IMPACKT 01 2008

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1/2008 semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design

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credits

Questo numero è stato realizzato con il contributo di This issue has been created with the contribution of

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III copertina

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II copertina



Packaging prét-à-porter

user instructions

Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi

Stefanino For a Prince fan: coat of Pink Cashmere

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prodotti, è essa stessa una specie di packaging universale, travestimento e rivestimento globale grazie al quale costruiamo percorsi di significato e di esperienza per vivere nel nostro mondo. Abbiamo pensato a questo numero di Impackt come ad un approfondimento non banale tra moda e packaging, che metta in evidenza come la fashion culture si stia ramificando a tutto campo anche in ambiti diversi tra loro, quali il food o il personal care, l’arte contemporanea, la vendita per corrispondenza o l’architettura… Si scopre così che la strategia del colibrì esiste già un po’ dappertutto, e dappertutto esistono “impollinazioni” e ibridazioni capaci di produrre creatività veramente nuova da qualunque cosa. Le prove? Lo storico marchio Louis Vuitton che non teme di rinnovarsi grazie alle invenzioni genialmente strampalate di Takashi Murakami; oppure la brand Freitag, che per vendere borse (fatte con teloni di camion riciclati!) realizza uno shop pazzesco di container impilati uno sopra l’altro; o Lacoste che affida il packaging delle sue mitiche polo a designer famosi come Tom Dixon (che le mette sottovuoto come il caffè) o Michael Young (che le impacchetta in vaschette di plastica tipo petto-di-pollo); oppure Paul Smith, che affina l’identità di marca grazie alla ricerca grafica essenziale ma inconfondibile di Alan Aboud e Sandro Sodano; oppure a al negozio virtuale Yoox che spedisce i suoi capi di moda in scatole dal forte appeal grafico; oppure, oppure, oppure…

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Un tempo, un pugno di spiriti eletti dettava le “regole del gusto” destinate a diventare “la moda” e seguite da tutti, in tutto il mondo. Negli ultimi anni però, come non mancano di sottolineare ricercatori, sociologi e osservatori del costume, al posto delle tradizionali macrotendenze, si è assistito al prevalere di esperienze individuali e al fiorire di competenze personali, in una specie di fai-da-te capillare, diffuso e incontrollabile. Oggi, ciascuno è artefice del proprio stile - il che significa da un lato che la parola torna al consumatore, dall’altro che i produttori e le aziende, per essere competitivi, devono muoversi con agilità fra tendenze in continuo cambiamento, secondo quella che Francesco Morace ha definito “la strategia del colibrì”. In questo panorama, distinguersi, farsi identificare, diventare memorabili, è un imperativo categorico per ogni brand, griffe o marca. Per raggiungere l’obiettivo, il singolo capo di vestiario, o un’intera linea, o persino uno stile complessivo, non bastano più. Occorre architettare un particolareggiato, coerente e il più possibile esaustivo “universo di senso”, dove il punto vendita, la confezione, il più piccolo dettaglio siano “sintonizzati” sulla stessa lunghezza d’onda. È ormai evidente che “moda” significa parecchie cose, accessori, pubblicità, esperienza d’acquisto, grafica, etichette, profumi, shopping bag, esibizionismo, stili di vita - e che la moda, oltre che necessitare di un imballaggio adeguato ai propri


user instructions

Packaging prét-à-porter

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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi

Once a handful of chosen souls dictated the “rules of taste”, which were destined to become “fashion” and be followed by everyone all over the world. However, in recent times, as researchers, sociologists and observers of human behaviour have insisted on pointing out, we have witnessed the triumph of individual experiences and the flourishing of personal talents instead of traditional macro-trends, in a kind of vast, widespread and uncontrollable do-it-yourself. Nowadays, everyone creates its own style. Which means, on one hand, that the consumer once more has the last word and, on the other, that manufacturers and companies have to move deftly in a world of constantly changing trends, using what Francesco Morace has defined as “the humming-bird strategy” in order to be competitive. In this context, to stand out, be identified, become memorable is a categorical imperative for every brand , name or designer label. To achieve this objective, a single item of clothing, a whole range or even a global style is no longer enough. One must plan a detailed, coherent and exhaustive “universe of sense” where the sales point, the packaging, the tiniest detail are “tuned” to the same wavelength. It is now evident that “fashion” means many things- accessories, advertising, the shopping experience, graphics, labels, perfumes, shopping bags, exhibitionism, lifestyles- and that fashion, as well as requiring

adequate packaging for its products, is itself a kind of universal packaging, disguise and global covering which generates a series of meanings and experiences in order for us to live in our world. We didn’t want this issue of Impackt to be a banal study of fashion and packaging but to highlight how fashion culture is branching out all over the place, even in very different spheres such as food or personal care, contemporary art, mail order or architecture… We therefore discover that the humming-bird strategy is practically ubiquitous and that everywhere there are pollinations and hybridations able to produce genuine new creativeness in any field. The proof? The historical brand Louis Vuitton which is not afraid to update itself thanks to the brilliant and outlandish inventions of Takashi Muratami; or the Freitag brand which, in order to sell bags (made of recycled lorry tarpaulins!) have created an insane shop of containers stacked one on top of the other; or Lacoste who entrusts the packaging of their legendary polo-shirts to famous designers such as Tom Dixon (who vacuum packs them like coffee) or Michael Young (who packages them in plastic trays like chicken breasts); or Paul Smith, who hones its brand identity with the stark but unmistakeable graphics of Alan Aboud and Sandro Sodano; or the virtual Yoox store which delivers its goods in boxes with a strong graphic appeal, or, or, or…


ANCONA: • Librerie Feltrinelli C.so Garibaldi, 35 tel 071 2073943 BARI: • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Via Melo, 119 tel 080 5207501 • Libreria Campus de La Nuova Edit. Scient. via G. Toma, 86 tel 080 5574806 BOLOGNA: • Librerie Feltrinelli P.zza Ravegnana, 1 tel 051266891 BRESCIA • Librerie Feltrinelli Via G. Mazzini, 20 tel 030 3776008 FERRARA • Librerie Feltrinelli Via Garibaldi, 30/a tel 0532248163 FIRENZE • Libreria Alfani Editrice via Degli Alfani, 84 tel 055 2398800 • Libreria L.E.F. Via Ricasoli, 107/R tel 055 216533 • Librerie Feltrinelli Via dei Cerretani, 30/32 tel 055238265 GENOVA • Libreria Punto di Vista Stradone S. Agostino 58/R tel 010 277 • Librerie Feltrinelli Via XX Settembre,231/233 r tel 010 540830

• Libreria CLUP Via Ampere, 20 tel 02 70634828 • Librerie Feltrinelli Via Ugo Foscolo, 1/3 tel 02 86996903 • Libreria IULM Via Carlo Bo 8 tel 02 89159313 •Libreria dell'Archivolto via Marsala 2 tel 02 29010444 NAPOLI • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Via Cappella Vecchia, 3 (PIANO MENO 2) tel 081 2405411 • Libreria Antica & Moderna Fiorentino Calata Trinità Maggiore, 36 tel 081 5522005 • Librerie Feltrinelli Via T. D’Aquino, 70 tel 081552143 PADOVA • Librerie Feltrinelli Via San Francesco, 7 tel 049875463 PALERMO • Libreria Dante Quattro Canti di Città,172 tel 091 585927 PARMA • Librerie Feltrinelli Via della Repubblica, 2 tel 0521237492 PESCARA • Libreria Campus V.le Pindaro, 85 tel 085 64938 • Libreria dell’Università V.le Pindaro, 51 tel 085 694800 • Librerie Feltrinelli C.so Umberto, 5/7 tel 085 295288

SIENA • Librerie Feltrinelli Via Banchi di Sopra, 64\66 tel 057744009 SIRACUSA • Libreria Aleph C.so Umberto,106 TORINO • Fondazione Sandretto Re Rebaudengo Via Modane 16 tel 011 19831625 • Libreria Agorà Via Santa Croce, 0/e tel 011 83 59 73 • Libreria Celid V.le Mattioli, 39 • Libreria Celid Boggio Corso Ferrucci, 119 • Librerie Feltrinelli P.zza Castello, 19 tel 011541627 TRENTO • La Rivisteria Via San Vigilio, 23 tel 0461986075 TREVISO • Libreria Canova Zoppelli via Calmaggiore 31 tel 0422 546253 UDINE • Libreria Paolo Gaspari Via Vittorio Veneto, 49 tel 0432505907 VENEZIA • Libreria CLUVA Tolentini Santa Croce, 197 tel 041522691 • Librerie Feltrinelli P.zza XXVII Ottobre,1 (Centro Le Barche Mestre) tel 041 981028 • Libreria LT2 Toletta Dorsoduro 1214 tel 041 5232034 VICENZA • Librarsi di Monarca & C. Contrà delle Morette,4 tel 0444547140

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ROMA • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Largo di Torre Argentina, 5/10 tel 06 36001873 • Libreria Kappa P.zza Borghese, 6 tel 06 6790356 • Libreria Mancosu editore V.le G Rossini,20 tel 06 35192251 • Librerie Feltrinelli Via V.E. Orlando, 78\81 tel 064870171

SALERNO • Librerie Feltrinelli C.so V. Emanuele, 230 tel 089 253631

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MILANO • Art Book Triennale Viale Alemagna Emilio, 6 tel 02 724341 • Casa Editrice Ulrico Hoepli Via U. Hoepli, 5 tel 02 864872 08 • Coop. Studio e Lavoro Via Durando, 10 • La Cerchia Via Candiani, 102 tel 02 39314929 • Feltrinelli LIBRI & MUSICA C.so Buenos Aires 33/35 tel 02 2023361

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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TOURIST GUIDE TO THE REAL AND SPIRITUAL

LANDSCAPES

OF

PACKAGING

I N

Q U E S T O

N U M E


identi-kit SUPERFLAT SUPERFASHION Takashi Murakami & Louis Vuitton Francesco Spampinato tools Carta da Pacchi Nancy Martin identi-kit Marca di Bronzo Marco Senaldi market release

shopping bag Dalaleo

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shopping bag Segni di Rilievo Sonia Pedrazzini my pack Odoardo Fioravanti / Yoox

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28

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R O - 1 / 0 8 42

identi-kit Il Futuro dei Brand Sonia Pedrazzini

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tools Carmencita Mon Amour

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99

pack conneXion 107 - 132 school box Konstfack - Svezia 108 Accademia di Macerata 109 tools Kinky Atoms 111 Lusso a Piccoli Sorsi 115 The Thing: C'è Arte per Te 118 Luca Aragone show box Message on the Bottle 116

shopping bag Profumi alla Moda Sonia Pedrazzini, Erica Ghisalberti

warning! La Nuova Geografia della Fashion Culture Francesco Morace

identi-kit La Terapia dell’Amore Marco Ligas Tosi

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shopping bag Un Coccodrillo in Scatola 120 Maria Gallo ready to use News 123

59

tools S u s h e h a t 128 Francalma Nieddu book box 133

P R É T- À - P O R T E R

identi-kit Dietro le Quinte di Paul Smith Sonia Pedrazzini

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PA C K A G I N G

user instructions Packaging Prét-à-Porter S. Pedrazzini, M. Senaldi

69 Le nostre copertine Front cover Photo Erica Ghisalberti

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design box Superfici (tra Vista e Tatto) Valeria Bucchetti

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Back cover Jonathan Seliger The Birthday Present, 2007 Pittura su bronzo Automotive enamel on bronze Edition of 5 Courtesy Jack Shainman Gallery, New York

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Errata Corrige - Nello scorso numero di Impackt, 2/2007, l’immagine di apertura dell’articolo “ArtToy Story” raffigura l’opera di Philippe Parreno Werktische, 1995, Courtesy Air de Paris. Per errore non è stata riportata la didascalia; ce ne scusiamo con i lettori, con l’artista e con la galleria.

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store story Freitag Shop Hamburg Francalma Nieddu


P R É T- À - P O R T E R PA C K A G I N G

user instructions Packaging Prét-à-Porter S. Pedrazzini, M. Senaldi

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identi-kit Behind the Scenes at Paul Smith Sonia Pedrazzini

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SUPERFLAT SUPERFASHION Takashi Murakami & Louis Vuitton Francesco Spampinato

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identi-kit Bronze Brand Marco Senaldi

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market release

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shopping bag Fashionable Perfumes Sonia Pedrazzini, Erica Ghisalberti

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identi-kit The Future of Brands Sonia Pedrazzini

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warning! The New Map of Fashion Culture Francesco Morace

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my pack Odoardo Fioravanti / Yoox

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98

identi-kit Love Therapy 104 Marco Ligas Tosi tools pack conneXion

tools Wrapping Paper Nancy Martin

107 - 132

school box Konstfack - Svezia 108 Accademia di Belle Arti 109 di Macerata

tools Kinky Atoms 114 Small Sips of Luxury 115 The Thing - Art in Your Postbox 119 Luca Aragone show box Message on the Bottle 117 shopping bag A Croc-in-the-Box 122 Maria Gallo

66 ready to use News 123

tools Carmencita Mon Amour

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store story Freitag Shop Hamburg

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tools S u s h e h a t 128 Francalma Nieddu book box 133

design box Surfaces (between Visual and Tactile Properties) Valeria Bucchetti

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shopping bag Outstanding Marks Sonia Pedrazzini

Shopping bag Dalaleo

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Corrigenda - In the last issue of Impackt, 2/2007 the opening picture of the “Art-Toy Story” shows the work of Philippe Parreno Werktische, 1995, courtesy of Air de Paris. By mistake the caption was not entered; we apologise to our readers, to the artist and to the gallery.


Condirettore Luciana Guidotti

Ricerca immagini e fotografia

Hanno collaborato Erica Ghisalberti

Redazione

Impaginazione

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Segreteria Ufficio tecnico Daniela Binario, Elena Piccinelli, Ado Sattanino Leila Cobianchi, Filomena D’Addona Massimo Conti (conti@dativo.it)

Progetto grafico Erica Ghisalberti, Vincenzo De Rosa

Vincenzo De Rosa, Rossella Rossi (Studio Grafico Page - Novate - MI)

Dominic Ronayne, Judith Mundell

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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi (info.impackt@libero.it)

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colophon


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Dietro le Quinte di Paul Smith Alan Aboud e Sandro Sodano sono i creativi che hanno costruito e fatto crescere l’immagine nel mondo del marchio inglese Paul Smith, realizzando campagne pubblicitarie, profumi e confezioni di altissimo livello. La moda per loro non ha più segreti e neppure il packaging.

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Sonia Pedrazzini

È certo curioso, e speriamo sia anche di buon auspicio, ma questa ad Impackt è la prima intervista che i due creativi concedono subito dopo i cambiamenti sostanziali avvenuti in seno alla loro agenzia. Da pochissimo, infatti, la Aboud+Sodano è diventata Aboud Creative, sotto la direzione di Alan Aboud, mentre Sandro Sodano ha

preferito dedicarsi con maggiore impegno alla sua professione di fotografo. Questo, però, non ha interrotto l’antica collaborazione tra i due colleghi, che continua invece proficua e con l’ulteriore possibilità per entrambi di agire più liberamente e su nuovi progetti. Risponde alle nostre domande Alan Aboud.


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Qual è il fil rouge che vi unisce e vi accomuna al punto decidere di lavorare insieme? Quando abbiamo lasciato la scuola d’arte, un nostro collega più anziano che ci aveva fatto da tutor, ci ha offerto di lavorare come freelance nel suo spazio a Soho. Abbiamo trascorso lì 13 anni, per poi capire di doverci mettere in proprio. L’esperienza di Sandro e la sua conoscenza della fotografia e della moda sono state utilissime alla mia formazione dato che, al tempo della St. Martin's School of Art non ero così consapevole del “fashion system”. Quando poi, da Paul Smith sono arrivate più richieste e lavori che prevedevano anche la fotografia, Photo by Sandro Sodano

allora è davvero iniziata la collaborazione con Sandro. Com’è organizzato il vostro studio? Ci siamo evoluti negli anni: da piccolo studio con due sole persone a ufficio dove lavora uno staff di otto persone, che diventano dieci nei periodi più impegnativi. Al cliente offriamo un servizio a tutto tondo: progettiamo, facciamo l’art direction, realizziamo servizi fotografici, anche con ritocchi dell’immagine, e curiamo la post produzione. Quasi sempre tutto viene eseguito all’interno dell’agenzia, consentendomi così di seguire da vicino lo sviluppo dei progetti. Parliamo di moda e packaging. Che importanza ha il progetto del packaging nell’immagine di una grande maison di moda? È di assoluta rilevanza. La presentazione dei capi di abbigliamento e il loro packaging aiutano ad aumentare la percezione del valore stesso di un oggetto. Le aziende per la quali lavoriamo investono molto denaro per realizzare la shopping bag giusta o la confezione regalo più adatta al proprio cliente. Bisogna sapere che molti acquisti legati alla moda servono per fare regali, ed è proprio la confezione regalo che assicura a un negozio la fedeltà dell’acquirente. Se qualcuno compra un gioiello griffato, spendendo 2.000 sterline (circa 2.673 euro), il minimo che si aspetta è una confezione che lo protegga, lo contenga accuratamente e che sia anche la più attraente possibile. Il costo unitario di tutti i capi di moda comprende peraltro etichette, cartellini e packaging; dipende quindi da ogni stilista decidere quanto investire nell’imballaggio e


nella confezione. Le case giapponesi sono quelle che danno maggior valore al packaging: in qualunque negozio di Tokyo, anche se si compra una piccola cosa, questa viene impacchettata in modo delizioso e il cliente lascia il posto sentendosi speciale e pensando già ai prossimi acquisti… Quando affrontate un nuovo progetto di packaging come vi ispirate e che metodologia usate? L’ispirazione viene da ogni parte... Da una passeggiata in una galleria d’arte, per la strada, al mercato o guardando un film. Io penso continuamente alle cosa da fare, ai progetti futuri. Sono anche un divoratore di libri, ne compro tantissimi e mi rigenero con i loro contenuti. Talvolta provo a non comprare libri di design, ma non riesco a rinunciare a quelli meravigliosi di Saul Bass, Herb Lubalin and Robert Brownjohn... I miei eroi. Giro sempre con la macchina fotografica, specialmente quando vado a New York, che è la mia città preferita per ispirarmi. Il negozio di libri che amo di più è Dashwood Books, sulla Bond Street a Broadway. David, il proprietario, conosce bene i miei gusti e quando esco da lì, di solito, sono più povero di diverse centinaia di dollari!!!

Com’è nato il vostro rapporto con Paul Smith e come si è evoluto col tempo? Era il 1989, l’ultimo anno alla St. Martin's School; il responsabile acquisti della Paul Smith venne alla presentazione dei lavori di fine corso e selezionò me ed altri colleghi per un colloquio di lavoro come freelance. All’epoca la mia specializzazione era tipografia e non avevo alcuna esperienza nella moda e nell’art direction. Feci il colloquio ed ero la persona meno adatta a quel lavoro, ma a Paul piacqui e quindi iniziai come freelance; all’inizio collaboravo tre giorni alla settimana ma l’impegno andò via via intensificandosi. Sono stato fortunato a vivere il momento della maggior espansione del marchio, sono cresciuto con questa azienda e soprattutto il rapporto con Paul è stato eccellente. Ci sono pure stati dei momenti difficili, ma stiamo ancora insieme dopo 19 anni. C’è voluto un po’ prima che Paul mi concedesse tutta la sua fiducia, ma adesso ci confrontiamo spesso e può permettersi di darmi un brief di lavoro, composto solo da uno schizzo e poche informazioni, vista l’ottima intesa.


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Per i lavori realizzati per Paul Smith avete cercato di imporre il vostro stile, avete fatto vostro lo stile dello stilista, oppure avete lavorato sempre in perfetta collaborazione e unità stilistica? Non credo di avere un mio vero e proprio stile personale; piuttosto tendo alla semplicità e cerco, in ogni lavoro, la soluzione più chiara e ben ragionata. Penso che un designer, in qualità di fornitore di

ho direttamente contribuito alla sua creazione e, dopo 19 anni, so bene cosa piace o non piace a Paul.

servizi, abbia la responsabilità di seguire l’immagine del cliente e non il contrario. Siamo dei catalizzatori di immagine e cerchiamo soluzioni progettuali: il cliente ci indica quello di cui ha bisogno o che manca al suo prodotto e noi organizziamo il gruppo di lavoro per assolvere a quei propositi specifici. Grazie al lungo rapporto tra me e Paul, spesso mi trovo nella condizione di essere contemporaneamente cliente e agenzia; è raro che altri decidano in merito ai servizi fotografici etc. Sono di fatto il “guardiano del brand”, dato che

ogni utilizzatore, ad esempio: è per un uomo o una donna? Di che età? Da quale altra marca è attratto o a quale brand fa riferimento? Dopo aver risposto a queste domande, si può cominciare il proprio progetto. Anche il budget è un elemento significativo e da definire subito. Uno può anche disegnare un packaging meraviglioso, involucri creati ad hoc, ma se poi è troppo costoso il cliente non lo realizzerà. Oggi l’aspetto economico gioca un ruolo decisivo anche in questo settore e tutte le case di moda di successo sono guidate dai direttori

Quali sono gli elementi principali di cui un designer deve tener conto nella progettazione del packaging per il settore dell’Alta Moda? In ogni progetto la parte più importante è quella di chiarire quale sia il packaging giusto per


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finanziari. Fortunatamente per me, spesso la soluzione più semplice è la migliore. Il lusso talvolta significa semplicità, e spazio. Un case history, un aneddoto speciale o curioso, di cui potete parlarci? Spesso Paul mi fornisce le indicazioni di lavoro sotto forma di schizzi e scarabocchi. Ne ho conservati molti e non di rado mi sono serviti anche come utili vademecum su come comportarsi in questo settore. Dopo tutto Paul ha esordito nel 1970 e quindi ha tutta l’esperienza possibile… Comunque, un giorno cercando alcuni schizzi tra i suoi appunti, ne ho trovato uno che “riassumeva” Paul in modo così preciso che nessun articolo può farlo meglio. Diceva: “Sono al xxx xxx (un famoso hotel di Los Angeles). È pieno di stronzi e buffoni”. Stava cenando da solo dopo aver concesso interviste nel suo nuovo negozio di Los Angeles ed era stato spaventato da alcuni fissati con la moda. Non è strano il suo comportamento, lui è molto, molto umile. Mi piace pensare a Paul come al mio mentore, nella vita e nel lavoro. Lui mi mostra sempre il modo più giusto e onesto di comportarmi. Pur essendo famoso e circondato da star e celebrità, ne resta del tutto incorrotto.

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Quali sono gli altri vostri clienti? Stiamo lavorando per un’azienda di Londra, la Neal's Yard Remedies, una farmacia omeopatica e rivenditore di prodotti naturali e di bellezza. Mi hanno chiamato come direttore creativo per rivedere tutto il marchio, dal packaging al punto

vendita. È un progetto che mi dà molta soddisfazione, perché credo fermamente nei prodotti e negli imballaggi che non danneggiano il corpo o l’ambiente. Come punto di partenza, l’azienda ci ha fornito un suggestivo “flacone/icona” e una precisa tavolozza di colori. Stiamo lavorando attorno a questi


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Behind the scenes at Paul Smith

elementi per imprimere al marchio continuità e forza. Stiamo anche lavorando per River Island, una catena di grido, simile a H+M o a TopShop. Una sfida molto diversa, ma nondimeno soddisfacente.

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Per quali altre griffe di moda ti piacerebbe lavorare? Non ambisco a lavorare per molte altre aziende di moda: penso che siano fin troppo strutturate per potermi coinvolgere. Ma mi piacerebbe lavorare per qualche marchio in auge nel passato e che adesso avrebbe bisogno di una revisione, come Laura Ashley, un brand fantastico che ha conosciuto il successo negli anni Ottanta ma che, dopo la morte del proprietario, è sprofondato nella mediocrità. Qualche anticipazione sui prossimi lavori? Ci sarà una nuova edizione limitata del profumo da uomo Paul Smith. Un mio libro di immagini chiamato “Above All Else” e anche un libro scritto con mio cugino Simon Aboud dal titolo “Told”. Questa è la prima collaborazione che facciamo con l’agenzia satellite Aboud+Aboud (www.aboudaboud.com).

Alan Aboud and Sandro Sodano are the designers that have built and fostered the image in the world of the UK brand Paul Smith, creating top level advertising campaigns, perfumes and packs. Fashion no longer holds any secrets for them and neither does packaging. Sonia Pedrazzini It is certainly curious, and we hope a good omen, but this with Impackt is the first interview the two designers have given after the substantial changes made within their agency. In fact Aboud+Sodano has just recently become Aboud Creative, under the direction of Alan Aboud, while Sandro Sodano has preferred to dedicate himself even more fully to photography. This though has not disrupted the timehonored collaboration between the two colleagues, that is indeed continuing to great effect and with further possibilities for both to act more freely and on new projects. Alan Aboud answers our questions. What is the common ground you share and that led you to decide to work together? We were both unemployable when we left art school, so an older colleague who used to tutor us, offered for us to freelance from his space in Soho. We stayed in that building for 13 years, after we finally realized that we had to work for ourselves. Sandro's knowledge and understanding of photographic and fashion helped me a lot, as I was not a particularly fashion conscious person at St Martin's School of Art. As I started getting more work from Paul Smith that entailed photography, I increasingly worked with Sandro on these projects, and that is how the collaboration began.


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How is your studio organized? We have evolved from just being a studio with two people, to now a functioning studio with 8-10 staff during busy periods. We offer a one stop service for clients. We design, we art direct, we produce shoots and we retouch images in post production. All activities are in-house, mainly so that I can keep a very close eye on the progress of projects. Broaching a topic very dear to us: fashion and packaging, in your opinion what importance does packaging design have in the coordinated image of a big fashion maison? It has very high importance. Presentation of garments and packaging helps increase the perceived value of an object. At the companies that we work with, a lot of money is spent trying to produce the right carrier bag, the right gift boxes for the consumer. A lot of fashion purchases are gifts, and gift packaging really helps ensure that a customer comes back to shop again and again. If a person is buying a piece of jewelry from a fashion house for ÂŁ2000, the least they expect is for it to have packaging that protects and also houses that item carefully and as attractively as possible. All garments have ticketing and packaging factored into their unit cost, so it is up to each fashion customer to decide how much they want to put towards packaging. Japanese fashion houses, for me, are the ones who value packaging the most. Even if you buy a tiny item in Tokyo at any store, your purchase is exquisitely packaged and you leave the store feeling special, and also contemplating further purchases.

How did your relationship with Paul Smith come into being and how has it evolved in time? I was in my final year at St. Martin's School of Art in 1989. The Head Buyer at Paul Smith came to our end of year show, and short-listed me along with some of my friends to come for interview for freelance work. At the time, my specialisation was typography and I had no fashion or art directing skills in my portfolio. I was interviewed, and I was totally the wrong person for the job. Paul liked that, and I was offered some freelance work. I worked three days a week in the beginning and it has grown massively since then. I was lucky to be with Paul Smith at a time that they were massively expanding. I grew with them, and thankfully, my working relationship with the company and especially with Paul has been excellent. There have been some rocky times, but we are all still together after 19 years. It took Paul a few years to become comfortable with me and to delegate, but now, we speak very often during the week and sometimes a brief consists of a sketch and a few lines of suggestion from him. We have a very good mutual understanding.

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For the work done for Paul Smith, did you try to impose your own style, did you make the fashion designer’s style your own, or have you always worked in perfect cooperation and stylistic unity? I don't believe that I have a house style at my company, other than a simple, clear well reasoned

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How do you go about tackling a new packaging project, where do you get your inspiration, what methodology do you use? Inspiration can come from anywhere. It could be a walk in a gallery, down the street, at a market or watching a film. I am constantly thinking of things to do, and projects to work on. I also am a book addict. I buy so many books, and thrive on their

content. I try to avoid buying books on design, with the exception of true greats such as Saul Bass, Herb Lubalin and Robert Brownjohn. All heroes of mine. I carry my camera with me at all times too, especially when I go to New York. It is my favorite place for inspiration. My favorite book store is Dashwood Books, on Bond Street off Broadway. David, the owner, knows my taste and when I leave there each time I visit, I am usually a few hundred dollars poorer!!!


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solution for each piece of work that is output. I believe that as a service industry. designers have a responsibility to their client to further their brand image, and not the design agency's. We act as a catalyst for image and design solutions. The client briefs us on what they need or what they see is lacking with their product, and we then seek to put the right team together to produce a well reasoned design solution for that specific purpose. Due to the longevity of my relationship with Paul Smith, I am often simultaneously the client and the agency. Very rarely do others make decisions on shoots etc, as I am effectively the brand guardian for the company, as I have helped establish the house style for them. I know, after 19 years, what Paul likes and what he won't like.

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What are the main elements a designer has to consider in designing packaging for the high fashion sector? The most important question for every project is clarifying who the customer is for the required packaging. Is it a man or woman? What age are they? What other brands would they aspire to? Once one knows the answers to these questions, you can easily start to build up a picture of what is required. Budget also, nowadays is very important to clarify. One can design the best packaging with bespoke linings etc, but if it is too expensive, the client will not do it. Finance plays a huge part in fashion now, and all fashion houses (successful ones) are governed by financial directors. For me, luckily, often the simplest design and solution is the best. Luxury sometimes means simplicity, and space. Do you have a case history or a special or curious anecdote you could relate to us? Often notes are scribbled by Paul and given to me as a brief. I have kept a lot of them, and often they serve as a good reminder as to how to conduct one's self in this industry. After all, Paul started his business properly in 1970, so he has a whole wealth of experience to avail of. However, one day, whilst searching through some of his notebooks for some sketches, I came across one which sums up Paul completely in a way that no magazine article can. This scribble said: "I am at

xxxxxx xxxxxxx (famous LA hotel). It's full of bullshitters and showoffs...". He had been dining alone after doing interviews at his new LA store, and was appalled at the some of people that fashion attracted. He is no nonsense in his approach, and very, very down to earth. I like to think of Paul as my mentor in business and life. He shows me ways of conducting myself in a way that is proper, yet honest. He has been surrounded by stars and fame for a long time, but he remains unaffected by it all. Who are your other customers besides Paul Smith? I am now working for a company in London called Neal's Yard Remedies, an organic Apothecary and organic and beauty retailer. They have bring me in as creative director to oversee the whole brand from packaging to store design. It is an immensely rewarding project as the passionately believe in creating products and packaging that does not harm the body or the environment. We inherited a truly iconic bottle and colour way and we are steering them in a way that creates continuity and strength. We also have been working with RIVER ISLAND, a high street company similar to H+M or TopShop. A very different challenge, but rewarding nonetheless. What other fashion griffes would you like to work for? I don't seek to work with many fashion houses, as I think they are mostly too established for me to get involved. I would love to work on a brand that has had better days, and needs some re-invention. One such brand for me is Laura Ashley, an amazing British brand that enjoyed success globally in the 1980s, but sadly since the owner's death, it has sunk to mediocrity. Could you tell us something about what you will be working on next? Next up for the studio are: A new limited edition men's fragrance for Paul Smith. A book of personal images of mine called 'Above All Else', also a collaborative book written by my cousin, Simon Aboud, called TOLD. This is our first collaboration with our satellite company called ABOUD + ABOUD. (www.aboud-aboud.com)


Il vetro

dice la pura verità

Il vetro conserva le cose esattamente come sono: non aggiunge niente, non toglie niente. Le tiene lì buone buone. Perché è naturale, sicuro, igienico, elegante, riutilizzabile, riciclabile, comodo e unico, perché può essere personalizzato con stile in mille e una soluzione di packaging.

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SUPERFLAT superfashion Takashi Murakami & Louis Vuitton Opere pittoriche, scultoree, grafiche e video si spostano incessantemente dal mondo dell'arte a quello della moda, dal mercato di massa al mercato nero, confermando che Andy Warhol aveva davvero ragione: “fare buoni affari è la migliore forma d'arte”. Francesco Spampinato

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Takashi Murakami Panda, 2003 Acrylic on fiberglass with antique 255 x 165 x 109 cm Louis Vuitton trunk Courtesy Marianne Boesky Gallery, New York ©2003 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

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Takashi Murakami è uno degli artisti contemporanei di maggior successo. Le sue opere si trovano nei più prestigiosi musei del mondo e raggiungono valutazioni da capogiro alle aste. Giapponese, nato negli anni Sessanta, ha conseguito un dottorato di ricerca in Nihonga, Murakami diventa il profeta di un genere artistico emerso in seno alla sottocultura degli otaku, fanatici consumatori di anime e manga. Dagli esordi nel 1989, Murakami raggiunge alla fine degli anni Novanta un elevato livello di notorietà grazie all’uso di un immaginario ben riconoscibile, fatto di segni e simboli mutuati dall’edulcorata estetica dei cartoni animati e dei fumetti e caratterizzato da uno stile flat, piatto, anzi superflat. Il superflat, termine coniato dall’artista stesso, assume da subito i toni del manifesto e raccoglie numerosi seguaci. La produzione di Murakami diventa presto di tipo industriale. L’artista apre la Hiropon Factory, a

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LV Hands ©2002 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved

Tokyo e New York, poi ribattezzata Kaikai Kiki, in cui decine di impiegati producono opere destinate al sistema dell’arte contemporanea ma anche giocattoli, t-shirt e gadget di vario genere, destinati al mercato di massa ma concepiti come parte integrante della ricerca dell’artista tanto da figurare spesso all’interno delle sue mostre. Allo stesso tempo, Murakami incoraggia i suoi assistenti a portare avanti la propria ricerca personale invitandoli a mostre collettive da lui curate, come la fortunata trilogia composta da Superflat (Parco Gallery di Tokyo, 2000), Coloriage alla Foundation Cartier di Parigi nel 2002 e Little Boy alla Japan Society di New York nel 2005. L’arte di Murakami beneficia di una visibilità spropositata grazie proprio alle sue imprese extra-artistiche, al merchandising e alla sua attività di manager di giovani artisti, nonché alle incursioni nel mondo della moda. La prima risale al 2000, con Issey Miyake, per il quale crea la mascotte Mr. Oval e disegna dei tessuti recanti immagini già utilizzate per dipinti e sculture. Il 2003 è l’anno della collaborazione con Lucien Pellat, marchio di prodotti in cachemire, che si esaurisce ancora una volta nel trasferimento di alcune icone dell’artista su capi di maglieria. Nello stesso anno prende avvio la sua più nota collaborazione con il mondo della moda, viva e vegeta ancora adesso, quella con il prestigioso marchio francese Louis Vuitton realizzata grazie alla perspicacia del suo art director, lo stilista americano Marc Jacobs. I disegni di Murakami per Louis Vuitton, come già quelli per Miyake e Pellat, mantengono delle caratteristiche proprie dello stile Superflat in accordo ad un immaginario kawaii (la cultura giapponese del “carino”) ispirato ad


anime e manga. Si tratta di motivi grafici accattivanti come fiori e occhi che si alternano al famigerato logo composto dalla sovrapposizione delle lettere “L” e “V”, nelle caratteristiche composizioni a pattern, tratto distintivo dello stile dell’azienda. Le pelli e i tessuti così decorati, sono utilizzati per la produzione in serie di borse, borsoni, portafogli e accessori diversi. Una macchia di colore nei sobri guardaroba delle consumatrici del lusso globale. Per meglio inquadrare questa ibrida collaborazione, bisogna fare riferimento ad una precisa sfera del consumo: il lusso. Sebbene si possano adottare diversi punti di vista per comprendere il lusso, il kitsch ne rappresenta oggi la migliore chiave di lettura. Come dice Gillo Dorfles, il kitsch compare nella società borghese quando si verifica un “eccesso dei mezzi sui bisogni” (Dorfles, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto, Mazzotta, 1968), proprio come il lusso. Se inizialmente però il lusso era adottato dalle classi abbienti come elemento di distinzione, oggi il lusso ha subito una democratizzazione e, come sostiene Patrizia Calefato, è destinato anche a chi “pur potendosi permettere magari solo un portachiavi di una grande firma per un’occasione speciale, può immaginare di entrare a far parte di una élite esclusiva attraverso questo pur piccolo accessorio” (Calefato, Lusso, Meltemi, 2003).

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La produzione di Murakami per Louis Vuitton sancisce l’ingresso nell’era della business art pura in cui il lusso è un po’ meno lusso di prima e l’arte è un po’ meno arte. A confondere ancor più le acque, contemporaneamente all’immissione sul mercato dei prodotti realizzati per Louis Vuitton nel 2003, Murakami espone la serie di dipinti Eye Love Monogram presso le gallerie Marianne Boesky di New York e Perrotin di Parigi. I dipinti in questione non sono altro che la riproduzione su tela dei motivi riprodotti sulle pelli e i tessuti dei prodotti Louis Vuitton con tanto di logo LV in primo piano. Ma come può un’opera d’arte corrispondere a tal punto ad un prodotto commerciale? Come può non esistere uno scarto tra pittura e prodotto industriale di lusso?

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Una risposta arriva da un’altra controversa opera dell’artista, il video promozionale SUPERFLAT MONOGRAM presentato nei negozi Louis Vuitton nella primavera del 2003 e, allo stesso tempo, presso la Boesky Gallery e la Biennale di Venezia. Il video racconta il viaggio allucinogeno di una bambina nelle viscere di un variopinto panda, mascotte disegnata da Murakami per il brand francese. La creatura ingoia la bimba trasportandola in un

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L’approccio di Murakami all’industria del lusso non è di critica, ma di tacito consenso e questo ha provocato spesso forti resistenze da parte dei più radicali esponenti del mondo dell’arte. Tuttavia, l’operazione di Murakami ha aperto orizzonti inediti alle potenzialità dell’arte. Basti pensare alla fuoriuscita del lusso nel

campo dell’illegalità e della produzione di autentici falsi d’autore. Diventa obbligato a questo punto fare riferimento ad Andy Warhol e alle sue riflessioni sull’arte del business: “La Business Art è il gradino subito dopo l’arte […]” dice Warhol, “[…] far soldi è un’arte, fare buoni affari è la migliore forma d’arte” (Warhol, La filosofia di Andy Warhol, Costa & Nolan,1983). Murakami segue alla lettera il monito di Warhol diventando un vero manager dell’arte ma anche un ottimo artista del business nonché uno dei più falsificati della storia.


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anche opere d’arte ma, in occasione della sua retrospettiva al MOCA di Los Angeles tra il 2007 e 2008 Louis Vuitton ha ben pensato di aprire una boutique all’interno della mostra in cui vendere i prodotti scaturiti dalla collaborazione con l’artista.

SUPERFLAT MONOGRAM, 2003 Created by Takashi Murakami Producer: Tsuyoshi Takashiro Co-producer: Takeshi Himi Director: Mamoru Hosoda Executive Producer: LVMH Louis Vuitton ©2003 Takashi Murakami/Kaikai Kiki Co., Ltd. All Rights Reserved.

ambiente surreale, dalle pareti rigorosamente marchiate LV, dove la giovane consumatrice esperisce un’iniziazione allo shopping come strumento di piacere, accompagnata da folletti ed altre innocue creature. L’esperienza assume ancor di più i toni del godimento estetico se messa a confronto con la scena iniziale e finale del cortometraggio animato in cui grigie sagome di consumatori adulti dal passo sincronizzato entrano ed escono da un centro commerciale.

Francesco Spampinato è artista e critico d’arte. Dal 2000 ha preso parte a diverse mostre sia in spazi pubblici come Viafarini a Milano, la GAM di Bologna, la GC.AC di Monfalcone, sia privati come Deitch Projects a New York e la Galleria Marabini a Bologna. Vive e lavora tra Bologna e New York.

Con SUPERFLAT MONOGRAM non assistiamo solo all’eccedere dell’arte nelle sfere del commercio, ma piuttosto all’arte come esperienza contemporanea a tutto tondo in cui lo shopping rappresenta un momento cruciale della vita quotidiana. Murakami sposta l’attenzione dal museo al negozio e cerca il consenso dei consumatori prima che dei privilegiati appartenenti alla élite dell’arte contemporanea. La collaborazione tra Murakami e Louis Vuitton si è dimostrata poi talmente proficua negli anni che, non solo l’artista ha fornito all’azienda nuovi design con i quali ha realizzato

come Reversed Double Helix (2003) presso il Rockefeller Center di New York. Da un altro lato, ha incentivato la sua attività imprenditoriale realizzando delle tavole da skateboard per Supreme, progettando le copertine dei dischi della pop band nipponica Yuzu, promuovendo gli artisti di Kaikai Kiki e organizzando GEISAI, una fiera d’arte per artisti emergenti. Come se non bastasse, ha scritto anche un libro, The Art Entrepreneurship Theory (Geijutsu Kigyo Ron, 2005), pubblicato per ora solo in Giappone, per il quale la sua collaborazione con Louis Vuitton si è rivelata senza dubbio essenziale.

Certo in questi ultimi anni Murakami non si è limitato solo alla moda. Da un lato ha portato avanti la prolifica attività artistica misurandosi anche con la dimensione pubblica attraverso sculture ed installazioni temporanee


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SUPERFLAT SUPERFASHION Takashi Murakami & Louis Vuitton

Artworks, sculptures, graphics and videos move incessantly from the world of art to the world of fashion, from the mass market to the black market, confirming that Andy Warhol was right: “being good in business is the most fascinating kind of art”. Francesco Spampinato Takashi Murakami is one of the most successful contemporary artists. His works are found in the world’s most highly esteemed museums and sell for mind-boggling amounts of money at auctions. Japanese, born in the sixties, and a PhD in Nihonga, Murakami became the prophet of an art genre which emerged from the bosom of the subculture of otaku, fanatical consumers of anime and manga. From his debut in 1989 until the end of the nineties Murakami achieved an elevated level of notoriety thanks to his use of a highly recognisable set of images, made up of signs and symbols borrowed from the sweetened aesthetics of animated cartoons and comics and characterised by a flat, or, indeed, superflat, style.

Murakami’s designs for Louis Vuitton, like those for Miyake and Pellat, maintain the features of his own superflat style, blending with a series of kawaii images (the Japanese culture of “cute”) inspired by anime and manga. These are engaging graphic motifs such as flowers and eyes which alternate with the famous logo composed of overlapping letters “L” and “V”, arranged in the characteristic pattern, a distinctive trait of the company’s style. The leathers and fabrics decorated thus are used to mass-produce bags, holdalls, wallets and various accessories. A splash of colour in the sober wardrobe of global luxury.

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In order to pull this hybrid collection into focus, we need to talk about a specific area of consumption: luxury. Although there may be different points of view regarding what luxury is, kitsch is the best key to an understanding of what it is today. In the words of Gillo Dorfles, kitsch appears in bourgeois society when there is “a surplus of means over needs” (Dorfles, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto, Mazzotta, 1968), just like luxury. However, if luxury was initially adopted by the wealthy classes as an element of distinction, nowadays luxury has undergone a process of democratization and, as Patrizia Calefato says, is destined for those who “though only able to afford a designer key ring for a special occasion, can imagine they belong to an exclusive elite through this albeit small accessory”. (Calefato, Lusso, Meltemi, 2003).

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The term superflat, coined by the artist himself, immediately took the tone of a manifesto and attracted numerous followers. Murakami’s production very soon became industrial. The artist opened the Hiropon Factory in Tokyo and New York, later rechristened Kaikai Kiki, where dozens of employees produce various kinds of works, destined for the mass market but conceived as an integrative part of the artist’s work, so much so that they often figure in his exhibitions. At the same time, Murakami encourages his assistants to work on their own projects, inviting them to take part in group exhibitions which he curates, such as the successful trilogy made up of Superflat (Parco Gallery of Tokyo, 2000), Coloriage at the Foundation Cartier of Paris in 2002 and Little Boy at the Japan Society of New York in 2005.

Murakami’s art benefits from enormous visibility, thanks to his extra-artistic exploits, his merchandising and his activities as a manager of young artists, as well as his forays into the world of fashion. The first of these dates back to 2000, with Issey Miyake, for whom he created the mascot Mr. Oval, and for whom he designed fabrics with images already used in paintings and sculptures. 2003 saw him working with Lucien Pellat, a brand of cashmere products , a partnership which once again ended with some of the artist’s icons appearing on knitwear. In the same year he began his most famous and still flourishing association with the world of fashion with prestigious French brand Louis Vuitton. This came about thanks to the astuteness of his art director, American designer Marc Jacobs.


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Murakami’s attitude towards the luxury industry is not critical but one of tacit consent and this has often led to heavy resistance on the part of the most radical exponents of the art world. However, Murakami’s work has opened new vistas for the potential of art. Just think of how luxury has entered into the field of illegality and forgery. At this point we simply must bring in Andy Warhol and his reflections on the art of business: "Business Art is the step that comes after art [...]" says Warhol, "[...] making money is art and good business is the best form of art". Murakami follows Warhol’s advice to the letter becoming a true art manager but also an excellent business artist as well as one of the most forged artists of all time.

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Murakami’s work for Louis Vuitton confirms his entrance into the arena of pure business art in which luxury is a little less luxury than it was before and art a little less art. To confuse matters even further, Murakami exhibited his series of paintings Eye Love Monogram at galleries Marianne Boesky of New York and Perrotin of Paris at the same time the products he produced for Louis Vuitton were launched in 2003. The paintings in question are none other than the reproduction on canvas of the motifs reproduced on the leather and fabric of Louis Vuitton products with the LV logo in close-up. But how can a work of art correspond to a commercial product to this extent? How can there be no gap between art and a luxury industrial product? One answer comes from another controversial work by the artist, the promotional video SUPERFLAT MONOGRAM, presented in Louis Vuitton stores in spring of 2003 and simultaneously at the Boesky Gallery and Venice Biennial. The video narrates the hallucinogenic journey of a little girl through the entrails of a gaily-coloured panda, a mascot designed by Murakami for the French brand. The creature swallows the child, transporting her into a surreal environment with walls that bear the LV logo, where the young consumer is initiated into shopping as an instrument of pleasure,

accompanied by elves and other harmless creatures. The experience is even more aesthetically enjoyable when contrasted with the opening and final scenes of the animated short in which grey silhouettes of adult consumers enter and exit a shopping centre in synchronised step. SUPERFLAT MONOGRAM doesn’t just show us the excesses of art in the sphere of commerce, but art as a three dimensional contemporary experience where shopping represents an important moment in daily life. Murakami shifts the attention from the museum to the store and seeks the consensus of the consumer rather than the privileged members of the contemporary art elite. The partnership between Murakami and Louis Vuitton has proved to be extremely fruitful over time. The artist has provided the company with new designs with which he has also produced works of art while, on the occasion of Murakami’s retrospective at MOCA in Los Angeles in 2007/2008, Louis Vuitton also had the brilliant idea of opening a boutique inside the exhibition selling products resulting from the partnership. Certainly in recent years Murakami hasn’t just been busy with fashion. On one hand he has gone ahead with his prolific art work, courting the public with sculptures and temporary installations such as Reversed Double Helix (2003) at the Rockefeller Center of New York. On the other hand, he has boosted his business by making skateboards for Supreme, designing the record covers of Japanese pop band Yuzu, promoting Kaikai Kiki artists and organising GEISAI, an art fair for up-and-coming artists. And as if all this were not enough, he has also written a book entitled The Art Entrepreneurship Theory (Geijutsu Kigyo Ron, 2005), presently only published in Japan, for which his partnership with Louis Vuitton undoubtedly proved to be essential. Francesco Spampinato is an artist and art critic. Since 2000 he has taken part in various exhibitions both in public spaces such as viafarini in Milan, GAM in Bologna, the GC.AC in Monfalcone and private spavces such as Deitch Projects in New York and Galleria Marabini in Bologna. He lives and works in Bologna and New York.


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Carta da

Pacchi Nancy Martin Vedendo, per la prima volta, il chiassoso mare di vestiti di Roba, tre abiti mi sono immediatamente saltati all’occhio. Tutti bianchi: una giacca da uomo, un abito lungo e uno scamiciato senza maniche. Tutti e tre riferiti a modelli classici, avevano tuttavia scelto un materiale sorprendente: la carta. Perché, mi sono chiesta, volersi prendere la briga di dedicare il proprio tempo e la propria arte ad un materiale così modesto? Due abiti erano di carta riciclata: uno fatto con 500 incarti di saponette d’albergo accuratamente cucite insieme a formare un discreto motivo rigato; l’altro con le pagine di un elenco telefonico. Il terzo, l’abito lungo, era costruito con carta da disegno di tre pesi lievemente diversi. Il suo modulo elementare in origami è un quadrato di carta bianca ripiegata che proietta le minuscole piramidi nello spazio per 1432 volte. Generalmente pensiamo che la carta sia superficie per parole o immagini e solo raramente la indossiamo. Oggi solo i fan giapponesi del manga usano la carta washi per realizzare i costumi del cosplay* ed elaborare il look dei loro divi del cuore. Carta e stoffa servono funzioni distinte Stefanino For a Prince fan: coat of Pink Cashmere 500 incarti di saponette Cashmere Bouquet.


in quanto hanno proprietà del tutto diverse. Il tessuto fu inventato ben prima della carta; la sua struttura rinforza fibre deboli come il cotone o la lana. Drappeggia e segue il movimento del corpo. Il tessuto respira e arieggia il corpo. È lavabile e buono con la pelle. È complicato da fabbricare e può richiedere una lunga lavorazione. Solo una struttura così complessa può consentire miliardi di modelli diversi e non esistono, di fatto, due tessuti esattamente uguali tra loro. Il tessuto ha memoria ed elasticità. Come il corpo umano, nasce per muoversi. La carta è semplice, economica, disponibile in quantità e può essere ciclata e riciclata da altra carta o stracci usati. La sua forza sta nella sua debolezza strutturale. La carta non sopporta la trazione: si strappa facilmente. È cancellabile, ma non lavabile. Come il feltro, è una superficie continua che non richiede finiture dopo il taglio. Il tessuto è la somma di migliaia di singoli fili che, dopo il taglio, si disfano. Ma il problema più grave della carta è la sua immobilità. Diversamente dalla stoffa, la carta non si muove. E qui sta la vera questione: come convincerla a muoversi come una stoffa? La stoffa fluisce facilmente dalla seconda alla terza dimensione dello spazio, mentre la carta rimane lì, ferma. Per passare dal piatto al volume, deve essere manipolata. Sia il designer della giacca che quello dello scamiciato hanno risolto il problema con la medesima strategia. Gli incarti del sapone e le Pagine Bianche sono stati rinforzati applicandoli su una superficie di supporto. È facile immaginare lo stato d’animo di questi designer, costretti a confrontarsi con la natura

Menichelli&Fontana, Paper dress Pagine di elenco telefonico, tessutonon-tessuto, colla, nastro isolante.


Francesca Ulivari e Giulia Pecorari, 1432 Carta, colla a caldo, fettuccia di cotone.

della carta e cercare di modificarla costringendola a sua volta a fare ciò che non sa fare. Le autrici di 1432 hanno optato per un approccio diverso: hanno intuito, o capito, la logica del materiale e costruito il loro abito usando un sistema modulare fatto di moduli di carta piccoli e indipendenti, legati o incollati tra loro. Questo sistema ha consentito loro di realizzare il massimo del movimento ottenibile da un materiale rigido come la carta. La flessibilità è ottenuta non dal materiale bensì dall’immateriale: lo spazio esistente intorno ad ogni origami. Lo stesso sistema che è stato usato, per secoli, per costruire le armature. La carta scambia posto con la stoffa. In che cosa è più brava la carta? Ad avvolgere. Gira intorno a un qualcosa per racchiuderlo: una bottiglia, un pezzo di carne, un chilo di verdura. E forse troviamo, qui nascosta, una

metafora: ciò che un tempo fu un rituale (l’abito, il vestirsi, la moda) scende al rango di incarto, come la carta da pacchi intorno a un oggetto, e l’oggetto qui è il corpo. Forse l’idea del corpo sta cambiando. Forse il corpo non può più rivendicare il suo status di sacra e insostituibile vita umana. È forse il corpo solo un altro oggetto con il quale giocare o da sagomare, incartare e mettere da qualche parte? Da dimenticare?

*Cosplay: sottocultura Giapponese incentrata principalmente sul vestirsi come i personaggi dei manga e dei videogiochi. Nancy Martin è una persona a dir poco speciale. La sua biografia è interessante come un romanzo d'avventure, che si svolge tra America, Italia, Cina e Giappone. In ordine sparso Nancy ha cominciato a insegnare a 16 anni, è stata docente presso Domus Academy, ha vissuto a Bali e da 25 ani colleziona kimono... questo testo è tratto dal catalogo "460 abiti" di Franca Pauli e Dario Colombo, Balilla Enterprises, 2008

Tutti designer Il catalogo Roba presenta il risultato della terza edizione del “Depop”, libero concorso di design popolare, dedicato, come dice il nome, non solo ai designer professionisti ma a chiunque voglia partecipare, ideato e curato da Balilla Enterprises. Il tema del concorso 2007 era l’invito a costruire un abito come strumento d’uso personale, tecnico, di comunicazione e di benessere, non dettato dalla moda o dal consumismo. E come dimostra il libro, i risultati sono stati davvero sorprendenti

Everyone’s a designer The Roba catalogue presents the results of the third edition of “Depop”, the free popular design competition that as its name states is not only open to professional designers but also to anyone who wishes to take part, conceived of and curated by Balilla Enterprises. The theme of the 2007 competition is the invitation to construct a piece of clothing as a personal tool of communication and wellbeing, not dictated by fashion or consumerism. And as the book shows the results were truly surprising.


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Wrapping Paper Nancy Martin Both the jacket and the pinafore design solved the problem by using the same strategy. The soap wrappers and pages from the directory were reinforced by applying them onto a backing. It is easy to imagine the mood of these designers, forced to deal with the nature of paper and trying to modify it making it do what it can’t. The designers of 1432 opted for a different approach. They intuited or understood the logic of the material and made their dress using a modular system made of modules of small and individual papers, linked or glued together. This system enabled them to produce the maximum movement that can be obtained from a stiff material such as paper. The flexibility was obtained not from the material but from the immaterial: the space existing around each origami. The same system which was used for centuries to make armour. Paper replaces fabric. What is paper better at? At wrapping. It winds around something in order to contain it: a bottle, a piece of meat, a kilo of vegetables. And perhaps we will find a hidden metaphor here: what was once a ritual (the dress, dressing up, fashion) descends to the ranks of a wrapper, like wrapping paper wrapping an object, and the object here is a body. Perhaps the idea of the body is changing. Perhaps the body can no longer claim the status of sacred and unique human life. Is perhaps the body just another object with which to play or to cut out, wrap up and put somewhere? To forget?

* Cosplay: Japanese subculture mainly centred on dressing like characters from manga or videogames. Nancy Martin is indeed a special person. Her biography reads like an adventure novel, set between America, Italy, China and Japan. In open order Nancy started teaching when she was sixteen, she has been lecturer at the Domus Academy, she has lived in Bali and has been collecting kimonos for 25 years... this excerpt is from the catalogue "460 abiti" by Franca Pauli and Dario Colombo, Balilla Enterprises, 2008.

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Seeing for the first time the gaudy sea of Roba clothing, three items jumped out at me. All white: a man’s jacket, a long dress and a sleeveless pinafore. All three were classic shapes. However, they had been made from a surprising material: paper. Why, I wondered, take the trouble to dedicate your time and art to such a humble material? Two items were made of recycled paper: one out of 500 wrappers of hotel soap carefully sewn together to create a discreet stripy pattern while the other was made from a telephone directory. The third, the long dress, was made from drawing paper of three slightly different weights. Its elementary origami pattern is a square of folded white paper which projects miniscule pyramids into space 1432 times. We generally think that paper is a surface for words or pictures and only rarely do we wear it. Now it is only Japanese manga fans who use washi paper to make cosplay* costumes recreating the look of their favourite film star. Paper and fabric serve different purposes as they have different properties. Fabric was invented long before paper. Its structure reinforces weak fibres like cotton or wool. It drapes and follows the movement of the body. Fabric breathes and aerates the body. It’s washable and kind to the skin. It is complicated to make and may be cycled and recycled from other used paper or rags. Its strength lies in its structural weakness. Paper cannot withstand traction. It rips easily. It can be cancelled but not washed. Like felt, it is a continuous surface which does not require any finish after it has been cut. Fabric is the sum of thousands of individual threads which fray when ripped. But the most serious problem with paper is its immobility. Unlike fabric paper does not move. And here lies the real question: how to persuade it to move like fabric? Fabric flows easily from the second to the third spatial dimension, while paper remains there, unmoving. To go from flat to volume it has to be manipulated.

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#OSMOPROF !SIA 4HE TH EDITION

.OVEMBER (ONG +ONG #ONVENTION %XHIBITION #ENTRE WWW COSMOPROF ASIA COM

"EAUTY TRENDS AND BUSINESS /RIENTFE

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4HE MOST PRESTIGIOUS AND TRENDSETTING BEAUTY EVENT IN !SIA THAT OFFERS UNIQUE BUSINESS CHANCES IN THE ENTIRE REGION 4HANKS TO ITS STRATEGIC POSITIONING #OSMOPROF !SIA REPRESENTS THE EXCEPTIONAL LAUNCH PAD INTO THE ENTIRE !SIAN MARKET SERVING AS THE MOST COMPLETE SHOWCASE FOR EVERY FACETS OF THE BEAUTY INDUSTRY -AJOR HIGHLIGHTS s -ORE THAN EXHIBITORS FROM COUNTRIES AND REGIONS ON SQM OF EXHIBITION AREA s NATIONAL AND GROUP PAVILIONS s VISITORS FROM OVER COUNTRIES AND REGIONS s #OSMOPROF !SIA 7ORLDWIDE "EAUTY /BSERVATORY 0ACKAGING 2OUND 4ABLE s 4HE )NTERNATIONAL "UYER 0ROGRAMME )NDIA *APAN AND !USTRALIA s /-# !SIA :ONE #UP /PEN s !SIA 3PA #ONFERENCE s .ATURAL (EALTH SECTOR THE PERFECT COMBINATION FOR THE HEALTH AND BEAUTY INDUSTRY


identi-kit

MARCA DI BRONZO Nelle opere dell’artista americano Jonathan Seliger i packaging divengono elaborate sculture per far “rallentare” lo sguardo. Marco Senaldi

Princess, 2007 Automotive Enamel on Bronze with zinc plated copper rope and bronze finials


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Il lavoro di Jonathan Seliger (New York, 1955) potrebbe facilmente essere etichettato come postmoderno, appropriazionista, simulacrale, e via dicendo. Nell’epoca della cosiddetta postpop art molti artisti hanno attinto all’immaginario della merce e della marca per realizzare installazioni, sculture, ambienti. Viceversa, come lui stesso tiene a precisare, anche se a prima vista le sue opere sembrano dei semplici ready-made, cioè degli oggetti trovati belli e pronti, esse derivano da fonti culturalmente molto elevate, come la tradizione, prima europea e

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Between Cups, 2006 Acrylic and modeling paste on canvas Courtesy Jack Shainman Gallery, New York

americana poi, del trompe-l’oeil. Si tratta infatti di vere trappole per lo sguardo: ciò che a prima vista appare come una classica borsa da shopping di Gucci, è in realtà un solido e “pesante” bronzo dipinto con particolari finiture; il cartone del latte, o la confezione take away della pizza, vanno fuori misura e divengono dei quadri tridimensionali eccezionalmente ricercati per fattura, composizione, uso del colore. Si tratta di un lavoro molto “lento”, il cui paradosso risiede nel fatto che lo sforzo è quello di tradurre nei termini di un’attività artistica eccezionalmente virtuosa, oggetti di cui generalmente si tende a sbarazzarsi il più in fretta possibile, dato che costituiscono solo l’“involucro” della merce vera e propria, del “tesoro” che costituisce il traguardo dello shopaholic o del semplice consumatore quotidiano. Ecco perché Seliger parla non di ready-made, ma di re-made: perché il suo lavoro rientra in quella nutrita serie di operazioni di re-make culturale a cui oggi molti artisti si stanno dedicando. Dopo anni di ibridazioni tra gusto d’elite e oggetto pop, dopo tanta svalutazione dell’abilità “artistica”, dopo tanta trasgressione fine a se stessa - è sorprendente incontrare artisti come Seliger che si dedicano con scrupolo incredibile alla ricostruzione di “frammenti minimi” del nostro universo consumistico. Sono proprio artisti come lui che riescono a farci riflettere e farci capire la bellezza segreta di un mondo ormai totalmente artificiale, che spesso percepiamo come estraneo, pur essendo stato costruito dalle nostre mani e pur facendo parte della nostra quotidiana esperienza.


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Ho letto che “il tuo lavoro spinge lo spettatore a riflettere sulle relazioni tra contenuto e packaging”… Come mai sei così affascinato dal packaging? Mi piace il packaging perché viviamo in una cultura del consumo, definiamo noi stessi in base al consumo e mi piace lavorare con soggetti con cui chiunque può relazionarsi - forse li fa sorridere o forse li infastidisce, ma chiunque li riconosce e li comprende. In questa direzione direi che sono d’accordo con ciò che ha detto Duchamp, che l’opera d’arte viene completata dallo spettatore - e allo stesso modo io non intendo controllare le sue reazioni. Comunque è ovvio che la mia opera non è un “ready-made” (fatto-e-pronto), ma è un “re-made” (ri-facimento). L’intenzione è che il processo elevi la materia in oggetto dalla sua condizione di oggetto disponibile, ma la disponibilità della fonte potrebbe anche far parte del suo aspetto affettivo, se non del suo pathos. Il mio

lavoro non sarebbe possibile senza il gesto originario di Duchamp, ma è il suo opposto. In aggiunta alla domanda, è successo un po’ di volte che io abbia rifatto un design del tutto onnipresente e che poi i produttori abbiano cambiato quel design apparentemente senza tempo - allora il mio lavoro diviene un pezzo d’archeologia piuttosto che riflettere il momento presente. Questo è un rapporto curioso. Mi dà il senso di come il mio lavoro verrà inevitabilmente visto in futuro. In che modo scegli questo o quel packaging per le tue opere (e in particolare del fashion packaging o delle borse della spesa)? Le mie scelte iniziano sempre con un fondamentale senso di attrazione qualcosa cattura i miei occhi: qualcosa di misterioso, strano, elegante, imbarazzante o bello che mi porta fino al soggetto, forse senza neppure sapere perché. Non è un

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The Wedding Present, 2006 Automotive enamel on bronze, tin-plated copper rope with bronze finials


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Stretched Snowman, 2006 Automotive enamel on aluminum, stainless steel Courtesy Jack Shainman Gallery, New York

procedimento clinico. Un punto di partenza originario nei miei interessi è molto vicino all’uso degli oggetti da parte di Jasper Johns, oggetti così banali che quasi ci accorgiamo a malapena della loro esistenza scatole di fiammiferi, buste da lettera, cartoni del latte, cose che sono destinate letteralmente ad essere gettate via. Gradualmente ho allargato il mio campo di tematiche mentre, giocando anche con le dimensioni, il colore, la texture, la superficie e il design, volevo far rallentare lo spettatore e metterlo in relazione al pezzo come un oggetto “unico”. Tenuto conto dei tipici problemi dei materiali (bronzo, pittura, ecc…) e del cambiamento di dimensioni, come riesci a trasformare un “packaging reale” in un’opera d’arte? Le mie opere non riproducono esattamente un oggetto esistente, non sono simulacri, ma sono destinate a diventare una cosa che va contemplata in se stessa, un oggetto visuale, è questo il loro uso. Amo la pesantezza del bronzo e la sua durata, opposte a quelle della carta. Mi piace anche come la pittura ha

Installation view, 2006 Courtesy Jack Shainman Gallery, New York

una pelle e può avere delle leggere pieghe, una sorta di corollario del corpo - quasi delle vene. Giocando con le dimensioni, provocano differenti tipi di reazioni fisiologiche l’intimità del tenersi per mano di contro all’imporsi di un monolite. Come hai raggiunto il livello delle tue opere attuali - quali sono stati il tuo punto di partenza e la tua evoluzione? Ho cominciato col riprodurre piccoli ritagli di buste da lettera, scatole di fiammiferi, scatole di lampadine, custodie, in scala reale. Dopo aver vagato inizialmente per un po’ di anni cercando di comporre su tela un dipinto bidimensionale, sono rimasto affascinato dal non dover prendere decisioni riguardo alla composizione e al colore. Alla fine, comunque, trovavo tutto ciò costrittivo, e ho voluto “comporre” a modo mio. Cosa pensi della tendenza attuale ad usare il packaging e ciò che vi è connesso, come elemento di ispirazione da parte di vari artisti contemporanei, come Rachel Whiteread o Tom Sachs? Per me Rachel Whiteread sta


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lavorando sull’eredità del primo Bruce Naumann, mentre Tom Sachs è fondamentalmente un dadaista moderno, che fa le pernacchie alla “borghesia”. Il mio lavoro non è assolutamente interessato a quell’atteggiamento. È un ibrido di pittura e scultura e tenta di portare la pittura nello spazio reale - cioè, deriva dagli spazi piatti dipinti degli artisti americani di trompe l’oil, come Harnett e Peto, filtrati attraverso le “bandiere” e le serie di “tratteggi incrociati” alla Jasper Jones, che affermavano l’oggettualità della pittura. Per dirla con semplicità, tutti i miei lavori iniziano come un oggetto piatto, un pezzo di tela stesa su un muro o un foglio di bronzo o di alluminio, che alla fine viene piegato o curvato, incollato o saldato, per manifestare se stesso nello spazio reale. Una mia opera è allo stesso tempo una cosa e il dipinto di una cosa. Io non mi aspetto mai che qualcuno la scambi per una “cosa reale”, benché alcune opere in passato siano state gettate via dalle donne delle pulizie o smontate da ispettori della dogana italiani. Mi hanno detto che una volta qualcuno ha cercato di usare una delle mie scatole di fiammiferi per accendersi una sigaretta dopo aver fatto sesso. Immagino che siano dei complimenti, anche se veramente molto singolari!

More compliments, 2006 oil, alkyd, acrylic and modeling paste on canvas

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Cosa provi verso il packaging come consumatore quotidiano (ammesso che tu lo sia!)? Domanda divertente… Anche se il mio lavoro riguarda lo shopping, spendo la maggior parte del mio denaro in materiali d’arte e nel mantenimento dello studio. Vi è una particolare ironia in tutto ciò. Ma posso ancora considerare la cosa! Bisogna che cominci a pensare a un sacco di cose da comprare…

Keeping the flame, 2006 Acrylic and modeling paste on canvas, wood, brass


identi-kit Disappearing fabric, 2006 Acrylic and modeling paste, varnish on canvas, copper, steel

Bronze Brand In the works of American artist Jonathan Seliger packaging becomes a series of elaborate sculptures that stops the observer short.

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Marco Senaldi The work of Jonathan Seliger (New York, 1955) might easily be labelled post-modern, appropriation, simulacrum and so on. In the so-called post pop age many artists have drawn on the imagery of products and brands to create installations, sculptures, environments. Vice versa, as he is keen to point out, although at first glance his works appear to be simple ready-mades, or objets trouvé, they are really drawn from elevated cultural sources such as the tradition, first European and then American, of trompe l’oeil. Indeed, they are veritable visual tricks. In other words what at first appears to be a Gucci shopping bag is actually a solid and heavy bronze painted with a particular finish. The milk carton, or the takeaway pizza box are oversized becoming three-dimensional paintings which are exceptionally sophisticated in terms of workmanship, composition, use of colour. This is a very “slow” work, whose paradox is the fact that the effort lies in skilfully transforming objects which are generally got rid of as quickly as possible as they are merely the wrapping of the actual product, of the treasure which is the goal of the shopoholic or simple everyday consumer. This is why Seliger doesn’t talk about readymade but about remade, because his work is part of that series of operations of cultural remakes to which nowadays many artists are

dedicating themselves. After years of crossbreeding elite taste and pop objects, after much devaluation of “artistic” talent, after a great deal of transgression which was an end in itself, it is surprising to meet artists like Seliger who dedicate themselves with incredible scruple to the reconstruction of “minimal fragments” of our consumer universe. It is artists like him who succeed in making us reflect on and understand the secret beauty of a world which is now totally artificial, which we often perceive as alien, despite having made it with our own hands and despite it being part of our everyday experience. I have read that “your work forces the spectator to reflect on the relationship between content and packaging”… Why are you so fascinated by packaging? I like packaging because we live in a consumer culture and define ourselves on the basis of what we consume and I like working with subjects to which anyone can relate - perhaps they make people smile or perhaps they make him uncomfortable but anyone can recognise and understand them. I would say that I agree with Duchamp when he said that the work of art is completed by the spectator - and similarly I do not intend to control his reactions. However, it is obvious that my work is not a ready-made but a remade. The aim is for the process to elevate the material from its condition of being an available object yet the availability of the source might also be part of its emotional pull, if not its pathos. My work wouldn’t be possible without Duchamp’s original gesture but it is its complete opposite. Further to the question, several times I have remade an omnipresent design and manufacturers have then changed that apparently timeless design. Then


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my work becomes a piece of archaeology rather than reflecting the present moment. This is a curious relationship. It gives me an idea of how my work will inevitably be seen in the future. How do you choose this or that packaging for your works (especially fashion packaging or shopping bags)? My choices always start from a basic attraction. Something captures my eyes: something mysterious , strange, elegant, embarrassing or lovely which leads me to the subject, perhaps without even knowing why. It is not a clinical procedure. My original point of departure is very similar to the way Jasper Johns uses objects, such banal objects that we are hardly aware of their existence - matchboxes, envelopes, milk cartons, things which are literally destined to be thrown away. I have gradually broadened my field of themes while, through playing with dimensions, colour, texture, surface and design, I wished to slow the spectator down and have him relate to the piece as though it were an “unique” object. Taking into account the typical problems of materials (bronze, painting etc…) and the changing dimensions, how do you manage to transform real packaging into a work of art? My works are not exact reproductions of existing objects. They are not simulacra, but destined to become something that must be contemplated as it is, a visual object, and this is their use. I love the heaviness of bronze and its durability, as opposed to paper. I like the way painting has a skin and can have light wrinkles, a sort of corollary of the bodyalmost veins. Playing with the dimensions provokes different types of physiological reaction- the intimacy of holding hands against the imposingness of a monolith.

What do you think of the current trend of using packaging and that which is connected with it as an element of inspiration on the part of various contemporary artists such as Rachel Whiteread or Tom Sachs? In my opinion Rachel Whiteread is working on the legacy of the early Bruce Naumann while Tom Sachs is fundamentally a modern Dadaist who blows raspberries at the “bourgeois”. My work has absolutely no interest whatsoever in that attitude. It is a mixture of painting and sculpture and attempts to bring painting into real space. In other words it derives from the flat spaces painted by American trompe l’oeil artists such as Harnett and Peto, filtered through the “flags” and series of “crosshatching” à la Jasper Jones, who established the objectivity of painting. To put it simply all my works begin with a flat object, a piece of canvas stretched on a wall or a sheet of bronze or aluminium which is then bent or curved, glued or welded in order for it to be manifested in real space. My work is both a thing and a painting of a thing. I never expect anyone to mistake it for a “real thing”, although in the past works have been thrown in the dustbin by cleaning ladies or dismantled by Italian customs officers. I’ve been told that someone once tried to use one of my matchboxes to light a cigarette after having sex. I imagine these are compliments although they are pretty unusual!

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How do you feel about packaging as an everyday consumer (if that is what you are!)? An amusing question… Even though my work concerns shopping I spend most of my money on art materials and on the upkeep of my studio. There is a particular irony in all this. But I can still consider it! I should begin to think of a load of things to buy…

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How did you reach the level of your current works. What was your point of departure and your evolution? I began by reproducing small scraps of envelopes, matchboxes, light bulb boxes, holders, on a real scale. After initially drifting for a

few years trying to compose a two-dimensional painting on canvas I was fascinated by the idea of not having to make any decisions concerning composition and colour. In the end however I found it all constrictive and I wanted to “compose” my way.


market release

QB Quanto Basta Ovvero Il piacere del vino nella giusta misura RobilantAssociati per Cantine Coltiva QB Quanto Basta è la nuovissima linea di vini in minibottiglia che Cantine Coltiva ha ideato esclusivamente per il Canale Horeca. Una gamma esclusiva di nove prodotti con una scelta di vitigni che copre l’intero territorio nazionale e che si presenta in piccole e pratiche caraffe di vetro, adatte alle occasioni di consumo più disparate. La forte componente innovativa del prodotto implicava la necessità di definirne, per un lancio di successo, un posizionamento chiaro e distintivo e un’identità di marca che lo interpretasse con uno stile comunicativo contemporaneo. Il progetto sviluppato da RobilantAssociati ha portato a determinare le caratteristiche chiave del nuovo brand, che si presenta “friendly” senza rinunciare alla sua

QB Quanto Basta Or that is the pleasure of wine to the right measure

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Robilant Associati for Cantine Coltiva QB Quanto Basta, is the new line of wine in minibottles that Cantine Coltiva has exclusively created for the Horeca Channel. An exclusive range of nine products with a choice of vines that covers the entire area of Italy and that come in small and practical glass caraffs, suited for the most varied occasions of consumption. The strong innovatory component of the product implies the need to define, for a successful launch, a clear and distinctive positioning and a brand identity that

“vinosità” e all’autorevolezza di vini Doc e Igt. Il profilo delineato è quello di una gamma pratica e versatile; perfetta per l’accompagnamento di pasti e spuntini veloci; soluzione ideale per tutti quei consumatori che non vogliono rinunciare al piacere di un buon bicchiere di vino senza gli eccessi della bottiglia tradizionale, gustando tutto fino all’ultima goccia e con la possibilità, da soli o fra amici, di scegliere di volta in volta il vino che si preferisce. Anche il nome QB Quanto Basta, appositamente studiato per questo prodotto, suggerisce l’idea di un formato pensato per soddisfare la voglia di vino in maniera controllata ma mai privativa, per un piacere che gratifica senza rinunce. Esteticamente questo si traduce in una bottiglia che ricorda la caraffa delle osterie ma più elegante, impreziosita da un’etichetta che

rispetta tutti i codici visivi tradizionali del vino e che al tempo stesso introduce, grazie all’uso di colori metallizzati, una componente giovane e accattivante. Il nome, adeguatamente trattato, si trasforma in marchio esso stesso, forte e leggibile; riportato anche sulla capsula acquisisce ulteriore impatto visivo. Il progetto ha coinvolto inoltre la realizzazione di un leaflet e di diversi supporti da distribuire a bar e ristoranti.

interprets the same with a contemporary communicative style. The project, devised by RobilantAssociati, has led to the determining of a key characteristic in the new brand that presents itself as friendly without renouncing on its “wineness” and the authoritative stance of Doc and Igt wines. The profile given is that of a practical and versatile range; perfect for accompanying meals and snacks; an ideal solution for all those consumers who do not wish go without a good glass of wine while avoiding the excesses of the traditional bottle, savouring everything down to the last drop and with the possibility, on their own or with friends, to choose the wine they prefer in each occasion. Even the name QB, Quanto Basta [“just enough”],

especially devised for this products gives the idea of a format devised for satisfying the desire for wine in a controlled but not in a depriving manner, pleasurable gratification without giving up on anything. Aesthetically this has led to a bottle that resembles the caraff of Italian inns but more elegant, embellished with a label that respects all the traditional colour codes of wine and that at the same time introduces, thanks to the use of metalized colors, a young and appealing component. The name, suitably handled, itself turns into the brand, strong and legible; placed on the capsule it offers even greater visual impact. The project also involves the creation of a leaflet and various supports to be distributed in bars and restaurants.



shopping bag

Profumialla Moda

Sonia Pedrazzini, photo Erica Ghisalberti

Il meglio del packaging applicato alla moda, forse, si esprime nel settore della profumeria, luogo privilegiato in cui la “griffe” si trasforma in una vera e propria scultura da mostrare orgogliosamente sui profani altarini domestici di bagni e camere da letto. Nell’elite dei migliori non c’è limite alla fantasia delle forme, ai materiali, alle finiture e ovviamente alle profumazioni. Le preziose boccette sono spesso oggetto di collezionismo appassionato; acquistate non per necessità ma per il piacere allo stato puro, per il senso estetico, per l’emozione che possono evocare e che supera pure l’apprezzamento del profumo stesso. Questi flaconi, che non esito a definire piccoli oggetti d’arte industriale, sono il sogno dell’effimero e del superfluo, il tentativo di dare un corpo al puro spirito del lusso.

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Fashionable perfumes The best of packaging applied to fashion is perhaps found in the perfume sector, a special place where the “designer label” becomes a veritable sculpture to show proudly on the small profane domestic altars of bathrooms and bedrooms. Among the cream of the best there is no limit to the fantasy of shapes, materials, finishes and, obviously, fragrances. The precious bottles are often passionate collectors’ items bought not out of necessity but for pure pleasure, for their aesthetics, for the emotion they can evoke, which even overtakes the appreciation of the perfume itself. These bottles, which I wouldn’t hesitate to define small industrial art objects are a dream of the ephemeral and the superfluous, an attempt to embody the pure spirit of luxury.

Emilio Pucci Vivara Ha il nome di una piccola isola che fronteggia Procida, nel Golfo di Napoli, e la forma di un ciottolo decorato con i mot che resero lo stilista famoso negli Anni ‘60 Come dire, naturalmente glamour. This has the name of a small island oppos Procida in the Gulf of Naples and is the shape of a pebble decorated with the patterns that made the designer famous in the sixties. As though to say naturally glamour.


shopping bag Clavin Klein euphoria blossom Un flacone speciale, con una finitura lievemente satinata e un tappo trasparente lucido, entrambi di color rosa petalo. Primavera totale, di nome e di fatto. A special bottle with a slightly satiny finish and a pour shinyhomme, transparent stopper,dell’eleganza, both the F by Ferragamo un classico un colour of pink petals. Spring all over, oggetto che trasmette sicurezza, virile ma senzain word and deed. aggressività Armani Attitude, il flacone si apre come un raffinato accendino, la memoria dello storico Zippo, e la fragranza mescola il caffè amaro al limone Calvin Klein IN2U elegante espressione di design nell’era digitale. I flaconi - per lui e per lei - in morbida plastica bianca sono contemporanei e sorprendenti. Narciso Rodriguez for him, ricorda una boccetta di china nera, un profumo che deve lasciare il segno, come l’inchiostro… Dsquared2, He wood Un packaging indimenticabile, caldo e rigoroso allo stesso tempo. Dove il vero protagonista, per una volta, non è l’uomo ma la natura GF Ferre’ Bluemusk per lui e per lei, lineare e slanciato, sembra aspirare alle volte del cielo ma anche verso le dimensioni sconfinate del mare e dell’oceano Tokyo by Kenzo la forma del flacone è di Kenzo ma è stata “rivestita” da Kashiwa Sato che ha creato, con la sua impronta moderna ed esplosiva, anche la stupenda grafica della scatola esterna Tom Ford for men un flacone femmineo e lussuoso con discrezione (al contrario della campagna stampa che ha fatto gridare allo scandalo)

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F by Ferragamo pour homme Un classico dell’eleganza, un oggetto che trasmette sicurezza, virile ma senza aggressività. An elegant classic, an object which transmits security, virile without being aggressive.

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Armani Attitude Il flacone si apre come un raffinato accendino, la memoria dello storico Zippo, e la fragranza mescola il caffè amaro al limone. The bottle opens up like a sophisticated cigarette lighter, recalling the historical Zippo, while the fragrance is a blend of bitter coffee and lemon.

Tokyo by Kenzo La forma del flacone è di Kenzo ma è stata “rivestita” da Kashiwa Sato che ha creato, con la sua impronta moderna ed esplosiva, anche la stupenda grafica della scatola esterna. The shape of the bottle is by Kenzo but it has been “refitted” by Kashiwa Sato who has also designed, in his modern and explosive style, the amazing graphics on the box.

Narciso Rodriguez for him Ricorda una boccetta di china nera, un profumo che deve lasciare il segno, come l’inchiostro… It recalls a bottle of black Indian ink, a perfume which has to leave its mark, like ink...


Dsquared2, He wood Un packaging indimenticabile, caldo e rigoroso allo stesso tempo. Dove il vero protagonista, per una volta, non è l’uomo ma la natura. An unforgettable packaging, both warm and stark. Where the true protagonist for once is not man but nature.

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GF Ferré Bluemusk Per lui e per lei, lineare e slanciato, sembra aspirare alle volte del cielo ma anche verso le dimensioni sconfinate del mare e dell’oceano. For him and her, linear and slender, it seems to aspire to the heavenly vaults but also to the boundless seas and oceans.


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Tom Ford for men Un flacone femmineo e lussuoso con discrezione (al contrario della campagna stampa che ha fatto gridare allo scandalo). A feminine and luxurious bottle which is discreet (unlike the press campaign which stirred up a scandal).

Armani Diamonds “I diamanti sono i migliori amici delle ragazze”, cantava Marilyn, reinterpretata oggi da Beyoncé, nello spot televisivo che pubblicizza il profumo. Sarà ancora vero? “Diamonds are a girl’s best friend” sang Marilyn, and now Beyoncé, in the commercial advertising the perfume. Is it still true?


Versace woman È Versace nella sua essenza, la testa di medusa, l’oro, l’imponenza del vetro, un falcone che rispecchia fedelmente i valori del marchio. This is pure Versace with its Medusa head , the gold, the heavy glass, a bottle which faithfully reflects the values of the brand.

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Diesel Fuel for life for woman Ricorda una boccetta degli Anni ‘30, ricoperta da una sottile rete di pizzo per giocare con le trasparenze ed essere sensuale, mostrando e nascondendo. It recalls a 1930s bottle covered in a thin lace which flirts with nudity and sensuality, now you see it now you don’t.

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Il Futuro dei LORO LO FANNO DI PROFESSIONE. IL FUTURO DELLE MARCHE (E IL LORO SUCCESSO) LO COSTRUISCONO A TAVOLINO, CONIUGANDO TRADIZIONE, ESPERIENZA E VISIONE COSMOPOLITA. SONO QUELLI DI FUTUREBRAND E NON PER NIENTE IL MOTTO CHE LI ACCOMPAGNA È “ITALIANI PER NASCITA, INTERNAZIONALI PER VOCAZIONE”.

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Brand

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FutureBrand è una delle più importanti realtà italiane e internazionali nel campo della consulenza strategica di marca, parte dell’omonimo network con sedi in 16 paesi, FutureBrand è anche membro di Interpublic Group of Companies (IPG), uno dei maggiori gruppi mondiali di servizi di comunicazione integrata. L’agenzia vanta una lunga storia. È nata, infatti, oltre 40 anni fa grazie al genio di Gio Rossi, uno dei primi creativi italiani a occuparsi di packaging nel senso contemporaneo del termine. Nonostante l’avveniristica sede di via dell’Aprica a Milano, l’atmosfera dell’agenzia non ha perso quel carattere di laboratorio di idee in cui le cose si fanno con le mani e con la testa: carta, matite e pennarelli convivono perfettamente accanto a computer di ultima generazione. Con oltre 60 tra consulenti e creativi, FutureBrand propone una visione a tutto tondo, globalizzata, profondamente internazionale, appunto, come il mercato in cui si muovono merci e servizi. Nell’Agenzia di Milano - dal 2005 è stata aperta una sede anche a Roma

- si studiano e si realizzano alcuni tra i più importanti progetti nel campo del packaging di largo consumo, retail branding e corporate identity a livello nazionale e internazionale. Fra le case history di maggior successo firmate dall’Agenzia: Mulino Bianco, Barilla, Pavesi, Nestlé, Unilever Ice Cream (il gelato Carte d'Or, per intenderci), Giovanni Rana, RCS MediaGroup, Pagine Gialle, Techint, Angelini; mentre fra i casi internazionali più importanti: British Airways, Olimpiadi di Sidney, Glaxo Smithkline, Exxon Mobil, Nespresso, Marks&Spencer, Mastercard e Barclays. Nella sede di Milano


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abbiamo incontrato Susanna Bellandi, dal 2003 Amministratore delegato dell’Agenzia italiana. Le migliori qualità di FutureBrand? La profonda conoscenza del mercato italiano degli ultimi 40 anni. A questo possiamo aggiungere la capacità di garantire alla marca una visione internazionale, dote necessaria e imprescindibile per chi voglia prendere in considerazione l’esportazione dei suoi prodotti. È sempre importante, infatti, far capire al cliente come potrebbe svilupparsi il suo prodotto, dove potrebbe andare in prospettiva, è fondamentale offrire una “vision” che mostri come si evolverà la sua marca nel futuro a medio termine. Ma questo viene recepito o ci sono ancora reticenze? Dipende dal cliente, noi ci sforziamo di far capire che siamo innanzitutto consulenti di marca e poi designer. Per avere successo, un brand deve sapere con chiarezza a chi vuole

parlare, con chi dovrà competere, quale messaggio vuole fare arrivare al proprio target. Noi studiamo tutte queste variabili e formuliamo una strategia di marca - il posizionamento strategico - che serve da fondamento per il successivo sviluppo del design e della comunicazione. Non si tratta, infatti, solo di creare o aggiornare un logo, bisogna conoscere il mercato, anticipare le tendenze, prevedere gli sviluppi di un dato settore e indicare la strada migliore da seguire. Questo fa di noi un partner su cui contare, consulenti che aiutano ad accrescere il valore economico delle marche. Quando si passa alla fase creativa, sono già state fissate le linee guida valoriali del brand, a quel punto la fantasia si incanala nella giusta direzione e dà il meglio di sé. A ciò si unisce un grande know-how tecnico e tecnologico, che ci porta a tener sempre conto di dove verranno applicati un marchio o un’immagine di prodotto e, al giorno


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d’oggi, le applicazioni sono tantissime e tutte con le loro peculiarità: TV, internet, stampa, display, stand fieristici… Non si può semplicemente progettare un’immagine di marca o di prodotto senza aver prima studiato approfonditamente i valori che rappresenta o aver considerato il mondo e le modalità entro le quali quella marca si muoverà.

competenze vengono messe in contatto tra loro. Nel nostro caso, questo è avvenuto con il nuovo ristorante da Giovanni del Pastificio Rana, a Lonato in provincia di Brescia. Abbiamo lavorato a stretto contatto con Costa Group, un’azienda specializzata in progettazione di bar e ristoranti e questo ci ha permesso di realizzare un vero e proprio format

Insomma, nulla deve essere lasciato al caso? Assolutamente no, persino l’architettura deve avere una sua forza e deve saper rappresentare il carattere della marca. Spesso le aziende affidano la progettazione dei punti vendita ad architetti che, pur realizzando progetti bellissimi, a volte non si pongono il problema di creare un luogo che rispecchi e amplifichi le caratteristiche del brand, offrendo a chi entra una reale brand experience. Tra i migliori esempi di integrazione di architettura e brand mi piace citare i negozi Mandarina Duck, dove la gestione dello spazio architettonico è coerente con lo spirito della marca. Ciò è possibile quando si può lavorare in modo più interdisciplinare e quando le varie

perfettamente coerente con i valori della marca Rana e pensato per essere facilmente replicato altrove, per esempio all’estero. Questo è il retail branding? Appunto, ed è molto importante, soprattutto, per esempio, nel settore della moda. Un brand non è solo un logo da riprodurre come se fosse una sorta di timbro, un brand è anche forme, colori, caratteri tipografici, persino suoni e odori. Nel pensare a uno spazio di vendita è importante pensare che chi entrerà dovrebbe essere in grado di dire, in qualsiasi istante, sono da XY e non perché ne vede il logo, ma perché riconosce il brand attraverso i suoi segni caratteristici e ne vive l’atmosfera unica, ricordandola anche dopo essere uscito.


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Ci spiega meglio che cos’è esattamente la Brand Experience? I punti di contatto di una marca con i propri consumatori o utenti sono numerosi: il packaging, il punto vendita, la comunicazione, internet, la pubblicità e così via. Noi consideriamo questi aspetti come l’insieme dei modi in cui la marca si presenta al destinatario del suo messaggio, ecco perché riteniamo importante che in ciascuna circostanza il messaggio sia modulato con il giusto tono di voce, puntando sui contenuti che rendono unica una marca e che la fanno ricordare. È importante considerare questi punti di contatto in maniera organica e armonica, perché il messaggio che arriva al consumatore sia sempre coerente e rilevante e costituisca una vera e propria esperienza. Come ha influito il concetto di globalizzazionenella progettazione di una marca? Quando si crea una marca, si definisce l’immagine di un prodotto o di un servizio non si può ignorare il fatto che oggi i brand, grandi o piccoli che siano, giocano la propria partita su un terreno globale e Internet, i voli low cost, la comunicazione diffusa, danno a ogni marca la chance di confrontarsi sugli scaffali di tutto il mondo e con i consumatori più diversi. Per essere all’altezza di una sfida planetaria, bisogna quindi disporre di infinite informazioni e di un’esperienza che copra le materie più disparate: i trend dei consumi internazionali, le strategie commerciali, l’evoluzione del design, la progettazione, l’implementazione, le normative. Nel progetto di costruzione di una marca, il packaging sembra avere un ruolo secondario, è così? Che

importanza ha esattamente? No, il pack ha una grandissima importanza perché è a tutti gli effetti un potente strumento di comunicazione. È ciò che il consumatore vede sullo scaffale, è la forma che riconosce ed eventualmente preferisce alle altre, è uno dei modi che la marca ha per parlargli e raccontargli un po’ del suo mondo. Ecco perché è cruciale che il

packaging sia coerente con ciò che la marca vuole dire, se c’è uno scollamento tra i messaggi, per esempio se la marca contiene in sé valori di tradizione e classicità e si presenta con un pack molto tecnologico, dai colori squillanti e dai motivi pop, ecco, lì potrebbe esserci un problema di percezione del messaggio: che cosa mi sta dicendo quella marca? A costo di sembrare ossessivi, la coerenza dei messaggi è una delle prime cose da salvaguardare in qualsiasi progetto di branding. Se poi la marca non si riconosce più nei valori che la caratterizzavano alla sua nascita, cosa normale visto che tutto evolve, allora si può rivederne il posizionamento strategico e ridefinirne i valori di riferimento e ciò avrà poi una ricaduta anche sui


prodotti, sul packaging, sulla comunicazione… E tanto per restare in tema, qual è il vostro progetto di packaging meglio riuscito? Quello che vi ha dato più soddisfazione e perché? È difficile dire quale progetto ci abbia appassionato di più: l’Agenzia sviluppa quasi cento progetti di branding ogni anno e tutti, per un verso o per l’altro, rappresentano sfide appassionanti. Certo, è molto bello quando abbiamo l’opportunità di partecipare fin da principio allo sviluppo di un prodotto e di seguirne poi tutta l’evoluzione. Con Unilever Ice Cream partecipiamo spesso alla fase creativa che

costituisce la prima tappa nella nascita di un prodotto, in questo modo il nostro contributo è perfettamente in linea con i desiderata del Cliente e il lavoro strategico-creativo segue direttive molto chiare, che abbiamo contribuito a definire. Ma è stato molto entusiasmante anche far parte del team che ha curato il riposizionamento di Mulino Bianco tre anni fa, soprattutto considerando che il logo di Mulino Bianco è nato proprio qui, trent’anni fa. È una grandissima soddisfazione essere l’Agenzia che lavora su prodotti che hanno un indice di penetrazione alto come quelli di Mulino Bianco, da Pan di Stelle alle celeberrime Macine. Non c’è settore


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in cui FutureBrand non si sia misurata, l’elenco sarebbe davvero infinito! Le soddisfazioni ce le regalano i Clienti, quando ci confermano che il lavoro svolto insieme sta funzionando e restando con noi anno dopo anno.

Their profession is creating the future (and success) of brands at their desks, wedding tradition, experience and cosmopolitan vision. They are FutureBrand and not for nothing is their motto “Italian by birth, international by vocation”. Sonia Pedrazzini

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FutureBrand is one of the most important Italian and international companies in the field of strategic brand consultancy, part of the network with the same name that has branches in 16 countries. FutureBrand is also a member of Interpublic Group of Companies (IPG), one of the major international integrated communication service groups. The company boasts a long history. Indeed, it was founded over 40 years ago, thanks to the genius of Gio Rossi, one of the first Italian advertising executives to work on packaging in the contemporary sense of the term. Despite the futuristic office in via dell’Aprica in Milan the agency’s atmosphere still has that feel of a workshop of ideas in which things are done with hands and head: paper, pencils and felt tip pens coexist comfortably with latest generation computers. With 60 consultants and art directors, FutureBrand proposes a global vision which is profoundly international, like the market in which goods and services move. In the Milan Agency - a branch was opened in Rome in 2005 - some of the most important projects in the field of mass consumption packaging, retail branding and corporate identity on both a domestic and international level are studied and produced. Some of the agency’s most successful case histories include: Mulino Bianco, Barilla, Pavesi, Nestlé, Unilever Ice Cream (Carte d'Or ice-cream, just so we know what we are talking about), Giovanni Rana, RCS MediaGroup, Pagine Gialle, Techint, Angelini; while the most important international cases include: British Airways, Sydney Olympics, Glaxo Smithkline, Exxon Mobil, Nespresso, Marks&Spencer, Mastercard and Barclays. At the Milan office we met Susanna Bellandi, managing director of the Italian Agency since 2003.

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Come sta cambiando il mondo delle merci, la comunicazione, la distribuzione? Quali sono i nuovi valori su cui far leva? C’è una grande trasformazione in atto e riguarda il consumatore. Oggi, è in grado di scegliere con maggiore cognizione di causa, è preparato e interloquisce con le marche da pari a pari. Il consumatore contemporaneo chiede alle marche di non limitarsi a soddisfare i suoi bisogni pratici, desidera ricevere anche una gratificazione emotiva all’atto dell’acquisto di un prodotto o un servizio e durante il suo consumo o utilizzo. I brand stanno imparando a dialogare in maniera sempre più diretta con i propri consumatori, per farlo stanno imparando anche a “lasciare” lo scaffale e raggiungere le persone là dove si trovano a passare o vivere quotidianamente. È il caso di una marca lungimirante come Giovanni Rana, che ha inaugurato il primo ristorante di una catena che presto sarà europea, per offrire agli appassionati di pasta fresca la possibilità di gustare pianti pronti espressi, preparati a regola d’arte, mentre fanno la spesa o lavorano in un centro commerciale. La comunicazione e la distribuzione tengono sempre più in conto i desideri del consumatore, perché sanno che la sfida non si gioca solo sul piano dei prezzi, ma anche rispondendo alle sollecitazioni di carattere più personale che il consumatore rivolge loro.

The Future of Brands


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FutureBrand’s best qualities? A profound knowledge of the Italian market in the last 40 years. As well as our ability to guarantee the brand international vision, a necessary endowment not to be ignored for anyone considering exporting their products. Indeed, it is always important to show the customer how to develop their products and where they might head in that respect, and fundamental to offer a “vision” which shows how the brand will evolve in the mid-term future. But is this understood or is there still some reticence? It depends on the customer. We make every effort to show them that we are, first and foremost, brand consultants and secondly designers. In order to be successful a brand must know exactly who it wants to talk to, who it will have to compete with, the message it wants to reach its target. We study all these variables and formulate a brand strategy strategic positioning- which serves as a foundation for the subsequent development of design and advertising. Indeed, it is not just a question of creating or updating a logo. One must know the market, anticipate trends, predict developments in a given sector and indicate the best path to take. This makes us a partner you can count on, consultants who help to increase the economic value of brands. When moving into the design phase there are already fixed guidelines established by brand values. At this point the imagination is channelled in the right direction and can give of its best. Combined with this is an immense amount of technical and technological knowhow forcing us to take into account where a trademark or image of the product will be applied and, today, there are many applications all with their own special features: TV, the internet, print, display, trade fair stands… One cannot simply design a brand or product image without first studying in depth the values it represents or without considering the world or modes within which that particular brand will move. So, nothing should be left to chance? Absolutely not. Even the architecture has to be strong and be able to represent the nature of the brand. Often companies entrust the design of

salespoints to architects who, despite coming up with wonderful concepts, sometimes fail to consider whether they are creating a place which mirrors and amplifies the brand’s features, offering those who enter a real brand experience. One of the best examples of architecture and brand integration is Mandarina Duck, where the management of the architectonic space is consistent with the spirit of the brand. This is possible when you can work in a more interdisciplinary way combining various expertises. In our case this is what happened with the new restaurant of Giovanni of Pastificio Rana in Lonato, in the province of Brescia. We worked in close contact with Costa Group, a company specialised in designing bars and restaurants and this enabled us to create a veritable format totally consistent with the values of the Rana brand and designed to be easily replicated elsewhere, abroad for instance. Is this retail branding? Exactly, and it is very important in the fashion sector, for instance. A brand is not just a logo to reproduce as though it were a kind of stamp. A brand is also form, colour, lettering, even sounds and smells. When designing a salespoint it is important to think that those entering should be able to say at any moment, I’m at XY, and not because they see the logo but because they recognise the brand by its characteristic features and experience the unique atmosphere, remembering it after they have left the store. Can you explain better what Brand Experience is exactly? The points of contact of a brand with its own consumers or users are numerous: packaging, salespoint, communication, the internet, advertising and so on. We consider these aspects to be a series of ways in which the brand is presented to the target of its message. This is why we feel it is important that in every circumstance the message is modulated with the right tone of voice, targeting the ingredients which make a brand unique and memorable. It is important to consider these points of contact in an organic and harmonious way so that the message which reaches the consumer is always coherent and relevant comprising a genuine experience.


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How has the concept of globalisation influenced the design of a brand? When a brand is created and the image of a product or service is defined it cannot be ignored that today the brand, be it large or small, is played out globally and the internet, low cost flights, widespread communication, give each brand the chance to compete on shelves all over the world with the most diverse consumers. In order to be equal to the global challenge we have to have an endless amount of information at our disposal and experience in dealing with the widest range of topics: international consumer trends, commercial strategies, design evolution, planning, implementation, regulations. When creating a brand packaging seems to have a secondary role. Is that the case? How important is it exactly? No. The pack is extremely important as it is, to all effects and purposes, a powerful instrument of communication. It is what the consumer sees on the shelf, it is the shape they recognise and eventually choose over others, it is one of the ways the brand has for talking to the consumer and telling him a little bit about its world. This is why it is crucial for the packaging to be consistent with what the brand wants to say. If there is a disunity between the messages, for instance if the brand contains traditional and classical values and comes in a highly technological pack with vivid colours and pop patterns, then there could be a problem in perceiving the message. What is that brand telling me? At the cost of seeming obsessive, the coherence of the message is one of the first things which have to be safeguarded in any branding project. If the brand no longer recognises itself in the values which have characterised it from birth, which is normal considering that everything evolves, then you can review its strategic positioning and redefine its values of reference and this will have an effect on the products, packaging, advertising‌

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How is the world of products, advertising, distribution changing? What new values are being appealed to? There is a massive transformation underway and it regards consumers. Nowadays, they can make a more informed choice and are ready to converse with the brand on an equal footing. The consumer today asks brands not to limit themselves to meeting practical needs. They also want some emotional gratification when buying a product or service and while consuming or using it. The brand is learning to dialogue in an increasingly direct way with its own consumers In order to do this it is also learning to leave the shelves in order to reach people where they happen to be passing by or where they live. This is the case of a farsighted brand such as Giovanni Rana which has inaugurated the first restaurant of a chain which will soon be Europe-wide, offering lovers of fresh pasta the possibility to taste rapidly prepared food, cooked expertly in a shopping centre, while they are doing the shopping or during their lunch break. Advertising and distribution increasingly take into account the desires of the consumer because they know that the challenge lies not just in the price but also in responding to more personal requests on the part of the consumer.

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And just to stay on the subject, what is your most successful packaging project? What has given you most satisfaction and why? It is hard to say which project has thrilled us most. The Agency develops almost one hundred branding projects every year and all of them, in one way or another, represent exciting challenges. Certainly it is

wonderful when we have the chance to take part in a product from scratch and follow its evolution. With Unilever Ice Cream we often take part in the creative phase which is the first step in the birth of a product. This means our contribution is absolutely in line with the desires of the customer and the strategiccreative work follows extremely plain guidelines, which we have helped to define. But it was also thrilling to be part of the team which dealt with the repositioning of Mulino Bianco three years ago, especially considering that the Mulino Bianco logo was born here, thirty years ago. It is enormously satisfying to be the Agency which works on products with such a high index of penetration as those of Mulino Bianco, from Pan di Stelle to the famous Macine. There is no sector in which FutureBrand hasn’t contended. The list is truly endless! We get our satisfaction from our clients when they confirm that the project we have done together is working and when they stay with us year after year.



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La Nuova Geografia della Fashion Culture Francesco Morace

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La fashion culture è ormai diventata un sistema di permanenze più che di tendenze, le cui variabili stilistiche sono già state individuate alcuni anni fa. Diventa quindi molto più interessante concentrarsi sul termine cultura presente nell’espressione “fashion culture”, e analizzare una dimensione che esprime una nuova compatibilità culturale nel sistema del tessile-abbigliamento, introducendo il tema della radicalità geografica e del suo gioco di specchi. Una delle dinamiche più profonde e rilevanti riconducibili alla globalizzazione in atto, riguarda infatti le modalità di relazione tra le diverse culture e il ruolo che i soggetti e le aziende avanzate (anche nel mondo della moda) possono interpretare nella strategia del colibrì e cioè nella permanente impollinazione creativa tra culture, che nel mondo della moda e dell’abbigliamento rappresenta spesso la regola. È in questo modo che le civilizzazioni e le civiltà analizzate da Samuel Huntington come radici di un conflitto planetario (The Clash of Civilizations), esploso drammaticamente dopo l’11 settembre, possono invece partecipare ad un grandioso fenomeno di convergenza anche nello stile verso la costruzione di un corpo integrale dotato di un cervello e di una capacità creativa altrettanto globale. In termini biologici l’impollinazione culturale sta infatti creando le condizioni per la moltiplicazione di sinapsi creative in cui ogni cultura si dimostra in grado di fornire un contributo specifico ed originale, di cui nel mondo della moda si sente gran bisogno. In questo processo di trasformazione universale, troppo spesso viene però dimenticato il ruolo essenziale del corpo e delle sue energie più spontanee. La moda e l’abbigliamento costituiscono inoltre dei grandi facilitatori in questa direzione, poiché permettono un coinvolgimento emozionale e culturale nel fenomeno planetario che possiamo definire di cosmopolitismo epidermico. Il corpo e l’osservazione delle sue espressioni nel mondo della moda rappresenta infatti la base irrinunciabile di un’analisi che il Future Concept Lab conduce da 15 anni nelle strade di 40 città del mondo, attraverso 50 coolhunters e cult searchers che individuano, selezionano, documentano le espressioni vitali del corpo nei propri paesi. Partendo da questo materiale ricco e articolato il team dell’Istituto sposta l’attenzione dal corpo integrale al cervello globale, individuando ogni anno gli stili e le tendenze prodotte da vere e proprie sinapsi creative, frutto di quel processo di impollinazione permanente di cui abbiamo parlato in apertura, e che risulta molto simile al processo associativo e connettivo delle sinapsi cerebrali. Partendo da una os-


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servazione delle tendenze dell’abbigliamento, è necessario lavorare sul delicato rapporto tra corpo e oggetto, dando una fisionomia al sistema nervoso globale e isolando i suoi picchi creativi che attraversano non solo il mondo dell’abbigliamento e dell’accessorio, ma anche quello della cosmetica, dell’alimentazione e della casa: snodi della rete che oggi avvolge il cervello globale come un corpo calloso che mette in comunicazione emisfero destro (l’intuizione, la sensorialità) ed emisfero sinistro (la razionalità, il pensiero logico lineare), rendendo possibile la creatività del sistema. L’individuazione e l’approfondimento del “genius loci” di ogni paese, permettono oggi di orientare e dare un contenuto alle tendenze globali che si stanno costituendo, sostenendo lo sviluppo di un sistema moda planetario in grado di gestire le funzioni vitali del mercato mondiale, selezionando e potenziando le caratteristiche uniche, ma nello stesso tempo universali, di culture differenti. I processi progettuali, produttivi e di consumo che si esprimono in questo settore, esprimono nuove potenzialità in termini di esperienza e di conoscenza, ed è su questo terreno che le imprese dovranno misurarsi partendo da una analisi approfondita delle sensibilità emergenti e degli stili di pensiero. Cogliere l'Immaginario delle “persone” diventa così la nuova sfida della ricerca avanzata nel mondo della moda, che deve dimostrare la capacità di relazionarsi con il mondo esterno attraverso una esplorazione sensibile e attiva, per trovare gli strumenti di confronto con un mercato che è diventato un sistema problematico aperto: la creatività - come hanno ben chiarito Gadamer e Gardner nei loro studi - diventa sempre più un punto di vista sul mondo. La vera domanda non è cosa è la creatività: ora essa sta in una interazione dinamica tra i nodi e le forme interne alla persona e la loro intermediazione. (Gadamer, La rivoluzione cognitiva) Una delle forme di intelligenza è quella dell’essere in relazione. Essere in relazione, interagendo con l’altro vuol dire attualizzare delle modalità specifiche di comprendere, di riflettere, di creare. (H. Gardner, Formae mentis)

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Siamo convinti che il futuro della moda sia puntare sulla creatività per valorizzare il talento dei luoghi, e che la scintilla dell’innovazione si produca attraverso l’ascolto e l’osservazione di ciò che è - nel corpo e nella mente diverso e nello stesso tempo caratterizzato. Lo spazio e il tempo dell’innovazione si misurano sul terreno di questo “spaesamento”, dello scarto


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differenziale prodotto dalle culture materiali. Ciò che in futuro circolerà nelle reti globali sarà l’anima e il frutto di questa differenza e non un modello omologante. Anche per produrre o comunicare prodotti locali, magari solo per un mercato nazionale, gli stilisti e i manager dovranno sempre più osservare e ascoltare il resto del mondo. Per le aziende che si muovono nel mercato globale come avviene nel settore del tessile-abbigliamento, questa attività costituisce poi una necessità assoluta. La molteplicità del Genius Loci si può esprimere quindi non solo in termini militari di attacco-difesa, invasione-resistenza, ma in termini energetici di flussi e processi incrociati, in un mettersi in gioco che sempre produce qualcosa di nuovo, al di là delle dinamiche incontro-scontro. La possibilità di trasformare il Genius Loci in un talento per il futuro si fonda quindi sull’immaginazione e sul progetto, che questo settore - anche in Italia - può garantire e sviluppare. In questo quadro altri paesi hanno acquisito una nuova centralità e una capacità autonoma di produrre stili e fenomeni di moda che arricchiscono la fashion culture globale. L’esempio più visibile e interessante è senz’altro costituito dal Brasile. Un esempio: il nuovo stile brasiliano tra basic creativo e raffinatezza sostenibile Il serbatoio etnico ed esotico che costituisce ormai la base stessa dell’identità brasiliana, si dimostra un vero e proprio laboratorio culturale in cui “l’inconscio del mondo” e i suoi tratti consapevoli trovano un magico equilibrio, come contrappeso allo standard occidentale. La contaminazione culturale permanente che ormai da dieci anni caratterizza l’orizzonte del nostro immaginario esotico, ha ormai superato la fase estetica del folclore, per acquisire una temperatura “stilistica” di grande raffinatezza, eleganza, ricerca, sperimentazione. In questa prospettiva il Brasile incarna oggi le caratteristiche di una nuova cultura internazionale dal tocco esotico, uno stile che è entrato nelle nostre case e che sempre più arricchisce le esperienze del tempo libero, inteso come nuovo lusso ed occasioni straordinarie di vita. La moda e le aziende brasiliane - da Osklen ad Havaianas - sono sempre più aperte alle sperimentazioni creative. Il Brasile ha elaborato nella sua storia la cultura più inclusiva del mondo, forse la sola che su questo terreno sopravanza la stessa Europa. Il ruolo strategico che il Brasile potrà avere nei pros-


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simi anni risiede proprio nel processo di ri-equilibrio tra paesi più avanzati economicamente e paesi emergenti che trovano nella creatività e nella cultura una sponda di crescita e sviluppo che diventa poi trainante anche nell’economia. Ed è proprio da questi elementi di semplicità e creatività, di arte e materia, che arrivano le indicazioni più interessanti dal punto di vista del mercato e del consumo nella moda globale. Il Brasile può in questa fase confermare una direzione che pensiamo sia stata imboccata dal consumo mondiale. La nostra impressione infatti è che si sia alla presenza di una nuova era commerciale in cui il prezzo, la capacità di seguire la moda, e l’eccellenza del punto vendita e del servizio, non costituiscono più elementi inconciliabili e contraddittori nelle strategie di vendita. L’alto e il basso si confondono, saltano i segmenti di mercato, i giovani e gli adulti si alleano in scelte spesso imprevedibili, che convergono contemporaneamente su prezzo e creatività. Zara dieci anni fa ha aperto la strada, ma oggi assistiamo alla rivoluzione commerciale di un intero paese come il Brasile e di una realtà come San Paolo che con i sui venti milioni di abitanti, è entrata di diritto nell’ambito delle città che fanno moda e cultura della moda, organizzando da anni con crescente successo la fashion week, seguendo l’esempio del salone del Mobile di Milano, più che quello delle tradizionali sfilate. Si sviluppano anche le linee per la nuova classe medio-alta, che per la prima volta apprezza proposte connotate da un originale gusto brasiliano, che si distingue per tagli e tonalità cromatiche tropicali, ironia e gioia di vivere, e che nei negozi principali di San Paolo viene accompagnato da ragazze e ragazzi sorridenti che nei negozi trasferiscono la loro qualità umana e relazionale, con sorrisi spontanei e gentilezza non affettata: il concept store Club Chocolate di San Paolo segue le tracce di Corso Como 10 a Milano e Colette a Parigi, articolandosi in uno spazio sofisticato che dall’abbigliamento si estende ad accessori, libri e complementi di arredo. I negozi dedicati ai nuovi nomi della moda brasiliana, come Gloria Coelho, Iodice, Lita Mortari, Rita Bonita, Ocimar Versolato, Rosa Cha, si moltiplicano con una qualità di spazi e di proposte paragonabili a quelli cui ci hanno abituato gli anni ’80, e con una attenzione alla comunicazione e alla promozione particolarmente avanzata, che spesso ruota attorno al recupero delle proprie radici indigene e della propria potenza creativa. Ciò avviene ormai anche in altri settori come la gioielleria o l’editoria:


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l’azienda orafa H.Stern, con la propria straordinaria collezione PURANGAW (termine che in guarani combina i significati di bellezza e felicità) ispirata alle forme simboliche degli indios, rappresenta in questo senso un esempio emblematico, ricostruendo in modo filologico una grammatica espressiva che ha attraversato i secoli. “Prima del 1500 in questa terra che non si chiamava Brasile, Purangaw era la bellezza e stava in tutto. Il suo popolo manteneva un forte desiderio di espressione artistica. Ciascun oggetto, quotidiano o magico, esprimeva arte e senso del magico, attraverso tracce e trame…” (catalogo di H.Stern). La creatività esuberante brasiliana si combina poi sempre più spesso con una tensione etica, ecologica, valoriale, che non discende da un approccio ideologico, ma traspira da una storia antica, probabilmente nutrita recentemente dall’esperienza dei Social Forum di Porto Alegre: il design dei fratelli Campana sembra ad esempio discendere da questa sensibilità per la vita materiale e per i valori di solidarietà spontanea che arrivano dalla strada, e che li portano a firmare un progetto di calzature in plastica di basso prezzo per Melisa, una brand pop di prodotti ultra-economici che non rinuncia al design di autore. Tutti questi fenomeni (dal nuovo basic creativo alla raffinatezza sostenibile) segnano - su una scala più ampia - la fashion culture emergente, che guarda quindi con rinnovato interesse a nuovi orizzonti e nuove sfide creative e produttive. Francesco Morace è presidente del Future Concept Lab, un laboratorio internazionale di Ricerca e Consulenza con sede a Milano e corrispondenti in tutto il mondo. Il laboratorio utilizza metodologie innovative per la definizione di scenari di settore con l’obiettivo di proporre nuovi concept di prodotto e di comunicazione per i mercati del futuro.

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Dove va la Moda? Come si fa a capire dove va la moda? Oggi è meno facile di sempre, e per farlo non bastano più l’intuito, il colpo d’occhio e il palato fine, ci vogliono strumenti che solo la sociologia applicata e un vasto database, in continuo aggiornamento, possono fornire. Su queste premesse è costruito Real Fashion Trends. Il manuale del cool hunter, il quinto libro-laboratorio del Future Concept Lab, lo studio di Ricerca e Consulenza internazionale saldamente capitanato da Francesco Morace. Vantando oltre 50 corrispondenti in 25 paesi del mondo e 100 clienti tra le più importanti aziende, Future Concept Lab è in grado di definire gli scenari di settore e le strategie giuste per affrontare i mercati del futuro. Nel caso specifico della moda, Real Fashion Trends costituisce un ottimo strumento di orientamento per tutti quelli che sono interessati all’universo dei consumi simbolici. Dopo aver ricostruito l’evoluzione della moda negli ultimi decenni, vengono individuate 8 tendenze principali, da Hyper memorabile, a Micromega Luxury, che sintetizzano i cambiamenti avvenuti, e che costituiscono anche un valido banco di prova metodologico. Nella seconda parte del libro, inoltre, si testimonia il contributo che le aree emergenti del pianeta (le ormai celebri nazioni del BRIC, Brasile, India, Cina e Russia, su cui vedi Impackt 10) hanno fornito e continuano a fornire al mercato della moda globale, grazie alla rielaborazione inedita, bizzarra e inafferrabile, delle rispettive classi creative. Un vero e proprio manuale, utile anche per chi di moda non si interessa, ma vuole sapere in che direzione sta andando il mondo.

The New Map of Fashion Culture

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Francesco Morace Fashion culture has now become a system of permanences rather than trends, whose stylistic variables were already identified some years ago. It therefore becomes extremely interesting to focus on the term culture found in the expression “fashion culture” and to analyse a dimension that expresses a new cultural compatibility in the textile-clothing system, introducing the theme of geographical radicalness and its play of mirrors. One of the most profound and important dynamics which can be traced to the process of globalisation now underway in fact concerns the relations between various cultures and the role which individuals and advanced companies (in the world of fashion too) can play in the humming bird strategy and that is in the permanent artistic pollination between cultures, which is often the rule

Where is fashion heading? How can one understand the direction fashion is heading? Nowadays it is even less easy than before; to do so intuition, a good overview or a fine palate no longer suffice, you need tools that only applied sociology and a vast, continuously update database can provide. This is the premise on which Real Fashion Trends. Il manuale del cool hunter, is based, the fifth book-workshop brought out by Future Concept Lab, the international Research and Consultancy studio headed by Francesco Morace. Being able to boast more than 50 correspondents in 25 countries the world around and 100 clients among the most important concerns, Future Concept Lab is capable of defining sector scenarios and the right strategies for tackling the market of the future. In the specific case of fashion, Real Fashion Trends constitutes an excellent tool for getting ones bearings for all those who are interested in the universe of symbolic consumption. After having reconstructed the evolution of fashion over the last decades, 8 main trends are singled out, from Hyper memorable, to Micromega Luxury that synthesize the changes that have occurred, and that constitute a valid methodological testbed. In the second part of the book what is more, witness is borne to the contribution being made by the planet’s emerging areas (the by now famous BRIC - Brazil, Russia, India and China, see Impackt 10) that have contributed to and are continuing to contribute to the global fashion market, thanks to the highly original, bizarre and elusive reworkings of the respective creative classes. A true and proper manual, useful also for those who do not deal with fashion, but who want to know which way the world is heading.

in the world of fashion and clothing. It is in this way that the civilisations analysed by Samuel Huntington as roots of a global conflict (The Clash of Civilizations) which exploded dramatically in the wake of the 11th of September, can instead take part in the magnificent phenomenon of style convergence towards the creation of an integral body equipped with a brain and an equally global creative talent. In biological terms cultural pollination is in fact creating the conditions for the multiplication of creative synapses where each culture proves to be able to provide a specific and original contribution, of which the fashion world feels an enormous need. In this universal process of transformation the essential role of the body and its most spontaneous energies is too often forgotten. Moreover, fashion and clothing are great facilitators in these terms as they allow a strong emotional and cultural involvement in the global phenomenon we can define as epidermal cosmopolitanism. The body and the observation of its expression in the fashion world in fact represents the inevitable basis of an analysis which the Future Concept Lab


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We are convinced that the future of fashion lies in targeting creativity in order to valorise the talent of places, and that the spark of innovation is produced through listening and observing that which is-in the body and the mind- different and yet, at the same time, distinguished. The space and time of innovation is measured by the size of this displacement, the differential gap produced by material cultures. What in future will circulate on global networks will be the soul and fruit of this difference and not a standardising model. In order to produce or advertise local products, perhaps just in the domestic market, designers and managers will still have to observe and listen to the rest of the world. For companies which move in the global market as we see in the textile-clothing sector this activity becomes an absolute necessity. The multiplicity of Genius Loci can therefore be expressed not just in military terms of attack and defence, invasion and resistance, but in energy terms of intersecting flows and processes, a risk which always produces something new, above and beyond the dynamics of encounter-conflict. The possibility of transforming Genius Loci into future talent is therefore based on imagination and design, which this sector- in Italy too- can guarantee and develop. In this framework other countries have acquired a new centrality and an autonomous ability to produce fashion styles and phenomena which enrich global fashion culture. The most visible and interesting example is undoubtedly Brazil. An example: the new Brazilian style - a blend of creative basic and sustainable sophistication The ethnic and exotic source which now makes up the very foundations of Brazilian identity proves to be a veritable cultural workshop in which the “world’s unconscious” and its conscious features find a magical harmony, something like a counterbalance to the western standard. The permanent cultural contamination which has characterised our exotic imagery for the last ten years has now moved beyond the phase of folklore in order to acquire a “stylistic” temperament of great sophistication, elegance, research, experimentation.

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The real question is not what creativity is. Now creativity lies in a dynamic interaction between junctions and forms within the person and their intermediation (Gadamer, The Cognitive Revolution)

One form of intelligence is relating. Relating, interacting with others means bringing up to date one’s specific means of comprehension, reflection, creation (H. Gardner, Formae mentis)

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has been carrying out for 15 years on the streets of 40 countries of the world, through 50 coolhunters and cult searchers who identify, select and record the vital expressions of the body in their countries. Starting with this quantity and variety of material the Institute’s team shift their attention from the integral body to the global brain, identifying year after year the styles and trends produced by veritable creative synapses, fruit of that process of permanent pollination we spoke about earlier which proves to be very similar to the associative and connective process of cerebral synapses. Starting from an observation of clothing trends it is necessary to work on the delicate relationship between body and object, giving the global nervous system a physiognomy and isolating its creative peaks which pervade not just the world of clothing and accessories but also that of cosmetics, food and the home. Junctions in the network which now envelop the global brain like a callous body which connects the right hemisphere (intuition, sensorialness) and the left hemisphere (rationality, linear logical thought) making the creativity of the system possible. The identification and examination of “genius loci” of each country nowadays allows us to orient and give a contribution to growing global trends, supporting the development of a global fashion system able to deal with the vital functions of the global market, selecting and strengthening the unique yet at the same time universal characteristics of different cultures. The design, production and consumer processes we find in this sector mean new potentials in terms of experience and knowledge and it is in this area that businesses must compete, beginning with an in-depth analysis of emerging sensitivities and styles of thinking. Capturing “people’s” Imagination thus becomes the new challenge for advanced research in the world of fashion, which has to prove its ability to relate to the outside world by means of sensitive and active exploration, finding instruments for a comparative study of a market which has become an open problematic system: creativity- as Gadamer and Gardner have clarified in their studies- increasingly becomes a viewpoint on the world.


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warning! From this point of view Brazil now embodies the characteristics of a new international culture with an exotic touch, a style which has entered into our homes and which increasingly enhances our free time, understood as new luxury and extraordinary life opportunities. Fashion and Brazilian companiesfrom Osklen to Havaianas- are increasingly open to creative experimentation. Brazil has elaborated the most inclusive of world cultures and is perhaps the only country to beat Europe at its own game. The strategic role which Brazil might play in the next few years lies precisely in this process of redressing the balance between more economically advanced countries and emerging countries which find in creativity and culture a means for growth and development which then drives the economy too. And the most interesting signs come precisely from these elements of simplicity and creativity, art and matter, from the point of view of market and consumption in global fashion. Brazil can now show the direction we believe global consumption has begun to move in. Indeed, we are under the impression that we are seeing a new commercial era in which price, ability to follow fashion, and excellence of sales points and service are no longer incompatible and contradictory elements of sales strategies. High and low get mixed up, market segments explode, young people and adults unite in often unpredictable choices, converging simultaneously on price and creativity. Ten years ago Zara showed the way but now we are seeing the commercial revolution of an entire country like Brazil and a reality like San Paolo which with its twenty million inhabitants has taken its rightful place as one of the cities which create fashion and fashion culture. For years it has held a fashion week which has met with increasing success, following the example of Milan’s Salone del Mobile, rather than traditional fashion shows. There are also more ranges for the new middle upper class which is beginning to appreciate ideas connoted by an original Brazilian taste, distinguished by tropical styles and colours, irony and joi de vivre, and which in the major stores of San Paolo is accompanied by cheerful youngsters who bring their human qualities to work with spontaneous smiles and unaffected courtesy. The concept store Club Chocolate of San Paolo follows the lead of Corso Como 10 in Milan and Colette in

Paris, dividing up a sophisticated space into clothing to accessories, books and furnishings. The stores dedicated to new names in Brazilian fashion such as Gloria Coelho, Iodice, Lita Mortari, Rita Bonita, Ocimar Versolato, Rosa Cha, are multiplying with a quality of spaces and ideas comparable to those we were used to seeing in the eighties, and with a particularly advanced focus on communication and advertising which often revolve around the revival of native roots and creative potential. This is now happening in other sectors such as jewellery and publishing. Goldsmith’s H. Stern with its extraordinary collection PURANGAW ( a word which in guarani combines the meanings of beauty and happiness) inspired by the symbolic forms of indios, represents in this sense an emblematic example, philologically recreating an expressive language which has crossed the centuries. “Before 1500 in this land which was not called Brazil, Purangaw was the beauty which lay in everything. Its people had a strong desire for artistic expression. Every object, everyday or magical, expressed art and the sense of magic, through traces and stories…” (H. Stern catalogue). The exuberant Brazilian creativity is increasingly combined with an ethical and ecological tension and a tension of values which does not derive from an ideological approach but transpires from an ancient history, probably recently fuelled by the experiment at the Social Forum of porto Alegre. The Campana brothers’ design appears, for example, to derive from this sensitivity to material life and the values of spontaneous solidarity which come from the street, leading them to design cheap plastic shoes for Melisa, a pop brand of ultra-economical products which does not eschew authentic design. All these phenomena (from new creative basic to sustainable sophistication) signal - on a wider scalean emerging fashion culture which looks with renewed interest towards new horizons and new creative and manufacturing challenges.

Francesco Morace is president of Future Concept Lab, an international laboratory of Research and Consultancy with headquarters in Milan and correspondents all over the world. The laboratory uses innovative methodologies to define sector scenarios with the aim of proposing new product and advertising concepts for future markets.


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Il design è in ogni cosa, perfino dentro, sopra o intorno a una tazzina di caffé. È questo il primo pensiero che viene sfogliando il bell’handbook curato per Lavazza da Virginio Briatore, giornalista e studioso dei linguaggi contemporanei. Nell’elegante progetto grafico firmato da Franco Cervi (vincitore, per la grafica della collana di libri Jetlag, del prestigioso Good Design Award 2007) scorrono le confezioni, i marchi nelle loro evoluzioni, le tazzine, le caffettiere... L’intera Lavazza Design Family mette in mostra la felice dittatura del progetto applicato ad ogni aspetto di questo brand. Gli autori di un così ampio e raro (per lo meno in Italia) dispiegamento di idee, sono noti: da Armando Testa a Marco Zanuso, da Claudio Caramel a Karim Azzabi a Matteo Thun. Per comprendere la forza dei progetti più riusciti basti pensare che la grafica della confezione del caffé Lavazza Oro venne progettata da Armando

Carmencita Mon Amour

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Testa nel 1957 e, ancora oggi, la stessa confezione viene venduta in tutto il mondo, senza alcun tipo di diversificazione geografica. Un raro esempio di coerenza globalizzata, ante litteram. E poi ci sono Carmencita e il Caballero innamorato, i calendari con le foto di Helmut Newton, le ricette innovative di caffé studiate dal cuoco catalano Ferran Adrià, insomma, il Lavazzaprogetto ha creato non solo oggetti del nostro quotidiano ma anche pezzi del nostro immaginario, dimostrando che tra la matericità del design e l’immaterialità della comunicazione può esserci ben più che una semplice sinergia; le sovrapposizioni e gli sforamenti dei due territori hanno prodotto infatti un mondo fortemente connotato non tanto dal singolo segno quanto piuttosto dalla capacità di includere democraticamente ogni tipo di pensier-progetto. E sempre per restare in tema, un package speciale che comprenderà l’handbook e la tazzina simbolo del marchio, sarà distribuito nei locali Lavazza di Torino, in onore di Torino World Design Capital.


tools

Carmencita Mon Amour

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Design is in all things, even within, above or around a cup of coffee. This is the first thought that comes to one when leafing through the fine handbook edited for Lavazza by Virginio Briatore, journalist and scholar of contemporary languages. The elegant graphic project by Franco Cervi (winner, for the graphics of the Jetlag book publisher, of the Prestigious Good Design Award 2007) offers packs, brands and their evolution, coffee cups, coffee pots… The entire Lavazza design family puts on show the happy dictatorship of the project applied to all aspects of this brand. The creators of such a broad and rare (at least for Italy) array of ideas, are known: going from Armando Testa to Marco Zanuso, from Claudio Caramel to Karim Azzabi to Matteo Thun. To understand the force of the most successful projects one only has to think that the graphics of the Lavazza Oro coffee pack were designed in 1957 by Armando Testa and still today, the same pack is sold the world over, without any type of graphic diversification. A rare example of globalised coherence ahead of its times. And then there are Carmencita and the Caballero in love, the calendars with the photos of Helmut Newton, the innovatory coffee recipes thought up by the Catalan cook Ferran Ardrià, that is, the Lavazza-projects has not only created objects we use in our everyday lives but also pieces of our imagination, demonstrating that the relation between the materic nature of design and

the immaterial nature of communication is based on a lot more than just simple synergy; the overlapping and the overrunning of the two areas have in fact produced a world strongly connoted not so much by the single sign but rather aboveall by the capacity to democratically include all types of thought-project. And to stay on the same theme, a special packaging that will comprise the handbook and the cup that is a symbol of the brand will be distributed in Lavazza’s bars and coffee shops throughout Turin, in honour of Turin’s being elected World Design Capital.


ferrariodesign.it

Ne facciamo di tutti i colori.

CartograficaPusterla CoffretsCreation DacicaTeca

Cartografica Pusterla spa - Via A. Pusterla, 4 - 21040 Venegono Inferiore Varese - Italia - tel. +39 0331 856500 - fax +39 0331 865335 www.c-pusterla.it - info@c-pusterla.it Coffrets Création sa - Z.I. Puygaillard - 87520 Oradour-sur-Glane - France tél. +33 5 55 03 21 54 - fax +33 5 55 03 19 77 www.c-coffrets.fr - info@c-coffrets.fr Dacica Teca srl - Bucures ¸ti-Domnesti n. 86 - Comuna Clinceni - Jud.Ilfov Bucures¸ti - România - tel. +40 31 860 00 48 - fax +40 31 860 00 47


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Freitag Shop Hamburg Francalma Nieddu


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L’idea di riciclare cinture di sicurezza, vecchie camere d’aria e teloni di autocarri per ricavarne borse resistenti agli agenti atmosferici è dei fratelli svizzeri Markus e Daniel Freitag che iniziarono, nel 1993, con il confezionarle in proprio a casa loro. Ispirati dai coloratissimi mezzi pesanti che passavano sull’asse di transito davanti al loro appartamento di Zurigo, realizzarono le prime borse con materiali di riciclo, ognuna un esemplare unico. Senza volerlo, i Freitag diedero origine ad una nuova tendenza nel mondo degli accessori. Adesso le freewaybags made in Switzerland hanno conquistato il mondo e sono diventate veri e propri oggetti di culto. Qualità, riciclaggio e spirito “svizzero”sono le tre costanti dei prodotti Freitag. E lo stesso vale per il negozio di Amburgo, un luogo fuori dal comune con una storia particolare. Parliamo con Rahel Stanig, responsabile marketing dei negozi Freitag.

1/08 La torre di container che costituisce il Freitag Shop di Zurigo. The container tower that constitutes the Freitag Shop, Zurich.

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Com’è nato il vostro store? Prima di aprire il negozio F-Shop Hamburg, è stato fatto un accurato sondaggio di opinioni, con tre camionisti tedeschi e “nonna Freitag” … volevamo essere sicuri della scelta! Ai camionisti piaceva il quartiere Kiez, quello a luci rosse. Alla nonna invece l’isola di Sylt al Nord. Ma nel 2002 il negozio si è aperto in Klosterwall. Nel 2004 ci siamo ampliati: 140 metri quadrati per oltre 700 borse, simili ad un “truckstop shop” (lungo12 m, profondo 2,5 m ed alto 3 m, le misure di un vero container), un negozio che ricorda le aree di servizio per camionisti. Il progetto, dello studio Blauraum Architekten di Amburgo, è stato premiato al concorso “7 architekturpreis contractworld award


2006”. Molto particolare è anche il FShop di Zurigo, costruito nel 2006 con 17 container riciclati e leggermente arrugginiti, smontati con cura, rinforzati, impilati uno sull’altro e avvitati saldamente. Inquinamento sonoro e visivo per alcuni, musa ispiratrice per altri: dal tetto si gode la vista sul mitico ponte di transito che aveva anni prima già ispirato i fratelli Freitag...

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Cosa si cerca e cosa si trova in un negozio Freitag? Più di 40 tipologie di prodotti. Gran parte borse da spalla, ma anche accessori come porta iPod e custodie per laptop. Sono Individual recycled freeway bags - ovvero borse che, grazie all’impiego di materiali usati, hanno sempre stampe e colori diversi, con design sempre nuovi. Ogni prodotto costituisce un esemplare unico e soddisfa le nostre elevate esigenze in fatto di qualità, design e robustezza.


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Packaging si o packaging no: quale è la vostra posizione? La nostra esigenza è quella di fare un prodotto di design, funzionale, robusto e sostenibile. Tutti i nostri materiali sono riciclati. Per cui anche il packaging, se deve esserci, deve essere ecologico e riciclabile. Che importanza ha la confezione e che impatto ha sulla vostra clientela? Il prodotto è al centro dei nostri interessi e anche il packaging fa parte del prodotto, deve presentarlo bene ed essere funzionale; deve trasmettere soprattutto il suo carattere di pezzo unico oltre ad essere riutilizzabile, come abbiamo già spiegato. I nostri imballaggi sono di cartone e, con leggere modifiche fatte dal consumatore stesso, possono essere riusati in un altro contesto. Ad esempio, il pack del pallone da calcio può diventare una scatola per le bottiglie di birra; la busta di carta per piccoli accessori, indossata al contrario, dopo aver fatto dei buchi per gli occhi, si trasforma in un giocoso copricapo; mentre con pochi tagli la confezione di F-TV-Box si trasforma in una televisione giocattolo con tanto di telecomando.

pratico ed intelligente che porta con sé anche una chiara idea di environment friendly.

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FREITAG SHOP HAMBURG Klosterwall 9 - 0095 Hamburg Deutschland Phone: +49 40 328 70 20 hamburg@Freitag.ch www.freitag.ch

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L'ultima tendenza in fatto di trend e lifestile? Secondo noi il desiderio di individualità dei consumatori sarà un tema sempre più importante. Il cliente non vuole un prodotto di serie, ma vuole esprimersi personalmente. Freitag da sempre significa individualità, lo si vede sia nei singoli prodotti che si presentano come pezzi unici sia nel nostro sito internet in cui è attiva la sezione “F-Cut-Tool” in cui si può disegnare la propria borsa.

Un packaging che considerate molto speciale... Il nostro packaging F-TV-Box, di cui abbiamo già parlato. Nel nostro negozio ci sono speciali display composti da scatole di cartone che fungono anche da confezioni pronte per essere portate via dai clienti assieme al prodotto acquistato. È un sistema di allestimento, ed allo stesso tempo di imballaggio, molto


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Freitag Shop Hamburg Francalma Nieddu The idea of recycling seatbelts, old inner tubes and lorry tarpaulins in order to produce bags able to withstand atmospheric agents comes from Swiss brothers Markus and Daniel Freitag who, in 1993, began to make them at home. Inspired by the highly colourful heavy goods vehicles driving past their Zurich apartment they made their first bags from recycled materials, each one unique. Without intending to the Freitags generated a new trend in the world of accessories. Now freewaybags made in Switzerland have conquered the world and become veritable cult objects. Quality, recycling and “Swiss” spirit are the three constants of Freitag products. And the same goes for the store in Hamburg, an unusual place with an unusual story. We talk to Rahel Stanig, marketing head of the Freitag stores.

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How was your store born? Before opening the F-Shop Hamburg a serious opinion poll was held for which we canvassed three German lorry drivers and “Grandma Freitag”….we wanted to be sure we’d made the right choice! The lorry drivers liked the Kiez neighbourhood, the red light district. Grandma, on the other hand, liked Sylt island in the north. But in 2002 the store opened in Klosterwall. In 2004 we expanded into 140 metres containing over 700 bags, like a truck stop shop (12 m long, 2.5 m deep and 3 m high, the measurements of an actual container), a store that recalls lorry service areas. The project, by Blauraum Architekten of Hamburg, won the “7 architekturpreis contractworld award 2006”. The F-Shop in Zurich is also highly unique. It was built in 2006 out of 17 recycled and slightly rusty containers, carefully dismantled, reinforced, stacked one on top of the other and tightly bolted together. For some it is sound and visual pollution, for others it is a source of inspiration. From the roof you can enjoy the view of the legendary bridge which inspired the Freitag brothers all those years ago… What do you look for and what do you find in a Freitag store? More than 40 product typologies. Large shoulder bags, but also accessories such as iPod carriers and laptop containers. They are Individual recycled

freeway bags - or bags which, thanks to the materials we use, are produced in constantly changing prints and colours, and different designs. Each product is a unique specimen and satisfies our tough criteria for quality, design and robustness. Packaging or no packaging. What is your position? We need to make a product which is well designed, functional, robust and sustainable. All our materials are recycled. So, if there has to be packaging, it must be environmentally friendly and sustainable. How important is the packaging and what impact does it have on your customers? The product is central to our interests and packaging too is part of the product. It has to show it off and be functional. Above all, it has to communicate the uniqueness of the piece as well as be recyclable, as we have already explained. Our packaging is made of cardboard and , with slight modifications made by the consumer himself, can be used in a different context. For example, a football pack can become a box for beer bottles and a paper bag for small accessories, worn upside down, after cutting out holes for the eyes, can become a glorious head covering. Whilst, by making a few cuts, the F-TV-Box can be transformed into a toy television with a remote control. The latest trends in trends and lifestyles? We think the consumer’s desire for individuality will be an increasingly important theme in the future. The customer doesn’t want a mass-produced product. He wants individual expression. Freitag has always been a byword for individuality. You can see it in the single products which are shown as unique pieces on our website where there is an active “F-Cut-Tool” section where you can design your own bag. A packaging you consider to be really special? Our F-TV-Box packaging which we mentioned before. In our stores there are special displays composed of cardboard boxes which also act as ready packaging to be carried away by customers along with the product they have purchased. It is a kind of décor as well as packaging, very practical and intelligent, clearly environment friendly.


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Superfici

Fave di cioccolato - Il packaging nasconde totalmente il prodotto e, attraverso un proprio registro sensoriale, guida l’utente al disvelamento del contenuto, per mezzo di scale cromatiche e tattili. Chocolate beans - Packaging totally conceals the product and, via its own sensorial register guides the user in the unveiling of its contents, this via a tactile and colour scale. by Luca Cereda, Liliana Cheung, Tommaso De Preto


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(tra vista e tatto) Può il packaging migliorare la fruizione del prodotto attraverso uno sfruttamento ottimale del supporto di cartoncino? Suggestioni, riflessioni e impressioni da una ricerca condotta da Politecnico di Milano e Procarton, intitolata “Una filiera per l’innovazione”. Valeria Bucchetti

Italia; un lavoro di ricerca svolto a supporto della sperimentazione progettuale, focalizzato su un riesame del supporto stesso.

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Mutisenso: superare la planarità Mappatura del campo, riflessioni sullo stato dell’arte, compiute attraverso momenti di confronto con i diversi attori del sistema, ma anche una ricognizione delle soluzioni tecniche praticabili, hanno costituito una fase di tipo istruttorio rivolta a creare un

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C’è un’area di lavoro che ha come fulcro la capacità del materiale - il cartoncino - di offrirsi con una notevole profondità alla percezione visiva. Il darsi comunicativamente della superficie rappresenta una delle aree emerse da un lavoro più esteso. “Una filiera per l’innovazione” è una ricerca a supporto della didattica sviluppata all’interno del Corso di laurea in Design della comunicazione della Facoltà del Design del Politecnico di Milano e da Procarton


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Lilium - Il packaging sintetizza la trasformazione del bulbo in fiore ed è concepito al tempo stesso come strumento per attuarla. L’involucro esterno veicola le caratteristiche tattili e visive del fiore, la parte interna quelle del bulbo. Lillum - The packaging shows the bulb flowering, being at the same time conceived as a tool to foster the same. The outer wrapping vehicles the tactile and visual characteristics of the flower, the inner wrapping that of the bulb. by Cristina Bianchi, Simone Crespi, Valentina Faravelli

terreno di osservazioni condivise. Il quadro di riferimento emerso è quello influenzato da un linguaggio visivo sempre più agganciato alla dimensione multisensoriale, contaminato dalla molteplicità degli effetti speciali che trovano espressione nei diversi contesti, da quello cinematografico, a quello grafico, alla moda e ad altri ancora, messo di fronte a un caricamento comunicativo complessivo, in cui ogni artefatto della comunicazione satura il campo con elementi aggiuntivi, con sovraimpressioni che lo arricchiscono, in cui la superficie si mette in gioco su più dimensioni, quasi a voler superare i propri attributi

di planarità. Si agisce così sullo spessore della superficie, l’oggetto non è più solo un corpo, ma un effetto estesico, alla ricerca delle proprie potenzialità e della propria complessità espressiva. Si lavora sulla densità, sullo spessore, sulla matericità. E questa è una strategia che coinvolge sia la componente materica, sia quella figurale. Siamo nell’era delle cangianze, delle perlescenze, delle metallizzazioni e, ancora, degli effetti satinati, iridescenti, gommati. Le tecnologie a supporto dei processi di lavorazione si traducono in stimoli progettuali molteplici: inchiostri termocromatici che a una certa temperatura consentono al supporto cartaceo di cambiare colore, smalti che rendono praticabili trattamenti a rilievo fosforescenti e fluorescenti. Ma anche sviluppi di pigmenti ad effetto, colori interferenziali percepibili dall’occhio umano variando l’angolo di osservazione (effetto Flip-Flop), sino alla variazione della distribuzione granulometrica che fa sì che sia possibile spaziare da effetti setosi a elevate lucentezze delle particelle più grosse. Si tratta di soluzioni in divenire continuo, che coinvolgono il supporto materico del packaging. Esplorare la superficie Se da un lato quindi con il lavoro ci si è concentrati sull’analisi delle criticità del settore, sull’individuazione di linee di interesse utili ad orientare la ricerca progettuale futura, sulla raccolta di punti di vista che possano contaminare il campo in oggetto, dall’altro ci si è dedicati a una rilettura delle qualità espressive del supporto con l’obiettivo di ri-orientarle secondo parametri e indicatori emersi dall’area di indagine privilegiata. L’approccio sinestesico viene così indagato attraverso un ambito applicativo che


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Earl Grey Tea - Tre aspetti caratterizzano il progetto: il contrasto fra interno ed esterno della confezione; il sistema di pieghe che permette alla parte inferiore di “schiudersi” all’apertura; un dosatore ricavato dalla fustella, che si fa dispositivo per raccogliere la giusta quantità di prodotto. Earl Grey Tea - The project features three aspects: the contrast between the inside and outside of the pack; the system of folds that allows the lower part to open out once the pack has been opened; a doser derived from the die, that can be used to measure the right quantity of product. by Emanuele Bonetti, Loredana Bontempi, Emanuele G. Conti

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Esperimenti e soluzioni Il cartoncino mette quindi in moto una serie di sinestesie, non riferite solamente ad alcune categorie, come

caldo o freddo, che coinvolgono l’intero immaginario simbolico. Si è trattato di mettere al centro del lavoro di ricerca le potenzialità della superficie che riguardano la sua lavorazione, di indagare le possibilità legate alla texturizzazione e alla tattilità, di agire sull’innovazione di materiale, sulla possibilità di ottenere una superficie che tenga una forma, dei rilievi, per motivi estetici o funzionali, per dare risposte per esempio ai non vedenti o per incrementare prestazioni funzionali destinate a un’utenza allargata e, successivamente, di tradurre in brief progettuale questa prospettiva. All’interno di un workshop, durato

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si rivolge alla dimensione espressivofunzionale del packaging. Le potenzialità della superficie vengono ricondotte ad un’esplorazione progettuale mirata, che rimette al centro il prodotto con le proprie caratteristiche sensoriali e le modalità di fruizione ad esso connesse. La domanda che ci si è posti è stata: può il packaging migliorare la fruizione del prodotto attraverso un miglior sfruttamento del supporto in cartoncino? E considerando come il termine fruizione si presti ad essere letto secondo differenti livelli semantici - accesso, raggiungimento e gestione del contenuto, suo uso corretto ecc. - rimane una domanda alla quale si è dato, con la fase di lavoro progettuale, una prima risposta. Un lavoro di ricerca sulle sinestesie e sulle possibilità di produrre dei circuiti di richiamo intersensoriale, sull’intermodalità, ovvero sulla possibilità attraverso altri canali, altre modalità sensoriali di comunicare alcuni contenuti (come per esempio quelli indirizzati ai non vedenti) rappresenta pertanto uno spazio di sperimentazione di grande interesse. In particolare ricordando che il cartoncino è un materiale che instaura contemporaneamente nel destinatario una serie di attese relative al tatto: dal rapporto tra anticipazione percettiva a distanza e percezione a contatto, al doppio momento - di tipo prossemico - di distanza tra oggetto e destinatario, in cui il cartoncino può avere un valore e un ruolo nell’anticipazione visiva, ma anche alla relazione di congruenza tra contenitore e contenuto.


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cinque giorni - nel quale si è dato un prodotto di consumo caratterizzato da specifiche proprietà organolettiche o sensoriali - obiettivo del progetto è stato la definizione di soluzioni di imballaggio in carta o cartoncino in grado di forzare l’anticipazione tattile-visiva del contenuto per favorire, attraverso queste modalità sensoriali, diverse fasce di utenza nella fruizione del prodotto, intendendo così rispondere alle necessità di tutte le categorie di utenza, dai cosiddetti ”common people”, ai disabili visivi, ipovedenti, non vedenti, nei loro diversi momenti di consumo. Con i quattordici progetti sviluppati l’attenzione è stata rivolta in particolare alle qualità comunicative del supporto. La ricerca progettuale si è indirizzata verso la valorizzazione dei trattamenti e delle finiture di superficie che, unitamente alla veste grafica e alle proprietà morfologiche della struttura, non devono costituire soltanto un incremento di qualità estetica, bensì un’anticipazione del contenuto, un aiuto nell’orientamento al prodotto e alla sua fruizione. Gli interventi hanno voluto così facilitare l’orientamento topologico del destinatario attraverso la superficie della confezione che diviene mezzo per individuare le diverse funzioni (apertura, erogazione ecc.) in situazioni di fruizione più o meno favorevoli, come, ad esempio, in condizioni di scarsa illuminazione.

Valeria Bucchetti, visual designer, laurea in D.A.M.S, dottore di ricerca in Disegno Industriale. È ricercatore e docente di Design della Comunicazione presso il Corso di laurea in Design della comunicazione (Politecnico di Milano). Di recente ha pubblicato Packaging Design (FrancoAngeli, 2005); Packaging Controverso (Edizioni Dativo, 2007); Packaging tra vista e tatto (Poli.Design, 2007).

Surfaces (between visual and tactile properties) Can packaging improve the use of the product by means of an optimum exploitation of the paperboard substrate? Suggestions, reflections and impressions of a study carried out by Milan Polytechnic and Pro Carton, entitled “An industry for innovation”. Valeria Bucchetti There is an area of work whose cornerstone is the ability of the material - paperboard - to provide a considerable depth to visual perception. The communicative value of the surface is one of the areas to emerge from a more extensive study. “An industry for innovation” is a study supporting the syllabus developed for the degree course in Communication Design at the Design Faculty of Milan Polytechnic and by Procarton Italia; a research project carried out to aid design experimentation, focussed on a re-examination of the support itself. Mutisensorial: overcoming planarity Mapping the field, reflections on the state of the art, achieved by means of comparisons with various actors in the system but also a recognition of practicable technical solutions constituted a preliminary stage addressed to creating an area of shared observations. The frame of reference that emerged was influenced by a visual language which is increasingly linked to the multisensorial dimension, contaminated by the multiplicity of special effects which find expression in various contexts, from film to graphics, to fashion and more, placed in parallel with an overall loading of communication in which each artefact of communication saturates the field with additional elements, with double exposures which enhance it, in which the surface comes into play on various dimensions, almost as though it wished to outstrip its planar attributes. Working on the density of the surface the object is no longer just a body but an effect able to stimulate the senses, in search of its potential and expressive complexity. The density, the thickness and materialness are all worked on. This strategy involves both the material and the figural component. We are in an age of changing colours, pearliness, metallization


design box and satin, iridescent, rubberized effects. Technology supporting working processes becomes multiple design stimuli: thermochromatic inks which, at a certain temperature, allow the paper backing to change colour, varnishes which allow phosphorescent and fluorescent raised treatments. But also developments of pigments that create an effect , interferential colours which can be perceived by the human eye varying the angle of observation (Flip-Flop effect) and the variation of granulometric distribution which makes it possible to range from silky effects to the elevated gloss of the largest particles. These are constantly evolving solutions which involve the material support of packaging.

Experiments and solutions Paperboard therefore sets in motion a series of sense stimuli, not just in terms of some categories such as hot or cold, which involve all of symbolic imagery. It was thus a matter of focussing on the potentials of the surfaces regarding processing, investigating possibilities linked to texture and touch, acting on the material innovation, on the possibility of obtaining a surface with a shape, raised parts, for aesthetic or functional reasons, to provide a solution, for example, for the blind or to increase functional performances aimed at a wide range of user and then to turn this perspective into a design brief. During a five day workshop - which took a consumer product characterised by specific organoleptic or sensorial properties - the aim was to define paper or paperboard packaging solutions able to accelerate the tactile-visual anticipation of the content to encourage, through these sensorial means, various user categories to enjoy the product, intending to respond to the needs of all user categories, of the so-called “common people�, the visually handicapped and the blind during their various phases of consumption. With the fourteen developed projects the attention went to the communicative quality of the support. The design research was in particular driven towards the treatment and finish of the surface, combined with the graphics and the morphological properties of the structure, that should not merely constitute enhanced aesthetics but an anticipation of the content, an aid in finding and enjoying the product. The operation aimed to facilitate the target to find his topological bearings on the surface of the packaging in order to identify its various functions (such as the opening, the dispenser etc), imagining different situations in which it might be used, for instance poor lighting.

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Valeria Bucchetti, visual designer, has a university degree from the D.A.M.S, Bologna and a research doctorate in Industrial Design. She is a researcher and lecturer in Communication Design on the Communication Design degree course, Milan Polyechnic. Her recent publications include Packaging Design (FrancoAngeli, 2005); Packaging Controverso (Edizioni Dativo,

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Exploring the surface If, on one hand, there has been a focus on analysing the criticality of the sector, on identifying lines of enquiry useful for guiding future design research, on collecting points of view which might contaminate the field under examination then, on the other hand, there has been a reinterpretation of the expressive qualities of the substrate with the aim of reorienting it according to parameters and indicators which have emerged from the chosen area of investigation. The stimulating the senses approach is thus investigated by means of a sphere of application which addresses the expressive-functional dimension of packaging. The potentials of the surfaces are lead again to a targeted design exploration which once more places the product with its sensorial characteristics and connected uses at the centre. The question was: can packaging improve the enjoyment of the product through an improved exploitation of the paperboard support? And, considering how the term enjoyment can be read on different semantic levels - access, attainment and management of content, its correct use etc - a question remains to which the first phase of the study gave an initial answer. Researching the question of sense stimulation and the possibilities of producing circuits of intersensorial recall, intermodality or the possibility of using other channels, other sensorial means to communicate some contents (such as for example those targeted at the visually handicapped) therefore represents an enormously interesting space for experimentation. Especially if we remember that paperboard is a material which simultaneously establishes in the target a series of expectations linked to touch: from the relationship between the anticipation of perception at a distance and the perception on

contact, to the dual moment - of a proxemic type - of the distance between object and target, in which the paperboard can have a value and a role in visual anticipation as well as in the congruent relationship between container and content.


Dalaleo

shopping bag

«Quando in Brasile ho visto per la prima volta questa borsa mi è piaciuta tantissimo e ne ho voluto comprare una. Solo in seguito ne ho compreso il vero valore. Ho capito perché, per le strade di questo fantastico paese, gli uomini, rovistando fra l’immondizia, raccolgono le lattine usate di birra e di altre bevande e le mettono in grandi sacchi. Ho scoperto che la raccolta dell’alluminio e la sua vendita alle industrie che lo riciclano è una forma di sostentamento per le famiglie più povere molto frequente nei paesi del terzo mondo. Da quando ho pensato di far produrre queste borse, le linguette delle lattine vengono staccate e vendute alle donne, che realizzeranno i miei prodotti. Sono loro infatti a dare inizio al procedimento di selezione, battitura, lavaggio, lucidatura ed asciugatura dei piccoli pezzi di metallo; ed infine, dalle loro geniali mani, con filo ed uncinetto, inizia il lavoro creativo. Tutto questo avviene nelle zone più povere di Salvador de Bahia e la cosa fantastica è che questa gente è riuscita a far vivere un prodotto per noi inutilizzabile e insignificante prendendo dalla strada la materia prima. Ecco, questa è la storia, la storia che ho voluto conoscere anch’io, la storia che sta dietro a questa borsa che un giorno ho visto e che ho trovato bellissima».


Luisa Leonardi Scomazzoni, alias Dalaleo, così descrive com’è nata l’idea di far produrre e vendere con il suo marchio le borse realizzate dalle donne brasiliane. La sua avventura ha inizio nel 1998 con l’apertura di un negozio (o un salotto, come ama definirlo) nel centro storico di Riva del Garda; uno spazio in cui si mescolano con gusto ed originalità accessori etno-chic e design, dai profumi Diptyque alle splendide collane di Monies; dalle borse di Momaboma realizzate con giornali riciclati agli inusuali oggetti di arte africana. Una delle peculiarità di Dalaleo è da sempre la passione per il packaging: materiali preziosi, nastri e carte che arricchiscono ed esaltano ogni acquisto, anche il più piccolo: «Non investo in pubblicità - ci dice - la miglior promozione è una confezione che si fa ricordare» e ci racconta che le è capitato di ricevere telefonate da qualcuno, a cui era stato regalato un suo oggetto, che voleva sapere cosa contenesse il pacchetto, perché non aveva il coraggio di rovinare la confezione per aprirlo. Da quattro anni Dalaleo è attivamente e direttamente coinvolta nel progetto brasiliano; nei mesi invernali si trasferisce in Brasile per seguire da vicino le donne che realizzano le sue nuove collezioni che, negli anni, si sono arricchite e impreziosite e che ora comprendono anche collane e gioielli. Questi ultimi, presentati recentemente a Parigi alla fiera Maison & Object uniscono alle linguette di allumino i cristalli Swarovski, creando un connubio di grande contrasto e forza. La clientela di Dalaleo viene da tutta Europa e in particolare dal Giappone (tra i suoi clienti basti citare il prestigioso Tomorrowland, la grande catena giapponese di moda e accessori di lusso) e persino istituzioni come il British Museum di Londra e il Museo di Arte Moderna di Lusseburgo hanno acquistato questi oggetti incredibili che racchiudono in sé l’alto e il basso, il lusso e la povertà, il Nord e il Sud del mondo.


Dalaleo

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«When I first saw this bag in Brazil I loved it and wanted to buy one. Only later did I understand its true value. I saw that, on the streets of this wonderful country, there were men rummaging in the trash, collecting used drinks cans and putting them in large bags. I discovered that collecting aluminium and selling it to recycling companies is a very common way of earning a living for the poorest families in the Third World. Since I had the idea of producing these bags, they have begun to remove the ring pulls and sell them to the women who make my products. Indeed, these women are the ones who start the process of selecting, beating, washing, polishing and drying the small pieces of metal. And finally, with their skilful hands and using thread and crochet hook, they produce their creations. All this takes place in the poorest part of Salvador de Bahia and the wonderful thing is that these people have managed to regenerate a product that is useless and insignificant for us, taking their raw materials from the street. So, this is the story I insisted on knowing. The story that lies behind the bag I spotted one day and thought was beautiful». Luisa Leopardi Scomazzoni, alias Dalaleo, describes how she came up with the idea to have bags produced by Brazilian women and then sell them with her trademark. Her adventure began in 1998 with the opening of a store (or a salon, as she likes to call it) in the old town centre of Riva del Garda: a tasteful and

original mix of ethno-chic and design accessories, from Diptyque perfumes to splendid Monies necklaces, from Momaboma bags made from recycled newspapers to unusual African art objects. One of Dalaleo’s distinctive features has always been her passion for packaging: precious materials, ribbons and paper which adorn and enhance every purchase, even the smallest. «I don’t invest in advertising», she says, «The best publicity is memorable packaging» and tells the tale of someone who had been given one of her objects as a present and who called her to find out what was in the package. They lacked the courage to destroy the packaging by opening it. For four years Dalaleo has been actively and directly involved in the Brazilian project. In the winter months she moves to Brazil to see at close hand the women producing her new collections which, over the years, have been embellished and now include necklaces and jewellery. The latter, recently presented in Paris at the trade fair Maison & Objet, combine the aluminium ring pull with Swarovski crystals, creating a blend of great contrast and strength. Dalaleo’s customers come from all over Europe and especially from Japan (including the prestigious Tomorrowland, the large Japanese chain of fashion and luxury accessories). Even institutions such as the British Museum in London and the Museum of Modern Art in Luxembourg have purchased these incredible objects which contain the high and the low, the luxury and the poverty, the north and the south of the world.



Segni di Rilievo Le raffinate e pregiate confezioni che rappresentano i marchi dell’alta moda o del lusso, non sono solo il frutto di geniali menti creative ma anche l’efficace risultato di saperi incrociati e di raffinata perizia tecnica. Di queste abilità e del mondo della moda ci parla Cartografica Pusterla, un’azienda che di scatole “firmate” ne ha fatte proprio tante.

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shopping bag

Cartografica Pusterla è un’azienda storica della cartotecnica italiana, perché le sue origini risalgono addirittura al lontano1880, contemporaneamente alla prima fase di industrializzazione del settore farmaceutico italiano. I primi clienti dell’azienda furono, infatti, le case farmaceutiche dell’area milanese; da allora in poi, un susseguirsi di cambiamenti sociali e di mercato hanno condotto l’azienda lombarda a specializzarsi principalmente nella produzione di confezioni destinate al settore cosmetico e profumiero e dei prodotti di lusso. Di imballaggi, moda e stilisti ne abbiamo parlato con i responsabili del settore packaging e comunicazione. Dalle scatole e astucci per pomate e sciroppi farmaceutici alle confezioni per i prodotti di lusso e alto di gamma; cosa è successo nel mezzo? Quando è iniziata l’attività di Cartografica Pusterla i “laboratori

farmaceutici” erano parecchi e unitamente ad alcune grandi farmacie che producevano prodotti galenici, assorbivano quasi la totalità dei nostri manufatti. Le polveri, i sali da bagno, le creme, così come la pasta dentifricia o il talco, erano spesso prodotti direttamente dalle aziende farmaceutiche (tutti ricorderanno ad esempio, la celebre “Pasta del Capitano” della Farmaceutici dott. Ciccarelli), mentre i profumi e le essenze erano solitamente confezionati in preziose boccette realizzate in paesi diversi dall’Italia ed avevano una più limitata diffusione. Poi, negli anni tra le due guerre mondiali, molte aziende farmaceutiche divennero anche produttrici e distributrici di prodotti cosmetici e di profumi. Con il dopoguerra, il mercato e il sistema di distribuzione cambiarono completamente. Le aziende farmaceutiche si convertirono e si specializzarono, scorporarono le divisioni cosmetiche e profumiere e nel settore della moda fecero la loro comparsa i primi grandi stilisti francesi e italiani. Ecco, appunto, la moda. Avete realizzato prodotti, tra gli altri, per Ferrè, Bulgari, Hermès, Gai Mattiolo... Com’è nata questa “liaison” con l’Alta Moda e il lusso? A partire da quegli anni il mondo del profumo e della cosmetica è cambiato completamente e questo ha avuto ripercussioni sia sul prodotto che nella distribuzione oltre che nella definizione e nella dimensione delle aziende produttrici, che sono diventate spesso delle multinazionali. All’interno di tanti cambiamenti, la nostra piccola azienda è sempre riuscita ad adeguarsi; poi negli Anni Settanta, ha scelto di specializzarsi


nel settore cosmetico e profumiero sentendolo più affine alle proprie capacità e anche perchè richiedeva più creatività e per alcuni versi era più complesso e con un diverso valore aggiunto. Le aziende cosmetiche e le maison produttrici di profumi avevano allora una dimensione e un’impostazione ben diversa da quella attuale, negli ultimi 30 anni, tuttavia, una delle cose che è cambiata più radicalmente è stata l’approccio al progetto.

... In che senso? Negli Anni Settanta le indicazioni progettuali per il packaging erano più definite mentre adesso si procede per passaggi diversi, si possono seguire contemporaneamente più piste, anche molto differenti tra loro, per arrivare ad una sintesi finale ricca di molte contaminazioni. E’ questo un modo di procedere allo sviluppo della creazione e della definizione del packaging molto appassionante ma anche molto impegnativo. In alcuni periodi dell’anno l’azienda, o una parte di essa, diventa una sorta di bottega, un laboratorio in cui sperimentare e provare.

E quali sono le richieste più ricorrenti da parte dei vostri particolari clienti? Le richieste che riceviamo, per ottenere forme o materiali speciali, per i colori e le sensazioni tattili, sono molte e sempre diverse tra loro. I nostri clienti, in alcuni casi grossi gruppi multinazionali, hanno favorito le nostre scelte e stimolato la nostra formazione, permettendoci di svilupparci sia dal punto di vista imprenditoriale che da quello della capacità produttiva.

C’è un particolare prodotto o una storia, collegata al mondo della moda, di cui raccontare? Abbiamo tantissimi aneddoti legati a questo o quel prodotto: a partire dal rosso/nero di Balestra (1977), passando per le goffrature di Trussardi (1982), al rilievo della Testa di Medusa di Versace (1992), al Blu metallizzato di Bulgari (1996) al grigio di Narciso Rodriguez (2005). Uno degli ultimi prodotti a cui ci siamo dedicati è la linea canadese DSQUARED 2, per


la quale gli stilisti desideravano qualche cosa che richiamasse il legno, la natura. Dopo varie prove siamo arrivati a utilizzare i fogli di cartone usati normalmente per la produzione del cartone ondulato, composti da fibre di legno non sbiancate, stampati poi con molta attenzione a caldo e in offset. Quando produciamo questi astucci, nei reparti si diffonde un intenso profumo di legno tagliato! Queste scatole, al di là del risultato finale, mi sembrano molto coerenti con il loro contenuto e con la storia degli stilisti che hanno voluto rivestire di legno anche una parte del flacone stesso. Per essere rappresentativo di una griffe di alta moda, cosa deve avere “in più” un packaging rispetto agli altri? Il packaging di uno stilista deve avere “in più” il fatto di saper rappresentare la massima coerenza con il suo contenuto e con tutti gli altri prodotti della linea; i pack griffati devono dare il massimo risalto alla cura dei dettagli; i singoli componenti (la bottiglia o il vasetto, il tappo, la scatola, l’etichetta...) anche se provenienti da fornitori diversi, devono essere tutti seguiti con la medesima attenzione e devono possedere tutti lo stesso livello di qualità. Questa sintonia “globale” fa la differenza. Quanto gli stilisti seguono direttamente lo sviluppo del packaging? Oggi, tutto il percorso di realizzazione di un prodotto cosmetico e profumiero è complesso. I profumi vengono concessi in licenza ad aziende produttrici e distributrici, che sono

quelle che poi prendono contatto con noi. Gli stilisti seguono però spesso lo sviluppo dei prodotti e intervengono nelle scelte più importanti e in tutti quei dettagli, che servono a richiamare il loro “stile”. Il nostro contatto con il mondo della moda è, quindi, mediato il più delle volte, anche se è capitato di incontrare qualche stilista che voleva sapere, conoscere e scegliere qualche cosa che potesse al meglio rappresentare la sua idea. Questi incontri, uniti ad altri legati alle confezioni per l’abbigliamento, hanno confermato l’idea che per questo settore il packaging è molto importante non solo per l’aspetto esteriore ma anche per la sua funzione di protezione, e soprattutto per quella di “creatore” e di “trasmettitore” di emozioni. Cartografica Pusterla ha vinto parecchi premi e riconoscimenti … A partire dagli anni ‘70 a oggi abbiamo vinto una decina di Oscar dell’imballaggio, quattro premi in Francia e due premi europei. All’inizio i premi erano più legati a soluzioni tecniche per l’imballaggio, per esempio, una scatola esagonale con maniglia realizzata in un solo pezzo, in microonde stampato, per una lampada da tavolo (Yo-Yo) di Fontana Arte. In seguito ha avuto successo ed è stato premiato l’uso dimostrativo dei materiali (come la stampa su metallizzato negli anni ‘80). Oggi l’aspetto vincente è il servizio che può rendere l’imballaggio nei diversi momenti della sua vita, per esempio l’astuccio dello champagne Veuve Clicquot Ponsardin che diventa secchiello per il ghiaccio.


shopping bag

Quindi un secondo uso dell’imballaggio... Appunto. L’attenzione all’uso e al riutilizzo del materiale fa sì che oggi, per le confezioni da ricorrenza, dai nostri clienti ci venga richiesto di pensarle in modo che possano avere una doppia funzione o un utilizzo domestico ulteriore. A livello formale cambiano quindi leggermente le dimensioni e la grafica mentre tutti i riferimenti di tipo merceologico - obbligatori per legge - vengono messi sul fondo o su guaine che poi vengono smaltite. Mi sembra una tendenza interessante, legata soprattutto a prodotti di una certa fascia che in questo modo mantengono, presso il cliente, più a lungo viva la presenza del marchio Progetti (e prodotti) prossimi venturi? È possibile un’anticipazione? In questo momento stiamo lavorando alle confezioni di due profumi, uno di una casa italiana e l’altro francese; la cosa curiosa è che i due marchi sono molto simili come origini e posizionamento di mercato, e soprattutto che i due brief iniziali avevano alcuni punti in comune. Per un po’ abbiamo temuto che i risultati potessero essere troppo simili, ma oggi che lo sviluppo è quasi completato, siamo molto soddisfatti nel vedere risultati così diversi. La riservatezza delle persone che lavorano a questi progetti è fondamentale, tanto quanto la competenza tecnica e la capacità di capire il cliente, anche solo attraverso una descrizione o lo

sguardo che si illumina quando vede la soluzione giusta. I momenti di maggior soddisfazione delle persone che lavorano in Pusterla sono quelli in cui capiamo che abbiamo “centrato” il progetto. Lavoriamo per questo!


shopping bag

Outstanding Marks The elegant and precious packaging which represents high fashion or luxury brands is not just the fruit of creative genius but also an effective result of pooling expertise and polished technical skill. Cartografica Pusterla, a company which has produced many “designer” boxes, talks to us about these talents and the world of fashion. Sonia Pedrazzini Photo Erica Ghisalberti

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Cartografica Pusterla is a historical company of the Italian paper industry whose origins date back as far as 1880, the period of the first phase of the industrialisation of the Italian pharmaceutical sector. Indeed, the first customers of the company were pharmaceutical companies in the Milan area but then a series of social and market changes led the Lombard company to specialise mainly in the production of packaging destined for the cosmetics, perfumes and luxury goods sector. We talked to the head of the packaging and advertising sector about packaging, fashion and designers. From boxes for ointments and syrups to packaging for luxury and top of the range products, what happened in between? When Cartografica Pusterla began there were many “pharmaceutical laboratories” and, together with some large pharmacies which produced herbal products, they absorbed almost everything we manufactured. Powders, bath salts, creams, as well as toothpaste and talcum, were often produced directly by the pharmaceutical companies (everyone remembers Farmaceutici dott. Ciccarelli’s famous “Pasta del Capitano”), while perfumes and scents were usually packaged in precious little bottles made abroad in limited editions. Then, in the years between the two World Wars, many pharmaceutical companies also became manufacturers and distributors of cosmetics and perfumes. After the war the market and system of distribution changed completely. Pharmaceutical companies converted and specialised, cosmetics and perfumes divisions

became separate and the first great French and Italian designers appeared in the fashion sector. Ah yes, fashion. You have manufactured products for Ferrè, Bulgari, Hermès, Gai Mattiolo... how did this “liaison” with Haute Couture and luxury come about? Starting from those years the world of perfume and cosmetics changed completely and this had repercussions on both production and distribution as well as in the shape and size of manufacturers who often turned into multinationals. Our little company has always managed to keep up with these changes. Then, in the seventies, we chose to specialise in the perfumes and cosmetics sector, feeling it was more suited to our talents and also because it required more creativity and was, from some points of view, more complex, with a different added value. At that time cosmetics companies and perfume manufacturing maisons were of a very different size and structure compared to what they are now. However, in the last 30 years one of the things which has changed most radically is the approach to design. … In what sense? In the seventies design guidelines for packaging were more clear-cut while now one proceeds by various steps, perhaps simultaneously pursuing very different directions in order to achieve a rich and hybrid result. This is a very exciting but also highly demanding way of approaching the development of the design and the definition of the packaging. In some periods of the year the company, or a part of it, becomes a kind of studio or workshop in which experiments are carried out and tests are run. And what are the most recurring requests from your particular customers? The requests we receive for special shapes or materials, colours and textures, are numerous and diverse. Our customers, in some cases large multinationals, have backed our choices and stimulated our growth, allowing us to develop from both a business and a manufacturing point of view. Is there a particular product or a story, linked to the world of fashion, that you can tell us? We have many anecdotes linked to this or that product: starting with the red/black of Balestra


shopping bag (1977), then the embossing of Trussardi (1982), the relief of Versace’s Medusa Head (1992), Bulgari’s metallic blue (1996), Narciso Rodriguez’s grey (2005). One of the most recent products we worked on was the Canadian line DSQUARED 2, for which the designers required something that would recall wood, nature. After various trials we ended up using sheets of cardboard normally used in the production of corrugated cardboard, consisting of unbleached wood fibres, carefully hot stamped and offset printed. When we make these boxes an intense fragrance of chopped wood wafts through the factory! Apart from the end result these boxes seem to me to fit their contents and the story of the designers, who also covered a part of the bottle in wood.

Cartografica Posterla has won many prizes and awards… Since the seventies we have won a dozen packaging Oscars, four prizes in France and two European awards. Initially the prizes were more linked to technical packaging solutions. For instance a press-moulded microflute hexagonal box with a handle made in one piece for a table lamp (Yo-Yo) by Fontana Arte. Subsequently our demonstrative use of materials (such as printing on metal in the eighties) met with success and won prizes. Now the winning factor is the service that packaging can provide at various stages of its life. For instance, the box for Veuve Clicquot Ponsardin champagne, which can be turned into an ice bucket.

How many designers follow the development of packaging directly? Nowadays, the whole process of producing a cosmetic and perfume product is complex. Perfumes are granted under license to manufacturers and distributors, and they are the ones who then contact us. However, designers often follow the development of products and have their say in the most important decisions and in all those details which serve to recall their “style”. Our contact with the world of fashion is therefore mostly mediated, even though we have come across some designers who wanted to see and choose something which might best encapsulate their concept. These encounters, along with others linked to clothing packaging, have confirmed that in this sector packaging is extremely important not just for how it looks but also for how much protection it gives and, above all, for its role as “creator” and “transmitter” of emotions.

Forthcoming projects (and products)? Can you reveal anything? At the moment we are working on the packaging of two perfumes, one for an Italian designer and the other for a French designer. A curious thing is that the two brands are very similar in terms of their origin and market positioning and the most curious thing of all is that the two initial briefs had some points in common. For a while we feared that the results might be too similar but now that the product is almost finished we are extremely satisfied to see such different results. The discretion of the people who work on these projects is essential and just as important as technical skill or the ability to understand the customer, even if it is just by a description or seeing his face lighting up when he sees the correct solution. The moments of greatest satisfaction for the people who work for Pusterla come when we see that our designs have hit the mark. That is why we do what we do!

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So, a secondary use of packaging... Exactly. The attention given to recycling material means that today our customers ask us to design special occasion packaging that has a dual function or that can be reused in the home. Formally speaking the size and graphics are slightly altered while all product references - compulsory by law - are put on the bottom or on sheaths which are then disposed of. I think it is an interesting trend, mostly linked to products in a given category, which can perpetuate the brand’s presence in the customer’s home.

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In order to represent a haute couture label what extra touch must a packaging have? The extra touch designer packaging must have is that it should fit the contents and all the other products in the range perfectly. The designer pack must focus on details. The individual components (the bottle or jar, the stopper, the box, the label..), even if they come from different suppliers, must all be made with the same level of care and must all be of the same quality. This overall harmony makes the difference.


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My Pack un designer sceglie il suo packaging preferito e ci spiega il perché

Photo by Paolo Giacomazzi

Odoardo Fioravanti/Yoox

domestici sottintendono, etc. In questa perquisizione visuale capita talvolta di trovare “cose”comuni in case diverse. È proprio così che ho incontrato una scatola che mi ha colpito particolarmente. In casa di amici, appunto, la intravedo appoggiata su uno scaffale; è di cartone, ricoperta da una grafica

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mentre nota smonta, mentre smonta cataloga, mentre cataloga ripensa, mentre ripensa progetta protesi per la realtà materiale. A me capita di andare nelle case degli amici e rovistare - nel migliore dei casi con gli occhi - tra i loro oggetti: quali siano, come sono disposti, se sono consumati, quali rituali

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Lo sentivo dire ai vecchi designer: a fare il mestiere si diventa molto attenti ai particolari. Solo dopo ho capito cosa intendessero: non parlavano di una normale attenzione per ciò che ci circonda, ma di qualcosa di leggermente patologico. Così il designer mentre guarda nota,


tra lo psichedelico e il fumettistico, fatta di bolli concentrici che degradano con poca sapienza tra sfumature di colorini drammaticamente pastello. Cos’è dunque quel contenitore? È la scatola di Yoox, il sito (ww.yoox.com) che è riuscito a raggiungere un incredibile successo nella vendita di prodotti fashion on-line, grazie a prezzi assolutamente concorrenziali, spesso motivati dal fatto che i capi sono al “penultimo” grido, che è pur sempre un grido... Infatti l’industria della moda negli ultimi anni ha ridotto sempre più drasticamente i tempi di

obsolescenza dei prodotti, e per un paio di occhiali o di scarpe è diventato rapidissimo il passo tra l’esser “di moda” e “non più di moda”. Un mercato schizofrenico, fatto di corsi e ricorsi sempre più brevi, come il ritorno della moda Anni ‘80 nei primi anni del 2000 e cioè dopo solo un decennio. Così, vendere prodotti “last season” può diventare un business interessante. Ho scoperto così che quella scatola è il contenitore che arriva a chi ha acquistato abiti o accessori su Yoox. Arriva ed entra senza troppi convenevoli nelle case, rimanendo sovente in quella situazione di sospensione

My Pack A designer chooses his/her favorite packaging and explains the reasons why

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Odoardo Fioravanti / Yoox I have heard it said by older designers: this job makes you extremely watchful of details. Only in time have I understand what they meant. They weren’t talking about a normal level of interest in one’s surroundings, but something slightly morbid. So, while the designer looks he takes notes, while he takes notes he reappraises, while he reappraises he makes lists, while he makes lists he reconsiders, while he reconsiders he designs prosthesises for material reality. I sometimes go to friends’ homes and rummage - at the best of times I only do it with my eyes - among their things. What they are, how they are arranged, if they are worn, what domestic rituals they imply etc. During this visual rummaging I sometimes find the same things in different homes. This is how I came across a box which particularly impressed me. I glimpsed it on a shelf at a friend’s home. It was made of cardboard and covered with a blend of psychedelic and cartoon-ish graphics, concentric bubbles in striking pastel shades. what is in that box? The box comes from Yoox (www.yoox.com)

funzionale, forse perché troppo bella per essere buttata via. Proprio questa sospensione mi ha ricordato quelle scatole packaging delle camicie, che, una volta svuotate, venivano riusate dalle mamme e colmate di minuterie e altri oggetti, per poi essere sistemate all’interno degli armadi oppure sopra di essi. Tutto questo mi ha fatto pensare a un’altra storia infraordinaria di scatole sospese nella realtà domestica.Ferme un turno. Odoardo Fioravanti si occupa di industrial design, progettazione grafica e allestimento. Tra i suoi clienti: Abet Laminati, COOP, Coin, Desalto, Invicta, Olivetti, Telecom Italia. Svolge l’attività di pubblicista freelance per varie riviste di design.

the website which has been incredibly successful in the sale of fashion products. This success is due above all to their highly competitive prices, often justified by the fact that the items are last season’s, though still fashionable… Indeed, in recent years the fashion industry has drastically reduced the period in which a product becomes obsolete, and as far as a pair of glasses or shoes is concerned the gap between “being fashionable” and “no longer being fashionable” is now extremely narrow. It is a schizophrenic market, made up of shorter and shorter runs and revivals, like the return of the eighties in the early 2000s, after a single decade. So, selling “last season’s fashions” might be an interesting business. I thus discovered that that box is the container for clothing or accessories purchased on Yoox. It comes to your door and enters your home without much ceremony and is often hung on to, perhaps because it is too lovely to be thrown away. This hanging on to the packaging reminded me of those boxes which used to hold shirts. Once emptied, our mothers would fill them with odds and ends and then tidy them away inside the wardrobe or stack them on top. All of this made me think of another infraordinary story of boxes lying around in the house. Odoardo Fioravanti works in industrial design, graphic design and layout. His customers include: Abet Laminati, COOP, Coin, Desalto, Invicta, Olivetti, Telecom Italia. He also works as a freelance journalist for various design magazines.


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Marco Ligas Tosi Photo Erica Ghisalberti

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Il suo lavoro, da anni, è quello di “cercare” oggetti, accessori, capi, feticci, da riproporre in un gioco sempre ironico ed emozionale. Lui non disegna niente perché i suoi oggetti non sono “disegnati”. Lui, è quello che ha fatto diventare lo store un’opera d’arte, perché amico di Andy Warhol e Keith Haring. Lui è Elio Fiorucci e la sua è la Love Therapy.


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Elio Fiorucci, ama tutto ciò che è popolare. Siamo sicuri che gli piacciono mille volte di più il supermercato e i mercatini delle pulci, che le boutique della moda. “Diavolino buono della moda e dell'artE”, non guru e non santone. Pop-artista della pop-ular culture che, con le sua ultime creazioni/collezioni “Love Therapy” vuole ancora curare i nostri animi malinconici con fiabe e colori, con profumi e ironia, con PinUp seducenti e loghi sexy, con angioletti in estasi e nani da coccolare. Siamo andati a trovarlo e, come spesso fa lui, abbiamo cercato di curiosare tra la sua vita e la sua filosofia, ponendogli un po’ di domande sul futuro della moda, sugli esordi del fioruccismo, sullo stato attuale delle tendenze e delle mode, sui suoi feticci e sulle confezioni emozionali. Abbiamo così scoperto che, ancora una volta, Elio Fiorucci,

con le sue parole e le sue risposte dirette fa muovere idee, occhi e cuori. Hai sempre avuto gusto, passione, divertimento, curiosità, ironia nel ricercare nuovi oggetti e accessori da proporre prima come Fiorucci poi come Love Therapy by Elio Fiorucci. Che cos’è per te il packaging ? Rappresenta l'attenzione e la cura che si esprime per un contenuto importante. È fondamentale per la sorpresa, la scatola magica è sempre stata la più affascinante idea della nostra fantasia. Senza di essa non si può fare niente. Sei sempre stato una sorta di “collezionista”, un “cacciatore” di idee e di oggetti, come applichi questa tua pratica quando devi studiare una nuova confezione per i tuoi prodotti? Il packaging di un vestito fa parte dell'idea del vestito stesso; non per niente i marchi e le etichette della moda giovane sono sempre evidenti e fanno parte della decorazione. Secondo te il packaging è più legato ad un concetto estetico/creativo o alla funzionalità? Un packaging intelligente è estetico e funzionale, e non può essere che così. Ti senti più artista (Pop), più stilista o semplicemente più business man? Un uomo semplice che forse ha un pizzico di sensibilità. Il tuo percorso ha sempre abbracciato moda, arte, comunicazione, cinema, fumetto, design. Come la progettazione di un packaging può essere influenzata dalla cultura, dall’arte, dal design di oggi?


La vita è un insieme di cose diverse e l'estetica è la scrittura della nostra cultura, io scherzando penso di avere una grande cultura. Scegli un tuo prodotto, un packaging, un oggetto, che secondo te fa tendenza, moda. O meglio, che può “essere indossato”. Le manette di peluche rosa. Cosa non morirà mai nella moda? La moda deve abbellire, migliorare la vita. Ecco perché la moda comoda è la più funzionale e ha il maggior successo. E non morirà mai. Oggi, è ancora valida l’idea-filosofia secondo cui un abito non deve essere indossato per apparire, ma deve essere “abitato”? È sempre stato fondamentale che l'abito deve appartenere totalmente a chi lo indossa. ... Scusa, tu sai dirmi che fine ha fatto il glorioso street-style “made in Italy”? Vive in buona salute assieme alle altre cento mode. Con i tuoi oggetti hai cercato sempre di evidenziare il lato più emozionale, valorizzandoli allo sguardo, al tatto e all’olfatto. Mi chiedevo quindi se esiste, anche per i tuoi stessi oggetti, un packaging sensoriale? La carta velina rosa che avvolge le nostre t-shirt è profumata alla vaniglia. Il packaging di Love Therapy by Elio Fiorucci ha rispetto per l’ambiente circostante? Se non ha rispetto non è un packaging intelligente, ma un packaging crudele che non rispetta niente e nessuno.

Pensi che “impacchettare per svelare” alla maniera degli artisti Christo e Jeanne Claude sia un buon espediente comunicativo? Spesso troviamo più seducente ciò che non è svelato in maniera esplicita, o addirittura occultato. Un antico detto popolare sostiene che “l’abito non fa il monaco”. Altri tempi, verrebbe da dire. Nella società dell’immagine l’abito fa il monaco. Eccome. In una società in cui tutti sembrano sbattuti da una parte all’altra come le palline di un flipper impazzito, sembra non esserci più il tempo (e, forse, la capacità) di guardare al di là della “buccia”. Di fare delle scelte che vadano al di là dell’apparenza immediata, superficiale. Insomma al di là dell’abito e dello stesso packaging... I primi ad essersene accorti sono stati i pubblicitari, che subito hanno adeguato il loro modo di comunicare al nuovo trend sociale passando da una pubblicità “spiegata” a una pubblicità d’impatto. Quindi... Quindi, nell’era della pubblicità d’impatto, invece, quella in cui viviamo oggi, a farla da padrone è il visual ossia l’immagine, l’elemento grafico-estetico di un prodotto o di un marchio. Provate a sfogliare qualche rivista o a fare un po’ di zapping e vedrete come le pubblicità non spiegano più niente. Si punta sull’impatto immediato, come per il packaging, sulla potenza evocativa ed emotiva dell’immagine che, come si dice, “parla da sé”, non ha bisogno di essere spiegata... Un esempio? Pensiamo alla confezione di un prodotto qualsiasi che sia gradevole al tatto, bella da vedere e profumata, ed ecco veicolato alla perfezione,


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tramite packaging, un messaggio seduttivo e polisensoriale. Food, cosmesi, moda, accessori, oggetti per la casa, igiene intima: quale fra le categorie riesce a sfruttare meglio la semiologia comunicativa, quale investe maggiormente nella cura del packaging e della comunicazione risultando più stimolante per gli artisti contemporanei? Non vorrei sembrare categorico, ma direi che accade spesso il contrario. Il mondo della pubblicità e del design si ispira spessissimo all’arte contemporanea. Pensiamo all’influenza che hanno avuto correnti artistiche quali il Surrealismo, la Pop Art e il Minimalismo, non solo sul design, ma in molti aspetti della vita quotidiana. ... Negli anni Ottanta eravamo un fenomeno italiano. Armani era agli inizi, Krizia e Missoni cominciavano ad imporsi. La “bottega” Fiorucci, già fatturava bene... Quale sarà il futuro della nostra moda? Viviamo fortunatamente l'era della

globalizzazione e la moda italiana è molto considerata. Cosa vogliamo di più?? Cosa resta dei tuoi meravigliosi Anni ‘70? Ancora adesso viviamo di rendita, tutte le cose buone che abbiamo sono figlie di quella stagione. Fate l’amore e non la guerra. Gli hippies sembravano degli ingenui, però tutte le ideologie sono fallite. Avevano ragione loro: l’importante è il pacifismo. Come vede invece la moda di oggi Elio Fiorucci? ... Sulla via giusta, sempre più abbigliamento individuale e sempre meno moda. A proposito di sogni: che fine ha fatto il tuo super progetto inerente l’apertura di un grande spazio multimarca in centro a Milano? Un sogno bisogna pur sempre averlo, speriamo che si realizzi. Qual è oggi il mercato più difficile ? Sicuramente quello americano, perché è più aperto e quindi più


competitivo. In America c’è davvero di tutto e c’è quindi una grandissima concorrenza. Ma è questo suo lato “grandioso” è anche il più bello. Perché aprire un negozio in America è una grande avventura, ancora oggi. Qual è l’importanza del packaging nella comunicazione artistica oggi? Viviamo in un contesto culturale dove spesso la presentazione diventa più importante del contenuto, lo sappiamo tutti oramai, ma, credo che non sia necessariamente un male, l’importante è agire in maniera consapevole, credendo fortemente in quello che si sta facendo, ma sapendosi prendere anche con ironia. Si parla di new pop è possibile classificare i “pack-artisti”?

Ogni classificazione nasconde una semplificazione che spesso gli artisti non accettano facilmente, anche se uno dei compiti della critica rimane quello di definire correnti e movimenti. Direi che ogni artista può diventare “packartista”, è necessaria molta apertura mentale e la voglia di mettersi in gioco, gli artisti non devono aver paura del confronto con situazioni apparentemente distanti. I tuoi prossimi progetti? Viaggiare per il mondo per continuare a vedere e imparare. Marco Ligas Tosi scrive di arte, architettura, cinema e design per riviste nazionali ed internazionali. A Milano collabora con un’agenzia di comunicazione come creativo ed account manager.


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Love Therapy For many years his job has been to “look for” objects, accessories, clothes, fetishes, to propose in a way which is always ironic and emotional. Anything goes because his objects are not “planned”. He is the one who has made the store a work of art, as he is a friend of Andy Warhol and Keith Haring. He is Elio Fiorucci and Love Therapy is his idea. Marco Ligas Tosi Photo Erica Ghisalberti

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Elio Fiorucci loves anything ordinary. We are sure that he loves supermarkets and fleas markets a thousand times more than fashion boutiques. A “good imp of fashion and art”, neither a guru nor a dervish. Pop-artist of the ordinary which, with his latest creations/collections “Love Therapy” intends to treat our melancholy souls with fairytales and colours, with perfume and irony, with seductive pin-ups and sexy logos, with ecstatic cherubs and cuddly dwarfs. We went to see him and, taking his lead, attempted to look inquisitively into his life and philosophy, asking him a few questions about the future of fashion, the debut of Fiorucci-ism, the current state of trends and fashions, its fetishes and emotional packaging. We discovered that, once again, Elio Fiorucci, with his words and straight answers moves ideas, eyes and hearts. You have always used taste, passion, enjoyment, curiosity, irony in seeking out new objects and accessories to market first as Fiorucci and then as Love Therapy by Elio Fiorucci. What does packaging mean to you? It represents the attention and care given to important contents. It is essential for the surprise. The magic box has always been the most fascinating figment of our imagination. You can’t do anything without it.

You have always been a sort of “collector”, a “hunter” of ideas and objects. How do you apply this practice of yours when you have to study a new packaging for your products? Clothes packaging is part of the idea of the clothes themselves. Not for nothing are youthful brands and labels always evident and part of the decoration. In your opinion is packaging more linked to an aesthetic/creative concept or functionality? Intelligent packaging is both aesthetic and functional, and it can’t be any different. Do you feel more artist (Pop), more designer or simply more businessman? A simple man who perhaps has a pinch of sensitivity. Your career has continued to embrace fashion, art, advertising, cinema, cartoons, design. How can the design of packaging be influenced by today’s culture, art and design? Life is a combination of different things and aesthetics is the handwriting of our culture. I light-heartedly think I have a great culture. Choose one of your products, a packaging, an object, which in your opinion sets trends, fashion. Or better still what can “be worn”. Pink fur handcuffs. What will never go out of fashion? Fashion has to enhance, improve life. This is why comfortable fashion is more functional and more successful. And will never die. Nowadays, is the idea-philosophy which says that an item of clothing mustn’t be worn to be seen but to be inhabited, still valid? It has always been essential for an item of clothing to belong totally to the person wearing it. … Excuse me, can you tell me what happened to the glorious “Made in Italy” street style?


It is alive and kicking, along with a hundred other fashions. With your objects you have always attempted to highlight the more emotional side, emphasising their look, texture and fragrance. I was wondering if there is such a thing as sensorial packaging for your objects. The pink tissue paper used to wrap our T-shirts is vanilla scented. Does the packaging of Love Therapy by Elio Fiorucci respect the environment? If it doesn’t it is not intelligent packaging but cruel packaging which respects nothing and no-one. Do you think that “revealing packaging” in the manner of artists Christo and Jeanne Claude is a good communicative expedient? We often find what isn’t explicitly revealed or what is downright hidden more seductive. An ancient proverb says “the cowl does not make the monk”. That might have been true once. In the society of appearances the cowl does make the monk. And how. In a society where everyone seems to be thrown from side to side like the balls of a crazy pinball machine, it seems there is no longer the time (nor, perhaps, the capacity) to look more than “skin-deep”. To make choices which go beyond immediate, superficial appearance. I mean beyond the clothing and the packaging itself…. The first to realise this were the advertising people, who immediately adapted their ways of communicating to the new social trend changing from a “ruthless” advertising to an advertising of impact. Therefore… Therefore, in an age of impact advertising, which is where we are today, it is the visual or rather the image, the graphic-aesthetic element of a product or brand, to lord it. Try to browse


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through a magazine or try a bit of zapping and you will see that advertising no longer explains anything. They all aim to make an immediate impact, like packaging does, using the evocative and emotional power of the image which, as they say, “speaks for itself”, and has no need to be explained… An example? Let’s think of the packaging of a product, whatever it may be: pleasant to the touch, lovely to see and perfumed, and there you have a seductive and polisensoral message taken to perfection by means of packaging. Food, cosmetics, fashion, accessories, objects for the home, personal hygiene: which category best exploits the semiotics? Which invests most in the packaging and advertising, proving to be most stimulating for contemporary artists? I don’t want to seem categorical but I would say that the opposite often happens. The world of advertising and design is very often inspired by contemporary art. Think of the influence which artistic currents such as Surrealism, Pop Art and Minimalism have had not just on design but on many aspects of daily life.

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… In the eighties we were an Italian phenomenon. Armani was just starting out, Krizia and Missoni were beginning to get established. The Fiorucci “boutique” was already making quite a bit of money… What is the future of Italian fashion? We fortunately live in an age of globalisation and Italian fashion is highly esteemed. What more do we want? What remains of the wonderful seventies? We are still living on the reputation. All the good things we have are children of that season. Make love, not war. The hippies seemed naïve, but all ideologies failed. They were right. The important thing is peace.

How does Elio Fiorucci see today’s fashion? … On the right track, more and more individual and less and less fashion. Regarding dreams: what happened to your super project to open a large multibrand space in the centre of Milan? You must always have a dream. Let’s hope it will come true. What is the most difficult market today? Definitely the American market because it is more open and more competitive. In America you can truly find is everything and therefore there is a great deal of competition. But it is this “ grand” side that is also the best. Because opening a store in America is still a huge adventure today. What is the importance of packaging in artistic advertising today? We live in a cultural context where often presentation is more important than content. We all know this now but I don’t think it is necessarily an evil. The important thing is to act in a conscious way, believing strongly in what you are doing but knowing how to take it ironically. Speaking of new pop can we classify “packartists”? Every classification hides a simplification which often artists find it hard to accept even though one of the jobs of a critic is to define currents and movements. I would say that very artist can be become a pack-artist. You need to be very open-minded and desirous to take risks. Artists must not be afraid to deal with situations which seem distant. What are your next projects? Travelling around the world to keep looking and learning. Marco Ligas Tosi writes about art, architecture, cinema and design for Italian and international magazines. In Milan he works with an advertising agency as a copywriter and account manager.


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A Scuola di Packaging

Konstfack - Svezia Konstfack è la principale università svedese di arte e design; nata nel 1844, la scuola conta oggi 900 studenti e 200 membri dello staff. Nel 1945 sono stati creati i nove dipartimenti in cui ancora oggi l'università è specializzata: tessile, arte decorativa, scultura, ceramica e vetro, arredamento, architettura d'interni, pubblicità, metallo e stampa. Uno dei corsi più nuovi è il CuratorLab, un corso post-laurea riservato a giovani critici, artisti, scrittori e teorici per approfondire la riflessione più teorica nell'ambito delle arti applicate. Centro particolarmente stimolante e attivo, Konstfack organizza ogni anno interessanti mostre su vari

aspetti del design e collabora con aziende nazionali ed estere. Una proficua partnership è quella che l'università ha stretto con l'azienda STFI-Packforsk AB, leader nella ricerca e nello sviluppo nel campo della cellulosa, della carta, della stampa e del packaging, grazie alla quale è stato realizzato il progetto “Out of the Woods” concretizzatosi in una mostra in cui gli studenti hanno presentato interessanti prototipi riflettendo in particolare sui tipi di materiali e sul loro utilizzo, con un occhio di riguardo alla sostenibilità e ai materiali riciclabili. I giovani designer e i tecnici della STFIPackforsk AB hanno modificato o creato nuovi materiali, come la

lampada in glutine di Johan Amborn, la borsa in biocarta/plastica di Ylva Sundin o le “Yes Box” di Karl Raman, con il suo sistema modulare di esposizione. Pur non avendo un dipartimento consacrato all'imballaggio, Konstfack propone vari corsi sul packaging, declinandoli nei materiali che caratterizzano i nove dipartimenti: lungi dall'essere confinato a materia per un singolo corso, è quindi un fil rouge che percorre i differenti ambiti di studio.

At Packaging School

further into the most theoretic reflections in the field of the applied arts. A particularly stimulating and active centre, Konstfack each year organizes interesting exhibitions on various aspects of design and cooperates with Swedish and foreign companies. The university has started up a particularly fruitful partnership with the company SFI-Packforsk AB, leader in R&D in the field of cellulose, paper, print and packaging. Their agreement has led to the project “Out of the Woods”, in turn culminating in an exhibition in which the students presented impressive prototypes, in particular reflecting on the type of

materials and on their use, with an eye to sustainability and recyclable materials. The young STFI-Packforsk designers and technicians modified or created new materials, such as the gluten lamp by Johan Amborn, the bio-paper/plastic bag by Yiva Sundin or Karl Ràman's “Yes Box” with its modular expo system. Even while not having a department exclusively dedicated to packaging, Konstfack proposes various packaging courses dealing with the materials that feature in the nine departments; a long way off from being confined as a subject to a single course, packaging thus features as a lead thread linking the different study areas.

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Konstfack - Sweden Konstfack is the principal Swedish Art and Design university; set up in 1844, the school today counts 900 students and 200 members of staff. In 1945 the nine departments were created that still decline the universities main specialisations: textile, decorative arts, sculpture, ceramics and glass, furnishing, interior design, advertising, metal and print. One of the newest courses is the CuratorLab, a postgraduate course reserved for young critics, artists, writers and theoreticians for going


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Accademia di Belle Arti di Macerata: “Vedere il Design” All’interno dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, gli studenti di decorazione e comunicazione multimediale, coordinati dal Prof. Alessandro Scilipoti, sono stati chiamati a “vedere” attraverso gli occhi del design. Si è trattato di un corso sperimentale, inserito nel programma di studio delle scuole di scultura, pittura, grafica, decorazione e scenografia, con lo scopo didattico di avvicinare gli studenti alla metodologia compositiva del progetto di design. L’esercitazione, denominata “La Maschera dell’Anima”, si riferisce ad un ambito di lavoro volto a

visualizzare la propria personalità come segno identificativo, attraverso il disegno di un oggetto: gli occhiali. I limiti imposti agli studenti sono stati: il formato A4 del foglio di carta, la stampa serigrafica e l’utilizzo della fustella. I risultati ottenuti rispecchiano la natura artistica degli autori, che hanno interpretato il progetto nella maniera tipica del tipo di didattica svolta all’interno di questa Accademia. Interessante per esempio, è il progetto di Valerio Calimici, con i suoi occhiali “escape”, fugace e colorata interpretazione della sua personalità creativa. Un

libro aperto, sembra essere Serena Scopini, che con gli occhiali disegnati come pagine aperte di un libro, lasciano inoltre intendere la sua passione per la lettura e la grafica. Antonella Servilli, invece, attraverso l’incastro delle forme, esprime con la sua “maschera dell’anima” una personalità articolata ed accogliente. Da segnalare sono anche i lavori sviluppati da Giorgia Cegna e Fabio Ferretti. Personalità allegra e rotonda la prima, propone occhiali colorati ed avvolgenti; speculativa e riflessiva la seconda, realizza una mascherina in cui la luce è fatta passare attraverso un

Macerata Academy of Fine Arts: “Seeing Design” personality. Serena Scopini seems to be an open book, who with her glasses drawn like the open pages of a book, also reveals her love of reading and for graphics. Antonella Servilli in turn, through the fitting together of shapes, expresses a complex and inviting personality with her “mask of the soul”. Also worthy of note the work done by Giorgia Cegna and Fabio Ferretti. A lively, rotund personality the former, who offers colored wrap-around glasses: speculative and reflective the

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visualising ones own personality as an identificative sign via the design of an object: eye glasses. The limits imposed on the students were: the A4 format of the sheet of paper, screen printing and the use of the die. The results obtained reflect the artistic natures of the creators, that interpreted the project in the typical manner of the didactic projects carried out within the Academy. Interesting for example, Valerio Calimici's projects, with his “escape” glasses, fleeting and colored interpretation of his creative

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Within the Academy of Fine Art of Macerata, the multimedial decoration and design students, coordinated by Prof. Alessandro Scilipoti, have been called upon to “see” through the eyes of design. It is an experimental course, part of the sculpture, painting, graphics, decoration and stage design program, with the didactic purpose of bringing students closer to the compositional methodology of the design project. The exercise, called “The Mask of the Soul”, covers a field of work aimed at


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piccolo foro disegnato all’interno di un triangolo nero, che come un prisma la scompone nei colori dell’arcobaleno, strizzando l’occhio alla più celebre delle copertine dei Pink Floyd. Chissà se gli studenti impegnati in questo progetto sapevano che, prima di loro, a disegnare un oggetto di questo tipo è stato un illustre personaggio della creatività italiana, un mostro sacro del design che portava il nome di Bruno Munari. Famosi sono, infatti, i suoi occhiali parasole in carta, brevettati nel ‘54, sintesi di semplicità, ironia e metodo. La sua visione del design era una continua ricerca di strade non convenzionali, esplorazione di possibilità materiche e formali, per produrre oggetti d’alto potere comunicativo ed emozionale. “Semplificare è più difficile che complicare” diceva, sintetizzando in poche parole, cosa vuol dire design.

latter, who created a mask where the light is made to pass through via a small hole drawn inside a black triangle that like a prism breaks it down into the colors of the rainbow, tipping a wink at the most famous of Pink Floyd's LP covers. Who knows if the students

committed to this project knew that, before them, this type of object was designed by an illustrious personality of Italian creativity, a guru of design of the name of Bruno Munari. His parasol eyeglasses patented in '54, syntheses of simplicity, irony and method, became famous.

His vision of design was a continuous quest along non conventional ways, explorations of a materic and formal possibilities, to produce objects of a high communicative and emotional power. “Simplifying is more difficult than complicating” he said, summing up in but a few words, what design means.


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Kinky

Atoms Luca Aragone Photo Erica Ghisalberti Percorrendo Via Montenapoleone - all’interno del famoso quadrilatero milanese della moda, scandito dal rigoroso lusso delle boutique più prestigiose - si può approdare ad uno spazio molto originale ed accogliente, la cui vetrina, firmata dalla designer giapponese Satzuki Oishi, è un irresistibile invito ad entrare. Si tratta dello showroom Aspesi, un negozio progettato nel 2006 da Antonio Citterio and Partnes in collaborazione con Dirk Van Dooren (uno dei membri dello studio inglese Tomato) e concepito come una vera e propria “scatola creativa”, pensata per mutare costantemente ed evolversi nel tempo e per creare, di volta in volta, nuove ambientazioni che rinnovano la sorpresa dei suoi frequentatori. L’incontro-scontro tra le diverse personalità dei progettisti del negozio, ha dato vita ad uno spazio con un’identità mutante e talvolta contraddittoria, ben rappresentata graficamente dai “Kinky Atoms” (Atomi Perversi) di Tomato, le faccine


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colorate, divenute ormai le icone del marchio, che esprimono la fusione creativa di linguaggi differenti. Sarà per via dell’arredamento, una sapiente e giocosa combinazione di antico e moderno, proveniente da ogni parte del mondo; sarà per la presenza di un vero container, posto all’interno dell’ampio spazio centrale con funzione di camerino di prova oppure per le vetrine in stile Ottocento, riempite di vecchi giocattoli provenienti da un museo inglese in disfacimento o sarà, infine, perché percorrendo il corridoio che porta nella zona dedicata all’abbigliamento maschile e che ospita i profumi di Comme Des Garçons, improvvisamente, rumori di fronde e il verso di centinaia di uccelli ci portano idealmente nel cuore della giungla… Particolare anche la cura dedicata al packaging. Le shopping bag per gli acquisti di “lui” sono caratterizzate dagli scatti del celebre fotografo svizzero, naturalizzato americano, Robert Frank, mentre per “lei” le buste sono decorate ancora una volta con i coloratissimi atomi di Tomato.


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Questi ultimi, si ritrovano anche sulla grafica dei flaconi che contengono il detersivo più “griffato” del mondo, a marchio Aspesi, adatto per lavare sia a mano che in lavatrice e pensato in due delicatissime e inebrianti formulazioni: il N°1 all’incenso e il N°2 floreale. Ma il packaging viene anche utilizzato, in maniera meno convenzionale, come elemento decorativo. Vecchi contenitori di latta, sono calamitati qua e là su una grande parete di metallo, o ancora, colorate casse di plastica per la frutta sono diventate parte di un originale mobile-cassettiera per contenere maglie e camicie. Se vi capita di passare da quelle parti, a Milano, vi consiglio di entrare a fare un giro. Attenzione però, tutto quello che vi ho appena descritto potrebbe essere già stato sostituito da qualche altra bizzarra ed inimmaginabile trasformazione.


Kinky Atoms

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Luca Aragone Foto by Erica Ghisalberti Proceeding along via Montenapoleone - within Milan’s famous fashion quadrilaterial, marked by the rigorous luxury of the most prestigious boutiques - you come across a highly original and inviting space, the showcase windows the work of Japanese designer Satzuki Oishi beckoning you to enter. The Aspesi showroom is a shop designed in 2006 by Antonio Citterio and Partners in cooperation with Dirk Van Dooren (one of the members of the UK studio Tomato) conceived as a true and proper “creative box”, devised to change continuously and evolve in time in order to create, as the case has it, new settings, offering constantly fresh surprises to the shop’s habitués. The interaction-clash between the various personalities of the designers associated with the shop has given rise to a space with a changing and at times contradictory identity, well represented graphically by Tomato’s “Kinky Atoms”, the colored faces now a brand icon that express the creative merging of different languages. The effect may be due to the interior design, a skilful and playful combination of the ancient and the modern from all around the world; it may be due to the presence of a real container, placed inside the broad central space that functions as a test room for the 19th century style

show windows, filled with old toys from a UK museum on the verge of being closed down, and lastly, it may be because going along the corridor heading towards the area dedicated to men’s clothing and that hosts the perfumes of Comme Des Garçons, the rustling of leaves and the call of hundreds of birds ideally draw you into the heart of the jungle… Special attention has also been paid to packaging. The shopping bags for men’s purchases feature photos taken by Robert Frank, the famous American-Swiss photographer, while for the ladies the bags are once again decorated with the colorful Tomato atoms. The latter are also to be found on the graphics of the flacons that contain the world’s supreme “designer” washing powder, produced under the Aspesi brand, suited for both washing by hand as well as in the machine, that comes in two highly delicate and inebriant formulas: version N.1 incense and N.2 floral scented. But packaging also features more conventionally as a decorative element. Old tin boxes here and there stick magnetised to a large metal wall, or again colored plastic fruit crates become part of an original chest-of-drawers-type furniture for containing pullovers and shirts. If you happen to be passing by the area in Milan, I advise you to drop in and take a look. Beware though, everything I have just described may already have been replaced by some other bizarre and unimaginable transformation.


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L’acqua è un bene prezioso, si sa, ma quando è imbottigliata in un’elegante, sfarzosa ed esclusiva bottiglia, rivestita di pietre luccicanti, diventa addirittura un lusso che solo in pochi possono permettersi. Si chiama Bling H2O e qualcuno l’ha già definita il “Cristal” delle bottiglie d’acqua.Nasce dall’ispirazione di Kevin G.Boyd, autore e produttore cinematografico di Hollywood, che resosi conto dell’importanza attribuita da alcuni all’estetica della bottiglia che si portavano appresso, ha voluto creare un prodotto estremamente attraente e capace di essere esibito al pari di un accessorio alla moda. Questa preziosissima acqua - è proprio il caso di dirlo - è prodotta in quantità limitate ed è contenuta in una longilinea bottiglia di vetro, con finitura satinata e tappo in sughero (come le migliori bottiglie di vino), ed è impreziosita da cristalli Swarovski pazientemente incastonati a mano nel vetro da abili artigiani capaci di rendere unico ogni esemplare. È disponibile nella versione satinata, trasparente, satinata verde e blu cobalto. Inoltre, nuove edizioni limitate, con diverse combinazioni di colori dei cristalli, sono prodotte periodicamente. A fare la differenza, sottolineano i produttori, non sarebbe solo il packaging ma anche la qualità ed il gusto dell’acqua che, imbottigliata all’origine nella fonte di Dandridge nel Tennessee, ha ottenuto nel 2006 la medaglia d’oro al Berkeley Spring International Tasting Festival. A Hollywood è iniziata una vera e propria moda e non c’è attrice o cantante che non ne abbia acquistata almeno una confezione, esibendola nelle occasioni più esclusive. Recentemente Bling H2O ha fatto la sua comparsa in molti avvenimenti importanti, tra cui gli MTV Video Music Awards, i Grammys, l’Academy Awards ed all’evento televisivo più importante, gli Emmys, consacrandosi “l’acqua delle star” e alcune bottiglie sono addirittura state esposte in vetrina e vendute presso il negozio di Luis Vuitton a Parigi. Per chi non ne vuole fare a meno e non sa dove trovarla, può acquistarla anche online al prezzo di 40 dollari a bottiglia (750ml). Forse un pochino eccessivo, ma dopotutto, cosa non si farebbe per apparire?!

Water is a precious resource, as is known, but when it is bottled in an elegant, lavish and exclusive bottle, covered in glittering stones, it in fact becomes a luxury that but few people can afford. It is called Bling H2O and someone has already defined it the “Crystal” of water bottles. It is born out of the inspiration of Kevin G. Boyd, author and Hollywood producer who having realised the importance attributed by some to the aesthetics of the bottle they carry with them, wished to create a product that is extremely attractive and capable of being flaunted like a fashion object. This extremely precious mineral water - there is no other way of putting it - is produced in limited quantities and is contained in a longilinear glass bottle with frosted finish and cork top (like the best wine bottles) and embellished with Swarovsky crystals painstakingly hand-embedded on the glass by skilled craftspersons, capable of making each item unique. It is also available in the frosted, transparent, or green or cobalt blue frosted versions. As well as that, new limited editions, with different crystal color combinations are produced periodically. What makes the difference, the producers underline, is not only the packaging but also the quality and the taste of the water that, bottled at source at the Dandridge springs in Tennessee, in 2006 won the gold medal at the Berkeley Spring International Tasting Festival. A true and proper fashion has started up at Hollywood and there is no actress or singer who has not bought at least a pack, showing it off at the most exclusive occasions. Recently Bling H2O has made its appearance in many important events, including the MTV Video Music Awards, the Grammys, the Academy Awards and the most important TV event, the Emmys, consecrating it as “the water of the stars”, some bottles have even been showcased and sold at Luis Vuitton’s shop in Parigi. For those who don’t want to do without it and don’t know where to get hold of it, you can buy it online at the price of 40 dollari a bottle (750ml). A bit pricey perhaps, but then, to what limits would one not go in order to appear?!

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Small Sips of Luxury

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Lusso a Piccoli Sorsi


new!

Message On the Bottle Design alla deriva? A vedere i risultati ottenuti in questo progetto, sembrerebbe di no. Il classico messaggio, che naviga all’interno di una bottiglia di vetro verso il suo ignaro destino, trova ora spazio all’esterno della stessa, avvolgendola sotto forma d’etichetta e trasportato da un sorprendente “mare” d’idee. Ondesign, studio di design e comunicazione di Amburgo, dei designer Francalma Nieddu e Olav Jünke, in occasione del Design Festival Hamburg 2007, ha promosso l’evento “Message on the Bottle” chiamando a raccolta ottanta progettisti da tutto il mondo e chiedendo loro di inviare un personale messaggio sotto forma di un’etichetta da apporre su bottiglie di vino. I partecipanti hanno risposto tutti con entusiasmo, sviluppando progetti arditi e originali che, indagando su molteplici tematiche, a volte sono andati ben oltre l’idea convenzionale dell’etichetta. È stato affrontato il tema sociale del bere e guidare, come l’etichetta dont’t drive beyond this bend di

Wine for you Francalma Nieddu & Olav Jünke

Leonardo Sonnoli in cui è indicato il livello da non superare per poter rimanere “sobri” alla guida. D’ecologia parlano i progetti Save Me from Global Warming di Margherita Urbani, raffigurante un grappolo d’uva che soffre per il caldo del riscaldamento globale terrestre e D-eco di Francalma Nieddu, decorativa ed ecologica bottiglia con applicazioni removibili e applicabili su altri oggetti oppure riutilizzabile come un originale vaso per fiori. Messaggi d’amore e pace sono lanciati da Annagemma Lascari e Naoko Shintani, ma anche di protesta, come La folle guerra di Bush, interpretazione critica di Paolo Ulian, che avvolge la bottiglia con una pagina di giornale, dove, il titolo della notizia riportata, dà il nome all’opera stessa. Messaggi scritti con il vino di Isolde Frey o inneggianti al godersi la vita come quello di Esmeralda Sorrentino. Citazioni rivisitate d’autori classici per Gianni Sinni e Peter Schmidt o etichette da “sfogliare” come il Rosso da Meditazione di Giulio Iacchetti o ancora, semplici istruzioni d’uso: bevi! di Erik Spiekermann. Alessio Leonardi da Berlino, invece, ha presentato un ironico messaggio: Bottlass, un bicchiere montato in orizzontale sulla bottiglia, accompagnato da manuali divertenti per il corretto uso del suo curioso oggetto. Alcuni hanno cercato di approfondire l’aspetto funzionale dell’etichetta, sperimentando l’uso di nuovi materiali, come ha fatto il designer Michele Palazzo con un’etichetta termosensibile, dove il colore dell’impronta della mano indica la giusta temperatura che il vino deve avere per essere bevuto correttamente. Il messaggio che ha fatto il viaggio più lungo, è quello del designer Peter Cooper di Sidney, che ha fotografato la parola “white” scritta nella sabbia della spiaggia, diventata poi un’etichetta per vino bianco.Tutti i progetti sono stati presentati all’interno di una mostra, curata dalla stessa promotrice dell’evento Francalma Nieddu, e tenutasi nell’enoteca EuroWeinKontor di Amburgo. Questa però non rimarrà l’unica apparizione, infatti, “Message on the Bottle” approderà in alcune delle più importanti città europee e terminerà a Randazzo, alle pendici dell’Etna, in un museo di prossima apertura dedicato alla cultura del vino, il Museo della vite, del vino e dell’etichetta


L’uomo è … C.Testa, W. Pennelli (ideolab)

Message on the Bottle Has design gone adrift? Judging by the results obtained with this project, it would seem not. The classic message sailing towards its unknown destiny inside a bottle now finds a space on the outside of the same, wrapping it in the form of a label and driven by an amazing “sea” of ideas. On the occasion of the Design Festival Hamburg 2007, Ondesign, Hamburg design studio and advertising agency, owned by designers Francalma Nieddu and Olav Jünke, promoted the event entitled “Message on the Bottle” mustering eighty designers from all over the world and inviting them to send a personal message in the shape of a label to stick on a wine bottle. The participants all responded enthusiastically, producing daring and original designs which, while investigating many themes, sometimes went well beyond the conventional idea of the label. The social theme of drinking and driving was tackled by Leonardo Sonnoli who came up with the label don’t drive beyond this bend indicating the amount not to be exceeded in order to remain sober at the wheel. Two labels dealt with the environment: Save Me from Global Warming by Margherita Urbani, showing a bunch of grapes wilting in the heat from the effects of global warming, and D-eco by Francalma Nieddu, a decorative and environmentally friendly bottle with appliqués that can be removed and stuck to other objects and which can then be recycled as an original flower vase. Messages of love and peace were launched by Annagemma Lascari and Naoko Shintani, as well as messages of protest, like La folle guerra di Bush, a critique by Paolo

Ulian who wrapped the bottle with a page from a newspaper whose headline is the title of the work. Then there was the message written in wine by Isolde Frey and messages praising life’s pleasures like Esmeralda Sorrentino’s design. There were also quotes from classic works of literature from Gianni Sinni and Peter Schmidt or labels to “leaf through” like Giulio Iacchetti’s Rosso da Meditazione or simple instructions for use: bevi! by Erik Spiekermann. Instead, Alessio Leonardi from Berlino sent an ironic message: Bottlass, a glass mounted horizontally on the bottle, accompanied by an amusing manual with instructions on how to use this curious object.Some tried to increase the practical nature of the label experimenting with new materials like designer Michele Palazzo who used a heatsensitive label where the colour left by the pressure of your hands indicates the correct temperature at which to drink the wine. The message which travelled the furthest came from designer Peter Cooper of Sydney who photographed the word “white”, written in the sand on a beach, which was then turned into a label for white wine. All the designs were presented at an exhibition, curated by the event’s promoter Francalma Nieddu, and held at the wine store EuroWeinKontor in Hamburg. This will not be the only opportunity to see them. Indeed, “Message on the Bottle” will visit some of the most important European cities, ending its tour at Randazzo, on the slopes of Etna, in a museum which is soon to be opened and dedicated to wine culture, the Museum of the Vine, Wine and the Label.


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THE THING c’è arte per te Luca Aragone Grazie ad un progetto artistico nato a San Francisco dalla creatività di Jonn Herschend e Will Rogan (co-editori), l’Arte entra nelle cassette della posta, con lo scopo di dare visibilità a progetti originali e ad artisti emergenti. Il nome del progetto è THE THING, la cosa, che, con periodicità trimestrale, prende forma di un oggetto d’uso quotidiano, rivisitato per l’occasione dall’artista di turno, impacchettato ed in seguito spedito via posta ai suoi abbonati. Il singolo artista, però, non è il solo ad essere coinvolto

nel progetto, infatti, dietro ogni THING, c’è un gruppo di persone che lavora a stretto contatto con lui e lo aiuta a realizzare in serie l’oggetto che ha pensato, mettendo a disposizione le proprie capacità. L’unica condizione data all’autore è quella di accompagnare l’oggetto con un testo (dopotutto si tratta pur sempre di una pubblicazione), in modo da dare nuova voce all’oggetto stesso e dialogare con il destinatario attraverso l’utilizzo di un nuovo linguaggio, com’è, di fatto, il compito dell’Arte.

Un’altra delle caratteristiche interessanti di questo progetto riguarda proprio il packaging con cui sono accompagnate e “protette” le creazioni. Tutte le confezioni sono sempre interamente realizzate a mano, con modalità ogni volta differenti, e questa risulta essere una piacevole e rinnovata sorpresa per gli abbonati che le riceveranno a casa. L’autore del primo “numero” di THE THING è Miranda July, artista multimediale e personaggio poliedrico. È anche regista, attrice e sceneggiatrice


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dell’acclamato e pluripremiato film “Me and You and everyone we know”. La sua “cosa” è una tenda arrotolabile, stampata su entrambi i lati con due frasi differenti. Su un lato si legge: “If this shade is down I’m not who you think I am” (Se questa tenda è abbassata non sono quello che tu pensi io sia) mentre sull’altro: “If this shade is down I’m begging for your forgiveness on bended knee with tears streaming down my face” (Se questa tenda è abbassata sto chiedendo il tuo perdono in ginocchio e con le lacrime agli occhi). Anne Walsh ha firmato il secondo numero, mentre il prossimo in uscita è a cura di Kota Ezawa. Costo dell’abbonamento annuale a 4 numeri di THE THING? 120 dollari. In fondo poco, se si pensa di avere in cambio un’opera d’arte! www.thethingquarterly.com Luca Aragone, designer, ha conseguito nel 2004 il Master in Packaging Design presso lo IED di Milano. Attualmente collabora con studi di grafica e design di Milano.

THE THING art in your postbox Luca Aragone

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Luca Aragone, designer, in 2004 gained his Master in Packaging Design at the IED, Milan. He currently works with Milan graphics and design studios.

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Thanks to an art project born in San Francisco from the creativity of Jonn Herschend and Will Rogan (co-editors), Art enters into our post boxes with the purpose of giving visibility to original projects from emerging artists. The name of the projects is THE THING, that, on a quarterly basis, takes the shape of an object of daily use, revamped for the occasion by the artist at hand, packed up and subsequently sent via post to subscribers. The single artist though is not the only one to be involved in the project, in fact, behind each THING, there is a group of people that work in close contact with the same, who make their capacities available to help create a series of objects thought up by the “author”. The only condition laid down is that the artist-author accompany the object with a wording (after all we are speaking of a publication), so as to give new voice to the object itself and dialogue with the person receiving it through the use of a new language, as is in fact the task of Art. Another interesting characteristic of this project concerns the particular packaging accompanying and protecting the creations. All the packs are entirely made by hand, differently each time, and this is a pleasant and renewed surprise for the receiving subscribers. The author of the first “issue” of the THE THING is Miranda July, multimedial artist and polyedric personality. She is also the director, actress and scriptwriter of the acclaimed and multi-awarded film “Me and You and everyone we know”. Her “thing” is a roll-up curtain, printed on both sides with different sentences. On one side is written: “If this shade is down I’m not who you think I am” while on the other “If this shade is down I’m begging for your forgiveness on bended knee with tears streaming down my face”. Anne Walsh features in the second issue, while the coming issue will be by Kota Ezawa. Cost of the annual subscription of 4 issues of The Thing? 120 dollars. Not much if you reckon you get an art object in exchange! www.thethingquarterly.com


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Un Coccodrillo in Scatola

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Maria Gallo Nel 2006 Lacoste ha lanciato il progetto Holiday Collector, creando di fatto un ponte tra il mondo della moda e il design industriale. Il concept della collezione mirava al redesign della classica polo Lacoste attraverso il riesame dei metodi di produzione. Il primi due modelli Eco Polo e Techno Polo, firmati da Tom Dixon, ci hanno stupito non solo per le loro caratteristiche tecniche, ma anche perché, per la prima volta, questi capi d’abbigliamento sono stati dotati di un packaging industriale, lontano anni luce dalle classiche scatole di cartoncino patinato, utilizzate generalmente nel settore moda. La maglietta Techno Polo, caratterizzata dalla tessitura

tecnologica di cotone in mischia con il lurex, è stata imballata sottovuoto in una confezione in carta di alluminio, mentre la Eco Polo, in cotone biologico d’un intenso color indaco, è stata confezionata in una scatola ottenuta da materiali riciclati, una citazione ai classici imballi per le uova. Nel 2007 è toccato a Michael Young esprimere il suo punto di vista sulla Polo Lacoste e anche questa volta il progetto non si è limitato alla creazione di un nuovo modello. Per la sua Plastic Polo, così chiamata per il decoro “coccodrillato” con finitura a rilievo, Young ha pensato di restare in tema, con un packaging interamente di plastica: un semplice vassoio con


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confesso di essere stato sedotto dai box in cartone che usano molto ad Hong Kong per il take away.

Hai proposto tu questo packaging speciale o l’idea è nata da Lacoste? Io ho proposto il concept generale e poi insieme a Lacoste abbiamo sviluppato il progetto. Ho pensato che la Plastic Polo dovesse avere un packaging riutilizzabile e quindi realizzato con materiali più solidi rispetto al cartoncino. Nella sua “second life” potrebbe diventare un box per conservare altre cose o perfino un vassoio da tavola.

Ma non ti sembra che questo progetto potrebbe scioccare i clienti Lacoste? Mi sembra ci sia una sorta di cortocircuito tra l’elevata qualità della Plastic Polo, la sua eleganza e l’aspetto apparentemente cheap, quasi da supermercato, del package. No, non credo. In realtà non volevo creare un pack che avesse una stretta relazione qualitativa con il contenuto. Ho pensato soprattutto al riuso. E poi, a pensarci bene, forse questo pack costa più di un sacchetto Gucci. Pensi che il design possa cambiare non solo gli oggetti ma anche la nostra relazione con loro? Penso che l’obbiettivo fondamentale del design sia migliorare la relazione che abbiamo con il prodotto.

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In effetti ricorda i contenitori utilizzati per la vendita di bistecche al supermarket. C’è forse un richiamo ironico alla “carne” del coccodrillo? In realtà non volevo fare un gioco di parole, però

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coperchio richiudibile. Ne abbiamo parlato con l’autore...


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A Croc-in-the-Box Maria Gallo In 2006 Lacoste launched the Project Holiday Collector, in fact creating a bridge between the world of fashion and industrial design. The concept of the collection aimed at the redesign of the classic Lacoste polo through a reexamination of the production methods. The first two models Eco Polo and Techno Polo, with Tom Dixon’s name to them, amazed us not only for their technical characteristics, but also because, for the first time these items of clothing were given an industrial packagin light-years away from the classic glossy cardboard box, generally used in the fashion sector. The Techno Polo shirt, featuring technological cotton weave mixed with lurex, was vacuum packed in a paper aluminium pack, while Eco Polo, in biological cotton in an intense indaco, has been placed in a box obtained from recycled materials, a quotation from the classic egg box. In 2007 it was Michael Young’s term to express his point of view on Polo Lacoste and also this time the projects was not limited to the creation of a new model. For his Plastic Polo, called because of its relief finish “crocodiled” decoration, Young thought of keeping to the subject, with an entirely plastic packaging: a simple tray with reclosable cover. We spoke about it with its creator…

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Was it you who proposed this special packaging or was it Lacoste’s idea? I proposed the general concept and then together with Lacoste we developed the project. I perceived of the Plastic Polo having a reusable packaging and hence made of material more solid than cardboard. In its “second life” it could become a box for holding other things or even a serving tray. Indeed it resembles the containers used for selling steaks in the supermarket. Are you perhaps ironically alluding to crocodile meat? In actual fact there was no intent of a play on words, but I confess I was allured by the cardboard boxes they use a lot in Hong Kong for take-aways.

But aren’t you afraid that this project might shock Lacoste customers? It seems to me a sort of short circuit between the high quality of the Plastic Polo, its elegant and the apparently cheap almost supermarket-like appearance of the package. No I don’t think so. In actual fact I didn’t want to create a pack that has a close qualitative relationship with its content. I was aboveall thinking of its reuse. And even so, if you think about it, perhaps this pack costs even more than a Gucci bag. Do you think that the design can change not only the object but also our relation with the same? I think that the fundamental objective of the design is to improve the relation we have with the product.


Ready to Use Bulgari Flaconi, vasetti e tubi sono chiusi con tappi in alluminio anodizzato lucido e decorati con due incisioni che percorrono la superficie laterale. Sulla sommità, il marchio Bulgari, anch'esso inciso nel metallo lucido. Sono realizzati da Seidel GmbH+Co., produttore tedesco di manufatti di alluminio, che presenta a Cosmoprof 2008, la nuova linea di chiusure protettive disegnate per i prodotti per la cura del corpo di Bulgari.

Effetti di impatto

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spalle più alte e con una forma che favorisce la maneggevolezza e il versamento del liquido. La bottiglia è completata da un'etichetta preziosa, color ocra con firma del fondatore al piede dove il ricordo del passato è esaltato dalle linee morbide. Nuova invece la percezione della tridimensionalità del logo Averna e del logotipo Amaro Siciliano che, fuoriuscendo dallo spazio dell'etichetta, acquisiscono centralità e importanza.

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Una resina di alta gamma AmorePacific, si affida all'estetica e alle prestazioni funzionali (trasparenza, resistenza ai graffi e agli agenti chimici) della resina per packaging DuPonttm Surlyn® e la utilizzata per il pack di sette nuovi prodotti delle linee Hera (cura della pelle) e Laneige (protezione solare).

Cellografica Gerosa (converting di imballaggi flessibili) ha sviluppato un'innovativa tecnologia di demetallizzazione, perfetta per il settore dolciario, del fresco e degli snack, grazie alla quale è possibile vedere il prodotto attraverso una finestra trasparente su un pack che mantiene comunque un accattivante effetto metallizzato. Nella foto: una banda demetallizzata per Ferrero, storico cliente dell'azienda lombarda.

Un nuovo “gusto pieno della vita” Dopo avere curato lo sviluppo delle nuove linee di prodotti “dopopasto” Averna (sambuche, liquori agli agrumi e grappe), il laboratorio creativo milanese Artefice (branding, pubblicità, packaging, promotion, consulenza strategica e innovazione di prodotto) prosegue la collaborazione con Fratelli Averna SpA, progettando una nuova bottiglia e una nuova etichetta per lo storico Amaro della casa. Obiettivo del progetto: rinnovare il prodotto, per creare un contenitore distintivo e proprietario, nel pieno rispetto dei valori più tradizionali. È stata così ideata una bottiglia più slanciata, con


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Cartotecnica, un talento indiscusso

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122 iscritti da 11 Paesi europei hanno partecipato al Pro Carton Ecma 2007, concorso annuale riservato alle cartotecniche europee. E gli italiani hanno fatto la loro parte, con tre vincitori su tredici progetti presentati, che saranno in mostra negli stand Pro Carton di Interpack (Düsseldorf, 24-30 aprile 2008) e Drupa (29 maggio - 11 giugno 2008, stessa città). Ecco gli exploit delle

cartotecniche nazionali. La scatola di spumante Veuve Cliquot di Cartografica Pusterla si è aggiudicata la palma nella categoria Bevande, giudicata “intelligente”, in grado di aprirsi completamente dall'alto con semplicità, riuscendo a contenere anche il ghiaccio (1). Il Cocoa Book Collection di Box Marche, una scatola di cioccolatini dalla forma di un libro, è stato premiato nella categoria Pasticceria: l'idea nel

In tavola con stile L'agenzia Zetalab (identità di marca e comunicazione visiva) aggiorna il packaging di Ferrari (selezione, stagionatura e confezionamento di formaggi), ad esclusione della linea GranMix. Le scelte progettuali sono indirizzate al posizionamento della marca sul mercato e alla visibilità dei pack a scaffale. Lo studio ha eliminato quegli elementi che potevano potenzialmente conferire al prodotto un aspetto “industriale”, negativo per un formaggio confezionato fresco. Proprio in questa ottica, è stato ridotto il sovraffollamento dei messaggi e creata una strategia di codici cromatici per una più chiara segmentazione delle referenze. L'approccio è ancor più evidente nei prodotti destinati al Regno Unito dove

suo complesso e l'altissima qualità della stampa e delle finiture hanno dato vita a un pack di alto livello per un prodotto di elevata qualità (2). Infine, il Last Minute display realizzato da Lucaprint SpA ha vinto nella sezione Shelf Ready e display packaging. L'espositore per biancheria intima femminile si è distinto per la scelta dei colori vivaci, ma anche per la praticità e la facilità con cui può essere riconosciuto presso il punto vendita (3).

l'essenzialità, l'eleganza e la visibilità diretta del contenuto costituiscono elementi chiave per un posizionamento in fascia alta dei prodotti Made in Italy.


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Tube of the year 2007 Concezioni intelligenti, sofisticate tecnologie, appeal. Lo speciale concorso, promosso dall'associazione europea dei produttori di tubetti (etma), ha messo in campo una grande varietà di idee e progetti, orientati al consumatore. Ecco i vincitori, “campioni” delle tre categorie dedicate ai materiali. Plastica: vincono i tubetti per il bagno schiuma e il dopo barba della linea Ambré di Badessarini, prodotti da Alcan Packaging Beauty (D) per Procter & Gamble. Disponibili in due differenti diametri, sono stampati in serigrafia a 3 colori, con un intarsio argentato, e hanno un tappo flip top

orientato. Molto maschile il decoro oro e bronzo arricchito di pigmenti metallici e stampato in toni degradanti. Alluminio: Obrist (CH) vince con un tubetto per alimenti dotato di una chiusura innovativa che, grazie all'ampia superficie, ne facilita l'apertura (grazie alla presa migliore) e l'appoggio in piedi. Laminato: vince il tubo per la lozione corpo Elizabeth Arden della linea Mediterranean prodotto da Neopac (CH). Con una colorazione blu-verde combinata a una finitura metallica, il Polyfoiltube® riproduce appieno un look di lusso e mediterraneo. Esclusiva la chiusura di metallo argentato e con finitura martellata.

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A top of the range resin AmorePacific relies on the aesthetics and functional performance (transparency, resistance

Impact Effect Cellografica Gerosa (converting of flexible packaging) has developed an innovative demetallization technology, perfect for the confectionary, chilled products and snacks sectors, thanks to which you can see the product through a transparent window on a pack which anyway continues to exert a metallic appeal. In the photo: a demetallised band for Ferrero, historical customer of the Lombard company.

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Bulgari Bottle, jars and tubes are sealed with shiny anodized aluminium caps and decorated with two cuts which run down the side. The Bulgari trademark is also engraved in shiny metal on the top. They are produced by Seidel GmbH+Co., German manufacturer of aluminium products, who present their new range of protective seals for Bulgari body care products at Cosmoprof 2008.

to scratches and chemical agents) of resin for DuPonttm Surlyn(R) packaging used for the seven new products in the Hera (skincare) and Laneige (sun protection) range.


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A new “taste for life” After developing the new range of Averna “after dinner” products (sambuca, citrus liqueurs and grappa), creative Milanese workshop Artefice (branding, advertising, packaging, promotion, strategic consultation and product innovation) continues to work in partnership with Fratelli Averna SpA, designing a new bottle and a new label for their historical Amaro. Aim of the project: to renew the product in order to create a distinctive and proprietary container, respecting the most traditional values. This led to the design of the more slender bottle with higher shoulders and a shape which makes it easier to handle and pour. The bottle is completed with a precious ochre label with the signature of the founder on the bottom, where nostalgia for the past is enhanced by the soft contours. The perception of the three-dimensionality of the Averna logo and the Amaro Siciliano logotype which, overhanging the space on the label, acquires centrality and importance, is new. Paper industry, an unquestionable talent 122 entrants from 11 European countries took part in pro Carton Ecma 2007, an annual competition reserved for European paper industries. And Italians did their bit with winning prizes with three out of the thirteen projects presented, which will be exhibited at the Pro Carton stand at Interpack (Düsseldorf, 24-30 April 2008) and Drupa (29 May - 11 June 2008, same city). Here are the achievements of the Italian paper industries. The box for Veuve Cliquot sparkling wine by Cartografica Pusterla won the prize in the Beverages category, judged to be “intelligent”, easily opened out from above with space for ice too (1). The Cocoa Book Collection by Box Marche, a chocolate box in the shape of a book won the prize in the confectioners’ category. The idea as a whole with its extremely high print quality and trim generated a high level pack for a high quality product (2). Finally, the Last Minute display produced by Lucaprint SpA won in the Shelf Ready and display packaging section. The female lingerie display stand stood out due to its bright colours but also thanks to its practicality and the ease with which it can be recognised at the sales point (3).

Tube of the year 2007 Intelligent concepts, sophisticated technologies, appeal. The special competition, promoted by the European association of tube manufacturers (etma), produced a huge variety of consumer oriented ideas and designs. Here are the winners, “champions of the three categories dedicated to materials. Plastic: the winners are the bubble bath and shaving foam tubes from the Ambré range by Badessarini, produced by Alcan Packaging Beauty (D) for Procter & Gamble. Available in two different diameters, they are silk printed in 3 colours with silver-plated inlay, and a flip-top cap. The gold and bronze decoration, embellished with metallic pigments and printed in shades which get increasingly lighter, is very masculine. Aluminium: Obrist (CH) wins with a tube for food stuffs equipped with an innovative cap whose large surface, makes it easier to open (thanks to a better grip) and stand on end. Laminate: the tube for Elizabeth Arden body lotion from the Mediterranean range produced by Neopac (CH) was the winner. With its blue green colour combined with a metallic trim, the Polyfoiltube® reproduces a look of luxury and the Mediterranean. The silver plated metal cap and hammered finish is exclusive. On the table with style The Zetalab agency (brand identity and visual communication) updates the packaging of Ferrari (selection, seasoning and packaging of cheeses), with the exception of the GranMix range. The designs are aimed to position the brand in the market and to give visibility to the packs on the shelves. The study eliminated those elements which might potentially give the product an “industrial” look, negative for fresh packaged cheese. In view of this, the problem of the overcrowding of messages was dealt with and a strategy of colour codes was devised for easier reference. The approach is all the more evident in the products destined for the United Kingdom where the starkness, elegance and direct visibility of the contents are key elements for a high bracket positioning of Made in Italy products .


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Un cappello che si trasforma

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Francalma Nieddu

Secondo una tradizionale convenzione, il cappello nasce come oggetto con una precisa utilità e si trasforma successivamente in un ornamento sempre più fantasioso. Quando poi sembra essere diventato solo un oggetto astratto, ritorna alla sua essenziale forma utilitaria e nuovamente ricomincia il processo. Nel caso però del cappello da donna Sushehat, del designer-imprenditore olandese Peter De Vries, sembra che funzionalità e aspetto creativo convivano. Questo prodotto è talmente originale che ha già vinto due prestigiosi premi: il red dot design nel 2006 e il design plus nel 2005. La principale caratteristica del copricapo è la sua capacità di reinventarsi, potendo infatti assumere, attraverso semplici gesti, ben nove differenti forme. Peter ci racconta com’è nato quest’oggetto iniziando proprio dal significato stesso del nome che ricorda tanto il “sushi” (arrotolato su se stesso) quanto il fatto che sia un accessorio prettamente femminile “she hat”. Nei manifesti e nel sito web il Sushehat è presentato come se fosse un piatto di sushi e l’analogia

è alquanto raffinata: gioca con la forma del cibo giapponese e con la possibilità di trasportarlo facilmente arrotolato su se stesso, all’interno di un packaging tubolare in tessuto, chiuso alla sua sommità con una cerniera, facile da riporre in borsa. Peter ha disegnato questo cappello in occasione della mostra “L’Impero giapponese ed i suoi cappelli” al Museo di Arti Applicate di Amburgo, nel 2003. Ha studiato molto bene tutte le tipologie di questo oggetto e le antiche fogge appartenenti al celeste impero ed il risultato della sua ricerca lo si può indossare in due versioni con pregiate rifiniture di velluto, in feltro per il modello invernale oppure in cellulosa di alta qualità per quello estivo. Il nastro con cui è accompagnato il cappello, ha una funzione decorativa ed al tempo stesso è lo strumento che permette di trasformare e fissare il modello voluto. Sushehat è un cappello che invita a essere creativi, modellando la forma che piace di più, per poter apparire elegante, riservato, avventuriero o per scoprire l’artista samurai che “c’è in te”. “Divertiti a creare un tuo stile con


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Sushehat”, così suggerisce la descrizione che accompagna il packaging, seguita da chiare istruzioni per ottenere, con pochi e precisi movimenti, le diverse forme, ognuna con nomi divertenti e di ispirazione orientale. Si parte dal modello Risingsun, che si ottiene quando il cappello viene estratto dalla confezione, passando per il modello Geishas Fantasy che rimanda alla figura della geisha, oppure il Morning Glory che ricorda quelli indossati negli anni 20. Per chi

vuole apparire molto diva, ecco il modello Medusa, per chi invece si sente combattiva ci sono i modelli ispirati alle arti marziali come Shogun Power, Samurai e Dancing Dragon. Per chi vuole infine esprimere una natura ironicamente aggressiva, può sfoggiare il Waiting Tiger, oppure per accentuare il proprio lato scherzoso scegliere il modello Flying Fish. Con tutte queste possibilità, sicuramente indossare uno Sushehat non vuol dire passare inosservati!


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Sushehat A hat which can transform itself Francalma Nieddu

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According to popular tradition, the hat started out as an object with a specific purpose and subsequently metamorphosed into an ever more fanciful ornament. When it then seemed to have become a purely abstract object it reverted to its basic utilitarian form and the process began all over again. However, in the case of the women’s hat Sushehat by Dutch designer Peter De Vries it seems that the practical and the creative can coexist. This product is so original that it has already won two prestigious prizes: red hot design in 2006 and design plus in 2005. The hat’s main characteristic is its ability to reinvent itself, becoming nine different shapes by means of simple moves. Peter tells us how this object was invented, starting with the very meaning of the name which recalls both (rolled up) “sushi” and the fact that it is a “she hat” or typically feminine accessory. In posters and on the web site Sushehat is shown as though it were a plate of sushi and the analogy is more than a little refined. It plays with the shape of the Japanese food and with the possibility of transporting it conveniently rolled up, inside tubular fabric packaging, zipped up at the top and easily stowed in a bag. Peter designed this hat for the exhibition “The

Japanese Empire and its Hats” at the Museum of Applied Arts in Hamburg in 2003. He studied all typologies of this object as well as the ancient fashions of the Celestial Empire in depth and the result of his research can be worn in two versions with fine velvet trim, made of felt for the winter or high quality cellulose for the summer. The ribbon that comes with the hat is both decorative and an instrument for transforming and fixing the desired model. The Sushehat hat invites you to be creative, modelling the shape you most like so as to appear elegant, discreet, adventurous or in order to discover “your hidden samurai”. “Have fun creating your style with Sushehat” says the message on the packaging, followed by clear instructions on how to obtain different shapes each with a different name inspired by the Orient in just a few, careful steps. The first is Risingsun, obtained when the hat is removed from the packaging, followed by Geishas Fantasy which refers to the figure of the geisha or Morning Glory which recalls hats worn in the twenties. For those aspiring to resemble a diva there is Medusa. For those who wish to seem more warrior-like there are models inspired by the martial arts such as Shogun Power, Samurai and Dancing Dragon. For those who wish to express an ironically aggressive nature there is Waiting Tiger, or to accentuate your playful side you can choose the Flying Fish model. With all these choices wearing a Sushehat means you certainly won’t go unnoticed!


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Nastro elastomerico sottile per abbigliamento moda ed accessori. In poliuretano al 100%, il materiale viene estruso nelle dimensioni esatte (piuttosto che tagliato da una pellicola di ampiezza maggiore), in modo da migliorare le prestazioni del prodotto che, con i bordi smussati segna meno la pelle. Il grado di elasticità può essere specificato. Il nastro ha buone capacità di recupero elastico (raggiunge un allungamento del 10% in totale dopo 10.000 allungamenti del 200%) ed è resistente alle rotture. Il nastro è trasparente ed è quasi invisibile indossato sulla pelle. È certificato Oeko Tex Classe 1, può essere cucito negli indumenti e non viene alterato dalle tinture; è inoltre disponibile in nero. Le applicazioni sono per intimo e capi di abbigliamento moda. Material Connexion Milano +39 02 39325585 infoitalia@materialconnexion.com www.materialconnexion.com/it

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F & G - Fashion & Graphics Tamsin Blanchard, Laurence King Publishing, 2004, € 28 www.laurenceking.co.uk

Dedicato a chi pensa che tanto “un negozio vale l’altro”, e che, tanto, “non si ha

For all those who think that “all stores are much the same” and that therefore “there is no time to go around the world shopping”. Fair enough but at least take the time to browse through this bookwhich is an elegant investigation of how architects and artists have

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For those who think that fashion is the stuff of tailors, stylists and designers, and that it is made up

Da Fiorucci ai Guerrilla Stores. Moda, architettura, marketing e comunicazione Claudio Marenco Mores, Marsilio - Fondazione Pitti Discovery, 2006, € 16 www.marsilioeditori.it

mica il tempo per andare in giro per il mondo a fare shopping”. D’accordo, ma almeno prendetevi il tempo di sfogliare questo libro - che è un’intelligente disamina su come architetti ed artisti si siano dedicati a ripensare il concetto di “store”, e a inventare spazi e soluzioni inedite per il punto vendita. L’immenso Gregotti si lamenta che gli architetti non hanno più serietà? Pazienza - a noi, e all’Autore, pare invece che ce ne siano ancora tanti pieni di idee formidabili e mai viste.

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Dedicato a chi pensa che la moda sia affare di sarti, stilisti e designer, e sia fatta di stoffa, fodera e bottoni. F&G è una rassegna assolutamente psichedelica che dimostra al contrario l’importanza centrale della grafica non solo delle shopping bags, delle etichette e dei logo ma anche dei dettagli che rendono sfiziosa e irrinunciabile la fibbia di una cintura, la custodia di un occhiale e - udite udite - una (altrimenti banalissima) scatola da scarpe.

of fabrics, linings and buttons. F&G is a totally psychedelic collection which shows, on the contrary, the central importance of the graphics not just of shopping bags, labels and logos - but also the details which make a belt buckle or spectacle case or- hear ye!, hear ye!- a (otherwise extremely ordinary) shoe box a fancy object of desire.


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taken time to rethink the concept of “store”, inventing new spaces and solutions for sales points. Does the great Gregotti complain that architects are no longer serious? Never mind! To us and to the author it seems instead that there are still many formidable, new ideas.

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Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding Gianfranco Marrone, Editori Laterza, 2007 € 28 Dedicato a chi pensa che la marca sia una bandierina sui jeans, o una firmetta sulla lente sinistra degli occhiali da sole. Eh no, pare sia qualcosa di un po’ più complesso, che coinvolge le strategie di comunicazione e il posizionamento dei testi, le interazioni sociali e le trasformazioni dell’immaginario collettivo…. Il trattato è piuttosto imponente, ma la riflessione di base è quasi shockante: “La marca, oggi, sta al posto di Dio per svariati motivi, e tutti di natura eminentemente semiotica”. Pieno accordo sulla prima parte della frase, assai meno sulla seconda. Sebbene la semiotica, a mezzo secolo dalla nascita, dimostri ancora una vitalità sorprendente e sia in grado di decifrare i fenomeni più disparati, la rigidità di certe griglie resta immutata. E se fosse venuto il tempo - come sostiene Agamben - di passare direttamente alla teologia? This for those who think that the brand is a label on a pair of

jeans, or a tiny signature on the left lens of a pair of sun glasses. No, it seems that it is something a little more complex, involving advertising strategies and the positioning of texts, social interactions and the transformation of the shared imagination…The treatise is rather intimidating but the basic premise is almost shocking: “Nowadays, the brand replaces God for various reasons, all of an eminently semiotic nature”. Regarding the first part of the sentence there is total agreement, regarding the second the situation is somewhat different. Although semiotics, half a century from its birth, is still alive and kicking and able to decipher the most disparate phenomena, the inelasticity of certain schemes remains unchanged. And what if - as Agamben says- the time had come to go straight to theology? Elio Fiorucci: quarant’anni di arte, design, moda e spettacolo Luisa Valeriani, Meltemi www.meltemieditore.it Dedicato a chi ha la memoria corta. Prima di D&G, prima di Armani e prima di Benetton, c’era lui, l’amico di Andy Warhol, il Duchamp dei blue jeans, l’ultimo italiano di successo oltreoceano. Per chi non è più giovanissimo Fiorucci è stato sinonimo di divertimento, glamour, sentirsi alla moda, fare l’americano con il gusto italiano, insomma un mix irripetibile. Fiorucci è in verità anche un

esempio: di come noi italiani ci dimentichiamo presto anche dei nostri talenti migliori. Il pamphlet faceva da catalogo alla retrospettiva dedicatagli in Triennale, dove, nella mostra sugli Anni 70, riceve comunque un sacrosanto tributo. For those with short memories. Before D&G, before Armani and before Benetton, we had Fiorucci, the friend of Andy Warhol, the Duchamp of blue Jeans, the last Italian to triumph overseas. For those who are not so young any more, Fiorucci was the synonym of fun, glamour, feeling trendy, American fashion with an Italian flavour, an unique mixture. In truth Fiorucci is also an example of how we Italians soon forget our finest talents. The pamphlet was a catalogue for the retrospective held for him at the Triennale, where he received a well-deserved tribute at the Anni 70 exhibition. La moda rende felici (per mezz’ora almeno) Franco La Cecla, Ponte alle Grazie, 2007 € 12 www.ponteallegrazie.it Dedicato a chi della moda non ne può proprio più. Perché, come cantavano Battisti-Panella “anche chi teme la moda/ è immerso in essa comunque / e di essa è intriso/ come un cardo dal gambo reciso”. Ossia: la moda non la puoi rifiutare, fa parte del panorama culturale da dentro il quale esprimiamo i nostri giudizi di valore, inclusi quelli


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sulla moda. Conviene allora capire il trionfo del piercing all’ombelico con l’occhio esercitato di un antropologo come La Cecla che ci spiega, passo passo, perché, quella che sembra un’idiozia da teen ager, e che scoccia i presidi e i papà di mezz’Italia, non sia nient’altro che il revival (spesso inconsapevole) di antichissime simbologie indiane. For those who cannot bear fashion anymore. Because, as Battisti-Panella sang “even those who fear fashion/ Are anyway immersed in it/ and soaked in it/Like a thistle with a cut stem” Or rather: you cannot reject fashion, it is part of the cultural panorama from within which we express our value judgements, including those on fashion. So we should attempt to understand the success of belly-button piercing with the practiced eye of an anthropologist such as La Cecla who explains to us, step by step, why what seems like teenage idiocy, and shocks school headmasters and dads throughout Italy, is none other than the (often unconscious) revival of ancient Indian symbology.

Dedicato a chi non sa, letteralmente, a che santo votarsi. Ecco a voi la Bibbia del Packaging: dal cd confezionato come una radio degli anni 70, all’invito-spugna che se lo metti nell’acqua si gonfia, passando per celebri packaging come il mitico Cream e Fresh Cream, antologia dell’arte contemporanea edite da Pahidon Press di Londra e impacchettate sotto vuoto e in una bolla d’aria - centinaia di esempi per non perdersi d’animo se vi chiedono di creare un “imballaggio”. For those who literally do not know where to turn. Here is the Bible of Packaging: from the CD packaged like a 1970s radio, to the sponge invitation that inflates if placed in water to famous packaging such as the legendary Cream and Fresh Cream, a contemporary art anthology edited by Phaidon Press of London and hermetically sealed in a bubblehundreds of examples so you won’t lose heart if they ask you to create a “packaging” The t-shirt: a collection of 500 designers Luo Lv, Zhang Huiguang, Rockport, 2006 € 35 www.muehlenchemie.de

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Dedicato a chi ha problemi di target. Questo libro raccoglie i migliori

For those who have target problems. This book is a collection of the best international packaging projects organised in an unconventional way. Instead of the traditional classifications by product type, material type, graphics etc. .. packaging here is distributed in relation to the customers who use it, according to a customer oriented approach. As explained in the introductory essay and in the numerous interviews which complete the volume, subdividing the consumer public into sex, age, socio-economic level, profession and consumer behaviour is the best basis for designing a packaging which is not merely appealing and “well-made” but also successful.

The Designer’s Packaging Bible. Creative Solutions for Outstanding Design Compiled by Luke Herriot, Rotovision, 2007, € 30 www.rotovision.com

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Demo-Graphics Packaging. Design Successful Packaging for Specific Customer Groups Mark Hampshire, Keith Stephenson, Rotovision, 2007 € 30 www.rotovision.com

progetti internazionali di imballaggio suddividendoli in modo non convenzionale. Al posto delle tradizionali classificazione per genere di prodotto, tipologia di materiale, soluzioni grafiche ecc., qui i packaging sono distribuiti in relazione ai clienti che li usano, secondo l’approccio conusmer-oriented. Come viene chiarito nel saggio introduttivo e nelle numerose interviste che completano il volume, suddividere il pubblico dei consumatori in base a genere, età, livello socioeconomico, professione e attitudini di consumo è la base migliore per progettare un imballaggio non solo accattivante e “riuscito”, ma anche di successo.


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Dedicato a chi non sa cosa mettersi. Una rassegna delle tshirts più normali, stravaganti, impossibili, intelligenti o becere. La “maglietta” come indumento a sé: segno di un’epoca, simbolo di uno stile, bandiera di mille diverse ideologie, indumento irrinunciabile, che tutti, almeno una volta nella vita hanno indossato. For those who don’t know what to wear. A collection of the most normal, extravagant, impossible, intelligent or vulgar T-shirts. The T-shirt as a selfcontained item of clothing: a sign of the times, a style icon, a banner of a thousand different ideologies, a musthave which everyone has worn at least once in their life.

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Design anonimo in Italia. Oggetti comuni e progetto incognito Alberto Bassi, Electa, 2007 € 40 www.electaweb.com Dedicato a chi non ne può più dei designer-star. Già nel 1972 quel genio di Bruno Munari aveva proposto di assegnare un “Compasso d’oro a ignoti” cioè a tutti quegli ignoti progettisti che hanno pensato tante delle cose che usiamo ogni giorno senza sapere chi le ha fatte. Il libro è una

originale, approfondita e attenta rassegna di queste “cose”: dal pallone da calcio in cuoio, alla lampada da garage, dalla Graziella alla Coppa del Nonno, dalla Moka alla confezione della Coccoina … una lista lunga e piena di sorprese. For those who have had a belly-full of star designers. Back in 1972 that genius Bruno Munari suggested awarding a “Golden Compass to Unknown Designers” - that is all those unsung heroes who have created so many of the things we use everyday without knowing where they came from. The book is an original, indepth and painstaking collection of those “things”: from the leather football to the garage lamp, from the Graziella bicycle to Coppa del Nonno, from the Moka to the packaging of Coccoina glue. … a long list containing many surprises. Fashion Identity Mito Design, Index Book, 2007 € 40 www.indexbook.com Dedicato a chi è in crisi di identità. In questo illustratissimo volume può trovare la risposta ai suoi problemi: come si costruisce un’identità di marca tramite grafica, design, figurino, toys - e persino non-conventional identities, nelle case histories

di oltre 80 fashion companies. For those who are having an identity crisis. In this highly illustrated volume you can find the answer to your problems: How to create a brand identity by means of graphics, design, fashion icons and even nonconventional identities in the case histories of over 80 fashion companies. L’abuso della Bellezza. Da Kant alla Brillo Box Arthur C. Danto, postmediabooks, 2008 € 21 www.postemdiabooks.it Dedicato agli ultimi, eroici fan del Bello. Arthur Danto, filosofo e professore alla Columbia University, è un gigante del pensiero che sa muoversi con delicatezza dalle vette del ragionamento filosofico all’apparente piattume della celebre Brillo Box, resa immortale da Andy Warhol. Cosa c’entra la Bellezza col detersivo per i piatti? That is the question… For the last, heroic fans of Beauty. Arthur Danto, philosopher and professor at Columbia University, is an important philosopher who moves gently from the summits of philosophically reasoning to the apparent flatness of the famous Brillo Box, made immortal by Andy Warhol. What does beauty have to do with washing up liquid? That is the question….



1/2008 semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design

1/2008 â‚Ź 11,00


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