscrizione corrisponde a quanto riportato nel libro del Salomonio ed attesta in maniera inequivocabile che si tratta della sepoltura di Alessandro Bigolino.

CAPITOLO 4

I Bigolini

pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

In alto: pagina del Salomonio in cui, oltre alla cronaca della battaglia sul Brenta, è riportata anche la trascrizione delle iscrizioni poste sulla sepoltura di Alessandro Bigolino; come si può osservare, le stesse scritte risultano perfettamente leggibili sulla lapide ritrovata nella Chiesa di Santa Croce ed evidenziate, nella foto a lato, mediante il ricalco su carta da lucido. pag.

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Lo sfondo della foto sottostante mostra la porzione del palazzo dei Bigolini, demolita dai Kofler nei primi anni Sessanta, posta ad ovest del fabbricato attualmente esistente al quale era collegata da un arco in muratura (il volto?) e di cui si intravvede la facciata ovest alla estrema destra della stessa foto. Nella foto pi첫 in basso possiamo vedere la porzione di fabbricato attualmente esistente come si presentava nei primi anni Settanta. Lungo la strada i sassi di calce accumulati dai carrettieri prima del trasporto alla fornace.

CAPITOLO 4

I Bigolini

pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Albero genealogico della famiglia dei Bigolini (XIV-XVII sec.)

VETTORE

ANZOLO

MARINA GEROLAMO

ALVISE

SOCRATE

BALDISSARE ANTHEA

GEROLAMO RUGGERO

FRANCESCO GEROLIMO

GIULIA BIGOLINA sposa BARTOLOMEO VICOMERCATO

BIGOLIN GIO’ BATTA

BIGOLIN

SILVIO OTTAVIO GABRIELLA

VITTORE

GIO’ BATTA

CONTE ALESSANDRO RAFFAELE

GALEAZZO

DIOCLIDE

CONTE HORATIO GALEAZZO PRETE

ALESSANDRO pag.

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GASPARO

VETTORE

GIULIO GIULIA


CAPITOLO 4

I Bigolini

MAINARDO Z’BATTA GEROLAMO

RIZZARDO

RIZZARDO

GEROLAMA LUCRETIA

ANTONIO MARIA VIGODARZERE

CHIARA LUCRETIA CATTANEA

DIOCLIDE

CONTE

1650: MUORE L’ULTIMO MEMBRO DELLA FAMIGLIA BIGOLINA

GEROLAMA ALESSANDRO HORATIO DIANA GASPARO

CAMILLA

1° MATRIMONIO GASPARO ORSATO

LUCRETIA

2° MATRIMONIO TISO C. SAMPIERO

ANTONIO

ANT. ZUANE

GIACOMO

TISO

GASPARO

TISO DA C.SAMPIERO pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

pag.

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A sinistra: in questa foto aerea risalente al 1984 si può vedere come l’impianto edilizio dell’originario Convento Francescano si conservi anche oggi pressochè integro, ad eccezione del chiostro crollato nella seconda metà dell’Ottocento a causa di un incendio.

D

opo aver costruito la chiesa dedicata alla Santa Croce, il pio cavaliere Battista Bigolino vi fece edificare accanto, nel 1460, un convento, che egli donò ai Padri Minori dell’Osservanza92 (secondo una tradizione locale il Bigolino avrebbe fatto realizzare anche una galleria segreta di collegamento tra il convento, il suo palazzo di via Volto e gli argini del Brenta; forse il misterioso tunnel murato la cui imboccatura è visibile nel sotterraneo del convento?). Il convento assunse presto una notevole importanza e vi si tennero anche Capitoli provinciali, come quello che nel 1479 vide presenti due Santi Frati, il Beato Bernardino da Feltre e il Beato Sisto Brioschi93. Cominciarono ad affluire offerte e donazioni, provenienti anche dai luoghi vicini. Il 28 aprile 1474, ad esempio, Bonaventura Tavola, proprietario a Friola di vasti possedimenti, con mulini, segheria e traghetto sul Brenta, affitta tali beni ad un certo “Ser Martino dicto Rubeo” di Milano e a suo fratello, con la clausola che ogni anno sia donato ai Frati del Convento di Santa Croce Bigolina un buon vitello del valore di tre libbre di denari veneti94.

CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

Furono proprio alcuni dei Frati Zoccolanti di Santa Croce ad abitare per primi il Convento di S. Francesco di Cittadella, costruito attorno al 1481 su terreno donato da Paolo Brianato, come afferma Padre Antonio da Venezia nella sua storia dei Conventi veneti, pubblicata nel 168895. Intanto, agli inizi del Cinquecento, le tormentate vicende legate alle guerre mosse ai Veneziani in seguito alla Lega di Cambrai (v. cap. 4) portarono anche a Santa Croce gli effetti delle devastazioni provocate dalle soldatesche. Ne risentì pure il nostro Convento, così come quello di Cittadella, che dovette subire gravi danni e soltanto nel 1520, per concessione di Papa Leone X, fu riparato e ricostituito96. Nel 1541 giunsero al Capitolo Generale dei Francescani di Mantova alcune lettere anonime provenienti da Cittadella, nelle quali si chiedeva a Fra’ Paolo da Bergamo, ministro provinciale, di chiudere uno dei conventi, o quello di Santa Croce o quello di Cittadella, a causa dell’impossibilità di far fronte alle spese di entrambi per la grande povertà degli abitanti. Nel Capitolo provinciale, tenuto a Padova nel 1545, fu deciso che si pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

abbandonasse quello di Cittadella e che i Frati si trasferissero nel Convento di Santa Croce, “considerata l’assoluta necessità di conservare quest’ultimo”97. Forse si preferiva scontentare la Comunità di Cittadella piuttosto che la potente famiglia dei Bigolini o forse il convento di Santa Croce aveva acquisito ormai troppa importanza anche per gli abitanti al di là del Brenta per poterlo sopprimere. I cittadellesi comunque se ne ebbero a male e chiamarono ad abitare il loro convento i Padri Conventuali, che vi restarono fino a quando non tornarono i Minori Osservanti nel 1632, nonostante l’opposizione dei Frati di Santa Croce, che temevano di dover dividere con loro le già magre risorse98. Il Convento di Santa Croce Bigolina era abitato da una decina di Frati, protetti e sostenuti dai Bigolini fino ai primi del Seicento. Quando la Famiglia Bigolina però si avviò al declino, essi dovettero ricorrere agli aiuti della Comunità di Cittadella. Nel 1606, ad esempio, il priore fra Gandin da Pieve chiede sovvenzioni “trovandosi il Convento in estrema povertà”; nel 1617 fra Serafino Campi dice che neppure il Guardiano ha mantello per ripararpag.

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si dal freddo; nel 1625 fra Benedetto lamenta che nel Convento non hanno vino per la Messa e nel 1628 fra Urbano di Verona si rivolge alla Comunità “ritrovandosi il povero Monastero di Santa Croce aggravato da molti debiti per sostentamento dei Frati”. Spesso questi venivano chiamati a predicare nel Duomo di Cittadella durante l’Avvento o la Quaresima, come nel 1616, quando fu dato a padre Gabriel Galvani “per i suoi meriti e fatiche” una elemosina di ottanta ducati99. Ma i rapporti dei Frati di Santa Croce con le Parrocchie di Cittadella, Fontaniva e Tezze non furono sempre pacifici. Già nell’aprile del 1529 i religiosi litigavano con l’arciprete di Cittadella100; ma ben più grave fu il contrasto che scoppiò alla fine del Seicento tra i nostri Padri e l’appena eletto parroco di Tezze, don Leonardo Bertoldi. Bisogna sapere che, fin dall’erezione a Parrocchia nel 1490, ai parroci di Tezze era affidata la cura d’anime non solo di Granella e Stroppari, ma anche di Santa Croce Bigolina, i cui abitanti mal sopportavano di dover dipendere spiritualmente da un paese lontano più di due chilometri, quando avevano a comoda disposizione chiesa e Frati a volontà. D’altra parte, il nuovo parroco era indi-


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

spettito per il fatto che quelli di Santa Croce preferivano fare le loro offerte ai Frati invece che alla chiesa di Tezze, come era invece prescritto. Il dissidio scoppiò in lotta aperta la sera del 19 ottobre 1691. Era morta una donna di Santa Croce, Lucia, moglie di Zan Maria Bertacco, e verso sera si doveva fare il funerale. Due frati, Padre Policarpo da Semonzo, vicario del convento, e Padre Clemente, si recarono alla casa della defunta con la croce. Subito dopo, giunse da Tezze don Leonardo, che cominciò a litigare con i frati e tanto si arrabbiò da togliere la croce dall’asta, cacciandosela sotto la cotta. Uno dei Padri allora cercò di sottrargliela e, tira uno tira l’altro, la croce si ruppe. Tra i litiganti volarono parole grosse, con grande scandalo di tutti i presenti. Infine Padre Clemente raccolse i pezzi della croce e li legò alla meglio sull’asta. Partì il corteo funebre per il cimitero di Santa Croce antistante la chiesa, ma il Parroco non s’era calmato e continuava a dire che un’altra volta avrebbe portato un pastorale e l’avrebbe rotto in testa ai Frati. Rientrati in convento, i frati stesero una lunga denuncia, che il 30 ottobre

1691 fu consegnata da fra’ Raffaele da Crespano, Padre Guardiano del convento, al Vicario Generale del Vescovo in Bassano, Andrea Ronzoni. Questi istituì immediatamente il processo contro don Leonardo Bertoldi, chiamando 27 testimoni. Lasciamo dunque che siano essi a parlare, riportando solo alcune delle dichiarazioni contenute negli 85 fogli del manoscritto conservato nell’archivio parrocchiale di Santa Croce. Testimonianza di fra’ Policarpo: “…L’accennato reverendo Bertoldi… assai contaminando il sacro ordine di sacerdote di Cristo non si arrossirà… spender parole licenziose… in obrobrio de’ poveri Religiosi Franciscani di Santa Croce Bigolina, con pessimo esempio di tante creature commisse alla sua dirretione e con tanta indecenza non solo dell’habito clericale ma di christiano ancora? …In occasione dunque che li 19 ottobre cadente passò da questa all’altra vita Lucia, moglie di Zan Maria Bertacco nel Comun di Santa Croce Bigolina, cura del Piovan101 delle Tezze, fossimo invitati alle esequie due de noi altri religiosi e fossimo destinati noi Frati Policarpo e Clemente da Simonzo su l’hore 22 in circa102 destinate a sepellire la defunta. Si pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

portassimo giusta il consueto con la nostra croce verso la casa dove esisteva il cadavere, uniti con la croce della Pieve sodetta… e non vi era il Piovano, ed ivi giunti aspettassimo sinchè arrivò il Reverendo Piovano. Giunto esso reverendo, non si sa precisamente per qual cagione, credesi però che ei pretendeva che andassimo a levarlo alla sua chiesa, distante più di un miglio, cosa non mai pratticata e contra la forma di quello che fu concertato altre volte tra esso e noi, tutto sdegno, tolse di mano ad Antonio Mendo la nostra croce e l’ascose sotto la cotta. Accortisi noi di tale atto, lo supplicassimo con iterate istanze a restituirci la nostra croce nè volendo causare sussurro et scandali in una fonzione pubblica. Ma fu vana ogni nostra supplicazione. Finalmente io fra’ Policarpo pigliai con una mano il piede della croce medesima, rinnovando le preghiere. Irritato esso Piovano, con forma violenta e appostata discattenò il traverso della croce e peggiore di quei demoni dei quali attesta S. Marco Evangelista ardì ponersi quella parte che gli era rimasta nelle mani ai… e appoggiato il tergo al spigolo di una porta… la franse in più pezzi con pag.

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sprezzo scandalosissimo. Così rotta la gettò per terra. Stupiti e insensati noi ad un tal ecesso, congiungessimo al meglio fu possibile la croce, finchè s’accompagnò il cadavere alla sepoltura nel nostro monasterio. Ma per questo non si acquietò il furore del sudetto Piovano che si lasciò intendere così in procissione come fuori che un’altra volta… romperà la croce giù per il capo a noi poveri religiosi, gloriandosi poi del male che haveva fatto quel giorno col dire: “Ghe l’hoi fatta a quisti Frati?”. Vennero poi ascoltati gli altri testimoni, fra i quali vi erano: Domenico Marsan, Zuanne Marsan, Antonio Parolin, Donà Battistella, Francesco Zilio, Marc’Antonio Reniero, tutti di Santa Croce; Marco Chiminazzo e Matio Segato da Tezze; Isepo, Dominico e Gierolamo Basso da Granella; Gierolamo Pandin e Domenico Forestan da Stroppari. Tutti dissero “che la verità fu ed è che per memoria d’alcuno, ancor che più vecchio del Commune di Santa Croce Bigolina e del Commune delle Teze, Granella e Stroppari, li Reverendi Padri di quel loco in occasione che sono stati chiamati e invitati alle esequie o sepellire morti, mai sono andati con la


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

loro croce alla chiesa del Piovan delle Teze… ma bensì hanno li sodetti Padri aspettato il medesimo Piovan sulla strada per dove doveva passare, ovvero sono andati direttamente alla casa del morto e l’hanno aspettato ivi, nè mai hanno pratticato in contrario”. Ma sentiamo cosa dice il 21 novembre 1691 Vincenzo Baggio da Stroppari, di anni trenta: “Sono stato citato… e per questo son venuto, e mi credo che la causa della mia chiamata sia per quel che successe tra il Piovan delle Teze e li Padri di Santa Croce… Quanto è successo fra li sudetti ve lo dirò sinceramente. Credo fosse un venerdì del mese di ottobre passato, che era morta Lucia moglie di un tal Zamaria, del quale non so il cognome, ma habita a Santa Croce Bigolina, e fui chiamato ad assistere a quel cadavere. Quando venne sera, vennero alla casa della morta due Padri di Santa Croce con la loro croce e si fermarono sulla strada ad aspettare che venisse il signor Paroco delle Tezze a levare il cadavero. Intanto che detti Padri aspettavano in strada misier Zuanne Ravagnolo mi disse che andassi a trar del vino e portassi da bevere ai Padri. Così feci, ma non volendo i Padri be-

ver, dicendo che aspettavano il Paroco, io riportai il boccal in casa e mi fu dato ordine di ponere il cadavero nella cassa, perché fu detto che il Paroco veniva, il che fatto ritornai in strada e vidi il Paroco e il Padre Vicario con il suo compagno che altercavano assieme. Io mi feci di mezzo e vidi in terra la trasmesara della croce dei Padri rotta, di che se ne doleva il Padre Vicario fortemente e diceva che se non fosse stato religioso haverebbe fatto dei risentimenti et il Paroco rideva e si burlava e diceva che era pocca cosa, che ne haverebbe fatto un’altra; ma quelle persone che erano presenti, tra quali mi raccordo un tal Antonio Mendo, stuppivano che il Paroco avesse rotta la croce…”. Sentiamo infine la colorita testimonianza di Giovanni Ravagnoli, di 60 anni, padre della defunta: “Nel mese di ottobre prossimo passato che fu alli 18 o 19, morse Lucia mia figliola, che andava seppellita sul sagrà di Santa Croce Bigolina e feci invitare il Paroco e due Padri di Santa Croce. Circa le 23 hore, capitarono li Padri medesimi con la loro croce e doppo venne il Paroco e nel mentre mi ritrovavo in casa per le occorrenze dell’obipag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

to, sentii sotto il portico che il Padre Vicario dimandò “ove è la mia croce”. Mi feci fuori e sentii il Rettore delle Tezze che gli rispose ‘l’è qua’, e l’aveva sotto la cotta; il Padre Vicario gli la volse tor et il Rettore non gli la volse dare: onde tirando quello per la parte longa e il Rettore per il traverso restò scattenata e la parte longa in mano al Vicario e la parte traversa in mano del Rettore il quale, postosi questa parte traversa che è la curta dietro al culo et appoggiatosi alla battua della porta della mia caneva, con spinte di culo e sforzi di brazzo rompè in due parti quel traverso de la croce che gettò poi a terra e poi il padre Clemente pigliò da terra dette rotture, le baciò e disse: ‘Prete, prete, se non portassi rispetto a Dominedio, si vorebbe romper questa sulla testa’. E levarono poi la morta e la condussero alla sepoltura sempre brontolando. Questo fatto ha reso scandalo assai e… tutti si davano gran maraviglia di questa cosa”. Naturalmente, il 23 novembre anche don Leonardo fu citato a comparire davanti al Vicario del Vescovo “sotto pena di ducati 100, della sospensione a divinis e del carcere”. Ma il sacerdote non aveva fretta di pag.

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andare a finire in carcere e si presentò solo due mesi dopo, il 23 gennaio 1692, forse sperando che le acque si fossero calmate. Noi vogliamo essere imparziali, quindi è giusto che sentiamo anche la sua deposizione, resa dalle prigioni della Curia, dove era stato comunque rinchiuso: “La mia proffissione et essercizio è quella della cura delle anime soggette alla Chiesa Parochiale de’ Santi Pietro e Rocho delle Tezze di Bassano, da me posseduta da anni quattro e più in qua… La mia Parochialità confina con Fontaniva, con Cartiglian, Rosà e Friula… Dentro la mia Parochia vi è il convento e chiesa de’ Padri di Santa Croce Bigolina… Vi sono alcuni miei parochiani che vanno sepelliti sul sagrato di Santa Croce Bigolina, ma questi sono più tosto forestieri che nativi del loco… Dalli 19 di ottobre, se non fallo, prossimamente passato, non è più successo il caso di sepellire alcun mio parochiano nel Cemeterio di Santa Croce, nel qual giorno vi fu sepellito il cadavere di Lucia moglie di Zan Maria Bertacco… Detta Lucia era forestiera… Io accompagnai il cadavere della Lucia alla sepoltura


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

come Paroco, et nell’ accompagnamento intervennero il Padre Policarpo Vicario e il Padre Clemente del Convento di Santa Croce Bigolina, benchè non fossero stati chiamati… Non furono chiamati nè da me nè da parenti del morto e vennero per fare dell’insolenze…”. Poiché la testimonianza di don Leonardo era ovviamente in contrasto con tutte quelle precedenti, comprese quelle dei Ravagnoli, padre e fratelli della defunta, il Vicario del Vescovo chiede al Parroco se ritiene che i Ravagnoli siano uomini per bene e degni di fede. Don Leonardo risponde di sì senza esitare, ma quando viene a sapere che essi hanno deposto contro di lui, esclama: “Se hanno detto questa cosa, hanno detto la bugia… Ho creduto che siano uomini da bene, ma adesso che vedo hanno giurato il falso non li tengo per tali, anzi subornati dai Padri”. E aggiunge: “… Cento mille volte haverò detto dall’altare e persuaso il popolo a fare elemosina a detti Padri… Quando ha fatto bisogno et è occorso sono stati invitati a ufficio nella mia chiesa…”. Accusato di aver chiamato i Padri du-

rante la predica “fratazzi o fratazzoni”, don Leonardo si difende con forza: “Questa cosa non l’ho mai detta et è lontana dalla verità quanto è il cielo dalla terra… Se questa cosa viene detta in processo, sarà detta da qualche testimonio indegno di fede…”. In merito all’episodio specifico della rottura della croce, il sacerdote afferma: “Mi portai quel giorno che si doveva sepellire la sudetta Lucia alla casa della morta per fare le mie fonzion e quando fui là, veduta da me la croce dei Padri… la qual croce… era stata prima in corte della morta e considerando… il pregiudicio che inferivano detti Padri alle mie ragioni parocchiali per non voler capitare alla mia chiesa a levare la mia croce, come commandano li decreti della Sacra Congregazione…, presi con ogni reverenza giù dall’asta la croce dei Padri medesimi e me la posi sotto la cotta et entratto in corte, dolendomi con modestia e riverenza con quei Padri del pregiudicio facevano alle mie ragioni parocchiali… et nello stesso tempo la presi (la croce) di sotto la cotta e la mostrai alli Padri. Il Padre Vicario sbalzò immediate in collera e… con le mani nella croce cioè con una nella cima e con l’altra pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

nel tramezzo et io tenendo pure con le mani la stessa croce con una nel fondo verso il groppo e con l’altra nel traverso, tirando uno e l’altro restò la croce rotta: rimanendo la parte longa in mano del Padre e la parte traversa meza rotta in mano mia. Ma questo fu niente perché il scandalo maggiore fu causato dal Padre, che tenendo la parte longa della croce in mano se ne servì come per arma… protestando di darmela sul mostazzo, bestemmiando e ingiuriandomi con grande mia sofferenza… e nel mentre dicevo il “De profundis” il padre continuava ad ingiuriarmi e a bestemmiare… Perché li Padri non credessero che io volessi servirmi per arma di quella parte di croce che mi era rimasta in mano, me la posi dietro la schena sotto la cotta e mi appoggiai a un muro per farli conoscere che non volevo contendere e perché (la croce) era debilitata da quei sforzi fatti prima, restò in due parti quali volsi dare ai Padri nè volendoli questi la posi sopra un carro vicino e fu presa dai Padri e legate tutte queste parti assieme formarono di nuovo la croce, con quale si incamminarono in processione meco sempag.

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pre ingiuriandomi di modo tale che fu sforzato un parente della morta andare dai Padri e dirli che tacessero e dicessero le orazioni… La croce della quale ho parlato era di legno dipinta da morto… la parte lunga di 4 palmi in circa colorita di rosso, negro e turchino, con figure da una parte rappresentante il Crocifisso, dall’altra la Beata Vergine et alcune figurine di Cherubini… Io non ho fatto (minacce) di sorta contro detti Padri, bensì loro dissero che ringraziassi Dio che essi non avevano l’asta in mano che l’haverebbero adopperata… Io non so altro dirvi se non che li testimoni non dicono la verità e che tutto il giorno li Padri sono fuori a subornare… Accompagnato il cadavero alla chiesa, li Padri volsero che mi cavassi la stolla come feci…”. Come si vede, non era facile stabilire la verità e poiché un po’ di torto c’era da entrambe le parti, il Parroco di Tezze fu scarcerato la sera dello stesso 23 gennaio, dietro pagamento di una fideiussione di 100 ducati, perché potesse tornare alla cura delle sue anime. Una cosa è certa: le lotte con i Frati non guastarono la salute al battagliero don Leonardo, che res-


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

se la parrocchia di Tezze per ben 55 anni e morì all’età, per quel tempo straordinaria, di 86 anni. Le cronache lo ricordano come “zelantissimo parroco” e prete dedito alla cura pastorale, circondato dalla simpatia e dalla solidarietà del popolo103. Quanto ai nostri Frati, rieccoli pochi anni dopo, nel 1717, protagonisti di un nuovo dissidio, questa volta con l’arciprete di Fontaniva e sempre riguardo alla sepoltura dei defunti nella chiesa di Santa Croce. Infatti ai Padri era stato affidato il servizio pastorale anche della contrada di Ca’ Micheli, che era però in Parrocchia di Fontaniva. Da molti anni vi era la consuetudine che il rito dei funerali fosse celebrato dai Francescani alla presenza del parroco e del cappellano di Fontaniva. Era allora Arciprete Antonio M. Disconzi, nato ad Altissimo nell’alta Valle del Chiampo104, sacerdote di notevole cultura, di forte pietà e di intensa carità. Per un po’ di tempo i rapporti fra i Padri e l’Arciprete furono sereni. Tutto sembrava andare per il migliore dei modi quando il 14 maggio 1717, in occasione del funerale di un certo Antonio Agostini, i Padri impedirono al cappellano di Fontaniva di entrare

nella chiesa di Santa Croce con la stola e la croce parrocchiale; ne nacque una lite in pubblico, che provocò ancora una volta scandalo tra i fedeli e una vibrata protesta da parte dell’Arciprete. Questa volta il Padre Guardiano chiese perdono ai sacerdoti fontanivesi e assicurò che tali fatti non si sarebbero più verificati. Ma si vede che i Frati erano divenuti esperti in questo tipo di liti, perché episodi simili si ripeterono ben presto. Il Disconzi allora si rivolse al Doge di Venezia perché intervenisse con la sua autorità ad evitare “l’incontri di liti e scandali” provocati “dalli PP. Minori di Santa Croce”. Il Doge rispose il 2 novembre 1730, confermando il dirittto dell’Arciprete di Fontaniva “di entrare con croce, stola e copricapo nella chiesa dei Padri della Minor Osservanza di Santa Croce Bigolina in occasione della sepoltura dei morti della parrocchia di detta chiesa di Fontaniva… e che non debba… impedirgli il solito ingresso in detta chiesa in tali occasioni, sotto pena per chiunque disubbidisca di 100 ducati… ed inoltre sotto pena della formazione di un processo criminale contro i disobbedienti…”. Ma neppure l’ordine del Doge fece pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

grande effetto ai nostri Frati e la questione sembrò trovare una soluzione solo nel 1744, quando fu preparata una dichiarazione da sottoscriversi da entrambe le parti. In essa si diceva che i Padri avrebbero riconosciuto agli Arcipreti di Fontaniva il diritto di entrare nella chiesa di Santa Croce con Croce alta e stola al collo, mentre avrebbero potuto liberamente ricevere il cadavere, cantare il Vespro o Notturno o Messa, e dopo aver deposto il cadavere, l’Arciprete avrebbe dovuto abbassare la croce e levarsi la stola. La dichiarazione non fu però sottoscritta e i Frati continuarono a non rispettare i patti, sicché l’Arciprete Disconzi perse la pazienza e mandò dire loro, tramite l’Arciprete di Cittadella, che “vedendoli così ostinati, li lasciava nel loro amor proprio e che era risoluto per l’avvenire di non dar loro più occasione di offendere Dio e il prossimo vivo e defunto, perché non sarebbe più entrato nè lui nè i suoi delegati nella loro chiesa, ancorché lo avessero pregato di farlo!”105. Non sappiamo se tutte queste liti diminuirono la fiducia della gente di Santa Croce e del circondario nei Francescani; certo è che, ancora il 31 ottobre 1667, Caterina Franceschetti pag.

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da Pozzoleone, gravemente ammalata, “considerando alla certezza della morte e all’incertezza dell’ora di questa”, supplicando Gesù Cristo per il perdono dei suoi peccati e raccomandandosi alla Gloriosa Vergine, lascia nel testamento erede usufruttuaria di tutti i suoi beni Gasparina, sua sorella, dopo la morte della quale però vuole e assolutamente comanda che tutti i sudetti beni siano del Convento dei Reverendi Padri di Santa Croce Bigolina, i quali ogni anno dovranno celebrare tante messe per l’anima sua, di suo marito e dei suoi defunti106. Per tutta la prima metà del 1700 i Francescani continuarono ad abitare tranquillamente il Convento di Santa Croce, ma tristi avvenimenti si stavano preparando per loro. La Repubblica di Venezia era ormai in declino e il governo della Serenissima, come in ogni periodo di crisi, aveva bisogno di soldi. Fra gli altri provvedimenti per reperire fondi, fu nominato anche un Provveditore Aggiunto Sopra i Monasteri, incaricato appunto di catalogare ed incamerare quei conventi che, venduti, avrebbero potuto portare allo Stato nuove entrate. Fra questi, nel 1769, fu incluso purtroppo anche il nostro Convento.


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

E proprio al 30 aprile 1769 risale il “Catalogo de’ Religiosi de’ Minori Osservanti, che si ritrovano di Famiglia in questo Convento di Santa Croce Bigolina. Sacerdoti.

Laici professi

F. Francesco di Campo S. Pietro di anni 87, di professione 63

F. Angiolo dalle Saline di anni 52, di professione 27

M. R. Padre Domenico di Fontaniva Presidente e Confessore di anni 33, di professione 13

M. R. Padre Valentino di Simonzo Vicario e Confessore di anni 61, di professione 40

Padre Michelangelo di S. Faustino F. Antonio dalla Villa del Conte di anni 30, di abito 9”. Confessore di anni 52, di professione 34 Nello stesso giorno i Frati dichiarano: “La Chiesa officiata da PP. Minori Padre Giulio di Nogaredo Osservanti al Bigolino porta il titolo di anni 52, di professione 30 di Santa Croce, fu consegrata l’anno 1415 ed il giorno 31 agosto ricorre Padre Cipriano di Vicenza l’anniversario di sua consegrazione. Confessore di anni 46, Altari n. 3: Santa Croce, la Madonna di professione 28 e Sant’Antonio107. L’altra Cappella con porta in strada Padre Maurizio di Lendinara comune con Altar n. 1 il cui titolo è Confessore di anni 46, la Concezione della B. V. M. di professione 26 Le Reliquie della Chiesa sono n° 3, cioè Santa Croce, Sant’Anna e Sant’Anto-

F. Domenico dalle Nove di anni 50, di professione 25 Terziari F. Giovanni d’ Altavilla di anni 33, di abito 13

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LA LEGGENDA RITROVATA

nio, con le loro respettive autentiche”. Dopo aver enumerato tutte le ricorrenze in cui si poteva ottenere l’indulgenza plenaria, vengono elencati gli arredi sacri della chiesa di Santa Croce: oltre all’ostensorio, al turibolo e al secchiello con l’aspersorio in argento, vi erano 4 calici, sempre d’argento; la reliquia della SS.ma Croce, 2 reliquiari di legno argentati, un vaso d’argento per l’Olio Santo, 14 pianete di ogni colore, 2 piviali, 3 messali da vivo e 3 da morto, 20 tovaglie d’altare, un baldacchino di legno dorato per l’esposizione del Santissimo108. Quanta malinconia in questi elenchi, ultimo documento della presenza plurisecolare dei Francescani a Santa Croce e segno della decadenza della gloriosa e millenaria Repubblica Serenissima, che scomparirà presto, travolta dalle conseguenze della Rivoluzione Francese. Il 1 giugno 1769 il Doge Alvise IV Mocenigo decretò la soppressione del Monastero di Santa Croce Bigolina, insieme con quella di altri 15 della provincia109 e lo incamerò tra i beni della Repubblica. Il 15 dicembre 1769 Silvestro Cecco, pubblico perito di Padova, procede alla perticazione e disegno del Conpag.

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vento e Circondario di Santa Croce Bigolina, “per venerati comandi dell’Eccelentissimo Signor Cappitanio di Padova, esecutivo a Riveribili Lettere dell’Eccellentissimo Signor Inquisitor Aggionto sopra Monasterij”. Il rilievo mappale, splendidamente colorato, è custodito nell’Archivio di Stato di Venezia110. Vi si può notare il Convento integro, mentre ora ne rimane solo il corpo centrale e una piccola parte del chiostro; esso aveva due cortili, di cui uno più grande, separati da un chiostro centrale che si univa alla chiesa, non ancora ampliata, e al campanile, che non aveva ancora la cuspide attuale. Tutto il terreno attorno al Convento era circondato da una mura, ora in gran parte caduta, ed era coltivato a orto, prato e vigna; la parte a sud era costituita da un bosco di piante diverse. Nella mappa è anche ben visibile il trecentesco oratorio di San Francesco, distrutto dai moderni barbari degli anni 60 per far posto alla strada asfaltata. Il Monastero fu quindi acquistato dal governo veneziano nel 1770 da Zuanne del fu Domenico Bertoncello di Cartigliano; passò poi alla famiglia Marcante e infine ai Dal Sasso di Feltre, attuali proprietari.


CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

NOTE AL CAP. 5

100. V. Mantese, Memorie storiche..., p. 444.

92. L’Ordine Francescano, riconosciuto nel 1209, comprende i Frati Minori Conventuali, i Frati Minori Osservanti e i Frati Minori Cappuccini. I Frati Minori Osservanti, ovvero la Famiglia della Regolare Osservanza sorse nel 1368, con il proposito di osservare la Regola francescana con tutta purezza; questi primi Frati devoti furono anche detti Zoccolanti per gli zoccoli che portavano.

101. Piovano o Pievano erano anche detti i parroci a quel tempo.

93. V. G. Franceschetto, Saggi storici… p. 151. 94. “… annuatim dare et consignare… religiosis seu fratribus comorantibus in Ecclesia seu Monasterio Sancte Crucis de Bugolino (sic) in Potestaria Citadelle unum bonum vitulum valoris trium librarum denariorum venetorum… ”. A. S. V., Notai di Vicenza, Antonio da Marostica, b. 69, c. 115. (La clausola è stata segnalata dal prof. Alberto Golin). 95. V. Note storiche per il convento francescano di Cittadella, a cura di Luigi Grieco in Conferenza per le manifestazioni celebrative del 750° di fondazione di Cittadella - 14. 4. 1970. 96 V. G. Wiel Marin, Antiche vicende di Santa Croce Bigolina, in “Padova e la sua Provincia”, n. 2, 1969. 97.

“...attenta maxime necessitate conservandi conventum S. Crucis Bigulinae...”, come dice P. Beato da Valdagno nei suoi Annali. Si vedano di P. Vittorio Meneghin O. F. M.: Documenti e appunti storici sul Convento di S. Francesco di Cittadella dal 1481 al 1944 - Venezia, San Michele in Isola, 4/7/1979 - Appunti dattiloscritti conservati presso la Biblioteca del Convento di S.Francesco a Cittadella.

102. Le ore 22 non corrispondevano allora all’attuale ora serale. Fino al Settecento avanzato, infatti, restò in uso in Italia un sistema orario che, secondo la tradizione biblica, fissava la fine del giorno e l’inizio del giorno successivo al tramonto del Sole. Quindi, le ore 22 fissate per il funerale, tenendo conto che siamo al 19 ottobre, dovrebbero corrispondere alle attuali ore 16 circa. Il passaggio da questo sistema a quello civile, già in uso in Francia, e che iniziava il computo delle 24 ore a partire dalla mezzanotte, come oggi, avvenne, ad esempio, in Lombardia solo nel 1786 e si diffuse in Italia dopo la Rivoluzione francese. V. G. Fantoni, Orologi solari, Ed. Technimedia Roma, 1988. 103. V. Una terra, un fiume, una comunità, p. 135. 104. Dalla stessa famiglia dell’arciprete Disconzi è originario Don Davide Disconzi, cappellano a Santa Croce negli anni '60. 105. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 391-393. 106. A. C. V., Stato delle chiese: Santa Croce Bigolina. 107. L’attuale altare della Madonna del Rosario risale al 1710, quello di San Antonio al 1711. 108. V. A. C. V., Stato delle chiese… 109. V. G. Wiel Marin, op. cit. 110. A. S. V., Sezione microfilm, Provveditori sopra Monasteri, Disegno n. 31, foto n. 38.

98. V. P. V. Meneghin, op. cit. 99. V. G. Franceschetto, op. cit., p. 151.

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A sinistra: Santa Croce Bigolina di Cittadella (PD). Convento dei Padri Minori Osservanti di San Francesco, dsegno di Silvestro Cecco, 15 dicembre 1769. Provveditori e Aggionto sopra i Monasteri, dis. 31 (fotoriproduzione eseguita dalla Sezione di fotoriproduzione dell’Archivio di Stato in Venezia pubblicata “su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali”). La mappa è riprodotta a colori anche a pagina 372.

CAPITOLO 5

Il Convento dei Frati Francescani Minori Osservanti

Il confronto tra il particolare della tavola a fianco ed una foto attuale del complesso adiacente la chiesa di Santa Croce dimostra come anche le forometrie delle facciate siano rimaste pressochè immutate dall’epoca del Convento Francescano. Degna di nota la dicitura “cimitero lasciato”, riportata sulla antica mappa in corrispondenza dell’attuale Sagrato. pag.

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A lato: particolare di antica mappa relativa a concessioni d’acqua conservata presso l’Archivio di Stato di Venezia in cui si vede la “rosta Michiel”, derivata dal Brenta a Tezze, che dopo aver attraversato il paese di Santa Croce lungo il perimetro del Convento Francescano va ad alimentare la Sega ed il Molino di Santa Croce Bigolina. pag.

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In basso: foto di famiglia risalente ai primi anni del Novecento. La foto rappresenta la famiglia dei Benetello, ultimi proprietari del Molino di Santa Croce Bigolina; il terzo ragazzo da destra, in piedi sulla ruota, è Giuseppe (Bepi) Benetello che molti hanno conosciuto. Per le famiglie dei mugnai era usuale farsi fotografare di fronte alle “rode” del mulino, che costituivano un vero e proprio simbolo di potenza economica nei tempi in cui l’unica fonte di energia era l’acqua.


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Il Mulino e l’edificio da sega di Santa Croce e i Michiel

S

e non come quella dei Bigolini, pur tuttavia anche la storia della nobile Famiglia dei Michiel ci interessa abbastanza da vicino. Qui non ci soffermeremo su di essa in modo approfondito, ma solo per quanto riguarda direttamente l’antico mulino di Santa Croce, ora di proprietà dei Benetello, e l’antichissimo edificio da sega111, non più esistente. I terreni denominati Ca’ Micheli e Basse di Ca’ Micheli, dove un tempo stavano il Convento e la Chiesa di Santa Lucia di Brenta, agli inizi del Trecento erano beni dei Signori da Carrara. Subentrata a loro la Repubblica di Venezia, furono donati nel 1405 dal Doge alla Comunità di Cittadella ed erano esenti da tasse. Il 29 settembre 1444, 430 campi circa di questi terreni furono dati in affitto al N.H. Maffio Molin112. In una dichiarazione del 4 agosto 1518, custodita nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia, i Molin denunciano di possedere appunto una campagna “la qual per furia et impeto delle acque è gran parte d’essa devastata, consumpta et ruinata e sopra fatta letto de Brenta, su la qual soleva essere una bella e grande caxa (= casa) con teza et altri edifizi… le qual terre

o possession son divise in due parte et la Brenta passa per mezo et una parte sia posta nel territorio vicentino nel quale etiam (= anche) v’era una ostaria et beccaria… Le qual terre pagano livello et pension anual alli Fratti di Santa Lucia de Brenta e San Fortunato de Bassano… ducati 10 ogni anno… ma dovevano essere campi de terra boni et utili… in tutto campi 500 e più, computando quelli campi che ne sono occupati per uno Gasparo Bigolin et altri, le qual terre… sono poste tra questi confini: …la Comunità di Cittadella, la campagna della Villa de Fratta, la Postuma e la Brenta e le altre veramente sono in vicentino, sono tra questi confini… da una parte la prefata Comunità di Cittadella, la Brenta, la Postuma et la Villa de Carmignan, de Camazole e della Friola…”. Dai Molin poi la campagna passò ai nobili veneziani Gritti. Proprio Domenico Gritti, il 20 settembre 1520, in una richiesta di esenzione, nomina i terreni del monastero di Santa Lucia, già dati in enfiteusi nel 1444 a Battista Bigolino, ove è costruito un mulino, il quale era stato venduto il 19 marzo 1499 dai Rettori di Padova ad un certo Gregorio di Zucuoli mepag.

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dico da Faenza; questi, a sua volta, il 13 novembre 1515 l’aveva lasciato in dote a sua moglie, la quale, il 21 ottobre 1518, l’aveva ceduto appunto a Domenico Gritti, “el qual molin et altri beni esistenti in detta Villa de Santa Lucia son sempre stati immuni ed esenti”113. Terreni e mulino erano poi passati ai Dandolo e finalmente ai Michiel. I Michiel erano considerati una delle più antiche famiglie nobili veneziane, quelle dette “apostoliche”, perché avrebbero partecipato alla elezione del primo doge. Nel 1116, diventa doge un Domenico Michiel. La Famiglia resta poi sempre sulla cresta dell’onda, arricchendosi sempre più con l’incameramento di parte dei beni di altre Famiglie nobili, mediante una serie di matrimoni ben combinati114. A noi interessano particolarmente il Marc’Antonio Michiel nato nel 1562 e morto nel 1621, il suo omonimo nipote (1614 -1649), marito di Marina Dandolo, e i nipoti di quest’ultimo, Alvise (1687-1753) e i fratelli Valerio, Vincenzo (che diventerà abate), Polo e Marcantonio. I Michiel cominciano ad acquistare beni a Santa Croce già con Marc’Antonio. Infatti, il 7 settembre 1583, la Nobilpag.

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donna Chiara Marin, vedova di Lorenzo Barbaro115, vende, fra l’altro, al N. H. Marc’Antonio Michiel una campagna “con fabriche di diversa sorte, cioè casa dominicale, tezze, stalle, pozzo, collombara, cortivo, brollo et orti con una casetta da lavoradori parte de muro coperto de coppi et parte di paglia et con un cason di paglia… posta in diversi pezzi nella Villa di Santa Lucia de Brenta116, territorio di Cittadella, in locco detto Ca’ Molin117, la qual possession è in tutto de campi nonanta quatro et tavole cinquanta alla misura Padoana… un’altra pezza di terra prativa detta la Calcara… sopra la qual vi è una calcara de calcina et per mezzavia detto prado et nell’alveo proprio di detto prado vi passa l’acqua della Rozza della sega vicina”118. Il mulino, invece, era nel frattempo passato in proprietà di Andrea Zorzi, il quale l’aveva acquistato dal suocero Alvise Badoer. Il 25 agosto 1584, Andrea Zorzi dà a livello, sempre al N. H. Marc’Antonio Michiel, “una posta de Mollini con 4 Rodde poste in Villa di Santa Croce”… “essendo che il ch.mo M.r Andrea Zorzi… si ritrovi haver una posta da Molini nella Villa di Santa


CAPITOLO 6

Il Mulino e l’edificio da sega di Santa Croce e i Michiel

Croce del territorio di Cittadella, per lui acquistati insieme con alquanti campi… contigui a detti Molini… li quali molini et luoghi, per esser al presente ridoti in malissimo stato, hanno bisogno di molta et molta spesa così per assicurar la bocca della roza dove si toglie l’acqua dal fiume della Brenta… come anco per riparar alle rovine imminenti delle case et habitationi delli Molini, delle tezze, delli coperti et delle muraglie di tutto il recinto del locco predetto con spesa almeno de ducati trecento, et volendo detto Ch.mo M.r Andrea schivar tutte queste spese et non potendo anco per causa delle sue indispositioni et infirmità attender et procurar quanto farà bisogno per la reparatione et restauratione delle cose predette”. Ed ecco i confini che definiscono chiaramente il luogo: “… a mattina la via publica over consortiva che va a Santa Croce, a mezzodì M.a Cassandra da Rio da Padova, a sera la via publica overo consortiva contigua alli molini et a monte le ragioni del Monastero di Santa Croce in parte et in parte li heredi del q.m m.r (= del fu signor) Francesco Bigolini da Padova”. Si aggiunge che mulini e beni erano

stati per molto tempo e fino ad allora tenuti in affitto da Tommaso da Lugo, cittadino di Bassano per 74 ducati all’anno. Il Michiel promette e si obbliga a tenere bene i mulini e i beni e a fare delle migliorie “come si conviene a bon livellario secondo gli ordeni et statuti di Padova”119. Il 4 gennaio 1612 la N. D. Chiara Zorzi, vedova di Andrea, trasforma il livello in vendita e così Marc’Antonio diventa l’effettivo proprietario del mulino, il cui possesso, l’11 gennaio 1656, verrà confermato anche al figlio Valerio. Il 23 ottobre 1615 lo stesso Marc’Antonio così supplica i Provveditori ai Beni Inculti di Venezia120 di concedergli di utilizzare l’acqua del Brenta per il funzionamento del mulino: “Possiedo io Marc’Antonio Michiel nella Villa di Ca’ Molino et Santa Croce campi incirca quattrocento nelli territorj di Bassano e Cittadella, li quali rendevano a qualche maggior benefizio quando l’irrigassero coll’acqua della Brenta serviente a ruode quattro di molino di ragione mia, cioè col soprabbondante oltre detto servitio se però ve ne fosse, quali miei molini sono posti in Villa di Santa Croce sopradetta e riverente le suplico vopag.

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lermi quella conceder per la quantità che sarà da Periti giudicata…”121. Quattro anni dopo, il 9 marzo 1619, il Michiel chiede acqua anche per la sua sega, lontana circa un chilometro e mezzo dal molino (forse al’altezza di Ca’ Micheli dove sorgeva l’originario convento di santa Lucia): “Supplicai io Marc’Antonio Michiel… il soprabbondante che si ricava dall’acqua della Brenta et serve a ruode quattro di molini miei posti in Villa di Santa Croce Bigolina… ma perché l’acqua sopradetta dopo che ha servito essi miei molini si trova debita ad una mia sega situata un miglio incirca di sotto delli predetti molini, la qual siega già anni quindeci incirca restò destrutta d’un repentino accrescimento della sopradetta Brenta. Ma poi che il Signore Iddio ha totalmente accomodato il corpo d’esso Fiume, et restaurato il sito d’essa siega che felicemente lei si può restaurare, intendo quella refabricar et ritornare nel suo positivo stato… però… riverentemente le suplico quella concedermi per l’irrigatione di essi miei beni per estrarerla, condurla et scolarla come da Periti sarà giudicato…”122. Vennero i periti, fecero il sopralluogo, ma il permesso tardava ad arrivare. Inpag.

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tanto morì Marc’Antonio e il figlio Valerio continuò ad usare tranquillamente l’acqua credendo che tutto fosse a posto, finchè, probabilmente a seguito di un controllo, venne a sapere che la concessione chiesta dal padre non era mai stata data. Allora, il 28 giugno 1640, Valerio è costretto a rivolgere una nuova supplica, scrivendo: “… I Periti furono sopra il loco, formarono disegno e fecero le fontioni necessarie… et si poneva devenire alla supplicata concessione; ma essendo concorsa in quelli tempi la morte del defunto Signor mio Padre, io ignaro di tutto il negoziato credetti che il tutto fosse terminato et con tal buona fede ho continuato possedere oltre l’uso legittimo dei molini anco l’uso dell’irrigazione supplicata, et hora scorgo non esserci la dovuta concessione et però intendendo obbedire alle leggi, perciò supplico Vostre Ecc.ze Ill.me onde, stante questa mora causata dall’accidente sopranarrato, voglino concedermi la supplicata investitura… dichiarando che quanto alla sega non intendo più reffar quella nè di detta valermi…”123. Passeranno però ancora 16 anni (i tempi della burocrazia non erano veloci neanche allora) prima che i Prov-


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Il Mulino e l’edificio da sega di Santa Croce e i Michiel

veditori ai Beni Inculti concedano a Valerio la concessione delle acque richieste, per la corresponsione, una tantum, di 350 ducati più le spese. E arriviamo al 6 giugno 1735, allorché, con un documento particolarmente interessante per la nostra storia, viene confermato ai Nobiluomini Alvise e fratelli Michiel “l’antichissimo possesso dell’uso d’un edifizio d’una roda da sega esistente in Villa di Santa Croce Bigolina sotto Cittadella, havendo prodotto per giustificazione dell’antichissimo possesso l’istrumento d’investitura livellaria rogato l’anno 1404 (su questa data, che suppongo errata, così come più sotto il nome di Gasparo, si veda la nota)124, 30 dicembre, con il quale il Rettore del Monastero di San Fortunato fuori della terra di Bassano per ragione di antico e perpetuo livello investe il Cavalier Gasparo Bigolino Nobile di Padova di tutti li boschi, vegri e prati aspettanti al Monastero di Santa Lucia di Brenta et… della giurisdizione delle acque con facoltà di costruirvi mulini e seghe con le ragioni stesse che aveva il detto Monastero in Santa Lucia di Brenta …con obbligo di pagare di annuo livello 7 ducati d’oro…”.

A questa documentazione i Michiel aggiungevano: “…l’istromento di convenzione seguito l’anno 1611, 12 Novembre, tra il N. H. Marc’Antonio Michiel… et Mons. Galeazzo Bigolin, con la quale accordano ch’essendo seguito danno considerabile cagionato dalla Brenta alla Roza dei molini del detto N. H. accordano che sia trasportata essa roza per li beni di detti Bigolini, sopra la qual roza possino anche li detti Bigolini trasportare la sua sega…”; “…altra convenzione dell’anno 1629, 17 Febraro seguita tra il N. H. Valerio Michiel… con Domino Allessandro Bigolino, con la quale attesi li danni causati dalla Brenta alla roza delli molini, nè potendo dar l’acqua alli detti molini se non resta di lavorare la sega delli detti Bigolini con danno dell’affitto; che perciò i Bigolini concedono a detto N. H. Michiel… le giurisdizioni (che) aveano per la sega con tutti li utensili per fabricarne un’altra… pagando alli Bigolini il livello di ducati 54 all’anno…”; - “…la condizione fatta l’anno 1712 dal fu N. H. Zuanne Michiel fu padre delli detti NN. HH. esponenti al Magistrato lustrissimo de X Savij, nella quale… notifica possedere in villa di Santa Cropag.

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ce Bigolina un edifizio da sega…”; “…il decreto dell’Ecc.mo Senato dell’anno 1713, con il quale resta ingionto l’obbligo alli possessori d’acque per la confirmazione di mostrare il loro possesso per il corso di un secolo… che perciò vedendosi giustificato con sopradette carte l’antichissimo possesso giusto le leggi et avendo adempito agli altri obblighi, col presente istromento danno, concedono, …confirmano alli sopradetti NN. HH. Alvise e fratelli Michiel… l’antichissimo possesso d’un edifizio da sega di rode una esistente in Villa di Santa Croce Bigolina sopradetta, l’acqua, che si estrae dalla Brenta nella forma… come sopradetto…”125. Come si può notare, i Michiel tennero stretti rapporti con i Bigolini ed ebbero una parte rilevante nella storia del nostro paese. Da essi prese il nome la roggia che attraversa Santa Croce; essi costruirono anche lo splendido oratorio di S. Gaetano, di cui parleremo più avanti. La caduta della Repubblica Veneta segnò anche l’inizio della decadenza della nobile Famiglia e agli inizi dell’Ottocento i Michiel vendettero le loro proprietà di Santa Croce e Ca’ Michieli alla principessa austriaca Maria Beapag.

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trice d’Este, arciduchessa d’Austria, figlia del re di Modena Ercole Rinaldo III d’Este e moglie di Ferdinando d’Asburgo-Lorena. Nel 1811, infatti, il “Signor Cavalier Prefetto Presidente del Magistrato acque e strade del Dipartimento del Bacchiglione” attesta a Pietro Viel, agente di Sua Altezza Reale, che “la principessa Maria Beatrice d’Este, Arciduchessa d’Austria…, denonzia di goder e posseder gli… usi d’acqua… come successa alla Veneta Famiglia Michiel. Per l’irrigazione dei propri terreni posti in disegno con n° sei quadretti d’acqua della Brenta di Bassan da esser cavata di sotto la rosta Morosina… Per l’andamento di quattro ruote di mulino, una ruota da sega e campi 400 c.a (circa) posti in villa di Camolino e Santa Croce Bigolina sotto Bassano e Cittadella, coll’acqua della Brenta, che viene estratta sul Bassanese ora di questo Dipartimento…”126. Di tutto questo resta ormai poco: la sega non esiste più; il mulino è stato modernizzato, ma ora ha cessato l’attività. Per fortuna è stato restaurato l’Oratorio, così come è in ristrutturazione il complesso abitativo dei Michiel.


CAPITOLO 6

Il Mulino e l’edificio da sega di Santa Croce e i Michiel

NOTE AL CAP. 6 111. Come si vedrà, l’edificio da sega verrà sempre definito negli atti “antichissimo”. Si può presumere ragionevolmente che esso fosse già di proprietà del Monastero di Santa Lucia e che risalga quindi all’incirca al sec. XII. 112. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 395. 113. B. M. C., Notai: Maffio Tura e Valerio Zordan. 114. V. A. Zorzi, op. cit. 115. Ricordiamo che i terreni di Santa Croce, già di proprietà del Monastero di Santa Lucia e poi dei Bigolini, furono alternativamente acquistati e venduti generalmente fra famiglie della nobiltà veneziana e padovana. Non è facile stabilire esattamente i tempi dei vari passaggi di proprietà nè i nominativi e i rapporti tra le diverse famiglie. Qui ci si limita dunque ad alcuni accenni essenziali riguardanti l’argomento specifico, senza alcuna pretesa di dare un quadro completo, per il quale ci sarebbero volute ricerche molto più approfondite, che, per il presente lavoro, dato il tempo richiesto, non si è ritenuto opportuno svolgere. 116. Si noti come, pur essendo ormai alla fine del Cinquecento, Santa Croce continui ad essere chiamata negli atti notarili col vecchio nome di Santa Lucia di Brenta.

le acque pubbliche e private fossero incamerate dal Demanio pubblico e che il loro sfruttamento fosse concesso dietro pagamento di una tassa. (V. D. M. Rossi, op. cit., p. 238)

121. A. S. V., Commissione all’esame delle investiture di acque nel dipartimento del Bacchiglione, b. 2 122. A. S. V., id. 123. A. S. V., id. 124. Qui si parla dell’investitura dei beni del Monastero di Santa Lucia, data dal Rettore di San Fortunato. Come si è visto quando si è parlato di Battista Bigolino, l’investitura è stata data a lui il 30 dicembre 1444. Quindi i riferimenti all’anno 1404 e a Gasparo Bigolino devono essere degli errori di trascrizione del notaio, primo perchè corrispondono giorno e mese; poi perchè, come risulta dall’albero genealogico, nel 1404 non poteva esserci ancora un Gasparo, che è figlio di Battista; terzo, e più importante motivo, perchè i beni del monastero di Santa Lucia saranno uniti a quelli di San Fortunato solo nel 1412. 125. A. S. V., id. 126. A. S. V., id.

117. Il territorio di Ca’ Molino corrispondeva circa all’attuale Ca’ Michieli. 118. B. M. C., Ms., P. D. 119. B. M. C., Ms., P. D. 120. Il Magistrato ai Beni Inculti fu istituito con decreto del Senato Veneziano il 6 febbraio 1556, e aveva il compito di rendere coltivabili i terreni aridi tra “la Brenta e la Piave”. Inoltre disponeva che tutte. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: estimo dei beni del Comune di Santa Croce; documento del 26 novembre 1684.

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bituati ormai da quasi duecento anni ad essere frazione di Cittadella, ci sembrerà strano pensare a Santa Croce come Comune indipendente. Eppure, per molto tempo, fu così, ed è estremamente interessante conoscerne la storia. Non sappiamo esattamente quando Santa Croce si organizzò in Comune rurale, ma possiamo pensare che ciò sia avvenuto nel corso del Seicento, dopo che il potere e la ricchezza dei Bigolini si furono indeboliti e la loro presenza in paese non fu più costante. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che, in tanti documenti, molte volte Santa Croce viene chiamata “Villa”. Il termine “Villa” aveva allora un significato diverso da quello odierno. La parola viene dal latino e, per i Romani, la villa non era altro che una grande casa di campagna, pressoché autosufficiente nella sua organizzazione. A partire dall’Alto medioevo, per “Villa” si intende anche una comunità autonoma, in grado di governarsi e di provvedere alla manutenzione delle strade, dei corsi d’acqua, dei ponti, di decidere sulla difesa degli abitanti e dei diritti relativi al pascolo, all’uso dei boschi e della proprietà in genere. L’uso del termine “villa” nel senso di

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Il comune rurale di Santa Croce Bigolina

“villaggio, paese” diventa corrente dopo il Mille. Quando, agli inizi del Quattrocento, iniziò la dominazione veneziana, il governo della Serenissima riconobbe l’antica istituzione rurale e la inserì nei suoi ordinamenti. Le cariche comunali erano: il degano, chiamato in alcuni luoghi anche marigo; i suoi compiti corrispondevano in parte a quelli dell’attuale Sindaco; egli era infatti il responsabile di tutta la comunità ed era eletto dai capifamiglia. Il degano era assistito da due uomini di comun; all’interno del consiglio civico, poi, vi erano i massari, in qualità di rappresentanti della parrocchia. È da tenere presente che nel Comune rurale vita civile e religiosa non erano separate, ma si compenetravano a tal punto che spettava al Comune provvedere al mantenimento del parroco e alle spese della parrocchia. Comunque, tutte le decisioni venivano prese dai capifamiglia con voto palese, con un sistema tanto democratico che avrebbe anche oggi qualcosa da insegnarci. Quando i capifamiglia dovevano prendere qualche decisione oppure eleggere i propri rappresentanti, si riunivano in vicìnia, che corrisponderebbe all’attuale consiglio comunale127. L’avviso pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

della riunione veniva dato in chiesa dall’altare durante la “Messa Granda”. Il suono della campana annunciava la riunione, che a Santa Croce si teneva nel Convento dei Francescani. Avvenuta l’apertura dell’assemblea, il “degano” spiegava il motivo della riunione e la “parte”, cioè la delibera da votare. I voti venivano espressi mediante una “balla” che veniva introdotta in un “bossolo”, cioè un’urna di colore bianco per i voti favorevoli e di colore rosso per quelli contrari. Se i voti “che dicon de sì” erano in maggioranza, si diceva che la parte era “presa”, cioè approvata128. I verbali di vicìnia erano compilati da un segretario, detto quadernier, che era un notaio pubblico che ne garantiva la validità. Il primo documento che abbiamo trovato, almeno per il momento, sul Comune di Santa Croce, è conservato presso l’Archivio parrocchiale e risale al 26 novembre 1684. Si tratta dell’elenco di tutti gli abitanti dai 14 ai 60 anni, dei possedimenti esistenti, del loro valore e dei loro proprietari. Dato il rilevante interesse, lo trascriviamo in parte. “L. D. O. M.” (= Laus Deo Optimo Maximo129). pag.

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Estimo Personale del Comun di Santa Croce cioè Iscrizione fatta in esecuzione de’ Pubblici comandi di tutte le teste dagli anni 14 fino li 60 degli habitanti nel Comun sudetto di Santa Croce Bigolina, territorio di Cittadella e della lavoranza de tutti li campi esistenti nella medesima tanto coltivati dagli habitanti in essa, quanto dalli consorti, il tutto distintamente con l’assistenza delli Massari attuali di detto Comun e di messer Domenego Marsan e Diego Battistela più vecchi d’essa Villa anco dal Consiglio a questo effetto riddotto deputati. Adì 26 novembre 1684. 1. Francesco Golin, soldato. La sua persona d’anni 24. Batta figliolo. Lavora li beni infrascritti di raggione delli RR. PP. di San Fortunato di Bassano sive di S. Giustina di Padoa130. Campi uno e mezzo T. A. P. V. (= terra arativa, prativa, videgada, cioè coltivata a vigna) con fabriche (=case), cortivo et horto. Confina a mattina Michiel Ciloto, a mezodì il Rev.mo Signor Don Marco Lucadello, a sera la strada comune et anco a monte.


CAPITOLO 7

Il comune rurale di Santa Croce Bigolina

In tutto campi 1 quarti 2. 2. Campo uno T. A. P. V. ; a mattina il Nobil Signore Antonio Orsato131, mezzodì signor Antonio Ciani, leva detto Nob. Orsato, monte Rev.do Don Marco Lucadello. 3. Santo Bello detto Gobo. La sua persona d’anni 62. Iseppo e Nicolò suoi figlioli. Lavora alla parte li beni infrascritti di raggione del Rev.do Don Marco Lucadello. 4. Campi n° dodeci in circa T. A. P. V. con casa, orto, e cortivo. A mattina Michiel Ciloto, leva signor Bastian Serato, mezzodì Nobile Ser Alvise Trevisan, monte via Bassanese. In tutto campi 12. 5. Un brolo di campi cinque con cortivo, orto e pascolo, il tutto campi 5, a mattina N. Ser Alvise Trevisan, all’altre bande il Rev.do Lucadello. 6. Campi n° quatordeci T. A. P. V. in contrà di Santa Lucia; a mattina Ser Alvise Trevisan, mezzodì parte il Conte Sartorio Orsato, parte il Conte Antonio Ciani, leva, e monte via comune. 7. Zuane Valoto. La sua persona d’anni 64. Francesco, Bortolamìo, Zamaria suoi figlioli.

Piero, Zuane, Francesco suoi nipoti. Lavora alla parte li beni infrascritti di raggione del N. S. Alvise Trevisan…”. Poi l’elenco continua; a noi sembra opportuno riportarlo, seppure in sintesi e senza rinunciare ad alcune interessanti osservazioni, perché molti ritroveranno qui i nomi dei loro antenati. Domenico Marsan, 66 anni, con il figlio Marco e il nipote Francesco, lavora i beni della Signora Giustina Guerra. Fra i campi coltivati, quindici sono in contrà Tre Case, che quindi risulta essere molto antica. I confinanti della sig. ra Guerra sono prevalentemente i Michiel, il signor Conte da Rio e Giacomo Camposampiero, eredi dei beni dei Bigolini. Zamaria Pandin, 40 anni, coltiva in affitto i beni dei RR. PP. di S. Giustina di Padova. Zuane Campagnolo, 40 anni, e suo figlio Bortolamìo, lavorano in affitto la campagna della Nobildonna Marina Camposampiero Sperandio. Confinanti, fra gli altri, i nobili Da Molin e Bonfadini. Dieci campi si trovano in contrà del “Cavino delli morari”, altri cinque in contrà delle “Griggiare”, pag.

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denominazioni oramai perdute. Francesco Tollio, 40 anni, con i figli Agnolo e Andrea, lavora alla parte i beni dei nobili da Molin. Due quarti di campo si trovano in contrà delli Roveri (è forse l’attuale via Roverate). Diego Battistella, di anni 68, e i suoi figli Bortolamìo e Zuane, sono fra i pochi abitanti del paese a possedere una casa e una tezza di paglia con cortivo e orto. Inoltre lavorano ad affitto i possedimenti del nobile Antonio Orsato. Già abbiamo visto come Diego, in qualità di più anziano insieme con Domenico Marsan, fosse uno dei compilatori dell’estimo di cui stiamo parlando. Lo ritroveremo ancora molte volte, nella sua carica di “uomo di Comun”. Altri proprietari sono i fratelli Marco, di anni 28, e Piero Bertoncello. Oltre ad una casa con tezza, cortivo ed orto, essi possiedono venti campi. Antonio Parolin, 40 anni, e i fratelli Francesco e Bortolamio, lavorano un centinaio di campi del conte Marc’Antonio da Rio. La casa coperta di coppi con tezza, cortivo e orto di un campo e mezzo si trova in contrà della Chiesa di Santa Croce, mentre dodici campi sono localizzati in contrà dei Molini e trenta in contrà delle Venti, denomipag.

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nazione ora scomparsa. Zuane Franco, 40 anni, e i fratelli Domenico, Toni e Francesco, possiedono tre campi in contrà di Santa Lucia e lavorano i beni del nobile Sartorio Orsato, venti campi di proprietà dei Padri di S. Giustina e inoltre la campagna del signor Antonio Ciani. Francesco Lago, 36 anni, lavora alla parte i beni dei fratelli Parolini. Antonio Brotto, 43 anni, lavora in affitto per il nobile Antonio Orsato. Per Antonio Orsato lavora anche Agnolo Scalco, di 20 anni. Nell’elenco sono riportati pure Nicolò Zanardello, 40 anni, con il figlio Zuane, e Mattio Zanardello, di anni 36, i quali però non lavorano per gli altri nè possiedono terreni. Francesco Bitante, 50 anni, vive con il figlio Nicolò e lavora i campi di Antonio Orsato, così come fanno anche Stefano Bolpato, 65 anni, con i figli Marco e Santo, e Giacomo Citton, 40 anni. Fra i terreni di Antonio Orsato vi sono anche cento campi “tra boschi e giare”, tutti sottoposti alle inondazioni della Brenta, che li disfà ogni anno. Don Antonio Pivani da Cittadella lavora 25 campi di sua proprietà. Michele Ciloto, 40 anni, il fratello Pa-


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squale e il nipote Valentino possiedono un “cason” coperto di paglia e cinque campi a Santa Lucia; inoltre lavorano per il nobile Giacomo Camposampiero. Zuane Baggio, 64 anni, con i figli Giacomo, Antonio e Piero, lavora per Gabriele Michiel, che possiede ben 115 campi. Toni Sgarbossa, abitante a Casoni, e suo figlio Zamaria lavorano per Marc’Antonio Renier da Bassano. Fra i confinanti di un brolo di circa quattro campi, troviamo anche il convento dei RR. PP. di Santa Croce. Innocente Brotto, 44 anni, e suo figlio Marco sono dipendenti della signora Zuana Michiel. Bernardo Pandin, che abita nel Bassanese, lavora per Tadio Vico e Marco Cappello, cittadini veneti. Valentino Scalco, 50 anni, con i figli Piero e Bortolamìo, lavora i beni del nobile Zuane Bonfadini. Alcuni campi, soprattutto ai confini, sono lavorati anche da abitanti di Tezze e Stroppari. Francesco Scalco e il fratello Piero lavorano 51 campi di proprietà dei nobili fratelli Zuane, Polo e Girolamo Michiel. Questi sono esenti da imposte per essere del corpo dei 430 esi-

stenti nel libro delle esenzioni (v. cap. 6) e si trovano in contrà di Santa Lucia Vecchia. Se è vero, come abbiamo detto (v. cap. 2), che il monastero dei benedettini sorgeva qui, ora possiamo localizzarlo ancora meglio, vedendo i confini della contrada: a mattina la campagna di Cittadella, a mezzodì la strada della Postumia, a ovest in parte i RR. PP. di S. Giustina (eredi dei beni del monastero di Santa Lucia) e in parte il Conte da Rio, a nord il suddetto Conte e la signora Giustina Guerra. Fra i beni dei Michiel troviamo anche il mulino con quattro campi circa, terreni pure esenti per appartenere al corpo dei 430 sopraccitati. Qui termina l’estimo, che venne consegnato al notaio “quadernier” per essere autenticato e custodito. Così infatti si conclude: “Adì 20 dicembre 1684. Comparvero avanti di me Germanico Thealdi notaio pubblico collegiato di Cittadella e quadernier del Comun di Santa Croce, Santo Gobbo detto Bello e Zuane Campagnolo, massari di detto Comun con l’assistenza di Messer Domenigo Marsan, uno de’ più vecchi di detta Villa, e mi presentarono la sopraregistrata descrizione di persone e colonato scritta di mano del Signor pag.

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Marc’Antonio Renier habitante in detta Villa, a maggior comodo dalla Vicìnia deputato, e mi dissero la medesima essere stata fatta con ogni diligenza, con assistenza sempre d’essi massari e di detto Marsan e messer Diego Battistela, come più vecchi del comun a questo effetto destinati. Adì 21, detto giorno di S. Tomaso de mane (= di mattina). Conferitomi io sodetto nodaro e quadernier in detta Villa ho la soprascritta descrizione di teste e colonato ad intelegibil e chiara voce letta a tutta la Vicìnia a quest’effetto dal Degano comandata e riddotta alla presenza di Zuane Campagnolo massaro et Domenigo Marsan e Diego Battistela più vecchi di Comun, e ciò per la total esecuzione de’ Pubblici Ordini e poi ho la medesima descrizione si come è stato et venirà ricordato, reformato, aggionto e nella presente forma riddotto… Io Domenigo Marsan attesto con giuramento aver assistito alla detta fattura e lettura. Io Diego Battistella attesto con giuramento haver assistito alla detta fattura e lettura”. “Germanico Thealdi Nodaro Pubblico Collegiato di Cittadella e quadernier di detto Comun”. pag.

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Quanto orgoglio possiamo intuire nel giuramento dei capi del Comune, consapevoli di aver proceduto alla compilazione di un documento assai importante, qual era la redazione di un estimo (che la Repubblica di Venezia richiedeva periodicamente per impedire evasioni fiscali), dal quale possiamo partire per dare alcune indicazioni sulla vita quotidiana di allora. In tutto, Santa Croce aveva una estensione di circa 1145 campi padovani, lavorati, come abbiamo visto, in affitto o, per lo più, “alla parte”, cioè a mezzadria. Le campagne appartenevano quasi tutte a forestieri, nobili e borghesi di città; pochissime le famiglie rurali proprietarie. La produttività era stata favorita dall’introduzione dell’irrigazione con l’acqua delle rogge e dalla rotazione delle colture. La maggior parte dei campi era arativa, e ad essi era riservata la concimazione con letame; poca la terra prativa, parte della quale si trovava nella “bassa” ed era prevalentemente ghiaiosa per le inondazioni del Brenta. I terreni potevano essere anche “videgadi”, cioè piantati a vite, ma le vigne, che si piantavano nei filari a limitazione dei campi e avevano per sostegno gelsi e orni, rendevano


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poco, sia perchè l’irrigazione le danneggiava, sia perché il tempo era spesso inclemente. I campi erano alternativamente seminati a cereali e a prato artificiale; dopo il 1545 si cominciò a coltivare anche il granoturco, sconosciuto in Europa fino alla scoperta dell’America. Il prato artificiale occupava la terza parte del terreno arativo e si seminava a trifoglio o a sorghetto per dare riposo alle terre oltre che per mantenere il bestiame. Si coltivavano anche sorgorosso, miglio, avena, lino, canapa, patate, ortaggi, frutta132. Il lavoro artigianale a Santa Croce ruotava prevalentemente attorno al mulino e alla segheria. Possiamo pensare che senz’altro qualcuno avrà esercitato anche il mestiere del marangone, del caglieraro, del favaro, dell’oste, del beccaro. Le case erano coperte prevalentemente con paglia e non era comune trovare abitazioni murate con tetto di coppi. La situazione sanitaria era molto precaria. Mancava la consapevolezza delle elementari norme igieniche, si beveva l’acqua delle rogge, l’alimentazione era povera di proteine e di sale, pidocchi ed altri parassiti erano di casa. Tutto questo, aggiunto alle

epidemie, provocava un’alto tasso di mortalità, soprattutto fra i bambini. Tra gli abitanti di Santa Croce, come abbiamo visto nell’estimo, pochi superavano i 40 anni. Diego Battistella, considerato come uno dei più vecchi, aveva 68 anni. Ad uccidere erano la pellagra, il tifo, la meningite, ma soprattutto il vaiolo e, più ancora, la peste, che nel 1555, provocò la morte nel comprensorio del Cittadellese di 12.000 abitanti su 30.000133. Più terribile ancora fu l’epidemia di peste del 1630, che però si dice abbia risparmiato Santa Croce. Fu per questo beneficio che la popolazione pensò di ringraziare la Madonna istituendo la Sagra del Rosario134, che si festeggiava la prima domenica di ottobre fino a pochi anni fa e di cui ora rimangono, purtroppo, solo la processione e, negli anziani, il ricordo e la nostalgia di memorabili celebrazioni, precedute dal festoso suono del “campanon”. Per ora ci fermiamo qui, ma del mondo rurale di Santa Croce parleremo diffusamente più avanti.

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LA LEGGENDA RITROVATA

NOTE AL CAP. 7 127. “Vicìnia” deriva da “vicus”, termine che indicava l’agglomerato rurale. 128. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 224-226 G. Franceschetto, Santa Croce Bigolina da comune rurale a frazione di Cittadella nel 1807, in “Saggi storici”… 129. È da notare come il senso religioso permeava allora tutti gli aspetti della vita, compreso quello della redazione di un elenco di beni materiali, che inizia con la lode a Dio. 130. Sono i beni dell’antico Monastero di Santa Lucia di Brenta (v. cap. 2), ma si noti come ormai questo non venga più nominato. 131. Gli Orsati appartenevano a una nobile famiglia che aveva molti possedimenti a Fontaniva. La loro dimora era la villa, ora di proprietà dei Gallarati-Scotti, ben visibile sulla sinistra dalla statale che da Fontaniva va a Cittadella. L’Antonio del quale si parla morì nel 1695 e volle essere sepolto a Santa Croce. La sua pietra tombale è stata ritrovata durante gli scavi eseguiti nel maggio 1997 per il rifacimento del pavimento. 132. V. G. Franceschetto, Santa Croce Bigolina da Comune rurale a frazione di Cittadella nel 1807, in “Saggi storici”… 133. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 304. 134. La devozione alla Madonna del Rosario si diffuse per opera di San Pio V. Quando infatti, il 7 ottobre 1571, le flotte dei principi cristiani sconfissero i Turchi a Lepanto, il papa attribuì la vittoria all’intercessione della Vergine, che gli era apparsa con il Rosario tra le mani proprio nel momento decisivo della battaglia.

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In basso: nell’epoca descritta al precedente capitolo molte della case di Santa Croce, soprattutto quelle costruite nelle “basse” cioè in prossimità del Brenta, avevano le caratteristiche dei “casoni”: edifici in muratura con il tetto in paglia come quello rappresentato nella foto e ripreso a Piove di Sacco (foto archivio Biblos).

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A sinistra: nomina del primo Curato di Santa Croce Bigolina, Don Bernardino Bertuzzi, datata 2 aprile 1770.

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opo la soppressione del Convento e la partenza dei Francescani nel 1769, la popolazione di Santa Croce si trovava senza assistenza spirituale. Era ben vero che, fin dal 1490, la cura d’anime del paese era affidata al Parroco di Tezze, ma era altrettanto vero (come abbiamo visto in parte e come diremo più ampiamente nel prossimo capitolo), che a Santa Croce bastavano i suoi Frati e che tra le due comunità c’era un astio secolare, che talvolta sfociava in vere e proprie azioni violente. Gli uomini del Comune, pertanto, visto il pericolo di rimanere senza sacerdote, si rivolsero ai tre Deputati straordinari “ad pias causas”, istituiti dal governo veneziano nel 1766 per il censimento dei beni ecclesiastici, e all’Aggiunto sopra i Monasteri, per ottenere dal Senato di Venezia la disponibilità della chiesa, obbligandosi a mantenere gli stabili e a provvedere a loro spese al mantenimento di un curato135. Il 30 dicembre 1769 giunse dall’ Eccellentissimo Senato veneziano la risposta favorevole, che riportiamo in parte: “Concedendosi dunque in proprietà del Comune sudetto la Chiesa di Santa Croce, resa vacua per la soppressione seguita dal Convento

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colà situato de’ Minori Osservanti, si dichiara quanto all’articolo della istituzione di un Curato officiatore Sacerdote Secolare suddito nostro (al mantenimento di cui si esibisce esso Comune di provedere e del qual Comune dovrà conseguentemente essere la nomina in ogni tempo del Sacerdote medesimo)136, che ciò spetti alla solecitudine e pastoral cognizione del Diocesano Prelato (= il Vescovo), il quale ben saprà con l’esemplare zelo suo, riconoscendo le ecclesiastiche indigenze di quel luogo, prescrivere per l’amministrazione de’ Sacramenti le proporzionate condizioni… salve sempre le convenienze della Matrice (cioè della Parrocchia di Tezze). L’Aggionto… investirà il… Comune della Chiesa sudetta, della Sacristia e del Campanile… mentre quanto al Convento poi ed all’adiacente circondario… sarà cura dell’Aggionto istesso effettuarne la vendita…”137. Sabato 27 gennaio 1770, si recarono alla Curia di Vicenza Domenico Zanetti e Paolo Toso, governatori del Comune di Santa Croce e presentarono al Vescovo, Marco Cornelio Corner, il decreto del Senato. Il Vescovo, presone atto, fece consegnare ai suddetti governatori i seguenti articoli da appag.

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provarsi nella vicìnia: “Per la Chiesa di Santa Croce di Bigolino. Si accorderà la custodia dell’ Augustissimo Sacramento nella Chiesa di Santa Croce, purché il Comune di Bigolino con pubblica vicìnia s’obblighi al mantenimento delle lampade ed al provedimento de’ necessari utensili. Si accorderà un Vaseto d’Olio Santo, il quale verrà consegnato al nuovo Curato dal Parroco naturale che è quello della Chiesa Parrocchiale di S. Rocco delle Tezze di Bassano. Si darà incombenza ad esso Curato di predicare dall’Altare ne’ giorni festivi e d’insegnare la Dottrina Cristiana, cantare il Vespero e recitare il Terzeto del Santissimo Rosario. Gli si concederà la licenza di esercitare la cura d’anime, ma con la dovuta intiera dependenza dal Signor Parroco naturale. Non s’intenderà poi communicata al Curato medesimo giurisdizione alcuna circa l’assistenza ai Matrimoni e circa la Sepoltura de’ Morti, come non s’intenderà neppure concessogli il Fonte Battesimale. Così pure non potrà pretendere che in detta Chiesa di Santa Croce abbia a farsi la Communione Pasquale nè la Benedizione pag.

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delle Palme nè quella delle Candelle per le quali cose si dovrà ricorrere… alla Parrocchiale. Il Curato dovrà essere mantenuto a spese di detto Comune e conseguentemente eletto dal Comune medesimo138, ma dovrà esser di gradimento del Parroco e da lui confirmato… Dovrà detto Curato portarsi alla Chiesa Matrice nel giorno di San Rocco, Titolare della medesima, nella Festa del SS. mo Natale, nelli Giovedì, Venerdì e Sabbato della Settimana Santa, nella Domenica di Pasqua di Resurezione, nelli tre giorni di Rogazione, nella Domenica di Pentecoste e nella Festa del Corpus Domini per ivi udire le confessioni sacramentali, assistere alle Funzioni Ecclesiastiche ed intervenire alle Processioni. Per fine il Decreto sarà concepito con termini escludenti qualunque smembrazione dalla Matrice Parrocchiale suddetta, della quale dovranno conservarsi le convenienze…”139. Dunque Santa Croce poteva avere un suo Sacerdote, anche se doveva restare del tutto dipendente dal Parroco di Tezze. Era già un primo passo verso la costituzione della Parrocchia. Gli uomini del Comune lo capirono, e si affrettarono a convocare la vicìnia,


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della quale riportiamo il verbale: “Adì 31 Gennaio 1770. S. ta Croce Bigolina. Convocata e legittimamente radunata nella Camera solita del Comun nel Convento fu de’ RR. PP. Minori Osservanti la Vicìnia, previo il solito e consueto invito fatto dal Degan a tutti li Capi di Casa del Comun sudetto per portar la parte giusto (= in conformità) agli ordini di S. E. Mons. Vescovo di Vicenza per approvar tutto quello nella stessa si contiene, e intervenuti Consiglieri n° 45140, e letta da me sottoscritto quadernier la Scrittura ad alta e chiara voce, e dispensate le balle e dal medesimo con li Bussoli racolte, le balle che furono ritrovate nel Bussolo bianco che dicono di sì… … n° 43, e nel rosso che dicono di no voti… … n° 2, e così furono pubblicata la detta parte per presa e passata. Io Francesco Spessato Quadernier del sudetto Comune” 141. Il 5 febbraio 1770 i soliti Domenico Zanetti e Paolo Toso ritornarono dal Vescovo per consegnargli il verbale di vicìnia, autenticato da Gerolamo Alberto Barbaro, podestà di Cittadella. Il 10 febbraio il Vescovo emanava il decreto di erezione in Curazia della

Chiesa di Santa Croce. Il 17 marzo, anche Alessandro Duodo, il magistrato veneziano Aggiunto sopra i Monasteri, trasmise il suo decreto di approvazione, consegnato al Vescovo il 31 marzo. In esso si ribadiva che il Comune di Santa Croce poteva nominare, ora e per sempre, un Curato per i suoi bisogni spirituali; il sacerdote però doveva essere un suddito veneto, mantenuto dallo stesso Comune e ovviamente riconosciuto dal Vescovo; i diritti della Parrocchia di Tezze dovevano in tutto essere salvaguardati. Al Comune veniva dato il possesso della Chiesa, della Sacrestia e del Campanile con tutti gli arredi e i paramenti sacri; era escluso il convento, destinato alla vendita, con le sue adiacenze142. Il parroco di Tezze, Don Giovanni Battista Baroni, dovette rassegnarsi, consolandosi con il fatto che Santa Croce rimaneva pur sempre parte integrante, per il momento, della sua Parrocchia. Senza perdere tempo, intanto, i degani del Comune di Santa Croce si erano messi a cercare un Curato e lo avevano trovato in Don Bernardo Bertuzzi, di San Pietro Agrino di Bolliaco, in Diocesi di Brescia, territorio che era allora sotto il dominio veneziano. Subito fu convocata la vicìnia per l’accettazione pag.

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del sacerdote. Vediamo come andarono le cose. “Adì primo Aprile 1770. Santa Croce Bigolina. Per Anzolo Gobo Decan del presente mese fu invitati tutti li capi di casa del sudetto Comun, che si riducino per questa mattina doppo la Messa al Consiglio, e questo di comissione delli Domenico Zanetti e Paulo Toso Massari del sudetto Comun, previa la licenza ottenuta dall’Eccellentissimo Capitanio di Padova avuta il dì 24 Marzo scaduto”. Si presentarono al Consiglio 44 capifamiglia e il quadernier disse: “Si adimanda parte a questo Consiglio se siete contenti di ricevere per nostro Curato per il nostro spirituale bisogno il Rev. Signor Don Bernardo Bertuzzi per il prezzo accordato col medesimo di ducati quaranta all’anno, da lire sei soldi quattro per ducato, che sono lire duecento quaranta otto all’anno. Sì che chi intende che detta parte passi metta il suo voto nel Bussolo bianco che dice di sì, e chi non intende metta nel rosso che dice di no. E dal sudetto Degan fu dispensate le Balle e dal medesimo con li Bussoli furono racolte e furono trovate nel Bianco voti favorevoli n°…43, e nel pag.

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rosso che dice di no voti contro n°…1. Sì che avendo riguardo alla superiorità de voti la detta parte furono pubblicata per presa e passata. Francesco Spessato, Quadernier del sudetto Comun”143. Il 20 aprile 1770 riecco i massari del Comune, Zanetti e Toso, davanti al Vescovo di Vicenza per presentargli il nuovo curato ed ottenere per lui l’approvazione ad esercitare la cura d’anime. Il Vescovo, considerato che il sacerdote dimorava già da alcuni anni nella diocesi di Vicenza, constatato che conduceva una vita onesta e ritenuta idonea la sua preparazione teologica, affidò lo stesso giorno a Don Bernardo Bertuzzi la curazia di Santa Croce. Possiamo immaginare quali feste si fecero in paese quando i due massari rientrarono a Santa Croce insieme con il curato. Il Comune però si era impegnato a provvedere al suo mantenimento ed ora bisognava dargli un’abitazione. Per Domenico Zanetti e Paolo Toso le fatiche non erano finite. Essi intavolarono trattative con Giovanni Bertoncello da Cartigliano, che aveva acquistato il convento dal governo veneziano e il 2 settembre 1770 stipularono con lui un atto notarile,


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per il quale il Bertoncello dava, cedeva ed alienava al Comune di Santa Croce, “per far la conveniente abitazione al Religioso Curato… due stanze di muro in pian terreno e altre due di sopra in solaro con loggia… e con un pezzetto di terra per far orto… che s’estende in lunghezza quanto le stanze medesime, le quali sono del corpo del Convento che fu delli RR. PP. Minori Osservanti e per detto Signor Bertoncello acquistato dal Serenissimo Principe (= il Doge di Venezia)… stimate… di comun consenso delle parti di valor di L. 2.040,11”. A sua volta il Comune cedeva al sig. Bertoncello “la stanza di muro che serviva da sacrestia con suo luoghetto annesso… di valor di L. 488”. I Massari s’impegnavano a pagare il resto della somma, L 1. 552,11, entro dieci anni a partire dal 2 settembre dell’anno successivo e a costruire a spese del Comune il muro di separazione lungo il confine. Inoltre il signor Bertoncello concedeva “il sito attacco alla chiesa alla parte di mezzodì, affinché ivi esso Comun possa farvi la Sagristia a sue spese… riservandosi esso Sig. Bertoncello di poter asportar a suo piacer il terren dell’arzeretto che s’attrova attorno

il predetto pezzetto di terra…”144. Di Don Bernardo Bertuzzi non abbiamo altre notizie, ma sappiamo che dopo di lui arrivò un altro curato, destinato a diventare il primo parroco di Santa Croce: Don Francesco De Pretto, originario di Posina. Lo troviamo nominato per la prima volta nel 1787, nei documenti della visita pastorale del Vescovo Marco Zaguri a Tezze. In essi infatti si dice che il Canonico Convisitatore “visitò la Chiesa di Santa Croce in Bigolino… È sacramentale e curata, uffiziata dal Rev. do Sig. Don Francesco de Pretto da Posina”. Il Canonico ispezionò poi l’Altare Maggiore dedicato alla Santa Croce, senza obbligazione di messe, quantunque il Curato ne celebrasse con le elemosine volontarie dei fedeli. Dalla relazione dell’incaricato del Vescovo veniamo a sapere anche che nella chiesa vi era un altare del SS.mo Crocifisso e un altro dedicato all’Annunciazione di Maria, mantenuti con le offerte dei fedeli e senza baldacchino, sebbene la chiesa non avesse soffitto. Vi erano tre reliquie e due confessionali. Infine il Canonico visitò il trecentesco oratorio pubblico dedicato all’Immacolata Concezione, ora distrutto e allora di proprietà dei Berpag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

toncello e l’oratorio dei Conti Remondini, ora Kofler, dedicato a S. Martino, con obbligo di messa quotidiana celebrata da Don Giovanni Battistella di Cittadella145. Con l’aiuto di Don Francesco De Pretto, il Comune di Santa Croce affrontò una delle più difficili battaglie della sua storia: la smembrazione dalla Parrocchia di Tezze.

A destra: decreto di erezione a Curazia di Santa Croce Bigolina datato 5 febbraio 1770.

NOTE AL CAP. 8 135. V. Una terra, un fiume, una comunità, p. 137. 136. Con queste parole il Senato veneziano concede al Comune di Santa Croce il diritto di patronato, cioè la facoltà di scegliersi il Parroco fra una rosa di candidati. Santa Croce eserciterà questo diritto fino alla venuta di Don Domenico Valente, il primo parroco di esclusiva nomina vescovile. 137. A. C. V., Stato delle Chiese… 138. Il Vescovo qui conferma il privilegio concesso al Comune di Santa Croce dal governo di Venezia. 139. A. C. V., Stato delle Chiese… 140. Teniamo conto che la popolazione si aggirava allora sulle 180 anime. 141. A. C. V., Stato delle Chiese… 142. Il fatto che i decreti precisino che il convento doveva essere venduto con “l’adiacente suo circondario” ha creato fino ai nostri giorni non pochi problemi, quando si sono dovuti effettuare dei lavori all’esterno della chiesa, i cui muri perimetrali segnano il confine con la proprietà dell’ex convento. La questione è tuttora irrisolta. 143. A. C. V., Stato delle Chiese… 144. A. C. V., Stato delle chiese… 145. A. C. V., Visitationum, b. 20/0572.

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A sinistra: pianta della Parrocchia di Santa Croce Bigolina. Documento datato 16 aprile 1794 conservato presso l’Archivio della Curia di Vicenza.

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uando, nel 1490, Tezze fu eretta Parrocchia, il Vescovo decretò che, per la parte spirituale, Santa Croce fosse dipendente da essa, insieme con Granella e Stroppari. Ma fra le due comunità non corse mai buon sangue. La gente di Santa Croce probabilmente non capiva perché, con una chiesa e una decina di frati a portata di mano, fosse obbligata a recarsi alla scomoda Parrocchia di Tezze per la dottrina cristiana e per ricevere i Sacramenti. I contrasti scoppiavano talora violenti anche tra i Frati e il Parroco di Tezze, come abbiamo visto in occasione del funerale della povera Lucia Bertacco. In più i Massari di Tezze pretendevano che il Comune di Santa Croce contribuisse alle spese per il mantenimento del loro Parroco e della loro chiesa, mentre era già fin troppo gravoso provvedere per i Francescani del Convento. Il dissidio era continuo e lo testimoniano numerosi verbali di vicìnia. Ad esempio, il 1 dicembre 1704, i Signori Vicari Pretori di Vicenza dovettero intervenire perché fra Santa Croce e Tezze si giungesse ad un compromesso, definendo contese e disparità con le minori spese possibili; ma appena dieci giorni dopo Santa Croce

CAPITOLO 9

La separazione da Tezze e l’erezione in Parrocchia di Santa Croce

dovette riunire i capifamiglia per opporsi ancora una volta alla richiesta di dover concorrere alle spese per la chiesa di Tezze146. Così si andò avanti fino al 1794, quando finalmente si decise di prendere il toro per le corna. Il “Degan” del Comune di Santa Croce, Angelo Toso, per incarico dei massari Giovanni Battistella e Bastiano Toso, convocò la vicìnia e chiese al Consiglio se fosse “contento” di poter rimediare a tutte le accuse e a tutti i contrasti continuati per il corso di molti anni e scaricati sugli abitanti del Comune, con moltissime spese, a causa dei litigi con Tezze; si proponeva quindi, per poter vivere finalmente in pace, di chiedere al Vescovo il permesso d’implorare dal Serenissimo Principe, il Doge, il decreto di erezione in Parrocchia. Ovviamente la risposta fu positiva, con 58 voti favorevoli e 2 contrari147. Fu quindi inviata la supplica al Doge, giustificando la richiesta della separazione da Tezze e dell’erezione in Parrocchia con un rapporto drammatico, che vale la pena di riportare, perché ci fa comprendere appieno quanta tensione esisteva fra i due paesi. “Dacché partiti si sono di costì per pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

sovrana disposizione li PP. Francescani Minori Osservanti e che questa Chiesa Sacramentale è stata per sovrana munificenza rilasciata in dono colli sacri arreddi a questa Comunità di Santa Croce Bigolina… essendo la suddetta chiesa annessa alla Parrocchiale delle Tezze di Bassano e conseguentemente questo Comune obbligato a riconoscerla per matrice, come la riconoscono e fedelmente l’hanno nel passato nel tempo Pasquale, nelli Battesimi e ne’ matrimoni riconosciuta… sempre a semplice titolo di carità ed elemosina in generale ha concorso abbondantemente questo popolo nonché al mantenimento della Matrice Chiesa, al restauro della Madonna, alla Fabrica d’Altari, all’acquisto di altri sacri arreddi, ma ancora al gravoso peso… del mantenimento de’ Sacerdoti… come anco corrisposto alli Campanari, alli Massari…. i quali tutti per tutto il corso dell’anno nel raccolto di tutti i prodotti vicendevolmente questuano e… per sempre innadietro sono stati oltre quasi ad ogni dovere riconosciuti e ricolmati, benché con gravissimo peso. Pure, a fronte di quanto sopra… dichiarare appieno non si può l’innescogitabile ingratitudine ed angarivia (= prepopag.

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tenza) colle quali questo provato popolo è sempre stato da quei comparrocchiani inumanamente corrisposto e maltrattato ed oppresso. Sommamente rifflessibile (= da considerare) è in primo luogo la dispendiosa lite fatta incontrare a questo povero popolo di territorio padovano da quelli della Parrochiale delle Tezze, territorio di Bassano, pretendendo questi d’assolutamente sottometterli all’obbligo di dover incontrar nonché sodisfar la loro quota d’apporto al mantenimento della Matrice e tutte quelle malespese che per essa si fossero fatte, dal che ragionevolmente e col braccio della Giustizia dopo gravissimo dispendio si sono sottratti e con evidente ragione, poiché questi di Santa Croce mai sono stati ammessi alla loro vicìnia… nè mai gli è stato permesso concorrere nell’elezione del proprio lor Parroco… mai sono ammessi a coprire alcuna carica nè di Comune nè della Chiesa… Inoltre a quanto sopra… vieppiù inasprito l’animo… si sono allora inventati di sequestrare il Cimiterio annesso a questa Chiesa di Santa Croce ed impedire affatto la tumulazione de’ deffunti in esso, come lo fu quasi per il corso di due anni, nel qual tempo,


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La separazione da Tezze e l’erezione in Parrocchia di Santa Croce

successo maggior fermento e rivoluzioni, questi di Santa Croce dovevano tumulare i loro morti in alieni (= altri) Cimiteri ed in particolare più volte in quello della Parrochiale di Fontaniva… e…. come apparisce da atti civili forensi talmente erasi innasprito l’affare e arrivato a tal fanatismo che il… predecessore Parroco148 per le sue troppo avanzate animosità quasi quasi era per commetter criminale in questa Chiesa, essendosi dichiarato… nel tempo dell’esequie d’un deffonto di servirsi della Croce a percuoter alcuni parenti astanti del cadavere… Ciò sopito con molto aggravio del Comun di Santa Croce e riavuto in libertà il suo Cimiterio, gli avversarii allora meditarono nuove cavillazioni e falsi pretesti, insinuando nell’animo del proprietario che costì acquistò il Monastero149 fosse egualmente di sua proprietà anco il detto Cimitero e tanti maneggi fecero fino a che detto proprietario usurpò il Cimiterio e poi con pubblico istromento (cioè con atto notarile) lo vendè a questa oppressa Comunità per l’importo di troni 254…150. Ma sedici anni dopo, scoperta sì abominevole ingiustizia, ricorso avendo questa Comunità a S. E. N. H. (= Sua Eccellenza Nobil

Homo) Andrea Morosini151, mediante la valevole assistenza d’esso, fu reintegrata la Comunità dell’intero suddetto esborso… Quanti inconvenienti poi tutto giorno non nascono nel portare alla Parrochiale, che si trova… distante da questa Comunità, i fanciulli battezzandi, che per più volte (i genitori)… dietro si portano l’acqua specialmente quando dubitano della lor vita,… che sicuri non sono di ritrovare residenti nella Cannonica Sacerdoti che amministrino solennemente l’importante Sacramento, o se pure si ritrovano… avisati intervengono a lor piacere e commodo, consumando molto spazio di tempo con gravissimo pericolo, ben spesso borbotando ed ora caricando d’ingiurie e contumelie quelli che accompagnano il battezando… Nell’occasione poi della pastoral visita dell’Ordinario (= il Vescovo), quanti tentativi non mise in campo il rev.mo Parroco per levar da questa chiesa la Dottrina Cristiana e traslatarla alla Parrochiale, che sarebbe stato di sommo incomodo per la lontananza e di grande deviamento alla gioventù e non perché non sii costì insegnata e spiegata con tutta diligenza e col maggior fervoroso zelo di cristiana pietà, ma solo pag.

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per volere in ogni modo opprimere questo povero popolo e sottomettendolo a’ suoi capriziosi voleri tenerlo in tutto rigorosamente ristretto colla fune al collo. Per la quale Pastorale visita avendo precedentemente il Vescovo prommesso alli Governatori di questo Commune, che ad esso per tal motivo avevano fatto ricorso, di portarvisi personalmente a visitare questa chiesa, il Parroco tanto seppe dire, fare e subornare l’Ordinario, che in suo luogo vi mandò il Canonico Visitatore, con impenetrabile dispiazere e scorno di questo perseguitato popolo. Ma il più importante si è il sapere le dicerie, le calunnie, le satire in iscrito scagliate sopra questa Comunità da quel orgoglioso, ambizioso, contradicente avversario popolo. Nè di ciò contenti, per maggior obbrobrio, si formarono più di quaranta cavalli di legno, alcune finte carrozze, un Vescovo di cartone, e di tratto in tratto con questa battarìa tra voci disprezanti, picioli e grandi s’intervalavano fingendo di costì condure in visita il Vescovo. E di quando in quando, anco al presente ripullulan rimbrotti simili e vituperosi biasimi provenienti da que’ pag.

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torbidi genii, che altro non fomentano che dissensioni continue, contradicioni e rivoluzioni. In qualunque evento hanno sempre dimostrata l’accerbità de’ loro torbidi cuori; poiché anco nell’anno scorso, ritrovato sopra le giare del fiume Brenta un annegato cadavere, ed insorta tra questa Communità e quella della Friola, territorio vicentino, questione a qual de’ due Comuni s’aspettasse tumulare detto cadavere, questi di Santa Croce riconosciuti avendo legalmente i loro confini nonché del Commune come anco di Territorio con publica perticazione, e ritrovato che il cadavere lontano da suoi confini era più di cento pertiche (circa 200 m.), sarebbonsi slegati da ulteriori… dispendii, se sul momento stesso non si fosse scattenata questa tumultuante popolazione con una piena di cavillazioni e raggiri, persuadendo falsamente la Comunità della Friola a non mai ricever per suo tal cadavere, e per maggiormente sostenerli in tal erronea opinione, in torma ora di quaranta, ora di trenta, ora di dieci persone rilasciarono a detta Comunità falsa giurata fede, unitamente al Rev.mo Parroco, attestando che il fiume Brenta assegna


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confine di Communità e di Territorio, non potendo giammai ciò esser vero, perché detto fiume ne’ nostri contorni è sempre stato instabile e per ogni verso innarginato. Le quali false supposizioni quanto di danno abbino recato a questo popolo e di pregiudizio, si conosce dalla dilazione da esso sofferta nell’ultimare un tale affare; poiché dieci otto giorni e dieci otto notti a suo peso ha fatto guardia al cadavere innumato, fino tanto che, stanco di sì tediosi patimenti, fatto umile ricorso all’Eccellentissimo Magistrato di Sanità, ottenne dal medesimo, scoperta l’ingiustizia, favorevol sentenza; e fu grandissima providenza per porre argine ad un refflusso di spese. Allora il sedicente partiggiano suddetto avversario, a fronte d’ogni vittoria riportata, s’avventò contro questo popolo colle più avanzate e pungenti satire che immaginar si possano, a vista delle quali irritato l’animo di queste genti, e sempre più furibondo l’inimico, più volte si ritrovarono in proccinto di commetter criminali, non potendo più a lungo soffrir tanta codardìa. Non ancora colmate le surriferite tumultuazioni, nel principio di questo

anno insorse nuova vertenza tra il Parroco summentovato delle Tezze e questa Communità per una reliquia di S. Bellino, la quale fu sempre di proprietà di questa gente usque ab antiquo (= fin dall’antichità); ma mossosi a sdegno del numeroso concorso di gente morsicata da cani rabbiosi152 e volendo attrare a sè il concorso di tal gente, volle usurparla, dichiarandola di sua giurisdizione. Per condiscendere questa gente all’ingiusto desiderio d’esso, non potendosi schermire e dalle minaccie, dalle ingiurie e dalle troppo avanzate dichiarazioni, soffrì che detta reliquia fosse… dimezata ad ambe le parti pretendenti. Insistendo nella mal ideata pretesa anco il suo popolo delle Tezze, non hanno pottuto a meno di non manifestare il nutritto livore inverso questa popolazione, imperciochè… di nuovo presa in vista questa gente, alcuni della quale erano andati alla Parrochiale ad innudire la predica, e molti di quelli sediziosi, nel ritornarsene essi a casa, dietro se gli sfilarono con lanci di pietre e con scrochi di pistolle… Non molti giorni dopo tal fatto, i sediziosi… fecero invito alla parte offesa di riportarsi nella susseguente domenica alla Parpag.

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rochiale… E questi, fidatisi né niente dubitando del… tradimento,.. usciti di chiesa, non vedendo alcuno da quali erano stati ricercati, s’instradarono verso casa. Ma arrivati alla casa degli invitanti, uscirono non amici, ma aggressori ad armata mano, e gli riuscì fermar uno de’ poveri creduli,… conficatto alle strette in un muro; quattro di quelli siccari presentarono alla vita di esso arma da fuoco e da taglio, non restando in altro offeso se non che nella testa d’una contusione di pistolla, ma ritrovasi al presente il meschino in un misero stato obbligato a letto per il preso spavento nel vedersi la morte alla gola. …Tutto quanto sopra è vero e ne possono di ciò far certa testimonianza le circonvicine Communità della Friola, delle Cammazzolle, di Fontaniva, della Coltura di Cittadella, essendo ad essi tutti note tali ingiustizie, persecuzioni ed inumanità…”153. Possiamo pensare che gli autori abbiano caricato le tinte per far pendere la bilancia dalla loro parte, ma chi ha avuto la pazienza di leggere la relazione inviata al governo veneziano sarà rimasto sicuramente colpito dall’appassionata descrizione del profondo disagio in cui si trovava “il pag.

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povero Comune di Santa Croce” per una situazione che stava diventando di giorno in giorno sempre più esplosiva e metteva in grave rischio l’ordine pubblico. È possibile allora ritenere che proprio questo pericolo, cioè il turbamento dell’ordine pubblico, abbia convinto il Doge e il Senato di Venezia ad emettere, il 22 marzo 1794, il decreto di separazione di Santa Croce da Tezze e la sua costituzione in Parrocchia. Così scrive l’ultimo Doge di Venezia, Ludovico Manin, al Podestà di Vicenza, Angelo Orio: “Sopra il riverito ricorso alla Signoria Nostra prodotto dal Comune di Santa Croce Bigolina… inteso il… parere del Collegio de’ Dieci Savi sopra le Decime in Rialto,… del Magistrato de’ Beni delle Intrade Pubbliche, si determina il Senato a permettere per quanto spetta alla Potestà Territoriale, l’implorata smembrazione e separazione della Chiesa… del soppresso convento de’ Minori Osservanti e ad esso Comune concessa col Decreto 1769, 30 dicembre, dalla primitiva Chiesa Parrocchiale delle Tezze, l’elezione del nuovo Parroco nelle canoniche forme, osservato l’ordine giuridico e salvi i canonici diritti


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di riconoscenza verso la stessa Parrocchiale delle Tezze, e ad assentire pur anche che per dote della novella mensa154 siano disposti li campi dodici con casa, volontariamente offerti da Don Francesco De Preto… di privata libera sua proprietà, nonché gli annui ducati cinquanta, sino ad ora già corrisposti al Curato di detto Comune, e che il nuovo Parroco, che non potrà mai pretendere alcun ulteriore provvedimento dalla Cassa Opere Pie né da qualunque altro pubblico fonte, eserciti… la questua, coll’espressa condizione però che non abbia a professare alcun diritto tanto verso il Comune medesimo quanto verso i novelli suoi Parrocchiani, né sulla misura della questua stessa né per costringere chi si sia di loro alla contribuzione. Di tutto ciò sarà pertanto cura vostra di renderne inteso codesto degno Prelato (cioè il Vescovo) per norma dell’estesa del relativo suo Vescovile Decreto in quanto riguarda la Potestà Ecclesiastica, e gli insinuerete, affine di prevenire le questioni fra Parrochi per gli emolumenti di Battesimi, Funerali e Matrimoni, di circoscrivere nel medesimo suo Vescovile Decreto, i confini spirituali dell’una e dell’al-

tra Parrocchia, per essere quindi trasmesso esso Decreto col mezzo della Curia vostra prima d’ogni altro passo alla pubblica approvazione”155. Se il Comune di Santa Croce esultò per aver preso due piccioni con una fava, il decreto ducale piombò come un fulmine a ciel sereno sulla Parrocchia di Tezze. Don Valentino Bonomo, che stava per esserne eletto Parroco, così scrisse al Vescovo: “Ritornato da Vicenza, ritrovai universalmente sparsa la nuova che il Comune di Santa Croce Bigolina domanda la smembrazione da questa Parrocchiale delle Tezze. Vostra Signoria Rev.ma mi significò che avevano quei del Bigolino lasciato un memoriale a tale effetto e di ciò ne sono così allegri, come se avessero ottenuto la grazia e ne parlano pubblicamente in tutta sicurezza. Non può credere su tali ciance la costernazione di questi miei Tezzarotti, i quali non hanno potuto a meno di venirsi a presentare a Vs. Signoria Ill.ma e Rev.ma per intenderne la verità ed averne lumi come contenersi sul momento in cui sono di ellegersi il nuovo Parroco… Niuno vorrà più esserlo, e per le medesime inquietudini che verrebbe a procacciarsi e pag.

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sul pericolo di perdere un quartiere che contribuisce e che forma la più pingue rendita di questo miserabile benefizio. La Parrocchial delle Tezze verrebbe a perdere cento ducati correnti di annua rendita e ne resterebbe con soli cento ottanta”156. Ecco dunque finalmente rivelato il motivo per cui “i Tezzarotti” ci tenevano tanto a “quei del Bigolino”, salvo poi a sbeffeggiarli, come abbiamo visto, e a farli “becchi e bastonati”. Don Valentino Bonomo parla di un memoriale inviato dal Comune di Santa Croce al Vescovo. In effetti, dopo quanto aveva stabilito il Senato veneziano, quelli di Tezze avevano fatto ricorso al Vescovo, tentando di evitare in tutti i modi leciti ed illeciti che Santa Croce si rendesse indipendente. I governatori del nostro Comune avevano allora replicato con una relazione, forse preparata da un avvocato, in cui la richiesta della smembrazione da Tezze viene basata su motivazioni giuridiche: “La povera Communità di Santa Croce Bigolina, che è fatalmente unita di Parrocchia a quella delle Tezze, e certamente lo è abusivamente, stante che nel Decreto Vescovile del 1490, pag.

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con cui erigesi in Parochiale la Chiesa delle Tezze… non si fa menzione che delle sole tre contrade Tezze, Granella e Stropari, alle quali unicamente è riservato il diritto della elezione del Parroco; e Santa Croce Bigolina all’incontro è solo nominata in esso Decreto, indicandola per confine della nuova Parrocchia. Oltre a ciò, nè dal Commune di Santa Croce nè dall’aversario delle Tezze si son rinvenuti mai documenti posteriori di sorte alcuna che legalizino la diffettosa unione d’una Communità, non incorporata con altre nè dipendente che dal solo Regimento di Padova, alla Parrocchiale d’un’altra Communità di differente territorio. Se gli abitanti del Commune delle Tezze si fossero contentati di questi privilegi e delle facilità praticate da quelli di Santa Croce, che hanno sempre concorso a tutte le spese ordinarie e straordinarie della Parrocchiale suddetta (bensì in sola via di elemosina, perché in altra forma non eran tenuti), gli abitanti di Santa Croce avrebbero tutt’ora tollerato l’ineguale condizione loro e non avrebbero mai immaginato di smembrarsi dalla Parrocchiale suddetta, ad onta di dover soggiacere ad un Parrocco eletto da


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un Commune poco amico e alle volte di loro antigenio. Ma le continue molestie in ogni tempo praticate da alcuni geni torbidi e maligni, i quali abusando del nome del Commun delle Tezze e col pretesto di diffendere ora i diritti del loro Giuspatronato, ora quelli del loro Parrocco, ora volendo agravarli d’imposizioni per le spese della loro chiesa, hanno sempre cercato un’alterazione di quella buona armonia ch’era tanto necessaria in una sola Parocchia e che il buon Parrocco Giupponi ha tanto studiata di mantenere157. Aggiungansi a tutto ciò le divisioni e disprezzi ai quali sono esposti gli abitanti di Santa Croce da uno stuolo di giovinastri insolenti eccitati da qualche capo facinoroso, allorché si portano alla Parrocchia per adempiere a quegli ecclesiastici doveri che non è loro permesso di praticare nella loro chiesa; lo stesso loro Curato fu esposto più volte a simili insulti… Tanti motivi di disgustose querele hanno determinato gli abitanti della Communità di Santa Croce Bigolina a presentarsi al Trono del Principe (il Doge) per implorare il permesso di supplicare l’E. V. Reverendissima a separarli finalmente da questi mole-

sti comparrocchiani. La sovrana giustizia esaudì tali suppliche e con solenne Decreto dei 22 Marzo decorso permette, per quanto spetta all’autorità territoriale una tal separazione. Mentre attendevano questo sospirato conforto dal paterno cuore di V. E. Reverendissima, eccoli immersi in un mar di litiggi e di cavilli intentati anche contro i metodi dalle leggi prescritti, pel chè ne furono corretti dalla Pubblica Autorità li difensori aversari158. Conoscono benissimo gli abitanti delle Tezze di non poter sostenere questa mal concepita unione per mancanza di titoli che la stabiliscano e conoscono altresì che la loro chiesa parocchiale non soffre alcun pregiudizio dal distacco di Santa Croce, stante che questa niente ha mai contribuito a la Parocchiale fuori della pura questua che si fa al Parocco a cui non è prescritto quantitativo determinato, che anzi in questi ultimi tempi per li motivi indicati è ridotta ad assai picola cosa159. Risulta adunque da tutto ciò ch’è una pura malignità… lo stancheggio che fanno alcuni malintenzionati, abusando del nome del Commun delle pag.

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Tezze che non fu mai radunato in vicìnia per deliberare se voleva opporsi al Decreto dell’Ecc.mo Senato ottenuto da Santa Croce. Ciò posto, prostrati ai piedi di V. E. Reverendissima li Proccuratori della Communità di Santa Croce Bigolina implorano il di lei favore paterno per far cessare una volta tanti stancheggi da sola privata malizia procurati e consolare la Communità suddetta col tanto sospirato favorevole Decreto di separazione dalle Tezze e di errezione in Parocchiale della Chiesa di Santa Croce, il che sia a maggior gloria di Dio come sarà infallibilmente a maggior vantagio delle Anime loro”160. Il Decreto del Senato veneziano fu comunicato al Vescovo, Mons. Pietro Marco Zaguri, il 7 aprile 1794 ma, probabilmente per le insistenze di Tezze, questi nicchiava e tardava ad emettere il suo Decreto, quello cioè che avrebbe finalmente tagliato la testa al toro. Se Tezze premeva sul Vescovo, Santa Croce pressava il Podestà di Vicenza, così che il 6 maggio costui scrisse a Mons. Zaguri invitandolo a volergli sollecitamente fornire il tanto sospirato Decreto. La risposta non tardò ad arrivare, ma non nelle forme che il Podestà e pag.

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Santa Croce si aspettavano. Probabilmente neppure il Vescovo, tirato da una parte e dall’altra, sapeva che pesci pigliare. Perciò l’8 maggio fece sapere che lui si era prestato per estendere il Decreto ed anzi aveva ritardato a rispondere sperando di poter unire alla risposta il Decreto stesso; però, presi in esame i documenti prodotti da Santa Croce, li aveva trovati mancanti dei lumi necessari per procedere canonicamente; perciò intendeva approfondire la questione sentendo dei testimoni e prometteva di portare speditamente a soluzione il problema. Il giorno dopo, in effetti, il Nunzio del Vescovo ascoltò in Curia le testimonianze di alcune persone sopra le parti, le quali dovevano confermare o negare i Capitoli, prodotti insieme alla supplica sopra riportata, dall’avvocato del Comune di Santa Croce, Bortolo Breganze. Ed ecco quanto affermò uno dei testi, Domenico del fu Giovanni Scattola da Fontaniva: “1. È verissimo che il Comune delle Tezze è composto dalle tre contrà di Tezze, Granella e Stroppari solamente e che son di territorio bassanese e perciò dipendono dal Podestà di Bassano.


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2. È verissimo che la detta Comunità da sè sola ha il giuspatronato (cioè il diritto riconosciuto) d’eleggere il Parroco… e così pure da sè sola tratta gli affari tutti spettanti alla sua Chiesa parrocchiale. 3…. È vero che detta Comunità da sè sola dà il di più oltre quello ha la chiesa, al Parroco, e che pure mantiene il Predicatore di Quaresima e l’organista… ” Domenico Scattola dichiara di non sapere niente riguardo al quarto articolo, cioè al fatto che dal 1490 in poi nei documenti si nominassero sempre, insieme con Tezze, solamente Stroppari e Granella e mai anche Santa Croce. E poi continua: 5… La Comunità di Bigolino fa tutto da sè sola e… dipende da S. E. Podestà di Cittadella, anzi è compresa nel così detto Borgo e Vignali di Cittadella ed è in conseguenza di territorio padovano e come Cittadella così Bigolino è compreso nella Provincia di Padova. 6. Il Comune di Bigolino mai entrò in veruna cosa con il Comune di Tezze e molto meno nell’elezione del Parroco, di Cappellani nè di veruna cosa riguardo la Chiesa…

7. Quei di Bigolino niente e poi niente pagano pel mantenimento del Parroco delle Tezze, dell’organista, del Predicatore e di Cappellani… È verissimo poi che il Parroco come li Cappellani fanno ogni anno le loro questue, che sono elemosine e carità… quasi doverose. E in questo pure quelli di Bigolino fanno quello vogliono; chi gliene dà e chi no e tutti quanto vogliono; ed oltre le questioni fra essi, in questi ultimi anni molti di Bigolino non danno niente”. Il testimone confermò poi, per la pratica che aveva del paese, che la Comunità di Santa Croce era composta di 400 anime161. Si ricordava anche che vi erano molti Frati nel Convento di Santa Croce, dieci, dodici e anche di più, che vi stavano volentieri e che stavano bene, mantenuti quasi di tutto da “quelli di Bigolino”; il Comune pagava i ceri per l’altare maggiore a Natale, Pasqua e Pentecoste, mentre le donne con la filatura contribuivano a quanto c’era bisogno per la Via Crucis. Lui queste cose le sapeva perché frequentava il Convento e i Frati qualche volta andavano a casa sua. Quanto ai contrasti tra Tezze e Santa Croce, Domenico Scattola ribadì pienamente la profondità del solco che pag.

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divideva i due Comuni. Lui stesso si era più volte trovato coinvolto in questioni e risse in tempo di Messa fra i giovani dei due paesi. Le liti però cominciavano sempre da quelli di Tezze che non volevano quelli di Santa Croce nella loro chiesa. Persino in chiesa nascevano degli inconvenienti: “quelli di Bigolino” venivano cacciati fuori dai banchi. Il Venerdì Santo precedente, ad esempio, durante la predica, due donne di Santa Croce erano state spinte fuori da un banco da quelle di Tezze e, per la violenza dell’urto, avevano subito una contusione ai reni. “Non si finirebbe più - dice Domenico - chi volesse raccontare li disordini nati entro il malanimo di quelli di Tezze e quelli di Bigolino”. Fra le due chiese vi era poi una distanza di tre miglia, con una strada che diventava impraticabile quando vi erano le inondazioni del Brenta162. La testimonianza era quindi favorevole a Santa Croce, ma neppure questo bastò per porre termine alla questione. Santa Croce si rivolse anche al conte Giuseppe Remondini, proprietario dell’attuale Villa Kofler, il quale il 7 luglio 1794 scrisse una lettera al Vescovo per riconfermare ancora una volta l’oppag.

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portunità della separazione dei due Comuni, divisi nei metodi di governo, nel territorio e nella provincia, lontani fra di loro per i chilometri che li separavano ma più ancora per la diversità di mentalità, costretti quelli di Santa Croce a dipendere da un Parroco forestiero, che si vedeva di rado e da cui erano a stento riconosciuti. Ormai però la partita era giocata dagli avvocati. L’8 luglio 1794 Ottavio Benetelli, per nome dei legittimi rappresentanti del Comune di Tezze e del loro Parroco, Don Francesco Valentino Bonomo, diffidava la Curia dal procedere alla smembrazione di Santa Croce da Tezze fino a quando il Senato veneziano, a cui pure Tezze aveva fatto ricorso, non avesse preso una decisione definitiva. Il 16 luglio arrivava per Tezze da Venezia la doccia fredda. Il segretario del Doge, infatti, Pietro Quirini, scrisse al Podestà di Vicenza che era stata depennata la citazione prodotta dal Comune di Tezze, perché contraria alle leggi emanate dal Maggior Consiglio il 7 ottobre 1615 e ancora in vigore e che non poteva essere ritardata nè sospesa l’esecuzione del Decreto del Senato emesso il 22 marzo. Il giorno dopo l’avvocato di Santa


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La separazione da Tezze e l’erezione in Parrocchia di Santa Croce

Croce, Bortolo Breganze, già portava in Curia l’atto di depennazione. Il 19 luglio il Vescovo invitava il Parroco di Tezze a comparire in Curia, nel suo interesse, entro dieci giorni, per produrre le sue controdeduzioni. Forse “i Tezzarotti” avevano perso le speranze; sembra infatti non si sia presentato nessuno, perchè l’8 agosto di nuovo il Vescovo replicava l’invito, oltre che al Parroco, al Comune e agli uomini di Tezze. Nessuno rispose all’appello. E finalmente, il 16 agosto 1794, ecco il tanto sospirato Decreto di separazione da Tezze. L’abbiamo tanto atteso anche noi, ripercorrendone il cammino, che vale la pena tradurlo dal latino e portarlo a conoscenza dei lettori: “Marco Zaguri, per grazia di Dio e della Sede Apostolica Vescovo di Vicenza, Duca, Marchese e Conte. Poiché è giusto che il Vescovo ponga ogni sua cura e sollecitudine pastorale in tutto ciò che riguarda il culto di Dio e la salvezza delle anime, redente con il preziosissimo Sangue di Gesù Cristo, affinché il culto di Dio si accresca di giorno in giorno e siano dati alle anime maggiori aiuti con cui procurarsi la salvezza, per questo Noi, approvando le richieste del Comune e degli uomini di San-

ta Croce di Bigolino di questa nostra Vicentina Diocesi, nelle quali essi ci supplicarono umilmente per la separazione e la smembrazione della loro Chiesa dalla Chiesa Parrocchiale di San Pietro e Rocco di Tezze di Bassano, sempre di questa Diocesi, e per la erezione di quella in Chiesa Parrocchiale, confermando che essi e gli uomini di Tezze sono due Comuni del tutto distinti e separati, entrambi circoscritti in loro propri confini e diversi anche per territorio, il Bassanese e il Padovano, e che l’unità in parrocchia di questi due Comuni ha suscitato e suscita parimenti dissidi, risse e scandali; che la Chiesa di Santa Croce dista oltre due miglia dalla Chiesa Parrocchiale di Tezze e in occasione delle inondazioni non raramente è precluso l’accesso alla Parrocchiale; che il numero delle anime del loro Comune supera le 400 e che inoltre la Chiesa di Santa Croce di Bigolino può con i suoi proventi mantenersi e provvedersi di tutto il necessario, della qual cosa essi ugualmente promisero di impegnarsi per il futuro; che essi provvedono con i loro redditi annui certi per il dovuto sostentamento del loro Curato oltre le questue e gli incerti di stola163 e ciò senza danno della pag.

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Chiesa e dell’Arciprete di Tezze; fatti certi di questo attraverso i legittimi documenti prodotti dagli stessi avvocati e attraverso le deposizioni giurate di idonei testimoni accuratamente esaminati nella nostra Curia, dopo aver invitato di nuovo e per tre volte gli uomini e l’Arciprete di Tezze a dire e a riportare i loro eventuali interessi e non essendo essi comparsi, Noi, per l’autorità di cui siamo investiti e per il potere dei Decreti del Sacrosanto Concilio Tridentino, separiamo e smembriamo dalla predetta Chiesa Parrocchiale dei Santi Pietro e Rocco di Tezze di Bassano la predetta Chiesa di Santa Croce di Bigolino, con tutto il Comune e il distretto, gli uomini, gli abitanti e le famiglie e la erigiamo in Chiesa Parrocchiale con tutti gli onori, le grazie e i privilegi che, tanto di diritto quanto per la consuetudine si addicono e appartengono a ciascuna Chiesa Parrocchiale e agli abitanti di detto Comune concediamo e assegniamo un proprio e naturale Parroco per tutti i tempi futuri e a lui e ai suoi successori nella cura d’anime, per il suo e il loro adeguato sostentamento assegniamo i proventi certi a ciò destinati dal detto Comune nonché gli incerti derivati dalle questue e dai diritti di stola, riservando al detto Comune di Santa pag.

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Croce, a cui incombe l’onere di provvedere in tutto alla Chiesa e al Parroco, il diritto di nominare il suo parroco e di presentarlo, tanto in questa prima volta quanto nei tempi futuri, ogni volta che la Chiesa sarà vacante, a Noi e ai Nostri Successori nell’Episcopato Vicentino per la sua approvazione… e la successiva canonica istituzione nella detta Chiesa di Santa Croce di Bigolino. Ingiungiamo inoltre al Comune di Santa Croce che ogni anno, nel giorno di San Pietro, sia offerto da un rappresentante appositamente inviato un cero di cera decorata di due libbre164 alla predetta Chiesa Matrice di Tezze di Bassano, cioè al suo Parroco, e questo sarà l’unico segno di riconoscimento e di ossequio alla Chiesa Madre da parte della Chiesa filiale, da portare ogni anno e così per sempre. Dato a Vicenza nella Cancelleria Vescovile il giorno 16 agosto 1794. Marco, Vescovo di Vicenza. Gerardo Zanadio, Cancelliere Vescovile”165. Probabilmente il Comune di Tezze ebbe un ultimo sussulto di ribellione, poiché il 23 agosto il Doge stesso scrive al Podestà di Vicenza, Saverio da Mosto, riconfermando ancora una volta, riguardo alle controversie da lungo tem-


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La separazione da Tezze e l’erezione in Parrocchia di Santa Croce

po perduranti tra i Comuni di Tezze e Santa Croce, il Decreto Ducale del 22 marzo e respingendo quindi, una volta per tutte, il ricorso di Tezze. Il 31 agosto 1794, Don Francesco Valentino Bonomo, in calce al Decreto Vescovile, poneva la seguente annotazione: “Attesto io sottoscritto d’aver ricevuto e pubblicato l’infrascritto Decreto Vescovile in questa mia Chiesa nel tempo della Messa Parochiale”. Il giorno prima, nel Registro dei battesimi, lo stesso Parroco aveva tristemente annotato: “Dopo il giro di 304 anni, che il quartier, o sia Comun di Santa Croce Bigolina fu soggetto nello spirituale a questa Chiesa Parrocchiale delle Tezze di Bassano, pensarono alcuni individui di quel luogo unitamente al Rev. Francesco De Pretto loro attuale curato, il quale fece donazione al Comun delli suoi pochi beni patrimoniali, di produrre istanze per erigere la Chiesa fu dei Minori in Parrocchia ed oggi, 30 agosto 1794, ottenuto il sovrano decreto, fu fatta la separazione o sia smembramento della suddetta Chiesa di Santa Croce Bigolina da quella di Tezze con l’elezion del nuovo parroco, che prima era semplice curato

dipendente in tutto e per tutto dal Rettor delle Tezze. E questa separazione portò il discapito alla Chiesa Parrocchiale delle Tezze di Bassano di circa 180 anime”166. Il 31 agosto, anche Don Francesco De Pretto faceva “giurata fede d’aver puntualmente e fedelmente dall’Altare in questo giorno di Domenica… inter Missarum Solemnia (= nella solennità delle Messe) e nel maggior concorso di popolo… a chiara intelligenza degli astanti, eseguita la pubblicazione del Decreto di smembrazione e separazione della Chiesa di Santa Croce di Bigolino Curaziale ed in erezione della medesima in Parochia dalla Chiesa Matrice delli SS. Pietro e Rocho di Bassano”167. Santa Croce aveva vinto la sua battaglia.

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LA LEGGENDA RITROVATA

NOTE AL CAP. 9 146. A. S. B., Notai, Thealdi Germanico, b. 105 147. A. C. V., Stato delle chiese… È da notare che, in quasi tutti i verbali della vicìnia di Santa Croce, vi sono sempre due capifamiglia che votano contro. Può darsi che abitassero ai confini con Tezze. 148. Si tratta di D. Giovanni Battista Baroni, morto nel 1775. 149. È Giovanni Bertoncello da Cartigliano. 150. Erano monete correnti a Venezia. 151. I Morosini erano una delle più nobili famiglie veneziane. L’Andrea di cui si parla aveva una villa e vasti possedimenti a Loreggia. Il Comune di Santa Croce si era rivolto a lui, come era costume allora, per chiederne la protezione. Egli divenne quindi “patronus vicanorum”, cioè patrono degli abitanti di Santa Croce. Fu grazie al suo intervento che la Chiesa di Santa Croce fu ampliata una prima volta nel 1794, in occasione dell’erezione a Parrocchia. 152. Ricordiamo che, secondo la tradizione, San Bellino era il protettore delle persone morse dai cani rabbiosi. 153. A. C. V., Stato delle chiese… 154. Qui per “mensa” s’intende altare e quindi parrocchia, con estensione del significato. Nel linguaggio ecclesiastico, “mensa” è anche la rendita assegnata ad un Parroco o ad un Vescovo. 155. A. P. S. C. 156. A. C. V., Stato delle chiese… 157. Vi è qui un chiaro riconoscimento della moderazione e dell’attenzione verso Santa Croce di Don Pietro Giupponi di Cittadella, che fu Parroco di Tezze dal 1775 al 1790. V. Una terra, un fiume, una comunità... 158. Probabilmente era stato istruito pag.

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un vero e proprio processo, in cui i due Comuni avevano nominato ciascuno i propri avvocati.

159. Noi però abbiamo visto invece che, per ammissione dello stesso Parroco di Tezze, Santa Croce contribuiva da sola al beneficio parrocchiale per più di un terzo del totale. 160. A. C. V., Stato delle Chiese… Si noti come il documento, a parte l’uso delle doppie e di qualche parola aulica, sia redatto in una forma comprensibilissima e ormai molto simile a quella usata oggi, sicuramente da una persona assai colta. 161. Tezze, esclusa Santa Croce, aveva allora circa 900 abitanti, Fontaniva oltre 1700. 162. A. C. V., Stato delle chiese… 163. I “diritti di stola” erano stati introdotti nel Medioevo e consistevano nelle offerte per i battesimi, i matrimoni, i funerali ecc. Come si vede, esistono anche ora; si dicono “incerti” perché non sono soggetti a tariffa fissa. 164. Una Libbra valeva 300 grammi. “Libbra” è parola latina che significa “bilancia”. 165. ACV - Stato delle Chiese… 166. V. Una terra, un fiume, una comunità..., p. 55. È da notare la discordanza fra il numero di anime (400) citato dal memoriale del Comune di Santa Croce e questo (180) del Parroco di Tezze, ma è probabile che l’uno si riferisse a tutti gli abitanti, compresi i bambini, l’altro invece a coloro che frequentavano la chiesa e contribuivano quindi con le offerte. 167. A.C.V., Stato delle Chiese... Vorrei segnalare anche una singolare coincidenza: l’annuncio dell’erezione in Parrocchia viene dato il 31 agosto, proprio lo stesso giorno in cui, nel 1415, era stata consacrata la chiesa di Santa Croce.


Mappa del 1799. All’interno del riquadro ingrandito si può notare, ancora ben chiara, la distinzione tra il toponimo di Santa Lucia Vecchia a sud di Santa Croce, dove sorgeva in origine il monastero benedettino, e di Santa Lucia (nuova) ai confini con Tezze.

CAPITOLO 9

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: atto di ordinazione suddiaconale di Don Francesco de Pretto datato 10 giugno 1775.

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ivenuta Santa Croce Parrocchia, restava ora da trovare un Parroco. Abbiamo visto che alla Comunità era stato concesso, sia dal Senato veneziano sia dal Vescovo, il diritto di patronato, cioè il privilegio di scegliere fra tre nominativi il sacerdote che avrebbe esercitato la cura d’anime. Ma gli uomini del Comune di Santa Croce non ebbero bisogno per questa volta di utilizzare tale facoltà. C’era infatti a Santa Croce Don Francesco De Pretto, il Curato succeduto a Don Bernardo Bertuzzi. Don Francesco era originario di Posina ed era stato ordinato sacerdote nel giugno 1779; era figlio di Giuseppe e di Apollonia Costa ed aveva una sorella, Margherita, sposata con Giuseppe Cervo. Egli aveva già dato prova di essersi affezionato al paese, combattendo insieme ad esso la battaglia per la separazione da Tezze e donando al beneficio parrocchiale dodici campi e una casa; questi beni erano parte dell’eredità lasciata dal padre e per essi Don Francesco dovrà subire molte amarezze da parte del cognato, il quale rivendicava per sè e per i suoi quattro figli tale patrimonio. Il 18 maggio 1794, comunque, troviamo Don Francesco nello studio del

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Don Francesco De Pretto, primo Parroco di Santa Croce

notaio Bortolo Breganze di Vicenza, alla presenza del quale il sacerdote “facendo nel miglior modo che di ragione far si possa… volontariamente assegna, cede e rinonzia in pien dominio e possesso del… Comun di Santa Croce, per cui agiscono Zuanne Battistella e Giovanni Battista Dolzan… attuali Governatori pur qui presenti et… accettanti in nome e per conto del Comun suddetto in ordine alla facoltà loro demandata colla General Vicìnia, campi dodici con casa sopra di libera sua ragione e proprietà posti nelle pertinenze di Posina in contrà di Candarle,… per il valore de Ducati 989… correnti,… e la predetta rinonzia… esso Rev.do Don Francesco de Pretto ha fatto e fa colla condizione… che essi campi 12 con casa servir debbano unicamente per dottazione al nuovo Parroco… ed alli successori in perpetuo”168. Santa Croce dunque aveva un debito di riconoscenza verso Don Francesco, che aveva dimostrato anche con un gesto concreto l’attaccamento a questa terra e ai suoi figli spirituali. Perciò, appena sei giorni dopo la pubblicazione del decreto di erezione in Parrocchia, il 6 settembre 1794, il Decano del Comune, Andrea Frigo, su pag.

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incarico dei Massari Giovanni Battista Dolzan e Sebastiano Toso, convocò la vicìnia e ai 56 Consiglieri presenti fece questo discorso: “Onorando Consiglio, li Governattori di questà Comunità, in esecuzione del Decreto di S. E. Rev.ma Mons. Vescovo de dì 16 agosto caduto, col quale smembra e separa questa Comunità dalla Parrochial delle Tezze ed erige questa nostra Chiesa in Parochiale… vi hanno qui radunato per deliberare sulle misure da prendersi prima di venire alla elezione del nostro primo Parocco. Essi Governatori, penetrati come sono e come siete voi pure vivamente della maggior persuasione ed attaccamento per la degna persona del Molto Rev.do Signor Don Francesco De Pretto… non solo per la religiosa esemplarità e zello con cui assiste a tutte le nostre Funzioni di Chiesa, all’esposizione di Dottrina Cristiana e spiegazione del Santo Evangelio, all’assistenza ed assiduità alle Confessioni e agli infermi, ma anco per la generosità senza esempio con cui ha voluto beneficiare questa Comunità con una preziosa donazione di campi dodeci posti nella Vila di Posena, Teritorio Vicentino, la quale fu avvalorata con solenne publipag.

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co istromento e sarà di qui innanzi riconossiuta dalli Governatori e separata dai beni limitrofi con termini contrassegnati, acciò il Comune non abbia mai sofrire molestie nel libero possesso dei detti campi dodeci assegnati alla Mensa Parochiale. Anche per questa raggione che ci obbliga alla dovuta riconossenza, si aumenta in noi quella persuasione e premuroso attacamento che per molte ragioni da gran tempo gli professiamo. Quindi li Governatori oltrescritti si credono in dovere in questa particolar circostanza di propor parte, che derogando questa sola volta al metodo che dovrà esser in futuro invariabilmente osservato di espore in concorsi questo praticato di altre Comunità169, elegiate quatro soggeti incaricati di suplicare il Molto Rev.do Signor Don Francesco del fu Giuseppe De Pretto… in nome della Comunità nostra di voler accetare l’incarico di divenire nostro Parocco e continuare a vivere fra noi, assistendoci co’ suoi consigli ed istruzioni principalmente nei nostri spirituali esercizi e bisogni. Lusingati dalle continue dimostrazioni di benevolenza da lui dateci, speriamo che vorrà esaudire le nostre preghiere, il


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che succedendo passaremo in altra radunanza alla balotazione della sua degna persona per umiliarla (= cioè presentarla) possia (= poi) a sua Ecc. za Rev.ma Mons. Nostro Vescovo per la di Lui approvazione. Posta alla bussolazione ebbe voti favorevoli che dice di sì n° 54 ebbe voti contro che dice di no n° 2 segue la nomina delli depputatti che furono eletti: Antonio Pilan Bernardo Merlo Andrea Marin Antonio Canesso Per la pluralità de votti che dice di sì fu parte presa e passatta. Gio.Batta Zanetti Quadrinier della Comunità suddetta scrissi quanto sopra”170. Il giorno dopo, nuova vicìnia, con la presenza di 62 Consiglieri. Ancora una volta Andrea Frigo prese la parola: “Onorando Consiglio, li deputatti eletti in questa vicìnia nella giornata di ieri… sonossi tosto portati dal Signor Don Francesco De Pretto… ed esposte a lui le suppliche di questa Comunità acciò continui a viver fra noi in figura di nostro Parocco, assistendo coll’isperimentato suo zello nei bisogni dell’anime nostre ed officiando la nostra Chiesa col mag-

gior possibile decoro come ha sempre fatto per lo passato. Egli, agradendo moltissimo questa dichiarazione di affetto di questa Comunità, ne fece a noi mille ringraziamenti, risservandosi però a darci una risposta positiva a questa mattina, onde aver qualche ora di tempo da poter prender un maturo consiglio. Ritornati essi deputatti questa mattina presso il suddetto Religioso e ricercatolo se si era detterminato ad adderire all’istanza della Comunità, li incaricò di riportarvi la seguente sua rissoluzione: che egli al magior segno sensibile alle suppliche e dimostrazioni d’affetto che ha sempre esperimentato da tutti gli individui di questa Comunità e molto più dalla recente solenne prova che gliene dà la Comunità… col pregarlo di assumere la dignità di primo Parocco di questa Chiesa, egli che alla predilezione che ha sempre avuto per questi abbitanti unisse i vantaggi della sua salute nel soggiorno in questo Paese, si determina d’accetare l’incarico, quando però l’elezzione della sua persona verificata coi vostri votti sia poi di agradimento e sodisfazione di Sua E. Rev.ma Mons. Vescovo. Posta alla bussolazione la persona pag.

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del Molto Rev.do Signor Don Francesco De Pretto per Parocco di questa nostra Chiesa ebbe voti che dice de sì n° 61 ebbe voti che dice di no n° 1. Si mette parte che due uomini di Comun, Giovanni Battistella e Battista Dolzan, siano muniti di procura per accompagnare il Parocco eletto a Vicenza e presentarlo a Sua E. Rev.ma Mons. Vescovo. Imbusolatta detta parte ebbe voti de sì n° 61 ebbe voti di no n° 1 siché per l’Iddio grazia riguardando alla pluralità de voti favorevoli che dice de sì, fu parte presa e passata. Gio.Batta Zanetti Quadrinier della Comunità suddetta”171. Il 18 settembre Gerolamo Giustinian, Capitano e Podestà di Padova, approvava il metodo con cui Don Francesco era stato eletto Parroco, senza che si fosse proceduto cioè alla scelta fra tre nomi, “purché il caso presente non passi in esempio per l’avvenire” e autorizzava Giovanni Battistella e Battista Dolzan a scortare il sacerdote a Vicenza per presentarlo al Vescovo. Il 28 settembre Sebastiano Toso e Battista Dolzan si recarono dal notaio Giuseppe Bredda di Cittadella e, per conto del Comune di Santa Croce, cedettero e consegnarono a Don Francesco e ai pag.

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suoi successori in perpetuo la canonica, acquistata da Paolo Bertoncello, consistente in cinque camere con annessa scala, granaio, sala, orto e stalla da utilizzare per mettere la legna. Così Don Francesco De Pretto divenne il primo Parroco di Santa Croce Bigolina. E adesso era arrivato il momento della festa grande, anche perché, per l’occasione, era stata pure ampliata la chiesa. Ce lo ricorda ancor oggi una lapide posta sopra la porta laterale, la cosiddetta “porta degli uomini”: “AEDES QUAE AMOTIS FRANCISCANIS IN VICI S. CRUCIS IURA CONCESSERAT PERMISSU SENATUS ET ANTISTITIS AUCTORITATE IUSTAE PAROECIAE HONORE AUCTA EST OPE ANDREAE MAUROCENI V. C. PATRONI VICANORUM ANNO MDCCXCIIII” (= La chiesa che, rimossi i Francescani, era venuta in possesso del paese di Santa Croce, con il consenso del Senato e l’autorità del Vescovo, ad onore di legittima parrocchia fu ampliata per opera del nobiluomo Andrea Morosini, patrono dei paesani, nell’anno 1794). I festeggiamenti durarono per tutto il mese di ottobre e chissà quanto solenne fu quell’anno la Sagra della Madonna del Rosario. Naturalmente


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fu invitato anche il “patrono” Andrea Morosini, il quale però da Loreggia, dove dimorava, fece sapere che per il cattivo tempo e le strade pessime non sarebbe potuto venire. Intanto, c’era stata la prima nascita dopo il decreto di erezione in Parrocchia e anche questa fu festeggiatissima. Nel “Liber Baptizatorum”, conservato nell’Archivio Parrocchiale, è scritto: “13 settembre 1794. Angela fu di Pietro d’Antonio Toso e di Caterina di Bernardo Vedolin sua legittima consorte, nata alle ore 7 circa della scorsa notte, fu battezzata da me Don Francesco De Pretto… N. B. Fu la prima battezzata a questo sacro fonte, con segni solenni di campane, campanò e molti sbari, con concorso di molto popolo”. Il primo matrimonio della nuova Parrocchia fu invece celebrato il 26 novembre 1794, come viene riportato nel “Liber Matrimoniorum”: “Premesse le tre solite canoniche publicazioni… tanto in questa quanto nella Chiesa della Rosà in tre giorni festivi… nè essendosi scoperto impedimento veruno, in questa mattina all’altare del Santissimo ho congiunto in Santo Matrimonio io Don Francesco De

Pretto… Angelo di Giovanni Agnolin nativo e sempre dimorante nella Rosà con Elisabetta Borsato fu Battista nativa alla Rosà, ove abitò fino li anni 15 ora da quattro anni dimorante in questa… rilevato in prima il loro consenso espresso secondo il Rituale Romano… essendo anche stati benedetti nella S. Messa iuxta Missale Romanum (= secondo il Messale Romano). Giovanni fu Francesco Gnoato e Francesco di Antonio Venzo furono testimoni presenti”. Divenuto Parroco, Don Francesco compilò, per incarico della Curia Vescovile, “con tutta diligenza, esattezza e fedeltà” l’inventario dei beni della chiesa, presenti i massari Antonio Venzo e Bernardo Merlo. Ci pare interessante riportarlo almeno in parte, per capire come allora la chiesa fosse più fornita di adesso e per rimpiangere le molte cose perdute: - due calici e due patene d’argento; - due pissidi d’argento, una grande e una piccola; - tre vasetti d’argento per i Sacri Crismi e per l’Olio Santo; - croce con Crocifisso d’argento e raggi dorati; - Reliquiario per esporre pag.

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le Reliquie d’argento e parte dorato; - un altro Reliquiario di legno argentato; - le Sacre Reliquie legate in auricalco della Santa Croce, di Sant’Anna e di Sant’Antonio; - turibolo con navicella e cucchiaino in ottone; - Ostensorio con piedistallo di rame dorato ed il resto d’argento; - trono per l’esposizione del SS. Sacramento di legno dorato; - altro tronetto di legno colorato in rosso e in parte argentato per il Viatico; - secchiello ed aspersorio in ottone; - 6 candelieri grandi in ottone per l’Altar Maggiore ed altri 4 di media grandezza; - 10 candelieri più grandi per lo stesso altare di legno argentato; - tre campanelli piccoli per i tre altari e due mezzani; - una croce tinta in nero da morto; - gonfalone con asta e croce di legno; - Crocifissi: uno grande in sacrestia, uno sopra il banco dei paramenti ed uno sopra il pulpito; - quattro candelieri di ottone all’altare di Sant’Antonio; - otto candelieri argentati pag.

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all’altare della Madonna; - due lampade all’altare del SS.mo e due minori agli altri due altari, in ottone… - 21 tovaglie per i tre altari e due per i balaustri… - 10 pianete di colore diverso feriali e festive; - una pianeta da morto; - un piviale dorato… - 9 cuscini per gli altari coperti di drappo fiorito… - tele e veli per coprire i Crocifissi e le immagini sacre nel tempo di Passione… - nel coro: due spalliere laterali in noce; due angeli di legno con candelieri in mano… - dietro l’Altare Maggiore: spalliera con sedili ed inginocchiatoi tutto attorno in noce; - tre quadri in pittura dietro l’Altar Maggiore… - dodici banchi per gli uomini e dodici per le donne; - tre campane sul campanile; - l’orologio della chiesa… - quattro pile murate per l’acqua santa ed una grande isolata; - battistero con armadietto di noce. Don Francesco De Pretto fu uno di quei diligenti Parroci che annotavano nei regi-


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Don Francesco De Pretto, primo Parroco di Santa Croce

stri parrocchiali gli avvenimenti eccezionali del loro tempo, soprattutto riguardanti le condizioni atmosferiche. Così troviamo scritto nel registro dei battesimi, alla data del 2 dicembre 1794: “Dopo l’antecedente molta neve, nella notte del SS. Natale sopragiunto gran scirocco con dirottissima pioggia, liquefatta la neve, non avendo la terra perché aghiacciata potuto assorbire niente d’acqua, li torrenti e fiumi si gonfiarono oltre ogni memoria talmente, che con le loro innondazioni causarono immensi danni per tutta l’Italia, con rilassi di terreni nei monti, che in diversi luoghi nelle loro voraggini affogarono case, abitanti e bestiami: cosa inaudita, poiché la superficie della terra era per ogni giro d’occhio ricoperta d’acque, che ogni dove sembrava una vera laguna; e la maggior parte dei Cristiani in quel giorno non intervennero alla S. Messa, mentre non fu possibile ad alcuni nemmeno uscir di casa”. “28 febbraio 1795. Un ormai ininterrotto rigido freddo, che incominciò da Santa Lucia con continua neve e che in Roma, Napoli, Spagna, Inghilterra oltrepassò tre gradi a quanto si tiene memoria e che in Francia fu innaudito, nella Germania estremo secondo i

rapporti, finalmente si calmò nel fine di febbraio…” “15 agosto 1795. Li 14 agosto alla mezzanotte cascò un fulmine nel campanille quale scagliò il piedistallo della croce, ha aperto la cupola nella somità… e serpegiando dentro e fuori per il campanille finalmente trapassò sopra l’Altar del Crocifisso e molestato qua e là il muro, meravigliosamente senza alcuna offesa di esso Altare si sprofondò in terra all’ultimo gradino di quello”. Di Don Francesco non sappiamo altro. Egli morì a 52 anni, il 30 aprile 1806, senza dubbio compianto da tutti i suoi parrocchiani. Fu sepolto il 1° maggio e così sta scritto a questa data nel libro dei defunti: “Il reverendissimo signor Don Francesco De Pretto di anni 52, dopo la malattia di 4 mesi circa giudicata una tabe172, munito dei SS. Sacramenti della Confessione, della Eucarestia, Olio Santo, Benedizione Pontificia e raccomandazione dell’anima, passò da questa a miglior vita e fu sepolto in chiesa nel sepolcro destinato a’ Parrochi e ai Sacerdoti…”. Il sepolcro di Don Francesco, con le sue spoglie mortali rivestite dei sacri paramenti sacerdotali, è stato ritrovapag.

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to durante i lavori eseguiti nel 1997 insieme con la tomba di Alessandro Bigolino, ed è ora riconoscibile al centro della navata, ai piedi dell’abside. Egli, che tanto ha amato Santa Croce e la sua gente, lascia a tutta la Comunità un debito di gratitudine.

NOTE AL CAP. 10 168.

A. C. V., Stato delle Chiese… All’atto notarile è allegata la descrizione dettagliata della casa e dei vari appezzamenti di terreno costituenti i 12 campi, con la loro posizione e i confini.

169. La scelta del Parroco avveniva così: si presentavano più sacerdoti alla Comunità, i quali concorrevano fra di loro facendosi conoscere, celebrando la Messa e predicando. Alla fine veniva eletto il più gradito. 170. A. C. V., Stato delle Chiese… 171. A. C. V., Idem… 172. Per “tabe” non si intende una malattia precisa, ma ci si riferisce ad una serie di sindromi caratterizzate da gravi degenerazioni progressive, un male quindi che produce consunzione. pag.

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A sinistra: in primo piano, al centro della navata, la lastra in marmo rosso di Asiago sotto la quale riposano i resti mortali di Don Francesco De Pretto primo Parroco di Santa Croce Bigolina; nell’elenco dei beni della chiesa redatto da Don Francesco de Pretto troviamo nominato per la prima volta l’orologio che si trova sulla parete nord della chiesa. Restaurato nel 1997, dopo essere stato rimaneggiato nel ‘700 e nel 1908, appare ora come doveva essere originariamente nel Cinquecento. Oggi diremmo “tumore”.


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La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: decreto napoleonico di istituzione delle cariche di Podestà e Sindaco datato 5 giugno 1807.

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urante il tempo di Don Francesco De Pretto, in Europa accaddero importantissimi e drammatici avvenimenti; la loro eco giunse dapprima ovattata nel nostro Veneto, ma essi ben presto avrebbero avuto conseguenze nefaste per la Repubblica Serenissima e in seguito anche per il Comune rurale di Santa Croce. 1789: il popolo di Parigi, guidato dalla borghesia, affamato e stanco di dover subire la tirannia di una classe di nobili generalmente corrotti e incapaci di porre rimedio, insieme con il re, ai mali della Francia, si ribella al vecchio regime. È l’inizio della rivoluzione francese, che da una parte diffonde in tutta l’Europa le parole-chiave che affascineranno l’epoca moderna, cioè “libertà, uguaglianza, fratellanza”, dall’altra colora questi ideali con il sangue non solo del re e della regina, ma di migliaia di persone ghigliottinate, innocenti o meno, e finisce con il calpestare il giusto scopo, per il quale era nata, nel terrore. L’Europa dei re ne venne sconvolta, così come l’ordine politico e religioso su cui essa si reggeva. Infine, dopo tante dichiarazioni solenni dei diritti dell’uomo e del cittadino, ma anche tanti massacri in una lotta di

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Fine di un mondo: la sconfitta del Leone e l’umiliazione del comune rurale

tutti contro tutti, finito sulla ghigliottina pure Robespierre, il potere viene affidato ad un Direttorio, composto di cinque membri. Fra essi emerge subito Napoleone Bonaparte. Con lui avranno presto a che fare anche Venezia e i nostri paesi. Per il Direttorio era necessario riprendere una politica di espansione oltre i confini della Francia, primo per consolidare il suo potere all’interno e poi per imporre tasse sui popoli conquistati e rimpinguare così le casse francesi. Al ventisettenne Napoleone venne quindi affidato nel 1796 il comando dell’Armata d’Italia, circa 40.000 uomini, sembra anche male armati e poco organizzati, al cui seguito vi erano più o meno centocinquanta rivoluzionari italiani, perlopiù piemontesi e napoletani, che avevano il compito di appoggiare le insurrezioni nelle terre occupate. Napoleone, con la sua ambizione e le sue doti organizzative, riuscì a trasformare l’Armata d’Italia in una formidabile macchina da guerra. Egli aveva il compito di tenere impegnata una parte dell’esercito austriaco in Italia, mentre le altre due armate francesi del Reno sarebbero penetrate nel cuore stesso dei domini austriaci, e pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

tutte tre le armate poi avrebbero dovuto puntare alla conquista di Vienna. La prima campagna d’Italia si trasformò ben presto in una fulminea guerra di conquista: in Piemonte Napoleone riuscì a sconfiggere le truppe austriache e quelle piemontesi, quindi penetrò in Lombardia, infischiandosene della neutralità del ducato di Parma, battendo gli austriaci a Lodi e il 15 maggio 1796 entrò a Milano. Infine i francesi occuparono i territori della Repubblica Serenissima, cominciando da Brescia e proseguendo con Peschiera e Verona. Di fronte al precipitare degli eventi, Venezia fu sicuramente colta di sorpresa, ma questo non giustificava la sua ostinata neutralità e l’assenza di ogni misura protettiva, anche se motivata dalle ristrettezze economiche. Ormai la stella di Venezia stava per tramontare inesorabilmente, tra la rassegnazione e l’indifferenza quasi stregate della sua classe dirigente, del tutto impreparata al nuovo metodo instaurato dall’ambizioso, strafottente e cinico Napoleone, quello cioè della guerra senza legge, della mancanza di rispetto dei trattati e delle neutralità, delle minacce, dell’aggressione. In questo modo, il giovane generale pag.

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ogni giorno faceva un passo per ferire e annientare il Leone di San Marco. Sconfitta l’Armata austriaca che si era ricostituita, Napoleone entrò a Trento il 5 settembre 1796, il 7 giunse di sorpresa a Primolano e la sera stessa si accampò a Cismon. L’otto settembre, a Carpanè, travolte le difese austriache, il Bonaparte divise le sue truppe in due colonne che dovevano scendere lungo le rive del Canale del Brenta. I francesi dilagarono per il Canale, saccheggiando e profanando le chiese di Solagna, Campolongo e Campese e giungendo a Bassano quel giorno stesso, mentre alcune truppe, guidate dal generale Massena, inseguivano gli austriaci spingendosi verso Vicenza. Anche Bassano dovette subire le requisizioni, le prepotenze e le ruberie dei francesi, impegnati a violentare donne, saccheggiare e profanare i luoghi di culto (in questo comunque non facevano altro che far concorrenza all’esercito austriaco). I francesi, lasciata Bassano il 20 settembre, vi erano ritornati il 6 ottobre con il generale Massena. Intanto l’Austria progettava di rifarsi delle sconfitte di settembre. Un’armata forte di più di 40.000 uo-


CAPITOLO 11

Fine di un mondo: la sconfitta del Leone e l’umiliazione del comune rurale

mini, al comando del barone Alvinczy, attraversò l’1 e il 2 novembre il Piave puntando sul Brenta. Le cose sembravano mettersi male per i francesi. Intervenne allora Napoleone stesso, attaccando il 5 novembre gli austriaci che con un’avanguardia avevano attraversato il Brenta e si erano attestati a Carmignano, osservando e dirigendo la battaglia dal campanile di San Pietro in Gù. Giunta la notte, i francesi si nascosero tra i boschi del fiume, che non potevano attraversare perché, su ordine degli austriaci, vi erano state riversate tutte le acque dei canali e delle rogge. Il mattino del 6 novembre gli austriaci presero a cannonate i francesi appostati nella boscaglia. Intanto un’altra divisione francese avanzava da Schiavon. Contro di essa furono mandati 300 austriaci. Lo scontro avvenne nei pressi di Nove. Il Bonaparte accorse allora da Vicenza a Nove, dove tenne consiglio di guerra nella settecentesca chiesetta di San Giovanni Nepomuceno (che si trova tra Nove e Marchesane). Il teatro dello scontro si spostò a quel punto a Marchesane; la battaglia infuriò furibonda e durò fino alle 22. Nove fu persa e ripresa per ben cinque

volte, ma alla fine i francesi ebbero la meglio. Essi tentarono allora di riconquistare Bassano, ma gli austriaci, gettando nella mischia 3.000 soldati di riserva, li costrinsero a ritirarsi. Durante la ritirata i francesi, come al solito, saccheggiarono Nove, spogliando gli altari della chiesa e bruciandone i banchi, poi ripiegarono in direzione di Vicenza. Fu una ritirata temporanea, perché a metà novembre Napoleone riuscì a battere le truppe dell’Alvinczy ad Arcole. Frattanto gli austriaci riuscivano a controllare il Bassanese fino al gennaio del 1797, distribuendo le loro truppe un po’ ovunque, tra Marostica, Solagna, Cartigliano, Pove, Tezze sul Brenta, ecc. ed ancora una volta la popolazione dovette subire requisizioni e danni enormi alle campagne per le opere di fortificazione. Il 1797 risulterà decisamente favorevole a Napoleone: solo alcuni giorni prima della capitolazione di Mantova, importantissima roccaforte degli austriaci, i francesi ripresero possesso di Bassano, il 26 gennaio. Il Bonaparte vi entrò il 9 marzo, proveniente a piedi da Marostica. Da Bassano egli lanciò il suo proclama ai soldati dell’Armata d’ Italia, invitanpag.

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doli ad avanzare in Friuli e quindi a colpire al cuore l’Austria. Tredici giorni dopo, il passo del Tarvisio era già in mano francese e la via per Vienna aperta. Il 18 aprile 1797 gli austriaci furono costretti a chiedere la pace. Dopo appena un anno, il giovane spregiudicato Napoleone aveva piegato il Regno dei Savoia, cacciato gli austriaci dalla Lombardia, costituito la Repubblica Transpadana (territori lombardi) e quella Cispadana (territori emiliani) costringendo il papa173 ad arrendersi. Ora gli restava solo da infliggere il colpo di grazia al già ferito Leone di San Marco. Il 12 maggio 1797 la millennaria Repubblica di Venezia cessò di esistere. Il Maggior Consiglio tenne infatti in quel giorno l’ultima triste seduta e consegnò praticamente Venezia nelle mani di Napoleone. Il 15 maggio Ludovico Manin, ultimo doge di Venezia, colui che aveva concesso a Santa Croce Bigolina di separarsi da Tezze e di costituirsi in Parrocchia, lasciò per sempre Palazzo Ducale. Chi si ostinava a credere fosse giunta l’ora della realizzazione degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità, pag.

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affannandosi ad abbattere i leoni di San Marco, fu presto deluso. Il 17 ottobre 1797, con il trattato di Campoformio, il mercante di libertà e ladro d’opere d’arte, “il trionfatore” Napoleone, vendeva il Veneto all’Austria, che ne rimase padrona a stento fino al 1805174. Infatti non era finita. Napoleone, smanioso di conquistare il mondo, nel giugno del 1800 ritornò in Italia, sconfisse nuovamente gli austriaci, si fece consacrare Imperatore da Pio VII, quindi istituì il Regno d’Italia, di cui si fece proclamare re a Milano nel 1805. Nello stesso anno, con il trattato di Presburgo, costrinse l’Austria a cedergli il Veneto, l’Istria e la Dalmazia. Se nella prima campagna d’Italia Santa Croce era riuscita a rimanere ai margini degli sconvolgimenti che sconquassavano i paesi vicini, adesso ne fu coinvolta in pieno. Da documenti conservati nell’archivio parrocchiale, veniamo infatti a sapere che il 28 dicembre 1800 il Comune è costretto a rifornire l’armata, non è specificato se francese o austriaca, di un bue, carne e farina, vino e pane, colombini e formaggio. Il 2 novembre 1801 ai francesi viene data “una manda”.


CAPITOLO 11

Fine di un mondo: la sconfitta del Leone e l’umiliazione del comune rurale

In mezzo al caos del passaggio continuo di truppe e della richiesta di requisizioni, comunque, il Comune di Santa Croce, lasciato ancora in piedi dall’Austria, tenta di vivere una vita quanto più normale possibile. Il 9 agosto 1801 il “Degan” Giuseppe Toso e i massari Francesco Toso e Giuseppe Andriolo vengono autorizzati dal Regio Giusdicente di Cittadella175 a “radunare tutti li capi di casa del Comun” per “fare pertegare” tutti i terreni, tanto arativi quanto prativi e boschivi, censiti nel catasto del 1694 (v. cap. 6). La presenza di soli 39 consiglieri testimonia i tempi tristi che si correvano. Nonostante la povertà e le tasse, però, i nostri vecchi trovavano ancora la possibilità di far “giustare li folli al organo”, di pagare il “candeloto” al Parroco di Tezze, in ricordo della dipendenza da quella Parrocchia, di “giustare” i vetri alla Chiesa, di pagare il “soldà todescho” che doveva fare la guardia, di provvedere alla manutenzione delle strade, di dare il salario al Parroco e al Cappellano176. Particolarmente importante la nota del 12 dicembre 1803, con cui si paga un mandato “per picare e dispicare le campane vechie e nuove”. Del 20 aprile 1805 è un ordine a Zua-

ne Bedin, esattore del Comune, di dare ai massari Pietro Fagan e Zuane Lanza duecento lire per pagare il predicatore della quaresima. Ma per il Comune rurale di Santa Croce si avvicinava rapidamente la fine. Esso sarebbe stato travolto dallo sconvolgimento territoriale e amministrativo voluto da Napoleone, una volta costituito il Regno d’Italia nel 1805. Tutto il nuovo stato, infatti, che comprendeva l’Italia del nord con l’Emilia e la Romagna, fu diviso in dipartimenti, chiamati con i nomi dei fiumi. Padova e il suo territorio divennero il Dipartimento della Brenta, a sua volta suddiviso in 3 distretti: Este, Piove di Sacco e Camposampiero, governati da un viceprefetto. Ogni distretto comprendeva tre cantoni; per esempio, del distretto di Camposampiero facevano parte anche Cittadella e Mirano. Per ogni distretto fu pure istituito un Commissariato di vigilanza interna, con potere assoluto di arrestare e giudicare senza appello e confiscare i beni; esso si serviva delle denunce segrete e dello spionaggio. I cantoni invece erano retti da un podestà, che durava in carica tre anni; il consiglio del cantone era composto da pag.

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un rappresentante per ogni comune. I cantoni infatti furono suddivisi in Comuni o Municipalità, i quali dovevano dotarsi di una propria guardia civica, cui dovettero iscriversi tutti i cittadini dai 18 ai 60 anni. L’esercito non era più costituito da volontari e il servizio militare diveniva obbligatorio. Per questo ci furono tanti disertori che poi si nascondevano, vivendo di ruberie. Tutto ciò causò grande disagio alle nostre popolazioni e provocò molte rivolte, come quella del 1806 nel territorio di Vicenza e Padova. In campo religioso furono chiusi molti monasteri ritenuti inutili e i loro beni confiscati e venduti. I Frati del Convento di San Francesco, a Cittadella, furono cacciati con decreto del 28 luglio 1806; il fabbricato fu usato come caserma per oltre un secolo e solo nel 1944 i Padri poterono ritornare. Allo stesso modo fu soppresso il Monastero delle Cappuccine, in borgo Padova. Alle chiese si lasciò solo un calice ed un ostensorio; tutto il resto fu requisito. Si abolirono le antiche confraternite religiose; fu vietata la sepoltura dei morti nelle chiese e si obbligarono pag.

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i comuni a costruire i cimiteri fuori dei centri abitati. Al posto dei massari, fu istituita la fabbriceria per l’amministrazione dei beni delle parrocchie, chiamando alla carica normalmente tre persone. In tutti i paesi si rese obbligatoria la scuola elementare, chiamata scuola democratica pubblica. Nel 1806 entrò in vigore il Codice Civile napoleonico, che prevedeva tra l’altro anche il divorzio, assoluta novità per la nostra gente. Insieme a tutti questi cambiamenti, ve ne furono altri minori, i quali tuttavia crearono altrettanto scompiglio. Per esempio fu introdotto un nuovo calendario, che aboliva le domeniche e divideva il mese in tre decadi; i nomi dei mesi vennero tutti cambiati, così come la divisione delle ore della giornata, spesso indicate con l’ora “di Francia”177. Gli storici sono concordi nell’ affermare che l’epoca napoleonica, tra tanti stravolgimenti, portò anche qualche benefico effetto, introducendo il concetto di libertà e democrazia, spazzando via i titoli e i privilegi dei nobili, stabilendo il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, rendendo obbligatoria l’istruzione, ecc.


CAPITOLO 11

Fine di un mondo: la sconfitta del Leone e l’umiliazione del comune rurale

Siamo d’accordo, tuttavia noi ci chiediamo se, per fare qualche passo in avanti, la cosiddetta “civiltà” abbia bisogno di camminare sempre su migliaia di morti e sulle rovine del passato, distruggendo quanto di positivo è stato precedentemente costruito. Il Comune rurale, ad esempio, era un’istituzione antica ancora assai valida; esso aveva avuto origine nel Medioevo dalle libertà comunali ed aveva insegnato alla nostra gente, pur senza conoscerne la parola, come si fa “democrazia” nei fatti, mediante la partecpazione di tutti i capifamiglia al governo della Comunità, fondendo in un equilibrio che non sarà mai più recuperato vita religiosa e vita civile, dando dignità di governatori a gente semplice che tuttavia, come si è visto, sapeva cavarsela anche nei momenti più difficili, sostenuta dall’appoggio di tutti i paesani perché conosceva e condivideva i problemi di tutti. La Repubblica di Venezia aveva capito l’importanza del Comune rurale e l’aveva conservato e valorizzato. Lo straniero Napoleone, ignorante della nostra storia e delle nostre tradizioni, ne decretò boriosamente la fine. L’ultimo censimento di tutti i proprietari che avevano beni a Santa Croce

fu eseguito il 30 gennaio 1806, “in esecuzione di Reverita Circolare della Municipalità provisoria di Cittadella”, mentre risale al 26 maggio dello stesso anno l’ultimo verbale di “vicìnia”, riunitasi su licenza del Delegato di polizia della provincia di Padova, per incarico dei massari Domenico Bertoncello e Luigi Munaro. Erano presenti 42 capi di casa. Non vi era nessun punto da discutere; dovevano solo essere nominati i capi della Confraternita del SS.mo Sacramento, che furono Paolo Toso e Gerolamo Rebellato, e i massari delle anime del Purgatorio, Antonio Vangelista e Bernardo Merlo. Sulla situazione di Santa Croce Bigolina nel 1806 e sul suo passaggio da Comune rurale a frazione di Cittadella ha scritto ampiamente l’attenta studiosa di storia locale Gisla Franceschetto178, la cui preziosa ricerca riassumiamo qui, per comodità del lettore. Nel 1806 vi erano a Santa Croce 458 abitanti, divisi in 72 nuclei familiari, 238 uomini e 220 donne, senza i bambini che non venivano contati. Le famiglie erano composte anche da 19 e più individui, come quella di Pietro Fagan, quella di Giovanni Battistella con 15, di Paolo Toso con 14. Molti pag.

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nuclei, diventati con il tempo troppo numerosi, si erano divisi e abitavano in case separate179. Le campagne appartenevano ancora quasi tutte a “foresti”. Il maggiore possidente era Antonio Remondini di Bassano con 270 campi; seguiva il conte Fabrizio Orsato di Padova con 132 campi e una fornace. Di Padova erano anche i Maldura, i quali avevano 60 campi. I nobili veneziani - Mocenigo, Cappello, Dolfin - erano presenti con possessioni modeste nel 1806, dopo che i Michiel avevano venduto da poco la loro azienda alla principessa austriaca Maria Beatrice d’Este. Altri possidenti erano i Wiel di Cittadella, i Baseggio di Bassano, il Conte da Rio di Padova, i nobili fratelli Bonfadini, il Conte Giordano Capodilista di Padova. Le famiglie rurali che possedevano terra erano 14, ma si trattava di appezzamenti minimi. Facevano eccezione le famiglie dei Merlo: Bernardo aveva 11 campi e Innocente 8. Quasi tutti i terreni continuavano ad essere lavorati a mezzadria. I complessi rurali, con casa a portico, erano 37 ad uso dei contadini che lavoravano “alla parte”, altre 15 abitazioni pagavano affitto ed avevano annesso pag.

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un piccolo appezzamento di terra. Le case di proprietà erano 9. Vi erano inoltre 2 osterie, il mulino a 4 ruote, la sega e la fornace. Come in altri luoghi nei pressi del Brenta, si beveva l’acqua derivata dal fiume che scorreva nelle rogge, non essendovi che tre pozzi, e anche lontani dal centro. Ovviamente non c’era medico, poiché la condotta, a beneficio dei poveri, fu istituita a Cittadella solo nel 1823. I campi erano tutti irrigati con l’acqua delle “roste” derivate dal Brenta: esse erano proprietà di alcuni nobili i quali, dopo aver irrigato i propri beni, ne concedevano l’acqua a pagamento ad altri proprietari. Troviamo il nome delle rogge di Santa Croce in un documento del 1800, conservato nell’archivio della Pretura di Cittadella. Il parroco di SantaCroce Bigolina, Don Francesco De Pretto, rispondendo alla Notificazione della Congregazione delegata di Venezia in materia di acque, dava “la nota distinta ed esatta di tutte le roste che scorrono in Santa Croce Bigolina e parte inservienti all’irrigazione. Rosta Michieli, la metà inserviente per una ruota di segalegname del N.H. Marc’Antonio Michiel tenuta in affitto da Antonio Vangelista e di poi passa a condurre


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ruote quattro di molino di proprietà del Michiel tenute in affitto da Luigi Munari, passando poi all’irrigazione di Beni del medesimo Michiel, indi entra nel suo alveo Brenta. Rosta Trona del N.H. Tron, quale diametralmente passa per questo Comune ed arriva ad irrigare le contigue sue campagne. Rostina Remondini delli nobili signori conti Giuseppe ed Antonio fratelli Remondini, quale si consuma all’irrigazione delli propri beni esistenti in questo Comune. Rostina Basevalle del N.H. Marco Antonio Michiel inserviente per irrigare altre sue campagne. Rostina Bonfadina delli NN. HH. fratelli Bonfadini inserviente all’irrigazione delli propri beni esistenti in questo Comune”. I campi erano delimitati da filari di viti, sostenute in buona parte da “morari”, le cui foglie servivano per l’allevamento dei bachi da seta (i cosiddetti “cavalieri”). Il colono aveva l’obbligo di portare nell’azienda del proprietario (“in corte”, come si diceva) i prodotti che gli spettavano, di “battere” a sua richiesta il granoturco nel granaio del padrone, di fare il vino.

Sulle tradizioni di questo mondo rurale piombarono come una tempesta le innovazioni volute dal codice napoleonico, entrato in vigore da noi appunto nel 1806, il quale instaurava un nuovo comune che possiamo dire “laico”. Ora i membri del Consiglio comunale non erano più scelti tra i capifamiglia contadini, poveri e spesso illetterati, ma tra i “notabili”, quelli cioè che possedevano di più, che poi erano i pochi, ricchi proprietari forestieri. All’inizio i contadini non capirono la portata dei cambiamenti, anzi si sentirono più importanti, perché in ogni parrocchia si costituì un comune che si fregiava del titolo di “municipalità”. Ma ben presto l’equivoco fu chiarito. Con decreto del 24 luglio 1806 infatti il governo stabilì che le parrocchie minori diventassero frazioni di quelle più grandi. Sarà il destino che toccherà ben presto anche a Santa Croce. Intanto il 9 agosto 1806 si era riunito per la prima volta il consiglio comunale laico, formato da 12 consiglieri, tutti scelti dalla lista dei maggiori possidenti: Giordano Capodilista, Antonio Remondini, Nicolò da Rio, Fabrizio Orsato, Giambattista Baggio. Sindaco provvisorio fu eletto Domenico Bertoncello. pag.

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Nel frattempo, dalla prefettura di Padova, tramite la municipalità di Cittadella, stava giungendo una montagna di carte che sollecitavano l’avvio della nuova struttura comunale, con tanto di bilancio, tasse e servizio militare obbligatorio. Il primo e unico bilancio del nuovo comune di Santa Croce ricalcava ancora quelli tradizionali. Il reddito maggiore proveniva dai campi e da una tassa personale che dovevano pagare 124 persone. Le spese erano quelle di sempre: L. 91,6 per il restauro del campanile, compreso il cibo per gli operai presso l’oste Andrea Fantin; L. 40 per la casa del cappellano, L. 207 per il mantenimento dello stesso; L. 10 per il “candeloto” al parroco di Tezze; poi le spese per i dipendenti comunali e per cancelleria; in tutto L. 2.203,18. La novità che colpiva di più la nostra gente era la leva militare, che sulle prime non fu presa sul serio, per cui i coscritti rimanevano “tranquillamente a casa loro”. Ciò naturalmente suscitava la reazione delle autorità, che continuavano a mandar carte contro i “disertori”. A Santa Croce, come dappertutto, giungeva l’ordine, sempre nel 1806, pag.

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di riordinare la pattuglia campestre la quale “dall’imbrunire all’albeggiare e quando il sindaco crederà opportuno, di giorno e di notte” doveva essere in attività “col battere di continuo le strade e col far la guardia al campanile”. Si ordinava anche ai giovani nati dal 1 agosto 1781 al 31 luglio 1786 di presentarsi alla commissione di leva. Su 30 di Santa Croce se ne presentarono 20, di cui 8 erano ammogliati e 11 avevano i genitori ammalati, o erano infermi o figli unici, tutte condizioni che davano diritto a esenzione o rinvio. Uno solo, Girolamo Mometti, non portò nessuna motivazione, ma subito dopo si sposò e quindi fu regolarmente dispensato. Il comune laico di Santa Croce Bigolina durò pochi mesi. Per ordine del prefetto di Padova, il 17 aprile 1807 Santa Croce divenne frazione di Cittadella. Si era pensato in un primo momento di unire il paese a Fontaniva, ma nelle carte inviate alle autorità si diceva che Santa Croce “amerebbe piuttosto l’unione con Cittadella”. In effetti era più vantaggiosa per i ricchi possidenti l’unione con il Comune maggiore, tanto più che la municipalità


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di Cittadella si era affrettata a rassicurare tutti che “i loro bisogni locali saranno efficacemente presenti” e che i notabili di Santa Croce sarebbero stati tenuti presenti nel rinnovo delle cariche pubbliche. Nel Consiglio comunale di Cittadella infatti, l’anno dopo, 1808, figuravano tre possidenti di Santa Croce: Antonio Remondini, Fabrizio Orsato e Domenico Bertoncello. Presto però il Comune di Cittadella avanzava riserve su alcune spese da sostenere per Santa Croce. Era infatti crollato il portico della canonica e i fabbricieri chiedevano sovvenzioni per ricostruirlo, ma da Cittadella si rispose che “la villa di Santa Croce Bigolina… è in dovere di mantenere al di loro parroco la casa di sua abitazione in acconcio ed abitabile”. A Santa Croce delle vecchie autonomie non restava altro ormai che il diritto di eleggere il parroco, ma il Comune rurale non esisteva più.

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NOTE AL CAP. 11 173. Ricordiamo che allora il Papa era a capo dello Stato pontificio e che questo comprendeva le attuali regioni della Romagna, dell’Umbria, delle Marche e del Lazio. Il Papa perderà tutto il suo potere con la presa di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870. 174. Per quanto detto finora in questo capitolo, abbiamo attinto abbondantemente al volumetto di G. A. Muraro, 6 novembre 1796.Napoleone a Nove, Nove, 1996. Si veda anche di A. Zorzi, La Repubblica del Leone, cit. 175. Il Regio Giusdicente, di nomina austriaca, sostituisce il vecchio Podestà nominato da Venezia. 176. A. P. S. C., Note spese, fogli sparsi non numerati. 177. V. R. Marconato, Loreggia dal Medioevo al sec. ventesimo, Loreggia, 1994, p. 25-26;50. 178. V. G. Franceschetto, S. Croce Bigolina da Comune rurale a frazione di Cittadella nel 1807, Romano Bertoncello Brotto editore Cittadella, 1978. 179. Questo è l’elenco, conservato nell’Archivio Comunale di Cittadella, dei nuclei familiari di Santa Croce al 31 dicembre 1806: Antonio Pilon, Giuseppe Parolin, Francesco Parolin, Marco Andriolo, Giacomo Sartore, Antonio Canesso, Giuseppe Andriolo, Pietro Dolzan, Giovanni Andriolo, Lazzaro Girardin, Rocco Alberton, Giacomo Rossetto, Girolamo Borsato, Paolo Toso, Giuseppe Bianchi, Innocente Menegazzo, Girolamo Ferronato, Giovanni Campagnolo, pag.

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A destra: parte del decreto napoleonico di confisca dei beni ecclesiastici e soppressione dei Conventi.

Pietro Fagan, Battista Ferronato, Lorenzo Cavalin, Adamo Marin, Giovanni Bedin, Domenico Toffanello, Giovanni Simonetto, Bernardo Campagnolo, Antonio Parisotto, Andrea Pettenon, Giovanni Toffanello, Giovanni Battistella, Bortolo Campagnolo, Antonio Zanetti, Domenico Bordignon, Bastian Balin, Giovanni Lanza, Domenico Basso, Zamaria Solaro, Marin Marin, Adamo Giachin, Giuseppe Ferronato, Andrea Fantin, Battista Tonellotto, Antonio Menegati, Antonio Tonellotto, Francesco Bianchi, Battista Lessio, Giovanni Tolio, Antonio Betio, Innocente Merlo, Bernardo Merlo, Antonio Evangelista, Luigi Munari, Orsola Vendramin, Battista Toso, Bernardo Righetto, Pietro Pivato, don Isepo Petenon, Girolamo Mazzochin, Mario Gorgi,Bortolo Gorgi, Domenico Giacometo, Giuseppe Zonta, Francesco Bisinella, Giulio Violetto, Domenico Fornero, Giuseppe Toso, Giovanni Marsan, Alessandro Toso, Girolamo Rebellato, Angelo Zanetti, Domenico Zanin, Mario Morabelo. Come si può osservare, oggi la composizione dei nuclei familiari di Santa Croce è radicalmente mutata.


CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: lettera del Podestà di Cittadella inviata al Prefetto del Dipartimenti della Brenta il 30 marzo 1808 con cui si richiede la nomina a parroco dell”attuale economo” Don Giuseppe Pettenoni.

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on Giuseppe Pettenoni, originario di Cittadella, già cappellano di Santa Croce con Don Francesco De Pretto, fu parroco dal 1808 al 1821. Egli fece in tempo a vedere la sconfitta di Napoleone e il ritorno al potere degli austriaci, che ripresero il dominio su tutto il Lombardo-Veneto e governarono fino alla costituzione del Regno d’Italia, sotto i Savoia, nel 1861. Ma andiamo con ordine. Morto Don Francesco De Pretto il 30 aprile 1806, bisognava procedere all’elezione del nuovo parroco. Santa Croce, come sappiamo, era una delle 25 parrocchie autonome, sulle 197 della Diocesi di Vicenza, cui spettava il diritto di scegliersi il proprio parroco. Ma per l’esercizio di questo diritto vi erano ora due gravi ostacoli, uno di carattere generale e l’altro relativo alla situazione stessa di Santa Croce. La prima difficoltà derivava dalla insopportabile ingerenza di Napoleone negli affari ecclesiastici. Era lui, e non più il Papa, ad eleggere i Vescovi; con una circolare del 1805 si raccomandava addirittura ai prelati “il doversi pregare ne’ giorni sacri per Sua Maestà l’Imperatore e Re. Dopo le messe solenni in tutto il Re-

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gno si canti la preghiera ‘Domine Salvum fac Imperatorem et Regem’ (Signore, salva l’Imperatore e Re), onde invocare la protezione ed assistenza dell’altissimo sopra la Sacra ed Augusta persona di S. M. l’Imperatore e Re”. I Vescovi dovevano prestare il giuramento di fedeltà secondo la formula: “Io giuro e prometto sui Santi Evangeli ubbidienza e fedeltà al Governo del Regno d’Italia…”. Simile giuramento doveva essere fatto dai Parroci al momento della loro nomina; quest’ultima spettava ai Vescovi, i quali però dovevano scegliere i sacerdoti che si dimostrassero “persone accette al Governo”180. Di fronte ad un’intromissione così sfacciata del potere politico, il Vescovo di Vicenza stava attuando una specie di resistenza passiva, cercando di ritardare il più possibile la nomina dei parroci, sostituendoli con “Vicari Economi”. In questo modo, pur assicurando la presenza del sacerdote nelle Parrocchie, il Vescovo tentava di sfuggire al controllo governativo. Il secondo ostacolo alla nomina del nuovo Parroco di Santa Croce era dovuto al fatto che il Comune rurale era stato soppresso e quindi la Comunità pag.

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non era più autonoma. Vediamo allora come si giunse all’elezione di Don Giuseppe Pettenoni. Non sapendo come regolarsi dopo la morte di Don Francesco De Pretto, Santa Croce si era rivolta al Podestà di Cittadella per ottenere dal Prefetto il permesso di procedere alla nuova elezione secondo il vecchio sistema. Il Prefetto di Padova era stato sollecitato con una lettera del 29 maggio 1806, ma poiché non era arrivata nessuna risposta, i fabbricieri Luigi Munari e Antonio Vangelista scrissero di nuovo al Podestà: “… L’affare essendo troppo interessante tanto per il bene della popolazione che per tutti gli oggetti del sacro culto, perché s’abbia a differire più a lungo l’elezione d’un nuovo Pastore, ed essendo la predetta Comune di Santa Croce Bigolina costituita ora sezione di questa Municipalità, li sottoscritti Fabbricieri, mossi dal zelo del pubblico Bene e dal dovere del proprio uffizio, ricorrono a questa Municipale autorità supplicandola di nuovamente rassegnare al Signor Prefetto del Dipartimento un sì importante oggetto e di sollecitarne le più pronte deliberazioni, non tralasciando di far riflettere in pag.

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pari tempo ch’essendo stata saggiamente diretta la parrochial cura per tutto il tempo della vacanza dal Reverendo Don Giuseppe Pettenoni in qualità di Economo, il Comune mosso dal pio zelo di tal soggetto, fissò l’elezione sul medesimo e ne promosse anche dalla Vescovil Autorità di Vicenza l’approvazione per quanto ad Essa spetta. Si fanno certi li ricorrenti Fabbricieri che questa Municipalità… provocherà dalla Prefettura l’esaudimento della Grazia che implorano…”. Neppure questo sollecito ebbe riscontro. Quelli di Santa Croce decisero allora, il 9 luglio 1806, di scrivere direttamente al Cavalier Prefetto del Dipartimento della Brenta in modo molto chiaro: “…li Rappresentanti il detto Comune umiliano divoto ricorso alla Vostra Autorità acciò da Mons. Vescovo di Vicenza… fossero rilasciati li cedoloni per la concorrenza181, onde a pluralità di voti giusta il diritto di esso Comune fosse eletto il nuovo Parroco. Sono ormai tre mesi decorsi e non per anco fu in disposizione Mons. Vescovo di accordare il permesso di esporre tutti li cedoloni di invito. Vi si espongono, o Signore, gl’inco-


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modi che derivano da tale ritardo. Primo, non essendovi che una sola Messa, accade frequentemente ne’ giorni festivi che li vecchi, le donne, i lattanti e gli infermi non giungano a tempo d’assistere al Santo Sacrifizio. Secondo, non è possibile che gl’individui tutti di cadauna famiglia possano in un sol punto abbandonare le proprie case… e gli animali per portarsi alla Chiesa. Non può il solo attual Economo… assistere alla cura necessaria delle anime e alla perenne assistenza momentanea degli ammalati. Si mormora nel Comune, si querelano li Capi di tale ritardo, si negano le solite questue per il mantenimento del parroco stante la sua non esistenza… Ricorre l’ossequioso Comune alla Vostra Giustizia, o Regio Prefetto, acciò… venga eccittato il Vescovo a permettere i soliti inviti, onde devenire alla sollecita elezione del nuovo Parroco… colla quiete e contentezza del supplicante Comune”182. Finalmente il Prefetto si mosse, rivolgendosi direttamente al Ministro per il Culto. Questi, il 13 settembre 1806, scrisse da Milano al Vescovo di Vicenza: “Il Prefetto della Brenta m’informa che si è

resa vacante la Parrocchia di Santa Croce Bigolina di Patronato della Comune183 e dimanda come debba governarsi per disporre l’elezione184. Per armonizzare così in questa parte di disciplina… la politica colla ecclesiastica autorità secondo i metodi generalmente vigenti nel Regno, credo opportuno di prevenire così lei come il Prefetto che si debba seguire il prescritto col Regolamento 15 Maggio 1804 che dovrà essere in vigore per tutti i casi avvenire185. Non dubito che la di lei saviezza non sia per conformarsi ad una disciplina introdotta per garantire la libertà e la regolarità di coteste elezioni…”186. Ma dovevano passare ancora otto mesi prima che, il 29 maggio 1807, il Vescovo, (che era tuttora quel Marco Zaguri che aveva emesso il decreto di erezione di Santa Croce in Parrocchia) aprisse l’accesso all’esame sinodale per coloro che intendevano candidarsi come Parroci. Si presentò però solo Don Giuseppe Pettenoni, che allora aveva 41 anni, il quale fu ritenuto idoneo alla nomina. Ma, sia per l’opposizione del Vescovo allo strapotere politico negli affari ecclesistici sia per il complesso meccanismo richiesto dalle nuove leggi, ancora nei pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

primi mesi del 1808 Santa Croce era senza un Parroco, tant’è vero che il 30 marzo il Podestà di Cittadella torna a chiedere al Prefetto di dare disposizioni in merito. Finalmente la ruota cominciò a girare per il verso giusto. Il 19 aprile il Prefetto chiedeva al Vescovo di comunicargli i risultati dell’esame canonico, per “dar corso alle consecutive pratiche, onde provvedere del suo Parroco” Santa Croce; quindi, il primo di maggio, dava mandato al Podestà di Cittadella di convocare i comizi (cioè l’assemblea) per l’elezione, secondo il regolamento del 15 maggio 1804, avvertendo che veniva destinato per speciale delegato politico il Delegato per il Culto del Cantone, Don Antonio Miazzi187. Ed ecco il verbale dell’assemblea per l’elezione del nuovo Parroco; se il lettore vorrà fare un confronto, anche superficiale, con i verbali di vicìnia per la scelta di Don Francesco De Pretto, potrà comprendere quanto fossero cambiate le cose. “Regno d’Italia Dipartimento Brenta Distretto IV- Cantone II Quest’oggi ventidue del mese di Maggio dell’anno 1808 Noi Miazzi Antopag.

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nio Sacerdote Delegato pel Culto nel Cantone di Cittadella, ed in qualità di Delegato Politico… ci siamo trasferiti alla Chiesa Parrocchiale di Santa Croce Bigolina sezione di Cittadella, in unione al signor Giampietro Fava Savio Municipale di Cittadella e il signor Domenico Marzari segretario, per l’elezione del Parroco nella persona del solo concorrente Sacerdote Giuseppe Pettenoni, ed ivi, previo il suono della campana, radunati nella Chiesa predetta li Comizi, composti di tutti i Capi di Famiglia, ed avvertiti dell’oggetto del loro intervento, abbiamo cominciato dal registrare di mano in mano il numero de’ votanti, ed avendoli ritrovati maggiori di due terzi siamo passati alla ballotazione segreta, eseguita la quale ed incontrati i voti, abbiamo dichiarato ad alta voce che il numero de’ voti favorevoli riportati dal Sacerdote concorrente Giuseppe Pettenoni era di cinquanta otto, ed uno di contrario, ed esser in conseguenza il medesimo rimasto in qualità di loro Parroco…”188. Questo l’arido rapporto del Miazzi. Qualcosa di più si dice invece nel verbale redatto dal Segretario comunale Marzari, e questo di più ci fa ulteriormente comprendere, se ce ne fosse


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Don Giuseppe Pettenoni, secondo Parroco di Santa Croce e l’ombra di Napoleone sul nostro territorio

ancora bisogno, come il fatto di convocare i Capifamiglia non fosse più ritenuto un diritto, ma una benevola concessione di Napoleone. Scrive infatti il Marzari, fra l’altro: “…Riuniti e registrati i votanti, il signor Fava (il Rappresentante del Comune di Cittadella) fece una breve locuzione analoga alla circostanza, facendo vedere che il Clemente Sovrano (Napoleone) voleva preservato in questo caso il diritto antico della Comune ai Capi di Famiglia per l’elezione del parroco e che il solo aspirante, Don Giuseppe Pettenoni, fatto pubblicamente proclamare dal Segretario, aveva subiti lodevolmente gli esami relativi al suo ministero e riportata l’approvazione del Signor Vescovo Zaguri per la sua idoneità, moralità ed amministrazione ecclesiastica…” Il 21 giugno 1808 il Podestà di Cittadella comunicava al Vescovo che la nomina di Don Giuseppe era stata riconosciuta legittima e che quindi poteva essere emesso il decreto vescovile di investitura. Finalmente, dopo due anni di attesa, Santa Croce poteva avere il suo secondo Parroco. Intanto, a fine giugno, ad aiutare Don Giuseppe, era giunto da S. Giorgio in Brenta in qualità di Cappellano Don Francesco

Saccardo, di sessant’anni, che rimase a Santa Croce fino al 1827. Abbiamo visto come Napoleone non si facesse scrupoli di far sentire la sua mano pesante nella vita religiosa. D’altronde non aveva esitato ad occupare Roma nel 1808 ed aveva arrestato il Papa, che l’aveva scomunicato, portandolo prigioniero in Francia e tentando invano di costringerlo a rinunciare allo Stato Pontificio. Anche la Parrocchia di Santa Croce dovette subire le ripercussioni di un clima così pesante. Il 5 maggio 1807 il Prefetto del Dipartimento della Brenta ordinava ai Parroci di notificare tutti i proventi del Beneficio Parrocchiale, minacciando severe misure se non si fosse eseguita tale operazione con la maggior fedeltà ed entro dieci giorni. Da parte dei francesi si tentò addirittura di diffondere il culto per Napoleone, presentandolo, oltre che come un eroe, come un personaggio quasi divino. Vediamo ad esempio cosa scrive il Podestà di Cittadella al Parroco di Santa Croce il 23 maggio 1808: “Nel giorno 26 corrente, Anniversario dell’incoronazione in Re d’Italia di Napoleone I, imperatore de’ Francesi il Massimo, d’ordine di S. E. il pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Signor Ministro dell’Interno, in presenza di tutte le Autorità Civili e Militari in ogni Chiesa Cattedrale e Parrocchiale si canterà il Te Deum alle ore 12 della mattina. In derivazione degli ordini suenunciati voi, Signor Parroco, disporrete la esecuzione di ciò in cotesta Parrocchiale con le più espressive affettuose dimostrazioni della pubblica gioia che deve destare la memoria del divisato faustissimo avvenimento nel mezzo ai voti più fervidi per la prosperità di un Re, che tanto onora i Popoli d’Italia”189. Ma nel 1809 l’Austria, alleata con l’Inghilterra, entrò di nuovo in guerra con Napoleone. La campagna si svolse tra l’aprile e il luglio 1809 e si concluse con una sanguinosissima vittoria francese a poca distanza da Vienna. Ed ecco cos’era costretto a scrivere il 18 maggio il Vescovo di Vicenza ai Parroci della Città e della Diocesi: “L’annunzio della guerra che per volere di Sua Altezza Imperiale il Principe Vice-Re con lettera di S. E. il Signor Conte Ministro per il Culto venne comunicato a noi, Venerabili Fratelli, ne richiama (ora che le circostanze lo permettono) alle dovute pubbliche pag.

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supplicazioni insieme col popolo per il felice esito delle valorose armate avvezze a combattere e trionfar sempre sotto l’insegne gloriose dell’Invitto Nostro Monarca. Sarà vostra cura che da tutti i Sacerdoti che celebrano nella vostra Chiesa Parrocchiale… si reciti ogni giorno la Colletta Tempore Belli (la preghiera per il tempo di guerra), e in tutti i dì festivi dopo la Messa Parrocchiale e previo il suono delle campane (sino a nuovo ordine) si cantino col popolo le Litanie dei Santi… Manifesterete inoltre il vostro prudente zelo animando con energiche espressioni e fervorosi sentimenti il popolo a pregare per una sì gran Causa ch’è Causa pubblica; tanto più che i nuovi Trionfi è a sperare che ne avvicinino l’epoca… di una Pace stabile permanente consolatrice. Non cessiamo poi di raccomandarvi in singolar modo di voler segnalare la vostra premura ed affezione al Sovrano, all’Imperial Famiglia, al Governo, ponendo in opera ogni vostra cura e sollecitudine perché in tutti i vostri Parrocchiani si mantengano quelle ottime disposizioni per cui Sua Altezza Imperiale onora di palesare il suo gradimento…”


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E dopo la vittoria definitiva di Napoleone e la pace firmata nell’ottobre 1809: “Il lieto e prospero annunzio della Pace, a fronte d’ogni ostacolo dall’Eroe Trionfatore e Pacificatore gloriosamente ottenuta… ne richiama al Sacro Tempio, Venerabili Fratelli, per cantarvi un solenne TE DEUM. Nella prossima futura Domenica… sarà vostra cura di raccogliere i vostri Parrocchiani ad una pia e divota sacra Funzione, festeggiando in essa con questo pubblico rendimento di grazie l’avvenimento faustissimo. Pregherete in tale incontro Iddio Signore per l’augusto invitto Monarca, per l’illustre Vice Re e per l’Imperiale Regia Famiglia, e per quelli tutti che contribuirono ad ottenerci un così gran bene… ” (Vedremo poi che, quando vinceranno gli Austriaci, il Te Deum sarà cantato per loro e su loro saranno invocate le benedizioni di Dio). Intanto, proprio nel 1809, rivoltosi, composti in gran parte da disertori e renitenti alla leva, organizzarono contro i francesi una estesa ribellione, che peraltro covava già sotto la cenere del malcontento popolare. Nel distretto di Camposampiero i comuni di Abbazia Pisani, Villa del

Conte, Santa Giustina in Colle e San Giorgio in Bosco erano controllati da quelli che il governo francese chiamava “briganti”. Il 5 luglio viene incendiato l’archivio di Villafranca, il 9 luglio si sollevano i villaggi intorno a Castelfranco, il 10 si ha notizia di tumulti a Piazzola, poi a Schio e a Molvena. Il 13 luglio vengono bruciati l’archivio e i mobili della casa del viceprefetto di Camposampiero. A causa della cattura di numerosi di loro, i fuorilegge persero poi l’iniziativa e il movimento di protesta si spense nel 1810190. Anche per questo fatto e per accapparrarsi la simpatia della gente, il governo francese dava ordine di organizzare grandi feste in onore di Napoleone. Il 28 maggio 1810 il Podestà di Cittadella invia questo avviso: “Ricorrendo il giorno 31… la solennizzazione dell’Anniversario della Coronazione di Sua Maestà Napoleone Primo Imperatore de’ Francesi in Re d’Italia, volendo questa Podestatura con pubbliche dimostrazioni festeggiare anche il faustissimo avvenimento del Matrimonio dell’Augustissimo Monarca191 che infonde in tutte le popolazioni del Regno la conpag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

solante lusinga di una durevole pace continentale, spinta da sentimento di riconoscenza… si è determinata di festeggiare domani l’epoca sì fortunata con dimostrazioni di giubilo e di esultanza. Alle ore 11 meridiane nella Chiesa Parrocchiale (di Cittadella) in presenza delle Autorità tutte si canterà il solenne Te Deum in musica in rendimento di grazie per sì memorando avvenimento. A’ poveri infermi del Comune e sezione aggregata (Santa Croce Bigolina)… si distribuirà del pane. Saranno disposte quattro Grazie (regalìe) di L. 31,72 l’una a quattro donzelle fra le miserabili, da estrarsi a sorte dal numero delle concorrenti, che saranno richiamate in seguito con apposito avviso ed al momento del loro maritare conseguiranno la Grazia. Nella sera vi sarà illuminazione nell’interno della Comune, macchine di fuochi artificiali e musica nella Piazza. Nell’annunciare a’ suoi amministrati le prese disposizioni per contrassegnare in qualche modo la propria esultanza e suddito attaccamento verso l’Augustissimo Sovrano, eccita tutti gli abitanti a concorrere ad pag.

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esternare il loro giubilo per rendere più brillante la Festa che ricorda l’epoca felice della desiderata comune tranquillità. Ed il presente sarà pubblicato ed affisso a’ luoghi soliti e trasmessa copia ai Signori Arcipreti di Santa Croce Bigolina, Fontaniva, San Giorgio in Brenta… ”. I documenti riportati danno, credo, una sufficiente dimostrazione di quanto la tormentata epoca napoleonica abbia interessato le nostre popolazioni. Nonostante tutto, però, dobbiamo riconoscere che la dominazione francese portò ad una svolta radicale nella evoluzione della società civile, al punto che la stessa Austria, la quale, come vedremo, riprenderà il Veneto nel 1814, conserverà parte delle riforme strutturali e organizzative introdotte da Napoleone. Torniamo a Don Giuseppe Pettenoni, che ci ha lasciato diversi interessanti documenti su Santa Croce e sulla sua vita sacerdotale. Risale al 27 maggio 1808 una sua nota sul beneficio parrocchiale, da cui veniamo a sapere che il reddito fisso del Parroco era di lire 610 piccole venete, trecento delle quali provenivano dall’affitto dei dodici campi situati a


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Posina, eredità lasciata alla Parrocchia da Don Francesco De Pretto, e le altre 310 dall’onorario annuo accordatogli con decreto dal Comune stesso. Inoltre vi era il reddito variabile ricavato dalle questue di frumento, sorgo, mosto, galette (bozzoli di seta), legna e proventi di stola (offerte dei fedeli). Nel 1810 gli abitanti di Santa Croce erano 463, saliti a 473 nel 1815, a 490 nel 1816 e a 498 nel 1818. Rovistando tra le carte dell’Archivio Parrocchiale, abbiamo trovato due documenti scritti dallo stesso Don Pettenoni, i quali, pur assai diversi tra di loro, trattano di problemi che possono ancor oggi essere considerati di attualità. Il primo sembra essere l’appunto per una predica o forse una riflessione del Parroco sulla vita dei sacerdoti e sentite un po’ cosa dice: “Ma i Sacerdoti dovrebbero esser santi e non lo sono. Quanti non ne conosciamo noi di viziosi? Quegli ha il vizio di bevere, quell’altro del gioco; quegli è poco ritenuto di lingua, quell’altro è dominato dall’interesse; quegli… Basta, basta così, già v’intendo abbastanza. Dunque perché qualcheduno di essi è vizioso, vorrete cavarne la conseguenza, quanto irragionevole altret-

tanto ingiusta, che tutti i preti, tutti i Sacerdoti sono viziosi? Andiamo a riscontrarne la verità del fatto lassù in cielo, sulla terra e… collegio medesimo di Gesù Cristo… Anche ai tempi di Gesù Cristo i Sacerdoti erano iniqui e perversi. E per questo erano dispensati i popoli di allora dall’onorarli e rispettarli? Anzi erano obbligati da Gesù Cristo medesimo ad ascoltare le loro dottrine, a rispettarli e ad obbedirli… E perché dava ad essi loro Gesù Cristo questo precetto? Perché i loro vizi non pregiudicavano niente affatto la loro facoltà, la loro giurisdizione che aveano immediatamente ottenuta da Dio sopra i popoli”. Il secondo documento è una lettera, scritta il 12 dicembre 1814, in cui Don Giuseppe chiede al Vescovo la facoltà di assolvere un soldato pentito delle brutalità commesse in guerra, che non era allora meno crudele di adesso. “Monsignore Illustrissimo e Reverendissimo, rimpatriato e pentito delle proprie enormi sue colpe a me presentossi un soldato che nella Spagna militava sotto le bandiere Francesi, e detestando la pessima condotta di vita pel corso d’anni quattro da lui tenuta, contrito ed umiliato fece pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

un’ingenua e sincera confessione di tutte le commesse sue scelleraggini. Si accusò egli di esser stato spinto più volte da inumana barbarie a privar di vita alcuni inimici i quali, caduti prigionieri in sua mano e disarmati chiedevano la vita per carità. Si accusò di aver fatto, in compagnia d’altri suoi compagni, non poche scorrerie pei paesi nei quali entrava per derubare le povere famiglie, e di aver più volte a’ suoi compagni medesimi comandato d’impiccare alcuni capi di casa renitenti a palesare gli effetti loro occultati (cioè le loro ricchezze nascoste). Di aver profanate e spogliate diverse chiese e di aver a forza strappato dall’altare un sacerdote in azione di celebrazione della S. Messa, e strascinatolo fuori di chiesa, d’averlo con minaccie e maltrattamenti costretto a palesare gli effetti della chiesa nascosti. Di aver le tante volte maledetto Dio e i propri genitori per avergli data la vita; e ritornato in Italia, di aver nelle famiglie nelle quali alloggiava disseminato errori di fede e massime ereticali, negando persino l’esistenza di Dio e mettendo in derisione la Religione, i Sacerdoti, le chiese e le cose pag.

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più rispettabili e sacre. Ecco in succinto il catalogo orrendo e fatale de’ gravi suoi eccessi. Ritornato egli pertanto in seno alla paterna famiglia, allontanato quindi dalle occasioni e dalla comunicazione dei perversi compagni, rientrato per ispecial grazia di Dio in se stesso, deplora la pessima scandalosa sua mala condotta, detesta i depravati costumi, abiura gli errori in materia di Fede e di Religione, e ben riflettendo all’enorme abisso de’ suoi consumati delitti, con vere dimostrazioni di confusione, di pentimento e di umiliazione istantemente implora di venire prosciolto dai pesanti legami di tante sì gravi e abominate sue colpe…”. Naturalmente il Vescovo diede a Don Giuseppe la facoltà di assolvere quel soldato, forse un abitante stesso di Santa Croce, il cui rimorso è di per sè una condanna delle atrocità alle quali purtroppo siamo costretti ed ormai abituati ad assistere anche nelle guerre dei giorni nostri. Nel 1819 venne in visita pastorale, per la prima volta nella storia della Parrocchia, Mons. Giovanni Maria Peruzzi. Santa Croce frattanto era stata interessata, l’anno precedente, dalle


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modifiche ai confini delle due diocesi di Padova e di Vicenza, apportate da Papa Pio VII. Furono staccate dalla diocesi di Vicenza le parrocchie di Cittadella, Onara, Villa del Conte, Rossano e S. Anna Morosina e annesse alla diocesi di Padova; invece Fontaniva, San Giorgio in Brenta, San Giorgio in Bosco, Paviola e Lobia rimasero alla diocesi di Vicenza, come pure Santa Croce Bigolina, che però nel 1874 verrà staccata dal Vicariato di Bassano, cui era stata attribuita al momento dell’erezione in Parrocchia, e assegnata a Fontaniva, creata nuova sede di Vicariato con decreto del Vescovo Peruzzi del 13 settembre 1818192. In occasione della visita pastorale, il Parroco doveva rispondere, allora come adesso, ad alcuni quesiti, datati 8 luglio e per fortuna conservati in Archivio Parrocchiale, che ci consentono di avere uno spaccato della vita religiosa a Santa Croce. Oltre che nella Chiesa Parrocchiale, continuavano ad essere celebrate Messe nell’oratorio pubblico del Conte Antonio Remondini (nella villa ora dei Kofler) e in quello detto “di San Francesco” del Signor Domenico Bertoncello, ancora proprietario dell’ex convento. Non c’erano ancora con-

fraternite. Le famiglie erano 72 e gli abitanti 465. Il Cappellano continuava ad essere Don Francesco Saccardo, nativo di San Vito, che ora aveva 72 anni. La Dottrina Cristiana veniva insegnata ogni domenica, dopo pranzo, ma non c’era la scuola della Dottrina. Non esistevano persone sospette di eresia o che tenessero libri proibiti; così pure non vi erano bestemmiatori malefici o scomunicati, trasgressori abituali delle Feste, pubblici usurai, concubinari. Gli adùlteri erano pochissimi, ma non davano pubblico scandalo. Non vi erano neppure inimicizie gravi. Sembrerebbe quasi un quadro idilliaco, ma quando Don Giuseppe si trova di fronte alla domanda di quali siano i vizi dominanti, è costretto ad ammettere che vi sono bestemmie, ubriachezze e mormorazioni, anche se in poche persone e non in tutti i tempi. Dalle risposte al questionario che doveva essere presentato in Curia prima della Visita Pastorale, risulta che a Santa Croce c’era anche un’ostetrica, “di savia condotta morale, istrutta a dovere per l’amministrazione del Sacro Battesimo in caso di necessità”. Ricordiamo infatti che moltissimi pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

erano allora i bambini che morivano appena nati. Finalmente, giovedì 16 settembre 1819, arrivò il Vescovo, proveniente da Rosà. Depose le sue vesti normali e, rivestito dei sacri paramenti, si recò davanti alla porta della Chiesa, dove fu accolto sotto un baldacchino portato da quattro uomini; quindi baciò la Croce portagli dal Parroco, la prese e con essa entrò in Chiesa, dove, celebrati i soliti riti e cantata l’antifona della Santa Croce, salì al trono per lui preparato, mentre tutto il clero si avvicinava per ossequiarlo con il bacio della mano. Poi parlò al popolo e celebrò la Messa, finita la quale pregò per le Anime dei Defunti; quindi, deposte le vesti di colore violaceo, indossò la stola e il piviale bianchi e visitò il Santissimo Sacramento dell’Eucarestia, conservato in una Pisside d’argento, ben dorata all’interno, posta nel tabernacolo di marmo sull’altare maggiore. Poi con questa benedisse il popolo. In seguito amministrò la Cresima ad alcuni ragazzi, dopo di che si recò in Sacrestia per riposarsi. Ritornato in Chiesa, visitò l’Altare Maggiore in pietra, ai cui lati stavano le attuali due statue di San Francesco e di pag.

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Sant’Antonio, e ordinò di porre un Crocifisso più grande e di coprire il tabernacolo con il conopeo (le cosiddette “tendine”). Ispezionò quindi gli altari dell’Annunciazione di Maria (quello attuale del Rosario), di S. Antonio e del SS. mo Crocifisso, nonché i vasi dell’Olio Santo, i confessionali, il Battistero e successivamente gli oratori pubblici193. Il ministero sacerdotale di Don Giuseppe si concluse il 21 dicembre 1821. Infatti, alle ore 2 circa, “Don Giuseppe Pettenoni, parroco meritissimo di questa Chiesa, dopo giorni 20 circa di malattia giudicata inflammatoria, con universale rammarico, munito di tutti i conforti della Cattolica Chiesa, niuno eccetto, morì d’anni 56 circa con tutta rassegnazione… e fu sepellito” il giorno successivo “ ad ore 12 meridiane in questo cimiterio alla presenza dell’Arciprete Don Luigi Vittorelli di Bassano, Vicario Foraneo, e di tutti i comparrochi ed alcuni altri sacerdoti di questa vicarìa”194.


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NOTE AL CAP. 12 180. V. F. Agostini, La Riforma Napoleonica della Chiesa nella Repubblica e nel Regno d’Italia, Vicenza, Istituto per la Storia Religiosa, 1990. 181. I moduli da compilare dai sacerdoti aspiranti alla Parrocchia. 182. Della lettera esiste solo la minuta, conservata nell’Archivio Parrocchiale. 183. Cioè con diritto di scelta del Parroco. 184. La richiesta di spiegazioni del Prefetto della Brenta al Ministro dimostra quale confusione vi fosse in quel momento di transizione politica. 185. Il Regolamento del 1804 diceva che, nel caso di parrocchia vacante, il delegato del circondario doveva comunicarlo al Prefetto, il quale a sua volta ne avrebbe informato il Vescovo affinchè invitasse i sacerdoti aspiranti all’esame canonico e ne comunicasse i risultati. Il Prefetto avrebbe poi comunicato i nominativi dei candidati alle rispettive Municipalità. L’Amministrazione municipale del Comune, presieduta dal delegato del Prefetto, doveva quindi riunire nella chiesa parrocchiale l’assemblea dei cittadini che avevano diritto a votare per la scelta del parroco. I voti venivano emessi col sistema della ballotazione segreta. Il sacerdote che avesse ottenuto la metà più uno dei voti, veniva eletto. Dichiarato legittimo il verbale dell’assemblea dal Prefetto, l’Amministrazione municipale presentava il nominativo al Vescovo per la convalida canonica, che doveva comunque essere riconosciuta legittima dai Ministri per il Culto e dell’Interno. V. Decreti - Regolamenti Istruzioni Generali sopra gli oggetti appartenenti alle attribuzioni del Ministro pel Culto del Regno d’Italia, Milano, Stamperia Reale, 1808 (Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza). Cfr. A. Golin, L’Istituzione dei comuni laici

nell’Alto padovano durante il periodo napoleonico, in “Venezia e Terraferma dalla crisi della Repubblica all’età napoleonica” C. L. E. U. P., Padova, 1999. 186. A. C. V., Stato delle Chiese… 187. A. S. P., Prefettura Dipartimento della Brenta, b. 13. 188. A. C. V., Stato delle Chiese… 189. Se non vi è altra indicazione, s’intende che i documenti che saranno d’ora in poi citati, sono conservati nell’Archivio Parrocchiale di S. Croce. 190. V. G. Franceschetto, Il movimento degli insorgenti nel 1809 contro l’occupazione napoleonica, in Cittadella. Saggi storici… p. 291-307. 191. Non avendo avuto figli dalla prima moglie, Giuseppina Beauharnais, Napoleone divorziò e sposò nel 1810 la principessa austriaca Maria Luisa. 192. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 544. 193. A. C. V., Visitationum… 21/05/73. 194. A.P.S.C., Liber defunctorum.

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A sinistra: nomina a Fabbriciere di Zanetti Domenico datata 24 dicembre 1816.

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a legislazione napoleonica aveva posto fine, come abbiamo visto, all’esistenza del Comune rurale, ma questo aveva avuto anche dirette ripercussioni sull’organizzazione della Parrocchia, provocando la scomparsa dell’antichissima istituzione dei Massari; le loro prerogative e i loro compiti furono affidati ad un nuovo organismo, chiamato “Fabbriceria”195. Nel settembre del 1807 veniva inviata anche al Parroco di Santa Croce copia del Decreto del Ministro per il Culto, Bovara, con il quale si regolavano l’istituzione e l’azione dei Fabbricieri. Essi erano nominati dal Ministro per le Parrocchie più grandi, dal Prefetto per le altre e dovevano essere scelti fra “le più probe ed onorate persone delle rispettive Parrocchie” e di regola erano tre; essi nominavano tra di loro un Presidente e un Tesoriere, che non poteva fare alcuna spesa nè pagamento senza mandato del Presidente. I Fabbricieri duravano in carica cinque anni e potevano essere rieletti. Cominciavano il loro mandato il primo giorno dell’anno e amministravano tutti i redditi della Parrocchia, sia quelli stabili e ordinari, sia quelli straordinari. Non si poteva però ampliare o modi-

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L’istituzione della Fabbriceria

ficare l’edificio senza il permesso del Ministro, tanto più dove fosse stato necessario per questo intaccare il patrimonio della Chiesa o fare debiti. Il Sacrestano ed altri inservienti delle Chiese erano nominati dai Fabbricieri, ma con il consenso del Parroco. Veniva amministrata dai Fabbricieri anche la cosiddetta “Cassa dei morti”, cioè le offerte per il suffragio dei defunti. Se ne doveva però tenere un registro a parte ed il Parroco aveva diritto a conoscere la somma degli introiti. Se in Chiesa c’erano cassette per le offerte, queste dovevano essere chiuse con doppia e diversa chiave, una delle quali doveva essere conservata dai Fabbricieri, l’altra dal Parroco; perciò l’apertura doveva essere fatta d’accordo e le somme annotate negli appositi registri. Il rendiconto annuale doveva essere inviato al Prefetto. A Santa Croce i primi Fabbricieri furono nominati il 28 marzo 1808: essi erano Pietro Dolzan, Antonio Vangelista e Luigi Munari, nomi che già conosciamo. Il loro lavoro di amministratori non era sempre facile e non era semplice soprattutto compilare i bilanci. Allo scadere del triennio essi inviarono, come prescritto, il conto consuntivo al pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Prefetto, ma il 25 febbraio 1811 troviamo una lettera del Podestà di Cittadella, nella quale si diceva che “la Prefettura ha provveduto alla regolare compilazione dei Bilanci consuntivi della Fabbriceria”, ma si sperava “dispariranno per sempre i disordini delle… irregolarità ed i motivi… che ne ritardano la compilazione”. Abbiamo detto che era compito dei Fabbricieri custodire la “Cassa dei morti”. Ecco un esempio di processo verbale che si doveva redigere in occasione del prelevamento delle offerte per i defunti: “Regno d’Italia Dipartimento del Bacchiglione Comune di Cittadella Santa Croce Bigolina Processo verbale di estrazione della Cassella dei Morti. Questo giorno cinque Aprile mille otto cento dodeci alle ore quattro pomeridiane nella Sagrestia della Parrocchiale Chiesa di Santa Croce Bigolina, li sottoscritti Fabbricieri di detta chiesa in unione al Signor Parroco hanno estratto il dinaro ch’esisteva nella Cassa dei Morti per via di oblazioni volontarie fatte dagli offerenti dal giorno primo Gennaio del corrente anno sino a tutto oggi, e pag.

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in detta Cassa dei Morti fu ritrovata in centesimi la somma di lire quaranta otto e centesimi trenta quattro L. 48:34Fatto, chiuso in questo luogo oggi 5 Aprile 1812 alla presenza dei Fabbricieri e del Signor Parroco”. Anche le elemosine per le Messe erano consegnate dal Tesoriere della Fabbriceria al Parroco, che ne lasciava ricevuta. Le oblazioni spontanee di raccolti della campagna erano soggette a pubblica asta. Ecco un avviso del 2 agosto 1811: “Si previene il Pubblico che per il giorno diecisette del corrente mese li Fabbricieri di questa Parrocchiale Chiesa espongon alla pubblica asta li seguenti generi ricavati di obblazione spontanee fatte da questi Parrocchiani. Detta asta si terrà nella piazza di questa frazione e li generi suddetti saranno deliberati al maggior offerente contro il pronto contante. Frumento staretti n° 13 e n° 5 segalla a mesura padovane196. Stara n° 10 di ragione delle Anime, il resto alla Chiesa”. Una volta sconfitto Napoleone e ricostituito il Regno Lombardo-Veneto (v. Cap. 14), gli Austriaci lasciarono in piedi la Fabbriceria. L’Amministra-


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L’istituzione della Fabbriceria

tore dei Benefici vacanti di Bassano, ad esempio, il 3 luglio 1816, scrive al Parroco di Santa Croce per chiedergli il nome dei Fabbricieri da sostituire o da riconfermare, essendo ormai scaduto il quinquiennio della carica. Il 24 dicembre veniva nominato, fra gli altri, Domenico Zanetti. La nomina avveniva con atto solenne, che riteniamo opportuno citare per far comprendere quanta importanza avesse assunto ormai questa istituzione nella vita delle Parrocchie. “Regno Lombardo-Veneto. L’IMPERIALE REGIO CONSIGLIERE DI GOVERNO REGIO DELEGATO DELLA PROVINCIA DI VICENZA Vicenza li 24 Dicembre 1816. Al Sig. Zanetti Domenico Santa Croce Bigolina Per il quinquennio che va a cominciare col giorno primo Gennaio 1817, Ella resta nominato ed eletto Fabbriciere presso la Parrocchiale dell’Invenzione della Santa Croce di Santa Croce Bigolina. Tale incarico che le resta affidato sarà da Lei assunto e disimpegnato con zelo corrispondente alla persuasione che questa Imperial Regia Delegazione Provinciale le ha dimostrato destinandola al carico medesimo.

La s’invita pertanto a prodursi alla Fabbriceria per concertarsi cogli attuali Fabbricieri sugli oggetti relativi all’amministrazione ed assumere col primo Gennaio le analoghe funzioni”. L’ordinanza ministeriale napoleonica del 1807 continuò a regolare la vita delle fabbricerie. Neppure i Savoia misero in discussione l’istituzione, che continuò a funzionare come prima e durò, nonostante l’abolizione in epoca fascista, fino ai nostri giorni, allorché i tre Fabbricieri furono sostituiti dai tre componenti il Consiglio di amministrazione della Parrocchia, inserito nel Consiglio Pastorale.

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LA LEGGENDA RITROVATA

NOTE AL CAP. 13 195. La Fabbriceria fu istituita nel 1807 e operò per oltre cent’anni; fu soppressa nel 1938, con il Regio Decreto del 25 aprile. Da allora l’amministrazione economica della chiesa passò direttamente ai Parroci. Attualmente la gestione economica è affidata al consiglio di amministrazione previsto dal 25° Sinodo Diocesano (1984-88), mentre la vita spirituale della Parrocchia è coordinata dal Parroco e dal Consiglio Pastorale. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 528. 196. Lo staio, o staro, era una misura di capacità con valori diversi a seconda dei luoghi. Con staio si intende anche il recipiente di legno di forma cilindrica su misura.

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Negli anni in cui il baratto era alla base del commercio la misura precisa dei prodotti della terra era determinante, anche nelle pubbliche aste. In basso: uno “staro” ed una “bigonsa”, strumenti utilizzati, anche negli anni recenti, per la misurazione delle granaglie.

CAPITOLO 13

L’istituzione della Fabbriceria

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: invito del Vescovo di Vicenza a votare “sì” per l’annessione del Veneto al Regno d’Italia.

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rima o poi, l’ambizione doveva tradire Napoleone. Fallito il tentativo di piegare l’Inghilterra, egli rivolse le sue mire verso la Russia, che invase nel 1812 con un esercito di circa 600.000 uomini. Ne ritornarono a Parigi non più di 20.000, sconfitti, oltre che dalle truppe del generale Kutuzov, dal terribile inverno russo. La lezione non gli bastò, tanto che nel maggio del 1813 un nuovo numeroso e agguerrito esercito francese occupò la Germania centrale. A questo punto Prussia, Inghilterra, Russia, Austria e Svezia si schierarono contro Napoleone, che il 13 ottobre fu pesantemente sconfitto a Lipsia. Il 31 marzo 1814 russi e prussiani entrarono a Parigi, la cui popolazione si rivoltò contro lo stesso Napoleone, costretto ad andarsene in esilio nell’isola d’Elba. Il primo di novembre del 1814 le potenze vincitrici si riunirono in Congresso a Vienna, per riorganizzare l’Europa sconvolta dal Bonaparte. Ma il ciclone Napoleone doveva assestare ancora un ultimo colpo di coda. Il primo marzo 1815 l’ex imperatore riuscì a sfuggire alla sorveglianza degli inglesi, lasciando l’isola d’Elba, sbarcando sulle coste francesi e inizian-

CAPITOLO 14

La sconfitta di Napoleone e il ritorno dell’Austria. L’annessione del Veneto al Regno d’Italia con i Savoia

do una marcia trionfale fino a Parigi, dove il popolo, cambiato il vento, lo accolse calorosamente, mentre il re Luigi XVIII, che era stato rimesso sul trono dopo la sconfitta di Napoleone e che era riuscito a farsi odiare da tutti in pochi mesi, dovette andarsene. Questa volta Napoleone si dimostrò disposto a stabilire relazioni pacifiche con le potenze europee, ma queste, che volevano finirla definitivamente, si coalizzarono per la settima volta contro di lui, sconfiggendolo una volta per tutte a Waterloo il 18 giugno 1815. Adesso era proprio finita. Colui che per tanto tempo aveva fatto in Europa il bello e il cattivo tempo, il generale che con tanta superbia si era proclamato imperatore, strappando la corona dalle mani del Papa e mettendosela in testa dicendo: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca”, prigioniero degli Inglesi, fu deportato nella sperduta isola di Sant’Elena, nell’Oceano Atlantico, dove morì il 5 maggio 1821. Con il Congresso di Vienna, l’Austria era tornata padrona dei territori della Lombardia e del Veneto riuniti nel nuovo regno del Lombardo-Veneto. L’esercito dell’imperatore Francesco I d’Asburgo aveva comunque già occupato la nostra pag.

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regione subito dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia. Le nostre popolazioni accolsero con gradimento i nuovi padroni, stanche dei rivolgimenti e delle innovazioni portati dai francesi. Gli austriaci d’altra parte si presen-tarono subito come i restauratori dell’ordine e i portatori di una pace finalmente duratura, e tali furono avvertiti sia dalla borghesia sia soprattutto dai contadini, che ritrovarono la serenità sociale e la tranquillità nel lavoro. I parroci poi, così come la Chiesa in generale, accolsero l’arrivo degli Austriaci come una liberazione dal demonio. Ma nemmeno l’Austria andò tanto per il sottile con le tasse, nè fu meno meticoloso di quello francese il controllo sull’attività dei Comuni e delle Parrocchie. Come si è detto, il governo austriaco non cancellò tutte le riforme fatte dai francesi: ad esempio, fu continuata e portata a termine l’elaborazione del catasto napoleonico; furono organizzate scuole primarie anche nei piccoli centri; furono mantenute le disposizioni sanitarie e quelle sui cimiteri: Napoleone infatti aveva stabilito che i morti dovessero essere sepolti non più nelle chiese o davanti ad esse, ma fuopag.

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ri dai centri abitati. Se con l’organizzazione amministrativa agevolò lo sviluppo sociale ed economico, politicamente l’Austria reagì assai severamente contro chi cercava di diffondere gli ideali del progresso, della libertà e dei diritti politici. Il primo ministro austriaco Metternich affermava infatti che l’Italia era una pura espressione geografica e che gli Italiani dovevano dimenticare di essere figli d’Italia per diventare sudditi tedeschi197. Non è il caso di soffermarsi sull’opposizione all’Austria svolta dalle società segrete, quali la Carboneria e la Giovane Italia e sulla reazione del governo austriaco che portò all’incarcerazione e alla fucilazione di molti rivoluzionari. Tutti infatti ne abbiamo sentito parlare sui banchi di scuola, e ci suonano familiari i nomi di Mazzini, di Silvio Pellico, dei fratelli Bandiera. Dovremmo ricordarci anche qualcosa sulle rivoluzioni europee del 1848 e sulla prima guerra d’indipendenza. Qui vale la pena soffermarsi un po’ di più, perché questa guerra, iniziata da Carlo Alberto di Savoia per portare aiuto a Milano e a Venezia, che si erano sollevate contro gli Austriaci, interessò da vicino il nostro territorio.


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La prima parte della guerra per l’indipendenza d’Italia si combatté tra il marzo e l’agosto 1848. All’inizio Carlo Alberto, che nel 1831 era salito al trono dello Stato Sabaudo, composto dal Piemonte e dalla Sardegna, ebbe la meglio sugli Austriaci e venne proclamato Re d’Italia. Sull’eco di questi avvenimenti Vicenza proclamò l’indipendenza e deliberò di aderire dapprima alla risorta Repubblica Veneta, poi, con un “referendum”, decise per l’annessione al Piemonte. Gli austriaci ovviamente passarono al contrattacco. Il 20 maggio, provenienti da Cittadella, attraversavano il Brenta, devastarono Carmignano i cui abitanti erano fuggiti e raggiunsero Vicenza, che attaccarono in forze ma che non poterono piegare per l’ostinata resistenza dei Vicentini. Intanto i piemontesi vincevano a Curtatone e a Montanara, a Goito e a Peschiera. Ma a giugno le sorti si capovolsero e la prima sconfitta delle armi italiane iniziò proprio da Vicenza, accerchiata su due direttrici dalle truppe ben equipaggiate ed armate del generale austriaco Radetzky. La battaglia iniziò alle 4 del mattino del 10 giugno 1848; alle 19 Vicenza e Monte Berico erano in mano agli austriaci, che ordinarono

la chiusura del Santuario orribilmente profanato dai soldati tedeschi. Una brevissima riflessione: tutti i governanti e i generali che abbiamo trovato finora hanno sempre cercato di tirare Dio e la Chiesa dalla loro parte per legittimare le proprie conquiste, salvo poi, ottenuta la vittoria, lasciare che i loro soldati profanassero chiese e Santuari; è proprio vero che la guerra non ha Dio. La guerra, ripresa il 20 marzo 1849, vide la sconfitta di Carlo Alberto nella battaglia di Novara. Il Re se ne andò in esilio, lasciando il trono al figlio Vittorio Emanuele II. Nell’agosto del 1849 anche Venezia, assediata dagli austriaci, stretta dalla fame e dai bombardamenti, si arrese alle truppe del generale Radetzky198. Dopo questa guerra, gli austriaci governarono con mano assai pesante, soffocando ogni tentativo dei patrioti e imponendo ulteriori tasse che resero ancor più misera la vita già difficile delle nostre popolazioni. Nel 1859 Vittorio Emanuele II, d’accordo con la Francia, mosse di nuovo guerra all’Austria. Questa volta l’esercito dell’imperatore Francesco Giuseppe fu sconfitto nei pressi di Verona, a Solferino e a San Martino. pag.

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L’Austria perse la Lombardia, che venne annessa al Piemonte, mentre al Sud i Borboni furono vinti da Garibaldi. Nel 1861 venne proclamato il Regno d’Italia, sotto la monarchia dei Savoia. All’Austria restava il Veneto, che essa perse nel 1866, con la terza guerra d’indipendenza. L’esercito italiano, al comando del generale Cialdini, entrò in Padova a metà luglio, accolto dal popolo esultante. Il generale cercò di fare in modo che il passaggio dal governo austriaco a quello dei Savoia avvenisse senza disordini; perciò furono istituiti in tutti i paesi distaccamenti della Guardia Nazionale. Così avvenne anche a Santa Croce Bigolina. L’8 settembre 1866, infatti, la Deputazione Amministrativa di Cittadella scriveva al Parroco di Santa Croce: “A tutela dell’ordine pubblico… venne istituita una sezione di Guardia Nazionale in Santa Croce Bigolina. A capo di detta Sezione furono istituiti tre capi pattuglia, i quali sono: Simioni Giovanni Sartori Francesco Fantin Angelo e furono consegnate le armi occorrenti. Ella è invitata a pubblicare dall’Altare che tutti coloro che saranno invipag.

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tati dai detti Capi pattuglia dovranno presentarsi all’invito pel servizio che sarà loro destinato”. Intanto i Vescovi veneti si erano ben presto adeguati alla nuova situazione e già nell’agosto del 1866 il Vescovo di Vicenza ordinava ai Parroci di pregare nella Santa Messa per “Vittorio Emmanuele, re nostro…”. Nel frattempo, come era già avvenuto per tutte le altre regioni, si preparava il plebiscito popolare che doveva confermare l’annessione del Veneto all’Italia. Non c’era dubbio che avrebbero vinto i “sì”, anche perché la Chiesa veneta era tutta favorevole. L’11 ottobre 1866, ad esempio, il Vescovo di Padova esortava i sacerdoti a far risuonare la loro autorevole ed efficace voce in mezzo alle popolazioni “perché il comune voto” venisse soddisfatto, e ciò soprattutto per la “ferma speranza che ci deriva dal primo articolo dello Statuto (= la Costituzione del Regno Sabaudo)… essere cioè la Religione Cattolica, Apostolica, Romana la sola religione dello Stato, per cui ci è fatta sicurtà che la Chiesa debba rimaner libera nella sua sfera d’azione…”. Gli faceva eco il 18 ottobre il Vescovo di Vicenza, il quale interessava lo zelo di tutti i Par-


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roci “a voler porgere pubblicamente ai Popolani le necessarie istruzioni… per cui ciascheduno debba senza alcuna esitanza, e per obbligo stretto di coscienza porre nell’urna il proprio SÌ e non altrimenti…”. Se il clero era per l’annessione, immaginarsi i politici! Leggiamo l’avviso giunto al Parroco di Santa Croce dal Municipio di Cittadella il 19 ottobre: “Rendendo omaggio al principio della sovranità popolare, S. M. il Re chiama tutti gli Italiani delle Provincie liberate dall’occupazione austriaca ad un libero e solenne plebiscito colla formula seguente: ‘Dichiariamo la nostra unione al Regno d’Italia sotto il governo monarchico-costituzionale del Re Vittorio Emanuele II e de’ suoi successori. Questa imponente manifestazione avrà luogo nei giorni 21 e 22 Domenica e Lunedì del corrente Ottobre… Pel Comune di Cittadella il locale prescelto all’uopo è l’atrio dell’Ufficio Comunale e per la frazione di Santa Croce Bigolina la Chiesa Parrocchiale di quella Villa… Questo grandioso atto di vita pubblica sarà festeggiato da concerti musicali e da pubbliche e private luminarie.

Nella sera di Domenica il teatro sarà straordinariamente illuminato. Dopo le sacre funzioni di Domenica sarà cantato un Te Deum per mostrare gratitudine alla Provvidenza che serbava alla nostra età il prodigio della unificazione d’Italia. Cittadellesi! La legge non respinge dall’urna che i rei di crimine, i truffatori ed i ladri. Corriamo adunque a deporre quel Si’ che trabocca dal nostro cuore”. Dopo questo “bombardamento” psicologico, non c’è da meravigliarsi se i consensi furono la quasi totalità (in provincia di Padova 84.375 favorevoli e solo 4 contrari), anche perché per votare “sì” bastava prendere la scheda già stampata e metterla nell’urna, mentre i contrari avrebbero dovuto scrivere “no” su una scheda bianca e quindi sarebbero stati facilmente identificabili. Con la nuova organizzazione dello Stato, il Podestà, che era a capo del Comune sotto il governo austriaco, fu sostituito dal Sindaco, nominato dal Prefetto199. Appena un anno dopo il plebiscito, l’accordo tra Chiesa e Stato cominciò ad incrinarsi. I Savoia cominciavano a pensare a Roma quale capitale d’Italia, ma pag.

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Roma, protetta dalle truppe francesi, apparteneva allo Stato Pontificio e Pio IX non voleva certo cederla. Nel 1867 Garibaldi tentò di impadronirsene, senza tuttavia riuscirci. Della nuova situazione, che preludeva ad una insanabile frattura fra il Papa e i Savoia, troviamo eco in un messaggio inviato dal Vescovo di Vicenza ai Parroci il 14 luglio 1867; fra l’altro, Mons. Farina scriveva: “Via dai vostri Discorsi e dalle Conferenze vostre… le riflessioni politiche, che non fanno per noi… Non vi diffondete in questioni civili. Per quanto siano pubbliche non fanno per noi, nè a noi spetta impicciarci in discussioni che sono fuori della nostra sfera morale ed ecclesiastica…”. Altro che Te Deum in favore di Vittorio Emanuele; quando, il 20 settembre 1870, i bersaglieri, alla guida del generale Cadorna, entreranno in Roma, Pio IX lancerà la scomunica sui Savoia e i cattolici non parteciperanno più alla vita politica fino al 1913.

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NOTE AL CAP. 14 197. V. R. Marconato, op. cit., p. 30-31. 198. V. A. Nodari, op. cit., p. 85-90. 199. V. R. Marconato, op. cit., p. 37-38.


In basso: tavola del Catasto Austriaco datata 16 aprile 1831 che fotografa in maniera precisa la situazione del territorio di Santa Croce Bigolina alla fine dell’Impero Napoleonico. In tutto il paese non si contano più di cinquanta case anche se, va osservato, ogni casa ospitava all’epoca numerosi gruppi familiari, e la popolazione ammontava, alla fine dell’Ottocento, a circa 1.100 persone.

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A sinistra: particolare della “Kriegskarte” una mappa topografica in scala 1:28.000 realizzata da cartografi austriaci nel periodo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Osservando gli interessanti toponimi (nomi di località) si può riconoscere il “Passo di Santa Croce” sul Brenta, così come le indicazioni del “Convento” e della “Sega”. Da notare come il palazzo dei Bigolini viene definito “Ca’ Orsato” e come tutte le terre delle “basse” siano indicate come proprietà “Orsato”.

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acciamo ora una carrellata sui sacerdoti che ressero la Parrocchia di Santa Croce durante l’Ottocento. Di alcuni sappiamo poco, di altri abbiamo qualche documento in più. Molti fra essi diventarono parroci dopo essere stati a Santa Croce come cappellani. Parlando di loro, faremo anche dei riferimenti alla vita religiosa del paese, così come possiamo dedurre dalla documentazione conservata in Archivio Parrocchiale. Don Andrea Compostella 3° Parroco (1822-1843) Morto Don Giuseppe Pettenoni, Girolamo Merlo, Presidente della Fabbriceria di Santa Croce, così scrisse al Vescovo di Vicenza il 25 febbraio 1822: “Sino dal giorno 21 dicembre 1821 mancò a’ vivi il benemerito Arciprete di questa Parrocchia defunto Don Giuseppe Pettenoni. Dovendosi perciò provvedere alla nomina di un Sostituto, il di cui diritto è della Fabbriceria200, si fa essa il dovere di parteciparlo alla Curia Vescovile, onde da questa siano diramati gl’inviti di concorrenza per la successiva scelta da farsi fra il numero degli Aspiranti…”.

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I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

Il 28 marzo 1822 si presentarono in Curia, per ottenere l’approvazione vescovile, tre candidati alla Parrocchia di Santa Croce: -Don Giuseppe Scapin, cappellano di S. Giorgio in Brenta; -Don Andrea Compostella, già economo di Santa Croce (cioè sacerdote reggente la Parrocchia in attesa della nomina del nuovo Parroco); -Don Alfonso Rigodanzo di Chiampo. Domenica 28 aprile 1822, alle ore 10, i capifamiglia di Santa Croce furono convocati nella Chiesa Parrocchiale per scegliere uno fra i tre aspiranti. Erano presenti il Regio Commissario Distrettuale Antonio Guido Puntellati, in rappresentanza del Governo austriaco, e la Deputazione comunale di Fontaniva, composta da Giovanni Battista Simioni e Pietro Manfio. Infatti, con la ristrutturazione del territorio operata dagli Austriaci, Santa Croce Bigolina, pur rimanendo nel Distretto di Cittadella, era passata sotto il Comune di Fontaniva in Provincia di Vicenza, mentre continuava a rimanere in Vicariato di Bassano. I 65 capi di casa presenti elessero all’unanimità come Parroco Don Andrea Compostella. pag.

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A maggio il Commissario governativo, Pasqualigo, inviava al Vescovo i verbali autenticati dell’ Assemblea e il 19 agosto 1822, l’Amministratore dei Benefici vacanti dei tre Distretti di Bassano, Marostica e Cittadella investiva personalmente del Beneficio Parrocchiale di Santa Croce Bigolina il nuovo Parroco. Questi erano i proventi del Beneficio, così come attesta Don Andrea il 6 giugno 1829: - L. 114 e 30 centesimi, per l’affittanza degli undici campi e tre quarti in Posina lasciati da Don Francesco De Pretto; - L. 181 quale assegno annuo del Comune; - L. 134 e 28 centesimi quale sussidio annuo del Regio erario; - L. 100 ricavate da offerte spontanee di biada e vino unitamente ai proventi di stola. In tutto L. 529 e 58 centesimi di attivo, a fronte di L. 97 e 54 centesimi di passività ordinaria, escluse ovviamente tutte le spese per la chiesa. Fu Don Andrea Compostella a benedire, nel 1829, il nuovo Cimitero201. Il 14 settembre, infatti, il Regio Vice Commissario Distrettuale scriveva al Vescovo: “Nella Parrocchia di Santa Croce Bipag.

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golina si eresse di recente un nuovo Cimitero ed ora null’altro manca per parte dell’Autorità Amministrativa. Per la soverchia angustia e per la posizione il vecchio Camposanto non è più suscettibile di veruna tumulazione ed è perciò mestieri far uso quanto prima del nuovo. Corrispondendo quindi l’Ufficio scrivente… al giusto desiderio di quel Parroco e della Comunale Rappresentanza di Fontaniva, cui è aggregata l’indicata Parrocchia, onorasi d’interessare questa Reverendissima Curia Vescovile a far luogo alle ulteriori pratiche… degnandosi di favorire un cenno sulle disposizioni che verranno da essa all’uopo impartite”202. Il 3 ottobre 1829 il Vescovo autorizzava Don Andrea a benedire il nuovo Cimitero, che però fu consacrato solo l’anno dopo. Infatti, alla data del 10 luglio 1830, il Parroco registra la morte di Giovanna Alberton, di anni 64 e aggiunge: “Questo è il primo cadavere che fu sepolto nel nuovo Cimitero entro la campagna del conte Orsato Fabrizio, eretto a spese comunali e da me sopraddetto Parroco Don Andrea Compostella benedetto nella domenica terza dopo la Pentecoste 20 giugno 1830”. Nel 1841, il Beneficio parrocchiale di


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I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

Santa Croce venne rimpinguato dal lascito fatto da Domenico Bertoncello del fu Paolo di Bassano. I Bertoncello, come si ricorderà, erano i proprietari dell’ex monastero dei Francescani. Domenico lasciava alla Chiesa Parrocchiale di Santa Croce: - una casa murata, sollevata ed a coppi posta in Cartigliano, con un campo e mezzo di terra annessa; - un’altra casa murata, sollevata ed a coppi, con un piccolo orto, sempre a Cartigliano, in contrà Furlani; - un pezzo di terra di circa un campo situato a Granella di Tezze. Il lascito era vincolato all’obbligo che ogni anno e per sempre, nel giorno della morte di Domenico, si facesse un ufficio con Messa cantata e che si celebrassero in suffragio della sua anima altre quattro Messe all’anno; così pure doveva essere fatto nell’anniversario della morte di sua moglie Caterina Bevilacqua ed anche per lei dovevano essere celebrate quattro Messe all’anno. Non ho trovato alcun documento sulla fine fatta da queste case e campi; non sappiamo quindi a chi, come e quando essi furono venduti. Don Andrea Compostella fu coadiuvato nel suo ministero da cinque cappellani: - Don Francesco Saccardo,

dal 1821 al 1827; - Don Antonio Sambugari, dal 1827 al 1831; - Don Francesco Bonato, che diverrà Parroco dopo la morte di Don Andrea, dal 1831 al 1834; - Don Giuseppe Gervasio, dal 1834 al 1836; - Don Giovanni Battista Ongaro, dal 1836 al 1845. Don Andrea morì nel 1843, com’ è registrato nel “Liber defunctorum” custodito nell’Archivio Parrocchiale: “Andrea Compostella, Parroco di Santa Croce Bigolina, del fu Francesco e della fu Lucia Carli, morì li 22 aprile alle ore 8 circa antimeridiane, dopo 10 giorni di malattia, da sincope acuta e a tenor di legge fu sepolto in questo Cimitero li 24 detto alle ore 10 antimeridiane in età d’anni 56 alla mia presenza e con l’intervento del Reverendissimo Vicario Foraneo ed altri 16 sacerdoti voluti dagli eredi. Ongaro Giobatta cappellano coadiutore”. Don Francesco Bonato, 4° Parroco (1843-1866) Su questo Sacerdote abbiamo pochissima documentazione, nonopag.

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stante sia stato Parroco di Santa Croce per ben 23 anni. Ci è rimasta la lettera che i Fabbricieri gli scrissero il 22 ottobre 1843 il giorno stesso della sua nomina: “Li sottoscritti Fabbricieri di Santa Croce Bigolina hanno l’onore di parteciparla che oggi in questa Chiesa seguì l’elezione del nuovo Parroco, e meritamente la nomina cadè nella di Lei degna persona a totalità di voti, da noi tanto desiderata. Se per ora abbiamo la contentezza di darle tale notizia in iscritto, avremo il doppio onore di venire in breve in persona a rassegnarle la nostra servitù e di assicurarla della nostra stima a nome anco di tutti questi Parrocchiani che al pari di noi esultano pel fausto avvenimento…”. Don Francesco fu aiutato dai seguenti cappellani: - Don Cristiano Valente, dal 1845 al 1851; - Don Luigi Lionello, dal 1851 al 1854; - Don Francesco Novelletto, dal 1854 al 1866. Gli ultimi giorni di Don Francesco furono funestati dall’incendio che distrusse gran parte dell’antico chiostro adiacente alla Chiesa. Secondo quanto pag.

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scrive Don Domenico Valente nelle sue annotazioni, il terribile spavento mise a dura prova il cuore del Parroco ed egli si spense il 14 giugno 1866, com’è scritto nel registro dei Defunti: “Il molto reverendo Don Francesco Bonato fu Giovanni Maria e fu Antonia Ziliotto, parroco da 23 anni in Santa Croce Bigolina, d’anni 63, morì qui il 14 giugno per aneurisma al cuore e fu oggi tumulato da me Arciprete Vicario Foraneo, Don Domenico Villa, con l’intervento dei Parrochi della vicarìa di Bassano. Fu ammirevole per la sua carità pastorale. Dio lo accolga in cielo”. Don Girolamo Zannonato, 5° Parroco (1867-1868) Dopo una breve reggenza della Parrocchia da parte dell’Economo Don Giovanni Pasinato, dal giugno 1866 al gennaio 1867, fu eletto Parroco Don Girolamo Zannonato, nato a Sossano il 9 luglio 1827. Il suo ministero a Santa Croce durò appena 22 mesi; egli morì infatti a soli 41 anni, il 10 novembre 1868. Ebbe come cappellano Don Sante Vangelista, che diventerà Parroco di Santa Croce dal 1896 al 1903.


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I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

Don Angelo Costantini, 6° Parroco (1869–1896) Don Angelo Costantini fu Parroco di Santa Croce per ben 27 anni. Sacerdote energico ed attivissimo nella vita pastorale, lasciò nella Comunità un segno incancellabile. Dopo la morte prematura di Don Girolamo Zannonato, il Sindaco di Cittadella (ricordiamo che, con l’ annessione nel 1866 del Veneto al Regno d’Italia governato dai Savoia, Santa Croce, dopo essere stata sotto il Comune di Fontaniva, era tornata frazione di Cittadella), il 14 luglio 1869, scrive a Don Angelo Costantini, allora Parroco di Campolongo della Riviera, in Distretto Bassanese: “Onde assecondare il desiderio degli abitanti di questa Frazione di Santa Croce Bigolina e conformemente alla consuetudine, s’invita la S. V. a recarsi a Santa Croce Bigolina in quel giorno che le verrà indicato da quella Fabbriceria allo scopo di sostenere le Funzioni Parrocchiali in quella Chiesa in via di esperimento, nell’intento di farsi conoscere dalla popolazione la quale dovrà in appresso divenire alla nomina del Parroco al qual posto Ella aspira…”. L’esperimento trovò d’accordo i capi-

famiglia di Santa Croce, che ben volentieri accettarono Don Angelo come loro Parroco, avendone compreso il valore e le qualità pastorali. Uno dei primi problemi affrontati dal nuovo Parroco fu il cambio di Vicariato da Bassano a Fontaniva. Il 27 settembre 1873 Don Angelo scriveva al Vescovo mettendo in evidenza i disagi provocati alla Parrocchia dalla distanza della sede vicariale di Bassano: le comunicazioni vescovili arrivavano con ritardi che superavano i 15 e talora anche i 25 giorni; pochissime erano le occasioni di incontro e corrispondenza fra Parroco e Vicario, data la difficoltà di portarsi a Bassano. Pertanto il Parroco supplicava Sua Eccellenza di emanare un Decreto in cui si concedesse “che la Parrocchia di Santa Croce Bigolina, frazione del Comune di Cittadella, Distretto di Cittadella, Provincia di Padova, col primo Gennaio 1874… sia assoggettata nello Spirituale al Vicario Foraneo di Fontaniva molto più vicino, smembrandola dall’incomodo ed assai lontano Vicariato Foraneo di Bassano”203. Il 21 Novembre 1873 Mons. Giovanni Antonio Farina, Vescovo di Vicenza, riconosciuta legittima la richiesta, decretava che col primo gennaio 1874 pag.

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la Parrocchia di Santa Croce fosse assoggettata alla Foranìa di Fontaniva, rimanendo svincolata dal Rev.mo Arciprete Abate Mitrato di Bassano. Intanto, nel 1871, il re Vittorio Emanuele II emanava una legge che toglieva la validità civile agli atti registrati dai Parroci. Don Angelo annota questo avvenimento sia nel Libro dei Defunti sia nel Registro dei Matrimoni: “Nota: li 1 settembre 1871. Regnando Sua Maestà Vittorio Emanuele II di Casa Savoia, fu pubblicata anche qui nel Veneto la legge che toglie il dovere ai Parroci di registrare gli atti civili ed oggi primo settembre 1871 ebbe principio e vigore; però da qui innanzi il Parroco dovrà registrare i morti solamente su questo libro canonico, procurando tutta la diligenza… L’infrascritto Fantinato Luigi è il primo morto registrato solo canonicamente”. “Col giorno primo settembre mille ottocento settantuno venne promulgato e posto in vigore il Matrimonio civile. Il Parroco quindi è obbligato a tenere solo il registro canonico, cessando il registro civile… Il primo che viene registrato canonicamente è Mazzocchin Innocente con Ballin Giustina…”. Don Angelo, come abbiamo detto, era pag.

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sacerdote dal carattere forte. Ce lo dimostra una interessante annotazione del 1873 di suo stesso pugno: “Ad aeternam rei memoriam. Parrocchia di Santa Croce Bigolina - Provincia di Padova -Distretto e Comune di Cittadella. Col giorno 10 settembre 1873 morì in questa Parrocchia il campanaro e sacrista Vendramin Giuseppe del fu Francesco, in età d’anni 70. Fu benemerito della Parrocchia pel suo buon servizio prestato, per cui Dio nella sua eccelsa gloria dal Paradiso largamente lo ricompensi. Col giorno 2 novembre di questo anno, giorno di domenica, regnando sul trono pontificio Sua Santità Papa Pio IX, ventesimottavo di suo regno, e alla sede vescovile della nostra Diocesi l’illustrissimo e reverendissimo Mons. Giovanni Antonio Farina, vicentino nativo di Sorio, traslocato dalla sede vescovile di Treviso nel dicembre 1860, e risiedendo qual Parroco di questa cura parrocchiale io sottoscritto Don Angelo Costantini, nativo di Sossano, Distretto di Barbarano, usando del diritto a me spettante qual Parroco, di mia libera spontanea volontà, senza il concorso nè del cappellano nè dei Fabbricieri nè del popolo, ho eletto, nominato ed


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oggi 2 novembre 1873 pubblicato in chiesa dall’altare al Vangelo a nuovo campanaro sacrista in sostituzione del defunto, un giovine chiamato Fusaro Gio.Batta, figlio dei viventi Prosdocimo e Veronica Pan, d’anni 32, nativo di Cittadella e da più anni ora dimorante a Santa Croce Bigolina, in contrà Volto al n° 16, cattolico, celibe; col giorno 4 del corrente mese di novembre io gli ho fatto staccare dalla Reverendissima Curia Vescovile di Vicenza il mandato concedente al suddetto Fusaro Giobatta il permesso di toccare ed asportare i vasi e le suppellettili sacre ad uso di sacrestia per le funzioni, pagando il Fusaro alla Curia italiane lire 1; questo mandato fu poi consegnato allo stesso. Io sottoscritto ho fatta e scritta di mio proprio pugno questa nota perché tutti i Parrochi a me succedenti sappiano che in questa Parrocchia il Parroco pro-tempore, il Parroco solo senza il concorso d’alcuno, sia Vescovo, Vicario Foraneo, sia Cappellano, siano Fabbricieri, sia popolo o capi di famiglia, senza il concorso dell’Autorità civile, sia Municipio, Deputazione, Commissariato, Prefettura o Delegazione Provinciale, ha il pieno diritto di eleggere e nominare e volere quello che a lui comode-

rà: 1°: il campanaro; 2°: il sacrestano; 3°: qualunque altro inserviente di questa Chiesa Parrocchiale di Santa Croce Bigolina. Tale diritto spetta al solo Parroco per antichissima consuetudine che ebbe principio colla istituzione di questa cura d’anime eretta ed elevata a Chiesa Parrocchiale nell’anno 1794… Il giorno 6 novembre 1873 radunati in canonica, il Parroco, i 3 Fabbricieri, i 2 campanari, Basso Marco e Fusaro Giobatta, nuovo eletto, fu quest’ultimo installato nel suo ufficio di campanaro sacrista colla unanime deliberazione che tutt’e due i suddetti campanari servano in chiesa, al cimitero, al campanile per regolare l’orologio e suonare le campane una settimana per cadauno e se occorresse tutti due, dividendo in due uguali parti fra di essi l’onorario ricavato dalle questue degli uffizi, dalle mance, dall’assegno del Comune di Cittadella sia per la custodia del Cimitero sia per regolare l’orologio”. Possiamo chiederci quale avvenimento abbia potuto far scattare una presa di posizione così energica da parte di Don Angelo. Non abbiamo risposte certe, ma possiamo ben supporre che il Parroco fosse stato sottoposto a tali e così tante pressioni da parte di qualcuno che avrebbe pag.

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voluto prendere la carica di campanaro, da provocare la sua straordinaria reazione riportata nella nota “ad eterna memoria del fatto”. Don Angelo si dedicò attivamente a riorganizzare la vita spirituale della Parrocchia. Fra le altre iniziative, egli diede vita per la prima volta a Santa Croce alle Confraternite del SS.mo Rosario e del SS.mo Sacramento. Le Confraternite, nate nel Medioevo, erano associazioni di devoti con finalità esclusivamente religiose: gli aderenti si riunivano periodicamente in preghiera, assistevano i confratelli malati, partecipavano al funerale di quelli defunti. Esse potevano disporre anche di beni, lasciati da qualche socio defunto per l’assistenza agli iscritti bisognosi o per opere di beneficienza. Dopo un’ampia diffusione, esse furono soppresse da Napoleone, che ne sequestrò anche i beni; in seguito e durante tutto il corso del 1800 e fino alla seconda guerra mondiale, conobbero una nuova vitalità. La frenetica vita attuale le ha relegate, laddove ancora esistono (Italia Meridionale e Spagna soprattutto), più che altro a manifestazioni folkloristiche. La Confraternita del SS.mo Sacramento fu istituita la prima domenica di pag.

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ottobre del 1876. Non ne abbiamo l’atto di costituzione, ma lo veniamo a sapere dall’annotazione riportata dallo stesso Parroco nel registro dei Defunti, in occasione della morte di Campagnolo Giovanni: “Questi fu il primo tra i confratelli e consorelle della Congregazione del SS.mo Sacramento che morì dopo che fu istituita questa Scuola… Come prescrive il regolamento della stessa tutti i confratelli e anche tutte le consorelle, tutti vestiti colla loro divisa in camice, rocchetto, fascia-stemma e così le donne con i due sacerdoti… partirono processionalmente dalla Chiesa e col Priore davanti col suo solenne bastone e così gli altri direttori col loro bastone e il bidello degli uomini (il quale nelle processioni porta lo stendardo204) portando la croce nera davanti dopo il priore, si presentarono alla casa del defunto e accesa a tutti la candela della Confraternita che ognuno teneva in mano, fatta dal Parroco la levata funerea del cadavere, si avviarono alla Chiesa… Fatte le esequie tutti in processione come prima andarono ad accompagnarlo al Cimitero… Questa nota venne fatta dal Parroco sottoscritto… perché sempre immancabilmente si debba fare così”.


CAPITOLO 15

I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

Regolarmente riconosciuta ed approvata con decreto del Vescovo di Vicenza, Mons. Antonio Maria De Pol, la Confraternita o Compagnia del Rosario fu solennemente istituita a Santa Croce il 17 novembre 1889, dopo che Don Angelo ebbe ottenuto da Fra Giuseppe Maria Larroca, Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori Domenicani, la licenza e la facoltà di fondarla. (Era stato infatti S. Domenico, nel 1200, a diffondere la devozione del Rosario). Inginocchiato di fronte alla Madonna nella Cappella del Rosario, nella Chiesa stracolma di gente, il nostro Parroco procedette alla fondazione della Confraternita nella forma seguente: “Io, Don Angelo Costantini, Parroco di Santa Croce Bigolina…a nome del Reverendissimo Padre Fra’ Giuseppe Maria Larroca Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, alla maggior gloria di Dio onnipotente, della Beata Vergine Maria, di S. Domenico primo institutore e promulgatore del Rosario, di Santa Croce titolare di questa Chiesa e di tutti i Santi del Paradiso; e così pure ad onore e maggior gloria e bene dei trapassati, dei presenti e dei futuri abitanti di questo luogo, erigo, instituisco e stabilisco

la Compagnia del Santissimo Rosario in questa Chiesa Parrocchiale di Santa Croce Bigolina di Cittadella, e la dichiaro eretta, instituita e stabilita con tutte le grazie, le Indulgenze e privilegi dei quali godono per apostolica concessione le altre simili Compagnie di tutto il mondo…”. Presidente della Compagnia sarebbe stato in perpetuo il Parroco pro tempore, rappresentante in questo caso degli stessi Padri Domenicani. Si iscrissero alla Confraternita ben 339 persone. Lo Statuto prescriveva, fra l’altro, l’obbligo per gli iscritti di recitare ogni settimana il Rosario completo di 150 Ave Maria. Il Parroco, in qualità di Presidente, era assistito da un segretario, da tre consiglieri e da un tesoriere, eletti dai Confratelli a maggioranza di voti. Ogni anno, nella seconda domenica di settembre, doveva tenersi un’adunanza pubblica in cui il Segretario doveva leggere una relazione sulla Compagnia e nella quale si doveva approvarne il bilancio. Ad ogni iscritto veniva data una corona benedetta da un Padre Domenicano e dal Direttore della Compagnia. L’altare dedicato alla Vergine del Rosario diventava di fatto “Altare Privilegiato”, così che coloro che pregavano davanti ad esso potepag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

vano ottenere le indulgenze concesse ai membri della Confraternita. Don Angelo Costantini fu dunque un sacerdote dotato di grande zelo pastorale. Ma a lui dobbiamo essere grati anche per aver riportato nei registri parrocchiali alcuni straordinari fatti del suo tempo, come la spaventosa alluvione del 1882 e l’apparizione quasi contemporanea di una cometa. Ascoltiamo il suo racconto, riportato in una nota del Libro dei Battesimi: “In questo anno 1882, nel mese di settembre, intorno ai 15, 16, 17 e nei seguenti giorni in tutto il Veneto vi fu una inondazione generale di acque non più ricordata dai più vecchi viventi. Dall’Alpi trentine fino al Po i danni, le rovine furon incalcolabili, perché tutti i fiumi, i torrenti, i canali stariparono, ruppero gli argini; molte case, specialmente lungo il Brenta sopra Bassano crollarono e furono travolte nelle acque; le inondazioni furono altissime, non più vedute; le campagne furon sommerse dalle acque, colla perdita di quanti raccolti vi erano, come foraggio e sorgo. Nel Polesine, il fiume Adige, Canal Bianco, Po ed altri fiumi e torrenti fecero danni enormissimi, restando centinaia e centinaia di persone prive pag.

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di casa, di cibo, di vestiti, furono collocate nelle città in grandi ricoveri, negli istituti, nelle scuole, nei palazzi e perfin nelle chiese. In tutte le città d’Italia si fecero carità, soccorsi, aiuti per l’inondati. Carità nelle città, nei paesi, nelle parrocchie in tutte le forme, perché non si poterono calcolare gli estremi bisogni di tanti infelici inondati. Il Papa Leone 13° regnante largì 36.000 franchi, il Re Umberto I di Savoia 100.000 franchi. Da per tutto furono istituiti Comitati che in tutte le maniere raccoglievano elemosine per gli inondati. Insomma fu un flagello di Dio così grande, così esteso che nessuno ne ricorda uno simile. Qui in Parrocchia di Santa Croce Bigolina non si ebbe inondazione, ma diluvi d’acque per quasi un mese. Il fiume Brenta ruppe e sormontò gli argini a Tezze di Bassano e i boschi di Santa Croce lungo il Brenta inondati e l’acque formarono lungo l’argine una corrente d’acqua che distrusse e trasportò via molti campi. A Fontaniva fece crollare il Ponte della strada provinciale dei carri e il ponte della strada ferrata propriamente vicino alla stazione di Fontaniva. Io stesso Parroco sottoscritto per ve-


CAPITOLO 15

I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

nire da Vicenza dove erami fermato in quella settimana in Seminario per fare gli Esercizi, per venire a Santa Croce Bigolina dovetti fermarmi al Ponte di Fontaniva e stetti tre giorni in canonica a Grantorto col mio amico comparroco Don Marco Giusti, non potendo ritornare a casa per li ponti rovesciati dall’acque; e sulle spalle di due forti uomini ho dovuto farmi trasportare per mezzo all’acque per un tratto di 400 metri, con grande pericolo della vita, dopo il terzo giorno che fu ai 18 settembre del 1882, alle ore 9 antimeridiane. In diversi luoghi furono annegate anche alcune persone. Insomma una inondazione non più veduta, non più ricordata neppure dai più vecchi che contavano 80 e gli 85 anni di età, e d’una estensione che si estendeva in tutto il Veneto, dalla Lombardia fino al mare Adriatico; tutte le città, i paesi ebbero a soffrire danni incalcolabili. Tremendo castigo di Dio. Santa Croce Bigolina, li 30 settembre 1882. Don Angelo Costantini, Parroco di qui fino dal 19 settembre 1869, d’anni 53…”. Ma quell’anno i rubinetti del cielo non volevano proprio chiudersi, e Don

Angelo è costretto a proseguire la sua cronaca: “Più nel seguente mese (ottobre 1882) cominciò a piovere ai 25 e tutto il 26, portando una più grande inondazione per Santa Croce Bigolina. Il fiume Brenta deviò dal suo corso e rompendo un argine sinistro a Tezze, si versò tutta la corrente delle acque sopra i boschi di Santa Croce Bigolina e trascinando seco l’argine che da Zambello va al Ponte di Fontaniva, si formò un nuovo alveo trasportando alberi e terreni, cosicché apportò un danno grandissimo devastando un 300 campi circa di proprietà Jonoch di Bassano e il Principe Giovanelli di Venezia, campi che erano posti in coltivazione e prati e boschi divenendo sterile ghiaia”. E se non bastava, a terrorizzare ancor più la gente ecco la stella cometa: “In questo anno nei primi di ottobre per una ventina di giorni si vide in firmamento una grandissima Stella Cometa, che spariva all’apparir del mattino. La vidi anche io e tutti gli altri, essa era a Levante; al basso si vedeva la stella e il suo crine (la coda della Cometa) era diretto da mattina al mezzodì, occupava uno spazio larghissimo specialmente nel finire della sua chioma. In quella posizione non pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

ne fu mai veduta alcuna. Tolto quanto si vuole qualunque pregiudizio, non si può negare per altro che questo segnale veduto nel cielo era indizio di grande avvenimento nella natura, come infatti fu la straordinaria e stragrande inondazione non più veduta del 1882”. Compianto da tutti, Don Angelo si spense il 7 febbraio 1896. Ecco la registrazione del suo decesso nel Libro dei Defunti: “Il molto reverendo Don Angelo Costantini, nato a Sossano il 29 settembre 1829 e per 27 anni Parroco di Santa Croce Bigolina, ove istituì la Confraternita del SS.mo Sacramento, la Pia Congregazione del Sacro Cuore di Gesù, la Pia Società del SS.mo Rosario, spirava nel bacio del Signore il giorno 7 corrente alle ore 13. Veniva sepolto in questo Cimitero il giorno 9 mattina con l’accompagnamento del Vicario Foraneo di Fontaniva, del Parroco di S. Giorgio in Brenta, del Parroco di Tezze, del Parroco di Carmignano e dell’economo spirituale Don Sante Vangelista. Mons. Francesco dottor Croce Arciprete Vicario Foraneo di Fontaniva”.

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Don Sante Vangelista, 7° Parroco (1896–1903) Dopo essere stato Cappellano lungo tutti i 27 anni di ministero di Don Angelo, divenne parroco Don Sante Vangelista, nato proprio a Santa Croce il 12 aprile 1840. Di lui sappiamo ben poco. Don Domenico Valente, nelle sue memorie, ne fa solo un brevissimo accenno. Possiamo ipotizzare che su di lui abbia pesato un atto che non fu probabilmente ben visto dai parrocchiani, e cioè la vendita non autorizzata dei campi lasciati al beneficio da Don Francesco De Pretto. Ne è testimonianza una annotazione di Don Antonio Santacatterina, succeduto a Don Sante, conservata in archivio parrocchiale, nella cartella riguardante il Beneficio: “Al reverendissimo dottor professor sacerdote Tiziano Veggian, procuratore generale in Curia vescovile di Vicenza. Il molto reverendo Don Francesco De Pretto… lasciò i campi di sua proprietà in Posina nel 1794 al Beneficio parrocchiale di Santa Croce Bigolina nella persona di Giovanni Battistella e Giovanni Battista Dolzan, allora governatori di questa comunità. I campi erano 7 e mezzo e


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I Parroci e la vita religiosa a Santa Croce nel secolo XIX

120 tavole e cioè pertiche 29,10, con rendita congruaria di austriache lire 103,27 con casa relativa, e l’affitto statale era di lire italiane 140,25. Ciò risulta da rilievi eseguiti dal perito Pietro Gianesini di Schio in data 25 marzo 1896 e da note del mio antecessore Don Angelo Costantini, l’ultimo che godette il sopraddetto beneficio (i campi furono venduti da Don Sante Vangelista). Non mi consta che l’autorità ecclesiastica abbia mai dato l’autorizzazione alla disastrosa operazione”. Su Don Sante non siamo in grado di aggiungere altro, se non la registrazione della sua morte, avvenuta il 3 novembre 1903: “Oggi, alle ore 14.40 1903 moriva nella sua canonica Don Sante Vangelista, Parroco di Santa Croce Bigolina di Cittadella. Nato a Santa Croce Bigolina il 12/4/1840 da Vangelista Giuseppe detto Segato e da Margarita Mabilia detta Marostica, dopo 10 giorni di malattia nella quale ricevette tutti i conforti religiosi, sebbene fosse stato colto da apoplessia la sera del 24 ottobre ore 22. Studiò nel Seminario vescovile di Vicenza e fu ordinato sacerdote nel 1865. Appena fatto sacerdote fu per un anno mae-

stro comunale a Fontaniva e poi maestro comunale a Santa Croce Bigolina per 32 anni. Nel 1896 fu nominato Parroco di Santa Croce e resse questa Parrocchia per 7 anni. Don Francesco Croce, Vicario Foraneo”.

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LA LEGGENDA RITROVATA

NOTE AL CAP. 15 200. Ricordiamo ancora una volta che, nonostante tutti gli avvenimenti e i mille mutamenti politici, Santa Croce continuava a conservare il diritto della scelta del Parroco. 201. È il Cimitero attuale. Quello davanti alla Chiesa, infatti, era ormai da parecchio tempo insufficiente. Inoltre Napoleone aveva stabilito, per motivi sanitari, che i defunti dovessero essere sepolti fuori dai centri abitati. 202. A. C. V., Stato delle Chiese… 203. A. C. V., idem. 204. Forse i più vecchi ricorderanno l’enorme e pesantissimo stendardo della Confraternita del Santissimo, di colore rosso scarlatto, che veniva comunemente detto “el bandieron”.

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A destra: carta dell’evento alluvionale dell’autunno 1882 nel territorio Veneto (autori: Caleffa, Govi, Villi), che documenta i disastri descritti da Don Angelo Costantini in una sua nota del Libro dei Battesimi. Le aree più scure furono completamente sommerse; le frecce indicano i punti in cui gli argini cedettero.


CAPITOLO 1

La Storia arriva a Santa Croce lungo la Via Postumia

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LA LEGGENDA RITROVATA

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CAPITOLO 16

A sinistra: lettera del Vescovo Farina per la disinfezione delle Chiese in occasione dell’epidemia di colera del 1867.

A

Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

ndamento delle nascite e delle morti dal 1795 al 1890.

Anno Nati 1795 19 1796 31 1800 22 1805 32 1810 26 1815 39 1820 34 1830 32 1840 33 1850 31 1860 22 1870 8 1880 25 1890 21

Morti 17 (di cui 13 17 (di cui 11 13 (di cui 10 20 (di cui 16 15 (di cui 12 28 (di cui 21 28 (di cui 20 21 (di cui 13 19 (di cui 15 28 (di cui 7 12 (di cui 7 15 (di cui 3 17 (di cui 5 9 (di cui 5

bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini) bambini)

Prima di proseguire per andare incontro ai Parroci del Novecento, approfondendo la loro conoscenza, fermiamoci un poco a fare compagnia ai nostri bisnonni nella loro vita di ogni giorno. Su questo argomento abbiamo già detto qualcosa, ma ora vogliamo aggiungere qualche altra notizia per ricordare a noi, ma soprattutto ai giovani, quanto erano diverse le giornate che si svolgevano per le strade e nelle case della Santa Croce del secolo XIX°.

La popolazione. Quando divenne Parrocchia, nel 1794, Santa Croce contava circa 450 abitanti, che crebbero costantemente lungo l’Ottocento fino a diventare alla fine del secolo circa 1100. Diamo un rapido sguardo all’andamento delle nascite e delle morti, che accompagneremo con alcune osservazioni e notizie, tratte anche dai relativi registri parrocchiali e riportate nella tabella a inizio pagina. Le nascite. Ad una prima, anche superficiale analisi, colpisce l’altissimo numero di bambini che morivano appena nati o in tenera età (v. Tabella). Questo ovviamente era dovuto ad una inadeguata assistenza alle partorienti, alla scarsa igiene, all’arretratezza delle conoscenze mediche e all’assenza di medicinali, oltre che alle malattie infettive che costituivano un vero e proprio flagello. Alla morte prematura non sfuggivano neppure i figli delle famiglie nobili. Risale al 20 marzo 1799 la registrazione del decesso di Barbara Maria Elisabetta, figlia del nobile signor Conte Antonio Remondini, di appena nove giorni. Se osserviamo i dati, notiamo poi che pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

la mortalità diminuisce a partire dalla seconda metà del’Ottocento, parallelamente ai progressi della medicina e alla diffusione delle vaccinazioni, in particolare quella contro il vaiolo o “varola”. A questo proposito, già nel 1819 il Ciambellano di Sua Maestà l’Imperatore d’Austria, Regio Delegato della Provincia di Vicenza, inviava un editto con cui invitava i Comuni, i Medici e Chirurghi e i Parroci a promuovere la pratica del vaccino antivaioloso in tutta la popolazione. I Parroci erano sollecitati a convincere il popolo sia dall’altare sia nei colloqui privati, e dovevano estendere un elenco di tutti coloro che non volevano assoggettarsi alla vaccinazione, per trasmetterlo poi alle Autorità. A Santa Croce, dove pure vi era la possibilità di assistenza di un’ ostetrica, troviamo notizia di un parto assistito solo il primo giugno 1879, giorno in cui viene registrato il battesimo di Geremia Giuseppe Domenico, nato il 29 maggio da Angelo fu Domenico e Basso Elisabetta; alla nascita era presente infatti Maria Pandiani, “ostetrica patentata di Laghi”, come annota il Parroco Don Angelo Costantini. Come oggi, nascevano di solito più pag.

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femmine che maschi, anche se la cosa non faceva sempre piacere, data anche la scarsa considerazione di cui godeva allora la donna. Sentite, in proposito, la strana annotazione scritta nel registro dei battesimi da Don Andrea Compostella l’11 giugno 1833: “Fino ad ora vi furono 3 parrochi, De Pretto, Pettenoni e Compostella, presente scrittore, e tutti tre battezzarono per la prima volta come Economi 3 femmine” e poi un altro Parroco aggiunge: “segno tristo presso gli antichi, e morto Compostella li 22 aprile 1843 l’Economo Ongaro Giobatta battezzò successivamente 5 femmine, come si può vedere in maggio 1843. L’altro Economo Bonato Antonio battezzò la prima una femmina; il nuovo parroco D. Francesco Bonato cominciò con una femmina. Cosa voglia dir questo? Come lo scrivente non ne fa alcun calcolo, così sia disposto dall’Altissimo”. La nascita di una bambina, insomma, veniva quasi considerata un presagio di disgrazia. Non era neppure raro che i neonati, nati da relazioni illegittime o non voluti per l’impossibilità di sfamarli, fossero abbandonati negli ospizi. Il grave problema di questi bambini,


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Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

detti “esposti”, sarà sempre un tormento delle autorità lungo tutto il secolo. Già Napoleone era intervenuto per tentare di tenere sotto controllo la situazione, ordinando che i Podestà e i Sindaci sorvegliassero attentamente gli esposti affidati alle famiglie; se essi poi rimanevano negli ospizi, dovevano lavorare per mantenersi. Ma spesso si doveva ricorrere alla richiesta di sovvenzioni alle Parrocchie per poter sfamare i troppi bambini abbandonati. Nel 1810, per esempio, anche a Santa Croce perveniva una comunicazione della Congregazione di Carità di Vicenza, in cui si faceva presente come il “Conservatorio degli Esposti” di quella città mancasse dei mezzi essenziali per soccorrere i lattanti e compensare almeno in parte le nutrici esterne che allattavano ben 150 fanciulli abbandonati, numero assai considerevole per quel tempo. Si esortavano pertanto i Parroci a far presente dall’altare il “quadro quanto veridico altrettanto luttuoso” della Pia Casa e a sollecitare le elemosine dei fedeli... Nello stesso anno il Podestà di Cittadella invitava il “Signor Arciprete di Santa Croce Bigolina” ad istituire in chiesa una cassetta “per la regolare questua a soccorso della Casa degli

Esposti di Padova”. Nel 1824 il Regio Commissario Distrettuale di Cittadella scriveva ancora ai Parroci, raccomandando loro la più attenta sorveglianza affinché gli esposti che venivano affidati ai contadini fossero ben custoditi e ben trattati, “essendo questi esseri sventurati sotto immediata protezione della legge”. Accadeva infatti che questi bambini, una volta divenuti più grandicelli, proprio per i maltrattamenti subiti, abbandonassero le famiglie che li avevano accolti magari solo per sfruttarli e vagassero per le strade, trasformandosi in accattoni e talvolta prendendo la strada della delinquenza. I Parroci dovevano quindi inviare periodicamente un elenco degli esposti della loro Parrocchia e una dettagliata informazione sulla loro condotta e sul modo in cui erano trattati. Più ancora i Parroci dovevano attivamente vigilare per scoprire quali donne si trovassero incinte illegittimamente; queste dovevano essere tenute d’occhio ed informate dell’obbligo di chiamare al momento del parto una levatrice, per impedire che il neonato potesse essere abbandonato. Ma non sempre i Parroci adempivano a queste prescrizioni. pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

Nel 1833, infatti, il Regio Commissario di Cittadella è costretto di nuovo a scrivere che “qualche Parroco, mosso forse dal timore che la permanenza della prole presso una madre divenuta tale per commercio illegittimo possa recare in molta parte dei Parrocchiani uno scandalo grave e quindi dare forse motivo ed esempio a qualche nuova scostumatezza, non solo ha eccitato, ma per così dire anche obbligato la madre stessa, i di lei genitori e la famiglia a mandare il neonato nella Casa degli Esposti, asserendo che tali Istituti sono destinati e fondati per ricevere indistintamente tutti i figli illegittimi”. Il Commissario si scaglia quindi contro quei sacerdoti che pensano in questo modo “di dispensare dai doveri di madre, che sono imposti dalla natura, dalla Religione stessa e dalle leggi civili e tolgono così la possibilità che col tempo possa essere riparato ai falli commessi mediante un ravvedimento di chi fu l’origine della colpa. Tali supposizioni - continua il Commissario - entrano nel numero delle cause che influirono ad accrescere anche negli ultimi tempi l’affluenza degli Esposti” negli ospizi. Anche il Parroco di Santa Croce veniva pertanto invipag.

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tato a far cessare le conseguenze di questi pregiudizi, altrimenti sarebbe incorso nei rigori della legge. Come si è detto, il problema si trascinerà per tutto il secolo, e molti e diversi saranno i tentativi per trovare una soluzione, che non sarà comunque mai definitiva se ancora oggi si ritrovano neonati abbandonati non in Istituti, ma nei bidoni delle immondizie. Le morti Per quanto riguarda le cause delle morti, nell’Ottocento continuavano ad uccidere il tifo, trasmesso anche dalle pulci, le malattie polmonari, la tisi, la meningite, le malattie intestinali (teniamo presente che non pochi morivano anche di appendicite, di cui allora si ignorava l’esistenza), la cosiddetta idropisia per parto prematuro, il carcinoma all’utero, l’emorragia cerebrale, le cardiopatie, le febbri dette “perniciose” perché non se ne conosceva l’origine, la pellagra e lo scorbuto, dovuti a carenza di vitamine per un’alimentazione fatta essenzialmente di polenta; tali morbi erano diffusi soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento. E poi le epidemie di colera, malattia intestinale molto contagiosa e per cui allora non esisteva nessun rimedio, in particolare quelle del 1836, del


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Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

1855, del 1866 e del 1884. Racconta il Repele, lo storico di Fontaniva: “Nel mese di Giugno (del 1836) incominciò a serpeggiare per le nostre contrade un terribile flagello: il colera asiatico. Dapprima qualche caso isolato, ma nel mese successivo l’epidemia dilaga, diventa generale e porta il lutto in molte famiglie…”205. Il morbo colpì duramente anche Santa Croce. Il registro dei defunti annota il primo decesso per colera l’8 luglio 1836; si trattava di Caterina Borsato, 33 anni, sepolta senza funerale alcuno. Da questo momento infatti i funerali non si celebrano più normalmente, per timore della diffusione del contagio e accanto al nome dei morti il Parroco scrive: “Morì con tutti i soccorsi spirituali meno l’Eucarestia ed assistenza finale e fu sepolto sine luce et cruce”, cioè senza Messa e benedizione del feretro. Così capita, ad esempio, ad Innocente Vendramin, “benemerito campanaro di questa chiesa… sepolto in questo Cimitero nascostamente e da me Compostella Andrea Parroco molto compianto”. L’epidemia cessò in agosto, ma in un solo mese Santa Croce aveva dovuto contare ben 64 vittime. Forse si era particolarmente distinta

nell’assistenza agli ammalati Giustina Dolzan, morta a 55 anni l’8 gennaio 1840, che Don Andrea Compostella afferma essere spirata “in meritevole opinione di santità”. Nel corso del secolo, insieme con i progressi della medicina, cominciano a diffondersi e ad attrezzarsi anche gli ospedali, come quello di Cittadella; il primo di Santa Croce che vi fu ricoverato e vi morì il 12 luglio 1851, fu Francesco Bianchi. Come se non bastassero i nostri, qualche volta si dovevano seppellire anche i corpi “regalatici” dalle piene del Brenta, come accadde il 2 agosto 1851 per il cadavere di una donna di circa 25 anni, del tutto sconosciuta, annegata nella disastrosa inondazione del 31 luglio che sconvolse la valle di Valstagna. Nel maggio del 1855, nuova epidemia di colera, anche se non grave come quella del ’36. Ma ecco nel 1866 diffondersi di nuovo il contagio, in forme che non sempre si potevano ricondurre al colera, per cui si parlò anche di “morbo asiatico”. Il 1 luglio 1867 il Vescovo di Vicenza, Mons. Farina, in seguito ad alcuni casi di colera, invitava i Parroci a raccomandare alla popolazione di tenere pag.

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pulite le case, i vestiti e le persone, vietando, per limitare la diffusione del contagio, le Sagre e le Processioni, consentendo eccezionalmente di mangiare “di grasso” anche nei giorni di astinenza. E poiché le avversità sono provocate dai peccati, i Parroci dovevano sollecitare i fedeli a pregare privatamente, recitando ogni sera in famiglia le Litanie alla Madonna. Nel panico che facilmente in queste occasioni si diffondeva, capitava anche che i sospetti morti di colera venissero sepolti precipitosamente, tanto che il 22 luglio 1867 dovette intervenire il Prefetto di Padova, poiché “talvolta fu associato alla sepoltura taluno individuo in cui la morte poteva essere soltanto apparente. Giova far conoscere - continuava il Prefetto nella sua circolare - che i cadaveri raffreddati non trasmettono più facilmente il contagio… E poiché in questa Provincia si è avverato che alle salme di estinti per malattia contagiosa sia stata data sepoltura con inconsulta sollecitudine… questa Regia Prefettura è in dovere di richiamare sopra questi fatti l’attenzione dei Signori Sindaci, dei Regi Commissariati Distrettuali e Delegati di Pubblica Sicurezza, affinché non si ripeta grave sconcio che offende il pag.

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sentimento dell’umanità, le ragioni della scienza e le vigenti leggi sanitarie…”. A questa circolare il Prefetto ne faceva seguire un’altra, pochi giorni dopo, ordinando la frequente disinfezione delle Chiese, che erano i luoghi più frequentati e perciò di più facile occasione di contagio. Possiamo immaginare quale lugubre atmosfera suscitavano queste ordinanze che tutti i Parroci dovevano leggere dall’altare. La paura e il terrore creavano nella nostra povera gente, ignara delle più elementari conoscenze scientifiche e mediche, il sospetto che il morbo fosse diffuso addirittura dallo spargimento di veleni da parte proprio degli addetti alla Sanità, tant’è vero che, il 22 settembre 1867, il Vescovo dovette intervenire di nuovo per raccomandare ai Parroci di fare il possibile per estirpare dalla testa della gente questo pregiudizio “che può essere fonte malaugurata di tanti mali, ed anzi persuadere tutti, che qualora un sospetto sintomo del morbo si manifestasse… fossero pronti a chiamare chi esercita l’arte salutare…”. Il 5 ottobre 1867 finalmente il Sindaco di Cittadella poteva di nuovo accordare al Parroco di Santa Croce il permesso per le processioni pubbliche, date le


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migliorate condizioni sanitarie. L’ultima epidemia di colera del secolo colpì la nostra gente nel 1884. Essa fu forse anche conseguenza della paurosa alluvione del Brenta del 1882, così ben descritta da D. Angelo Costantini, che rese ancora più precarie le condizioni igieniche e rese sterili per alcuni anni molte campagne. Ma, anche senza colera, per un motivo o per l’altro, fossero la pellagra o le disgrazie, che anche allora erano sempre pronte, la morte colpiva con frequenza. Nel 1873, ad esempio, si celebrarono 32 funerali. Non era facile arrivare alla vecchiaia, tanto che, morta proprio in quell’anno Bertoncello Rosa di 79 anni, fu registrata come causa del decesso “l’avanzata età”. A parte qualche eccezione, si moriva in casa, raramente con l’assistenza medica. Il primo medico condotto infatti arriverà a Santa Croce solo nel 1911: sarà il dott. Ettore Bonantoni, di Soave di Porto Mantovano, morto qui a soli 48 anni, il 22 ottobre 1915, e sepolto, con la moglie, nel nostro Cimitero a sinistra della Cappella centrale. I matrimoni Per quanto riguarda i matrimoni, per quasi tutto l’Ottocento la media si

mantenne costante sui 3 o 4 l’anno, e solo verso la fine del secolo si ebbe un certo aumento. Sposarsi non era cosa da poco. Per quanto poveri si fosse, le nozze dovevano pur essere solennizzate e questo richiedeva delle spese che non era facile sostenere, dato che denaro ce n’era davvero poco e ci voleva molto tempo per raggranellare qualche soldo. Particolare importanza veniva dato al periodo in cui i “morosi”, come si diceva, “discorrevano” fra di loro, sotto gli occhi sempre vigili dei genitori, sotto il portico o in corte durante le sere d’estate, in cucina o più spesso in stalla “a filò” d’inverno. Quando le rispettive famiglie avevano accettato che i due “discorressero” e la cosa era divenuta pubblica, la promessa di matrimonio veniva solennemente confermata, con il consenso dei genitori, davanti al Parroco e a testimoni. Era il momento in cui i “morosi” si facevano “novissi” o “nuissi”, come si diceva a Santa Croce, e l’atto veniva debitamente documentato. Il nostro archivio parrocchiale conserva ancora molti documenti in merito; ne riportiamo un paio come esempio: “8 aprile 1821. Santa Croce Bigolina. pag.

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Comparsi avanti di me, sottoscritto Parroco, Giuseppe Ferronato detto Brotto e Maria Toso, giugali (cioè sposati), esposero in presenza degl’infrascritti testimoni di prestare il loro assenso al proprio figlio Antonio pel matrimonio che si è proposto di contrarre con Angela Merlo, figlia del fu Francesco e di Maria Tellatin, d’anni 22 circa, domiciliata in questa Parrocchia al n° 9. Raccolte le premesse dichiarazioni, si è esteso il presente verbale per documento del relativo Atto Civile…”. “Santa Croce Bigolina, lì 31 ottobre 1876. …Morlin Pietro Paolo del fu Francesco e della vivente Pierina Masocco, nato a Maser li 23 gennaio 1846 ove dimorò fino ai vent’anni e poi passato a Rosà e finalmente a Tezze di Bassano ove attualmente dimora, cattolico, celibe, villico, ha promessa di futuro matrimonio con Geremia Anna di Domenico e Maria Tofanello, legittimi coniugi, nata a Tezze li 30 luglio 1853, indi passata a Santa Croce Bigolina ove attualmente dimora, cattolica, nubile, villica…”. Qualche volta però capitava che i “morosi”, dopo aver “discorso” ed essere diventati “nuissi”, si lasciaspag.

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sero. Allora anche la rottura e la restituzione dei doni scambiati durante il fidanzamento venivano sancite con un documento ufficiale stilato davanti al Parroco, come in questo caso: “Santa Croce Bigolina, lì 18 febbraio 1866. Dichiara e confessa Giuseppe Baggio detto Giacon alla presenza dei sottoscritti testimoni di aver ricevuto di ritorno il pegno che aveva dato in promessa di matrimonio ad Orsola Fantin fu Domenico di questa Parrocchia, il qual pegno consiste in un pagio d’orecchini d’oro e cinque vere in sorte d’oro e fiorini quattro; i regali poi di altri fiorini 4 e soldi settantacinque che il detto Baggio consegnò in più volte alla sudetta Fantin, verranno a lui consegnati entro il corrente anno 1866… e da questo punto il Baggio lascia in piena e totale libertà la sua fidanzata di poter prendere qualsiasi partito che se le presenterà di futuro matrimonio…”. La fame e le tasse Se le epidemie erano ricorrenti, la fame era un tormento continuo per molti, soprattutto se i raccolti venivano compromessi da inondazioni, grandine o siccità. Nel 1814, ad esem-


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Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

pio, nel Vicentino piogge eccessive dimezzarono i già scarsi raccolti e l’uva fu danneggiata da brinate precoci; la gente fu costretta a cibarsi dei grani ancora verdi e non maturati, alternati a semplici erbe di campo. A dicembre anche queste risorse erano esaurite, provocando la diffusione della pellagra. Alcuni addirittura si suicidarono. È impressionante la descrizione di questa situazione contenuta in un avviso dell’Imperial Regio Prefetto del Dipartimento del Bacchiglione: “…In molte contrade non v’ha neppure uno che possegga un animale, non un effetto, non una masserizia di sorte alcuna… La nuda terra serve di letto a quegli sventurati. E vecchi e giovani e teneri fanciulli pallidi e smunti vanno seminudi e laceri in giro gridando fame, chiedendo inutilmente pietà nè v’ha chi possa colà soccorrerli…”. Venne istituita una Commissione con il compito di coordinare i soccorsi e raccogliere le offerte che dovevano essere inviate dalle sottocommisioni presenti in ogni Parrocchia, compresa Santa Croce: era comunque un chiedere ai poveri per dare ai più poveri. E che a Santa Croce la povertà fosse di casa lo dimostra un documento del 1857, con

il quale l’Amministrazione Comunale di Cittadella chiede al Parroco quali siano gli abitanti che abbiano diritto come poveri all’assistenza medica gratuita, intendendo per poveri anche quelli che “sebbene possidenti di qualche tavola di terreno oppure di qualche campo, sono gravati di numerosa famiglia”. La risposta del Parroco è inequivocabile: eccetto sei, tutte le famiglie dovevano essere considerate povere. Nonostante la fame fosse compagna quotidiana di molte famiglie, la Chiesa faceva piovere appelli al digiuno, soprattutto nel periodo quaresimale. Nel 1866, ad esempio, Mons. Farina, Vescovo di Vicenza e Prelato Domestico assistente al Soglio Pontificio, nonché Cavaliere di II classe dell’Imperial Regio Ordine Austriaco della Corona di Ferro, Barone dell’Impero, ecc.206, proprio in occasione della Quaresima, rivolgeva il suo tradizionale messaggio “al Venerabile Clero e Dilettissimo Popolo della Città e Diocesi”. In esso, dopo aver comunicato che “la Santità di Nostro Signore Pio Papa IX” si era degnato di attenuare anche in quell’anno il rigore del digiuno quaresimale, il Vescovo esortava comunque tutti alla penitenza, ricordando che nei tempi “beatissimi della Chiepag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

sa nascente” si digiunava quasi sempre e si mangiavano solo “pochi e mal conditi legumi”, si beveva “semplice acqua”. Ora invece quelle stagioni erano passate, idee malvage avevano invaso le menti e disseccato anche nel cuore di tanti cattolici la sorgente di ogni opera buona. Oggi - dice il Vescovo - la Chiesa permette l’uso delle bevande in qualunque ora del giorno, lascia che si anticipi il pranzo a mezzogiorno, come non era invece fino al 1500; tollera una leggera cena la sera; concede per la maggior parte dei giorni per una volta l’uso della carne e dei latticini; esclude dall’obbligo del digiuno quelli che non hanno compiuto 21 anni, dispensa gli infermi e gli addetti ai lavori pesanti, non prescrive più il digiuno nei mercoledì fra l’anno e al venerdì e al sabato obbliga solo all’astinenza delle carni. Nonostante questo - lamenta Mons. Farina - “il costume depravato di rompere il digiuno nei dì comandati e di violare anche fra l’anno l’astinenza del venerdì e del sabato si è fatto da pochi anni purtroppo tanto comune, che Noi al solo ricordarlo Ci sentiamo stringere il cuore per la piena del rattristamento”. E qui il Vescovo si lancia in un’invettiva contro gli uomipag.

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ni carnali che del ventre si fanno un Dio, contro coloro che digiunavano il venerdì ma non il sabato, facendo così peccato mortale. In conclusione era consentito: -mangiare carne in Quaresima eccetto nei giorni di venerdì e sabato; -mangiare uova e latticini nei mercoledì, venerdì e sabato iniziali di ogni stagione (le cosiddette Quattro Tempora), nelle vigilie e nei sabati di Quaresima; -usare condimenti di strutto e di lardo in tutti quei giorni nei quali era permesso l’uso di uova e latticini. Era invece vietato: -mangiare carne, uova e latticini nel primo giorno di Quaresima, in tutti i venerdì e nei tre ultimi giorni della Settimana Santa; -l’uso del latte e del burro, per chi aveva l’obbligo del digiuno, in qualunque giorno (anche col caffè la mattina) fuori dell’unico pranzo; -mangiare insieme carne e pesce, anche di domenica; -l’uso delle carni, uova e latticini nelle vigilie di Pentecoste, dei SS. Pietro e Paolo, dell’Assunzione, della Festa di Tutti i Santi, del Santo Natale; in tutti questi giorni si dovevano usare solo cibi di magro ed era assolutamente proibito


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Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

il condimento di strutto e di lardo. A noi oggi queste regole, in gran parte eliminate dopo il Concilio Vaticano II, possono sembrare assurde; ma non lo erano in un periodo in cui era molto più facile osservarle, dato che la carne era un lusso che ben pochi si potevano permettere e digiunare era spesso una necessità imposta dalle misere condizioni di vita e dalle carestie. Caso mai queste imposizioni ristabilivano un po’ di giustizia, obbligando al digiuno anche i ricchi e i benestanti. Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, la condizione dei nostri contadini si fece ancora più pesante. Per risanare il bilancio, lo Stato impose nuove tasse, fra cui la più odiata fu quella sul macinato, che suscitò proteste e manifestazioni popolari anche in tutto il Veneto. Come sappiamo, l’economia della nostra gente si basava prevalentemente sul baratto e la circolazione di denaro era assai scarsa (i più anziani dovrebbero ancora ricordare molto bene quando le nostre nonne si facevano dare dalla vicina di casa “un quartarolo” di farina in cambio di uova o zucchero). Con la nuova tassa i contadini erano costretti a pagare due lire al quin-

tale per macinare il frumento, una lira per il granoturco e la segala. Si trattava praticamente di un’imposta sulla fame, in quanto la polenta era quasi l’unico alimento. Di fronte alle proteste, il governo cercò l’appoggio dei Sindaci e del Clero. C’è in archivio parrocchiale una circolare del Prefetto di Vicenza, in data 21 agosto 1868, inviata ai Sindaci della Provincia e giunta anche al Parroco di Santa Croce con la seguente annotazione a margine: “Monsignor Vescovo prega i Parrochi ad influire per l’esatta osservanza della suesposta legge”. Nella circolare il Prefetto Bossini tentava di giustificare la tassa, affermando che essa non era nuova per il Veneto e che già il Governo Austriaco aveva imposto un “dazio di macina”; faceva inoltre notare che non si rendeva nemmeno necessario “che i contribuenti abbiano di volta in volta il denaro pronto per soddisfarla, dacché… sono autorizzati a rilasciarne al mugnaio l’importo in natura… Da tutto ciò è facile convincersi che anche la classe dei proletarii potrà sostenere il tenue tributo senza quasi accorgersi del sacrifizio”. Con altri calcoli, fatti però in tasca agli altri e senza una chiara conoscenza della grave situazione di pag.

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generale povertà della nostra gente, il Prefetto affermava che risultava “dimostrato che per effetto della tassa di macino le popolazioni povere del Veneto non sopporteranno un aggravio maggiore di quello che imponeva loro il Governo Austriaco”. Bisognava far comprendere ai contadini - aggiungeva il Prefetto - che il nuovo tributo è richiesto dalle supreme necessità dello Stato e avvertirli che con le dimostrazioni o con qualsiasi altro mezzo di agitazione e di disordine non solo non otterrebbero di ritardare l’applicazione della legge, nè alcuna diminuzione della tassa, ma si esporrebbero alle rigorose sanzioni del Codice Penale. Insomma, ancora una volta, Pantalone doveva pagare e tacere! L’istruzione. Com’è noto, la stragrande maggioranza della nostra gente nei secoli scorsi era analfabeta. Prima di Napoleone le autorità non si interessavano dell’istruzione del popolo, che era una faccenda personale e riservata pressoché esclusivamente alle famiglie nobili, le sole che potevano permettersi di pagare un maestro privato. L’età napoleonica portò grandi campag.

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biamenti in questo campo. Ritenendo che l’istruzione dovesse essere diffusa per mezzo di scuole pubbliche, Napoleone emanò una serie di leggi sull’insegnamento, che doveva essere statale e gratuito. Nel 1802, a Milano, capitale del Regno d’Italia voluto da Napoleone, venne emanata una importante legge sull’Istruzione pubblica, la quale prevedeva che in ogni comune fosse aperta una scuola elementare e che le spese fossero a carico dell’amministrazione comunale stessa. Così tra il 1802 e il 1814, anno in cui terminò la dominazione francese sostituita da quella austriaca, il numero delle scuole in Lombardia e nel Veneto aumentò notevolmente207. Ovviamente non era molto facile trovare maestri; le uniche persone che possedevano una solida cultura erano i sacerdoti, perciò furono quasi esclusivamente questi a prestare la loro opera di insegnanti per quasi tutto l’Ottocento. Così avvenne anche a Santa Croce, dove esisteva una scuola privata già all’inizio del secolo. Ne è testimonianza un documento conservato in archivio parrocchiale, il primo in proposito, datato 11 dicembre 1806, con il quale il Prefetto del Dipartimento della Brenta, “visto il rapporto del-


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la Commissione nominata all’esame dei maestri privati, visto l’attestato della municipalità della Comune di Santa Croce Bigolina sulla moralità del Signor Don Giuseppe Pettenoni, accorda allo stesso l’abilitazione di poter continuare la Scuola privata, nella quale dovrà aver tutto il maggior zelo pel profitto della gioventù”. Ricordiamo che Don Giuseppe era il Cappellano di Don Francesco De Pretto, a cui succederà nella guida della Parrocchia, e che il 1806 fu l’ultimo anno di esistenza del Comune rurale autonomo di Santa Croce. Nel 1812 fu emanato un nuovo regolamento delle Scuole Elementari del Regno d’Italia, che stabiliva la creazione di Scuole Elementari possibilmente in ogni Parrocchia208. Subito gli uomini più in vista di Santa Croce, cioè il Conte Antonio Remondini, Pietro Viel, Giuseppe Albertoni, Pietro Dolzan, Antonio Vangelista, Pietro Toso, si rivolsero al Podestà di Cittadella per chiedere anche qui l’istituzione di una scuola. Essi scrivevano: “L’educazione de’ Figliuoli fu mai sempre, ed è una delle principali cure del Governo. Per ogni dove, e persino nelle più piccole Frazioni comunali del Regno si veggono istituite Scuo-

le con provvidenze atte a dei più luminosi progressi. La sola Sezione di Santa Croce Bigolina numerosa in figliuolanza manca di questa tanto necessaria e salutare istituzione. La distanza da questo Capoluogo di quattro e più miglia non permette d’approfittare di quelle quivi iniziate209, nè ai Genitori e Famiglie di esporre i propri Figli, la maggior parte in età ancor tenera, a viaggio sì lungo, malagevole nell’inverno particolarmente, pericoloso a gioventù inesperta e dannoso piuttosto che proficuo alle Famiglie. Senza punto querelarsi dell’attuale abbandonata loro situazione, gli Abitanti di detta Frazione riverenti si fanno supplicare un provvedimento all’ educazione de’ loro Figliuoli, come credesse più ovvio alla circostanza questa Podestatura, esigendolo per un effetto di Giustizia, perché protetti dalla Legge e perché sudditi al paro degli altri Comunisti (= abitanti del Comune) corrispondono col servizio personale e reale a favor ed a sostegno dei pesi di tutta la Comune. Penetrata la di Lei conoscenza, Signor Podestà, e convinti d’altronde della necessità, si lusingano li Ricorrenti di un pronto e sollecito effetto, onde pag.

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toglierli eziandio dalla dispiacenza di ulteriormente ricorrere”. La lettera era piuttosto dura e il Podestà Balbi si seccò non poco, tanto che il 22 settembre 1812 la respinse, avvertendo di “moderare l’espressioni dell’ultimo paragrafo, che non possono non disconvenire”, visto che gli abitanti di Santa Croce non avevano mai espresso il desiderio - così almeno dice il Podestà - “di avere una Scuola nel proprio Circondario, nè prodotto mai perciò verun ricorso poiché si approffittavano della Scuola privata ivi esistente diretta da quel Signor Parroco. Riprodotto che sia nel modo che si accenna, si rassegnerà l’argomento al Consiglio Comunale nella sua prossima seduta…”. Non sappiamo se il Consiglio Comunale abbia poi trattato l’argomento; sicuramente non fu istituita la Scuola pubblica richiesta, perché ancora nel 1825 il Regio Commissario Distrettuale di Cittadella concedeva al Parroco di Santa Croce di insegnare anche agli scolari della terza elementare, sempre però privatamente. Ma neppure i Sacerdoti erano sempre bravi e puntuali maestri. Il 31 ottobre 1826, infatti, il Regio Ispettore Distrettuale delle Scuole Elementari pag.

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scrive “al Rev.mo Signor Arciprete Direttore della Scuola di Santa Croce Bigolina”: “Parecchi pubblici Maestri, o per la Messa o per l’Ufficio da morto o per qualche proprio affare, si fanno lecito d’intervenire tardi alle Scuole, di alterare l’orario e di mancare a qualche loro preciso dovere. Mi si ordina in conseguenza di far cessare l’abuso e d’interessare i Parrochi e le Autorità locali perché invigilino su i predetti Maestri, e informino, in caso di mancanza, le Superiorità per quelle misure di rigore che saranno credute necessarie…”. Il richiamo non dovette avere l’effetto desiderato, perché il 7 gennaio dell’anno successivo vi è un nuovo appello ai Parroci ad una “sempre maggior vigilanza alle scuole” e all’“esaurimento fedele e puntuale delle incombenze” previste dal Regolamento scolastico. Arriviamo così al 6 agosto 1828, data in cui troviamo una lettera interessante per l’argomento che stiamo trattando. Ricordiamo che in quel periodo Santa Croce, nella ristrutturazione operata dal governo austriaco, era diventata temporaneamente frazione di Fontaniva, ed è proprio la Deputazione comunale di Fontaniva


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che scrive al nostro Parroco, Don Andrea Compostella: “Questa Deputazione è stata interessata dal regio Ispettore Scolastico Distrettuale… di procurare in qualche modo un Maestro pelle Scuole di S. C. Bigolina, suggerendo che il mezzo più opportuno per rinvenire detto Maestro sarebbe quello di aumentare l’assegno. Su questo punto la Deputazione ha fatto i suoi riflessi ed ha veduto che converrebbe accrescere di molto il detto assegno ed in conseguenza aggravare per sempre l’Amministrazione Comunale per una scuola di pochi alunni, che perciò ha creduto bene di proporre al Regio Commissario Distrettuale di mandare uno a Vicenza a spese del Comune per istruirsi nella metodica, e quindi istituirlo Maestro di Santa Croce, invece di adottare la misura proposta dal sullodato Regio Ispettore. Ma il lodato Regio Commissario… fa conoscere che questa misura non può essere approvata dalla Superiorità Provinciale, e che sarebbe più espediente trovare un Sacerdote capace pella Scuola nel tempo che serve alla Chiesa. Diffatti questo sarebbe l’unico mezzo per provvedere di Maestro co-

desta Frazione, di risparmiare alla Comune un soverchio annuo stipendio, e di facilitare alla Parrocchia il rinvenimento di un buon e capace Sacerdote ad ogni occorrenza, perché l’assegno di Maestro unito ai proventi della Cappellania somministrano un sufficiente provvedimento alla dignità e condizione di un Sacerdote; caso diverso il Cappellano di Santa Croce Bigolina perderebbe per sempre l’onorario della Scuola ed avrebbe la dispiacenza di tollerare in casa propria un’ insollente scolaresca, oltre di privare chi sa per quanto tempo codesti abitanti della pubblica istruzione…”. Insomma, anche dal Comune di Fontaniva il messaggio era chiaro: arrangiatevi e lasciateci in pace! Per un po’ di tempo la Scuola di Santa Croce fu in crisi. Forse Don Antonio Sambugari, Cappellano dal 1827 al 1831, a cui spettava l’insegnamento, non era in grado di attuarlo, può darsi per motivi di salute. Furono interessate le Autorità e finalmente, il 20 dicembre 1831, il Regio Commissario Distrettuale di Cittadella può scrivere al nostro Parroco: “È tempo finalmente che torni a vita, e stabilmente, la Scuola elementare pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

in Santa Croce. L’Imperial Regia Delegazione Provinciale, in seguito alle buone informazioni avute sul conto del signor Mattaroli Marco fu Giovanni di Tezze e de’ suoi amplissimi ed onorevolissimi documenti di capacità, moralità e condotta, è discesa, col voto assoluto anche dell’Imperial Regio Ispettore provinciale, a nominarlo in Maestro elementare di cotesta Scuola…. Col principio del nuovo anno 1832 sarà aperta la Scuola ed Ella, zelantissimo Arciprete, esorterà tutti i Padri di famiglia ad inviare i rispettivi loro figli all’insegnamento scolastico elementare, siccome fondamento della nostra Santa Religione Cattolica e base dei principi della vita civile, sotto comminatoria d’infliggere ai detti Capi di famiglia le multe prescritte in caso di trascuranza. In ogni dì festivo, e prima e dopo dell’attivazione della Scuola, saranno dall’Altare fatte sentire le sollecitazioni per approfittare dell’insegnamento e meritarsi Ella, Reverendo Parroco, l’estimazione dei Superiori…”. Ma dovevano passare altri vent’anni prima che, nel 1853, il Comune di Cittadella si prendesse carico di istituire a Santa Croce, prima pag.

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tra le frazioni, una scuola elementare pubblica, in locali presi in affitto dal comune il quale, ad “uso degli alunni poveri della frazione” aveva stanziato L. 48,40. L’anno dopo, il 26 ottobre, fu bandito un regolare concorso per il posto di maestro elementare. L’assegno annuo era di L. 400 pagabili di trimestre in trimestre e la nomina spettava al Consiglio Comunale210. Il Governo austriaco, come abbiamo visto, teneva moltissimo all’istruzione, anche a quella femminile. Questo può destare un po’ di meraviglia, in un secolo in cui la donna era ancora sottovalutata, ma dà l’idea di un’amministrazione, quella austriaca appunto, più attenta ai valori culturali e al progresso civile di quanto ci è stato fatto studiare sui libri di storia. Vediamo ad esempio, quanto scrive l’Imperial Regio Ispettorato Scolastico Provinciale in una circolare agli Ispettori Scolastici Distrettuali della Provincia di Padova: “Sebbene la frequenza alle pubbliche Scuole sia stata maggiore nell’anno scolastico 1855/56 in confronto degli anni precedenti, pure in qualche Distretto le sollecitudini delle preposte Autorità Scolastiche non offrirono quei risultati che sperarsi dovevano…


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Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

È assolutamente necessario che le Autorità Scolastiche si dieno il merito di procurare l’aprimento di nuove Scuole per le femmine nei Comuni più popolati dei loro circondari Distrettuali e che non dimentichino l’attivazione anche nei Comuni stessi delle Scuole Festivo-Domenicali e di quelle serali, che con tanto buon effetto vennero in altre Provincie aperte col consentimento… della Reverendissima Curia Vescovile. L’educazione delle fanciulle, conviene dirlo, è in generale soverchiamente trascurata. Ove alla donna si nieghi l’istruzione, essa non è più origine di civiltà, sorgente di nobili affezioni, movente precipuo dell’alacrità dell’uomo alla virtù…”. L’istituzione di scuole serali e festive era prevista anche nel Regno dei Savoia (legge Casati del 1859), e tale norma fu estesa anche al Veneto dopo l’annessione nel 1866. A Santa Croce Bigolina, ancora per l’anno scolastico 1867-68, le scuole continuarono ad essere frequentate dai soli maschi, suddivisi in tre classi e con un unico maestro, Don Sante Evangelista, ma nel 1869 venne istituita anche una scuola mista, sempre

nello stesso anno, una scuola festiva per le ragazze adulte, il cui insegnamento fu affidato alla maestra Giulia Furlani di Cartigliano. Visto poi che le alunne che frequentavano la scuola mista erano tante, finalmente nel 1872 venne creata anche una scuola minore solo femminile, affidata sempre alla maestra Furlani, in un locale preso in affitto da Gaetano Mercante. Ma la stanza era in brutte condizioni e la maestra, il 5 febbraio 1873, scriveva al Sindaco: “La stanza posta in Santa Croce Bigolina di proprietà del fu Gaetano Mercante, che dall’onorevole Municipio di Cittadella è tenuta in affittanza per uso della scuola femminile di quella frazione, è in grande e pressante pericolo di essere fracassata per la imminente caduta e del piano superiore e di tutto il tetto che la sovrasta, causata dalla rottura del trave maggiore che lo sostiene…”211. Forse la stanza (che abbiamo motivo di ritenere si trovasse nell’ex Convento dei Francescani, dai Bertoncello venduto al Mercante), fu riparata, ma i problemi continuavano, perché poco dopo, l’11 marzo, la maestra scrive ancora al Comune: “Il copioso aumento delle alunne che pag.

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frequentano la scuola di Santa Croce Bigolina, che in media sono dalle 48 alle 52, la strettezza della camera, la sua posizione a mezzodì, la stagione che si apre al caldo, sono tali e tanto forti motivi per i quali propriamente non si può più reggere al continuare la scolastica istruzione sulla solita stanza di proprietà del Signor Mercante. Poco dopo che le fanciulle sono raccolte in scuola, si trova tale pressione al respiro che quasi ogni giorno qualche giovinetta cade in vanimento…”. Ma, per arrivare alla costruzione di una nuova scuola, doveva ancora passare molto tempo. Intanto, nell’anno scolastico 187374, iniziò a funzionare a Santa Croce anche una scuola serale, frequentata da 41 persone e tenuta sempre da Don Sante Vangelista. Sei anni dopo, nell’anno sc. 1878-79, erano attive a Santa Croce: -una scuola elementare maschile, con tre classi e un totale di 68 alunni, di cui 48 avevano avuto la fornitura gratuita dei testi; -una scuola elementare femminile, con tre classi e 72 alunne, di cui 57 avevano ottenuto i testi gratuiti; -una scuola serale, con 41 alunni in pag.

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totale; -una scuola festiva per le ragazze, frequentata da 36 alunne. Il 21 ottobre 1883 furono inaugurate solennemente le nuove Scuole Elementari di Cittadella, intitolate a Vittorio Emanuele II e a Giuseppe Garibaldi. In quell’occasione furono premiati gli alunni più meritevoli di tutte le scuole del Comune. Per la “scuola femminile rurale” di Santa Croce furono premiate: Sezione I -Benetello Maria: premio di I grado; -Cecco Antonia: premio di II grado; -Marsan Giuseppina, Gnoato Maria: menzione onorevole. Sezione II -Vangelista Margherita: premio di I grado; -Barichello Angela: menzione onorevole. Sezione III -Vallotto Domenica, Cocco Domenica, Merlo Onesta: menzione onorevole; Basso Romana: premio nel lavoro. Scuola maschile rurale: Sezione I -Pellanda Nicolò, Perozzo Luigi: premio di II grado. Sezione II -Cocco Paolo: premio di I grado; Vangelista Luigi: menzione onorevole.


CAPITOLO 16

Santa Croce Bigolina nell’Ottocento. Una vita difficile tra fame, epidemie, povertà

Sezione III -Lanza Pietro: premio di I grado; Benetello Giuseppe, Rebellato Pietro, Marsan Giovanni: ripetenti volontari premiati lo scorso anno. Scuola festiva femminile. Erano ritenute degne di lode per la frequenza alle lezioni e per la diligenza nello studio: Oliva Caterina, Piazza Pierina, Bevilacqua Angela, Mazzochin Libera, Basso Giuseppina, Marsan Antonia, Pasinato Maria, Rebellato Maria, Simioni Elisabetta, Tonellotto Amalia, Tollio Adelaide, Vigo Irene. Scuole serali maschili. Erano degni di lode: Ferronato Antonio, Pan Celeste, Sgarbossa Agostino, Sgarbossa Giuseppe, Bertoncello Antonio, Marsan Angelo, Parisotto Innocente, Zanon Riccardo, Zanon Innocente. Nel 1901 fu finalmente deliberato il progetto di costruzione di un fabbricato per le scuole rurali maschili e femminili di Santa Croce, ancora una volta prima frazione a godere di un nuovo edificio. La spesa occorrente di L. 14. 058,07 fu approvata mediante il prestito della Cassa Depositi e Prestiti. Nello stesso anno fu approvato il contratto con il Signor Fantin Virginio per la cessione del terreno. La nuova

scuola fu intitolata a Cesare Battisti, sostenitore dell’annessione del Trentino all’Italia, e per questo fucilato dagli Austriaci nel Castello del Buon Consiglio. Intanto, in seguito all’ordinamento del 1902, la frequenza scolastica a Santa Croce, così come a Facca, Laghi e Ca’ Onorai, divenne obbligatoria nel 1904212. L’edificio scolastico rimase agibile fino alla fine degli anni ’70, quando, ormai pericolante, fu abbandonato e sostituito dall’attuale costruzione. Le vecchie scuole, recentemente ristrutturate da un Ente pubblico, sono ora adibite ad abitazione.

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NOTE AL CAP. 16 205. V. D. M. Rossi, op. cit., p. 569. 206. Tutti questi titoli nobiliari attribuiti ai Vescovi non devono meravigliare. Essi erano un’usanza che si trascinava dal Medioevo, quando potere politico e potere religioso erano strettamente collegati tra di loro. Nell’Ottocento tale connessione non era ancora del tutto cessata e quindi permaneva l’uso di considerare i Vescovi, oltre che successori degli Apostoli, nobili dell’Impero. L’abitudine cesserà con i primi decenni del 1900. 207. V. R. Marconato, op. cit., p. 85-86. 208. V. Storia delle Scuole Elementari dall’Unificazione d’Italia (1866) al 1906, a cura del Dott. Fiorenzo Rizzetto Cittadella, 1983. A questa ricerca mi rifarò per le notizie sulle Scuole di Santa Croce nella seconda metà del secolo. 209. A Cittadella le prime Scuole Elementari Normali furono istituite nel 1809. 210. V. Storia delle Scuole Elementari…, op. cit., p. 27-28. 211. Questa lettera e la seguente sono riportate in Storia delle Scuole Elementari…, a cura del dott. Rizzetto, a pag. 63. Dal volume citato ho preso anche le notizie e i dati successivamente riferiti. 212. V. Storia delle Scuole Elementari…, op. cit., p. 131.

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A destra: in questa foto degli anni Sessanta si vede l’edificio della Scuola Elementare “Cesare Battisti” di Santa Croce Bigolina costruita nei primi anni del Novecento.


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A sinistra: in questa cartolina edita negli anni Trenta si vede la Chiesa di Santa Croce con la facciata ancora priva di intonaci dopo l’ampliamento ed il prolungamento della navata voluti da Don Antonio Santacatterina. Sulla parete nord si distingue ancora il segno della sopraelevazione del tetto.

A

ffrontiamo ora l’ultima tappa del nostro viaggio, addentrandoci tra gli avvenimenti del Novecento, il secolo dei nostri padri e della nostra generazione, che abbiamo da poco lasciato per introdurci nel nuovo millennio. Se i nostri avi hanno visto importanti vicende storiche, nessuno come noi ha vissuto cambiamenti epocali tanto grandi e tanto importanti quali quelli che sono stati realizzati soprattutto nella seconda metà del secolo e che hanno fatto progredire, in bene e in male, la storia dell’uomo molto più che in tutti i tempi precedenti: invenzioni come l’energia elettrica, quella atomica, le automobili, gli aerei, la radio, la televisione, il computer, ecc. hanno rivoluzionato la nostra vita. Pensate se i nostri bisnonni o i nostri nonni tornassero in vita: forse non riconoscerebbero neppure Santa Croce e si chiederebbero dove sono capitati. In effetti basta confrontare il paese di ora con quello di cinquanta, sessant’anni fa per accorgersi degli straordinari mutamenti avvenuti. Ma procediamo con ordine, avvertendo il lettore che la nostra storia si fermerà al 1962, anno della morte dell’ultimo Parroco di cui parleremo, Don Domenico Valente.

CAPITOLO 17

I primi decenni del Novecento Don Antonio Santacatterina conduce la Parrocchia nel nuovo secolo

Non ci spingeremo oltre, sia perché gli altri Parroci sono ancora tutti viventi sia perché gli avvenimenti che hanno interessato il nostro paese oltre la data indicata sono ancora troppo recenti, e non vogliamo correre il rischio di darne una valutazione non del tutto obiettiva. Speriamo comunque che altri, in futuro, riprendano questo lavoro dal punto in cui è stato lasciato, arricchendolo di nuove ricerche. Don Antonio Santacatterina, 8° Parroco (1904–1927) A quasi un anno dalla morte di Don Sante Vangelista, il 20 agosto 1904 Mons. Antonio Feruglio, Vescovo di Vicenza, confermando la scelta dei capifamiglia, secondo l’antichissima tradizione ad essi spettante, affidava la Parrocchia di Santa Croce Bigolina a Don Antonio Santacatterina, nato a Schio il 20 gennaio 1858 da Giuseppe e Chiara Greselin. Don Antonio fece il suo ingresso in Parrocchia il 23 ottobre 1904; vi resterà per ben 22 anni. Dotato di profonda e vasta cultura, esperto in architettura, egli si dimostrerà anche uno dei più validi sacerdoti che Santa Croce abbia avuto, guida sicura e sollecita della Parrocchia, pronto al conforto e all’aiuto di pag.

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tante vedove e orfani durante la prima guerra mondiale e nel contempo preoccupato di ampliare e abbellire la Chiesa e di dare a Santa Croce nuove strutture per l’educazione dei bambini e dei giovani. Della sua opera ci resta per fortuna un resoconto dettagliato, scritto di sua mano e conservato nell’archivio parrocchiale, di cui dobbiamo essergli veramente grati. Noi lo riporteremo quasi integralmente, approfittando di questo anche per dare sulla nostra Chiesa, sul campanile e sulle campane quelle notizie che non abbiamo avuto modo di riferire finora. L’ampliamento e la decorazione della Chiesa Parrocchiale Agli inizi del Novecento la popolazione di Santa Croce era notevolmente aumentata, giungendo a contare quasi 1200 anime e la chiesa si rivelava oramai insufficiente ad accogliere tutti i fedeli. Si rendeva dunque necessaria una ristrutturazione dell’edificio sacro. Iniziò così una vicenda che coinvolse tutta la Comunità. Ma ascoltiamo quanto racconta in terza persona, come fosse quasi un’ avventura, lo stesso Don Antonio nelle sue memorie: pag.

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“La Chiesa eretta in puro stile gotico francescano, fu, non si sa l’epoca precisa, deturpata, riducendola a stile ionico, colle finestre a mezza luna (com’è attualmente) e col soffitto, riuscendo questo ultimo basso e schiacciante (quasi certamente prima, al posto del soffitto, c’erano delle capriate in legno, com’è tipico delle chiese francescane); fu conservato però il coro con i suoi archi acuti e soffitto a volta reale, ma mutate le fenestre. Il soffitto, nel 1877, fu decorato da tre pitture, quella nel mezzo rappresentante l’Invenzione di Santa Croce, titolare della Parrocchia, quella verso il Coro il martirio di San Bellino compatrono, quello verso la porta maggiore Sant’Antonio da Padova con Ezzelino, opera di Roberto Pittaco213. Fu ingrandito e rifatto l’Organo, e furono poste sul Campanile tre nuove Campane214, tutto ciò sotto il parrocato del benemerito e zelante Parroco Don Angelo Costantini. Il successore Don Sante Vangelista fece il nuovo pavimento215. Per la cresciuta popolazione resasi insufficiente questa Chiesa, il Parroco Don Antonio Santacatterina ideò un progetto d’ingrandimento prolungan-


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do nel davanti la Chiesa di 5 metri, aprendo 3 Cappelle per lato, per riporre nelle due prime i due altarini che ora stanno a ridosso in fianco al Coro, e costruendo sul lato est-ovest lungo il Coro dalla parte della Via Comunale un Oratorio per le Confraternite, Congregazioni e Dottrina. Radunati in Chiesa dopo le sacre Funzioni tutti i Capifamiglia della Parrocchia, il Parroco espose il progetto e tutti furono persuasi della necessità e disposti a dar principio ai lavori, apparecchiando intanto nell’invernata 1905-1906 i materiali occorrenti. Si pensò da prima di farsi da sè la calce con sistema vecchio servendosi della Fornace del nobile Principe Giovannelli avuta gentilmente in prestito gratuitamente dall’Agente Cav. Carlo Miolo. Raccolti i sassi per la calce sul Brenta, coll’opera di 26 boerie gratuite216, in un sol giorno furono trasportati alla fornace. Nella settimana dal 5 ai 12 Novembre 1905 la Fornace fu riempiuta e il giorno 13 Dicembre, non prima per causa del cattivo tempo, fu dato fuoco e sulla mezzanotte dal 16 al 17 Dicembre la calce era cotta, e tolto il fuoco alla Fornace. Il giorno 18 dello stesso mese le

boerie trasportarono tutta la calce dalla Fornace a Santa Croce, altre 5 boerie trasportarono da Cogno 4000 quadrelli, operai si prestarono alla bagnatura della calce, altri volonterosi escavarono i fondamenti fino alla profondità di metri 2 circa e della larghezza di metri uno e cent. 10. Si trovarono ossa umane diverse ed un cranio intatto di un giovane forse sui 20 anni217. Il 20 dello stesso Dicembre furono gettati i fondamenti, con bettonata di ghiaia del Brenta e calce spenta al momento e sassi, il 21 fu terminato il fondamento, la bagnatura della calce ed il trasporto del terreno dell’escavo pel fondamento al di dietro del Cimitero per essere poi incorporato col Cimitero stesso nel prolungamento, secondo il progetto municipale, trattandosi di terreno dell’antico Cimitero intorno la Chiesa. Il giorno 27 Febbraio, ultimo di Carnevale, tutte le boerie e molti operai preavvisati in Chiesa dal Parroco, si portarono sul Brenta a raccogliere e trasportare sassi e sabbia alla Chiesa pei lavori in progetto. Questa Fabbriceria fino dal Novembre 1905 presentava all’Onorevole Sig. Sindaco di Cittadella una istanpag.

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za, domandando metri quadrati 87 di strada comunale, cioè metri 2 di larghezza lungo la Chiesa e circa 4 lungo il Coro per l’ampliamento della Chiesa, ed in compenso la Fabbriceria avrebbe escavati i gelsi lungo la Rosta Michela. L’istanza venne corredata da relativo progetto eseguito dal Parroco e firmato dall’Ingegnere Vittorio Marcante. Il Consiglio Comunale nella seduta del 27 Dicembre 1905 accolse favorevolmente l’istanza ed approvava ad unanimità il progetto. Inoltrata la deliberazione consigliare alla Regia Prefettura per l’approvazione, questa spedì dapprima il Perito Sig. Fidora Ispettore stradale a Santa Croce Bigolina ad un sopralluogo, e l’Ufficio tecnico provinciale diede voto negativo, non volle approvare la deliberazione del Consiglio Comunale e questo replicò, pregando di venir esaudito per accontentare la Frazione che si sobbarcava alle spese dell’ampliamento della Chiesa, assolutamente necessario. Allora l’Ufficio tecnico provinciale spedì da Padova l’Ingegnere Bocchi ad un nuovo sopralluogo, ma dopo pochi giorni l’Ufficio stesso diede nuovamente voto negativo. Il Municipio di Cittadella insisté pag.

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per la terza volta e nel frattempo il Parroco pregò il Commendatore Dottor Giovanni Astigiano Consigliere Provinciale ad interessarsi della cosa presso la Prefettura per averne l’approvazione e l’Onorevole Sig. Sindaco. Questi gentiluomini si interessarono veramente ed efficacemente, e qui218 si conserva il carteggio epistolare relativo del Comm. Astigiano perché anche li posteri sappiano a chi tributare la gratitudine e la riconoscenza”. Il giorno 5 giugno giunse finalmente al Parroco copia della risposta della R. Prefettura alla nota 29 Aprile 1906, nella quale è detto che “la Deputazione Provinciale ha dato voto favorevole alla deliberata cessione di pochi metri quadrati di suolo stradale per l’ampliamento di questa Chiesa. Prima però di sottoporre la deliberazione consigliare 27 Dicembre alla approvazione della Giunta Provinciale Amministrativa, è necessario che a completa istruttoria dell’affare venga pubblicato l’avviso ad opponendum, di cui agli Articoli 17 e 18 della legge sui lavori pubblici. Intanto occorre provocare sul progettato ampliamento della Chiesa l’autorizzazione del Ministero di Grazia Giustizia e


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Culti, giusta quanto è prescritto dall’ordinanza ministeriale 15 Settembre 1807219. La Fabbriceria all’uopo invitata ha prodotto… l’istanza che… debbo restituire, essendo necessario venga corredata da un regolare progetto di ampliamento, e dalla prova specifica della esistenza dei mezzi per far fronte alla spesa relativa. Bisogna assolutamente che sia assodata la spesa cui si va incontro ed ai mezzi sui quali si può con certezza far assegnamento, tanto più che deve escludersi… ogni concorso da parte del Municipio. Vossignoria comprenderà che in tale materia conviene procedere con ogni circospezione e regolarità e perché il voluto ampliamento si compia in base ad analogo preventivo e per evitare che una volta iniziati i lavori questi debbano sospendersi per mancanza di mezzi. Rinvio frattanto tutti gli Atti. Firmato il Prefetto Ruspaggiari”. “In seguito alle volute richieste – scrive Don Antonio - nella risposta succitata il Municipio colla data 9 Giugno pubblicava l’avviso ad opponendum, spirante col 9 luglio; nel frattempo il Parroco preparava i dettagli del progetto generale e la specifica della spesa, che gentilmente

firmati dall’Ingegnere Vittorio Marcante furono depositati al Municipio per essere trasmessi alla Regia Prefettura, insieme alla prova specifica dell’esistenza dei mezzi per eseguire i lavori, cioè i materiali già pronti, calce, sassi, sabbia, mattoni, l’esito di una sottoscrizione fra tutti i capifamiglia L. 1.113, più la promessa di una questua dei prodotti della campagna, e tutto ciò di anno in anno fino a lavoro completo. Questa dichiarazione con personale responsabilità venne firmata oltre che dal Parroco e Commissione da tutti i Signori possidenti del paese. Il giorno 25 Giugno 1906 si dà principio ai lavori di prolungamento della Chiesa, e dopo fatta la livellazione sopra il fondamento già gittato nel Dicembre 1905 si collocano le pietre del basamento eseguite dai fratelli Cavallini di Pove, e poi si continuò il lavoro in mattoni e pietre. Il lavoro viene fatto per economia, cioè a giornata dai muratori del paese Mazzocchin Innocente e figlio, col manovale Merlo Servilio, sotto la vigilanza e direzione del Parroco. A fornire il legname per l’armatura si è fatta una questua di Robine, e in due giorni fu pronto tutto il legname necessario220. pag.

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Ai primi di Ottobre era terminata la facciata eseguita all’esterno tutta in mattoni meno le parti in pietra tenera, cioè le basi ed i capitelli delle lesene eseguite e fornite dagli stessi fratelli Cavallini di Pove221, e per la festa del Santo Rosario era ultimato anche il coperto e demolito il muro della vecchia facciata informe e senza ordine architettonico; la parte nuova di prolungamento fu aperta al pubblico con soddisfazione generale222. Il lavoro fu ripreso nella state successiva 1907 coll’innalzare prima di tutto gli stipiti di pietra tenera della porta maggiore coll’architrave e timpano in armonia collo stile prescelto. Furono aperte le altre due cappelle al lato sinistro sulla strada comunale, l’arco della prima era stato eseguito l’anno innanzi, protendendosi per due metri al di fuori e tenendo tutta una linea sul muro esterno delle cappelle di maniera che tra una cappella e l’altra sortì un camerino tra le due prime cappelle, in comunicazione colla chiesa con una porticina nella seconda cappella, un piccolo atrio tra la seconda e terza cappella per la porta laterale degli uomini, collocandovi sull’apertura esterna i due stipiti e architrave della porta maggiore vecchia223, pag.

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e finalmente un secondo camerino tra l’ultima cappella e la linea del muro del presbiterio comunicante coll’Oratorio che sorge prolungando in linea retta il nuovo esterno delle cappelle ed il muro del presbiterio e del coro. Volendo conservare i fori delle finestre della Chiesa come stanno a risparmio di spesa, si è dovuto sacrificare, cioè tenere più basso il coperto sopra il primo camerino e sopra l’atrio della porta laterale per lasciare libera la luce alle finestre. Per la luce invece delle due finestre del presbiterio e del coro si è provveduto coprendo il coperto dell’Oratorio sopra le finestre stesse con vetri grossi in cristallo… Nel luglio 1908 fu ripreso il lavoro aprendo i due archi delle due cappelle a destra, l’arco della prima cappella, quella cioè del Battistero, era stato fatto eseguendo il prolungamento della Chiesa. Tra le tre cappelle quindi sortirono due camerini, il primo in comunicazione colla Chiesa e colla canonica, il secondo con una scaletta in legno per accedere al pulpito224. Tra la linea del muro delle cappelle ed il muro esterno già chiuso e coll’aprire quattro finestre sortì un corridoio della larghezza di m. 1.20 in comunicazione della canonica225.


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Dal corridoio passando pel primo camerino si passa in chiesa per una porticina che mette nella seconda cappella226, dal secondo camerino al pulpito, dal fondo del corridoio per un angolo passando pel campanile si accede alla sacrestia ed al coro. Per la cessione di area di mq. 7 dalla parte della corte dei Signori Marcante227 al di là della sacrestia e lungo il presbiterio e coro si è potuto fabbricare un camerino o corridoio in comunicazione della sacrestia e, mediante una porta, col coro al di dietro dell’altare sotto l’organo228. Nel giorno 2 Agosto 1909 furono ripresi i lavori. Si scoprì il coperto a due riprese e si innalzarono i muri sopra la parte vecchia all’altezza della parte nuova, cioè di Metri 2.20. Si trovò il vecchio coperto in tristissime condizioni specialmente presso il campanile. Una catena229 già guasta nel punto d’appoggio si era abbassata di centimetri 40, facilmente per causa dell’oscillazione del campanile. Furono ridotte le migliori delle vecchie catene, se ne soppressero tre e si adattò il legname con sistema come nella parte nuova, cioè catene, corde, murali, a differenza del vecchio coperto, che

era senza corde, il tutto di castagno che dal tempo e dal peso si era incurvato. Soppresse le vecchie tegole utilizzandole nel muro di innalzamento e collocate le nuove tavelle e coperto provvisoriamente con coppi, si procedette all’innalzamento del soffitto. Collocati a suo posto i modiglioni in legno che devono poi portare le catene del soffitto, furono divisi i tre quadri230 segando le cantinelle e assicurando il quadro di mezzo con muraloni al di sopra delle catene legati alle cantinelle esposte. Applicate le carrucole a doppia polleggia alle corde del coperto obliquamente e nel primo quadro, cioè quello di Sant’Antonio, per due volte per trasportarlo orizzontalmente al posto, cioè facendolo camminare per più di tre metri il giorno 22 Settembre, dopo tagliate le catene del soffitto e approntato ogni cosa, coll’aiuto di 30 parrocchiani applicati alle corde e altri al di sopra del coperto, si trasportò il 1° quadro prima orizzontalmente e poi se lo fece salire all’altezza dei modiglioni e riposare sopra essi. Appostate nei due giorni successivi le puleggie al secondo quadro, quello di mezzo, e approntata ogni cosa come sopra, il giorno 25 di Settembre felicemente ancor pag.

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meglio del primo, se lo fece camminare per lo spazio di due metri circa e poi innalzare al suo posto. Appostata ogni cosa al terzo quadro, quello di San Bellino, il giorno 26 che fu di domenica, dopo la seconda Messa, tagliate le catene e fattolo camminare per un metro circa, in 10 minuti fu fatto salire al suo posto felicemente e con soddisfazione di tutto il popolo spettatore fermatosi in Chiesa a vedere lo spettacolo di nuovo genere. Nella successiva settimana si fece un po’ di pulizia alla Chiesa in apparecchio della solennità del S.S. Rosario, e ricomponendo le tavelle e i coppi del coperto, applicando le gorne al lato della via pubblica. Alla metà di gennaio 1910 fu ripreso il lavoro e cioè si chiuse a cantinelle tutta la parte scoperta del soffitto unendole a quelle dei quadri, collocando i centeni231 al di sopra della cornice dell’attico, già formato, innalzando altrettante lesene232 al di sopra della trabeazione vecchia corrispondenti alle lesene già esistenti, e livellando a piombo gli intermezzi, che per lo strapiombo dei muri vecchi specialmente dal lato della via pubblica si trovavano (fuori piombo) in certi punti di 15-20 e anche più centimetri. pag.

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Si intonacarono di buona malta, fatta con calce vecchia e cotta a sistema vecchio come è detto da principio, le cantinelle del soffitto. Si lavorò quindi nell’Oratorio, ultimando la cornice e applicati i centini sopra questa a raggio quasi intero e su questi le cantinelle e la malta, e lasciando liberi due lucernari corrispondenti ai lastroni già posti sul livello del coperto, si aprì la porta che mette al di dietro del coro e si fece finalmente il pavimento in mattonelle rosse, bianche e nere e ai primi di aprile furono sospesi i lavori. Ai primi di settembre 1910 furono ripresi i lavori per la stabilitura, prima di tutto del soffitto rifacendo in parte le cornici dei quadri, poi i muri laterali con relative cornici, rifacendo e modificando la vecchia trabeazione. Il lavoro fu lungo e paziente perché durò ininterrotto fino ai primi di Aprile 1911. Terminata la stabilitura della Chiesa, si passò a stabilire l’Oratorio, il dietro coro, il corridoio adiacente la sacrestia, il campanile (interno), il corridoio che mette nella canonica233, la scala della canonica colle relative tinte, eseguite dal giovane Baggio Antonio di Andrea e Merlo Servilio, lavoro che fu termi-


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nato verso la fine di Novembre 1911. Alla metà di Maggio 1911 fu cominciata la tinta alla Chiesa dal Sig. Bordin Attilio, allievo del defunto Pittore Don Demetrio Alpago, coi suoi allievi e la decorazione, adoperando colori Blundell. Il Bordin intanto cominciava a dipingere i 15 quadri rappresentanti i 15 Misteri del S.S. Rosario234 e alla fine di Dicembre 1911 avea dipinti già i 5 primi, cioè i Gaudiosi. Nel marzo del 1911 furono demoliti i due altari laterali e poi riposti nelle due prime Cappelle rialzandoli di un gradino sopra la mensa e aggiungendo una base ai lati di essi altari, lavoro eseguito dal Sig. Giacomo Cavallin di Pove. Terminate la tinta e la decorazione della Chiesa verso ai primi di Ottobre 1911, si trovò che i quadri della Via Crucis più non rispondevano alla decorazione nuova, quindi si pensò di rinnovarli, cioè se ne acquistò una nuova Via Crucis dal Sig. Giovanni Galla di Vicenza al prezzo di L. 135235. Questa Via Crucis fu eretta canonicamente e solennemente il giorno primo Ottobre 1911, festeggiandosi in quel giorno il S.S. Rosario, dal M.R. Don Angelo Arguello, Arci-

prete Vicario Foraneo di Fontaniva. I Pittori intanto continuarono a diverse riprese la decorazione nell’inverno 1911-1912, mentre il Bordin proseguiva nell’indirizzo della decorazione specialmente nel Coro e Presbiterio, lavoro lungo e paziente, ma riuscito di generale soddisfazione e nel dipingervi contemporaneamente i 6 Profeti maggiori nel Coro alle basi delle arcate e tutti i cherubini che adornano le arcate stesse. Si passò quindi al Presbiterio per la decorazione in armonia col Coro e dipingendo nelle due arcate i 12 Apostoli e relativi cherubini e ritoccando specialmente i fondi dei 4 Evangelisti già esistenti e dipinti nel 1877 da Rocco Pittaco, specialmente il S. Marco molto deperito dall’umidità penetrata dal tetto soprastante mal costruito e abbellendoli coll’aureola dorata ad imitazione mosaico. Sulla parete dalla parte dell’Epistola di fronte alla finestra si dipinse lo stemma dei Nobili Bigolino a ricordo della loro munificenza e al nome che diedero al paese; più in basso sulla stessa parete i due stemmi, l’uno del Sommo Pontefice gloriosamente regnante Pio X, l’altro del nuovo Vescovo di Vicenza Mons. Ferdinando Rodolfi, e questi a ricordo se non altro pag.

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dell’epoca dei lavori eseguiti236. Fra i lavori eseguiti in questo contempo è da ricordare l’abbellimento del Pulpito arricchendolo di stucchi dorati e con cimaza237 intagliata in legno nel coperchio e dipingendolo tutto a nuovo. La Cassa pure dell’Organo con tinta a stucco e con rilievi pure a stucco dorato, con cimaza in legno e stucchi pure dorati in parte, le due lesene e specialmente l’apertura dell’Organo con lavoro a traforo in legno cirinolo nei triangoli ai due lati facendoli sostenere da due colonnine intortigliate e sostenenti l’arco soprastante acuto, il tutto per ridurre anche la Cassa in armonia coll’architettura del Coro. Così pure i due bracciali per le lampade all’imboccatura del Coro238. Tutti questi lavori erano ultimati alla metà del Maggio 1912 ed ai primi di Giugno ritornava il solo Attilio Bordin per proseguire nei tre ultimi quadri dei Misteri gloriosi. Ai primi di Luglio 1912 erano terminati i tre ultimi quadri del S. Rosario cioè i tre ultimi misteri, contornando poi tutti i quadri con lastine in legno dorato. Il Bordin eseguì finalmente la coperta dell’organo239 dipingendo su tela apposita la Croce in gloria con due Anpag.

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geli ai piedi in atto di adorazione e con cherubini con nastro colla dicitura: ‘In hoc signo vinces’ a ricordo del centenario della conversione di Costantino il Grande e della libertà concessa alla Chiesa240. Il giorno 6 Luglio 1912 il Bordin partiva da Santa Croce Bigolina terminati i lavori. Tutti i lavori di tinte, decorazione e dipintura di tutti i quadri dei Misteri, che complessivamente sommano 32,40 Metri quadrati, costarono L. 4.844, 36, somma che fu pagata a saldo al Bordin il giorno 4 Luglio come da ricevuta avendo fatto un prestito la Commissione di L. 2.500 colla Banca Antoniana di Cittadella, firmando la cambiale il Parroco, i tre Fabbricieri e il Sig. Cocco Paolo. Anche l’Altare maggiore più non rispondeva ai nuovi lavori e fu data commissione al Sig. Giacomo Cavallin di Pove per una riduzione e miglioramento sul progetto del sottoscritto Parroco. Si rifecero i fianchi dell’Altare ex novo sporgendoli più in fuori ai lati occupando l’ultimo gradino, mentre prima si sporgeva solamente sul secondo, portandoli però più in avanti in linea cioè del termine della mensa, sovrapponendo a questi fianchi i dadi vecchi che prima erano


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mezzo nascosti, elevandoli con una sotto base e sovrapponendo le vecchie statue di S. Francesco e di S. Antonio in maniera che ora sono più in vista avendole portate più in avanti e più in fuori ai lati, cioè al di là della mensa: si rialzarono anche le porte laterali241 in maniera che l’architrave di queste riesca in linea orizzontale colle basi delle statue e colla cornice e nuovi specchi in lastre di marmo che ricorrono fra le due statue. Anche il Tabernacolo vecchio era indecente. Il Cavallin avendo un Tabernacolo vecchio tutto in marmo di Carrara di 1ª qualità, ben lavorato e di ottima architettura (era della chiesa arcipretale di Dueville) lo adattò a questo Altare maggiore elevandolo sopra una base corrispondente fatta ex nuovo in marmo di Carrara e nella quale adattò la Custodia per le Sacre Specie, per modo che il Tabernacolo è in vista anzi trionfa elevandosi dal pian terreno di Metri 4.35 e sopra la mensa di Metri 3.10242. In vista della futura consacrazione dell’Altare maggiore si è posta sopra la vecchia mensa una lastra di marmo di centimetri 4 che copra tutta la mensa come è prescritto, giacchè la vecchia mensa era in disordine forse

per aver rimosso l’altare stesso per due volte e quindi perduta l’antica consacrazione del 1415… Coi pezzi di gradini e piccole cornici e coll’antico tabernacolo avanzati dall’altar maggiore si costruì un altare economicamente nel nuovo Oratorio243 e così si diede termine a tutti i lavori interni della Chiesa ai primi di Luglio 1912. La spesa totale di tutti i lavori dal 24 Agosto 1905 fino ad oggi Luglio 1912 ammonta a L. 22.244 e centesimi 42. Furno pagate finora L. 18.244,42, resta il debito di L. 4.000, che si spera di poter saldare colla contribuzione dei fedeli e coi risparmi della Fabbriceria colla benedizione di Dio”. Il Regolamento per i Sacrestani-Campanari della Parrocchia di Santa Croce Bigolina Fra le varie incombenze, Don Antonio Santacatterina si assunse anche quella di stendere un nuovo regolamento per i sacrestani-campanari di Santa Croce. Fare il sacrestano era allora un vero e proprio lavoro, poiché comportava anche la custodia del Cimitero e quindi una retribuzione da parte dell’Amministrazione Comunale. Riportiamo qui pag.

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il regolamento, firmato dai Fabbricieri e dal Parroco e conservato nell’Archivio parrocchiale, che presenta diversi aspetti interessanti soprattutto oggi, tempo in cui il mestiere di sacrestano o non esiste più o ha perso l’importanza che rivestiva. “Il servizio della Chiesa parrocchiale in passato veniva prestato da tre inservienti Sacristi - Campanari per turno settimana per settimana. Allo scopo di ottenere una maggior responsabilità e regolarità nel servizio stesso, l’attuale sottoscritto Parroco d’accordo colla Fabbriceria fino dall’anno scorso ha introdotto una modificazione, e dopo un esperimento di un anno, di comune accordo ha esteso il seguente regolamento. Dei tre Sacristi-Campanari è stato prescelto uno nella persona di Merlo Servilio coi seguenti oneri e doveri: 1. Dovrà prestare il servizio quotidiano, cioè suonare le campane mattina, mezzodì e sera, assistere i sacerdoti nella celebrazione delle SS. Messe, amministrazione dei Sacramenti, ecc. 2. Avrà tutta la responsabilità della pulizia, dell’ordine e della conservazione di tutto ciò che appartiene alla Chiesa, come primo pag.

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Sacrista-Campanaro. 3. Il primo Sacrista-Campanaro sarà anche il Custode del Cimitero comunale, e ciò d’accordo e colla nomina dell’autorità municipale, colla responsabilità dei delicati doveri sia nell’escavo delle fosse, nel seppellimento dei cadaveri, nella pulizia e nell’ordine generale del Cimitero dati dal Comune stesso e sotto la vigilanza del Parroco pro tempore. 4. Il primo Sacrista-Campanaro sarà pure il Regolatore dell’Orologio pubblico collocato sul Campanile, rifatto già nuovo e che funziona fino dai primi di Ottobre scorso 1908 a spese comunali, coi doveri relativi a tale ufficio244. 5. Gli altri due Sacristani-Campanari, attualmente Fusaro Gio. Battista e Toniolo Luigi, restano quali Assistenti e dovranno coadiuvare il primo Sacrista-Campanaro nel suonare le campane quando devono esser suonate tutte e tre, nel tener la pulizia in Chiesa, nel servizio e assistenza in tutte le Domeniche e feste durante le SS. Messe, Dottrina e sacre Funzioni, e nelle feste secondarie fra settimana, nelle forniture e sforniture245, e in generale alla dipendenza del primo Sacrista-Campanaro.


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6. Gli Assistenti dovranno coadiuvare il Custode del Cimitero nella pulizia generale, nell’escavo delle tombe e sostituirlo tanto in Chiesa quanto nel Cimitero e nel regolare l’Orologio tutte le volte che il Primo fosse legittimamente impedito. 7. I proventi saranno divisi come segue: il primo Sacrista-Campanaro, per esser anche Custode del Cimitero e Regolatore dell’Orologio, avrà tutto lo stipendio del Comune per tali uffici. Lo stipendio invece pure del Comune per l’escavo delle fosse stabilito in Lire due per ciascheduna, sarà diviso fra tutti e tre dovendo concorrere tutti e tre nella fatica dell’escavo. Il primo Sacrista-Campanaro avrà tutti gli incerti provenienti dagli Uffici pei defunti, dai Battezzi della Parrocchia. Tutti gli altri proventi di questue solite a farsi in paese, del 12.50 per cento sulle elemosine delle sedie di Chiesa, dei Matrimoni, quando però è ordinato di suonare tutte e tre le campane, degli obiti, del contributo della Fabbricieria per le forniture fra l’anno, saranno divisi fra il Primo Sacrista-Campanaro e i due Assistenti in parti eguali. Così approssimativamente il Primo viene a percepire la metà di tutti i proventi e l’altra metà

divisa fra i due Assistenti. Santa Croce Bigolina, 24 febbraio 1909”246. Un inaspettato Ospite illustre Il 26 settembre 1912 Santa Croce ebbe una sorpresa: la visita improvvisa di Mons. Maggio, Vescovo di Ascoli Piceno, vecchio amico del Parroco. Il fatto fece clamore e fu riportato la domenica successiva sul numero 268 della rivista della Diocesi “Il Berico”, che Don Antonio riporta testualmente: “Giovedì mattina alle ore 11 (26 settembre 1912), nonostante il cattivo tempo, questo paesello s’ebbe una visita graditissima da S. E. Mons. Maggio Vescovo Principe di Ascoli-Piceno247. Annunciato il suo arrivo dal suono festoso delle campane, molti vi accorsero alla Chiesa e quivi dall’altare S. E. rivolse brevi ed affettuose parole, rievocando gli anni passati, quando più di frequente vi veniva e per la Missione o a rivedere l’amatissimo nostro Parroco cui è legato da vincoli di amicizia e da ricordi della vita di Seminario. Ebbe parole di plauso per tutto il paese che colla sua concordia e fiducia illimitata nello zelo del buon Pastore, contribuì in breve tempo a ridare alla pag.

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vecchia chiesa nuova forma e un nuovo splendore. In verità chi ricorda la Chiesa come era da 6 anni, la dice un rudere e potevano già a quest’ora sapere quanto pesava il soffitto, dato che ci fosse rimasto il tempo di grattarci la pera. Ora invece il tempio s’è allungato, ha sei cappelle internate, un piccolo oratorio annesso e molti comodi. Internamente intorno al corpo della Chiesa sono istoriati i 15 misteri del Santo Rosario, lavoro riuscito del Sig. Attilio Bordin allievo del celebre defunto Don Demetrio Alpago. Il coro poi è addirittura un gioiello. Gli si è conservata la vecchia forma (stile gotico), ma le ricche decorazioni aggiunte e il numero delle pitture, Evangelisti, Apostoli, Profeti e teste di angeli, vi dicono tutta una gloria. Piace tutto e per l’intonazione dei colori e per la disposizione dei soggetti. Abbiamo proprio un tesoro di chiesa condotta alla fine con criteri tecnici e in quanto a ciò il Parroco che è e che ne fu l’architetto, meritava davvero unitamente al paese la lode dell’Ospite illustre. Ed ora attendiamo un giorno solenne in cui l’Angelo della nostra Diocesi, Mons. Vescovo di Vicenza, colla pompa delle ceremonie la asperga di acqua lustrale. pag.

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Intanto mandiamo infinite grazie a S. E. Mons. Maggio per averci onorati della visita augurandoci di poterlo ancora vedere”. Questa non sarà l’unica visita di Mons. Maggio. Egli ritornerà infatti ancora a Santa Croce nel settembre del 1914 e nel settembre del 1920, quando inaugurerà il Capitello della Regina della Pace. Relazione sulla Parrocchia in preparazione della visita pastorale Il Vescovo di Vicenza, accogliendo l’invito del Parroco, annunciò che sarebbe venuto in visita pastorale a Santa Croce nell’ottobre del 1913. Come di consueto, la visita doveva essere preceduta da una particolareggiata relazione sulla Parrocchia. Da tale relazione, inviata alla Curia vescovile, risulta che, al 31 Dicembre 1912, gli abitanti di Santa Croce erano 1.110 e le famiglie 130, così suddivisi: Via Roverate: Via Tre Case: Via Chiesa: Via Molini: Via Volto: Via S. Lucia: Via Postumia:

abitanti 79, abitanti 279, abitanti 58, abitanti 23, abitanti 231, abitanti 243, abitanti 192,

famiglie famiglie famiglie famiglie famiglie famiglie famiglie

10 30 10 4 34 20 22


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Una quindicina di persone erano emigrate all’estero. La Parrocchia, allora come adesso, era lunga 3 chilometri e larga 2,5. Il Parroco era coadiuvato da Don Sebastiano Centofante248. La chiesa era dotata delle seguenti reliquie: -Reliquia di S. Antonio da Padova, autenticata in data 13 maggio 1787; -Reliquia di S. Bellino, autenticata in data 9 aprile 1791; -Reliquia della Beata Vergine, autenticata in data 27 settembre 1809; -Reliquia della Santa Croce, autenticata in data 22 aprile 1825, confermata il 31 marzo 1905; -Reliquia di S. Biagio, autenticata il 31 gennaio 1907249. Queste le Confraternite esistenti: -Confraternita del SS. Rosario, approvata in data 15 novembre 1889 con 340 aderenti; -Confraternita del SS. Sacramento, approvata in data 8 giugno 1905 con 148 aderenti; -Confraternia del Terz’Ordine, approvata in data 4 novembre 1907 con 106 aderenti; -Confraternita della Dottrina Cristiana approvata in data 31 gennaio 1907

con 145 aderenti; -Confraternita di San Luigi, approvata in data 8 giugno 1905 con 74 aderenti; -Lega contro la bestemmia, approvata in data 1 gennaio 1912 con 143 aderenti; -Lega dei genitori cristiani (sarà approvata nel gennaio 1913) con 111 aderenti. L’attività sociale di Don Antonio Santacatterina: il primo sindacato cattolico a Santa Croce Don Antonio, oltre che in campo religioso, si diede da fare anche per organizzare i contadini in difesa dei loro diritti. Infatti, nel Documento inviato in Curia in vista della visita pastorale, fra le altre Associazioni, si parla anche della costituzione di un Sindacato agricolo, approvato il 1 luglio 1910, con 107 aderenti. Vale la pena spendere una parola per spiegarne la nascita e la presenza anche a Santa Croce, in un’ epoca in cui le associazioni sindacali erano una vera e propria novità, assai malvista dai grandi proprietari terrieri. Nel 1891 Papa Leone XIII emanava l’enciclica “Rerum Novarum”, che pag.

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trattava dei problemi sorti a seguito della prima rivoluzione industriale: rapporti fra padroni e operai, fra Stato e cittadino, fra Chiesa e Stato, uso della ricchezza, giusto salario, diritto di sciopero, ecc. I governi cosiddetti “liberali”, infatti, mentre da una parte avevano offeso i sentimenti religiosi degli italiani, dall’altra, in nome della libertà economica, avevano soffocato le giuste rivendicazioni dei contadini e degli operai. Intanto si stavano sempre più diffondendo in Italia le idee socialiste e nel 1893, ad opera di Filippo Turati, si costituì il partito socialista dei lavoratori italiani. I cattolici non potevano far finta di niente e, nonostante la proibizione del Papa di partecipare alla vita politica a seguito dell’occupazione dello Stato Pontificio nel 1870, si riunirono nell’Opera dei Congressi, che aveva lo scopo di difendere i diritti della Santa Sede, ma anche gli interessi religiosi e sociali degli italiani. Il movimento sociale cattolico ebbe così un notevole sviluppo e portò ad una concreta azione nel fondare società di mutuo soccorso, cooperative e casse rurali. Sulla scia di questo “risveglio” dei cattolici, si formò un vero e proprio “Sindacato dei lavoratori della terra”, il cui scopo pag.

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era affermare i diritti dei contadini e impedire le più spudorate ingiustizie dei proprietari terrieri (sfratti ingiusti, imposizione di obblighi gravosi, ecc.). Nel 1910 l’Associazione riuscì ad avere più di 10. 000 iscritti nelle Province di Vicenza, Padova e Treviso, fra i quali i 107 di Santa Croce250. La visita pastorale di S. E. Mons. Ferdinando Rodolfi, il 9 Ottobre 1913 Ridiamo ora la parola a Don Antonio, che ci racconta nelle sue memorie la visita del Veacovo di Vicenza. Veniamo così a conoscenza anche delle procedure che ancor oggi vengono utilizzate nello svolgimento di una visita pastorale. “Arrivò la sera precedente alle ore 6. 37 biciclisti lo incontrarono a Fontaniva e lo precedettero. Le Confraternite del SS. mo e di S. Luigi col baldachino ed il Clero lo aspettarono al Ponte251 e dopo l’ossequio e un complimento recitato da 4 bambine, processionalmente e col Rito della S. Visita lo si accompagnò alla Chiesa e compiuta la Visita e rivolte brevi parole a tutto il popolo, colla benedizione del SS.° si terminò. Alla mattina del 9 Ottobre Lo si accompagnò


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in Chiesa, celebrò la S. Messa, al Vangelo ne fece la spiegazione, alla Comunione generale furono ammessi pure per la prima volta ben 62 fra fanciulli e fanciulle fra cantici soavi accompagnati dall’Organo. Ascoltata una Messa di ringraziamento, gli ammessi alla prima Comunione passarono in Canonica pel caffè e S. E. il Vescovo distribuì il ricordo: una medaglia e quadretto. Alle ore 9 vi fu la Cresima di n° 90 tra fanciulli e fanciulle ai quali il Vescovo rivolse belle parole. Quindi, finchè i fanciulli si disposero per la Dottrina, il Vescovo visitò gli Altari, i Confessionali, il Battistero, ecc. e poi visitò le singole Classi della Dottrina distribuite nei diversi locali. Processionalmente con tutto il popolo il Vescovo si portò al Cimitero pei suffragi e visita e ritornati in Chiesa, il Vescovo rivolse belle parole di ricordo e di ammaestramento e colla benedizione del SS.mo proprio coll’Angelus di mezzodì si terminò la S. Visita. Il Vescovo quindi col suo Promotore fiscale Prof. Dott. Veggian visitò l’Archivio parrocchiale e nel frattempo il Canonico Convisitatore Mons. Giovanni Girotto visitò gli Apparamenti della Sacrestia, l’Altare

dell’Oratorio, i due Oratori di proprietà del Sig. Carlo Marcante252 e Dottor Giovanni Ionoch253 e dopo il pranzo alle ore 5 il Vescovo con tutto il suo seguito fece ritorno a Vicenza fra il suono delle campane e gli evviva del popolo schierato al suo passaggio”. La nuova Immagine della Madonna del Rosario Nel fervore di rinnovamento portato avanti da Don Antonio, si decise di sostituire anche la statua della Madonna del Rosario. Come dice lo stesso Parroco, “l’antica Immagine del Rosario (pare sia stata fatta sotto il Parrocato di Don Francesco Bonato) più non rispondeva al decoro, deperita specialmente dall’umidità della nuova nicchia dell’Altare. Non era stata sospesa nella Sacra Visita pastorale del 9 Ottobre p.p., ma consigliato a rifarla quanto le circostanze economiche lo permettessero. Nell’Agosto p.p. alla presenza dei Fabbricieri e di altre persone si diede commissione al Sig. Romano Cremasco di Schio qui presente di una nuova Statua scolpita in legno. Lo scultore la spedì il giorno 2 Ottobre 1914 e nel giorno 4… Ottobre solennità del SS. Rosario fu solenpag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

nemente benedetta dal M.R. Don Angelo Arguello Arciprete Vicario Foraneo di Fontaniva, prima della Messa solenne cantata dallo stesso Arciprete Vic. For., il quale nel pomeriggio recitò pure il Panegirico e dopo questo la nuova Immagine fu portata per la prima volta in processione solennemente con soddisfazione generale essendo bella, artistica e spirante devozione. Costo L. 250”. Il giornale della Diocesi, “Il Berico”, nel numero 269 del 10 Ottobre 1914 a questo proposito scrisse tra l’altro: “Bravi quelli di Santa Croce che sanno far sacrifici grandi per la loro Chiesa…”254.

uno studente a Sarajevo, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia il 28 luglio. Per il complesso sistema di alleanze che legava i diversi stati, tutta l’Europa si trovò, fra luglio ed agosto, coinvolta nel conflitto. L’Italia, legata da un trattato all’Austria e alla Germania, all’inizio si dichiarò neutrale. Per la neutralità era tutto il mondo cattolico, così come i socialisti. Ma ben presto prevalsero le voci scatenate dei nazionalisti, fra cui Mussolini, i quali vedevano nella guerra la possibilità di completare il Risorgimento, sottraendo all’Austria le terre cosiddette “irredente”, cioè Trento e Trieste. Il 26 aprile 1915 il governo italiano, lasciandosi tentare La prima guerra mondiale purtroppo dall’avventura della guer e le sue conseguenze ra, firmò il Patto di Londra, alleandosi a Santa Croce con Francia e Inghilterra. Il 24 maggio Santa Croce non fece a tempo a gu- 1915 l’Italia entrava in guerra. stare il frutto dei sacrifici fatti. Mentre La nostra gente accolse rassegnata infatti si festeggiava la sagra del Ro- l’annuncio, non rendendosi ancora sario del 1914, già da qualche mese ben conto della gravità della situasull’Europa si era abbattuto l’uragano zione nè del contributo di sangue e della “Grande Guerra”, che stava per di sofferenza che ben presto avrebtravolgere anche l’Italia. be dovuto dare: cominciano infatA seguito dell’assassinio dell’ arciduca ti ad arrivare senza interruzione le Francesco Ferdinando d’Asburgo, ere- cartoline precetto. de al trono d’Austria, e di sua moglie Cittadella entra in zona di guerra Sofia, perpetrato il 28 giugno 1914 da nella primavera del 1916, al mopag.

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mento dell’offensiva austriaca nel Trentino e delle continue battaglie sul Carso e sull’Isonzo. Il nostro territorio comincia a diventare luogo di passaggio di truppe, reggimenti, colonne di munizioni, reparti di sanità. Non solo soldati però si dovevano vedere: a seguito della disfatta di Caporetto nell’autunno del 1917, che vide gli Austriaci giungere fino all’Altopiano di Asiago e al Grappa, il cittadellese fu investito “da una marea di fuggiaschi: la II Armata si trovò frammischiata a colonne di profughi nel disordine, nella confusione, nello scompiglio e anche nel terrore”255. Furono momenti dolorosi e tragici, perché, come afferma anche Don Antonio nelle sue memorie, si temette davvero “di essere invasi dal nemico”. Insieme con i soldati italiani vi erano anche truppe alleate. Nel dicembre 1917, ad esempio, gli Inglesi del “Gloster Regiment Italian expeditionary Force” si sistemarono a Villa Ionoch (ora Kofler) qui a Santa Croce256. Ma l’avanzata austriaca viene fermata e, nonostante un nuovo massiccio attacco nemico dall’Astico al Montello e al Grappa nel giugno 1918, il nostro esercito a fine ottobre lancia l’offensiva, costringendo l’Austria a firma-

re l’armistizio il 3 novembre 1918 a Padova, presso Villa Giusti. La guerra era finita, ma era costata all’Italia circa 600.000 morti, oltre 1.000.000 fra mutilati e feriti, senza contare le distruzioni e i disastri economici. Anche Santa Croce ebbe le sue vittime. Ecco quanto scrive Don Antonio a proposito il 26 ottobre 1919: “Il 24 Maggio 1915 l’Italia entrò nella confragrazione europea dichiarando guerra all’Austria e alla Germania che durò fino all’Armistizio coll’Austria 2 Novembre 1918, e colla Germania il 12 dello stesso Novembre 1918 dopo la vittoria di Vittorio Veneto. Tutti gli abili alla guerra di questa Parrocchia (circa 200) furono richiamati e le rispettive famiglie e tutto il paese vissero in grande angustia in quei tre lunghi anni di guerra. Purtroppo anche Santa Croce Bigolina diede il suo contributo di vittime e sono 21 quelle annunciate ufficialmente finora, e sono registrate nel Libro canonico dei Morti; ma altri sei, ritenuti dispersi, non danno purtroppo da gran tempo notizia di sè, e si dovrà registrarli nel numero dei più. Sono rimaste 5 Vedove e 20 orfani di Guerra. Nel momento di maggior trepidazione, quando cioè nel 1917 (Novembre) si temeva pag.

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di esser invasi dal nemico, oltre alle preghiere, si fece voto di erigere una Cappella alla Madonna della pace se si fosse stati preservati. L’Immagine dipinta ad olio su tela fu offerta dalle Signore Ida e Maria Chemin Maestre in Venezia257, e inoltre hanno offerto gratuitamente anche il terreno per l’erigendo Sacello nel proprio giardino e cioè sulla mura di cinta al principio della Via Tre Case. Cessata la guerra e ottenuta la grazia in Luglio ed Agosto 1919 si eresse l’Oratorio e ai primi di Settembre era già al coperto. Nella ventura primavera si spera di stabilirlo, erigervi l’altare, riporvi l’Immagine ed inaugurarlo”. Dalla relazione inviata dal Parroco al Vescovo per gli anni dal 1914 al 1918 emergono anche i seguenti dati: la popolazione era comunque cresciuta, passando dai 1.124 abitanti del 1914 ai 1.230 del 1918; le nascite erano però diminuite, dalle 59 del 1914 alle 32 del 1918. Negli anni 1917-18 erano stati ospitati 45 profughi. Dei 209 soldati della Parrocchia, 29 erano morti o dispersi, 2 mutilati, 20 feriti. Inoltre, nel 1918, ben 36 persone erano morte per la terribile epidemia di influenza detta “Spagnola”. pag.

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I caduti di Santa Croce nella guerra 1915-18 Ben 29 furono le vittime di Santa Croce nella prima guerra mondiale. Ecco i loro nomi: -Baggio Giovanni: classe 1895; morto il 20 luglio 1915 colpito da palla nemica nell’alto Agordino nelle vicinanze del Col di Lana. -Baggio Paolo: classe 1881; morto il 27 giugno 1916 colpito da una bomba. -Barichello Ernesto: classe 1882; ferito sul Carso, fu fatto prigioniero e trasportato all’ospedale di Lubiana, dove morì il 14 ottobre 1916. Fu sepolto nel cimitero di Lubiana. -Campagnolo Luigi: classe 1897; disperso. -Cecchin Giovanni: disperso. -Cervellin Giuseppe: classe 1890. Già prigioniero in Austria, alla conclusione dell’armistizio ritornò in patria per Trieste liberata. Ammalato, fu accolto nell’ospedale militare di Chieti, dove morì il 24 novembre 1918. Fu sepolto a Chieti. -Cervellin Pietro: classe 1895; disperso. -Contebonin Giuseppe: classe 1892; disperso.


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-Chiminazzo Gio.Batt.: classe 1886; morto il 18 settembre 1916 nell’ospedale da campo a seguito delle ferite riportate in combattimento. Fece in tempo a ricevere i Sacramenti e fu sepolto nel Cimitero Militare di Sagrado. -De Toni Vittorio: classe 1893; morì sul Pasubio il 13 luglio 1916. -Fantinato Antonio: disperso. -Fantinato Giovanni: classe 1882; disperso. -Fantinato Pietro: classe 1897; fu fatto prigioniero e morì in Ungheria l’11 gennaio 1918. -Fusaro Cesare: classe 1878; morì il 9 settembre 1917, colpito dallo scoppio di un fornello in Cervignano. -Martinello Egidio: classe 1889; morì di meningite nell’ospedale da campo di Lugo Vicentino, dove fu sepolto. -Merlo Francesco: classe 1890; disperso. -Morlin Antonio: classe 1881; ferito sul S. Marco di Gorizia, morì nell’ospedale militare di Parma il 26 giugno 1917; fu sepolto a Parma. -Pan Angelo Giovanni: classe 1883; disperso. -Pasinato Giuseppe: classe 1889; morì sul S. Michele del Carso

il 28 febbraio 1916. -Prandin Arcangelo: classe 1890; morì sul Sabotino di Gorizia il 20 novembre 1915. -Rebellato Giuseppe: classe 1898; morì di malattia all’ospedale di Bologna il 23 agosto 1917. -Rebellato Giuseppe: classe 1899; fu ferito il 25 ottobre 1918 sull’Asolone del Grappa. Morì il 6 novembre 1918 nell’ospedale militare di Cittadella, dove fu sepolto. -Rebellato Luigi: classe 1898; colpito da granata a mano, morì il 30 gennaio 1918 sull’Altopiano di Asiago. Fu sepolto nel cimitero di Case Strette, in comune di Conco. -Tonelotto Angelo: classe 1896; ferito gravemente, sopravvisse per 11 mesi. Morì all’ospedale di Mortara, in provincia di Pavia, il 27 febbraio 1918. Fu sepolto a Mortara. -Toniolo Leandro: classe 1890; morì nei combattimenti di Oslavia colpito al capo il 7 agosto 1916. -Tosetti Giovanni: classe 1890; morì di tifo nell’ospedale di Feltre il 2 luglio 1915. -Trento Antonio: classe 1895; morì in seguito a pleurite nell’ospedale di Torino il 19 maggio 1917. pag.

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Fu sepolto a Torino. -Trento Francesco: classe 1893; morì in guerra il 16 maggio 1916, dopo aver ricevuto i Sacramenti, come attestato dal cappellano militare. -Violetto Bertrando: classe 1897; fu fatto prigioniero, morì il 16 maggio 1918 e fu sepolto a Roblak, in Boemia. L’Oratorio alla Regina della Pace Come promesso da Santa Croce con voto solenne, al termine della guerra ben presto si completarono i lavori per la costruzione del capitello dedicato alla Regina della Pace. “…Ai 12 Giugno 1920 - scrive il Parroco - tutto era ultimato, erettovi pure un Altare che fu decorato ai 30 Giugno stesso dal decoratore Signor Rossi Giuseppe di Cittadella. Il giorno 30 Settembre 1920 alle 7.30 arrivava qui da Piazzola sul Brenta, invitato dal sottoscritto Parroco, S. Eccellenza Mons. Apollonio Maggio Vescovo-Principe di Ascoli Piceno. Al suo arrivo due bambine bianco-vestite diedero il benvenuto a S.E. Reverendissima pregandolo a benedire ed inaugurare il Sacello alla Regina della pace offrendogli dei fiori. Erano presenti il Vicapag.

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rio Foraneo di Fontaniva, il M. R. Parroco di Tezze ed il sottoscritto, i giovanetti della Congregazione di S. Luigi, i confratelli del SS. colle loro divise e molto popolo. Il Vescovo parato pontificalmente preceduto dalle confraternite e dal popolo con bella schiera di bambine bianco-vestite entrò in Chiesa e tosto benedisse l’Immagine portata da un confratello del SS. e poi collo stesso ordine di prima processionalmente cantando le litanìe lauretane si arrivò al Sacello. Il Vescovo lo benedì solennemente secondo il Rito, e poi celebrò la S. Messa al nuovo Altare. Al Vangelo rivolse belle, tonanti parole al popolo congratulandosi dell’opera compiuta… Concesse 100 giorni di Indulgenza a chi passando innanzi avesse recitato la giaculatoria “Regina della pace pregate per noi”. Seguì poi un’altra S. Messa di ringraziamento celebrata dal P. Bernardino Perin dei Minori e con ciò si pose fine alla cara e memoranda festicciola. S. E. Mons. Vescovo alle 5 pomeridiane si diresse all’antica sua Parrocchia di Rosà al suono festivo delle nostre 4 campane”.


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Il Campanile e le campane I rintocchi festosi che salutano Mons. Maggio ci danno l’occasione di ripercorre finalmente un po’ di storia del campanile e delle campane, almeno per quanto lo consentono i documenti e soprattutto le memorie di Don Antonio. Probabilmente, in epoca romana, sul luogo dov’è ora il campanile sorgeva una delle tanti torri di avvistamento disseminate nel territorio. Nel corso del Quattrocento si approfittò della costruzione già esistente e la si elevò, sovrapponendovi la cella campanaria. Lo dimostrerebbe la diversità di materiali e di tecnica costruttiva che si ritrova fino ad una certa altezza. Come scrive Don Antonio Santacatterina: “… Certo esisteva al tempo del convento, perché era in comunicazione con esso, come si scorge dalle porte, ora murate, dalla parte del distrutto convento258. È di stile gotico come era la Chiesa e probabilmente eretto dopo la chiesa e dopo il convento, ma non molto dopo, perché la sua costruzione e lo stile ricordano l’epoca presso a poco medesima. La sua cupola dovea essere in origine costruita in mattoni, ma pare che un fulmine

l’abbia danneggiata in maniera che si dovesse rifarla, ma non più in mattoni, ma in zinco dandogli però una forma barocca”. Nel 1770, quando Santa Croce diventò curazìa (v. cap. 8), il Senato veneziano concesse la proprietà del campanile, insieme con quella della chiesa e della sacrestia, al Comune rurale che, come si è visto, coincideva con la Parrocchia. Ma anche quando amministrazione civile e religiosa si distinsero, i campanili continuarono a restare di proprietà comunale. E siccome i Comuni non volevano assumersi troppi oneri per la riparazione dei campanili danneggiati, spesso giungevano ai Parroci dalle autorità civili ingiunzioni a non suonare le campane durante i temporali, perché questo, invece che scacciare le nubi, attirava i fulmini. Nell’archivio parrocchiale di Santa Croce sono conservate in proposito diverse circolari. Il 27 maggio 1819, ad esempio, il Regio Delegato austriaco della Provincia di Vicenza tuona contro “il fatalissimo abuso di suonare le campane all’insorgere dei temporali” ed ordina alle autorità locali di “richiamare i Reverendi Parrochi rispettivi… ingiungendo loro di tenere sempre in deposito e sotto la loro pag.

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responsabilità… le chiavi dei campanili, e saranno inoltre eccitati a far conoscere dall’altare ai loro Parrocchiani come il suono delle campane in quei momenti attragga pittosto che allontanare il pericolo”. Evidentemente l’ordine non fu ascoltato se, il 26 settembre dello stesso anno, il Regio Delegato era costretto ad emanare una nuova circolare, condannando “l’inveterato pregiudizio” di credere che il suono delle campane allontani i temporali, mentre invece “né rari né remoti sono i casi di persone rimaste vittime dai fulmini in conseguenza ben anche dell’imprudente suono delle campane”. Sicuramente non fu obbedito e dobbiamo pensare che dovessero stancarsi prima le autorità di mandar carte che i Parroci di far suonare le campane, se anche a Santa Croce si continuò a “sonare pa’l tempo” fino agli anni Sessanta. Ma i campanili, compreso quello di Santa Croce, erano comunque la mèta preferita dei fulmini. Come ci informa Don Antonio, la cupola barocca in zinco fu “danneggiata anche questa dal tempo, la si rifece, pure in zinco, ma però ad ottagono dietro disegno dell’Ingegnere Sig. Vittorio Marcante, e ciò nel 1884. pag.

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Anche questa cupola non durò molto, perché dalla filtrazione dell’acqua il legname dello scheletro si guastò in maniera che un forte vento del 23 luglio 1910 asportò delle lastre di zinco e aperta questa breccia pericolava tutto il resto della cupola. Fu allora che il Parroco ricorse al Comune avvertendo del pericolo e invocandone un pronto riparo, insistendo perché nel contempo venissero riparate e di nuovo intonacate anche le pareti tutte del campanile che ne avevano assoluto bisogno259. Demolita intanto la vecchia cupola e coperto l’ottagono alla meglio, l’ingegnere comunale Sig. Raggi presentò un progetto di restauro generale. Il Comune stanziò per detto progetto L. 2.200 e nel gennaio 1913 fu posto all’asta pubblica il progetto e il lavoro fu assegnato al Capomastro Sig. Giuseppe Comin di Cittadella come migliore offerente, cioè il 13 per 100. Nell’Aprile 1913 si cominciarono i lavori, si costruì la cupola in cemento e ferro armato sopra la quale si adattarono le lastre di marmo di Carrara, si innalzò la cuspide pure in marmo del peso di quintali 5 e mezzo, la balla sferica in rame e la croce. Poi si intonacò e si stabilì l’ottagono e la


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cella campanaria rifacendo lesene e archetti delle bifore260, poi si intonacò e si stabilì la canna sempre con calce e cemento e finalmente la tinta. Furono rifatti anche i solai e le scale nell’interno. Ai primi di Luglio 1913 tutto era finito, e liquidati i conti coll’Ingegnere Raggi e il Capomastro risultò la spesa totale in L. 2.087. Gli operai del campanile rifecero in cemento due pavimenti, uno nella camera e uno nel tinello della Canonica a spese della Fabbricieria”261. Per quanto riguarda le campane, erano tre e le troviamo nominate per la prima volta nell’inventario dei beni della chiesa compilato da Don Francesco De Pretto nel 1794. Ma dovevano essere molto antiche e anche malandate se nel dicembre del 1803 si trova una nota con cui si paga un mandato “per picare e dispicare le campane vechie e nuove”. Poi non se ne parla più fino al 1890, quando di nuovo si pose il problema di ripararle o di rifonderle. Si istituì una commissione apposita, composta da Cocco Giuseppe, Bizzotto Paolo, Fagan Francesco, Borsato Gio.Batta, Conte Bonin Pietro e Meneghetti Alessandro. Il 24 maggio 1890, la Commissione invitò il Parroco, Don Angelo Costantini, a “pubbli-

care dall’altare quanto segue: I. Il fonditore Colbachini ha consigliato di fondere tutte tre nuove le campane per riuscirvi a fare un concerto migliore, essendo la spesa quasi la stessa se si volesse fonderne una sola campana nuova più grande della maggiore esistente adesso. II. La spesa sarebbe di Lire It. mille da pagarsi in quattro rate nel corso di due anni. III. Le campane verrebbero fuse in Agosto prossimo. IV. Per la solennità del Rosario nella nostra Parrocchia nel 1890, cioè nel prossimo Ottobre, le campane saranno poste nel campanile e suoneranno. V. La sottoscritta Commissione è in vivissima attività, affinché venga soddisfatto quanto si desidera dai sottoscritti per la miglioria delle campane suddette. VI. Il contributo di ciascuna famiglia verrà stabilito dopo che sarà fatto il contratto. VII. Si prega la Bontà del nostro Parroco di caldeggiare l’iniziata miglioria delle campane, assicurandola che la sottoscritta Commissione sarà fervorosa a favorire quanto fosse necessario e ben veduto dal Signor Parroco al culto nella nostra Chiesa parrocchiale”. pag.

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Appena tre giorni dopo veniva firmato il contratto tra la Commissione e il signor Pietro Colbacchini di Bassano, il quale si obbligava a fondere e a consegnare entro il mese di giugno tre campane nuove, la prima del peso di quattro quintali circa con tonalità di sol maggiore, la seconda di tre quintali circa in la maggiore, la terza di due quintali circa avente la nota “do”. Evidentemente il suono delle nuove campane non fu molto soddisfacente; infatti, il 17 agosto 1891 la Commissione integrò il contratto precedente facendo sostituire la prima campana con un’altra più pesante, di quintali 5.60 circa con tonalità in fa diesis. Ovviamente furono adeguate alla nuova tonalità anche le altre due campane, che risultarono così più pesanti del previsto di circa un quintale (2.85 q. li la terza, 3.95 la seconda). Arriviamo così al 1915, quando, come annota Don Antonio, “nell’Ottava di Pasqua, suonando alla benedizione del SS.° si ruppe la campana piccola delle tre fuse nel 1890 e 1891… Si era in trattative col Sig. Colbachini di Bassano per la rifusione delle tre campane, ma scoppiata intanto la guerra, si sospese ogni trattativa e si tirò innanzi colle due campane rimaste sane. pag.

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Ai 25 Maggio 1919 in Canonica si conchiuse il contratto di quattro nuove campane colla stessa Ditta Colbachini Pietro fu Gio. di Bassano del complessivo peso di Q.li 18.50 al prezzo di L. 9 il kilog. e pagando a L. 6 le vecchie campane, pagabili in due rate eguali, la prima alla consegna, la seconda dopo sei mesi. La consegna delle nuove campane dovea esser fatta entro Luglio, ma invece fu fatta ai 28 Settembre 1919. La prima campana in Si diesis pesa Q. li 2,92, la seconda in La Q. li 3,48, la terza in Sol Q. li 4,93, la quarta in Fa Q. li 7,05. Il diametro della 1ª è di m. 0,80 e mezzo, la 2ª di m. 0,84, la 3ª di m. 0,94, la 4ª di m. 1. 06 e mezzo. La Iª porta la scritta: “Venite fili, audite me. Soli Deo honor et gloria. Salvum fac populum tuum, Domine. Ut resonet in excelsis sonitus laetitiae. Agite dies laetitiae et confitemini illi”. (= Venite, figli, ascoltatemi. Onore e gloria all’unico Dio. Salva il tuo popolo, Signore. Affinché risuoni nei cieli il canto della gioia. Trascorrete i giorni di letizia e confidate in Lui). La IIª: “Soli Deo honor et gloria. Vox Domini super acquas multas.


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Praetiosa in conspectu Domini mors Sanctorum eius. Fiat pax in virtute tua. Venite adoremus”. (= Onore e gloria all’unico Dio. La voce del Signore sopra i mari. Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi Santi. Sia la pace nella tua vita virtuosa. Venite adoriamo). La IIIª: “Ecce Crucem Domini, fugite partes adversae. Venite fili, audite me. A fulgure et tempestate libera nos Domine. In te Domine speravi, non confundar in aeternum. Ave Maria gratia plena”. (= Ecco la Croce del Signore, fuggite, o nemici. Venite figli, ascoltatemi. Dalla folgore e dall’uragano liberaci, Signore. In te, Signore, ho sperato, non sarò confuso in eterno. Ave Maria, piena di grazia). La IVª: “Exaudi, Domine, vocem populi tui et libera eum ab omni malo. A solis ortu usque ad occasum laudabile nomen Domini. Voce concordi Domino canamus dulciter hymnos. Defunctos ploro, nimbos fugo, festaque honoro. Sit nomen Domini benedictum”. (= Esaudisci, Signore, la voce del tuo popolo e liberalo da ogni male. Dal sorgere del sole fino al tramonto deve essere lodato il nome del Signore. Con voce concorde cantiamo inni dolcemente. Piango i defunti, metto

in fuga i temporali, onoro le feste. Sia benedetto il nome del Signore)262. La sera del 28 Settembre (sabato) le nuove campane erano sospese sul piazzale davanti la Chiesa in attesa di Mons. Vescovo di Vicenza per la consacrazione come si era intesi, ma in quei giorni il Vescovo era impedito, e diede autorizzazione all’attuale Parroco a benedirle, ciò che si fece solennemente nella domenica prima di Ottobre (5) dopo le S. Funzioni. Il nome imposto alla più piccola campana fu Bellina, la II Biagio, la III Antonio, la IV Maria del S. Rosario, ad onore dei Santi Patroni della Parrocchia. Il Sig. Lorenzi Giovanni di Cornedo d’accordo col Sig. Colbacchini ebbe l’incarico di costruire il Castello in ferro e di riporre le campane sul Campanile, ciò che egli fece coi due suoi figli e altro operaio nella settimana avanti la 2ª domenica di Ottobre in cui si festeggiò pure il SS. Rosario trasportato per la circostanza. Si lavorò alacremente, ma solo sul mezzogiorno del 12 Ottobre detto si poté suonare a distesa le 4 campane. Il concerto riuscì perfettamente e con generale gradimento e soddisfazione. Era presente il fonditore pag.

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Sig. Colbacchini, il quale fu soddisfatto della prima rata con L. 5.000… come pure fu soddisfatto a saldo il Sig. Lorenzi Giovanni pel castello in ferro, archi, accessori, ecc. con L. 3.350”263. Bussola della Porta Maggiore L’opera rinnovatrice di Don Antonio non si fermava. La domenica successiva a quella del Rosario, 19 ottobre 1919, fu posta in opera anche la bussola della Porta Maggiore264, “fatta con tavoloni di platano… lavoro paziente e diligente del falegname Baggio Luigi di Giuseppe… sotto la direzione e col disegno del… Parroco, utilizzando le due colonne in marmo rossigno che un tempo sostenevano la Cantoria e l’Organo”. La spesa fu di L. 1.352, comprese le tavole che servirono a costruire la bussola della Porta laterale. Oratorio nel Cimitero Anche l’attuale cappella del Cimitero è opera di Don Antonio. “Dietro proposta e progetto esposto al popolo - scrive il Parroco - si pensò di erigere nel Cimitero un Oratorio a ricordo dei caduti in guerra e a suffragio di tutti i defunti della pag.

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Parrocchia. Ottenuto dal Municipio l’autorizzazione di demolire la Cella mortuaria nel centro della mura di sfondo, coll’obbligo di riedificarla a sinistra in proporzione e simmetria della cella Tebaldi a destra, ottenuto il terreno necessario al di là della cinta dai Signori Ionoch, approvato il progetto presentato dal sottoscritto dalla Commissione Vescovile, il giorno 5 Luglio 1920 si fece la fondazione ed il giorno seguente 6 detto a mezzogiorno fu benedetta e collocata la prima pietra… e poi si continuò il lavoro di fondazione e inalzamento dei muri contribuendo i parrocchiani colla condotta gratuita dei materiali. Quello però che più largamente contribuì fu il Signor De Toni Cristiano che per primo ne propose l’idea volendo ricordare il fratello Vittorio caduto eroicamente combattendo fra gli Alpini al Passo della Borcola il 13 Luglio 1916. Somministrando calce, mattoni, legname e favorendo l’opera intrapresa sotto la direzione del Parroco, i muri e le arcate s’innalzarono; però, soppravvenendo l’inverno, si dovette sospendere il lavoro, ma fu ripreso ai primi di Aprile 1921 e continuato e già ai primi di Agosto era compiuto il coperto in eternit e in


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Settembre era compiuta la stabilitura e l’intonaco interno ed esterno. Sullo sfondo delle due cappellette a destra e a sinistra si collocavano due lapidi in marmo di Carrara, opera dei fratelli Cavallini di Pove; su quella a destra furono incisi i nomi dei caduti n°21, su quella a sinistra il nome di De Toni Vittorio e del generoso fratello Cristiano. All’ingresso del Tempietto, l’attuale Parroco fece scavare una tomba con sigillo per sè e suoi successori e sacerdoti della Parrocchia, e sulla cappella di sfondo di fronte all’ingresso fu eretto un Altare per la S. Messa e altre funzioni di suffragio. Tutto era in pronto, ed il giorno 15 Ottobre 1921 S. E. il Vescovo Mons. Ferdinando Rodolfi di Vicenza lo benedì solennemente, cantò l’esequie e tenne un bel discorso, lodando l’idea di aver eretto questo monumento ai caduti in guerra nel Cimitero, perché così sussisterà perennemente e servirà di suffragio a tutti i morti sepolti nello stesso Cimitero. Il popolo che accorse numerosissimo ne fu pienamente soddisfatto. Alla sacra cerimonia presenziava una rappresentanza municipale con due Assessori, il Signor De Toni Cristiano e l’Avv. Cav. Sabadin che pure vol-

le tenere un bel discorso improntato a sentimenti cristiani265. Sulla metà del lato a sinistra fu eretta la Cella mortuaria come era stato convenuto, e negli spazi intermedi furono erette tre tombe mortuarie con sigillo e relativi monumentini, uno per la Signora Casagrande Elisa, vedova del Dottor Bonantoni, una per la famiglia Benetello, l’ultima per famiglia Chemin fu Marco e fu Giuseppe”. Consacrazione dell’Altare maggiore nella Chiesa parrocchiale Lo stesso giorno in cui fu benedetto l’Oratorio del Cimitero, il Vescovo consacrò anche il nuovo Altare maggiore che, come si ricorderà, era stato risistemato nel 1912, e sul quale era stato eretto il nuvo tabernacolo in marmo di Carrara, già nella Chiesa di Dueville, riadattato e posto in opera da Giacomo Cavallin di Pove. “Partiti i frati francescani per la soppressione del Convento - ricorda Don Antonio - ed eretta questa Chiesa in Parrocchia nel 1794, L’Altar maggiore fu manomesso e cioè trasportato in fondo al Coro; più tardi, sotto il Parrocato di Don Angelo Costantini, fu trasportato un po’ più avanti e cioè nel posto che si trova attualpag.

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mente in linea colle due finestre un po’ più in là della seconda arcata. Per questi cambiamenti l’Altare perdette la sua consacrazione e fu deciso dall’Ecc. Mons. Vescovo che fu qui a bella posta il 1° Marzo di quest’anno 1921 di riconsacrarlo e fu stabilito e mantenuto il giorno di sabato 15 Ottobre. Si fece la pulizia, si rifecero in pietra gli stipiti che più non esistevano, il sepolcreto266, le croci sulla lastra in marmo bardiglio già a posto quando si allargò e si rimodernò nel 1912 l’Altare col nuovo Tabernacolo in marmo di Carrara. Disposto ogni cosa, S. E. Mons. Vescovo arrivava qui in automobile da Vicenza accompagnato dal Canonico della Cattedrale Mons. Giovanni Girotto. Il Cerimoniere era qui dal giorno innanzi per disporre il necessario. Erano presenti, oltre il Parroco e Cappellano locali, il M. R. Don Luigi Urbani, Parroco di Tezze, il M. R. Don Giuseppe Todesco Curato di S. Anna di Rosà, il M. R. Don Luigi Cavaliere Curato di S. Pietro di Rosà e Don Gio. Pessato di Battistelli. La Confraternita del SS.°, la Congregazione di S. Luigi e molto popolo col Clero fecero l’incontro al Ponte e processionalmente si venne pag.

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alla Chiesa. Due bambine fecero un complimento al Vescovo e tosto si diè principio alla solenne funzione colla Chiesa stipata di popolo e poi seguì la S. Messa solenne cantata… Al Vangelo il Vescovo spiegò magnificamente il significato della solenne straordinaria Cerimonia e alla fine diede la solenne benedizione e prima di questa dal Celebrante fu letto il seguente Decreto: “Con queste nostre Lettere facciamo fede ed attestiamo che Noi in questo giorno 15 Ottobre sabato dopo la Domenica 21ª di Pentecoste dell’anno 1921, del Pontificato del SS. Signor nostro Benedetto Papa XV anno 8° e del nostro Episcopato anno XI, abbiamo solennemente consacrato col Rito del Pontificale Romano l’Altar maggiore di Santa Croce Bigolina di Cittadella ad onore di Dio Onnipotente, della gloriosa Vergine Maria e di tutti i Santi, al nome e alla memoria dell’Invenzione di Santa Croce, includendovi in esso la Reliquie dei Santi Martiri Fidenzio e Benedetta. Presenti ed assistenti a tutta la funzione i R. di Don Antonio Santacatterina Parroco e Don Guglielmo Santacatterina (zio del Parroco). A tutti i fedeli che visiteranno oggi


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questo Altare concediamo l’Indulgenza di un anno; ed a coloro che lo visiteranno nel giorno anniversario di questa Consacrazione (che sarà celebrato nel Lunedì dopo la quarta Domenica di Ottobre) concediamo cinquanta giorni di indulgenza. Dato a Santa Croce Bigolina di Cittadella nel giorno 15 Ottobre 1921”. “Terminata la bella, solenne Funzione, in processione colla Confraternita, Congregazione di S. Luigi e molto popolo si passò al Cimitero come si disse sopra e alle 11.30 tutto era finito con generale soddisfazione, e dopo il pranzo in Canonica… verso le 4 pomeridiane in landò il Vescovo partì al suono delle campane ritornando per Via Tre Case e quando fu al Sacello della Regina della Pace, il Vescovo si degnò di scendere e visitare il Sacello stesso che fu benedetto l’anno prossimo passato il giorno 30 Settembre da S. E. Mons. Maggio…”.

1922, tanto che poté essere benedetto dal Vescovo, venuto a Santa Croce per la visita pastorale e per la Cresima a 109 fanciulli, il 10 marzo 1923. Dopo la San Messa solenne cantata da Mons. Arguello, Arciprete di Fontaniva, la visita al Cimitero e la benedizione col SS.mo, nel pomeriggio “finalmente - ricorda Don Antonio - Mons. Vescovo si compiacque di benedire solennemente l’Asilo nuovo eretto di fronte alla Chiesa invitando tutti e specialmente i genitori ad approfittare dell’istruzione e educazione che verrà impartita. L’Asilo fu eretto di fronte alla Chiesa nel sito ove sorge l’orto del Parroco. Si cominciò i lavori nel Maggio del prossimo passato anno su disegno del Parroco e ai primi di Dicembre era già compiuto col concorso generoso del benemerito Sig. De Toni Cristiano proprietario delle Seghe e delle Fornaci qui vicine somministrando i materiali, calce, mattoni e tutto il legname, ecc… Ora si sta allestendo e fornendo l’Asilo di attrezzi e mobilie necessari, sperando che pre La costruzione sto possa essere aperto a raccogliere i della Scuola Materna bambini e le bambine della Parrocchia, Una delle opere più importanti volu- dopo che si potrà invitare delle Suore te dall’inesauribile entusiasmo di Don per il regolare funzionamento. Anche il Antonio, fu la costruzione dell’Asilo in- popolo concorse colla condotta gratuita fantile, eretto in pochissimo tempo nel o semigratuita dei materiali necessari. pag.

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La Divina Provvidenza non mancherà in questa opera così proficua e necessaria per la educazione e istruzione di tanta così cresciuta gioventù”267.

bito per la Santa Messa ed al Vangelo a nome di tutti diede il benvenuto esponendo lo scopo della loro venuta. Dopo la Santa Messa presero possesso dell’Asilo dando principio il giorno L’arrivo delle Suore seguente all’opera della educazione Nonostante tutto fosse pronto, non ed istruzione di tanti bambini e bamfu facile trovare un ordine religioso bine, circa 90 per l’Asilo e 45 per la disponibile a inviare delle Suore, che scuola di lavoro. Che Dio benedica la arrivarono a Santa Croce solo dopo santa opera” 268. più di un anno e mezzo. Ma sentiamo La costruzione Don Antonio: “Oggi undici Novembre 1924, gior- della mura di cinta dell’Asilo no di Domenica, alle sei del matti- e l’ampliamento del corridoio no arrivarono in questa Parrocchia della Chiesa accompagnate dalla Reverendissima Don Antonio andava verso la settanSuperiora Generale e Cofondatri- tina, ma la sua voglia di fare restava ce del Pio Istituto delle Suore Figlie integra. di S. Eusebio Ministre degli Infermi “Alla metà d’Agosto 1925 - scrive di Vercelli e sua Segretaria tre RR. - demolita la siepe lungo la Via che Suore dallo stesso Istituto e cioè: 1. chiudeva malamente il cortile delSuor Redenta Superiora, 2. Suor Mi- l’Asilo, apparecchiati i materiali, chelina Maestra di lavoro, 3. Suor si costruì una mura di cinta, coi Luigina assistente, per dirigere que- fondamenti in cemento e coperta sto Asilo infantile. Essendo giorno di pure d’uno strato in cemento, e coDomenica e l’ora della Parrocchiale struendo una porta in larice all’invi accorsero numerosi i parrocchiani gresso del cortile con relativo came col suono delle campane accolsero panello d’avviso269. le benemerite Suore… con entusiasmo Mentre si costruiva la mura suddete accompagnate dal Parroco e dal R. ta, il Parroco insistette e finalmente Cappellano entrarono in Chiesa al ottenne dai Signori Dal Sasso, nuovi posto assegnato. Il Parroco uscì su- proprietari, successori del Sig. Carpag.

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lo Mercante, metri quadrati 18,37 di terreno adiacente alla Sacrestia, in linea retta col corridoio e campanile facente angolo retto col piccolo corridoio esistente in comunicazione colla Sacrestia, fabbricato nel 1910 in piccola porzione di terreno ceduto già dal Sig. Carlo Mercante mq. 4,70. Fu demolito quindi il muro del piccolo corridoio nel versante di mezzodì che unito insieme si ottenne una stanza, cioè adiacente alla Sacrestia vecchia, di mq. 27,40, demolendo il vecchio muro spiombato e deforme di mezzo, ottenendo materiali in laterizi più che sufficienti per costruire il nuovo muro di divisione fra le 2 Sacrestie, ottenendo così di allargare la vecchia Sacrestia di mq. 0,40. La stanzaccia sopra la Sacrestia fu ceduta pure e costruiti i muri a mattina e a mezzodì si coprì il tutto con travature e coppi con una sola pendenza partendo dal colmo del Coro. Nel coperto suddetto furono aperti due grandi finestroni a vetri rigati per dar luce alle due finestre semilunari del Coro dalla parte di mezzodì, una delle quali fu aperta in questa occasione e fu munita di un telaio in larice con vetri comuni opera del Sig. Fantin Domenico di

Virginio, come pure i telai delle due finestre della nuova stanza 2ª Sacrestia dalla parte di mattina. Nel mezzo dei due soffitti delle due Sacrestie furono aperte due finestre a vetri smerigliati che ricevendo la luce dai due finestroni del coperto illuminano più che sufficientemente le due Sacrestie. Definita e soppressa così la promiscuità (la Sacrestia appartenente alla Chiesa e il soprasacrestia che apparteneva ai Sig. Dal Sasso), restava a definire la promiscuità della Canonica, cioè le due stanzette sopra l’antico chiostro dell’ex Convento ed il sottostante magazzino a piano terreno appartenente ai Sig. Dal Sasso270. Il Parroco insistette ancora e fu la Signora Madre dei fratelli comproprietari che definì la vertenza, pregando a compenso che venisse aperta una porta che mettesse in comunicazione colla Chiesa per poter accedere con maggior comodità. I due fratelli Dal Sasso comproprietari hanno promesso di far chiudere detta porta dopo la morte della mamma… Il detto magazzino riattato e abbellito potrà servire benissimo per la Dottrina dei giovanetti o giovanette, come avea raccomandato Mons. Vescovo nell’ultima Visita pastorale alla Parrocchia pag.

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nel 10 Marzo 1923”. La questione della Contrada Ca’ Micheli Anche Don Antonio ebbe le sue spine nel fianco. Una di queste, che lo accompagnò per tutta la sua presenza a Santa Croce, fu il contenzioso con la Parrocchia di Fontaniva per la gestione ecclesiastica della contrada Ca’ Micheli. “Questa Contrada - annota il Parroco il 30 novembre 1915 - appartiene civilmente al Comune di Cittadella e fa parte della Frazione di Santa Croce Bigolina, ma ecclesiasticamente appartiene alla Parrocchia di Fontaniva. Per la vicinanza però e pei rapporti civili con Santa Croce Bigolina quelli abitanti si servirono sempre di questa Chiesa e fin ab imemorabili contribuirono le questue a questa Parrocchia e con licenza dell’Arciprete di Fontaniva tacita ed espressa e per consuetudine i fanciulli frequentarono la Dottrina, vennero ammessi alla Santa Comunione, si servirono dei sacerdoti per l’assistenza agli ammalati e per gli ultimi sacramenti; il Battesimo solo e il Matrimonio si celebrarono a Fontaniva e a Fontaniva vennero sepolti i cadaveri. Da sei o sette anni sorse negli abitanpag.

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ti di Ca’ Micheli il desiderio di inoltrare istanza al Vescovo di Vicenza perché concedesse di aggregarli alla Parrocchia di Santa Croce Bigolina. L’istanza firmata dalla grandissima parte della contrada fu trasmessa alla Curia Vescovile di Vicenza, ma i due o tre che non firmarono riclamarono alla stessa Curia e incolparono il sottoscritto Parroco come intromettente e invadente, come chiaro appare dalla qui unita lettera del Cancelliere Vescovile in data 29 Marzo 1909. Il Parroco si giustificò a voce e di presenza, esponendo poi anche in iscritto lo stato delle cose. Fra gli abitanti della Contrada non cessava però il dissidio fra i favorevoli che firmarono l’istanza e i pochi che rifiutarono e fu allora che l’Arciprete di Fontaniva venne a celebrare la S. Messa a Ca’ Micheli, invitando gli abitanti a portarsi in sua Canonica per esprimere in iscritto il loro desiderio. Siccome appariva che in questo affare dovesse aver influenza il Parroco di Santa Croce Bigolina, questi rispondeva all’Arciprete di Fontaniva in questo modo alla sua del 18 Marzo 1910: ‘M. R. Sig. Arciprete Vic. For. di Fontaniva, dal giorno in cui ho amministrato l’Olio Santo alla vecchia Massaracca di


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Ca’ Michele perché chiamato, non posi più piede in quella contrada nè più lo metterò se non mi consti chiaramente di poter far piacere a V. S. R. ma ad onta dell’antica consuetudine. Mi son tenuto sempre estraneo, non ho mai detto niente nè pro nè contro nella vertenza di Ca’ Micheli, checchè altri possano dire o abbiano detto a mio carico per compromettermi e farmi apparire, come altre volte, quale invadente dei diritti parrocchiali, quale fomentatore allo scopo di attirare quella Contrada nella mia parrocchia. Prego V. S. Rev. ma di appurare e verificare la cosa ed io sarò pronto sempre a sostenere qualunque confronto, desiderando che sia presto in chiaro la verità per mia giustificazione e tranquillità. Sul resto non mi preoccupo, come non mi sono mai preoccupato. Ci pensi chi tocca. Ho già fatta la mia dichiarazione a S. E. Mons. Vescovo, ed io starò sempre a quanto ordineranno i miei Superiori. Tre giovanetti di Ca’ Micheli che ho istruiti e preparati per la 1ª Comunione a scanso di ogni equivoco verranno d’ora innanzi a Fontaniva. Con perfetta stima e devoto ossequio mi creda sempre obbligatissimo. Santa Croce Bigolina, 19 Aprile 1910.

Don Antonio Santacatterina Parroco’. Il 26 dello stesso Aprile l’Arciprete di Fontaniva rispondeva come nell’unito foglio segnato col n° 4271. Le cose intanto continuarono senza ulteriori incidenti e cioè come era sempre stato, continuando quelli abitanti a servirsi di questa Chiesa e di questi sacerdoti, ma finalmente si fece una transazione e cioè l’Arciprete di Fontaniva il giorno 24 Novembre 1915 cedette una parte di Contrada di Ca’ Micheli e cioè la Via Postumia le nuove case già fabbricate di recente da Burbello al Brenta mettendo per confine la Rosta che sotto Burbello va fino al confine del Comune verso lo stradone del Duca, tutta cioè la parte Bassa che al presente è abitata da 15 famiglie; la cedé cioè a questa Parrocchia con oneri e onori, cioè del tutto con facoltà nel Parroco di Santa Croce di amministrare tutti i Sacramenti e permettendo che i morti vengano sepolti in questo Cimitero. Non è questa cessione giuridica ma fatta pel bene spirituale di quelli abitanti fatta di pieno accordo fra cessante e accettante e che poi per consuetudine pare farsi di diritto”. Don Antonio non fece in tempo, purtroppo, a vedere la smembrazione di pag.

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diritto della contrada Basse di Ca’ Micheli dalla parrocchia di Fontaniva e la sua aggregazione a quella di Santa Croce. Egli era già morto infatti quando il Vescovo Rodolfi, in data 20 ottobre 1927, emise il seguente Decreto: “Gli abitanti della contrada Basse di Ca’ Micheli Ci inoltrarono il giorno 17 Febbraio 1927 e la ripeterono il giorno 9 Agosto ul. sc. umile istanza per ottenere di essere smembrati dalla parrocchia di Fontaniva ed aggregati alla parrocchia di Santa Croce Bigolina. Allegarono come causa canonica legittimante la loro richiesta la lontananza di circa sei chilometri dalla loro chiesa parrocchiale e la vicinanza alla chiesa di Santa Croce, di cui si servivano di fatto per i loro bisogni spirituali. Il M. R. Arciprete di Fontaniva interpellato rispose in data 20 Febbraio: dico che è giustissimo che gli abitanti di Ca’ Micheli domandino di passare sotto Santa Croce’. Il M. R. Don Sebastiano Centofante, Economo Spirituale di Santa Croce Bigolina, interrogato, espose identico parere, dichiarando che già di fatto si servivano per tutti i loro bisogni spirituali della parrocchia di Santa Croce. Anche il Rev.mo Capitolo, come da pag.

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documento 26 Agosto ul. cor. Ci diede voto a favore. Ora, constatata l’esistenza della causa canonica, letto il Can. 1427 del Codice di Diritto Canonico; a maggior gloria di Dio ed a bene delle anime NOI nella nostra Ordinaria Autorità: 1° Dismembriamo dalla parrocchia di S. Bertrando di Fontaniva la contrada detta Basse di Ca’ Micheli e la aggreghiamo alla parrocchia di Santa Croce Bigolina per tutti gli effetti spirituali. 2° Modifichiamo per la parrocchia di Santa Croce il confine territoriale e precisamente: questo parte dal punto A., ossia dal ponte gettato sulla strada Postumia, sotto il quale passa il piccolo torrente Ramon. Segue il corso del torrente Ramon fino al punto B. sotto il quale il Ramon comunica con una fossetta, e segue il corso della stessa fossetta fino al punto C. in cui incontra la strada vicinale delle Basse, segue questa strada fino al punto D. in cui comincia un terrazzo e lo segue fino al punto E. in cui il terrazzo stesso si incontra con un fosso. Indi segue il fosso fino a raggiungere l’argine del Brenta. Questo confine è segnato in un estratto della carta topografica corrispondente


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al foglio IX delle carte mappali del Municipio di Fontaniva in scala da 1:162, firmata dal Sac. Angelo Arguello Arciprete di Fontaniva e controfirmata da Mons. Tiziano Dott. Veggian Vic. Gen. e corredata del timbro di Curia, in data 14 Ottobre 1927. Questo estratto resta allegato alla pratica come parte integrante del decreto. Il confine sarà pure descritto nella carta topografica dell’Istituto Militare di Firenze all’Iper 25.000. 3° Di questo decreto saranno compilate due copie conformi all’originale e inviate ai M. R. Rettori delle chiese parrocchiali di Fontaniva e di Santa Croce Bigolina per essere custodite nei rispettivi archivi”. Dato che ci siamo, completiamo l’argomento dicendo che neppure il decreto del Vescovo risolse definitivamente il problema. La questione si trascinava perché l’Arciprete di Fontaniva insisteva nel voler celebrare una messa festiva nell’Oratorio di Ca’ Micheli, alla quale partecipavano diversi abitanti delle Basse e questo non piaceva al Parroco di Santa Croce. Ancora il 16 settembre 1941 l’allora Parroco Don Domenico Valente scriveva al Vescovo: “Mosso dal dovere ed a scanso di responsabilità il sottoscritto fa presente

a Vostra Eccellenza Reverendissima quanto segue: 1) La contrada di “Ca’ Michieli”, in Parrocchia di Fontaniva, fa parte civilmente alla Parrocchia di Santa Croce, Comune di Cittadella, e, mentre dista da Fontaniva circa cinque chilometri… è lontana da Santa Croce appena un chilometro. 2) Per essere civilmente della Parrocchia di Santa Croce, frazione di Cittadella, gli abitanti di “Ca’ Michieli” devono dipendere da questa per il medico, per le scuole e per quanto riguarda il Comune… per essere poi vicinissimi, quasi tutti frequentano la chiesa parrocchiale di Santa Croce, molti frequentano quivi anche i SS. Sacramenti ed alcune famiglie pregano che si accolgano i piccoli all’asilo parrocchiale, che si accettino alla dottrina cristiana e che si preparino per la Prima Comunione. 3) Allo scopo di tenere un qualche collegamento della contrada con la Parrocchia di Fontaniva, l’Arciprete di là ha sempre voluto (e vuole ancora) che nell’Oratorio di “Ca’ Michieli”, situato ad un chilometro e cento metri da Santa Croce, venga celebrata una Santa Messa Festiva, creando così un nuovo inconveniente per la pag.

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parrocchia di Santa Croce, perché, prolungandosi la sua “Via Postumia” quasi per un chilometro al di là dell’Oratorio, i fedeli che vi passano dinanzi sono lusingati a fermarsi… e perché, essendo anche l’Oratorio piccolo, vi son di coloro che si fermano fuori, fin sulla strada, con poca o nessuna devozione. 4) Stando così le cose il Sottoscritto sente il dovere di far istanza a Vostra Eccellenza Reverendissima perché voglia rettificare i confini della Parrocchia con i confini del Comune nella Contrada di “Ca’ Michieli”… come da indice in rosso segnato nella carta topografica. Colla rettifica dei due confini resterebbe eliminato anche l’inconveniente della Messa festiva nell’Oratorio suddetto, perché venendo inchiuso nei nuovi confini della Parrocchia di Santa Croce, verrebbe a scomparire ogni pretesto per la celebrazione di detta Messa”. Don Domenico voleva troppo e ovviamente la Curia non prese altri provvedimenti a riguardo, sia perché forse era stanca del dissidio sia perché non era il caso, per accontentare il Parroco di Santa Croce, di mettersi contro l’Arciprete di Fontaniva, confidando propag.

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babilmente che i contrasti si sarebbero attenuati col tempo. Così accadde ed oggi della questione rimangono solo le testimonianze d’archivio. Gli ultimi lavori di Don Antonio Santacatterina Appena un anno prima della morte, Don Antonio, come lui stesso scrive, “dovette incontrare una spesa che era imprevista. Facilmente nell’innalzare i quadri del soffitto della Chiesa (vedi anno 1919), il quadro verso il Coro che rappresentava il Martirio di San Bellino deve aver sofferto per l’oscillazione e qualche anno dopo infatti si videro delle screpolature e una piccola parte dell’intonaco cadde sul pavimento fortunatamente in sabato mentre i campanari facevano la pulizia. Si abbatterono allora parte dell’intonaco distaccato e in pericolo di cadere e si pensò al rinnovamento del quadro. Nel Dicembre 1925 si fece l’armatura con legname prestato gratuitamente dal Sig. De Toni Cristiano, fu invitato a sopraluogo il Pittore Sig. Felice Lovato di Castelnuovo di Vicenza il quale avute notizie del Santo e del suo martirio, preparò il bozzetto che fu sottoposto alla Commissione d’Arte Sacra in


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Curia, bozzetto che fu approvato in data 5 Gennaio 1926. Approntato il necessario con un po’ di ritardo per malattia del Pittore, nella prima settimana di Maggio fu eseguito il quadro con piena e generale soddisfazione. I nipoti del sottoscritto Pittore… dal 17 ai 21 Maggio decorarono le due Sacrestie e rifecero lo stemma dei Nobili Bigolino sulla parete a tramontana del Coro, mentre prima era nella parete di mezzodì dove si aprì la nuova finestra del Coro. Il quadro di S. Bellino nel soffitto costò L. 1.500 e la decorazione delle due Sacrestie L. 300 che a saldo furono pagate il 5 Giugno nelle mani del Pittore Sig. Felice Lovato che rilasciò regolare ricevuta”. Qui terminano le precise e preziose memorie di Don Antonio, sacerdote instancabile e abile progettista, al quale Santa Croce deve, oltre all’ampliamento della chiesa, la maggior parte delle strutture e delle opere che ancora esistono. Il 19 gennaio 1927, dopo 22 anni di intensa attività pastorale a Santa Croce, a 69 anni, Don Antonio Santacatterina, “spirava - come dice l’atto di morte - alle ore 21 col conforto della Santa Assoluzione ed Estrema Unzio-

ne, per embolocardite e la sua salma veniva inumata nella Cappella del Cimitero di Santa Croce il 20 stesso, celebrante… Don Angelo Arguello Vicario Foraneo di Fontaniva”. Il suo successore, Don Silvio Mozzato, annotandone la data della morte a margine degli scritti, affermò che egli lasciò “la più cara memoria per la sua bonarietà, integrità di vita e per tutte le opere… da Lui descritte”. Don Antonio Santacatterina è ricordato a Santa Croce da una lapide posta in Sacrestia e da un’altra, con la sua foto, nella Cappella del Cimitero, nella quale sta scritto significativamente: “A perenne memoria di Don Antonio SANTACATTERINA che d’amore più che fraterno confortò i suoi congiunti, fulgido soave modello di sacerdotali, famigliari e cittadine virtù, qui ove scese compianto benedetto e tra i figli suoi spirituali dorme il placido sonno dei giusti”. Don Silvio Mozzato, 9° Parroco (1928–1934) Morto Don Antonio, fu eletto Economo Spirituale Don Sebastiano Centofante, in attesa che, secondo l’antico diritto spettante a Santa Croce e ancora in vigore, nonostante il governo pag.

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fascista, venisse presentata al popolo la nuova terna di sacerdoti fra cui scegliere il Parroco. Domenica 17 luglio 1927, dunque, alle ore 11, nella chiesa parrocchiale, furono convocati i capifamiglia per l’elezione, in seguito all’avviso del Podestà di Cittadella, Gaetano Zambusi, debitamente pubblicato e affisso a Cittadella e a Santa Croce e letto in chiesa. L’assemblea era presieduta dal delegato del Prefetto Cav. Dott. Giovanni Ganzetti, assistito dal segretario municipale Silvio Sacchetti. Ma a questo punto si verificò un colpo di scena: all’Assemblea erano presenti solo i capifamiglia componenti il seggio elettorale, poiché gli altri avevano disertato la seduta. Infatti la Curia aveva presentato i nominativi di due soli candidati e non di tre com’era prescritto. Con grande coraggio, allora, i capifamiglia Merlo Girolamo, Vangelista Luigi, Bizzotto Edoardo, Sartore Giacomo, Baggio Antonio, Baggio Andrea, Mazzocchin Stefano e i fabbricieri De Toni Cristiano e Fagan Pietro firmarono e presentarono il seguente documento alle autorità presenti: “I sottoscritti capi famiglia in nome proprio e ritenendosi interpreti di pag.

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tutti i capifamiglia, fermi nel loro diritto di avere una terna per la elezione del loro Parroco, dichiarano di astenersi dalla votazione e chiedono formalmente la terna”. Il segretario municipale fu così costretto a scrivere nel verbale: “…A questo punto dovevasi procedere alle varie formalità per la scelta fra i due candidati proposti dalla Curia Vescovile di Vicenza ed approvate dall’Autorità Governativa nella persona dei sacerdoti Bacchirotto Don Stefano e Crosara Don Policarpo. Ma non essendo presenti dei 220 capifamiglia che hanno diritto al voto se non quelli componenti il seggio elettorale, si è dovuto constatare che la convenzione è mancata. Se ne ebbe infatti la riprova essendosi apposita Commissione presentata a dichiarare formalmente a nome dei capifamiglia, che i medesimi intendevano astenersi dalla votazione per salvaguardare il loro diritto ad avere una terna di candidati, come da analoga dichiarazione allegata. A seguito di che il Sig. Presidente ha dichiarato deserta l’adunanza…”. Già il 29 luglio, di conseguenza, il Prefetto informava il Vescovo che i capifamiglia si erano “astenuti dalla vo-


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tazione chiedendo formalmente una terna invece della dupla quale venne presentata” e allegava “la domanda dei rappresentanti i ridetti capifamiglia nonché dei Fabbricieri interessati per ottenere la terna sulla quale intendono far cadere la scelta per la nomina del nuovo loro parroco”. Il 7 agosto 1927, la rinuncia al diritto di nomina del parroco fu formalizzata con atto notarile. Nella Chiesa Parrocchiale, davanti al notaio dott. Antonio Ziliotto di Cittadella, appositamente convocato, sfilarono ben 166 dei 220 capifamiglia aventi diritto, i quali vollero che fosse dato atto di quanto segue: “I°. Tutti i capi-famiglia prenominati della suddetta Parrocchia aventi diritto di patronato ossia di nomina popolare del Parroco nella vacanza del titolare su terna presentata dal Vescovo, affermano col presente atto di rinunciare liberamente, spontaneamente ed in perpetuo al loro diritto di nomina del Parroco e insieme dichiarano la loro volontà nella presente vacanza della Parrocchia e per tutte le vacanze future il diritto di nomina del Parroco sia devoluto unicamente al Vescovo pro-tempore di Vicenza, il quale da oggi in futuro diventa e

sarà l’ordinario e libero collatore del Beneficio e della Parrocchia di Santa Croce Bigolina di Cittadella. II°. L’elenco dei capi di famiglia aventi diritto al jus patronatum e quindi alla nomina del Parroco, a cui col presente atto intendono avere rinunciato, è in massima nella sua maggioranza conforme a quello indicato nella notifica trasmessa dalla R. Prefettura di Padova per occasione della rappresentazione fatta dal Vescovo dei due Sacerdoti Don Stefano Bacchirotto e Don Policarpo Crosara per la Parrocchia di Santa Croce Bigolina… vacante per la morte del Molto Rev.do Don Antonio Santacatterina, e insieme dichiarano che domenica 17 luglio u. s., invitati al voto, si sono astenuti in massa dal votare essendosi ritirato dal concorso il primo dei due Sacerdoti candidati alla Parrocchia di Santa Croce Bigolina, ed ora formano il proposito unanime di lasciar in questa nomina ed in quelle future piena libertà al Vescovo pro-tempore di Vicenza di nominare il Parroco di Santa Croce, usando della sua ordinaria Autorità alla pari di tante altre Parrocchie della Diocesi che sono per diritto di piena, assoluta e pag.

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libera collazione del Vescovo…”. La presa di posizione dei capifamiglia fece sicuramente scalpore, ma solo il 16 maggio 1928 la Curia di Vicenza si mosse, scrivendo al Prefetto di Padova: “Eccellenza, con Suo Pregiato Foglio… del 29 luglio 1927 veniva comunicato… che l’adunanza dei Capi di famiglia di Santa Croce Bigolina di Cittadella aventi diritto alla nomina del loro Parroco, indetta per il giorno 17 luglio 1927, era andata deserta… Risulta che gli elettori non si sono presentati, perché esigevano una terna di nomi, su cui esercitare il loro diritto di voto. Premetto che il Vescovo, qualora avesse avuto tre Sacerdoti concorrenti approvati, avrebbe presentato la terna richiesta. Presentò invece i due soli Sacerdoti rimasti, avendo altri rinunziato. Ora però, per andare incontro ai desideri della buona popolazione di Santa Croce Bigolina, si aggiunge il nome di un altro Sacerdote, approvato ad unanimità dagli Esaminatori Sinodali. Egli è il R. D. Silvio Mozzato. Resta quindi formata la terna richiesta: 1° Sac. Silvio Mozzato 2° Sac. Stefano Baschirotto 3° Sac. Policarpo Crosara. pag.

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… Si compiaccia V. Eccellenza di convocare nuovamente i Capi di famiglia di quella parrocchia, perché procedano alla nomina del loro Parroco…”. Il 14 giugno fu pubblicato il bando di convocazione e finalmente, domenica 24 giugno 1928, alle ore dieci, l’Assemblea si riunì nella Chiesa Parrocchiale. La presiedeva il Podestà di Cittadella Gustavo Zambusi, assistito dal Segretario municipale. A lato del Presidente sedevano i Fabbricieri, De Toni Cristiano, Fagan Pietro, Marsan Angelo; scrutatori erano Cocco Paolo, Fantin Giuseppe, Benetello Giuseppe e Martinello Giovanni. Erano presenti 173 capifamiglia su 208 aventi diritto. Il Presidente fece presente che l’elezione era ancora sottoposta alle norme del Regolamento napoleonico del 15 maggio 1804: i sacerdoti candidati, cioè, sarebbero stati proposti per la votazione secondo l’ordine deciso dalla sorte; si sarebbe votato a scrutinio segreto per ognuno dei candidati e sarebbe rimasto eletto quello che avrebbe ottenuto il maggior numero di voti favorevoli, purché non inferiore alla metà più uno dei votanti. Il Segretario poi lesse le note del Prefetto dalle quali risultava che i candidati pro-


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posti dalla Curia Vescovile di Vicenza ed approvati dall’Autorità Governativa erano: 1) Mozzato Don Silvio, Curato di Piane di Schio; 2) Baschirotto Don Stefano, Parroco a Marola di Torri di Quartesolo; 3) Crosara Don Policarpo, Curato a S. Gottardo di Zovencedo. Il primo ad essere sorteggiato per la votazione fu Don Stefano, che ebbe zero voti favorevoli e 173 contrari. Nel frattempo erano sopraggiunti altri undici capifamiglia, per cui Don Silvio Mozzato, secondo candidato, ottenne 184 voti favorevoli e neppure uno contrario. A questo punto si può pensare che già dal 1927 quelli di Santa Croce conoscessero e volessero nella terna il nome di Don Silvio, altrimenti non si spiegherebbe l’unanime consenso. Dopo questa votazione molti abbandonarono l’assemblea, tanto che rimasero solo 28 persone, le quali votarono tutte contro il povero Don Policarpo. Così, come dice il verbale della seduta “… avendo… il Rev. D. Silvio Mozzato riportata la maggioranza dei suffragi assoluta e relativa, il medesimo rimane eletto a Parroco della Chiesa di Santa Croce Bigolina…”.

Questa fu l’ultima volta che i capifamiglia di Santa Croce poterono esercitare il diritto di scelta nella nomina del Parroco, che da allora restò di esclusiva competenza del Vescovo. Don Silvio Mozzato fece il suo ingresso a Santa Croce il 21 ottobre 1928, che lasciò appena sei anni dopo, il 15 agosto 1934, per la parrocchia di Cornedo Vicentino. Nel 1944 fu nominato Parroco di S. Giorgio in Brenta, dove rimase fino alla morte. A Don Silvio si deve la costituzione dei Circoli Cattolici maschili e femminili, con i loro relativi vessilli, e l’organizzazione di tutte le varie associazioni all’interno dell’Azione Cattolica272. Dal 1929 al 1931 egli dovette anche affrontare la situazione venutasi a creare in paese a seguito della vendita della tenuta Jonoch. Lo stesso Don Silvio scrive, in margine alle memorie di Don Antonio Santacatterina: “Un riccone di Padova273 compera la tenuta Jonoch e, col suo metodo di conduzione, porta nel paesello la schiavitù e la miseria. Una trentina di famiglie sono private del terreno, altre famiglie di grossi mezzadri sono costretti a emigrare. Il Parroco fa del suo meglio per aiutare i propri parrocchiani; la Fabbriceria insiste prespag.

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so il nuovo proprietario per avere le questue tradizionali, ma il quantitativo che si riceve è ben inferiore alle offerte consuetudinarie delle diseredate famiglie”.

NOTE AL CAP. 17 213. In realtà si tratta di Rocco Pittaco, pittore assai apprezzato nell’Ottocento, molto attivo dalle nostre parti. Affrescò anche la chiesa di Fontaniva, i soffitti delle chiese di Tezze sul Brenta, di Montecchio Maggiore, dei Carmini e di S. Lucia in Vicenza, oltre ad una lunetta raffigurante l’apparizione della Vergine nella navata sinistra della Basilica di Monte Berico. 214. Dell’organo e delle campane, così come del campanile, si parlerà diffusamente più avanti. 215. Fu quasi certamente in questa occasione che vennero ricoperte e si perse memoria delle tombe di Alessandro Bigolino e del primo Parroco di Santa Croce, ritrovate nel 1997. 216. Una boeria corrispondeva ad un carico trainato da una coppia di buoi. 217. Si ricordi che, fino a meno di un secolo prima, il luogo antistante la chiesa era il cimitero del paese. 218. Cioè nell’archivio parrocchiale. 219. Come si vede, la burocrazia dello Stato Italiano non scherzava nemmeno allora. Si noti il richiamo ad una legge napoleonica risalente ad un secolo prima ed ancora in vigore. 220. Intanto, il 20 luglio 1906, erano giunte dalla Regia Prefettura tutte le sospirateautorizzazioni. 221. Questa originaria facciata è ancora visibile in fotografie dell’epoca. 222. Una volta terminati i lavori, la chiesa venne a misurare m. 22,80 x 8,50. 223. Gli stipiti e l’architrave della vecchia porta maggiore, fortunatamente ancora ben conservati, risalgono alla costruzione originaria della chiesa, cioè al Millequattrocento.

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224. Il pulpito, posto in alto a metà circa della navata, come quello che si può vedere ancora nella chiesa di Fontaniva, veniva utilizzato soprattutto dai predicatori straordinari, in particolare durante i cosiddetti “Quaresimali”. Lungo il corso del Novecento il suo uso venne progressivamente abbandonato e i pulpiti di molte chiese, i quali a volte erano vere opere d’arte, furono purtroppo tolti; così accadde anche per la nostra chiesa, non sappiamo quando. 225. Il corridoio attualmente mette in comunicazione con l’ambulatorio medico ed è chiuso da una porta. 226. Il passaggio ora è chiuso dai recenti confessionali, costruiti imitando la forma dei vecchi e utilizzandone il legno. 227. Ricordiamo che i Marcante erano i proprietari dell’ex convento ora dei Dal Sasso. 228. Anticipiamo già ora, per maggiore chiarezza, che l’organo, che era posto sopra la porta d’ingresso, a causa dei lavori di ampliamento della chiesa, fu ricollocato in alto dietro l’altare maggiore, come si può vedere in una splendida foto del 1939. 229. La catena è generalmente costituita da un tirante orizzontale in ferro, che assorbe la spinta laterale esercitata da archi, volte o capriate. 230. Sono le pitture che si possono tuttora vedere sul soffitto. 231. Sono le centine, armature a forma di arco che servono a sostenere le volte durante la loro costruzione o riparazione. 232. Elementi decorativi a forma di colonna incassata nel muro. Sono quelle esistenti tuttora. 233. Ricordiamo, per i più giovani, che si tratta della vecchia canonica che faceva corpo unico con la chiesa e che fu demolita negli anni Settanta per far posto alla nuova.

234. Sono i quadri che si possono tuttora vedere lungo le pareti. 235. Purtroppo, come per tanti altri arredi e decorazioni, questa Via Crucis non esiste più. 236. Attualmente di tutta questa decorazione restano soltanto i 6 Profeti, i 12 Apostoli e i 4 Evangelisti. Ci sia consentito far notare con quanta facilità e leggerezza talvolta i sacerdoti che si succedono in una parrocchia cancellino e disfino quanto hanno fatto i loro predecessori con molta spesa e fatica. A volte si tratta di interventi necessari, ma molte altre volte ci vorrebbe, forse, maggiore rispetto per quello che si trova e che dovrebbe essere lasciato come patrimonio di tutta la Comunità. 237. Modanatura che delimita la parte più alta di un mobile. 238. Questa stupenda cassa in cui era contenuto l’organo, capolavoro di artigianato che oggi sicuramente avrebbe un valore rilevante e che si può, per fortuna, ammirare ancora in una foto del 1939, ritrovata negli Archivi della Curia, andò perduta quando, appunto in quell’anno, come si vedrà più avanti, l’organo fu abbassato e rinchiuso dentro l’attuale brutta cassa di compensato. 239. Per proteggerle dalla polvere, le canne in facciata dell’organo venivano coperte da tele ricamate. 240. Nel 313 l’imperatore Costantino concesse la libertà di culto ai cristiani. L’anno precedente aveva vinto in battaglia il suo rivale, Massenzio, dopo avere avuto una visioneche lo invitava a porre sulle sue insegne una Croce con la scritta “In hoc signo vinces”, cioè: “Nel nome di questo segno vincerai”. 241. Erano le porte che davano accesso al coro e all’organo; ora sono state tolte. pag.

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242. È l’altare che esiste ancora oggi, ma che è stato abbassato negli anni Sessanta, eliminandone la base e riducendone la parte superiore, per consentire la visibilità dell’affresco della Crocifissione, eseguito nell’abside nel 1965 dal pittore G. Modolo di Vicenza e commissionato dall’ing. Augusto Tebaldi, residente a Padova, ma nato da Maria Chemin Palma, che abitava a Santa Croce (entrambi sono sepolti qui nella tomba di famiglia, affrescata dal Modolo, posta a destra della Cappella maggiore del cimitero) La parte superiore dell’altare, per fortuna conservatasi, è stata ripristinata nel 1997, senza nulla togliere alla visibilità del dipinto. 243. È l’altare attualmente esistente. 244. L’orologio della chiesa risale al Cinquecento. Subì due rimaneggiamenti, uno nel Settecento e un altro, appunto, nel 1908, quando la sua manutenzione era ancora di pertinenza del Comune. Il meccanismo di carica era posto nel terzo pianerottolo del campanile. Per caricare l’orologio, bisognava salire tre rampe di scale e, tramite un’apposita manovella, sollevare i due pesi di pietra, uno dei quali pesantissimo, sostenuti da corde d’acciaio, che regolavano l’oscillazione del pendolo. Oggi, ovviamente, la carica è elettrica. Nel 1997 il quadrante dell’antico orologio è stato restaurato, facendo emergere quello originario del Cinquecento, dai vivaci colori, veramente degno di ammirazione. 245. Qui s’intende nella preparazione degli stendardi per le processioni e negli addobbi della chiesa, allora molto più ricchi, ad esempio durante le Quaranta ore di adorazione nella Settimana Santa. 246. Dopo la seconda guerra mondiale pag.

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rimase un solo sacrestano, coadiuvato da altri tre solamente quando venivano suonate tutte le campane (come vedremo, dal 1919 se ne aggiunse una quarta). Gli ultimi due sacrestani furono Toniolo Giuseppe e Merlo Aldo, che “fu licenziato” a ridosso degli anni Settanta, anche a motivo dell’elettrificazione delle campane.

247. Mons. Maggio era stato compagno di Seminario di Don Antonio. 248. Esemplare figura di Sacerdote e Maestro di scuola, Don Sebastiano Centofante, nato a Sandrigo il 23 ottobre 1872, visse buona parte della sua vita a Santa Croce, in una casa di sua proprietà, con la sorella Maria, dal 1898 fino alla morte avvenuta nel 1948. Fu per tre volte Economo spirituale, reggendo la Parrocchia in attesa della nomina del Parroco: dal novembre 1903 all’ottobre 1904, dal gennaio 1927 all’ottobre 1928, dall’agosto 1934 al gennaio 1935. È’ sepolto nella cappella principale del Cimitero di Santa Croce, dove lo ricorda la seguente lapide, posta dalla sorella e dai fratelli: “A perenne memoria di

DON SEBASTIANO CENTOFANTE, Sacerdote e Maestro. Il corpo giace nel sepolcro, la virtù vive in quanti l’hanno conosciuto ed amato, lo spirito sta nella gloria”

249. Tutte queste reliquie sono andate perdute, non si sa come, ma sicuramente dopo il 1962. 250. Per notizie più particolareggiate sull’argomento, al quale si è appena accennato, ma che meriterebbe una più ampia trattazione, si veda: D. M. Rossi, op. cit., p. 702 - 712. 251. Si tratta del ponte che, dove sono ora le aiole, attraversava la roggia. 252. Era il trecentesco Oratorio di San Francesco, che sorgeva in centro.


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253. È l’oratorio dell’attuale Villa Kofler. 254. La statua del Cremasco è quella tuttora esistente. La vecchia statua, invece, venne conservata, con alcuni ex-voto, in una teca di vetro nell’Oratorio, fino a quando, tra gli anni Sessanta e Settanta, il Parroco di allora, di sua iniziativa, la cedette non si sa a chi. 255. V. G. Franceschetto, CITTADELLA, Saggi storici, Lions Club - Cittadella, 1990, pp. 437 - 448. Sindaco di Cittadella nel periodo della Grande guerra fu l’avv. Gavino Sabadin. 256. V. G. Franceschetto, op. cit., p. 444. 257. L’immagine di cui si parla, di un certo valore artistico, fu purtroppo trafugata a ridosso degli anni Novanta e sostituita da quella attuale. 258. Qui Don Antonio si riferisce a quelle parti del Convento andate distrutte, una delle quali, cioè il corpo centrale, come ben si vede dalla mappa conservata nell’Archivio di Stato a Venezia, era direttamente collegata con il campanile e con la chiesa. 259. Come si vede, nel 1910 il nostro campanile era ancora di proprietà comunale e non è chiaro se lo sia anche adesso. 260. Fu forse in questa occasione che il campanile perse il suo originale stile gotico; le bifore infatti risultano ora di stile romanico, con le arcate a tutto sesto. 261. Al termine dei lavori, il campanile raggiunse l’altezza di m. 35,3. Dopo di allora, negli anni Sessanta si gettarono le fondamenta, che non esistevano, rinforzando anche le pareti con iniezioni di cemento armato. Nel 1997 il campanile fu restaurato esternamente e rifinito con rasatura a calce, come risultava essere in origine secondo le analisi degli antichi intonaci rinvenuti sulla facciata nord del campanile stesso e sull’esterno

dell’abside; vennero sistemate anche la cupola e le lastre di marmo di Carrara che la ricoprono fin dal 1913.

262. Come si vede dalle scritte riportate, ogni campana ha il preciso compito di suonare in determinate occasioni. Così la prima è quella che chiama ancor oggi i fedeli alla Messa (i giorni di letizia sono appunto le domeniche); la seconda suonava nei funerali e in caso di brutto tempo; la terza durante i temporali ed i suoi rintocchi erano i primi al mattino e gli ultimi la sera (veniva chiamata appunto “la campana dell’Ave Maria’); la quarta poi accompagnava le altre durante i temporali e nei funerali; suonava, come ora, al mattino, a mezzogiorno e alla sera e rendeva solenni i concerti nelle festività. È il caso di aggiungere che una volta si suonavano le campane molto più di ora, soprattutto quando moriva qualcuno; i loro rintocchi, nella nostra società contadina, avevano un significato assai profondo, che noi oggi fatichiamo a riconoscere: erano le campane a regolare lo svolgersi della giornata, a segnare le pause del lavoro e il momento della preghiera, a sottolineare gli eventi tristi e quelli gioiosi. Il loro suono insomma interpretava i sentimenti più genuini della gente. 263. Per completare quanto è stato detto, è opportuno ricordare che le campane sono state elettrificate negli anni Sessanta. Nel 1998 infine sono stati radicalmente rinnovati l’impianto di elettrificazione e quello di sostegno delle campane, per le quali pure sono stati fatti i necessari interventi di manutenzione. 264. È il paravento in legno che esiste ancor oggi e che è stato restaurato nel 1997. 265. Gavino Sabadin nacque in Istria da genitori veneti il 4 settembre 1890. Si laureò in giurisprudenza il 14 luglio 1914, anno in cui fu chiamato alla carica di Sindaco di Cittadella. Ricevette la medaglia d’argento al valor militare per la Resistenza. pag.

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Si distinse particolarmente per il costante impegno sociale e politico, culturale e amministrativo, in provincia e in Italia. Morì all’età di 90 anni a Cittadella, testimone e protagonista di eventi “che hanno segnato le profonde trasformazioni di questo secolo a Cittadella e in tutto il comprensorio dell’Alto Padovano” (D. M. Rossi, op. cit., p. 709)

266. Il sepolcreto è la parte dell’Altare in cui sono conservate le reliquie dei Santi. 267. In quegli anni la popolazione aveva raggiunto i 1.300 abitanti. 268. L’opera delle Suore di S. Eusebio è proseguita fino all’ 8 luglio 2001, quando le due Suore ancora presenti, Suor Antida e Suor Graziella, hanno lasciato per sempre Santa Croce. 269. La mura non esiste più, demolita negli anni Settanta nei lavori di ristrutturazione dell’edificio divenuto nel frattempo Patronato. 270. Si deve tener presente che la vecchia canonica, demolita a metà degli anni Sessanta per far posto all’attuale, era unita alla chiesa sul lato destro. Il magazzino di cui si parla, prima adattato a spazio per la Dottrina, diventerà poi, con Don Domenico Valente, cantina, mentre ora è ambulatorio medico. 271. Non si è riusciti a reperire in archivio il foglio di cui si parla. 272. La nascita dell’Azione Cattolica fu voluta da Pio XI che le conferì, nel 1925, una solida struttura. Il regime fascista non vide mai di buon occhio la nuova organizzazione, tanto che nel 1931 Mussolini ordinò la chiusura di tutti i circoli cattolici. La questione si risolse poi con un compromesso. 273. Dobbiamo omettere il nome, per motivi di riservatezza, non essendo ancora passati cent’anni dagli avvenimenti. pag.

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A destra: così si presentava la decorazione dell’abside e del coro dopo gli interventi voluti da Don Antonio Santacatterina. Sullo sfondo posto in cantoria l’organo rifatto dai fratelli Zordan nel 1906-1907, racchiuso nell’artistica cassa armonica. La foto del 1939 è conservata nell’Archivio della Curia di Vicenza, allegata alla pratica con cui Don Domenico Valente, il parroco succeduto a Don Antonio, chiedeva ed otteneva di ritinteggiare le pareti dell’abside e spostare l’organo nella posizione in cui ancor oggi si trova.


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LA LEGGENDA RITROVATA

In alto: l’asilo parrocchiale edificato da Don Antonio Santacatterina (oggi vi ha sede il Patronato) in una splendida cartolina dei primi anni del Novecento, in cui si vede il viale alberato che costeggiava la roggia Michela, voluto dal successore di Don Antonio Santacatterina, Don Domenico Valente e del quale lo stesso Parroco ci parla nelle sue memorie (v. capitolo seguente). A destra: dalla cella campanaria occhieggiano due delle quattro campane volute da Don Antonio Santacatterina che suonarono per la prima volta a mezzogiorno del 12 ottobre 1919. pag.

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CAPITOLO 17

I Parroci, la vita religiosa e i principali avvenimenti del Novecento

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LA LEGGENDA RITROVATA

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A sinistra: abside e coro dopo la ristrutturazione voluta da Don Domenico Valente, il parroco successore di Don Antonio Santacatterina.

Don Domenico Valente, 10° parroco ( 1935–1962)274 Chiudiamo la nostra storia sui Parroci del Novecento, per i motivi cui già abbiamo accennato precedentemente, rievocando la figura e l’opera di un Sacerdote ancora presente nel ricordo di molti. Nato a San Andrea di Cologna Veneta il 6 maggio 1892 da Giovanni e Turri Palma, Domenico crebbe in una famiglia profondamente religiosa, tanto che un fratello e tre sorelle si consacreranno al Signore. Anche lui, dopo le elementari, manifestò il desiderio di entrare in seminario. Nonostante le difficoltà economiche della famiglia, il 4 novembre 1903 lascia il suo paese per iniziare gli studi che lo porteranno al sacerdozio. Nel 1911 una tragedia: durante le vacanze estive, il 20 agosto, a soli 52 anni, il padre Giovanni muore improvvisamente. Adesso la situazione economica della famiglia si faceva davvero drammatica. Nel suo quaderno di memorie, che abbraccia il periodo dal 1910 al 1920275, Don Domenico Valente riporta una lettera, scritta insieme al fratello Angelo il 10 ottobre 1911 al Rettore del Seminario, nella quale il giovane

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Don Domenico Valente e Santa Croce tra guerra e dopoguerra

Valente, dopo aver ricordato che “la perdita del nostro amatissimo genitore ci ha posti nella necessità di ricorrere a Lei”, poiché “il peso che sovrasta alla nostra famiglia per la retta necessaria al minore è affatto eccessiva, tanto più che il fratello nostro maggiore ha dovuto ereditare dal defunto nostro papà diversi oneri che egli ha incontrato per la posizione di ben quattro nostre sorelle e cugine in religione”, confida “che anche il Seminario vorrà pensare qualche cosa per noi…”. Le difficoltà vengono un po’ alla volta superate e c’è spazio anche per la gioia. Il 1° maggio 1913 Don Domenico scrive agli zii: “Oggi è per me giorno di festa ed è ben giusto che anche voi ne siate messi a parte. Gesù ha esaudite le mie preghiere e proprio oggi ho indossato la veste benedetta ed ho ricevuto la prima tonsura…”. Lo stesso giorno il novello chierico scrive ad un benefattore. Scoppia la prima guerra mondiale ed anche la classe 1892 è di leva. Don Domenico, a cui manca solo un anno per l’ordinazione sacerdotale, deve deporre la veste per indossare la divisa. Porta la sua opera tra i soldati della sanità negli ospedali da campo, pag.

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LA LEGGENDA RITROVATA

a Vicenza prima, a Verona poi. Il 23 dicembre 1915, dall’ospedale da campo del Seminario, scrive al Vicerettore: “Se vi è solennità in cui riesce dolce l’esternare la riconoscenza verso le persone che ci amano beneficiandoci, la migliore senza dubbio è questa del Santo Natale. Anche qui, benché mai si faccia distinzione di giorno di festa da quello di lavoro, pure in questi momenti un bisbiglio insolito di soldati riuniti in gruppetti e le domande che di continuo si fanno, fa intravvedere chiaramente che tutti, sia pure con mire diverse, attendono con impazienza il grande avvenimento. Ed anch’io, Reverendo Vicerettore, l’attendo, ma il mio cuore non gusta la gioia degli altri anni: la notte di Natale sarà per me una come le altre e tutte le funzioni si ridurranno ad una sola messa al mattino. Mentre scrivo, non posso trattenere le lacrime, e solo il pensiero che così vuole Gesù, e che anzi solo facendo volentieri ciò che devo fare, adempio alla Sua volontà, mi racconsola alquanto…”. Finita la guerra, Don Domenico, consigliato dai Superiori, prende la licenza magistrale per poter insegnare catechismo nelle scuole pubbliche. Il 18 luglio 1920, finalmente, è orpag.

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dinato sacerdote. Presta dapprima la sua opera come cappellano a Pressana. Dopo appena un anno, viene chiamato a collaborare con il parroco nel suo stesso paese di Cologna. Sono anni difficili. Alle idee socialiste apertamente anticlericali si sostituisce il fascismo, altrettanto pericoloso in quanto nascondeva le stesse idee sotto la maschera dello Stato totalitario. Don Domenico lo capisce e combatte l’ideologia fascista, alla quale contrappone l’associazione delle Guardie d’Onore, coll’intento di diffondere la devozione al Sacro Cuore. La reazione fascista lo prende di mira. La notte della vigilia di Natale del 1933 è costretto a fuggire. Il Vescovo Rodolfi, al quale si presenta, lo invia come vicario parrocchiale a Carmignano di Brenta, dove rimane fino al 20 gennaio 1935, giorno del suo ingresso nella parrocchia di Santa Croce Bigolina. L’azione pastorale e organizzativa di Don Domenico a Santa Croce Chi lo ricorda, sa che Don Domenico era un sacerdote severo. Senza dubbio incontrò nel suo cammino qualche critica per la sua rigidità nei confronti di qualche situazione particolare.


CAPITOLO 18

Don Domenico Valente e Santa Croce tra guerra e dopoguerra

Ma nessuno può negare la sua squisita carità verso i poveri (qualcuno racconta di averlo visto una mattina invernale ritornare senza scarpe), così come si deve attestare che nei suoi 27 anni di ministero egli fu infaticabile, sia nell’azione pastorale sia nell’organizzazione e nel rinnovamento delle strutture parrocchiali, anche se non sempre, come vedremo nel caso dell’organo, i lavori ebbero un esito positivo. Qui non possiamo elencare tutto quello che egli fece; diremo perciò le cose più importanti, rifacendoci alle sue stesse scrupolose annotazioni e a qualche esempio dei resoconti che egli annualmente inviava in Curia.

Sessanta insieme con le balaustra); -sono aperte due finestre in coro con rispettive inferriate e terrazza sopra la sacrestia; viene aperta una porta che dalla Chiesa conduce in sacrestia; -si rifà l’impianto elettrico con riflettori; -vengono fatte nuove 170 sedie e riparate le altre; il legno è offerto da persone della parrocchia; -si costruiscono ex novo dieci banchi della chiesa, sei offerti da persone benefattrici; -viene fatto il pavimento del corridoio adiacente alla chiesa; -viene data la tinta ai banchi, alle sedie e alle porte; riparati i confessionali; -si dà anche la tinta ai vetri della I lavori più importanti chiesa; dal 1936 al 1939 Poco prima dello scoppio della secon- -viene riparato il tetto della chiesa; da guerra mondiale Don Domenico -viene eseguito il lavoro di rimargirinnova l’interno della chiesa, ma si dà namento e di abbellimento del corso anche da fare perché sia abbellito il d’acqua lungo la strada della chiesa; -si attua la sistemazione della piazcentro del paese. Infatti: -vengono rifatti ex novo i banchi za della chiesa. del coro, a spese di una persona be- Fra i lavori eseguiti negli anni 193839, ve ne sono alcuni che richiedono nefattrice; -viene fatto il cancello del presbite- un commento. rio, in ferro battuto, a spese di due per- Nel 1938 venne decorato ex novo il sone benefattrici (il cancello oggi non coro della chiesa, dietro autorizzazioesiste più; è stato rimosso negli anni ne della Curia e visto il parere favorepag.

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vole del Commissario per l’Arte Sacra, Don Giuseppe Zocche. I lavori furono eseguiti dal pittore Vittorio Rossi di Cittadella. Purtroppo la nuova decorazione andò in parte a cancellare quella voluta da Don Antonio Santacatterina: scomparvero così lo stemma dei Bigolini e quelli del Vescovo Rodolfi e di San Pio X, la decorazione delle pareti laterali, sostituita da una fascia di contorno con croci alternate a visi d’angelo, quella delle arcate dell’abside e le stelle su sfondo azzurro che ornavano la volta del coro. (Negli anni Sessanta anche tutto questo verrà cancellato e sostituito con niente) . Sulla parete absidale di fondo, tolto l’organo, dove ora è l’affresco della Crocifissione, opera del pittore G. Modolo, eseguito nel 1965, in luogo delle decorazione a stelle venne dipinta, come molti ricorderanno, una Croce su un colle da cui scendevano rivi d’acqua, ai quali si abbeveravano due cervi, opera del prof. Antonio Dall’Amico. All’incrocio delle arcate del coro, sopra l’altare maggiore, fu appesa una artistica corona lignea, che serviva a reggere, insieme con due angeli pure di legno dorato, i drappi decorativi durante la Settimana Santa e le feste pag.

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solenni. (Anche questa scomparve durante i lavori eseguiti negli anni Sessanta). Nel 1938 fu anche rifatto l’organo. Cogliamo qui l’occasione per ripercorrerne le sfortunate vicende. L’organo di Santa Croce: una nobile storia terminata nella decadenza La storia dell’organo di Santa Croce è ancora in parte avvolta nel mistero. Non sappiamo esattamente quando fu costruito, ma sicuramente esso esisteva già nella seconda metà del Settecento. Infatti, fra le testimonianze portate nel 1794 al Vescovo per dimostrare che Santa Croce aveva la possibilità di provvedere economicamente alle necessità, una volta eretta in Parrocchia, si afferma che la Comunità era in grado di pagare il predicatore della Quaresima e “di mantenere l’organista”. Neppure si sa chi abbia progettato lo strumento. Sicuramente non abbiamo nessuna prova a favore, ma nemmeno possiamo escludere l’intervento di Gaetano Callido (Este, 1727 - Venezia, 1813), uno dei più grandi organari veneti, il quale fu attivo anche dalle nostre parti. Suo, ad


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esempio, è lo stupendo organo del Duomo di Cittadella. Di tanto in tanto troviamo nominato l’organo, che era situato sopra la porta maggiore, in note spese nei vari bilanci della parrocchia, come in quello del 1811. Nello stesso anno è documentato l’elenco delle feste in cui doveva svolgere il suo servizio l’organista Giuseppe Albertoni di Tezze. Nel 1877, sotto il parrocato di Don Angelo Costantini, come ricorda Don Antonio Santacatterina, l’organo fu ingrandito e rifatto. Ancora una volta non abbiamo notizie sull’autore dell’intervento, ma, dai sopralluoghi effettuati da ben tre organari nel 1999, come si vedrà, si può ritenere quasi certamente che il lavoro sia stato eseguito da G. B. De Lorenzi (Schio, 1806 - Venezia, 1883), un altro dei maggiori costruttori d’organo dell’Ottocento, che ha seminato numerosi organi nel nostro territorio, come, ad esempio, a Fontaniva, Carmignano di B., Pozzoleone. Nel frattempo organista era diventato Basso Giovanni di Santa Croce, che ricoprirà la carica per molto tempo; gli subentrerà poi, fino agli anni Sessanta, Baggio Ermenegildo di Battistei. Nel novembre 1906, a seguito del-

l’ampliamento della chiesa, l’organo dovette essere spostato dalla cantoria sopra la porta maggiore e venne ubicato nell’abside, dove la cantoria fu ricostruita ex novo. Finalmente conosciamo gli autori del rifacimento: furono i fratelli Zordan, di Cogollo del Cengio. L’organo era a trasmissione meccanica276, dotato di una tastiera e pedaliera tronca. Aveva la seguente disposizione fonica: - Principale 8’ bassi - Principale 8’ soprani - Ottava 4’ - Decimaquinta 2’ - XIX - XXII - XXVI - XXIX - Voce umana 8’ (dal n. 27 in tastiera) - Fluta reale 8’ (dal n. 27) - Flauto 4’ (dal n. 13) - Flaugioletto 2’ soprani - Corno inglese 16’ soprani (?) - Fagotti 8’ bassi - Tromba 8’ soprani - Contrabbasso 16’ (al pedale) - Contrabbasso 8’ (al pedale) L’organo fu posto, come testimonia Don Antonio Santacatterina, all’interno di un artistico cassone in stile gotico stupendamente lavorato e decorato. Nel 1938 successe quello che nessun pag.

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organista vorrebbe accadesse mai. Era venuta di moda in quel periodo la riforma cosiddetta “ceciliana” (da Santa Cecilia, patrona della musica), per la quale si raccomandava che l’organo non avesse più le caratteristiche di uno strumento solista da concerto, ma fosse pensato per un uso esclusivamente liturgico. Questa buona intenzione, purtroppo, trovò spesso una esagerata applicazione e molti preziosi strumenti antichi furono radicalmente trasformati e talvolta rovinati da organari incompetenti. Fu ciò che accadde anche all’organo di Santa Croce. Il 18 marzo 1938 Don Domenico Valente rivolgeva alla Curia domanda di trasformazione dell’organo, avendo già raccolto in offerte straordinarie la somma sufficiente e allegando il progetto dell’organaro Guerrini di Bassano. Si intendeva trasportare a terra lo strumento (togliendo ovviamente la cantoria) e racchiudere tutte le canne all’interno di una cassa espressiva; la consolle doveva essere sostituita e la trasmissione trasformata da meccanica in pneumatico-tubolare. Anche la disposizione fonica doveva subire cambiamenti, con l’eliminazione dei registri ad ancia e la loro sostituzione con registri violeggianti. Il preventivo pag.

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assommava a L. 9.370. Il 30 marzo arrivava dalla Curia l’autorizzazione al lavoro. Mons. Ernesto dalla Libera, organista della Cattedrale e Commissario Diocesano per la musica sacra, annotava in margine al progetto l’opportunità di aggiungere una seconda tastiera, ma poi la cosa risultò non fattibile per l’eccessiva spesa. L’organaro Guerrini però tardava a dare inizio all’opera e il carteggio conservato nell’archivio parrocchiale testimonia dell’insistenza con cui Don Domenico lo pressava. Infine l’organo fu trasportato a terra dietro l’altare maggiore, con conseguente eliminazione della cantoria, e venne racchiuso tutto nell’attuale brutta cassa espressiva di compensato (andò così perduto lo stupendo artistico cassone ligneo che conteneva le canne, del quale conserviamo ancora l’immagine, fatto costruire da Don Antonio Santacatterina, una delle opere più preziose della chiesa). Naturalmente per eseguire questa operazione le canne di facciata vennero piegate e collocate nel somiere maestro277. Alla consolle meccanica se ne sostituì una con un maniale di 58 note a trasmissione pneumatica-tubolare. Anche la pedaliera venne tolta lasciando il posto ad una pedaliera diritta di


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27 note. Vennero aggiunti i pedaletti del forte generale, l’unione del manuale al pedale e la staffa espressiva. Da notizie successive si rileva che il somiere maestro fu montato alla rovescia e il somiere del pedale, meccanico, venne sostituito da uno pneumatico. Dopo l’intervento del Guerrini, quindi, la disposizione fonica, cambiata in modo quasi radicale, fu la seguente: - Principale 8’ - Ottava 4’ - Decimaquinta 2’ - File ripieno grave XIX - XXII - File ripieno acuto XXVI - XXIX - Gamba 8’ - Bordone 8’ - Celeste 8’ soprani - Viola dolce 4’ - Flauto a camino 4’ - Flauto in XIIª soprani - Contrabbasso 16’ - Contrabbasso 8’ - Combinazioni: Unda maris 8’, Concerto viole III file, Clarino 8’, Harmonica (cornamusa) Alla fine il lavoro venne a costare più del previsto, cioè L. 13.000. Ma le traversìe dell’organo non erano terminate. Non erano neppure passati

tre anni che, nel 1942, l’organo dovette essere restaurato una prima volta, con una spesa di L. 2.700., e nel 1945 una seconda volta, a causa dei danni subiti per le bombe cadute vicino al paese; la riparazione costò L. 40.000. Nel 1952 il mantice manuale fu sostituito da quello elettrico (spese L. 95.000). Nel corso degli anni successivi, si ripeterono numerosi gli interventi di revisione e di riparazione, compreso quello, negli anni Sessanta, dell’organaro Zarantonello di Cornedo Vicentino, senza però che mai lo strumento fosse sistemato definitivamente come si doveva. Negli anni Ottanta, essendo l’organo ancora in precarie condizioni, si decise di affrontare un nuovo intervento. In seguito ad un sopralluogo di Mons. Mario Saccardo e del prof. Giuseppe Piazza, membri della Commissione Diocesana di Musica Sacra, fu consigliato di ripristinare l’organo a trasmissione meccanica e di rimettere i registri sostituiti nel 1939, di eliminare la cassa espressiva e dotare lo strumento di una facciata di Principale 8’. Nessuna delle raccomandazioni venne accolta. Furono contattate infatti due ditte, Norbiato e Marchiori. Una proponeva di riportare l’organo alla situazione originale, ma il costo delpag.

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l’operazione, L. 50.000.000, fu ritenuto troppo alto. Si affidò allora il lavoro all’altra e, al contrario di quanto aveva suggerito la Commissione Diocesana, si scelse di elettrificare l’organo. Si costruì una consolle nuova, si portò la tastiera a 61 tasti, si sostituì la pedaliera con una concavo-radiale di 32 note. Il somiere venne girato e furono aggiunti due somieri laterali. Infine venne costruita l’attuale facciata di canne mute. Il lavoro fu terminato nel 1983 e costò L. 18.324.000. La minore spesa non fu senza conseguenze: già al concerto d’inaugurazione, eseguito dal M. Roberto Zarpellon di Bassano, ci furono problemi, che rimasero e si aggravarono negli anni successivi, finchè, nell’agosto del 1999, un fulmine mise fuori uso l’impianto elettrico, già deteriorato. Al capezzale dell’illustre moribondo furono chiamati ben tre organari: Paccagnella Guglielmo di Albignasego, Salvato Vincenzo di Padova e Zordan Diego, di Cogollo del Cengio. È interessante sapere la diagnosi emersa dalle loro accurate analisi. Secondo Paccagnella “l’organo, nella sua attuale configurazione, è stato realizzato in maniera disordinata, senza un progetto di base… Desta sepag.

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ria preoccupazione l’alimentazione a corrente continua, in quanto il sistema è ben lungi dall’osservare le più recenti normative imposte dalla CEE. È nostro dovere segnalarne la reale pericolosità. Una semplice scintilla… potrebbe causare danni di portata notevole (incendio). Fortunatamente il canneggio, di eccellente qualità nella parte antica, pur avendo subìto dei maltrattamenti… appare perfettamente recuperabile. Tra l’altro, sebbene vi siano state delle modifiche e delle asportazioni, la gran parte del canneggio originale si trova in uno stato di integrità… Resta evidente la necessità di compiere un lavoro radicale che riporti lo strumento ad un grado di ottimale efficienza… quindi ricostruzione dell’organo De Lorenzi…”. Salvato rincara la dose: “L’organo è inattivo causa un fulmine, ma la causa principale dell’inattività è da ricercarsi nelle tante trasformazioni e manomissioni; con lo smontaggio dell’originaria collocazione è stato stravolto l’originario quadro fonico e sono andate disperse le parti meccaniche originali… Le condizioni generali dello strumento… consigliano un rapido intervento di restauro con rifacimento delle parti mancanti o


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disperse… e il recupero del quadro fonico originale con la ricostruzione dei registri soppressi, fedele della casa De Lorenzi, a perpetuo ricordo della Sua arte strumentale…”. Stessi commenti da parte di Zordan, anche se non abbiamo una sua relazione scritta. Agli stessi organari fu chiesto anche un preventivo per compiere un lavoro radicale che durasse nel tempo e riportasse quindi l’organo, finalmente, al suo primitivo splendore. I costi prospettati, come sempre in questi casi, erano ingenti. Date altre spese non indifferenti che la Parrocchia si apprestava a sostenere, si decise di soprassedere, aspettando tempi migliori. Adesso i canti vengono accompagnati da un organo elettronico donato in memoria della defunta Olivo Emilia. L’antico organo di Santa Croce, il cui meraviglioso suono è echeggiato per almeno due secoli nella nostra chiesa, ora è muto, in attesa di un miracolo che ne resusciti la voce. Santa Croce durante gli anni della seconda guerra mondiale Il primo settembre 1939 Hitler invadeva la Polonia. Era l’inizio della se-

conda guerra mondiale. Il 10 giugno 1940 Mussolini annuncia l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania, convinto che tutto finirà in poco tempo. Anche questa volta invece la tragica avventura durerà ben cinque anni, provocando immani distruzioni e circa 45 milioni di vittime in tutta Europa. A Santa Croce, come vedremo, i caduti furono 15, quasi tutti soldati. Per certi versi si può dire che il nostro paese sia stato fortunato, nonostante la presenza continua di un distaccamento tedesco a villa Kofler. Anche dopo l’8 settembre 1943 (data della pubblicazione dell’armistizio con gli Americani firmato da Badoglio il giorno 3 e che segnò l’inizio della Resistenza in Italia, soprattutto in quella settentrionale dove Mussolini aveva fondato la repubblica di Salò), i successivi bombardamenti da parte degli aerei americani (i cosiddetti “picchiatelli” che colpivano i ponti di Tezze e di Fontaniva o il bombardiere chiamato “Pippo” di cui si parlerà più avanti) sfiorarono appena il paese senza provocare molti danni. Si dice che questo sia stato merito soprattutto del Generale Isidoro Wiel, che abitò a lungo a Santa Croce e che qui si tepag.

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neva in contatto con i comandi alleati con un sistema ingegnoso: secondo quanto narravano gli anziani del paese egli fingeva infatti di dipingere, ma in effetti la tavolozza e i pennelli non sarebbero stati altro che congegni per comunicare via radio. (Il figlio omonimo, Prof. Isidoro Wiel interpellato in proposito, pur confermando i contatti del Generale con i comandi alleati, ha però escluso che la storia della tavolozza-radiotrasmittente avesse qualche fondo di verità). È probabile, comunque, che proprio grazie al suo intervento il paese sia stato risparmiato da un bombardamento indiscriminato che doveva colpire i tedeschi in ritirata. In segno di gratitudine, gli fu intitolata la Scuola Materna, che tuttora porta il suo nome. Furono comunque anni di povertà, di trepidazione e di sofferenza. Che già nei primi tempi della guerra si prospettasse per l’Italia una situazione difficile, lo dimostra il fatto che nel 1941 il Vescovo invitava il Parroco, con lettera riservata, a fornire l’inventario delle campane. Si profilava infatti il rischio che tutte le campane dovessero essere fuse per costruire cannoni. In realtà, il 14 novembre 1942, giungeva a Don Domenico Valente, così come pag.

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agli altri parroci, una comunicazione del Sottosegretario di Stato per le fabbricazioni di guerra, in cui si preavvisava che “a partire dal giorno 18 c.m. questo Sottosegretariato procederà alla raccolta delle campane, di cui all’unito elenco, facenti parte di codesta Chiesa. Della rimozione e raccolta è stato già, per deferenza, avvertito il Vescovo di Vicenza. All’asportazione delle campane provvederà l’Ente Distribuzione Rottami con le doverose cautele del caso… affinché la rimozione avvenga senza danni… All’atto del ritiro delle campane da parte degli incaricati… Vi sarà rilasciata una ricevuta provvisoria indicante il peso di bronzo delle campane…”. Fortunatamente la lentezza della burocrazia e gli avvenimenti successivi impedirono la malaugurata operazione. Durante la guerra non furono eseguiti ovviamente lavori importanti in parrocchia, a parte l’intonacatura esterna della Chiesa. È importante quanto emerge dalle relazioni annuali di Don Domenico. -1941: Santa Croce conta 1340 abitanti. Il parroco annota: “Siamo in diminuzione, perché sono più le famiglie partite che quelle venute, di una trentina di persone”. No-


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nostante la guerra, le nascite sono in aumento (33 rispetto alle 25 del 1940); i matrimoni sono però in diminuzione, da 15 passano a 7. Don Domenico scrive: “Le nascite sono un segnale che dica fino a che punto sta la moralità; non c’è male; non bisogna dimenticare che non sono le nascite che fanno povere le famiglie e misere le nazioni, bensì la mancanza della vita… Perché le famiglie possano formarsi e sperare di essere benedette dal Signore, devono prepararsi con matrimoni seri, cristiani. Quindi serietà negli amoreggiamenti, amoreggiamenti brevi. Il brodo lungo non fa bene a nessuno…”. Alla fine della relazione il parroco ringrazia il Signore per tutti i favori e le grazie, “tra tutte quella di aver salvato in due anni di guerra tutti i nostri soldati; siamo una delle poche Parrocchie che possono dire così. Ma non dimenticare che tutto è dono, è grazia di Dio, non dimenticare che al Signore per i favori ci vuol riconoscenza… Attenti perché il tempo passa e non ritorna e quel che è passato è passato per sempre… resta e resterà solo il bene e il male”. - 1942: purtroppo la guerra non ci risparmia; i soldati sono 106, dei quali

6 prigionieri e 2 dispersi. - 1943: l’8 settembre la proclamazione dell’armistizio. Si organizza la Resistenza, l’Italia è allo sbando. Mussolini costituisce la repubblica di Salò, la reazione dei tedeschi nei confronti dei partigiani e di chi non collabora è feroce. Molti soldati hanno approfittato per tornare a casa, ma molti altri sono rimasti. I soldati di Santa Croce sono ancora 80, per molti di essi, da settembre, mancano notizie. Vi sono anche alcune famiglie di sfollati. Don Domenico raccomanda: “Siano esse ben accolte, trovino aiuto, conforto in mezzo alle tante preoccupazioni ed angosce per i loro lontani e forse anche privi di notizie”. Poi aggiunge: “Purtroppo questo anno finisce con un velo di profonda tristezza per la patria nostra… e il nuovo anno è pieno di tante incognite. Se in ogni anno dovevamo dire ‘non sappiamo se giungeremo alla fine’ in questo la incertezza è più grande, si può morire ogni giorno vittime della guerra… Stiamo espiando i peccati… torniamo a Dio… e la pace verrà…”. - 1944: la popolazione è aumentata, siamo a 1445 abitanti. Gli assenti dalla parrocchia sono 100, la massima parte soldati in prigionia e dispersi, alcuni pag.

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lavorano in Germania. Don Domenico si augura che sia l’ultimo anno della loro assenza. Ci sono anche 98 sfollati, provenienti la maggior parte da Cittadella e da Padova, ma alcuni da altre regioni, fino dalle più lontane, come la Sicilia e la Sardegna. - 1945: il 25 aprile la liberazione. I tedeschi presenti a Villa Kofler o sono scappati o vengono presi prigionieri dagli americani. L’incubo è finalmente terminato. Alla fine dell’anno gli assenti dalla parrocchia non sono più molti; pochi i soldati e quelli che non danno notizie o sono prigionieri o dispersi in Russia. Gli sfollati sono quasi tutti ritornati ai loro luoghi di origine. Purtroppo l’inflazione aumenta a dismisura. Il parroco annota, per fare un esempio, che l’incenso, che in tempo di pace costava Lire 10 al chilo, è salito a Lire 2.000. Ma quello che conta è la pace. Scrive Don Domenico: “Non resta che ringraziare il Signore dei tanti benefici ricevuti - la pace venuta, la vita salvata - il ritorno di quasi tutti i nostri dalla prigionia e dai campi di concentramento”.

pag.

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Il ricordo delle vittime della guerra: dalla lapide voluta da Don Domenico Valente al Monumento ai Caduti del 1983 A causa della seconda guerra mondiale le vittime a Santa Croce furono 15. Ecco i loro nomi: - Andriolo Gaetano - Baggio Gino - Basso Giulio278 - Benetello Eudilio - Bizzotto Ettore - Bonaldo Carlo - Brotto Giovanni - Campagnolo Giovanni - Celadinato Angelo - Furlan Gelindo - Sgarbossa Giovanni - Strada Umberto - Zacchia Giuseppe - Zacchia Ottorino - Cap. di Corvetta Wiel Isidoro Per ricordarli, Don Domenico volle fosse posta una lapide sulla parete nord della chiesa. All’inizio degli anni ’80, non avendo ancora Santa Croce un vero e proprio monumento che ricordasse i Caduti di tutte le guerre, si costituì un apposito Comitato, presieduto da Pellanda Giuseppe, di cui facevano parte Fantin Renato, Vallotto Giovanni, Fior Luigi,


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Cervellin Giuseppe, Merlo Francesco. È loro merito se oggi la piazza di Santa Croce trova significato nell’attuale monumento, ideato dal geom. Sgarbossa Giuseppe di Santa Croce, su cui domina un gruppo statuario opera dello scultore Marinello Romeo di Cresole (VI). Il monumento, venuto a costare circa 17 milioni, fu solennemente inaugurato domenica 12 giugno 1983. L’azione sociale di Don Domenico Valente dal 1946 al 1960 Particolarmente significativa fu l’opera di Don Domenico nel campo sociale. Già durante la guerra egli aveva lanciato l’iniziativa di devolvere continuativamente le offerte a Sant’Antonio per i poveri. Nel 1945, ad esempio, aveva raccolto 15.000 lire e si augurava di poter iniziare, almeno nel periodo di inverno, una assistenza continua. Nel primo dopoguerra, infatti, la situazione economica era particolarmente grave. A Santa Croce la popolazione diminuiva: diverse famiglie dovettero emigrare definitivamente per cercare lavoro all’estero o nelle più ricche regioni della Lombardia e del Piemonte; molte ragazze erano lontane per ser-

vizio (nel 1950 erano una cinquantina). Con tutti gli emigrati il Parroco si terrà sempre in contatto inviando loro una lettera mensile, per informarli della vita del paese e degli avvenimenti lieti e tristi. Nonostante le difficoltà economiche, Don Domenico si adopera non solo per le opere parrocchiali, ma anche per migliorare l’aspetto del paese. Fa allargare la strada principale che porta alla chiesa e la abbellisce con alberi di acacia e con sedili in pietra; fa sistemare la Cappella del Cimitero e adorna il viale con due siepi di sempreverde. Oltre a questo, rende più confortevole la chiesa con l’impianto di riscaldamento. Cerca di vivacizzare le lunghe serate invernali offrendo alla gente un po’ di sano divertimento: a questo scopo dà vita alla filodrammatica maschile e femminile ed amplia la sala del teatro (l’attuale bar del patronato); acquista la macchina per il cinema parrocchiale, costruisce la tettoia per il cinema all’aperto; nel 1957 acquista anche un televisore parrocchiale, offerto dalla maestra Moschin Maria279; sistema il campo sportivo. Per suo interessamento, viene installato un telefono pubblico e inizia un servizio di autopag.

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corriere per Cittadella e Padova; viene inoltre costruito un quartiere di case popolari in Via Tre Case. Quando, in un anno particolarmente disgraziato, la grandine distrugge tutti i raccolti, ottiene che i contadini siano risarciti del danno. Si impegna per migliorare il trattamento fra padroni e dipendenti e perché il Comune offra una adeguata assistenza ai più bisognosi. Fra le opere volute da Don Domenico meritano di essere particolarmente segnalate: - la costruzione di otto aule per la dottrina cristiana, nel 1954, venute a costare L. 800.000 e pagate con le offerte di Chemin Maria280; - la costruzione, negli anni 1955-56, da parte dell’impresa Mazzocchin, di un nuovo Asilo sulla casa donata dai fratelli Chemin Enrico e Ida, che ne pagarono quasi per intero la spesa, offrendo la cifra, assai notevole per quegli anni, di L. 2.150.000. Con le offerte lasciate da Maria Chemin furono completati anche i lavori del Patronato Parrocchiale, nel 1957. Nel 1959, infine, l’edificio della Scuola Materna si arricchì di un’aula adibita a scuola di lavoro per le ragazze e di un Oratorio per le Suore. pag.

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I Cappellani coadiutori di Don Domenico Durante i suoi anni a Santa Croce, Don Domenico volle sempre la presenza di un cappellano che curasse in particolare la gioventù. Morto nel 1948 Don Sebastiano Centofante, la Curia prospettò l’idea di lasciare solo il Parroco. Con molta determinazione, allora, Don Domenico scrisse al Vescovo il 26 luglio dello stesso anno una lettera che merita di essere riportata: “Eccellenza Reverendissima, sono stato giovedì scorso dal Vicario Generale per avere la conferma nella designazione del Cappellano per la mia Parrocchia e mi ha lasciato un po’ incerto per il motivo che la mia Parrocchia è molto povera. Ciò mi ha recato non piccolo dispiacere: sia perché io ho sempre ritenuto grande onore ‘vivere povero in mezzo ai poveri’, sia perché in quattordici anni dacché mi trovo qui mai i miei poveri hanno lasciato mancare il pane ai loro Sacerdoti. Ad ogni modo siccome il Vescovo è in pieno diritto di sapere che cosa percepiscono i suoi Cappellani nelle singole Parrocchie, così dico che nella mia Parrocchia è consuetudine ‘ab immemorabili’ di dare al Cappellano


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la questua di ‘uova - bozzoli - frumento - sorgo - uva’ con pressappoco una media annua di: 1. Uova 500 2. Bozzoli chilogrammi 25 3. Frumento quintali 5 4. Granoturco quintali 8 5. Uva per ettolitri quattro. In più gli incerti di stola nera (e vi sono ufficiature semplici in tutti i giorni disponibili), gli incerti sui funerali dei bambini e quelli di corsi di predicazione. I detti incerti sono tutti esenti di qualsiasi passività, perché il Parroco è disposto di provvedere al vitto in Canonica con le proporzioni di ‘missa pro mensa’, aiutato da eventuali libere offerte dei Parrocchiani. Veda quindi Vostra Eccellenza di disporre di un Cappellano anche per la mia Parrocchia, sicuro che non gli mancherà il fabbisogno per la vita; nè voglia pensare che non sia necessario, perché circa 200 giovani (tra piccoli e grandi) attendono di essere diretti e formati e tutti i grandi hanno bisogno di essere tenuti forti nella fede ed animati a difenderla in ogni momento…”. Così furono inviati in Parrocchia rispettivamente:

- Don Ottorino Fracasso, fino al 1952; - Don Florindo Ganassin, fino al 1957; - Don Giuseppe Cailotto, dal gennaio al dicembre 1959. L’ultimo cappellano, di Don Domenico e anche di Santa Croce, fu Don Davide Disconzi, ora Parroco a Santa Trinità di Schio, che fu presente dal dicembre 1959 al 1962, lasciando un graditissimo ricordo. Gli ultimi giorni di Don Domenico “Non vogliamo dimenticare che in Paradiso non c’è posto per chi non ama… bisogna amarci tutti, sempre, compatendoci, perdonandoci, aiutandoci”: queste le ultime parole dell’ultima relazione annuale di Don Domenico del 1960. Sembra quasi di avvertire in esse il presentimento della fine imminente. Gli ultimi due anni di Don Domenico furono tempo di calvario. Inutile l’intervento per bloccare il male, nonostante le speranze di tutti e l’accoglienza trionfale di Santa Croce al ritorno del suo Parroco dall’ospedale dopo l’operazione. Il 18 febbraio 1962, a 69 anni, Don Domenico Valente moriva all’ospedale pag.

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di Cittadella e veniva sepolto nel Cimitero di Santa Croce. La sua figura può ben essere riassunta nella rievocazione fatta dai suoi parrocchiani in occasione del trigesimo: “Sacerdote di profonda vita interiore, pio e austero, tradusse il Vangelo in opere nascoste di carità, in atti di bontà, amore, perdono. Amò il decoro della Casa di Dio. Ad essa donò per la gloria divina intelletto, amore, umiliazioni, fatica senza riposo…”. A ciò possiamo aggiungere quanto scrisse di sua mano Mons. Pietro Nichele, Arciprete di Fontaniva, nell’atto di morte: “… Zelantissimo, coltivò lo spirito di pietà tra i fedeli e la partecipazione liturgica di tutto il popolo, trasformando la Parrocchia in un giardino fiorito di vita cristiana. Sacerdote secondo il Cuore di Dio che visse e si sacrificò interamente per il suo popolo che illuminò con la sua dottrina, diresse con la sua prudenza, edificò con la sua pietà, aiutò con la sua inesauribile carità… Ai suoi funerali parteciparono tutti i Parrocchiani senza eccezione di sorta ed un grandissimo numero di sacerdoti”.

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I Successori Di Don Domenico Valente - Don Tarcisio Biasin, 11° Parroco (1962-1979) - Don Luciano Giacomuzzi, 12° Parroco (1979-1986) - Don Giantonio Cogo, 13° Parroco (1986-1997) - Don Antonio Schiavo, 14° Parroco (Dal 1997)


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