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II copertina
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Photo: Erica Ghisalbert
Il Packaging del Piacere
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
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liberatorio, emancipa dal dovere sociale dell’esibizione e dalla schiavitù dello status symbol; è riservato, si colloca nella più generale tendenza verso un approccio slow dell’esistenza contemporanea e dei suoi - appunto piaceri. Benché questi ultimi possano dunque appartenere a generi diversi piaceri della tavola, del bere, del corpo, della mente o persino dello spirito il loro carattere comune consiste nell’idea di una pausa dall’insostenibile pesantezza della convivenza sociale. Il packaging legato a oggetti che forniscono piacere tende a divenire, per analogia o somiglianza, per contiguità o assonanza, anch’esso un oggetto di piacere, dal quale in taluni casi si ha qualche remora a sbarazzarsi: difficile buttare il prezioso flacone di profumo, o l’elegante vasetto di crema, come pure è difficile gettare la custodia in alluminio satinato di un buon sigaro, anche quando quest’ultimo è già cenere da tempo. Giusta reazione: perché il piacere è una dimensione invasiva del quotidiano e potenzialmente sovversiva, che non si lascia ridurre all’intermezzo tra, ma tende a prevaricare, a sbordare dai limiti dove l’etica del lavoro e le responsabilità sociali vorrebbero confinarlo. Gli artisti hanno capito da tempo tutto ciò fino a condurre la provocazione alle estreme conseguenze: prova ne sia il lavoro di Tom Sachs, enfant terribile della scena internazionale, che con le confezioni delle marche più raffinate ricostruisce pazientemente trompe-l’oeil di oggetti cheap come il classico vassoio MacDonald's: testimonianza evidente dello strabismo emotivo del consumatore postmoderno.
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Cosa c’è di più difficile da definire del piacere? Non è un concetto universale, non è sempre condivisibile, è opinabile, è soggetto al tempo, allo spazio, alle persone. Non è assimilabile al godimento vero e proprio, di cui rappresenta la parte più recondita e privata, ma non è nemmeno riducibile al sesso, al divertimento o al senso del lusso. Eppure tutti sanno cosa sia quel brivido che esalta lo spirito o che rilassa il corpo, quel benessere intenso che per poco o per molto allontana dagli affanni e dalle tensioni. Sensazione intima, personale, equilibrata, nell’ambito dei beni di consumo il piacere sta prendendo il posto una volta occupato dalla retorica pubblicitaria dell’originalità, della personalità, dell’efficacia o della convenienza. Il fortunato slogan che promuove un’auto di tendenza suona non a caso “Il piacere è tutto mio”, giocando sull’ambiguità fra soggetto (acquirente) e oggetto (auto), come se la fruizione del piacere fosse transitiva e interscambiabile: a dichiarare la propria disponibilità al piacere è sì l’auto, ma anche il compratore che dovrebbe usufruirne. Il piacere insomma è una dimensione emotiva a due facce; gli oggetti, le merci, i beni di consumo legati al piacere si rivolgono a chi intende servirsene mediante una corrispondenza d’amorosi sensi, parlano una lingua emotiva esattamente a chi sa intenderla. Perciò il piacere diventa una tendenza di marketing: è immediato, sigla un rapporto confidenziale fra consumatore e oggetto di consumo, che sia quest’ultimo un sigaro o un gelato, una crema idratante, un’auto o un caffè; è
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The Packaging of Pleasure
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
What is more difficult to define than pleasure? It is not a universal concept, it cannot always be shared, it is a matter of opinion, it changes with time, space and the individuals concerned. It cannot be equated with enjoyment, of which it represents the most secret or private part, but neither can it be put down to sex, amusement or a sense of luxury. Yet everyone knows that frisson which exalts the spirit or relaxes the body, that intense feeling of wellbeing which for a shorter or longer time takes away worry or tension. An intimate, personal, balanced sensation, in the context of consumer goods pleasure is taking the place once occupied by advertising rhetoric about originality, personality, effectiveness or convenience. It is not by chance that the successful slogan promoting a trendy car is "The pleasure is all mine", playing on the double meaning of the subject (the purchaser) and the object (the car), as if the use of pleasure can be transitive and interchangeable: announcing the availability of the car itself to please, but also the buyer who will use it. So pleasure is an emotive dimension with two faces: the objects, the merchandise, the consumer goods linked to pleasure attract themselves to those who are to use them through a relationship of loving senses, they speak an emotive language precisely to those who know how to understand it. Thus pleasure becomes a marketing trend: it is immediate, it signals a confidential relationship between the consumer and the object of consumption, whether this is a cigar or an ice cream, a moisturising cream, a car or a coffee; it is liberating, it frees
the consumer from the social need for the display and slavery of the status symbol; it is reserved, and takes its place in the more general trend towards the ‘slow’ approach to modern living and its pleasures. Although these previously mentioned pleasures may seem to be different - the pleasures of the table, of drinking, of the body, of the mind or even of the spirit - they share a common characteristic in the idea of a break from the insupportable weight of social co-existence. The packaging linked to objects which provide pleasure tends to become, by analogy or similarity, by proximity or assonance, in itself inevitably an object of pleasure, which in some cases we are loath to part with: it is difficult to throw away that precious perfume bottle, or a stylish cream jar, how difficult it is to throw away the satin finish aluminium tube from a good cigar, even when the cigar itself has been just ash for a long time. This is a reasonable reaction: because pleasure is an invasive, and potentially subversive, dimension of daily life, which will not allow itself to be reduced to a mere interlude, but tends to abuse its power, to break free of the bounds of where the work ethic and social responsibility try to keep it tethered. Artists have understood for a long time how to drive provocation to extreme consequences: this is shown in the work of Tom Sachs, enfant terribile of the international scene, who with the packaging of the most sophisticated brands patiently creates trompe-l’oeil of cheap objects such as the classic MacDonald's tray: clear evidence of the emotional skewness of the post-modern consumer.
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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TO URIST GUIDE TO THE REAL AND SPIRITUAL LANDSCAPES OF PACKAGING
I N
Q U E S T O
N U M E
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show box Blister 2004
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shopping bag Peccati non Solo di Gola Sonia Pedrazzini
show box Borotalco
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identi-kit La Cognizione del Gusto Marco Senaldi
shopping bag I Sensi della Carta
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design box What is Packaging Design?
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flash Nonèborotalco Antonio De Pascale design box Patatine e Champagne Olav Jünke, Francalma Nieddu
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R O - 1 / 0 4 new! “Iʼm lovinʼ it” McDonaldʼs e i Semplici Piaceri della Vita
school box Muthesius Hochschule
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identi-kit Vuoto a Rendere Marco Senaldi
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warning! Lussi, Lussurie e Piaceri Patrizia Calefato
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identi-kit La Marca nella Mente Sonia Pedrazzini
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tools Liza Lou, Fanciulla Operosa Lara Facco
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identi-kit Ghada Amer. Index of Pleasure Marco Senaldi
P I A C E R E
identi-kit Lo Zen e lʼArte del Comunicare Piacere Teresa Cuccovillo
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D E L
shopping bag Dove è Cura & Benessere Sonia Pedrazzini
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tools E il Verbo si Fece Cioccolata 106 Maria Gallo book box 109 Le nostre copertine Front cover Tiffany Value Meal Hires, 1998 Tom Sachs Back cover Index of Pleasure, 2002 Ghada Amer
P A C K A G I N G
user instructions Il Packaging del Piacere Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
Ringraziamenti Patrizia Ledda e MAP Comunicazione Libreria Tuttolibri Piacenza Massimo Minini 1/04 7
P L E A S U R E O F P A C K A G I N G
user instructions The Packaging of Pleasure Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
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shopping bag Dove is Care and Wellbeing Sonia Pedrazzini
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design box What is Packaging Design?
show box Borotalco
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flash Nonèborotalco Antonio De Pascale
shopping bag The Senses of Paper
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design box Fries and Champagne Olav Jünke, Francalma Nieddu
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identi-kit Zen and the Art of Communicating Pleasure Teresa Cuccovillo new! Iʼm lovinʼit: McDonaldʼs and the Simple Pleasures of Life
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school box Muthesius Hochschule
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identi-kit Ghada Amer. Index of Pleasure Marco Senaldi
identi-kit Returnable Empties Marco Senaldi
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warning! Luxuries, Luxuria and Pleasuresi Patrizia Calefato
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identi-kit The Brand in the Mind Sonia Pedrazzini
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tools Liza Lou, Hardworking Maid Lara Facco
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show box Blister 2004 shopping bag Sins Not Just of Gluttony Sonia Pedrazzini
identi-kit The Cognition of Taste Marco Senaldi
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tools And the Word Turned to Chocolate 106 Maria Gallo
book box 109
Our covers Front cover Tiffany Value Meal Hires, 1998 Tom Sachs Back cover Index of Pleasure, 2002 Ghada Amer Thanks to Patrizia Ledda e MAP Comunicazione Libreria Tuttolibri Piacenza Massimo Minin
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Direzione editoriale
Hanno collaborato
Redazione
Segreteria Ufficio tecnico
Progetto grafico
Impaginazione
Numero
Periodicità: Abbonamento per 3 numeri:
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Product manager Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi (info.impackt@libero.it)
Condirettore Luciana Guidotti
Ricerca immagini e fotografia Erica Ghisalberti
Patrizia Cefalato, Teresa Cuccovillo, Lara Facco, Maria Gallo, Olav Jünke, Francalma Nieddu
Daniela Binario, Elena Piccinelli, Ado Sattanino Leila Cobianchi Massimo Conti
Erica Ghisalberti, Vincenzo De Rosa
Vincenzo De Rosa (Studio Grafico Page - Novate - MI)
Traduzioni Dominic Ronayne, Katy Moore, Judith Mundell, Alan Tankard
Lastre e stampa Àncora S.r.l. - via B. Crespi 30, 20159, Milano
1/2004 - anno 3 Registrazione del Tribunale di Milano n. 14 del 14/01/2002. Iscrizione nel Registro degli Operatori Comunicazione n. 4028
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Stefano Lavorini
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colophon
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Dove è Cura & Benessere Un marchio che ha capito la bellezza della semplicità. Sonia Pedrazzini Photo by Erica Ghislaberti
In Italia è comparso solo in tempi recenti, ma negli USA è un classico. Dove, il più intramontabile dei saponi, ha una storia che risale infatti al secondo dopoguerra. Da singola saponetta a intera gamma di prodotti per la cura del corpo e dei capelli, da nome proprio - “dove” in inglese significa colomba - a riconosciuto nome di marca. Un appropriato mix di comunicazione pubblicitaria e di packaging ha fatto il resto: spot pubblicitari molto sofisticati, ispirati a elementi naturali come la crema o la seta, così come confezioni morbidamente arrotondate e giocate su superfici bianche, perlacee o satinate, hanno costituito il plusvalore comunicativo che ha permesso al brand di essere, in fatto di sobrietà, eleganza ed equilibrio, un punto di riferimento nel mercato di massa del personal care. Dove è un marchio Lever Fabergé Italia, la società del gruppo Unilever che opera sul mercato italiano nei settori dell'igiene della persona, della pulizia e cura dei tessuti, dei piatti e delle superfici della casa.
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Ne abbiamo parlato con Cristina Fumagalli e Joerg Winter, rispettivamente brand manager e packaging development manager per Dove. Come è nata lʼidea di mettere la crema in un sapone? [Cristina Fumagalli] L’inizio della fortuna di Dove risale alla seconda guerra mondiale, quando per la prima volta un’innovativa formulazione venne utilizzata dall’esercito americano per consentire ai propri soldati di lavarsi anche in condizioni ambientali difficili, ad esempio con acqua di mare. In seguito Unilever è stata la prima azienda a riconoscere la potenzialità di questa innovativa formulazione
applicabile all’interno di un prodotto per la detergenza personale. Dopo averne acquistato la formula ed averla sottoposta a numerosi test e ricerche, nel 1957 Unilever decise di commercializzarla, lanciando negli Stati Uniti la famosa barra detergente Dove che, sin dall’inizio, si è caratterizzata per la storica promessa di contenere 1/4 di crema idratante. Lanciata in Italia nel 1989, inizia così la sua espansione territoriale in Europa e in tutto il mondo, fino ad essere oggi una marca globale, presente in oltre 80 Paesi. Quali suggestioni tende ad evocare Dove? [C. F.] Dove, che in inglese significa colomba, vuole essere un richiamo
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alla delicatezza, al piacere e al benessere. Da sempre sensibile alle esigenze in continua evoluzione delle sue consumatrici, Dove offre loro dei prodotti in grado di soddisfarne i bisogni garantendo solo componenti che migliorano realmente le condizioni della pelle. E così, da monoprodotto, Dove è diventata una linea, attraverso il lancio della lineabagno nel 1994, del deodorante nel 1997 e delle creme per il corpo nel 2000.
In Italia, alcune campagne pubblicitarie sembrano mostrare Dove come un marchio sofisticato, elegante, talvolta quasi minimalista. Si può parlare di evoluzione di Dove, da semplice a raffinato? [C. F.] Dove ha uno stile semplice, classico, non soggetto alle mode, ma sempre attuale. Anche nell’evoluzione delle campagne pubblicitarie mantiene le sue caratteristiche di semplicità e autenticità, mostrando sempre donne vere, che vengono scelte spesso tra gente comune.
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Le consumatrici Dove sono attente al packaging o sono fedeli al prodotto indipendentemente da come si presenta? [Joerg Winter] Penso che questo argomento debba essere visto da un punto di vista olistico, in quanto entrambi, sia il prodotto che il pack,
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Dove ha da sempre avuto come principale target di riferimento le donne - un mercato che però tende a evolversi nel tempo... [C. F.] ... infatti di recente Dove ha cercato di evolvere la sua immagine andando oltre la cura della pelle e dirigendo le sue attenzioni anche a un altro aspetto rilevante per l’universo femminile: la bellezza. Per questo è entrata nel mercato della cura dei capelli nel 2001 e, attraverso la nascita di nuove linee, come Dove Supreme Silk e la Linea Corpo Rassodante, si è rivolta a un target più raffinato e attento sia alla funzionalità del prodotto, sia all’aspetto estetico e sensoriale,
utilizzando, ad esempio, ingredienti preziosi e raffinati quali estratti di pura seta ed alghe marine. Simone de Beauvoir ha detto: “Donna non si nasce, si diventa”; è una citazione che ben rappresenta il target di riferimento delle donne Dove.
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giocano un ruolo fondamentale per le nostre consumatrici. Sappiamo che la maggior parte delle decisioni d’acquisto avvengono nel giro di pochi istanti davanti allo scaffale. Il packaging di Dove tiene conto di tutto questo ed è disegnato per essere esclusivo, per emergere rispetto alla concorrenza e per rispondere esattamente ai bisogni del nostro pubblico di consumatrici. Abbiamo posto molta attenzione nel rispondere alle loro attese, abbiamo curato i dettagli del pack che loro ritenevano importanti facendolo di conseguenza diventare una delle chiavi del successo di questo prodotto. [C. F.] L’aspetto del pack per Dove è importante ed è parte integrante della sua filosofia di marca. Si riflette nella semplicità, nonché nella sobria eleganza delle linee e del design grafico. Negli anni sono stati introdotti significativi restyling delle confezioni, che rispecchiano coerentemente l’evoluzione della marca verso un’immagine che tende sempre più a focalizzarsi sulla bellezza. A livello di prodotto, di target, di packaging, di comunicazione Dove si differenzia nei diversi paesi in cui è presente? [J. W.] Dove è una brand globale, perciò non ci sono grandi differenze tra i diversi paesi. Ci sono piccole modifiche relative alle specifiche locali, come la lingua, la formulazione, la comunicazione pubblicitaria, ma nei suoi aspetti principali Dove è identico dappertutto.
Quali valori e messaggi deve veicolare il packaging di una linea di prodotti come questa? [J. W.] Il design del packaging, sia la parte grafica che quella tridimensionale, gioca un ruolo estremamente importante; Dove è un brand femminile e tutti i nostri design devono riflettere un’immagine femminile. Il senso di delicatezza, il “suono giusto” quando si chiude il tappo, un aspetto igienico, ottime proprietà funzionali e alta qualità sono gli aspetti chiave su cui sviluppiamo il nostro lavoro; il nostro packaging comunica femminilità e valore, e diventa quindi piacevole da usare. Qual'è il pack meglio riuscito, quello che più rappresenta la sintesi del mondo Dove? [J. W.] È difficile dire quale sia il migliore, ma, per citare un esempio, il vasetto della crema Body Silk riflette pienamente i nostri valori, così come l’attuale flacone del doccia-schiuma o quello dal sapone liquido. ... e quale prodotto, con quale pack, ha realmente fatto "schizzare" le vendite? [J. W.] Il lancio dell’attuale linea doccia e bagno è stato un successo internazionale. Possiamo concludere che il packaging di Dove ha giocato un ruolo importante? [J. W.] ... il vaso da 300 ml della crema Body Silk ha posto le basi per un nuovo imballaggio standard che non esisteva prima sul mercato, e così pure il deodorante roll-on, con la sua pallina “over size”.
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Dove is Care and Wellbeing A brand that's captured the beauty of simplicity. Sonia Pedrazzini Photo by Erica Ghislaberti
Although it's only recently appeared in Italy, it's been a classic in the USA for years. Dove - the most ever-popular of soaps - has a story that goes back to the post-war years. Originally a simple bar of soap, it's now become an entire range of bodycare and haircare products, with the original name - “doveâ€?, meaning the bird of peace in English - now a recognised brand name. A clever mix of advertising and packaging has done the rest: highly sophisticated advertising spots, drawing inspiration from natural elements such as cream and silk, plus gently rounded packs with a white, pearly or satin-finish surface offering an extra message that has allowed the brand to set the standards for the personal care mass market in terms of sobriety of style, elegance and balance. The Dove brand belongs to Lever FabergĂŠ Italia, the Unilever Group company operating on the Italian market in the fields of personal care, fabric detergents and conditioners, dishwashing products and household detergents.
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Impackt talks to Cristina Fumagalli and Joerg Winter, respectively Brand Manager and Packaging Development Manager at Dove. How did the idea of adding cream to a soap bar come about? [Cristina Fumagalli] Dove's fortunes started during the Second World War, when the American army started using an innovative formula that made it
possible for soldiers to wash themselves even under difficult conditions (using sea water, for instance). Unilever was then the first company to recognise the potential of this innovative formula when applied to a product for personal care. After buying the formula and subjecting it to many tests and studies, Unilever decided to start merchandising it in 1957, launching the famous Dove soap bar in the USA. This immediately became known for its legendary promise of containing 1/4 moisturising cream. Launched in Italy in 1989, sales of the soap started to expand throughout Europe and the rest of the world, to the point that, today, it is a global brand present in over 80 countries. What suggestions does Dove tend to evoke? [C. F.] Dove gives one the idea of delicacy, pleasure and well-being. Having always been sensitive to the continually evolving needs of its consumers, Dove offers them products that satisfy their demands, guaranteeing the use of only those components that really improve the condition of the skin. Thus, from being a single product brand, Dove has become an entire product line with the launch of the bathroom line in 1994, the deodorants in 1997 and body creams and lotions in 2000. Dove has always had women as its main target - a market that tends to evolve over time... [C. F.] ... in fact, Dove has recently evolved its image by going beyond skincare, directing its attention to another important aspect for women: beauty. Hence it entered the haircare market in 2001 and, with the introduction of new lines such as Dove Supreme Silk and the Firming Body Line, it has gone for a more elegant target, one that's interested in both the functionality of the product and the aesthetic and sensorial aspects, by using refined, quality ingredients, such as pure silk extracts and seaweed, for instance. Simone de
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Beauvoir said: “A woman isn't born a woman, she becomes one�: a quote that well represents the target of Dove women. A few campaigns here in Italy seem to represent Dove as a sophisticated, elegant brand that's sometimes almost minimalist. Does this mean one can say that Dove is evolving, from simple to elegant? [C. F.] Dove has a simple, classic style that's not affected by fashions, but is always modern. Evolution of the advertising campaigns still keeps this idea of simplicity and genuineness, showing real women, often chosen from the general public.
What are the values and messages that the packaging of such a product line should convey? [J. W.] The design of the packaging - both graphics and 3D - plays an extremely important role. Dove is a female Brand, and all our designs have to reflect a "feminin look". A smooth feel, the "right" sound when closing a cap, hygene aspects, optimized in-use properties and a focus on high quality are key factors in our development work. This results is Packaging which is more convenient and a pleasure to use, and which communicates quality, feminity, and value. What has been the most successful pack, the one that best sums up the Dove world? [J.W.] It is difficult to say what is "the best Dove packaging", but to give just one example, the current Dove shower / bath packs, the Dove Body Silk Jar or the Liquid Soap pack mirror many of the values that we try to build into the packaging. ... and which product, with which pack, has really made sales "soar"? [J. W.] The launch of the current shower and bath line has been an international success. So can we say that the packaging of Dove has played a crucial role? [J.W.] The big 300 ml Body Silk Jar has set a new standard in the market as such a kind of product/packaging did not exist before. Also the "big ball deo-roll-on" has set a new standard in the market.
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Does Dove differ in the various countries where it's
[J. W.] Dove is a global brand and therefore there are not too big differences between countries. From a global perspective there are only slight adjustments to regional needs wrt. language, formulation or advertising, but in the core the position of Dove is globally identical.
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Are Dove consumers concerned about packaging or are they loyal to the product, regardless of how it's presented? [Joerg Winter] We believe this must be seen from a holistic point of view, as both -the product itself, as well as the packaging - play a big role for our consumers. We know, that a huge amount of buying decisions are taken in front of the shelf within a few seconds. Our Dove-Packaging is taking that fact into account and is designed to be unique/outstanding amongst competitors and to fit exactly to the needs of the female target group. Having listened carefully to the needs of our consumers, we have paid a lot of attention to details on our packs being important to our consumers, and we believe our packaging is one of the key-drivers for Dove`s success. [C. F.] The look of the Dove pack is important and an integral part of its brand philosophy. The product image is reflected in the simplicity, sober elegant lines and graphic design. Over the years there has been a lot of restyling of the packs, following trends in the brand moving towards an image that focuses more and more on beauty.
sold in terms of products, target, packaging and communication?
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100 Anni di Borotalco: Bellezza, Tradizione e Costume… Un piacere senza tempo Maria Gallo
Nel 1904 veniva registrato il marchio Boro-Talcum che per noi italiani è diventato sinonimo di polvere bianca e profumata da spargere sul corpo. La fortuna di questo prodotto, al di là delle sue qualità, è indissolubilmente legata all’immagine che ha accompagnato da subito la riconoscibilissima confezione verde, che, fin dal suo nascere, ha precorso tempi e tendenze: la foto infatti era uno strumento allora poco diffuso nel mondo del packaging e la nutrice con l’infante tra le braccia era una narrazione dell’esperienza, realizzata attraverso l’uso di un testimonial specializzato (la nurse appunto). La piccola mostra, che si è tenuta lo scorso febbraio a Milano al Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci, organizzata per festeggiare la nascita del marchio (il prodotto è di qualche anno prima), ha reso perciò omaggio non solo alla longevità della merce ma anche all’intuizione comunicativa di cento anni fa. Un’intuizione che, nonostante tutti i restyling successivi, con nurse sempre più giovanili, è giunta fino a noi quasi inalterata. Tanto da ispirare autori come Antonio De Pascale di cui è stata esposta l’opera NonèBorotalco. Presentate naturalmente anche le tante illustrazioni utilizzate per le affissioni e la pubblicità tabellare, firmate da autori storici, come Gino Boccasile. Una di queste immagini è stata scelta per la realizzazione di una limited edition di Borotalco, in vendita solo per quest’anno.
100 Years of talcum powder: Beauty, Tradition and Custom…A timeless pleasure The year 1904 witnessed the registering of the brand Boro-Talcum, that for the Italians has become synonymous with white, scented powder for sprinkling on ones body. The fortunes of this product, over and beyond its quality, are indissolubly linked to the image that accompanied the highly recognisable green pack from its outset that, since its creation, has been ahead of times and trends: at that time photographs were little-used in the world of packaging and the wetnurse with the infant in her arms was a narration of this experience, created through the use of a specialised testimonial (the nursemaid in this case). The small exhibition, held last February in Milan (Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci) and organized to celebrate the creation of the brand (the product came into being some years before) is thus a homage not only to the longevity of the product, but also to the communicative intuition of a hundred years ago. An intuition that, despite all the restyling that has followed in these years, with ever younger nurses, has come down to us almost unaltered. To the point of inspiring authors such as Antonio De Pascale whose work NonèBorotalco was on show at the exhibition, that naturally also included hundreds of illustrations used for posters and billboards, signed by timehonoured authors like Gino Boccasile. One of these images has been chosen for the creation of a limited edition of Borotalco, on sale for this year only.
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I Sensi della Carta Quali sensi può stimolare un foglio di carta, quali piaceri può suscitare? Più di quanti non si creda. La vista si appaga davanti ai colori molteplici e agli effetti speciali; le dita possono scorrere su superfici che imitano la seta, la plastica, il metallo; l’udito ascolta come differenti spessori e materiali rispondono alla piegatura, al taglio o allo strappo. Persino l’olfatto gioisce quando il naso può tuffarsi tra le pagine di un libro appena uscito di stampa. sorprendente) della luminosità, come è avvenuto nell’offerta Stardream, uno dei prodotti più apprezzati del Gruppo Cordenons. Ai colori forti e generalmente scuri, sono state affiancate le tonalità pastello, più tenui, elaborate su specifica richiesta Questa carta, composta da colori metallizzati, perlati e cangianti, è stata
studiata per valorizzare e arricchire il lavoro del creativo e dello stampatore. A tal proposito è stato realizzato un prezioso visualbook basato sull’idea del souvenir per proporre un concept al contempo semplice e riconoscibile da tutti. Molti di noi, nel corso di un viaggio, acquistano un ricordo del luogo visitato: gondole, scorci di paesaggi, francobolli… Accostati in modo sapiente alla preziosa carta Stardream questi oggetti entrano a far parte di un raffinato gioco di specchi, in cui gli effetti di stampa suggeriscono le svariate possibilità di utilizzo del materiale. Il risultato finale è uno strumento utile a stampatori e agenzie di pubblicità, perché illustra come la carta possa essere impiegata (con sbalzi a secco, serigrafie, termografie, ori offset, colori fluorescenti o fustelle laser) per trasformare anche i tradizionali oggetti dell’iconografia popolare in vere e proprie opere d’arte.
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Le cartiere del Gruppo Cordenons realizzano carte che si fanno ammirare. Create per il lusso, si lasciano plasmare dalla creatività di chi vuole stupire. Plike è una carta che per alcuni versi ricorda la plastica (plastic-like), è composta da un supporto cartaceo e una patinatura di lattice che la rende gradevole e vellutata al tatto. Questa carta vanta ottime rese con tutti i tipi di stampa, è disponibile in una linea che comprende diverse grammature e in una gamma di colori chiari e intensi nelle diverse tonalità del bianco, avorio, rosso e nero. È ideale per le applicazioni grafiche, fotografiche e tecniche ad alto valore aggiunto. Icedream è un’elegante patinata text & cover dall'effetto perlato. La gamma di carta e cartoncini colorati Malmero è stata ampliata con la versione “glitter” Perlé, mentre il cartoncino bristol Ivobel T&C è stato trasformato in una text & cover a tutti gli effetti, con molteplici tonalità, finiture satinate e mat, e buste coordinate in diversi formati. Non sono infine da dimenticare le tre carte Alphabeta appositamente studiate per l’immagine coordinata: Alpha, vellutata al tatto, con versioni bicolori e buste coordinate; Beta, con finitura satinata e buste assortite; Beta Digital, versione specifica per la stampa digitale". Una tendenza che sottende le innovazioni più recenti è la riscoperta (per certi aspetti
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shopping bag
The Senses of Paper Which senses can a sheet of paper stimulate? What pleasures can it arouse? More than you would think. Sight is gratified by the multitude of colors and special effects; fingers can run over surfaces which imitate plastic, silk or metal; hearing registers the way different thicknesses and materials respond to folding, cutting or tearing. Even smell rejoices when the nose is buried in the pages of a freshly printed book.
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The paper mills of the Cordenons Group make papers to be admired. Created for the luxury market, they can be shaped by the creativity of those who wish to astound. Plike is a paper which in many ways resembles plastic. It consists of a paper support with a latex coating which makes it pleasant and velvety to the touch. The paper responds well to all kinds of printing and is available in a variety of weights and a range of bright, intense colors in various tones of white, ivory, red and black. It is ideal for graphic, photographic applications and techniques with high added value. Icedream is an elegant coated text & cover with a pearly effect. The Malmero range of colored paper and card has been expanded with the PerlĂŠ "glitter" version, while the Ivobel T&C bristol card has been transformed into a text & cover with all effects, in a huge range of tones, satin and
matt finishes, with coordinated envelopes in several formats. Finally, mention must be made of the three Alphabeta papers specially developed for the coordinated image: Alpha, velvety to the touch, with two-color versions and coordinated envelopes; Beta Digital, a version specifically designed for digital printing. A trend underlying the most recent innovations is the rediscovery (in some ways surprising) of luminosity, as in the Stardream range, one of the Cordenons Group’s most popular products. Strong and generally dark colors stand side by side with softer pastel shades, which can be made to special request. This paper, comprising metallic, pearly and iridescent colors, has been designed to enhance and enrich the work of the artist and printer. With this in mind, a high quality visual book has been produced, based on the idea of a souvenir to present a concept which is both simple and recognisable by everyone. Many of us, while traveling, pick up a memento of the places visited: a gondola, a sketch of the landscape, stamps. Carefully matched with the high quality Stardream paper, these objects become part of a sophisticated play of images, in which the printing effects suggest the many ways of using the material. The end result is a useful tool for printers and advertising agencies, since it shows how the paper can be use (with dry embossing, silk screen printing, heat copying, offset gilding, fluorescent colors or laser die cutting) to transform even traditional objects of popular iconography into real works of art.
Il nostro non è un
semplice lavoro di macchine, piuttosto si sostanzia nell’abilità di interpretare le esigenze degli utilizzatori. Su questo fondamento si è costruita la Cartografica Pusterla che con il passare degli anni è cresciuta fino all’acquisizione della francese Coffrets Creation.
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Lo Zen e l’Arte del Comunicare il Piacere Design contemporaneo e tradizione giapponese. Il packaging cosmetico di due designer che hanno saputo mescolare l’attualità con il passato. A colloquio con Setsu e Shinobu Ito. Teresa Cuccovillo
La comunicazione tra culture diverse e lontane, che non condividono neppure i simbolismi grafici, talvolta può soffrire di fraintendimenti o di interpretazioni riduttive che ne riducono l’osmosi culturale. Non è il caso del lavoro di due designer giapponesi, ma milanesi di adozione, che interpretano molto bene sia la confluenza tra oriente e occidente sia il senso del tempo, fra contemporaneità e tradizione. Setsu e Shinobu Ito hanno realizzato molti progetti ma è soprattutto nel settore del packaging cosmetico che hanno saputo esprimere al meglio quell’“arte del comunicare piacere”, di tradizione squisitamente nipponica, in cui l’involucro assume il significato di interfaccia che serve a risvegliare nel consumatore sensazioni ed emozioni. Per Setsu e Shinobu, quindi, l’impatto visivo della confezione non deve solo generare “piacere estetico” ma anche “piacere tattile”, in modo da istigare a una relazione più intima, attraverso cui l’oggetto, perdendo la propria staticità, si anima nel “palmo di una mano”.
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Così sono stati concepiti il packaging di Vecua, Agediscuss e Nolinepassport, linea di prodotti per il trucco e la cura del viso disegnati per Sony CP Laboratories nell’ambito del progetto Creating Dreams for Women. “Movimento, cambiamento, ritmo”, queste sono le espressioni che i due progettisti usano per descrivere le forme dei loro imballaggi, forme che intepretano lo stile della donna contemporanea, ma che si riferiscono anche al ritmo e al movimento della natura e del cosmo, come l’onda ascendente di energia che sembra aver investito e deformato la confezione del rossetto; oppure come il flusso d’acqua che pare aver modellato le superfici dei cofanetti per il fard e la cipria, o ancora la forma del flacone per la linea Vecua, con una caratteristica sagoma ellittica e direzionata che richiama l’orbita di un satellite. Quest’ultimo contenitore è pensato per assecondare in modo ergonomico i movimenti del palmo della mano e possiede alcuni elementi di stile Zen non stereotipati nel rigore e nella semplicità della forma, ma dai significati più ampi e complessi. Anche il packaging della crema Agediscuss è regolare e lineare, addirittura angolare, ma allo stesso tempo morbido. Le basi quadrate a cui si contrappongono superfici curve e piacevoli al tatto, danno al prodotto un aspetto raffinato e delicato dal gusto risconoscibilmente nipponico. La tradizione del packaging giapponese affonda le sue radici nella cultura dell’ospitalità ma per comprendere appieno questa tradizione, ci dicono Setsu e Shinobu, bisogna far riferimento alla cerimonia del tè (Sadou) o, analogamente, alla cerimonia dei fiori (Kadou).
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In questi riti il “prodotto” offerto è solo il mezzo attraverso cui si estrinseca l’atto dell’ospitalità e lo scambio di cortesia. Si tratta innanzi tutto di creare una scena, un ambiente, una esperienza in cui poter assaporare il piacere dello stare insieme agli ospiti, del porgere un omaggio. L’architettura, l’oggettistica, i gesti, le parole, gli ornamenti della casa e degli attori del rito, tutti contribuiscono in misura importante a creare e scambiare sensazioni, messaggi di cortesia, rispetto, considerazione. La comunicazione di questi messaggi e il gusto per la cosa offerta si apprende attraverso il rito. “Così” precisano i due designer “noi ci siamo prefissi di progettare il rito cosmetico, quello che la donna consuma quotidianamente concedendo tempo prezioso a se stessa”. Si può capire anche il senso di direzionalità dei loro packaging che, come la tazza del tè, presentano sempre un fronte diverso dal retro perché, nel porgere un oggetto in omaggio, questo va sempre ruotato e presentato all’ospite frontalmente in segno di rispetto e gentilezza. Il packaging di Setsu e Shinobu è pieno di significati fortemente legati alla cultura giapponese, significati che vanno ben oltre gli scopi commerciali e comunicativi, significati che esprimono il senso dell’aspettativa, dell’anticipazione, della curiosità e del piacere. Il piacere è qui inteso come divertimento nella scoperta di un contenuto, che non è solo materia fisica, ma è quasi una presenza antropomorfica, è un’anima racchiusa in un ambito più grande, l’involucro. Diversamente dalla cultura dell’usa e getta, il packaging di tradizione giapponese sa fare pieno
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uso delle proprietà intrinseche dei materiali; un esempio è l’utilizzo delle foglie di bambù di cui vengono esaltati sia gli aspetti biochimici che quelli fisici: nelle foglie di bambù si avvolge il cibo per preservarlo e per farlo fermentare, ma si avvolgono anche oggetti fragili per proteggerli. Per i materiali tessili, poi, l’uso è anche più flessibile, come nel caso del furoshiki, il fazzoletto quadrato i cui angoli vengono sollevati e racchiusi nella mano per avvolgere l’oggetto, che diventa tenugui (asciugamano, fascia, sciarpa, centrino) quando ha espletato la sua funzione di contenitore prezioso e si trasforma in un centrino, una tovaglietta che ricorda e sottolinea la presenza del dono nell’ambiente. Oppure il kimono, un abito che avvolge il corpo come se lo impacchettasse, di cui persino le fasce e i fiocchi usati per fermare il tessuto ricordano i nastri di un pacchetto. L’elemento funzionale è sempre presente: il tessuto viene lasciato ampio intorno alle braccia per formare maniche che possano fungere da borsa. Ma anche l’aspetto estetico è sempre necessario: in Giappone persino i soldi, avvolti dalla raffinatezza di un bel packaging, vengono resi meno “volgari” e diventano dono gentile e prezioso, dimostrando così che l’imballo può essere anche un modo per comunicare il piacere di vivere un’esperienza. Teresa Cuccovillo, designer, ha svolto attività di consulente e docente presso la City University e la South Bank University di Londra, attualmente si occupa di progettazione e comunicazione per lo studio I.T.O. Design.
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Zen and the Art of Communicating Pleasure Contemporary Design and the Japanese tradition. The cosmetic packaging of two designers that have been able to blend the current world with the past. Speaking to Setsu and Shinobu Ito.
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Teresa Cuccovillo
The communication between different and far-off cultures, that do not even share the same graphic symbolism, can at times suffer from misunderstandings or limiting interpretations that reduce the cultural osmosis. This is not the case with the work of two Japanese designers, albeit Milanese by adoption, that well interpret both the confluence between east and west as well as the sense of time between the contemporary and the traditional. Setsu and Shinobu Ito have created many projects, but it has aboveall been in the area of cosmetic packaging that they have been able to express that “art of communicating pleasure” at its best. An exquisitely Japanese tradition, in which the wrapping takes on the meaning of an interface that reawakens sensations and emotions in the consumer. For Setsu and Shinobu hence, the visual impact of the pack should not only generate “aesthetic pleasure” but also “tactile
pleasure”, this so as to instigate a more intimate relationship, through which the object, losing its own static nature, takes life in “the palm of ones hand”. Thus conceived the packaging for the Vecua, Agediscuss and Nolinepassport lines of products for make-up and face care designed for Sony CP Laboratories under the project Creating Dreams for Women. “Movement, change, rhythm”, these are the expressions the two designers use in order to describe the forms of their packaging, shapes that interpret the style of the contemporary woman, but that also allude to the rhythm and the movement of nature and the cosmos, as in the ascending wave of energy that seems to have struck and misshapen the lipstick pack; or the stream of water that appears to have modelled the surfaces of the fard and powder cases, or again the shape of the bottle for the Vecua line, with a characteristic elliptical, directional shape that alludes to the orbiting of a satellite. The latter container has been designed to ergonomically follow the movements of the palm of the hand and possesses some elements of Zen style not stereotyped in the rigour and simplicity of the form, but with broader more complex meanings. Even the packaging of the cream Agediscuss is regular and linear, even angular, but at the same time gentle. The squared bases that are countered by curved surfaces pleasing to the touch, give the product a refined and delicate appearance, revealing an unmistakeably Japanese taste. The tradition of Japanese packaging draws its
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almost an anthropomorphic presence, it is a soul enclosed in a larger area, the wrapping. As opposed to the disposable culture, the packaging of the Japanese tradition makes full use of the intrinsic properties of the materials; an example is the use of bamboo leaves where both the biochemical and physical aspects are highlighted: food is wrapped in bamboo leaves to preserve it and to make it ferment, but fragile objects are also wrapped in the same to protect them. The use of textiles is even more flexible, as in the case of furoshiki, the square piece of cloth, the corners of which are raised and folded in the hand to wrap an object, that becomes tenugui (towel, strip, shoe, doily) when it has carried out its function of precious container and is turned into a doily, a cloth that alludes to and underlines the presence of the gift in the environment. Or the kimono, a piece of clothing that wraps the body as if it were packaging it, where even the strips and bows use to close the cloth remind one of the ribbons of a pack. The functional element is always present: the material is left baggy around the arms to form sleeves that can act as a bag. But the aesthetic aspect is always necessary: In Japan even money, wrapped in the refinement of fine packaging, is made less “vulgar” and becomes a kind and precious gift, thus demonstrating that packaging can also be a mode of communicating the pleasure of living an experience. Teresa Cuccovillo, designer, has worked as a consultant and lecturer at the City University and the South Bank University, London; currently she does design and communication work for the I.T.O. Design studio.
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roots from the culture of hospitality, but to fully understand this tradition, Setsu and Shinobu tell us, one has to refer to the tea ceremony (Sadou) or similarly to the flower ceremony (Kadou). In these rituals the “product” offered is merely a means through which the act of hospitality and the exchange of greetings is expressed. It is aboveall the case of creating a scene, an environment, an experience in which to savour the pleasure of being together with ones guests, of offering a gift. The architecture, the objects, the gestures, the words, the ornaments of the house and the actors in the ritual all contribute in an important measure to creating and exchanging sensations, greetings, respect, consideration. The communication of these messages and the taste for offering is learnt through ritual. “Thus the two designers state - we have set ourselves the task of designing the cosmetic ritual, that which the woman performs daily dedicating precious time to herself”. One can also understand the directional sense of their packaging that, like the teacup, always shows a face that is different to the rear part because, in offering an object as a gift, this should always be rotated and presented to the guest frontally as a sign of respect and kindness. Setsu and Shinobu’s packaging is full of meaning strongly linked to the Japanese culture, meaning that goes well beyond a commercial and communicative purpose, meaning that expresses the sense of expectation, of anticipation, of curiosity and pleasure. Pleasure is here understood as enjoyment of the discovery of a content, that is not only physical matter, but it is
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new!
i’m lovin’it: McDonald’s e i Semplici Piaceri della Vita La nuovissima campagna pubblicitaria del popolare brand statunitense è tutta costruita - packaging compreso - all’insegna della semplicità e della gioia di vivere. Stati Uniti, Canada e America Latina saranno i primi ad assaggiare gli Happy Meal “i’m lovin’it”™ e a utilizzarne le nuove confezioni, tutti gli altri dovranno attendere ancora parecchi mesi. Nell’attesa possiamo anticiparvi che il concept generale della campagna promozionale - come pure degli imballi di patatine fritte, hamburger, bocconcini, bevande varie, etc. - sarà caratterizzato da immagini di gente comune che si gode i piccoli e quotidiani piaceri dell’esistenza come ascoltare musica, giocare a pallone, leggere un libro ai propri
bambini. In poche parole, packaging-ritratto sociale, narrazione di come vive la gente e di cosa ama. Il progetto grafico è stato sviluppato in collaborazione con l’agenzia inglese Boxer e con il famoso fotografo Nick Clements, esperto di lifestyle. L’obiettivo era di creare una comunicazione personale e diretta con l’acquirente attraverso immagini di facile comprensibilità in cui identificarsi. Il tema “ i’m lovin’it” apparirà in lingue differenti nei diversi paesi per riflettere la comunità globale servita dalla brand. I motivi di questo
I’m lovin’it: McDonald’s and the Simple Pleasures of Life
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The brand new advertising campaign of the popular American brand is all builtpackaging included-on simplicity and the joy of living. The United States, Canada and Latin America will be the first to try the “I’m lovin’it™” Happy Meals and to use their new packaging, everyone else will have to wait for many months more. While they wait we can divulge that the general concept of the promotional campaign- as well as the packaging of fries, hamburgers, nuggets, various drinks and so forth- will be characterised by images of ordinary people enjoying the small everyday pleasures of life such as listening to music, playing football, reading their children stories. In brief, social portrait packaging, an
massiccio intervento di redesign, concettuale e comunicativo, sono spiegati dallo stesso Larry Light, vice presidente esecutivo e capo degli uffici marketing: “Questo packaging globale rappresenta la continua ricerca di avvicinamento al consumatore e la comunicazione di un nuovo atteggiamento ed energia. È il segno di come alla McDonald’s stiano cambiando le cose; per la prima volta nella nostra storia aziendale useremo contemporaneamente in tutto il mondo uno stesso packaging e un identico messaggio”.
account of how people live and what they love. The graphic project was developed in tandem with British agency Boxer and famous photographer Nick Clements, lifestyle expert. The aim was to give a personal and direct message to the customer through clear images with which they can identify. The “I’m lovin’it” theme will appear in different languages in different countries to reflect the global community served by the brand. The motives behind this huge job of conceptual and communicative redesign are explained by Larry Light himself, executive vice president and head of marketing: “This global packaging represents a continuous research into how to approach the consumer and communicates new attitude and energy. It is the sign of how, at McDonald’s, things are changing; for the first time in our company history we will use the same packaging and an identical message simultaneously all over the world”.
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Vuoto a
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Rendere Tom Sachs, ovvero l’ubiquità dell’imballaggio Marco Senaldi
Pagina precedente/Previuos page Tiffany Value Meal Hires, 1998 Courtesy The Artist
Le opere di Tom Sachs (New York, 1966) sono ormai da tempo icone familiari nel mondo dell’arte contemporanea, e non solo in quello. L’irriverente immagine di Prada Toilet (1997), ossia un water costruito con le confezioni della celebre griffe milanese, ha fatto il giro del mondo. Del resto, l’artista americano non è nuovo agli scandali - ne sa qualcosa la sua gallerista newyorkese Mary Boone, che ha passato qualche guaio per aver esposto in mostra alcune pistole costruite artigianalmente da Sachs, ma perfettamente funzionanti. Recentemente, Sachs è balzato di nuovo agli onori delle cronache proponendo, in una mostra sul nazismo presso il Jewish Museum di New York, la maquette di un lager realizzata, ancora una volta, con gli imballaggi dei prodotti Prada (Prada
Death Camp, 1999). Ma, al di là del facile sensazionalismo, il lavoro di Sachs è un attento e maniacale riutilizzo degli imballaggi di ogni genere e sorta per realizzare, alternativamente, remake di famose opere d’arte o di oggetti della vita quotidiana. Così, un Mondrian può sorprendentemente essere fatto con nastro adesivo colorato, mentre i vassoi di McDonald’s sono utilizzati per una inedita versione della Colonna Infinita di Brancusi - del resto, secondo le parole di Sachs stesso,“il culmine di Mondrian è un flacone di L’Oreal” (che notoriamente ha ripreso gli stilemi del grande astrattista olandese). D’altra parte, confezioni prestigiose come quelle di Tiffany possono benissimo essere impiegate per ricreare il classico Burger Meal, la colazione fast food completa di
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Prada Toilet, 1997
Hermès Plunger, 1997
milk-shake, hamburger e patatine fritte (Tiffany Value Meal Hires, 1998). Con questo genere di lavori, Sachs è riuscito nell’intento di ibridare piani eterogenei della cultura contemporanea in oggetti unici e riconoscibili, che trattengono al proprio interno la contraddizione tra ciò a cui aspirano (la “firma” blasonata, la nobiltà del consumismo lussuoso) e ciò a cui si riducono (la scoraggiante fatalità di un pasto preconfezionato, o di un prodotto mediocre). Ne deriva un universo di artefatti secondari, approssimativi o comunque improduttivi, un similmondo impacciato e scadente, a cui allude anche il nome dello studio di Sachs, Allied Cultural Prosthetics (qualcosa come “protesi culturali e
Sony, 1998
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Large Guillotine, 1998
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Prada Death Camp, 1999
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Tiffany Glock, 1995
affini”). Come afferma l’artista stesso: “Le cose che faccio esisteranno solo se io le faccio, anche perché nessuno sarebbe abbastanza stupido da perdere il proprio tempo per fare le cose che faccio io - tranne me...”. Attualmente Sachs, sembra però aver oltrepassato la fase
decostruttiva e mimetica degli esordi, per lasciarsi coinvolgere da progetti ancor più ambiziosi, come la recente multi-installazione Nutsy’s, al Guggenheim Museum Deutschland, 2003, che comprende persino un bar funzionante, un piccolo McDonald’s, e un’infinità di altri eventi che
Toyans, 2001
finiscono per sfuggire alla volontà dell’artista. Qui non si tratta più semplicemente della confezione di una cosa che viene manipolata al punto da diventare il significante di qualcos’altro - qui siamo di fronte a un gigantismo preoccupante, al tentativo di dar vita a un intero mondo, sortito dall’antro di un mago travolto dalle tentazioni del consumismo più sfrenato. Ma il richiamo costante alla cultura di massa - di cui Sachs non fa mistero di essere un genuino consumatore non viene mai meno, che si tratti di una replica dello Shuttle in cartone da imballaggio o della trasformazione in scultura di qualche Hello Kitty. Grazie al suo spericolato bricolage, Sachs incarna il tipico milieu (post)moderno, e a buon diritto può dire di sé: “Penso di essere un artista folk. Sono un folk urbano. Penso che anche Jackson Pollock lo fosse. Quando prendi fonti di ispirazione varie ed eclettiche, quando non ti limiti a stare nel tuo folklore privato, ecco cosa ti succede”.
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Marco Senaldi, filosofo e critico d’arte, ha pubblicato Enjoy! il godimento estetico, Meltemi, 2003, e ha curato il catalogo e la mostra Cover Theory l’arte contemporanea come reinterpretazione, Scheiwiller, 2003.
The Crawler, 2003
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Returnable Empties Tom Sachs or the ubiquity of packaging
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Marco Senaldi
The works of Tom Sachs (New York, 1966) have now become familiar icons in the world of contemporary art, and not only there. The irreverent image of Prada Toilet (1997), or that is a toilet bowl built assembling fragments of the famous Milanese griffe, has gone all around the world. Indeed the American artist is not new to scandals - his New York gallery owner Mary Boone can fill you in on that. She got into a bit of trouble for having placed on show some pistols home made by Sachs, though perfectly functioning. Recently Sachs once again hit the headlines proposing, in a show on Nazism at the Jewish Museum of New York, the mock up of a lager, made once again with the Prada product packaging (Prada Death Camp, 1999). But over and beyond easy sensationalism, Sachs’ work is a careful and maniacal reuse of packaging of all kinds and types used to create, alternatively, remakes of famous works of art or everyday objects. Thus a Mondrian can be surprisingly made out of colored adhesive tape, while McDonald’s trays are used for an original version of the Infinite Column by Brancusi - and indeed, in Sachs’ own words, “What is the culmination of Mondrian - a L’Oreal bottle” (that as is well known used the stylistic elements of the great abstract Dutch artist). On the other hand, prestigious packs like Tiffany’s can well be used for creating the classic Burger Meal, the fast food meal complete with milkshake, hamburgers and chips (Tiffany Value Meal Hires, 1998). With this kind of work, Sachs has succeeded in the intent of hybridizing heterogenous levels of contempory culture in unique and recognizable objects, that harbour within the contradiction between what they aspire to (the titled
“signature”, the nobility of luxury consumption) and what they are sized down to (the discouraging fatality of a prepacked meal, or a mediocre product). This leads to a universe of secondary, approximate or at any rate unproductive artefacts, a clumsy, trashy, simulated world, also alluded to in the name of Sachs’ studio, Allied Cultural Prosthetics. As the Artist himself states: “The things that I make are only going to exist if I make them, because no one would be dumb enough to waste their time to make the things that I do - except for me”. Currently though Sachs seems to have gone beyond his deconstructive and mimetic phase of his beginnings, to get involved in even more ambitious projects, like the recent multiinstallation Nutsy’s, at the Guggenheim Museum Deutschland, 2003 that even includes a functioning bar, a small McDonald’s, and an infinity of other events that end up by escaping the artist’s will. Here it is no longer simply a question of the pack of a thing that is manipulated to the point of becoming the signifier of something else - here we faced by a worrying gigantism, by an attempt to give life to an entire world, that has come out of a magicians cave overcome by the temptations of the headiest consumism. But the constant reference to mass culture - where Sachs makes no mystery of being a genuine consumer - is always there, whether it is a replica of the Shuttle in packaging cardboard or turning some Hello Kitty into a sculpture. Thanks to his headstrong bricolage, Sachs incarnates the typical (post) modern milieu, and can rightly say of himself: “I think I am a Folk artist. I’m city Folk. I think that Jackson Pollock also was that. When you draw on various and eclectic sources of inspiration, when you don’t limit yourself to staying within your private folklore, that’s what happens to you”. Marco Senaldi, philosopher and art critic, has published Enjoy! Il godimento estetico, Meltemi, 2003, and curated the catalogue and exhibition Cover Theory l’arte contemporanea come reinterpretazione, Scheiwiller, 2003.
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Lussi, Lussurie e Piaceri Le merci ci cercano, sfidano la nostra distrazione di consumatori abitudinari avvinghiandosi ai nostri sensi e riempiendoli di eccitazione e desiderio... Patrizia Calefato
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... alludono a luoghi dell’immaginario che vanno oltre l’immagine stessa, oltre la visione come “pienezza” dello sguardo. Troppo esplicita, troppo triviale e invasiva, è la scena del film Minority Report nella quale le immagini pubblicitarie, in veste di suadenti geishe “porta a porta”, vanno incontro al protagonista riconoscendolo e blandendolo con offerte d’acquisto personalizzate. La pre-visione spielberghiana potrebbe forse valere come scenario possibile per vittime neotelevisive naïf e compratori di tappeti via satellite. Ma se si parla di un richiamo “elevato” nel piacere del consumo e di sex appeal raffinato della merce, di packaging come “vestito” evanescente e di lusso che il sogno del possesso indossa o per meglio dire si sfila in un lento
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strip-tease, bisogna andare più a fondo, interrogando sensi oscuri e spesso dilaniati da contrasti. Il piacere va preso e prende “nei sensi”, alla lettera, e nei sensi trova la sua essenza quel valore aggiunto che anche l’oggetto più minimalista e apparentemente indifferente è capace di avere se solo il “racconto” che porta con sé riesce a mettere in moto, dei sensi umani, l’eccedenza e la reciproca interferenza. È infatti nella comune dimensione dell’eccedenza e dello spreco che risiedono sia il lusso inteso socialmente ed esteticamente come eccesso immotivato, sia il valore comunicativo ed evocativo dell’oggetto che si relaziona al suo consumatore non per ciò che è ma per gli universi inesplorati del piacere che gli permette di “sentire”. Dove risiedono davvero oggi il gusto, la vista, l’odorato, il tatto, l’udito, se non nella loro “lussuriosa” possibilità di espandersi e confondersi mettendo alla prova i limiti della corporeità e le tecnologie dell’immaginario? “Lussuria” è la parola in cui s’incunea, in una radice mai spezzata, quel “lusso” la cui ricerca e la cui impresa motivano nel nostro tempo investimenti e spostamenti di capitali sempre costellati da discorsi aziendali e mediatici. La luxuria latina era l’esuberanza, l’eccesso, la sovrabbondanza - particolarmente nella vegetazione, universo semantico da cui viene il nostro aggettivo “lussureggiante”. Traslato, questo termine indicava fasto, lusso, profusione, sontuosità; ma anche mollezza, vita voluttuosa, sfrenatezza, intemperanza, lascivia. La parola luxuria vive ancora, anche in lingue come l’inglese o il tedesco, quale nucleo etimologico di luxury e di Luxus. In questa catena di significanti, sussiste un’interessante coincidenza che si concentra nel termine “lust” il cui significato è “lussuria” in inglese, “desiderio” e “piacere” in tedesco. È, come è noto, il “Lustprinzip”, il principio di piacere nel suo significato complesso, un concetto chiave nella teoria freudiana della sessualità. C’è sempre un che di lussurioso nel lusso, c’è sempre un po’ di lusso nel piacere, sebbene il piacere sia soprattutto un lusso privato, non ostentato, la cui qualità anzi deriva soprattutto dal fatto che si tratta di un “prendersi il lusso” in cui s’interrompe la serialità del vivere comune e si lascia tempo, spazio, occasione, ai sensi. Anche a costo di “peccare”, anzi, proprio indugiando nel vizio e nel peccato, sapendo che si tratta di un lusso “solo per se stessi”: limited edition! Non è un’automobile, ma un gelato: i “sette peccati capitali” di Algida tra cui spicca per eccellenza quella “Lussuria” che li rias-
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sume tutti, limitati come il tempo dell’estate, spietati come il caldo di quella del 2003, peccati di gola e di linea accompagnati dal packaging “immateriale” costituito dal nome. I sette peccati sono parte di una “collezione” dal nome debordante: Magnum, enormità latina, appellativo onorifico di imperatori, pistola letale, flash anni ’80 di Ferrari 308 GTS con Tom Selleck (Magnum PI) alla guida. La campagna pubblicitaria del Magnum è stata sempre fondata sull’idea del piacere dedicato a se stessi e sulla concentrazione dei sensi sull’attimo in cui la spessa copertura del gelato - un packaging nel packaging - in cioccolato scuro o bianco, si spezza, il momento del “clock!” nel quale la superficie si apre e la bocca può incontrare la fluidità cremosa dell’interno. Incontro e contaminazione tra elementi e tratti salienti della sensorialità: duro/morbido, da addentare/da succhiare, consistente/sciolto. La sinestesia quale principio di piacere lussurioso ha a che vedere anche con quella “scioglievolezza” indicata come carattere e segreto del Lindor, la pralina di cioccolato il cui gusto di fondo si basa sul contrasto tra il guscio esterno e il morbido interno. La parola “scioglievolezza” è stata coniata per l’occasione, includendo in sé implicitamente anche il riferimento alla necessaria temperatura a cui il Lindor dovrebbe essere gustato per mantenere il giusto equilibrio tra superficie e contenuto. Ma la scioglievolezza allude anche a un altro peccato connesso al mangiare cioccolata, al rischio sempre presente di sporcarsi la bocca e le mani, di lasciare macchie scure ovunque si tocchi, dopo... L’immagine emblematica di questo peccato può essere raffigurata in quella sequenza del film Chocolat in cui il bacchettone Reynaud cede all’impertinente ma insopprimibile tentazione della gola durante il digiuno pasquale e si abboffa di cioccolata nella vetrina del negozio di Vianne, addormentandosi poi sporco e gonfio in oscena esposizione. È un vero patto col diavolo quello che la “scioglievolezza” della cioccolata permette. Un’analoga contrapposizione tra esterno croccante e interno cremoso fonda il piacere dell’altra pralina “concorrente” del Lindor: il Ferrero Rocher - lo stesso cognome della Vianne di Chocolat. In questo caso, una porzione importante del piacere viene affidata alla confezione e alla dimensione estrinseca in una citazione aperta e costante dell’idea di lusso. È infatti esplicitamente l’oro che il Rocher evoca nella carta che lo avvolge, nella scatola un po’ forziere e un po’ portagioie che ne contiene le “collezioni”, nella composizione a piramide offerta su vassoi sontuosi entro quei contesti presuntuo-
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samente aristocratici della serie infinita delle pubblicità “Ambrogio e la Signora”. Mangiare l’oro ha un che di dannato e magico, fa sprofondare l’atto alimentare nella oscurità della trasformazione alchemica degli elementi e al tempo stesso richiama i simboli più espliciti del potere e dell’onorificenza: dal battesimo nell’oro dello zar in Ivan il terribile di Eisenstein a espressioni comuni come “ricoprire d’oro” o “navigare nell’oro”. E il cioccolato ha da tempi antichissimi la funzione di elemento prezioso: sin da quando i Maya, che per primi lo lavorarono, lo resero moneta e bene di lusso, e da quando gli Aztechi - presso cui Cortés lo trovò in uso - ne fecero un alimento altamente pregiato e cortigiano. Il piacere alimentare fa sposare quindi lusso e lussuria in un complesso intrico di sensi in cui sono alla prova motivi reciprocamente contrastanti ma anche tra loro concatenati, come bisogno e desiderio, ricchezza e miseria. Emblematicamente, è un immaginario di questo tenore che Gualtiero Marchesi ha svelato quando ha inventato la ricetta del risotto all’oro: ricoprendo il riso con un foglio d’oro a 24 carati, recupera la leggenda che spiega l’uso dello zafferano come giallo sostituto immaginario dell’oro nel risotto alla milanese. Nel Trecento, narra lo stesso Marchesi, l’oro era usato come rivestimento di alcuni piatti quando venivano presentati sulle tavole dei ricchi: si riteneva che l’oro contenesse proprietà salutari se ingerito, e certo l’ostentazione a tavola del prezioso metallo era anche un dispositivo ben preciso di costruzione dell’immagine del potere. Il risotto allo zafferano fu introdotto così sulle tavole popolane probabilmente proprio come citazione metonimica in absentia dell’oro. La sfoglia d’oro che oggi Marchesi pone al centro del suo piatto confeziona un cibo del quale condisce il gusto con il piacere della vista e con quello della consapevolezza - tra storia e leggenda dei meccanismi che hanno generato il suo stesso “senso” sociale. Tema ricorrente, quello del contrasto tra sensi e parole, soprattutto quando si ha a che fare con motivi come il piacere e il lusso, che la morale biasima o esorcizza e che il senso comune spesso tenta di espellere da sé. Il piacere come veleno è alla base del messaggio che un altro nome-involucro, questa volta di un profumo, porta con sé: Poison. Si tratta del nome del celebre profumo di Dior che ha assunto il viola - pericoloso e mortale - come suo colore caratterizzante: la boccetta è infatti viola così come viola è l’atmosfera che circonda l’aroma di questa acqua di toilette. Oscura e veleno-
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sa, come una pozione d’amore, è l’immagine pubblicitaria creata per Poison, vincitrice del Getty Image Prize nel 2002. Una donna coi capelli raccolti, un pagliaccetto bianco in pizzi e seta con le spalline lascivamente scese, le calze nere che lasciano intravedere il bianco della pelle delle gambe in alto, è seduta di fronte allo specchio delle sue brame, dove si compone il quadro mortifero della vanitas. Lo specchio rotondo che la ritrae diventa infatti nel gioco ottico un cranio in cui si riflette sullo sfondo un tendaggio bianco drappeggiato; la capigliatura della donna, duplicata nell’immagine speculare, dà corpo alle cavità degli occhi; le boccette e i flaconi disposti sul ripiano della toilette sono vuoti ghigni di denti. All is Vanity è il titolo del disegno di Charles Allen Gilbert (1873-1929) che fa da modello alla vanità postmoderna della pubblicità del profumo. E vanity è in inglese anche il termine che indica quel mobile, la toilette, di fronte a cui le donne usavano un tempo specchiarsi e profumarsi. Il motivo della “vanitas vanitatum” torna nella fotografia e della pubblicità a rammentare la strisciante fugacità delle virtù mondane, ma anche la loro spettrale seduzione. L’eleganza di un profumo fa rivivere il lusso barocco attraverso la citazione di ciò che quel lusso sottintende: la sfida alla morte, e allo stesso tempo gli ammonimenti che quella stessa morte rivolge ai suoi sfidanti. Il piacere è un profumo che si mette di faccia alla morte impossessandosi dei suoi segni e tenendo alta la tensione delle opposizioni in atto nel bouquet del suo immaginario. L’odorato presiede a quel piacere sottile che pervade la visita alla profumeria, quando è possibile passare tra gli scaffali provando a spruzzare i tester delle diverse essenze, ora al polso, ora dove pulsa la giugulare, sommandole così una dietro l’altra sulla pelle. C’è una “via dei profumi”, che parafrasa le “vie dei canti” di Chatwin, come un luogo di passaggio e di consumo in cui sono in gioco i sensi, il piacere di attraversare gli odori, magari senza possedere neanche una di quelle boccette, ma giocando a catturarne ogni singola goccia. Le profumerie - che siano catene internazionali del make up situate nelle città, o che siano i vecchi duty free degli aeroporti - sono luoghi speciali in cui è possibile provare l’ebbrezza di selezionare e campionare le essenze sul proprio corpo, come disk-jockey improvvisate di un cocktail bizzarro a cui l’odore della pelle conferirà un esito imprevedibile. Il piacere è raro, non unico: può ripetersi, certo, anzi il piacere ha strettamente a che vedere con la ripetizione, come accade quando i bambini pro-
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vano piacere nel sentirsi raccontare dalla mamma sempre la stessa storia. Nel suo essere raro, però il piacere pone in questione concetti come vita e morte: tra gli oggetti, raro è ad esempio un pellame, una pietra, un metallo, tutti elementi che alludono implicitamente all’esistenza e alle sorti della vita stessa sul pianeta. Si origina forse in questo ambito speciale del piacere quella dimensione del consumo che trova spazio in luoghi del “benessere” dove sembrano risiedere rarità, armonia, musicalità, odori benefici. Per concludere, il piacere può tornare ai suoi luoghi più canonici, il sesso e il cibo, concentrandosi in una immagine pubblicitaria della Coca Cola Light intitolata Light Lunch: dove il motivo del mangiare il/sul corpo dell’altro nel gioco erotico si attua in un mondo un po’ digitale, un po’ cartoon, un po’ infantile, un po’ pop. Il light lunch gioca tra la leggerezza della Coca Cola e quella del sushi sulla schiena della ragazza, il gioco erotico si confonde con un videogioco, il Giappone immaginario si cita nell’arredamento, negli occhi a mandorla, in un ikebana. Che anche la Coca Cola (per giunta light, dove il leggero, nella sua leggerezza delightful, mai e poi mai evocherebbe l’afrodisiaco) sia destinata a diventare lussurioso e nero alimento per accompagnare piaceri mondializzati?
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Patrizia Calefato, semiologa, insegna nell’Università di Bari. Il suo ultimo libro è Lusso, Meltemi, 2003.
warning! Patrizia Calefato, semiologist, teaches at the University of Bari. Her latest book is Lusso, Meltemi, 2003.
Luxuries, Luxuria and Pleasures Goods seek us out, challenging our distraction as habitual consumers, grabbing our attention and filling us with excitement and desire...
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...They allude to imaginary places that go beyond the image itself, beyond the vision, as if “fullness” of one’s glance. Too explicit, too trivial and invasive, this is the scene in the film Minority Report where the advertising images, in the guise of persuasive “door to door” geishas, encounter and recognise the main character, coaxing him with customised purchase offers. This Spielberg-like vision could perhaps be good as a possible scenario for naive TV-weaned victims and buyers of rugs via satellite, but if one talks about the “superior” lure of the pleasure of consumption and the refined sex appeal of goods, of packaging as evanescent, luxury “clothing” that the dream of possession wears or, better still, removes in a slow strip-tease, one needs to go further and take a look at the darker senses, often torn apart by contrast. Pleasure should be grabbed and grabs “the senses”, literally, finding in the senses its essence: that added value that even the most minimalist of items and apparently indifferent can have if only the “tale” that it carries within can get the excess and reciprocal interference of human senses going. Indeed, the common concept of excess and waste is often quoted in connection with both luxury (socially and aesthetically held to be a pointless excess) and the communication and evocative value of the item that attracts the consumer not for what it is, but for the chance it offers to “sense” unprecedented realms of pleasure. But where does one actually find taste, sight, smell,
touch and hearing today, if not in their “lussuriosa” (lustful) possibility of expanding and mixing, putting the limits of corporeity and the technologies of the imagination to the test? In Italian the word “lussuria” contains the unbroken root of “lusso” (luxury), the cause and motivation for investments and movements of capital these days always accompanied by remarks and hype from business and the media. The Latin word luxuria meant exuberance, excess, overabundance - especially in terms of vegetation, hence the modern Italian term “lussureggiante” (luxuriant). Translated, this term meant magnificence, luxury, profusion, sumptuousness; but also comfort, a voluptuous life, a lack of restraint, intemperance, lasciviousness. The word luxuria is still found today in languages such as English or German, the etymological root of “luxury” and “Luxus”. It’s interesting to note that this chain of meanings coincides with the English term “lust” (“lussuria” in Italian, “desire” and “pleasure” in German). A key concept in Freud’s theory of sex is the “Lustprinzip”, the principle of pleasure in its more complex meaning. There’s always something lustful in luxury and there’s always something luxurious in pleasure, even though pleasure is especially a private, concealed luxury, whose quality comes mainly from the fact that it is the chance to “allow oneself the luxury” of interrupting the daily routine and dedicating time, space and opportunity to the senses. Even at the risk of “sinning”. On the contrary, actually indulging in vice and sin, knowing that it is a luxury “just for us”: a limited edition! Not a car, but an ice-cream: the “seven deadly sins” by Algida (Walls Ice-cream), with the one dedicated to “Lust” summing them up all. Limited availability in the summer only: pitiless just like the summer weather and especially the hot temperatures of 2003. Sins of gluttony and broken diets, accompanied by the “immaterial” packaging of the name. The seven deadly sins are part of a “collection” with an exaggerated name: Magnum,
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open, constant reference to the idea of luxury. In fact, the explicit reference is to gold, thanks to the paper used to wrap the chocolate, the box that’s reminiscent of a treasure chest or jewellery box, containing the “collections”, arranged in a pyramid on a sumptuous tray in the clearly aristocratic settings of the long series of Italian TV spots: “Ambrogio e la Signora” (A butler and his lady). The idea of eating gold has something damned and magical about it, taking the act of eating into the mystery of alchemy and the transformation of elements, while at the same time recalling the more explicit symbols of power and honour: from the baptism in gold of the Tsar in Ivan The Terrible by Eisenstein to common expressions, such as to “have a golden touch” or “roll in money” (in Italian, in “gold”). And chocolate has been a precious element ever since ancient times: when the Mayas (the first to process it) used it as a currency and luxury good, or when the Aztechs (whom Cortés discovered using it ) turned it into a prestigious, courtly food. Thus luxury and lust combine perfectly with the pleasure of food, forming an intrinsic complex of senses, with contrasting yet at the same time linked aspects, such as need and desire, richness and poverty. A good example of this image is Gualtiero Marchesi’s invention of the recipe for “risotto all’oro”: by covering rice with a sheet of 24 carat gold, he breathed fresh life into the legend that explains the use of saffron as a yellow substitute for gold, today used in the traditional “risotto alla milanese”. In fact, Marchesi writes that it was the custom in the 1300s to use gold as a garnish for several dishes when these were served on the tables of the rich: it was believed that gold had special healthy properties if swallowed. Of course, the spectacle of this precious metal being used in a meal was also a very clever way to build up the image of power. Saffron risotto thus became part of the common people’s fare probably thanks to the metonymic link, in absentia of gold. The leaf of gold that Marchesi today places in
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meaning enormousness in Latin, the name given to emperors, a lethal pistol and flash-backs of the ’80s star Tom Selleck (Magnum PI) driving the Ferrari 308 GTS. The Magnum advertising campaign has always been based on the idea of personal pleasure and the concentration of the senses at the instant of breaking the thick layer of plain chocolate or white chocolate covering the ice-cream - packaging within the packaging - with that “crack!” when the surface opens and the mouth meets the creamy fluidity of the ice-cream inside. An encounter and contamination of elements and important factors in all things sensorial: hard/soft, to be bitten into/to be sucked, firm/flimsy. Synaesthesia - the principle of luxurious pleasure - is also linked to that “meltability” indicated as the character and secret of Lindor, the chocolate-coated chocolate, where the “taste” or pleasure is based on the contrast between the external shell and the soft centre. The word “scioglievolezza” (or meltability) was coined for the occasion, with the implicit reference to the need for the Lindor to be tasted at the right temperature in order to get the right balance between the surface and the content. Meltability also alludes to another sin linked to the eating of chocolate: the ever present risk of getting ones mouth and hands dirty, of leaving dark stains on everything one touches afterwards... The emblematic image of this sin can be seen in that sequence in the film Chocolat where the sanctimonious Reynaud yields to the impertinent unsuppressible temptation of gluttony during the Lent fasting, pigging himself on chocolate in Vianne’s shop window and falling asleep all dirty and stuffed in full indecent view of all. This “meltability” of chocolate allows for a real covenant with the devil. A similar contrast between a crisp outside and a smooth creamy inside is behind the pleasure of another praline, Lindor’s “competitor”: Ferrero Rocher - the same surname as Vianne’s in Chocolat. Here an important part of the pleasure lies in the packaging and the extrinsic dimension with an
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warning! the centre of his dish packs a food, seasoning the taste with the pleasure of the sight and awareness a mix of fiction and legend - of the mechanisms that have led to its own social “sense”. An oft-repeated theme is the contrast between the senses and words, especially when dealing with subjects such as pleasure and luxury, which morality condemns or exorcises and which common sense often tries to expel. Pleasure is a poison is the basic message of another name/wrapping, this time a perfume: Poison. This is the name of the famous perfume from Dior that uses purple - a dangerous, mortal colour - as its distinctive colour: in fact, the bottle is purple, as is the atmosphere surrounding the aroma of this eau de toilette. Dark and poisonous, like a love potion, is the advertising image created for Poison, the winner of the Getty Image Prize in 2002. A woman with her hair tied back, white lacy silk camiknickers with highly sensual dropped shoulder straps, black stockings that let one glimpse the pale flesh of the legs at the top, seated in front of a magical mirror, forming a deadly picture of vanity. The round mirror reflecting her takes on the shape of a skull with a white draping curtain in the background; the reflection of the woman’s hair in the mirror image highlights the hollowness of her eyes; the bottles and flacons on the table top are empty toothy grimaces. All is Vanity is the title of the drawing by Charles Allen Gilbert (1873-1929) used as a model for the postmodern vanity of the advertising of this perfume. And the word “vanity” in English also means the piece of furniture, the dressing-table that women used to sit at while brushing their hair, doing their make-up and applying perfume. The idea of vanitas vanitatum is used in the photo and advertising, stressing the furtive fleetingness of worldly virtues, as well as their spectral seduction. The elegance of a perfume gives one a taste of past Baroque luxury thanks to the mention of what that luxury implies: defiance of death and at the same time a warning that death itself gives to those that dare to defy it. Pleasure is a perfume that one puts on in the face of death, gaining possession of its symbolism and keeping high the tension of the opposition contained in the bouquet of its imaginary being. The sense of smell dominates that fine pleasure of
a visit to a perfumery store, when one can wander among the shelves using the testers for each perfume, spraying the perfume onto wrist or neck, building them up on the skin, one after another. There’s a “via dei profumi” (perfume lines) to paraphrase Chatwin’s “vie dei canti” (Songlines): a place of passage and consumption where the senses are all important, plus the pleasure of going through the fragrances, perhaps without actually possessing any of those bottles, but simply trying to catch their every drop. Perfumery stores - whether international make-up chains in major cities or the old duty free shops in airports - are special places where one can experience the thrill of selecting the fragrances and trying them out on ones own skin, like an improvised disk-jockey in a bizarre cocktail where the odour of ones skin produces an unexpected result. Pleasure is rare, not unique. Of course, it can be repeated: indeed, pleasure is closely linked to repetition, as happens when children find pleasure in listening to their mother tell them the same old story. However, in its rare form, pleasure questions concepts such as life and death: for instance, a skin, a gem, a metal are rare among objects, being all elements that implicitly allude to the existence and fate of life itself on our planet. Perhaps this special sphere of pleasure is the origin for that dimension of consumption that takes place in locations of “wellbeing”, where rarity, harmony, musicality and beneficial aromas would appear to reside. To conclude, pleasure may return to its traditional areas - sex and food. This aspect is concentrated in an advert for Coca Cola Light entitled “Light Lunch”: the theme of eating (on) the body of another person in an erotic game is shown in a slightly digital world, part cartoon, part childlike, part pop. The Light Lunch ad plays with the lightness of the Coca Cola and the Sushi on the girl’s back. An erotic game that gets mixed up with a video game. The fictitious setting in Japan is understood from the furniture, the almond-shaped eyes, an ikebana. Does this mean that also Coca Cola (and Light to boot, where the idea of light, in its delightful lightness, could never be considered an aphrodisiac) is bound to become a luxurious black food to accompany worldly pleasures?
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La Marca nella Mente Come Walter Landor usava ripetere, “i prodotti sono fatti nelle fabbriche ma le marche si creano nella mente delle persone”: ancora oggi ciò che distingue Landor Associates è la continua ricerca di un legame emotivo tra l’espressione della marca e i suoi interlocutori. Sonia Pedrazzini
Photo by Erica Ghisalberti
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Landor Associates è una delle più importanti e conosciute agenzie di consulenza e design strategico. Possiede 24 uffici dislocati ovunque nel mondo: da San Francisco, a New York, da Città del Messico a Londra, da Amburgo a Milano, Dubai, Hong Kong, Tokyo e in altre città ancora e conta una comunità di più di 900 professionisti. L’attività dell’agenzia è principalmente collegata alla consulenza ad aziende che desiderano affermare e controllare una marca, la sua identità e la sua capacità di creare valore; aziende che vogliono riposizionarsi sul mercato e intendono espandersi o effettuare nuovi lanci di prodotto. Landor può intervenire in modo globale e integrato su tutte le forme di espressione di un brand e attraverso una rete mondiale di uffici e consulenti, esperti in discipline come: corporate branding (identità stituzionale), product branding (packaging), branded environments (ambienti connotati da una identità di marca), interactive branding (internet e new media), fornisce soluzioni e risposte ad altissimo contenuto comunicativo, creativo, tecnologico, commerciale. Tra le “pietre miliari” di Landor si possono ricordare: Il pack dei corn flakes Kellog’s, il marchio Dal Monte, quello Levi’s, il packaging per Marlboro Light, l’analisi strategica, il riposizionamento e il rinnovamento dell’identità di General Electric, la rivoluzione della lattina blu per Pepsi Cola, da Coca Cola a Coke, la rinominazione e la nuova veste grafica da Federal Express a Fedex, il sistema di identità per i giochi olimpici di Atlanta e per quelli invernali di Nagano e Salt Lake City, la creazione della nuova identità e della famiglia di marche di Microsoft Windows e il nuovo packaging di Microsoft Office 2002, la nuova identità BP e numerosi prodotti per Procter&Gamble e Kraft. Per l’Italia, tra le principali e più recenti esperienze, si possono menzionare le nuove identità di: GS, il Telefonino e Centro Tim, AirEurope, Fiorucci, Industrie Natuzzi, Costa Crociere, Granarolo, Erg, Management, Breil, Snaidero Group, Capitalia, Nostromo
Il packaging di Diwine è essenziale e minimalista; caratterizzato da unʼonda bordeaux o gialla (a seconda della tipologia di mosto dʼuva utilizzato) che attraversa armoniosamente tutte le 14 confezioni della gamma, crea sullo scaffale un forte impatto visivo. Lʼonda abbraccia tutti e quattro lati della scatola, lo sfondo è bianco, la grafica pulita, lʼinsieme comunica freschezza, benessere e bellezza.
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Diwine packaging is essential and minimalist, featuring a burgundy or yellow wave (depending on the type of must used) that harmoniously crosses all the 14 packs of the range, creating a strong visual impact on the shelf. The wave embraces all four sides of the pack, the background is white, the graphic design clear cut, together it communicates freshness, wellbeing and beauty.
Abbiamo intervistato il direttore creativo Sasha Vidakovic, per parlare di Landor, di piacere e di Diwine, la recentissima linea cosmetica di Atkinsons prodotta con il mosto d’uva e basata sull’innovativo concetto di vinoterapia. Chi è Sasha Vidakovic e come è arrivato a Landor Associates? Sono nato a Sarajevo, lì ho frequentato il dipartimento di Visual Communication all’Accademia di Belle Arti; mi sono quindi trasferito a Londra dove ho vissuto per circa tredici anni lavorando in varie agenzie di design e un anno e mezzo fa sono stato invitato da Landor a trasferirmi in Italia per dirigere l’ufficio creativo di Milano. Landor è la pioniera del “Design Strategico”, spiegaci di cosa si tratta. Tutto è iniziato negli anni Quaranta, grazie a Walter Landor, fondatore del primo ufficio a San Francisco. Era un uomo molto intelligente ed è stato uno dei primi ad avere uno specifico approccio metodologico al processo creativo. Il progetto di design non deve essere legato solo all’intuizione o al giudizio “mi piace”, “non mi piace” ma deve seguire fasi ben precise che, solo alla fine, portano all’idea che assicura il successo. Design Strategico significa fare ricerca, considerare l’ambito del prodotto, capire a chi si sta parlando, qual’è il target, il consumatore, l’audience, conoscerne l’età, la posizione sociale, quanto guadagna, quanto spende. In seguito a queste ricerche e alle descrizioni del mercato il creativo risponde con un linguaggio visivo adeguato, cerca di parlare la stessa lingua del futuro consumatore per rispondere adeguatamente al suo gusto e alle sue attitudini.
Come è organizzata unʼagenzia così grande e complessa come Landor ? Landor è una realtà enorme, ci sono uffici nelle maggiori città di tutto il mondo. Abbiamo diversi settori di ricerca e ogni settore ha una sua struttura individuale, divisa a sua volta in vari gruppi. Una cosa importante da notare è che nel suo processo di espansione Landor non ha mai acquisito né inglobato altre agenzie di design, ma, quando si rileva in qualche città o nazione una buona opportunità di mercato, allora si fonda un nuovo ufficio. Ciò significa che all’inizio è più difficile e la crescita richiede tempo, ma d’altro canto questo assicura lo sviluppo di un’unica, globale e ben definita “cultura Landor” e fa sentire tutti parte di un’unica famiglia. Nonostante si sia così grandi e sparsi ovunque nel mondo e, pur non essendoci quasi mai incontrati fisicamente, ci conosciamo tutti. La comunità Landor è molto forte e
valore dei suoi brand. Attuiamo quindi il processo tipico di analisi del cliente, della marca e di dove vuole posizionarsi. Una volta individuato e raggiunto l’accordo reciproco su quello che è il desiderio del cliente allora passiamo alla fase comunicativa e di visualizzazione.
quando, ad esempio, si è all’inizio e si ha bisogno d’aiuto, basta inviare richiesta e immediatamente arrivano supporti e contributi dagli altri uffici. Se non si ha esperienza su qualche specifico problema, attraverso la rete di contatti, da qualche altro ufficio nel mondo arriverà sicuramente una risposta. Impariamo costantemente gli uni dagli altri, regolarmente ci incontriamo in riunioni in cui ci scambiamo informazioni, ci aggiorniamo, mostriamo i progetti più recenti discutendone anche i processi di realizzazione, non solo i risultati, condividiamo esperienze e difficoltà, ci ispiriamo reciprocamente e stimoliamo la creatività. E tu e il tuo ufficio a Milano, cosa fate in particolare? In questo ufficio io sono il responsabile della risposta creativa, dirigo un team di designer di circa dieci persone. Lavoriamo soprattutto per marche italiane, sia locali che internazionali. Negli anni Sessanta Landor ha realizzato il logo, il sistema di identità e la livrea per Alitalia. Più di recente abbiamo lavorato con Industrie Natuzzi, Sanpaolo, Azimut, Marazzi, Fini, Sorin e Italtel. Per quanto riguarda la nostra attività non forniamo al cliente solo design, ma diamo un servizio più globale, qualcosa che possa incrementare il
Uno dei tuoi progetti più importanti? Tutti sono importanti, ma un progetto diventa importante soprattutto quando il cliente capisce che siamo dalla sua parte, quando si crea un rapporto di fiducia inteso a sviluppare una brand di alto livello, quando si stabilisce un mutuo beneficio, che va oltre al puro e semplice rapporto d’affari. In questo senso il lavoro con Atkinsons è stato importante, ed in particolare il progetto Diwine. Diwine ha evidenziato importanti peculiarità del packaging come media comunicativo. Abbiamo lavorato sull’aspetto chiave della scatola, la forma nella sua tridimensionalità e abbiamo massimizzato questa opportunità. Il disegno grafico segue la scatola tutt’intorno, non solo sul fronte, e unisce, sottolinea e accorpa, tutto il range di prodotti. Dal punto di vista strategico esalta il messaggio e produce un forte impatto sullo scaffale, incoraggiando così il venditore a posizionarlo in primo piano, ben in evidenza. Questo è per noi un packaging design “intelligente”. Come sono i flaconi allʼinterno? Sono vasetti, tubi e flaconi standard che noi abbiamo selezionato appositamente. Anche su di essi, come sulle scatole, il disegno dell’onda corre tutta intorno come in un abbraccio. Ci sono stati aspetti particolari o richieste che hanno caratterizzato questo progetto? Uno dei problemi da risolvere era
legato alla comunicazione, far capire bene la differenza tra vino e vinoterapia, Diwine non contiene alcool e bisognava evitare di creare un’associazione diretta con il vino.
In generale, che riflessioni puoi fare sul pack della grande distribuzione? Principalmente noto la paura di rompere le regole; spesso i prodotti sullo scaffale sono tutti simili. Questo succede per vari motivi; molte volte il cliente non ha voglia di rischiare di essere all’avanguardia. Inoltre ogni settore merceologico come quello cosmetico, della detergenza domestica, del food, ecc., ha il suo linguaggio e la sua rigorosa applicazione irrigidisce la possibilità di reali innovazioni. Attualmente il packaging diventa sempre più importante per il suo aspetto comunicativo, ci sono grandissime opportunità per sviluppare nuovi imballaggi esplorando tecnologie, materiali, e mescolando ambiti e territori.Landor tenta continuamente di spingere all’innovazione, un esempio è stato il packaging delle patatine Sensations per Walkers Snack Food. Sulla busta il prodotto non è visualizzato e descritto secondo i codici usuali ma, introducendo un’immagine in bianco e nero, si è potuto dare enfasi al suo background, alla memoria storica e alla qualità. Si è voluto rendere un po’ speciale, un po’ sofisticato, uno snack di tutti i giorni. Cosa ti sentiresti di consigliare ai giovani designer ? Vorrei dire di far cose non complicate, di ridurre i messaggi, di capire bene quale problema devono risolvere e di avere un approccio semplice e preciso. Il talento personale non basta, bisogna analizzare, comprendere profondamente ed eliminare ogni ridondanza.
Patatine Sensations Sul sacchetto le due immagini accostate, quella in bianco e nero che rimanda al passato e quella a colori che riporta al presente, creano nel consumatore un piacevole senso di sorpresa e allo stesso tempo di tranquillità. E’ come sfogliare l’album fotografico della propria famiglia in cui il passato e il presente sono la garanzia di una antica vitalità. Sensations crisps The bag has two images beside each other, the black and white one alludes to the past and the colored ones brings us to the present, creating in the consumer a pleasant sensation of surprise and at the same time of calm. It is like leafing through the family photo album in which past and present are guarantee of an age-old vitality.
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Sonia Pedrazzini, designer, è coordinatrice del Master in Packaging Design presso l’Istituto Europeo di Design di Milano.
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Cosʼè il “piacere” per te come designer e come un packaging lo può esprimere? Per me il piacere è un processo creativo, è quando si inizia un progetto, si incontra il cliente e si cerca di capire ciò di cui ha bisogno. Immediatamente si può avere la visione di quella che sarà o che dovrebbe essere la risposta, questo è molto entusiasmante, ma talvolta succede anche che non si abbia assolutamente idea di cosa fare e si prova come un brivido di timore. In qualche modo questo è ciò che mi piace veramente, sto per entrare in un territorio in cui non sono mai stato, so che vedrò cose nuove , e questo è molto eccitante, ma manca ogni sicurezza, non si sa cosa succederà nel percorso, è il piacere di un viaggio nell’ignoto. Anche fare piccoli disegni sulla carta è un vero piacere: mani, carta, cervello, una trilogia perfetta. E dopo pochi mesi vedi la tua idea realizzata sullo scaffale o nelle pubblicità, e la tua firma che viene copiata, moltiplicata. Per quanto riguarda il packaging, se si suppone che esso debba creare aspettative di piacere, il designer deve saper individuare i linguaggi adatti, deve realizzare la comunicazione di quella sensazione concetto. Il piacere non è un concetto semplice e come punto di partenza per la progettazione eliminerei gli aspetti che sicuramente si oppongono ad esso e che provocano effetto contrario. Lavorerei per sottrazione. Bisogna poi tenere a mente che il concetto di piacere si differenzia da prodotto a prodotto. In particolare pensando ai cosmetici, ci sono regole di comunicazione che provocano sicuramente certe
associazioni come purezza, calma, dolcezza...
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The Brand in the Mind As Walter Landor used to repeat, «products are made in the factory but brands are created in people’s minds»: even today what makes Landor Associates stand out is the continuous search for an emotional association between the expression of the brand and its interlocutors.
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Landor Associates is one of the most important and well-known consultancy and strategic design agencies. They have 24 offices the world over: from San Francisco to New York, from Mexico City to London, from Hamburg to Milan, Dubai, Hong Kong, Tokyo and in other cities and now have a community of more than 900 professionals. The agency’s activity mainly centres on consultancy to companies that wish to assert and control a brand, its identity and its capacity to create value; companies that wish to reposition on the market and that intend expanding or carrying out new product launches. Landor can intervene in a global, wholescale manner on all forms of brand expression and through a world network of offices and consultants that are experts in disciplines such as: corporate branding (institutional identity), product branding (packaging), branded environments (environments connoted by a brand identity), interactive branding (Internet and new media), supplying solutions and responses of a high communicative, creative, technological and commercial content. Among Landor’s “milestones” one can cite: the Kellog’s cornflakes pack, the Dal Monte brand, Levi’s, the packaging for Marlboro Light, the strategic analysis, repositioning and the identity renewal of General Electric, the Pepsi Cola blue
can revolution, from Coca Cola to Coke, the renaming and the restyling of Federal Express to Fedex, the identification system for the Atlanta Olympic games and for the winter Olympics at Nagano and Salt Lake City, the creation of the new identity of the family of Microsoft Windows brands and the new packaging for Microsoft Office 2002, BP’s new identity, several Procter&Gamble and Kraft products. As regards Italy, among the main and most recent experiences, mention should be made of the new identity of GS, il Telefonino e Centro Tim, AirEurope, Fiorucci, Industrie Natuzzi, Costa Crociere, Granarolo, Erg, Management, Breil, Snaidero Group, Capitalia, Nostromo We interviewed their creative director Sasha Vidakovic, to speak of Landor, of pleasure and of Diwine, the recent Atkinsons cosmetics line produced with grape must and based on the innovative concept of wine therapy. Who is Sasha Vidakovic and how you did you come to Landor Associates? I was born in Sarajevo and there I attended the department of Visual Communications of the Fine Arts Academy; then I moved to London, where I lived for close on thirteen year, working in various design agencies - a year and a half ago I was invited by Landor to move to Italy to head their Milan design office. Landor is pioneer of “Strategic Design”. Could you explain to us what that means. Everything started in the forties, thanks to Walter Landor, founder of the first office in San Francisco. He was a very intelligent person and was the first to have a specific methodical approach to the creative process - the design project should not only be linked to the intuition or the judgement “I like it”, “I don’t like it”, but it must follow precise
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phases that, only at the end, lead to the idea that ensures success. Strategic Design means doing research, considering the product environment, understanding who you are talking to, what the target is, who your consumer and your audience is, knowing their age, their social position, how much they earn, how much they spend. Following on from this research and the description of the market the designer must respond with a suited visual language, he has to try and speak the same language as the future consumer, this in order to adequately respond to the target’s tastes and their attitudes.
What do you and your staff particularly do in Milan? In this office I am head of creative design response; I head a team of designers that varies from four to seven professionals but that, in special cases, counts on the contribution of external freelances. We aboveall work for Italian brands, both local and international. In the seventies Landor created the logo, the identity systems and the livery for Alitalia. More recently we have worked with Industrie Natuzzi, Sanpaolo, Azimut, Marazzi, Fini, Sorin e Italtel. As far as our activity is concerned we do not just provide design to our customers, but we give a more global service, something that can enhance the entire brand. Hence we start up the typical process of analysis of the client, the brand and its positioning. Once we have identified and reached common accord as to what the client wants, we then go on to the communicative and visualisation phase.
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If you were to cite one of your most important projects? They are all important, but a project becomes important aboveall if a customer understands that we are on his side, when a relationship of trust has been created with the purpose of developing a brand at high level, when a mutual benefit has been set up that goes beyond pure and simple business relations. In this sense the work with Atkinsons has been important, and in particular the Diwine project. Diwine has highlighted the important peculiarities
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How is an agency as big and complex as Landor organized? Landor is a huge concern, with offices in the major cities all over the world. We have various study sectors and each sector has its individual structure, in turn divided into various groups. An important thing to notice is that in its process of expansion Landor has never bought up or incorporated other design agencies but, when a good market opportunity is registered in some city or nation, then a new office is founded. This means that things are more difficult at the beginning and that growth needs time, but on the other hand this ensures the development of a sole, global and well-defined “Landor culture” and makes all parts of the concern feel like one family. Despite the fact we are so big and spread across the world and, at times, though we have never met each other directly, we all know each other. The Landor community is very strong and when, for example, one is starting out and needs help, one only has request it and support and contributions from the other offices are immediately forthcoming. If you don’t have experience as regards a specific problem, through the network of contacts, from some other office around the world an answer will surely come.
We constantly learn from each other, we regularly encounter each other in meetings where we exchange information, we get and give updates, show our most recent projects, also discussing the processes for achieving the same, not only the results, we share experience and difficulties, we inspire each other reciprocally and stimulate our creativity.
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of packaging as a communicative media. We worked on the key aspect of the pack, the shape and its three dimensional nature and we have made the most of this opportunity. The graphics follows the pack all the way around, not only the front, and unites, underlines and brings together the entire range of products. From the strategic point of view it highlights the message and produces a strong shelf impact, thus encouraging the salesperson to position it up front, where it is easy to see. This for us is an “intelligent” packaging design.
expectations of pleasure, the designer has to be able to identify the suitable languages, he has to create the communication of that conceptsensation. Pleasure is not a simple concept and as a starting point in the design I would eliminate all the aspects that surely oppose it and that provoke the opposite effect. I would work by subtraction. One has to then bear in mind that the concept of pleasure differs from product to product. In particular thinking of cosmetics, there are rules of communication that surely trigger given associations like purity, calm, gentleness…
What are the containers like? They are standard jars, tubes and bottles, that we chose specially. And like on the pack the picture of the wave runs right around the containers, like an embrace.
In general, what reflections can you make on the broadscale distribution pack? Mainly I note a fear of breaking the rules; often products on the shelf all look alike. This occurs for various reasons; often the client doesn’t want to risk being avante garde. On top of that each product sector like cosmetics, home detergency, food etc has its language and its rigorous application stiffens any possibility of real innovation. Currently packaging is becoming evermore important on its communicative side, there are great opportunities for developing new packs exploring technologies, materials and mixing environments and territories. Landor tries to continuously to push towards innovation, an example is the packaging of the Sensations crisps for Walkers Snack Food. The product does not appear on the bag nor is it described using the usual codes but, introducing a black and white picture, one was able to emphasize its background, its history and quality. Here we tried to make an everyday type of snack a bit special, a bit sophisticated.
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Did this project feature special aspects or requirements? One of the problems to be solved was linked with communication, and in particular to the need to make the difference between wine and wine therapy understood; Diwine does not contain alcohol and one needed to avoid creating a direct association with wine. What is “pleasure” for you as a designer? And how can you express it in packaging? For me pleasure is a creative process; it is when you begin a project, and you meet the client and you try and understand what they need. You can immediately have a view of what the response will or might be, this makes you enthusiastic, but at times it also happens that you have no idea whatever of what you are to do, and that gives you the shivers. In a certain sense this is really what I truly like: I am about to enter into a area where I have never been before, I know I will see new things, and this is very exciting, but there is no security, you don’t know what will happen along the way, it’s the pleasure of a voyage into the unknown. Even making small drawings on a piece of paper is a true pleasure: brains, hands, paper, a perfect trilogy, and a few months on see your idea on the shelf or in an ad, and your signature that is being copied, multiplied. As far as the packaging is concerned, if it be supposed that it is to create
What do you feel you would want to advise young designers? I would tell them not to do complicated things, reduce the messages, understand well the problems they have to solve and to have a simple and precise approach. Personal talent is not enough, one has to analyse, understand deeply and eliminate any superabundance or excess.
Sonia Pedrazzini, designer and coordinator in the Master in Packaging Design at the Istituto Europeo di Design, Milan.
Liza Lou,
Fanciulla Operosa
Kitchen 1991-5 - Mixed beads installation Courtesy: Deitch Projects Collection of Eileen and Peter Norton Santa Monica, CA Photo Credit: Anthony Cunha
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Lara Facco
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La casa di una donna ricca di fantasia e di personalitĂ si distingue sempre per un tocco particolare che riesce a trasformare gli oggetti, anche i piĂš semplici e comuni, in qualcosa di assolutamente diverso dagli altri. (Armanda Armandola Capeder, Fanciulle operose applicazioni tecniche femminili per la scuola media, vol. 1, Fratelli Fabbri Editori, 1964)
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tools
Il mondo di Liza Lou è un mondo scintillante e perfetto, talmente bello e accattivante da sembrare il migliore dei mondi possibili. Lei, statunitense poco più che trentenne, è figlia del boom economico che ha investito l’occidente dal secondo dopoguerra fino ai primi anni Settanta. È figlia di quella middle class americana che, improvvisamente, si è trovata ad accarezzare il sogno di vivere una vita perfetta in un mondo perfetto. Sogno apparentemente facile da
realizzare in una società dove tutto sembrava essere a portata di mano, dalle automobili alle vacanze al mare, e dove ogni desiderio sembrava potesse essere esaudito, purché pagabile in comode rate. È figlia di un mondo dove la femminilità, quando non era quella idealizzata del cinematografo, era quella patinata dei cartelloni pubblicitari, rappresentata nei panni di una casalinga nel suo regno, ritratta preferibilmente in cucina, vestita con mises impeccabili, in tacchi a spillo,
messa in piega e guanti gialli di gomma. Un mondo perfetto, fatto di mogli modello, madri premurose, cuoche provette, con una soluzione pronta per ogni problema e il sorriso costantemente sulle labbra, un mondo nuovo fatto di mille nuove irrinunciabili comodità. Anche il mondo di Liza Lou è scintillante come il sogno americano. Le sue cucine o i suoi giardini, a grandezza naturale e completamente ricoperti da milioni di perline di vetro, tolgono il fiato per la loro bellezza, per la loro capacità di
Trailer 1999, mixed media. Courtesy: Deitch Projects
perline il mondo. Ma poi succede anche che alle belle perline si sostituiscano polverine magiche che diventano altrettanto colorate ed ancor più efficaci pastiglie, per togliere l’ansia e lavar via quel senso di insoddisfazione profonda che prima faceva da sottofondo alle giornate. E anche il bucato è fatto... Lara Facco, critico d'arte e curatrice, cura la rubrica “Contemporary Art” per il mensile Rockerilla. Nel 2001 ha co-curato il catalogo della 49° Biennale di Venezia.
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su di un confortevole isolamento. Ammaliata da un mondo fittizio assaggiato nel luna-park dei supermarket, nelle adulazioni della pubblicità, nei corteggiamenti della televisione, questa donna ha tentato una strenua difesa costruendo un monumento alla propria quotidianità. Stordita, ha nascosto la propria debolezza coprendo tutto di perline e decalcomanie, esasperando i gesti del proprio lavoro quotidiano fino all’ossessione: “Mi volete così? Eccomi!”. E poi via, continuando a coprire di
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rendere straordinario l’ordinario. Ma è proprio così? C’è qualcosa in quel maestoso splendore che non convince, qualcosa in quella frivolezza che lascia uno strano sapore in bocca. Quel mondo fatto di pulizia elettrica e di perfezione modernista in realtà non stava emancipando la donna dal suo ruolo ma ne ridefiniva i termini, aumentandone le incombenze ed esasperandone la solitudine. Presto la ruggine ha cominciato a emergere dallo smalto delle lavatrici, mettendo a nudo l’ipocrisia di un’identità costruita
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Liza Lou, Hardworking Maid The home of a woman rich in imagination and personality is always distinguished by that special touch which manages to transform objects, even the simplest and most ordinary ones, into something absolutely different from all the others. (Amanda Amandola Capeder, Fanciulle operose-applicazioni tecniche femminili per la scuola media, vol 1, Fratelli Fabbri Editori, 1964)
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Lara Facco
The world of Liza Lou is a sparkling and flawless world, so beautiful and charming it seems the best of all possible worlds. A little over the age of thirty, she is a daughter of that economic boom which swept across the Western world between the end of the Second World War and the early Seventies. She is a child of that American middle class which suddenly found itself entertaining the dream of living a perfect life in a perfect world. This seemed easy to achieve in a society where everything appeared to be within reach, from automobiles to holidays by the sea, and where it appeared every wish could be granted, as long as it was payable in handy installments. She is the daughter of a world where femininity, when it wasn’t the type romanticized by movie-makers, was the glossy kind seen on billboards, represented in the shape of a housewife in her kingdom, portrayed preferably in the kitchen, dressed in impeccable outfits, in stiletto heels, her hair set and wearing yellow rubber gloves. A perfect world made up of model wives, considerate
husbands and expert cook with a ready solution for every problem and a smile constantly on their lips, a new world made of a thousand new simplycannot-do-without conveniences. The world of Liza Lou is as glittering as the world of the American dream. Her kitchens or her gardens, life size and completely covered in millions of glass beads, take your breath away with their beauty, with their ability to make the ordinary extraordinary. But is it really like that? There is something in that majestic splendor which doesn’t ring true, something in all that frivolity which leaves a strange taste in the mouth. That world made up of electrical cleaning equipment and modernist perfection was not actually emancipating woman from her role but redefining the terms, increasing the work load and exacerbating loneliness. Soon the rust began to show in the enamel on the washing machine, laying bare the hypocrisy of an identity built on affluent segregation. Enraptured by a phony world sampled in the carnival of supermarkets, in the sycophancy of advertising, in the fawning of television, this woman attempted a strenuous defense, constructing a monument to her own everydayness. Dazed, she concealed her own weakness, covering everything with beads and decalcomania, overdoing her daily chores to the point of obsession: “Is this how you want me? Here I am!” and so on, continuing to cover the world with beads. But then the gorgeous beads are replaced with magic powders which become just as colorful, followed by even more efficient pills, to remove the anxiety and wash away that sense of deep dissatisfaction which previously formed the backdrop to her days. And yet the washing always gets done… Lara Facco, art critic and curator, writes for the column Contemporary Art in the monthly magazine Rockerilla. In 2001 she was co-curator for the 49th Venice Biennal catalogue.
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Blister 2004 il packaging filosofico di Andrea Branzi
Blister collection 2004 Courtesy Galleria Luisa Delle Piane, Milano
delicati dal contatto con noi”. La passione di Andrea Branzi per il packaging e per i blister non è cosa nuova; nel 1997 infatti, aveva partecipato al progetto “DeSìgn progetti & confetti” - una mostra curata da Patrizia Ledda e Maria Gallo per il Gruppo Acquachiara proponendo una bomboniera a forma di blister farmaceutico e contenente “confetti augurali” ad uso matrimoniale. “I confetti sono stati il prototipo di tutte le medicine moderne: dolci fuori e amari dentro - spiega Branzi quelli per il matrimonio sono gli unici che si usano non per i malati, ma per i sani. La confezione è però la stessa”.
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prima vista sono un po’ enigmatici. Oggetti che traspaiono da altri oggetti. Qualcosa di vivo, di pulsante (i fiori, la luce, l’acqua) impacchettato in una corazza sagomata. Dopo poco ci si abitua a quelle presenze, le sagome tridimensionali diventano gentili, mostrano un’anima appunto, sfumata ed evanescente, che non vuol farsi toccare, ma solo per difesa, poiché, come conclude Branzi: “Noi tutti produciamo dei blister, per proteggerci dall’invadenza esterna del mercato e dell’informazione; ma vale anche il contrario e cioè la conservazione di certi materiali
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La galleria Luisa Delle Piane ha presentato lo scorso febbraio in anteprima assoluta la collezione Blister 2004, disegnata dall’architetto e designer Andrea Branzi e prodotta da Design Gallery Milano. I blister sono imballaggi che isolano e proteggono “sotto plastica”. Il termine blister viene variamente impiegato ora per indicare confezioni ricavate dall’accoppiamento di un guscio di plastica e cartoncino, ora per identificare monodose o multidose stampati e infine per denominare confezioni farmaceutiche, caratterizzate da un foglio di alluminio su plastica. Proprio a questi ultimi si ispira il lavoro di Andrea Branzi. Contenitori di altri oggetti - fiori, foglie, gioielli, luce - e quindi non di piccole dimensioni, i suoi blister sono fatti di metacrilato satinato, a chiusura magnetica o metallica e con basi in acciaio o marmo. Secondo Branzi i blister non sono solo una forma di packaging ma, come afferma lui stesso, “sembrano qualcosa di più filosofico; una confezione protettiva generale, che difende noi dai prodotti, ma anche i prodotti da noi... Il blister è dunque una tecnologia reciproca, un’importante presenza ambientale, un modo di vedere il mondo attraverso una “opacità” che ne circonda una parte delicata e la separa da un eccesso di contatti e di consumo”. I blister in mostra a
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Oggi Sposi, 1997 Photo Maria Vittoria Corradi Backhaus
Blister 2004 The philosophical packaging of Andrea Branzi
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Last February, the Luisa Delle Piane Gallery presented an exclusive preview of the Blister 2004 collection, created by the architect and designer Andrea Branzi and produced by Design Gallery Milano. Blisters are a type of packaging which isolates and protects “under plastic”. The term blister indicate those obtained from the bonding of a strip of plastic and card, those made entirely of plastic and injection moulded, single dose or multidose. Finally, there are those used mainly in the pharmaceuticals sector, formed from a sheet of aluminium bonded to plastic, and it is to these that Andrea Branzi’s work is directed. Containers for other objects flowers, leaves, jewellery, light - and therefore not only small sizes, his blisters are made from satin finish metacrylate, with magnetic closures or metal with steel or marble bases. In Branzi’s opinion, they are not solely a form of packaging but, he insists, “they seem to be something more philosophical; a general protective shield, which defends us from the products, but also the products from us… Thus the blister is a type of reciprocal technology, an important environmental presence, a way of seeing the world through an ‘opacity’ which surrounds a delicate object and separates it from excessive
contact and wear”. At first sight, the blisters on display are rather enigmatic. Objects which are visible through other objects. Living things, pulsating (flowers, light, water) enclosed in a moulded shell. One soon gets used to these presences, the three-dimensional shapes become kind, actually displaying a spirit, soft and evanescent, which does not want to be touched, but only in defence, as Branzi explains: “We all produce blisters, to protect ourselves from external invasion from the market and from information; but the opposite is also true, that is, the protection of certain delicate materials form contact with us”. Andrea Branzi’s enthusiasm for packaging and for blisters is nothing new; in 1997 he took part in the ‘DeSìgn progetti & confetti’ (designs and sweets) project - an exhibition produced by Patrizia Ledda and Maria Gallo for the Acquachiara Group presenting a box of sweets in the form of a pharmaceutical blister, containing ‘good luck sugared almonds’ for use at weddings. “Sugared almonds are the prototype of all modern medicines; sweet on the outside and bitter inside,” explains Branzi, “those for weddings are the only ones used not by the sick but by the healthy. However, the packaging is the same”.
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Peccati Non Solo di Gola Anche l’occhio vuole la sua parte e il cibo diventa ancora più buono quando è ben confezionato. Sonia Pedrazzini
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I dolci di Elisa Strauss a New York sono un mito. Non solo perché pare siano molto buoni, ma anche per il loro straordinario aspetto, per le incredibili forme a cui si ispirano. Sono sculture di glassa e cioccolato fondente, di crema e marzapane, di burro e zucchero, che come un cartone animato tridimensionale, riempiono gli occhi prima ancora della gola. Straordinarie sono le torte a forma di shopping bag, di scatole, di bottiglie, di flaconi. Attenzione, però, non sono pack qualunque, quelli che si modellano sotto le sapienti mani di Elisa, ma un goloso omaggio alle grandi firme dell’alta moda e ai vini pregiati. Se è vero che un bel pacchetto si apre a malincuore, cosa bisognerebbe dire di questi che andrebbero persino mangiati? Consoliamoci allora con uno spuntino “sur l’herbe”, anzi un “dejéuner sur l’herbe”, il sofisticato kit da picnic urbano offerto da Coffee Design. Il tramezzino,
l’insalata di cereali, il tortino salato, un dolce e una bevanda a scelta, sono impacchettati in modo accurato e serviti in una graziosa scatola di cartone decorata a fiori ed erbe. Il cibo è quello tipico da passeggiata all’aperto, ma almeno questo non si chiamerà più con quell’orribile nome che era “colazione al sacco”. Che il cane e il gatto siano ormai diventati per molti “umani” i sostituti di altri umani è risaputo. Quindi non stupisce neppure che anche i prodotti specifici per animali si siano, come dire, antropomorfizzati. Ecco allora confezioni di dolcetti a forma di ossi, biscotti per stomaci felini, cakes e pasticcini per cani, posti su bianchi centrini traforati, bellamente impacchettati in vassoi da pasticceria. Chissà se anche i nostri amati cuccioli si faranno impressionare da un packaging così allettante e prezioso o se guarderanno solo all’osso (di
shopping bag La shopping bag preferita, ripiena di praline, confetti, crema al burro e cioccolato.
La scatola per scarpe e la borsa sono le torte preferite dalle shopaholic, con le scarpe fatte di zucchero!
Per il lancio della sua nuova linea cosmetica... display e flaconi, tutti da mangiare ripieni di deliziosa crema al limone.
A favorite goodie bag is filled with pralines, sugar confetti, buttercream and chocolate.
Shoe box and bag are made out of this shopaholic’s favorite cake with a shoe created from sugar!
To launch her new skincare line‌the display unit and each bottle was constructed out of delicious lemon cake and filling.
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zucchero). Per restare in tema di cibo e contenitori non possiamo non citare un progetto di “alta cucina” in cui anche il pack ha avuto il suo momento di gloria. Nella mostra Design d’Assiette: Inventaire des Pratiques alla galleria Haute-Définition di Parigi, alcuni grandi chef hanno interpretato la relazione tra il cibo e ciò che lo contiene, tra gastronomia e design. In particolare, lo chef Pierre Hermé,
star della nuova pasticceria a Tokyo e New York, ha letteralmente confezionato, in una sorta di blister trasparente, le sfere PH3 al gusto di frutta, pistacchio e nocciola, ponendole in un piatto disegnato da Jasper Morrison; non solo, ha avvolto in un cellophane trasparente, come una caramella, una squisita meringa al gusto di arancia, spezie e limone. Come dire, cibo confezionato anche per l’alta cucina.
shopping bag
Sins Not Just of Gluttony You should also please the eye and so food becomes even better when it's well packed. Sonia Pedrazzini
Elisa Strauss's confectionery in New York is legendary. Not just because it's apparently excellent, but also because it looks wonderful, thanks to the incredible shapes that inspire it. Sculptures of plain chocolate and glaze, cream and marzipan, butter and sugar, like a 3D cartoon, that fill the eyes even before satisfying one's greed. There are some fantastic cakes that look like shopping bags, boxes, bottles and flacons. But these aren't just any old packs: moulded under Elisa's clever hands, they're a mouth-watering homage to leading fashion designers and vintage wines. If it's true that at times one's reluctant to open a beautiful pack, Surely it's even more of a sin here where the packs are meant to be eaten? So, let's console ourselves with a snack “sur l’herbe”, instead of a “dejéuner sur l’herbe”, the sophisticated urban picnic kit offered by Coffee Design. A sandwich, cereal salad, savoury pie, a dessert and drink of one's choice are all packed carefully and served in an attractive cardboard box decorated with flowers and grasses. The food is
typical open-air food, but at least it can't be called by that name with its horrible connotations: "packed lunch". Everyone knows that for some people cats and dogs have become far more "human" than other humans. It comes as no surprise, therefore, that even pet food has become, as it were, anthropomorphic. Hence there are some boneshaped cakes, biscuits for cat tastes, cakes and confectionery for dogs, all served on white laceeffect paper plates and artfully packed in confectionery boxes. One can't help wondering whether our beloved puppies will be impressed by such attractive, costly packaging or whether they'll just see the bone (made from sugar). While on this theme of food and containers, a "haute cuisine" project must be mentioned, where the pack is allowed its moment of glory. The Design d’Assiette: Inventaire des Pratiques exhibition at the Haute-Définition art gallery in Paris was the opportunity for several major chefs to interpret the relationship between food and what contains it, between gastronomy and design. More specifically, the chef Pierre Hermé - the star of the new confectionery stores in Tokyo and New York literally packed scoops of PH3 fruit, pistachio and hazelnut in a sort of clear blister pack, placing them on a plate designed by Jasper Morrison. And that's not all: he also wrapped an exquisite orange, spice and lemon meringue in clear cellophane, just like a boiled sweet. In other words, food packed also for haute cuisine.
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La Cognizione del Gusto Luigi Veronelli: “il piacere della tavola è una realtà sempre diversa, sempre in divenire” Marco Senaldi Photo by Erica Ghisalberti
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Stare ad ascoltare Luigi Veronelli è già di per sé un’esperienza. Il suo tratto inconfondibile ha trasformato il semplice fatto gastronomico in narrazione; nel suo sapiente raccontare, un vino diventa poesia, un piatto letteratura. Enodissidente, gastroribelle, anarchico per vocazione lirica e politica, Veronelli resta tra i nostri esperti gastroenologici non solo il più noto a livello nazionale e internazionale, ma indubbiamente il più colto, il più impegnato e per fortuna il meno accademico. Con lui abbiamo chiacchierato degli argomenti che gli stanno più a cuore: dalla difesa della qualità dell’olio, alla proposta della Denominazione Comunale (De.Co.), all’importanza del packaging come veicolo di informazione.
Quest’anno Veronelli compie 78 anni: ma non ha certo rallentato la sua instancabile attività di agitatore di temi all’ordine del giorno, come la difesa della qualità, l’attenzione alla terra, il rifiuto dell’omologazione alimentare, beni di non minore importanza di quelli artistici e ambientali. Luigi, dove sei stato a febbraio? A Monopoli, in Puglia, abbiamo manifestato contro il commercio di oli di nocciola prodotti all’estero e smerciati in Italia, che poi le multinazionali trasformano in olio extravergine d’oliva. È stato bellissimo, c’erano centinaia di giovani e, devo dire, la cosa che più mi ha sorpreso è che le forze dell’ordine sopraggiunte erano solidali con noi. Bisogna dire che l’80
% del mercato dell’olio d’oliva è in mano alle multinazionali; le navi cisterna “trasformano” - con tranquilla truffa legalizzata - durante il percorso verso l’Italia, il loro carico di olio di semi in olio extravergine d’oliva. Non si tratta di un miracolo, basta falsificare le carte. Poi chi ci rimette sono i consumatori e gli olivicoltori. Il commercio di questi oli nuoce gravemente al patrimonio del nostro Paese; devi sapere che in Italia abbiamo qualcosa come 400500 cultivar (si dice cultivar la varietà dell’ulivo) contro la decina della Spagna e del Portogallo; è una grande ricchezza, che rischia riandare perduta se non viene tutelata adeguatamente. Perciò abbiamo creato il progetto “L’olio secondo Veronelli”; per fare come nel vino, individuando olio per olio le
caratteristiche, che devono essere legate al territorio d’origine degli ulivi.
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Avete anche creato una fascetta apposita da collocare sulle bottiglie… Certo, per una tracciabilità del prodotto. Sull’etichetta vanno riportate tutte le informazioni chiave per conoscerne la storia e la qualità, il lotto di produzione, il numero progressivo della bottiglia e il mese di imbottigliamento. È logico che oli così possono costare anche molto di più di un olio che trovi al supermercato, ma occorre pensare all’impegno, e anche alla fatica che gli olivicoltori che scelgono questa strada devono sobbarcarsi, alla ricerca di un alimento unico e ogni volta diverso per sapore e caratteristiche.
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Chi non conosce, il vino si limita a versarlo e a berlo. Invece bisogna guardarlo, ammirarlo, lasciarsi conquistare. Those that do not know wine limit themselves to pouring it out and drinking it; though first one should look at it, admire it, allow oneself to be conquered.
Molto spesso però le etichette degli alimenti possono risultare incomplete, o poco chiare… È per questo che noi invece le prendiamo tanto sul serio. Sai, un buon consumatore deve ormai essere critico, deve diventare un buon lettore. Cioè deve essere uno che abbia sviluppato, diciamolo pure, la famosa coscienza critica, deve essere attento lui per primo a quello che consuma, e bisogna che sappia leggere bene le informazioni riportate sulla confezione... ... quindi il packaging ha la sua importanza. Ne ha moltissima; ma non solo la confezione, anche le forme in cui un cibo o un vino vengono assaporati. Pensa all’importanza che possono avere i bicchieri nel gesto di degustare un vino! Questa è una cosa che mi è sempre stata molto a cuore, ho persino progettato bicchieri appositi, insieme a vari designer - Castiglioni, Silvio Coppola, Giacomo Bersanetti, altri ancora - per esaltare proprio l’assaggio. Un vino prodotto secondo certi canoni ha bisogno del bicchiere adeguato; se il bicchiere è concepito in maniera corretta, l’insieme delle sensazioni che un vino può dare si percepisce meglio. Chi non conosce il vino, si limita a versarlo e a berlo; io invece dico che prima bisogna guardarlo, ammirarlo, lasciarsi conquistare dal profumo, dall’aroma, e poi, come ultima cosa, assaporarlo. È un itinerario complesso, ma in questo consiste il piacere del bere, e della tavola.
Sarà per questo che oggi va tanto di moda “scaraffare” il vino nel cosiddetto decanter? Ma guarda, invece devo dirti che il decanter serve a poco, anche se fa molto “intenditore”… In realtà è un oggetto riservato a pochissimi vini particolari; ti posso dire che su cento vini della mia cantina [che comprende circa 70.000 bottiglie, Ndr!] ce ne sarà uno che è necessario versare nel decanter; anche perché è un’operazione delicata, si rischia di “rompere” il vino, di “casser” come dicono i francesi, di disarticolare il bouquet, il complesso insieme delle qualità organolettiche… Ma posso dirti che sto progettando un decanter che superi il problema…
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Insomma, anche i contenitori hanno la loro importanza, incidono sul contenuto. Sì, senz’altro; un bel bicchiere esalta la qualità del vino. O una bella etichetta… Non tutti sanno che ci sono etichette disegnate da grandi artisti come Echaurren o Salvo; Sandro Chia, un protagonista della Transavanguardia, si è addirittura dato alla produzione di un Brunello di Montalcino, di cui disegna anche le etichette… ... e si tratta anche di un buon Brunello. Ne ho parlato anche con lui; pensa che le annate migliori sono quelle in cui lui c’è, quando partecipa alla produzione. Questo ti fa capire la delicatezza di una produzione come questa. Anche fare il vino è un’esperienza d’arte.
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identi-kit Ma cosʼè il piacere secondo te? A tavola non esiste un piacere unico, il piacere è una realtà sempre diversa, sempre in divenire, è una sommatoria di piaceri, anche complessi. Il piacere, grazie al cielo, è una continua evoluzione. Se consideri il vino, cinquant’anni fa erano pochissimi i produttori che vinificavano bene; oggi siamo di fronte a una realtà complessissima, ci sono vinificatori eccezionali, aziende di alto livello, ricerche sui
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Luigi Veronelli
vitigni, sulle tecniche di imbottigliamento e conservazione... ci sono dei miei giovani allievi, ragazzi di sedici anni, che hanno una capacità di giudizio e di gusto eccellenti, che ormai mi superano! I soldi non significano di per sé qualità, non è il denaro la cosa che prevale nel fatto gastronomico, è la scelta; una patata scelta, coltivata nel suo territorio, anche se la assaggi non condita può essere eccezionale. L’importante è essere attenti, essere svegli, seguire le evoluzioni dei prodotti, saper scegliere in autonomia. Il progetto, che stiamo sostenendo, della Denominazione Comunale ha questo significato: è una pratica concreta per contrastare le truffe e valorizzare i prodotti del territorio. Con le De.Co. il sindaco di ogni comune ha il potere notarile di certificare l’origine e la tracciabilità del prodotto. Inoltre sull’etichetta dovrebbe essere indicato il prezzosorgente, per evitare speculazioni; un conto è che i vini, giustamente, abbiano prezzi diversi, un altro è che raggiungano prezzi spropositati o ingiustificati. Anche questo è uno strumento per tornare al riconoscimento della cosa comune, dall’aria, all’acqua, al cibo, fino alla produzione di beni immateriali e alle reti.
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The Cognition of Taste Luigi Veronelli: “The pleasure of the table is an ever different, ever changing reality”. Marco Senaldi
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Listening to Luigi Veronelli is already an experience in itself. His unmistakable style changes simple gastronomic fact into narration; with his skilful telling, wine becomes poetry, a dish literature. An enodissident, gastrorebel, an anarchist by lyrical and political vocation, Veronelli is not only the bestknown of our gastronomic experts internationally, he is undoubtedly the most cultured, the most committed and thankfully the least academic. We talked freely with him on the subjects he loves best: from defending the quality of oil to the proposal for the Communal Denomination (De,Co.), to the importance of packaging as a vehicle of information. This year Veronelli will turn 78: but he certainly hasn’t slowed down his tireless activity of agitator on the subjects of the day, like defending quality, care for the earth, his refusal of food homologation, assets that are no less important than our artistic and environmental ones. Luigi, where were you in February? At Monopoli in Puglia, we demonstrated against the trade of hazelnut oil produced abroad and sold off in Italy, that the multinationals then turn into extra virgin olive oil. It was really wonderful, there were hundreds of people there and, I have to say, the thing that most surprised me was that the police on duty were solidly behind us. It should be said that 80% of the olive oil market is in the hands of the multinationals; in what is a straight legalised fraud the tankers “convert” their load of seed oil into extra virgin olive oil on their way to Italy. No miracle there, all you have to do is forge the papers. The
consumers and the olive farmers are the ones to suffer the consequences. The trade of these oils seriously harms Italy’s heritage; you should know that in Italy we have something like 400-500 cultivar (the variety of olive is called cultivar) against the tens or so of varieties in Spain and Portugal; it is a great wealth that risks being lost if it is not adequately protected. Thus we have created the project Oil according to Veronelli; in order to do what was done with wine, that is identify the characteristics oil by oil, that should be tied to the areas from where the olives originate. You have also created a special strip for the bottles… Certainly, for product traceability. The label must bear all the important information to show history and quality, production lot, progressive bottle numbering and the month the bottling took place. Logically these oils may cost a lot more than the oils one finds in the supermarkets, but one has to think of the commitment and the toil that the olive farmers that choose this path have to face in their striving to create a unique food item each being different in terms of taste and characteristics. Very often though food labels may be incomplete or unclear… And it is for this reason that we though take them so seriously. You know a good consumer must by now be critical, they have to become good readers. They have to be people who have developed, let’s say it, that famous critical awareness, they have to first and foremost watch out for what they themselves consume, and they have to be able to read the information borne on the pack… …hence packaging has its importance. It is highly important; but not only the pack, also the forms in which the food and the wines are tasted. Think of the importance that glasses can have in
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the gesture of wine tasting! This is a thing that has always been close to my heart, I have even designed special wine glasses along with various designers - Castiglioni, Silvio Coppola, Giacomo Bersanetti, and yet others - to enhance the very tasting. A wine produced according to given criteria needs its right glass; if the glass has been conceived correctly, all the sensations that the wine can give can be better perceived. Those that do not know wine limit themselves to pouring it out and drinking it; I say though first one should look at it, admire it, allow oneself to be conquered by its perfume, its aroma, and then, as a last thing, taste it. It is a complex itinerary, but this is what the pleasures of the table and the pleasures of drinking consist of. This must be why today there exists the fashion of pourings wine into the socalled decanter? On this point I have to tell you that the decanter is not of much use, even if it is among the trappings of the connoisseur … in actual fact it is an object reserved for very few special wines; I can say that from among the hundred wines in my cellar [that includes around 70,000 bottles, E.n.!] only one needs to be poured into the decanter; also because it is a delicate operation, one risks “breaking” the wine, “casser” as the French say, to disarticulate the bouquet, the complex whole of the organoleptic qualities…But I can say that I am designing a decanter that overcomes the problem…
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Or a fine label… not everyone knows that there are labels that have been designed by great artists such as Echaurren or Salvo; Sandro Chia, a
But what is pleasure according to you? There is not one sole pleasure at the dining table, pleasure is an ever different, ever changing reality, it is the summing up of pleasures, even complex ones. Pleasure, thank heavens, is in continuous evolution. If you consider wine, fifty years ago very few producers were able to make good wine; today we are facing a highly complex reality, there are excellent winemakers, high ranking wine concerns, studies on the vine, on bottling and conservation techniques… there are my young pupils, sixteen year old kids, that have an excellent capacity of judgement and taste, that have now surpassed me! Money does not in itself mean quality, money is not the thing that prevails in gastronomy, what prevails is choice; a potato chosen, cultivated in its area, even if you taste it without any dressing can be something exceptional. The important thing is to watch out, be bright, follow the evolutions of the products, be able to choose independently. The project we are supporting for the Communal Denomination has this meaning: it is a concrete way of fighting fraud and protecting and promoting local produce. As well as that the label should also bear the price at source to avoid speculation; it is one thing that wines rightly have different prices, another that exorbitant of unjustified prices are charged. This too is a tool for going back to the recognition of the common thing, from the air, to water, to food, up to the production of material goods and the resulting networks.
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So one can say that the containers also have their importance, they affect the content. Yes without a doubt; a nice glass brings out the quality of the wine.
protagonist of the Transavantegarde, has even gone over to producing Brunello di Montalcino, for which he also designs the labels… … and it is also a good Brunello. I have also spoken to him of it; and to think that the best vintages are in the years when he is there, when he takes part in the production. This allows you to understand the delicacy of a production like this. Also turning wine into an art experience.
Edizioni Dativo Srl, via Benigno Crespi 30/2, 20159 Milano tel.+39 0269007733, fax +39 0269007664, www.dativo.it
Che cos’è il Packaging Design? 85
Sonia Pedrazzini
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Un libro appena pubblicato e una rinomata casa editrice raccontano il mondo dell’imballaggio.
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RotoVision è una casa editrice di origine svizzera, con sede nel Regno Unito, che da sempre produce i più prestigiosi libri nel settore della grafica, del design, dell’architettura, dell’illustrazione e delle arti applicate. Dal luglio 2000 si è unita all’americana Rockport, specializzata in libri per professionisti che presentano il meglio della produzione creativa mondiale, i migliori lavori e i più grandi talenti del design. Pur mantenendo distinti i propri stili editoriali, RotoVision e
Rockport sono riuscite a coprire tutti gli argomenti di questi settori e a creare libri che non sono solo oggetti di grande raffinatezza ed impatto visivo, ma anche strumenti di lavoro indispensabili per designer e creativi in genere. Tra tanti testi vorremmo menzionarne alcuni come: Conscentious Objectives: Designing for an Ethical Message di John Cranmer e Yolanda Zappaterra (RotoVision), che informa i designer su come lavorare e sviluppare progetti che siano al contempo commerciali e
socialmente responsabili; oppure Size Matters di Lakshmi Bhaskaran (RotoVision) che intende ispirare e aiutare i progettisti a risolvere i problemi relativi alla gestione di grandi quantitativi di informazioni in ambiti particolari, come riviste, libri aziendali, mostre, siti web. Per quanto riguarda il packaging, uno degli ultimi nati della Rockport è Design Secrets: Packaging di Catharine Fishel. Una raccolta tra i più interessanti progetti di imballaggi, da Pepsi Blue a Floris, da Perrier a Tea Lipton , visti nel loro integrale processo
What is Packaging Design?
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A book which is just out and a celebrated publishing firm reveal the world of packaging. Sonia Pedrazzini RotoVision, a publishing firm founded in Switzerland, with headquarters in the United Kingdom, has always produced the most prestigious books in the graphics, design, architecture, illustration and applied arts. Since July 2000 it has joined the American Rockport, specialised in books for professionals which present the best of creative production from around the world, the most elite works and the cream of design talents. Though keeping their own publishing styles distinct, RotoVision and
Rockport have succeeded in covering the whole range of this sector’s subjects and in creating books which are not only objects of extreme sophistication and huge visual impact, but also indispensable tools for designers and creative people in general. Of their many publications we would like to mention a few such as: Conscientious Objectives: Designing for an Ethical Message by John Cranmer and Yolanda Zappaterra (RotoVision), which informs designers on how to work on and develop projects which are at once commercial and socially responsible: or Size Matters by Lakshmi Bhaskaran (RotoVision) whose aim is to inspire and help designers to solve problems relative to
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creativo: schizzi, proposte, idee, fino al progetto finale e alla sua realizzazione. Di RotoVision sono invece altri titoli come: CD-Art Innovation in CD Packaging Design di Charlotte Rivers, un’indispensabile rassegna, sia per designer che per amanti della musica, dei più interessanti e particolari contenitori per cd, alcuni più sperimentali ed artistici, altri commerciali, ma tutti estremamente creativi ed innovativi. Ed infine What is Packaging Design? di Giles Calver,
strumento base per capire i fondamenti e le linee guida del packaging design contemporaneo. Il libro è ricco di esempi in cui si analizzano gli imballaggi dal punto di vista strutturale (tubi, scatole, blister, bottiglie, etc.) e da quello comunicativo e della grafica. Alcuni brevi saggi definiscono i principi della progettazione, danno specifiche informazioni su temi quali il branding, il marketing, la legislazione e le problematiche ambientali, ed infine vari case history arricchiscono la teoria con l’esperienza sul campo.
Chi è Giles Calver? Nel 1990 ho fondato con Harry Pearce e Domenic Lippa l’agenzia di design Lippa Pearce. Prima avevo lavorato nella pubblicità come account director. Attualmente il mio ruolo in Lippa Pearce è la gestione delle consulenze e i piani di sviluppo. Lavoro anche a fianco del cliente come designer strategico oppure come
And finally, What is Packaging Design? By Giles Calver, a basic instrument for understanding the foundations and guidelines of contemporary packaging design. The book is rich in examples in which packaging is analysed from a structural (tubes, packets, blisters, bottles etc.) and communicative and graphic point of view. Some brief essays define the principles of design, give specific information on themes such as branding, marketing, legislation and environmental concerns, and, finally, various case histories enrich the theory with practical experience.
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We interview the author Giles Calver to understand how and why a book on packaging is hatched.
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the handling of large quantities of information in special fields, such as company magazines and books, exhibitions, web-sites. As far as packaging is concerned, one of the latest volumes to be published by Rockport is Design Secrets: Packaging by Catherine Fishel. A collection of the most interesting packaging projects, from Pepsi Blue to Floris, from Perrier to Tea Lipton, and the A to Z of their creative process: sketches, proposals, ideas, right up to the final project and its realisation. RotoVision also has other titles such as: CD-Art Innovation in CD Packaging Design by Charlotte Rivers, an essential collection, both for designers and music lovers, of the most interesting and unusual CD cases, some more experimental and artistic, others commercial, but each one extremely creative and innovative.
Intervistiamo l’autore Giles Calver per capire come e perché nasce un libro sul packaging.
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creativo per sviluppare brochure, siti web, etc. Perchè hai scritto What Is Packaging Design? Nel 2001 avevo realizzato, sempre per RotoVision, il libro Retail Graphic che era stato un successo, per cui, quando la casa editrice ha cominciato a cercare qualcuno che scrivesse il terzo manuale della serie essential design (i primi due erano stati What Is Graphic Design? e What Is Web Design?) si è rivolta a me. Questo è successo anche
perché Zara Emerson, co-editor alla RotoVision, già conosceva l’approccio multi disciplinare e la grande esperienza nel settore del packaging di Lippa Pearce. Come si è sviluppata la vostra collaborazione? All’inizio ho lavorato con Leonie Taylor, che è diventata il mio editor di riferimento, e ho ideato le due sezioni del libro, Issues e Anatomy, ho fatto una lista di cose da includere in ogni sezione e Leonie ha aggiunto le sue idee. Poi abbiamo lavorato insieme e abbiamo stilato un
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Who is Giles Calver? I co-founded in 1990 Lippa Pearce with my two partners Harry Pearce and Domenic Lippa. Prior I worked in advertising as Account Director. My role at Lippa Pearce is to manage the consultancy's day to day running and future development. I also work with clients as a design strategist and head up the consultancy's new business team. For some clients I work as a copy consultant and write copy for brochures, web sites, etc. Why did you write What Is Packaging Design? In 2001 I wrote a book for RotoVision entitled “Retail Graphics”. The book was successful so when RotoVision was looking for someone to write the third in their essential design handbook series (the first two were and) it approached me to write the book. In part this was because Zara
elenco di agenzie di design, provenienti da tutte le parti del mondo, a cui chiedere campioni dei più interessanti lavori svolti. Eravamo molto entusiasti che il libro portasse esempi di packaging provenienti da ovunque: Regno Unito, America, Francia, Germania, Italia, Spagna, Brasile, Giappone, Singapore, Olanda. Man mano che le agenzie inviavano i loro lavori li selezionavo e identificavo altri possibili partecipanti. Durante la fase di scrittura Leonie è stata molto paziente; scrivevo i testi e le
Emerson, the co-editor at RotoVision, also knew that Lippa Pearce is a multi-disciplinary design consultancy with a lot of experience in packaging design. What about the collaborative process? In the early stages of the book I worked with Leonie Taylor, who became my main editor, to plan two sections of the book - Issues and Anatomy. I put together a list of items for inclusion in each section and Leonie added her own items and ideas. We then worked together to draw up a list of design consultancies from around the world to approach to send samples of their work. In the initial stages we were very keen that the book featured work from around the world and by the end we have featured work from the UK, America, France, Germany, Italy, Spain, Brazil, Japan, Singapore and the
design box migliori designer sono come spugne che assorbono informazioni, notizie, conoscenza e che sanno trasformare tutto ciò in ispirazione e concetti.
inviavo i layout di come dovevano apparire le pagine, le parti scritte e quelle illustrate, lei le controllava e mi diceva le sue opinioni, mi dava i suoi consigli, se cambiare qualcosa o fare delle precisazioni, se dovevo menzionare qualcuno o inserire delle note. Alla fine Leonie ha anche dato un titolo a tutte le didascalie che avevo scritto per accompagnare le immagini. Ci sono altri libri che consiglieresti a un packaging designer? Alla fine del mio libro c’è una
bibliografia, libri che ho letto personalmente e che meritano di essere letti. Tuttavia credo che ogni designer (sia di packaging che di altro) dovrebbe leggere di tutto e nel modo più ampio possibile; leggere libri di arte, di architettura, libri sui poster e i manifesti (per capire come si comunica in modo semplice ed istantaneo) libri sulla tipografia (per sapere come può essere utilizzata in modo creativo ed efficace), libri sulla natura, sulla cultura, sui media. Ho sempre pensato che i
What should a packaging designer keep in mind
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Are there any other important books you would advise to a packaging designer? In the back of What Is Packaging Design? I have listed a lot of the books I have read and
any one of these would be good to read. However, I do believe that any designer (specialist packaging designer or multidisciplinary designer) should read as widely as possible. They should be looking at art books, poster design books (for clues on how to communicate instantaneously and simply), architecture books, typography books (to understand how to use typography effectively and creatively), books on the natural world (as designers like curiosity featured in my book use nature as an inspiration), books on culture and the media. It has always seemed to me that the best designers are like sponges sucking up references, information, influences and knowledge and turning all of these into insights and inspiration.
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Netherlands. As the different consultancies sent in their work I selected the ones I wanted to feature and identified new people to ask to send work. During the writing process Leonie was very patient with me while I wrote all the text and we then sent Leonie design layouts for each page showing the text and images in position. Leonie then went through the design layouts and made her recommendations for changes and asked me to clarify things or who people were I mentioned or quoted from. At the final stage Leonie drafted all of the titles for the captions that I had written to accompany each picture.
Cosa dovrebbe sempre considerare un designer quando progetta un nuovo packaging? Primo, i parametri fisici dell’imballaggio e cosa si può ottenere con un particolare tipo di packaging. Secondo, il target a cui è riferito. Chi comprerà quel prodotto e perché? Terzo, cosa vuole esprimere la marca. Cosa deve capire e percepire il consumatore di quella particolare marca o di quel prodotto quando ne guarda il packaging? Quarto, qual’è il messaggio principale e quello secondario, cioè cosa andrà sul fronte del pack e cosa sarà posto invece dietro o di lato. Quinto, come sono gli imballaggi dei concorrenti. Sesto, se sto disegnando un prodotto singolo
design box oppure una linea di prodotti, e in quest’ultimo caso, come faccio a differenziarli tra loro. Settimo, come si deve posizionare il prodotto sul mercato, ad esempio se sarà una cosa molto costosa oppure no. Quali sono le tendenze emergenti nel packaging design? Una delle principali di cui parlo
nel mio libro è la possibilità di scelta da parte del consumatore. Dato che si può scegliere sempre di più, specialmente in settori veloci come quello del food e delle bevande, il packaging deve lavorare molto più di prima, perché la differenziazione è tutto. Un’altra grande tendenza è che l’innovazione del prodotto
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when designing new packaging? First, the physical parameters of the packaging and what one can achieve with a particular type of packaging. Second, the target market. Who is buying this product and why? Third, what is the brand proposition. What do you want consumers to understand about the brand/product when they look at the packaging? Fourth, what are the main messages (the things that should go on the front of the pack) and what are the secondary messages (what are the things that should go on the back or sides). Fifth, what does your client's competitors packaging look like. Sixth, am I designing a single product or a range of products and if it is a range what things do I need to differentiate. Seventh, how should the product be positioned in the market - for example: Premium/very expensive or Basic/value item.
conduce all’innovazione del suo contenitore e i designer devono essere in grado di reagire velocemente per dimostrare il valore del loro progetto nell’intero processo di sviluppo di un prodotto fino al suo lancio sul mercato.
Per informazioni www.rotovision.com
What are the emergent tendencies in packaging design? One of the single biggest factors I mention in my book is consumer choice. Because consumers have so much choice packaging design, especially fast moving consumer goods like food and drink, has to work harder than it has ever worked before. Differentiation is key. One of the other biggest factors is that product innovations are driving packaging innovations and packaging designers need to be able to react fast and demonstrate the value of design in the whole process of developing a product and launching it on the market.
For information www.rotovision.com
LA CLASSICA NURSE DEL BOROTALCO ROBERT’S DIVENTA UNA MADONNA CON BAMBINO, NELL’INTERPRETAZIONE DELL’ARTISTA ANTONIO DE PASCALE
Antonio De Pascale, Nonèborotoalco (dettaglio), 2003, olio su tela. Courtesy l’artista
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THE CLASSIC ROBERT’S TALCUM POWDER NURSE BECOMES A MADONNA WITH THE CHILD, INTERPRETED
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BY THE ARTIST ANTONIO DE PASCALE
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Patatine e Champagne
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Il galateo raccomanda di non mangiare le patatine fritte con le mani, ma se queste sono “manine di design” tutto è concesso. Le patatine con la fame non c'entrano nulla. O quasi... Olav Jünke, Francalma Nieddu
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Photo 1, 3, 4, 5 Archivio 3Frits
Photo 2, 6, 7 by Francalma Nieddu
eventualmente con un bicchiere di champagne, il concetto attorno a cui si è sviluppato il progetto 3Frits ha permesso di trasformare la consumazione di cibo popolare in un piacere ricercato ma a un prezzo contenuto. Si deve all’architetto Dorothee Spitz, proprietaria dei due locali 3Frits (uno a Colonia e l’altro a Bonn), oltre all’arredo anche l’ideazione del concept che applica la filosofia propria dello slow food allo stile veloce della cucina teutonica con pochi piatti tradizionali rivisitati. L’architettura esterna dei locali è in acciao, vetro e cemento a integrazione e completamento dell’innovativo concetto gastronomico e dell’immagine globale, raffinata e semplice, come la forchettina speciale status simbol del nuovo fastslow-food ecologista. Olav Jünke, designer grafico esperto di comunicazione, è titolare dello studio ondesign di Amburgo che si occupa di immagine coordinata e packaging. Francalma Nieddu, designer ed esperta di design strategico collabora con ondesign nello sviluppo di nuovi sistemi prodotto.
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fuoriuscire da una trousse di Luis Vuitton? Ulteriore fattore di piacere e ricercatezza è il sacchetto (pardòn, il packaging) per la sua capacità di attrazione e immediata riconoscibilità. Formalmente riprende il tradizionale cartoccio di carta e, graficamente, è ripulito da ogni eccesso segnico. Solamente un grande “3” stampato ricorda il nome del locale e fa intuire che le patatine contenute sono fritte più volte, con un processo simile ad un tempura che le rende croccanti e pregiate. Il sacchetto è adagiato in un bicchiere di metallo accompagnato dalla salsina preferita, il tutto completato con una particolarissima forchettina di acciaio, disegnata da Konstantin Grcic, a forma di manina e decorata al laser con un processo che la rende preziosa e unica. Con l’idea di nobilitare l’atto del mangiare con le mani, di rendere speciale l’acquisto e il consumo di pommes frites o di bratwurst (la tipica salsiccia arrostita tedesca), accompagnandoli
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Messe al bando negli Stati Uniti - in seguito alle polemiche con la Francia durante la guerra in Iraq - le French Fries hanno dovuto cambiare nome in Freedom Fries, mentre in Germania sono diventate un piacere ricercato e si chiamano 3Frits. Premessa: questa non è un istigazione al “junk-food”, ma se mangiare patatine fritte appaga lo spirito, mangiare 3Frits soddisfa anche “in maniera salutare, la necessità di assumere i grassi polinsaturi necessari al corretto funzionamento delle cellule nervose”... almeno così viene descritto il prodotto, realizzato con patate belghe selezionate, tagliate a mano e fritte senza essere mai surgelate. E se benessere significa avere a disposizione più tempo e miglior qualità di vita, quale maggiore piacere può esservi del gustare rilassati, in una friggitoria a “5 stelle” minimalchic, uno dei più popolari junkfood trasformato in spuntino eco-salutista? Quale maggior godimento di veder le 3Frits pubblicizzate con un'immagine che le mostra
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Photo 8, 9, 10 by Uli Matter
Il junkfood si trasforma in spuntino minimal-chic a 5 stelle Junkfood tranforms into a minimal-chic 5 star snack
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Fries and Champagne The book of etiquette advises against eating fries with your fingers, but if these are “design fingers” then anything goes. Fries have very little to do with being hungry… Olav Jünke, Francalma Nieddu
Banned in the United States - in the wake of squabbles with France over the war in Iraq French Fries had to change their name to Freedom Fries, while in Germany they have become a rare delicacy which go by the name 3Frits.
Olav Jünke, graphic designer expert in advertising, is head of the Hamburg ondesign studio which specialises in co-ordinated images and packaging. Francalma Nieddu, designer and expert in strategic design works closely with ondesign in developing new product systems.
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Premise: this is not an incitement to eat “junk-food” but if eating fries gratifies the spirit, then eating 3Frits also satisfies “in a healthy way, the necessity to ingest polyunsaturated fats required for the correct functioning of the nerve cells”… or at least that is a description of the product, made with selected Belgian potatoes, cut by hand and fried without being frozen. And if well-being means having more time at your disposal and a better quality of life, what greater pleasure can there be than relaxing in a “5 star” fried food joint and relishing one of the most popular junk-foods there is transformed into an eco-healthy snack.? And what greater rapture can there be than seeing 3Frits advertised with a picture that shows them spilling out of a Luis Vuitton clutch bag? A further delightful and elegant feature is the bag (pardon, the packaging) which is both alluring and immediately identifiable. Formally it resembles the traditional paper twist and graphically, it is wiped of
any surplus of signs. Only a large printed “3” recalls the name of the café and suggests that the fries contained in it are fried several times, using a process similar to tempura which makes them crunchy and delicious. The bag is laid in a metal goblet accompanied by your favourite sauce, finished off with a very unusual little steel fork, designed by Kostantin Grcic, in the shape of a tiny hand decorated with lasers using a method which makes them precious and unique. With the idea of ennobling the act of eating with your fingers, of making the purchase and consumption of pommes frites or bratwurst (typical German roast sausage) special, perhaps accompanying it with a glass of champagne, the concept around which the 3Frits project developed has led to the transformation of the consumption of popular food into a sophisticated but affordable treat. The architect Dorothee Spitz, owner of two 3Frits cafes (one in Cologne and one in Bonn), is to thank for the interior design and formulation of the concept which applies the slow food philosophy to the fast style of German cuisine with a handful of traditional dishes revisited. The external architecture of the cafés in steel, glass and cement integrates and adds the finishing touch to the innovative gastronomic concept and the elegant and simple global image, like the special little fork, status symbol of the eco-friendly new fast-slow food.
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A Scuola di Packaging
Muthesius-Hochschule Academy for Art and Design Olav Jünke, Francalma Nieddu
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In Germania non esistono vere e proprie scuole di specializzazione in Packaging Design, ma a Kiel, città del nord affacciata sul mar Baltico a 70 km da Amburgo, ha sede la Muthesius Hochschule in grado di formare packaging designer capaci di gestire l'imballaggio in tutte le sue forme e in maniera adeguata. La scuola, che di recente è diventata università, è stata fondata nel 1907 in onore dell'architetto H. Muthesius, fondatore del “Deutscher Werkbund”, la confederazione
Susanne Sclöter, Simone Bräutigam, Nocalo Ciccolato senza calorie Calorie-free chocolate
tedesca di arti e mestieri creata con lo scopo di conciliare lavoro industriale e metodo artigianale. L’Istituto ha una lunga e consolidata tradizione in discipline come Architettura, Arte, Disegno Industriale e Comunicazione, materie che si contaminano e che si integrano con la realtà produttiva in un continuo rapporto costruttivo con l'esterno. Arte, design e spazio sono i concetti principali sui quali si fonda il metodo di studio della Muthesius. Il dipartimento di Design è
suddiviso in Disegno Industriale e Comunicazione ed è in quest’ultimo ambito che vengono sviluppati progetti di packaging, in collaborazione con aziende o con studi professionali di progettazione. Attualmente gli studenti di Comunicazione sono circa 200; il corso ha durata quadriennale ed è a tempo pieno. Tra le materie di studio ci sono la grafica 3D, il lettering, la concezione e sviluppo di prodotti, la fotografia e i nuovi media. Tra i progetti di packaging più
school box Rabea Düing, Lone Thomasky, Fellos “Carne non carne”, di origine vegetale per salutisti e vegetariani. “Meatless meat” for vegetarians and health fanatics.
Per informazioni/For Information: Muthesius-Hochschule Lorentzendamm 6 - 8, 24103 Kiel Tel. 0049 / 04 31 / 51 98 - 4 00 Fax 0049 / 04 31 / 51 98 - 4 08 www.muthesius.de dembski@muthesius.de
interessanti si possono citare quelli sviluppati sotto la direzione di Silke Juchter (docente di “concezione e sviluppo prodotti” ed esperta di packaging) in collaborazione con l’agenzia di comunicazione Enterprise IG di Amburgo. Gli studenti hanno sviluppato progetti sul tema "Vision Deutschland 2020". Una ricerca basata sulla previsione di sviluppo futuro del paese e sulla necessità di rispondere conseguentemente ai nuovi bisogni con prodotti e sistemi comunicativi adeguati, incluso il
packaging. Tale ricerca ha portato a definire varie soluzioni progettuali, tutte interessanti. Il processo metodologico creativo si snoda a partire dall'idea, attraverso la definizione del target di riferimento e dell’immagine coordinata del prodotto e dell'azienda, per sviluppare un packaging che abbia tutti i requisiti per essere producibile. Ne mostriamo due in particolare: Fellos, “carne non carne” per vegetariani e salutisti, e Nocalo, un cioccolato senza calorie.
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At the Packaging School
Muthesius-Hochschule Academy for Art and Design Olav JĂźnke, Francalma Nieddu
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In Germany, there are no schools specialising in Packaging Design, but in Kiel, a city in the north of the country on the Baltic Sea 70 km from Hamburg, is the Muthesius Hochschule, which can train packaging designers to deal adequately with packaging in all its forms. The school, which was recently raised to university status, was founded in 1907 in honour of the architect H. Muthesius, the founder of the Deutscher Werkbund, the German confederation of arts and crafts created with the aim of reconciling industrial work with craft techniques. The Institute has a long and well-established tradition in disciplines such as Architecture, Art, Industrial Design and Communications, subjects which overlap and are integral to the realities of production in a continuous constructive relationship with the outside world. Arts, design and space are the main concepts on which the Muthesius study method is based. The Design department is subdivided into
Industrial Design and Communications, and it is in this latter area that packaging projects are developed, in association with companies or professional design studios. At present there are about 200 students of Communications; the course lasts four years and is full time. Among the areas studied are 3D graphics, lettering, product design and development, photography and new media. Among the most interesting packaging projects are those developed under the direction of Silke Juchter (lecturer in ‘product design and development’ and a packaging expert) in association with the Hamburg communications agency Enterprise IG. The students have developed projects on the them of "Vision Deutschland 2020". This is research based on the forecast of the future development of the country and the need to respond to new requirements with suitable products and communication systems, including packaging. This research has led to the development of several projected solutions, all of which are interesting. The creative methodology begins with an idea, through the identification of the referent target and the coordinated image of the product and the company, in order to develop a type of packaging which has all the requirements to go into production. To mention just two: Fellos, "meatless meat" for vegetarians and health fanatics, and Nocalo, a calorie-free chocolate.
Ghada Amer Index of Pleasure Un’artista di origini egiziane propone la sua personale “scatola dei piaceri” Marco Senaldi
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In apertura/In the opening White degrade (detail), 2003 Embroidery, acrylic and gel medium on canvas, Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia
Ghada Amer è nata al Cairo nel 1963, si è trasferita giovanissima in Francia e da qualche anno risiede a New York. Dopo aver approfondito lo studio dell’arte contemporanea alla Ecole des Beaux-Arts di Nizza, ha trovato il suo indirizzo artistico in seguito a una visita al Cairo nel 1988. Lì ha avuto modo di constatare l’impiego massiccio del velo per le donne, ed è rimasta particolarmente colpita da una rivista di moda egiziana che proponeva abiti occidentali ai quali veniva sovrapposto il velo islamico. “Quella rivista ha cambiato la mia vita - mi ha convinto a fare arte”. Infatti, Ghada Amer ha dato vita a un’arte fortemente originale combinando inedite relazioni tra femminismo, cultura islamica e ideologie postcoloniali. Il suo lavoro si è imposto all’attenzione del mondo artistico con la partecipazione alla Biennale di Venezia del 1999. In quell’occasione l’artista aveva presentato una serie di tele, ricamate, in moda da lasciare che i fili adombrassero in maniera quasi subliminale, immagini di nudi femminili, ripetuti in serie come motivi ornamentali. L’originalità del mezzo impiegato, il ricamo, l’impiego di fonti culturali disparate, come riviste pornografiche o antichi testi islamici, la capacità di lasciar trasparire l’elemento figurativo offrendolo in modo incompleto, in
modo dal coinvolgere lo spettatore, sono gli elementi che ne caratterizzano il lavoro e lo rendono inconfondibile. In che cosa consiste esattamente tuo lavoro intitolato Index of Pleasure? Si tratta di un un pezzo che ho realizzato a seguito dell’Encyclopedia of pleasure, che è il lavoro principale: 54 scatole, sulle quali avevo ricamato un testo che è attualmente dimenticato. Nel contesto dell’attuale “terrorismo” e del ritorno all’“ortodossia islamica” pensavo fosse importante non dimenticare alcuni di questi testi islamici che invitavano al piacere e all’amore. L’Enciclopedia del piacere è infatti un libro che fu composto in epoca medioevale da un certo Al Katib, nel nome di Dio, e che avrebbe dovuto insegnare alla gente come divenire dei musulmani migliori. E dato che per divenire dei musulmani migliori si dovrebbe diventare degli esseri umani migliori, per fare ciò è assai importante soddisfare l’oggetto dei nostri desideri e cercare di comprenderlo. Sono stata attratta da questo testo dato che riesce a mettere insieme spiritualità e sessualità; cioè qualcosa che tutte le religioni tendono invece a separare. L’Index of Pleasure è il ricamo dell’indice dei contenuti dell’Enciclopedia dei piaceri.
Index of pleasure, 2002 Embroidery on canvas Courtesy Galleria Massimo Minini Brescia
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White drips on white, (detail) 2003 Embroidery, acrylic and gel medium on canvas, Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia
Come mai per Index of Pleasure hai impiegato la struttura di una scatola? Ho usato la forma della scatola per dare l’impressione di potersi muovere dentro e fuori... Proprio come la cultura, che non è mai un dato di fatto che si stabilizza qui o là; e infatti viaggia senza barriere, anche se talvolta finisce col perdere alcune sue parti… …a proposito di pezzi andati smarriti: spesso si tende a credere che la cultura islamica neghi il piacere, ma se si pensa anche solo per un attimo alla poesia, allʼornamento, allʼarchitettura islamica - specialmente in epoca medievale - questʼimpressione è profondamente errata. Qual è la tua opinione? Già, questa idea è del tutto sbagliata, e si è perso - o si è
dimenticato - un gran numero di testi che al contrario provano quanto il piacere sia invece parte della tradizione islamica. Io per prima sono rimasta sorpresa quando ho scoperto questo testo. Lo debbo a mia sorella, Sahar Amer, docente di letteratura francese medievale, che sta compiendo delle ricerche sulla sessualità in quel periodo storico ed è particolarmente interessata alla letteratura islamica, che aveva raggiunto l’Occidente e vi aveva esercitato una certa influenza, laddove la cristianità era nel suo periodo più oscuro. Qual è la tua idea di piacere, e in particolare di piacere estetico o artistico, considerando che gran parte dellʼarte contemporanea è di fatto “spiacevole”, o decisamente sgradevole? Ho sempre amato l’idea della
bellezza, del piacere attraverso la bellezza. Questa concezione è sempre svilita dall’arte contemporanea, come se nell’offrire bellezza ci fosse uno sminuire invece di un accrescere. Per me è esattamente il contrario. A volte, in alcune tue opere, hai usato immagini pornografiche, trattandole però in modo assai sottile; ma pensi che esista una vera differenza tra pornografia e erotismo? No, in effetti non lo penso. o almeno non mi sento di avere una mente filosofica per percepire la differenza. Penso comunque che l’erotismo sia un modo più gradevole per continuare a fare pornografia, ma in tutta franchezza non so che cosa voglia dire “pornografia”. Ognuno ha un modo diverso di
giudicarla a seconda dei propri parametri morali.
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Qual il tuo rapporto con la superficie degli oggetti - e, in particolare, dato che il packaging è nelle nostre società il “rivestimento” delle cose, che rapporto hai col packaging? Non avevo mai pensato al mio lavoro in relazione al packaging! Per me il packaging è un modo attraente per avvolgere qualcosa, anche se quell’oggetto non è bello; ma se consideri la cosa diversamente, e cioè il modo con cui le idee vengono presentate, questo significherebbe che il packaging è la forma e le idee sono i contenuti. Perciò è VERAMENTE CRUCIALE che il contenuto trovi la sua forma perfetta. E questo è lo scopo fondamentale di ogni arte.
Private Room, 1999
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Ghada Amer Index of Pleasure Marco Senaldi
images of female nudes, repeated serially like ornamental motifs. The originality of the medium, embroidery, the use of disparate cultural sources, such as pornographic magazines or ancient Islamic texts, the ability to let the figurative element filter through, offering it in an incomplete way, so as to involve the spectator, are elements which characterise her work and make it unique.
Ghada Amer was born in Cairo in 1963 and moved to France when she was very young. She has lived in New York for some years. After studying contemporary art in greater depth at the Ecole des Beaux-Arts in Nice she found her artistic direction following a visit to Cairo in 1988. There she had the chance to observe the massive use of the veil for women and was particularly struck by an Egyptian fashion magazine which proposed Western style clothes topped with the Islamic veil. “That magazine changed my life - it persuaded me to do art”. Indeed, Ghada Amer invented a highly original art form combining previously unseen relations between feminism, Islamic culture and postcolonial ideologies. Her work was brought to the attention of the art world when she took part in the Venice Biennale in 1999. On that occasion the artist presented a series of embroidered canvases leaving the threads to veil in an almost subliminal way
May you tell us in what consists exactly your work Index of Pleasure? It is a piece I did after Encyclopedia of Pleasure, which is the main piece, consisting of 54 boxes, on which I embroidered a text that is now forbidden. In the context of "terrorism" and "Islamic orthodoxy" I thought it was important not to forget some of this same Islamic text that would prone pleasure and love. This Encyclopedia is a book that was written in the middle ages by "Al Katib" in the name of God and that would teach people to be better Muslims. And in order to be a better Muslim you ought to be a better human being and in order to be a better human being it is very important to satisfy the matter of our desires and to understand it. I really was drawn to this text because it put together spirituality and sexuality. Something that all religion tends to separate. Index of pleasure is the embroidery of the index of contents of Encyclopedia of Pleasure.
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An international artist, born aegyptian, realized her personal “pleasure box”
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Why for Index of Pleasure you employed the structure of an (empty?) box? I used the form of boxes to give the impression that you move out or you move in. Exactly like how culture is never stable anywhere. That it travels without frontier even if it looses some parts‌ People mostly thinks that Islamic culture hates pleasure, but, if one just thinks to poetry, ornament. Especially in the Middle-Age Islamic countries, that's in fact wrong; what's your idea? Yes this fact is very wrong and we lost (or it is forbidden) a lot of the texts that proved that pleasure is indeed part of the Islamic tradition. I was myself very surprised when I discovered this text. It owe it to my sister Sahar Amer, professor of Medieval French literature who is researching about sexuality in this period of time and is specially interested in the Islamic literature since it influenced by travelling to the west where Christianity was in the middle of its darkness. What's your idea of "pleasure" and in particular "aesthetically" or "artistic pleasure", since a lot of contemporary art is in fact "unpleasant"? I always liked the idea of beauty. of pleasure through beauty. This notion is always demeaned by contemporary art, as if giving beauty is a
minus rather than a plus. for me it is quite the contrary. For instance, you used pornographic images but you treated them in a very "delicate" way; do you think that still exists the difference between pornographic and eroticism? No I do not think so.at least I do not have the philosophical mind to differentiate it. I always think that eroticism is a nicer way to mean pornography and frankly I do not know what pornography means. each persons has a different understanding depending on his moral upbringing. How much important for you is the surface of things (I think to your work at PS 1, Private Rooms, with embroidered bags for clothes)...? Since packaging ("emballage") is, in a way, in our society, the surface of things, which is your personal relationship with packaging? I have never thought my work in relationship with packaging! Packaging to me is a nice way to wrap anything even if this object is no good but . if you look at it in another way i.e. the way of presenting ideas this would mean that packaging is the form and the ideas are contents. So it is VERY CRUCIAL that the content finds its perfect form. And this is the main issue of all art.
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E il Verbo si Fece Cioccolato
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Maria Gallo
La lettura è un piacere silenzioso. Le passioni, le risate, le tempeste ormonali che attraversano il nostro cervello, durante la lettura, possono forse creare una ruga sul viso, una leggera contrazione delle labbra, ma il grande flusso delle emozioni resta impenetrabile, come in uno scrigno segreto. Per questo i libri, soprattutto quelli nuovi, per poter essere letti agevolmente devono essere manomessi, penetrati e arruffati, come in un liberatorio corpo a corpo. Ma le pagine e le copertine negli ultimi anni hanno subito una metamorfosi formale. Perché il verbo, nutrimento dello spirito, si è fatto carne, o meglio cioccolato, da mordere e digerire attraverso vere papille gustative. Com’è accaduto ai Cioccolibri Kinder
pubblicati alla fine del 2003 nella collana “Il battello a vapore”: lunghi racconti da far sciogliere lentamente come le barrette di cioccolato inglobate nella copertina. Come due droghe a lento rilascio, parole e cacao hanno formato un mix ad alto contenuto di seduzione, che infine ha decretato il
clamoroso successo dell’operazione. Ancora cibo, o meglio, parole sul cibo prodotte da Fabrica, edite da Electa e raccontate da artisti di varia nazionalità. Si intitola 2398 gr. e contiene le riflessioni e i rapporti che intercorrono tra cibo, società, arte e cultura, questo il tema
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scabroso, per una società che butta via ogni anno tonnellate di alimenti inutilizzati. E allora torna lo scrigno, il segreto di una vergogna che il ricco occidente non riesce scrollarsi di dosso, come il più antico dei sensi di colpa. Il libro vero e proprio finisce in una vaschetta d’alluminio, usa e getta, sotto un coperchio di cartone che nasconde e dichiara al tempo stesso il nostro inconfessabile piacere per il cibo e la lettura. Ma c’è anche chi, come i bambini, privo del peccato originale gode nell’esibire un chewing-gum profumato che si gonfia fino a diventare una grande bolla. E anche questo piccolo gaudente viene premiato con un’adeguata pubblicazione firmata Dubble
Bubble. Dal gusto all’olfatto, il verbo si fa profumo. Piacere immateriale per antonomasia, gli odori sono intangibili come la lettura e come questa tentano di restituirci pezzi del mondo reale, mischiando ricordi, sensazioni e riferimenti. Per questo nel non-libro Visionaire le pagine sono state sostituite da una scatola, e le righe di testo da 21 boccette che contengono profumi, al posto di 21 parole. Come in un vero libro i nomi di questi profumi (broken glass, space, strange, cold…), parole dal significato banale, finiscono comunque col raccontare una storia, il cui titolo è un’ombra appena accennata nel rilievo della copertina. La lettura rischia insomma
di svanire come un profumo, ma forse tutto questo è già accaduto. Perché Magazzini Salani è riuscita a vendere dei libri svuotati del loro contenuto: le pagine. Quel che ne è rimasto, bellissime copertine illustrate, è diventato un contenitore senza contenuto, una shopping bag. Borse da donna destinate a racchiudere segreti, parole e piaceri tratti dalla vita reale. L’immaginario intanto cerca asilo, altrove. Maria Gallo, concept designer. Docente di packaging design presso l'ISIA (Faenza) e l'Istituto Europeo di Design (Milano). Collabora per l'Unità.
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And the Word Turned to Chocolate
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Maria Gallo
Reading is a silent pleasure. The passions, the laughs, the hormonal surges that cross our brains, while we read, might produce a wrinkle on our face, a slight contraction of the lip, but the great flow of emotions remains impenetrable, as in a secret casket. This is why books, aboveall new ones, to make them more readable, have to be tampered with, penetrated, tousled, as if in a liberating hand-tohand struggle. Yet over the last few years pages and covers have undergone a formal metamorphosis. Because the word, nutrition of the spirit, has turned into flesh, or better chocolate, to be bitten into and digested using real taste buds. As was the case with Cioccolibri Kinder published at the end of 2003 in the series “Il battello a vapore”: long tales that melt slowly like the bar of chocolate encased in the cover. Like two slow release drugs, words and cocoa form a mix with a highly seductive content, that in the end decreed the astounding success of the operation. Food again, or rather in this case words on food produced by Fabrica, edited by Electa with accounts by artists of various nationalities. The book’s title is 2398 gr. and contains reflections on the relations that exist between food, society, art and culture, this the awkward theme for a society that each year throws away tons of unused food. And hence we are back to the casket, the secret shame the rich west is not able to discard, like the
most ancient feeling of guilt. The actual book comes in a (disposable) aluminium tray , with a cardboard cover that at one and the same time conceals and declares our unconfessable pleasure for food and literature. But there are those, children for example who, devoid of original sin, enjoy showing off a scented piece of chewing gum by blowing it up into a huge bubble. And even this little pleasure seeker is awarded with a suited publication signed Dubble Bubble. From taste to sense of smell, the word becomes perfumed. The antonomasia of immaterial pleasure, odours are intangible like literature and like the same they attempt to restore to us pieces of the real world, mixing memories, sensations and allusions. This is why in the non-book Visionaire the pages are substituted by a container, and the lines of writing by 21 perfume bottles, replacing 21 words. Like in a real book the names of these perfumes (broken glass, space, strange, cold..), words with banal meanings, end up by telling a story, whose title is a shadow barely traced in relief on the cover. Thus literature risks vanishing like a scent, but perhaps all this has already happened. Because Magazzini Salani has managed to sell books devoid of their content: their pages. What is left, beautiful illustrated covers, have become a container without content, a shopping bag. Ladies’ bags destined to contain secrets, words and pleasures drawn from real life. Meanwhile imagination is seeking asylum elsewhere. Maria Gallo, concept designer, lecturer in packaging design at ISIA (Faenza) and the l'Istituto Europeo di Design (Milan). She writes for the newspaper l’Unità.
Excess. Moda e underground negli anni 80 A cura di M.L. Frisa e S. Tonchi, Charta, 2004
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Excess is the catalogue of the exhibition of the same name held in Florence, at the Fondazione Pitti Immagine, but it is also a totally independent book. Here it is not a case of picking up the worn subject of the socalled “return of the decades”, in which each
decade is separated off from the one that immediately precedes it while repeating the decade previous to that; thus the nineties are a return of the seventies, while the eighties hark back to the sixties… One wouldn’t get very far going in this direction: the current decade (that ought to be called the zeroes) would hark back to the eighties…but is this really the case? While Excess might appear to be an operation of simple cultural opportunism, in actual fact it is far from that. This is borne witness to by the very catalogue that offers an unbiased and truly “critical” view of the hated-loved decade - backed up by an intelligent graphics that, rephotographing all the material, comes closer to us and keeps the multifarious myths of the Roaring Eighties, at “arms length”.
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Excess è il catalogo della mostra omonima tenutasi a Firenze, alla Fondazione Pitti Immagine, ma è anche un libro compiutamente autonomo. Non è il caso di riprendere qui il solito tema del cosiddetto “ritorno dei decenni”, in cui ogni decennio si stacca da quello immediatamente precedente per riprendere quello precedente ancora; così, gli anni ‘90 si sono rifatti agli anni ‘70, mentre gli anni ’80 riprendono gli anni ‘60... In questo senso non si andrebbe molto lontano: gli anni ‘00 (o The Zeros, come andrebbero chiamati) dovrebbero riprendere
per l’appunto gli anni 80... ma sarà davvero così? Benché Excess possa apparire come una operazione di semplice opportunismo culturale, in realtà non lo è. Lo testimonia proprio il catalogo che offre una visione disincantata e realmente “critica” dell’odiato-amato decennio - supportata anche da una grafica intelligente che, rifotografando tutto il materiale, ci avvicina e tiene “a distanza” i variegati miti dei Roaring Eighties.
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Dreams. I sogni degli italiani in 50 anni di pubblicità televisiva A cura di G. Canova, Bruno Mondadori, 2004
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Il volume è stato pubblicato in occasione dell’ omonima mostra presso La Triennale di Milano - un evento importante che riconduce la conoscenza dei messaggi pubblicitari entro il loro alveo naturale, quello della comunicazione, del progetto e dell’estetica. Dreams ripercorre mezzo secolo di pubblicità, sullo sfondo della storia sociale, del costume, dei consumi e dell’”evoluzione del gusto” degli italiani. Diviso in tre sezioni, Scenari - dedicato all’evoluzione dei linguaggi e dei dispositivi pubblicitari, Ricezioni - dove si riflette sulle modalità di consumo indotte dalla televisione, e infine Ingrandimenti - che approfondisce questioni specifiche delle strategie pubblicitarie, il volume costituisce un’autentica enciclopedia della pubblicità televisiva. Dunque uno strumento utile per “tenere (criticamente) sott’occhio” qualcosa che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni e così tante volte al giorno, da rischiare di dimenticarci che esiste. The volume was published in occasion of the exhibition bearing the same name at the Milan Triennale – an important event that brings knowledge on advertising messages back to their natural riverbed, that of communication, design and aesthetics. Dreams flicks back through half a century of advertising, offering a background of social history,
Patrizia Calefato, Meltemi 2003
sociali, ma anche mette il soggetto contro sé medesimo, e invece di “comprare la felicità” genera eccitazione, tensione, contrasto. Analizzando fenomeni disparati come la moda, la cucina, il benessere fisico, i viaggi, luoghi e non luoghi esclusivi, ma anche rileggendo testi mediali dalla pubblicità al cinema, Calefato disegna una topografia del lusso dai contorni inquietanti, dove il dispendio, lo spreco, l’eccesso non sono semplicemente l’opposto dell’indigenza, del risparmio o della povertà, ma sono legati ai loro opposti da ibridazioni impreviste, stranianti e talvolta agghiaccianti – come un vecchio paio di jeans trapuntati di pietre preziose.
In tempi di conflitti e di terrore, mentre l’esigenza di una nuova solidarietà internazionale cresce nelle coscienze di molti, parlare di lusso può sembrare una digressione retorica persino sospetta. L’analisi di Calefato dimostra però che sotto l’ambiguità del termine si cela una realtà assai più complessa. A differenza di quanto accadeva in passato infatti, il lusso non si materializza oggi banalmente nel cosiddetto dispendio vistoso, nell’ornamento esagerato che travalica nel kitsch; al contrario, il lusso sembra piuttosto l’occulta “anima diabolica” di quasi ogni atto d’acquisto. Invece di aggregare la classe agiata all’interno di una rassicurante ricchezza esclusiva, il lusso di oggi non “protegge” chi lo esercita, ma “divide”, non solo mette uno contro l’altro i gruppi
In these times of conflict and terror, when more and more people are becoming aware of the need for a new form of international solidarity, to speak of luxury may seem a rhetorical digression and even a bit suspect. Calefato's analysis, however, shows us that under the ambiguity of the term, there's a somewhat complex situation. In fact, contrary to what happened in the past, luxury today isn't just the so-called ostentatious waste, exaggerated ornamentation typical of kitsch; inversely, luxury seems to be the occult “diabolic soul” present in almost every purchase. Instead of uniting the well-off classes in an exclusive, reassuring richness, today's luxury doesn't “protect” those who enjoy it, but “divides”: not only does it set social groups against each other, but it even sets the individual against himself. Instead of “buying happiness”, it generates excitement, tension and
history of custom, consumption and the “evolution of taste” of the Italians. Divided into three sections, Scenari – dedicated to the evolution of advertising languages and devices, Ricezioni - where reflections are made on the modes of consumption induced by television, and finally Ingrandimenti - that treats specific questions of advertising strategy in depth, the volume constitutes an authentic encyclopaedia of TV advertising. Hence a useful tool for “(critically) keeping our eye on” something that we have our eye on everyday so many times a day, we might risk forgetting it exists. Lusso
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contrast. By analysing a wide range of phenomena, such as exclusive fashion, cuisine, physical wellbeing, trips, places and non places, as well as taking a second look at the Media, from advertising to the cinema, Calefato draws a map of luxury with some disturbing lines, where wealth, waste and excess aren't simply the opposite of poverty, saving or poverty, but are linked to their opposites by unexpected hybrid, alienating and sometimes abominable forms – such as an old pair of jeans studded with precious stones. Design & Crime Hal Foster, Postmediabooks 2003
gives us a masterly breakingdown of that media fetish, Frank Gehry, the “Gugghenheim” architect, whose popular success is in step with the betrayal of the truly original ideas that Ghery himself expressed back in the '70s. Then there's a very sharp observation that the increasing turning into a show of society manages to extend an old industrial practice, such as design, to cover all products (from websites to museums, from books to DNA) rather than eliminate it. And packaging is not exempt from this: in fact, as Foster concludes, “design is inflated to the point that the wrapping completely replaces the product”. I poteri dell’odore Annick Le Guérer, Bollati Boringhieri, 2004
Che l’odore avesse un potere lo sapevamo, ma che fosse possibile anche tracciarne una storia e una sociologia, è assai meno scontato, ed in ciò consiste il merito specifico di questo libro. Non è affatto vero che l’uomo civilizzato, allontanandosi progressivamente dall’animalità, avrebbe abbandonato il senso dell’olfatto, lasciando che andasse atrofizzandosi. Viceversa, come si evince anche dal capitolo che l’autrice dedica al naso dei filosofi, di contro ad una lunga serie di pensatori che non riserva alcuno spazio al senso dell’olfatto se non per denigrarlo, sono proprio i filosofi più vicini alla contemporaneità,
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The appearance of this book in Italian is, in itself, an event of a certain importance, given that Hal Foster (formerly with the New Left Review, author of consequential essays such as The Return of the Real (1996) and one of the major art critics today) is a name that's almost unknown to the Italian public. Design & Crime is a collection of essays that goes way beyond contemporary art as such and creates a mosaic of reflections on emerging themes concerning a contemporaneity suffering from a serious identity crisis – or better still, in a crisis given that identity has become a brand identity. The subtle links between the media, marketing, capitalism and cultural forms such as art, design and architecture are at the centre of Hal Foster's reflection. Thus, he
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L’apparizione di questo testo in traduzione italiana costituisce di per sé un evento di una certa rilevanza, dato che Hal Foster, già collaboratore della New Left Review, autore di saggi importanti come The Return of the Real (1996), ed uno dei maggiori critici d’arte viventi, è un nome praticamente sconosciuto da noi. Design & Crime è una raccolta di saggi che oltrepassano di molto l’arte contemporanea come tale, e costituisce un mosaico di riflessioni su temi emergenti nell’agenda di una contemporaneità in forte crisi di identità – o meglio, in crisi dal momento in cui l’identità è divenuta una marca, una brand identity. Proprio i sottili legami tra media, marketing, capitalismo e forme culturali come arte, design e architettura sono al centro della riflessione di Hal Foster.
Così, è magistrale la sua decostruzione di quel feticcio mediale che è diventato Frank Gehry, l’architetto “da Gugghenheim”, la cui affermazione popolare va di pari passo col tradimento delle idee davvero originali che lo stesso Ghery aveva espresso negli anni 70; ma è anche molto acuta l’osservazione che la spettacolarizzazione crescente della società, invece di eliminare una pratica veteroindustriale come il design, la estende a tutti i suoi prodotti, dai siti web ai musei, dai libri al DNA. E il packaging non è esente da questo discorso: come infatti conclude Foster, “il design è inflazionato al punto che l’involucro rimpiazza del tutto il prodotto”.
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da Nietzsche in poi, a rivalutare l’universo dei profumi e degli odori e la capacità tutta umana di entrare in relazione con essi. Come afferma Nietzsche “il naso, di cui ancora nessun filosofo ha parlato con reverenza e gratitudine, è talora addirittura il più delicato strumento che sia posto a nostra disposizione...”. Sono parole che segnano un cambiamento radicale di atteggiamento: se per lungo tempo l’odore e il senso ad esso correlato erano stati rifiutati per ragioni morali, per razzismo o per odio verso il corpo, oggi sono attualmente al centro di una rivalutazione di cui le multinazionali del profumo non esitano ad appropriarsi. I nomi dei profumi più in voga di oggi, come Mystère, Magie Noire, Sortilége, Poison, non sono casuali, ma sembrano appunto voler rievocare il mitico potere dell’odore e la sua forza ancestrale. That aromas have a certain power, we were already aware. What's less obvious is that one can write a history and discuss the sociological aspects of aromas: this is the specific merit of this book. Indeed, it's not true that civilised man has lost his sense of smell as he abandons his animal instinct, letting it die through non use. On the contrary, as the chapter that this author dedicates to the nose of philosophers shows, while a long series of thinkers afford no space to the sense of smell, unless to denigrate it, philosophers from Nietzsche onwards are more in touch with contemporaneity, re-assessing
the world of perfumes and aromas and the truly human ability to enter into a relationship with these. As Nietzsche says, “the nose, about which any philosopher has yet to speak of with reverence and gratitude, is sometimes the most delicate instrument we have at our disposal...”. These words mark a radical change in attitude: while aromas and the sense linked to this were for a long time refused for ethical reasons, racism or hate for the body, today they're at the centre of process of reevaluation, which the perfume multinationals are quick to make their own. The names of the most fashionable perfumes today, such as Mystère, Magie Noire, Sortilége, Poison, are not random, but seem to want to reevoke the mythical power of smell and its ancestral force. La cuoca rossa Storia di una cellula spartachista al Bauhaus di Weimar. Con un ricettario di cucina tedesca. Anonimo, Derive e Approdi, 2003
Accade, talvolta, che anche l’asettico mondo del design incontri la Storia e le passioni degli umani, non solo quelle del tubo curvato o dello stampaggio rotazionale. Poco importa che questo felice incontro avvenga tra ricette e rivoluzioni mancate, lontano dai testi sacri o specialistici. La cuoca rossa, il diario di Hannah R. studentessa e al tempo stesso cuoca per la mensa del leggendario Bauhaus, ha il pregio di ricordare agli addetti ai lavori e agli amanti del genere,
che quella fu soprattutto una scuola di idee e di cultura: un mix realizzabile solo calandosi pienamente nel proprio tempo, senza preconcetti, e con lo sguardo rivolto al futuro. Così, seguendo i pensieri e le ricette di Hannah, il lettore potrebbe trovare il nesso, l’anello mancante, o per lo meno spesso nascosto, tra le lezioni di Paul Klee, le strategie di Walther Gropius, i decori di un tessuto e la politica alta, le idee e le morti dei protagonisti dell’Altra Storia. La prefazione è di Luigi Veronelli. It sometimes happens that even the aseptic world of design encounters History and human passions and not just considerations on the curved tube or roto stamping. Little does it matter that this welcome encounter takes place between recipe books and unsuccessful revolutions, far from sacred or specialist texts. La Cuoca Rossa - the diary of Hannah R., a student and cook for the canteen of the legendary Bauhaus institute - has the quality of remembering the staff and enthusiasts of what was, above all else, a school of ideas and culture: a mix that could only occur by fully embracing the times, without preconceptions, yet very much forward looking. Thus, following Hannah's thoughts and recipes, the reader may discover the connection, the missing (or at least oft hidden) link between Paul Klee's lessons and Walther Gropius' strategies, fabric patterns and high politics, the ideas and deaths of the protagonists of the Other History. Preface by Luigi Veronelli.