Impackt 1/2007

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Semestrale di cultura del packaging, arte, design e comunicazione

1/2007 â‚Ź 11,00


www.ferrariodesign.it

Segno di distinzione.

CartograficaPusterla CoffretsCreation DacicaTeca

Cartografica Pusterla spa - Via A. Pusterla, 4 - 21040 Venegono Inferiore Varese - Italia - tel. +39 0331 856500 - fax +39 0331 865335 www.c-pusterla.it - info@c-pusterla.it Coffrets Création sa - Z.I. Puygaillard - 87520 Oradour-sur-Glane - France tél. +33 5 55 03 21 54 - fax +33 5 55 03 19 77 www.c-coffrets.fr - info@c-coffrets.fr Dacica Teca srl - Bucures ¸ti-Domnesti n. 86 - Comuna Clinceni - Jud.Ilfov Bucures ¸ti - România - tel. +40 31 860 00 48 - fax +40 31 860 00 47


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bookshops dove trovare impackt where to find impackt II copertina

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III copertina


user instructions


The BRIC Packaging

user instructions

Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi

C’era una volta il Terzo Mondo e oggi esiste ancora, in gran parte del continente africano e determinate zone depresse di quello asiatico, ma forse la novità più grande del XXI secolo è rappresentata dal fatto che alcuni Paesi di aree un tempo sottosviluppate stanno oggi conoscendo una crescita economica senza precedenti. Questi Paesi emergenti - che per ora sono Brasile, Russia, India e Cina (da cui l’acronimo BRIC Countries) - si stanno affacciando alla ribalta dell’economia mondiale con un desiderio di espansione, uno slancio economico e una capacità imprenditoriale del tutto inediti. La cosa interessante è che, oltre a cominciare ad attirare gli investimenti a livello mondiale, le zone e le metropoli più attive di questi Paesi si trovano a sperimentare forme e stili di vita inediti, compromessi inverosimili tra culture, usi e consumi, cocktail di creatività mai visti.

Però, quello che i BRIC Countries condividono davvero, oltre al fatto di essere i mercati emergenti di oggi, è che un tempo proprio essi furono la culla di civiltà antichissime. In tal senso, l’approccio di questi popoli alle merci di consumo è paradossale: da un lato riflette usi legati alla tradizione, dall’altro è esposto all’irresistibile tentazione della modernità.

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Ne consegue, come dimostra questo numero di Impackt, che osservare l’abito dei prodotti cinesi, indiani, russi e brasiliani è un esercizio che riserva sorprese veramente notevoli e il packaging - da noi sempre considerato strumento privilegiato per misurare il polso della situazione - è direttamente coinvolto nella trasformazione globale. Le merci di questo Nuovo Mondo parlano infatti una lingua meticcia, babelica e stratificata, che racconta di passato e di futuro, di tecnologia e folclore, di invenzione e memoria - una vera e propria sfida con cui si misurano designer innovativi come i brasiliani fratelli Campana, agenzie globali e internazionali come la cinese Kan & Lo e la russa Mildberry, giovani artisti come l’indiana Shilpa Gupta, o, dalla Cina, i Fratelli Luo e tanti altri ancora, tutti in bilico sui confini di un mondo che cambia.

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Proprio per quanto riguarda la creatività, negli ultimi anni l’attenzione dei media e delle agenzie comunicative occidentali verso l’area BRIC si è decuplicata. Non si contano più le retrospettive dedicate al design e all’arte emergente cinese e indiana (a partire dalla Biennale di Venezia 2001, per arrivare a Il subcontingente indiano, alla Fondazione Sandretto di Torino, nel 2006, fino a La Cina: prospettive d’arte contemporanea, allo spazio Oberdan di Milano), così come innumerevoli sono ormai le retrospettive sul cinema dei paesi BRIC, o i numeri monografici di riviste

d’arte, design e letteratura, rivolti proprio ai paesi emergenti, fino a fenomeni più concreti, come quello di negozi o gallerie occidentali che aprono filiali anche a Shanghai, Beijing, Mumbai, Calcutta, Rio de Janeiro, Mosca…


user instructions

BRIC Packaging Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi

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Once there was the Third World and it still exists today, in most of the African and in certain depressed areas of the Asian continent, but perhaps the biggest new feature in the 21st century is the fact that some countries of former underdeveloped areas are today going through a period of unprecedented growth. These Emerging countries - that for now are Brazil, Russia, India and China (hence the acronym BRIC) - are appearing on the stage of the world economy with a desire for expansion, showing an economic and entrepreneurial verve never as yet seen in those areas. The interesting thing is that, as well as beginning to attract investments at world level, the most active areas and metropolises of these Countries find themselves experimenting highly original lifestyles, unlikely compromises between cultures, customs and consumption, creative cocktails hitherto never experienced. As far as creativity is concerned, over these latter years the attention of western media and communication agencies towards the BRIC area has increased tenfold. Countless retrospectives on emerging Chinese and Indian art have been held (starting out from the 2002 Venice Biennale, going on to the Indian Subcontingent, At the Fondazione Sandretto, Turin, in 2006, up to China: prospects of contemporary art, at the Spazio Oberdan, Milan), along with the by now countless retrospectives on the cinema of BRIC countries, or the monographic issues of art, design and literature magazines covering the

emerging countries, up to more concrete phenomena, such as the western shops and galleries that are also opening branches in Shanghai, Beijing, Mumbai, Calcutta, Rio de Janeiro, Moscow‌ Though what the BRIC Countries really have in common, as well as being the emerging markets of today, is that they were once the cradle of ancient civilisations. On this count the approach of these peoples to consumer goods is paradoxical: on the one hand reflecting customs bound by tradition, and on the other open to the irresistible temptation of modernity. Hence, as demonstrated in this issue of Impackt, it follows that observing the cladding of Chinese, Indian, Russian and Brazilian products is an exercise that reserves not a few surprises and packaging - that we have always considered a privileged tool for feeling the pulse of the situation - is directly involved in the global transformation underway. The goods of this New World in fact speak a half-cast, babelic and stratified language, that tells of the past and the future, of technology and folklore, of invention and memory - a true and proper challenge being faced by innovatory designers the likes of the Brazilian Campana brothers, global and international agencies like the Chinese Kan & Lo and the Russian Mildberry, young artists such as India’s Shilpa Gupta or China’s Luo brothers and many more besides, all balancing on the borders of a world that is changing.


ANCONA: • Librerie Feltrinelli C.so Garibaldi, 35 tel 071 2073943 BARI: • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Via Melo, 119 tel 080 5207501 • Libreria Campus de La Nuova Edit. Scient. via G. Toma, 86 tel 080 5574806 BOLOGNA: • Librerie Feltrinelli P.zza Ravegnana, 1 tel 051266891 BRESCIA • Librerie Feltrinelli Via G. Mazzini, 20 tel 030 3776008 FERRARA • Librerie Feltrinelli Via Garibaldi, 30/a tel 0532248163 FIRENZE • Libreria Alfani Editrice via Degli Alfani, 84 tel 055 2398800 • Libreria L.E.F. Via Ricasoli, 107/R tel 055 216533 • Librerie Feltrinelli Via dei Cerretani, 30/32 tel 055238265 GENOVA • Libreria Punto di Vista Stradone S. Agostino 58/R tel 010 277 • Librerie Feltrinelli Via XX Settembre,231/233 r tel 010 540830

• Libreria CLUP Via Ampere, 20 tel 02 70634828 • Librerie Feltrinelli Via Ugo Foscolo, 1/3 tel 02 86996903 • Libreria IULM Via Carlo Bo 8 tel 02 89159313 •Libreria dell'Archivolto via Marsala 2 tel 02 29010444 NAPOLI • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Via Cappella Vecchia, 3 (PIANO MENO 2) tel 081 2405411 • Libreria Antica & Moderna Fiorentino Calata Trinità Maggiore, 36 tel 081 5522005 • Librerie Feltrinelli Via T. D’Aquino, 70 tel 081552143 PADOVA • Librerie Feltrinelli Via San Francesco, 7 tel 049875463 PALERMO • Libreria Dante Quattro Canti di Città,172 tel 091 585927 PARMA • Librerie Feltrinelli Via della Repubblica, 2 tel 0521237492 PESCARA • Libreria Campus V.le Pindaro, 85 tel 085 64938 • Libreria dell’Università V.le Pindaro, 51 tel 085 694800 • Librerie Feltrinelli C.so Umberto, 5/7 tel 085 295288

SIENA • Librerie Feltrinelli Via Banchi di Sopra, 64\66 tel 057744009 SIRACUSA • Libreria Aleph C.so Umberto,106 TORINO • Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Via Modane 16 tel 011 19831625 • Libreria Agorà Via Santa Croce, 0/e tel 011 83 59 73 • Libreria Celid V.le Mattioli, 39 • Libreria Celid Boggio Corso Ferrucci, 119 • Librerie Feltrinelli P.zza Castello, 19 tel 011541627 TRENTO • La Rivisteria Via San Vigilio, 23 tel 0461986075 TREVISO • Libreria Canova Zoppelli via Calmaggiore 31 tel 0422 546253 UDINE • Libreria Paolo Gaspari Via Vittorio Veneto, 49 tel 0432505907 VENEZIA • Libreria CLUVA Tolentini Santa Croce, 197 tel 041522691 • Librerie Feltrinelli P.zza XXVII Ottobre,1 (Centro Le Barche Mestre) tel 041 981028 • Libreria LT2 Toletta Dorsoduro 1214 tel 041 5232034 VICENZA • Librarsi di Monarca & C. Contrà delle Morette,4 tel 0444547140

5

ROMA • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Largo di Torre Argentina, 5/10 tel 06 36001873 • Libreria Kappa P.zza Borghese, 6 tel 06 6790356 • Libreria Mancosu editore V.le G Rossini,20 tel 06 35192251 • Librerie Feltrinelli Via V.E. Orlando, 78\81 tel 064870171

SALERNO • Librerie Feltrinelli C.so V. Emanuele, 230 tel 089 253631

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MILANO • Art Book Triennale Viale Alemagna Emilio, 6 tel 02 724341 • Casa Editrice Ulrico Hoepli Via U. Hoepli, 5 tel 02 864872 08 • Coop. Studio e Lavoro Via Durando, 10 • La Cerchia Via Candiani, 102 tel 02 39314929 • Feltrinelli LIBRI & MUSICA C.so Buenos Aires 33/35 tel 02 2023361

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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TOURIST GUIDE TO THE REAL AND S P I R I T UA L

LANDSCAPES

OF

PACKAGING

I N

Q U E S T O

N U M E


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container Packaging Brasileiro Fabio Mestriner

11

identi-kit La Responsabilità del Designer Suresh Sethi

96

identi-kit Favelas Design Marco Ligas Tos

18

school box Escola Superior de Propaganda e Marketing

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container Dove Guarda l’Universo 100 Virginio Briatore market release Packaging Full Immersion 105 IED

shopping bag Dalla Natura a Natura Andrè Lucca e Maria Josè Mariano

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container Il Potere del Celeste Impero Christian Rommel 108

identi-kit Immagini ad Ogni Costo Marco Senaldi

38

identi-kit La Luna e la Peonia 118 Sonia Pedrazzini

R O - 1 / 0 7

identi-kit The Luo Brothers Marco Senaldi 126

container Vodka, Profumi e Kalashnicov Gregory Grischenko

43

design box Made in China 131 Francalma Nieddu

identi-kit La Perestrojka delle Merci Maria Gallo

50

tools Originale Cinese 138 Francalma Nieddu

identi-kit Una Community Postcomunista Giada Tinelli

56

container Scatole Cinesi 142 Junio Caselli, Nicola Romagnani

shopping bag La Russia in una Bottiglia Sonia Pedrazzini

64

tools Imballaggio per lo Sviluppo 149 Mario Salmon

container The Great Indian Pie Suresh Sethi

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book box 156

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Le nostre copertine Front cover Fratelli Luo Welcome the World Famous Brand, 2006 lacca e pittura su legno Back cover Shilpa Gupta Blame, 2003 installazione interattiva e performance

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identi-kit Un J’Accuse dall’India Giada Tinelli

P A C K A G I N G

identi-kit Desmania Packmania Sonia Pedrazzini

B R I C

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T H E

user instructions The BRIC Packaging S. Pedrazzini, M. Senaldi


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container Packaging Brasileiro Fabio Mestriner

16

container What the Universe Gazes Upon 104 Virginio Briatore

identi-kit Favelas Design Marco Ligas Tosi

28

market release Packaging Full Immersion IED 107

32

99

container The Power of the Celestial Empire 114 Christian Rommel

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identi-kit Pictures at all Costs Marco Senaldi

identi-kit The Moon and the Peonia 124 Sonia Pedrazzini

41

container Vodka, Perfumes and Kalashnicov Gregory Grischenko

identi-kit The Luo Brothers 130 Marco Senaldi

47

identi-kit The Perestrojka of Products Maria Gallo

design box Made in China 136 Francalma Nieddu

53

identi-kit A Post-Communist Community Giada Tinelli

tools Chinese Original 141 Francalma Nieddu

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shopping bag Russia in a Bottle Sonia Pedrazzini

66

container The Great Indian Pie Suresh Sethi

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identi-kit A J’Accuse from India Giada Tinelli

83

identi-kit Desmania Packmania Sonia Pedrazzini

92

T H E

B R I C

shopping bag From Nature to Natura Andrè Lucca, Maria Josè Mariano

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school box Escola Superior de Propaganda e Marketing

identi-kit The Responsability of the Designer Suresh Sethi

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P A C K A G I N G

user instructions The BRIC Packaging S. Pedrazzini, M. Senaldi

container Chinese Boxes 147 Junio Caselli, Nicola Romagnani tools Packaging for Development 149 Mario Salmon book box 156

Our covers Front cover Luo Brothers Welcome the World Famous Brand, 2006 lacquer and painting on wood Back cover Shilpa Gupta Blame, 2003 Interactive installation and perfomance


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Giada Tinelli Maria Gallo, Francalma Nieddu

Daniela Binario, Elena Piccinelli, Marta Piergiovanni, Ado Sattanino Leila Cobianchi Massimo Conti

Erica Ghisalberti, Vincenzo De Rosa

Vincenzo De Rosa, Rossella Rossi (Studio Grafico Page - Novate - MI)

Dominic Ronayne, Judith Mundell

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colophon



BRIC container

Packaging Brasileiro Con oltre 185 milioni di consumatori, il mercato brasiliano è tra i primi cinque al mondo. Qui, l’imballaggio assume un valore economico e comunicativo enorme e il pack-design è un territorio emergente, tutto da scoprire. Fábio Mestriner

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BRIC container

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Il Brasile compra I Brasiliani acquistano ben l’86% dei prodotti per la salute e il benessere, per la detergenza della casa e gli alimentari nei supermercati, in particolare in quelli dei gruppi Carrefour e WalMart. Questo tipo di consumo è nato e si è sviluppato principalmente nel ventesimo secolo, quando il Brasile era leader mondiale nel settore del caffè e le principali multinazionali, attratte dalle sue enormi potenzialità, hanno aperto qui le proprie filiali. Aziende come Nestlé, Unilever, Colgate, Johnson & Johnson - che operano in questo paese da più di 70 anni e la cui comunicazione pubblicitaria ha contribuito non poco all’educazione dei consumatori locali - sono responsabili di un radicamento della cultura del consumo divenuta subito efficacissima. L’ESPM (Escola Superior de Propaganda e Marketing) è la principale scuola di settore; nel 2006 ha festeggiato i 55 anni di vita, diplomando nel tempo parecchie generazioni di pubblicitari di alto livello e riconosciuti a livello internazionale. Proprio per questo, oggi, il Brasile può vantare una struttura che conta più di tremila agenzie di design sparse su tutto il territorio ma concentrate principalmente in città come San Paolo e Rio de Janeiro. Allo sviluppo del packaging ha ulteriormente contribuito lo sviluppo di un’enorme e moderna industria dell’imballaggio, che fattura ogni anno 17 miliardi di dollari e che attualmente raduna diciotto delle venti maggiori aziende internazionali del settore, con fabbriche attive in tutto il paese. Il Brasile è anche tra i maggiori produttori ed esportatori di materie


container

grezze per l’imballaggio ed è in grado di dominare perfettamente le tecnologie-chiave necessarie a questo settore, e poiché oltre a esportare imballaggi è pure abile nel realizzare design, sempre di più le multinazionali lo includono tra i fornitori privilegiati e si servono delle sue agenzie creative. Sia l’industria del packaging che la sua associazione di categoria ABRE svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo, grazie all’organizzazione di molte ed importanti attività che includono, tra le altre, un congresso internazionale durante il quale sono presentati, dai vari centri di ricerca e dalle principali aziende internazionali, gli ultimi sviluppi, i concept e le tendenze del packaging. Anche le fiere, piuttosto numerose nel corso dell’anno, contribuiscono alla crescita del settore; tra esse la FISPAL, la più importante dell’America Latina, dedicata esclusivamente al cover packaging, alle sue tecnologie e ai processi di produzione. Design Brasileiro In Brasile, il design è un settore in espansione e sta vivendo un periodo felicissimo, forse il migliore dalle sue origini, da quando cioè - alla fine degli anni Sessanta - aprì a Rio de Janeiro la prima scuola di progettazione industriale: l’ESDI (Escola Superior de Desenho Industrial), fortemente influenzata dalla scuola tedesca di Ulm, dalla quale ha fatto giungere alcuni famosi docenti che hanno poi insegnato nel primo corso di design (tra gli altri, ricordiamo personalità del calibro di Tomás Maldonado, Otl Aicher, Max Bill). È però trascorso parecchio tempo prima che il packaging design diventasse vera e propria materia di studio e, benché svolgesse un ruolo

determinante per lo sviluppo del paese, solo da pochi anni è presente nelle scuole come disciplina autonoma nei corsi di progettazione industriale; nonostante ciò, nei programmi di più di trenta università che hanno incluso l’imballaggio nei propri corsi, esiste già una metodologia didattica ben precisa e specifici libri in adozione. In Brasile, ci sono molte agenzie che si occupano di packaging; le principali sono riunite in una commissione permanente presso l’Associazione Brasiliana dell’Industria del Packaging e sostengono l’integrazione tra design e aziende. L’azione combinata “design-industria” è una delle chiavi del successo di questa attività, e vede come risultato la nascita di importanti iniziative, tra cui la creazione di un premio ufficiale i cui i progetti vincitori vengono successivamente candidati al World Star Award, assegnato dalla World Package Organization. Nell’edizione 2005 di questo concorso, ben nove progetti brasiliani sono stati insigniti di un premio. In maniera consequenziale all’evento, anche il riconoscimento internazionale è cresciuto: solo lo scorso anno il Brasile è stato premiato con più di venti premi, inclusi quelli raccolti al London Festival e al German IF. In ambito editoriale, l’imballaggio riceve una buona copertura mediatica: esistono infatti ben quattro periodici dedicati all’argomento, mentre design e architettura sono trattati da altre cinque pubblicazioni, di cui una è indirizzata unicamente al progetto grafico. Il panorama del pack-design in


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favore delle piccole imprese, sostenute e finanziate dal servizio nazionale governativo (SEBRAE) assieme all’Associazione del Design ABRE. Questo programma sta spingendo una piccola “rivoluzione”, dal momento che è stato utilizzato da più di 150 imprese con risultati sorprendenti. Sono, infatti, proprio le piccole aziende che possono migliorare la propria qualità e trarre maggior beneficio da una buona progettazione. L’impatto del design è evidente ovunque e offre modelli per ogni nuova iniziativa. Le aziende più piccole stanno scoprendo che un progetto ben realizzato ha il potere di incrementare il business e che una buona confezione influisce notevolmente sul successo del prodotto.

Brasile non potrebbe essere completo se non si menzionasse la presenza del governo: il paese è consapevole dell’importanza del design nello sviluppo globale e, appunto per questo, ha creato più di dieci anni fa un programma nazionale per promuovere questa attività considerata “strategica” nell’aggiungere valore al prodotto e migliorarne la competitività. Il programma ha dato vita a un’intensa attività che ha generato, nei vari stati, più di novanta nuclei di design, impegnati a risolvere i bisogni delle numerose aree del paese. Per quanto riguarda più specificatamente il packaging design, è in atto un progetto a

Packaging come medium La consapevolezza dell’importanza del packaging design, già propria di molte grandi realtà imprenditoriali, si è rapidamente diffusa e adesso esiste un corso di laurea in Management Strategico del Packaging, che integra i potenti strumenti del marketing con la pianificazione strategica da parte di aziende già attive nel segmento dei beni di consumo. Questo corso innovativo posiziona il design come componente integrante del processo produttivo e tra le discipline basilari insegna Metodologia del Packaging e Management del Design. Il fulcro del percorso formativo è una nuova idea di management - chiamata “Intelligence of Packing” - che integra all’interno dell’azienda stessa il “sistema imballaggio”; s’intende in questo modo preparare una nuova generazione di professionisti, i così detti “manager del packaging strategico”, che dovranno lavorare accanto ai manager del marketing


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per trasformare l’imballaggio in un efficace strumento di vendita e di comunicazione. È facile immaginare che con questo scenario molte campagne promozionali risentiranno dell’influenza del packaging, un concetto questo estremamente innovativo e in linea con le ultime tendenze di pensiero nel campo dell’advertising. Ovunque nel mondo, come pure in Brasile, le agenzie più all’avanguardia,usano l’imballaggio come vero e proprio “medium” di supporto, integrandolo sia nelle campagne che sul web. In conclusione, le prospettive per lo sviluppo del pack-design brasiliano sono buone, considerando soprattutto la veloce integrazione della nostra società nella moderna cultura del consumo. In Brasile, già più di 25 milioni di consumatori hanno accesso a internet e, per ogni due abitanti c’è un telefono cellulare, il che fa prevedere una sempre maggiore integrazione dell’acquirente con le pratiche del consumo e - di conseguenza - un aumento del valore del packaging in tale processo. Tuttavia tra le grandi sfide che si devono ancora affrontare c’è

quella di un ancora troppo basso potere d’acquisto da parte della maggioranza della popolazione, un problema questo che rende difficile l’introduzione di soluzioni tecniche più elaborate; inoltre, per quanto riguarda il design, esiste una carenza di cultura aziendale che - nonostante gli enormi sforzi già compiuti - è ancora un punto di debolezza nelle organizzazioni brasiliane. Fábio Mestriner è Professore Coordinatore del Packaging Study Group all’ESPM ed è docente nel corso postlaurea di Ingegneria del packaging presso il Mauá Institute of Technology. È inoltre autore del libro Design de embalagem, Makron Books, 2°ed. 2004

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Packaging Brasileiro With over 185 million consumers, the Brazilian market is among the first five in the world. Here packaging takes on an enormous economic and communicative value with packdesign featuring as an emerging territory just waiting to be discovered.

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Fábio Mestriner Brazil is buying Brazilians do 86% of their shopping of food as well as health & wellness and homecare products at supermarkets, in particular in those of the Carrefour and WalMart groups. This market mainly came into being in the 20th century, when the country dominated the international coffee market, and the main multinational companies, attracted by its enormous potential, set up branches there. Companies such as Nestlé, Unilever, Colgate, Johnson & Johnson, that have been operating in Brazil for more than 70 years, and whose advertising communication has had an important influence on local consumers, were responsible for implanting the consumer culture that immediately took hold. The Escola Superior de Propaganda e Marketing (ESPM) is the main school in this field and has just celebrated its 55 anniversary, graduating several generations of high level advertising executives recognized at international level. This is why today Brazil can boast a design structure having more than three thousand agencies that cover the whole country, though they are mainly concentrated in cities like São Paulo and Rio de Janeiro. The spread of packaging was further fostered by the growth of a huge and modern packaging industry that has an annual turnover of around US$ 17 billion, currently comprising 18 out of the 20 big world names in packaging, that have manufacturing works running all over the country. Brazil is also among the great world producers and exporters of raw materials for packaging and masters the key production technologies employed in this sector, and since, as well as

being an exporter of packaging, it is also skilled in design, more and more multinational companies are including Brazil in their supply chain while also engaging its design and advertising agencies. Both the packaging industry and its trade association ABRE are playing a fundamental role in this growth, thanks to the organization of many important activities that among other things include an international congress, where the latest developments, concepts and trends are presented by lecturers from numerous research centers and key international companies. Obviously the trade shows have also contributed to the development of activity in the sector. The country features several annually-held fairs, including FISPAL, the biggest trade show in Latin America, which is exclusively dedicated to cover packaging along with its technologies and production processes. Design Brasileiro Design is an expanding sector in Brazil, currently enjoying a boom period, the likes of which were only seen when things started up in the late sixties, when the first industrial design school was set up in Rio de Janeiro. The ESDI - Escola Superior de Desenho Industrial was greatly influenced by the German school of Ulm, from where some of the teachers who held first course created in the country came: Tomás Maldonado, Otl Aicher, Max Bill among others came to Brazil in this period. It took more time for packaging design to settle as a formal discipline. Despite its important role in the development of the country, it has only recently been introduced into school curricula in industrial design courses. Even so more than thirty universities have included packaging design in their courses, adopting a specific teaching method with specific coursebooks. Brazil has many agencies that deal with packaging; the main ones are grouped together in a permanent commission under the Brazilian Association of Packaging Concerns and support integration between design and the concerns. The combined “design-industry” action is one of the keys to success of this activity, leading to the creation of important events and undertakings,


container

Packaging as a medium The awareness of the importance of packaging design, already a focal point with the large enterprises, has quickly spread and a postgraduate course in packaging strategic

Fábio Mestriner is Coordinating Professor of the Packing Study Group at ESPM and Professor of the Postgraduate course in Packaging Engineering at the Mauá Institute of Technology. He is also Author of the book Design de embalagem, Makron Books, 2nd ed. 2004.

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management has now been set up, with the aim of integrating this powerful marketing tool into the strategic planning of companies already active in the consumer goods segment. This innovative course places design as a key concept and component of the production process, Packaging Methodology and Design Management featuring among basic disciplines. The program is structured around a new idea of management called “Intelligence of Packaging” - that integrates the “packaging system” within the company concerned; the intention here is to prepare a new generation of professionals, the socalled “strategic packaging managers”; that are to work alongside the marketing managers to turn packaging into an effective sales and communication tool. It is easy to imagine that with this scenario many promotional campaigns will feel the influence of packaging, a concept this that its extremely innovative and in line with the latest trends of thought in the advertising field. Anywhere in the world, and in Brazil too, leadingedge concerns are using packaging as a true and proper support medium, using it both in the campaigns and on the internet. To conclude, Brazilian packaging design has good growth prospects, aboveall considering the speedy integration of Brazilian society into the modern consumer culture. In Brazil, over 25 million consumers already have access to internet and there is a cell phone to every two inhabitants, that heralds for an ever greater consumer involvement in purchasing practices and - consequently - an increase in the value of packaging as part of the process. All the same among the huge challenges that need to be tackled one still has the excessively low purchasing power of most of the Brazilian population, a problem this that makes the introduction of the more elaborate technical solutions difficult; on top of that - despite the great efforts made - a lack of a design culture is still a weakpoint in Brazilian organizations. 1/07

including an official competition where the winning projects are subsequently entered for the World Star Awards, assigned by the World Packaging Organization. In the 2005 edition of this competition as many as nine Brazilian projects were among the award winners. Consequent to this event, international recognition has also grown: only last year Brazil won over twenty awards, including those given at the London Festival and the German IF. Going on to publishing, packaging gets a good coverage from the media: as many as four periodicals on the subject exist, while design and architecture are covered in another five publications, one exclusively dedicated to graphics. This overview of packaging design in Brazil would not be complete without mentioning the measures taken by the Brazilian government: the country is aware of the importance of design, and for this very reason ten years ago a national program was created for promoting design, deemed “strategic” in adding value to the produce and improving its competitivity. The program has given life to an intense activity and has generated, in the various states, more than ninety design nuclei, committed to solving the needs of the numerous areas of the country. As far as more specifically packaging design is concerned, a project has been started up to favor the small concerns, sustained and funded by the national government service (SEBRAE) along with the Design Association ABRE. This program has led to a small “revolution” in that it has been used by more than 150 concerns with surprising results. In fact it is the small concerns that can improve their quality and draw greater benefit from good design. The impact of design is evident everywhere and offers models for new enterprises. Smaller concerns are discovering that a well executed project can boost business and that good packaging contributes a lot to the success of a product.


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Favelas Fernando e Humberto Campana sono tra i designer internazionali più conosciuti. Ironici, inventivi, innovativi, hanno saputo trarre ispirazione dall’incredibile creatività delle favelas brasiliane.

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Marco Ligas Tosi

Provocazioni dadaiste, uso di materiali poveri o degradati, di reperti o relitti del quotidiano; design poetico, metropolitano, allegro e colorato. I lavori dei fratelli Campana sembrano un viaggio affascinante lungo i tremila anni di storia brasiliana. Artisti, pensatori, avanguardisti, creano e progettano per una committenza precisa, rispondendo a richieste severe e seguendo una personalissima linea di "non moda". Oggetti primitivi, i loro, creati anche con una buona dose di genialità e con una notevole perizia tecnica, pezzi di design che sottolineano la forza di culture e tradizioni intense e potenti. Intanto, in Italia, alcune tra le più importanti industrie dell'arredamento si sono accaparrate la firma degli intelligenti fratellini, che hanno saputo nobilitare l'arte del riciclo tipica delle favelas. Andando così a far parte di quella cerchia di giovani creativi internazionali che, a partire dagli anni Ottanta e Novanta, sta scrivendo un nuovo capitolo del design. Con il vostro nome, di evidenti origini italiane, e tuttavia brasiliani a tutti gli effetti, voi, i fratelli Campana, siete da annoverare tra i più interessanti fenomeni del giovane design internazionale degli ultimi anni. Dal Brasile - e dal sud del mondo - avete

portato nel design europeo una salutare ventata di leggerezza e di poesia. Da che cosa è caratterizzata la vostra opera? Fernando - Facciamo un buon uso di materiali grezzi e sperimentiamo spesso con le materie povere e di recupero. Lavoriamo sulle forme ibride, talvolta primitive, cercando di esprimere le contraddizioni del caos urbano attuale, attingendo alla vitalità delle espressioni indigene per dare ai manufatti un carattere autentico, legato al temperamento della gente del luogo. Il design può ancora essere territorio di ricerca? Humberto - Per molti operatori del settore, critici e colleghi, a loro dire, noi facciamo principalmente “ricerca”. E, la ricerca, come si sa, è per definizione borderline, forse proprio perché operiamo nei territori di confine tra progetto, artigianato e significato. È quello che cercate di insegnare durante i vostri corsi per futuri designer? (Un esempio su tutti, quelli alla fondazione “Notechdesign”, Ndr) Fernando - Noi cerchiamo di coinvolgere ed entusiasmare gli studenti, raccontando loro le nostre esperienze come designer. Pensiamo che, per diventare buoni progettisti,


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Design

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Favela Chair, 1993 Prodotto dal 2000 da Edra. Il prototipo è stato realizzato in legno Teak per il Salone del Mobile di Milano del 2006

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essi debbano sviluppare una passione ossessiva per l’indagine e una spiccata curiosità.

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Progetto dell’allestimento per Camper

Ricerca e curiosità, due parole legate anche ai vostri lavori di packaging design. Ma che cos’è per voi l’imballaggio? Fernando - È il settore che più direttamente dialoga con il cliente (utente-consumatore). Humberto - Parafrasando il detto di fine anni Ottanta “la grafica è dappertutto”, mi verrebbe da dire che “il packaging è dappertutto”: riguarda e si applica a ogni tipo di prodotto, di qualunque fascia, in qualsivoglia scaffale. Sono in tanti a praticarlo. Il packaging avanza, dunque. Da un lato c’è il discorso della dematerializzazione: gli oggetti si miniaturizzano, supporti identici portano cose diverse, memorie infinitesimali offrono performance eccezionali. D’altro canto, va sottolineato il valore aggiunto dei prodotti, delle marche, degli eventi. Fernando - … Va aggiunto anche che i valori devono dialogare con le funzioni d’uso. Il futuro del packaging? Fernando - Primo problema: il contenuto. Mostrarlo, facendo quasi scomparire il contenitore. Insomma, saper comunicare il contenuto. Oppure, giocare con qualche inversione contenitore-contenuto. Poi: mettere a contatto l’identità del produttore con il fruitore finale. Secondo problema: materiali riciclabili. Questi devono non solo saper proteggere il prodotto, riportare le informazioni d’uso, ma anche attirare, conquistare, sedurre ed estasiare l’utente. Humberto - … Il packaging del futuro deve poter condurre a una riflessione sul senso del design e sul processo creativo, con una particolare sensibilità verso temi di scottante attualità come la


sostenibilità ambientale e sociale, il rapporto tra locale e globale, i rapporti tra arte e industria. Per voi la curiosità è ancora sinonimo di intelligenza e creatività? Fernando - Si, senza ombra di dubbio. Io ne sono fortemente convinto. Humberto - Mi riesce difficile credere che un “non curioso” possa fare ricerca e sperimentazione nel campo del design. Fondamentalmente crediamo che un artista debba saper far uso della propria intelligenza anche ricercare e sperimentare. Credete che tra sperimentazione e mercato ci debba essere comunque un certo equilibrio? Humberto - Bisogna che ci sia la sperimentazione perché nasca una proposta evoluta del prodotto. Senza ricerca non c'è soluzione. Senza soluzione non si ha il nuovo. Si può ancora fare il creativo del packaging con della semplice carta, cartone, cartoncino? Fernando - I materiali recuperati o il

semplice cartone, carta e legno consentono ancor più di sperimentare una dimensione del fare che prevede sconfinamenti tra arte e design, tra abilità tecnica e libera creatività. Per noi designer brasiliani spesso entra in gioco molta ironia, soprattutto durante la creatività. È una forma come altre di emotività. Humberto - Il cartoncino, come per alcuni aspetti anche la carta, è un materiale gradevole al tatto, simpatico, intrigante, strutturabile per originare figure scolpite, scultoree, modulazioni variabili attraverso il gioco della luce, dei bassorilievi e del colore. Nel novero dei materiali utilizzati dal packaging la missione del cartoncino mi sembra proprio quella di spronare il talento a trovare sbocchi coerenti e seducenti, ricorrendo a un supporto che ha tutta la cultura, l’onestà, la naturalità e la duttilità per centrare il target e per favorire il successo del contenuto.

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Il design brasiliano: solarità, colori accesi (o comunque caldi), forte carica espressiva, utilizzo di materiali

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poveri, cosa conservate di queste origini creative nei vostri progetti? Fernando - Conserviamo tutte queste forze (viste come direttive) nei nostri progetti. È in esse che si nascondono i nostri concetti e pensieri. Materiali considerati poveri, un paese scarso di soldi e con tecnologie in via di sviluppo, hanno guidato le nostre creazioni (anche quella di altri colleghi in altri campi) sino a farci arrivare ad elaborare soluzioni formali e tecniche molto particolari che però, dopo alcuni tentativi ed adattamenti, si sono sempre presentate possibili. Alcune volte con una traduzione di fattibilità difficile per l'industriale, ma che le imprese italiane hanno sempre avuto interesse ad interpretare. Qui c’è anche la risposta alla tua precedente domanda: sperimentare per risolvere.

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Blow up collection, 2004, prodotto da Alessi

Avete lavorato per diverse aziende italiane. Credo che vi siano dei possibili parallelismi con la nostra cultura e la nostra tradizione. Che cosa ne pensate? Fernando - Si, sicuramente. Le aziende italiane sono sempre state aperte a tradurre i desideri della nostra anima e sono state le prime a dedicare del tempo all’interpretazione del nostro modo di esprimerci. Hanno sempre avuto un carattere forte, senza seguire specifiche tendenze, ma creando le proprie (legate alla tradizione o alla cultura dell’artigianato), anche quando il mercato parlava un'altra lingua. Questa attitudine è molto simile al nostro percorso, ai nostri ideali artistici e creativi. Riguardo all’Italia, possiamo dire che ricorda molto il nostro luogo di nascita (considerando le differenze storiche e geografiche). Siamo di famiglia italiana e, per fortuna, non possiamo farne a meno poiché l'influenza è forte e chiara. Siete diventati famosi con la sedia "Vermelha", che è costruita con una corda rossa lunga 500 metri, intrecciata come se fosse un nido di uccelli. Al Salone del Mobile di Milano, in seguito, avete presentato uno sgabello, "Sushi", il cui sedile è formato da scarti di tessuti tagliati a strisce, e un divano, "Boa", realizzato interamente con un unico lungo rotolo di velluto. Qual è la vostra fonte di ispirazione? Fernando - Abbiamo sempre dichiarato che la nostra fonte di ispirazione arriva direttamente dalle strade di San Paolo; nelle stesse strade e nelle stesse favelas della nostra città. Una parte del nostro lavoro consiste proprio nel girare e passeggiare per ore in questi luoghi, per poi osservare, prendere appunti


e sviluppare idee. Humberto - Le favelas sono una vera ricchezza di idee. La gente si costruisce di tutto senza avere un soldo da spendere, usando fantasia e ingegno. Poi ci sono i mercati di frutta e gli incredibili negozi degli stregoni africani, dove si vendono oggetti per pratiche magiche.

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Ma quali possono essere le sfide future del design e come vedete il vostro lavoro nei prossimi anni? Fernando - Guardiamo al nostro lavoro come a un’evoluzione continua; viviamo l'oggi poiché non

Vermelha chair, 1998 prodotto per Edra

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Humberto, l’ultima cosa che mi hai detto, mi fa riflettere. Mi dici questo, forse, per comunicarmi che il vostro lavoro può esser creato dalla parte più buia del vostro essere. Un “Io”, un po’ sciamano, un po’ divinità malefica. In effetti, guardando meglio alcuni vostri pezzi, come “Favela”, “Corallo” e “Jenette”o gli oggetti della

famiglia “Blow Up”, sembra che siano tirati fuori da uno spirito maligno o da uno stregone-demone diabolico… Humberto - Non ci avevo pensato. Ma, è sicuramente possibile che una parte dell’arte, della cultura e della tradizione brasiliana sia legata ad aspetti magici, riportati in quella vita quotidiana da cui, per l’appunto, siamo soliti prendere idee per i nostri lavori.


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sappiamo come sarà il mondo domani. Siamo sicuri solamente della nostra creatività, che ci coinvolge e alla quale siamo molto legati. Tutto cambia con una velocità incredibile e senza una direzione definita, cose diverse che corrono insieme in direzioni differenti, nel tentativo di arrivare a un luogo comune. Non siamo molto propensi a fare previsioni. La vita in Brasile ci ha insegnato che i cambiamenti possono essere violenti e rapidi, sia in modo positivo che no.

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Tornando a parlare di materiali, con quali materiali avete lavorato per la sedia “Sushi” e il divano “Boa”? Fernando - Per “Sushi” con tutto ciò che si può trovare. Abbiamo preso stoffe, gomma, striscioline di tappeti

Boa chair, 2002 prodotto da Edra Il progetto qui riportato è dell’edizione 2006 inaugurato con Historia Naturalis Collection.

di finta erba di plastica. Il divano “Boa” è nato su richiesta di Massimo Morozzi: voleva un divano senza struttura fissa e senza ferro. Ma noi fino allora non avevamo mai fatto un divano! Allora abbiamo cominciato a raccogliere di tutto, a fare prove e ad assemblare. Alla fine ci siamo ricordati di una scultura di Humberto, a forma di serpente, e l'abbiamo sviluppata utilizzando la stessa lavorazione della poltroncina “Vermelha”. In pratica “Boa” è l'amplificazione di “Vermelha”. Qualche altro progetto? Fernando - Con cinque provette abbiamo realizzato un contenitore per fiori, saldandole insieme, ognuna con un'inclinazione diversa. Poi ci sono delle luci fatte con il bambù, un materiale molto presente in Brasile. Il


cartone ondulato invece ci ha ispirato per una collezione di gioielli come anelli, braccialetti e simili, dove l'oro è formato a strati, come appunto il cartone ondulato. Invece a cosa si ispirano le vostre “Mutazioni Transgeniche” come “Corallo” , “Jenette” e “Vermelha”? Fernando - Ci siamo ispirati alla fauna marina e terrestre delle latitudini equatoriali. Un coccodrillo diventa un morbido e carnoso divano, una stella marina gigante dai lunghi tentacoli si trasforma in una comoda poltrona. La forma vuole essere accattivante e invitante, ma al contempo è vagamente inquietante. “Kaiman Jacarè”, così si chiama il coccodrillo brasiliano, è un imbottito privo di struttura composto da elementi di

forma diversa che si inseriscono l'uno nell'altro e ricordano un ammasso di alligatori. ”Aster Papposus”, è invece una seduta, anch'essa senza struttura, rivestita da un tessuto squamato iridescente che ne accentua il carattere marino. “Brasilia”, i tavoli poligonali sono invece un assemblaggio caotico di schegge lucenti di reflex a specchio, un omaggio alle pietre sulle quali si erge la capitale Brasilia. Di varie dimensioni ed altezze, si propongono, con i loro riflessi multicolori, come magici caleidoscopi.

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Rispetto alle tematiche ambientali, il mercato tedesco appare assai più attento di quello italiano e brasiliano. Cosa ne pensate? Humberto - Qualche anno fa la

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sensibilità dei consumatori tedeschi nei confronti dell'ecologia appariva più alta, tant’è vero che non era difficile trovare persone disposte a spendere anche grosse cifre per comprare prodotti con caratteristiche di eco-compatibilità. Penso al caso estremo del successo dei vestiti fatti da sacchi di patate... Oggi, invece, il consumatore guarda soprattutto alla lunga vita del prodotto, quindi, un paio di scarpe che costa poco non è ecologico, perché al momento dell'acquisto si sa già che bisognerà presto comprarne un nuovo paio. Nel settore dell'arredo in particolare, bisognerà pensare a oggetti facili da disassemblare, i cui pezzi difettosi possano essere smontati, riparati o sostituiti. Se è vero che il termine ecodesign è ormai sulla bocca di tutti è altrettanto vero che i confini della tematica rimangono ancora nebulosi.

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È possibile dare allora una definizione di eco-design? Quali sono i suoi obiettivi? Quali le specifiche competenze? Humberto - Dal punto di vista ambientale risulta decisivo soprattutto "il fare cose molto efficienti con poco materiale". L’azienda multinazionale Siemens, a tal proposito, parla giustamente di light design. Dove tutto è ridotto al minimo. Tra i compiti più tradizionali del design, vi è sicuramente quello della definizione estetica del prodotto, ma anche quello di chiedere alle aziende di rispettare soprattutto l’ambiente... Noi, con il nostro design ci muoviamo proprio in questa direzione. Visto la vostra recente esperienza nel packaging, professionalmente ritenete che sia un vantaggio la versatilità progettuale? Oppure, come affermano alcuni designer, può

essere controproducente e rischioso, perché nel mondo del design viene privilegiato chi è immediatamente identificabile in un ruolo preciso? Fernando - Un vantaggio, perlomeno per noi. La versatilità ci ha permesso di affrontare il progetto da un punto di vista globale e tante volte siamo stati scelti proprio perché in grado di garantire un prodotto finale complessivo, dove vengono richieste diverse competenze. Possiamo offrire un "pacchetto" che garantisce soluzioni coordinate e precise e non corriamo il rischio di trovarci in situazioni linguisticamente e formalmente sconnesse. Spesso è il mondo del design - se ci riferiamo alle aziende - che deve essere chiamato, coinvolto e "trascinato" in esperienze progettuali. In questo momento stanno nascendo nuove


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esperienze globali in cui "designer chiama designer" e crediamo che questo sia motivo di crescita generale. Humberto - Dal punto di vista economico, talvolta, però è stato anche controproducente, nel senso che purtroppo per una radicata specie di disinformazione culturale, il design system ti chiama e ti cerca soprattutto quando riesce a identificarti in un ruolo preciso. Il rapporto tra confezione e contenuto, è da accostarsi in chiave esistenziale a quello tra corpo e anima. Non perché il packaging sia qualcosa di materico e il contenuto si riconduca a essenza impalpabile, quanto perché il primo deve tradurre nel modo più spontaneo possibile, l’indole, il messaggio, il carattere, senza eccedere nei toni, senza

rincorrere ad artifizi. Humberto - Si, credo che questo possa essere un bell’accostamento anche perché con il tempo l’affinità tra corpo (packaging) e anima (il prodotto) è lievitata grazie anche a una più matura sensibilità dei produttori e dei venditori.

Marco Ligas Tosi scrive di arte, architettura, cinema e design per le maggiori riviste nazionali e internazionali. Attualmente lavora per un'agenzia di comunicazione integrata di Milano, come creativo e account manager.

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Marco Ligas Tosi writes on art, architecture, cinema and design for leading Italian and overseas magazines. He is currently working for a multimedia company in Milan as a creative designer and account manager.

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Il designer è mezzo manager e mezzo artista? Humberto - Abbiamo in mente una sorta di equazione, perché secondo noi un prodotto ha due fattori che lo rendono vincente. Uno è senz'altro il concetto di innovazione - che può essere bilanciato tra estetica e funzione. A questo va poi associato un fattore "K" che è il costo. Vale a dire che si può eccellere nella prima fase, ma se si fallisce in questo secondo aspetto il prodotto non avrà successo, non può venire commercializzato e quindi, di fatto per quanto possa essere premiato alle manifestazioni o pubblicato su riviste - non avrà un vero riscontro a livello professionale. Si chiude la saracinesca dello studio! Fernando - … Molti colleghi ci criticheranno per questa rude "equazione produttiva", perché parlare di design confrontandosi così apertamente con il mercato equivale a "deculturalizzare" questa disciplina. Ma purtroppo la nostra non è più la generazione dei Sottsass e dei Mendini. Con le problematiche che si riscontrano oggi a livello economico, con lo spettro dell'estremo oriente, ecc., la nostra generazione deve per forza confrontarsi con esigenze di prezzi e di mercato. Per noi il successo è questo, il prodotto vincente è la magica combinazione di questi due coefficienti.


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Favelas Design Fernando and Humberto Campana are two of our most well-known international designers. Ironic, inventive, innovative, they have managed to draw inspiration from the incredible creativity of the Brazilian favelas.

authentic character, linked to the temperament of the native people. Is design still a territory for experiment? Humberto - For many people who work in design, both critics and colleagues, experimenting is what we mainly do, or so they say. And experiment is, as you know, borderline by definition, perhaps because we operate in that borderline territory between design, craft and meaning.

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With dadaist provocations, and using poor, shabby materials or flotsam and jetsam from everyday life they produce poetic, metropolitan, cheerful and colourful design. The works of the Campana brothers look like a fascinating journey through three thousand years of Brazilian history. Artists, philosophers and avant-gardists, they create and design for a certain type of customer, meeting tough demands and following a very personal philosophy of “non fashion”. Theirs are primitive objects, created with a good deal of virtuosity and remarkable technical skill, design pieces which emphasise the strength of deep and powerful cultures and traditions. Meanwhile, some of the most important furniture industries in Italy have secured the signatures of these clever brothers, who have managed to ennoble the art of recycling which is typical of the favelas. Joining that circle of young international designers who, since the Eighties and Nineties, have been busy writing a new chapter of design. With your surname, which clearly has Italian origins, but is Brazilian to all intents and purposes, you, the Campana brothers, are counted among some of the most interesting phenomena of young international design in recent years. From Brazil - and the southern hemisphere - you have brought a healthy blast of levity and poetry to European design. What is it that characterises your works? Fernando - We make good use of unsophisticated materials and often experiment with plain, recycled stuff. We work on hybrid, sometimes primitive forms, trying to explain the contradictions of present-day urban chaos, tapping the vitality of indigenous creativity in order to give the object an

Is that what you try to teach on your courses for future designers? (For example those at the “Notechdesign” foundation, Ed) Fernando - We try to involve and enthuse the students, telling them about our experiences as designers. We think that, in order for them to become good designers, they must develop an obsessive passion for investigation and a marked curiosity. Experiment and curiosity are two words that are linked in your packaging design work. What does packaging mean to you? Fernando - It is the sector which communicates most directly with the customer (user-customer) Humberto - Paraphrasing a saying from the end of the eighties, “graphics are everywhere”, I would say that “packaging is everywhere”. It regards and is applied to every type of product, in any category, on any shelf. There are a lot of people doing it. So packaging is advancing. On one hand there is the question of dematerialization: objects are becoming miniature, identical packaging contains a variety of things, infinitesimal memories provide exceptional performances. On the other hand, the added value of products, brands, events has to be underlined. Fernando - It should also be said that values too have to dialogue with functions of use. What about the future of packaging? Fernando - Problem number one: the content. Showing it, making the container almost disappear. In short, managing to impart the contents. Or, toying with some kind of containercontent reversal. Then: bringing the identity of the producer into contact with the end user. Second problem: material that can be recycled. This must not only be able to protect the product


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, carrying instructions for use, but also attract, conquer, seduce and entrance the user. Humberto - ... The packaging of the future will need to lead to a reflection on the meaning of the design and creative process, and be especially sensitive towards burning current issues such as environmental and social sustainability, the relationship between local and global and between art and industry. Is curiosity still synonymous with intelligence and creativity? Fernando - Yes, without a shadow of a doubt. I am positive. Humberto - I find it hard to believe that someone who isn’t curious can carry out research and do experiments in the field of design. Essentially, we believe that an artist has to know how to use his intelligence regarding research and experimentation. Do you believe that anyway there should be some sort of balance between experimentation and market? Humberto - There has to be experimentation for a developed product to emerge. There is no way to do it without experimentation. Without experimentation nothing new can be created.

Brazilian design: radiance, bright (or anyway warm) colours, a strong expressive power, use of lowly materials, what do your designs conserve of these creative roots? Fernando - We conserve all these forces (which we consider as rules) in our designs. Our concepts and ideas nestle in them. Materials judged to be substandard, a country lacking in money and with developing technology, have influenced our creations (and those of fellow designers in different fields) to the point that they have led us to elaborate some extremely unusual formal and technical answers which, however, after some false starts and adaptations, have always turned out to be workable. At times presenting feasibility problems for the industrialist, which Italian businesses have always been interested in solving. Here too is the answer to your previous question: experimenting to find solutions. You have worked for various Italian companies. I think there are potential comparisons to be made between our culture and our tradition. What do you think? Fernando - Yes definitely. Italian companies have always been willing to interpret our heart’s desires and were the first to take the time to try to understand our means of expression. They have always stood firm, refusing to follow other people’s trends, and creating their own (linked to tradition or craft culture), even when the market seemed to want something else. This attitude is very much in tune with our background and artistic and creative ideals. As for Italy, we may say that it reminds us a great deal of the place we were born (taking historical and geographical differences into account). We are from an Italian family and, luckily, we cannot get away from that as the influence is strong and clear.

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You found fame with your chair “Vermelha” made from a 500m long red rope, woven like a bird’s nest. After that at the Salone del Mobile in Milan you presented a stool, “Sushi”, whose seat is made of rags cut into strips, and a sofa, “Boa”, made from one long roll of velvet. What

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Is it still possible to design packaging using only paper, cardboard and card? Fernando - Recycled materials or plain cardboard, paper and wood allow you even more freedom to experiment with a technique which envisages a blurring of boundaries between art and design, technical skill and creative freedom. For Brazilian designers like us there is often a great deal of irony coming into it, above all during the creative phase. It is a form of emotivity like another. Humberto - … Cardboard, like paper in some sense, is pleasant to the touch, appealing, intriguing. It can be made into carved, sculpted figures, modulated through tricks of light, bas reliefs and colours. From all the materials used in packaging cardboard seems to me to be precisely the one which spurs talented designers to find coherent and seductive solutions, resorting to a material which has all the culture, honesty, naturalness and pliancy needed to hit

the target and contribute to the success of what is contained in it.


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was your source of inspiration? Fernando - We have always said our source of inspiration comes straight from the streets and favelas of Sao Paolo, our city. Part of our work consists precisely in visiting these places and walking for hours on end in order to observe, take notes and develop ideas. Humberto - The favelas provide a wealth of ideas. People can make absolutely anything without having any money to spend. They just use their imagination and ingenuity. Then there are the fruit markets and the incredible shops of African witch doctors selling objects to use in magic spells.

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Humberto, the last thing you said makes me think. Are you perhaps telling me this to let me know that your work might come from the darkest part of your being? An “ego” which is part shaman, part evil god. In actual fact, looking more closely at some of your pieces, such as “Favela”, “Corallo” and “Jenette” or the objects in the “Blow-Up” collection it seems they have been extracted from an evil spirit or a diabolic witch doctor-demon… Humberto - I hadn’t thought of that. But it is certainly possible that a part of Brazilian art, culture and tradition might be linked to a magical dimension, brought into the everyday life from which we usually get ideas for our works. But what might be the future challenges of design and how do you see your work over the next few years? Fernando - We see our work as a continual evolution. We live for today because we don’t know what the world will be like tomorrow. The only thing we can be sure of is our creativity which engages us and to which we are very tied. Everything is changing at the speed of light and there is no clear direction. Different things are heading in different directions, in an effort to get to the same place. We are not too inclined to make predictions. Life in Brazil has taught us that changes can be violent and rapid, both positively and negatively. Returning to the subject of materials, what materials did you use for the “Sushi” chair and the “Boa” sofa? Fernando - For “Sushi” anything we could get our

hands on. We took fabric, rubber, strips of lawns made of plastic artificial grass. The “Boa” sofa was made to order for Massimo Morozzi. He wanted a sofa without a fixed frame and without any metal in it. But we hadn’t made a sofa until then! So we began to collect a bit of everything, experimenting and assembling. In the end we remembered a sculpture of Humberto’s in the shape of a snake, and we developed that using the same technique we used for our armchair “Vermelha”. In practice, “Boa” is the extension of “Vermelha”. Any other project? Fernando - We made a container for flowers with five test-tubes welded together, each leaning in a different direction. Then there are the lights made from bamboo, a material that is found everywhere in Brazil. Corrugated cardboard inspired our jewellery collection of rings, bracelets and the like, where the gold is layered, like corrugated cardboard. What inspired your “Transgenic Mutations” such as “Corallo”, “Jenette” and “Vermelha”? Fernando - We were inspired by marine and terrestrial fauna from the equatorial latitudes. A crocodile becomes a soft and fleshy sofa, a giant starfish with long tentacles becomes a comfy armchair. The shape is supposed to be enchanting and inviting but vaguely disturbing at the same time. “Kaiman Jacarè”, as the Brazilian crocodile is called, is a formless piece of stuffed fabric, made up of differently shaped components which can be attached to each other and recall a heap of alligators. “Aster Papposus” is another chair without a frame, upholstered in an iridescent scaly fabric which accentuates its marine nature. “Brasilia”, the polygonal tables, are instead a chaotic assemblage of shiny splinters of mirrored reflex, a homage to the stones from which the capital Brasilia rises. In varying sizes and heights and with their rainbow reflections, they look like magic kaleidoscopes. The German market appears to be rather more attentive to environmental issues than the Italian or Brazilian markets. What do you think? Humberto - Some years ago the sensitivity of German consumers towards the environment seemed more acute, to the extent that it wasn’t hard to find people prepared to spend large


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amounts of money on buying environmentally friendly products. I am thinking of the extreme case of the success of the clothes made out of potato sacks… Nowadays, however, the consumer is most concerned with the durability of the product. Therefore, a pair of shoes which doesn’t cost much is not environmentally friendly because when you buy them you know that you are soon going to have to buy a new pair. In the furniture sector especially we will have to think about objects which are easy to take apart, whose faulty pieces can be stripped, repaired or replaced. While it is true that the term eco-design is now on everybody’s lips it is also true that the edges of the issue remain blurred. So can we define eco-design? What are its aims? What are its specific concerns? Humberto - From the environmental point of view it is mainly a case of “making extremely efficient things using very little material”. The multinational company Siemens is right to talk of “light design”. Where everything is reduced to the minimum. One of design’s most traditional jobs is of course to define the product aesthetically but it also has to get companies to respect the environment …. we are moving in precisely that direction with our design.

The relationship between packaging and content resembles, in an existential key, the relationship between body and soul. Not because packaging is something material and content is traced to an intangible essence, but because the former has to translate in the most spontaneous way possible, the nature, the message and the character of the latter, without overdoing it and without resorting to artifice. Humberto - Yes, I think this may be a good juxtaposition because in time the affinity of body (packaging) and soul (the product) has increased partly thanks to a more mature sensibility of producers and sellers.

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Is the designer part manager or part artist? Humberto - We have in mind a sort of equation because, in our opinion, a product has two factors which make it a success. One is undoubtedly the concept of innovationwhich may be a balance of aesthetics and function. This is associated with a “K” factor, which is the cost. That is to say that you can excel in the first phase but if you fail in the second phase the product will be a flop, it cannot be marketed and therefore, in point of fact, however many awards it wins or however many times it’s published in magazines- it won’t truly be acknowledged on a professional level. The studio will be forced to close! Fernando - Many fellow designers will criticise us for this crude “productive equation” because to talk of design, drawing such a naked comparison with the market, is equivalent to robbing this discipline of culture. But, unfortunately, ours is no longer the generation of Sottsass and Mendini. With all the problems we are facing on an economic level and with the spectre of the Far East, etc,.. our generation is forced to square up to the demands of cost and market. This is what success means to us. The winning product is the magical sum of these two coefficients.

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In the light of your recent experience in packaging, do you professionally feel that design versatility is an advantage? Or can it, as some designers say, be counterproductive and dangerous as, in the world of design, those who are immediately identifiable in a certain role are privileged? Fernando - It’s an advantage, at least for us. Versatility has allowed us to tackle design from a global point of view and often we have been chosen precisely because we are able to guarantee a global end product, requiring a number of different types of expertise. We can offer a “package” that guarantees coordination and precision without any danger of a linguistic and formal stew. Often it is the world of design - if we are referring to companies - which must be approached, engaged and “lured ” into design projects. At this very moment new global projects in which “one designer leads to another designer” are emerging and we believe that this

encourages growth in general. Humberto - Occasionally, from the economic point of view, it might have been counterproductive in the sense that, unfortunately, due to a sort of deeply rooted cultural disinformation, the design system pursues you above all when it can identify you in a precise role.


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A Scuola di Packaging

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Escola Superior de Propaganda e Marketing Nata a san Paolo ma ormai presente anche a Rio de Janeiro e Porto Alegre, l’ESPM (www.espm.br) festeggia quest’anno i suoi 55 anni di attività ed è considerata la principale scuola di pubblicità e marketing brasiliana. Da ormai tre anni l’ESPM organizza il corso post diploma in Gestione Strategica dell’Imballaggio. Il corso è serale e prevede 360 ore di lezioni teoriche; il programma mira ad accrescere la consapevolezza che il packaging, al di là della sua funzione di contenitore, sia oggi lo strumento per eccellenza del marketing; l’intento didattico è quello di creare esperti nel settore del packaging "strategico" che possano supportare le aziende e fornirle di tutti gli strumenti necessari ad ottenere un

imballaggio di successo. Pensato come strumento di studio e destinato ai partecipanti al corso, Design de Embalagem (Fabio Mestriner, Pearson Prentice Hall, in portoghese, R$ 84,15 www.packing.com.br ) è un manuale di grande interesse per tutti gli esperti del settore. Per illustrare l’ampio apparato didattico Mestriner, direttore del corso e presidente dell’ABRE (Associaçao Brasileira Embalagem) ha raccolto svariati campioni delle più differenti tipologie di packaging da tutto il mondo. Il manuale in realtà è formato da due volumi: il primo, è destinato al "corso base" e intende fornire i rudimenti del settore; il secondo, per il "corso avanzato", riporta approfondimenti sul ruolo del design e del progetto nel mercato contemporaneo,

parla dei materiali e delle tecniche di stampa e dedica sezioni specifiche alla creazione di una strategia coordinata nel marketing di prodotto, sottolineando l’importanza dell’innovazione e il rapporto tra imballaggio e branding.

Originally set up at Sao Paolo but now also present in Rio de Janeiro and Porto Alegre, the ESPM (www.espm.br) this year celebrates its 55 years of activity and is considered the main Brazilian school for advertising and marketing. For over three years the ESPM has been organizing post diploma courses in Strategic packaging management. Designated as an evening course, the course comprises 360 hours of theoretical lessons; the program aims at increasing the awareness that packaging today, over and beyond its function as container, is a marketing tool of excellence: the

didactic intent is that of creating experts in the “strategic” packaging sector that can support the company and provide it with all the tools needed to obtain successful packaging. Devised as a study tool for course participants, Design De Embalagem (Fabio Mestriner, Pearson Prentice Hall, In Portuguese, R$ 84,15 www.packing.com.br ) is a manual of great interest for all sector experts. To illustrate the broad didactic apparatus Mestriner, head of the course and president of ABRE (Associaçao Brasileira Embalagem) has gathered together various

samples among the broadest variety of packaging taken from all around the world. The manual actually comprises two volumes: the first is for the “basic course” and intends providing the rudiments of the sector; the second, for the “advanced course”, provides insights into the role played by design and the project in the contemporary market considering materials and print techniques while dedicating specific sections to the creation of a coordinated product marketing strategy, underlining the importance of innovation and the relation between packaging and branding.


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Dalla natura a natura Imballaggi sostenibili. Il contributo del packaging brasiliano al patrimonio socio-ambientale André Lucca e Maria José Mariano

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Oltre all’attività di progettazione, il ruolo del designer consiste anche nel convincere gli imprenditori a riconoscere nel packaging un alleato strategico, in grado di consentire qualità e identità alla produzione. Oggi, in Brasile, il design riesce a trovare un posto di rilevanza anche tra quelle persone che una volta credevano che il design fosse superfluo ed è proprio grazie alla competenza manageriale di bravi progettisti che si sono potuti raggiungere vantaggiosi risultati, sia da parte di grandi aziende che dei piccoli produttori agricoli organizzati in nuclei familiari oppure in cooperative. In questi ultimi anni, insieme all’apertura del mercato commerciale - promossa dal governo a partire dagli anni Novanta - sono state incrementate le iniziative sui possibili investimenti e sugli sviluppi di progetti volti al sostegno

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dell’ambiente, sia tramite l’utilizzo adeguato delle risorse naturali, che con il tentativo di ridurre l’impatto causato dall’inquinamento della produzione. Per quanto riguarda lo sviluppo di packaging “ecologici”, è interessante il caso dell’azienda Natura, nota in Brasile nel mercato dei cosmetici e il cui profilo si basa proprio sulla valorizzazione delle ricchezze naturali della flora brasiliana. Nel 2000 Natura ha presentato la linea Ekos, costituita da prodotti per la cura del corpo ispirati dalla tradizionale conoscenza delle piante locali e rispondenti all’utilizzo sostenibile della biodiversità. Per la creazione del packaging è stato analizzato tutto il ciclo di vita dei materiali, considerando pure l’aspetto del riutilizzo, del riciclaggio e dell’uso delle materie prime rinnovabili; i contenitori, infatti, sono stati concepiti per essere biodegradabili o per permetterne la re-immissione nel ciclo produttivo. Per quanto riguarda gli shopper, sono stati confezionati in carta riciclata al 100%, (costituita per il 75% da macero proveniente dall’industria cartaria e per il 25% da scarti dalle cooperative di raccolta di rifiuto urbano). In questa ottica, il packaging è stato un vero e proprio strumento attivo per implementare le strategie aziendali, valido tanto per la rivalutazione delle ricchezze naturali e ambientali, quanto per favorire il risparmio dei


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consumatori; i cosmetici di Ekos, infatti, sono stati i primi in Brasile ad esser dotati di un sistema di refill. Come in un sistema interconnesso, Natura ha promosso anche la valorizzazione dell’espressione artistica brasiliana inserendo nei suoi packaging elementi grafici endogeni dell’arte locale; si è avvalsa anche della produzione artigianale, consentendo - in questo modo un ritorno economico alle comunità locali coinvolte nell’estrazione delle materie prime.

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Un altro caso interessante riguarda i progetti per incrementare la partecipazione sul mercato dei piccoli produttori. Su quest’argomento, merita menzione il lavoro del Nucleo di Gestione del Design (NGD) dell’Università Federale di Santa Catarina - UFSC/Brasile, il cui punto di partenza è stato quello di dar valore ai prodotti provenienti dall’agricoltura familiare rispetto a quelli delle grandi reti distributive. Tra i progetti sviluppati dall’ NGD sono da citare i packaging delle acquaviti di produzione artigianale “Cachaça Beleza” e “Cachaça Colonial”. Le due confezioni hanno risolto in modo soddisfacente la necessità di comunicare il valore tradizionale di queste bevande e, rendendo più raffinato il prodotto, ne hanno elevato l’importanza sul piano della qualità percepita.

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È rilevante sottolineare il fatto che in Brasile esistono diversi programmi statali che permettono ai piccoli imprenditori di utilizzare il design per migliorare la loro produzione in base alle proprie caratteristiche locali. Per il designer, questi progetti rappresentano delle grandi opportunità: da una parte far arrivare il design anche a chi non ha risorse per attribuire valore al proprio prodotto; dall’altra fare del packaging non solo uno strumento di promozione ma anche un sistema globale d’identificazione dei prodotti, che sia anche in grado di creare un tenace rapporto di relazione tra gli ambienti in esso coinvolti, siano questi di tipo produttivo, che culturale ed umano.

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André Lucca è graphic designer ed esperto d’ecodesign, collabora con uno studio grafico a Vicenza. Maria José Mariano è post laureanda in comunicazioni visive e multimediali presso l’Università IUAV di Venezia e si occupa di ricerche sul packaging.


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From Nature to Natura Sustainable packaging. The contribution of Brazilian packaging to the socio-environmental field André Lucca and Maria José Mariano As well as the activity of designing, the role of the designer also consists in convincing entrepreneurs that packaging is a strategic ally, capable of bringing quality and identity to products. Today in Brazil design also manages to find an important place among those people who once thought it to be superfluous and it is indeed thanks to the managerial knowhow of skilled designers that advantageous results have been achieved, both by the large concerns as well as by small agricultural producers organized in family nuclei or in cooperatives.

Another interesting case concerns the project for increasing small producers’ participation on the market. Here the work of the NGD, the Design Management Nucleus of the Federal University of Santa Catarina UFSC/Brazil deserves a mention; the organization has started out by giving value to the products from family agriculture to help them compete with the broadscale distribution network. Among the projects developed by the NGD we here cite the packaging of the small local production of “Cachaça Beleza” and “Cachaça Colonial” spirits. The two packaging solutions satisfactorily solved the need to communicate the traditional value of the beverages and, in enhancing the refinement of the products, they also increased their perceived quality. It should be highlighted that in Brazil various state programs exist that enable small entrepreneurs to use design to improve their products on the basis of local characteristics. For the designer these projects represent a great opportunity: on the one hand they also allow design to reach those that do not have the resources to attribute value to their products; on the other packaging not only becomes a tool of promotion but also a global system of product identification that is capable of creating a tight relationship between all the areas involved, from production to the cultural or human sphere.

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André Lucca is a graphic designer and expert in ecodesign who cooperates with a graphics studio in Vicenza. Maria José Mariano is completing a postgraduate course in visual and multimedial communication at the IUAV University of Venice and carries out studies on packaging.

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Over these last years, along with the opening of the commercial market - promoted by the government from the nineties onwards - there has been an increase in undertakings involving funding and investments leading to the development of projects for environmental sustainability both via an adequate use of natural resources, as well as through attempts to reduce the impact caused by the pollution from manufacturing activities. As far as the development of “ecological” packaging is concerned, the company Natura presents an interesting case, known as it is in Brazil in the cosmetics market and whose profile is in fact based on the exploitation of the natural resources of Brazilian flora. In 2000 Natura presented the line Ekos featuring bodycare products inspired by a traditional knowledge of local plants and responding to the sustainable use of biodiversity. For creating the packaging the entire lifecycle of the materials was analysed, also considering the aspect of reuse, recycling and use of renewable raw materials; the containers have in fact been conceived as biodegradable or for re-insertion in the production cycle. In turn their carrier bags are 100% made out of recycled paper, (constituted 75% out of waste paper from the paper industry and 25% out of waste paper from the cooperatives involved in municipal collection). Here packaging

has been made to actively feature as a true and proper instrument for implementing company strategies, valid both for the reappraisal of natural and environmental assets, as well as encouraging saving by the consumers; Ekos cosmetics in fact were the first in Brazil to include a refill system. As in an interconnected system, Natura has also promoted the appreciation of Brazilian artistic expression including endogenous graphic elements of local art in its packaging; it has also availed itself of handicraft production, in this way enabling an economic return for the local communities involved in the extraction of the raw materials.


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The Education of Cupid, after Correggio serie Picture of Junk, 2006, Courtesy Galleria Cardi


Jorge, serie Pictures of Magazines, 2003

IMMAGINI AD OGNI COSTO Come altri artisti, anche Vik Muniz si ispira all’arte del passato. Ma la ricrea con nuvole, cioccolato e spazzatura Marco Senaldi

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Come molti altri artisti sudamericani, negli anni 80 si è trasferito a New York, dove si è formato artisticamente in uno dei periodi più fervidi della Grande Mela. Ma inizialmente non fu facile: il giovane Vik si trovava non solo in un paese straniero, alle prese con una lingua che conosceva poco, ma anche con un budget estremamente limitato e pochi mezzi: un blocco di plastilina, una macchina fotografica e qualche rullino. La

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Nato a Sao Paolo del Brasile nel 1961, Vik Muniz è oggi uno degli artisti più riconosciuti a livello internazionale per la forza icastica delle sue indimenticabili immagini. Avido lettore fin dall’infanzia (a sei anni rimase affascinato dalle Metamorfosi di Ovidio), sostiene di aver sviluppato un amore irresistibile per le immagini dopo che il padre vinse a un concorso un’edizione illustrata dell’Enciclopedia Britannica.


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Diana and Endymion, after Francesco Mola, (particolare). Serie Pictures of Junk, 2006 Courtesy Galleria Cardi

creatività fu la soluzione: Vik realizzò una prima scultura, poi la fotografò; la distrusse e ne realizzò una seconda, che fotografò di nuovo, e così via. Il risultato furono 60 foto di sculture diverse e la prima personale del giovane artista. Da allora Muniz ha continuato a lavorare con lo stesso metodo: realizza immagini con materiali deperibili, ne trae delle fotografie di straordinaria incisività e bellezza, e lascia che l’originale si distrugga naturalmente. Nel frattempo però, ha allargato a dismisura le sue fonti di ispirazione, prendendo spunto principalmente dalla storia dell’arte, tanto antica che moderna; inoltre, ha sperimentato i materiali più diversi e impensabili per realizzare le sue opere, che sono quindi al tempo stesso effimere ed eterne.

Negli anni Muniz ha creato immagini usando zucchero sparso sopra fogli neri, realizzando struggenti ritratti di lavoratori della canna da zucchero; coriandoli, per ricreare ritratti di sapore pop; fili di cotone nero, per dar vita a incredibili remake delle celebri incisioni di Piranesi dedicate ai “carceri”; sciroppo di cioccolato, per ridare un nuovo “sapore” a immagini di vecchi film dell’epoca del muto… Negli ultimi tempi Muniz ha tentato anche altre strade espressive ai limiti dell’impossibile: scavando le linee del disegno nel terreno in alcuni grandi spazi aperti, ha realizzato immagini di sensibilità quasi domestica su scala gigantesca (Pictures of Earthwork); oppure ha realizzato scritte e disegni in cielo, utilizzando tecniche ultramoderne che permettono di “scrivere” nell’aria tramite sbuffi di vapore persistente. Infine, come testimoniano le immagini di questo servizio, l’artista brasiliano si è servito di oggetti di scarto quali bulloni, vecchi pneumatici, cavi elettrici dismessi, chiodi, viti, vecchi bidoni, contenitori di vario genere e foggia, ma anche rottami di plastica e metallo, e di infiniti altri oggetti destinati presumibilmente alla riconversione o alla distruzione. In queste Pictures of Junk i rifiuti vengono impiegati proprio come se fossero i più raffinati colori e pigmenti riuscendo a ridare un soffio di vita ad antiche icone della storia dell’arte, come l’incredibile Educazione di Cupido di Correggio, conservata alla National Gallery. Di sé Vik ha detto: «Io sono un fotografo quando fotografo e un disegnatore quando disegno, ma ciò che non smetto mai di diventare è un artista».


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Pictures at All Costs Like other artists, Vik Muniz is also inspired by the art of the past. But he recreates it with clouds, chocolate and rubbish Marco Senaldi

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Over the years Muniz has created images using sugar spread over black sheets of paper, creating gripping portraits of sugar cane plantation

Portrait of Alice Liddell after Lewis Carroll, 2004

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Born in Sao Paolo, Brazil in 1961, Vik Muniz is today one of the most recognised artists at international level for the icastic force of his unforgettable pictures. Avid reader right from boyhood (at the age of six he became fascinated with Ovid’s Metamorphosis) he states that he developed an irresistible love for pictures and images after his father won an illustrated edition of the Encyclopaedia Britannica. Like many south American artists, in the eighties he moved to New York, where he formed himself artistically in one of the most fervid periods of the Big Apple. But at the beginning things weren’t easy: not only did Vik find himself in a foreign country, grappling with a language he hardly knew, he also had to work on a very low budget and with few means: a block of plasticine, a camera and a few reels of film. Creativity was the solution: Vik made his first sculpture, he then photographed it; he destroyed it and made a second one, photographed it again and so on. The result was 60 photos of different sculptures and the young artist’s first one man show. From then on Muniz has continued to work with the same method: creating an image with perishable materials, taking photographs that are extraordinarily incisive and of great beauty, leaving the original to destroy itself naturally. Meanwhile though he has hugely widened his sources of inspiration, mainly drawing from art history, both ancient and modern; as well as that he has experimented with a whole range of the weirdest of materials to make his works, that are hence at the same time both ephemeral and eternal.

workers; confetti for recreating portraits with a pop flavour; black cotton thread, to create an incredible remake of the famous Piranesi “carceri” [jails] engravings; chocolate syrup, to give a new “taste” to old films of the silent era. At the same time Muniz has attempted other expressive ways on the verge of the impossible: excavating the lines of drawing in the land in large open spaces, he has created images of an almost domestic sensitivity on a gigantic scale (Pictures of Earthwork); or he has created wording and pictures in the sky, using ultramodern techniques that enable him to “write” in the air with persistent puffs of steam. Lastly, as the pictures that accompany this article bear witness to, the Brazilian artist has used waste material such as rivets, old tyres, disused electric cables, nails, screws, old bins, containers of various size and shape, and also plastic and metal scrap, and infinite other objects presumably destined for reconversion or for destruction. In these Pictures of Junk the waste is used as if it were the most refined colors and pigments managing to breathe new life into ancient icons of art history, like the incredible Education of Cupid by Correggio, preserved in the National Gallery. Of himself Vik has said: «I am a photographer when I photograph and a draughtsman when I draw, but what I will never stop becoming is an artist».



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profumi e kalashnikov Gli alti e bassi della nuova economia russa, dal grande crollo alla rinascita. Le tortuose vicissitudini delle merci e dei loro imballaggi. Gregory Grishchenko

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Il XXI secolo in Russia Nel 1991 l’Unione Sovietica è crollata e con essa ha cessato di esistere anche l’inefficiente sistema di distribuzione delle merci. Nel nuovo clima economico, in Russia, il mercato dei consumi degli ultimi quindici anni si è sviluppato in modo lento e talvolta precario. Oggi l’industria del packaging cresce annualmente del 10-12%, il ricorso a materiali diversi è costante, sono aumentati i marchi locali e sono state create scuole di packaging design. In testa ai settori in crescita, soprattutto food, bevande, cosmetici e l’industria del tabacco. Secondo Unipack.Ru (il principale portale russo del packaging, Ndr) solo cinque anni fa il mercato alimentare non superava i 100 miliardi di dollari (con una spesa media pro


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capite di circa 50-60 dollari al mese, contro i 200 dollari della Germania, i 280 dell’ Italia e i 450 degli Stati Uniti). Oggi, un russo spende mediamente 100-140 dollari al mese per mangiare e questo ha portato il paese, con i suoi 250 miliardi di dollari nel 2005, a una posizione dominante in Europa. Secondo la rivista russa Ogoniok, il vertiginoso incremento del mercato della cosmesi e della profumeria (che nell’ultimo quinquennio - con una crescita annua stimata del 12% - si è collocato tra i primi cinque in Europa) potrebbe presto arrestarsi, a causa della recente introduzione di un decreto governativo volto a intensificare il controllo sulle vendite e la distribuzione di tutti i prodotti a base alcolica. La crisi potrebbe coinvolgere anche l’imballaggio “eccellente” - ovvero quello più avanzato dal punto di vista tecnologico - che, trainato dallo sviluppo velocissimo dei cosmetici di lusso, gioca un ruolo chiave in un settore che nel 2005 ha raggiunto il valore di circa 6 miliardi di dollari. Nonostante le scritte anti-fumo sui pacchetti di sigarette, la Russia resta un paese di fumatori. Le multinazionali del tabacco, a causa della forte diminuzione di vendite nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti, hanno spostato i propri stabilimenti nell’Est. Adesso quasi tutta l’industria russa e quella dei paesi dell’ex Unione Sovietica è stata privatizzata e appartiene ai gruppi delle major produttrici di tabacco e così, per l’alta qualità del packaging e dei materiali, le Marlboro dal Kazakistan sono praticamente

indistinguibili dalle omonime americane. La marche locali, invece, vengono prodotte insieme a quelle di recente sviluppo e sono ridisegnate con un look più moderno e d’impatto. Vecchie tradizioni L’inizio del Novecento è considerato il “Rinascimento” del packaging russo, un periodo, quello, di grande ricchezza ed esaltazione culturale. La promessa di un nuova stabilità, a pochi anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, aveva entusiasmato molti artisti e grafici di talento, che crearono packaging ispirandosi alla storia e all’identità russa. La felice abitudine di far disegnare imballaggi ed etichette da artisti di fama è perdurata fino agli anni Venti; più tardi, quando il regime Comunista spinse l’Unione Sovietica a trasformarsi da paese agricolo a superpotenza industriale stimolando la crescita delle aziende, l’originalissimo stile grafico andò gradualmente perduto: l’imballaggio era all’ultimo posto tra le priorità del governo. Riapparve solo dopo la caduta dell’Unione Sovietica. La crescita dell’industria del confezionamento ebbe uno slancio notevole solo dopo il 1998, quando un’inaspettata svalutazione della moneta costrinse a tagliare le importazioni di alimenti, cosmetici e altri prodotti delle major estere. I fornitori russi iniziarono quindi a colmare la domanda offrendo i marchi e prodotti con packaging nuovi e competitivi. In questo modo, con una forza lavoro altamente qualificata, stampando e trasformando con tecnologie e materiali forniti dalle principali aziende occidentali, il paese ha raggiunto in breve tempo standard qualitativi elevati nella trasformazione e produzione di imballaggi. La Russia da sola, negli ultimi tre anni ha importato più di


500 macchine da stampa, assumendo così le fattezze di mercato di sbocco importante e appetibile per i grandi costruttori occidentali, ma non senza qualche rischio, dovuto al fatto che il paese sta solo ora facendo esperienza nel bilanciare capitalismo e burocrazia. Oggi l’industria del packaging sta utilizzando mezzi tecnologici e grafici ad alta tecnologia, per promuovere i propri marchi associandoli anche alle icone storiche e culturali della tradizione. Questa tendenza si riflette in modo esemplare in due tipologie di prodotto, che vantano il più alto tasso di crescita: la vodka e i profumi. Nuovi imballaggi per bevande d’altri tempi Nella Russia contemporanea, dove ormai il capitalismo ha messo radici, ci sono più di 400 grandi distillerie e produttori di vino che, a fronte di un mercato in forte espansione, offrono marche locali; un numero sempre maggiore di produttori propone distillati nuovi e particolari, guadagnando ampi riconoscimenti da parte di europei, statunitensi e canadesi. Mentre la maggior parte dei distillati è venduta in bottiglie di vetro standard con etichette di carta stampate in rotocalco, le vodka russe sono imbottigliate in contenitori artistici di vetro, con differenti design. Marche specifiche utilizzano

bottiglie dalle forme uniche e le etichette sono realizzate con le più moderne tecnologie; seppure di alto livello qualitativo, il costo esiguo della manodopera aiuta a mantenere i prezzi accessibili. Le origini della vodka russa risalgono al XV secolo; è nata infatti circa cento anni dopo la scoperta, in Francia, del processo di distillazione dell’alcol, ma prima del gin e del whisky. Nel 1884, dopo secoli trascorsi a migliorare la tecnica di produzione e dopo vari rimaneggiamenti da parte del governo, venne creato uno speciale “comitato tecnico” formato da famosi scienziati russi, tra cui D. Mendeleev, per stabilire i rigidissimi criteri per la produzione di questa bevanda. Così la vodka diventò a tutti gli effetti un’icona, un prodotto tipicamente russo. Attualmente se ne producono circa 600 marchi diversi, utilizzando sofisticate tecnologie di imbottigliamento dei migliori fornitori di tutto il mondo. La distilleria più grande e importante nel paese è Kristall. Ha sede a Mosca e, con i suoi 105 anni di esperienza, produce più di 4 milioni di galloni all’anno di distillato di grande qualità ed esporta in 20 paesi il 35% del suo prodotto; è del 1953 la creazione del marchio Stolichnaya (“Stoly”) diventato ormai famoso in tutto il mondo. Negli ultimi dieci anni Kristall ha fatto importantissimi investimenti in

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Gregory Grishchenko è ingegnere e consulente nell’ambito del mercato e delle tecnologie. Ha condotto ampie ricerche nell’Europa Orientale e nei paesi dell’ex Unione Sovietica; è autore di numerosi articoli e relazioni nel settore del packaging, del converting, della stampa. Vive e lavora nel New Jersey.

attrezzature e tecnologie di origine italiana, tedesca e francese, per perfezionare la realizzazione dei propri imballaggi. Di recente Kristall ha proposto la vodka premium “Yuri Dolgoruki” in una bottiglia di vetro satinato; sul fronte, attraverso una zona trasparente del vetro, si può vedere l’immagine della famosa chiesa di San Basilio riprodotta sul retro. Per inciso, Yuri Dolgoruki (che fondò Mosca nel XII secolo) e l’antica chiesa di San Basilio nella Piazza Rossa, sono considerate vere e proprie icone dell’identità russa. Questo bottiglia, dal design unico, serve a rafforzare sia l’immagine sofisticata del marchio sia quella di un prodotto tipicamente russo, differente da tutti gli altri. L’industria KiN, nota produttrice di vini e di brandy, fu fondata a Mosca 65 anni fa. La sua attività produttiva si concentra oggi su tre filoni: vodka, brandy e distillati di piccoli frutti (questi ultimi, tutti di alta qualità, sono destinati sia al mercato interno sia a Europa, America e Asia). L’azienda detiene attualmente il 22% dello share del mercato russo degli alcolici ma è stata protagonista di un ingresso irruente - letteralmente - sui competitivi mercati dell’Europa occidentale con il marchio Matryoshka che, nel 2005, ha ricevuto un premio speciale a Cannes per la creazione di una bottiglia dallo stile folkloristico e tradizionale. Ma il packaging più controverso è senza dubbio quello della Vodka premium Kalashnikov, presentata in una bottiglia a forma del tristemente noto mitragliatore AK-47. Imballata in una scatola di legno con scritte militari, questa vodka è prodotta da dieci anni da LVZ Glazovski, una

piccola distilleria situata in Udmurtia, la regione in cui venivano realizzate le armi vere. Profumi francesi “à la russe” Invitati a corte dall’imperatrice Caterina la Grande, appassionata e profonda conoscitrice della cultura francese, furono gli ambasciatori di Francia a fornire lo spunto per la creazione e il successivo sviluppo dei primi profumi in Russia. La sovrana incoraggiò molti abili artigiani a ripensare in modo creativo alla propria attività, nel XVIII secolo e uno di essi, Henry Brokard, nel 1864 fondò la prima fabbrica di profumi a Mosca; fu lui a creare nel 1913 la famosa fragranza Empress’ Favorite Bouquet, con la quale celebrare i trecento anni di dinastia degli Zar Romanov, ancora molto popolare in Russia con il nome di Krasnaya Moskva (Mosca Rossa). Ovviamente, a parte questo marchio, ci sono anche nuovi brand nati sull’onda della crescente domanda degli stilisti: più di 150 case di moda presentano a ogni stagione le loro collezioni. Tra i vari stilisti, tra cui Slava Zaytsev and Masha Tsigal, si sono cimentati anche nel packaging; in particolare, Zaytsev ha creato i profumi Maroussia e Authentic Maroussia alla fine degli anni Novanta, riprendendo temi russi tipici e tradizionali. Questi profumi sono prodotti in Francia da S.B.I., e sono presentati in una confezione che ricorda riprende vagamente la forma del Cremlino. Concludendo, si può facilmente ritenere di assistere all’emergere di una nuova ondata creativa nel settore del packaging e si spera che questa “new wave” positiva si estenda quanto prima anche ad altri prodotti “Made in Russia”.


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Vodka, Perfumes and the Kalashnikov The peaks and troughs of the new Russian economy, from the great collapse to its rebirth. The tortuous vicissitudes of goods and their packaging. By Gregory Grishchenko The 21st century in Russia In 1991 the Soviet Union fell apart, and with it the inefficient consumer goods distribution system ceased to exist. In the new economic climate over the last 15 years the Russian consumer market for has revealed a fast and sometimes volatile growth. The country’s packaging industry is experiencing an annual growth rate of approximately 10-12%; usage of all types of materials is growing along with and own brands and the presence of packaging design schools. The sectors showing the highest growth are aboveall food, beverage, cosmetics, and tobacco. According to Unipack.Ru (the leading Russian packaging portal En), only five years ago the Russian food market did not exceed $100 billion mark (an average consumer spending about $50-$60 a month for foodstuff against the average German consumer of the time’s $200, the Italian consumer’s $280 and the American consumer’s $450). These days a Russian shopper spends about $100-$140 monthly for groceries, which makes the

country’s food industry the most important in Europe with its $250 billion in 2005. According to the Russian magazine Ogoniok, the rapid growth of the country’s perfume and cosmetics market (showing an annual average growth of 12% over the last 5 years and already featuring as one of the five largest in Europe) could soon draw to a halt due to the introduction of a recent government decree tightening control of sales and distribution of all consumer products containing alcohol. The crisis could also involve packaging “of excellence” - or that is most advanced technically speaking, diriven by the fast growing luxury cosmetics segment with its $6 billion in 2005. Despite anti-smoking warnings on Russianmade cigarette packs, Russia remains very much a country of smokers. Tobacco multinationals have moved manufacturing east as a result of diminishing sales numbers in western Europe and the USA. Currently almost all of the tobacco industry of Russia and the countries of the former Soviet Union is privatized and belongs to the groups comprising the world’s major tobacco companies. Indeed the high quality packaging equipment and materials used mean you can’t tell Marlboro cigarettes produced Kazakhstan apart from those made in the USA. The local brands are still being manufactured along with more recently developed ones and have been redesigned to give them a more modern, eyecatching appeal.

Il miele, come i cereali, il legname, la cera e la canapa, è uno dei prodotti chiave per l’esportazione: per secoli la Russia ha fornito questa primizia all’Occidente, prima del regime comunista. Esiste ancora una forte associazione tra il miele e la botte di legno usata per trasportarlo, e un’azienda specializzata in prodotti biologici che ha sede nella regione Krasnodar, ha scelto per il suo miele una botte in miniatura, fatta a mano, con la tradizionale decorazione Khokhloma. La botticella è rivestita con una plastica speciale per evitare il contatto diretto del cibo con il contenitore. Along with grain, timber, wax and hemp Russia supplied honey to the west for centuries before the Communists took power. There is still a strong association between this product with the wooden barrel used to ship it. The Krasnodar region based co-op specializing in organic natural products has chosen a miniature handmade wooden barrel (with the traditional Khokhloma graphics) for its brand of locally produced honey. The barrel has a special plastic lining that prevents the contents from coming into contact with the container.


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Old traditions The early 1900’s can be considered as the “Renaissance” of Russian packaging, a period pervaded a rich cultural ferment. The promise of a new order just a few years after the Bolshevik Revolution attracted many talented graphic artists who created packaging designs based on Russian history and the Russian identity. The habit of having famous artists design packaging lasted up to the twenties; later on, when the Communist regime fueled the growth of the manufacturing industries in its drive to turn the Soviet Union from an agricultural country to an industrial superpower, the originality of Russian graphics waned: packaging took last place among the government’s priorities. It only returned to its former importance after the collapse of the Soviet Union.

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The growth of the Russian packaging industry only gained momentum after 1998, when the unexpected devaluation of local currency cut imports of major food, cosmetics and other consumer products. Local suppliers stepped in to fill the demand gap by offering familiar brands in new and modern packaging that could compete with imports. With a highly skilled workforce and modern packaging, printing and converting technologies and materials provided mostly by western suppliers, the country has reached a level of packaging artwork that took decades for some other countries to attain. Russia alone has imported over 500 modern printing presses over the last three years, thus featuring as an important and attractive market for major western packaging companies, though not without some risk, due to the fact that country is only now coming to grips with balancing capitalism with burocracy. Nowadays Russia’s growing packaging industry is using the best available technological and graphic means to promote consumer brands

through images associated with the country’s traditional and historic cultural icons. This trend is well illustrated in two lines of products with the highest growth rates in consumption: vodka and fragrance. New packaging for old-style beverages In present day Russia, where capitalism is taking root, there are over 400 major distilleries and wine producers supplying a growing market with familiar brands. A growing number of manufacturers stand out with new quality liquor brands that are gaining recognition in the mature markets of western Europe, the US and Canada. While the majority of liquors are sold in conventional glass bottles using gravure printed paper labels, a substantial segment of Russian vodkas is currently packaged in the world class artistic glass containers featuring numerous designs. Unique bottle shapes are dedicated to specific vodka brands and all modern label technologies are utilized; albeit high level in terms of quality, low labour costs help keep prices down. Historically Russian vodka was created in the 15th century, about a hundred years after the alcohol distillation process was discovered in France and before gin and whisky. In 1884, after centuries of process refinement and government manipulation, a special “Technical Committee” was created. This committee, some of whose members were famous Russian scientists including D.Mendeleev, established strict criteria for the spirit. After that, vodka became truly a Russian product and retains its iconic image worldwide to the present day. Currently Russia produces about 600 brands of vodka using modern packaging technologies and the best packaging suppliers the world can offer. Russia’s leading vodka manufacturer industry, Kristall, is the largest distillery in the country. Located in Moscow, the 105 year old company


container

produces over 4 million gallons of high quality liquor annually and exports about 35% to 20 countries. In 1953 the company created the Stolichnaya (“Stoly”) brand which became a household name worldwide. For the last ten years Kristall has been heavily investing in stateof-the-art process and packaging equipment from Italy, Germany and France. Recently, Kristall Distilleries unveiled the premium “Yuri Dolgoruki” vodka in a frosted-glass bottle that displays an image of the famous St. Basil’s church through a window in the packaging. Yuri Dolgoruki, the founder of Moscow in the 12th century, and the ancient St. Basil’s located in the Red Square, are considered true icons of Russian identity. This unique bottle design strives to reinforce the brand's image as an upscale, truly Russian product, making it different from all the others and helping it stand out in a salespoint vodka aisle. The KiN wine and brandy manufacturers was founded 65 years ago in Moscow. Today the company concentrates on three major product types - vodka, brandy and berry liquors (the latter all of high quality are both for the domestic as well as European, American and Asian markets). The company presently claims a 22% share of the Russian liquor market and is making deeper inroads into the highly competitive western European market with the introduction of the vodka brand “Matryoshka” (named after the famous Russian stacking doll). In 2005 this brand was awarded the special prize in Cannes (France) for folklore tradition in bottle creation. The most controversial packaging is undoubtedly that of Kalashnikov premium Vodka, that comes in a glass container in the shape of the all-toofamous Russian AK-47 machine gun. Packaged in an ammo type wooden box this vodka has been produced for the last 10 years by LVZ Glazovski, the small town distillery located in

Udmurtia, the region where the Kalashnikovs were actually made. French perfume “a la Russe” Invited to court by the empress Catherine the Great, who was deeply knowledgeable and passionately keen on French culture, the French ambassadors inspired the creation and the subsequent development of perfumes in Russia. Catherine encouraged numerous skilled craftsmen to take a fresh more creative approach to their work, this in the late 18th century. One of them named Henry Brokard founded the first perfume factory in Moscow in 1864. He was the creator of the famous scent the Empress’ Favorite Bouquet developed in 1913 to celebrate the 300 years of the Romanov Tsar dynasty. The perfume is still very popular in Russia under the name of Krasnaya Moskva (Red Moscow). Obviously there are new fragrance brands being developed on demand from the growing Russian designer clothes market. In fact there are more than 150 designer houses regularly presenting their seasonal collections. Fashion designers like Slava Zaytsev and Masha Tsigal have also turned their hand to packaging design. In the late 1990s Slava Zaytsev created the Maroussia and Authentic Maroussia fragrances featuring typical, traditional Russian themes. These d perfumes are produced in France by S.B.I. and come in a pack that vaguely resembles the shape of the Kremlin To conclude, one can easily say that the Russian packaging scene is in the throes of a new wave, something that one hopes will also soon spread to other Russian made products.

Gregory Grishchenko is an engineer and independent market and technology specialist based in New Jersey. He has carried out extensive research in eastern Europe and the countries of the former Soviet Union and is the author of several reports on the eastern European packaging, converting and printing sector.

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La Perestrojka delle Il packaging delle merci russe non teme contaminazioni. Gioca con il linguaggio del passato, disegnando possibili futuri scenari, alternativi all’International Style.

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Maria Gallo Combattuto tra contemporaneità e identità. O semplicemente in cerca di una terza via, il packaging design delle merci russe parla una lingua ibrida, affascinante come un esperimento antropologico che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, in forma spontanea. Decorazioni dorate e vagamente barocche sono stampate su sleeve lucide e glamour, marchi

dal lettering svolazzante firmano bottiglie dal design contemporaneo. Questa sana disobbedienza alle consuetudini dell’estetica globalizzata, ha il vago sapore dell’orgoglio culturale ma anche della sperimentazione. A guardare i prodotti russi verrebbe infatti da ipotizzare la nascita di uno “stile russo”, nonostante questo - in epoca di

globalizzazione - possa quasi sembrare un ossimoro. Non si tratterebbe naturalmente di una partenogenesi, perché, come si deduce dall’intervista rilasciataci da Oleg Beriev (Mildberry Mosca), il mercato russo, benché chiuso e difficilmente raggiungibile, ha da sempre guardato e introiettato modelli internazionali. Il normale consumatore già da


identi-kit cercare di capire alcune dinamiche di quel mercato così delicato, perché ancora giovane, e sensibile, perché del tutto permeabile e disponibile al nuovo. Quello russo è un mercato a suo modo unico, anche perché è di fatto un ponte geografico/culturale tra oriente e occidente, e il futuro delle sue merci, al contrario delle nostre, non è ancora stato scritto. L’intervista che segue è stata rilasciata da Oleg Beriev fondatore di Mildberry, primo network di brand design russo fondato nel 1999. Mildberry ha diverse sedi a Mosca, Londra, Bruxelles e Milano.

Merci

Come viene percepito il prodotto estero (made in Italy, Usa, France, China, Japan...) Ai tempi dell’Unione Sovietica si dava per scontato che tutto ciò che veniva dall'estero era migliore del prodotto nazionale.

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Quali sono le caratteristiche principali, oggi, del mercato e delle merci russe? Oggi non esiste molta differenza tra il mercato russo e il mercato europeo. Al contrario, direi che

Esiste un’identità del prodotto russo o si tende a un’estetica internazionale? In un certo senso possiamo parlare di una vera e propria identità del prodotto russo. In particolare esistono due motivi all’origine di questa condizione. Da una parte la percezione e i gusti estetici del consumatore russo sono fortemente legati alla cultura bizantina, tanto che il design è tuttora influenzato dalla sua ricchezza, dalla sua complessità, dall’intensità degli elementi e delle decorazioni e dalla forte presenza di oro e bronzo. Dall’altra parte, invece, fino poco tempo fa il termine “branding” non esisteva neanche. Il design era creato da “non designer”, da persone che non conoscevano l’applicazione del design ai prodotti consumer, in sostanza esisteva un design “fatto male”. Ultimamente però la situazione sta cambiando e la differenza tra estetica dei prodotti russi e europei tende a scomparire.

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anni riconosceva e valutava in modo diverso i prodotti provenienti da paesi e brand diversi. Ma questo consumatore aveva alle spalle (ed ha tutt’oggi) una cultura antica, ricca, diversificata, quanto i fusi orari che attraversano la nazione; e questa cultura (ma anche tradizione) è stata utilizzata come filtro, come traduttore per tutto quanto provenisse da oltre confine. Forse è ancora presto per dire come evolverà l’anima del packaging russo, quello che oggi però possiamo fare è

Può raccontarci, dal punto di vista dell’estetica e della tipologia delle merci, la trasformazione del mercato russo dopo “la caduta del muro”? Il mercato russo è cambiato radicalmente. La situazione di oggi non è assolutamente paragonabile al periodo precedente la caduta del muro. Basti pensare che, ai tempi dell’Unione Sovietica, termini come “mercato” e “marketing” non esistevano. Il paese viveva in constante deficit di prodotti di prima necessità e non era quindi possibile preoccuparsi dell’estetica e della varietà dell’offerta.

c'è più affinità che differenza. Occorre però dire che all’interno del mercato russo esiste una forte differenziazione tra le grandi aree urbane (come Mosca e San Pietroburgo) e le città delle zone regionali. Il mercato russo è comunque più dinamico rispetto al mercato europeo che risulta essere già largamente sviluppato.


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Alcuni brand erano diventati, in un certo senso, dei feticci: i Jeans Levi's, per esempio, oppure Pepsi o ancora i prodotti hi-tech, come Hitachi. Dopo la “perestrojka” questa tendenza è diventata ancora più forte in quanto le aziende russe non sono riuscite a reagire tempestivamente al cambiamento del mercato realizzando prodotti di qualità, perciò i negozi vendevano soprattutto prodotti esteri. Il mercato non era ancora molto sviluppato, era possibile vendere qualsiasi cosa e la Russia, per un po’ di tempo, è stata una sorta di discarica dei prodotti esteri di scarsa qualità. Ma il consumatore si è reso conto di questa situazione e nel giro di 3-4 anni i prodotti esteri hanno perso il loro appeal. Oggi, però, questa percezione è vissuta diversamente, a seconda dei segmenti. Per esempio, nel segmento food i prodotti esteri vengono percepiti negativamente, perciò il consumatore preferisce i prodotti russi. Nel settore profumeria e cosmetica, invece, i brand francesi sono vissuti come i

migliori, nel segmento fashion i brand preferiti sono quelli italiani. Ad ogni modo il consumatore russo è diventato più sofisticato e meno influenzabile dalla scritta «Made in…» Che tipo di clienti ha oggi Mildberry Russia? La lista dei nostri clienti è piuttosto ampia. Ci sono grandi aziende internazionali come Unilever, Kraft Foods, Coca Cola, Nestlé, Campina, Dirol Cadbury, Tetra Pak, Upsa, Heineken, ma anche grandi aziende russe come Bolshevik, Russian Standart, Bystrov, Russkij Algokol, Vim Bil dan, il network dei negozi cosmesi e profumeria Ile de Beaute, la catena degli alberghi tre stelle Azimut oltre ad altre aziende leader nel proprio settore. Sono ancora in vendita, nel mercato russo, prodotti esistenti prima della caduta del muro? E come vengono percepiti, questi, dal pubblico? Sì, esiste ancora questa tipologia di prodotti ma è difficile chiamarli brand perché vengono prodotti con lo stesso nome da

diverse aziende (come ai tempi dell’Unione Sovietica). Le motivazioni che spingono all’acquisto di questi prodotti sono la tradizione, la nostalgia dei tempi passati e l'abitudine al loro consumo. Il bacino di utenza di questi pseudo-brand è rappresentato dai consumatori delle zone regionali, di età compresa tra i 40 ed i 60 anni, con un reddito basso, anche se la loro quota di mercato sta inevitabilmente diminuendo. Secondo lei oggi qual è il marchio o l'azienda russa che produce il packaging più interessante? Le grandi aziende internazionali dominanti sul mercato, come Unilever, Coca Cola, Nestlé sono abbastanza conservative e si comportano con una certa prudenza. In questo senso sono più interessanti le aziende russe; per loro, infatti, l’innovazione di prodotto e di branding è un modo per attirare l'attenzione del consumatore. Maria Gallo, concept designer e coordinatore del Master in Packaging Design presso l’Istituto Europeo di Design (Milano)


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The Perestroika of Products The packaging of Russian products is unafraid of contamination. It plays with the language of the past, designing possible future scenarios, alternatives to the International Style. Maria Gallo

The following interview was given by Oleg Beriev, founder of Mildberry, leading network of Russian brand design founded in 1999. Mildberry has various offices in Moscow, London, Brussels and Milan. Can you tell us, from the point of view of aesthetics and product typology, about the transformation of the Russian market after the “fall of the Berlin wall”? The Russian market has changed radically. The situation today cannot possibly be compared to the period before the fall of the Berlin wall. Suffice it so say that, in the time of the Soviet Union, there were no such words as “market” and “marketing”. The country was constantly lacking in even the basic necessities and so you could hardly worry about the aesthetics and variety of the offer. What are the principal characteristics of the Russian market and products nowadays? Nowadays there isn’t a great deal of difference between the Russian and European markets. On the contrary, I would say that there are more similarities than differences. It has to be said though that in the Russian market there is a marked difference between large urban areas (such as Moscow or Saint Petersburg) and cities in outlying regions. However, the Russian market is more dynamic than the European market, which is already largely developed.

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Is there such a thing as Russian product identity or is there a leaning towards international aesthetics? In a certain sense we can speak of an authentic Russian product identity. Specifically, there are two reasons for this. On one hand the perception and aesthetic tastes of the Russian consumer are strongly linked to Byzantine culture, to the extent that design is still influenced by its richness, its complexity, its concentration of elements and decorations and the heavy presence of gold and bronze. On the other hand however, there was no such word as “branding” until recently. Design was created by “non designers”, by people who didn’t

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Torn between contemporaneity and identity, or simply seeking a third way, the packaging design of Russian goods speaks a hybrid language, as fascinating as an anthropological experiment which is spontaneously taking place before our very eyes. Golden and vaguely baroque decorations are printed on shiny, glamorous sleevers, brand names in curly lettering on bottles with a contemporary design. This healthy flouting of the conventions of globalised aesthetics smacks not just of cultural pride but experimentation too. A glance at Russian goods might lead to speculation on the birth of a “Russian style” despite the fact that this might almost appear to be a contradiction in terms in an age of globalisation. Naturally, it wouldn’t be a parthenogenesis because, as we deduce from the interview given by Oleg Beriev (MildberryMoscow), the Russian market, although closed and not easy to gain access to, has always looked towards and assimilated international models. For years the ordinary consumer had been able to recognise and put different values on products from different countries and brands. But this consumer had (and continues to have) an ancient, rich and diversified (like the time zones dividing the nation) cultural heritage. And this cultural (and traditional) heritage was used as a filter, as a translator for everything that came from abroad. Perhaps it is still too soon to say how the soul of Russian packaging will evolve. However, what we can do in the meanwhile is to try to understand some of the dynamics of this market which is so fragile because it is still green, vulnerable and entirely receptive and open to anything new. The Russian market is unique in its way, partly because it is virtually a geographical/cultural bridge

between East and West, and the future of its products, unlike ours, is unknown.


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know how to apply design to the consumer product. Essentially, design was “poorly executed”. Lately though things began to change and the difference between Russian and European product aesthetics is tending to disappear. How are overseas products (made in Italy, USA, France, China, Japan…) perceived? During the Soviet Union it was taken for granted that anything coming from abroad was better than the national product. Some brands became, in a certain sense, fetishes: Levi’s jeans, for example, or Pepsi or hi-tech products like Hitachi. After “perestroika” this trend became even more marked as Russian companies were unable to react quickly to the changing market and make quality products, so shops sold mainly foreign goods. The market still wasn’t very developed. You could sell anything and Russia, for a brief period, was a kind of dumping ground for poor quality foreign products. But the consumer realised what was happening and in 3-4 years foreign products lost their appeal. Now however this perception varies depending on the segment. In the food segment, for example, foreign products are perceived negatively so consumers choose Russian products. In the perfumes and cosmetics sectors, on the other hand, French brands are perceived to be the best while in the fashion segment the most popular brands are Italian. In any case, Russian consumers have become more sophisticated and less easily influenced by the lettering “Made in…”

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What kind of customers does Mildberry Russia have today? The list of our customers is quite long. It includes large international companies such as Unilever,

Kraft Foods, Coca Cola, Nestlé, Campina, Dirol Cadbury, Tetra Pak, Upsa and Heineken, large Russian companies such as Bolshevik, Russian Standart, Bystrov, Russkij Algokol, Vim Bil dan, the Ile de Beaute chain of cosmetics and perfumes shops and the three star hotel chain Azimut, as well as other companies which are leaders in their specific sector. Are products which were around before the fall of the Berlin wall still sold? And how do the public perceive them? Yes, this product typology still exists but they can’t really be called brands as they are produced with the same name by different companies (like in the days of the Soviet Union). The motivations which lead to the purchase of these products are tradition, nostalgia for bygone days and habit. The catchment area of these pseudo brands is represented by consumers in outlying regions, aged between 40 and 60 years old, on low incomes, though their market share is inevitably declining. What Russian brand or company produces the most interesting packaging in your opinion? The large international companies dominating the market, such as Unilever, Coca Cola and Nestlé are somewhat conservative and behave quite circumspectly. In this sense Russian companies are more interesting. Indeed product innovation and branding is a way for them to attract consumer attention. Maria Gallo, concept designer and co-ordinator of the Master in Packaging Design at Istituto Europeo di Design (Milan).

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Una ComunitĂ P


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Pack Man

Postcomunista


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Nella Russia contemporanea, tra consumismo esasperato e disagio sociale, tocca agli artisti il compito di risvegliare le coscienze - e magari anche di praticare stili di vita alternativi. È il caso di Radek Community. Giada Tinelli - photo by Maxim Karakoulov

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Accord, performance realizzata a Berlino e Vienna nel 2002 Una comunità virtuale si aggira per le strade della città con sintetizzatori acustici a batterie, tastiere e fisarmoniche suonando ininterrottamente il medesimo accordo. I partecipanti, tra i quali galleristi, curatori, lavoratori, uomini d’affari e senzatetto, sono stati invitati a tenere lo stesso accordo per alcune ore.

Nata negli anni sessanta con i movimenti studenteschi e i raduni hippy, la comune è uno stile di vita ancora praticato. Generalmente è formata da persone unite da profondi legami di amicizia e da grandi ideali comuni, che decidono di condividere incombenze quotidiane e voglia di utopia, secondo poche e semplici regole approvate da tutti i membri. Per strano che possa sembrare, questo genere di comune torna a vivere non nel cuore dei paesi capitalisti, ma nella Russia postcomunista di oggi: Radek Community infatti, è un gruppo di amici-artisti che ha fatto della vita comunitaria il proprio credo artistico. I suoi membri, giovani artisti provenienti da differenti discipline, vedono nel consumismo che si è andato affermando nella Russia degli anni novanta un acritico, irrazionale e pericoloso inseguimento dell’ipercapitalismo occidentale. Vicini agli ideali del rivoluzionario russo Karl Berngardovich Radek, da cui hanno ereditato il nome, hanno fatto proprie le teorie attiviste dell’omonima rivista fondata da Anatoly Osmolovsky, critico e scrittore che propone la creazione di un’identità russa alternativa, lontana sia dal modello capitalista europacentrico sia da quello che attualmente il governo sta ricercando nel liberalismo globalizzato. Tuttavia, i componenti di Radek sono ben consapevoli di essere intrisi di quella stessa cultura che accusano. Per questo, nella miglior tradizione del situazionismo francese, ne utilizzano i mezzi per opporvisi: nelle loro performance usano gli oggetti della società dei consumi e i simboli delle manifestazioni politiche per sbeffeggiare le


mode e i fenomeni mediali con un ironico scimmiottato. Le loro performance, che spesso divengono vere e proprie dimostrazioni radicali, accusano l’intera società russa di ignorare o reprimere ogni forma di contestazione per non compromettere le relazioni potiche ed economiche con l’occidente. In una prospettiva che ricorda la “scultura sociale” à la Joseph Beuys, Radek Community propone una performance politico-sociale come alternativa al potere spettacolare dell’immagine e all’uso commerciale dell’arte. Abbiamo intervistato Petr Bystrov, attivo nella Radek Community dai sui esordi.

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Petr, potresti spiegare cos’è Radek Community e quali sono i suoi scopi? Radek Community è il nome di un collettivo di persone, nato a Mosca alla fine degli anni novanta. In realtà c’era già stato un noto rivoluzionario tedescosovietico di nome Radek all’inizio del secolo; inoltre una rivista teoretica e artistica con lo stesso nome era stata pubblicata a Mosca nella seconda metà degli anni novanta. Quindi “Radek” connota un momento preciso della scena culturale russa recente. In realtà non è mai stato considerato un collettivo artistico tout court ma un gruppo di giovani amici - con una struttura multidisciplinare, caotica, rizomatica - per richiamare la metafora dei libri di Gilles Deleuze e Felix Guattari [il rizoma, per questi pensatori degli anni 70, rappresentava l’idea di un movimento nomade in opposizione a forme rigide e gerarchiche come il partito, le classi sociali, ecc. n.d.r.]. Il nostro principale obiettivo era di investigare la natura e il significato di “comune” e analizzare i principi dello stare insieme (che a quei tempi

Hungerstrike Without Demands, performance a Mosca e Praga. Uno sciopero della fame senza secondi fini, come spiega Petr Bystrov: «Abbiamo iniziato a digiunare e nessuno poteva controllare lo sciopero; di solito si fa uno sciopero della fame per chiedere qualcosa e il potere può decidere se soddisfare le richieste, fermando lo sciopero. Noi abbiamo rifiutato qualsiasi tipo di dialogo perché abbiamo iniziato a digiunare senza sapere quanto l’azione sarebbe durata né come fermarci. Non capivano cosa volevamo e perché lo facevamo. Dopo alcuni giorni, abbiamo sospeso lo sciopero e ci siamo trasferiti da un’altra parte».


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trovavamo di grande interesse) con tutte le sue potenzialità all’interno di un concreto periodo della vita sociale in Russia; è per questo motivo che abbiamo organizzato questo esperimento di gruppo. Un importante nodo filosofico che ci ha portati a voler vivere questa esperienza è stata la riflessione su ciò che si può creare da soli (per esempio la performance individuale di un artista...), che è totalmente differente da ciò che dovrebbe accadere all’interno di un’atmosfera collettiva. Per esempio, il fenomeno della manifestazione politica o della discussione intellettuale trova le sue radici nella comunità e non nell’individualità. Qual è il significato del progetto Pack Man? È ironico nei confronti di Mc Donald che conquista il cuore delle persone? C’è un tipo di ironia che non ha bisogno di essere spiegata al di là del suo evidente significato. Naturalmente le immagini di Pack Man puntano il dito contro una stupida maniera sociale che impone di comportarsi come gli altri, in modo che ognuno si conformi alla massa; dal momento in cui qualcuno si mette una borsa in testa, ci sarà un’immediata onda di moda, per cui tutti lo seguiranno. Ed essendo rappresentativi di diversi livelli sociali, origini, età, si camuffano tutti seguendo la stessa “moda di gesti”. Le persone ricevono impulsi dai mass media e in ogni singolo momento della loro esistenza sono indirizzati ad aver fiducia esattamente in una certa cosa che deve divenire l’oggetto del desiderio comune; in questo modo le persone vengono completamente manipolate. E quando è tanto più visibile come in Pack Man appunto - si percepisce il senso di stupidità generalizzato... Altro aspetto umoristico implicito, sta nel compiere un gesto simile a quello che tutti fanno abitualmente per diventare “alla moda”, uniformarsi al trend: paghi per una borsa di Mc Donald, la indossi e fai già tendenza!

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Come vedete il cambiamento nel mondo dei consumi in Russia? Ultimamente la Russia è diventata un territorio di corruzione dilagante e consumo smodato, dove le persone tendono a consumare il più possibile ogni aspetto della propria vita che, in realtà, non si può più chiamare “vita” per un essere umano. Ma, sotto un certo punto di vista, la ragione di questi atteggiamenti è sostanzialmente comprensibile: dopo settant’anni passati a sopportare la fame, il lavoro duro e la costante paura, la gente si è sentita obbligata a fare esperienza di “democrazia” e “libertà”, si è rivolta per forza all’occidentalizzazione e ai suoi valori consumisti. Passeranno decine di anni prima di arrivare al punto di saturazione. E, cosa particolarmente significativa, è possibile vedere il consumo a tutti gli stadi della vita (quindi potremmo avere il consumo di beni, visioni, informazioni, emozioni, e qualsiasi altra cosa). Quali sono i vostri modelli artistici e culturali? Ci sono numerosi personaggi che riescono ancora ad attrarre l’immaginazione, ma il nostro lavoro non era volto a individuare dei precisi modelli o seguire una precisa corrente. I nostri modelli vengono dalla politica, dalla scienza o dall’arte. Ciò che abbiamo sempre tenuto in grande


considerazione è stato il fenomeno del collettivo: in questo senso abbiamo recuperato i Dada, i surrealisti, alcuni assurdi progetti artistici o alcune forme utopistiche nell’ambito della scienza; a dire il vero sarebbero numerosi e disparati i nomi da citare in questa sede... Pensi che l’arte possa avere uno scopo nella vita contemporanea? Sono profondamente convinto che l’arte sia il territorio dell’analisi critica, il luogo privilegiato per collaudare nuovi modelli di vita e di comportamento; è un’area sperimentale. È comunque significativo che l’arte perda la sua natura sperimentale nell’epoca della globalizzazione perché il concetto di sperimentazione poco si confà all’epoca dell’entertainment totale. Al giorno d’oggi una quantità sempre maggiore di oggetti di design, di spettacoli e eventi di intrattenimento sono prodotti da artisti, che diventano anch’essi parte del mercato globale che ha come unico valore l’attrattiva spettacolare.

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Avete realizzato altre performance sul consumismo? Le potresti presentare? Dopo aver letto i libri di Guy Debord, Michel Foucault, Jean Baudrillard e di altri che hanno costruito analisi fondamentali, che hanno fatto una diagnosi precisa della società moderna e stilato una prognosi sul futuro della civiltà occidentale, della sua economia, delle sue prospettive di sviluppo sociale e culturale, in effetti non c’è nulla su cui riflettere al di là della loro comprensione. Il fenomeno dello “spettacolo”, che prevale nel mondo contemporaneo, è la riprova che ogni cosa può essere consumata, che si tratti di un panino o di una vita intera. Regna una specie di ozioso pluralismo: la cosa veramente drammatica è che le persone iniziano a riconoscere che non c’è alcuna differenza tra uno stile di vita e un credo, tra osservazione e partecipazione, tra ignoranza e semplice supposizione.


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A Post-Communist Community In contemporary Russia, between unbridled consumerism and social unease, the artists are left the task of reviving consciences - and perhaps even following alternative lifestyles. This is the case of the Radek Community.

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Giada Tinelli Created during the sixties with the student movements and hippy gatherings, the commune is a lifestyle that is still practised today. Generally it is formed by people tied by strong bonds of friendship and great common ideals, that decide to share their daily lives and dreams of utopia, following simple rules approved by all the members. However strange it might seem, this kind of commune is making a come-back not in the heart of capitalist countries, but in contemporary post-communist Russia: the Radek Community in fact is a group of friendsartists who have placed communal living the centre of their artistic beliefs. Its members, young artists from different disciplines, see the consumerism that took hold in Russia during the nineties as an acritical, irrational and dangerous pursuit of western hypercapitalism. Close to the ideals of the Russian revolutionary Karl Berngardovich Radek, whose name they have inherited, they have made their own the activist theories of the magazine of the same name founded by Anatoly Osmolovacky, critic and writer who proposes the creation of an alternative Russian identity, far from the Europacentric capitalist model as well as what the Russian government is seeking in globalised liberalism. And all the same, the components of the Radek community are well aware they are steeped in the very same culture they are striving to reject. This is why, in the best tradition of French Situationalism, they use its very means to oppose the same: in their performances they

use the objects of consumer society and symbols of political manifestations to mock and ape fashion and media phenomena. Their performances, that often become true and proper radical demonstrations, accuse the entire Russian society of ignoring and repressing all forms of contestation so as not to compromise political and economic relations with the west. In a perspective that harks back to the “social sculpture” à la Joseph Beuys, the Radek Community proposes a political-social performance as an alternative to the spectacular power of the image and the commercial use of art. We interviewed Petr Bystrov, active in the Radek Community right from its outset. Petr, could you explain to us what the Radek Community is and what its purposes are? The Radek Community is the name of a people’s collective, created in Moscow in the late nineties. In actual fact the teachings of the German-Soviet revolutionary Karl Radek hark back to the beginning of the century; on top of that a theoretical and art magazine bearing Radek’s name was published in the mid to late nineties; hence Radek can be seen as a feature of the recent Russian cultural scene. Nonetheless, the Radek community has never been conceived an artistic collective but rather as a group of young friends, - a multidisciplinary, chaotic, *rhizomatic structure [*concept coined by Gilles Deleuze and Felix Guattari in the seventies, the rhizome represents the idea of a nomadic movement In opposition to the rigid and hierarchical structures such as party, social classes, etc Ed.]. Our main goal was to investigate the nature and the meaning of communality and, in order to analyze the principles of togetherness (at the time of great interest to us) and its potentiality within the concrete period of social life in Russia, our experimental group was formed. An important philosophical point is that what one can practice when being alone (a solo performance artist, for example) is totally different from what might be done in a collective context. For instance, the political manifestation


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or intellectual discussion finds its roots in communality and not in individuality. What is the meaning of Pack Man project? Is it hooting at Mc Donald’s winning over people’s hearts? There is a type of irony that needs no further explanation beyond its face meaning. Of course the Pack Man images themselves point to a crass social convention that forces us to behave as others do, leading to mass conformation; somebody’s putting a bag on his head immediately triggers a fashion trend, everybody follows suite; cutting across different social levels, ages, origins, everybody hides behind the same “fashion gesture”. People get an impulse from mass media, and in every tiny moment throughout their entire lives they are told precisely what they are to have faith in, and what has to become an object of common desire; in this way people become totally manipulated. And when this becomes blatantly obvious - as in Pack Man for instance - one is struck by the overriding stupidity therein... Another implicitly ridiculous aspect is performing the same gesture that everyone carries out habitually to be “fashionable”: you pay for a MacDonalds bag, put it on and you are already hyper trendy!

Do you think art has a purpose in contemporary life? I deeply believe that art is the area of critical analysis, the privileged area on which to try out new models of life and behaviour; it is an experimental area. It is at any rate significant that art loses its experimental nature in the epoch of globalisation, because the concept of experimentation does not fit in in an era dominated by the idea of total entertainment. To date more and more design objects, shows and performance events are being produced by artists, and they too also become part of the global market whose only value lies in spectacularshowbiz attraction.

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Have you done any other performances on consumerism? Could you tell us about them? Beyond reading and understanding the books of Guy Debord, Michel Foucault, Jean Baudrillard and others that have constructed fundamental analyses, and made accurate diagnoses of contemporary society, along with a prognosis on the future of western civilisation, its economy, its social and cultural development prospects in actual fact there is nothing left to reflect on. The “show” phenomenon that prevails in the contemporary world is proof of the fact that everything can be consumed, be it a sandwich or the life of a human being. A form of lax pluralism reigns: the truly dramatic thing is that people are no longer able to discern between lifestyle and belief, between observation and participation, between ignorance and simple assumption.

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How do you see the change in the world of consumption in Russia? In latter-day Russia corruption is rife and consumption totally unbridled, where people tend to consume every aspect of their life as much a possible, that in actual fact can no longer be called “life” in human terms. But from a certain point of view, you can understand why people in Russia behave the way they do: after sixty years of hunger, hard work and continuous fear, people felt obliged to plunge into “democracy” and “freedom”; they inevitably turned to westernisation and its consumer values. Decades will have to pass before we reach saturation point. And, what is particularly significant, consumption can be seen at all stages of life (hence one has consumption of goods, visions, information, emotions, and whatever else).

What are your historic and cultural models? Numerous personalities still fire our imagination, but our work is not aimed at locating precise models or following a precise current. We take our models from politics, from science and art. What we have always held in great consideration has been the phenomenon of the collectives: in this sense we have gone back to Dada, the Surrealists, some absurd artistic projects or some utopian forms in the field of sciences; to tell the truth one could cite numerous and various names on this count…


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La Russia in Una Bottiglia Sonia Pedrazzini

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Nel 1999, alla KiN - una delle più antiche distillerie moscovite - è venuta un’idea geniale: unire in un unico prodotto due dei maggiori simboli russi: la matrioshka e la vodka. È nata così un’originale quanto curiosa bottiglia, un packaging ibrido, folkloristico e kitsch, ma molto, molto, efficace,soprattutto per i mercati esteri, Europa, America e Asia, nei quali la “Vodka Matrioshka” ha letteralmente spopolato. Gli antefatti: dopo aver osservato che la maggior parte degli stranieri associa la Russia alla vodka (bevanda nazionale) e alla matrioshka (giocattolo tradizionale) - non a caso i due termini si chiamano ovunque allo stesso modo e non possono essere tradotti e che quest’ultimo è il souvenir più diffuso e amato dai turisti, l’azienda ha pensato di


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classici letterari alle spy story, ci accompagnano da sempre. Con i marchi Katyusha e Vecherniy Arbat possiamo completare il nostro viaggio ideale in Russia. Il primo, concepito per simbolizzare le caratteristiche di una paese ricco e misterioso è rappresentato dall’elemento seduttivo e femmineo. “Katyusha” è la donna russa per antonomasia, bella, sofisticata, dolce e appassionata insieme, quella con cui passare ore indimenticabili; e l’etichetta sulla bottiglia parla chiaro: una giovane signora, bionda e nuda, con stivali e colbacco ci ammicca sorridente. Più romantiche e legate all’intimità domestica sono le immagini che appaiono sulle bottiglie della marca Vecherniy Arbat. Qui l’idea è di dare alla vodka una dimensione celebrativa ma allo stesso tempo calda e affettuosa. Questo concept è stato utilizzato con l’intento di promuovere l’aspetto più tradizionale della cultura russa, quello che esprime lo spirito interiore dei suoi abitanti legato al passaggio delle stagioni: tre etichette per altrettanti stati d’animo: un paesaggio autunnale, sgargiante di foglie colorate dopo lunghi pomeriggi piovosi; un villaggio innevato a memoria del freddo inverno in cui si sta raccolti in casa e in sé stessi e, infine, un’immagine di gioiosa e calda estate, quando tutti festeggiano e si divertono, finalmente all’aperto. Grazie KiN, mai azienda seppe raccontare meglio quello che tutti vorrebbero sentirsi raccontare.

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realizzare per alcuni dei suoi distillati un packaging che fosse l’estrema sintesi delle due cose, un concentrato di “russità” da consumare e conservare - chi oserebbe infatti buttar via una così deliziosa bottiglia? KiN ha quindi realizzato l’imballaggio della Vodka Matrioshka, una bottiglia di vetro con un grande tappo in plastica, perfettamente calzato, che ricrea la silhouette della bambolina. La Matrioshka è stampata in tre colori, come i tre gusti in cui viene proposta la bevanda: bottiglia gialla per la vodka al miele, rossa per quella al mirtillo e confezione azzurra per la classica. Ma KiN non è solo sinonimo di Vodka Matrioshka; per i consumatori russi questo nome è qualcosa di più di un semplice marchio di garanzia, rappresenta un atteggiamento particolare verso la produzione che combina applicazione e rispetto verso le migliori tradizioni della distilleria classica a una stretta osservanza delle moderne tecnologie. L’azienda, fondata a Mosca negli Anni Quaranta, era all’inizio una piccola ditta che

produceva succhi di frutta e sciroppi naturali, oggi conta più di 600 persone, tra cui 60 famiglie, e la produzione si è allargata ai brandy e ai distillati sia alcolici che analcolici, come il Baikal - bevanda ufficiale dei Giochi Olimpici di Mosca nel 1980 - creato dagli specialisti della KiN assieme al Russian Scientific Research Institute of Beer and Nonalcoholic beverages nei tardi anni Settanta e considerato tra i migliori in circolazione. Una delle peculiarità di KiN è che non si è mai limitata solo a produrre alcool; in base a una precisa politica aziendale infatti, ha continuamente incentivato i programmi di sostegno per lo “sviluppo della cultura del bere in Russia”, e ha interagito con settori limitrofi, come quello dei bar e della ristorazione, diffondendo e promuovendo l’uso di brandy e vodka nei cocktail e nell’alta gastronomia. Negli anni, l’azienda ha dato sempre più importanza al packaging come veicolo comunicativo, comprendendo che esso sarebbe stato il miglior mezzo per arrivare dritto al cuore del mercato estero perché, come ben si sa, dove non può la lingua arriva l’immagine. E così, oltre alla “Matrioshka”, altre bottiglie sono state realizzate per evocare i tradizionali luoghi comuni che riguardano questo paese, quelli a noi più cari che, dai grandi


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Russia in a Bottle

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Sonia Pedrazzini In 1999, KiN - one of the oldest distilleries in Moscow - had an ingenious idea: combine two of the most popular Russian symbols in one product: the Matrioshka and vodka. This has led to the creation of an original and curious bottle, a hybrid form of packaging, both folk and kitsch at one and the same time, but very, very effective, aboveall on the foreign markets of Europe, America and Asia, where the “Matrioska Vodka” has been a great success. The lead-up: After having seen most foreigners associate Russia with vodka (the national spirit) and the Matrioshka (the traditional toy doll) - not by chance the two terms are the same everywhere and cannot be translated - and seeing that the latter is the most popular souvenir among tourists, KIN had the idea of creating a packaging for some of its distilled products that combined these two elements, a concentrate of “Russianness” to be consumed and yet cherished - who in fact would dare to throw a way such a nice bottle? KiN hence created the packaging for Vodka Matrioshka, a glass bottle with a huge plastic Matrioska shaped top that suits it perfectly. The Matrioska is printed in three colours, in the same way as the vodka comes in three flavours: a yellow bottle for honey vodka, red for berry vodka and blue for the classic version. But KiN is not only a synonym for Matrioshka Vodka; for the Russian consumer this is something more than just a simple name offering a guarantee, standing for a particular approach to production that combines application and respect of the best traditions of classic distilling with a strict observance of modern technology. The company, founded in Moscow in the forties, at the beginning a small concern that produced natural fruit juices and cordials, today counts more than 600 employees, including 60 families, and their output has extended to include brandy, non-alcoholic as well as the traditional alcoholic distilled products, such as Baikai - the official beverage of the 1980 Moscow Olympic Games - created by KiN specialists along with the Russian Scientific Research Institute

of Beer and Nonalcoholic Beverages in the late seventies and considered among the best in circulation. One of the peculiarities of KiN is that it has never limited itself to only producing alcoholic beverages; on the basis of a precise company policy in fact, it has continuously incentivated the programs supporting the “development of the drinking culture in Russia”, and has interacted with neighbouring sectors, like those of bars and restaurants, spreading and promoting the use of brandy and vodka in haute cuisine. Over the years the company has attributed an ever growing importance to packaging as a communicative vehicle, understanding that it would be the best means of going straight to the heart of the foreign market because, as is well known, where language fails imagery wins through. And thus, as well as the “Matrioshka”; other bottles have been made to evoke the traditional clichés associated with Russia, those we love the most that, from the great literary classics to the spy stories, have always accompanied us. With the Katyusha and Vecherniy Arbat brands we can complete our ideal trip to Russia. The former, conceived to symbolize the characteristics of a country both rich and mysterious. features a seductive feminine figure. “Katyusha” is the Russian woman by definition, beautiful, sophisticated, gentle and passionate at the same time, the ideal woman for spending unforgettable moments together; and the label on the bottle couldn’t be more explicit: a young woman, blonde, naked, with boots and fur hat smilingly winks in our direction. More Romantic and linked to domestic intimacy are the images that appear on the bottle of the Vecherniy Arbat brand. Here the idea is that of giving vodka a celebratory yet at the same time warm and affectionate dimension. This concept has been used with the intent to promote the most traditional aspect of Russian culture, that which expresses the inner spirit of its inhabitants associated with the passing of the seasons; three labels for three moods: an autumn landscape, rich with colored leaves after a long rainy afternoon; a snowy village reminiscent of the winter cold where one huddles together at home and within oneself and, lastly a joyous image of hot summer, when everybody celebrates and has fun, out in the open at last. Thankyou KiN, never has the tale that everybody wishes to hear been told better by a company.



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The Great Indian Pie Sono tempi di grande eccitazione per il consumatore indiano: comprare cipolle e patate da Wal-Mart è più entusiasmante che prenderle dal fruttivendolo sotto casa. La rivoluzione indiana è nella grande distribuzione. Suresh Sethi spettacolari sviluppi. Wal-Mart, il maggiore retailer al mondo, ha fatto qualcosa che non era mai stato fatto prima: ha optato per il franchising e ha unito le proprie forze a quelle del gruppo Bharati. Altre major della grande distribuzione fanno la coda per offrire i propri prodotti a un paese che conta più di

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L’elefante si è risvegliato dal suo sonno profondo e si sta finalmente muovendo. In India è cominciata una grandissima rivoluzione: la crescita del settore dei servizi non mostra segni di rallentamento, l'industria va a gonfie vele, ma il vero business è nella grande distribuzione ed è qui che per il 2007 ci attendiamo

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un miliardo di consumatori, mentre la Reliance sta identificando ben 1600 nuovi centri commerciali da posizionare in tutta l'India e da aprirsi tra il 2007 e il 2010. Subhiksha Retail aggiungerà 180 negozi in otto città dello stato di Maharashtra; ha inoltre pianificato di iniziare la seconda fase della sua campagna di grande distribuzione con altri 400 negozi, per arrivare a quota 1000 entro la fine del 2007. I tradizionali protagonisti della FMCG (Fast Moving Consumer Goods) come Hindustan Lever, Dabur, etc. hanno ristrutturato i loro canali distributivi per soddisfare la crescente domanda. Questi sono tempi di grande eccitazione per il consumatore indiano: comprare cipolle e patate da Wal-Mart è davvero entusiasmante, anche solo perché questa sarà una vera sfida per i fruttivendoli e le drogherie “della porta accanto” che dovranno reinventarsi totalmente, augurandosi di prosperare nonostante la concorrenza internazionale. I designer indiani e gli studi di progettazione si stanno preparando ad affrontare il “boom” della distribuzione. Ashwini Deshpande, graphic designer e direttore di Elephant Design spiega: «In India, lavoriamo in uno scenario molto diverso da quello occidentale. Il commercio moderno non ha ancora trovato


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basi solide. I negozi comuni, i piccoli alimentari di quartiere che vendono un po’ di tutto, di solito sono poco illuminati e ammucchiano sugli scaffali ogni sorta di prodotto. Il packaging, secondo l'FMGC, è un punto critico che deve essere curato con la massima sensibilità per rispettare il carattere del marchio e la sua presenza sullo scaffale». Anthony Lopez Design, agenzia di packaging di New Delhi, deve il suo successo alla propria indole avventurosa e alla profonda convinzione che ogni pack, per sopravvivere, debba essere contemporaneo (n.d.r. segue intervista). Sudharshan Dheer, i cui imballaggi sono nei negozi indiani da più di trent'anni - dai prodotti per la casa “Kissan” ai nuovi centri commerciali “Foodland” - ne ha viste di tutti i colori. Per lui «il packaging deve essere pertinente agli obiettivi aziendali, essere adatto ai consumatori e riflettere i tempi in cui viviamo» e afferma anche che «un design che cattura la mente delle

persone induce dei comportamenti, un design che ne cattura il cuore guadagna fedeltà; il nostro design fa entrambe le cose». La guerra della grande distribuzione sta facendo aumentare il lavoro dei designer indiani. Purtroppo però la maggior parte dei loro progetti imita quelli dei paesi occidentali e il packaging manca di un’adeguata ricerca che evidenzi l'ethos indiano.

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Il design Made in India deve creare ex novo i propri modelli e trarre ispirazione dalle proprie radici culturali. La dottoressa Kapila Vatsyayan (direttrice e ideatrice del Centro Nazionale per le Arti Indira Gandhi di Nuova Delhi) afferma che «l’arte in India non esula mai dagli altri aspetti della vita. L’estetica emerge da una visione del mondo condivisa, che accetta la diversità della forma. La forma era guidata da confini


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culturali che cambiavano a seconda dei periodi, delle regioni, degli stili di vita, dei motivi, ma tutti, individualmente e nel loro insieme, erano espressione del livello micro e macro, esperienze di equilibrio, proporzione, armonia e concordia. L’interdipendenza tra testo e immagine del mito e della metafora è intrinseco nel processo creativo. L’arte indiana era una composizione di molteplici forme che affluivano da un centro e poi vi confluivano... Gli ornamenti e le decorazioni, che rappresentino figure reali o astratte, giocavano un loro ruolo; ogni unità, intrecciata e concatenata, era parte di un insieme. Nella sua totalità rappresentava il paradiso in terra. Il contenuto, un particolare motivo, lo stile, i costumi e la pettinatura, tutto


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Suresh Sethi, Industrial designer, docente e visiting professor nei maggiori istituti di design in India. Dal 2005 è professore associato di arte, design e media alla Nanyang Technological University di Singapore.

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rappresentava simbolicamente il desiderio, il piacere, la prosperità, la conoscenza, il potere, il dovere e l’atteggiamento... Il tempo era ciclico, l’inizio era la fine, e insieme anche l’inizio». Questa dinamica della creazione che passa attraverso la distruzione è ancora parte del nostro cibo, della moda, delle festività - ma non è visibile nel packaging moderno. Per i matrimoni in India si spendono milioni per comprare beni di lusso senza marchio. Queste merci continuano ancora la tradizione di trasferire la nozione dell’equilibrio ecologico nel ritmo ricorrente delle stagioni, della vita, concrete manifestazioni sia del sensuale che dello spirituale. Comunque, secondo le stime, il mercato dei beni di lusso avrà un boom nel 2007. Molti marchi importanti come Hugo Boss, Burberry, Cartier, Chanel, Louis Vuitton e Tommy Hilfiger hanno già aperto in India i loro negozi e Giorgio Armani inaugurerà a New Delhi e Mumbai nel 2008. Per il packaging dei prodotti di marca ci saranno molte opportunità nei prossimi tre anni e questo è il momento per i nostri designer. L’identità pluralista indiana celebra la diversità ed è questa dinamica stratificata che offre un’opportunità in più al packaging nel settore della grande distribuzione. La tradizionale adattabilità indiana e la capacità di interagire con differenti culture aspetto che si è espresso in molteplici ed articolate espressioni nel passato - offre anche in questo periodo così entusiasmante, prospettive di grande interesse.


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The Great Indian Pie These are times of great excitement for the Indian consumer: buying onions and potatoes from Wal-Mart is more exciting than getting them from the greengrocer near home.The Indian revolution is in large-scale distribution

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Suresh Sethi The elephant has stirred from its slumber and is finally moving ahead. There is a major revolution that has begun in India. The growth in the service sector shows no sign of slowing down, manufacturing is looking good, but the buzz is in retail. This is the area where we can expect to see some spectacular development in 2007. Wal-Mart, the world’s largest retailer, has done something it has never done before and opted for a franchise deal joining hands with the Bharati group. Other global retail majors are queuing up to offer their products to a country of billion plus consumers. On the other hand one has Reliance Retail, which is in the process of identifying 1,600 odd rural hubs throughout India, which it proposes to set up from 2007 to 2010. Subhiksha Retail is going to add about 180 stores in eight cities in Maharashtra state. It plans to begin phase two of its retail foray with another 400 stores to finally reach the 1,000 stores mark in 10 states by the end of 2007. Traditional FMCG (Fast moving consumer goods) players like Hindustan Lever; Dabur etc. have restructured their distribution channels to cater to increased consumer demands. For the Indian consumer it is an exhilarating time. To be able to buy onions and potatoes from Wal-Mart is incredibly exciting, just as it poses a challenge to the neighbour-hood grocery store which is already reinventing itself and I believe will prosper despite international competition. Indian designers and design houses are readying themselves with this retail boom. «We work in a very different retail scenario. Modern trade is not the norm in India. General

trade or neighborhood grocery stores that retail most of the products are usually very poorly lit, and shelf spaces are packed with all kinds of products. So packaging for FMCG products is a critical issue that needs to be done with utmost sensitivity to the needs of brand character and shelf presence» says Ashwini Deshpande graphic designer and director of Elephant Design. The success of Anthony Lopez Design, New Delhi, in packaging stems from his adventurous attitude and belief that for any packaging to survive it needs to be contemporary (interview follows). Sudharshan Dheer, whose packaging designs have been in Indian retail stores for more than thirty years, from the household “Kissan” brand products to the new mall “Foodland”, has seen it all. For him «packaging has to be relevant to corporate goals, to the consumers and the times». He claims «a design that captures people’s mind instigates behavior, a design that captures people’s hearts gains commitment, our design does both». The retail war is creating lots of work for Indian designers; unfortunately most of these designs imitate the products that come from western countries. Indian packaging design is lacking in attempts to delve down and create visibly Indian ethos. Design India inc. has to create its own models taking the spirit from our cultural roots. Dr. Kapila Vatsyayan (head and creator of the New Delhi Indira Gandhi Arts Centre) states «Art in India was never dissociated from other aspects of life. The Aesthetics emerged from a shared worldview with the acceptance of diversity of form. The form was guided by cultural boundaries of periods, regions, lifestyles, motifs, but all individually and together was an expression at the micro and macro level, the experiences of balance, proportion, harmony and concord. The interdependence of text and image, of the myth and the metaphor is intrinsic in the creative process. Indian art was an orchestration of multiple forms flowing out of and flowing into a centre... The ornamentation and the decoration, representational or abstract, play their role, each unit is a part of a whole, interwoven and


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interlocked. In totality it represents heaven on earth. The content, the particular motif, the style, the costumes and coiffure, all symbolically represented desire, pleasure, prosperity, knowledge, power, duty and conduct... Time was cyclic, and the beginning was the end and the beginningÂť. This dynamics of creation through destruction are still so very part of our food, fashion and festivities is not visible in our modern packaging. During an Indian wedding millions are spent buying unbranded luxury goods. And these goods still continue the tradition of transforming the notion of ecological balances into the recurrent rhythm of the season, of life, concrete manifestations of both sensuous and spiritual. At any rate, according to estimates, the luxury goods market in India will boom in 2007, high end luxury brands like Hugo Boss, Burberry,

Cartier, Channel, Louis Vuitton and Tommy Hilfiger have already opened, Giorgio Armani plans to open stores in New Delhi and Mumbai by 2008. There will be a lot of opportunities in the immediate one-to-three years in packaging for branded products and this is the moment for Indian designers. Indian pluralist identity celebrates diversity and it is this dynamic layering that poses opportunity for retail sector packaging design, the Indian tradition of accommodating and integrating different cultures, which has found many articulate expressions in the past, offers some insights that are relevant even in these exciting times. Suresh Sethi, Industrial designer, visiting professor in the major Indian design institutes. Since 2005 he has been Associate Professor at the School of Art, Design and Media at the Nanyang Technological University of Singapore.

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Un J’accuse dall’India Tra le fila dei nuovi artisti indiani si alza un grido di accusa contro le guerre tra popoli che appartengono a una stessa etnia e che, per motivi apparentemente inspiegabili, si scoprono nemici. Giada Tinelli


Già conosciuta a livello internazionale per i progetti artistici sul web, Shilpa Gupta vive il suo essere artista con una precisa missione: avvicinare il largo pubblico all'arte contemporanea, portandolo a riflettere sui paradossi della società nel contesto indiano. Diplomata alla School of Fine Art di Mumbai, dove tutt’ora vive e lavora, Gupta ha inizialmente realizzato opere legate ai nuovi media e alle tecnologie; tra i suoi lavori più importanti Blessed-bandwith.net, commissionato dalla Tate Modern nel 2003. Il visitatore del sito può ricevere la benedizione online scegliendo la religione e il tempio che preferisce,

con la possibilità di stampare il certificato; nel suo lungo pellegrinaggio, Gupta ha visitato i luoghi sacri delle principali tradizioni religiose indiane e ha realizzato dei video sulla sua richiesta di ricevere la benedizione dai sacerdoti di diverse confessioni. In una terra che nei secoli ha assistito alla nascita e alla coesistenza pacifica di un indefinito numero di fedi e religioni, l’opera della Gupta invita a cercare le similitudini che esistono tra le religioni tralasciando le divergenze che troppo spesso sfociano in assurdi fondamentalismi. Per la Biennale de l’Havana 20052006 l’artista ha proposto There is no

There is No Border Here, 2005-2006, installazione


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Blame, 2003, installazione interattiva e performance


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Your Kidney Supermarket, 2003-2004 Video, installazione interattiva e sito internet

border here, in cui un lungo nastro adesivo giallo con la scritta “NO BORDER HERE” divideva paradossalmente uno spazio aperto. Nel manifesto di quest’opera realizzato con lo stesso nastro adesivo incollato su un muro - l’artista propone di dividere il cielo a metà e di creare dei confini come sulla terra, beffeggiando l’ancestrale comportamento umano di voler dividere e tracciare “arbitrariamente” linee e confini - come nel caso della guerra del Kargil - perché solo ciò che può essere diviso diviene oggetto di possesso. Con Kidney Supermarket (20022003), l’artista ha iniziato a utilizzare simulazioni di parti del corpo accuratamente impacchettate e messe in mostra in vetrina; in un finto negozio i reni erano imbustati e messi in vendita, accompagnati da paradossali istruzioni per l’uso e con la possibilità di scegliere la taglia, il

colore, la razza e la condizione sociale del donatore: “Perfettamente funzionante per filtrare 25 galloni di sangue al giorno e produrre urina; è acquistabile anche online”. Non si tratta solo di una critica al consumismo, di una mera accusa alle regole del libero mercato che permettono al consumatore facoltoso a poter disporre di qualsiasi cosa desideri. È piuttosto una denuncia dell’assurdità della compravendita di organi umani: la persona, privata della sua “umanità”, cade nella spirale di essere allo stesso tempo prodotto e consumatore. Anche con Blame (2002-2004), presentato in Italia lo scorso settembre nella mostra Subcontingent alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, Gupta punta il dito contro coloro che hanno fomentato gli odi e le divergenze tra il popolo indiano e pakistano, tensioni sfociate nella


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guerra del Kargil del 1999; anche se questo conflitto non trova più spazio nei nostri telegiornali, la frattura è sempre più profonda e l’artista vuole far riflettere su quanto piccole e conciliabili siano le differenze in confronto alle profonde radici storiche e culturali che accomunano i due paesi.

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Perché scegli forme che richiamano gli oggetti di consumo (le bottiglie rosse, le etichette con la scritta Blame, gli scaffali, le t-shirt, ecc. ) per comunicare le tue idee? Nel 2003 c’è stato il genocidio di Gujarat in India: un gran numero di persone innocenti della minoranza musulmana sono state brutalmente uccise, e molte donne sono state violentate. Si è trattato di un cannibalismo pianificato e perpetrato fino in fondo, e la gente ha permesso

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Quali erano i tuoi intenti con Blame Project? Blame Project [progetto di accusa, ndr] è iniziato nel 2002 come parte di Aar Paar, un progetto di arte pubblica in cui il poster Blame era stato pensato per essere affisso pubblicamente in India e in Pakistan. Denuncia l’acuirsi del conflitto tra India e Pakistan, in cui l’odio è diventato tanto popolare e manifesto da essere diffuso con agghiacciante orgoglio attraverso i media indiani con il nuovo marchio di “Guerra del Kargil”. Persone che condividono la

storia, la lingua, il cibo, le aspirazioni, i sogni, sono istigate a odiarsi attraverso confini invisibili. I poster Blame, in urdu e inglese, assomigliano alla pubblicità di un nuovo prodotto in una bottiglia rossa che riporta la scritta: «Accusarti mi fa sentire così bene - quindi ti accuso per ciò che non puoi controllare della tua religione e della tua nazionalità voglio accusarti - mi fa stare bene».


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che tutto ciò accadesse. Nel 2003, Blame è stato rivisitato ed è stato realizzato il packaging di piccole bottiglie rosse che contenevano un (finto) liquido rossosangue. Le “Istruzioni per l’uso” erano: spruzzare una piccola quantità su una superficie asciutta. Dividere ordinatamente in quattro parti uguali (ma anche diseguali). Distinguere le parti a seconda della razza e della religione. Separare il sangue a seconda della razza e della religione. Blame è stato distribuito (in quel caso in hindi e inglese) per la prima volta tra le panchine di un giardino pubblico e successivamente è diventato un progetto per i treni locali in cui l’artista doveva viaggiare talvolta accompagnata da un finto venditore - con una grande scatola rossa piena di bottiglie Blame e venderle ai pendolari. Anche in altri lavori hai utilizzato i segni della cultura pop (per esempio nell’opera No borders here); perché? Perché sono interessata al ruolo della pratica delle arti nel mondo d’oggi. Una delle ragioni per cui uso questi oggetti è che vorrei creare opere destinate a una grande audience, non solo per un’élite; inoltre, la scelta di usare codici visivi e interfacce famigliari al pubblico è per far sentire le persone a proprio agio, per entrare nell’opera senza esserne intimiditi. Il fatto che il linguaggio visivo sia più famigliare a un’audience generica deriva dalla pubblicità che è più facile da decodificare e con la quale è più semplice relazionarsi rispetto a un linguaggio che richiede la conoscenza della storia dell’arte, alla quale purtroppo non molte persone hanno accesso.

Come vedi la scena artistica nel contesto della società indiana? Quanto si sta espandendo il consumismo in India? Gli anni novanta hanno assistito ad uno sviluppo economico dal ritmo frenetico - è il periodo che mi ha visto crescere in cui, tra satelliti, tv e cavi per l’alta velocità, le distanze tra località, un tempo lontanissime, sono quasi scomparse, generando diverse fratture sociali e perpetuando i gap esistenti. Il consumismo è alle stelle come mai prima d’ora. Il consumatore può scegliere tra una gran varietà di marche e oggetti, ha più canali TV da vedere. Una tale competizione ha portato allo sgretolamento dei modelli che ci indicavano cosa dovremmo comprare, mangiare e bere. E intanto negli ultimi anni tutte le principali star cinematografiche indiane sono diventate testimonial pubblicitari. Così il consumatore è portato a pensare di essere il centro del mondo, il che è un’idea virtuale e spesso inaccessibile, dato che le possibilità economiche non sono poi così grandi per tutti. Anche la scena artistica è diventata una corsa all’investimento, il che è stato un bene per alcuni artisti che sono diventati milionari nell’arco di un anno, ma permane un’ansietà di fondo su quanto potrà durare questa bolla. Per il momento è un bene: ci sono molte gallerie e tanti lavori da vedere. È anche una sfida per la critica d’arte che, adesso più che mai, deve far sentire la sua voce. Per finire: che “consumatrice” sei? Mmh... sono una consumatrice cauta. È difficile farmi comprare qualcosa di cui non ho strettamente bisogno.

Giada Tinelli si occupa di arte giovane e di nipponistica.

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Blame, 2003, installazione interattiva e performance


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A J’accuse from India A cry is going up from among the ranks of Indian artists against the war between peoples that belong to the same ethnic group and that, for apparently inexplicable reasons, discover they are enemies. Giada Tinelli

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What was your purpose behind the Blame Project? The Blame Project first started in 2002 as part of Aar Paar, a public art project in which the Blame poster was devised for pasting on the wall on streets in India and Pakistan. It denounces the exacerbation of the conflict between India and Pakistan, so much so, that hate became popular enough to be proudly manifested in an ugly manner across Indian media via a new brand, the “Kargil War”. People with shared history, language, food, aspirations and dreams instigated to hate across invisible boundaries. In Urdu and English, the Blame poster looked like an advertisement of a new product in a red bottle bearing the wording «Blaming you makes me feel so good, so i blame you for what you cannot

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Already known at international level for her art projects on the web, Shilpa Gupta lives out her being an artist imbued with a mission: bring the general public closer to contemporary art, leading them to reflect on the paradoxes of society in the Indian context. With a diploma from the School of Fine Art of Mumbai, city where she still lives and works, Gupta initially created work associated with the new media and technologies; among her most important works there is Blessed-bandwith.net, commissioned by the Tate Modern in 2003. Site visitors can request an online blessing, choosing the religion and place of worship and receive a printed certificate before signing off; in her long pilgrimage, Gupta has visited the holy places of the principle Indian religious traditions and has made a video on her requests for receiving blessings from priests of the different confessions. In a land that over the centuries has witnessed the birth and pacific coexistence of an indefinite number of faiths and religions, Gupta’s work invites one to seek the similarities that exist between the religions, overlooking the differences that all too often lead to absurd fundamentalisms. For the Havana Biennial Exhibition 2005-2006 the artist proposed There is no Border Here, in which a long strip of yellow adhesive tape with the writing “NO BORDER HERE” paradoxically separated an open space. In the manifesto of this work - made using the same adhesive tape stuck to a wall - the artist offers to split the sky in half and create borders as on earth, mocking the ancestral human urge of “arbitrarily” wishing to divide and trace out borderlines - as in the case of the Kargil war - because only something that can be divided up becomes the object of possession.

With Kidney Supermarket (2002-2003), the artist began to use simulations of parts of the human body carefully packed and placed on show in a sort of shop window; in a fake shop the kidneys were bagged and put on sale, accompanied by paradoxical user instruction and with the possibility of choosing the size, color, the race and social condition of the donor: “Perfectly functioning for filtering 25 gallons of blood a day and produce urine; “it can also be purchased online”. It is not only a critique of consumerism, a mere accusation levelled at the rules of the free market that allow the wealthy consumer to get hold of anything he or she wants. Rather it denounces the absurdity of the trade of human organs: the person, deprived of “his/her humanity, falls into the spiral of being product and consumer at one and the same time. Even with Blame (2002-2004), presented in Italy last September in the show Subcontingent at the Sandretto Re Rebaudengo Foundation, Turin, Gupta points her finger at those that have fomented hatred and differences between Indians and the Pakistanis, tension that led to the outbreak of the Kargil war in 1999; even if this conflict no longer finds space in our TV news programs, the rift is widening. The artist wishes to make people reflect on how small and reconcilable the differences are seen against the deep historical and cultural roots shared by the two countries.


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control: your religion your nationality. I want to blame you. It makes me feel good». Why did you choose the commodity-shape (the little red bottle, the label with Blame written on it, the shelves, the t-shirt, etc.) to communicate your idea? In 2003 the Gujarat genocide took place within India where a number of innocent people from the Muslim minority were brutally killed and number of women raped. A planned and harvested cannibalism where people allowed it to be so. In 2003 Blame was revisited and conveniently packaged in tiny red bottles which contain red liquid - blood (simulated). The instructions for use were “Squeeze small quantity on dry surface. Neatly separate into four equal sections (these can be unequal too)”. Tell sections apart according to race and religion. Separate blood according to race and religion First Blame was offered (this time in Hindi and English) across the counter in a public gallery and later grew to becoming a project on the local trains on which the artist would travel sometimes along with a mock buyer - with a big red box filled with Blame bottles and offer them for sale to the commuters.

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You have also used pop culture symbolism in other works of yours (for example in your No Borders Here work); why? Because I am interested in the role and meaning of art practice today. Part of what makes what I do valid for me, is that it is for a larger audience rather than just for the elite, and hence the choice of using visual codes and interfaces that this audience is familiar with and will be able to feel at ease with, to allow them to get involved with the work without being intimidated by it. And the visual language most familiar to a general audience derives from advertising, that is easier

to decode and relate to rather than a language which requires a reading/familiarity with art history, which unfortunately not many people have access to. How do you see the artistic scene in the context of Indian society? and how much is consumerism in expansion in Indian society today? The nineties - the period I grew up in - witnessed high speed globalisation where distances between what were hitherto considered far off lands collapsed in an instant, zeroed by satellite TV and high speed cable networks, generating numerous social ruptures, widening existing rifts. Consumerism is at an all-time high. People now have more choice as to what to buy now and what channels to watch than ever before. With so much competition, regular models no longer suffice to tell us what we should buy, eat and drink. Over the past few years the top Indian film stars have become advertising testimonials. Thus the consumer is led to believe he/she is the centre of the world, which is a virtual and often inaccessible idea, given that most peoples’ pockets are not that deep. The rush to invest has also involved the art scene, which has been a good thing for some artists who have become millionaires in the space of a year. But there is an underlying anxiety as to how long this bubble will last. Things are great for the time being, there are lots of galleries and lots of works on show. It is also a challenging moment for art criticism that has to hold its own like never before. What kind of "consumer" are you? Mmh... I’m a careful consumer. It is difficult to get me to buy anything I don’t really need. Giada Tinelli covers young and Japanese art



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Un designer e la sua disamina socio-culturale per capire, oggi, che senso ha il packaging in India. Sonia Pedrazzini

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Il subcontinente indiano non è più, ormai, solo un luogo dove dislocare le produzioni pensate e disegnate in Occidente. Anche qui si crea e si elaborano progetti. Gli studi di design sono una realtà vasta, poliedrica e non di facile comprensione per noi occidentali; tra tanti, l’agenzia Desmania spicca per capacità creativa e forte personalità - non a caso ha vinto il Businessworld-NID Design Excellence Award 2005 con tre menzioni: Best Design Company of the Year, Best Design in Retail Packaging e Best Design in Home Appliances. Nata nel 1992 e con base a New Delhi e Mumbay, Desmania si occupa di vari ambiti, dall’industrial design alla comunicazione visiva, dal CAD design ai progetti più concettuali ma, come racconta il direttore e titolare Anuj Prasad, l’agenzia è ormai specializzata nel packaging design. Desmania vanta clienti del calibro di Whirlpool, Reckitt Benckiser, Yamaha, OTIS, Hero Cycles, solo per citarne alcuni. Una sua divisione (Desmania Apparel) si occupa di moda e tessile e ha creato, al suo interno, il marchio di abbigliamento femminile No-Fuss. Dal 2006 Desmania si occupa anche di design di automobili (la prima è stata presentata all’Autoexpo 2006) e, nel 2005, ha partecipato per la seconda volta a India Converting Show di Chennai, una conferenza internazionale sulla stampa e sulla produzione del packaging.


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Come dovrebbe essere il packaging per avere successo nel mercato asiatico e indiano? Su entrambi questi mercati il successo del packaging dipende in larga misura dall’abilità del designer di capire e saper valutare le percezioni che ne avranno i consumatori. La sensibilità per lo “styling” è fortemente radicata nel mercato asiatico. La sfida è quella di saperlo tradurre in un’entità visiva che abbia un legame tra il fascino orientale e quello occidentale. Asia e India sono culturalmente molto ricche, le tradizioni e i valori sono ancora predominanti nelle nostre attività quotidiane. Per esempio, in India odiamo buttar via gli oggetti e cerchiamo in ogni modo di riutilizzarli improvvisando. All’interno della società indiana esistono livelli sociali diversi (che prendono il nome di SEC - Socio Economic Class) suddivisi per guadagno, possibilità economiche e status sociale. I SEC compiono scelte differenti e hanno differenti poteri di acquisto. Prima di prendere decisioni sul tipo di packaging da adottare bisogna comprendere a fondo questo sistema e calarsi all’interno degli aspetti comportamentali dei SEC. Altro fattore da tenere in

considerazione nel mercato indiano e asiatico è il punto vendita. A differenza dell’Occidente, in India il 90% delle vendite avviene nei “kirana”, i piccoli negozietti tradizionali che sono del tutto diversi dalla vendita organizzata occidentale. È un sistema tipico dei paesi asiatici e indiani; c’è un legame forte e sotterraneo fra il cliente e il negoziante, e gli acquisti si basano sulle raccomandazioni di quest’ultimo. Il mercato in India ha un carattere tutto suo e bisogna conoscerlo a fondo per decidere i criteri del packaging. La sensibilità di certe classi al prezzo del prodotto influisce sullo sviluppo del packaging, che può essere determinato, tutto o in gran parte, dal costo. Qual è la differenza culturale tra il packaging tradizionale e quello contemporaneo in India? Il packaging tradizionale si basa fondamentalmente sui materiali naturali. L’India è per antonomasia il paese del riciclo e la “natura” è parte integrante delle sue radici culturali. Come qualsiasi altra società antica, l’uso di prodotti naturali fa parte della tradizione. La maggior parte degli oggetti tradizionali vengono confezionati seguendo gli antichi costumi, con un affinamento e un abbellimento dell’estetica. Per citare alcuni esempi, i dolci tradizionali venduti sul ciglio della strada vengono ancora impacchettati nei “dona” o ”pattal” - un contenitore conico fatto di foglie. I dolci venduti nei negozi più moderni sono invece confezionati in scatolette di cartone decorate con particolari motivi etnici. Gli oggetti


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Come può il packaging infondere nel consumatore il desiderio di possedere il prodotto? Quando c’è una gran varietà di prodotti sullo scaffale, tutti a disposizione del consumatore, è il packaging che influenza il subconscio del cliente che si appresta all’acquisto. Le nuove tipologie di punto vendita incoraggiano l’impulso a comprare, mentre la fedeltà al marchio passa in secondo piano. Tuttavia, solo di recente l’industria ha riconosciuto che un look forte e innovativo è il primo motore che spinge il consumatore a comprare. Per ottenere il plusvalore basta operare piccole modifiche allo stesso costo o, aumentando leggermente il prezzo, far accrescere il valore percepito. L’impulso a comprare è spesso basato sul primo appeal: in questi

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preziosi e i gioielli vengono confezionati in borsine di velluto (thailis). Nei paesi di campagna i negozianti usano ancora i giornali riciclati per impacchettare le merci. Direi che ogni prodotto considerato tradizionale viene ancora confezionato in modo tradizionale. Allo stesso tempo quei prodotti speciali o tipici dell’India sono anche impacchettati con uno stile tradizionale perché si riconosca a colpo d’occhio da dove provengono. Anche la diversità dei materiali regionali influenza il packaging design. Ma nell’epoca moderna, con l’influenza dell’occidente e della tv, il problema del packaging si sta spostando sui materiali che possono essere prodotti su vasta scala. L’avvento della plastica, con le sue possibilità estetiche ed economiche, ha portato a questa trasformazione. Nella nostra era, le aspirazioni crescono in modo esponenziale e lo stesso accade per il potere di acquisto. La classe media continua a espandersi e, cavalcando l’onda della globalizzazione, l’India urbana vorrebbe scimmiottare l’Occidente. La nuova generazione è più ricca e si lascia attrarre dal prodotto per il packaging che lo riveste. Improvvisamente ci siamo accorti che ogni prodotto, in particolare gli FMCG (Fast Moving Consumer Goods), vengono venduti proprio per il loro packaging attraente e innovativo. Quindi il packaging contemporaneo è più globale. Tutti i tipi di materiali vengono usati a prescindere dalle loro possibilità di essere riciclati. Inoltre, nel packaging contemporaneo, l’estetica è fortemente influenzata dal gusto/gradimento occidentale. Penso che questo sia qualcosa di più di un semplice fenomeno di globalizzazione rampante.


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casi il cliente appartiene a una classe abbiente e non si preoccupa di spendere qualcosa di più per soddisfare le proprie emozioni. Esiste però anche un vasto gruppo di persone che fa acquisti intelligenti e prende decisioni in base al rapporto qualità-prezzo. Infine bisogna considerare il tipo di prodotto che si sta acquistando: per la spesa di tutti i giorni il valore economico ha la precedenza sul primo impulso. Per i prodotti più particolari è invece il contrario: in questo caso l’"attrazione fatale" ha un ruolo predominante - è il desiderio di possesso che viene stimolato.

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Come descriveresti lo stile Desmania? Penso che negli ultimi anni abbiamo sviluppato uno stile che può essere definito una delicata mescolanza di tradizioni e valori indiani con gli ingredienti giusti del design contemporaneo. Ogni progetto di packaging è ideato sulla base delle sue esigenze sociali e commerciali. In India lavoriamo soprattutto su progetti per il mercato di massa, dove il costo sta alla base del progetto ed è di primaria importanza; non lavoriamo ancora su prodotti alto di gamma. Desmania è conosciuta per la sua capacità di capire le esigenze del consumatore, che è fondamentale per ogni concept; accettando il limite dettato da costi e materiali, facciamo del nostro meglio per fare

innovazione. Siamo apprezzati dall’industria proprio per questa abilità. Poniamo molta enfasi al design minimal: non intendiamo con questo proporre un design minimalistico, inteso come ridotto uso di elementi grafici e formali. Vogliamo piuttosto utilizzare il materiale in modo ottimale per offrire costi vantaggiosi e di conseguenza essere coerenti con la nostra sensibilità ecologica. Siamo conosciuti proprio per questa nostra tendenza all’innovazione pur rispettando i limiti dettati dall’industria. Desmania è versatile nel mescolare materiali diversi, facendone un intrinseco elemento di design. Misuriamo il successo anche dal grado di soddisfazione dell’intera catena produttiva, ma sarà definitivamente raggiunto e completo quando creeremo imballaggi che la gente non vorrà buttar via. Cosa puoi dire del vostro nuovo brand Echo? Echo parla di ambiente e di noi, esseri umani, in relazione ad esso; con questa linea vorremmo che tutti capissero, apprezzassero e prestassero attenzione al mondo circostante. Come già detto, siamo profondamente legati alle tecniche artigianali antiche; si tratta di abilità e competenze di cui è imbevuta tutta la nostre società e siamo consapevoli dell’enorme disparità tra le classi socioeconomiche (gran parte della popolazione del paese è povera); ci rendiamo conto inoltre che, ultimamente, stiamo accantonando le tradizioni più genuine e stiamo diventando insensibili verso l’ambiente. Ciò nonostante il nostro stile di vita rimane “verde” e detestiamo sbarazzarci degli oggetti. Come designer dotati di sensibilità, abbiamo pensato di intrecciare tutto


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questo in un unico filo. Così è nato il brand Echo. Il concept fondamentale è creare oggetti con un design di eccellenza che sia un piacere avere e usare. Questi prodotti saranno davvero “verdi”, fatti solo di materiali naturali, non prodotti industrialmente ma realizzati da “gruppi di auto-aiuto” composti da uomini e donne meno abbienti. Le decorazioni esprimeranno consapevolezza sui problemi dell’ambiente. Indubbiamente l’India è uno dei paesi “più verdi” per il suo stile di vita, quindi non sarebbe appropriato affermare che l’”ecologico” stia emergendo solo ora. È intrinseco nella nostra cultura. Piuttosto si dovrebbe riuscire a fermare l’eccessiva produzione di rifiuti, a riacquistare le antiche pratiche in modo scientifico, utilizzando le nuove tecnologie. L’India è un luogo privilegiato per imparare l’uso dei materiali naturali. Seppure in ritardo, i materiali moderni, le potenzialità offerte della produzione di massa e un elevato potere di acquisto stanno avendo un impatto negativo sulle abitudini delle nuove generazioni.

Che differenze ci sono tra un packaging creato da un designer orientale e da uno occidentale? La sensibilità del design è molto diversa in queste due macroaree, e ognuna è dettata dall’influenza della propria tradizione. Il design orientale utilizza sempre degli “extra” decorativi, mentre un occidentale apprezza maggiormente il minimalismo. Un designer orientale è anche influenzato da forti legami culturali. Inoltre, si scontra con grossi vincoli, come i costi e materiali. Invece un designer occidentale può avere la fortuna di avere carta bianca sotto questo aspetto. Il design orientale sta ancora evolvendo ed emergendo in senso moderno. È possibile immaginare un grande futuro per il design orientale, che potrà avere una grande influenza anche su quello occidente. India e Cina condurranno questa nuova ondata da oriente. Vorrei anche aggiungere che nelle moderne scuole di design c’è stata una grande influenza del design occidentale e siamo ancora molto ispirati (e intimiditi) dal design italiano e europeo. Dobbiamo guardare avanti e vedere quanto sarà “sincero” il design negli anni a venire.


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Desmania Packmania A designer and his socio-cultural examination to understand what packaging signifies in India today. Sonia Pedrazzini

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The Indian subcontinent is now no longer merely a place to delocate production thought-up and designed in the West. Here too projects are created and worked up. Indian design studios are vast, multifaceted concerns not easily understandable to westerners; among the many agencies Desmania stands out for its creative capacity and strong personality - not by chance it won the Businessworld-NID Design Excellence Award 2005 with three mentions: Best Design Company of the Year, Best Design in Retail Packaging and Best Design in Home Appliances. Set up in 1992 with bases in New Delhi and Mumbay, Desmania covers various fields, from industrial design to visual communication, from CAD design to the most conceptual projects - but as the owner and director Anuj Prasad told us, the company is now specialized in packaging design. Desmania can boast clients the calibre of Whirlpool, Reckitt Benckiser, Yamaha, OTIS, Hero Cycles to cite but some. A division of the company (Desmania Apparel) deals with fashion and textiles and has created its own women’s clothing brand No-Fuss. As of 2006 Desmania also deals with automobile design (the first being presented at Autoexpo 2006) and, in 2005, it took part for the second time at the Chennai, India Converting Show, an international conference on print and packaging production. What makes for successful packaging on the Asian and Indian market? The success of packaging depends largely on understanding and appreciating the key consumer perceptions in both these markets. Style sensitivity is very culturally based in the Asian market. The challenge is to translate the same into a visual entity that is a blend of oriental and western appeal. Asia and India are both culturally very rich and the traditions and values are still paramount in our routine activities. For instance, in India we hate

to throw things away, we always try and re-use or improvise. Indian society is categorised in SECs (Socio Economic Class) according to income, spending power and social status. Each SEC has different choice and purchasing affordability patterns. One needs to understand these bye closely examining the behavioural aspects of individual groupings before deciding on any packaging type. One should also consider the Indian and Asian market salespoints. As much as 90% of sales in India are still made via the small ‘kirana’ retail stores, a situation that is unique to India and the Asian countries and totally different from the organized retailing in the West. A strong underlying bond exists between the shop owner and the customer and many purchases are based on the retailers recommendation. The Indian market is totally unique and a deep understanding of the same needs to be acquired before defining packaging criteria. Development and design of packaging is influenced by the price sensitivity of certain SECs, and can be partially or wholly determined by cost. Is there a distinct cultural difference between traditional and contemporary packaging design in India? Traditional packaging in India is fundamentally based on natural materials. By its very tradition India is a recycling country and nature is an integral part of its cultural roots. Like any other ancient culture, use of natural materials is an integral part of the same. Most traditional products are packaged as they have always been in an attractive and refined way. To cite a few examples, traditional sweets sold at roadside stalls are still packaged in “dona” or ”pattal” - a conical container made out of leaves. In the more up-market sweetshops however sweets are sold in cartons. These are specially decorated with the ethnic motifs. Jewellery is still packed in velvet bags (thailis). In the smaller towns shopkeepers still wrap purchases in old pieces of newspaper. It would be fair to say that any product or consumable that is rated as traditional is still packaged traditionally. At the same time typical Indian products are also packed traditional style to make them recognizable as such.


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new more affluent generations are attracted by the product’s packaging. The important part played by attractive, innovatory packaging in the success of products especially FMCGs (Fast Moving Consumer Goods) has been realised. Hence contemporary packaging has become evermore global. All kinds of materials are used, irrespective of their recyclability. Successful modern packaging inevitably has a western design appeal. I think this goes beyond a simple phenomenon of rampant globalization.

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The difference in regional materials also influences packaging design. However in the modern era, due to western influence and the TV, packaging has shifted to materials that can be mass produced, attributable to the advent of plastics and the appeal and convenience of use that the same offers. In the modern era peoples aspirations have skyrocketed along with overall purchasing power. The middle class is continuing to expand, and now firmly astride the great globalization wave, urban India is doing its utmost to ape western habits. The

How can packaging trigger a desire in the consumer to possess the product? When there are a great variety of products on the shelf, all readily available to the consumer, it is the packaging that subconsciously influences the customer’s purchasing decision. Modern retail formats encourage impulse buying and brand loyalty takes a back seat. All the same only recently has Asian industry recognized that a strong and innovatory appearance are prime movers in triggering a purchasing decision. Value can be added by slight increases in cost or by increasing the perceived value by slightly upping the price. The impulse to purchase is often triggered straight out by appeal: here an affluent person does not mind spending more for emotional satisfaction. However a vast group of people exist that make intelligent purchases that are made on the basis of the quality-price ratio. This also depends on the type of product being purchased: for groceries and daily consumables the value proposition takes a precedence over impulse. For the more special personal products it works the other way around: here “fatal attraction” predominates - the desire to possess is stimulated. How would you describe the Desmania style? I think that over the years we have developed a style which is a fine blend of Indian values and traditions with appropriate ingredients of contemporary design. Each packaging project is conceived on the basis of its social and commercial requirements. In India, we aboveall work on packaging projects for the mass market where cost is of primary concern and is at the basis of the project. We still do not work on high-end products. Desmania is known for its deep consumer insight, which is fundamental in defining


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any concept; within the given constraints of cost and materials we do our very best to innovate. This is what industry appreciates us for. As Indians we lay a lot of emphasis on minimal design. And I would like to emphasize here that minimal does not mean minimum elements in form and graphics. It rather means an optimum use of material to offer cost benefits as well as greater eco-compatibility. We are in fact known for our inclination to innovate within the given constraints. Desmania is skilled in its blending different materials, making this an intrinsic design element. We also measure our success by the grade of satisfaction achieved along the entire production chain; yet we will have fully achieved our goal when we create packaging that people just don’t want to throw away.

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Could you tells us about your new brand Echo? Echo is dedicated to the environment and the way we human beings relate to the same; with this line we want people to understand, appreciate and take greater care of the surrounding world. As already mentioned, we are inherently tied to our craft traditions, it is part of the Indian cultural groundswell; we are also conscious of the huge disparity between socio-economic classes in India, where a large part of the population is extremely poor. We also realize that of late we have tended to shun our traditions, becoming more insensitive towards the environment. Though we still have an overtly “green” lifestyle. As said, Indians by nature detest throwing things away. Aware of all these facets, we have turned our design skills to weaving all these strands together. This is how the Echo brand came about. The fundamental thought behind this is to create well-designed products that are a delight to use and possess. These are to be truly “green”, only made using natural materials, not industrially manufactured but made by “self help groups” comprising less

well-off men and women. These products are to be “decorated” with wording expressing concern for the environment. Undoubtedly India is among the “greenest” of countries in terms of its lifestyle, so it would be inappropriate to say that eco-sensitivity is only now emerging. It has been an intrinsic part of our culture; what needs to be done is to stop excessive accumulation of waste, returning to a more scientific adaptation of age-old practices using new technologies. India is an excellent place for learning how to use natural materials. However, in these last few years modern materials, mass production and higher spending power are having a negative impact on the behavioural patterns of the new generations. What are the main differences between packaging created by an eastern and western designer? Design sensitivity is very different in the East and the West and very much influenced by tradition. Eastern design always avails itself of decorative “extras” while western design is more minimal. An eastern designer is also influenced by strong cultural associations. He also has to struggle with severe constraints in terms of cost and materials. On this count a western designer is generally fortunate enough to have carte blanche. Eastern design is still evolving and emerging in the modern sense. Earlier it was only restricted to arts and crafts. However we see a great future for eastern design and it may have a strong influence on the West too; here India and China will be taking the lead. I would also like to add that modern Indian design schools have been strongly influenced by western design education and we are still highly inspired by - and very much in awe of - Italian and European design. We have to look ahead and see how “sincere” design will become in the years to come.



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LA RESPONSABILITÀ DEL DESIGNER Anthony Lopez ha una missione da compiere: ridare al design il giusto riconoscimento e rispetto. E ai designer il senso di etica e di responsabilità.

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Suresh Sethi Con uno stile tutto suo, Anthony si definisce di professione “graphic designer” e “brand engineer”, ma questa è solo la ciliegina sulla torta; approfondendo il discorso, si scopre anche che si diletta a suonare la batteria, ama moltissimo la musica rock ed è un ex giocatore di basket a livello nazionale. Ma quando “Lopez Design” si unisce a “Visual Brand Identity Design Consultancy”, allora si cala in un altro ruolo, per perorare la causa della

responsabilità attraverso il design. Anthony pensa infatti che il design e i designer abbiano molte responsabilità, non solo verso i bisogni dei loro singoli clienti ma anche nei confronti della società intera. Inoltre è convinto che le aziende non abbiano ancora tracciato accuratamente una propria mappa genetica, né che l’abbiano ancora comunicata in modo efficace nel nostro vasto universo linguistico.


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Aggiungiamo che Lopez Design è stato cruciale per dare una svolta al successo, o perlomeno al design, di nomi prestigiosi come Unicef, Whirlpool, Samsung, TI Cycles, Price Waterhouse Coopers, Headstrong and IRG, per citarne solo alcuni, e occorre riconoscergli un’abilità del tutto speciale nel creare brand identity dalla natura solistica, che vanno dritte al cuore. Infine, non si può tralasciare il fatto che ha vinto l’ambito American Design Award e che ha ricevuto il primo premio nella categoria graphic design del “Businessworld 2004”. La prima funzione del packaging è quella di contenere e proteggere il prodotto; in che modo i tuoi

progetti rappresentano i desideri del consumatore? Per me nel packaging hanno una funzione fondamentale anche l'identità di marca e la sua capacità comunicativa, pure se possano sembrare cose poco concrete. Il nostro approccio si concentra proprio su tali aspetti. Interpretare il profilo del cliente attraverso ricerche, dati e osservazioni è un imperativo. L’obiettivo principale è saper attrarre, identificare i bisogni e andare incontro ai desideri del cliente. Altrettanto importante è tradurre le intenzioni in esperienze fruttuose, mantenendo le promesse. Tutto questo fa del packaging un elemento di successo.

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Nei tuoi lavori si riflette la cultura di massa dei nostri tempi? Sì, no e dipende. Sì perché in un mercato guidato dal consumatore, il design, volente o nolente, è costantemente influenzato e a sua volta influenza la cultura di massa. No, in quanto non ho ancora una comprensione profonda della cultura di massa, che si evolve costantemente e noi impariamo in continuazione in tempo reale. E poi, dipende, perché il mercato indiano è molto complesso e si muove tra parametri e segmenti differenti. Esiste una distinzione culturale netta in India tra il pack design tradizionale e quello contemporaneo? I confini tra queste due tendenze vanno gradualmente confondendosi. Tutti i packaging, per sopravvivere e avere senso, devono essere contemporanei. Va aggiunto, però, che per rispondere ai bisogni del consumatore e per fare imballaggi che “che raccontino delle storie”, bisogna molto spesso adattare al contesto moderno stili ed espressioni tradizionali. Ma puramente in termini di attitudine e stile, c’è una differenza.

Hai disegnato un gran numero di packaging; questi progetti nascono come risposta alle richieste dirette del tuo cliente o esprimono, se così si può dire, quel diffuso ottimismo che pervade l’attuale consumismo indiano? Principalmente sono prodotti che rispondono al mio cliente, ma non dimentichiamo che il vero e definitivo fruitore è il cliente del nostro cliente - cioè il consumatore. Descrivi il tuo stile. Il nostro stile evolve con il tempo e con i bisogni specifici, non è mai statico e privo di vita. Illustraci brevemente il tuo progetto preferito. Qual’era il concept, come ha reagito il cliente e qual è stata la risposta del consumatore? Posso citare il lavoro per Harvest Gold, identità di marca e packaging. Molto semplicemente abbiamo tradotto in realtà l’input del brief: “Faremo il miglior pane di tutti”. Un nuovo marchio e un nuovo prodotto. Ha avuto un enorme successo e oggi è il pane di qualità premium più venduto nel nord dell'India. Come si è evoluto il tuo lavoro dal primo progetto ad oggi? Quando ho fondato Lopez Design ero l’unico progettista mentre oggi lavoro con molti designer, alcuni poco più che ventenni. Adesso tutto quello che facciamo è realizzato in collaborazione e apporta esperienze continue, mentre prima ero solo. Sì, come dicevo, non si finisce mai di imparare.


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The Responsibility of the Designer Anthony Lopez is a man with a mission: of getting design its due recognition and respect, while restoring the designer’s sense of ethics and responsibility. Suresh Sethi In his characteristic style, Anthony says that he is a graphic designer and a brand engineer by profession, but that’s just the icing on the cake. If you delve deeper, you discover that he’s also an amateur drummer, a rock music enthusiast and an ex state-level basketball player. When “Lopez Designs” straps on its “Visual Brand Identity Design Consultancy” boots for its clients, it inevitably has to attire itself for another role - of furthering the cause of Responsibility by Design. Anthony believes that design and designers have a special responsibility not just to the needs of their clients, but also to those of society as a whole. He believes that companies have failed to accurately map their own unique DNA and communicate it effectively in our diverse linguistic divide. Lopez Design has been instrumental in turning the fortunes or more aptly the designs of prestigious names like UNICEF, Whirlpool, Samsung, TI Cycles, Price Waterhouse Coopers, Headstrong and IRG to name just a few from the extensive repertoire. Recognising Lopez Designs unique ability to create a brand identity, which strikes an instant chord and is holistic in nature, Lopez Design has also won top honours at the coveted American Design Awards for its sterling work. The firm also secured the first prize at the “Business world 2004” award in the graphic design category.

Do you see in your work a reflection of popular culture of our time? Yes, no and depends. Yes. As it is a consumer driven market, design by intent or not is constantly influenced or influencing popular culture. No. I still do not have an allpervasive understanding of our popular culture yet, since it is always evolving. We are learning in time. Depends. As the Indian market is very complex and is driven by several different parameters and segments. Is there a distinct cultural difference between traditional and contemporary packaging design in India? Gradually the lines between the two are getting blurred. For any packaging to survive it needs to be contemporary. However, to address the needs of the consumer and make the packaging more relatable, very often traditional styles or expression have to be adapted to the modern context. But purely in terms of attitude and style, there is a distinction. You have designed a broad range of packaging. Are these designs based on client’s needs or are they inspired by the current optimism of the Indian consumer demands? Primarily client driven, but the ultimate client is our clients’ client - the consumer. Describe your style Our style evolves with time and specific needs; it is never stagnant or lifeless. Summarize briefly, your favourite project on packaging design? What was the concept, how did the client/consumer respond? I want to quote Harvest Gold, identity and packaging design. Very simply we translated the brief that “we will make the best bread in the market”. A new brand and a new product, it was hugely successful and is today the largest selling premium bread in northern India.

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Can you describe an evolution in your work from your first project to the present day? When I started Lopez Design, I was its only designer. Today, I work with several designers, some 20 years younger. So from starting single, today everything we do is collaborative and hugely experiential. As I said earlier, I am still learning.

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Primary function of packaging is to contain and protect the product, how does your design showcase the desires of consumers? For me, brand identity and expression are also primary functions in packaging, although these might be intangible. In Lopez Design, our approach concentrates on these aspects. Understanding your customers profile through research, data and observation is imperative to the process. Touching the instinctive cord of attraction, identifying and matching customer needs/desires become the primary objective. Equally important is to translate the

intent into a fruitful experience by delivering the promise. All this makes the packaging successful in its function.


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Dove Guarda l’Universo Virginio Briatore


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Il venditore di biscotti ha le mani infarinate. Taglia l’impasto premendoci sopra un bicchiere di latta. Poi prende i piccoli dischi e li sistema su una teglia grande poco più di un piatto. Li sistema con cura, uno per uno, di taglio, appoggiati l’un l’altro, come fossero tegole del tempio d’oro. Indi ravviva il fuoco con un mantice così piccolo che sembra un giocattolo, aggiunge carboni di legna e quando le braci hanno il colore della mura della Fortezza Rossa le separa in due mucchietti. Poi sistema la teglia sulle braci e vi pone sopra un coperchio di latta dal bordo rialzato all’insù. Indi ricopre il coperchio di braci e i biscotti restano a cuocersi in questo forno da nulla, liberando nell’aria il profumo che occhio non vede. Ed è il profumo che ti fa girare la testa, ti fa fermare e chiedere 5 rupie di biscotti. Allora lui, sempre da seduto, nel suo ergonomico laboratorioforno-pasticceria di un metro, all’angolo di una strada di terra e asfalto, ai piedi di una fortezza, nel cuore di una megalopoli costruita distrutta e ricostruita in sette posti diversi e vicini per duemila anni, nella più grande democrazia della Terra, alza gli occhi e sorride. Prima di servire i biscotti, che già sono disposti su un disco di latta, appoggia il disco sulle braci, affinché il sacro fuoco ravvivi, del biscotto, l’anima, la croccanteria e la croccantezza! Poi afferra con due dita uno dei fogli di giornale - ritagliati su misura e ordinatamente stipati fra la parte forno e la zona

esposizione - lo arrotola a forma di cono e vi rovescia dentro la delizia povera e buona. Se lo mangiate subito il packaging finisce lì. Se invece lo portate via, Indi chiude la sommità del cono e lo avvolge in un secondo foglio di giornale affinché il calore vi accompagni anche in tasca e vi aiuti nel vento fresco dell’inverno che scende dall’Himalaya. Il venditore di ceci, noccioline e arachidi opera in maniera simile, solo che il fornellobraciere-drogheria lo tiene appeso al collo e se tu non vai da lui, lui lentamente, gentilmente, viene da te. Tu


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scegli ceci, arachidi o noccioline ed allora lui estrae un pezzo di legno, lo inserisce nel braciere, prende una manciata di frutti o legumi e li riversa in una mini padella da caldarroste, dotata di una manovella come gli antichi macinacaffè. Poi la poggia sulle braci e gira e tosta, tosta piano e lento gira per quei pochi minuti che a te sembrano un frammento di eternità, finché l’aroma non si sprigiona e ti dice che la sostanza si trasforma in nutrimento e sapore. A quel punto, se siamo a Mumbay o a Chennay, lui prende il solito pezzetto di giornale, ma molto piccolo, più piccolo di una cartolina, e lo

usa come cartoccio per servire i grani croccanti e se invece siamo in un villaggio piccolo e povero di cui non si ricorda neanche il nome, lui fa lo stesso gesto, ma anziché la carta usa una foglia secca e umida, che si arrotola morbida come una foglia di tabacco e sublime si sposa con l’altrui calore e sapore. Con questo caldo “blister” di natura, il bipede umano si allontana lieto e sgranocchia i semi del mondo. Poi ci sono le scatole dei fiammiferi (con sopra una lampadina!) così piccole che si perdono nelle tasche e le scatole fatte con le foglie del the in foglia; ci sono scatole di latta per i peccati di gola e

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Virginio Briatore,studioso dei linguaggi contemporanei, si occupa prevalentemente di Life Design. La sua vita professionale si articola varie attività, tutte inerenti il design:copy writer, consulente aziendale, scrittore freelance e saggista, ha partecipato a convegni e seminari in tutto il mondo. L’ultima sua pubblicazione è Nirvana Inferno, ed. Leucasia, 2006.

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scatole d’argento per i peccati di mente; scatole di legno che profumano cento e dieci anni e scatole traforate affinché l’aria porti refrigerio. Ci sono milioni di scatole, buste, sacchetti, flaconi e scrigni che, per quanti siano, saranno sempre meno degli dei che abitano templi, alberi e pietre. Ci sono tutti i packaging comparsi sul mercato da quando il mercato esiste.

Ci sono designer senza nome che rifanno a mano insegne e scatole, designer puri come una fabbrica d’arte e ci sono fabbriche immense che fanno packaging per tutti i miliardi di prodotti che ogni giorno entrano nella vita di un miliardo e cento milioni di bipedi umani. Le tecnologie massime coesistono con le minime perché in India tutte le esistenze coesistono e molti umani ancora sanno guardare lontano. Come scrive Ettore Sottsass «Dove guarda l’universo? In silenzio, l’universo rotola su se stesso, manda fuori radiazioni, temperature, gravitazioni, accelerazioni, eccetera e guarda nel vuoto. Dove guardano le primavere, gli inverni, le tempeste, dove guarda il mare? Nel vuoto. Soltanto noi guardiamo la chiave dell’antifurto, il portamonete, l’orologio, la data di nascita, il nome sulla carta di identità fornita dal municipio. Invece in India ci sono quelli che guardano nel vuoto». Da non confondere col sottovuoto.


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What the Universe Gazes Upon

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Virgino Briatore The biscuit seller’s hands are covered in flour. He cuts the dough by pressing down a tin beaker. Then he takes the small discs and arranges them on a tray which is little bigger than a plate. He arranges them carefully, one by one, leaning them against each other, as though they were rooftiles on a golden temple. Indi then fans the fire with a bellows which is so small it resembles a toy, adds charcoal and, when the embers are the colour of the walls of the Red Fortress, divides them into little piles. Then he puts the tray on the embers and covers it with a tin lid with curled-up edges. Indi then covers the lid with embers and the biscuits bake in this oven, made from nothing, releasing their appetising smell into the air, something the eye cannot see. And it is the wonderful smell that turns your head and stops you in your tracks to ask for 5 rupees of biscuits. Then he, who remains seated, in his ergonomic one metre large workshop-oven-patisserie, on the corner of a dirt and tarmac road, at the foot of a fortress, in the heart of a megalopolis built, destroyed and rebuilt in seven different places close to each other two thousand years apart, in the largest democracy in the world, lifts his eyes and smiles. Before he serves the biscuits, which are already arranged on a tin disc, he places the disc on the embers so that the holy fire will revive the biscuit’s soul and crunchiness! Then, with two fingers, he takes a sheet of newspaper- cut to the right size and tidily packed between the oven space and the shop-front - rolls it into a cone and fills it with the cheap and tasty treat. If you eat it straightaway that’s all the packaging you get. Instead, if you take it away, he folds over the top of the cone and wraps it in a second sheet of newspaper, so that the heat will be carried in your pocket and help you in the cold winter wind blowing down from the Himalayas. The seller of chickpeas, nuts and peanuts operates in a similar way, only he keeps his stove-brazier-foodstall hanging from his neck and if you don’t go to him he will kindly come to you. You choose chickpeas, peanuts or nuts and then he pulls out a piece of wood, puts it in the brazier, takes a handful of fruit or vegetables and pours them into a mini pan for roasting chestnuts, equipped with a crank like an antique coffee grinder. Then he puts this on the embers and spins and roasts, roasting slowly, spinning gently until it seems like a

fragment of eternity and until the fragrance is released and he tells you the stuff is now nourishment and flavour. At that point, if we are in Mumbai or Chennai, he takes the usual piece of newspaper, but a very small piece, smaller than a postcard, and uses it as a cornet in which to serve the crunchy grains. If, on the other hand, we are in a small, poor village nobody even remembers the name of, he performs the same gesture but, instead of using paper, he uses a moistened dry leaf which he rolls softly like a leaf of tobacco and which sublimely mingles the heat and the flavour. With this hot “blister” from nature, the human biped moves away, gratefully nibbling the seeds of the world. Then there are the match-boxes (with a little light-bulb on top!), so small that you lose them in your pockets, and the boxes made of tealeaves. There are tin boxes for sins of gluttony and silver boxes for sins of the intellect; wooden boxes which release their perfume for a hundred and ten years and boxes with holes in them so that the air can cool the contents. There are millions of boxes, packets, bags, bottles and caskets which, however many there are, will always be fewer than the gods which inhabit the temples, trees and stones. There is every type of packaging to appear in the market since the market came into being. There are nameless designers who make signs and boxes by hand, designers as pure as an art workshop, and enormous factories which produce packaging for all the billions of products which enter the lives of one billion one hundred million human bipeds everyday. Maximum technology coexists with minimum technology because in India all existances coexist and many humans are still able to gaze afar. As Ettore Sottsass writes: «What does the universe gaze upon? Silently, the universe rotates on itself, emanating radiation, temperatures, gravity, accelerations, etcetera, and gazes upon the void. What do springs, winters, storms, the sea gaze upon? The void. Only we gaze at the key of the car alarm, the purse, the clock, the date of birth, the name on the identity card issued by the local authorities. Instead in India there are those who gaze upon the void». Not to be confused with the vacuum of vacuum packaging. Virginio Briatore, expert in contemporary languages, is mainly concerned with Life Design. Professionally he is involved with various aspects of design. A copy writer, business consultant, freelance writer and essayist, he has spoken at conferences and seminars all over the world. his latest publication is Nirvana Inferno, published by Leucasia, 2006.


market release IED

Packaging Full Immersion allo IED Il Master RSP in Packaging Design proposto dall’Istituto Europeo di Design è un corso di formazione avanzata per la progettazione di packaging industriali, al termine del quale i partecipanti potranno agevolmente affrontare ogni tipo di progetto e relazionarsi alle diverse strutture e figure presenti nel sistema

pratici e teorici, per affrontare il progetto dell’imballaggio in tutte le sue fasi: dall’ideazione allo smaltimento, passando per il punto vendita e l’utilizzo da parte del consumatore. Alle lezioni teoriche si affiancano workshop di progetto, seminari culturali, partecipazioni a concorsi,

differenti tipologie di progetti, come la creazione di un packaging per snack, l’ideazione di un’etichetta per bottiglie di vino e lo studio di un packaging espositore per piastrelle.

"packaging"(aziende, fornitori di materiali, distributori). Il corso è rivolto a professionisti del settore, grafici, architetti e designer che desiderano acquisire un’adeguata formazione per immaginare e disegnare prodotti e tecnologie innovative, nuove funzioni

cicli di conferenze, visite ad aziende e stabilimenti di produzione. I progetti sviluppati sia all’interno di laboratori, sia a contatto diretto con le imprese, permettono agli studenti di mettere costantemente alla prova la propria creatività e le proprie capacità di sintesi progettuale.

sviluppo di un packaging cartaceo, con funzioni innovative, per snack dolci e salati da consumare in automobile e che preveda facilitazioni d’uso per il conducente. Uno dei progetti è stato realizzato dal francese Clément Popelin insieme alla studentessa cinese Qi Pan

e scenari d’uso. Il Master offre strumenti conoscitivi,

L’edizione 2005/2006 del Master ha visto gli studenti misurarsi in

(Graphic Designer). «La difficoltà del progetto - spiega Clément - risiede

Il primo lavoro, in ordine temporale, è stato “Car-snack”, in collaborazione con Lineagraf, finalizzato allo

nella sua apparente semplicità. L’azienda ha chiesto un packaging innovativo vantaggioso per il consumatore, senza aumentare i costi di produzione. Nella mia proposta l’involucro si può aprire del tutto raggiungendo quasi il doppio della superficie iniziale, il che consente al guidatore di utilizzarlo 1/07

come supporto per mangiare senza sporcare l’automobile. All’interno. un effetto a sorpresa: il disegno di piatto, forchetta e coltello con lo

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sfondo di una tipica tovaglia rustica a quadretti bianchi e rossi. Questo


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dettaglio è piaciuto molto al cliente». Un Progetto Speciale che ha coinvolto gli studenti del Master è stata la creazione di un’etichetta celebrativa del centenario della Cantina vinicola di Casteggio. Ancora una volta ha ricevuto una menzione speciale Clément Popelin, che così commenta il suo lavoro: «Il

anche da espositore. Gokce Turkel, graphic designer turca ha ideato un packaging ispirato al concetto delle illusioni ottiche e del contrasto tra bianco e nero, mentre la proposta creativa di Paula Franke rievoca il celebre cubo di Rubik , ed è composta da 25 cubetti ricoperti da mini piastrelle che si possono

mio concept è ispirato alle scritte in gesso bianco su una lavagna nera. Quindi ho riportato in colore bianco, in ordine cronologico, tutti gli anni a decorrere dal 1907, anno di fondazione della Cantina, fino al 2007, l’unico scritto in oro. Gli anni erano tutti sbarrati eccetto l’ultimo».

accostare tra loro per valutare le diverse combinazioni cromatiche.

Paula Franke, studentessa tedesca, si è invece aggiudicata la menzione speciale “per la pulizia formale della grafica” . Paula descrive così il suo progetto: «Ho ideato, mediante una grafica lineare e pulita, un grappolo d’uva stilizzato composto da nove acini tutti bianchi a esclusione del primo, posto in alto a sinistra, nel quale compare la cifra 100 che rievoca il centenario. In ogni etichetta il primo acino a sinistra ha un colore diverso per differenziare le tre tipologie di vino: l’argento per lo spumante, il bordeaux per il vino rosso e l’oro

Ccomunicazione. Oggi è un network Internazionale con sedi a Milano, Roma, Torino, Venezia, Madrid, Barcellona e San Paolo del Brasile, che organizza corsi triennali post-diploma, corsi di aggiornamento e formazione permanente, corsi di formazione avanzata e master post-laurea. L’apertura della sede a San Paolo del Brasile nel 2005, ha dato il via all’espansione del network oltre i confini europei, processo che trova conferma nella futura apertura di una sede a Rio de Janeiro. Ancora una volta l’Istituto Europeo di Design ha

opaco per il vino bianco«. Infine, nella cornice dell’evento fieristico Tecnargilla 2006, gli studenti hanno lavorato a un altro Progetto Speciale, realizzando un packaging per piastrelle che potesse fungere

collaborato con le autorità locali e in novembre 2006 è stato raggiunto l’accordo per la concessione del Cassino da Urca, edificio storico per la città, che IED restaurerà e convertirà in Scuola.

Da quarant'anni l'Istituto Europeo di Design opera nel campo della formazione e della ricerca, nelle discipline del design, della moda, delle arti visive e della

UFFICIO COMUNICAZIONE ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN MILANO Fabrizia Capriati, Paola Farina Corso XXII Marzo, 19 20135 Milano - Italy Tel.: +39 02 55192963 Fax: +39 02 5457382 p.r@milano.ied.it www.ied.it www.iedmaster.it


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Full Immersion in Packaging at the IED The RSP Master in Packaging Design offered by the Istituto Europeo di Design is an advanced course for designing industrial packaging, at the end of which participants will be able successfully tackle any type of product and relate to the various structures and figures present in the packaging system (companies, materials suppliers, distributors). The course is aimed at professionals in the sector, printers, architects and designers who wish to acquire

As a Special Project the students on the Master course were called upon to create a celebratory label for the centenary of the Casteggio Wine Cellars. Once again Clément Popelin received a special mention. He comments his work as follows: «My concept was inspired by white chalk writing on a blackboard. I went on to chronologically list all the years starting from 1907, year the Cellars were founded, up to 2007, the only year written in gold. All the years were crossed through except the last one». Paula Franke, a German student in turn won a special mention for “the formal cleanness of the graphics”. Paula described her project as follows: «Using clean, linear graphics I created a

training to be able to image and design innovatory products and technologies, new functions and scenarios of use. The Master offers informative, practical and theoretical tools, to enable the student to tackle the packaging project in all is phases: from creation to disposal, going by way of the salespoint and use by the consumer. The theoretical lessons are accompanied by project

stylised bunch of grapes with nine grapes, all white except the first one, placed top left, where I put the figure 100 that represents the centenary. In each label the first grape on the left has a different colour to distinguish the three different types of wine: silver for Spumante, burgundy for red wine and flat gold for white wine». Lastly, in the context of the Tecnargilla Fair 2006, the

workshops, cultural seminars, participation at competitions, conference cycles, visits to companies and production works. The projects devised both within the workshops as well as in direct contact with the concerns, enable the students to constantly test their creativity and their capacity for project synthesis. In the 2005/2006 edition of the Master the students tackled various types of projects, the design of packaging for a snack, the design of a label for wine bottles and design of a packaging display case for tiles.

students all worked on another Special Project, creating a packaging for tiles that could also act as a display case. Gokce Turkel, a Turkish graphic designer, created a packaging design inspired on the concept of optical illusion and the contrast between white and black, While Paula Franke’s idea is a throwback to the famous Rubrik’s cube, and is made up of 25 cubes covered by mini tiles that can be matched to work out different colour combinations.

marked the expansion of their network beyond Europe, a process that will be confirmed in the future with the

wrapper can be opened totally to cover almost double the initial surface, enabling the driver to use it as a base for

opening of the branch in Rio de Janeiro. Yet again the Istituto Europeo di Design has cooperated with the

eating without dirtying the car. There’s a surprise inside: the illustration of a plate, knife and fork on a typical rustic

local authorities and in November 2006 the agreement was reached for the concession of the Cassino da

red and white chequered tablecloth design. The customer liked this detail a lot».

Urca, one of the city’s historic buildings, to be restored and converted by IED into a school.

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packaging design offering advantages for the consumer without increasing production costs. In my proposal the

created by the French student Clément Popelin along with the Chinese student Qi Pan (Graphic Designer). «The

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project’s difficulty - Clément explains” lies in its apparent simplicity. The company brief was for an innovatory

For forty year the Istituto Europeo di Design has been working in the field of Training and Research, in the disciplines of Design, Fashion, Visual Arts and Communication. Today it is an international network with branches in Milan, Rome, Turin, Venice, Madrid, Barcelona and Sao Paolo, Brazil, and organizes triennial post diploma courses, permanent training and update courses, advanced training and post graduate courses. The opening of the Sao Paolo branch in Brazil in 2005

The first task the students were called upon to tackle was the “Car-snack”; in cooperation with Lineagraf, the brief being to design a paper packaging with innovatory functions for sweet and salty stacks to be eaten in the car, with facilitated use for the driver. One of the projects was


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Il Potere del Celeste Impero Nel mitico “Regno di Mezzo”, assieme al boom economico e alle ingenti trasformazioni sociali, si sta facendo strada una nuova rivoluzione culturale, quella dell’industria del packaging. Christian Rommel

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prodotto o del budget disponibile. “Qualità” non significa mirare alla perfezione. Costi e profitto devono essere proporzionati e possono facilmente cambiare all’interno di un’azienda secondo l’ordine e le specifiche del lavoro. La maggior parte delle aziende di packaging offre ai propri clienti varie soluzioni possibili, a seconda, per esempio, che si debbano usare materiali locali o importati. La richiesta, il grado e la percezione di “qualità” a tutti i livelli è gestita in modo flessibile sia dai clienti che dai produttori. Un’osservazione simile si può fare sull’utilizzo delle tecnologie: in Cina, le tecniche applicabili ai vari processi produttivi sono ridotte, proprio a causa della scarsità di talune tecnologie. Naturalmente anche qui, come in Occidente, i tempi e i costi incidono in modo negativo sul prezzo di mercato, ma in Cina le conclusioni che se ne traggono sono molto diverse. A causa delle enormi differenze tra i costi di produzione “manuali” e quelli “non manuali”, un certo prodotto può essere realizzato e imballato un giorno con le macchine e il giorno dopo fatto a

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Qualità cinese Per lo straniero che viene in Cina per breve tempo, ogni tentativo di riuscire a cogliere la realtà del mercato dell’imballaggio cinese è destinato a fallire, per l’eterogeneità di ciò che vedrà e di cui farà esperienza. La nozione cinese del termine “qualità” non rientra nei nostri schemi. “Qualità” - per gli standard occidentali - indica la misura per il migliore dei risultati possibili. Significa soddisfare al 100% la domanda del cliente o dell’azienda, per ridurre al minimo assoluto le divergenze e le tolleranze. Questa valutazione, o meglio, questa stima soggettiva, si basa sul desiderio (o sulla richiesta) di raggiungere l’optimum a livello tecnico. Relativamente al packaging, nei paesi occidentali, il risultato di questo modo di pensare si manifesta generalmente in un standard alto, che difficilmente lascia insoddisfatto il consumatore. La maggior parte degli asiatici, tuttavia, non segue questo concetto. In Cina, la qualità del packaging segue altri presupposti. Dipende da priorità individuali, che spesso variano a seconda del cliente, del


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mano. Inoltre, per la mancanza di un adeguato sistema di formazione professionale e di specializzazione all’interno dello stesso settore, il livello di qualità dei dipendenti cinesi varia così tanto, che persino i risultati raggiungibili sono totalmente instabili. In una situazione così eterogenea questo è uno scenario inevitabile; ma l’era degli imballaggi a buon mercato, quelli da pochi soldi e mal stampati, poco resistenti e realizzati con carta di recupero, con le etichette storte e i colori opachi, è ormai giunta al capolinea. Una sorprendente varietà di packaging, realizzati in modo estremamente professionale e che non sono da meno da quelli della controparte occidentale, si fa avanti. Tuttavia, nonostante il generale miglioramento nella qualità, è ancora chiaramente visibile uno strano mix d’improvvisazione cinese e abilità tecniche di tipo occidentale. L’utilizzo della tecnologia non è l’unico settore che rivela le profonde differenze che intercorrono tra il packaging occidentale e quello orientale, infatti, anche il modo di “fare packaging” è la moderna testimonianza dell’efficienza economica e industriale di un paese, e rappresenta, inoltre, il progresso e lo standard di vita di una società intera, riflette il comportamento e il gusto estetico del consumatore, esprime uno stile di vita. Questione di gusto In Cina, negli ultimi anni, il packaging

design ha subito fortissime evoluzioni, spostando l’accento verso l’aspetto esteriore delle cose. Per comprendere più a fondo questi cambiamenti bisogna dare uno sguardo ai princìpi del design in Occidente, dove dominano le tinte neutre e i contenuti simbolici sulla confezione sono ridotti al minimo. Qui prevalgono i motivi astratti, resi ancora più efficaci dalla grafica computerizzata, i testi sono evocativi e seducono l’inconscio, il design corrisponde in modo chiaro al prodotto e l’aspetto esteriore è concepito per un target specifico. In Occidente, il pack-design non è solo il risultato tangibile di progettisti abili ed esperti, ma riflette anche ricerche di mercato approfondite e strategie di marketing ben pianificate. L’obiettivo è quello di raggiungere sempre una relazione coerente tra imballaggio e utente. In Asia, invece, dominano i colori sgargianti. Ovunque, ci sono imballaggi colorati, talvolta fin in modo esagerato, vengono usati con disinvoltura sia i simboli tradizionali sia immagini tratte dalla vita quotidiana, i testi hanno una pura funzione informativa, il design gioca con gli aspetti emotivi ed è difficile che vengano stati individuati specifici target di riferimento. Inoltre è ancora molto evidente il background professionale di tipo artistico/tradizionale dei designer cinesi. Si potrebbe dire che il design è una questione di gusto individuale; tuttavia, agli occhi di un occidentale, gran parte degli imballaggi cinesi, oltre ad apparire troppo esotici e


container colorati, sembrano anche poveri di contenuti e tendenti al kitsch. Più importante è invece la relazione che deve intercorrere tra l’imballo e l’utente finale. È ancora un’eccezione trovare in Cina un imballaggio dal design essenziale, dall’aspetto professionale, pensato consapevolmente per emergere tra i prodotti concorrenti e in grado di esercitare un forte appeal, grazie alle sue forme sofisticate. Sebbene la pubblicità e le strategie di vendita occidentali ben dimostrano che un progetto di packaging accurato è uno strumento di marketing molto efficace, per parecchie aziende cinesi questo sembra essere ancora qualcosa di molto lontano.

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che, per pochi Yuan, può far sua una buona dose di fortuna. Questi pacchetti sono dei veri e propri “specchi dell’anima” e non rappresentano solo gli aspetti caratteristici del design cinese ma anche la mentalità di un intero popolo. Le trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali, iniziate negli anni Novanta, hanno

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Una case history esemplare: i pacchetti di sigarette In un paese in cui fumare è considerato fondamentale per l’interazione sociale, oltre che una aspetto essenziale della propria cultura, non possono mancare sigarette d’ogni sorta, di marca e tipo. Quelle più tradizionali rappresentano un esotico caleidoscopio culturale e niente può competere con l’immaginifica fantasia dei creativi dediti al pack delle sigarette; come un microcosmo, queste illustrazioni rappresentano l’intera varietà del packaging design cinese. Sui pacchetti si possono trovare sia disegni e immagini fotografiche di paesaggi fantasmagorici come canyon, cascate, bizzarre forme di rocce e alberi nodosi, sia impressionanti monumenti architettonici, templi, pagode e palazzi sfarzosi, a testimonianza di oltre 4000 anni di storia e cultura. Si può anche ammirare l’esotica fauna locale: cani, gatti, tigri, rinoceronti, galli, buoi, farfalle, aquile oltre a pesci, pinguini, dromedari e dinosauri. Creature mitologiche come il garuda, il drago

o la fenice completano questo variegato panorama. La ragione per cui, in Cina, è molto popolare rappresentare e disegnare animali, dipende dal fatto che a loro si attribuiscono poteri benaugurali; si crede, ad esempio, che il pesce rosso porti fortuna. Le illustrazioni dei pacchetti sono quindi la rappresentazione delle speranze e dei desideri del Signor Tal dei Tali


BRIC container Christian Rommel è Managing Director della ROX Asia Consultancy Ltd a Hong Kong, azienda di consulenza specializzata nei servizi per mercato asiatico della stampa e del packaging. Ha pubblicato China Packaging (Düsseldorf Klaus Walter, 1998) e Little Treasures (Rox special editions, 2003) e possiede una collezione di oltre 11.000 pacchetti di sigarette cinesi degli ultimi 30 anni

avuto forti implicazioni anche per il packaging. L’apertura dei mercati e la loro conseguente liberalizzazione, la globalizzazione, la crescita della competizione, l’aumentato potere d’acquisto e il miglioramento degli standard di vita, hanno determinato un cambiamento radicale e hanno dato vita a una tendenza progressiva verso l’occidentalizzazione delle merci con il conseguente tentativo di offrire del packaging un’immagine più attuale, orientata al design contemporaneo. Adesso anche in Cina si possono vedere, sui pacchetti di sigarette, disegni astratti con linee e motivi geometrici, spazi colorati con quadri tagliati, molto lontani dalle rappresentazioni naturalistiche tipiche dei decenni precedenti. Queste nuove confezioni, che ricalcano lo stile dei marchi americani, inglesi, tedeschi e giapponesi, vorrebbero prendere le distanze dall’immagine più antica e tradizionale; ma poiché la natura più astratta del design occidentale non consente al consumatore medio cinese di instaurare una relazione duratura con il prodotto, questi

pacchetti così “moderni”, così troppo ispirati al design straniero, possono solo rappresentare uno stadio intermedio. Molto presto la crescente consapevolezza di un’identità culturale, il pronunciato orgoglio nazionale e il patriottismo (l’84 % dei cinesi è molto fiero del suo paese) condurranno il design verso nuove direzioni. Le ricerche, infatti, hanno mostrato che tutti quelli che possono permetterselo, tendono a comprare marchi importati ma, a parità di qualità, molti di loro preferirebbero i prodotti locali perché vi si identificano meglio. Se i cinesi non perderanno le proprie radici storiche e la propria cultura, quindi, potranno anche sviluppare un packaging dallo stile personale e distinto. Il futuro dei loro prodotti, infatti, sta proprio nell’uso dei colori tipici, dei simboli, delle composizioni che meglio rispecchiano la loro mentalità e i loro gusti. Per quanto riguarda la raffinatezza dei pacchetti di sigarette, pochi sanno che oggi la Cina ha una posizione predominante, nessun’ altra nazione al mondo vanta una così grande varietà di confezioni, realizzate con elaborati inserti a colori metallizzati, finiture lucide, accoppiati, stampe riflettenti e ologrammi. I pacchetti, stracarichi di effetti visivi, sono considerati veri e propri prodotti di lusso e, in quanto tali, vengono volentieri acquistati. Per i cinesi, esperti nelle finiture di


container stampa e convinti dell’importanza degli effetti speciali, le tecnologie europee sono fondamentali per realizzare ciò che viene progettato: il 35% dei macchinari delle linee di produzione, infatti, porta il marchio “made in Germany”.

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Made in China È un’enorme sfida per la Cina stare al passo con i rapidi cambiamenti economici, ma in tutti i settori dell’industria dell’imballaggio c’è ancora molto spazio per l’innovazione tecnologica e per trovare soluzioni adeguate e concept intelligenti. Attualmente, per soddisfare i suoi bisogni, la Cina dipende ancora dalle importazioni. Il vicepresidente e segretario generale della China Packaging Technology Association (CPTA) di Pechino, Xie RongQuan, ha dichiarato che nei prossimi anni il governo investirà 11 miliardi di dollari nell’industria del packaging, ritenendola fondamentale per colmare la crescente domanda del prossimo decennio. Si può addirittura credere che, grazie al grande potere economico e alle nuove potenzialità del suo design unite alle tecnologie occidentali, la Cina riverserà sui mercati occidentali una nuova generazione di merci e di imballaggi, che ribalteranno la diffusa accezione negativa del “made in China” in un meritato riconoscimento di qualità. Com’è già accaduto per il design giapponese, anche quello cinese potrebbe finalmente diventare un modello capace di riportare la Cina del futuro a ciò che è stata già mille anni fa, il (celeste) “Regno di Mezzo” [traduzione degli ideogrammi che formano la parola “Cina”, Ndt]


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The Power of the Celestial Empire In the mythical “Middle Kingdom”, along with the economic boom and the huge social transformation, a new cultural revolution is on the way, which is affecting the packaging industry.

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by Christian Rommel Chinese quality Any attempt by foreigners who visit China for a short period of time to get a realistic and representative picture of the Chinese packaging market seems ultimately doomed to failure by the sheer heterogeneity of what they see and experience. For a start, the complexity of the Chinese notion of the term "quality" does not fit in with the western scheme of things. Quality - by western standards is a measure for the best possible result. It entails a 100% satisfaction of customer or company demands, reducing divergences and tolerances to an absolute minimum. This subjective evaluation or rather assessment is based on the desire (or the demand) to achieve the technological optimum. In western countries, the result of this way of thinking and working manifests itself in a generally high standard that leaves the consumer with little room for complaint. Most Asians, however, do not follow this concept. In China, the quality of packaging follows other tenets. It depends on individual priorities that often change from customer to customer, from product to product and also depend on the available budget. “Quality” does not mean striving for perfection. Costs and profit have to be in due proportion with each other. This can easily vary within a company, depending on the order and the job specifications. Most Chinese companies offer their customers a variety of possible packaging solutions, for example depending on whether native or imported materials are used. The demand, degree and perception of “quality” at all levels is a flexible question both with the customer and the producer. A similar observation can be made concerning the

utilisation of technologies. First and foremost, the extent of applicable technologies in the production process in China are limited by the scarcity of the same. Here too factors of time and cost weigh on the market price of a given product. However the conclusions drawn from such considerations are very different in China. Due to the enormous differences between manual and non-manual production costs, a certain product might be produced and packed by means of machines one day, and produced and packed by hand on the next. What is more, due to a lack of adequate professional training and dearth of training courses within the companies, the level of skills of Chinese employees within the same industrial branch also varies so widely that achievable results are also highly incongruent. This scenario is inevitable, given the heterogeneous situation described above; but the times of cheap and badly-made, limp letterpress packs made of multi-recycled paper, crooked labels, dull colours and shoddy print design are to all intents now over, and are being replaced by a surprising variety of extremely professionally produced packs by no means inferior to their western counterparts. All the same, despite the generally improving quality of packaging solutions, an incongruous mixture of Chinese improvisation and western-style technical skills is still clearly visible. Quality and utilisation of technology are not the only spheres where severe differences between western and eastern styles of packaging can be disclosed, in fact the very approach to making and using packaging is the modern testimonial to the economic and industrial efficiency of a country, also representing the progress and the standard of living of an entire society, reflecting the behaviour and the aesthetic tastes of the consumer and expressing a lifestyle. Matter of taste In China packaging design has undergone a fascinating change in recent years that has seen a shift towards the exterior of things. To better understand these developments one should first glance at the principles of design in the western cultural context, where mainly neutral hues prevail and the symbolic content on the packs is reduced to a minimum; abstract patterns enhanced


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with computerised graphics dominate; wording is evocative and appeals to the subconscious; the design openly corresponds to the product and the overall appearance is clearly aimed at a specific target group. In the West the pack design is not only the tangible result of the skilled and expert designer, but it also reflects in-depth market research and well-thought-out marketing strategies. The focus is always on the coherent and reciprocal relationship between the pack and the customer. In Asia, however, lively colours dominate; colourful, what one might call gaudy packages are omnipresent; traditional symbols and concrete images of everyday life are employed; wording is restricted to pure information content; the design plays on an emotional chord; a focus on one specific target group can hardly be found and the professional background of Chinese packaging designers as classic artists is still clearly visible in the artistry of their designs. Of course, design is a question of individual taste. Nevertheless, a large proportion of Chinese packs not only appear exotically colourful to the western eye, but also rather poorly conceived and kitschy. What is most important is the personal relationship set up between the pack and the end user. A professional brand appearance, an individual profile and concise design purposefully devised to stand out among competitor products and that exercises a strong appeal through its subtle forms still seems to be the exception in China. Even though western advertising and sales strategies demonstrate that a well-designed packaging is a highly effective marketing device, this is still a far cry for many Chinese companies.

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An exemplary case history: cigarette packs In a country where smoking is seen as an essential part of the culture and as an integral part of social interaction, a variety of different cigarette brands abound. Traditional Chinese cigarette packs are an exotic kaleidoscope of Chinese art and culture. There is nothing that the imaginary fantasy world of the Chinese packaging designers could not conjure up. Like a microcosm, these illustrations represent the entire gamut of Chinese packaging design. On the packs drawings or photographic images of

phantasmagorical landscapes abound, canyons and waterfalls, bizarre rock formations and gnarled trees can be found. Impressive architectural monuments with temples, pagodas and ostentatious palaces bear witness to over 4,000 years of Chinese cultural history. The exotic Chinese fauna can also be admired on cigarette packs: apart from dogs and cats, tigers and rhinoceroses, roosters and oxen, butterflies and eagles one can also find fish and penguins, dromedaries and dinosaurs. Mythical creatures like the Garuda, the dragon or the phoenix complement this colourful arrangement. The reasons why depictions of animals are generally popular in China lie in the fact that their characteristics such as power or swiftness evoke positive associations. Furthermore, many animals, like the goldfish for example, are said to be lucky charms. Thus, the cover illustrations are a miniature reflection of the wishes and desires of John Doe who, for a handful of Yuan can buy a tangible bit of luck to put in his trouser pocket. The packages are a true "mirror of the soul" and therefore not only represent the notions of design but the mentality of an entire people. The social, political, economic and cultural transformations that began in the nineties in China has also had its implications for packaging design. The opening of the market, liberalisation, globalisation and the growing competition, an increasing purchasing power and improved standard of living have resulted in a radical change and the general tendency has been seen to go in the direction of an increased westernisation of goods, this in an attempt to offer packaging with a more up-to-date, contemporary design-oriented approach. Now Chinese cigarette packs also bear abstract designs, linear and geometric motifs, coloured spaces and cross-hatching far off from the naturalistic representation typical of the preceding decades. These new packs directly copy the style and appearance of American, British, German and Japanese brands, rejecting the old, traditional imagery. Nevertheless, in that the abstract nature of the western style designs does not allow the average consumer to form any close


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relationship with the product, these packs, so very “modern”, all too inspired by foreign design, can only constitute an intermediary stage. Very soon the growing awareness of a cultural identity, the highly pronounced national and local pride and patriotism of the Chinese eighty-four percent of whom are extremely proud of their home country - will lead to a new trend. Surveys show that currently those who can afford it tend to buy imported brands, but that given the same quality, many of them would prefer local products that they would identify better with. When the Chinese learn to revere their historic roots and culture, this will also help them to develop their own distinctive style of packaging. The future of Chinese packaging design clearly lies in the usage of typical Chinese colours, symbols and compositional elements that conform to the Chinese mentality and to Chinese tastes. Few people know that today China holds pride of place in refinement of cigarette packs, no other country on earth can boast as many cigarette packs so elaborately grafted with metallic colours, shiny finishes, printed laminates, reflective coatings and holograms than China. Crammed with visual effects the packs are considered luxury goods and, as such, people buy them willingly. For the Chinese, true experts in print finishes and convinced of the importance of special

effects, European technology is fundamental for practically creating what has been designed: thirty-five percent of all cigarette production lines installed in China bear the wording "made in Germany". Made in China Keeping up with the rapid economic changes is an enormous challenge for China, but there is still a lot of room for technological innovation in all the sectors of the packaging industry and for finding adequate solutions and intelligent concepts. Currently China still depends on imports to satisfy its needs. The vice president and general secretary of the China Packaging Technology Association (CPTA), Peking, Xie Rong-Quan, declared that in the coming years the Chinese government will invest 11 billion dollars in the packaging industry, considering this fundamental for satisfying the growing demand of the coming decade. One can indeed believe that, thanks to its great economic power and the new potentials of its design combined with western technology, China will soon flood the western markets with a new generation of goods and packaging that will turn the broadly negative meaning of “made in China” into a fully deserved acknowledgement of quality. As already occurred for Japanese design, Chinese design could finally become a model capable of turning the China of the future into what it already was a thousand years ago, the (celestial) “Middle Kingdom” [this the translation of the ideograms that form the word “China”, Tr.)

Christian Rommel is Managing Director of ROX Asia Consultancy Ltd. in Hong Kong, a consulting firm specialising in services in the Asian print and packaging market. Rommel has published the books China Packaging (C. Rommel, 1998) www.chinapackaging.de and Little Treasures (ROX special editions, 2003) www.little-treasures.de and owns a collection of 11,000 Chinese cigarette packs collected over the last three decades.



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la Luna e la Peonia A Hong Kong i professionisti della grafica si chiamano Kan & Lau. Tradizione e contemporaneità, Oriente e Occidente si fondono nel packaging di due rinomati designer cinesi. Sonia Pedrazzini

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Hong Kong. L’agenzia si occupa di progettazione e creatività a tutto tondo: dalla pubblicità all’immagine coordinata, dal packaging al progetto industriale, allestimenti, attività culturali, persino arte pubblica. Non solo, grazie a un team di validi collaboratori internazionali e multiculturali, lo sviluppo dei nuovi prodotti riguarda sia i mercati asiatici che quelli americani. Oriente e Occidente si

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Kan & Lau Design Consultants è una delle più importanti agenzie di grafica di Hong Kong. Lo studio opera dal 1976 e i suoi fondatori, Kan Tai Keung e Lau Freedman, sono noti creativi, insigniti di premi e menzioni sia livello nazionale che internazionale. Nel 1993 Kan è stato segnalato da IDEA come uno dei 100 migliori designer, mentre Lau figura di spicco anche nel settore del disegno industriale - ha vinto il premio di “Artist of the year” di


BRIC identikit incontrano e si fondono sotto forma di confezioni, scatole, bottiglie, prodotti e oggetti in genere, tutti rigorosamente ad alto tasso di professionalità. Tra le svariate creazioni dei due progettisti alcune più recenti meritano di esser citate, come il trofeo per il China Top Ten Benefiting Laureus Sport for Good del 2004 - meglio conosciuto come Oscar per lo sport - realizzato unendo tra loro le sagome stilizzate degli atleti in movimento, le cui figure sono state tratte dalla mappa Dao Yin, una delle più antiche testimonianze relative alle attività sportive; oppure il logo del nuovo canale televisivo CCTV News, in cui si è voluto integrare la parola inglese “news” nell’ideogramma cinese corrispondente, prestando grande attenzione alla fusione tra

calligrafia orientale e alfabeto occidentale; o ancora, il lavoro di concept e immagine coordinata per il marchio cinese di abbigliamento per bambini Aico, in cui mascotte e pupazzetti occhieggiano alla grafica dei manga giapponesi. Abbiamo intervistato Kan Tai Keung, uno dei soci fondatori dello studio e dal 2003 docente alla Cheung Kong School of Art and Design dell’Università di Shantou. Considerando l’incredibile crescita economica e le trasformazioni sociali in atto, come è cambiato il packaging in Cina nell’ultimo decennio e come cambierà? La crescita economica cinese negli ultimi dieci anni è stata rapida e ovvia; il benessere sociale ha fatto aumentare il potere


identikit d’acquisto delle persone e ha di conseguenza rafforzato il mercato locale. Oggi le aziende in Cina valutano non solo la quantità della produzione ma prestano particolare attenzione anche alla qualità dei loro prodotti. Un buon design è diventato quindi fondamentale; se poi viene situato in un ambiente che favorisce la competizione è facile che il brand arrivi al successo. Un design attento e un packaging ricercato fanno insomma aumentare la competitività del prodotto. Quali sono le principali differenze tra un packaging disegnato da un progettista orientale e da uno occidentale? In realtà, l’obiettivo principale di un designer, orientale o occidentale che sia, è il medesimo: soddisfare

le funzioni essenziali della progettazione. Sicuramente i designer orientali sono stati influenzati dai moderni concetti occidentali, ma bisogna anche dire che essi riescono con più facilità a soddisfare i bisogni del mercato asiatico, proprio perché conoscono più a fondo le abitudini di vita dei loro connazionali. Inoltre, per loro, sarà più facile instillare nelle aziende locali i principi per una nuova cultura del brand. Fare il pack-designer in Cina è una professione vincente? Qui da noi il packaging design si sta sviluppando molto, e offre ancora grandi spazi all’ottimizzazione e al miglioramento; per sostenere questa crescita, l’industria ha sempre bisogno di nuovi talenti e, per questo motivo, i designer dovrebbero


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identikit lavorare duro per raggiungere standard molto elevati e costruire una propria etica. È anche molto importante il rispetto reciproco e la collaborazione tra aziende e progettisti. Si tratta comunque di un tipo di professionalità ancora molto giovane in Cina e, pertanto, non può che potenziarsi ulteriormente. Potete raccontarci un vostro progetto di packaging particolarmente ben riuscito? Un esempio significativo è il lavoro per Wingwah Cakeshop, una casa dolciaria tradizionale cinese che aveva negozi dedicati solo ai clienti locali. Dopo l’intervento globale di brand identità, la creazione di un nuovo imballaggio e di un nuovo marchio, Wingwah è diventata una pasticceria moderna e di respiro internazionale, così aperta al mercato del turismo da trasformarsi in breve in uno dei più famosi negozi di regalistica e souvenir dolciari. In questo caso è molto evidente che, a contribuire allo sviluppo e all’espansione commerciale di questo marchio, hanno avuto grande peso sia il lavoro di brand identity che di totale innovazione del packaging.

A tal proposito, alle parole di Kan Tai Keung vorremmo aggiungere che, per quanto riguarda il nuovo logo aziendale, i caratteri del nome sono stati inscritti in un quadrato e in un cerchio, corrispondenti, rispettivamente, alla forma di una torta cinese e di una luna piena. Nell’intersezione delle due figure si intravede una peonia, altro storico simbolo dell’azienda e perciò meritevole di essere citato, in quanto, come afferma il designer stesso, quando si rinnova l’immagine di un cliente non bisogna comunque mai dimenticare le sue origini, la sua storia e la sua filosofia; invece, per ciò che concerne le confezioni, sono state create ex novo shopping bag del negozio, sacchetti per le tradizionali salsicce cinesi e le confezioni delle torte “wife” e “mini moon”. Il classico e più conosciuto “traditional moon cake”, per non stravolgerne la memoria, ha solo subito un restyling, sono stati mantenuti alcuni caratteri dell’imballaggio precedente - il colore blu con la luna e la peonia ma oltre al nuovo logo, sono state apportate significative migliorie.

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The Moon and the Peonia In Hong Kong the top professionals of graphics go under the name of Kan & Lau. Tradition and the contemporary, East and West combine in the packaging of two reputed Chinese designers. Sonia Pedrazzini

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Kan & Lau Design Consultants is one of the most important graphics agencies in Hong Kong. The studio has been operating since 1976 and its two founders, Kan Tai-keung and Freeman Lau, are two well-known designers who have won many awards and acknowledgements at both national and international level. In 1993 Kan was selected by IDEA as one of the 100 best designers, whereas Lau - leading figure in the industrial design segment - won the Hong Kong “artist of the year” award. The agency concerns itself with design and creativity all round: from advertising to coordinated image, from packaging to industrial design, exhibition design, cultural activities, even public art. Not only that, thanks to a valid team of international, multicultural coworkers, the development of new products covers both the Asian as well as American markets. East and West encounter and meet up in the form of packs, boxes, bottles, products and objects in general, all rigorously highly professional.

Among the array of creations by the two designers some of the more recent deserve a mention, like the trophy for the China Top Ten Benefiting Laureus Sport for Good of the year 2004 - better known as Sports Oscar - made by combining the stylised silhouettes of the athletes in movement, the figures being drawn from the Dao Yin map, one of the oldest testimonies of sporting activities; or the logo of the new CCTV News TV channel, where the English word ‘news’ has been integrated with the Chinese ideogram for correspondent, great care being taken in blending the eastern calligraphy and the western alphabet; or again, the work on the concept and coordinated image of the Chinese children’s clothing brand Aico, where mascots and cloth dolls tip a wink at the graphics of the Japanese Manga. We interviewed Kan Tai Keung, one of the founder members of the studio and since 2003 lecturer at the Cheung Kong School of Art and Design at the University of Shantou. Considering the huge economic and social changes underway, how has packaging in China changed over these last decades and how will it change in the future? China’s economic growth in the last decade was speedy and is there for all to see. Social improvements have helped strengthen local markets as people’s purchasing power increased. Nowadays Chinese enterprises are not only appreciated for the quantity produced, but also for their care for quality of their products. Hence


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a good product design is fundamental. Place the former in a competitive scenario and you can get a successful local brand. A unique design and packaging contributes to sharpening the competitive edge. What are the main differences between packaging created by an oriental and a western designer? I would say that oriental and western designers aim at the same thing. That is to fulfil the basic function of design. Oriental designers have been influenced by the modern western design concept. However, they are better positioned to meet the needs of the oriental market as they are intimately acquainted with oriental living habits. They are more suited for building up the branding culture of local enterprise. Is it easy to become a successful packaging designer in China? Packaging design in China is going through a phase of development. There is still huge room for improvement. The industry needs talent to help foster this growth. For example, designers should construct their own ethics and keep up a level of high quality. Moreover, how enterprises cooperate with designers and how they respect the industry is important. The design profession in China is still in its infancy, a lot more still needs to be done. Could you briefly mention one of your most successful projects? Our work for Wingwah Cakeshop is a good

example. Initially a traditional Chinese bakeshop that only served local customers, after working on the brand identity, designing new packaging and a new brand logo, Wingwah was turned into a modern, international type confectioner, so much so that it has rapidly become one of the most successful Chinese confectionary souvenir and gift stores. The new brand identity and packaging design helped pave the way for its highly successful market expansion. On this count, we wish to add to Kan Tai Keung’s words that, as far as the new company logo is concerned, the characters of the name have been inscribed in a square and a circle, respectively corresponding to the shape of a Chinese cake and a full moon. A peonia is formed at the intersection of the two figures, another historic symbol of the company and thus worthy of mention, inasmuch as, the designer states, when you renew the image of a client you can in no way afford to overlook their origins, their history and their philosophy; in turn, as far as the packaging is concerned, the shop carrier bags, bags for the traditional Chinese sausage and the packs for the “wife” and “mini moon” cakes were all revamped. The classic “traditional moon cake” only underwent restyling, so as not to impinge on its timehonored image. Indeed, some of the features of the preceding packaging were kept - the color blue with the moon and peonia - but as well as the new logo, other significant improvements have been made.

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NELL’ARTE DEI FRATELLI LUO UNA FUSION DI ELEMENTI ETEROGENEI CHE RIFLETTONO LA CAOTICA VITALITÀ DELLA CINA DI OGGI. Marco Senaldi Photo: courtesy Art Beatus Gallery

We are moving, 2006

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Decisamente, è il momento della Cina. Da circa un quinquennio l’arte cinese contemporanea sta attraendo con prepotenza l’attenzione degli osservatori occidentali e non solo al traino della inarrestabile ascesa economica del Paese, ma con una vitalità e un’esuberante indipendenza che la colloca, insieme al cinema e alla letteratura, tra le forme espressive più valide a livello internazionale. La transizione dal comunismo al consumismo è tuttora devastante, ma questo panorama sembra favorire gli artisti, liberi finalmente di poter esprimere il disagio sociale e insieme un’ironica riflessione sopra le sue conseguenze. Quello che ne emerge è una sorta di kitsch delirante, che il critico cinese Li Xiating ha definito Gaudy art, arte pacchiana, in pratica una fusion di simboli antichissimi con la mitologia mercantile delle multinazionali. In questo contesto si distingue il lavoro dei Luo Brothers (Luo Weidong, Luo Weibing e Luo Weinguo), originari della regione del Guanxi, che hanno cominciato a lavorare insieme nel 1996. Una delle loro caratteristiche è quella di aver adoperato una tecnica tradizionalmente decorativa, la lacca, come codice espressivo straniante in grado di fondere l’imagerie tradizionale con i brand più noti del mondo occidentale. Ne risultano quadri dai colori brillanti, opere su carta e seducenti superfici laccate, in cui elementi della tradizione pittorica si mischiano alle immagini della propaganda maoista, che a loro volta vengono contaminate dai simboli del consumo e della tecnologia: così, bimbi mitologici stringono bottiglie di Fanta e impugnano telefonini Motorola, mentre Mao si erge salutando la folla. L’estetica del trio cinese è dunque una forma di pop elevata a potenza, una iper- o fanta-pop art. Ma in questo contesto popular non si riferisce solo alla cultura di massa, nel senso occidentale del termine, ma assorbe anche un retro-significato ideologico relativo al concetto comunista di “popolo” - in quanto soggetto storico centrale e sovrano. Da questo punto di vista, anche se può sembrare che queste opere celebrino solamente un gioco kitsch di


Welcome the World Famous Brand, 2006, lacca e pittura su legno

commistione culturale, di fatto esse trattengono la memoria del passato più recente e di quello lontano o lontanissimo. Alla fine, a rivelare inattese parentele con gli ancestrali motivi ornamentali cinesi è proprio la cosa più moderna, la lattina di Fanta. In questa intervista i fratelli Luo spiegano i motivi del loro lavoro con un’inattesa (ma perfetta) concisione Zen. Le vostre opere sono piuttosto complesse e presentano un vasto repertorio di elementi; a cosa vi ispirate per queste immagini? Traiamo ispirazione principalmente dalle ricche risorse storiche e culturali della civiltà e della tradizione cinese. Le radici del nostro lavoro si basano su un’arte popolare, mentre la struttura si compone di elementi che posseggono ed esprimono valori totalmente contemporanei.

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Le vostre opere sono realizzate con lacca e pittura su legno; perché utilizzate questa tecnica? La lacca è un’antica forma d’arte cinese. Quando si unisce alla pittura, la lacca regala alcuni effetti complementari che aiutano ad elevare l’impatto visivo dell’opera. La utilizziamo perché siamo convinti che questo materiale esprima pienamente ciò che intendiamo realizzare. Il vostro lavoro sembra avere dei tratti ironici nei confronti delle vecchie immagini di propaganda comunista... Non usiamo la nostra arte per trasmettere intenzionalmente messaggi ironici. Vorremmo sfruttare la pubblicità e gli spot per trasmettere le nostre idee. Naturalmente il fruitore è libero di formarsi un proprio giudizio.


Nei vostri quadri inserite anche oggetti di consumo (lattine di Fanta, cellulari, bottiglie di Coca Cola, etc.); perché? Siamo nati nella generazione che ha visto la Cina aprire le porte al mondo. Bibite, cellulari, Coca Cola ecc. sono le merci del nostro tempo. È assolutamente naturale che compaiano nei nostri quadri. Stiamo percorrendo lo stesso cammino in cui è passato l’Occidente tra gli anni ‘60 e ‘80. Ed è questa le ragione per cui gli occidentali comprendono l’arte contemporanea cinese e la considerano così interessante. Molti oggetti che usiamo in Occidente (cellulari, giocattoli, computer, scarpe) sono made in China. Come vedete questa situazione? È normale, anche noi dobbiamo fare un po’ di soldi...

Luo Brothers Self Portraits, 2004


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The Luo Brothers The art of the Luo brothers constitutes a blend of heterogeneous elements that reflect the chaotic vitality of China today

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Marco Senaldi No doubt about it, it’s China’s moment. For around five years now Chinese contemporary art has been overpoweringly drawing the attention of western observers - and not only in the wake of the irresistible economic rise of the Country, but with a vitality and an exuberant independence that places Chines contemporary art, along with cinema and literature, among the most valid expressive forms at international level. The transformation from communism to consumerism is still having devastating effects, but the general scene seems to favour the artist, finally free and able to express social unease along with ironic reflections as to its consequences. What emerges is a sort of delirious kitsch, that the critic Li Xiating has defined Gaudy art, practically speaking a blend of ancient symbols with the merchant mythology of the multinationals. In this context the work of the Luo Borthers (Luo Weidong, Luo Weibing and Luo Weinguo), from the Guanxi region and that began working together in 1996 comes to the fore. One of their characteristics is that of having used a traditionally decorative technique, oriental lacquering, as an extraneating expressive code capable of merging traditional imagery with the best known western brands, The result is pictures with bright colors, works on paper and seductive lacquered surface, in which the elements of pictorial tradition mix with the images of Maoist propaganda, that are in turn contaminated by the symbols of consumerism and of technology: thus, mythological babies clutch bottles of Fanta and grip Motorola cell phones while Mao rises up to salute the crowds. The aesthetics of the Chinese trio is hence a form of pop raised to power, a hyper- or phanta- pop art. But in this popular context the reference is not only to mass culture, in the western sense of the term, but it also absorbs an ideological after-meaning of the communist concept of “people” inasmuch as a central historical and sovereign concept. From this point of view, even if it may seem that these works only celebrate a play on kitsch, a cultural mixité, they in fact contain memories of the

most recent, less recent and far distant past. In the end it is the most modern of objects that reveals unexpected relations with the ancestral ornamental Chinese motifs, the Fanta tin. In this interview the brothers explains the reason behind their work with an unexpected (but perfect) zen concision. Your works are fairly complex and present a vast repertoire of elements; what has inspired these images? We mainly draw inspiration from the rich historical and cultural resources of the Chinese tradition. The roots of our work are based on popular art while the structure is made up of elements that possess and express totally contemporary values. Your works are created with lacquer and paint on wood; why do you use this technique? Lacquer is an ancient Chinese art form. When it is combined with painting, the enamel also gives complementary effects that enhance the visual impact of the work. We use it because we are convinced that this material fully expresses what we intend creating. Your work appears to have some ironic features in terms of the old communist propaganda images… We do not use our art to intentionally transmit ironic messages. We want to exploit general and TV advertising for transmitting our ideas. Naturally the viewer is free to form his own judgement. In your pictures you also insert consumer objects (Fanta tins, cell phones, Coca Cola bottles, etc.); why? We were born into the generation that has seen China open its gates to the world. Soft drinks, cell phones, Coca Cola etc. are the goods of our time. It is absolutely natural that they appear in our pictures. We are treading the same path taken by the West between the sixties and the eighties. And this is why the West understands Chinese contemporary art and considers it interesting. Many objects that we use in the West (cell phones, toys, computers, shoes) are made in China. How do you see this situation? It is normal, we too have to make some money…


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Made in CHINA

“... Non chiedere che cosa può fare la Cina per te, ma cosa puoi fare tu per la Cina” [Wu Ming] Francalma Nieddu

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In occasione del Salone del Mobile di un paio d’anni fa, a Milano, Opos, incubatore di giovani designer e promotore di ricerca e sperimentazione nel campo del design e dell’architettura, aveva risposto a questa citazione-invito in maniera ironica. Il tentativo, per prima cosa, era di analizzare come l’occidente reagisce allo spostarsi di mercati e produzione a est e al relativo cambiamento sociale, culturale ed economico che ne deriva; secondo, di osservare l’allarme generale delle grandi nazioni capitalistiche che vedono insidiata la loro leadership economica; ma anche di riflettere su come il risveglio del “gigante addormentato” Cina porti a nuovi modi di intendere il design generando un ripensamento delle merci e dell’immaginario consumista.

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Una progressiva egemonia economica da parte della Cina che corrisponde a una


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leadership culturale ed estetica, un processo di colonizzazione e imperialismo culturale che va da est a ovest… Oltre che dalle merci cinesi saremo invasi dallo stile, dalla cultura, dal pensiero cinese? Al grido di “Made in China” ecco le risposte. I designer Lara Rettondini e Oscar Brito con Chinese look ipotizzano che, come gli Stati Uniti nel secolo scorso, la Cina diventi un modello estetico dominante in occidente. Un “gioiello ortopedico” che

modifica il taglio degli occhi occidentali facendolo diventare a mandorla, per vedere il mondo come i cinesi. Completano il concetto Giallo di LeftLoft: un marchio di una serie di cosmetici e di capi di abbigliamento per la donna occidentale in sintonia con l’estetica cinese: capelli lisci, poco seno, colore della pelle giallo. E per allenarsi a riconoscere le differenze nei visi cinesi Memolee di Andrea Meregalli e Maddalena Merlo, un memory per occidentali.

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Anche a tavola l’influenza della cultura culinaria cinese sarà presente. Per rendere più domestica questa “invasione” ecco China Pack, rotolo di bacchette usa e getta in una confezione dispenser stile DomoPak arricchito da ideogrammi e simbologie cinesi dei designer Bigatti, Astori e Scarsellini. La posata usa e getta B-side di Alessandro Busana, da poco in produzione, offre la possibilità di essere utilizzata per mangiare secondo la tradizione occidentale, da un lato, e secondo la cultura orientale dall’altro. La scelta del lato rende possibile comunicare a tavola la propria cultura d’origine o l’apertura verso nuovi stili di vita e abitudini. Twist and Taste di Gianmaria Sforza, un kit di degustazione orientale, crea una gestualità ibrida fra cultura orientale e occidentale. Formato da un’unica posata di legno con funzione di bacchette, risulta nuova per gli


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orientali e più semplice da usare per gli occidentali perché formata da tre - anziché due bacchette, più un piatto a spirale che miscela condimento e cibo.

Realizzare il prototipo di un progetto in Occidente e spedirlo in Cina perché venga ri-prodotto è normale, ma ha un’inevitabile conseguenza: la Cina si è a tal punto specializzata nella ripetizione di modelli, che i confini tra originalità e falsificazione sono divenuti estremamente labili. Cloned in China sottolinea le conseguenze deleterie di questo fenomeno sull’economia e sulla cultura cinesi, già messe a dura prova da un aumento demografico senza precedenti.

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Infine, gli aspetti legati alla sfera sessuale sono rivisitati secondo un ottica occidentale, come FUCK IN ITALY di Im Bau Dissociati. Sono confezioni di profilattici su cui è impressa la

serigrafia delle più importanti torri nazionali, esempi di monumentali erezioni che fanno dire ai turisti “Italians do it better”: un modo più etico d’interpretare il turismo sessuale. E il dildo di Samuel Accoceberry chiamato Soft Acupuncture è la soluzione parallela al programma di controllo demografico, un problema tanto importante in Cina da essere regolamentato dalla legge. Il progetto unisce riferimenti della cultura tradizionale cinese (la forma è un’evoluzione del classico cucchiaio cinese; il drago è un tema tipico nelle ceramiche tradizionali e nel tatuaggio) con richiami alla libertà e alla disinvoltura sessuale occidentale.

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Finirà l’era in cui le aziende occidentali nascondevano la dicitura “Made in China” con firme prestigiose. DRAGOSTE, etichetta “cheap” dichiaratamente cinese che rende fashion qualsiasi capo sostituirà ogni altra firma. Al lancio sul mercato non vi sarà più alcuna nostalgia del “coccodrillo”: il must, ipotizzano i designer Andrea Meregalli e Maddalena Merlo, sarà un dragone. I 99IC e AAPA Architetti Associati fanno invece una riflessione politicamente scorretta: con il normografo China l’Occidente si rivolge alla Cina nell’unica lingua veramente condivisa, quella del logo, inesauribile fonte di valore aggiunto. Lo strumento, che raffigura marchi privi del 20% del loro carattere originale, lascia comunque il dovuto spazio alle bizzarre interpretazioni legislative delle Corti cinesi sulla proprietà intellettuale e i brevetti. Cloned in China di Fioravanti, Franzato e Galisai prevede oggetti classici della cultura e dell’immaginario cinese sdoppiati in due esemplari identici, come accade per le cellule, mantenendo lo stesso corredo cromosomico. Questi oggetti rappresentano una riflessione sulla produzione e ri-produzione di prodotti.


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Made in China “…Ask not what China can do for you, ask what you can do for China” (Wu Ming) Francalma Nieddu At the Salone del Mobile in Milan a couple of years ago, Opos, an incubator of young designers and promoter of research and experimentation in the field of design and architecture, responded to this quote-invitation in a tongue-in-cheek fashion. They attempted, first and foremost, to analyse how the West is reacting to the shifting of markets and production to the East and the relative social, cultural and economic changes deriving from this. Secondly, they observed the general alarm of the large capitalist nations who see their economic leadership being undermined. However, they also reflected on how waking the sleeping giant of China is bringing new meanings of design and generating a re-examination of products and of consumer imagination.

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A gradual economic hegemony on China’s part which corresponds to a cultural and aesthetic leadership, a process of colonialisation and cultural imperialism that moves from East to West… Are we being invaded by Chinese style, culture, and philosophy as well as by their products? To the cry of “Made in China” here are the answers. With Chinese look Designers Lara Rettondini and Oscar Brito hypothesise that, like the United States in the last century, China will become a dominating aesthetic model in the West. It is an “orthopaedic jewel” which modifies the shape of western eyes making them almond shaped in

order to see the world as Chinese do. Giallo by LeftLoft completes the concept: a range of cosmetics and clothing for the western woman in tune with Chinese aesthetics: straight hair, flat chests, yellow skin. And to educate us to the differences in Chinese faces there is Memolee by Andrea Meregalli and Maddalena Merlo, a memory for westerners. At the dining table the influence of Chinese cuisine will also be felt. To make this “invasion” more homely we have here China Pack, a roll of disposable chopsticks in a Domopak style dispenser, embellished with ideograms and Chinese symbols, by designers Bigatti, Astori and Scarsellini. The disposable cutlery B-side by Alessandro Busana, which recently went into production, means you can choose one side to eat western style and the other to eat oriental style. By choosing you can reveal your cultural origins or your openness towards new lifestyles and habits at the dining table. Twist and Taste by Gianmaria Sforza, an oriental tasting kit, leads to a series of gestures which are a hybrid of oriental and western cultures. Made of a single wooden piece of cutlery used as a chopstick, it is something new for Orientals and easier to use for westerners as it is made of three- rather than two- chopsticks, plus a spiral dish which blends seasonings and food. The days when western companies hid the lettering “Made in China” with prestigious brand names will come to an end. DRAGOSTE, a “cheap” and expressly Chinese label, which makes any garment fashion, will replace every other label. At the market launch there won’t be any nostalgia for the “crocodile”: the new “must have”, hypothesise designers Andrea Meregalli and Maddalena Merlo, will be a dragon.


design box

99IC and AAPA designers instead make a politically uncorrect observation: with the stencil China the West addresses China in the only language they truly share - the logo. An inexhaustible source of added value. The tool, which depicts trademarks stripped of 20% of their original character, leaves due space for the bizarre legislative interpretations of Chinese courts regarding intellectual property and patents. Cloned in China by Fioravanti, Franzato and Galisai anticipates classic objects from Chinese culture and collective imagination split into two identical models, like cells, maintaining the same number of chromosomes. These objects are a reflection on the manufacturing and reproduction of products. Making the prototype of a design in the West and sending it to China so that it can be reproduced is normal, but has an inevitable consequence. At this stage China is so specialised in imitating models that the edges between what is genuine and what is false have become extremely blurred.

Cloned in China emphasises the harmful repercussions of this phenomenon on the Chinese economy and culture, already taxed by an unprecedented population explosion. Finally, the aspects linked to the sexual sphere are revisited from a western perspective, like FUCK IN ITALY by Im Bau Dissociati. These are packets of condoms printed with the tallest Italian towers, examples of monumental erections which force tourists to say “Italians do it better�: a more ethical way of interpreting sexual tourism. And the dildo by Samuel Accoceberry, named Soft Acupuncture, is a parallel solution to the birth control programme, a problem which is so serious in China it is regulated by the law. The project combines references from Chinese traditional culture (the shape is an evolution of the classic Chinese spoon; the dragon is a typical theme in traditional ceramics and in tattoos) with echoes of western sexual freedom and lack of inhibition.

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tools Siamo ormai abituati ai prodotti cinesi che imitano quasi alla perfezione quelli occidentali come insegna il recente caso della China’s Montresor Food che ha realizzato un cioccolatino identico al famoso Ferrero Rocher (e ha di conseguenza dovuto ritirarlo dal commercio). Ma esiste anche chi progetta e realizza packaging di prodotti “Made in China” senza voler imitare alcun marchio occidentale. Xiao Yong, designer cinese incontrato in occasione del convegno Profile Intermedia 9 a Brema lo scorso dicembre,

timida e gentile, che però spiazza per la forza delle sue proposte grafiche, riconosciuta da più di 40 premi internazionali. Dal 2000 al 2003 è stato direttore editoriale di Art & Design, la rivista leader di design in Cina, ed è attualmente Board Member della China Industrial Design Association oltre che professore di design alla CAFA Central Academy of Fine Art di Beijing. I suoi poster sono presenti in gallerie e importanti musei; sono suoi i progetti sociali e pubblici per le istituzioni statali cinesi. Ha disegnato più di 200 loghi e

dagli ideogrammi cinesi che a volte diventano l’elemento grafico predominante. Come la confezione per liquore JINGJIU, con l’ideogramma cinese in verticale al centro dell’etichetta della bottiglia e sul packaging, con i colori rosso e oro in tipico stile cinese. Per weiwei, azienda cinese leader nel settore food, Yong ha disegnato il packaging della crema di mais, con un’impostazione grafica che esalta la qualità naturale e biologica del prodotto, grazie all’immagine della ciotola

Originale Cinese Xiao Yong, ovvero non sempre i cinesi ci imitano Francalma Nieddu risente sicuramente dell’influenza di culture diverse, ma ha ormai sviluppato una personalità completamente originale. Il convegno, che aveva come tema il confronto e le contaminazioni fra i diversi linguaggi del design, proponeva, accanto al design “Made in Italy”, (sezione curata da chi scrive), anche il “Made in China”, di cui Xiao Yong si è fatto portavoce con i suoi quattro studi di design.

attorniata dalle pannocchie di mais. Altrettanto forte e particolare è il progetto editoriale del volume dedicato all’opera di Arata Isozaki, la cui forma curva esprime lo stile futuristico dell’architetto giapponese. Tutto ciò e molto altro ancora nel suo sito. Forse è giunto per noi il momento di cominciare ad allenarci con gli ideogrammi cinesi... il pack del futuro parla orientale. 1/07

Francalma Nieddu, designer ed esperta di design strategico, dirige insieme a Olav Junke ad Amburgo lo studio di immagine coordinata e packaging ondesign.

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Yong miscela alla formazione cinese le influenze nordeuropee dovute agli studi compiuti in Danimarca, Germania e Finlandia. Si presenta come una persona

l’immagine coordinata di importanti eventi come il Beijing 2008 Olympic Cultural Festival. La cosa che lascia perplessi è che, al convegno, Xiao Yong non ha presentato la parte del suo lavoro relativa al packaging e che questa non è reperibile neppure nel suo website in inglese. È solo nella versione cinese del sito, quasi come una parte da tenere privata e riservata, che egli svela usi e costumi dei suoi connazionali sempre più occidentalizzati. Esempi di packaging di prodotti alimentari e cosmetici, alcuni tipicamente cinesi, sono accompagnati da piccole e brevi descrizioni: tutti caratterizzati


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Francalma Nieddu We are now used to Chinese manufacturers who copy western producers almost to perfection - as shown in the recent case of China’s Montresor Food which made a chocolate identical to the famous Ferrero Rocher (and consequently had to take it off the market). But there are also those who design and make packaging for “Made in China” products without any desire to copy a western brand. Xiao Yong, the Chinese designer who we met at the Profile Intermedia 9 conference in Bremen in December is almost certainly influenced by different cultures but has now developed a totally original personality. The conference, whose theme was the comparison and cross pollution between various design mediums, promoted “Made in China” as well as “Made in Italy” design (the section curated by the writer of this piece), for which Xiao Yong, with his four design studios, was an ambassador. Yong mixes North European influences with his Chinese training thanks to the time he spent

Francalma Nieddu, designer and strategic design expert, along with Olav Junke heads the Hamburg corporate image and packaging design studio ondesign.

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Xiao Yong - Or rather: the Chinese don’t always copy us

studying in Denmark, Germany and Finland. He is a shy and gentle person who catches you off guard with the power of his graphics, which have won over 40 international awards. From 2000 to 2003 he was the editor of Art & Design, the leading design magazine in China and currently he is Board Member of the China Industrial Design Association as well as design professor at the CAFA Central Academy of Fine Arts in Beijing. His posters are found in galleries and important museums and he is responsible for the social and public projects of Chinese governmental institutions. He has designed over 200 logos and the co-ordinated image of important events such as the Beijing 2008 Olympic Cultural Festival. The puzzling thing is that Xiao Yong did not present the part of his work relevant to packaging at the conference. Indeed, it is also missing from his English language website. It is only in the Chinese version of the site, almost as though it were something he wished to keep private and confidential as it reveals the habits and customs of his increasingly westernised compatriots. Examples of packaging of food and cosmetics products, some typically Chinese, are accompanied by small, brief descriptions: all characterised by Chinese ideograms which, at times, become the predominant graphic component. Like the packaging for JINGJIU liqueur, with the vertical ideogram at the centre of the bottle label and on the packaging, in typical Chinese red and gold. For weiwei, leading Chinese company in the food sector, Yong has designed the packaging of cream of sweet corn, with a graphic layout that exalts the natural and organic properties of the product with the image of the bowl surrounded by corncobs. His publishing project for the book dedicated to the work of Arata Isozaki, whose curvy shape expresses the futuristic style of the Japanese architect, is just as strong and unusual. There is all this and much more on his web-site. Perhaps the moment has arrived for us to begin to practice Chinese ideograms... The pack of the future speaks an oriental tongue.

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Scatole Cinesi Problema: come si confronta il designer con i limiti che le macchine impongono alla sua creatività? Soluzione: accetta i limiti imposti, crea nuove macchine o le ignora. “Ignorare le macchine” funziona solo in Cina. Junio Caselli e Nicola Romagnani - fotografie di Junio Caselli Le hanno regalato un iPod nano, 4 giga di libertà per l'autoconsumo digitale di suoni armonici. Un po' di forza e di attenzione per estrarre l'oggetto dal cofanetto - a lei non verrebbe mai di definirlo semplicemente “scatola” così come l'iPod non è un “oggetto” - ed ora se lo può godere. Almeno sedici i punti di colla sparsi sulla superficie bianca e nera del cartone della confezione: è quasi impossibile realizzare una macchina in grado di fare questa operazione che sia anche economicamente vantaggiosa. Ma qua, in Cina, non si parla di macchine, ma di 200 operai che lavorano in assenza di macchine e che alla fine dell'anno trasformano incollando, piegando, incollando di nuovo, ripiegando e richiudendo oltre 5000 tonnellate di carta.

Tim Kobe e Wilhelm Oehl dell'Eight Inc. di San Francisco hanno disegnato la lussuosa confezione minimalista per Jonathan Ive, guru del design Apple, e nessuno di loro deve aver pensato a come sarebbe stata prodotta: la Apple ha come interlocutore una commerciale americana che dice no problem e che tiene i contatti con la trading cinese, che è quella che trova i Mr. Li. Facce da caratteristi di b-movie: duri coi cinesi, devono però essere graditi agli occidentali. Ci provano con

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Mr. Li, titolare della Shen Xiang Ind., mostra orgoglioso la confezione patinata e, nell'inglese di chi non lo sa neanche leggere, cita solo alcuni tra i suoi remoti clienti di punta: Apple, Tefal, Fischer, Bayer, Sony,

Kodak. Ci facciamo spiegare il processo di produzione ma qualcosa si perde con la traduzione. Ce ne accorgiamo durante la visita: noi intendevamo “macchinario” lui capiva “attrezzo”, noi ci immaginavamo una “Vega” lui intendeva “un pennello” in mano a file di operaie col grembiule blu a fare le stesse azioni milioni di volte senza potersi fermare. Mr. Li ama dire: no problem. Le sue operaie sanno fare tutto in maniera perfetta, salvo lievi difetti cui la gente non fa neanche caso.

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gessati fuori moda fin dalla grande depressione.

Lei estrae cuffie, custodia di vellutino e cavo usb. Collega l'iPod al Mac. È un po' emozionata. Fa tutte le prove: accende, spegne, riaccende. Non fa neanche caso al lieve difetto: l'odore di solvente che avvolge la confezione - cofanetto direbbe lei - e la custodia. A lei interessa soltanto “baby one

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more time” in metropolitana la mattina ed essere una consumatrice esclusiva. In Cina il packaging non lo si progetta. Lo si fa. Le trading companies hanno spesso disegni ufficiali - “By Apple in California”, sta scritto sul cofanetto - che poi usano per il committente occidentale e per tutto quello che può far loro comodo mettervi dentro: un gioco per bambini, un mp3 player China Export, una camera d'aria, un dado da brodo. Per la grafica poi usano le immagini di Internet, con il difetto che particolari e proporzioni si perdono e

che non le sanno integrare con gusto occidentale. Per i testi trattano le parole scomponendole in lineette e punti che copiano a occhio. Leggerli è uno spasso: umorismo involontario. Questa contaminazione unilaterale ha portato a un paradosso: scatole pensate in Occidente per i prodotti occidentali assemblati in Cina finiscono, decorate con ideogrammi

e dragoni, a contenere prodotti per il mercato cinese.

Al Sanlitun Yashow Market una signorina dagli occhi allungati sta cantando “bèbi uàn mò tài”. Contaminazione unilaterale. Lei non canticchierebbe mai le hit di Zhang Hui Mei e, se qualcuno gliene mettesse una di soppiatto nell'iPod, la tratterebbe come qualcosa di portato dentro casa dal gatto. A Cupertino, alla Apple, vedono il prodotto perfetto e pensano a un macchinario da “Fabbrica di Cioccolato”, un colpo di stampo, un


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pezzo prodotto. La verità: la Shen Xiang Ind. ISO 9001:2000 in Cina rasenta l'eccellenza, ma di fatto opera in condizioni igieniche imbarazzanti e con macchinari inadeguati. Una platina manuale, una Heidelberg Speedmaster, un coltello da cucina (sic), Vinavil autarchico e alcuni pennelli, consentono a 18 persone di stampare, accoppiare, fustellare, separare e incollare circa 5

l'industria a svilupparsi nella direzione di “risparmio, pulizia e sicurezza”. Sì: risparmio, pulizia e sicurezza.

scatole al minuto. Non 5 a persona, cinque tutti e 18 insieme. Il che vuol dire che in 10 ore di lavoro 18 persone arrivano sì e no a produrre, ma ancora non a confezionare, circa 3000 scatole buone, scarti esclusi.

ripetibilità di un'azione (la base del metodo scientifico o della produzione industriale) perde senza troppi drammi la sua importanza, laddove la severità inconciliabile dell’occidentale dev’essere proprio così, e non cosà viene sostituita da un confuciano dev’essere così, ma va bene anche cosà: un Yin che se però è Yang va bene lo stesso. In Cina il packaging deve creare un rapporto personale tra l’oggetto che sta dentro e il consumatore che ne sta fuori. Il dragone o la fenice sulla scatola devono portare potenza e fortuna al cinese che se li mette in

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Shi Wanpeng, capo della Federazione Cinese Industria dell'Imballaggio, racconta che questo settore ha raggiunto i 50 miliardi di dollari, ma non immagina quanto faticoso sia caricarli e scaricarli tutti quanti a braccia. Il vice premier Zeng Peiyan afferma che la Cina “adotterà presto misure per incoraggiare l'imballaggio “verde” e promuovere

Grandi magazzini, supermercati, negozi, chioschi, mercatini: ogni forma di commercio ci ricorda come il concetto di qualità tipico dell’Occidente improvvisamente risulti così superfluo in Cina. La

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tasca quando compra quelle sigarette, non a tutto lo specifico target group di cui i nostri designer vorrebbero facesse parte se vivesse a New York o Parigi invece che a Beijing. Il nostro concetto di consumatore in Cina non ha tutto quel senso: noi ci permettiamo di avere dei diritti anche come consumatori, arriviamo a sentirci consumatori esclusivi; in Cina

portato a migliaia di chilometri, un aiutante-fotocopia che forse sogna un giorno di essere anch’egli così, senza sapere di esserlo già. Dietro di loro il lato buono dello stabilimento, la facciata presentabile: quella che metterebbero sulla brochure pieghevole se ne avessero una. E, prima di salutarci, tutti alla mensa. Vista la stanza si ha l’intima certezza che c’è più fantasia in questo nome

nessuno si preoccupa del cinesecome-fruitore di scatole di carta incollata. Di “cofanetti” direbbe lei.

che in tutto il packaging delle Industrie Shen Xiang.

Il minimal design della scatola iPod in Occidente è “less is more”; in Cina less is less. Nel packaging cinese, i cinesi vogliono l’eccesso, il paesaggio fantastico popolato di bestie. Nessuno vuol farsi mancare un pezzo dell’immaginario che popola i loro sogni di consumatori coscienti e informati. Mr. Li si mette in posa per una foto finale, di sé desidera lasciarci questo ricordo: il sorriso fiero e un po’ ingenuo di chi ha raggiunto il suo sogno, il volto contento di sapersi fotografato e

Lei si è annoiata. L'iPod ormai ce l'hanno anche le sue amiche. Per fortuna le hanno regalato una Sony DSC-M2, 5.1 mega pixel in forma di sottile e metallica bivalve, meraviglia ottica. Apre la scatola e non nota neanche che nella frase “ scatta le fotto e condividile con i tuoi amici” c'è una t di troppo. Junio Caselli, Nicola Romagnani sono tra i fondatori di Archita, agile strumento di ricerca e sviluppo per le aziende che vogliono innovare. Sono due tecnici, due visionari, due trend-setter. Amano risolvere i problemi, hanno trent'anni, guidano tra Lucca e Pisa le loro macchine sportive.


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Chinese Boxes Problem: how does a designer deal with the limits machines place on his creativity? Solution: he either accepts the imposed limits, creates new machines or ignores them. “Ignoring machines” only works in China. Junio Caselli and Nicola Romagnani photographs by Junio Caselli She was given an iPod nano with 4 GBs of space so she can listen to her music. Pulling the object out of the case - she would never dream of simply calling it a “box”, just as the iPod is no “object”- requires a bit of strength and concentration but now she can enjoy it. The black and white surface of the packaging is glued in at least sixteen places. It is almost impossible to make a machine that can do this and be economically advantageous. But here in China there are no machines, only 200 factory workers who work without machines and convert - gluing, folding, gluing again, folding again and closing- over 5,000 tons of paper every year.

In China packaging isn’t designed. It is “done”. Trading companies often have official designs “By Apple in California” it says on the case, which they then use for the Western customer and for anything they find handy to put in it: a toy, a China Export mp3 player, an inner tube, a stock cube. As for the graphics, they use pictures from the internet, with the problem that details and proportions are lost and that they are unable to integrate them with Western tastes. As for the wording, they copy it line by line and dot by dot. They are hilarious to read, though they are not meant to be funny. This unilateral contamination has led to a paradox: boxes conceived in the West for oriental products assembled in China end up decorated with ideograms and dragons containing products for the Chinese market. At the Sanlitun Yashow Market a young lady with almond shaped eyes is singing “bèbi uàn mò tài” It’s all one way. She would never hum the hits of Zhang Hui Mei and if anyone were to sneak one into her iPod, she would treat it as something the cat brought in. At Apple in Cupertino they see the perfect product and imagine the machinery to be like

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Tim Kobe and Wilhelm Oehl of Eight Inc. in San Francisco designed the luxurious minimalist packaging for Jonathon Ive, Apple design guru,

She takes out the headphones, light velvet case and USB cable. She connects the iPod to her Mac. She is a little excited. She tries it out, turns it on, turns it off, turns it on again. She doesn’t even notice the slight defect: the smell of solvent which impregnates the packaging - or the case as she would say - and the box. The only thing that she is interested in is listening to “Baby One More Time” on the underground in the morning and in being the only one to have one.

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Mr. Li, owner of Shen Xiang Ind., proudly shows off his shiny packaging and, in an English of someone not even capable of reading the language let alone speak it, mentions the names of some of his far-off main customers: Apple, Tefal, Fischer, Bayer, Sony, Kodak. We ask him to explain his production methods but something is lost in translation. We realise this when we are being shown round. We meant “machinery”, he understood “tool”, we imagined a “vega”, he meant paintbrushes held by rows of factory workers in blue overalls, carrying out the same operation millions of times without stopping. Mr. Li likes to say “No problem”. His factory workers can do everything faultlessly except for slight irregularities people don’t notice.

but neither of them could have imagined how it would be produced. Apple has an American commercial partner who also says “No problem.” and liases with a Chinese trading company, the one that comes up with all the Mr. Lis. Characteristic B-movie faces and heavy-handed with the Chinese, they must ingratiate themselves with westerners. They try by wearing suits which went out of fashion during the Great Depression.


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something out of “Charlie and the Chocolate Factory”, out of a mould emerges a piece. The truth: Shen Xiang Ind. ISO 9001:2000 in China borders on excellence but in fact operates in shaming hygienic conditions and with deficient machinery. A manual platen press, a Heidelberg Speedmaster, a kitchen knife (sic), home-made polyvinyl acetate adhesive and some brushes enable 18 people to stamp, couple, punch, separate and glue approximately five boxes a minute. Not five each, five in total. Meaning that in 10 hours of work, 18 people may produce but not pack, approximately 3,000 good boxes not counting the rejects. Shi Wanpeng, head of the Chinese Packaging Industry Federation, tells us this sector is now worth 50 billion dollars but has no idea how tiring it is to load and unload everything by hand. Vice president Zeng Peiyan says that China will soon adopt measures to promote “green” packaging and encourage industry to develop along the lines of “savings, cleanliness and safety”. That’s right: savings, cleanliness and safety.

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Department stores, supermarkets, shops, kiosks, small markets: every form of commerce reminds us how the typical Western concept of quality suddenly seems so superfluous in China. The repeatability of an action (the basis of scientific method or industrial manufacturing) loses relevance without too much drama in a place where the incompatible inflexibility of the Western world it has to be done like this and not like that gives way to a Confucian it has to be done like that but it’s Ok to do it like this: a Yin which, if it is a Yan, is OK anyway. In China packaging has to create a personal relationship between the object it contains and the consumer on the outside. The dragon or the phoenix on the box have to bring power and luck to the Chinese person who puts it in his pocket when he buys those cigarettes, not to the whole specific target group our designers would like

him to belong to if he lived in New York or Paris instead of Beijing. There isn’t the same concept of the consumer in China. We give ourselves rights as consumers, we even feel we are exclusive consumers. In China nobody is concerned with the Chinese-as-user of boxes made of glued paper. Or cases, in her words. The minimal design of the iPod box in the West is “less is more”. In China less is less. In Chinese packaging the Chinese want something over the top, a fabled landscape populated by beasts. Nobody wants to go without some of the imaginary components which fill their dreams of conscious and informed consumers. Mr. Li poses for one last photograph. He wants to leave us with this memory: the proud and slightly innocent smile of someone who has seen their dream come true, the happy face of someone who knows their photograph will end up thousands of kilometres away. The spitting image of someone he dreams of being without realising that he already is that person. Behind him is the good side of the factory, its presentable face, the one they would put on the cover of the brochure, if only they had one. And before we say goodbye we all go to the canteen. Seeing the room you are struck with the certain knowledge that calling it this requires more imagination than goes into all the packaging of Shen Xiang Industries. She is bored. All her friends have iPods now. Luckily she has been given a Sony DSC-M2, 5.1 mega pixels in the shape of a slim, metallic bivalve, an optical marvel. She opens the box and doesn’t even notice that the wording “Take phottos and share them with friends” has an extra “t”. Junio Caselli and Nicola Romagnani are two of the founders of Archita, a svelte research and development tool for companies wishing to innovate. Caselli and Romagnani are technicians, visionaries and talented trend-setters. They love solving problems, are thirty years old, and drive their sports cars between Lucca and Pisa.


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Dal mondo nuovo

IMBALLAGGIO per lo SVILUPPO PENSARE GLOBALE Storia, azioni e prospettive dell’agenzia ITC, che sostiene l’imballaggio come motore di uno sviluppo serio e consapevole in tutte le aree del mondo. L’iniziativa “Packaging for development - PACKit”. Mario Salmon A Ginevra ha sede l’International Trade Center - ITC, un’agenzia nata oltre 40 anni fa per iniziativa congiunta di due tra le più importanti organizzazione mondiali: l’ONU e il World Trade Organisation - WTO (l’Organizzazione mondiale per il commercio). ITC si interessa

degli aspetti industriali nei Paesi in sviluppo e nei Paesi in transizione verso le economie di mercato. Al contrario del WTO, focalizzato sugli aspetti internazionali del commercio, ITC opera “vicino” alle imprese, sopratutto alle PMI, assistendole nel loro iter di

sviluppo e nell’accesso ai mercati mondiali. Le iniziative ITC sono numerose e tutte di carattere operativo/costruttivo: tipicamente si tratta di azioni di coordinamento di piani industriali nazionali, integrazione tra aziende lungo la filiera della supply chain, formazione manageriale, definizione di strategie nazionali e aziendali, analisi di mercato, benchmarking, scambio di know how e simili. A titolo di esempio ricordiamo che, con i suoi interventi, ITC ha contribuito a migliorare la qualità

From the new world

Packaging for development GLOBAL THINKING History, undertakings and prospects of the agency ITC, that supports packaging as an important and conscious drive towards development throughout the world. The undertaking “Packaging for development - PACKit” Mario Salmon

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Geneva is home to the International Trade Center ITC, an agency that came into being over 40 years ago at the behest of two or the most important world organizations: the UN and the World Trade Organisation (WTO). The ITC focuses its attention on the industrial

aspects of countries under development and countries that are in transition towards a market economy. As opposed to the WTO, focussed on the international aspects of trade, the ITC operates close to companies and enterprises, aboveall close to the small-to-medium-sized concerns, helping them in their path to development and in accessing world markets. The ITCs undertakings are numerous and all of an operative/constructive nature: typically these are actions coordinating national industrial plans, integration of concerns along the supply chain, management training, definition of national and company strategies, market analyses,


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del caffè prodotto in Paesi africani, ha sostenuto alcuni Paesi nell’export di prodotti locali tipici, ha organizzato le attività per il rilancio di alcuni prodotti (come la juta) e ha fatto molto altro ancora. Tutte le sue attività hanno comunque un obiettivo primario, ovvero il rafforzamento industriale e imprenditoriale di Paesi in crescita e/o in transizione da economie a controllo statale. Aprire la strada al commercio Nel realizzare il programma di

iniziative, ITC ha trovato nell’imballaggio un fattore di criticità comune alla quasi totalità dei Paesi dove opera. Nelle aree più avanzate, infatti, l’imballaggio sembra svolgere oggi una funzione di supporto al marketing piuttosto che di protezione del prodotto: gli aspetti di “riconoscimento”, “attrazione”, “estetica”, “logo” veicolati dal sistema di confezionamento sono, per molti versi, la vera arma di “distinzione competitiva” di un prodotto. Possiamo arrivare quasi dire che

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benchmarking, exchange of knowhow etc. For example with its undertakings ITC has contributed to improving the quality of the coffee produced by African countries, it has supported some countries in the exportation of typical local products, it has organized activities for the relaunch of some products (ie jute) and has done a lot more. All its activities at any rate have a primary objective, or that is the industrial and entrepreneurial reinforcement of countries undergoing growth and/or a transition from state control. Open the way to trade In completing its program of undertakings, the ITC has found packaging a critical factor common to nearly all the countries it operates in. In the most advanced areas in fact packaging seems to today perform the function of a marketing support rather than product protection: the aspects of

l’imballaggio è - per noi - un lusso “superfluo”, tanto che ormai i vincoli economici e ambientali stanno mettendo in luce situazioni effettive di “overpackaging“ (eccessi di materiali e costi). Ma in moltissimi aree - in termini numerici parliamo della grande maggioranza della popolazione mondiale - la funzione primaria di “protezione” di un prodotto realizzata con l’imballaggio è elemento fondamentale per attivare processi di commercio internazionale.

“recognition”, “attraction”, “appeal”, “logo” are in many ways the true weapons in the “competitive distinction” of a product, vehicled by the packaging system. We can virtually come to the point of saying that - for us - packaging is a “superfluous” luxury, to the point where economic and environmental limitations are highlighting situations of effective overpackaging. But in many areas - in numerical terms we are speaking of the great majority of the world population - the primary function of product “protection” provided by packaging is a fundamental element for activating processes of international trade. In actual fact, if for domestic consumption many developing countries do not now need packaging systems, preliminarily every export operation requires the capacity to suitably pack the products. In other words, packaging technologies for these countries take on the


Infatti, se per i consumi interni molti Paesi in via di sviluppo non necessitano per ora di sistemi di imballaggio, ogni operazione di export richiede in via preliminare la capacità di confezionare in modo adeguato i prodotti. In altre parole, le tecnologie dell’imballaggio rivestono, per questi Paesi, l’aspetto di una

“tecnologia abilitante” all’esportazione; spesso però, la mancanza di un reale mercato interno di tecnologie di imballo e conservazione inasprisce le difficoltà. Questo accade, a titolo di esempio in Asia, dove i prodotti alimentari vengono consumati freschi - in certi casi addirittura vivi - e quindi senza

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Enlightening points of view Considering the high growth rate of the urban population, packaging is becoming condicio sine

qua non for survival. This is why the UN sees in the development of packaging technologies a dual possibility for progress: on the one hand leading to the improvement of actions of export, on the other acting as a valid aid to combating hunger. Considering the current situations, ITC at any rate forecasts high growth rates for all those industries associated with the processing of food products and other products. Given the importance of packaging in all the commercial operations, aboveall those aimed towards the markets of the industrialised world, ITC has created a special section - “Packaging for Development” - that is involved in specifically dedicated actions for packaging problems. Jacky Charbonneau, who we met up with, works as senior adviser for the work group, and one of the initial points he made is particularly significant. Charbonneau in fact states that many Asian countries have already made

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appearance of technology enabling exports; very often though the lack of a domestic packaging and preservation technology market makes things even harder. This occurs for example in Asia, where food products are consumed fresh - in certain cases even alive - and hence without any kind of processing, both for cultural reasons as well because most of the population is still indigent and still lives in rural areas (in the People’s Republic of China this applies to 70% of the population, against the 30% that are urbanised). The situation leads to considerable waste: it is today a known fact that it is indeed the poorest countries that register the highest rates of loss in the food transportation and distribution chain.

alcun trattamento, sia per ragioni culturali sia perché la maggioranza delle popolazioni è indigente e vive ancora in contesti rurali (nella Repubblica Popolare Cinese si tratta del 70% della popolazione, contro un 30% di urbanizzati). La situazione è fonte di notevoli sprechi: oggi, è assodato, sono


infatti proprio i Paesi più poveri a far registrare il maggior tasso di perdite nella catena di trasporto e distribuzione degli alimenti.

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Punti di vista illuminanti In considerazione dell’elevato tasso di crescita della popolazione urbana, l’imballaggio sta diventando una conditio sine qua non per la sopravvivenza. Per questi motivi l’ONU vede nello sviluppo delle tecnologie dell’imballaggio una duplice possibilità di progresso: da un lato il miglioramento delle azioni di export, dall’altro un valido ausilio di lotta alla fame. Alla luce della situazione attuale,

ITC prevede comunque tassi di crescita elevati per tutte le industrie collegate al trattamento dei prodotti alimentari e non. Vista l’importanza dell’imballaggio in tutte le operazioni commerciali, soprattutto in quelle rivolte verso i mercati del mondo industrializzato, ITC ha creato una sezione ad hoc - la “Packaging for Development” che si occupa di studiare azioni dedicate nello specifico ai problemi del confezionamento. Il signor Jacky Charbonneau, che abbiamo incontrato, opera come senior advisor del gruppo di lavoro e una sua prima

themselves independent as regards the production of raw material for packaging, in particular traditional plastic film and that also hold significant shares of the market of exports to Europe. In view of a general development of activities associated with packaging, the Geneva observation platform enables an absolutely unique view of the changes underway, certainly very interesting for all those that in various ways operate in this field. It may in fact be that our industry does not dedicate sufficient attention to those countries that are today “weak” consumers of machines and materials but that, in the future, may become excellent customers and then, alas inevitably, potential competitors in all sectors. The heart of the ITC undertaking Producing eggs all around the world is easy,

puntualizzazione è stata particolarmente significativa. Charbonneau afferma infatti che molti Paesi dell’Asia si sono già resi indipendenti in merito alla produzione di materie prime per l’imballaggio, in particolare film plastici tradizionali, e detengono già significative quote di export verso l’Europa. In un’ottica di sviluppo generale delle attività legate all’imballaggio, la “piattaforma di osservazione” di Ginevra consente di avere una visione dei mutamenti in atto assolutamente unica e certo molto interessante per tutti quelli che operano a vario titolo in questo ambito. Capita infatti che

sending them by rail is not so easy! In the food field (the same goes for cut flowers or neckties… in that who would buy a badly folded or badly presented tie?) the real problem for many countries is not so much the production, but rather transportation and the lack of an organized supply chain… This is right where ITC steps in, not so much focussing on the search for the best form of preservation, but tackling problems linked to competitivity on the free market, associated with the quality, the recognisability, personality, ease of distribution, recycling… In other words, even in countries disinclined to following the rules of the market, producers have to understand that packaging is the true trait d’union with the end consumer (… the average housewife for example) and that the costs relative to


tools

la nostra industria non dedichi sufficiente attenzione a quei Paesi che, oggi, sono “deboli” consumatori di macchine e materiali ma che, in futuro, possono diventare ottimi clienti e poi, ahimé inevitabilmente, potenziali concorrenti in ogni settore. Il cuore dell’iniziativa ITC È facile produrre uova in qualsiasi parte del mondo, ma non è così facile farle viaggiare su rotaie! In campo alimentare (discorso analogo vale per i fiori recisi o le cravatte… perché chi comprerebbe una cravatta mal piegata e mal presentata?) il vero problema per molti Paesi non è tanto la produzione, quanto il trasporto e la carenza di una supply chain organizzata… È proprio in questa fase che l’agenzia ITC interviene, non solo focalizzandosi sulla ricerca della miglior conservazione, ma anche affrontando i problemi

packaging cannot only be justified by the function of “protection”. This is why ITC’s action essentially follow two approaches: support of organisational kind to undertakings in the single countries and the commitment to spreading the packaging culture by way of publishing/training type undertakings denominated PACKit.

In azione Lo Sri Lanka produce da sempre ottimo tè e raffinate cravatte di seta ma, da sempre, il tè veniva venduto in volumi e le cravatte

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have then gone on to collect information from all around the world, conveying the knowhow towards their own country and reducing an initially enormous knowhow gap. The centre now works as a junction between all the companies in the segment, integrating knowhow on materials, printing, marketing, automation etc and offering the country’s concerns stimuli for standing out and being more competitive, as in fact occurs in all the free globalised markets. In this way Sri Lanka has began to be an exporter of ready packed products destined for the end consumer, packaging that not only takes on the function of protection but also that of communication, contributing to creating a specific image of the country and its products. The ITC has also encouraged the creation of the Asian Packaging Foundation (APF), that groups together 120 sector associations, for coordinating all actions

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In action Sri Lanka has always been a producer of excellent tea and the finest silk ties: but, the tea has always been sold in bulk and the ties poorly wrapped in common paper. ITC has fostered and guided the creation of the Sri Lanka National Packaging Institute, concentrating all the knowhow available in the country and hence enabling the training of technicians and operators specialised in the design of new packaging. The technicians of the centre

legati alla competitività sul libero mercato, alla qualità, riconoscibilità, personalità, facilità di distribuzione, riciclo... In altre parole, anche nei Paesi poco avvezzi alle regole del mercato, i produttori devono capire che l’imballo è il vero traitd’union con il consumatore finale (… la massaia di Voghera, per intenderci) e che i costi relativi al confezionamento non possono essere giustificati solo con la funzione di “protezione”. Ecco perché le azioni di ITC seguono essenzialmente due filoni: sostegni di tipo organizzativo a iniziative nei singoli Paesi e impegno a diffondere la cultura dell’imballaggio, tramite un’iniziativa di tipo editoriale/formativo denominata PACKit.


erano malamente arrotolate in fogli di carta qualsiasi. ITC ha favorito e guidato la creazione di un Istituto Nazionale per l’Imballaggio dello Sri Lanka, dove concentrare tutte le conoscenze disponibili nel Paese e formare quindi tecnici e operatori specializzati nella progettazione di nuovi imballi. I tecnici del centro hanno poi iniziato a raccogliere informazioni da tutto il mondo, convogliando le conoscenze verso il proprio Paese e

riducendo un gap di know how inizialmente enorme. Il centro opera adesso come elemento di raccordo tra tutte le aziende della filiera, integrando conoscenze su materiali, stampa, marketing, automazione etc. e offrendo alle industrie di questo Paese spunti per distinguersi ed essere più competitivi, come accade peraltro in tutti i mercati liberi globalizzati. In questo modo lo Sri Lanka ha iniziato a essere un esportatore di prodotti destinati

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concerning standards or technology. This like all the other undertakings, features the integration of the local traditions and culture with the imperatives of world trade: colors, print, design and artistic aspects are hence reviewed and used within the modern industrial structure. Communicating via PACKit In the developing areas, what are lacking are not only the strictly technical features as regards packaging and the systems of transport, but also the knowledge of the dynamics of the market (supply and demand), legal aspects and aspects regarding standards. To spread basic knowhow, uniforming the same and making it accessible to all, the ITC has hence launched a special publishing undertaking, PACKit, that entails the publication of mongraphs drawn up by

al consumatore finale già confezionati, che riassumono non solo le funzioni di protezione ma anche quelle di comunicazione, contribuendo a creare un’immagine specifica del Paese e dei suoi prodotti. ITC ha anche favorito la creazione di un Asian Packaging Foundation (APF), che raggruppa 120 associazioni di settore, per coordinare ogni azione normativa o tecnologica. Questa, come tutte le altre iniziative, è caratterizzata dall’integrazione delle culture e delle tradizioni locali con gli imperativi del commercio mondiale: colori, stampe, disegni, aspetti artistici vengono quindi rivisti ed impiegati all’interno di strutture industriali moderne. Comunicare tramite PACKit Nelle aree in via di sviluppo, le carenze non sono solo di tipo prettamente tecnico rispetto all’imballaggio e ai sistemi di trasporto, ma riguardano anche

specialists and experts in the various disciplines. The intent is to integrate all the information that can be obtained, allowing the close relations that runs between materials, machines, standards and technologies. As well as information on materials and on the types of packs, the documents describing the importing countries (with further information on the characteristics of the population, consumption, aspects of the market, standards..) and the exporting countries (with the analyses of the areas of potentially the greatest development, of strong- and weakpoints, of the emerging opportunities for the new concerns, in particularly the small ones). The “transversal” modules lastly provide information on the characteristics of the packaging and transportation processes. Each “transversal view” comprises basic


tools la conoscenza delle dinamiche del mercato (domanda e offerta) e degli aspetti legali e normativi. Per diffondere le conoscenze di base, uniformandole e rendendole accessibili a tutti, ITC ha quindi avviato una speciale iniziativa editoriale, PACKit appunto, che prevede la pubblicazione di monografie redatte da specialisti ed esperti di varie discipline. L’intento è di integrare tutte le informazioni reperibili, facendo emergere la stretta relazione che intercorre fra materiali, macchine, aspetti normativi, tecnologie. Oltre a informazioni sui materiali e sulle tipologie di confezionamento, i documenti descrivono i Paesi importatori (con approfondimenti sulle caratteristiche della popolazione, i consumi, aspetti del mercato, normative…) e i Paesi esportatori (con l’analisi delle aree potenziali di maggior sviluppo, dei punti di forza e di debolezza, delle opportunità emergenti per le nuove industrie, in particolare quelle piccole). I

moduli “trasversali” forniscono infine informazioni sulle caratteristiche dei processi di confezionamento e trasporto. Per ogni “vista trasversale” vengono forniti elementi di base sulla tecnologia, le opzioni possibili con le applicazioni tipiche e i vincoli. Nelle analisi effettuate Paese per Paese o prodotto per prodotto emerge spesso l’incompletezza o la debolezza di un’intera filiera per mancanza di aziende; altre volte, le risorse locali non sono supportate in maniera adeguata dalla conoscenza delle opportunità o dei vincoli legati all’export di prodotti confezionati. E, in casi come questo, ITC può mettere in atto azioni locali specifiche, come è accaduto in Sri Lanka. Per concludere L’approccio adottato da ITC nel trattare il tema imballaggio in modo integrato, facendo circolare informazioni e preparando il terreno a possibili e

elements on technology, the possible options provided by the typical applications and the limitations.The analysis carried out country by country or product by product often reveals the incompleteness or the weakness of an entire sector due to a lack of concerns; in other occasions the local resources are not suitably supported by awareness and knowledge as regards the opportunities or the limitations regarding the export of packed products. And in cases like these, ITC can also field specific local actions, as has occurred in Sri Lanka.

Mario Salmon, ingegnere e consulente, MS Automation, Bologna, www.salmon.it

the multidisciplinary type: hence fairly far of from the specialist type modus operandi common to the countries with advanced economies. From a practical point of view, from the analysis of the actions up to now fielded by ITC, it also emerges that the Asian market is the most promising one as regards the growth of packaging, that is destined to predominate over many other forms of business. Hence the question is evermore pressing. What role will Italy (and Europe obviously) play in face of this development? And again… will we be capable of fully exploiting the new opportunities offered by the incredible increase in volumes of the goods to be packed? And will we be able to stand up to the new threats firstly in materials and then, inevitably, in machines?

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Mario Salmon, engineer and consultant, MS Automation, Bologna, www.salmon.it

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To finish up The approach adopted by the ITC in tackling the topic of packaging in a complete manner, allowing information to circulate and preparing the terrain for potential and fertile cultural and technological is of

proficue “contaminazioni” culturali e tecnologiche, è di tipo “multidisciplinare”: abbastanza lontano quindi dal modus operandi più diffuso nei Paesi a economia avanzata, Dal punto di vista pratico, dall’analisi delle azioni fin qui adottate da ITC, emerge inoltre che il mercato asiatico è il più promettente in relazione alla crescita dell’imballaggio, destinato a predominare su molte altre forme di business. Una domanda è allora più che mai d’obbligo. Che ruolo giocherà l’Italia (e l’Europa, ovviamente) di fronte a questo sviluppo? E ancora… Saremo capaci di sfruttare appieno le nuove opportunità offerte dall’incredibile aumento dei volumi di beni da confezionare? E sapremo resistere alle nuove minacce prima nei materiali e poi, inevitabilmente nelle macchine?


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Quando i rifiuti diventano arte. TRASH rubbish mongo Lea Vergine, Skira, 2006 (in italiano) 15 euro www.skira.net È uscito il catalogo “postumo” della mostra Quando i rifiuti diventano arte

ma anche lattine, bottiglie, packaging di ogni sorta popolano i cataloghi di arte percorrendo tutto il Novecento e il libro propone un reportage di questo affascinante e discusso viaggio nella storia dell’arte contemporanea, illustrato da una vasta raccolta di opere a partire da Depero per arrivare alla fine degli

museum centre hadn’t yet been built in Rovereto. Lea Vergine’s farsighted curatorship produced a still topical catalogue on the increasingly close relationship between art and objects and between artists and rubbish. Rags, kitchen utensils, scrap iron, but also cans, bottles and packaging of every kind fill art catalogues

del 1997, tenutasi al Mart quando

anni Novanta e commentando le opere con stralci di diari, taccuini,

throughout the Twentieth century and the book is a study of this

ancora il museo aveva la sua unica e storica sede a

articoli e interviste in cui gli artisti hanno parlato del loro turbato

fascinating and much discussed phase in the history of contemporary

Palazzo delle Albere a Trento e il grandioso polo museale di Mario

rapporto con le merci.

art. It is illustrated by a vast collection of works, starting with

Botta doveva ancora sorgere a Rovereto. La lungimirante curatela di

This is the “posthumous” catalogue of the 1997 exhibition Quando i rifiuti

Depero and going as far as the end of the nineties, and there are

Lea Vergine ha dato vita a un catalogo tuttora di grande attualità sul rapporto sempre più stretto tra arte e oggetti, tra artisti e spazzatura: stracci, utensili da cucina, ferraglia

diventano arte (When waste becomes art) held at Mart when the museum still had its one, historic seat at Palazzo delle Albere in Trento and Mario Botta’s impressive

comments in the shape of extracts from diaries, notebooks, articles and interviews in which the artists have spoken of their troubled relationship with goods.


book box

Select E. Graphic design from Spain Index Book, 2006 (in inglese e spagnolo) 49 euro www.indexbook.com “E” come esuberante, eccellente,

L’eau. Source d’innovation Fabrice Peltier, Pyramyd, 2006 (in inglese e spagnolo) 49 euro www.pyramyd.com Fabrice Peltier, direttore dell’Institut National de Design

handful of “connoisseurs” would be able to identify water without its indispensable plastic or glass outer shell and every specialist in this sector agrees that in order to sell water, more than any other product, you have to sell the bottle. In almost two hundred years since they first appeared, bottles have undergone

effervescente, entusiasmante: con questa sua quinta (abcdE) edizione di Select, la casa editrice Index Book propone i migliori progetti grafici del 2005 di talenti spagnoli emergenti o già affermati.

du Packaging e fondatore dell’agenzia P’reference, pubblica presso Pyramyd un piccolo interessante libro sulle bottiglie d’acqua e sull’evoluzione di questo packaging che è uno dei più antichi nella storia dell’imballaggio.

continuous and relentless changes. The author proposes an excursus

La grafica è il make up di oggetti come calendari, libri, cataloghi, poster e, non da ultimo, il pack, al quale è dedicata un’ampia sezioni nel libro; ogni singolo prodotto è preceduto da una breve presentazione del concept e per la prima volta esce con questa edizione un dvd riporta i siti web, le creazioni multimedia e i video che ormai rivestono un ruolo insostituibile nel panorama del graphic design.

La bottiglia è per l’acqua qualcosa di più di un bell’abito: ne è la vera essenza e la carta d’identità. Pochi “intenditori” saprebbero riconoscere l’acqua senza questo indispensabile vestito di plastica o di vetro e tutti gli specialisti del settore concordano che per vendere un’acqua, più che per qualsiasi altro prodotto, occorre vendere la bottiglia. Nei quasi duecento anni di vita le bottiglie hanno subito continui e inesorabili cambiamenti: l’autore propone un excursus in questa affascinante storia e una presentazione dello

Identity. Made in Spain Màrius Sala, Index Book, 2006 (in inglese e spagnolo) 39 euro www.indexbook.com

into this fascinating history and a presentation of the current state of the market of water packaging, with a special regard for the flourishing French market.

Il successo di un prodotto o di un

Fabrice Peltier, director of Institut

ed essere facilmente declinabile nei vari strumenti di comunicazione:

catalogues, posters and, last but not least, the pack, to which a large

National de Design du Packaging and founder of the company

dalla pubblicità al biglietto da visita, dal sito web ai gadget. In un

section of the book is dedicated. Each, individual product is prefaced

P’reference, has published a small and interesting book on water bottles

contesto in cui “tutto è già stato detto” l’identità aziendale è

by a brief presentation of the concept and, for the first time, there is a DVD with the websites, multimedia creations and videos which now play an unique role in the panorama of graphic design.

and the evolution of this type of packaging, which is one of the most ancient in the history of packaging. The bottle is something more than just a lovely container for water. It is its true essence and passport. Only a

insostituibile per essere davvero differenti, che si tratti di prodotti o servizi. The success of a product or a company in the market is mostly

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stato attuale del mercato dell’imballaggio di acqua, con un occhio di riguardo al fiorente mercato francese.

“E” for exuberance, excellence, effervescence, enthusiasm. With their fifth (abcdE) edition of Select ,

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publishers Index Book present the finest graphic projects of 2005 of up and coming or established Spanish talents. Graphics is the make up of objects such as calendars, books,

azienda sul mercato deve gran parte del suo merito alla riconoscibilità: un’identità è mutevole e organica, mai statica, e per essere riconosciuta deve avere personalità. Non si tratta solo di un logo, di un colore, di un carattere tipografico o di una forma: è la coerenza d’insieme che ne determina la riuscita. Nel suo complesso il progetto deve trasmettere dei valori


book box

down to how identifiable it is. An identity is volatile and organic and never static and to be recognised it has to have personality. It is not just a question of a logo, a colour, a type or a shape but the coherence of the whole which will determine its success. Overall, the project has to transmit values and be easily

and means of transformation. The manual provides invaluable information on issues of a technical and legislative nature and is a useful tool to consult on a day to day basis. Form. The Making of Design bimestrale dedicato al design,

numero di ottobre 2006 alla cultura del progetto in Cina; il bimestrale, nato nel 1989 con il sostegno del Ministero della Cultura, è un prezioso osservatorio sugli studi di architettura e design della scena artistica internazionale e recensisce i principali libri, eventi e progetti di settore.

translated into various tools of communication: from advertising to business cards, from websites to gadgets. In a context where “everything has already been said” company identity has to be unique and truly different, whether we are talking about products or services.

Birkhäuser, (in tedesco e inglese) 16 euro www.form.de

The historic Spanish architecture,

Manuale delle materie plastiche H. Seachtling, Tecniche nuove, 2006 (in italiano) 119 euro www.tecnichenuove.it

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È uscita la nona edizione dello storico manuale pilastro per i designer di packaging strutturale e per gli stampatori; che nei suoi continui aggiornamenti ha seguito il successo dei materiali illustrandone

Form, la storica rivista tedesca di design, si appresta a celebrare i suoi 50 anni di vita. Il numero di NovembreDicembre 2006 offre uno spazio speciale al packaging con una sgargiante copertina in stile “detersivo universale” e alcuni articoli sul packaging nella società per promuovere la conferenza sul packaging design di Colonia (7-8 dicembre 2006). Form, the historic German design magazine, is preparing to celebrate its fiftieth birthday. The NovemberDecember 2006 issue gives packaging some special attention,

l’evoluzione, le loro caratteristiche, le tecnologie e le modalità di trasformazione. Il manuale fornisce preziose informazioni sia nell’ambito della tecnica sia sulle normative e ha l’utilità di rispondere

with a bright cover in “universal detergent” style and some articles on packaging in society to promote the conference on packaging design in Cologne (7-8 December 2006).

pienamente ad un servizio di consulenza quotidiana.

Experimenta bimestrale dedicato al design, (in

The ninth edition of the historic

spagnolo e inglese) 14 euro http://www.experimenta.es/

manual for structural packaging designers and printers is now out. Its constant updates have successfully traced the success of materials, illustrating their evolution, their characteristics, technologies

La storica rivista di architettura, design e comunicazione spagnola ha dedicato un inserto speciale del

design and communication magazine has dedicated a special supplement that comes with the October 2006 issue to the culture of design in China. The bimonthly magazine, begun in 1989 with the backing of the Ministry of Culture, provides a valuable perspective on international studies in architecture and design and reviews major books, events and projects in this sector. Sugo - Scritture indecise Semestrale di grafica, design, illustrazione, racconti... Venice is not sinking, 2005, 2^ edizione (in italiano e inglese) 18 euro www.sugomagazine.com È nato in laguna il magazine dedicato alla cultura e alla grafica contemporanea diretto da Giorgio Camuffo. Indubbiamente una rivista fuori dagli schemi, destabilizzante: giunto alla sua terza uscita il “quasi” semestrale (il colophon recita: la rivista è pubblicata due volte l’anno... tempo permettendo) propone vignette irriverenti, foto, un’impaginazione d’artista e numerosi interventi di grandi nomi dell’arte e del design; in questo numero è pubblicata una speciale intervista di Hans Ulrich Obrist a Enzo Mari su come


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raccontare il design e l’arte attraverso il teatro. Una rivista da vivere: questo è il dictat di Sugo.

numerous awards, proposes a new series of packaging models for various types of objects. Each packaging is accompanied by a careful presentation and illustrations that are useful for reproducing the design. Fundamental for companies, invaluable for designers.

friar, who has always fought for freedom and equality in South American countries, found in Hotel Brasil an ideal setting for a discussion of the social contradictions which characterise the country. It is a place where the lives of the exponents of the westernised metropolis meet and clash with the unattainable dreams of

destabilising magazine. Three issues have been published of this “almost” biannual magazine ( the colophon says: the magazine is published twice a year… weather permitting). It contains irreverent cartoons, photos, an artist’s layout and numerous contributions from big names in art

Hotel Brasil Frei Betto, Cavallo di ferro, 2006 (in italiano) 15 euro

ordinary people

and design. In this issue you will find a special interview by Hans Ulrich Obrist with Enzo Mari on how to communicate design and art through theatre. A magazine that has to be lived. This is Sugo’s dictate.

pietre preziose viene trovato morto, il corpo martoriato, privo di occhi. Vengono intervistati gli ospiti e il personale, tra cui la padrona dell’albergo, un consigliere dell’assemblea legislativa, una domestica che sogna di lavorare in televisione, un travestito... e il mistero si infittisce, con la scoperta di altri cadaveri mutilati. Il frate domenicano, che da sempre lotta per la libertà e l’uguaglianza dei paesi sudamericani, ha trovato in Hotel Brasil lo sfondo ideale per parlare delle contraddizioni sociali

This magazine, dedicated to contemporary culture and graphics and directed by Giorgio Camuffo, was born in the lagoon. It is undoubtedly an unconventional and

More packaging prototypes Edward Denison, Rotovision, 2006 (in inglese) $ 40 http://www.rotovision.com/ Dopo il successo di Thinking Green e Packaging Prototypes

Nella camera di un hotel di Rio de Janeiro, un commerciante di

Maximum city Siketu Metha, Einaudi, 2006 (in italiano) 19,50 euro In un libro straordinario il ritratto di una delle più grandi città del mondo ( Bombay) attraverso le voci dei suoi abitanti. Un libro vasto e labirintico come la metropoli che racconta, ricco di vita, storie, emozioni, e ricordi personali, scritto con un talento dickensiano per i personaggi, i dettagli e i casi della vita, ma anche on la capacità del reporter e la verità di chi è coinvolto in prima persona in ciò che racconta e che vede. Dalla malavita al cinema di Bollywood, dal mondo delle ballerine di night-club agli scontri tra la comunità indù e musulmana, la società indiana odierna è vista dall’occhio di un indiano che però è cresciuto e si è formato a New York,

(pubblicati presso Rotovision), Denison, pluripremiato consulente di packaging, propone una nuova serie di modelli di confezioni per vari tipi di oggetti. Ogni packaging è

che caratterizzano il paese, è il luogo in cui si incontrano e si scontrano le vite degli esponenti della metropoli occidentalizzata con i sogni irraggiungibili della gente comune.

accompagnato da un’accurata presentazione e dai disegni

In a hotel room in Rio de Janeiro, a salesman of gems is found dead, the

successo anche da noi: perché oltre a farci conoscere l’India di oggi ci fa

esplicativi utili per riprodurre il progetto. Fondamentale per le

corpse mutilated, the eyes missing. The guests and staff, including the

riflettere, per differenza, sul nostro stesso stile di vita.

aziende, prezioso per i designer.

hotel owner, a councillor of the Parliament, a maid who dreams of working in television and a transvestite are interviewed… and the plot thickens, with the discovery of other mutilated corpses. The Dominican

This extraordinary book is the portrait of one of the greatest cities in the world (Bombay) , told by its inhabitants. A vast and labyrinthine book like the metropolis it describes,

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After the success of Thinking Green and Packaging Prototypes (published by Rotovision), Denison, a packaging consultant and winner of

nel cuore dell’Occidente. E forse per questo Maximum City ha tanto


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full of life, history, emotions and personal memories, written with a Dickensian talent for characters, details and life’s rich tapestry but also with the skill of a reporter and the veracity of someone who is involved in first person with what he tells and sees. From crime to Bollywood cinema, from the world of

The idea for the book came from the group of Slovenian artists named Irwin who, in order to trace the thin and contorted borders of this map, invited curators, critics and artists from these geographical areas to speak of the extraordinary artistic and social innovations they have witnessed in the last sixty years. Two

to this provocation is undoubtedly destabilising. It is hard to find a link between Chitra Ganesh’s erotictraditionalist cartoons and the silent and nostalgic photographs of Daynita Singh. But one cannot deny that a sense of disturbing irony pervades most of the works in the catalogue, like an underlying theme

night-club dancers to the clashes between the Hindu and Muslim community, Indian society today is seen through the eyes of an Indian who, however, was brought up and educated in New York, in the heart of the West. And perhaps this is why Maximum City is so successful over

of the most important contributions came from Slavoj Zizek and Viktor Misiano.

which runs through the Indian Subcontinent.

here as well. Because, as well as introducing us to contemporary India, it makes us reflect, by providing terms of comparison, on our own lifestyles.

cura di Ilaria Bonacossa e Francesco Manacorda, Electa, 2006 (in italiano e inglese) www.electaweb.org 30 euro

East Art Map. Contemporary Art and Eastern Europe Irwin, Afterall, 2006 (in inglese) www.afterall.org 45 dollari Una vera e propria guida per immergersi nella giungla artistica a noi pressoché sconosciuta che è

Esiste ancora un’arte "dell’Asia Centrale"? Ha senso parlare di uno stile che accomuna gli artisti di un’area geografica così vasta e intrisa di tradizioni come il Subcontingente Indiano? La risposta degli artisti a questa provocazione è indubbiamente destabilizzante; difficile trovare una soluzione di

l’Europa Orientale. L’idea del libro è nata dal gruppo di artisti sloveni Irwin che per tracciare i sottili e contorti confini di questa mappa ha coinvolto curatori, critici e artisti di queste aree geografiche per parlare delle

continuità tra i fumetti di ispirazione erotico-tradizionalista di Chitra Ganesh e le fotografie silenziose e nostalgiche di Daynita Singh. Ma non sarebbe possibile negare che un senso di inquietante ironia pervada

straordinarie innovazioni artistiche e sociali cui hanno assistito negli ultimi

gran parte delle opere presenti in catalogo, come un fil rouge che

Inspire, the Iggesund Paperboard’s four-monthly magazine which,

sessant’anni. Tra i contributi più importanti segnaliamo gli interventi di

attraversa il Subcontingente indiano.

presents the most recent developments in the field of the

Slavoj Zizek e Viktor Misiano.

Is there still such a thing as art “from Central Asia”? Does it make sense to talk of a style which unites artists from a geographical area which is as vast and full of tradition as the Indian Subcontinent? The artist’s response

paper industry not just with articles about products and company case histories but, above all, through pictures, a sublime print quality and inviting covers adorned with sophisticated inks and materials.

A veritable guide for exploring a phenomenon that is practically unknown in the West or rather the artistic jungle that is Eastern Europe.

Supcontingent. The Indian Subcontinent in Contemporary Art Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, catalogo della mostra a

Inspire A magazine from Iggesund Paperboard (in inglese) Pagine da sfiorare, da toccare, da guardare in controluce. Foto d’artista, immagini a tutta pagina per trasmettere le infinite potenzialità suggestive della carta. Questo è Inspire, quadrimestrale della Iggesund Paperboard che, presenta le più recenti novità nel campo dell’industria cartacea; non solo con articoli su prodotti e case histories aziendali ma soprattutto attraverso le immagini, un’eccelsa qualità di stampa e copertine invitanti impreziosite da inchiostri e materiali raffinati. Pages to finger and hold up against the light. Artistic photos and full page photos which transmit the infinite evocative potential of paper. This is



Semestrale di cultura del packaging, arte, design e comunicazione


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