Stardream Dual
5 colours combination Opal/Copper Citrine/Bronze Quartz/Onyx Silver/Lapislazuli Mars/Gold 120 e 285 g/m2
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credits
Questo numero è stato realizzato con il contributo di This issue has been created with the contribution of
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II copertina
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III copertina
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Antonio Riello, Lucy, 2001 bomba a mano decorata (mod US MK2)
user instructions
Risikopackaging Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
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presidiare la nostra salute o la nostra incolumità, sarebbe solo un altro modo (sbagliato) di demandare alla tecnica quelle responsabilità sociali che ingenuamente pensiamo di non dover più assumere. Il punto è invece esattamente questo: come mette in luce Umberto Galimberti nell’intervista che qui proponiamo, ciò che si tratta di fare è ricontestualizzare i sempre più raffinati mezzi tecnologici di cui disponiamo all’interno di una società dal volto umano, che sia ancora capace di fare un passo indietro e di considerare le cose per quello che sono - oggetti da usare, e non cose che ci usano. Questo numero di Impackt tenta di sondare il rapporto fra packaging e società del rischio attraverso i concetti correlati di sicurezza/insicurezza, affidabilità/pericolo, entro i cui poli opposti si muove la nostra vita quotidiana. Per dipanare questa difficile dialettica abbiamo chiesto il parere sia di chi il packaging lo realizza e lo produce, come Lameplast o Superfos, sia di chi lo progetta e lo sviluppa creativamente, come l’agenzia Design Group Italia o i designer che hanno partecipato alla grande mostra del MoMA: SAFE. Design takes on risks, che proprio di questi temi parlava, o come, infine di quegli artisti, tra cui Hadrian Pigott, Antonio Riello e Franco Angeloni, che riescono a tematizzare l’ambiguo rapporto tra protezione e minaccia.
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Consumatori e produttori chiedono al packaging sempre di più. Gli imballaggi devono essere sicuri, resistenti, affidabili; devono proteggere, isolare, custodire, devono garantire il loro contenuto, dare fiducia, essere - all’occorrenza asettici. Inoltre devono essere ergonomici, da utilizzarsi in modo intuitivo. Etichette, istruzioni per l’uso, informazioni di servizio essere leggibili, comprensibili, essenziali. È indiscutibile che a livello tecnico si sono fatti passi importanti in questa direzione. Tuttavia occorre in generale una certa cautela perché appare sempre più spesso evidente che insistere all’eccesso sull’idea di “protezione”, può essere un atteggiamento che finisce per ottenere il contrario di ciò che si proponeva. Proprio nell’epoca del controllo, del dominio tecnico e della garanzia assoluta, può accadere a volte che l’incontrollabile, l’ingovernabile e il minaccioso si facciano vivi con virulenza tanto più inaspettata quanto più apparentemente esorcizzata. È certo difficile prevedere, nel campo delle merci e dell’imballaggio, e più in generale nell’alveo dei comportamenti sociali, quale strada si dovrà seguire per far fronte a un mondo pervaso dall’angoscia ricorrente del contagio, della pandemia, della contaminazione, del possibile avvelenamento alimentare, e via dicendo. Si può però ipotizzare che affidare alla sottile barriera del packaging l’intero compito di
user instructions
Risikopackaging
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
Consumers and producers are continuously demanding more from packaging. Packaging should be safe, sturdy, reliable; it has to protect, insulate, contain, it has to guarantee its contents, engender faith, be - if needed - aseptic. As well as that it has to be ergonomic, intuitively usable. Labels, user instructions, service information have to be legible, comprehensible, essential. Undoubtedly at a technical level important steps have been made in this direction. All they same one should generally be cautious because it seems evermore often evident that insisting on the idea of “protection�, can be an approach that ends up by obtaining the opposite of what was aimed at. Indeed at times in the very era of controls, of technical domination and total guarantees, the uncontrollable, the threatening may occur with a virulence as unexpected as it is apparently exorcised. And indeed in the field of goods and packaging and more general in the channels of social behaviour, it is not easy to divine the approach needed to tackle a world pervaded by the ongoing anguish of contagion, pandemia, contamination, of possible food poisoning and so on and so forth. One can though be of the idea that to entrust the entire task of presiding over our health or our safety to a thin packaging barrier
would only be another (erroneous) way of passing on to technology those social responsibilities we deem we no longer need to take on. This is indeed the point: as Umberto Galimberti highlights in the interview published below, what is needed is to recontextualise the evermore refined technological means that we have at our disposal, this within a society that is still human enough to be capable of taking a step back and considering things for what they are - objects to be used, and not things that use us. This issue of Impackt wishes to sound out the relationship between packaging and the risk society through the correlated concepts of safety/insecurity, reliability/danger, opposite poles within which our daily life runs. To solve this difficult dialectic we have asked the opinion of those that devise and produce packaging, such as Lameplast or Superfos, as well as those who design it and that deal with creative development of the same like the agency Design Group Italia, or the designers that took part at the huge MoMA show: SAFE. Design takes on risks, that covered these very themes; or lastly of those artists, among whom Hadrian Pigott, Antonio Riello and Franco Angeloni, who have managed to thematize the ambiguous relationship between protection and threat.
ANCONA: • Librerie Feltrinelli C.so Garibaldi, 35 tel 071 2073943 BARI: • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Via Melo, 119 tel 080 5207501 • Libreria Campus de La Nuova Edit. Scient. via G. Toma, 86 tel 080 5574806 BOLOGNA: • Librerie Feltrinelli P.zza Ravegnana, 1 tel 051266891 BRESCIA • Librerie Feltrinelli Via G. Mazzini, 20 tel 030 3776008 FERRARA • Librerie Feltrinelli Via Garibaldi, 30/a tel 0532248163 FIRENZE • Libreria Alfani Editrice via Degli Alfani, 84 tel 055 2398800 • Libreria L.E.F. Via Ricasoli, 107/R tel 055 216533 • Librerie Feltrinelli Via dei Cerretani, 30/32 tel 055238265 GENOVA • Libreria Punto di Vista Stradone S. Agostino 58/R tel 010 277 • Librerie Feltrinelli Via XX Settembre,231/233 r tel 010 540830
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SIENA • Librerie Feltrinelli Via Banchi di Sopra, 64\66 tel 057744009 SIRACUSA • Libreria Aleph C.so Umberto,106 TORINO • Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Via Modane 16 tel 011 19831625 • Libreria Agorà Via Santa Croce, 0/e tel 011 83 59 73 • Libreria Celid V.le Mattioli, 39 • Libreria Celid Boggio Corso Ferrucci, 119 • Librerie Feltrinelli P.zza Castello, 19 tel 011541627 TRENTO • La Rivisteria Via San Vigilio, 23 tel 0461986075 TREVISO • Libreria Canova Zoppelli via Calmaggiore 31 tel 0422 546253 UDINE • Libreria Paolo Gaspari Via Vittorio Veneto, 49 tel 0432505907 VENEZIA • Libreria CLUVA Tolentini Santa Croce, 197 tel 041522691 • Librerie Feltrinelli P.zza XXVII Ottobre,1 (Centro Le Barche Mestre) tel 041 981028 • Libreria LT2 Toletta Dorsoduro 1214 tel 041 5232034 VICENZA • Librarsi di Monarca & C. Contrà delle Morette,4 tel 0444547140
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ROMA • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Largo di Torre Argentina, 5/10 tel 06 36001873 • Libreria Kappa P.zza Borghese, 6 tel 06 6790356 • Libreria Mancosu editore V.le G Rossini,20 tel 06 35192251 • Librerie Feltrinelli Via V.E. Orlando, 78\81 tel 064870171
SALERNO • Librerie Feltrinelli C.so V. Emanuele, 230 tel 089 253631
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MILANO • Art Book Triennale Viale Alemagna Emilio, 6 tel 02 724341 • Casa Editrice Ulrico Hoepli Via U. Hoepli, 5 tel 02 864872 08 • Coop. Studio e Lavoro Via Durando, 10 • La Cerchia Via Candiani, 102 tel 02 39314929 • Feltrinelli LIBRI & MUSICA C.so Buenos Aires 33/35 tel 02 2023361
dove trovare Impackt where to find Impackt
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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TOURIST GUIDE TO THE REAL AND S P I R I T UA L
LANDSCAPES
OF
PACKAGING
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Q U E S T O
N U M E
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shopping bag Una Questione di Affidabilità Sonia Pedrazzini
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identi-kit Tra Pericolo e Incertezza 104 Marco Senaldi
psycopackaging Ostaggi dell’Angoscia Marco Senaldi
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school box Pack Design allo IED 81 Naba 112
show box Il Gene Mancante 28 Emergency (G. Tinelli) 74 Embankment (M. Senaldi) 90 Drive 121
R O - 1 / 0 6
shopping bag Un Anno di Tredici Mesi 96 Il Tubo che Svetta 114 Nessun Compromesso 100
identi-kit Custodire l’Igiene Giada Tinelli
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shopping bag L’invisibile Sicurezza del Pack Maria Gallo
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identi-kit Design Group Italia Sonia Pedrazzini
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Hanno detto di noi… Impackt, competente e ironica bibbia del settore … (D-Casa la Repubblica delle donne, ottobre 2005)
design box Il Design del Rischio Sonia Pedrazzini
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In copertina Janneke Schönenbach, Fliegende Spritze, 2003
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book box 126
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box-office Paul, Mick e gli Altri 118 Gabriele Illarietti
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P A C
tools Il Cavallo di Troia Francalma Nieddu
tools 34 La Sicurezza in un Pezzo di Carta 122 Giada Tinelli
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identi-kit 4mula: l’Ordine Naturale delle Cose Francalma Nieddu
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design box Packaging sperimentale S.P.
user instructions Risikopackaging S. Pedrazzini, M. Senaldi
Impackt 2/2005: alcune precisazioni
new! Graphic Design Day 2.0
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Pag 39 - La fotografia è puramente descrittiva e non riguarda materiale prodotto dall’azienda BoxMarche SpA. Pag 91 - Set di benvenuto per agriturismi. Progetto di Theo Tanini e Luisa Niccoli
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Impackt è candidato al Premio Nazionale d’Eccellenza Profeti in Patria 2005, che si svolge sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica e che intende testimoniare la memoria storica della creatività produttiva, come valore aggiunto del made in Italy.
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shopping bag A Question of Reliability Sonia Pedrazzini
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school box Pack Design at IED 81 Naba 112
psycopackaging Hostages of Anxiety Marco Senaldi
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tools Security in a Piece of Paper 124 Giada Tinelli
identi-kit 4mula: the Natural Order of Things Francalma Nieddu
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box-office The Navigators 120 Gabriele Illarietti
tools The Troyan Horse Francalma Nieddu
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identi-kit A Case of Hygiene Giada Tinelli
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show box The Missing Gene 31 Emergency (G. Tinelli) 79 Embankment (M. Senaldi) 94 Drive 121
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user instructions Risikopackaging S. Pedrazzini, M. Senaldi
shopping bag The Invisible Safety of the Pack Maria Gallo
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identi-kit Design Group Italia Sonia Pedrazzini
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design box Risk Design Sonia Pedrazzini
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new! Graphic Design Day 2.0 design box Experimental Packaging S.P.
identi-kit Between Danger and Uncertainty 110 Marco Senaldi
shopping bag A Year of 13 Months 96 Without any Compromise 102 Lofty Tubes 116 book box 126
Cover Janneke Schönenbach, Fliegende Spritze, 2003
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Impackt 2/2005: corrigenda Page 39 - The photo is purely descriprive and it doesn’t represent any material produced by BoxMarche SpA. Page 91 - Welcome Set, by Theo Tanini e Luisa Niccoli
Impackt has been entered for the finals for the National Excellence Award for “Home Country Prophets”, to be held under the High Patronage of the President of the Italian Republic and that whishes to highlight the timehonoured history of creativity in production as an added value of Italian products.
Redazione
Segreteria Ufficio tecnico
Progetto grafico
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Periodicità: Abbonamento per 3 numeri:
Redazione, Direzione, Amministrazione, Diffusione e Pubblicità
Product manager Luciana Guidotti
Ricerca immagini e fotografia Erica Ghisalberti
Maria Gallo, Gabriele Illarietti, Francalma Nieddu, Giada Tinelli
Daniela Binario, Elena Piccinelli, Marta Piergiovanni, Ado Sattanino Leila Cobianchi Massimo Conti
Erica Ghisalberti, Vincenzo De Rosa
Vincenzo De Rosa (Studio Grafico Page - Novate - MI)
Dominic Ronayne, Katy Moore
Àncora Srl - via B. Crespi 30, 20159, Milano
1/2006 - anno 5 Registrazione del Tribunale di Milano n. 14 del 14/01/2002. Iscrizione nel Registro degli Operatori Comunicazione n. 4028
Spedizione in a.p.- 45%- art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Milano 1 copia Euro 11 - Arretrati Euro 22
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Edizioni Dativo Srl Via B. Crespi, 30/2 - 20159 Milano Tel. 02/69007733 - Fax 02/69007664 impackt@dativo.it http://www.dativo.it Armando Lavorini (sales@dativo.it)
La copertina di Impackt è stampata su carta Stardream Dual Quartz/Onyz 285 g/m2 Gruppo Cordenons
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Hanno collaborato Stefano Lavorini
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Direttore responsabile
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colophon
shopping bag
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Una Questione
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di
Affidabilità MONODOSE, DISPENSER, FLACONI, INALATORI… GLI IMBALLAGGI PER FARMACEUTICA E COSMETICA ESIGONO L’INTEGRITÀ ASSOLUTA. Sonia Pedrazzini
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I prodotti diventano sempre più specialistici, ricercati, tecnologici e la loro applicazione deve essere mirata, scrupolosa, senza possibilità di contaminazione. Sicurezza e affidabilità sono qualità maggiormente richieste e apprezzate e non sono molte le aziende italiane in grado di offrire imballaggi con queste caratteristiche, oltre che belli e pluripremiati. E Lameplast è una di esse. Leader nella produzione di packaging di plastica per l’industria farmaceutica e cosmetica, Lameplast è stata fondata nel 1976 nel modenese, a Rovereto s/S. Gran parte del suo successo è dovuto all’esser stata pioniera in Italia nella produzione dei flaconcini monodose, ma anche grazie a una continua capacità di innovazione e creatività che le hanno fatto guadagnare numerosi premi e riconoscimenti, tra cui vari Oscar dell’Imballaggio.
Intervistiamo Giovanni Ferrari, presidente di Lameplast. Lameplast è stata la prima azienda a sperimentare e a produrre i monodose per uso farmaceutico e cosmetico, come è nata quest’idea che vi ha fatto diventare leader di settore? È nata, venticinque anni fa, dall’intuizione che il mercato esigeva contenitori che non fossero unicamente di vetro e che si adeguassero a uno stile di vita che stava cambiando. In un primo tempo i monodose erano realizzati per uso oftalmico e avevano il vantaggio di essere contenitori “usa e getta”, il che consentiva quindi, una maggiore qualità del medicamento - che poteva essere senza conservanti - oltre a offrire un’erogazione più precisa. Attualmente i vantaggi del monodose si sono estesi ai più svariati utilizzi, non
solo nel settore farmaceutico, ma anche nel settore cosmetico, dove la richiesta di praticità e igiene è sempre maggiore. Cosa rappresenta per voi la parola “sicurezza”? Dall’epoca del primo monodose a oggi, per noi “sicurezza” rappresenta la certezza di realizzare un prodotto finale privo di difetti o di malfunzionamenti; realizzato secondo rigidi standard qualitativi e produttivi e sempre rispondente alle nuove richieste del mercato, sia quello farmaceutico che quello cosmetico.
L’affidabilità che i vostri imballaggi devono garantire è un must imprescindibile. Fate riferimento a particolari normative o standard? Da oltre venti anni operiamo in stretta collaborazione con le aziende farmaceutiche e cosmetiche, in una costante ricerca di nuovi materiali e di nuove soluzioni di packaging. Ogni prodotto realizzato è il frutto di elevata capacità progettuale, di cultura tecnologica e conoscenza approfondita dei processi di produzione e trasformazione. Possiamo garantire alle aziende committenti uno standard qualitativo di produzione elevatissimo, per questo tutta la produzione è effettuata in Ambienti a Contaminazione Controllata in Classe 10.000 e il Laboratorio Controllo Qualità effettua rigorosi controlli su tutta la linea. A coronamento di una politica aziendale che ha sempre privilegiato la qualità del prodotto e dei servizi forniti, dal 1995 il Sistema Qualità Lameplast è certificato secondo la normativa UNI EN ISO 9001:2000. Dal 2004 Lameplast è stata inclusa nella lista IMS (Intestate Milk Shippers = lista di fornitori che si adeguando a precisi standard produttivi) della FDA (Food And Drug Administration) come Produttore di Chiusure in Plastica per Alimenti. L’azienda è inoltre autorizzata alla marcatura di Dispositivi Medici di classe I sterile e non sterile e di classe I con funzioni di misura.
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Chi si occupa della progettazione dei vostri contenitori; realizzate tutto all’interno dell’azienda o vi riferite anche a designer esterni? All’interno dell’azienda possediamo un reparto di Ricerca e Sviluppo costituito da tecnici e ingegneri specializzati nella ricerca di nuovi materiali oltre a uno staff di designer e creativi che studiano nuovi contenitori. I creativi operano per trovare soluzioni
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E cosa significa fare innovazione nei settori di vostra competenza? Ci sono esempi particolarmente significativi? Oggi innovare nei settori del farmaceutico e del cosmetico significa colpire l'immaginazione del cliente finale cercando alternative a ciò che già esiste e, ovviamente, realizzandole. Tra i nostri prodotti più recenti possiamo ricordare la cannula dosatrice per gel e creme vaginali. Si tratta di cannule pre-riempite, protette da sigillo di garanzia, il cui sistema di erogazione a vite consente un utilizzo igienico e agevolato, inoltre, il design dell’applicatore rende quest’oggetto pratico e molto discreto, tanto da poter essere portato in borsetta. Una novità è anche il monodose multiprodotto: uno strip da cinque contenitori monodose che possono essere riempiti con cinque prodotti diversi. Lo strip diventa così il contenitore di un trattamento cosmetico completo, un mini set di bellezza, ideale per chi viaggia e vuole portare con sé solo il prodotto indispensabile. Infine, dal punto di vista dell’innovazione dei materiali, per superare la scarsa funzionalità e la pericolosità del classico contenitore di vetro (fiala), abbiamo messo a punto una particolare miscela di resine plastiche stampabili e compatibili con la soluzione alcoolica presente nei
prodotti tricologici.
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formalmente innovative e stimolanti, che stravolgano quanto di esistente sul mercato; tocca poi ai tecnici tradurre le loro proposte in termini di fattibilità e macchinabilità. Ma tutto il personale è interno. Secondo la vostra esperienza, dal punto di vista del packaging - sia cosmetico che farmaceutico - cosa è tranquillizzante per un consumatore e quali caratteristiche comunicative e funzionali devono possedere i contenitori, per essere ben accetti dal grande pubblico? Il contenitore deve essere d’impatto, incuriosire, stimolare il cliente e invitarlo all’utilizzo. Allo stesso tempo deve poter offrire nuove modalità di erogazione, più semplici e meno costose, mantenendo sempre caratteristiche di alta qualità e sicurezza.
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Dal 1993 a oggi, ben cinque Oscar dell’Imballaggio, tra cui il monodose con cucchiaio integrato e il flacone polvere/liquido per liofilizzazione direttamente all'interno del contenitore. Con quale prodotto vi candidate alle selezioni del 2006? L’ultimo nostro progetto è il nuovo sistema di dosaggio per prodotti a preparazione estemporanea polvereliquido. Nei settori alimentare, farmaceutico e cosmetico sono infatti piuttosto diffusi i prodotti costituiti da una miscela di almeno due diverse
sostanze, una in polvere e una liquida, che devono essere mantenute separate fino al momento dell'uso. Il progetto nasce dalle esigenze di un importante cliente farmaceutico che ha chiesto a Lameplast di studiare un sistema per il confezionamento di un integratore alimentare costituito, per l’appunto, da una polvere e da un liquido. L’azienda non era soddisfatta delle soluzioni di packaging in commercio, che spesso non garantiscono una perfetta tenuta e che consentono l’ingresso di umidità nel serbatoio compromettendo il corretto dosaggio del prodotto e rendendo più limitato nel tempo la validità del prodotto. Il nostro contenitore estemporaneo, invece, prevedendo nella porzione inferiore del serbatoio due zone di separazione, una sorta di “doppia camera di tenuta”, fornisce alla polvere una doppia barriera che impedisce l’afflusso di liquidi o vapori e garantisce così al prodotto una maggior durata sullo scaffale. Per concludere, quali sono le tendenze nel packaging farmaceutico? C’è la richiesta, sempre maggiore, di imballaggi facilmente utilizzabili, in grado di semplificare la somministrazione e di assicurare un corretto dosaggio, senza penalizzare la qualità estetica e con un impatto ambientale il più possibile sostenibile.
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A Question of Reliability Monodoses, dispensers, flacons, inhalers… packaging for pharmaceuticals and cosmetics requires absolute integrity. Sonia Pedrazzini Products are becoming evermore specialised, sophisticated, technological and their application has to be targeted, scrupulous, without risk of contamination. Safety and reliability are qualities that are evermore demanded and appreciated and not many Italian concerns are capable of offering packaging that as well as having these characteristics is attractive and award-winning. Lameplast fits the description. Leader in the production of plastic packaging for the pharmaceutical and cosmetics industry, Lameplast was founded in 1976 at Rovereto di Modena. Most of its success is due to its having pioneered monodose flacons in Italy, but also thanks to its continuous capacity for innovation and creativity that have led to its winning many awards and acknowledgements, including several Packaging Oscars. We interviewed Lameplast president, Giovanni Ferrari
What does the word “safety” represent for you? From the period of the first monodose up till today, for us “safety” has meant the certainty of creating an end product without flaws or malfunctions; created according to rigid quality and production standards and as ever responding to the new market demands, both the pharmaceutical as well as the cosmetics market.
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And what does innovating in the sectors you cover signify? Can you give us some important examples? Today innovating in the pharmaceutical and cosmetics sector means striking the end customer’s imagination, looking for alternatives to what already exists and obviously making the same. Among our more recent products we can cite the dosing cannule for vaginal creams and gels. These are pre-filled cannules, protected by guarantee seals, whose threaded dispensing systems enables an easy, hygienic use; as well as that the design of the applicator makes the object practical and very discreet, you can carry it around in your bag. Another new feature is the multiproduct monodose: a strip of five monodose containers that can be filled with five different products. The strip thus becomes the container for a complete cosmetic treatment, a mini beauty set, ideal for those who travel and only want to bring an indispensable
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Lameplast was one of the first concerns to experiment and produce monodoses for pharmaceutical and cosmetic use, how did this idea that has made you leader in this sector, come into being? It came into being twenty-five years ago, from the intuition that the market needed containers not solely made of glass and that suited a lifestyle that
was changing. Initially the monodoses were made for ophthalmic uses and had the advantage of being disposable, hence enabling a greater quality of medication - without preservatives - as well as offering more accurate dispensing. Currently, the advantages of the monodose have been extended to a whole host of uses, not only in the pharmaceutical sector, but also in cosmetics, where the demand for practicality and hygiene is ever greater.
shopping bag amount of product with them. Lastly, from the point of view of material innovation, to get beyond the poorly functional and dangerous glass container (vial), we have devised a special printable resin plastic mix that is also compatible with the alcohol based solutions present in tricological products.
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The reliability that your products has to guarantee is an absolute must. You obviously follow specific standards and rulings‌ For over twenty years now we have been working in close cooperation with pharmaceutical and cosmetic concerns, in a constant search for new materials and new packaging solutions. Every product created is the result of high design capacities, technological culture and in-depth knowledge of manufacturing and converting processes. We can guarantee the companies that are our customers an extremely high quality of production, all of which is carried out in Class 10,000 Contamination Controlled Facilities and our Quality Control Laboratory carries out rigorous tests all along the line. Crowning a company policy that has always privileged the quality of the product and the services provided, since 1995 the Lameplast Quality System has been certified under the standard UNI EN ISO 9001:2000. Since 2004 Lameplast has been on the FDA (Food And Drug Administration) IMS (Intestate Milk Shippers - list of suppliers that conform to specific production standards) listing as Producer of Plastic Closures for Foodstuffs. The company is also authorised for marking class 1 sterile and non sterile Medical Devices and class 1 measuring devices. Who designs your containers; do you do everything inhouse or do you turn to external designer? Within the company we have an R&D section constituted by technicians and engineers specialised in the study of new materials as well as a staff of designers and creatives that study new containers. The creatives work to find formally innovatory and stimulating solutions, that revolutionise what exists on the market; it is then the task of the technicians to translate their proposals in terms of feasibility and machinability. But all our personnel are inhouse.
According to your experience, from the point of view of packaging - both cosmetic and pharmaceutical what is reassuring for a consumer and what communicative and functional characteristics do the containers have to possess, to be a success with the general public? The container has to be striking, it needs to arouse curiosity, stimulate the customer and encourage its use. At the same time it must be able to offer new modes of dispensing, simpler and less costly, always maintaining characteristics of high quality and safety. From 1993 till today, you have won as many as five Packaging Oscars, including the monodose with spoon incorporated and the powder/liquid flacon for freeze-drying directly inside the container. What products are you entering for 2006? Our latest project is the new dosing system for powder-liquid products for on-the-spot preparation. In the food, pharmaceutical and cosmetics sector the products consisting of a mix of at least two different substances, a powder and a liquid substance that have to be kept apart up until their moment of use have become fairly common. The project has been created to respond to the demands of an important pharmaceutical customer that has asked Lameplast to devise a system for packaging a food integrator made up of a powder and a liquid substance. The company was not satisfied with the packaging solutions on the market, that often did not guarantee a perfect airtightness and that allow damp to enter into the chamber compromising the correct dosing and limiting the period of validity of the product. Our container for on-the-spot mixing though, with two separation areas in the lower part of the chamber, a sort of “double airtight chamber�, provides the powder with a double barrier that prevents the inflow of liquids or vapours and thus guarantees the product a longer shelf-life. To finish off, what are the prevailing pharmaceutical packaging trends? There is the ever greater demand for easy-to-use packaging, capable of simplifying administration and ensuring a correct dosing, though without penalising the aesthetic quality and with an environmental impact that is as sustainable as possible.
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dell’Angoscia Acquabomber è sì un pericoloso paranoico, ma la nostra società rischia di finire preda di un’angoscia ossessiva, che è un pericolo anche peggiore. Parola di Umberto Galimberti. Marco Senaldi
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Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, è una tra le personalità intellettuali più rilevanti del nostro paese. Docente di Filosofia della Storia all’Università di Venezia, è anche noto ai lettori italiani per la rubrica che tiene da molti anni su D-Donna di la Repubblica. Ha pubblicato numerosi saggi, tra cui Psiche e techne, (1999) e il recentissimo La casa di psiche, (2005); la serie delle sue Opere Complete è in corso di ristampa presso Feltrinelli. A lui, pensatore a tutto campo che non si è mai sottratto alla responsabilità di esprimere giudizi pubblici anche su questioni controverse di attualità quali il tema della donazione di organi o il problema della fecondazione assistita - abbiamo chiesto di parlarci del problema della sicurezza nell’età della tecnica.
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In effetti, a proposito del fenomeno Acquabomber, alcuni hanno parlato di ecoterrorismo, altri di gruppi anarchici che agirebbero contro le multinazionali proprietarie delle sorgenti di acque minerali. Ma dato che poi i casi si sono ripetuti prima in un’area circoscritta geograficamente, poi in tutta l’Italia, e alla fine non si è trovato il responsabile, chi potrebbe essere secondo te? È uno che si diverte a fare queste cose? È solo uno scherzo di pessimo gusto? Il profilo psicologico di quello che i giornali si sono affrettati a battezzare Acquabomber è quello di uno che vuole distruggere il mondo perché ha già distrutto se stesso, uno che ha di sé un’identità negativa, che non si accetta, che non si vuole, che ha una tentazione suicida - ma che prima di far fuori se stesso fa fuori il mondo. Il concetto espresso dal motto “muoia Sansone con tutti i filistei” non si riferisce solo a un evento biblico, ma è una struttura psichica - però la cosa interessante è appunto la categoria dell’imprevedibilità da cui siamo partiti. Il terrorismo per esempio gioca su questo, perché non avendo delle forze equivalenti per contrastare il suo nemico, non avendo esercito, non
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A proposito di sicurezza e della sua sorella gemella - l’insicurezza - mi piacerebbe avere un parere su fenomeni che hanno scatenato il panico collettivo all’interno dello scenario consumistico. Un esempio è il famigerato Acquabomber, lo sconosciuto avvelenatore di bottiglie di acqua minerale. Fatti di cronaca come questo sembrano sollevare molti temi, anche legati, per esempio, alla società del rischio. La paura è un ottimo meccanismo di difesa: proprio perché ho paura mi difendo dal pericolo; quando un cane che mi corre dietro o scappo o lo affronto, insomma, grazie alla paura, qualcosa devo fare; i bambini viceversa, corrono grandi rischi proprio perché non hanno paura. Invece bisogna distinguere dalla paura l’angoscia. L’angoscia si differenzia dalla paura perché non ha oggetto a cui fare riferimento, non è prevedibile, non c’è qualcosa di determinato che mi mette paura - e
tuttavia aleggia questo timore che non ha oggetto, e quando non c’è oggetto c’è l’assoluta imprevedibilità. Ora, noi dobbiamo ricordare che la storia dell’umanità è consistita fondamentalmente nella riduzione dell’imprevedibile - e la scienza stessa non è altro che il tentativo di ridurre l’imprevedibile (Nietzsche dice che la scienza nasce perché è terrorizzata dall’ignoto): allora è facile capire che uno che riesce a inserirsi nella struttura primordiale dell’angoscia compie qualcosa di significativo, che è la stessa pratica utilizzata dai terroristi.
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Umberto Galimberti
avendo missili, non avendo bombe atomiche, sfrutta l’imprevedibilità come dimensione in grado di azzerare la quotidianità. L’11 settembre ha fatto duemila morti, ma non è tanto quello il danno che hanno fatto: il danno che è stato fatto in termini di economia, in termini di vissuti di libertà e di sicurezza, è stato molto più devastante. Ma allora ha ragione il sociologo tedesco Ulrich Beck secondo cui la nostra è una “Risikogesellschaft”, una società del rischio? Più che società del rischio, noi occidentali siamo una società assediata, assolutamente assediata; siccome siamo l’unica società tecnicamente avanzata, siamo anche la popolazione più debole della terra, proprio perché siamo quella più assistita tecnicamente. Non dobbiamo andare a cercarci il pane, è sufficiente andare dal panettiere; non dobbiamo andare a cercarci la carne, è sufficiente andare al supermercato; non dobbiamo arare i campi, è sufficiente andare dal fruttivendolo...
Ecco che l’assistenza tecnica ci rende deboli, e siccome siamo la popolazione più debole del mondo non sapremmo vivere a Falluja, e neanche saremmo stati in grado di vivere a Sarajevo quando c’era la guerra. E allora, dato che la nostra condizione di sussistenza è un apparato tecnico, dobbiamo anche tener presente che un apparato tecnico, proprio perché è un apparato, è fragile, basta interrompere un piccolo ingranaggio e si ferma tutto il meccanismo, bastano dieci controllori di volo che scioperano per fermare tutto il traffico aereo di una nazione, e via dicendo. Pertanto, noi siamo una società che, essendo debole, può sopravvivere solo sulla difensiva; e siccome siamo anche privilegiati rispetto al resto del mondo perché siamo il 17% della popolazione e consumiamo l’80% delle risorse mondiali, è chiaro che per mantenere i nostri privilegi dobbiamo potenziare la tecnica. Potenziando la tecnica, però, ci indeboliamo antropologicamente, direi addirittura biologicamente, e chi riesce a perforare le nostre difese ci manda all’altro mondo. “Perforare” è la parola giusta, visto che la strategia di Acquabomber consisteva proprio nel perforare il packaging… …sì. In altre parole, quello di Acquabomber è solamente un piccolo episodio di un più grande episodio che è la fragilità delle culture occidentali che riescono a sopravvivere solo grazie alle difese tecniche. Infatti il risultato di tutto ciò è stato che, in assenza di uno o più responsabili, adesso nei bar se chiedi un semplice bicchier d’acqua ti danno la bottiglietta chiusa, perché c’è il timore che anche l’acqua di un normale bicchiere potrebbe essere “contaminata”. Ripeto, non di paura si tratta, ma
dell’angoscia, anzi della sua “polverizzazione”. Prendiamo un soggetto delirante: all’inizio ha paura di una determinata cosa, ma quando poi i segnali di questa determinata cosa si “polverizzano” su tutte le cose, e sulla porta, sul divano, sulla sedia, si vedono microbi e veleni da tutte le parti, allora il delirio diventa catastrofico … quando vado al bar e ho paura che l’acqua minerale che mi danno sia stata infettata, allora siamo nell’angoscia totale, cioè nel delirio ormai irrecuperabile. Ci sarebbe tuttavia anche un altro elemento in gioco, cioè la comunicazione; da più parti si è fatto notare che se non si desse pubblicità su giornali e televisioni a questo genere di episodi, forse sparirebbero da soli… … ma non si può non dargli pubblicità, perché i giornali e le televisioni vivono dell’ “evento” che si strappa dall’ordinario, mentre con l’ “evento ordinario” non si fa audience; è evidente che Unabomber, prima, Acquabomber poi, e gli stessi terroristi, sanno benissimo di compiere determinate azioni perché poi avranno una determinata risonanza mediale. D’altra parte non è che giornali e televisioni non debbano o non possano parlare di queste cose, perché il loro mestiere è quello di raccontare il mondo.
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Secondo Franco Ferrarotti questi personaggi non sono dei pazzi, sono solo dei balordi che si sentono emarginati. Io direi invece che si tratta di persone assolutamente percorse dall’angoscia e dal delirio di distruzione, tutt’altro che balordi. Anche perché per fare
Immagini tratte dal TG2 del 22 novembre 2005
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Ma secondo te, esiste o no, in questi casi, il rischio dell’emulazione - penso anche al caso dei lanciatori di sassi dai cavalcavia, e a tanti altri fatti di cronaca di questi anni… Assolutamente sì, certo. Sono convinto, per esempio, che il delitto di Cogne ne ha provocati tanti altri, infatti sono accaduti quattro o cinque episodi simili di seguito. Certo, volendo tacere per evitare l’emulazione si otterrebbe forse un effetto benefico, ma una volta che cominciamo a tacere per evitare
l’emulazione, come potremmo poi fermarci?… Tacciamo già su tante cose, a partire dalla guerra in Iraq della quale non sappiamo praticamente niente; allora a questo punto l’informazione diventerebbe inconsistente, e con essa l’intera democrazia.
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Pagina pubblicitaria della pistola elettrica più venduta da Taser. L’arma, imitando gli impulsi elettrici che vengono trasmessi attraverso il sistema nervoso, distrugge i muscoli rendendo impossibile ogni movimento. È usata anche dalla polizia americana. Advertising page of the best-selling Taser electric pistol: this weapon, imitating the electric impulses that are transmitted through the nervous system, destroys the muscles impeding all movement. The weapon is also used by the US police.
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bilder©taserschockwaffe
queste cose ci vuole un’intelligenza assolutamente lucida, una bellissima organizzazione mentale, e questo è possibile solo se non si hanno interferenze emotive ovvero se la psiche è già azzerata e i miei gesti non hanno nessuna risonanza psichica dentro di me. In questo senso occorre distinguere i deliri maniacali, del tipo di quelli che dicono “io sono Napoleone”, dai deliri ben più complessi che non sono di origine maniacale, ma di origine paranoica, dove io, non potendo trasformare il mondo, lo distruggo. Il delirio paranoico è un delirio dove io voglio costruire un mondo a mia misura, secondo la mia misura, come lo voglio io, e non potendolo fare distruggo l’esistente. Da questa analisi, sembrerebbe che i terroristi, nelle loro numerose varianti, condividano la medesima struttura paranoica, anche se cercano di darsi una ragione politica, o una giustificazione sociale. Il gruppo può anche darsi delle ragioni politiche, nella misura in cui la paranoia può avere un contenuto politico. Prendiamo il caso delle Brigate Rosse. Era praticamente impossibile che duecento persone cambiassero la faccia dell’Italia, quindi dietro questo progetto c’era un delirio paranoico. Chiamiamo delirio paranoico quello che mi spinge a fare azioni assolutamente impossibili sul piano di realtà, ma che io provo lo stesso a realizzare, anche a costo di trovar loro, in seguito, una motivazione politica. Come consumatori, ossia come cittadini, ci si sente anche in balia di altri eventi imponderabili - penso al recente episodio di contaminazione dei cibi a causa degli inchiostri impiegati in determinate confezioni… Quello è un caso diverso, di incompetenza o malafede; ma siamo fuori dal delirio, non c’è nessuna
volontà di distruggere i consumatori. Sono due cose assolutamente diverse: in questo secondo caso non c’è nessuna volontà di distruggere i consumatori. Il paranoico delirante, che si chiami Brigate Rosse, che si chiami Unabomber, che si chiami terrorista, vuole la distruzione. Non penso che una grande azienda voglia la distruzione, semplicemente non vuole rinunciare a un profitto. Esiste una qualche soluzione a tutto ciò? Basta, come è stato scritto, stare semplicemente più attenti a cosa si compra e si consuma, per trovare una via d’uscita razionale a questa situazione? Il problema è che se io devo annusare ogni bottiglia che apro, se devo controllare il colore di ogni barattolo che compro, eccetera - la vita diventa in ogni caso impraticabile, perché non si può stare ad osservare tutte le cose, altrimenti tutta la quotidianità finisce per essere costellata continuamente da strutture di controllo, e non vivo più. Prendiamo gli ossessivi che devono controllare il mondo: si devono alzare tre o quattro volte di notte per vedere se hanno spento il gas o se hanno chiuso la porta costoro non stanno più vivendo. Stiamo diventando effettivamente tutti un po’ ossessivi. Penso anche alla questione della tracciabilità di certi prodotti come la carne. Devi guardare l’etichetta tre volte per capire cosa dice. Non dimentichiamo che la parola ossessivo viene da assediato, obsessus; siamo assediati dall’angoscia. Ma quindi che dobbiamo fare? Siamo tra la paranoia e l’angoscia, tra la paranoia e l’ossessione; non siamo messi molto bene, mi sembra. No, per niente: ma è inevitabile, perché noi non abbiamo ampie
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risorse se non le difese tecniche, che però sono deboli. La nostra colpa è di avere costruito una società in cui possiamo vivere solo se tecnicamente assistiti, e a questo punto ne paghiamo il costo. Se si dovesse interrompere l’energia elettrica a Milano per due giorni è un disastro, va a male il cibo, non vanno più i frigoriferi, non c’è più il riscaldamento. Mentre se va via l’energia elettrica in un paese di campagna come ce lo potevamo immaginare cinquant’anni fa, si accendono due candele, ma non va a male niente. Più le società si fanno complesse e più le conseguenze dell’introduzione degli apparati tecnici diventano disastrose. Non so se hai notato quanto sia aumentata la quantità di involucri che si buttano via una volta fatta la spesa. Prima non era così. Forse anche questo rientra in quell’idea di protezione che non protegge… …di protezione, di riparo, di igiene; anche l’igiene è arrivata a livelli parossistici perché viviamo il nostro mondo come un mondo infetto. Quando ero piccolo io c’era la carta da zucchero e quando andavi a comprare lo zucchero te lo mettevano lì dentro. Adesso sarebbe impensabile. Ma l’igiene, a questi livelli, non è altro che un apparato ossessivo.
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Insomma, non è tanto il mondo che è infetto, quanto la psiche? La nostra psiche ormai teme rischi da ogni parte: tutte queste norme per la confezione degli alimenti sono il sintomo di una società ossessiva. Allora la soluzione sarebbe fare un passo indietro? Sì, un passo indietro. Pensiamo anche solo all’ossessione di salvare tutto ciò che si scrive al computer su dischi e dischetti - vuol dire che siamo ossessionati dal rischio continuo. Io infatti scrivo tutto a mano con la penna, stilografica naturalmente, e ho anche una bellissima scrittura!...
Hostages of Anxiety Acquabomber is indeed a dangerous paranoiac, but our society is at risk of falling prey to obsessive anxiety which is an even worse danger. In the words of Umberto Galimberti. Marco Senaldi Umberto Galimberti, philosopher and psychoanalyst, is one of the most important intellectual figures in Italy. Professor of Philosophy at the University of Venice, he is also known to Italian readers by the column he has written for many years in D-Donna di la Repubblica. He has published numerous essays, including Psiche e techne (1999) and the most recent La casa di psiche (2005). The series of his works Opere Complete is in the process of being reprinted by Feltrinelli. An all-round thinker who has never shirked from the duty of airing an opinion, even regarding quite controversial topics such as organ donation or fertility treatments, we asked him to talk to us about the issue of safety in the age of technology. Regarding safety and its twin sister - insecurity - I would like to hear your opinion about the phenomena which have unleashed mass panic in the consumer world. One example is the notorious Acquabomber, the anonymous poisoner of bottles of mineral water. News like this seems to raise many issues, also linked to the risk society. Fear is an excellent defence mechanism. It is my fear which protects me from danger. When a dog chases me I either run or turn and face it. Thanks to fear I am forced to do something. Children, on the other hand, run huge risks because they are unafraid. However, one must distinguish fear from anxiety. Anxiety is different from fear because it has
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So the German sociologist Ulrich Beck who claims that we live in a “Risikogesellschaft”, a risk society, is correct? More than a risk society, we westerners are a besieged society. As we are the only technologically advanced society we are also the weakest people on the earth, precisely because we are the most technologically aided. We don’t have to go out and look for bread. We just go to the baker’s. We don’t have to go and look for meat. We just go to the supermarket. We don’t have to plough the fields. We just go to the greengrocers... This is how technology makes us weak and since we are the weakest people in the world we wouldn’t be able to live in Falluja and nor would we have been able to live in Sarajevo during the war. And so, given that our survival depends on technical aid we have to remember that technical aid is fragile. All it takes is one damaged cog to halt the entire mechanism. All it takes is ten air traffic controllers to go on strike to stop the entire air traffic of a country and so on. Therefore we are a society which, being weak, can only survive by being permanently on the defensive, and as we are privileged compared to the rest of the world because we are only 17% of the world’s population while we consume 80% of global resources it is clear that in order for us to maintain our privileges we have to develop technology. Developing technology weakens us anthropologically and I would even go as far as to say biologically, and whoever manages to penetrate our defences will send us to the next world. “Penetrate” is the right word, considering that the Acquabomber’s strategy consisted in penetrating the packaging…
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Indeed, regarding the Acquabomber phenomenon, some have spoken of ecoterrorism, others of groups of anarchists who act against multinationals who own mineral water sources. But given that these crimes were committed first in a circumscribed geographical area, then in the rest of Italy and the culprit was never found, who do you think it might be? Is it someone who gets his kicks out of doing these things? Is it just a joke in bad taste? The psychological profile of what the newspapers were quick to christen “Acquabomber” is that of someone who wants to destroy the world because he has already destroyed himself, someone who has a negative sense of self, who does not accept who he is, who does not love himself, who has suicidal tendencies- but who wants to destroy the world before doing away with himself. The concept expressed by the motto “let Samson die with the philistines” not only refers to a biblical event, but is also a psychological profile. However, the interesting thing is the element of the unknown we began with. Terrorism, for example, exploits this as, unable to fight its enemy on equal terms, not having an army, not having missiles, not having nuclear bombs, it uses the element of the unknown in order to undermine the familiar, the everyday. On the 11th
of September there were 2000 deaths but the damage went deeper. The economic damage and the damage done to our idea of freedom and safety was far more devastating.
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no focus, it is hard to pin down, there is nothing specific that frightens me. However, there is this lurking fear which has no focus and when there is no focus terror can come from anywhere. Now, we must remember that the history of the human race basically consists of making the unknown familiar and science itself is none other than the attempt to make the unknown familiar (Nietsche says that science is born of the terror of the unknown). So it is easy to understand that someone who manages to become a part of the primordial structure of anxiety does something significant, and this is the strategy used by terrorists.
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…yes, in other words the case of the Acquabomber is merely a tiny episode of a larger episode which is the fragility of the western cultures that only manage to survive thanks to technological shields. Indeed the result of all this has been that now, in the absence of culprits, when you go into bar and ask for a simple glass of water they give you a sealed bottle because people are afraid that an ordinary glass might be “contaminated”. I repeat, this is not a question of fear but of anxiety, or rather its “atomisation”. Let’s take a demented person. In the beginning he is afraid of something specific, but when the signs of this specific thing “atomise” over every object, over the door, over the sofa, over the chair, he sees microbes and poisons everywhere and so the delusion becomes fatal... when I go to the bar and I am afraid that the mineral water they give me is infected then I am gripped by overwhelming anxiety, hopeless delusion.
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However, there is another element which has come into play and that is the media. There are many people who say that if these types of episode were not publicised in newspapers and on television then perhaps they would disappear by themselves… … but they cannot be kept out of the news, because newspapers and television channels feed off the “event” which they raise out of the ordinary, as the “ordinary event” does not attract an audience. It is obvious that first Unabomber and then Acquabomber and terrorists know very well they are doing certain things which will have a certain media impact. On the other hand newspapers and television have to talk about these things because its their job. But in your opinion, is there or is there not, in these cases, a danger of copycat crimes - I am thinking of the stones thrown from the motorway bridges and many other episodes which have been in the news in the last few years… Yes of course. I am convinced for example that the
Cogne crime led to others. In fact, four or five similar episodes took place afterwards. Certainly if we kept crimes quiet to avoid people copying them perhaps we would have some benefit, but once we start to hush things up for that reason where would it all end?... We already hush things up, beginning with the war in Iraq, which we know almost nothing about. So if it were to come to that, the spread of information would be undermined as would democracy as a whole. According to Franco Ferrarotti these personalities are not crazy people, just delinquents who feel they have been marginalised. Quite the contrary. I would say that these people are totally consumed by anxiety and by the delusion of destruction, not delinquents at all. To do these things you need an absolutely lucid intelligence, marvellous mental organisation and this is only possible if there are no interfering emotions or if the psyche has already been annihilated and your actions hold no psychic resonance within you. In this sense we have to distinguish between maniacal delusion , like those people who say “I am Napoleon”, from much more complex delusions which do not have maniacal origins but paranoid origins. Because I am unable to change the world, I just destroy it. Paranoid delusion is a form of delusion where I want to make a world to measure, to fit me, to be just as I want it to be but , being unable to do so, I destroy the existing world. From this analysis it would appear that terrorists, in their infinite variety, share the same paranoid makeup, even though they try to give a political reason, or a social justification. The group may also give political reasons, in so far as paranoia may have a political content. Let’s take the case of the Red Brigade. It was well-nigh impossible for two hundred people to change the face of Italy, so behind this plan there was paranoiac delusion. Let’s call it paranoiac delusion if we are forced to do things which are impossible in
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reality but which I still attempt to do, even at the cost of subsequently finding a political reason for them. As consumers, or rather as citizens, we feel we are at the mercy of other impondesrable events- I am thinking of the recent contamination of foods due to the dyes used in certain types of packaging… That is something different, the result of incompetence or bad faith. But it has nothing to do with delusion. That was not done deliberately. We are talking about two completely different things. In the second case consumers were not wilfully damaged. The raving paranoid, whether he calls himself Red Brigade, Unabomber or terrorist desires destruction. I don’t think a large company sets out to destroy anything, it simply has its eye on profit. Is there an answer to all this? Is it enough, as has been written, simply to pay more attention to what you buy and consume to find a rational way out of this conundrum? The problem is that if I have to sniff every bottle I open, if I have to check the colour of every jar I buy etc... life becomes impossible in any case, because you cannot keep tabs on everything, otherwise everyday life ends up being riddled with rituals, and you cease to live. Let’s take those neurotics who have to control the world. They have to get up three or four times a night to see if they have turned the gas off or if they have locked the door - that’s no life.
I don’t know if you have noticed how the amount of packaging you throw away after you’ve done the shopping has mushroomed. It wasn’t like that before. Perhaps this also belongs to the idea of protection which fails to protect… …protection, shelter, hygiene. Hygiene too has reached exasperated levels because we perceive our world as an infected place, When I was a child there was such a thing as sugar paper and when you went to buy sugar they wrapped it in that. That’s unthinkable nowadays. But hygiene, at these levels, is none other than fixation. So, it is not so much the world that’s infected as the psyche? Our psyche now fears danger lurks everywhere. All these regulations for packaging foodstuffs are the symptom of an obsessive society.
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So the solution might be to take a step backwards? Yes, a step backwards. Just think about the fixation with saving everything you write on the computer on CD ROM’s and floppy disks. It means we are permanently fixated with risk. In fact I write everything out in pen, a fountain pen of course, and I have beautiful handwriting too!…
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In point of fact we are all becoming a little obsessive. I am thinking too of the issue of providing detailed information on the origins of specific products such as meat. You have to look at the label three times in order to understand what it says. Let’s not forget that the word obsessive comes from besieged, “obsessus”; we are besieged by anxiety.
So what should we do? We are trapped between paranoia and anxiety, between paranoia and obsession. We are in a bad way it seems. No, not at all. But it is inevitable because we don’t have adequate resources to fall back on other than technology which anyway provides a feeble form of defence. We are to blame for having created a society where we can only live if we are technically aided and now we are paying the price. If there is a 48 hour power cut in Milan it’s a disaster, food goes bad, refrigerators don’t work, there is no heating. While if there is a power cut in a small country village that is still much as it was fifty years ago, they light a couple of candles and nothing goes bad. The more complex society is the more disastrous the consequences of introducing technical support are.
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Mancante
show box Tra macchinari sofisticati e ultratecnologici, nuovi imballaggi e rivoluzionari sistemi di produzione, presentati all’Ipack Ima 2006, il Super Genetic® Market di Franco Angeloni made in ItaliaImballaggio - è stato indubbiamente lo stand più spettacolare ed originale della fiera: decine e decine di vasetti di vetro, in bella mostra su mensole trasparenti, pieni di liquidi colorati per contenere il gene di cui siamo mancanti, quello della PIGRIZIA ad esempio, o dell’ALLEGRIA, della PERSEVERANZA, del MISTICISMO, e così via, fino, da non credersi, al gene di DIO, per chi soffra di complessi di inferiorità estremi. L’artista-psicologo Angeloni, classe 1967, romano di origini ma nomade di spirito (vive tra Amsterdam e Bangkok, realizzando opere e performance che si infiltrano in spazi urbani non solitamente adibiti all’arte), su richiesta analizza la personalità dei curiosi che si fermano allo stand e fornisce loro il “gene mancante”,
ben impacchettato in confezione di lusso. L’artista-commesso dà consigli e illustra i “prodotti” con trasporto ed entusiasmo: “cosa ne dici di un bel barattolo di gene FILOSOFO? o VIGLIACCO? in fondo ci vuole un po’ di tutto nella vita... e a politica, come sei messo? ti manca un po’ di gene FASCISTA o preferisci COMUNISTA?”. L’artista scienziato - o stregone – prepara le etichette e le appone al barattolo, scegliendo meticolosamente anche il colore del fluido più adatto a quel gene: “la MALIZIA non può essere rosa ciclamino... ma solo di questo giallo qui”. Non si tratta di una pozione magica da bere, ognuno sa che non risolverà i problemi e non cambierà i difetti, ma tutti si fermano incuriositi e affascinati da quei barattoli colorati sugli scaffali: “ORDINATO, quello lo prendo per mio figlio!” È buffo sentir dire “Mi dia un po’ di gene PERVERSO” o “Quanti ne vuole?”: sembra proprio di essere al mercato, al mercato
dei geni. Il divertimento e l’ironia aleggiano nello stand, sembra un grande gioco. Eppure la riflessione sui geni è tutt’altro che leggera pensando che negli ultimi anni le ricerche e i dibattiti si sono susseguiti sempre più fitti, portando alle teorie più diverse e controverse. Lo studio e la mappatura dei geni non si è solo limitata alla ricerca genetica ma ha dato nuovi impulsi alle teorie evoluzionistiche, ha stimolato la riflessione filosofica, spesso anche con profonde implicazioni politiche ed etiche. Pensando a Il gene egoista di Richard Dawkins (Mondadori, 1994) o alla teoria degli equilibri punteggiati di Stephen Jay Gould e Niles Eldredge, ci si rende conto di come la scienza stessa non sia tanto una verità assoluta alla quale aspirare ma una ricerca continua e perenne radicata nell’animo umano. Con il Super Genetic® Market Franco Angeloni ha ironizzato sul paradosso della nostra società che vuole raggiungere la perfezione umana attraverso la sua stessa limitatezza.
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The Missing Gene
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Amidst the sophisticated and ultratechnological machines, new packaging and revolutionary production systems presented at Ipack Ima 2006, the Super Genetic® Market by Franco Angeloni - made in ItaliaImballaggio - was undoubtedly the most original and spectacular stand at the fair: tens and tens of glass jars, on show on transparent shelves, full of colored liquid containing the gene we are missing, that of LAZINESS for example, or MERRIMENT, PERSEVERANCE, MYSTICISM, and so on up to, would you believe it, the gene of GOD, for those who suffer from extreme inferiority complexes. The artist-psychologist Angeloni, born in 1967, originally from Rome but a nomad in spirit (he lives between Amsterdam and Bangkok, creating works and performances that infiltrate urban space not only used for art), on demand analyses the personality of the curious that stop at the stand and provides them with the “missing gene”, packed up in a luxury container. The artist shopassistant gives advice and energetically and enthusiastically illustrates the “products”: “what would you say to a good jar of the PHILOSOPHER or COWARD gene? Basically in life one needs a bit of everything… and how are things with politics? Are you lacking in FASCIST or COMMUNIST genes? - The artist scientist - or witchdoctor - prepares the labels and adds them to the jars, meticulously also choosing the color of the fluid most suited to the given gene: “MALICE cannot be cyclamen pink… only this yellow here will do”. This is not a magic potion for drinking, everyone knows that it won’t solve our problems nor change our flaws, but everyone stops, fascinated, their curiosity aroused by those colored jars on the shelves: “TIDY, I’ll have that for my son!” It’s funny hearing “Give me a bit of that PERVERSE gene” or “How many do you want?: almost like being at the market, the gene market. Everything takes place in an atmosphere of fun and irons, it seems like a big game. All the same the reflection on genes is anything but frivolous, thinking of the research and the debates that have followed on from each other with ever greater intensity, leading to the most different and controversial theories. The study and the mapping of genes is not only limited to genetic research but has given new impulse to evolutionist theories, it has stimulated philosophic reflection, often with deep political and ethical implications. Thinking of Richard Dawkins’ Egoistic Gene (Mondadori, 1994) or the theory ,of equilibriums jotted down by Stephen Jay Gould and Niles Eldredge, one becomes aware of the fact that science itself is not an absolute truth to be aspired to but a continuous and perennial study rooted in the human spirit. With The Super Genetic® Market Franco Angeloni takes an ironic look at the paradoxes of our society that wishes to attain human perfection through its own limitations.
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4 mula:L’Ordine Oltre che un sapone naturale, Ergobar è l’emblematico manifesto della filosofia etica ed artistica di una nuova linea cosmetica americana tutta da scoprire. Francalma Nieddu - Photos by 4mula
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Si chiama 4mula ed è una linea di prodotti cosmetici nata dall’esigenza di creare prodotti sicuri e non testati su animali, ideata e prodotta dall’artista Timothy Bahash con la consulenza del botanico Erick Rexrode. Il packaging adottato, oltre che attuale ed ecologico, è originale a tal punto che negli U.S.A. è diventato un vero e proprio caso di successo. Abbiamo intervistato l’artefice di questo fenomeno, l’artista diventato poi designer ed imprenditore Timothy Bahash, che ci ha contagiati con il suo entusiasmo per il mondo del packaging, da lui stesso raccontato attraverso una serie di simpatici aneddoti, come, ad esempio, quando descrive il processo che ha portato al lancio della sua linea di prodotti. 4mula nasce da un progetto d’arte. Mi era stata commissionata un’installazione (In a Perfect World) sull’ossessione compulsiva del lavarsi; era composta da oggetti da toccare, fatti di sapone, che lasciavano, quindi, “puliti”. Ho racchiuso questo concetto in due oggetti: una maniglia e della moneta corrente. Il periodo di due anni durante il quale mi sono dedicato solo al lavoro artistico è stato quindi successivamente anche una valida
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Naturale delle Cose
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esperienza per definire il concetto di 4mula come si presenta oggi. La chiave del successo di 4mula è nella interrelazione fra vari elementi: purezza dei suoi ingredienti, integrità del suo design, rispetto dei prodotti verso l’ambiente e incoraggiamento al riuso responsabile del packaging. Il pezzo caratterizzante la linea, il sapone Ergobar, è l’iconografia di tutte queste filosofie. Risolve il problema di asciugarsi senza sciogliersi, prolungando la vita stessa del prodotto, e ha una forma che comunica esattamente come deve essere usato. Vero: è un oggetto con un appeal estetico, ma la bellezza è creata per rispondere a una necessità. Analogo a tale ideologia è anche il packaging per i prodotti liquidi (etichettati con colla vinilica removibile) che invita al riutilizzo di se stesso. In un mondo di “vuoti a perdere”, 4mula vuole cambiare le convenzioni. Il concept dell’intera linea è omogeneo e i consumatori riescono a capirne il valore.
Dopo essere partito dalla tua ricerca artistica, come è proseguito il lancio sul mercato di 4mula? Per realizzare il mio pezzo artistico ho dovuto apprendere come si produce il sapone e ho scoperto che è fatto di prodotti chimici e di derivati animali. E quello che avevo imparato spostava di conseguenza la mia attenzione dall’atto del lavarsi a cosa si usa per farlo. Sono vegetariano da 14 anni, e quando ho scoperto nei saponi la presenza di prodotti di derivazione animale mi sono sentito ingannato dalle marche che usavo, e mi sono vergognato di aver violato i miei principi, anche se l’avevo fatto inconsapevolmente. L’idea del sacrificio di esseri viventi per prodotti dedicati alla pulizia ha acceso l’attivista che c’è in me. L’atto del lavarsi, per quanto sia di routine e profano, è, di fatto, un atto spirituale. È un processo di rinnovamento, di limpidezza, di purezza. L’effetto della scoperta ha generato in me una insaziabile curiosità di sapere ogni cosa possibile sull’argomento. Così ho cominciato a studiare gli ingredienti naturali e gli olii essenziali, sperimentando in cucina e disegnando nel contempo forme e packaging. Quando ho cominciato a dare in regalo i primi prodotti ad amici e familiari, l’entusiasmo che ne
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è derivato mi ha fatto capire quali fossero le potenzialità commerciali di questo concept. Non avevo pensato immediatamente ad un risvolto commerciale. Tutto quello che intraprendo nasce dall’insaziabile desiderio di esplorare un territorio non familiare. L’arte spesso offre tale opportunità e conseguentemente il mio lavoro, qualsiasi forma prenda, parte sempre da una prospettiva artistica, anche se poi da esso si avvia un discorso commerciale. 4mula ha vinto parecchi premi per il suo design; era già un successo commerciale o lo è diventato di conseguenza? 4mula ha ricevuto il primo premio per il design esattamente il giorno dopo che il sapone Ergobar era stato prodotto. Questa è una storia divertente. Avevamo previsto di esporre a New York alla fiera Extracts nell’ottobre del 2004. Era il nostro lancio ufficiale ai rivenditori. Ergobar era stato sviluppato nei due anni
precedenti, il processo di ingegnerizzazione era stato fatto con precisione e l’unico modo per sapere se fosse stato possibile realizzarlo era investire un enorme somma di denaro ed energia in attrezzi su misura. Più di cento aziende avevano rifiutato il progetto, nessuno era interessato a superare i propri limiti e nessuno vedeva il vantaggio di quell’estetica. Presentavo una scultura del prototipo e la risposta era categoricamente “no”, “non si può fare”, “perché vuole fare questo?”. Un produttore mi aveva anche detto: “Perché vuole progettare un sapone che duri a lungo? Piuttosto deve volere che i suoi clienti comprino di più e più spesso! Lei non ha un buon senso per gli affari”. A quel punto divenni seriamente interessato a verificare la mia capacità di operare nel mondo degli affari. Il mio istinto è contro la cultura del grande business e della produzione, ma sono un quieto ribelle e mi piacciono le sfide per cambiare le cose.
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Dopo una tediosa ricerca, finalmente ho trovato produttore adatto, che ha rischiato con un forte investimento per la produzione minima di 10.000 pezzi. I giorni della fiera si stavano avvicinando, ma le difficoltà tecniche ritardavano la produzione. Siamo arrivati con tutto il necessario per allestire lo stand ma neppure un pezzo di Ergobar da esporre. Lo stress aveva raggiunto livelli catastrofici, quando finalmente alle 5 di mattina abbiamo ricevuto una telefonata: erano pronti i pezzi di sapone. Di corsa il mio assistente metteva 40 set nella sua auto e li portava direttamente in fiera. Apriva la scatola e mi dava subito un pezzo di sapone.
Era squisito. Era vero. Era completo. Era anche caldo nella mia mano perché uscito dalla produzione solo 45 minuti prima. Questa sensazione, così viscerale e metaforica, esprimeva tutto, il sudore, lo stress e, infine, il compimento di questo processo durato vari anni. Quella sera stessa c’era anche la cerimonia di premiazione, ma noi, esausti, ci siamo ritirati in albergo. La mattina dopo l’organizzazione voleva vederci. Automaticamente abbiamo pensato al peggio, per esempio che il display fosse fuori norma o che dovessimo pagare qualcosa, e siamo andati verso l’ufficio con le gambe tremanti. Invece ci hanno chiesto dove fossimo finiti al momento della premiazione: “Se foste rimasti fino alla fine, avreste saputo di aver vinto il Best in Show”. Ecco, una lezione in più nella corsa al business... rimanere fino alla fine! Ergobar è stato il primo prodotto della linea cosmetica 4mula? Tutti i prodotti della linea sono stati sviluppati contemporaneamente. 4mula è uno stile di vita e volevo che tutti gli elementi della linea fossero coerenti, non solo per le formulazioni ma anche nella relazione con l’uomo. Inoltre, la necessità di prevedere il riuso del packaging, coinvolgeva altri aspetti da valutare nei prototipi.
identi-kit Come vedi il futuro del packaging? Il futuro del packaging porterà alla fine del mondo. Riconosco che questo suoni fatalistico ma il consumo cresce a tal punto che il pianeta non è più capace di gestirlo. Quello che entra deve anche uscire, mentre ormai si consuma come se poi i rifiuti sparissero magicamente. Noi, sia produttori che consumatori, dobbiamo riconsiderare come produciamo e come viviamo. Le aziende devono realizzare oggetti che abbiano una seconda vita. I prodotti devono essere biodegradabili e il packaging che li contiene dovrebbe essere sempre riutilizzabile. Questo, da un lato ridurrebbe lo smaltimento dei rifiuti, dall’altro darebbe un’anima agli oggetti. Ho ancora un cesello che mio nonno usava 50 anni fa, ma negli ultimi 10 anni ho cambiato 4 computer. La strategia del consumo adottata negli ultimi decenni dal marketing è di profitto per il grande commercio. Sono riusciti a rendere ridicoli, agli occhi delle nuove generazioni, la cultura del risparmio e del riuso, gli atteggiamenti di vita di una volta quando si lavavano e riusavano i fogli di alluminio. Mia nonna lo faceva. Dobbiamo costruire cose che restano e smettere di progettare oggetti da comprare e ricomprare. I consumatori possono adattare il loro
stile di vita, e chi produce può dare loro la ragione per farlo. Sono ottimista: credo che il mondo è pronto a cambiare. La riusabilità dei packaging di 4mula ha ispirato un nuovo spazio nel sito 4mula.com chiamato “(re)user’s gallery” dove i consumatori possono esporre le loro idee di riuso. Forse questo diventerà di nuovo cool, e se 4mula fosse una cosa di 50 anni fa, immagino mia nonna che mi invia una mail: l’immagine digitale di un nostro flacone trasformato in un contenitore per i fogli piegati di alluminio.
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4mula: The Natural Order of Things As well as a natural soap, Ergobar is the emblematic manifesto of the ethical and artistic philosophy of a new American line of cosmetics just waiting to be discovered Francalma Nieddu
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4mula is a line of cosmetics devised to fulfill the need for safe products not tested on animals, created and manufactured by artist Timothy Bahash with the aid of horticulturist Erick Rexrode. As well as being modern and environment friendly, the packaging they use is so original that it has met with huge acclaim in the United States. We interviewed the creator of this phenomenon, the artist who then became a designer and businessman Timothy Bahash, who infected us with his enthusiasm for the world of packaging, described by him in a series of funny anecdotes such as, for example, his account of the steps which led to the launch of his line of products. 4mula came from an art project. I was commissioned to produce an installation (In a Perfect World) about obsessive-compulsive washing. It consisted of objects to touch which were made of soap and therefore left you “clean”. I chose two objects to encapsulate this concept: a door handle and loose change. The two year period during which I dedicated myself solely to art was a valuable experience when it came to defining the 4mula concept as it appears today. 4mula’s key to success lies in the interrelation between various elements: pure ingredients, design integrity, respect for the environment and encouragement to reuse the packaging in a responsible way. Ergobar soap, the piece which represents the line, is the iconography of all these philosophies. It solves the problem of keeping soap dry so it doesn’t dissolve, prolonging the life of the product, and its shape tells you exactly how it should be used. True: it has an aesthetic appeal but its beauty has been created to respond to a need. The packaging for liquid products (labeled with removable vinyl glue) which invites the buyer to reuse it fits in with this ideology. In a world of “throwaway empties” 4mula wishes to change the conventions. The concepts which underscore the
line are completely integrated and consumers can easily understand their worth. After beginning as art, how did the market launch of 4mula follow? In order to produce one of my pieces of art I had to learn how soap is made and I discovered it is made of chemical products and animal derivatives. And what I learned consequently shifted my attention from the act of washing to what one uses to wash with. I have been a vegetarian for 14 years and when I discovered there were animal products in soaps I felt tricked by the brand-names I was using and ashamed of violating my principles, even though I had not been aware I was doing so. The idea of sacrificing living creatures for cleansing products kindled the activist in me. The act of washing, however routine and mundane it may be, is in fact a spiritual act. It is a process of renewal, of purging , of purifying. My discovery sparked an insatiable curiosity to find out everything I could about the subject. So I began to study natural ingredients and essential oils, experimenting in my kitchen and, at the same time, designing shapes and packaging. When I began to give my earliest efforts to friends and family as gifts their enthusiastic reaction led me to understand what the business potential of this concept was. I hadn’t thought of a business angle straightaway. Everything I undertake is born of the insatiable desire to explore unfamiliar territory. Art often provides this opportunity and consequently my work, whatever form it takes, always starts with an artistic vision, even though this frequently develops into a business idea. 4mula has won many awards for its design; was it already a commercial success or did it become one as a result. 4mula won the design award exactly one day after Ergobar soap came off the production line. This is a funny story. We had planned to exhibit at the Extracts
identi-kit There you are - another lesson on rushing into business... stay until the end! Was Ergobar the first product in the 4mula cosmetics line? All the products in the range were developed at the same time. 4mula is a life style and I wanted all the elements of the line to be harmonious, not just in terms of their formulation but also in their relation to people. Moreover, the need to ensure that the packaging could be reused meant there were other aspects to be evaluated as far as the prototypes were concerned.
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How do you see the future of packaging? The future of packaging will destroy the world. I admit I may sound like a doom-merchant but consumption is growing to such an extent that the planet is no longer able to deal with it. What comes in must go out, while we are now consuming as though waste simply vanished at the wave of a wand. We, manufacturers and consumers both, have to reconsider how we produce and how we live. Companies must start manufacturing objects which have a second life. The products must be biodegradable and the packaging which contains them must be reusable. On one hand this would reduce waste disposal on the other it would give objects a soul. I still have the chisel my grandfather used 50 years ago, but in the last 10 years I have changed my computer 4 times. The consumer strategy adopted in the last few decades of marketing benefits big business. They have managed to make the culture of saving and reusing, the old-fashioned practice of washing and reusing sheets of tin foil, ridiculous in the eyes of new generations. My grandfather did it. We have to make things which will last and stop designing things to buy and then buy again. Consumers can adapt their lifestyles and manufacturers can give them the wherewithal to do so. I am an optimist. I believe the world is ready to change. The reusable aspect of 4mula packaging has inspired a new space on the 4mula.com web-site called “(re)users gallery” where consumers can share their reusing ideas. Perhaps this will become the new cool, and if 4mula were a product of 50 years ago I can imagine my grandfather sending me an e-mail: the digital image of one of our bottles transformed into a container for folded sheets of tin foil.
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trade fair in New York in October 2004. It was our official sales launch. Ergobar had been developed over the previous two years. The engineering process had been studied in detail but the only way to know if it was possible to make it was to invest an enormous amount of money and energy in custommade machinery. More than a hundred companies had turned down the project, nobody was interested in going out on a limb and nobody could see the advantage in that kind of aesthetic. I presented a sculpture of the prototype and the response was a categorical “no”, “cannot be done”, “why do you want to do this?”. One manufacturer also said to me “Why do you want to design a perpetual use soap? You should hope your customers buy more, more often! You have no business sense” At that point I became seriously interested in testing my skill in operating in the world of business. My instinct is to go against the culture of big business and manufacturing but I am a quiet rebel and I like dealing with challenges in order to change things. After a tedious search I finally found a suitable manufacturer who took a risk and invested a lot of money in a minimum production of 10,000 pieces. The day of the show was fast approaching but technical hitches were delaying production. We arrived with everything we needed to set up the stand but not a single piece of Ergobar to exhibit. The stress had reached catastrophic levels when finally, at 5 in the morning, we received a telephone call: the soap bars were ready. My assistant quickly put 40 sets in his car and took them straight to the fair. He opened the box and handed me a bar of soap. It was exquisite. It was real. It was complete. It was also warm in my hand because it had only come out of the factory 45 minutes before. This sensation, so instinctive and metaphorical, summed it all up- the sweat, the stress and finally, the end of this process which had taken some years to complete. The award ceremony was held that same evening but we were so exhausted we went back to the hotel. The morning after the organisers wanted to see us. We automatically imagined the worst, for example the display was not up to standard or that we had to pay something, and we went towards the office with legs like jelly. Instead they asked us where we had been during the awards ceremony: “If you had stayed until the end you would have known you had won Best in the Show”.
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Il Cavallo di Il progetto T.R.O.I.A. (Temporary Residence of Intelligent Agents) esplora il tema della sicurezza come relazione tra la “fondamentale libertà dei cittadini” e la gestione dell’ “ordine pubblico” attuata con armi non letali.
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Francalma Nieddu
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Troia
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Architettura progettata da Martin Hoyer Architecture project of Martin Hoyer
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Al convegno Profile-Intermedia 2005 di Brema, abbiamo incontrato i responsabili del progetto T.R.O.I.A., Olaf Arndt e Janneke Schönenbach, membri del gruppo artistico tedesco BBM, che ci hanno spiegato come da un report commissionato dal Parlamento Europeo, intitolato “Tecnologie di Controllo Politico” sulle soluzioni tecniche e scientifiche del controllo di massa, si sia sviluppato il loro progetto di performance teatrale 3D, un’interazione tra programmi radiofonici, film e prodotti multimediali. BBM ha sviluppato il progetto in cooperazione con il gruppo hacker BBO - parte tedesca del Caos Computer Club internazionale - per esplorare le nuove generazioni di tecnologie di controllo politico come le armi non letali, da quelle che prevedono la scossa elettrica fino agli agenti biotecnologici. Il progetto T.R.O.I.A. consiste in una piattaforma teatrale mobile il cui scopo principale è quello di evidenziare pubblicamente risultati e discussioni sulle tecnologie di controllo politico sviluppate in Europa. La struttura è un forum cittadino viaggiante, un ibrido “info-box” con una spettacolare presenza architettonica che, attraverso arte multimediale e tecnologia, conduce attori e visitatori ad interagire fra loro. È un container mobile che funziona come un cavallo di Troia; dietro l’apparenza di dono cela un contenuto
pericoloso e sovversivo. Gli attori, non riconoscibili come tali, si infiltrano nello spazio pubblico con l’intento di ingenerare tensione nei visitatori e portando informazioni ed opinioni provocatorie. Il controllo politico viene simulato tramite l’uso di apparecchiature multimediali indossabili, le armpod, e mediante un sistema di rilevamento della posizione nello spazio formato da un visore e un apparato sonoro che registra i movimenti. Il nome del progetto, T.R.O.I.A., è un acronimo (Temporary Residence of Intelligent Agents) e fa riferimento agli strumenti tecnologici usati dagli attori e dai visitatori. In robotica e nella terminologia dei programmatori un “agente intelligente” è uno strumento che si attiva autonomamente in accordo con precise istruzioni. Il secondo significato di “agente” si riferisce ovviamente al campo dello spionaggio politico. E infine, in biochimica, gli “agenti” sono i gas e altre sostanze attive. L’attenta analisi delle nuove tecnologie di controllo politico di T.R.O.I.A. serve a promuovere la concreta partecipazione e la responsabilità personale del cittadino. Lo spazio pubblico è simultaneamente il terreno di gioco della performance, che avviene per strada, luogo di incontro spontaneo tra cittadini, e spazio in cui viene impiegata la moderna sorveglianza e il controllo tecnologico.
Aspetto importante di tutto il progetto è la documentazione continua. Come in un diagramma di flusso, la prova di questo modello di partecipazione democratica è documentata e analizzata, e durante la presentazione sono registrate tutte le reazioni dei visitatori. Una biblioteca virtuale conserva tutto il materiale raccolto, in un archivio aperto si possono scambiare ed aggiungere informazioni on line. I visitatori sono tutti invitati a usare il contenuto della biblioteca, aggiungere articoli, libri, immagini, filmati, scritti o interventi e a registrare la propria esperienza circa “i problemi della sicurezza interna”. Tutto il materiale viene raccolto, archiviato, organizzato alfabeticamente secondo i contenuti e infine pubblicato come una sorta di enciclopedia della storia europea contemporanea del controllo politico. Quest’anno è stato presentato un libro di circa 160 pagine, intitolato Demonen, che raccoglie gran parte del materiale. Un progetto artistico di forte impatto, che ci pone di fronte al dilemma dell’uso di armi non letali proprio in nome di quella stessa libertà che potrebbe esserne violata. Francalma Nieddu designer ed esperta di design strategico, dirige insieme ad Olav Junke ad Amburgo lo studio di immagine coordinata e packaging ondesign.
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Fotos © Birgit Wingrat
Fotos © Martin Hoyer
Fotos © Martin Hoyer
Interno dell’info-box durante una performance con gli armpod. A performance with armpods in the architectural structure of TROIA Fotos © Martin Hoyer
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The Trojan Horse
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The project T.R.O.I.A. (Temporary Residence of Intelligent Agents) explores the subject of security as a relationship between the “fundamental freedom of citizens” and the administration of “public order” carried out with the use of non lethal weapons. Francalma Nieddu At the Profile-Intermedia 2005 convention at Bremen we met the heads of the T.R.O.I.A. project, Olaf Arndt and Janneke Schönenbach, members of the German art group BBM, who explained to us how from a report commissioned by the European Parliament on the technical and scientific solutions of mass control entitled “Technologies of Political Control”, they have developed their 3D theatre performance project, an interaction between radio programs, film and multimedial events. BBM has developed the project in cooperation with the hacker group BBO - German part of the International Caos Computer Club - to explore the new generations of technologies for political control such as non lethal weapons, from those that give electric shocks up to biotechnological agents. The T.R.O.I.A. project consists in a mobile theatre platform in which the main purpose is that of publicly highlighting the results and discussions on the technologies of political control devised in Europe. The structure is a travelling public forum, a hybrid “info-box” with a spectacular architectural presence, that through multimedial art and technology allows the actors and visitors to interact. A mobile container that works like a Trojan horse; its appearance as a gift in fact conceals its dangerous and subversive content. The actors, that are not recognisable as such, infiltrate the public space with the intent of instilling tension in the visitors, introducing provocative opinions and information. Political control is simulated through the use of wearable multimedial devices, like the armpods and through spatial tracking systems made up of a visor and a sound device that records movement. The name of the project T.R.O.I.A. is short for Temporary Residence of Intelligent Agents and alludes to the technological tools used by the actors and visitors alike. In robotics and programming terminology an “intelligent agent” is
a tool that switches on independently following precise instructions; the second meaning of “agent” obviously refers to the field of political espionage; lastly, in biochemical terms gases and other active substances are likewise called “agents”. The careful analysis of the new T.R.O.I.A. technologies of political control is to promote firm public participation and personal responsibility. The performance is likewise staged in public space, taking place in the street, spontaneous public meeting point and space where modern surveillance and technological control are used. An important aspect of the entire project is the continuous documentation. As in a flow diagram, the testing of this model of democratic participation is documented and analysed and during the presentation all the reactions of the visitors are recorded. All the material gathered is stored in a virtual library, information on line can be exchanged and added in an open archive. Visitors are all invited to use the contents of the library, to add articles, books, images, film clips, written or recorded matter and to register their own experience concerning “problems of internal security”. All the material is collected, stored, and organised alphabetically according to the contents to be published as a sort of contemporary encyclopaedia of political control. This year a book of around 160 pages has been presented, entitled Demonen, that contains most of the material. An artistic project of a strong impact that forces us to face the dilemma of the use of non lethal weapons in the very name of that freedom that could be violated. Francalma Nieddu, designer and strategic design expert, along with Olav Junke heads the Hamburg corporate image and packaging design studio ondesign.
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Custodire Le colorate custodie di Hadrian Pigott proteggono gli oggetti simbolo del maniacale igienismo moderno: lavandini, lucidatrici, ferri da stiro...
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Giada Tinelli
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Special thanks to Galleria Marabini
Tra le fobie che attanagliano la nostra società, il senso di igiene e pulizia hanno portato in qualche decennio a risultati paradossali: risale al 2002 la scoperta dei ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma di un aumento delle infezioni intestinali, nei bambini e nei giovani, dovute alla progressiva estinzione dei batteri “benefici” per il corpo. Anche numerosi casi di asma e allergia derivano proprio dalla pulizia esasperata, dagli ambienti asettici e disinfettati in cui viviamo dove nessun tipo di batterio può proliferare. Nell’immaginario collettivo, i germi, la polvere e in generale la sporcizia, sono nemici da combattere a colpi di disinfettanti, aspirapolvere e detersivi di ogni tipo. Con le sue custodie colorate ed esagerate, Hadrian Pigott (1961) ironizza su questo isterismo collettivo: gli oggetti “di culto” della società contemporanea, da custodire con cura, sono un ferro da stiro, un lavandino, un aspirapolvere, una
lucidatrice... L’artista realizza questi oggetti ispirandosi alle custodie degli strumenti musicali, creando una seconda pelle in vetroresina imbottita di velluto. Dal suo esordio nel 1995, quando è stato portato alla ribalta dalla Saatchi Gallery esponendo tra i Young British Artists, l’artista ha realizzato numerose opere sul “rito di purificazione” per mezzo del sapone: dalla serie Wash III, ai Gender Soap - in rosa la saponetta femmina e in azzurro quella maschio - dai saponi in formato gigante di Submersive (I & II), al video Dream, in cui si assiste al rituale delle mani che si lavano accarezzando morbosamente un lavandino. Alla mostra Hygiene (2002) Pigott ha presentato Proud of it, una serie di fotografie di una pistola-rubinetto in cui il confine tra igiene, violenza e humor si confonde, e Saponition, un sapone a forma di pasticca in un finto contenitore per medicinali, come a dire: non abusarne, può creare
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l’igiene Cadillac, 1998-2000 1/06 47
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Gender Soap, 1998-2000
dipendenza. Con il progetto per l’Ashmolean Museum di Oxford (1999), Pigott si allontana da questo genere di sculture-installazioni per dedicarsi alla fotografia. Sceglie di rivisitare - attraverso la fotografia stampata a colori su lastre di alluminio - i paesaggi e le albe di John Ruskin, in particolare gli schizzi che maggiormente e meglio mostravano il connubio con Turner. I colori attenuati di questi paesaggi deserti, gli scorci in cui i dettagli si perdono come in un sogno, sembrano immagini strappate da un’auto in corsa eppure trasmettono un senso di ovattata tranquillità. Le custodie e il packaging di solito sono solo contenitori da riempire. Come mai li trasformi in oggetti a sé stanti, fatti di materiali pregiati come il velluto e la vetroresina? Sono sempre stato affascinato dalle custodie degli strumenti musicali - le ho sempre avute attorno a me e in qualche modo mi parlavano. Di certo non sono l’unico a saper riconoscere uno strumento d’orchestra dalla forma
della custodia, o ad essere incuriosito da ogni sorta di custodia che non riesco a riconoscere a prima vista. Dietro a questo gioco di riconoscimento sta il fatto che spesso le custodie assumono forme antropomorfiche. Gli strumenti musicali sono essi stessi fatti per adattarsi al corpo umano mentre vengono suonati e le loro custodie hanno all’incirca la stessa forma, ma semplificata e “bombata”. Questo li accomuna ancora di più al corpo umano, o a parti del corpo - pensate per esempio alla custodia della chitarra o del violoncello. È come se riconoscessimo noi stessi in questi oggetti e in queste forme. Le custodie di solito sono fatte per proteggere cose di grande valore - ma le mie custodie sono per oggetti normali, che non hanno una particolare valore monetario. Questo nasce dall’idea che la nostra società sopravvaluta questo tipo di oggetti e le attività per cui sono usati, e le custodie rappresentano lo stato d’animo alterato di un individuo o di una società dove questi oggetti potrebbero realmente esistere. Non è
come il ready-made duchampiano, è qualcosa di diverso. Penso che questi oggetti appartengano alla corrente del “should-never-be-made”...[il nondovrebbe-essere-fatto, Ndr] Come scegli gli oggetti che racchiudi in queste divertenti e colorate custodie (l’aspirapolvere, il lavandino, il ferro da stiro, strumenti musicali...)? Le custodie che creo non sono per gli strumenti musicali ma per gli “strumenti dell’igiene” come il lavandino e altri oggetti di uso domestico che sono associati al mantenimento dell’ordine e dell’apparenza nelle nostre vite; facendoci diventare socialmente accettabili in un certo senso, come per l’aspirapolvere o il ferro da stiro. Quando creavo i modelli e le sagome per le custodie, mi prendevo una certa libertà nel disegnare le forme e producevo un set di custodie che erano un po’ esagerate nei termini del loro antropomorfismo e sembravano ipersessuali, persino erotiche. Erano fondamentalmente iperstilizzate. Ero diffidente nei confronti del costante restyling degli oggetti operato dall’industria per alimentare il desiderio del consumatore. Sì, le custodie sono belle e divertenti da guardare, e se la gente ride è una cosa positiva; è un modo per entrare nell’idea del lavoro.
cui si concentravano funzioni, prodotti e lusso, ma anche il luogo della nudità e della vulnerabilità umana. Lo stesso sapone è un prodotto molto interessante: chimicamente, economicamente, socialmente ed emozionalmente. Il bagno, ciò che si fa in bagno e gli oggetti che contiene diventano ottimi veicoli per esplorare le disfunzioni della nostra infrastruttura ambientale e i nostri blocchi emozionali e sociali. Le grandi sculture intitolate Submersives (I & II) sono un buon esempio di tutto questo: prendono forma amalgamando mentalmente un bagno, un pezzo di sapone e un corpo, e scegliendo i colori blu e rosa come fossero il sapone maschio e femmina - sono oggetti mutevoli e alieni, attraenti e repellenti allo stesso tempo. Qual è il tuo approccio quotidiano con le merci di consumo e il packaging? Non vado spesso a fare compere. Non ho molto interesse per le cose nuove. Di solito trovo ciò che mi serve gratis o di seconda mano. Penso che la maggior parte del packaging sia eccessivo, uno spreco, spesso inutile. Però anch’io a volte mi trovo a dire “Wow! che forte questo!”, quindi non sono del tutto immune al potere seduttivo delle superfici o delle grafiche dinamiche.
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Submersives ( I & II ), 1994-2000
Perché scegli titoli come Cadillac e Sputnick? Ho scelto dei titoli che significassero qualcosa nella mente della maggior parte delle persone - oggetti di cui tutti avessero un’idea della loro forma, anche se non è l’oggetto contenuto nella custodia. 1/06 49
Potresti parlarci dei tuoi lavori sulla pulizia e sull’igiene? Volevo riflettere sul consumismo e ho pensato che il bagno era un nodo cruciale della questione: un luogo in
Cadillac, 1998-2000
Sputnik, 1998-2000
Vespa, 1998-2000
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Trident, 1998-2000
Di recente hai prodotto, in collaborazione con il Wordsworth Trust in Grasmere, e con il poeta Hamish Robinson il libro d’arte Rifiuti, che è anche un video girato sul Tevere. Potresti spiegare l’idea di questo libro d’artista? Secondo te in che modo i rifiuti stanno modificando grandi città storiche come Roma? La collaborazione con il poeta Hamish Robinson è nata perché mi piace come scrive e ho pensato che sarebbe stato interessante fargli produrre un testo per il libro piuttosto che incaricare un critico d’arte di scrivere appositamente un saggio. Inoltre ho scoperto che Hamish non era mai stato a Roma, nonostante la sua educazione classica e il suo interesse per i poeti romani, e dunque lui si è mosso in piena autonomia. Mi piaceva l’idea che il contenuto e il messaggio del video e le fotografie rimanessero ambigui. Il video è una sorta di caleidoscopio magnetico; è ipnotico e rilassante. Ci lasciamo cullare da questi oggetti che danzano come se avessero una vita propria. Le immagini delle bottiglie e dei palloni sono vibranti, e in un certo senso, positive. Come si spiega questo movimento? Gli oggetti sono ripresi dall’alto e non dalla superficie orizzontale del Tevere il che è di per sé disorientante, come se la gravità fosse in qualche modo la forza predominante. E da dove è venuta questa roba? L’artista è intervenuto in qualche modo (come potevano essere lì quei particolari oggetti e come potevano essere così puliti)? La spazzatura, le bottiglie, i palloni e i pezzi di polistirolo si sono accumulati per puro caso in quel punto particolare del fiume. Io non ho buttato niente nel fiume. È un fenomeno naturale che si crea con le correnti d’acqua che spazzano tutta l’immondizia galleggiante nel Tevere verso un lato dell’Isola Tiberina, verso uno sbarramento in cui si crea una forte
risacca che intrappola tutti gli oggetti. Qui ristagnano per giorni, settimane e a volte mesi, ma alla fine scivolano via e scorrono oltre trascinati dalla corrente. Questo accade quando il fiume è troppo basso o alto, dipende dalle correnti. Per esempio, quando sono stato ancora a Roma in dicembre tutte le bottiglie di plastica erano state lavate via dalla corrente invernale e c’erano solo rami di alberi spezzati, un paio di pneumatici e un cane morto... non era certo un bello spettacolo! Il punto cruciale è proprio il titolo del lavoro. Mi ha colpito che in italiano si usi la stessa parola “rifiuti” per dire “rubbish”, immondizia, e “rifiutare” nel senso ‘to refuse’, respingere, non volere. Queste parole si comportano allo stesso modo anche in inglese. L’immondizia è chiamata “rifiuto” perché noi rifiutiamo di avere ancora attorno a noi questa roba - gli neghiamo l’accesso al nostro ambiente, la buttiamo lontano da noi, dai luoghi dove viviamo. Naturalmente non possiamo realmente buttarla via o negargli l’accesso al nostro mondo - è così piccolo il pianeta. Lentamente, forse troppo lentamente, ci stiamo rendendo conto
di questo. L’immondizia nel fiume è un sintomo del fallimento del sistema del Consumatore. È un nostro fallimento collettivo. È immondizia che rifiuta di essere rifiutata. È ancora con noi, sfoggiando di una bellezza talvolta sconcertante. In effetti tutta la nostra spazzatura è sempre con noi, ma molti non la vedono e raramente sembra così piacevole. Vedere questo piccolo spettacolo a Roma è stato molto interessante per me - una città che per più di 2000 anni è stata il centro dell’impero, della religione, della cultura, dell’invenzione. Una città che nel costruire e ricostruire è mutata costantemente, è bruciata, è stata demolita, ed è riemersa. Gli oggetti nel fiume, in particolare quelli più identificabili come il pallone dorato, sembrano lottare per avere la meglio in mezzo a una folla che acclama o deride, tentando di avere il sopravvento, di andare da qualche parte, anche se poi non andrà più da nessuna parte…
Giada Tinelli si occupa di arte giovane e di nipponistica.
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Natura Morta, 2005
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A Case of Hygiene The colored cases of Hadrian Pigott protect the symbolic objects of modern maniacal hygienism: basins, floor polishers, irons…
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Giada Tinelli Among the phobias that grip our society, in a just few decades the sense of hygiene and cleanliness have led to paradoxical results: in 2002 research-workers at the Rome La Sapienza University discovered an increase in intestinal infections in children and in the young, due to the progressive extinction of bacteria that are “good” for the body. Numerous cases of asthma and allergies are put down to excessive cleaning and the aseptic and the disinfected environments in which we live where no type of bacteria can proliferate. In our collective imagination, germs, dust and dirt in general are enemies to be fought off using disinfectants, vacuum cleaners and detersives of every type and kind. With his colored, exaggerated cases, Hadrian Pigott (1961) takes an ironical look at this collective hysteria: the “cult” objectives of contemporary society, that need to be carefully looked after and “cased” are an iron, a washbasin, a vacuum cleaner, a floor polisher… The artist has created these objects inspired by musical instrument cases, creating a second skin in fibreglass lined with velvet. Since he made his debut in 1995, when he was brought into the limelight by Saatchi Gallery exhibiting among the Young British Artist, Pigott has created numerous objects on the “rite of purification” using soap: from the series Wash III, to Gender Soap - with a pink female soap bar
and a yellow male one - of the giant sized soap bars in Submersive (I & II), to the video Dream, that shows the ritual of hands being washed softly stroking the basin. At the show Hygiene (2002) Pigott presented Proud of it, a series of photos of a pistol-tap where the border between hygiene, violence and humor becomes indistinct, and Saponition, a pill shaped piece of soap in a fake medicine container, as if to say: don’t abuse, you might become addicted. With the project of the Ashmolean Museum Oxford (1999), Pigott departs from this type of sculpture-installation to devote himself to photography. Using color photographs printed on aluminium plates, he has chosen to re-examine the landscapes and the dawns of John Ruskin, especially the sketches that most show his link with Turner at its best. The soft hues of these deserted landscapes, the views where details are lost like in a dream, seem like images torn from a speeding car and yet they transmit a muffled sense of peace and calm. Cases and packaging are normally just containers for filling: why have you turned them into objects in their own right, made out of sumptuous (velvet, fibreglass...)? I have always liked music instrument cases - they have always been around me and they always spoke to me somehow. I am not alone in being able to identify the instruments of an orchestra from the shape of the cases, and of being intrigued by any case I can't immediately recognize. Beyond this game of recognition is the fact that the cases often take on anthropomorphic forms. The musical instruments are themselves made to fit the human body in some way while they are being played, and their cases take on approximately the same form, but simplified and filled out. This makes them even more like the body, or parts of the body - think of the guitar
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case or the cello case... It is as if we recognize ourselves in these objects and shapes. Cases are normally made to protect things of great value - but with these sculptures the cases are for ordinary objects of no particular monetary value. It was the idea that our society over-values these objects and the activities that they are used for, and the cases represent the unbalanced state of mind of an individual or society where such things might exist. They are not so much the Duchampian Ready-made, but something else. I think of them as the “should-never-be-made”... How do you choose the objects you ‘pack’ in colorful, weird cases (the vacuum-cleaner, sink, musical instruments, etc.)? The cases I made were not for musical instruments, but for 'instruments of hygiene' like the wash basin, or for other ordinary domestic objects that are associated with ordering our lives and our appearance; making us socially acceptable in some way, like the vacuum cleaner or iron. When I made the models and moulds for the cases I took some liberties with the shapes and produced a set of cases that were slightly exaggerated in terms of their anthropomorphism, and they looked over-sexed, erotic even. They were basically over-styled. I was suspicious of manufactures' constant re-styling of objects in order to sustain consumer desire for things. Yes, the cases are pretty funny to look at, and if people laugh then that's a good thing; a way for them to get into the ideas of the work.
What is your everyday approach to consumer objects and packaging? I don't go shopping much. I don't have much interest in new things. I usually find things I need for free or buy them second hand. I think most packaging is excessive, wasteful and often unnecessary. Sometimes though I'll see something and think 'Wow! That's cool!' and so I am not immune to an attractive surface or dynamic graphics...
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Could you explain the concept of the art book Rifiuti and how you got to work with Hamish Robinson? In your opinion how this “waste” modifying huge and historical cities like Rome? The collaboration with the poet Hamish Robinson came about because I liked his writing and I thought it might be interesting to have him produce text for the book, rather than getting an art critic to write a contextual essay or similar.
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Why did you choose titles like Cadillac and Sputnik? I chose titles that would mean something in the mind of most people - objects that they would have some idea of their shape, even if it was the wrong object for the case.
Can you tell us something about your work as regards cleanliness and hygiene? I was thinking about Consumerism, and found that the bathroom was a very interesting focal point for this: a concentrated site of function, product and luxury, and also of human nakedness and vulnerability. Soap itself is a very interesting product: chemically, practically, economically, socially and emotionally. The bathroom, the objects in it and their associated activities, became suitable vehicles for exploring the dysfunctions of our environmental infrastructure and our social and emotional dislocations. The large soap sculptures like Submersives (I & II) are a good example of this the shapes came from mentally amalgamating a bath, a bar of soap and a body, and them choosing pink or blue soap to make them like male or female - they are unsettling and alien objects, attractive and repellent at the same time.
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Furthermore, I discovered that Hamish had never been to Rome, despite his classical education and interest in the Roman poets, so he had his own agenda as well. Ultimately, I liked the idea that the content and meaning of the video and photographs would remain ambiguous. The video is like a mesmeric kaleidoscope; hypnotic and relaxing and we enjoy the constant dance of these objects as if they had a life and intent of their own. The images of the bottles and footballs are vibrant and positive, but nagging questions occur too. What explains this movement? The objects appear to be located in the vertical plane, not the horizontal surface of the river, which in itself is quite disorientating as it appears that gravity is the major force somehow. The close framing of both the photographs and the video means that the mechanism that causes the movement of the objects is unclear. Where has this stuff come from? How did it get here? Has the artist interfered with this in some way - how else could these particular objects be here, and how could they be so clean? The rubbish; the bottles, footballs and bits of polystyrene packaging material, accumulate in that particular part of the river by chance. I didn't put anything in the river. It is a natural phenomenon to do with water currents which sweep all the floating rubbish in the Tiber down one side of the Isola Tiberina and over a weir which has a strong backwash that traps all the objects. They get stuck there for days, weeks and sometimes months, but eventually they will escape and float further down stream. This will happen when the river gets too low or too high depending on the flow of water in it. For instance, when I was in Rome again in December
all the plastic bottles had been washed away by winter flood waters and there were just branches from broken trees, a couple of car tyres and a dead dog... not so pretty! The main clue is in the title of the works. I was interested that the Italian word for rubbish or 'refuse' is 'rifiuti' and that 'to refuse' is 'rifiutare'. The words work the same way in both languages. Rubbish is called refuse because we refuse to have it around us anymore - we deny it access to our environment, we throw it away from us, from where we live. Of course we cannot really throw it away or deny it access to our world - the planet's too small. Slowly we are waking up to this fact, but probably much too slowly. The rubbish in the river is a symptom of the failure of the Consumer system - of our collective failure. This is rubbish that refuses to be refused. It's still with us, making a pretty and distracting display. In fact, ALL our rubbish is still with us, but we not many of us see it, and rarely does it look so attractive. To see this little display in Rome was interesting to me - a city that for over 2000 years has been a center of empire, of religion, of culture, of invention; that has in its building and rebuilding constantly turned itself over, buried itself, demolished itself and re-emerged. The objects in the river, the strongly identifiable ones like the golden football, seem to jostle for position or for advantage, amongst a cheering or jeering crowd, trying to get ahead, get somewhere, but forever getting nowhere...
Giada Tinelli covers young and Japanese art
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L’Invisibile
Il “buon packaging” salva non solo il prodotto ma anche il feeling con i consumatori. Maria Gallo
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Sicurezza delPack
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Abbiamo più volte parlato degli elementi “immateriali” che compongono una confezione, riferendoci in particolare alla comunicazione del brand, al prodotto che veicola messaggi culturali... Ora, anche quando si parla di sicurezza non si può fare a meno di notare che oltre alle qualità chimico/fisiche dei prodotti, il “buon packaging” viene progettato per tutelare alcuni elementi incorporei o invisibili, come gli odori, i sapori, i colori, l’aspetto generale del prodotto e addirittura il feeling che lo lega ad ogni suo consumatore. Gli odori, per esempio, possono essere una caratteristica piacevole se parliamo di profumi, ma nel caso di aromi forti e penetranti - quelli che drammaticamente tendono all’invasione dell’ambiente circostante - le cose cambiano notevolmente. Ne sa qualcosa il produttore del Roquefort Société, formaggio dal caratteristico aroma, che divide nettamente amatori e detrattori. Gli opposti schieramenti possono condividere pacificamente e temporaneamente, a tavola, la presenza del formaggio, ma se l’involucro non è ben sigillato e viene lasciato in frigorifero, l’odore del formaggio invade e pervade minuziosamente ogni altro alimento presente. Va dunque riconosciuto un grande merito alla confezione del Roquefort Société che, con il doppio
contenitore e un cuscinetto di materiale espanso, permette di ottenere una chiusura pressoché ermetica del packaging. Quando gusto e aromi sono invece oggetto di una vera e propria venerazione, come nel caso dei sigari, evitare che questi perdano d’intensità e qualità diventa, nei confronti del consumatore, una sorta di dovere morale. La confezione singola in alluminio con tappo a vite, utilizzata da alcune marche, insieme al classico impacchettamento con film plastico, ha forse il difetto di rendere invisibile il prodotto, ma protegge il sigaro dalla luce e dalla fuga dell’aroma e perciò dovrebbe garantire una certezza di qualità al consumatore appassionato. Usiamo volutamente il verbo al condizionale perché in realtà, una volta giunto integro a destinazione, il sigaro dovrà affrontare, come tutti gli altri prodotti, il duro confronto con il mondo reale, in particolare dovrà vedersela con le papille del fumatore e con il fatto che i sapori vengano percepiti in modo diverso da ogni individuo... insomma è praticamente impossibile garantire che i sigari abbiano un gusto unico e certamente uguale per tutti. Il packaging si fa falsamente discreto e silenzioso, al limite della mimetizzazione, quando bisogna
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invece assicurare l’estetica del prodotto, una caratteristica particolarmente cara al mercato giapponese. Le gomme da masticare Colorful-ru, per esempio, portano scritto nel proprio nome la loro caratteristica principale, la priorità assoluta da rispettare. In questo caso ciò che l’azienda vende non è un nuovo gusto fruttato o la minor quantità di zucchero e calorie, quanto piuttosto un’esperienza cromatica. Il valore principale da salvaguardare è perciò la disposizione delle gomme, con colori selezionati e organizzati in una sfumatura che degrada dal beige chiaro fino al vinaccia scuro. Vale perciò la pena di correre il rischio dell’over-packaging, per garantire una posizione stabile delle gomme. Così, oltre a una bustina esterna, inevitabilmente trasparente, la confezione include una minuscola rastrelliera di plastica che costringe le gomme ad una posizione inclinata e ordinata, che tale resterà dal momento del confezionamento fino alla completa consumazione. Nel settore dei farmaci, la sicurezza del prodotto dal punto di vista fisicochimico è, naturalmente, una condizione ineliminabile. Da molti anni ormai anche le modalità d’assunzione sono in un certo senso delegate al packaging, si pensi, tra gli esempi più antichi, al classico contagocce in vetro. Se però vogliamo parlare di quella sicurezza invisibile e immateriale, che ha a che fare con la psicologia del consumatore e con il suo feeling verso il prodotto, non devono stupire le critiche avanzate dalle donne proprio nei confronti di un particolare tipo di packaging. È accaduto per alcune pillole anticoncezionali le cui confezioni, pur garantendo perfettamente il prodotto, avevano eliminato l’uso del calendario
che aiutava a ricordare di assumere regolarmente il farmaco. Anche se ogni donna è consapevole che certe garanzie, come la memoria, sono impalpabili e aleatorie (tant’è che tutte le consumatrici, almeno per una volta, hanno dimenticato di assumere la pillola quotidiana) persino le consumatrici più giovani, quindi non legate ad uso tradizionale del prodotto, hanno duramente criticato l’operazione, tacciandola di terrorismo psicologico: la loro sicurezza mentale era stata evidentemente compromessa. In conclusione, forse solamente il settore del prodotto per l’infanzia può permettersi di giocare con la percezione di sicurezza. La caramella gigante che si camuffa da arma spaziale nasce infatti come prodotto-dolcezza, per diventare poi, attraverso il suo packaging, un’arma d’offesa/difesa. È un falso, naturalmente, eppure, grazie all’ambiguo connubio tra violenza e dolcezza, i giovani consumatori inizieranno a prendere dimestichezza con la volatilità dei sentimenti e con l’assenza di certezze nel mondo reale. Quest’arma zuccherina può dare al tempo stesso la sensazione di forza e bontà, trasformando ogni bambino in un novello Robin Hood. E come il famoso personaggio ogni bimbo, spalmando un po’ di “dolce” sul viso del compagno di banco, potrà attraversare agilmente quel sottile confine che separa l’ingenua crudeltà dall’estrema bontà. Ora, il settore dei giochi è guidato da regole davvero molto speciali, ma per tutti gli altri prodotti resta solo un dubbio: il packaging è davvero solo un contenitore senza altra responsabilità che la protezione delle merci?
Maria Gallo designer, coordinatore del master in Packaging design 2006 presso l’Istituto Europeo di Design (Milano).
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The Invisible Safety of the Pack Not only does “good packaging” save the product, but also the feeling with consumers. Maria Gallo
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We’ve spoken about “immaterial” elements of a pack many times, with special reference to brand communication, the product used to convey cultural messages, etc. Now, even when talking about safety one simply can’t avoid noticing that, as well as the chemical/physical properties of a product, “good packaging” is designed to safeguard certain invisible, intangible elements, such as aromas, flavours, colors, the general aspect of the product and even the feeling that links it to each consumer. Aromas, for example, can be a pleasant experience, if a perfume, but things change dramatically if they’re too strong and pervasive, invading the surrounding atmosphere. The producer of Roquefort Société - the cheese with its strong aroma that one either loves or hates - is an expert on the matter. Those who hate this particular cheese are quite happy to dine (temporarily) in the presence of the cheese, but once the wrapping has been opened
and the cheese is left in the fridge, its strong aroma pervades and invades every other item in the fridge. Full merit, therefore, to the Roquefort Société packaging solution: a two-level pack plus foam cushion for virtually hermetic sealing. On the other hand, when the flavour and aroma are the object of veneration, as in the case of cigars, the consumer feels that the producer has a sort of moral duty to avoid any loss in intensity and quality. The individual aluminium screw-top pack used by certain brands, plus the classic cellophane wrapping, has the defect of making the product less visible, but at the same time it protects the cigar from light and lost aroma, meaning that it should guarantee quality for loyal consumers. We’ve used the conditional tense here as, in practice, once the cigar has reached its destination safely, it has to face (like all other products) the harsh shock of reality and the foibles of the smoker, plus the fact that each individual perceives the flavours and aromas differently... meaning that it’s practically impossible to guarantee that the cigars have a single, uniform flavour/aroma. Packaging becomes deceptively discrete and silent (even mimetic), when the aesthetic aspects of the product need to be guaranteed, something that’s very important for the Japanese market. Colorful-ru chewing-gum, for example, have their main characteristic embodied in their name, an absolute priority. In this case, what the company’s actually
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selling isn’t a new fruit flavour or less sugar and low calories, but rather a color experience. The main value to be protected is therefore the availability of the chewing-gum in a range of colours and organised by shade, ranging from light beige to dark burgundy. It’s thus worth the risk of over-packaging to guarantee stable positioning of the product. Thus, as well as an external wrapper (naturally transparent), the pack also includes a tiny plastic rack that forces the chewing-gum into a sorted order, from the moment of packaging to final and complete consumption. In the pharma industry, product safety (chemical and physical) is, of course, crucial and unavoidable. In fact, administration methods over recent years have been dictated, to a certain extent, by the packaging. For example, if we recall the old classic glass pipette. However, if we want to consider invisible immaterial safety, which deals with consumer psychology and his/her feeling for the product, we shouldn’t be surprised by the criticism coming from women for a certain type of packaging. This has happened with certain contraceptive pills, while perfectly guaranteeing the product, the producers had started to eliminate the use of the printed calendar that used to help women to take the Pill regularly. Even if each woman is aware that certain guarantees – such as memory – are intangible and uncertain (as it’s a given fact that all women have forgotten to take
the Pill at least once). Even the younger consumers, who aren’t accustomed to the traditional use of the product, have criticised this move, calling it psychological terrorism: their mental certainty was obvious compromised. To conclude, maybe it’s just the infancy sector that can allow to play with the perception of safety. The huge lollipop disguised as a space weapon is conceived as a sweet-product and then, via its packaging, a weapon for attack/defence. Of course, it’s not true, and yet thanks to this combination of violence and sweetness, young consumers start to become familiar with the volatility of feelings and the absence of certainty in the real world. This sugary weapon can, at the same time, offer a feeling of strength and goodness, turning each child into a new Robin Hood. So, like this famous character, each child can spread a bit of “sweetness” on the face of his classmate and so ably cross the thin line that separates naive cruelty and extreme goodness. The toy industry today is governed by some special rules these days, but there’s still a doubt for all the other products: is packaging really just a container without any other responsibility, apart from the protection of the goods within? Maria Gallo designer, Co-ordinator for the Master in Packaging Design 2006 at the Istituto Europeo di Design (Milan).
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Design Group Italia
Da “Tratto Pen” a “Vallelata”, la cultura dell’italian industrial design dagli anni settanta ad oggi. Sonia Pedrazzini
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Design Group Italia si è formato a Milano nel lontano1968. Lo studio si è sempre caratterizzato per la progettazione di prodotti di largo consumo, “apparentemente” anonimi, ma attentissimi alla funzionalità dell’oggetto e alla sua ergonomia. A riprova di ciò la storia del “gruppo” è stata costellata di successi internazionali, confermati, spesso, dai più importanti riconoscimenti ufficiali nel settore del progetto, come i due Compassi d’Oro vinti rispettivamente nel 1979 e nel 1981 per il popolarissimo Tratto Pen della FILA e per l’Interruttore Megamax di ABB SACE. Design Group Italia - diretto oggi da Edgardo Angelini, Ross De Salvo,
Sigurdur Thorsteinsson e Gabriele Zecca - è composto da 23 persone ed è organizzato in cinque divisioni che spaziano dall’industrial design al “brand e design strategy”, dalla grafica e packaging al “FoodLab: design del cibo” fino al “KidsLab: design dei prodotti per il mondo del bambino”. La sua struttura - flessibile e articolata - e il metodo di affrontare ogni progetto, permettono a Design Group Italia di offrire un servizio globale che comprende tutti gli aspetti della consulenza progettuale. Tra i principali clienti si possono annoverare sia le grandi realtà multinazionali come Galbani, Kraft, 3M, Unilever, Barilla, Artsana, Chiesi Farmaceutici, sia quelle aziende più piccole e meno complesse ma sempre volte all’eccellenza e all’innovazione, quali Magis, Etto, Blue Lagoon Iceland. Intervistiamo Gianfranco Trivulzio, dal 2001 responsabile della Divisione Packaging Design oltre che docente presso la NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano. Qual è la vostra filosofia e quale approccio metodologico utilizzate nei vostri lavori? In controtendenza rispetto agli altri studi di progettazione, maggiormente legati ad un proprio specifico linguaggio espressivo, Design Group Italia ha sviluppato negli anni un approccio creativo e progettuale tagliato su misura per i diversi clienti, attraverso l’analisi degli scenari strategici di mercato, le tecnologie di produzione e l’immagine. L’agenzia si distingue per la capacità di progettare in settori eterogenei e per mercati tra loro molto distanti. Ciò è reso possibile da un approccio al progetto che si è via via consolidato fino ad assumere tutti i caratteri di un metodo. Il punto di partenza è sempre lo studio dei registri linguistici e valoriali propri di ogni mercato, l’analisi dei trend e l’individuazione del posizionamento dei marchi e dei prodotti.
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Il punto di arrivo può essere - a seconda del processo di innovazione che si vuole attivare - una nuova identità di prodotto, una “design strategy”, (le linee guida per la progettazione di un’intera collezione di prodotti) o una nuova identità di brand, con una nuova comunicazione, un nuovo packaging ecc., e con l’utilizzo di linguaggi e stilemi coerenti ai valori dell’azienda e all’immaginario dei futuri utilizzatori. Un aspetto rilevante nei nostri lavori, è legato al fatto di poter interagire al meglio con i vertici delle aziende. Solo una stretta collaborazione fra agenzia, marketing, ricerca e sviluppo delle società permette di sviluppare in modo ottimale i progetti. Questo è uno dei motivi per cui consideriamo anche di primaria importanza la visita degli
stabilimenti di produzione di chi ci commissiona il brief, in quanto ci permette di capire tutte le problematiche alla base. Nel caso specifico del packaging design abbiamo le capacità di lavorare, oltre che sull’aspetto creativo legato alla grafica, anche su quello legato al technical packaging potendo contare su un reparto di progettazione molto specializzato in grado di fornire al cliente il file 3D per realizzare un nuovo imballo. Negli ultimi anni Design Group Italia ha assecondato la vocazione a seguire tutti gli aspetti del progetto e ha dato vita al proprio interno a funzioni specialistiche multidisciplinari per far convergere diverse culture teoriche e applicative come il design, la grafica, il marketing, la conoscenza delle tecnologie di produzione e dei materiali. Quanto è importante fare un progetto innovativo? Fare innovazione di prodotto non è di per sé sufficiente per fare del “buon design”. Fare innovazione significa intercettare le tendenze culturali globali e le modalità di vita quotidiana per poi tradurle in un progetto-prodotto capace di stabilire un rapporto razionale, emotivo, sensoriale e valoriale con il proprio utilizzatore. Ad esempio, nello sviluppo di un nuovo packaging, consigliamo sempre al cliente anche un progetto di “visual identity”, per
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Uno dei vostri dipartimenti è il FoodLab, di cosa si tratta? FoodLab nasce nel 2004, grazie a Gabriele Zecca, manager di decennale esperienza nel settore del Consumer Marketing (ha collaborato con multinazionali quali Danone e Barilla) per offrire sevizi di consulenza e progettazione alle aziende del comparto alimentare; un’altra attività di FoodLab è quella di proporre nuovi prodotti e nuovi packaging per mettere al servizio del consumatore quello che “vorrebbe, ma non può” coerentemente ai valori del brand. In questo breve spazio di tempo (è passato poco più di un anno) abbiamo lavorato per Barilla, Galbani, Conserve Italia e Kraft. Alcuni prodotti sono già sul mercato come i package della Certosa Galbani o i grissini Raggianti di Mulino Bianco; mentre altri sono in fase di test o industrializzazione.
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individuare l’area nella quale concentrare le proposte della nuova grafica. Riteniamo infatti di primaria importanza la fase di ricerca e di identificazione del posizionamento di una brand sul mercato. Questa metodologia ci consente di individuare al meglio l’area nella quale il marchio è presente all’inizio del progetto e l’area verso la quale vuole entrare con la nuova immagine. Tutto ciò è importante anche nel caso in cui il cliente voglia semplicemente modernizzare la propria identità di prodotto, senza effettuare un posizionamento differente perché, grazie a questa tecnica, individuiamo i trend verso i quali si muove il mercato e possiamo stabilire la strategia più adatta per ottenere il rinnovamento richiesto.
Quando affrontate un nuovo progetto di packaging, quali sono le specifiche più richieste da parte del cliente? Dovete occuparvi anche di aspetti più tecnici connessi al problema della sicurezza? Per quanto riguarda i nostri progetti, i brief che ci vengono dati dal marketing delle varie aziende in genere non prevedono particolari attenzioni al problema della sicurezza, o, quanto meno, non siamo consultati riguardo ad esso perché già precedentemente risolto dall’azienda produttrice dell’imballaggio con il cliente stesso. Talvolta però forniamo indicazioni sulla possibilità di utilizzo di nuove tipologie di package o di nuovi materiali; possiamo farlo grazie al fatto che siamo sempre in contatto con i vari produttori di imballaggi e siamo quindi attenti alle loro nuove proposte. Altre volte ci viene richiesta consulenza, oltre che sul design degli imballi e sulla loro relativa vestizione grafica, anche sulle possibilità di trovarne e adottarne di più funzionali e fruibili, oppure sull’utilizzo di tecnologie e materiali innovativi.
Entrando più nello specifico del tema sicurezza, quali sono, secondo la vostra esperienza, le normative o gli standard di riferimento che le aziende utilizzano maggiormente per garantire i loro imballaggi? Trent’anni fa, per quel che riguarda la sicurezza, venivano rispettate le normative e gli standard di riferimento solo sul prodotto finito; in questo modo, però, non si controllava ciò che avveniva a monte. Questo, logicamente, limitava molto la possibilità di garantire che i prodotti, una volta giunti alla distribuzione, fossero realmente sicuri. Dal 1993, invece, in Europa, tutto il settore alimentare deve obbligatoriamente applicare i principi dell’HACCP (Analisi dei Rischi e dei Punti Critici di Controllo). Questa tecnica, che si basa sul semplice postulato che “prevenire è meglio che curare”, era stata sviluppata negli Stati Uniti negli anni Sessanta, in collaborazione con l’industria chimica. Dopo qualche anno fu utilizzata anche dall’industria alimentare che doveva produrre i cibi che avrebbero consumato gli astronauti della Nasa
identi-kit durante le loro missioni. Il sistema HACCP si basa sul fatto di iniziare le verifiche fin dal primo anello della produzione di un alimento, inclusi lo studio delle materie prime degli imballaggi, le tecniche di lavorazione, la stampa, fino alla distribuzione e alla vendita. L’HACCP si basa su controlli specifici e sistematici delle procedure di produzione per individuare tutti i rischi potenziali. Tutto ciò - senza addentrarci in argomenti troppo tecnici - permette di suddividere le produzioni in categorie di rischio e quindi di gestire al meglio il processo. Il passo successivo è definire i punti critici di controllo (CCP). I CCP rappresentano le zone lungo la catena produttiva dove intervenire con le verifiche per ridurre al minimo eventuali rischi potenziali. A seconda delle situazioni sono previsti piani di intervento immediati sulla produzione per eliminare all’origine eventuali problemi. Questo sistema di controllo fa sì che le aziende, per rispettarlo, debbano studiare la propria linea produttiva per individuare quelli che sono i punti critici, poterli monitorare e provvedere quindi a rispettare le normative.
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Per quanto riguarda il packaging, quali sono i vostri progetti più interessanti, quelli che meglio vi rappresentano? Recentemente abbiamo sviluppato per Barilla varie proposte di prodotti da forno in cui abbiamo dovuto pensare a tutta una serie di innovativi sistemi di apertura, chiusura e fruizione. Per la nuova linea Vallelata Galbani abbiamo suggerito - per la prima volta in questa tipologia merceologica l’adozione dello sleever. L’alta qualità di stampa di questo supporto ha permesso l’utilizzo della fotografia per riprendere il prodotto reale (prima era
solo disegnato), consentendo così di evidenziare al meglio le caratteristiche dell’alimento e di enfatizzarne l’appetizing. Anche il logo Vallelata ha subito una serie di cambiamenti (l’utilizzo di una sfumatura di due verdi e al leggero effetto tridimensionale) che lo hanno modernizzato pur mantenendo una continuità col precedente. È recente lo sviluppo di alcuni progetti, che riteniamo molto interessanti, per i marchi Scotch-Brite e Scotch, in collaborazione con il Design Center 3M. Per Scotch-Brite abbiamo realizzato una serie di prodotti per la pulizia della casa molto innovativi e “intelligenti”. Questo progetto ha richiesto l’individuazione di una nuova brandidentity per poter adattare l’identità del marchio alla nuova tipologia di prodotti mantenendo allo stesso tempo una continuità con i valori precedenti. Scotch-Brite significa “pulizia intelligente” e questo concetto, riferendoci ai nuovi packaging, è stato
identi-kit espresso grazie ad una grafica
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basata sulla seguente designstrategy: - continuità dei valori del brand Scotch-Brite (il logo è mantenuto su sfondo verde, grafica pulita e fresca) - immagine premium dovuta ad un’elegante grafica monocromatica - carattere “friendly” grazie ai testi che descrivono il prodotto dalla leggibilità chiara e semplice. Per Scotch, invece, abbiamo realizzato lo studio CMF (colori, materiali e finiture) e il packaging per un nuovo dispenser per nastro adesivo. La possibilità di seguire entrambi questi aspetti ci ha permesso di integrare al meglio l’estetica del prodotto e il suo packaging giocando, in questo caso, sul contrasto fra i colori molto brillanti e sgargianti del dispenser e il nero del cartoncino del blister. Il prodotto ha così assunto sullo scaffale una forte identità e distinguibilità nei confronti dei marchi concorrenti. Nel settore del packaging cosmetico e del personal care abbiamo sviluppato progetti per Unilever (Rexona, Close-up e Mentadent) e abbiamo realizzato flaconi con il Gruppo Bolton e per Artsana (Chicco, Lycia). Curiamo inoltre il brand Blue Lagoon Iceland, rinomata meta turistica islandese e azienda sempre più qualificata e intraprendente nel settore delle Spa. Per questa società ormai da parecchi anni svolgiamo un’attività totale di coordinamento dell’immagine in modo da rispettare e valorizzare al massimo, in tutta la comunicazione, la Brand Identità: dal prodotto al packaging, dai punti vendita all’advertising, fino ad arrivare alla consulenza sullo sviluppo strategico aziendale. Infine collaboriamo con Etto, qualificato produttore di caschi per biciclette scandinavo, per il quale abbiamo realizzato una nuova linea di caschi ed i relativi packaging, la cui caratteristica, tanto per ritornare al tema di partenza, è quella di
comunicare la “sicurezza scandinava”. Per Etto questo concetto è di fondamentale importanza, tanto che abbiamo deciso di farlo diventare parte integrante del Brand, riportandolo scritto, insieme al logo Etto, ogni volta che questo compare. La grafica dei package sfrutta l’idea di associare per ognuna della 4 linee di modelli, alcuni elementi naturali che ne richiamano le caratteristiche: per la linea Classic, che deve rappresentare i modelli più tradizionali, ci siamo rifatti all’immagine del legno; per la linea Lady/Girl, che deve sottolineare l’estetica e i colori femminili, ci siamo ispirati ai fiori; per la linea Kid, caschi per bambini dalla grafica divertente e giocosa, abbiamo ripreso l’immagine del prato e della farfalla; ed infine, per la linea Estreme, che deve assolvere alle massime prestazioni in fatto di robustezza e sicurezza, abbiamo usato l’iconografia delle pietre
Sonia Pedrazzini, è product designer specializzata nel settore packaging cosmetico. Si occupa di teoria e cultura del packaging.
identi-kit
Design Group Italia From “Tratto Pen” to “Vallelata”, the Italian industrial design culture from the seventies until today. Sonia Pedrazzini
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Design Group Italia was formed in Milan way back in 1968. The studio has always featured for its design of fast moving consumer products, “apparently” anonymous but with a careful eye to the functions of the object and its ergonomy. As proof of this the history of the “group” is dotted with international successes, often confirmed by important official acknowledgements in the design sector, such as the Compassi d’Oro won respectively in 1979 and in 1981 for the extremely popular Tratto Pen by FILA and the Megamax switch for ABB SACE. Design Group Italia - headed today by Angelini, Ross De Salvo, Sigurdur Thorsteinsson and Gabriele Zecca - is constituted by 23 persons and is organized in five divisions that range from industrial design to “brand and design strategy”, from graphics to packaging to “FoodLab: food design” up to “KidsLab: design of products for infants”. Its structure - flexible and complex - and the way of tackling each project, enables Design Group Italia to offer a global service that comprises all the aspects of design consultancy. Its main customers include both huge multinational concerns such as Galbani, Kraft, 3M, Unilever, Barilla, Artsana, Chiesi Farmaceutici, as well as work for the smaller and less complex concerns all the same with a vocation for excellence and innovation, such as Magis, Etto and Blue Lagoon Iceland. We here interview Gianfranco Trivulzio, since 2001 head of the Packaging Design Division as well as teacher at the NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) Milan.
What is your philosophy and what methodological approach do you use in your work? Going against the prevailing trends in other design studios, more closely linked to their own specific expressive language, Design Group Italia has over the years devised a creative and design approach suited to the various customers, through the analyses of the strategic scenarios of the market, production and image technologies. The company stands out for its design capacity in heterogeneous sectors and for markets that are poles apart from each other. This is made possible by a design approach that has become consolidated up to taking on all the characteristics of a method. The starting off point is always the study of linguistic and value registers pertaining to each and every market, analyses of the trends and a reading of the positioning of brands and products. The goal may be - according to the innovation process that one wishes to resort to - a new product identity, a “design strategy”, (the guidelines for the design of an entire collection of products) or a new brand identity, with a new communication, a new packaging etc., and with the use of languages and stylistic elements coherent with the values of the company and the imagery of the future users. An important aspect of our work is associated with the fact of being able to best interact with company management. Only a close cooperation between the agency, the marketing and R&D of the company enables an optimum development of the projects. This is one of the reasons why we also consider a visit to the production works of those who commission the brief of primary importance, inasmuch as it enables us to understand all the basic problem. In the specific case of packaging design we also, beyond the creative aspect linked to graphics, have the capacity to work on that linked to technical packaging, being able to count on a highly specialised design segment capable of providing
identi-kit the customer with the 3D files for creating the new packaging item. Over the last years Design Group Italia has fulfilled its vocation of following all the aspects of the project and has set up specialist multidisciplinary functions within its organization to enable the convergence of different theoretical and applicative approaches such as design, graphics, marketing, production technology and material knowhow. How important is it to create an innovative project? Product innovation is not in itself sufficient for carrying out “good design”. Being innovative means intercepting the global cultural trends and daily ways of life to then translate them into a project-product capable of establishing rational, emotional, sensorial and value relations with ones own users. For example in developing new packaging, we always also advise our customer to follow a visual identity project, so as to locate the area where we need to concentrate the proposals of the new graphics. We in fact consider the phases of research and identification of the positioning of a brand on the market of primary importance. This methodology enables us to best identify the area in which the brand is present at the beginning of the project and the area it wishes to enter with its new image. All this is important also should the customer simply wish to modernise his own product identity, without changing the positioning because, thanks to this technique, we are able to locate the trends that indicate the direction the market is heading, allowing us to establish the strategies most suited for obtaining the wished for revamping.
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One of your sections is the FoodLab: what is this exactly? FoodLab came into being in 2004, thanks to Gabriele Zecca, manager with a decade of experience in the Consumer Marketing sector (he has worked with multinationals such as Danone and Barilla) to offer consultancy and design services to companies in the food segment; another activity of FoodLab is that of proposing new products and new packaging to offer the consumer what they would love to have but reckon they can’t afford, this coherent with the brand values. In this brief stretch of time (a little more than a year has gone by) we have worked for Barilla, Galbani, Conserve Italia and Kraft. Some products are already on the market like the
Certosa Galbani packaging or the Mulino Bianco Raggianti breadsticks; while others are undergoing testing or industrialisation. When you tackle a new packaging project, what are the specifications most demanded by the customer? Do you also have to deal with the more technical aspects related to problems of safety? As far as our projects are concerned, the briefs given to us from the marketing sections of the various companies generally do not include special attention to problems of safety, or at least, we are not consulted as regards the same because these problems have already been solved by the company producing the packaging along with the selfsame customer. Entering more specifically into the subject of safety, what, according to your experience, are the main standards and guidelines that the companies use most to guarantee their packaging? Thirty years ago, as far as safety is concerned, the standards and guidelines only applied to the finished product; though in this way there was no control over the processes upstream. This logically did a lot to limit the possibilities of guaranteeing that the products, once they reached distribution, were really safe. In 1993 in turn in Europe all the food sector had to obligatorily apply HACCP (Hazard Critical Control Point) principles. This technique, that is based on the simple postulate of “preventing is better than curing”, was developed in the US in the sixties, in cooperation with the chemical industry. After some years or so it was also used by the food company that had to produce food that was to be consumed by Nasa astronauts on their missions. The HACCP system is based on the fact of starting the checks right from the first ring of food production, including the study of the packaging raw materials, the processing techniques as well as print, up to distribution and sales. HACCP is based on specific and systematic controls of the production procedures to locate all potential risks. All this without going too much into technical matters means ones output can be divided up into risk categories hence enabling one to run the process to ones best. The step following that is to define the CCPs or critical control points.
identi-kit The CCPs are the areas along the production chain where one can carry out checks to reduce any potential risks to a minimum. Depending on the situation plans of immediate intervention on production are laid out to eliminate any possible problems at source. This system of control means that the companies, in order to respect the same, have to study their own production lines to locate the critical points, to be in a position to monitor them and hence see that the standard is respected.
Lastly we work with Etto, qualified Scandinavian producer of cycle helmets, for whom we have created a new line of helmets and the relative packaging, the characteristic of which, to go back to the subject we started out with, is that of communicating “Scandinavian safety”. For Etto this concept is of fundamental importance, to the point that we have decided to make it an integral part of the Brand, with a special wording to accompany the Etto logo in all occasions. The packaging graphics exploits the idea of associating some natural elements with 4 lines of models that embody their characteristics: for the Classic line, that has to represent the most traditional models, we used wood as an image; for the Lady/Girl line, that has to underline the aesthetics and feminine colors, we drew our inspiration from flowers; for the Kids line, helmets for children with joyful, fun graphics, we turned to the image of the field and the butterfly; and lastly, for the Extreme line, that has withstand maximum performance in terms of sturdiness and safety, we used the image of stone.
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Sonia Pedrazzini is product designer specialised in the cosmetic packaging sector. She deals in theory and culture of packaging.
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As far as packaging is concerned, what are your most interesting projects, those that best represent you? Recently we devised for Barilla various bakery product proposals where we had to think of a whole series of innovatory opening, closing and systems of using the products. For the Vallelata Galbani line we suggested - for the first time in this product type - the adoption of the sleever. The high print quality of this support enabled the use of photographs of the actual product (before that only drawings of the same were used), thus enabling us to best highlight the characteristics of the food product and to emphasise its appetising appeal. The Vallelata logo has also undergone a series of changes (the use of a shade of two green and a slight 3D effect) that modernised the same while keeping up the continuity with the preceding model. We have recently devised some projects that we consider very interesting for the Scotch-Brite and Scotch brands, in cooperation with the 3M Design Center. For Scotch-Brite we created a series of products for cleaning the home that are very innovative and intelligent”. This project demanded the locating of a new brand-identity to be able suit the identity of the brand to the new type of products at the same time keeping up a continuity with the preceding values. Scotch-Brite means “intelligent cleaning” and this concept, referring to the new packaging, was expressed thanks to a graph based on the following design-strategy; - continuity of the values of the brand Scotch-Brit (the logo is still on a green background, neat and fresh graphics), premium image thanks to an elegant monochromatic graphics, -“friendly” character thanks to the wording that describes the product in a clear, simple and readable manner. In turn for Scotch we did a CMF (colors, materials
and finishes) study and the packaging for a new adhesive tape dispenser. The possibility of following both these aspects has enabled us to integrate the product aesthetics and its packaging to the best, on this occasion playing on the contrast between the bright, garish colors of the dispenser and the black cardboard of the blister. This as given the product a strong shelf identity, standing out against the competitor brands. In the cosmetic packaging sector and in personal care we have developed projects for Unilever (Rexona, Close-up and Mentadent) and made flacons for the Bolton Group for Artsana (Chicco, Lycia). We also look after the Blue Lagoon Iceland brand, a famous Icelandic tourist attraction as well as evermore qualified and enterprising concerns in the Spa sector. For these companies for many years now we have been carrying out a total activity of image coordination so as to respect and exploit their Brand Identity in all communication: from the product to the packaging, from the salespoints to advertising, up to consultancy on strategic company development.
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Cao Fei Black widows, 2005
Emergency
A Grozny l’arte è clandestina. In una città ancora oggi asserragliata dalla guerra, abbandonata dalla Comunità Internazionale e dimenticata dai media, una biennale d’arte contemporanea sembrava pura utopia. E invece… 1/06
Giada Tinelli 75
show box
1. Wang Du, Missile, 2005 2. Damian Ortega, Terre libre, 2005 3. Adriana G. Galan, Transfer, 2005
Una biennale itinerante, con opere clandestine nascoste in grandi valige in viaggio per la Cecenia: nata da un’idea della curatrice Evelyne Jouanno, Emergency Biennale è un progetto innovativo e sovversivo dalla storia travagliata. Il concept ha avuto origine da una collaborazione con la biennale di Mosca, in cui si pensò ad una mostra sul travestimento ove gli artisti potessero svelare la loro opera attraverso il camouflage. Quando però alcuni problemi organizzativi stavano per compromettere il tutto, in un momento di sconforto la curatrice avrebbe esclamato “sarebbe più semplice organizzare una biennale in Cecenia!”. Detto, fatto. L’iniziativa è stata ripensata come Emergency Biennale ed è diventata un progetto itinerante e in continua evoluzione con lo scopo di riportare sulla scena il dibattito internazionale. Gli artisti partecipanti sono stati invitati a creare la loro opera in duplice copia e in formato “portatile”, in modo che il pezzo potesse essere contenuto in una valigia per essere spedito clandestinamente in Cecenia. Emergency ha inaugurato il 23 febbraio 2005, al Palais de Tokyo di Parigi e in vari luoghi a Grozny, e terminerà nel febbraio 2007 proprio nella capitale cecena. La mostra a Grozny è uno specchio della biennale in tour: tra le tappe 1.
italiane il Museion di Bolzano e l’Isola Art Center a Milano. Le prossime tappe internazionali saranno Calcutta, New York, Bogotá e Vancouver: a ogni passaggio partecipano nuovi artisti che, proseguendo l’idea iniziale, spediscono una copia della loro opera a Grozny. Il nome “biennale” è in realtà una provocazione per le grandi istituzioni dai budget colossali che spesso, per far funzionare la macchina organizzativa, dimenticano di illustrare le novità della scena artistica contemporanea; questa mostra invece è stata realizzata con un budget minimo e in meno di tre mesi. Inoltre le biennali internazionali tendono a emarginare i contesti geopolitici più problematici, quelli in cui la società vive quotidianamente in situazioni di guerriglia, dove i diritti umani passano in secondo piano e l’arte è da tempo dimenticata: in realtà è proprio in zone come la Cecenia che la mobilitazione degli artisti è urgente e necessaria. Il tema del rischio ha caratterizzato il progetto fin dalla sua nascita, e il trasporto del tutto inusuale delle opere è un unicum nel suo genere: delle valige spedite, contenenti i lavori degli artisti, la prima è arrivata in Cecenia a metà febbraio, in tempo per l’inaugurazione, mentre la seconda, inviata nei giorni 2.
3.
Enzo Umbaca Check-in at the airport, Milano-Tirana, 2005
show box dell’attentato di Londra, è tornata a Parigi due settimane dopo con alcune opere seriamente danneggiate ed una addirittura mancante: un passaporto in bianco realizzato Mathieu Briand. Una curatrice-partner cecena ha affermato: “È certamente il più bel regalo offerto alla mia gente da più di dieci anni; questo progetto potrebbe rappresentare la prima grande svolta sulla via della pace”. Tra gli artisti che hanno partecipato abbiamo intervistato Enzo Umbaca, che ha esposto Check-in at the airport. Intanto, perché hai partecipato a Emergency Biennale, e cosa ti ha attirato nel progetto? Ho partecipato a questa biennale perché ha l’obiettivo molto preciso di essere politica, con lo scopo di divulgare la causa del popolo ceceno asserragliato dal potere e dalla mancanza di informazione. È concepita come un bagaglio mobile di progetti stimolanti, un omaggio all’umanità, argomento che mi sta a cuore. Se c’è veramente da interrogarsi sul senso e sull’utilità delle molteplici biennali, per molti aspetti anche discutibili, questa ha fatto “scacco matto” ed è senza dubbio la più economica e ricca di inventiva.
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Parlaci del tuo progetto: in cosa è consistito esattamente il tuo lavoro? Sono uno degli artisti che si è aggiunto per la tappa a Milano; quando mi è stato comunicato l’invito a partecipare, ero appena ritornato dalla biennale di Tirana. L’immagine
in mostra è una foto che mi ritrae al check-in del volo in partenza MilanoTirana, all’aeroporto di Malpensa; il bagaglio a mano è una valigia simile a una custodia musicale: una sagoma stilizzata a forma di bambino che è stato esposto insieme agli altri bagagli spediti precedentemente, valige a forma di figure adulte stilizzate. Insieme alle curatrici si è deciso di mostrare la foto del checkin, mi sembrava perfetta, ho dovuto solo pagarmi la stampa. A livello personale, come vivi il tema della sicurezza connesso al suo opposto, il rischio e la paura? Non condivido nessuna delle forme di controllo utilizzate per evitare un possibile attacco terroristico, né tantomeno le simulazioni di soccorso e di efficienza organizzativa post attacco. Ci sono alcuni amici che a volte, riferendosi alle mie performance in metropolitana (come Survival, 1999, un intervento nella metro di Milano e Roma esattamente nello stile dei mendicanti extracomunitari per parlare però di arte, Ndr), mi dicono che quando si trovano in metro immaginano di incontrarmi all’improvviso mentre sto facendo un’azione. Ecco, più o meno è la stessa sensazione che spesso provo anch’io quando vado in metro: mi aspetto da un momento all’altro di essere spettatore di un attacco terroristico. Ma poi però pensando alle simulazioni post attacco, mi distraggo e tiro un sospiro di sollievo! Preferisco viverla così.
show box
Emergency At Grozny art is underground. In a city still barricaded up by war, abandoned by the International Community and forgotten by the media, a contemporary art bienniale seemed pure utopia. And yet… Giada Tinelli
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The show in Grozny mirrors the biennale on tour: venues in Italy include the Museion, Bolzano and
To start off, why did you take part in the Emergency Biennale and what drew you to the project? I took part in this biennale because it has the very precise objective of being political, with the purpose of divulging the cause of the Chechen
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An itinerant biennale, with secret works concealed in huge cases travelling to Chechnya: born out of an idea of the curator Evelyne Jouanno, Emergency Biennale is an innovatory and subversive project with a tormented history. The concept came out of a cooperation with the Moscow Biennale, the idea being to organize a show on disguise where the artists could reveal their work through camouflage. When though some organizational problems were about to compromise everything, in a fit of depression the curator is said to have exclaimed “it would be a lot simpler organizing a biennale in Chechnya!”. No sooner said than done. The undertaking was reconceived as Emergency Biennale and has become an itinerant program that is constantly evolving with the purpose of bringing the international debate back onto the scene. The artists taking part were invited to create their works in double copies and in “portable form”, so that the piece could be contained in a case to be secretly sent to Chechnya. Emergency was inaugurated 23rd February 2005 at the Palais de Tokyo, Paris and in various places in Grozny, and will end February 2007 in the Chechen capital.
the Isola Art Center, Milan. The coming international stages will be Calcutta, New York, Bogotà and Vancouver: at each stage new artists join in that, continuing the initial idea, send a copy of their work to Grozny. The name “biennale” is in actual fact a provocation for the huge institutions with colossal budgets that often, to get the organizational machine moving, forget to illustrate the new features of the contemporary artistic scene, this show though has been put together on a minimum budget and in less than three months. As well as that the international biennales tend to overlook the more problematic geopolitical contexts, those in which society lives in a daily situation of guerrilla warfare, where human rights are pushed into second place and art has been forgotten some time back: in actual fact it is in the very areas like Chechnya that the mobilising of artists is urgent and necessary. The theme of risk has characterised the project right from the outset, along with the totally unusual transportation of the works, unique in its kind: cases sent containing the artists’ work. The first arrived in Chechnya mid February, in time for the inauguration, but the second, sent off on the day of the London terror attacks, returned to Paris two weeks afterwards with some works seriously damaged and one even missing: a blank passport created by Mathieu Briand. A Chechen curatorpartner stated: “It is certainly the nicest gift that has been offered to my people for more than a decade; this project could constitute the first great turning point on the road to peace”. Among the artists that took part we interviewed Enzo Umbaca, who exhibited Check-in at the airport.
show box
people barricaded up by power and by the lack of information. It is conceived as a mobile a collection of stimulating projects, a homage to humanity, something that is close to my heart. If one should really interrogate oneself as to the sense and the usefulness of the many biennales, questionable on many sides, this one constitutes a sort of “checkmate� and is without a doubt the most economical and the most inventive.
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Tell us about your project: what does your work consist of exactly? I am one of the artists that joined at the Milan stage; when I got the invitation to take part, I had just come back from Tirana. The picture on show is a photo that shows me at the check-in for the outgoing Milan-Tirana flight at Malpensa airport; my hand-luggage is a case that looks a bit like an instrument case: a stylised form in the shape of a child that was put on show along with other baggage sent previously, cases in the shape of stylised adults. Along with the curators it was decided to show the photo of
the check-in, it seemed perfect to me, I only had to pay for the print. At a personal level, how do you experience the subject of safety related to its opposite, risk and fear? I don’t go along with any of the forms of control used to stave off a possible terrorist attack, nor with the simulated post-attack rescue operations and show of organizational efficiency. There are friends of mine that at times, referring to my performances in the metro (like Survival, 1999, a piece in the metros of Milan and Rome exactly in the style of immigrant beggars though speaking of art, E.n.), tell me that when they are in the metro they think they might suddenly meet up with me while I am doing my piece. This is more or less the same feeling I get when I too go on the metro: I expect to witness a terrorist attack from one moment to the next. But then, thinking of the post-attack simulation, my attention wavers and I heave a sigh of relief! I prefer experiencing things that way.
school box
Pack Design allo IED Per il secondo anno si è concluso il Master RSP in Packaging Design 2005 organizzato dall’Istituto Europeo di Design di Milano. Anche quest’anno i progetti degli studenti sono stati svolti in collaborazione con aziende del settore, produttori di packaging e grandi marchi internazionali, come Pibiplast, LineaGraf, Saint-Gobain Vetri e Acqua Norda. La partnership tra scuola e aziende e la metodologia di lavoro adottata hanno permesso di raggiungere un buon livello di realizzazione, così che molti sono stati i progetti selezionati per ulteriori sviluppi e possibili produzioni. I temi svolti hanno abbracciato settori diversi, dal pack in plastica per il Bodycare, a quello del vetro per il food o la profumeria, senza escludere l’ambito dell’imballaggio in carta e materiali cellulosici.
Pack Design at the IED Sharon Hassan - Bottiglia di vetro per Acqua Norda destinata al canale Ho.Re.Ca. Glass bottle for Acqua Norda for Ho.Re.Ca. chain. Tinna Petursdottir - Flacone per detergente intimo. Azienda: Pibiplast. Flacon for intimate detergent. Company: Pibiplast.
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Raquel Collell Salcedo - Bottiglia di profumo. Concorso indetto dalla rivista Cipria, Sfera Editore. Perfume bottle. Competition set up by the magazine Cipria, Sfera Editore.
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For the second year running the RDP Master in Packaging Design 2005, organised by the Istituto Europeo di Design, Milan, has drawn to a close. This year the student’s projects were carried out in cooperation with companies of the sector, packaging producers and big international brands, such as Pibiplast, LineaGraf, SaintGobain Vetri and Acqua Norda. The partnership between schools and companies and the work methodology used have enabled a good level to be attained, to the point where many projects have been selected for further development and possible manufacture. The subjects tackled covered various sectors from plastic packs for Bodycare to glass ones for food and perfumery, without excluding the sphere of packaging in paper and cellulose materials.
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La mostra SAFE. Design takes on risks, curata da Paola Antonelli e conclusasi al MoMA di New York lo scorso gennaio, esponeva più di trecento prodotti e prototipi provenienti da tutto il mondo pensati per la protezione, la sicurezza, la prevenzione, la salvezza, la difesa. Oggetti innovativi, interessanti e, talvolta, anche inquietanti. Insomma, lo stato dell’arte nella pratica del design per arginare (almeno si spera) tutti i rischi che incombono quotidianamente sulle nostre teste. Così, per risolvere il problema degli alloggi in caso di catastrofi naturali, guerre, povertà, etc. ecco, tra gli altri, i rifugi d’emergenza fatti di tubi di cartone e plastica, i gusci protettivi contro le tempeste di sabbia del deserto, le tende gonfiabili per clochard, fino alle giacche a vento
Carolien Vlieger and Hein van Dam, Guardian Angel handbag, 2002 Photo: Vlieger & van Dam
il
Design del Rischio I progetti e i prodotti che ci salveranno dalla fine del mondo. Sonia Pedrazzini
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America Red Cross Oregon Trail Chapter Prepare Oregon, Under the Table Workstation Safety Kit, 2002 Photo: Zachary Netzer
Kazuhiro Hiraishi, The Corner-Cut Carton, 2004 Photo: Akira Kumagai
trasformabili in sacchi a pelo. Per salvaguardarsi dalle tecnologie pervasive e per difendere il senso della privacy, addirittura un kit con tutto l’occorrente per eludere il controllo e la sorveglianza nei luoghi pubblici, inclusi barba e baffi finti e una maschera riflettente per evitare le riprese delle telecamere. E, poiché da sempre la protezione del corpo ha richiesto armature, caschi, guanti, scarpe e accessori vari, tutto questo è stato riproposto alla luce delle odierne tecnologie che consentono materiali leggeri e ultraresistenti; quando poi anche lo stilista ci mette lo zampino, queste bardature diventano originali abiti da passerella e le cablature ottiche intarsiate nella stoffa sembrano decori. Come difendersi dalla microcriminalità? L’iniziativa Design against Crime trova risposta nella filosofia che assegna al design valore di “agente anticrimine” o quanto meno di “dissuasore per
Paul R. Stremple, M. Breuker Cultured Containers, Banana Bunker, 2000
malintenzionati”. E quindi, sedute pubbliche che prevedono agganci per fissare borse e valigie, cartellini al collo delle bottiglie nei ristoranti che avvertono di stare attenti ai ladri, borse mimetiche rinforzate e con sistemi di allarme incorporati. Il design non si risparmia e la difesa della proprietà viene variamente proposta e interpretata in modo sottile e ironico, come ha fatto Matthias Megyeri che, prendendo spunto dalle mura di cinta di giardini e case private, sulla cui cima spesso campeggiano minacciosi frammenti di vetro e bottiglie spaccate, ha proposto un Landscape più strutturato e meno informale, costituito da alberelli di natale, puntali di frecce, stelle e angioletti, piacevolmente monocromatici, in vetro riciclato; oppure come le eleganti borsette in pelle e feltro di
Deborah Adler and Klaus Rosburg, Target ClearRx prescription system, 2004 Photo by Target
design box Carolien Vlieger e Hein van Dam, che mostrano senza troppi sottintesi, le sagome a rilievo del loro pericoloso contenuto: coltelli e pistole. Come dire... “o la borsa o la vita!” Per quanto riguarda il packaging, innumerevoli sono gli esempi di design del rischio, meritevole di attenzione è il progetto del graphic designer Paul Kirps che ha ideato Protekt, un brand immaginario di prodotti utili a proteggere parti del corpo - gambe, braccia, mani, testa ricavati dal riutilizzo creativo degli imballaggi di polistirene comunemente usati per spedire elettrodomestici e apparecchi elettrici. Il suo “set di protezione universale” purtroppo non è in vendita, ma resta una provocatoria proposta grafica per far riflettere sull’utopia della protezione totale. Prodotti reali e già sul mercato sono invece, solo per citarne alcuni, la scatola di cartone senza spigoli di Kazuhiro Hiraishi, per la sicurezza dei bambini; il cuscino gonfiabile della 3M per avvolgere e trasportare oggetti fragili; il curioso pack di plastica colorata di BananaBunker® per conservare al meglio e proteggere dagli urti le banane; i decorativi copri-pacchetti di sigarette, per esorcizzare la minaccia legalizzata “il fumo uccide”. Per le situazioni di emergenza “urbana”, il kit di sicurezza della Croce Rossa
Y. Béhar, E. Tomozy and J. Liden, Tylenol Bottle Concept, 2004 Photo: Robert Schlatter
Americana da tenere sempre sotto la scrivania dell’ufficio e la barella per trasportare infortunati gravi, di Hiroyuki Tazawa, tutta di cartone riciclato, “usa e getta”, da tenere per qualunque evenienza nel bagagliaio dell’auto. A facilitare la consapevolezza del pericolo e, di conseguenza, ad agevolare le operazioni di messa in sicurezza, possono servire anche: segnaletica ben organizzata, informazioni dettagliate, etichette leggibili, istruzioni comprensibili. Un esempio per tutti è il Target ClearRx, un innovativo sistema di packaging ideato da Deborah Adler e Klaus Rosburg che semplifica la lettura delle informazioni sulle confezioni farmaceutiche, troppo spesso criptiche e poco chiare.
Paul Kirps Protekt, 2002-03 Photo: Paul Kirps
Frédéric Ruyant, First-Aid Bag for the French Red Cross, 2001 Photo: Pierre-Yves Dhinaut Andam
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Jackie Piper, Marcus Willcocks, Lorraine Gamman, Stop Thief Ply Chair, 2000. Photo: Marcus Willcocks
design box
Sicurezza Domestica Nella settimana del Design Week a Treviso, il Cladis (Corso di Disegno Industriale dello IUAV) ha organizzato il primo workshop in Design & Domestic Safety. Il progetto, sviluppato in parallelo con la mostra al MoMA Safe: design take on risk, ha visto protagonisti dieci designer internazionali e centocinquanta studenti che hanno inventato nuove soluzioni per comunicare e contrastare il pericolo negli ambienti domestici. Due dei dieci progetti premiati al termine del workshop riguardano
proprio il packaging: il sistema “Pack-stake” - per i prodotti di uso domestico contenenti sostanze nocive - consiste in una chiusura di sicurezza formata da una fascia elastica che avvolge il corpo del flacone ed è caratterizzata da textures differenziate per segnalare i diversi gradi di tossicità. Colori spenti, superfici poco piacevoli, per dissuadere i bambini e per segnalare il pericolo anche agli ipovedenti. Il secondo progetto, Packaging e Cubo Palmiro riguarda i contenitori di
elettrodomestici: a fronte della superficialità con cui troppo spesso gli utenti leggono i libretti di istruzioni e dell'eccessiva complessità dei libretti stessi, i designer hanno scelto di riportare sugli imballaggi informazioni semplici e dirette, accompagnate da illustrazioni che spiegano quali sono i pericoli che si corrono usando impropriamente i piccoli elettrodomestici; per i bambini è stato creato un gioco - libretto, un cubo scomponibile che rivela sulle varie facce i disegni con l’utilizzo più consono dell’elettrodomestico.
Packaging e Cubo Palmiro (A. Berlese, L. Bolzan, A. Costa, T. D’Olivo) Pack-stake (G. Bocconcello, G. Brolese, F. Tosin)
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Domestic Safety In the Treviso Design Week, Cladis (IUAV Industrial Design Course) organized the first workshop in Design & Domestic Safety. The project, developed in parallel with the show at MoMA Safe: design takes on risk, featured ten international designers and ahundred-and-fifty students who have invented new solutions for communicating and combating danger in the home. Two of the ten projects that won awards at the end of the workshop
concern packaging: the “Packstake” system - for products for home use containing harmful substances - consisting in a safety closure formed by an elastic strip that girds the body of the flacon and that features different textures to indicate the various degrees of harmfulness. Wan colors, unappealing surfaces, to dissuade children and to also warn people with poor eyesight. The second project, Packaging and
Cubo Palmiro concerns containers
for household appliances: to counter the superficiality with which all too often users read instruction booklets and the excessive complexity of the same, here the designers have decided to place simple and direct information on the packaging, accompanied by illustrations that explain the dangers inherent in an improper use of small household appliances; for children a gamebooklet has been created, a cube that can be taken apart that has drawings on its various faces showing the typical use of the appliance.
identi-kit
Risk Design Projects and products that save us from the end of the world Sonia Pedrazzini
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he proposes a more structured and less informal Landscape, made up of Christmas trees, arrow tips, stars and angels, all pleasantly tinged with the same color, in recycled glass; or like the elegant leather and felt bags of Carolien Vlieger and Hein van Dam, that overtly show the outlines and reliefs of their dangerous contents: knives and pistols. As if to say, your bag or your life! As far as packaging is concerned, numerous examples of risk design were present. Worthy of attention the project by graphic designer Paul Kirps who created “Protekt”, an imaginary brand of products useful for protecting parts of the body - legs, arms, hands, head - derived from the creative reuse of polystyrene packaging commonly used for shipping household and electrical appliances. His “universal protection set” is unfortunately not for sale, but all the same constitutes a provocatory graphic proposal allowing one to reflect on the utopia of total protection. In terms of real products already on the market one has, to quote only some, the cardboard box devoid of sharp edges by Kazuhiro Hiraishi for children’s safety; the inflatable cushion by 3M for wrapping and transporting fragile objects; the curious colored pack by BananaBunker® for preserving and protecting bananas during transport; the decorative cigarettepack covers, to exorcise the legalised threat “smoking kills”. For the situations of “urban” emergency, the safety kit of the American Red Cross always to be kept under your desk in the office and the stretcher for transporting the badly injured, by Hiroyuki Tazawa, all made out of “disposable” recycled cardboard, to be kept in your car boot for emergencies. To facilitate the awareness of danger and consequently facilitate safety operations: well organised signs, detailed information, legible labels, understandable instructions, all also help. Target ClearRx constitutes an example for all, an innovatory packaging system created by Deborah Adler and Klaus Rosburg that simplifies the reading of information on pharmaceutical packs, all to often cryptic and unclear.
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The show SAFE, Design takes on risks, curated by Paola Antonelli that ended at the MoMA, New York last January, exhibited more than three-hundred products and prototypes from all over the world devised for protection, safety, prevention, life-saving and personal defence, constituting an innovative, interesting and at time disconcerting array of items. That is to say, the state of the art in design practise as a barrier to counter (at least one hopes) all the risks that threaten us each day. Hence, to solve the problems of lodgings in the event of a natural catastrophe, war, poverty etc here we have emergency refuges made of cardboard and plastic tubes, protective shells against desert sandstorms, inflatable tents for the homeless, up to windcheaters that turn into sleeping bags. To safeguard oneself from pervasive technology and to defend ones privacy, there is even a kit with all that is needed to escape checks and surveillance in public places, including false beard and moustache and a reflective mask to avoid being videoed. And in that body protection has always meant armour, helmets, gloves, shoes and various accessories, all this has been reproposed in the light of today’s technologies that allow light, ultrasturdy materials: and when the fashion designer puts a hand to it, these outfits become original clothes for the catwalk and the optical cabling inlaid in the fabric look like decorations. How to defend oneself from petty crime? The Design against Crime undertaking is a response to the approach that gives design the value of an “agent against crime” or at least “dissuader to ward off malicious persons”. And thus, public seating with hooks for fastening bags and cases, cards on the necks of bottles in restaurants that tell people to watch out for thieves, reinforced camouflaged bags with incorporated alarm systems. Design does not spare itself and the defence of property is variously proposed and interpreted in a subtle and ironic manner, as in the work of Matthias Megyeri who, taking his inspiration from the perimetral walls of gardens and private houses, often topped by threatening glass fragments and broken bottles, where
new!
Graphic Design Day 2.0 Sotto il titolo Cultura del fare e cultura dell’innovazione la seconda edizione del Graphic Design Day (Bologna, 6-8 aprile), curata anche quest’anno da Carlo Branzaglia, diventa una tre giorni di mostre, conferenze e dibattiti dedicati alla progettazione grafica e alla comunicazione visiva. Dopo l’apertura alla Fondazione Aldini Valeriani con un convegno dedicato al packaging organizzato con Istituto Italiano Imballaggio, la scena si sposta all’Accademia di Belle Arti che ospita in esclusiva per l’Italia la mostra FiFFteen. Fifteen years of FontFont and Fuse. Un tributo colorato al primo e più celebre
marchio produttore indipendente di caratteri tipografici digitali, fondato da due star del graphic design mondiale come Neville Brody (già art director di The Face) e Erik Spiekermann (già fondatore di Metadesign). La mostra rimarrà aperta fino al 10 maggio. Due le conferenze previste, nella prima la celebre graphic designer californiana Lucille Tenazas, racconterà la sua esperienza professionale, cresciuta dagli anni Ottanta sull’onda della eclettica Pacific Wave; la seconda riguarderà un’escursione nel design del prodotto con Pierre Terblanche,
designer delle recenti motociclette Ducati. Due anche le tavole rotonde: Fare la professione, che vedrà graphic designer under30 parlare delle loro esperienze professionali, e Fare rete che mostrerà i più interessanti blog e portali italiani dedicati al graphic design. Accanto alla mostra principale, infine, Fare Digitale, antologia dei lavori in digitale prodotti dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti, a cura di Danilo Danisi, e l’esposizione (e proiezione) degli Art Director Club Italiano Awards 2005, presentati dal presidente ADCI, Maurizio Sala.
new!
Per informazioni For further details v.spina@graphicdesignday.info e.desimone@graphicdesignday.info
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product design with Pierre Terblanche, who designed the new Ducati motorcycles. There will also be two round tables: Fare la professione, where graphic designers under 30 can talk about their professional experiences, and Fare rete, viewing the most interesting blogs and Italian portals dedicated to graphic design. Lastly, alongside the main exhibition, will be Fare Digitale, an anthology of digital work by students of the Accademia di Belle Arti, organized by Danilo Danisi, and the exhibition (and projection) of the Art Director Club Italiano Awards 2005, presented by the president of ADCI, Maurizio Sala.
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Under the title Cultura del fare e Cultura dell’innovazione, the second edition of Graphic Design Day (Bologna, 6th - 8th April), organized again this year by Carlo Branzaglia, has become three days of exhibitions, conferences and debates on the subject of graphic design and visual communications. After the opening at the Aldini Valeriani Foundation with a meeting dedicated to packaging organized with the Istituto Italiano Imballaggio, and then the scene will shift to the Accademia di Belle Arti, the exclusive host in Italy of
the exhibition FiFFteen. Fifteen years of FontFont and Fuse. The exhibition is a colorful tribute to the first and foremost independent manufacturer brand of digital typographical characters, founded by two stars of global graphic design, Neville Brody (now art director of The Face) and Erik Spiekermann (now founder of Metadesign). The exhibition will be open until the 10th of May. There will be two scheduled conferences; in the first, the Californian designer Lucille Tenazas will tell of her professional experience, formed in the Eighties during the eclectic Pacific Wave; the second conference will be a journey in
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EMBAN The Unilever Series: Rachel Whiteread EMBANKMENT Š Marcus Leith, Tate Photography
KMENT Con una gigantesca installazione alla Tate Modern di Londra e un eccezionale libro d’artista, Rachel Whiteread coglie l’attrazione fatale tra arte e imballaggio. Marco Senaldi 1/06 91
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The Unilever Series: Rachel Whiteread EMBANKMENT © Marcella Leith, Tate Photography
Lontana dal sensazionalismo scandalistico di molti dei suoi compatrioti appartenenti alla cosiddetta brit-art, Rachel Whiteread (1963) si conferma una delle più capaci ed equilibrate artiste inglesi di oggi. Il suo lavoro è consistito fin dall’inizio in una ricerca sul cosiddetto “spazio negativo” - ossia sullo spazio che sta all’interno degli ambienti o degli oggetti, e che solitamente non percepiamo. Per renderlo manifesto, la Whiteread ha adottato la tecnica del calco: inizialmente l’impronta in resina dello spazio che si trova sotto una comune sedia, o sotto un tavolo, in seguito il calco di oggetti più grandi come vasche da bagno, letti, armadi eccetera. In occasione della Biennale di Venezia del 1997, quando le fu affidato il Padiglione Gran Bretagna, fu possibile ammirare da vicino la concretissima eppure delicata poetica dell’artista, capace di far riflettere emotivamente sulla dimensione segreta delle cose. In seguito la Whiteread ha proseguito la sua ricerca, esplorando spazi di dimensioni più grandi in contesti più complessi, fino ad arrivare al calco massiccio di un’intera casa, le cui mura stavano per essere abbattute, riempiendone gli ambienti di cemento liquido (House, 1993). Nel 2000 l’artista ha creato uno dei monumenti pubblici più rilevanti del mondo, cioè l’Holocaust memorial nella Judenplatz di Vienna consistente nel calco di una intera biblioteca, alle cui pareti si allineano migliaia di ipotetici volumi di cui resta solo l’impronta. Per la Sala Turbine della Tate Modern di Londra, nel settembre 2005, la Whiteread ha realizzato una immensa installazione ottenuta sovrapponendo quattordicimila scatole di plastica semitrasparente bianca. Benché l’idea di partenza appaia
show box semplicissima, e quasi elementare, il risultato è solidamente architettonico e insieme misteriosamente suggestivo. Dopo aver inizialmente pensato al calco delle scatole, la Whiteread ha optato per una specie di “scatola assoluta”, l’ectoplasma tridimensionale della classica scatola di cartone, e ha scelto un materiale diafano proprio a sottolinearne la estrema essenzialità. Le scatole (i cui modelli sono stati realizzati dall’artista stessa e sono di dieci tipi diversi) sono poi state assemblate nello spazio in vari modi, in pile regolari, in mucchi irregolari, in piramidi che si innalzano verso gli altissimi soffitti della Sala Turbine. L’impressione del visitatore oscilla tra il sentirsi intimidito dal gigantismo dell’insieme, e la sensazione di aggirarsi in un archivio di oggetti smarriti, un po’ come nella scena finale de I predatori dell’Arca perduta (menzionato fra le possibili fonti di ispirazione). Il punto di partenza,
come confessa l’artista stessa, è stata una scatola di cartone in cui la madre riponeva gli addobbi natalizi; a partire da quella reminiscenza, la Whiteread ha lavorato per mesi a raccogliere testimonianze letterarie, fotografiche, giornalistiche, tecniche, sul tema della scatola di cartone, i suoi usi, abusi, riciclaggi, ringiovanimenti tardivi e invecchiamenti precoci. Il risultato di questa straordinaria ricerca è contenuto nel catalogo della mostra che è molto di più di un semplice resoconto fotografico e costituisce - per il concept, la grafica, l’intelligenza complessiva - un vero e proprio “progetto d’artista” a sé stante. Marco Senaldi, critico e curatore, insegna Cinema e arti visive all’Università Statale di Milano-Bicocca; recentemente ha pubblicato (con F. Carmagnola) Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, Guerini 2005.
The Unilever Series: Rachel Whiteread EMBANKMENT © Tate Photography
EMBANKMENT With a gigantic installation at London’s Tate Modern and an exceptional artist’s book, Rachel Whiteread captures the fatal attraction between art and packaging.
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Marco Senaldi Far from the scandalmongering sensationalism of many of her compatriots belonging to so-called brit-art, Rachel Whiteread (1963) has proved to be one of the most talented and well-adjusted artists working today. From the start her work has consisted of research into so-called “negative space”- or rather that space within environments and objects which we do not normally perceive. To make it conspicuous Whiteread adopted the cast technique: initially a resin impression of the space beneath an ordinary chair or table and then the cast of larger objects such as bath tubs, beds, cupboards etc. At the Venice Biennial in 1997, when she was assigned the Great Britain Pavilion, one could admire from up close the extremely concrete yet delicate poetics of the artist, able to make us meditate intensely on the secret dimension of things. Subsequently Whiteread continued with her work, exploring large spaces in more elaborate contexts, going so far as to create the enormous cast of a whole house, whose walls were about to be demolished, filling the rooms with liquid cement (House, 1993). In 2000 the artist created one of the most important public monuments in the world, that is the Holocaust memorial in Vienna’s Judenplatz - consisting of the cast of a whole library, whose walls contain the ghosts of thousands of imaginary books. In September 2005, for the Turbine Hall of London’s Tate Modern Whiteread made an immense installation obtained by stacking fourteen thousand semitransparent white plastic boxes on top of each other. Although the initial idea seems very simple, almost elementary, the
result is solidly architectural and at the same time mysteriously evocative. After initially planning to make casts of the boxes Whiteread opted for a kind of “absolute box”, the three-dimensional ectoplasm of a classic cardboard box, and chose a diaphanous material precisely to underline its extreme essentiality. The boxes (whose models were made by the artist herself and are of ten different types) were then assembled in the space in various ways, in tidy piles, in higgledy-piggledy heaps, in pyramids which rise towards the dizzyingly high ceilings of the Turbine Hall. The visitor feels either intimidated by the gigantism of the sum of the whole or as though he is moving around a lost property store, a little like the final scene of Raiders of the Lost Ark (mentioned as one of the sources of inspiration). The point of departure, as the artist herself confesses, was a cardboard box in which her mother kept Christmas decorations. Starting from that recollection Whiteread worked for months collecting literary, photographic, journalistic and technical statements on the topic of the cardboard box, its uses, abuses, recycling, late flowering and premature ageing. The result of this extraordinary work is contained in the exhibition catalogue which is much more than a simple photographic record and is - due to the concept, graphics, overall cleverness- a veritable “artist’s project” in itself. Marco Senaldi, critic and curator, lectures in Cinema and Visual Arts at the State University of Milan-Bicocca. He recently published (with F. Carmagnola) Synopsis. Introduzione all’educazione estetica, Guerini 2005.
The Unilever Series Una breve intervista a Lisa Clough, Community Investment Manager di Unilever UK, per capire meglio in cosa consiste la collaborazione tra Unilever e Tate Modern di Londra e come si articola il progetto The Unilever Series. Cos’è The Unilever Series? The Unilever Series consiste in una serie di commissioni artistiche annuali per la Sala Turbine della Tate Modern. Com’è iniziata la collaborazione tra Unilever e Tate Modern? È iniziata nel 2000, quando la Tate Modern è stata inauguarata. Unilever aveva già sostenuto la Tate, ma alla fine degli anni Novanta stava cercando nuovi e grandi progetti artistici da sponsorizzare. Questo veniva a coincidere proprio con l’apertura del museo e con i suoi piani di commissionare annualmente installazioni d’arte pubblica nella Sala Turbine.
A brief interview with Lisa Clough, Community Investment Manager of Unilever UK, to best understand in what the cooperation between Unilever and the Tate Modern, London consists of and how the project The Unilever Series is featured. What is The Unilever Series? The Unilever Series is a series of annual art commissions for Tate Modern's Turbine Hall How did the cooperation between Unilever and Tate modern begin? The Unilever Series began in 2000 when Tate Modern opened. Unilever had supported Tate previously but in the late 1990s Unilever was looking for a new, largescale arts sponsorship. This coincided with the opening of Tate Modern and Tate's plans to commission an annual public artwork for the Turbine Hall.
Unilever sceglie direttamente gli artisti per le serie? No, Unilever non è coinvolta nella scelta degli artisti, è la Tate che decide in merito.
Does Unilever choose the artists for the Series? Unilever is not involved in the choice of artist, this decision is taken by Tate.
Quali sono i criteri di scelta degli artisti? Gli artisti sono selezionati dal direttore della Tate Modern in collaborazione con il Chief Curator e gli altri curatori del museo. Si prende in considerazione il lavoro dell’artista nel contesto d’insieme della serie.
What are the criteria? Artists are selected by the Director at Tate Modern and the Chief Curator in consultation with other curators at the gallery. Consideration is given to the context of the artist within the Series as a whole.
Come è stata scelta Rachel Whiteread? La Whiteread è una delle principali artiste/scultrici in Gran Bretagna. La sua opera ha avuto un impatto profondo sia in Inghilterra che a livello internazionale; ha prodotto numerose e significative opere pubbliche ed è abituata a realizzare lavori di notevoli dimensioni. Le sue opere fanno spesso riferimento all’architettura, lei è profondamente sensibile all’approccio architettonico ed è un’artista che ha saputo ben cogliere la sfida di lavorare per uno spazio unico come
Why did you choose Rachel Whiteread? Rachel Whiteread is one of Britain's leading contemporary sculptors. Her work has had a profound impact in the UK and internationally and she has produced several significant public sculptures and is well used to working on a monumental scale. Rachel Whiteread's work often references architecture. She is deeply architecturally sensitive and is an artist who could take on the challenge of working in the unique space of the Turbine Hall.
la Sala Turbine.
How was EMBANKMENT“technically” created?
realizzati i calchi dell’interno di dieci scatole di cartone; poi, dagli originali in gesso, sono state ricavate delle forme a
the plaster originals and from these the final boxes were industrially fabricated in polyethylene.
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loro volta utilizzate per la fabbricazione industriale delle scatole definitive in polietilene.
It is made up of 14,000 boxes. Casts were made of the inside of 10 cardboard boxes, moulds were made from
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Come è stata realizzata tecnicamente EMBANKMENT? La mostra è composta da 14.000 scatole. Sono stati prima
shopping bag
Un Anno di 13 Mesi Fontegrafica è un’azienda lombarda all’avanguardia nella stampa di altissima qualità che da anni si aggiudica importanti premi di settore, europei e internazionali, all’interno del Sappi International Award. Il valore di Fontegrafica è stato riconosciuto da committenze importanti quali: Bulgari, Il Sole 24 Ore, Epson, L’Oreal, Versace, Playtex e Renault, per le quali l’azienda ha realizzato - con sofisticate tecniche come l’esacromia, la stampa multicolore, gli inchiostri speciali e l’olografia - cataloghi e calendari aziendali, packaging di lusso o inviti particolari. E poiché una stampa ad elevatissima definizione non solo è sinonimo di qualità, ma provoca in chi la guarda e la sfiora anche un vero e proprio stupore dei sensi, Fontegrafica ha concepito per il 2006 l’incredibile calendario La luna di Alice, ambientato nel contesto onirico della fiaba di Alice nel paese delle meraviglie. A differenza dei tradizionali calendari, questo segue il ciclo lunare ed è diviso in tavole di 13 mesi da 28 giorni che ripropongono metaforicamente il viaggio della curiosa Alice alla ricerca del Bianconiglio. Per decorare le pagine del calendario sono state utilizzate le più avanzate tecniche fotografiche, con una grande attenzione agli effetti cromatici, ai ritocchi e all’armonia del progetto complessivo caratterizzato da una forte carica espressiva e da una grande creatività. Il calendario offre un’ampia gamma di tipologie di stampa su differenti supporti cartacei e con raffinate lavorazioni, e trasforma il sogno di Alice in una realtà visibile e palpabile.
A Year of 13 Months Fontegrafica is a leading Lombardy-based firm designing high quality printing processes, which has won important European and international prizes at the Sappi International Awards for years. Fontegrafica’s worth has been recognised by important customers such as: Bulgari, Il Sole 24 Ore, Epson, L’Oreal, Versace, Playtex and Renault, for whom the company has produced company catalogues and calendars, luxury packaging or special invitations using sophisticated techniques such as hexachrome, multicolour printing, special inks and holography. And since high definition printing is not merely a synonym for quality but also dazzles the senses of anyone who sees and handles it Fontegrafica has conceived for 2006 the incredible calendar La luna di Alice set in the dreamlike context of the tale of Alice in Wonderland. Unlike traditional calendars this one follows a lunar cycle and is divided into 13 months of 28 days which metaphorically reproduce the journey of the inquisitive Alice in search of the White Rabbit. The most advanced photographic techniques were used to decorate the pages of the calendar with a great deal of attention paid to the colour effects, the retouches and the harmony of the project as a whole characterised by a wealth of expression and creativity. The calendar contains a wide range of print typologies on different paper backings using sophisticated processes, transforming Alice’s dream into something visible and palpable.
design box
Packaging Sperimentale
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Imballaggi al limite del possibile e dell’incredibile. Dimensioni, materiali e formati sperimentali per oggetti dal design unico.
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design box Intervista a Roger Fawcett-Tang, autore - con Daniel Mason di Experimental Formats & Packaging (Rotovision, 2004)
Chi è Roger Fawcett-Tang e qual è il tuo rapporto con il packaging? Sono il co-fondatore e direttore creativo dell’agenzia Struktur Design, fondata nel 1996. Da molti anni mi interesso di packaging, specialmente quello specifico per la musica. Ho realizzato vari progetti di design di dischi e mi è sempre piaciuto progettare imballaggi in forme non convenzionali.
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Nel tuo Experimental Formats & Packaging si parla di packaging sperimentali ed “estremi”: quando ha senso fare un progetto estremo? In qualche modo il termine “sperimentale” implica qualcosa di pericoloso, di radicale e che non sempre ha successo. Tuttavia i lavori presenti in questo libro hanno avuto, in genere, successo e non si sono rivelati davvero pericolosi. I progetti selezionati sono stati scelti per fornire una panoramica e ispirare su ciò che un designer può ottenere quando
guarda al di là delle forme tradizionali e dei metodi comunemente accettati. Cosa comporta un progetto estremo in termini di fattibilità industriale? Si tratta sempre di economia di scale: per piccoli quantitativi è fattibile la rifinitura a mano, per quantitativi medi c’è bisogno di più tempo e il progetto risulterà più costoso. Per grandi quantitativi, poi, si può preparare un’attrezzatura specifica, il che risulta certo più costoso, ma aiuta ad accelerare il processo e a ridurre i costi unitari. Nel libro ci sono pochi esempi di packaging ecologico o etico; secondo te è difficile fare sperimentazione attenendosi a queste tematiche ? Quando si compila un libro come questo, molto dipende dalla tipologia dei lavori che ci hanno inviato. Alcuni degli esempi più particolari non sono sempre eco-compatibili, ad ogni modo non c’è ragione per cui il packaging eco-etico non
possa essere anche sperimentale. Parlaci del lavoro dei “:sovietfrance:” i cui packaging rappresentano un modo assolutamente originale di riutilizzo creativo di materiali e oggetti. Li ho conosciuti molti anni fa, vedendo, in un negozio di musica alternativa a York, uno dei loro strani dischi impacchettati nella carta velina, nella gomma o nel legno. Dovetti comprarne uno per scoprire come erano; mi interessavo già di musica sperimentale e il sound prodotto da “:sovietfrance:” mi affascinò sia sul piano visuale sia su quello sonoro. Senza accrediti e con caratteri tipografici disegnati a mano che spesso si decompongono in simboli astratti, il packaging visivo di questa musica era perfettamente appropriato.
Experimental Packaging Packaging on the verge of the possible and the incredible. Experimental dimensions, materials and formats for objects with a unique design. We spoke with Roger Fawcett-Tang, author with Daniel Mason of Experimental Formats & Packaging (Rotovision, 2004) Who is Roger Fawcett-Tang and what is his relation with packaging? I am the co-founder and creative director of Struktur Design which was formed in 1996. For many years I have been interested in packaging, especially music packaging. I created a number of record designs and was always keen to package in a non-standard format. In your Experimental Formats & Packaging experimental and “extreme” packaging is spoken of: when does doing an extreme project have sense? In some ways the term “experimental” implies something dangerous, radical and not always successful. However the work shown in these books was by and large successful and not really dangerous. The work selected for the books was chosen to give an inspirational overview of what can be achieved if the designer is to look beyond the normal standard formats and accepted methods.
Your book holds but few examples of ecological or ethical packaging. In your opinion is it difficult to experiment sticking to these subjects? When compiling a book like this, it depends on the sample of work submitted. some of the more elaborate samples are not always eco-friendly, however, there is no reason way eco-ethical packaging cannot be experimental. Tell us of the work of “:soviet-france:”, whose packaging stands as an absolutely original way of creative reuse of materials and objects. I became aware of their work many years ago, where I saw the odd record packaged in tissue paper, rubber or wood in an independent record shop in York, I had to buy one to find out what they were like, I was already interested in experimental music and the sounds generated by soviet-france appealed on both visual and audio levels. Without credits, and hand-drawn typography that often decomposes into abstract symbols, the visual packaging of this music was totally appropriate.
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What does an extreme product entail in terms of industrial feasibility? It is still economics of scale, for short runs hand finishing is feasible, for mid-size runs hand finishing takes longer and becomes more expensive. For longer runs, tooling can be
developed, which is more expensive, but helps to speed up the process and reduce the unit costs.
shopping bag
Nessun Compromesso I sistemi di apertura e di chiusura non sono piĂš solo una delle tante caratteristiche di un pack, sono ormai un vero e proprio must per i marchi alimentari di alta qualitĂ . PurchĂŠ siano sicuri e soprattutto user-friendly.
l’azienda ha scelto di andare oltre. Poiché le emozioni giocano un ruolo importante, sono stati sviluppati numerosi effetti che sottolineano ed evidenziano la sicurezza del meccanismo. «Il consumatore vuole essere tranquillo: “vedere” e “sentire” il meccanismo di chiusura risponde a questo desiderio. Un esempio di come innalziamo la percezione della sicurezza è l’innovativa versione del classico vasetto UniPak. Con una nuova tecnica possiamo stampare del testo a colori sul sigillo antimanomissione, così che il consumatore percepisca immediatamente che il prodotto non è stato violato ed è integro” conclude Ulrik Bertelsen. Un altro caso interessante è infine il vasetto SuperLock® che prevede una chiusura ermetica simile a quella delle bottiglie di plastica, ma più semplice da aprire e chiudere. Per dare al consumatore un’ulteriore garanzia del prodotto; quando il sigillo si rompe, il tappo fa fuoriuscire l’aria con un leggero sibilo, inoltre un “click” particolare lo aiuta a percepire e a capire che il pack è stato richiuso in modo adeguato.
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sistema di sicurezza unico, assicurano l’igiene sia nelle varie fasi di produzione sia sul punto vendita e a casa. Inoltre, i piccoli ganci sotto la fascia che trattengono il coperchio durante la ri-chiusura, facilitano la conservazione e mantengono la freschezza del contenuto anche dopo la rottura del primo sigillo. SuperCube® è invece una soluzione che integra un coperchio ad apertura facilitata a strappo e un sistema di richiusura ermetica a doppio scatto, che permette la buona conservazione del prodotto inutilizzato, garantendo ermeticità e massima igiene. La forma cubica del contenitore, poi, ne agevola l’utilizzo e una maniglia diagonale consente di versare facilmente il contenuto da un angolo, evitando così di rovesciarlo o di sporcare causando inutili sprechi. Rispetto ai soliti contenitori cilindrici, questo tipo di imballaggio fa recuperare il 30% di spazio in fase di immagazzinamento. Alla base delle soluzioni proposte da Superfos ci sono le caratteristiche funzionali, ma
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Superfos è un’azienda danese leader nell’industria del packaging; sviluppa e produce imballaggi in plastica per tutti quei prodotti che la gente usa quotidianamente: alimenti, bevande, medicinali, cosmetici. Specializzata in sistemi di apertura e chiusura, si concentra sulla ricerca e sullo sviluppo di soluzioni innovative ma soprattutto “garantite” dal punto di vista della sicurezza. «Oggi le principali marche alimentari europee non accettano neppure il minimo compromesso per quanto riguarda la sicurezza del prodotto» spiega il Direttore Vendite Regionale di Superfos, Ulrik Bertelsen. «Un sistema di chiusura, resistente e flessibile, aggiunge valore e aiuta il marchio a far fronte alle esigenze sempre più elevate in merito ad affidabilità, durata sullo scaffale, maggior freschezza del prodotto e convenienza per il consumatore». Tra le soluzioni proposte dall’azienda vale la pena di menzionare la vaschetta SuperSeal® per prodotti spalmabili. La combinazione di un coperchio integrato, un sigillo e un
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Without any Compromise
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Opening and closing systems are no longer just one of the many characteristics of packs: they are an absolute must for high quality food brands. Providing that they are safe and, above all, user-friendly. Superfos is a leading Danish concern in the packaging industry; it develops and manufactures plastic packaging for all products used daily: food, beverages, medicines, cosmetics; the concern, specialised in opening and closing systems, has always dedicated itself to the research and development of solutions that are innovative and, especially, with a safety guarantee. «Currently, the main European food brands will not allow the safety of a product to be compromised in the slightest» explains Ulrik Bertelsen, the Regional Sales Director of Superfors. «A resistant and flexible closing system adds value and helps the brand to face the ever higher demands for merit and reliability, shelf-life and greater product freshness and convenience for the consumer». Of the solutions proposed by the concern, the SuperSeal® tray for spreadable products is well worth a mention. It combines an integrated cover, a seal and a single safety system, ensuring hygiene both during the production phases, at the sales point and in the home. Furthermore, the small hooks under the
web connecting the cover during re-closing, make it easier to preserve and maintain the freshness of the contents even when the first seal is broken. SuperCube®, instead, is a solution integrating a cover with easy tear opening and a double snap airtight re-closing system, for well preserving the unused product, guaranteeing airtightness and max hygiene. The cubic shape makes the container easy to use and a diagonal handle means the contents can be poured from an angle, thereby avoiding any spillage causing unnecessary waste. This type of packaging saves 30% of warehouse space compared to ordinary cylindrical containers. Superfos’ proposals are based on functionality, but the concern had other motives besides. As emotions play an important part, various effects have been developed to emphasize the safety of the mechanism. «The consumer wants to feel assured: “seeing” and “feeling” the closing mechanism responds to this desire. The innovative version of the UniPak jar is an example of just how safety perception can be increased. We can use the new technique for printing color text on the anti-tamper seal, so that the consumer notices immediately that the product has not been tampered with and is whole» Urik Bertelsen adds. Lastly, SuperLock® is also an interesting product, it has an airtight closure similar to that of plastic bottles but is easier to open and close. It presents the consumer with a further product guarantee: when the seal is broken, the cap lets the air out with a gentle whistle, and a “click” helps the consumer know whether the pack has been reclosed properly.
Tra Pericolo e Incertezza
Me Gusta Jessolo, 2004 acrilico e matite colorate su tela
Come un agente segreto artistico al servizio dell’ambiguità , Antonio Riello si diverte a disturbare la nostra percezione del mondo. Marco Senaldi
AirMart, 2005 Installazione al Mart di Rovereto (TN)
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Bombe a mano e pistole, 1998-2002 Armi travestite da oggetti fashion: potenziali inquinanti estetici
Artista di respiro internazionale, Riello è nato a Marostica nel 1958 e vive tra Milano ed Amsterdam. Fuori dagli schemi, insofferente di qualsiasi etichetta, ma ben inserito in un filone ironico concettuale che vanta precedenti illustri come Piero Manzoni, Riello ha da sempre architettato opere fatte per mettere in imbarazzo lo spettatore, generatrici di un senso di spaesamento, di disagio misto a humour e a radicale incertezza. In questa linea vanno quegli artefatti di aspetto museale (spesso racchiusi in bacheche) il cui valore è dato dalla pericolosità potenziale dichiarata dal titolo o dalla didascalia - come Toxinum mortifera, una “Fiala contenente un veleno capace di annientare l’umanità” - oppure oggetti caratterizzati dalla radicale impossibilità di stabilire se si tratti di autentici o di falsi, come i reperti mafiosi, oppure ancora le reliquie di star del passato (peli di Brigitte Bardot) o “corpi di reato”
divenuti celebri (il proiettile che uccise John Kennedy). Era logico dunque che Riello arrivasse ad occuparsi, a modo suo, delle armi. In un contesto in cui la retorica aggressiva legata all’autodifesa si fa sempre più strada, l’ingentilire bombe, pistole fucili con strass, bijoux e ornamenti vari ha il sapore beffardo di una provocazione è come se l’oggetto pericoloso, l’arma, camuffandosi, divenisse ancor più micidiale, in quanto mascherato da accessorio “alla moda”. Il camuffamento, lo straniamento, l’ambiguità sono del resto al centro della poetica di Riello che nel 2005 ha addirittura trasformato la piazza antistante il celebre MART di Rovereto (progetto di Botta) in un air terminal, con tanto di check in, deposito bagagli, accettazione, un mimetismo così credibile che più di un visitatore è caduto in trappola pensando di trovarsi in un vero aeroporto anziché in un Museo.
Da diversi anni hai posto le armi al centro del tuo lavoro artistico. Le armi sembrano diventate, da oggetti riservati all'uso militare, cose che tutti possono maneggiare, pericolosamente vicine (anche se non arriviamo agli eccessi USA, siamo sulla buona strada); anche da noi spesso si sente del delitto, o della "legittima difesa", compiuta con armi "regolarmente detenute"… Come si inserisce il tuo lavoro di artista in questo contesto? Le armi, che spesso diventano l’elemento fondante delle mie opere, sono solo una sorta di “esca” per rivelare le reazioni che generalmente esistono latenti nel nostro immaginario collettivo. In particolare mi servono per “testare” gli atteggiamenti relativi al concetto di “comportamento malvagio” (i cui confini sono sempre relativi, mobili e in continua evoluzione). Si tratta di un mio progetto artistico ambizioso e complesso che si sta svolgendo già da anni (attraverso opere, installazioni e mostre) con l’obiettivo di indagare (artisticamente) il “comune senso dell’etica” nelle società occidentali contemporanee. Le armi, essendo fortemente evocative e allo stesso tempo esteticamente pure (cioè non esasperate dal cosiddetto marketingdesign) sono un materiale artistico perfetto.
D'altra parte, travestire le armi da bijoux, da oggetti fashion, si potrebbe leggere anche a rovescio - l'oggetto di moda, l'oggetto del desiderio, come potenziale pericolo... Non come pericolo forse… ma certo come “inquinamento estetico”. Credo che paradossalmente - a dispetto di quanto spesso si sente comunemente dire - viviamo in un mondo nel quale c’è troppa estetica (non ho detto troppa “bellezza”… intendo dire troppa attenzione nel confezionare artatamente qualsiasi prodotto o servizio). Abbiamo bisogno di disintossicarci da tutto ‘sto design, moda, bella grafica, smart art e compagnia bella. Quanta nostalgia intellettuale per le cose semplici e un po’ rozze... A volte bisognerebbe proprio rispolverare il buon Adolf Loos. Con i miei ornamenti eccessivi e baroccheggianti ironizzo con distaccata irriverenza sull’undicesimo comandamento: “solo ciò che è bello può essere buono!”
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Il tema del pericolo, dell'angoscia, del complotto, dell'imperscrutabile, mi sembra domini tutto il tuo lavoro - ci spieghi perché? Mah, a dire la verità sono un tipo molto ansioso e credo che l’unico modo di fare buona arte sia essere sinceri, dunque racconto anche e soprattutto le mie ansie e le mie paure. A volte mi sento una specie di Carlo Verdone delle arti visive… nel senso che
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psicosi collettive e tic diventano il materiale attraverso il quale costruisco (spesso impastandole con un po’ di ironia e talvolta di amarezza) le mie opere/storie. La nevrosi che ovviamente mi interessa di più è il cosiddetto “Aesthetically correct” a tutti i costi. Ho letto da qualche parte la tua bellissima definizione: “l'ambiguità è la vera forma simbolica del nostro tempo”... che significa? L’operazione AirMart si inserisce in questo filone? Parlo di ambiguità a tutti i livelli. Siamo tutti, culturalmente, politicamente ed economicamente ambigui. Un semplice e banale esempio (ma ne potrei fare tantissimi altri): un dipendente che ha investito i suoi risparmi in azioni cosa si deve augurare? Maggiori utili aziendali o minori utili aziendali e un aumento del proprio livello contributivo? Siamo tutti, in qualche modo, ambiguamente capitalisti. E lo siamo anche per ciò che riguarda l’estetica. Tutti cediamo con molle pigrizia alle seduzioni della trash-
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(dettaglio di) KT 18, 2004
televisione salvo poi parlarne sempre male in pubblico. È un po’ come con la politica della prima Repubblica: nessuno ammetteva mai di aver votato democristiano ma poi la DC alle elezioni rimaneva sempre il primo partito del paese. Qualche volta l’ambiguità si può confondere con l’ipocrisia certo, questo è uno dei “lati oscuri” problematici di questa nostra
contemporaneità... AirMart voleva celebrare questa “ambiguità” dal punto di vista dell’utilizzo dell’architettura museale. La prima domanda era: è più interessante come esperienza passare del tempo in un museo d’arte o in un aeroporto ? e la seconda domanda: c’è poi reale differenza tra le due cose in termini di esperienza e di fruizione di un pubblico medio? Il Museo: “aeroporto di idee” e l’Aeroporto “Wunderkammer del mondo attuale”? Spesso nel tuo lavoro, la superficie delle cose, per non dire l'involucro, è proprio il luogo in cui tu intervieni per inscenare questa ambiguità... Certo la pelle è tutto. Come diceva Orcar Wilde in uno dei suoi celebri aforismi: “ci dobbiamo sempre meravigliare del visibile e non dell’invisibile, la meraviglia sta in ciò che si può vedere”. I miei display museali (con falsi reperti), le mie armi fashion, i miei aerei con il loro “camouflage teologico”, sono tutti esempi nei quali enfatizzo lo strato esterno, la superficie. Quello che c’è dentro (e dietro) è irrilevante. Quando giro per le strade ho il vizio di immaginarmi che le facciate dei palazzi e dei condomini siano come delle scenografie cinematografiche e che dietro non ci sia assolutamente nulla. Mi piace immaginare un mondo in cui tutto sia solo superficie ed apparenza. Io sono figlio della televisione e della pubblicità, perché mai dovrei tradire le mie radici e mettermi in una infruttuosa e vana ricerca della verità e del contenuto. La verità è l’apparenza e questo basta: quando sono a Venezia un bel giro in gondola non me lo toglie nessuno! Questa ambiguità ti ha causato qualche problema (sequestri, censure, ecc)? Cosa significa per te essere censurato: un successo perché hai toccato un nervo scoperto,
o un disastro perché la tua opera viene ritirata? Censura nel mio caso penso significhi sempre successo. Ma ho imparato anche, attraverso parecchie esperienze del genere, a conoscere ormai quasi tutti i “trucchi” per scatenarla o per evitarla, la censura. Insomma è ancora una volta, e sempre, una faccenda di contesto. Poi una considerazione molto seria sulla censura: è semplicemente assurda. Nel circo mediatico globale l’arte contemporanea ha davvero poco peso, lo sappiamo tutti purtroppo. Come diavolo fa certa gente a scatenare atteggiamenti censori sull’arte contemporanea? Che senso ha? Mi sembra sinceramente una perdita di tempo che corre inoltre il rischio di diventare un boomerang e di far parlare proprio di ciò di cui solitamente non si parla... Che rapporto hai con le merci, con il packaging? Insomma, che genere di consumatore sei? Non occorre nemmeno che risponda: sono un “consumatore ambiguo”. Sto per ore a valutare costi/benefici, offerte, peso netto/peso lordo e tutta una serie di pedanti ed estenuanti considerazioni. Poi immancabilmente finisco per acquistare solo e sempre le confezioni più seducenti. Per finire credo che davvero questo benedetto “packaging” sia in realtà la parte più vera del prodotto e in qualche modo ne rappresenti (assai più del “contenuto materiale”) il vero “contenuto”. Basta pensare ai “regali di Natale”: se non ci fosse la carta rossa e i nastrini vari, cosa ce ne fregherebbe della solita paccottiglia (spesso riciclata)... ? Invece riusciamo anche a commuoverci sinceramente davanti ai doni natalizi - ma il miracolo lo fa lui: il packaging.
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KT19, 2005
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Between Danger and Uncertainty As a secret artistic agent at the service of ambiguity, Antonio Riello enjoys disturbing our perception of the world. Marco Senaldi Artist of international standing, Riello was born at Marostica in 1958 and lives between Milan and Amsterdam. Beyond categorisation, intolerant of any tag, but solidly part of a conceptual, ironic vein that can boast illustrious precedents such as Piero Manzoni, Riello has always created objects made to embarrass the spectator, generating a sense of disorientation, of unease mixed with humour and deep-rooted uncertainty. Of this line those museum-like artefacts
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(very often closed in glass cases) whose value is given by the potential degree of danger of the title or caption - such as Toxinum mortifera, a “Vial containing a poison capable of annihilating humanity”- or objects where it is totally impossible to define whether they are authentic or fake, like the Mafia exhibits, or again relics of stars of the past (hairs of Brigitte Bardot) or exhibits that have become famous (the bullet that killed John Kennedy). It was logical that Riello ended up dealing in his way with weapons. In a context in which aggressive rhetoric associated with self-defence is making headway,
artistic work fit into this context? Weapons, that often become the founding element of my works, are a sort of “bait” to reveal the reactions that generally exist latently in our collective imagination. In particular I use them for “testing” the approaches to the concept of “bad behaviour” (where the limits are always relative, mobile and continuously changing). This is an ambitious and complex artistic project of mine that has been going on for years (though works, installations and shows) with the objective of (artistically) researching into the “common sense of ethics” of contemporary western society. The weapons, being strongly evocative and at the same time aesthetically pure (that is not exasperated by the socalled marketing-design) are a perfect artistic material. On the other hand, dressing up weapons to make them jewels, fashion objects, can also be read in the opposite way - the fashion object, the object of ones desires, seen as a potential danger…
embellishing grenades and guns with strass, jewels and sundry ornaments has all the mockery of a provocation - it is as if the dangerous object, the weapon, in being disguised, becomes even more deadly inasmuch as masked with fashion accessories. Disguise, estrangement and ambiguity are though at the centre of Riello’s poetry, who in 2005 went as far as turning the plaza beside the famous MART at Rovereto
Not perhaps as danger… but certainly as “aesthetic pollution”. I believe that paradoxically - despite what one commonly hears said - we live in a world where there is too much aesthetics (I did not say too much “beauty”… that is to say too much attention in artily cladding any and every product or service). We need to disintoxicate ourselves from all this design, fashion, fine graphics, smart art and whatever. There is a lot of
(project by Botta) into an air terminal, complete with check in, luggage deposit, reception, everything being so authentic that more than one visitor fell for it, fooled into thinking they were in a true airport rather than in a Museum.
intellectual nostalgia for simple, slightly rough and ready things... At times it is a question of going back to good old Adolf Loos. With my excessive, imitation baroque ornaments with detached irreverence I ironically comment on the eleventh commandment: “only what is beautiful may be good!”
For several years now you have placed weapons at the centre of your artistic work. From being objects reserved for military use, weapons seem to have become things that everyone can handle, dangerously near (if we are not at US excesses we are getting there); here in Italy too we often hear about crimes or “legitimate self-defence” involving “legally detained” weapons… How does your
The subject of danger, of anguish, of the plot, of the inscrutable, seems to me to dominate all your work - could you explain to us why? Well, to tell the truth I am a very anxious person and I believe that the only way to make good art is that of being sincere, hence I also and aboveall recount my
identi-kit anxieties and fears. At times I feel like a sort of Carlo Verdone* of the visual arts… that is to say collective psychoses and tics become the material through which I build my works/stories (very often mixing them with a bit of irony and at times bitterness). The neurosis that obviously interests me the most is the so-called “Aesthetically correct” at all costs. I somewhere read your fine definition: “Ambiguity is the true symbolic form of our times”… what does that mean? Does the AirMart operation fit in with this vein of your work? I speak of ambiguity at all levels. We are all culturally, politically and economically ambiguous. A simple and banal example (but I could make many more): What should an employee who has invested his earnings in shares wish for? Greater company profits or lesser company profits and an increase in the level of his/her own social security contributions? We are all in some ways ambiguously capitalistic. And the same thing goes for aesthetics. We all lazily give in to the seduction of trash TV to then criticise it in public. It’s a bit like the politics of the prima Repubblica in Italy: noone ever admitted to having voted for the Christian Democrats and yet at the elections the DC was always the leading party in the country. At times ambiguity can be taken for hypocrisy, this is certainly one of the problematic “dark sides” of our times…. AirMart wished to celebrate this “ambiguity” from the point of view of the use of museum-like architecture. The first question was: which is the more interesting, the experience of spending time in an art museum or in an airport? and the second question: does an average public actually register a difference between the two things in terms of experience and fruition? The Museum: “airport of ideas” and the Airport “Wunderkammer of today’s world”?
the condominiums are like film sets and that there is absolutely nothing behind them. I like to imagine a world in which everything is nothing other than surface and appearance. I am an offspring of the television and advertising, why should I betray my roots and involve myself in a fruitless and vain quest for truth and content. Truth is appearance and this is enough: when I go to Venice I always fancy a nice trip in a gondola! This ambiguity has caused you some problems (confiscation of your work, censorship, etc) ? What does being censored mean for you: a success because you have hit on some sore spot, or a disaster because your work has been withdrawn? Censorship in my case I think always means success. But I have also learned, through many experiences of this type, to get to know all the “tricks” to unleash or avoid censorship. That is to say once again and as ever it’s a question of context. If I may make a very serious consideration about censorship: it is simply absurd. In the global media circus contemporary art has indeed very little weight, we all know this unfortunately. How the hell can certain people think of censoring contemporary art? What sense is there in it? It really seems to me to be a waste of time that what is more risks boomeranging and drawing attention to what is normally totally overlooked... What kind of relations do you have with goods, with packaging? That is, what kind of consumer are you? I don’t even need to answer that: I am an “ambiguous consumer”. I stand there for hours rating costs/benefits, offers, net weight/gross weight and a whole series of pedantic and tiresome considerations. I though then inevitably end up only and always buying the most seductive packs. To finish off I truly believe that this blessed “packaging” is in actual fact the truest part of the product and in some way it represents (much more than the “material content”) the true “contents”.
their wrapping, is the very place where you intervene to stage this ambiguity…
You only have to think of “Christmas presents”: if they weren’t wrapped in red paper with various ribbons,
Certainly the skin is everything. As Oscar Wilde said in one of his famous aphorisms: “we should always marvel
what would we care for the trash (very often recycled) we get at Christmas…? And yet we even manage to
at the visible and not at the invisible, the marvellous lies in what we can see”. My museum-like displays (with
be sincerely moved by Christmas presents - but the miracle lies in the packaging.
false exhibits), my fashion weapons, my planes with their “theological camouflage”; are all examples where I emphasize the outer layer, the surface. What lies within (and behind) is irrelevant. When I walk around I am liable to imagine that the facades of the buildings and
* Carlo Verdone is a famous contemporary Italian comic
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Very often in your work, the surface of things, not to say
actor/author/director of films with a variedly psychological 111
slant.
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A Scuola di Packaging NABA NABA è un’Accademia di formazione in arti e design, istituita nel 1980 da un gruppo di artisti, tra i quali Guido Ballo, Gianni Colombo, Lucio Del Pezzo, Emilio Isgrò, Tito Varisco, Luigi Veronesi, con l’obiettivo di introdurre visioni e linguaggi più vicini alle pratiche artistiche contemporanee e al sistema dell'arte e delle professioni creative.
I percorsi formativi NABA adottano una metodologia interdisciplinare, finalizzata allo sviluppo di competenze e profili artistico-professionali nei campi dell’arte, design, moda, media e grafica con una forte vocazione alla ricerca e alla relazione e un’attenzione alla dimensione etica della formazione. Il corso di packaging della NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) fa parte delle materie obbligatorie del 3° anno di corso per la specializzazione in comunicazione. Da quest’anno è articolato in due parti: nella prima, più tecnica, si studiano le problematiche legate al packaging strutturale (flaconi, scatole, bottiglie, tubi etc.), ai materiali più comunemente usati nell’imballaggio e ci sono inoltre lezioni di software 3D; il modulo è tenuto dal Professor Lorenzo Vallone. La seconda parte, curata dal professor
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At Packaging School NABA NABA is an art and design academy founded in 1980 by a group of artists, including Guido Ballo, Gianni Colombo, Lucio Del Pezzo, Emilio Isgrò, Tito Varisco and Luigi Veronesi, for introducing visions and languages closer to modern artistic practices, to the art system and creative professions. Training at NABA is based upon
interdisciplinary methods for developing skills and artisticprofessional profiles in the fields of art, design, fashion, media and graphics, with a strong emphasis on research, relations and ethical training practices. The packaging course by NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) is one of the obligatory 3rd year modules for specialising in
Gianfranco Trivulzio, affronta tematiche teoriche nelle quali si parla del mercato, della distribuzione, del rapporto tra cliente ed agenzia e dell’identità di marca; inoltre vengono sviluppati vari progetti di ricerca, cercando di simulare, dal punto di vista metodologico, quello che succede realmente all’interno di un gruppo creativo di un’agenzia: dall’analisi del target di riferimento e del mercato specifico nel quale il nuovo prodotto dovrà inserirsi, all’individuazione del suo posizionamento con l’ausilio di diagrammi. In parallelo si creano le tavole descrittive degli “scenari emozionali”, con fotografie che ne “visualizzano” l’identità. Si passa poi al processo creativo vero e proprio, utilizzando processi di brainstorming per individuare tutta una serie di idee legate al progetto da sviluppare. Le
communication. As from this year the course has been divided in two: the first, more technical, part, is the study of problems relating to structural packaging (flacons, boxes, bottles, tubes, etc.) and to most commonly used packaging materials, with lessons in 3D software; the module is held by Professor Lorenzo Vallone. The second part, taken by Professor Gianfranco Trivulzio, deals with
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migliori vengono quindi realizzate e finalizzate in base alle richieste del brief. In parallelo si danno anche nozioni pratiche su come realizzare i mock-up, spiegando i “trucchi” del mestiere e le varie tecniche, da quelle prettamente manuali fino alle più moderne consentite dalla prototipazione rapida che permettono di realizzare modelli di flaconi, vaschette o qualsivoglia contenitore in modo veloce e preciso partendo da un file. Peculiarità importante del corso è quella di non porre in fase di progettazione troppi vincoli tecnici, come spesso avviene in pratica, per non frenare le intuizioni e la creatività degli studenti.
Per informazioni Contact details NABA Via C. Darwin, 20 - 20143 Milano tel 02 97372 1 fax 02 97372 280 info@naba.it
trade and the various techniques, from the strictly manual to the more modern, permitted by fast prototyping for creating the models of flacons, trays or of any other containers both quickly and accurately starting from a file. An important feature of the course is a limited use of technical constraints, common in practice, encouraging the intuition and creativity of the students.
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“emotional scenarios”, with photographs “showing” their identities. Next is the creative process itself, brainstorming procedures for locating a whole other series of concepts relating to the current project. The best concepts are therefore carried out and developed on the basis of the requisites stated in the brief. Practical ideas are also given on how to carry out mockups, explaining the tricks of the
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theoretical subjects relating to market, distribution, customeragency relations and brand identity; there are also various research projects for simulating, from a methodological point of view, what happens within the creative group of an agency: from the analysis of the intended target and specific market of a new product, to locating its position with the use of diagrams. On a parallel, are tables detailing
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il Tubo che Svetta
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spiega: «Quando si parla di dolci, il consumatore segue un impulso istintivo nell’acquisto, in questo senso il packaging gioca un ruolo importante come incentivo a comprare. Lo SticksCan degli After Eight Straws ne è un ottimo esempio: questo imballaggio non solo assicura un’ottimale protezione degli stick ma, con il suo design, mette anche in rilievo la qualità del prodotto ed aggiunge quel tocco di eleganza che aiuta ad incrementare le vendite». Weidenhammer produce anche tubi luxury che coprono una nicchia di mercato più ricercata: vengono utilizzati per articoli di alta qualità come cosmetici, profumi, champagne, vini e talvolta persino telefoni cellulari. In questo caso, lo scopo principale del packaging non è più la sicurezza e il mantenimento del prodotto (che è dotato di un secondo imballo), ma è quello di diventare una sorta di “vestito di lusso” in latta, con l’etichetta variamente decorata, a sbalzo, stampata su lamine speciali o in carta ad altissima qualità; il tubo, per dare un’apparenza ancora più ricercata al prodotto, può essere rivestito in tessuto, in simil-velluto o in simil-cuoio. Non solo prodotti per il mercato del lusso, Weidenhammer produce anche i classici fustini per detersivo, quelli che vediamo nelle case di tutti da sempre. Tra i suoi clienti i nomi storici delle industrie produttrici di detersivi in polvere come Ariel, Dash, Persil. I fustini, tondi o a base squadrata, sono adatti a contenere da 3 a 30 litri, e, come i barattoli multimaterici sono fatti per il 90% di carta riciclata; il prodotto è protetto da una fodera di cera, di PE o di alluminio che lo ripara dall’umidità; poiché questi fustini possono contenere anche sostanze pericolose, devono essere dotati di specifiche caratteristiche e forniti di appositi sigilli di sicurezza e di sistemi di apertura “a prova di bambino”.
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Tra le aziende storiche del packaging Weidenhammer Packaging Group si è ritagliata un posto importante nel mercato dei barattoli e fustini multimaterici e dei tubi luxury. Nata nel 1955 come azienda a conduzione familiare, conta oggi più di 750 dipendenti nelle sue otto sedi in Europa. Weidenhammer produce in particolare barattoli multimaterici, un tipo di imballaggio che, dopo la seconda guerra mondiale, ha avuto una diffusione anche maggiore rispetto alle più comuni lattine di alluminio. I barattoli multimaterici (composite cans) sono contenitori resistenti, realizzati con differenti materiali: il 90% è composto da carta riciclata mentre la base e il tappo sono in plastica, latta o alluminio. La parete del barattolo è a fasce di cartone affiancate parallelamente, verticalmente o a spirale ed è internamente ricoperta da una membrana in alluminio. Tutti questi materiali, opportunamente combinati, rendono i barattoli assai resistenti e proteggono durante il trasporto gli alimenti contenuti, impedendo che si sbriciolino. Il tappo, anche alcuni giorni dopo la rottura del sigillo, è in grado di mantenere inalterate freschezza, fragranza e aroma. In alcuni casi questo tipo di packaging ha accompagnato la fortuna del prodotto, come è successo per le patatine Pringles, infatti, un siffatto tubo o barattolo, più facilmente svetta tra gli scaffali e può essere più attrattivo dei un comuni sacchetti che si sgualciscono e si afflosciano su un lato. Recentemente Weidenhammer ha presentato un nuovo imballaggio per gli stick di cioccolato After Eight Straws: sfilando la parte superiore del tubo, i “golosi” bastoncini si aprono elegantemente a ventaglio e possono essere serviti direttamente dalla confezione. Rolf Regelmann, responsabile marketing e vendite,
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Lofty Tubes Among the historic packaging concerns the Weidenhammer Packaging Group has carved out an important place for itself in the multimaterial composite can and tin as well as luxury tube market. Set up in 1955 as a family-run concern, it now counts 750 employees in its eight European sites. In particular Weidenhammer produces composite cans, a type of packaging that after the Second World War was even more popular than the more common aluminium cans. The composite cans are sturdy containers, made using different materials: they are constituted 90% by recycled paper while the base and the top are in plastic, tin or aluminium. The can walls are made out of parallel cardboard strips that run vertically or spirally; the inside is covered with an aluminium membrane. All these materials, correctly combined, make the tin sturdy and protect the food contained therein during transportation, preventing the same from crumbling. Even some days after breaking the seal, the top is capable of retaining the unaltered freshness, flavour and aroma of the product. In some cases the said packaging has accompanied the success of the product, as was the case with Pringles crisps, where in fact a composite tube or tin stands out better on the shelf and can be more attractive than the common crisp pack that wrinkles up and flops to one side. Recently Weidenhammer has presented a new packaging for After Eight Straws chocolate sticks; removing the upper part of the tube the delicious sticks fan out elegantly and can be served direct from the pack. Rolf Regelmann, in charge of marketing and sales at Weidenhammer, explains: "When it comes to sweets, customers follow their spontaneous
purchasing impulses. In this respect, the packaging plays an important role as a buying incentive. The SticksCan for NestlĂŠ After Eight Straws exemplifies the versatile design and printing options available with our composite can. This premium quality package not only ensures optimal product protection and excellent customer convenience. It also highlights the product quality, adds a hint of elegance, and helps improve sales performance. Weidenhammer also produces luxury tubes that cover a more select market niche: they are used for top quality articles like cosmetics, perfumes, champagne, wines and at times even cell phones. In this case the main purpose of the packaging is no longer that of guaranteeing the safety and protection of the product (that has a second packaging), but it is that of becoming a sort of “luxury claddingâ€? in tin, with the label variously decorated, embossed, printed or stamped on special lamina or top quality paper; to give the product an even more refined appeal, the tube can be covered in fabric, sateen or imitation leather. Weidenhammer not only manufactures products for the luxury market, it also produces classic washing powder tins, common household items since way back. Weidenhammer can count the historic names of washing powder such as Ariel, Dash, Persil among its customers. The tins, with a round or squared base, can contain from 3 to 30 litres and being composites they are made 90% out of recycled paper; the product is protected by a wax, PE or aluminium lining that wards off humidity; to enable them to also contain dangerous substances, the tins have to be provided with special characteristics along with special safety seals and childproof opening systems.
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Paul, Mick e gli Altri La cultura del “rischio calcolato” e il tema della sicurezza. Cosa siamo pronti ad accettare e a fare perché la nostra società continui ad apparire coerente?
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Gabriele Illarietti
La sicurezza intesa come “rischio calcolato” fa ormai parte delle nostre vite, così ci mostra con grande schiettezza e sincerità il famoso regista inglese Ken Loach nel film Paul, Mick e gli altri (titolo originale The Navigators*, Gb/Rft/Spagna 2001). Se la sicurezza si scontra con il mercato, per chi è meglio parteggiare? Siamo disposti a pagare qualcosa in più per la nostra incolumità e per avere la garanzia di prodotti di qualità? Il problema, forse, sta nel fatto che nella nostra stessa società del rischio anche l’aumento dei prezzi - dovuto agli alti costi per la sicurezza sul lavoro e la qualità dei prodotti che consumiamo contribuisce a ingenerare
instabilità sociale e insicurezza. Ogni sforzo “protezionistico”, quindi, ci si ripercuote contro, come un boomerang che mette a repentaglio quegli stessi valori che vorremmo tutelare, come una vita serena e minimamente programmabile o godibile. Proteggere noi stessi e gli altri (come indica significativamente il titolo italiano del film) vuol dire, sempre più spesso, mettere a rischio molto delle nostre vite professionali, e non solo, in un vortice che ormai non tiene più conto di alcuna divisione di classe o di reddito. Nel film di Loach - che racconta la storia di alcuni lavoratori delle ferrovie inglesi, durante il passaggio, nel 1995, alla fase
delle privatizzazioni e del lavoro interinale - non c’è più alcuna differenza tra dirigenti, società e operai. Le aziende sono in balia del mercato, che opera sempre in modo imprevisto e quasi malevolo pur di peggiorare le cose, e i dirigenti vedono messo a repentaglio il proprio posto di lavoro né più né meno di quanto accada agli operai. Eppure una differenza sembra persistere. Al di là del posto di lavoro, per alcune classi di operai (in questo caso i ferrovieri) e di consumatori è in gioco molto di più, è a rischio la propria stessa salute. Quando prendiamo un treno o acquistiamo un prodotto alimentare, quando facciamo rimettere a posto i freni della
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Ken Loach in Italia Il 5 dicembre scorso Ken Loach era a Piacenza su invito dall'ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro) per ricevere, insieme ad altre personalità, un riconoscimento come cineasta socialmente impegnato e attento alle problematiche del mondo del lavoro. A margine della premiazione, il circolo Arci-Ucca “I Cinemaniaci” ha omaggiato Loach di due bottiglie di Gutturnio, il tipico vino rosso piacentino, sulle cui etichette campeggiavano le locandine dei film del regista.
Gabriele Illarietti è dottorando in filosofia presso l’Università Statale di Milano e si occupa di teoria critica; ha tradotto
Credere di Slavoj Zizek, Meltemi 2005.
Last 5th December Ken Loach was at Piacenza invited by ANMIL (National Italian Association of Mutilated and Disabled Workers) to receive, along with other personalities, an award as a filmmaker socially committed and sensitive to problems related to the world of work. At the margin of the event, the ARCI-UCCA circle “The Cinemaniacs” paid homage to Loach with two bottles of Gutturnio, the typical red wine from the Piacenza area, whose labels bore the posters of Loach’s films for the occasion.
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* Nota del traduttore A proposito di “The Navigators”, il titolo in inglese si rifà sicuramente alla parola “navvy” che, in inglese, significa “manovale” e che a sua volta nasce come antica abbreviazione di “navigational canal worker”.
Ken Loach in Italy
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macchina o mandiamo i nostri figli a mangiare nelle mense scolastiche, stiamo già facendo parte di una società in cui il rischio è calcolato (“nel limite di due decessi l’anno” recita nel film di Loach la battuta di un dirigente delle ferrovie). Questa è la nuova coerenza che ormai quotidianamente si impone alla nostra attenzione, la coerenza della “logica” del rischio. Se si tratti di logica non saprei, ma se è vero, come diceva Th.W. Adorno, che il pessimismo è ormai l’unico ottimismo possibile, forse è meglio stare attenti a facili entusiasmi, perché, chi può dire quale sarà in futuro il limite di decessi accettato statisticamente?
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The Navigators The culture of the “calculated risk” and the subject of safety. What we are ready to accept and do, so that our society continues to appear coherent? Gabriele Illarietti
Gabriele Illarietti is taking his doctorate in philosophy at the Università Statale di Milano and deals specifically with critical theory; he translated Credere by Slavoj Zizek, Meltemi 2005.
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Safety intended as a “calculated risk” is by now part of our lives, shown to us with great frankness and sincerity by the famous UK film director Ken Loach in the film The Navigators (Gb/Rft/Spain 2001). If safety comes up against the market, which side are we best off taking? Are we prepared to pay a bit more for our safety or for the guarantee of a quality product? The problem perhaps lies in the fact that in our very risk society itself even price increases - due to the high costs of safety at work and the quality of the products we consume - contribute to generating social instability and insecurity. Any “protectionist” effort hence turns against us like a boomerang, jeopardising the very values we are trying to protect, such as a life without worries that can be programmed or enjoyed to a minimum degree. Protect ourselves and the others (as significantly underlined in the film’s Italian title Paul, Mick e gli altri) means evermore placing a large part of our professional lives at risk, and not only that, in a vortex
that now no longer makes any distinction between class or wage difference. In Loach’s film - that tells the story of some British railway workers in 1995 in the period of transition following the privatisation of the railways and the introduction of temporary work - there is no longer any difference between managers, company and workers. The companies are at the mercy of the market, that always seems to act unpredictably and almost callously just to worsen things, and the managers see their own jobs in jeopardy just like those of the workers, their very health placed at risk. When we catch a train or buy food, when we have our car brakes overhauled or have our kids eat in school canteens, we are already part of a society in which the risk is calculated (“within the limit of two deaths are year” in the line of a railway boss in Ken Loach’s film). This is the new coherence that we are now daily subject to, the coherence of the “logic” of risk. I don’t really know if it’s logic, but if it is true, as Th.W. Adorno said, that pessimism is by now the only optimism possible, perhaps we ought not to get too enthusiastic about things, because, who knows what the limit of the future statistically acceptable death toll might be?
Ken Loach, 120
Piacenza (I), 5 /12/05
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Drive - automobili nell’arte contemporanea, la mostra inaugurata lo scorso dicembre alla Galleria di Arte Moderna di Bologna e prodotta in occasione del Motor Show presentava “l’altra faccia dell’automobile” nell’immaginario degli artisti contemporanei: quindi, non gli ultimi scintillanti modelli delle grandi case automobilistiche ma, per esempio, il manufattocontraffatto tailandese della Mercedes, disegnato “a memoria” da Tobias Rehberger, oppure la Ferrari tutta in cartone
di Costa Vece. Secondo Erwin Wurm, invece, la macchina si umanizza assumendo persino le nostre patologie e diventando obesa. Originale anche il materiale editoriale realizzato in occasione della mostra: una scatola come catalogo e un disco orario a mo’ di flyer. La scatola, simile a quelle usate per i pezzi di ricambio delle automobili, contiene i poster delle opere in mostra, con la biografia degli artisti e il commento dell’opera sul retro. Il disco orario invece è doubleface, facendolo ruotare, da
un lato mostra le iconcine delle opere e i nomi degli artisti, dall’altro lato invece segna le ore ed è facilmente utilizzabile, oltre al “plus” di essere griffato Drive. La qualità e l’importanza dei lavori esposti fanno di questa mostra un evento di grande rilevanza nel panorama espositivo italiano; il che lascia presagire un interessante debutto per la sua nuova sede del Museo di Arte Moderna - Mambo - la cui apertura è prevista presso l’ex forno del pane di Bologna nel 2007.
Costa Vece, Racecar & Race, 1998
Drive
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side it shows the small icons of the works and the names of the artists, on the other it tells the time and is easy to use, as well as having the plus of bearing the brand Drive. The quality and the importance of the works placed on show make this exhibition an event of great importance on the Italian exhibition scene; that allows us to predict an interesting debut for the new site of the Museo di Arte Moderna - Mambo - that is scheduled to open in the ex Bologna bakery in 2007.
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Drive - cars in contemporary art, the show inaugurated last December at the Bologna Galleria di Arte Moderna and organised in occasion of the Motor Show presented “the other face of the car” in the imagination of contemporary artists: hence, not the latest glittering models of the large car manufacturers but, for example the handmanufactured Thai counterfeit of the Mercedes, designed “from memory” by Tobias Rehberger, or
Costa Vece’s cardboard Ferrari. According to Erwin Wurm in turn the car becomes humanized, even taking on our pathologies and becoming obese. The publishing material created for the occasion of the show is also original: a box catalogue and a parking disk as a flyer. The box, similar to those used for car spare-parts, contains the poster of the works on show, with biographies of the artists and the comment of the work on the back. The parking disk in turn is double faced, rotating it, on one
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La Sicurezza in un Pezzo di Carta
attraverso appositi decodificatori, e le immagini tridimensionali disegnate con il raggio laser. La qualità della materia prima è un presupposto imprescindibile per la sicurezza del prodotto: la cellulosa di cotone viene preparata con un trattamento di liscivazione e sbiancata con acqua ossigenata e i macchinari di ultima generazione garantiscono la qualità della lavorazione della carta. Tra i dispositivi ottici variabili realizzati da Fabriano, il più richiesto dai clienti è l’ologramma, in quanto la tecnologia di stampa, l’effetto tridimensionale e il procedimento di applicazione altamente sofisticato ne rende particolarmente difficile la contraffazione. Oltre alla Banca Europea, le Cartiere Miliani Fabriano forniscono altri importanti enti pubblici tra i quali spiccano Banco di Napoli, l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, l’Istituto Poligrafico e la Zecca di Stato a testimonianza dell’eccellenza del prodotto realizzato dall’azienda.
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l’economia, l’amministrazione, la sicurezza e la burocrazia. Il riconoscimento dell’autenticità dei documenti non è una questione recente: fin dall’antichità l’esigenza di garantirne l’originalità aveva portato all’utilizzo della ceralacca; marchi e sigilli erano apposti anche a oggetti particolarmente pregiati e il produttore impegnava il proprio nome a garanzia della qualità. L’introduzione della filigrana costituisce un nodo cruciale per i dispositivi di riconoscimento della carta: risale al XIII secolo, solo un secolo dopo la diffusione della cellulosa in Italia. Furono i cartai di Fabriano a inventare questo sistema per documenti di particolare valore: la lavorazione della filigrana si è evoluta e perfezionata nei secoli pur mantenendo la sua primaria importanza nel settore. Il connubio tra la secolare tradizione della carta di Fabriano e la sofisticata tecnologia applicata ha permesso alle Cartiere Miliani Fabriano di eccellere nella produzione delle carte di sicurezza. L’azienda, che dal 1997 è entrata a far parte del gruppo Fedrigoni, è stata selezionata nel ristretto numero di cartiere autorizzate dalla Banca Centrale Europea a produrre la carta per l’euro. Una semplice banconota è in realtà un supporto estremamente complesso: gli elementi di sicurezza che la compongono possono essere più di trenta, come per esempio l’iridescenza cangiante dei coriandoli e degli ologrammi che non possono essere fotocopiati, i fili di sicurezza metallici che permettono di essere rilevati
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Oggi, colazione al bar: brioche e cappuccino. Non ho moneta, mi cambia 20 euro? Prendo la metro per andare al lavoro e timbro il biglietto. Dopo la pausa pranzo mi fermo dal tabacchino: di solito non gioco ma il montepremi di oggi è proprio un bel gruzzoletto... perché non tentare la fortuna di tanto in tanto? pago la schedina, anche un francobollo, per favore. Al rientro in ufficio trovo l’assegno del mese... così stasera passo in agenzia a ritirare i biglietti del viaggio di Pasqua e saldo l’anticipo. Mentre sto tornando a casa mi ferma la polizia - la cintura ce l’ho, l’auricolare pure... cosa vorranno? - “patente e libretto, prego. Tutto a posto, vada pure”. Una giornata ordinaria: vere protagoniste di queste righe sono in realtà le carte di sicurezza. Banconote, francobolli, biglietti, patente... sono oggetti a cui non prestiamo particolare attenzione ma che mostrano come la sicurezza pervada tacitamente e implicitamente le nostre giornate. Solo quando la televisione e i giornali riportano i - non rari - casi di contraffazione e falsificazione torniamo a renderci conto e ci ricordiamo di quanto questo sistema possa essere fragile e vulnerabile. Le nuove tecnologie, i sistemi informatici, i micro-chip, le carte a banda magnetica hanno in parte sostituito i tradizionali sistemi di pagamento o, quanto meno, sono venute in aiuto al supporto cartaceo (si pensi per esempio alle macchine per stampare i biglietti o agli inchiostri invisibili delle banconote); in ogni caso la carta resta ancor oggi un supporto imprescindibile per
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Security in a Piece of Paper
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Giada Tinelli Today, I breakfasted at the bar: a brioche and a cappuccino. Can you change a 20 euro note, I asked? I took the train to work and validated my ticket. During the lunch break, I visited the tobacconists: I don’t usually play the pools but there’s a tidy sum up for grabs… why not try one’s luck occasionally? I paid for the coupon, and asked to have a postage stamp too. When I returned to the office, I picked up the monthly pay cheque… and so, later on, I could visit the travel agency to collect the tickets for the Easter holiday, and relished the anticipation. As I was driving home, I was stopped by the road police I was wearing my seatbelt and even my earphone… what did they want? “Driving licence and papers, please. All in order, you may go now.” An ordinary day: and yet the real protagonists of this story are the security papers. Bank notes, postage stamps, travel tickets, driving licence… they are all objects we take for granted but that show just how security so greatly permeates our daily life. Only when the television and newspapers report the not uncommon cases of counterfeit and fraud do we remember and realise just how fragile and vulnerable this system can be. New technology, information systems, microchips and cards with magnetic strips have, in part, replaced traditional payment systems or, at least, are an aid to the paper medium (consider, for example, ticket printing machines or invisible ink on banknotes); in any case, paper still remains to this day an indispensable medium for economy, administration, security and bureaucracy. Recognising the authenticity of documents is by no means a new phenomenon: since ancient times, the demand for proving authenticity led to the use of sealing wax; marks and seals were even made on objects of value and the manufacturer would apply his name as a quality
guarantee. The introduction of watermarks was a crucial landmark for paper recognition devices: it took place in the 12th century, just a century after cellulose spread to Italy. This system for valuable documents was invented by the paper manufacturers of Fabriano: watermark processing was developed and perfected over the centuries, while remaining of key importance to the sector. The marriage between the centuries-old paper tradition at Fabriano and sophisticated applied technology has allowed Cartiere Miliani Fabriano to excel in the manufacture of security paper. The concern, who joined the Fedrigoni group in 1997, was one of the few select paper factories authorized by the European Central Bank to manufacture Euro paper money. A simple banknote can in fact be an extremely complex medium: it can comprise more than thirty security features, such as the changing iridescence of the chips and holograms, impossible to photocopy, the metal security strips that can only be detected with the appropriate decoders, and the three-dimensional pictures drawn by laser ray. The quality of the raw material is an absolute must for the security of the product: the cotton cellulose preparation is treated with liquor and bleached with oxygenated water, and the latest generation of machines guarantee the quality of paper processing. Of the variable optical devices created by Fabriano, the hologram is the one the customers most demand, insofar that the printing technology, the three-dimensional effect and highly sophisticated application procedure makes it especially difficult to counterfeit. As well as the European Bank, Cartiere Miliani Fabriano cater for other important public bodies, notably the Bank of Naples, the Italian National Insurance Association, the Printers’ Association and the Government Mint, testifying the excellence of the concern’s product.
L’impact du Pack. P’référénce Pyramyd, 2004
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With L’impact du pack French publishers Pyramyd inaugurate a new series dedicated to design and packaging. The book (in French and English) offers
reflections on the world of packaging through the eyes of its protagonists. Each number is monographic and this first volume is dedicated to the French agency P’référence which has put its name to projects for large brands such as Nestlé, Segafredo, Sunsilk, Garnier, Yves Rocher. As well as the interviews and the more theoretical parts, the photographs illustrating the life of packaging, from its origins to the dustbin, taking in supermarket trolleys and its role in the home, are of considerable interest.
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Con L’impact du pack la casa editrice francese Pyramyd inaugura una nuova collana dedicata al design e al packaging. Il libro (in francese e inglese) propone riflessioni sul mondo del packaging attraverso i suoi protagonisti. Ogni numero è monografico e questo primo volume è dedicato all’agenzia francese P’référence che ha
firmato progetti per grandi marchi come Nestlé, Segafredo, Sunsilk, Garnier, Yves Rocher. Di notevole interesse, a corredo delle interviste e delle parti più teoriche, gli apparati fotografici, che mostrano in pieno stile “real” la vita degli imballaggi, dall’origine alla pattumiera, passando per i carrelli dei supermercati e la casa.
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Wayfinding. Designing and Implementing Graphic Navigational Systems Craig M. Berger, Rotovision, 2005
Designing for children. Marketing design that speaks to kids Cathrine Fishel, Rockport, 2001
views and comments of experts and those who are more directly concerned, the kids themselves.
Una nuova e aggiornata guida al design grafico ambientale moderno e contemporaneo. Questa disciplina - inizialmente legata all’architettura e al design urbano, o più semplicemente alla tradizionale grafica - si è evoluta nel corso degli anni fino a diventare un ambito di ricerca autonomo. La segnaletica che ci circonda cambia costantemente, alla ricerca, non solo, di simbologie di più immediata comprensione e di soluzioni grafiche, ma anche di tecnologie interattive innovative, per accompagnare e seguire il fruitore in ogni tipo di percorso.
Questo coloratissimo e approfondito volume presenta numerose case histories di prodotti di successo dedicati ai più piccoli, dai giochi alle riviste, dai cibi ai siti web, fino ai programmi televisivi. Cathrine Fishel prende in esame le campagne pubblicitarie che hanno decretato il trionfo di giocattoli come la Barbie, i libri della Candlewick Press, o i Cheerios. Designing for children propone una visione particolare del marketing per bambini illustrandolo sia attraverso la prospettiva degli addetti ai lavori, sia attraverso lo sguardo e i commenti degli esperti e più diretti protagonisti, i bambini stessi.
Extra ordinary. an amusing guide for unleashing your creativity Hisako Ichiki e Takao Umehara, Rockport, 2005
A new and updated guide to modern and contemporary environmental graphic design. This discipline - initially linked to architecture and urban design, or more simply to traditional graphics - evolved over the years until it became a research field in its own right. The road signs which surround us are constantly changing, in search of immediately comprehensible symbols and graphic solutions as well as innovative interactive technologies to accompany the user on any type of journey he makes.
This extremely colorful and detailed volume shows numerous case histories of successful products dedicated to kids, from games to magazines, from food to websites, to television programmes. Cathrine Fishel examines the advertising campaigns which have determined the triumphant success of toys such as Barbies, the Candlewick Press books or Cheerios. Designing for children offers an unusual vision of marketing for children illustrating it both from the perspective of people in the business and by means of the
Esercizi per liberare la creatività: perché non utilizzare una fetta di pane come mousepad, o un reggiseno cucito come borsetta? gli oggetti più ordinari e banali possono essere ripensati per altri usi con originalità e una buona dose di humour. Una sola clausula: “non sperimentare a casa questi progetti, in quanto non approvati da normative di sicurezza”. Un libro per reinventare la realtà al di fuori degli schemi del senso comune. Exercises for releasing your creativity. Why not use a slice of bread as a mouse pad, or sew a bra into a handbag? The most ordinary and banal objects may be reworked originally and humorously. Just a word of warning “Do not try this at home as not approved by safety regulations” A book for reinventing reality beyond the conventions of common sense.
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1000 bags, tags & labels. Distinctive designs for every industry Kiki Eldridge, Rockport, 2006 Le etichette offrono uno dei più diretti punti di contatto tra azienda e cliente: un lasciapassare per il prodotto. Attraverso un marchio riconoscibile e una grafica concentrata in pochi centimetri quadrati, l’azienda mira farsi riconoscere e ricordare dalle persone e il consumatore attento cerca e legge le etichette dei prodotti che sta acquistando, dal vestiario al cibo, dai cosmetici ai prodotti farmaceutici. La notevole raccolta di immagini fotografiche fornita dal volume è un utile strumento per designer e grafici che cercano idee nuove per etichette, cartellini e borse per ogni tipo di prodotto.
L’edizione italiana di Materials e Designs si propone di colmare una lacuna nella bibliografia del design in italiano, avvicinando tra loro le due componenti essenziali di ogni progetto ovvero l’aspetto tecnico e quello esteticopercettivo. Esplorando problematiche importanti come il ruolo dei materiali nella percezione del prodotto o le tecnologie impiegate nella realizzazione di un oggetto di industrial design, e grazie al supporto di schede tecniche e di grafici esplicativi, il libro è uno strumento di grande utilità per studenti, designer ed esperti del settore. www.ceaedizioni.it
Il volume è una raccolta di riflessioni per una rilettura trasversale del packaging. Costruendo percorsi storici, di marketing e comunicazione, raccontando l’esperienza di alcune aziende o analizzando certi tipi di prodotto, l’autrice esplora il mondo del packaging nelle sue molteplici forme espressive. Packaging design intende analizzare gli aspetti più salienti e le funzioni massmediali del packaging per riconoscerne il suo ruolo cruciale nella nostra società dei consumi. The volume is a collection of reflections for a transversal rereading of packaging. Tracing the history of the marketing and advertising of pakcaging, recounting the experiences of companies or analysing certain types of products, the author explores the world of packaging in its many guises. Packaging design means to analyse the most salient aspects and the mass media roles of packaging in order to recognise its crucial role in our consumer society. Paper Engineering. 3D design techniques for a 2D material Natalie Avella, Rotovision, 2006. La carta può essere molto più di una superficie piatta su cui disporre testi e
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The Italian edition of Materials and Designs intends to fill a vacuum in the bibliography of design in the Italian language, juxtaposing the two essential components of every project, which are the technical and the aesthetic-perceptive aspects. Exploring important issues such as the role of materials in the perception of the product and the technologies used in creating an industrial design object, with the help of technical charts and explanatory pictures, the book is a useful tool for students, designers and experts in this sector.
Packaging design. Storia, linguaggi, progetto. Valeria Bucchetti, FrancoAngeli, 2005
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Labels make up one of the most direct points of contact between a company and a customer, a kind of passport for the product. By means of a recognisable trademark and graphics concentrated in just a few square centimetres, the company aims to be recognised and remembered, while the customer seeks out and reads the labels of the products he buys, from clothes to food, from cosmetics to pharmaceutical products. The remarkable collection of photographs provided in the volume is a useful tool for designers and graphic artists seeking new ideas for labels, tags and bags for every type of product.
Materiali e Design. L’Arte e la Scienza della Selezione dei Materiali per il Progetto Mike Ashby e Kara Johnson, Casa Editrice Ambrosiana, 2005
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immagini. L’autrice propone un affascinante viaggio nel mondo della carta a tre dimensioni; tutti i progetti mostrano come essa possa efficacemente essere utilizzata in quanto materiale di design: non solo libri pop-up, ma anche bizzarre costruzioni, ingegnosi volantini e biglietti da visita ritagliati e piegati a formare effetti sorprendenti. Una caratteristica comune a gran parte di questi oggetti è l’interattività con il fruitore che è chiamato ad interrogare il prodotto aprendolo, ruotandolo, guardandolo da diverse prospettive. Con le interviste a tre dei maggiori ingegneri della carta - Ron van der Meer, Kate Farley e Ed Hutchins - Paper Engineering svela alcuni segreti di queste tecniche spiegando come la curiosità per queste carte “anomale” sfoci poi sempre nella sorpresa e venga da chiedersi: come è stato costruito? come funziona? che bella idea! Il progetto grafico del libro è perfettamente coerente al tema: una grande ricercatezza formale e accurati effetti tridimensionali ne accompagnano ogni pagina. Paper may be much more than a flat surface on which to arrange texts and pictures. The author proposes a fascinating journey through the world of three dimensional paper. Every project shows how it can be efficiently used as a design material. Not just pop-up books but also bizarre creations, ingenious flyers and business cards cut and folded into astonishing shapes. A characteristic common to most of these
objects is the way they interact with the user who is called upon to examine the design by opening it up, turning it over, looking at it from different angles. Providing interviews with three of the major paper engineers - Ron Van Der Meer, Kate Farley and Ed Hutchins - Paper Engineering reveals some of the secrets of these techniques explaining how curiosity about these “anomalous” papers always culminates in astonishment and the need to enquire: how was it made? how does it work? what a great idea! The book’s graphic design matches the topic perfectly. Sophistication and clever three-dimensional effects are found on every page. Experience - Trimestrale multisensoriale Casa Editrice Mattioli 1885 s.p.a Nata nel 2003, Experience è un'idea concreta fatta di musica e di carta, di profumi e di immagini. Da leggere ma anche sfiorare con le mani, da ascoltare e osservare e, in ultimo ma non meno importante, anche da scrivere. Experience è al settimo numero, in cui autori, artisti e fotografi "guardano" la città in modo non convenzionale. Nei suoi due anni di vita la rivista ha pubblicato 5 romanzi inediti o difficilmente reperibili che sono stati regalati agli abbonati creando una rete di contatti che si estende giorno dopo giorno. L'esperienza multisensoriale è tutta qui. Ha vinto nel 2004 il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio
dei Ministri con il progetto editoriale collegato: "... carte diverse per il piacere del tatto, un profumo che si leghi alla pubblicazione, occhi mente e cuore per l'esperienza visiva, per la narrativa, per la saggistica. Infine cucina sperimentale per il gusto, musica per le orecchie e una serie di esperimenti per il puro divertimento..." come la descrivono Benedetto Montefiori e Paolo Cioni, i due direttori (www.experience1885.com). Born in 2003, Experience is tangible idea consisting of music and paper, scents and pictures. Something to read but also to touch, to listen to and observe and to write in. It is now in its seventh edition, in which authors, artists and photographers “look” at their city in an unconventional way. In its two years of life the magazine has published 5 previously unpublished or difficult to find novels which were given away to subscribers creating a network of contacts which expands day by day. This is an experience involving all the senses. In 2004 Experience won the Prime Minister’s Cultural Award for the linked publishing project: “…different types of paper pleasant to the touch, a scent which you associate with the book, eyes, mind and heart for the visual experience, narrative, nonfiction. Finally, experimental cuisine for the taste-buds, music for the ears and a series of experiments for sheer entertainment…” in the words of Benedetto Montefiori and Paolo Cioni, the two directors.