2/2008 semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design
2/2008 â‚Ź 11,00
www.agenceetpourquoipas.com - Photo : JM PĂŠricat
Pack theWorld 17-21 NOV. 2008 PARIS-NORD VILLEPINTE F R A N C I A
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Cid SMILE Lattina di Sidro 500ml disegnata dallo studio grafico Amore di Stoccolma, prodotta dal birrificio svedese Krรถnleins Bryggeri AB. 500 ml can of cider designed by the Amore graphic design studio, Stockholm, produced by the Swedish brewery Krรถnleins Bryggeri AB.
Emotional Pack
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
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interessanti di quanto non fossero prima. Logicamente, il packaging gioca un ruolo fondamentale in questa complessa e inedita sfida. Il contenitore infatti, non è più solo l’involucro esteriore che protegge, abbellisce e induce all’acquisto di un prodotto, ma si sta trasformando in una vera e propria seconda pelle, ricettiva e comunicativa, in grado di generare coinvolgimento sensoriale e affettivo. Come spiega l’autorevole studiosa Giuliana Bruno, nell’intervento che qui pubblichiamo, quando parliamo di involucro, che si tratti della pelle, dell’abito o di una abitazione, o anche dell’imballaggio di un prodotto, stiamo indicando un limite che separa e insieme unisce, un’interfaccia che ha due lati, uno volto verso l’esterno, il mondo intorno a noi, e uno volto verso l’interno, l’universo delle emozioni e dei desideri. Abbiamo pensato a questo numero di Impackt come a un approfondimento di questo mondo interiore di cui il packaging può farsi segno e veicolo, come si deduce dai lavori di designer come Sergio Calatroni, o dalla creazione di nuove esperienze mentali e sensoriali nell’ambito di alcuni superalcolici o di alimenti dedicati al benessere come nel caso della linea Alixir. Tutte cose che gli artisti hanno ben capito - come testimonia il lavoro di Benjamin Sabatier, il quale, oltre ad avere le idee molto chiare in proposito, al punto di parlare di una vera e propria “âge de l’emballage”, ha deciso di creare DIY, un kit per farsi un’opera d’arte da soli per chiudere il cerchio delle emozioni e riportare la creatività alla sua autentica sorgente, l’inconscio di tutti noi.
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Si sente sempre più spesso parlare di marketing virale, emozionale, o persino neuronale - come se le tecniche per vendere prodotti si fossero ormai rivolte in massa alle scienze della mente e allo studio della psicologia del compratore abbandonando il tradizionale approccio socio-culturale a cui si erano affidate fino a pochi anni fa. Una virata simile può suscitare due reazioni: da un lato si potrebbe pensare che il marketing è diventato adulto e finalmente utilizza anche strumenti concettuali qualitativi, dall’altro che l’assedio al consumatore sta pericolosamente somigliando a un impercettibile ma pervasivo lavaggio del cervello. Per la verità, chi deve vendere qualcosa da sempre fa appello all’emotività del possibile acquirente, ma ai nostri giorni è ancor più evidente che preferiamo comprare da chi sa far buon uso di simpatia ed empatia e propone merci che, oltre la pura funzionalità, colpiscono il nostro immaginario e i nostri desideri. Quello che infatti oggi è cambiato - come sostiene Lucas Conley nel suo recente Sindrome ossessiva da brand, 2008 - è che i prodotti, oltre che convincere per la loro qualità, devono saper sedurre il consumatore facendo leva sulla sua segreta emotività; devono avere un odore, un gusto, un suono, un vestito e, soprattutto, una personalità. Il risultato potrebbe essere letto in chiave negativa come una manipolazione subliminale dei nostri desideri - ma anche in chiave positiva, dato che le merci sono - per così dire costrette a diventare “emotivamente tridimensionali”, più profonde e
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Emotional Pack
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Sonia Pedrazzini, Marco Senaldi
One often hears talks of viral, emotional and even neuronal marketing - as if the technique of selling products had by now turned en masse to the science of the mind and the study of the psychology of the purchaser - abandoning the traditional socio-cultural approach to which it entrusted itself just a few years ago. A similar swing can arouse two reactions: on the one hand one might think that marketing has grown up and is at last using conceptually qualitative elements, on the other hand that the besieging of the consumer is beginning to dangerously resemble an imperceptible but all-pervasive brainwashing. To be true, those that have to sell something have always appealed to the emotivity of the potential purchaser, but these days it is even clearer that we prefer to buy from someone who is able to appear pleasant and congenial, who makes good use of empathy and who offers goods that, as well a offering pure functionality, strike our imagination and our desires. What has in fact changed today - as Lucas Conley sustains in his recent book OBD: Obsessive Branding Disorder - is that products, as well as being convincing for their quality, have to be able to seduce the consumer by arousing the purchaser’s secret emotivity; they have to have an odour, a taste, a sound, a cladding and aboveall a personality. The result could be read negatively as a subliminal manipulation or our desires - but also positively, given that the goods are -as one might say - compelled to become “emotionally 3D”, deeper and more interesting than what they were
before. Logically, packaging plays a fundamental role in this complex and unusual challenge. The container in fact is not only an exterior wrapping that protects, embellishes and helps to induce purchase, but it is becoming a true and proper second skin, receptive and communicative, capable of generating sensorial and affective involvement. As the authoritative scholar Giuliana Bruno explains, in the article we publish below, when we speak of wrapping, whether we are speaking of skin, garment or dwelling, and also the packaging of a product, we are indicating something that is a limit that separates but at the same time unites, of an interface that has two sides, one facing outwards, towards the world that surrounds us, the other inwards, towards our universe of emotions and desire. We have conceived of this issue of Impackt as a further delving into this inner world for which packaging can act as a sign and a vehicle, as can be deduced from the work of designers like Sergio Calatroni, or by the creation of new mental and sensorial experiences in the field of some spirits, or food products dedicated to wellness such as the case of Alixir. All things that the artists have understood well - as borne witness to by the work of Benjamin Sabatier, who, as well as having clear ideas on this count, to the point of speaking about a true and proper “âge de l’emballage”, has decided to create DIY, a kit for making your own works of art - to close the circle of emotions and to bring creativity back to its authentic source, the unconscious of all of us.
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ROMA • Feltrinelli LIBRI & MUSICA Largo di Torre Argentina, 5/10 tel 06 36001873 • Libreria Kappa P.zza Borghese, 6 tel 06 6790356 • Libreria Mancosu editore V.le G Rossini,20 tel 06 35192251 • Librerie Feltrinelli Via V.E. Orlando, 78\81 tel 064870171
SALERNO • Librerie Feltrinelli C.so V. Emanuele, 230 tel 089 253631
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MILANO • Art Book Triennale Viale Alemagna Emilio, 6 tel 02 724341 • Casa Editrice Ulrico Hoepli Via U. Hoepli, 5 tel 02 864872 08 • Coop. Studio e Lavoro Via Durando, 10 • La Cerchia Via Candiani, 102 tel 02 39314929 • Feltrinelli LIBRI & MUSICA C.so Buenos Aires 33/35 tel 02 2023361
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GUIDA TURISTICA ATTRAVERSO I PANORAMI REALI E MENTALI DEL PACKAGING TOURIST GUIDE TO THE REAL AND SPIRITUAL
LANDSCAPES
OF
PACKAGING
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Q U E S T O
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tools L’Occhio e la Mente Marco Senaldi
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warning!i Contain Yourself Francesco Spampinato
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market release Artefice Identità Dinamica Luca Aragone
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pack conneXion 102 my pack Donata Paruccini/ Malo 103 school box Istituto Rosa Luxemburg 106
market release Vitamina per il Brand Luca Aragone
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identi-kit Lo Zen e l’Arte del Packaging Marco Ligas Tosi
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design box Giocare è una Cosa Seria Luca Aragone
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impackt news 120
market release Packaging: Plurale, Femminile Maria Gallo
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Le nostre copertine Front cover Celador Loris Gréaud www.a-taste-of-illusion.com Photo: Erica Ghisalberti Back cover IBK's Box IX, 2007 Benjamin Sabatier Assemblaggio di cartoni 105 x 105 x 15 cm
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identi-kit Ceci n’est Pas un Bijoux de Papier! Rosita Fanelli
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book box 125 Marco Senaldi
shopping bag Elisir di Lunga Vita Francalma Nieddu
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design box Spirits of Design 118 Luca Aragone
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impackt news 110-116 market release Robilant Associati Sonia Pedrazzini
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store story Nobody is Perfekt 111 Francalma Nieddu
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tools This is (Not) a Magazine 108 Francesco Spampinato
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tools Spazzatura Emozionale Marco Senaldi
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identi-kit L’Età dell’Imballaggio Marco Senaldi
show box H2O Luca Aragone
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user instructions Emotional Pack S. Pedrazzini, M. Senaldi
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identi-kit The Age of Packaging Marco Senaldi
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tools The Eye and the Mind Marco Senaldi
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warning!i Contain Yourself Francesco Spampinato
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N O I T O M E 2/08 8
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impackt news
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market release Artefice Dynamic Identity Luca Aragone
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my pack Donata Paruccini/ Malo 104 school box Istituto Rosa Luxemburg 106
market release Brand Vitamin Luca Aragone
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identi-kit Zen and the Art of Packaging Marco Ligas Tosi
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market release RobilantAssociati Sonia Pedrazzini
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design box Playing is a Serious Business Luca Aragone
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shopping bag The Alixir of Long Life Francalma Nieddu
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market release Packaging: Plural, Female Maria Gallo
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tools Emotional Rubbish Marco Senaldi
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identi-kit Ceci n’est Pas un Bijoux de Papier! Rosita Fanelli
show box H2O Luca Aragone
pack conneXion 102
tools This is (Not) a Magazine 109 Francesco Spampinato store story Nobody is Perfekt 114 Francalma Nieddu
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user instructions Emotional Pack S. Pedrazzini, M. Senaldi
impackt news 110-116
design box Spirits of Design 119 Luca Aragone impackt news 120 book box 125 Marco Senaldi
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Our coversFront cover Celador Loris GrĂŠaud www.a-taste-of-illusion.com Photo: Erica Ghisalberti Back cover IBK's Box IX, 2007 Benjamin Sabatier Assemblaggio di cartoni 105 x 105 x 15 cm
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L’Età dell’Imballaggio Nelle opere di Benjamin Sabatier una riflessione sulle questioni estetiche e sulle problematiche sociali del packaging. Marco Senaldi Photos © Benjamin Sabatier. Courtesy Galerie Jérôme de Noirmont, Paris.
Etalage, 2004 Serie “Pavés” 136 elementi Installazione di imballaggi e rifiuti su gesso cm 141,5x305 (part.)
identi-kit BRY 2193, 2008 Collection: Post-pointillisme moderniste Edizione di 3 esemplari Puntine colorate, scatola di cartone, attrezzi e manuale di montaggio Diametro: 83 cm
Tra i tanti artisti che utilizzano l’imballaggio come fonte d’ispirazione del loro lavoro, Benjamin Sabatier occupa una posizione particolare. La sua ricerca infatti è la diretta conseguenza di un’analisi approfondita del sistema attuale di produzione, e soprattutto della comunicazione spettacolare che ne è parte integrante. Se già Guy Debord quarant’anni fa aveva perfettamente descritto la società contemporanea come una società in cui lo spettacolo, in tutte le sue forme, costituisce la nuova merce e
ridefinisce il senso del “consumo”, oggi possiamo aggiungere che anche le merci tradizionali si sono spettacolarizzate - e che il packaging è il mezzo tramite cui hanno operato questa magica metamorfosi. Come dice molto lucidamente Sabatier, oggi “il contenitore ha preso il sopravvento sul contenuto, e la merce non è più l’oggetto, ma il suo involucro”. Ne consegue che, se l’arte ha il compito di farci vedere il mondo sotto una nuova angolazione, l’artista deve confrontarsi proprio con questo universale diaframma che sembra distanziarci dalle cose, e che è divenuto cosa esso stesso, versione raddoppiata del classico feticismo della merce. Ecco perché Sabatier produce scatole vuote, ma piene dei segni tipici degli imballaggi internazionali, oppure pallets ricoperti di pile di fogli colorati, o brancusiane colonne infinite fatte di rotoli di nastro adesivo sovrapposti - tutto un mondo di apparenze policrome, ma non così inoffensive come sembra, con cui occorre confrontarsi con attenzione, dato che sono la parte più “visibile” della nostra quotidianità. Per capire anzi come funziona il predominio del packaging, bisogna abbandonare la passività tipica del consumatore, e provare a diventare dei produttori attivi: questo è il senso del progetto IBK (International Benjamin’s Kit), una specie di IKEA dell’arte, grazie alla quale l’artista vende non un’opera finita, ma il kit e le istruzioni per realizzarla da soli. L’operazione IBK implica una riflessione sul senso del valore artistico, ma anche un confronto su modi e metodi di “confezionare” la cosa più aleatoria possibile, cioè l’arte... Il risultato somiglia a qualcosa che potevamo fare da soli? Esattamente questo è l’intento di Sabatier: non evitare, ma incoraggiare la famosa osservazione
“questo lo so fare anch’io”. Non sarebbe proprio questo “saperlo fare” la realizzazione del famoso motto di Beuys “ogni uomo è un artista” - e, insieme, la liberazione dalla schiavitù di essere sempre e solo dei consumatori?
IBK's Sctoch Tower II, 2007 Rotoli di scotch e di pvc cm 240 x 16
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Ho letto, con piacere e con sorpresa, che consideri il packaging un pezzo importante della cultura attuale - il che trova Impackt naturalmente d’accordo! Eppure, è un elemento spesso sottovalutato nella vita di tutti i giorni; come mai, secondo te? Penso che la nostra società sia entrata in pieno nell’ “era dell’imballaggio”. È una questione soggiacente alle preoccupazioni sociali ed economiche attuali: l’iperconsumismo e il problema dei rifiuti, l’esternalizzazione delle imprese di produzione e i suoi flussi di import-export; la qualità delle merci che scompare nella quantità, la qualità di vita dei consumatori e degli utenti... ma è anche una questione profondamente legata al corpo, e direi in particolare al corpo sociale. La questione del packaging rinvia a una problematica universale: sta a significare l’atto di presentare e allo stesso tempo dissimulare, di mostrare prima di tutto l’involucro che ricopre, e quindi nasconde, l’essenziale. È il luogo dove l’intimo, il soggettivo, è mascherato dal collettivo, presentato in modo ben determinato, si potrebbe dire sotto la sua luce migliore. L’imballaggio è ciò che vediamo per primo. Serve per proteggere l’oggetto, soprattutto durante il trasporto, ma è anche ciò che nasconde il vero valore dell’oggetto. In un certo senso l’imballaggio “dà valore” a ciò che contiene. Alla fine il contenitore ha preso il sopravvento
sul contenuto; la “merce” non è più l’oggetto ma ciò che lo ricopre. Spesso è molto più artistico e più creativo di ciò che deve contenere. L’involucro della merce, il packaging, maschera il valore d’uso dell’oggetto che contiene lasciando apparire solo il valore di scambio. Da questo momento, l’oggetto è ridotto a mero strumento discorsivo di un’idea di sé. Ed è proprio questa idea il pretesto allo scambio commerciale. Questo continuo aggirare la verità degli oggetti è in un certo senso speculativa, tende a generare un valore distorto dell’oggetto. Questa pratica di dissimulazione o di disattenzione volontaria mette in luce l’apparenza delle cose e non la loro vera natura, l’immagine e non il fatto. Il valore di scambio, e quindi il feticismo della merce, è la superficie dietro la quale le cose non solo diventano invisibili, ma tendono a scomparire completamente. Questa superficie deliberatamente seducente, provoca in noi il desiderio di consumo. In fin dei conti, ciò che si compra, ciò che crea il nostro desiderio, non è l’oggetto ma l’involucro dell’oggetto, ciò che d’altronde noi gettiamo per primo. Lo sviluppo del capitalismo porta alla conversione degli usi in consumi, dato che occorre ricordare che il capitalismo è divenuto innanzitutto, nel corso del XX secolo, ciò che organizza il consumo (così come nel XIX secolo organizzava la produzione) per canalizzare il desiderio del consumatore, la sua energia libidinale. Se il capitalismo contemporaneo è così visibile e descrivibile nel condizionamento delle merci, questo è dovuto proprio all’importanza del packaging che è diventato uno dei pilastri del mercato.
identi-kit
Palette Clairefontaine I, 2005 Fogli di carta colorata su pallet cm 80x60x80 B-001, 2006 installazione di blocchetti di cemento ricavati dal calco di packaging trasparenti cm 23x100x3,5 Télérama II, Série Bacs 2007 141 x 147 cm Formine per ghiaccio, legno, carta
Come sei arrivato ai tuoi lavori attuali? E in modo particolare come è nato e come hai sviluppato il progetto IBK? Tutte le mie opere nascono una dopo l’altra, con un legame diretto e riconoscibile. Allo stesso tempo tutto deriva da una ricerca riflessiva e dalla manipolazione formale. Per me sono inscindibili: le mie opere sono legate le une alle altre. Per me la pratica artistica è un mezzo per comprendere il mondo in cui vivo. Questo mi permette di capire dove sono prima di agire. Più capisco, più posso muovermi nel mondo con disinvoltura. Per me è molto importante trovare una collocazione nello spazio in cui esisto. In qualche modo l’arte è diventata per me un’“arte di vivere”. Il mio lavoro sulle opere d’arte in kit “fai-da-te”, mi ha portato a interrogarmi sui condizionamenti esercitati dalle imprese e sulle
strategie commerciali che adottano. Per esempio, se IKEA trascura l’aspetto dell’imballaggio, è una questione puramente strategica. Oggi nulla è lasciato al caso, ogni cosa è il frutto di una riflessione, tutto viene analizzato, decodificato e codificato prima di essere lanciato sul mercato. Viviamo in un mondo “iperorientato al consumatore”, cosa che spesso la maggior parte degli utenti ignora. Il mio lavoro consiste nel far emergere dall’opera la mia comprensione del mondo. Non sto dicendo di possedere la verità assoluta sul mondo, cerco solamente i mezzi, materiali e artistici, per svelare certi aspetti del mondo. Il lavoro sulle opere in kit, che erano inizialmente un progetto sulla partecipazione attiva dello spettatore alla costruzione di un’opera, mi ha portato molto presto nella sfera economica, ovvero all’elaborazione di una strategia di confezionamento e diffusione di questi kit. D’un tratto da artista che ero sono diventato imprenditore. Questo solleva molte questioni sulla strategia commerciale degli artisti attuali. Ho voluto penetrare lo spazio economico con uno spirito critico e per questo ho creato la mia impresa con il marchio IBK. IBK o International Benjamin’s Kit, adotta il modello dell’impresa, e infatti la mia firma è diventati il nome della ditta. IBK prende ispirazione dalla tendenza a trasformare ogni cosa in sigla, tipica del mondo degli affari, ma fa anche riferimento all’arte: IKB (International Klein’s Blue) è il colore depositato come marca da Yves Klein; c’è un velato rimando anche al pensiero estetico di Walter Benjamin, il grande filosofo tedesco col quale ho in comune il nome. Per l’ente che va sotto il nome di IBK, interrogare e decodificare l’imballaggio, e più in
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IBK's Box I, 2006 Assemblaggio di cartoni cm 30x57x66
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DIY 1361, 2006 Kit per farsi un’opera d’arte. Edizione di 100 esemplari 5 kg di chiodi, martello, dvd, utensili e manuale di montaggio cm 118x102
generale i meccanismi contemporanei da cui deriva, è diventata una priorità. Il mio pensiero evolve in questo modo, per incroci di sguardi, un concatenamento di idee simultanee, un insieme che suggerisce e indica l’evoluzione della mia impresa. Come mai nei tuoi lavori utilizzi soprattutto elementi dell’imballaggio “poveri” (nastro adesivo, cartone, scatole...) e non packaging pop, eclatanti, spettacolari, alla Warhol? Interrogando le diverse forme del capitalismo, le sue rappresentazioni e quindi una sorta di estetica industriale, sono arrivato alla
fabbricazione artigianale dell’oggetto d’arte, al “fatto a mano”. Questa distinzione è molto importante per me, io opero in modo diverso da ciò che analizzo. Questo mi permette di salvaguardare una distanza tra il mio gesto artistico di produzione e la fabbricazione in serie, che invece è impersonale. Utilizzo materiali facilmente disponibili in grande quantità e accessibili a tutti, e li combino a modi di fabbricazione riproducibili e facilmente riducibili a modelli. L’idea è quella che, al momento dell’esposizione dell’opera, lo spettatore possa dire “anch’io lo posso fare”. E questo è assolutamente vero, lo spettatore può davvero ricreare le mie opere. Questo «manufatto» mantiene in seno all’opera una sorta di umanità. È un’opera d’arte a misura d’uomo. Il mio lavoro è antispettacolare, antitecnicista, in qualche modo antihollywoodiano. Il tuo lavoro resta comunque nell’ambito della scultura oppure va considerato una installazione? Le mie opere possono definirsi, al di fuori dello spazio espositivo, scultura
e pittura. Ma nel momento della loro rappresentazione l’insieme è così intrinsecamente collegato e pieno di rimandi che preferisco parlare di una grande installazione processuale. Un’installazione che si sviluppa nella comprensione dei pezzi che la compongono, e, in riferimento a IBK, al sistema della loro produzione. Infatti la concezione dell’opera avviene nello spazio-tempo della sua rappresentazione. È in questo momento che nasce l’arte e che gli oggetti diventano oggetti sensibili, che acquisiscono senso nell’insieme della produzione. Il mio lavoro è comprensibile a fondo solo con una visione globale. Si può anche parlare di una sorta di lavoro in corso, di un’impresa a lungo termine. Spesso è possibile comprare solo una porzione delle mie opere, il collezionista può acquisirne solo una parte, un pezzo. L’installazione globale diviene scultura o pittura solo dopo l’acquisto. Da questo punto di vista, le mie mostre, e quindi le mie installazioni, funzionano come dei “materiali promozionali”, vetrine per IBK.
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Che consumatore sei? E che rapporto personale hai con le merci e il loro packaging? Di primo acchito, concepisco le mie opere come un puro consumatore. I supermercati, i negozi di ogni genere ma soprattutto quelli di bricolage e di design sono la mia fonte di ispirazione quotidiana. Ne vado ghiotto, fanno parte della mia vita e non posso non frequentarli. Come ho detto prima, vivo ed evolvo in questo mondo ipercustomer-oriented
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che cerco di comprendere analizzandolo. Alcune delle mie opere sono prodotte direttamente a partire dalle mie peregrinazioni fra le corsie dei supermercati. Scelgo e compro diversi oggetti per i loro packaging e dopo l’acquisto mi sbarazzo del contenuto. Il mio modo di consumare è qui completamente opposto a quello tradizionale. È in questi sguardi specifici e in questi cambiamenti degli usi sociali del consumo che le cose si rivelano. Per me l’atto artistico è proprio questo. Guardare in un altro modo il mondo che ci circonda e rivelarlo allo spettatore in una nuova forma. Alla fine la sfida per me consiste proprio nello scegliere dei modi di vita inventando delle forme. O piuttosto produrre delle forme inventando altre possibilità di esssere al mondo.
Caisses américaines (FRAGILE) Installazione di sei elementi Dimensioni variabili ca cm 60x165x190 cartoni e nastro adesivo per imballaggio
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Cosa pensi dell’attuale tendenza all’utilizzo di elementi dell’imballaggio nel lavoro di molti artisti contemporanei - penso all’installazione di scatole alla Tate Modern di Rachel Whiteread, o al lavoro di Tom Sachs, tanto per citare il caso di due artisti piuttosto famosi? La questione del packaging è talmente attuale e ricca che non può fare a meno di suscitare l’interesse degli artisti dato che si presta al recupero, con minore o maggiore pertinenza ed efficacia a seconda dei casi. Detto questo, il packaging è stato una costante nel corso della storia dell’arte del XX secolo: dal dada, passando per Fluxus, fino a Warhol, Manzoni o Christo… il senso e la forma dell’imballaggio evolvono
allo stesso ritmo delle nostre società e dei suoi modi di vita, e sicuramente non si è ancora esaurito come fonte d’ispirazione o materia artistica.
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The Age of Packaging In the works of French artist Benjamin Sabatier there is a reflection on the aesthetic questions and social problems of packaging.
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Marco Senaldi Of the many artists who use packaging as a source of inspiration for their work Benjamin Sabatier occupies a special position. Indeed, his work is the direct consequence of an in-depth analysis of the current system of production and, above all, of the spectacular advertising which is an integrative part of it. If, forty years ago, Guy Debord had already perfectly described contemporary society as a society in which spectacle, in all its forms, constitutes the new product, redefining the meaning of “consumption”, we can now add that even traditional products have become a spectacle. And that packaging is the means through which this metamorphosis has worked its magic. As Sabatier so lucidly says today “the container has triumphed over the content, and merchandise is no longer the object but its packaging”. Consequently, if the task of art is to make us see the world from a different angle, the artist has to come to grips with this universal diaphragm which appears to distance us from things and which has become a thing itself, a magnified version of the classic fetishism of products. This is why Sabatier produces boxes which are empty yet full of the typical features of international packaging or pallets covered in piles of coloured leaves or Brancusian columns made of rolls of scotch tape piled one on top of another - all in a world of polychrome appearances yet not so inoffensive as they seem, which we have to handle carefully given that they are the most “visible” part of our everyday lives. Indeed, in order to understand how the supremacy of packaging works, we must abandon that passivity which is typical of the consumer and try to become active producers. This is the sense of the IBK (International Benjamin’s Kit) project, a kind of IKEA of art, thanks to which the artist sells not a finished work but a kit and instructions on how to make the article yourself. The IBK operation implies a
reflection on the meaning of artistic value but also a discussion on the means and methods of packaging the most random thing possible, which is art… Does the result resemble something we could have done ourselves? This is precisely Sabatier’s intention: not to quell but to encourage the famous comment “I can do this myself”. Wouldn’t this knowing how to do it be precisely the realisation of Beuys’s famous motto “every man is an artist”- and, at the same time, a release from the slavery of being always and only consumers? I read, with pleasure and surprise, that you consider packaging to be an important piece of today’s culture - a sentiment which Impackt naturally shares! And yet, it is an element which is often underestimated in everyday life. Why is this do you think? I think that our society has entered squarely into the “age of packaging”. It is a question underlying current social and economic worries: hyperconsumerism and the problem of waste, the outsourcing of manufacturing and the flows of import-export; the quality of products which is nothing compared to the quantity, the quality of life of consumers and users… but it is also a question profoundly linked to the body and, I would say, to the social body especially. The question of packaging leads us to a universal problem. It means the act of presenting and at the same time dissimulating, of showing first the packaging which covers and therefore conceals the essential. It is the place where the intimate and the subjective are masked by the collective, presented in an special way, one might say in its best light. The packaging is the first thing we see. It serves to protect the object, above all during transportation, but it is also what hides the true value of the object. In a certain sense packaging “gives value” to what it contains. In the end the container prevails over the content: the product is no longer the object but what covers it. Often it is more creative than what it is meant to contain. The packaging of the product masks the value of use of the object it contains leaving only a glimpse of its exchange value. From this moment on the object is reduced to a mere discursive instrument of an idea of itself. And it is precisely this idea which is the pretext for a commercial exchange. This continuous
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circumventing of the truth of objects which is, in a certain sense, speculative, tends to generate a distorted value of the object. This practice of dissimulation or voluntary inattention brings to the fore the appearance of things and not their true nature, the image and not the fact. The exchange value, and therefore the fetishism of the product, is the surface behind which things not only become invisible but tend to vanish altogether. This deliberately seductive surface provokes in us the desire to consume. At the end of the day what we buy, what creates our desire is not the object but the packaging of the object, which is what, on the other hand, we throw away first. The growth of capitalism leads to the conversion of consumer habits, given that we should remember that capitalism has become, first and foremost, in the twentieth century, the thing that organises consumption (just as in the 19th century it organised production) in order to channel the consumer’s desire, his lustful energy. If contemporary capitalism is so visible and can be described as an influence on products this is precisely due to the importance of packaging, which has become one of the pillars of the market.
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Why do you use mainly “poor” packaging elements (scotch tape, cardboard, boxes…) in your work and not pop, striking, sensational packaging à la Warhol? Questioning the various forms of capitalism, its representations and, therefore, a kind of industrial aesthetics, I arrived at the craftsmanship of the art object, at the handmade element. This distinction is very important to me. I operate in a different way from that which I analyze. This allows me to safeguard a distance between my artistic act of production and mass manufacturing which instead is impersonal. I use materials which are readily
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How did you come to your current works? And, especially, how did the IBK project emerge and how did you develop it? All my works emerged one after the other, with direct and recognisable links. At the same time everything derives from reflective study and formal manipulation. For me the two things are inseparable. My works are connected to each other. For me artistic practice is a means to comprehend the world I live in. This allows me to understand where I am before I act. The more I understand the better I can move though the world confidently. It is extremely important to me to find a place in the space I exist in. In some sense art has become an “art of living” for me. My work on works of art in “do-it-yourself” kits has led me to wonder about the influences exerted by businesses and the strategies they adopt. For example, if IKEA neglects the packaging side it is a purely strategic matter. Nowadays nothing is left to chance, everything is fruit of a reflection, everything is analysed, decoded and codified before being launched on the market. We live in a world which is
“hyper consumer oriented”, something which most users often ignore. My work lies in attempting to make my understanding of the world transpire through the work. I am not saying I possess the absolute truth about the world. I am only trying to find the material and artistic means to reveal certain aspects of the world. The project on works of art in kits which was, in the beginning, a project on the active participation of the spectator in the construction of a work of art, led me very early on into the economic sphere or rather into the elaboration of a type of packaging and strategy of diffusion for these kits. Suddenly I turned from an artist into a businessman. This raises many questions about the commercial strategy of artists today. I wanted to penetrate the economic space with a critical spirit and this is why I set up my own business with the trademark IBK. IBK, or International Benjamin’s Kit, adopts a business model and, indeed, my signature has become the name of the company. IBK draws inspiration from the fashion of transforming everything into initials, typical of the world of business but also of art: IKB (International Klein’s Blue) is the colour registered as a trademark by Yves Klein. There is a veiled reference to the aesthetic philosophy of Walter Benjamin, the great German philosopher whose name I share. For the company which goes by the name IBK, questioning and decoding packaging and, more generally, the contemporary mechanisms it derives from, has become a priority. My philosophy evolves in this fashion, by an exchange of glances, a linking up of simultaneous ideas, a whole which suggests and indicates the evolution of my business.
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available in enormous quantities and accessible to all and combine them with reproducible manufacturing methods which are easily reducible to models. The idea is that, when the work is put on display, the spectator can say “I can do that myself”. And this is absolutely true. The spectator really can recreate my works. This “handmade” element keeps an elements of humanity in the work. It is a work of art on a human scale. My work is anti spectacular, anti technical, in some sense anti Hollywood.
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Does your work remain within the sphere of sculpture or should it be thought of us an installation? Outside the exhibition space my works may be defined as sculpture and painting. But when they are shown the whole is so intrinsically linked and full of references that I prefer to speak of a large ongoing installation. An installation which develops through an understanding of the parts it is composed of and, with reference to IBK, the system that produced them. Indeed, the idea of the work happens within the space-time of its representation. It is then that art emerges and that objects become sensitive objects which acquire meaning within the whole of the production. My work is only properly understood by gaining a global vision of it. You might also describe it as a kind of work in progress, a long term project. Often you can only buy a portion of my works, a collector can only buy a part, a piece. The global installation becomes sculpture or painting only after the moment of purchase. From this point of view my exhibitions and, therefore, my installations, function as “promotional materials”, display cases for IBK. What do you think of the current trend of using packaging elements seen in the works of many contemporary artists. I am thinking of Rachel Whiteread’s installation of boxes at the Tate Modern or Tom Sachs’ work, to mention the case of two rather famous artists…? The question of packaging is so topical and rich that it cannot fail to stir the interest of artists given that it lends itself to recycling, with a greater or lesser degree of relevance and efficiency depending on the case. Having said this, packaging
has been a constant during the course of the history of art of the twentieth century: from Dada to Fluxus to Warhol, Manzoni or Christ… the meaning and form of packaging evolve at the same pace in our societies and in our ways of life, and it is certainly far from exhausted as a source of inspiration or artistic material. What kind of consumer are you? And what relationship do you have with products and their packaging? Right from the start I conceive my works purely as a consumer. Supermarkets and shops of all kinds but above all D-I-Y and design shops are a daily source of inspiration. I am mad about them, they form a part of my life and I just cannot keep away from them. As I said earlier I live and evolve in this hyperconsumer-oriented world which I try to understand by analysing it. Some of my works come directly from my roaming the aisles of supermarkets. I choose and buy various objects for their packaging and, after I buy them, I throw away their contents. My mode of consuming is diametrically opposed to the traditional one. It is in these specific visual approaches and in these changes in the social habits of consumption that things reveal themselves. For me the artistic act is precisely this. Looking at the world which surrounds us in a different way and revealing it to the spectator in a new form. Ultimately the challenge, for me, lies precisely in choosing ways of life by inventing forms. Or rather producing forms inventing other potential ways of living in the world.
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L’occhio e la mente EMBALLAGE&PACK.VISION Durante la fiera internazionale parigina dell’imballaggio, in programma a fine novembre a Paris Nord Villepinte, si svolge il terzo Pack.Vision: un congresso ricco di argomenti e relatori esperti che si propone di aggiornare i visitatori della fiera sui grandi temi del packaging design. Di ordine visuale e concettuale. Marco Senaldi Anche quest’anno Emballage 2008 - promosso in Italia da Saloni Internazionali Francesi Srl (MI, info@salonifrancesi.it) - farà da cornice a un grande congresso internazionale di packaging design (di cui la nostra rivista Impackt è media partner per l’Italia). L’iniziativa, alla terza edizione, si propone di riunire i protagonisti dell’innovazione in un convegno (ad accesso gratuito) animato da una ventina di conferenze di professionisti rinomati.
Analizzeranno i temi più “caldi” con cui esperti e operatori sono tenuti a confrontarsi. Lunedì 17 novembre è dedicato alle grandi utopie del settore (nel senso più proprio di non-luoghi che fungono da ideale regolatore). Si tratterà di responsabilità sociale delle imprese e sviluppo durevole; di come concepire l’innovazione (teoria e pratica in Unilever); eco-design dell’imballaggio; complessità del packaging; tecnologia al servizio dell’innovazione.
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Ecco il programma delle conferenze Pack.Vision 2008 (gli aggiornamenti su www.emballageweb.com). Le utopie (lunedì 17 novembre) • Responsabilità sociale delle imprese, versione 2.0: come evolve l’integrazione dello sviluppo sostenibile nei modelli di business. (Studio Utopies). • Demistificare l’innovazione! (Barré & Associés, Unilever UK). • L’imballaggio vivente: come pensare il packaging in termini di scenario di vita del prodotto? La creazione di un packaging per il settore alimentare nel quadro di un processo di design “cradle to cradle” (Studio Utopies; Etoileazelie).
• La sofisticazione del packaging, un mezzo eccellente per valorizzare la propria offerta (P'Référence, Sleever International). • Tecnologie, innovazione e tendenze design (CBS Media Ltd; Mintel; Faraday Packaging Partnership; PMD Consulting). L’ambiente (martedì 18 novembre) • Etichettatura ambientale e carbon footprint (Emballage Digest; Groupe Casino; Ademe; CCFRA; Ambiente Commissione Europea
Ambiente; Carbon Trust CIAA). • Eco-design: tendenze sociali, espressioni grafiche e contraddizioni. Dal green washing al terrorismo verde: il pianeta design alla ricerca di senso (Carré Noir). • L'atteggiamento Ecopack, in cammino su vie virtuose (Istituto Nazionale di Design Packaging; P'Référence; Tetra Pak; Enviro-Strategies). • Facilità di apertura/chiusura: gli imballaggi pratici semplificano la vita (Creativ Verpacken, Intelligent Verpacken).
Il “salon” Business, Innovazione, Prospettiva. Sono le parole chiave che ispirano il progetto di Emballage 2008, 38esimo salone internazionale dell’imballaggio, che si svolgerà a Paris Nord Villepinte dal 17 al 21 novembre. All’insegna della différence: dell’offerta (completa e fortemente segmentata) e delle iniziative messe in campo per favorire l’incontro fra domanda e offerta. Lo storico “salon” - che si svolge ogni due anni nella capitale francese in concomitanza con la fiera del processo alimentare IPA - continua infatti a evolversi, di pari passo con i mutamenti del comparto che rappresenta. Diverse le novità che contraddistinguono l’edizione 2008. Anzitutto, gli spazi espositivi sono stati assegna-
ti in modo da rendere ancor meglio identificabili le grandi aree merceologiche che costituiscono l’offerta: food, liquidi alimentari e non, salute-benessere-bellezza, macchine, etichettatura-codifica, sistemi di manutenzione e stoccaggio, macchine per l’imballaggio secondario e la spedizione, materie prime e consumables, stampa e converting, imballaggi e contenitori. Per aiutare il visitatore a tracciare il proprio percorso, inoltre, gli organiz-
Martedì 18 viene invece consacrato all’etichetta “verde”, con contributi di rappresentanti della Commissione europea, designer, associazioni imprenditoriali ed esperti di varia natura. Infine, mercoledì 19 si parlerà del rapporto fra innovazione, marca e packaging, giovedì 20 della sostenibilità del packaging (interverrà, fra gli altri,
anche Sonia Pedrazzini in rappresentanza dell’ADI), mentre venerdì 21 sarà dedicato a un approfondimento sul mercato brasiliano. Quest’anno, per la prima volta, il congresso si svolge nel padiglione 6, ossia nel cuore del salone. Viene così agevolato il libero accesso dei visitatori che potranno informarsi, scambiare esperienze e aggiornarsi sui temi che fanno l’attualità di settore e ne prefigurano gli sviluppi.
• Come risolvere l’equazione seguente quando si è una PMI: prodotti bio negli imballaggi eco-progettati = prodotti allettanti cioè innovativi? (!Osmotik; Danone).
Pianeta Brasile (venerdì 21 novembre) • Il mercato brasiliano dell’imballaggio: un panorama di opportunità (EmbalagemMarca, Massuccato).
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Sostenibilità (giovedì 20 novembre) • Come integrare i materiali compostabili nella procedura creativa? (Emballages Magazine; Biolice Limagrain; Symphony Plastics France; CGL Pack; Natureworks; Sphère). • Un nuovo approccio integrato alle sfide dello sviluppo
sostenibile (Arcelormittal Packaging; Apeal). • Come costruire un marchio unico per l’innovazione e il design? (Centdégrés; Artisan Parfumeur). • Imballaggio e design “sostenibile” (ADI Associazione per il Disegno Industriale, Milano).
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Innovare & comunicare (mercoledì 19 novembre) • Innovazione, marchio & packaging (Istituto francese di packaging design; Danone; In Vivo). • Sviluppo delle bioplastiche nell’imballaggio: problematiche e prospettive (Chambre Syndicale des Emballages en Matières Plastiques (CSEMP); Club Des Bioplastiques; Agro industrie Recherches et Développements). • L'imballaggio, vettore marketing (Apeal) • Good design is good business: design e creazione di valore (Pulp; Marie).
zatori (Exposium) hanno dedicato delle aree specifiche ad alcuni aspetti, di particolare attualità, dell’offerta in mostra. Così, accanto all’Espace Tendences, quest’anno vedranno la luce l’Espace BioMatériaux e “Art & Packaging” allestito in collaborazione con l’istituto francese di packaging design e destinato a ospitare le opere della fotografa Patricia de Gorostarzu. Infine, il varo dei Gold Meetings - incontri d’affari one to one, mirati e gratuiti, organizzati per favorire l’incontro diretto fra buyer e fornitori e il ciclo di conferenze Pack.Vision, quest’anno dedicato alle grandi visioni (appunto) e ai temi che le alimentano.
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The Eye and the Mind EMBALLAGE&PACK.VISION During the international Paris packaging fair, scheduled end of November at Paris Nord Villepinte, the third Pack.Vision will be held: a congress rich with subject matter and talks held by experts that sets itself the task of updating fair visitors on the great themes of packaging design. Of a visual and conceptual order. Marco Senaldi This year too Emballage 2008 - promoted in Italy by Saloni Internazionali Francesi Srl (MI, info@salonifrancesi.it) - will offer the framework for a great international congress on packaging design (for which our magazine Impackt is media partner for Italy). The undertaking, in its third edition, offers to
bring together the innovation protagonists in a convention (entrance free) animated by some twenty conferences featuring reputed professionals. They will analyse the “hottest” topics that experts and operators are called upon to tackle. Monday November 17th is dedicated to the great utopias of the sector (in the fullest sense of the non lieux that act as regulating ideals). The theme covers the social responsibility of companies and durable growth; to how to conceive innovation (theory and practise in Unilever); eco-design of packaging; complexity of packaging; technology at the service of innovation. Tuesday 18th in turn has been consecrated to the “green” label with the contribution of representatives of the European Commission, designers, entrepreneurial associations and experts of various nature. Lastly, Wednesday 19th features the relationship between innovation, brand and
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Here follows the conference program of Pack.Vision (for updates see www.emballageweb.com). Utopias (Monday November 17th) • Corporate societal responsibility, version 2.0: on the increased incorporation of sustainability in business models (Studio Utopies) • Demystify innovation! (Barré & Associés, Unilever UK) • The living package: How to consider packaging in terms of product lifecycle scenario? A package creation initiative as part of a cradle to cradle® design policy in the food industry (Studio Utopies; Etoileazelie).
• Sophisticated packaging, an excellent way to highlight your products (P’Référence, Sleever International). • Technology, Innovation and design trends (CBS Media Ltd; Mintel; Faraday Packaging Partnership; PMD Consulting). Environment (Tuesday November 18th) • Environmental labelling and carbon footprint (Emballage Digest; Groupe Casino; Ademe; CCFRA; Environment European Commision; Carbon Trust CIAA).
• Eco-design: Societal trends, graphic expressions and contradictions. From green washing to green terrorism: The design planet in quest of sense (Carré Noir). • The Eco Pack attitude following virtuous paths (Istituto Nazionale di Design Packaging; P’Référence; Tetra Pak; Enviro-Strategies). • Easy to open, easy to close. Convenience packaging makes living easier (Creativ Verpacken, Intelligent Verpacken).
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The “Salon” Business, Innovation, Prospects. These are the keywords that inspire the Emballage project 2008, thirty-eighth international packaging show, to be held at Paris Nord Villepinte from 17th to 21stNovember. The emphasis is on the différence: of the product offer (complete and strongly segmented) and the undertakings fielded to favour the encounter between supply and demand. The historic Salon - held every two years in the French capital alongside the IPA food processing fair – continues to evolve at the same pace as the changes in the segment it represents. The 2008
edition presents a number of new features. Aboveall the exhibition spaces have been assigned so as render the large merchandise sectors that make up the offer even better identifiable: food, liquid foods and the like, health-wellbeing-beauty, machines, labelers-coders, maintenance and storage systems, machines for secondary packaging and shipping, raw materials and consumables, print and converting, packaging and containers. In order to help the visitors trace out their own personal routes what is more, the organizers (Exposium) have dedicated specific areas to some aspects of
packaging, Thursday 20th covering the sustainability of packaging (with talks among others given by Sonia Pedrazzini representing the ADI), while Friday 21st will be dedicated to a study of the Brazilian market. This year, for the first time, the congress will be
held in hall 6, or that is at the heart of the show. This hence facilitates the free range access of visitors who will be able to get information, exchange experiences and update on topics currently guiding the sector and prefiguring its growth.
(Pulp; Marie) • How can a small or mid-sized company resolve the following equation: eco-conceived packaging for organic products = seductive, even innovative results? (!Osmotik; Danone).
Pianeta Brasile (Friday November 21st) • The Brazilian packaging market Review of opportunities (EmbalagemMarca, Massuccato).
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Sustainability (Thursday November 20th) How to integrate compostable materials in the creative process? (Emballages Magazine; Biolice Limagrain; Symphony Plastics France; CGL Pack; Natureworks; Sphère).
• A new integrated approach to the sustainability challenge (Arcelormittal, Apeal) • How to build a unique brand thanks to innovation and design? (Centdégrés; Artisan Parfumeur). • Packaging and sustainable design (ADI, Associazione per il Disegno Industriale, Milano)
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Innovate & communicate (Wednesday November 19th) • Innovation, brand & packaging (Istituto francese di packaging design; Danone; In Vivo). • Development of bioplastics in packaging: questions raised and prospects (Chambre Syndicale des Emballages en Matières Plastiques (CSEMP); Club Des Bioplastiques; Agro industrie Recherches et Développements). • Packaging as a marketing driver (Apeal). • Good design is good business: design and value creation
the offer on show of special current interest. Thus, alongside Espace Tendences, this year will see the advent of Espace BioMatériaux and “Art & Packaging” set up in cooperation with the French packaging design institute to host the works of the photographer Patricia de Gorostarzu. Lastly, the launch of the Gold Meetings - targeted and free oneto-one business meetings to favour the encounter between buyer and supplier – and the conference cycle Pack.Vision, this year dedicated to great visions and the themes that go to make up the same.
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Contain Yourself Giuliana Bruno è una studiosa del tutto sui generis: nata a Napoli, si occupa da molti anni di “studi visuali e ambientali” presso la Harvard University, muovendosi in un’area che spazia dal cinema all’arte contemporanea, dal design all’architettura. Nel suo Atlante delle emozioni, ha saputo coniugare queste discipline in maniera estremamente originale attraverso l’idea della “geografia emozionale”. Del packaging dice: «Mi piacerebbe un contenitore aperto dentro cui ci si possa spostare…». Francesco Spampinato
Madeleine de Scudéry, Carte du Pays de Tendre, 1654 2/08 27
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Atlante delle emozioni è stato un vero caso editoriale internazionale. Pubblicato dalla prestigiosa casa editrice angloamericana Verso, nel 2002, è stato tradotto da noi solo nel 2006 (da Bruno Mondadori) suscitando un grande consenso, e ispirando persino un magazine, Aria, dedicato al “viaggio emozionale”. Nel comporre questo autentico “atlante dei luoghi reali e mentali” contemporanei, Giuliana Bruno è riuscita a fondere rigore teoretico ed elementi biografici, non alla ricerca di impossibili radici, ma per “sfondare i limiti delle culture nazionali e costruire nuovi perimetri identitari”. Nel suo nuovo saggio Public Intimacy: Architecture and the Visual Arts (MIT Press, 2007) ha affrontato lo studio dei rapporti tra architettura, città ed emozioni attraverso le arti. Ne abbiamo parlato con lei nel suo studio newyorchese, tra un viaggio e l’altro.
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Nel suo ultimo libro, lei parla dell’universo femminile e del rapporto della donna con la casa. Esiste una relazione tra l’architettura e il corpo? L’architettura e il design rappresentano il nostro secondo involucro. Il primo involucro è la nostra pelle che è la prima zona di contatto tra il corpo e l’esterno mentre il secondo involucro è l’architettura che in qualche modo ci contiene e contiene tutte le nostre storie. I muri, dunque, come se fossero un vero e proprio involucro, assorbono sensazioni, narrazioni, storie. Mi sembra che ci sia un rapporto molto stretto tra l’abito e l’abitare. Noi abitiamo un luogo come abitiamo anche il nostro corpo, in maniera tattile, quindi c’è senz’altro un rapporto tra queste due cose. La casa è un punto di partenza per un viaggio verso l’esterno, nel mondo reale, o piuttosto verso il nostro interno, attraverso il contatto con gli oggetti, con la nostra memoria e con noi stessi? Mi sono tanto occupata di viaggi, di città e di esterno, che ad un certo punto ho capito che il vero viaggiare consiste nel modificare il nostro senso di appartenenza ad un luogo; è questo che ci permette di parlare di un viaggio di tipo diverso cioè di un viaggio verso l’interno. In questo senso, l’interno diventa una metafora più ampia che ha a che vedere non soltanto con l’interno delle pareti domestiche o di un involucro in generale, come il packaging degli oggetti quotidiani, ma anche con l’interno della nostra vita interiore. Si va a stabilire quindi un rapporto tra paesaggio interno ed
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esterno nella maniera in cui i muri di una parete domestica, come la superficie di uno schermo cinematografico, possono in qualche maniera veicolare un rapporto più fluido tra esterno ed interno e quindi anche mobilizzare questa domus, un luogo che troppo spesso è stato immaginato dalla letteratura (vedi Odissea) come un contenitore chiuso. A proposito di packaging, a me interessa l’idea di un contenitore aperto che possa tenere al suo interno cose differenti e dentro il quale si possa viaggiare. A questo punto, però, sorge spontaneo un certo bisogno di scoprire dove si trova questo spazio emozionale - ha a che fare con l’anatomia? La metafora dell’interno è molto vasta e raccoglie tutta una serie di possibilità. Senz’altro quando si parla di interno, si parla innanzitutto dell’interno del nostro corpo. Il primo sguardo, prima del cinema, delle tecnologie e delle neuroscienze - che stanno sempre di più, attraverso le immagini, penetrando dentro il nostro corpo - è stato quello dell’anatomia. L’anatomia ci ha permesso di penetrare il nostro corpo e ci ha mostrato il funzionamento dei nostri organi e come questi sono legati al nostro modo di percepire. La Lezione di Anatomia (1632) di Rembrandt è stato il primo momento nella storia delle arti visive in cui si è materializzato lo spettatore. In questo quadro, infatti, non c’è solo qualcosa di esposto, ma ci sono occhi che guardano questo corpo in quanto oggetto di analisi. In questo modo ci avviciniamo al cinema, altro luogo in cui un pubblico di persone guarda, ma guardando si guarda anche dentro. Questa corrispondenza mi interessa particolarmente.
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In effetti nel suo Public Intimacy, lei fa risalire la nascita della sala cinematografica al teatro anatomico. Il teatro anatomico è un apparato spettatoriale che è a sua volta contenuto in un luogo. Il cinema e il teatro anatomico sono luoghi in cui si viaggia molto pur restando spesso immobili. All’interno di questi luoghi apparentemente chiusi avvengono dei viaggi conoscitivi ed emotivi estremamente vasti. A me interessava innanzitutto mobilizzare lo sguardo spettatoriale e quindi uscire da un’ipotesi precedente, molto più lacaniana, che legava l’apparato dello sguardo ad un soggetto trascendentale incorporeo. Da un altro punto di vista, però, mi interessava anche legare
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questi luoghi di spettatorialità all’esterno, alla città. È vero che quando si entra in un cinema, come in un teatro anatomico, si sta fermi a guardare, però lo spettacolo non inizia o finisce lì. Roland Barthes in un suo articolo scriveva che l’esperienza del film è un’esperienza metropolitana. Ci si avvicina a questo luogo con il desiderio di vedere un film e ne viene fuori che il film ce lo portiamo dentro di noi passeggiando attraverso la città. Per dirla un po’ come Michel Foucault, questi luoghi sono delle eterotopie cioè sono luoghi che contengono degli altri luoghi, ma sono anche delle eterocronie ovvero luoghi che contengono anche degli altri tempi e delle altre temporalità e sono estremamente legati alla città. Ma possiamo applicare il modello del teatro anatomico o della sala cinematografica alla città, oppure nella città succede qualcosa di diverso e magari noi spettatori siamo più liberi? Il cinema è nato come un’operazione metropolitana, è un dispositivo della modernità, e, insieme ad altre invenzioni dello stesso periodo, ha cambiato il nostro modo di percepire la città, trasformandola in metropoli attraverso delle architetture del movimento. Penso a mezzi di trasporto come il treno, per esempio, che è un parallelo del cinema, ma anche ai luoghi di trasporto metropolitano come le gallerie, luoghi che sono, come il cinema, interni ma anche architetture di luce aperte all’esterno. Io vedo dunque questa collocazione all’interno di una genealogia più vasta che è quella della modernità, che è una genealogia sostanzialmente metropolitana, di trasporto e di trasferimento da un luogo all’altro, ma anche da un tempo all’altro. Credo anche che lo sguardo filmico sia uno sguardo profondamente architettonico e viceversa, ed è quindi possibile, attraversando la città, mettere in relazione le due cose. Ejzenstejn diceva che l’architettura ci permette di viaggiare attraverso dei luoghi a livello fisico, ma anche a livello immaginario, facendo una specie di sequenza che raccoglie dentro di sé tutte le nostre percezioni ma anche le nostre emozioni; l’architettura non riguarda solo edifici fermi, ma è essa stessa qualcosa che si muove così come il cinema. Io penso dunque che questi due sguardi siano storicamente, genealogicamente ed emotivamente connessi. Molti pensano che la nostra memoria sia collocata nel tempo, per me invece la memoria è un fatto spaziale. L’attraversamento della città è un attraversamento che produce memoria al presente ma che evoca anche il passato. Si tratta di un palinsesto. Conoscere una città vuol dire anche
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Guillermo Kuitca Dettagli dell’esposizione al Museo de Arte del Banco de la Republica di Bogota © xpuesto
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Guillermo Kuitca Untitled, 1993, Acrilico su 60 materassi. Dettaglio dell’installazione alla Whitechapel Art Gallery, Londra. Acrylic on 60 mattresses. Detail of installation at Whitechapel Art Gallery, London.
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entrare in relazione con la maniera in cui questo luogo è stato visto dagli artisti, dai pittori e dagli scultori, dai fotografi, dai registi, ma anche da come è stato vissuto attraverso questo tipo di relazioni. Quindi questa promenade architecturale, per usare il termine di Le Corbusier, questa passeggiata architettonica, è una cosa complessa che implica non soltanto il movimento fisico ma anche un movimento mentale ed emotivo. Le città sono dei grandi contenitori dei nostri ricordi, desideri della nostra immaginazione, della nostra memoria e dei nostri affetti. Attraversarle, quindi, significa anche costruire un archivio semovente. Lei fa spesso riferimento in Atlante delle emozioni alla psicogeografia situazionista e al modo in cui i situazionisti esploravano in senso artistico ed attivista la città. Loro parlavano del fatto di perdersi nella città e dell’ idea del to get lost. Ma in una città come New York, è ancora possibile perdersi? I situazionisti sono stati tra i primi a praticare questo tipo di sguardo errante nella città a livello anche fisico e ad attraversare il luogo per decomporre e ricomporre dei paesaggi artistici e di scrittura. Ho ritrovato le origini della psicogeografia situazionista ne La Carte du pays de Tendre di Madeleine de Scudéry del 1654, che è la mappa centrale del mio libro, attraverso la quale per la prima volta è stato possibile parlare di wandering [vagabondare] e di una geografia che non ha una direzione fissa e che è dettata proprio dal piacere di perdersi e di scoprire, attraverso delle esplorazioni, qualcosa di nuovo. Questa mappa non ha confini precisi e permette di esplorare il territorio in più direzioni, come se fosse il prodotto di un’esperienza e non qualcosa che viene imposto all’occhio dello spettatore. Questa cartografia dimostra che evidentemente esiste un disegno globale delle nostre città, ma esiste anche un nostro disegno particolare, interiore e anche collettivo, che ci consente di inventare percorsi nuovi. Noi europei siamo abituati a delle città dove i centri storici sono dei veri e propri corpi interni. Io vengo da Napoli, a proposito della quale si parla addirittura di ventre, una città di budella con tutta una serie di vicoli che si innescano l’uno nell’altro. La cosa che mi colpisce di New York è la griglia, una geografia modernista, come ha ben evidenziato Mondrian nei suoi dipinti, cioè una città costruita su una planimetria razionale, dove perdersi sembra difficile perché buona parte delle strade non sono no-
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minate con nomi ma con dei numeri. Dopo un po’ che vivevo a New York, tuttavia, mi sono accorta che, in realtà, più chiara è la mappa, più si ha la sensazione di spaziare. Questo tipo di immaginario spaesamento è lo sguardo del flâneur di cui parla Walter Benjamin, cioè lo sguardo metropolitano di chi è capace di girovagare nella città e, andando a zonzo attraverso questo luogo, anche di collegarsi alle proprie strutture interne, uno sguardo che compone le cose in maniera associativa.
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Per quanto riguarda l’arte contemporanea, assistiamo negli ultimi anni a un ritorno alla performance, non più come rappresentazione su un palco, ma come modo per innescare un evento nella città, che coinvolge un pubblico anche occasionale, e diventa dunque un modo completamente diverso per vivere lo spazio urbano. Il cambiamento enorme è a livello dell’idea di identità, non soltanto nazionale ma in generale - un movimento che è diventato così estremo che per certi versi bisogna riconsiderare la propria collocazione nello spazio e nel mondo. Gli artisti hanno risposto a questo tipo di pressione dall’esterno con uno sguardo nuovo sul senso e l’importanza di pensare al soggetto e all’identità, non soltanto in maniera psichica, ma anche in maniera psicogeografica. Si tratta di dare importanza alla geografia, alla nostra locazione e collocazione nel mondo andando contro al modello del gps che di nuovo ci vuole mettere nelle condizioni di sapere in qualsiasi momento dove siamo. C’è una relazione forte tra quello che succede nelle scienze e nella tecnologia e quello che capita nell’arte: quest’ultima risponde a questa paura di perdersi con la capacità di inventare delle strutture differenti che ci diano la possibilità di continuare ad esplorare lo spazio dentro e fuori di noi. Questo ritorno alla performance ha innanzitutto a che vedere con un forte desiderio di entrare in relazione con l’altro. Per questo in Atlante delle emozioni ho sottolineato come non basta più parlare di mondo ottico ma bisogna parlare di mondo aptico. La parola “aptico”, che viene dal greco, non si riferisce solo al senso del tatto, ma riguarda la possibilità di stabilire una relazione con gli altri sensi. La parola “contatto” include il senso del tatto, quindi l’entrare in relazione con sé stessi, col proprio corpo e quello degli altri, come succede nella performance. Lo spazio aptico non è affatto un pensiero narcisista sul proprio corpo, ma è un tramite tra il nostro paesaggio interiore e il paesaggio esterno, tra noi e gli altri. Questo ritorno alla performance è molto importan-
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te e testimonia un rinnovato desiderio di stabilire delle relazioni con ciò che ci circonda e quindi con il nostro ambiente, da cui deriva l’interesse per la geografia, esterna ed interna.
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Questo ci permette ancora una volta di parlare degli oggetti. Si può parlare di design, di oggetti, di packaging polisensoriali ed emozionali tali che l’involucro del prodotto inventi un nuovo tipo di relazione con il suo fruitore? Il design è una delle forme più interessanti di comunicazione visiva proprio perché riguarda la forma aptica degli oggetti - e gli oggetti innanzitutto si toccano. In Atlante delle emozioni ho cercato di mettere in relazione l’architettura non soltanto alla storia dell’arte e del cinema, ma anche al design, alla moda e altre discipline visive. Secondo me esiste una relazione molto stretta tra queste maniere di pensare alle immagini in relazione allo spazio e al tatto, e il design rappresenta il centro di tutto questo proprio perché implica sempre e necessariamente un contatto con l’oggetto. Quello che io chiamo l’aptico dunque si verifica sia per il packaging di oggetti, come per l’involucro architettonico o per le pieghe del nostro corpo. La cosa interessante di questo contatto, è il fatto che quando ci si tocca la cosa è reciproca. Il tatto è l’unico senso reciproco. Quando si guarda non è detto che la persona che si guarda restituisca lo sguardo - ma quando ci si tocca, per forza di cose, c’è sempre una reciprocità.
Francesco Spampinato è artista e critico d’arte. Dal 2000 ha preso parte a diverse mostre sia in spazi pubblici come viafarini a Milano, la GAM di Bologna, la GC.AC di Monfalcone, sia privati come Deitch Projects a New York e la Galleria Marabini a Bologna. Vive e lavora tra Bologna e New York
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Contain Yourself
Is the house and home a starting-off point for an outward journey, into the real world, or rather an inward journey, via contact with objects, with our recollections and with ourselves? I have been thinking a great deal about travel, the city and the exterior, and at a certain point I understood that real travel means modifying our sense of belonging to a place; this is what allows us to speak of a different kind of journey, a journey inward - an interior journey. In this sense, the interior becomes a broader metaphor that is not only associated with the inside of the walls of the home or of a folding structure-like a wrap or container in general, like the packaging of everyday objects-but also with that particular interior which is our inner life. Hence a relationship is set up between the inner and outer landscape in the way in which the walls of the home, like the surface of a cinema screen, can in some way enable a more fluid relationship
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Atlas of Emotion was a true international publishing sensation. Published by the prestigious Anglo-American publishing house Verso in 2002, it was only translated into Italian in 2006 (by Bruno Mondadori), meeting with great critical and public success, and even inspiring a magazine, Aria, dedicated to “emotional geography”. In compiling this authentic contemporary “atlas of real and mental places”, Giuliana Bruno has managed to blend theoretical rigour and biographical elements, not in a quest for impossible roots, but to “break down the limits of national cultures and build new perimeters of identity”. In her new book on art and space, called Public Intimacy: Architecture and the Visual Arts (MIT Press, 2007), she studies the relations between architecture, the city and emotions. We interviewed her in her New York studio between one trip and another.
Giuliana Bruno is a scholar who is totally one of a kind: born in Naples, she has for many years taught “visual and environmental studies” at Harvard University, covering an area that ranges from cinema to contemporary art, from design to architecture. In her Atlas of Emotion, she has managed to combine these disciplines in an extremely original manner through the idea of a relation between “motion and emotion”. Of packaging, she says, “I would like an open container which one could move around in” …
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Francesco Spampinato
In your last book, you speak of the female universe and the relations a woman has with the house and home. Does a relationship between architecture and the body exist? Architecture and design enfold us: they represent our second layer of skin. The first layer we live in is our skin, which is the first contact zone between the body and the outside, while the second fold we inhabit is the architecture that in some way contains us and contains all our stories. The walls, hence, as if they were a true and proper wrap or casing, absorb sensations, narrations, stories. I think there is a very close relationship between “habit” - in the sense of apparel or garment - and “inhabit” - in the sense of “to dwell within”, (so aptly rendered in the Italian “abito” and “abitare”). We inhabit a place the way we also inhabit our bodies, in a tactile way; there is undoubtedly a connection between these two things.
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between exterior and interior and hence also mobilize the said domus, a place that all to often has been imagined by literature (see the Odyssey) as a closed container. Talking about packaging, I am interested in the idea of an open container that can contain different things, including the possibility of a travelling within.
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At this point though, one would be curious to find out where this emotional space lies does it have something to do with anatomy? The metaphor of the interior is indeed vast and covers a whole series of possibilities. Without a doubt when one speaks of the interior, one first of all speaks of the inside of our body. Prior to cinema, technology and neurosciences - prior to the forms of imaging that are evermore penetrating our bodies - anatomy was the discipline to take the first look inside. Anatomy has enabled us to penetrate our bodies and has showed us how our organs and senses function and how they are linked to our way of perceiving. The Anatomy Lesson (1632) by Rembrandt is the first time in the history of the visual arts that the spectator appears. In this painting in fact, there is not only something on show, but there are eyes that actively look upon this body as an object to be analysed. This type of spectacle is close to cinema, another place where an audience looks on, but in looking onto, in looking outward, one also looks within. This correspondence interests me particularly. In actual fact in your Public Intimacy you claim that film theatres came into being following on from anatomy theatres. The anatomy theatre is a spectatorial device that is in turn contained in a place. The cinema and the anatomy theatre are places in which one travels much, but often without moving. Within these apparently closed places extremely vast cognitive and emotional journeys take place. I
was above all interested in mobilizing the spectatorial position and way of perceiving, and hence in abandoning a previous hypothesis, of Lacanian origin, that links the apparatus of perception to a transcendental incorporeal subject. From another point of view, I was also interested in linking this spectatorial place to the exterior, to the city. It is true that when you enter a cinema, like in an anatomy theatre, you stop to watch, but the show does not start or end there. Roland Barthes in one of his articles wrote that the experience of the film is a truly metropolitan experience. One approaches the theatre with the inner desire of seeing a film and one comes away bearing the film within while strolling across the city. To put it the way Michel Foucault did, these places are heterotopias; that is, they are places that contain other places, but they are also heterochronies; that is, places that also contain other times and other temporalities, and are thus extremely tied to the city. But can we apply the model of the anatomy theatre or the cinema to the city, or does something different happen in the city and maybe we spectators are freer? Cinema came into being as a metropolitan experience and, along with other modern inventions of the late nineeenth-century, it changed our way of perceiving the city, turning it into a metropolis via the architecture of movement. I think of means of transport like the train, for example, as a parallel of the cinema, but also of metropolitan sites of transport such as arcades, which are internal places like the cinema but also architectures of light open to the outside. I thus see this location within the grand genealogy that is modernity, which is substantially a metropolitan genealogy, of transport and transfer, not only from one place to another, but also from one time to another. I also believe that the filmic way of perceiving is a
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profoundly architectural way of perceiving and vice versa, and it is hence possible, via the city, to place the two things in relation with each other. Ejzenstejn said that architecture enables us to travel across places at a physical level, but also on an imaginative level, making a sort of sequence that comprises all our perceptions but also all our emotions; architecture does not only concern stationary buildings, but it is itself something that moves just like cinema. I hence think that these two ways of perceiving are historically, genealogically and emotively connected. Many think that memory is about time, but for me memory is a spatial affair. Traveling across the city produces present recollections that also evoke the past. It is a palimpsest. Knowing a city means also relating with the way in which the site has been seen by artists, painters, sculptors, photographers or film directors, that is, connecting with how it has been experienced via these sorts of relations. Hence this promenade architecturale, to use Le Corbusier’s term, this architectural stroll, is a complex thing that not only implies physical movement but also mental and emotional movement. Cities are huge containers of our memories, desires, imagination and affects; they are sites of collection and recollection. Traversing their territories, then, also means constructing our own moving archive.
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As far as contemporary art is concerned, we have over the last few years seen a return to performance, no longer as a show done on stage, but as a way of triggering off an event
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You often refer in Atlas of Emotion to situationist psychogeography and the way in which situationists explore the city in an artistic and activist sense. They in fact speak of losing themselves in the city, of the idea of getting lost. But can one still lose oneself in a city like New York? The situationists were among the first to practice this errant way of perceiving in the city at a physical level and to traverse this space to deconstruct and reconstruct artistic and literary landscapes. I rediscovered the origins of
situationist psychogeography in La Carte du pays de Tendre by Madeleine de Scudéry, dated 1654, which is the central map of my book. Through this map, for the first time it became possible to speak of wandering and to conceive of a geography that does not have a set direction but is driven by the very pleasure of losing oneself and discovering something new through exploration. This map has no exact boundaries and enables one to drift through the territory, as if space were the product of experience and not something that is imposed on the eye of the spectator. As this type of cartography shows, evidently a global plan of our cities exists, but an inner and collective plan of our own can enable us to design new routes. We Europeans are used to cities where the historic centres are true and proper inner organisms. I come from Naples, where one even speaks of the belly of the city; this is a visceral city with a whole series of alleyways that connect up to each other like innards. What strikes me in New York is the grid like structure, a modernist element, as Mondrian highlighted in his paintings; this is a city built on a rational plan, where it seems difficult to get lost because most of the streets don’t have names but numbers. After living there a while though, I realized that in actual fact the clearer the map, the more one has the sensation of opening up space by roaming. This type of perceptual displacement is inaugurated by the flâneur of whom Walter Benjamin speaks. In this metropolitan way of perceiving, a subject roams through the city and, wandering around its terrain, becomes capable of connecting up to his or her own inner structures, and of imaginatively composing space in an associative manner.
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in the city, that might also involve a chance audience, hence becoming a completely different way of experiencing the urban space. The enormous change is at the level of the idea of identity, not only national but also global - a movement that has become so extreme that one has to reconsider one’s location in space and in the world. Artists have responded to this type of pressure from outside with a new way of conceiving the sense and significance of the subject and identity, not only in a physical but also in a psychographical manner. This is a question of rethinking geography, our location and positioning in the world, going against the model of the gps that once again wants to put us in the condition of knowing where we are at any time. There is a strong relationship between what occurs in science and in technology and what happens in art: the latter responds to this fear of losing oneself with the capacity to invent different structures that allow us to continue to explore freely the space inside and outside ourselves. In particular, this return to performance has to do with a strong intersubjective desire to connect and enter into relations with the other. For this in Atlas of Emotion I have underlined how it is not enough to speak of an optical world, one also has to speak of a haptic world. The word “haptic”, that comes from Greek, refers not only to the sense of touch, but contemplates the possibility of establishing relations with other senses. The word “contact” includes the sense of touch, hence implies connecting with oneself, with one’s own body and that of others, as occurs in performance. The haptic space is in no way a narcissistic way of thinking one’s own body, but it is a transitional space between our inner landscape and the external landscape. A relational space between us and the others. This return to performance is very important and bears witness to a renewed desire to connect with what surrounds us and hence with our
environment, from which derives the interest for geography, both external and internal. This allows us once again to speak of objects. One can speak of design, of objects, of packaging, of polysensorial and emotional containers to the point that the product wrapping invents a new type of relation with its user. Design is one of the most interesting forms of visual communication because it concerns the haptic form of the objects - and objects above all are things to be touched. In Atlas of Emotion, I have tried to not only relate architecture to the history of art and film, but also to design, fashion and other visual disciplines. To my mind there exists a very close relationship between these modes of thinking of the image in relation to space and touch, and design represents the center of all this for the very reason it always and necessarily implies a contact with the object. What I hence call haptic occurs both with objects’ packaging as well as with the architectural layer or our bodies’ epidermic envelope. The interesting thing about this contact is the fact that when touching occurs it is mutual. Touching is indeed the only reciprocal sense. When one looks it is no sure thing that the person we are looking at will return our gaze - but when touching occurs, inevitably, there is always some form of reciprocity.
Francesco Spampinato is an artist and art critic. Since 2000 he has taken part in various exhibitions both in public spaces such as viafarini in Milano, GAM in Bologna, GC.AC in Monfalcone, and private such as Deitch Projects in New York e Galleria Marabini in Bologna. He lives and works in Bologna and New York.
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Vitamina per il Brand “Un integratore di energie e benessere per la marca”, così si definisce RBA, l’agenzia milanese indipendente formata da oltre quaranta professionisti che si dedicano senza risparmiarsi alla creazione di valore per la marca attraverso l’approccio strategico a branding, design e packaging. Tra i suoi maggiori clienti RBA conta Kellogg, Gancia, Bormioli Rocco, Halter Bonbons, Unilever, Noberasco, Finiper... Fabrizio Bernasconi, socio fondatore e general manager di RBA, ci ha spiegato quali sono i principi “attivi” dell’agenzia.
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Luca Aragone RBA: come amate definirvi e in cosa vi differenziate rispetto alle altre agenzie? Siamo una realtà che nasce nel 1994 grazie all’amicizia - che risale ai tempi del liceo - tra me e Stefano Randone, quando le nostre strade, differenti ma contigue (lui nel marketing, io nella pubblicità) si uniscono. Entrambi appassionati di packaging, abbiamo dato origine al progetto di un’agenzia specializzata che, sul modello anglosassone, facesse della consulenza sull’identità di marca e del packaging design i due aspetti peculiari di un preciso
orientamento, proprio in un periodo - gli Anni ’90 - in cui chi voleva un imballaggio di alta qualità andava dalle due o tre agenzie presenti in Italia o si affidava agli inglesi. Grazie a specifiche metodologie di analisi della concorrenza e a posizionamenti strategici, ci siamo da subito proposti come una realtà professionale capace di affrontare marchi importanti. Oggi siamo una realtà di oltre quaranta persone e siamo diventati una delle principali agenzie italiane in questo campo. Come si può vedere dai nostri codici colore, dai segni d’identità e dal claim -
“Vitamina per il Brand” amiamo presentarci come un’agenzia dinamica, che non “fa scatolette” ma che crede fortemente di aiutare i clienti a costruire marche attraverso le idee. Un’agenzia che fa bene alla salute della marca insomma… Esattamente. Un’agenzia che corrobora la marca, grandissimo valore a disposizione dell’azienda che, credo soprattutto nei momenti di difficoltà come questo, debba essere tenuto molto da conto e possa rappresentare la via d’uscita da situazioni di criticità.
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Oggi il mercato chiede rapidità; in che modo riuscite a soddisfare questa aspettativa? Avete un metodo specifico? Certamente. Ci sono due fattori fondamentali da tenere in conto nel realizzare progetti complessi, come spesso sono quelli relativi al packaging. In primis la necessità di una riflessione strategica: anche se a volte non è espressamente richiesto, la nostra esperienza ci mette da subito nella condizione di interfacciarci con il cliente in modo critico, strategico. Credo infatti che “briefing” non significhi solo ascoltare, ma condividere e oggi, con alcuni clienti, riusciamo a elaborare i briefing, il che imprime un’accelerazione positiva al nostro lavoro; in questo modo, contribuiamo a realizzare una strategia, mettendo dunque in campo molto più di una “semplice” creatività da giudicare. L’altro fattore determinante è l’organizzazione. Noi ad esempio, ci siamo strutturati in modo che i designer abbiano competenze specializzate per settore merceologico. C’è un reparto che lavora sui vini, uno sulla GDO, uno sul corporate, ma soprattutto abbiamo un reparto esecutivo che, grazie a specifiche competenze tecniche utili nel rapporto con i nostri fornitori, chiude efficacemente il percorso di sviluppo del progetto. In un’intervista, lei ha sostenuto che “la marca spesso non è quello che si pensa che sia, ma
quello che gli altri pensano che sia”. Ci spiega meglio cosa significa? Come si conciliano, nel mondo del brand, “essere” e “apparire”? Questo è un punto di vista alla marca troppo spesso sottovalutato. Io dico che le marche appartengono ai consumatori ancor prima che alle aziende. Spesso ci troviamo a fare lunghe riunioni per discutere con i cosiddetti “esperti della marca”, ma anche dopo numerose ricerche, sviluppate a volte in contesti un po’ artificiali, forse non riusciamo ad avere un quadro generale della percezione effettiva del consumatore, perché sceglie questo o quel prodotto, come si comporta nel punto vendita… Per questo, attraverso un metodo, strumenti ed esperienze, il nostro lavoro si concentra su alcuni aspetti fondamentali, ben definiti, che siano in grado di ritagliare uno spazio unico, proprio nella testa
del consumatore. La marca è effettivamente quello a cui si pensa quando si sente il nome di un prodotto o di un’azienda… un’idea… nella migliore delle ipotesi, ciò che fa la differenza. In questo momento, specialmente nelle “commodities” della GDO, c’è una forte attenzione alla private label, che è un modo per aggirare la tensione sui prezzi e creare redditività nei rapporti con i fornitori e con i clienti. In che modo RBA riesce a declinare il proprio lavoro in questo contesto? Facendo marca, anche sulla private label. Ad esempio noi lavoriamo da circa cinque anni con Iper sul loro progetto di “private label”; abbiamo accompagnato l’insegna lungo un lavoro progressivo di sistematizzazione di tutto il packaging, con la creazione di un system che tende a valorizzare i segni del marchio e,
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al tempo stesso, la personalità dei singoli prodotti: insomma, l’equilibrio tra la trasversalità e riconoscibilità del brand e l’identità di ciascun prodotto.
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Si parla tanto di packaging emozionale… Come riesce RBA a creare emozione? Suscitare emozioni è un obiettivo importantissimo per un pack che voglia essere efficace. Credo che la modalità ideale per suscitare emozioni, non solo per il packaging ma per la marca in generale, sia quello di raccontare una storia. Un esempio significativo, a questo proposito, è il recente lavoro di riposizionamento che abbiamo fatto sulle caramelle balsamiche “Monk’s”. Attraverso il recupero della storia del monaco inglese che, con le sue ricette a base di erbe ha creato la caramella, abbiamo collegato alla marca non solo l’idea di un beneficio salutista, ma anche qualcosa di più affascinante ed emozionale, motivo di ulteriore credibilità e autorevolezza. E il packaging, in
questo senso, è uno strumento fondamentale per creare storie e quindi suscitare emozioni. Ma non solo. Una confezione è capace di creare emozioni anche sul piano sensoriale, risvegliando i sensi con colori, forme, profumi… Oggi la sostenibilità ambientale è all’ordine del giorno. Come rispondono le aziende a questa nuova sensibilità dei consumatori? La domanda è più che pertinente. Si sente molto parlare di sostenibilità ed ecologia, e il packaging (con le tematiche correlate al suo uso e riuso, Ndr) è sicuramente, non il principale, ma uno dei “sorvegliati speciali”. Le aziende italiane reagiscono ancora poco e male in questo senso. Questo però non ci impedisce di credere e lavorare in maniera “visionaria”, acquisendo cultura per proporre un prodotto sempre più sostenibile. Ci sono diverse direzioni percorribili, dalla riduzione di materiale attraverso
nuove forme, alla scelta di materiali alternativi; ma un’azienda può lavorare anche a livello strategico, impegnandosi in prima persona e facendo della sostenibilità uno degli aspetti della propria identità di marca. Se esistesse un supermercato degli imballaggi, quale pack metterebbe nel suo carrello? Bello questo gioco… Anzitutto, ovviamente, i packaging della RBA, in particolare gli ultimi nati: i cereali Kellogg’s Special K e Corn Flakes, le caramelle Monk’s Extreme, un sacchetto di prugne Noberasco, una bottiglia di Asti Gancia e il nuovo Bellini di Canella. Poi metterei grandi classici e interessanti novità: le nuove confezioni di Alixir, il triangolo di Toblerone; una bottiglia di vodka Absolut, che ha creato un’efficacissima comunicazione tutta basata sul packaging; la nuova biobottle Sant’Anna; sicuramente il vasetto di Nutella e infine un pacco di pasta blu Barilla.
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Brand Vitamin “A brand energy and wellness integrator”, this is how RBA, the independent Milanese agency constituted by over forty professionals that dedicate themselves without respite to creating brand value through the strategic approach to branding, design and packaging, defines itself. Among its principle clients RBA counts Kellogg, Gancia, Bormioli Rocco, Halter Bonbons, Unilever, Noberasco, Finiper... Fabrizio Bernasconi, founder partner and general manager of RBA, explains to us the nature of the company’s main “assets”. Luca Aragone
Hence an agency that is good for the health of the brand… That’s right. An agency that corroborates the brand, a great asset at the disposal of the company that, I believe aboveall in times of difficulties like the present, has to be very much held in consideration and that can represent the way out of critical situations. Today the market demands rapidity; how do you manage to satisfy this? do you have a specific method? Certainly so. You need to take two fundamental factors into account in creating complex projects, as packaging projects often are. First and foremost the need for a strategic reflection: even if this is not expressly demanded, our experience immediately allows us to critically and strategically interface with the customer. I in fact believe that “briefing” not only means listening, but also sharing and today, with some clients, we manage to define briefings which positively speed up our work; in this way, we contribute to creating a strategy, hence fielding a lot more than just “simple” creativity to be judged. Another determining factor is the organisation. We for example have structured ourselves so that the designers have specialised competencies for the merchandise sector. We have a section that work on wines, one on broadscale distribution, one on corporate image, but aboveall we have an executive sector that, thanks to specific technical skills and knowhow useful in our relations with out suppliers, effectively closes the project development circuit.
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In an interview, you sustained that “often the brand is not what one thinks it is, but what other people think it is”. Can you explain better what this means? How do you conciliate “being” and “appearing” in the world of the brand? The question of the point of view of the brand is very much underrated. I say that the brands belong to the consumers even before they belong to the
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RBA: how do you wish to define yourself and in what way do you stand apart from the other agencies? We are a concern that came into being in 1994 thanks to the friendship - that harks back to when we were at high school together - between me and Stefano Randone, when our different but contiguous ways (he in marketing, me in advertising) met up. Both with a love for packaging, we started up a project for a specialised agency that, based on UK/US models, pronouncedly specialised in consultancy on brand identity and packaging design, this in a period - the nineties when those seeking high quality packaging either turned to the two or three agencies present in Italy or turned to British agencies. Thanks to a specific methodology for analysing the competition and strategic positioning, we immediately offered ourselves as a professional concern capable of taking on important brands. Today we number over forty people and we have become one of the main Italian agencies in this field. As can be seen from our color codes, our identity marks and our “Brand Vitamin” claim - we like to present ourselves as a dynamic brand, that doesn’t “turn out tins” but that
strongly believes in helping our clients build up brands through ideas.
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companies. We often find ourselves holding long meetings discussing things with the socalled “brand experts”, but even after numerous studies, at times carried out in contexts that are a bit artificial, we perhaps are not able to get a general picture of the actual perception of the consumer, because the same chooses this or that product, as one does in the salespoint…. By way of a method, tools and experience, our work concentrates on a few fundamental aspects, well defined, that are capable of carving out a unique space in the very mind of the consumer. The brand is actually what one thinks when one hears the name of a product or a company… an idea… that in the best of instances, is what makes the difference.
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In these times, especially with the commodities of broadscale distribution, private labels are getting a lot of attention, which is a way of getting around the price tensions and creating profitability in relations with suppliers and with the customers. How does RBA manage to decline its work in this context? By turning the private label into a brand. For example we have been working with the Italian food hypermarket chain Iper on their “private label” project; we have accompanied the mark along a progressive reworking of all its packaging, with a creation of a system that tends to valorize the signs of the brand and, at the same time, the personality of each single product: that is to say, the equilibrium between the transversal nature and recognisability of the brand and the identity of each product. A lot is being spoken about emotional packaging… How does RBA manage to create emotion? Arousing emotions is a highly important objective for a pack that wants to be effective. I believe that the ideal way of arousing emotions, not only for the packaging but for the brand in general, is that of telling a story. A significant example on this count is the recent work of repositioning we have done on the “Monk’s” balsamic lozenges.
Through recovering the story of an English monk who, with his herb based recipes created the lozenge, we not only connected to the brand the idea of being beneficial to human health, but also something more fascinating and emotional, a basis for further credibility and authoritativeness. And here the packaging is a fundamental tool for creating stories and hence arousing emotion. But not only that. A pack is capable of creating emotions even on a sensorial level, reawakening ones senses with colors, shapes, perfumes…. Today environmental sustainability is the order of the day. How do companies respond to this new consumer sensitivity? The question is more than pertinent. A lot is spoken about sustainability and ecology, and packaging (and the entire question of its use and reuse, Ed) even if not seen as the chief instigator, surely finds itself under “special surveillance”. Up to now the Italian companies have reacted poorly. This though does not stop us from believing and working in a visionary manner, building up information and knowhow in order to propose products that are evermore sustainable. Various directions can be taken, from the reduction of material via new forms, to the choices of alternative materials; but a company can also work on a strategic level, committing itself up front and making sustainability one of the aspects of ones own brand identity. If a packaging supermarket existed, what pack would you put in you trolley? I like this game… aboveall obviously, RBA’s packaging, in particular our latest creations: the Kellogg’s Special K cereals and Corn Flakes, Monk’s Extreme lozenges, a Noberasco bag of prunes, a bottle of Asti Gancia and the new Bellini by Canella. I would then choose the great classics and the interesting new features: the new Alixir packs, the triangular-sectioned Toblerone; a bottle of Absolut vodka, that has created an extremely effective communication entirely based on the packaging; the new Sant’Anna biobottle; surely a jar of Nutella and lastly a blue Barilla pasta pack.
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Lo Zen e l’Arte del
Packaging Dai cosmetici per Shiseido e Stephane Marais alle scatole per scarpe di Fausto Santini, dai progetti architettonici come l’ “Edificio per Uffici N.O.Z” a Shizuoka in Giappone a quelli più grafici ed artistici, tutte le creazioni di Sergio Calatroni - artista e designer che ci piace definire del vuoto e dello spazio - sembrano essere modellate da un soffio di vento e dalla filosofia Zen. Marco Ligas Tosi
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Probabilmente, se fosse ancora vivo, Bruno Munari definirebbe il suo collega e amico Sergio Calatroni vero artista e progettista autentico e sicuramente molti considerano Calatroni uno dei designer più interessanti del panorama contemporaneo. Abbiamo incontrato il designer nel suo atelier/studio/laboratorio di Milano, un luogo in cui si mescolano e si respirano vita e lavoro, interessi e passioni, tecnica e arte. Gli oggetti disegnati da Calatroni hanno trovato posto in musei quali il National Museum di Kyoto, il Kunstmuseum Düsseldorf im Ehrenhof a Düsseldorf, e sono stati prodotti da clienti come Berlucchi, Shiseido, Zeus, De Padova, Alfa Romeo, Issey Miyake, Luciano Soprani e Fausto Santini. Recentemente ha curato l’allestimento della mostra “The Biosophia of Birds” a Tokyo per la quale ha vinto il prestigioso Internazionale Display Design Award 2008. Le sue opere sono connotate da una forte identità e da un’estetica raffinata, contemporanea e seducente e rispecchiano la personalità poliedrica e curiosa della mente che le ha generate.
Parlare di packaging, con Calatroni, è subito diventato il pretesto per parlare di visoni del mondo. La tua vocazione principale è quella di designer, ma sei noto per aver toccato diverse forme espressive come l’arte, la grafica, l’architettura. In cosa ti identifichi maggiormente? La tradizione italiana è quella segnata da Munari, Ettore Sottsass, Rizzoli, Giò Ponti. Personalità che hanno lavorato in modo trasversale su specificità diverse, quindi credo di appartenere ad artisti-creativi che hanno questo tipo di DNA. Nei tuoi lavori vi è una forte influenza della cultura giapponese..... Il progetto di design credo che sia essenzialmente un progetto di vita, indica come “spiegarsi l’esistenza”, ecco perché il Giappone e l’Oriente in genere sono culture che mi affascinano. Il mio modo di lavorare è un modo di spiegare a me stesso le cose del mondo. Un modo efficace di riflettere sulle cose e non è un problema esistenziale. Il Giappone è una vera scuola di vita, che tocca anche l’aspetto creativo e artistico. Scuola di vita, quindi filosofia applicata ai tuoi lavori ? Sì, diciamo che è la ricerca dell’armonia, della bellezza, del centro inteso come parte centrale dell’universo. Un’energia positiva che ti fa capire dove sei, cosa stai facendo e perché sei lì in quel preciso momento a creare un oggetto di design o un’architettura. Come applichi nei tuoi lavori di packaging questa filosofia? La ricerca della bellezza è un modo di percepire l’attimo, un modo di concentrarsi su qualcosa da cui poi
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estrapolare un senso, un oggetto, un progetto artistico un atto creativo. Lavorare su un progetto di packaging per me significa lavorare su uno spazio ridotto cercando di trovare prima di tutto una radice espressiva ed un codice estetico che abbiano un valore in più rispetto a tutto il resto. È un esercizio delle qualità, un continuo lavorare su pochissimo per poi estrarre il bello. È un buon esercizio perché il micro è come il macro quindi nel piccolo c’è tutto l’universo.
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Esiste una differenza tra il packaging orientale e quello occidentale ? Ogni espressione culturale è frutto della propria eredità intellettuale e artistica, quindi se un occidentale (o un orientale) crea qualcosa, egli sta già esprimendo il suo codice visivo. Una grande differenza riguarda le scale cromatiche: in Oriente, e in particolar modo in Giappone, sono giocate sulle mescolanze
dei toni grigi, altra differenza riguarda l’atteggiamento occidentale che tende a riempire tutti gli spazi come se vi fosse una continua paura del vuoto. Nella cultura artistica giapponese si tende invece a lasciare spazio al vuoto! Sono in definitiva due interpretazioni completamente diverse. Meglio un pack “pop” o un pack minimale? La vera bellezza del nostro pianeta è che ogni cultura può esprimere i suoi punti di vista. Personalmente mi piacciono molto anche i packaging arabi e libanesi: prorompenti, pieni di vitalità. Ognuno ha una grande vitalità intellettuale e un suo mercato da convincere per cui questi appaiono come momenti diversi di un unica grande ricerca collettiva. Hai lavorato molto per Shiseido. Vi è differenza nei rapporti professionali tra i clienti giapponesi e quelli europei? Dipende dall’azienda: Shiseido è una grande realtà, anche storicamente, è un vero e proprio emblema e quindi si deve passare attraverso codici e programmi molto precisi. I brief sembrano degli incontri con il notaio, tutto è molto preciso, ben preparato e
organizzato: dalla produzione ai contratti, dalle specifiche tecniche alla distribuzione, dalle linee guida al lancio della campagna. In questo caso è il cliente che ti cerca per porti davanti ad uno scenario in cui il vuoto è rappresentato dalla parte creativa che lui stesso non sa riempire. Shiseido, ha lavorato pochissimo con gli occidentali: con “Pentagram” negli anni ‘60 e poi con me negli anni ‘80 e ‘90, non ha quindi avuto nessun tipo di contaminazione sia da un punto di vista creativo, che nei modus operandi. ... invece com’è il cliente europeo? Il cliente europeo dà come l’impressione di essere molto meno preparato, molto più casual, con una mentalità più ristretta e una gestione ancora troppo familiare.
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Progettare packaging è ancora una professione riconosciuta e vincente? In grandi aziende e gruppi, come l’Eni, l’Agip, ecc., si lavora ancora con un forte sentimento di chiusura, non c’è una progressione, non c’è sperimentazione e non vedo rivoluzioni, solo la paura ad aprirsi, a fare ricerca. Il packaging non è pura espressività perché è un’arte applicata, è un prodotto industriale in cui c’è molto marketing. Il packaging designer da noi è un lavoro ancora nuovo, che avrà molto spazio in futuro, ma che intanto si scontra con la realtà di casa nostra, fatta di scuole inadeguate, mancanza di finanziamenti,
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La libertà creativa, meglio con gli occidentali? La libertà te la devi sempre conquistare. A questi livelli gli investimenti sono altissimi e si viene contattati perché i clienti hanno sentito parlar bene del tuo lavoro, altrimenti non ti chiamano. Un’altra difficoltà da superare è il rapporto interpersonale, devi piacere a qualcuno, nei modi, nei comportamenti e spiritualmente. Superata questa fase, bisogna saper lavorare insieme in team. Per i Giapponesi questo è fondamentale, le metodologie italiane sono invece più improvvisate, più spartane, più impulsive. Anche le aziende meglio strutturate sono spesso carenti sotto questo aspetto. In Giappone, quando il tuo nome è stato deciso e quando il programma è stato organizzato, per cambiare rotta dovrebbe succedere una catastrofe. L’Italia è la casualità organizzata ed in Giappone la paura della casualità crea diffidenza.
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Quale sarà il packaging del futuro? Il packaging del futuro vedrà la trasversalità tra scienza ed arte, sarà molto tecnologico, avrà materiali nuovi e un grande rapporto con la ricerca artistica. Possiederà quindi grandi qualità visive, sarà intelligente e saprà comunicare sempre più in maniera adeguata e specifica.
sfalsate che in effetti facevano parte di una mia ricerca architettonica. Ero partito da un’idea a cui stava lavorando un artista americano, morto di recente: i trapezi irregolari di cristallo e la loro tridimensionalità giocata proprio su volumi asimmetrici. Proposi quindi a Shiseido questi piccoli modelli e fin da subito i manager dell’azienda capirono che si trattava di una grande novità. È così che ho portato l’architettura nel packaging. Dopo 15 anni questo è diventato l’ovvietà e l’architettura stessa è diventata una nuova espressione di comunicazione.
Architettura e packaging. Possiamo considerarle alla stessa stregua? Basti pensare al rapporto che vi è tra architettura come contenitore di cose e persone e il packaging come contenitore di un prodotto? Quando Shiseido venne da me la prima volta, proposi per i loro packaging delle forme geometriche
E che opinione hai di tutta questa produzione architettonica, costata magari tantissimo, che dopo un po’ di tempo mostra debolezze progettuali e tecnologiche, che si deteriora e cade a pezzi? Questo avviene anche perché l’architetto costruisce troppo in fretta e non ha il tempo di seguire tutto perfettamente, e poi anche per la
istituzioni troppo burocratiche e di cavilli politici. Il problema vero italiano, poi, è che il professionista costa troppo e non te lo puoi permettere; in un certo senso, quindi il problema è anche di tipo economico.
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troppa voglia di visibilità. Il vero problema di oggi è quello di essere invisibili, tutti vogliono mostrare il proprio lavoro. A noi questo non interessa, perché la grande architettura e il grande design è il grande silenzio. Questa è la qualità che dovrebbe fluire da ogni lavoro di packaging, di design, di grafica o di architettura. A me interessano quei progetti dove vi è scienza, tecnologia, innovazione e dove l’aspetto creativo è considerato alla stessa stregua. Mi piacerebbe vedere un Frank Gehry che metabolizza la cultura di altri per realizzare progetti diversi da quelli che fa oggi! Sarebbe un atto di grande umiltà. Ci mancano di più architetti come Louis Kahn o designer come Ettore Sottsass, che tutti questi quintali di tonnellate di cemento che non hanno un’anima, hanno solo un vuoto dentro, un vuoto di filosofia. L’architettura e il design di oggi devono riempirsi di qualità umane.
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atto nella moda, con il processo di “colonizzazione” degli stilisti, che hanno aperto le loro boutique in tutto il mondo affidandosi a designer di fiducia. Oggi, in fase di decelerazione dei consumi, la ricerca cosmetica punta, oltre che sull’efficacia delle formule, sul design e sulla personalizzazione. Flaconi, confezioni e barattoli vengono progettati con un nuovo equilibrio tra estetica e funzionalità e se per la prima volta i grandi gruppi studiano negozi pilota è proprio per centralizzare la forza del marchio, per affermare la sua filosofia e l’efficacia dei trattamenti. Nelle nuove cattedrali della bellezza sono previsti, infatti, anche cabine e spazi dinamici per i consigli alle clienti; nel negozio Rubinstein, se non ricordo
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Flaconi e cofanetti da trucco ideati da guru del design, negozi e showroom progettati da architetti internazionali. Come vedi la cosmetica del futuro? Si sta rafforzando il rapporto fra cosmetica e “spazi cosmetici”; la strategia di aprire negozi sotto un’unica insegna e con la visione di un architetto guru sta prendendo anche il settore beauty. Ed è giusto che sia così, lo pensavo dai tempi della prima collaborazione con Shiseido. È un rapporto che passa dai corner nei grandi magazzini ai veri e propri templi monomarca firmati da progettisti di grido che danno una precisa identità di marca alle boutique, con un identico linguaggio spaziale da Tokyo a Parigi. È un fenomeno identico a quello già in
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male, ci sono arredi e forme diverse a seconda del tempo della consultazione: per un consiglio rapido si può sostare al banco, mentre per una conversazione di quindici minuti c’è un’apposita area dall’estetica avvolgente, protetta da veli. Il futuro è nel beauty store e nel design: uno studio concertato di geometrie, giochi di plasticità, luci e forme anatomiche o architettoniche. I prodotti sono le star. Ma il design è un valore aggiunto per creare uno spazio mozzafiato. Oltre all’architettura, quali altri stimoli o interessi influenzano la tua creatività? L’arte antica italiana è formidabile: questa secchezza dei trecentisti, l’uso sintetico del blu, la perenne semplificazione del segno. L’archetipo quando è giusto è inossidabile, quindi quando lavoro penso a questi artisti: a Raffaello, a Warhol, a tutta la rosa di personalità che hanno saputo produrre la vera bellezza. Penso anche a tutti gli autori anonimi, e loro mi interessano di più, perché hanno fatto lavori incredibili senza mai esser presi in considerazione.
In una confezione, secondo te, la parte estetica deve essere più comunicativa, essere più legata al brand, avere più scritte o più immagini e disegni? Il packaging non può avere molte scritte, deve essere qualcosa che crea emozioni, che è piacevole da toccare e guardare. Provengo da una formazione artistica, dall’Accademia di Belle Arti di Milano, e lì insegno ancora oggi e il mio lavoro è sempre intriso di arte e di ricerca artistica. Il colore, per esempio è il leit motiv che sintetizza bene il mio progetto; in definitiva lavoro sempre con l’influenza dall’arte, delle forme e dei colori, della prospettiva e del disegno. Quali sono le sostanziali differenze tra un packaging per Shiseido e Fausto Santini e uno per il brand Berlucchi ? Shiseido è la trasversalità pura, è un mettere a regime tutta l’espressività, le esperienze, le conoscenze e le influenze artistiche. Il lavoro per Santini è invece un esercizio sulla semplicità, è un progetto “in progress” che mi porto avanti da 20 anni, giocato sulla grafica e su un concept estremamente lineare e pulito. I progetti per Berlucchi sono
invece il tentativo di togliere la bottiglia dal retaggio del feudo. Il packaging cerca di uscire dall’anonimato, viene svecchiato, la bottiglia di champagne non viene più considerata solo un archetipo, ma viene innovata e rinnovata, ricalca il momento contemporaneo. E non c’era il timore che il consumatore non riconoscesse il marchio perché affezionato all’immagine più classica e alla tradizione che ha reso grande Berlucchi? Bisogna cercare di attuare la trasformazione sempre con grande umiltà. Quando si apporta un cambiamento - soprattutto nel settore alimentare o farmaceutico - bisogna farlo con senso critico, con spirito di ricerca e con un leggero tocco di sperimentazione. Il passaggio non deve essere drastico. Ma è chiaro che quando propongo un accenno di cambiamento, il cliente ha ancora paura.
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Marco Ligas Tosi scrive di arte, architettura, cinema e design per riviste nazionali ed internazionali. Collabora come creativo ed account directory con un’agenzia di pubblicità a Milano.
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Come crei emotività nei tuoi oggetti e come comunichi in un pack la voglia di essere guardato, toccato e quindi il desiderio all’acquisto? E’ questo un mestiere che non si impara. Bisogna sapere quello che può interessare alle persone comuni, quello che agli altri manca, quello che ti piacerebbe avere, quello che è al passo con i tempi. Io vado in giro, frequento ambienti e culture diverse, situazioni artistiche varie, vado al mercatino di Marrakech come a quello che sta sotto casa e continuo a macinare umanità e conoscenza. Ad un certo punto diventa chiaro ciò che manca ad un progetto, in quel preciso luogo e tu lo adatti, crei una nuova situazione influenzato dalla conoscenza di altre culture, crei un progetto globale.
E allora… per concludere, come vedi la globalizzazione nel settore dell’imballaggio? Qui l’innovazione riveste un ruolo centrale per far affermare prodotti di largo consumo. Il packaging rappresenta lo strumento principale per veicolare al consumatore sia i fattori di innovazione che quelli di differenziazione del prodotto. E’ quindi importante capire, all’interno dei vari mercati, le differenti culture, allo stesso tempo bisogna conoscere e rispettare la propria tradizione. Io personalmente amo lavorare con artisti e persone del posto, in modo da fondere più aspetti, scambiare tradizioni e creare quel concetto di osmosi tra le parti poco presente in questo assuefante concetto di globalizzazione.
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Zen and the Art of Packaging From Shiseido and Stephane Marais cosmetics to the shoeboxes of Fausto Santini, from architectonic projects such as “Edificio per Uffici N.O.Z” in Shizuoka, Japan to more graphic and artistic projects, all the creations of Sergio Calatroni- an artist and designer we like to define by voids and spaces - appear to be modelled by a breeze and by Zen philosophy. Marco Ligas Tosi
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If he were still alive Bruno Munari would probably define his colleague and friend Sergio Calatroni as a true artist and authentic designer, and certainly many consider Calatroni to be one of the most interesting designers on the contemporary Italian scene. We met the designer in his atelier/studio/workshop in Milan, a place where you can breathe an atmosphere which is a blend of life and work, interests and passions, technique and art. The objects designed by Calatroni have found a home in museums such as the National Museum of Kyoto, the Kunstmuseum Düsseldorf im Ehrenhof in Düsseldorf and have been put into production by clients of the likes of Berlucchi, Shiseido, Zeus, De Padova, Alfa Romeo, Issey Miyake, Luciano Soprani and Fausto Santini. He recently designed the layout of “The Biosophia of Birds” exhibition in Tokyo, for which he won the prestigious International Display Design Award 2008. His works are connoted by a strong identity and an elegant, contemporary and seductive aesthetic and reflect the versatile and curious personality of the mind which generated them. Speaking of packaging with Calatroni immediately became a pretext for speaking of world visions. Your principal vocation is that of designer yet you are well-known for having touched on various expressive forms such as art, graphics, architecture. What do you identify with the most? Italian tradition is constituted by Munari, Ettore Sottsass, Rizzoli, Giò Ponti. Personalities who have
worked transversally on different specificities. I believe I am one of the artists-designers who have this DNA. Your works are heavily influenced by Japanese culture… I believe that the design project is a life project. It indicates how to “explain existence to oneself”. This is why Japan and the Orient in general are cultures which fascinate me. My mode of working is a way of explaining to myself the things of the world. It is an efficient way of meditating on things and not an existential matter. Japan is a veritable school of life, involving creative and artistic aspects too. By school of life, do you mean you apply philosophy to your work? Yes, let's say that it is the quest for harmony, for beauty, for the centre meant as central part of the universe. A positive energy that allows you to understand where you are, what you are doing and why you are there in that precise moment creating an object of design or architecture. How would you apply this philosophy to your packaging design work? Searching for beauty is a way of perceiving the moment, a way of concentrating on something from which you can extrapolate meaning, an object, an artistic project, a creative act. For me working on a packaging project means working on a limited space and trying to find first of all an expressive source and an aesthetic code which have an extra value compared to all the rest. It is an exercise of qualities, a continual working on very little in order to extract the beauty. It is a good exercise because micro is like macro so the whole universe can be found in something small. Is there a difference between oriental and western packaging? Every cultural expression is fruit of one’s own intellectual and artistic legacy. Therefore, if a westerner (or an oriental) creates something, he is already expressing his visual code. There is a huge difference regarding chromatic scales. In the Orient and especially in Japan, the scale is a mixture of shades of grey. A further difference regards the
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western attitude of tending to fill spaces as though there were a constant fear of emptiness. In Japanese artistic culture they tend instead to leave space for emptiness! In short they are two completely different types of expression. Better a “pop” pack or a minimal pack? The true beauty of our planet is that every culture can express their own point of view. Personally I love Arabic and Lebanese packaging too: unbridled and bursting with energy. Each one has an enormous intellectual vitality and their own market to convince so they appear as different stages in one huge collective work. You have worked a lot for Shiseido. Is there any difference between professional relationships with Japanese and European clients? It depends on the company. Shiseido is a great company, from the historical point of view as well. It is a veritable emblem and therefore one has to stick to very clear rules and schedules. Briefs seem like meetings with solicitors. Everything is very precise, well prepared and organised: from production to contracts, from technical specifications to distribution, from guidelines to campaign launches. In this case it is the customer who seeks you out in order to develop a scenario in which the void is the creative part which he is unable to fill himself. Shiseido has done very little with westerners. They worked with “Pentagram” in the sixties and then with me in the eighties and nineties. It is therefore pure from both a creative point of view and in its modus operandi. … and the European client? The European client gives the impression of being much less prepared, much more casual, with a more limited mentality and an over familiar way of doing things.
Is packaging design still a recognised and winning profession? In large companies, like ENI, AGIP etc, you still work with a powerful sense of claustrophobia, there is no experimentation and I see no revolutions on the horizon, just the fear of opening up, of doing research. Packaging is not pure expressivity because it is an applied art. It is an industrial product which involves a lot of marketing. In Italy packaging design is still a new profession, which will have a lot of space in the future but which, in the meantime, clashes with the Italian reality of inadequate schools, lack of funding, too much red tape and political quibbles. The real Italian problem is that a professional costs too much and you cannot afford it so in a certain sense it is also an economic problem. What will the packaging of the future be like? The packaging of the future will be a mix of art and science. It will be highly technological, it will use new materials and have a strong relationship with artistic experimentation. It will therefore possess great visual qualities. It will be intelligent and able to communicate in an increasingly adequate and specific way.
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Architecture and packaging. Can we consider them as equals? Is it enough to think of the relationship there is between architecture as a container of things and packaging as a container of a product? When Shiseido came to me for the first time, I proposed staggered geometrical forms which in fact came from my architectonic work. I had begun with an idea that an American artist who died
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Is there more creative freedom with westerners? Freedom always has to be won. At these levels investments are high and if you are contacted it is because customers have heard good things about you, otherwise they wouldn’t call. Another problem that has to be solved is the interpersonal relationship. You have to be liked in terms of your
methods, your behaviour and spiritually. Once this phase is behind you, you have to know how to work on a team. This is fundamental for the Japanese. Italian methodologies are more improvised, more Spartan, more spontaneous. Even the best organised companies are often lacking from this point of view. In Japan when your name has been chosen and when the project has been planned, only a disaster will push things off course. Italy is organised chaos and in Japan the fear of chaos creates distrust.
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recently was working on: irregular trapezoids made of crystal and their three-dimensionality playing on asymmetrical volumes. I therefore proposed these small models to Shiseido and straightaway the managers of the company understood it was something very new. This is how I brought architecture to packaging. After 15 years this became the norm and architecture itself became a new expression of communication.
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And what opinion do you have of all this architectonic production, which might have cost an astronomical figure yet soon reveals design and technological weaknesses, deteriorating and falling to pieces? This happens because the architect builds too quickly and doesn’t have time to monitor everything properly and it is also due to his overenthusiasm for visibility. The true problem today is being invisible. Everyone wants to show their work. This doesn’t interest us since great architecture and great design is immense silence. This is the quality which should flow from every piece of packaging, design, graphics or architecture. I am interested in those projects which contain science, technology, innovation and where the creative aspect is considered in the same way. I would like to see a Frank Gehry metabolising other people’s cultures in order to create projects which are different from the ones he is creating today! It would be an act of enormous humility. We need more architects such as Louis Kahn, or designers such as Ettore Sottsass, than all these tons of cement which are soulless and void of philosophy. Architecture and design of today have to be filled with human qualities. Bottles and cases for make-up designed by design gurus, shops and showrooms designed by international architects. How do you see cosmetics in the future? The relationship between cosmetics and “cosmetic spaces” is being reinforced. The strategy of opening same name stores with the vision of a guru architect is invading the beauty sector too. And it is right that it should be so. I have been of this opinion from the moment I began working with Shiseido. It is a relationship which reaches from the corners of large chain stores to veritable one
brand stores designed by well-known designers who give a precise brand identity to boutiques, which have an identical spatial expression from Tokyo to Paris. This phenomenon exactly matches what is happening in fashion with the colonisation of stylists, who have opened boutiques all over the world, relying on designers they trust. Now, as consumption begins to slow, cosmetic research is focussing on design and personalisation as well as on the efficiency of the formulas. Bottles, packaging and jars are designed with a new balance between aesthetics and functionality and, if large groups are studying pilot stores for the first time, it is precisely to focus the strength of the brand, to affirm their philosophy and the efficiency of the treatments. In the new beauty cathedrals cabins and dynamic spaces are foreseen for providing the customer with a consultation. In the Rubenstein store, if my memory serves me well, there are different furnishings and forms depending on the length of the consultation. For a rapid consultation you can stand at the counter, while for a fifteen minute conversation there is a specific area where you are surrounded by gauzy screens. The future lies in beauty stores and design: a concerted study of geometries, sculptures, anatomical or architectonic lights and shapes where the products are the stars. But design is an added value which creates a breathtaking space. As well as architecture, what other stimuli or interests influence your design? Ancient Italian art is remarkable: the spare style of artists of the fourteenth century, the synthetic use of the colour blue, the perennial simplification of the sign. When the archetype is right it is eternal. Therefore, when I work I think of these artists, from Raffaello to Warhol, all those personalities who have managed to create true beauty. I also think of all those anonymous artists and they interest me even more because they have produced incredible work without being taken into account. In your opinion, in a packaging does the aesthetic part have to be more communicative, more linked to the brand, contain more writing or more pictures and drawings? Packaging cannot have too much writing. It has to
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be something that creates emotions, that is pleasant to touch and look at. I am a trained artist. I went to the Academy of Fine Arts of Brera and I still teach there. My work is always full of art and artistic experimentation. Colour, for instance, is the leitmotiv which best sums up my design. In short, I always work influenced by art, shapes and colours, perspective and design. What are the essential differences between a packaging for Shiseido and Fausto Santini and one for the Berlucchi brand? Shiseido is absolutely transversal. It involves expressivity, experience, knowledge and artistic influence. My work for Santini is instead an exercise in simplicity. It is a project “in progress” which is taking me for 20 years, playing with graphics and an extremely linear and clean concept. Designs for Berlucchi are instead an attempt to release the bottle from its feudal legacy. The packaging attempts to exit from anonymity, it is brought up-to-date. Champagne bottles are no longer considered just an archetype, but innovated and renewed, made contemporary. And weren’t you afraid that the consumer, being attached to the more classical and traditional image which has made Berlucchi famous, wouldn’t recognise the brand? You have to try to bring about the transformation with a great deal of humility. When a change is made - above all in the food or pharmaceutical sector - it has to be done with a critical sense, a spirit of adventure and a dash of experimentation. The shift must not be drastic. But it is clear that when I hint at change the client is still afraid.
How do you create emotivity in your objects and how do you communicate in a pack the desire to be watched, touched and therefore the desire to purchase? This is a job you cannot learn. You have to know what might interest ordinary people, what others are missing, what you would like to have, what stays with the times. I travel and experience different environments and cultures, various artistic situations. I go to the market in Marrakech as though it were my local market and I continue to clock up humanity and knowledge. At a certain point it becomes clear what a design lacks, and where exactly, and you adapt it, you create a new situation. Influenced by the knowledge of other cultures you create a global project. And so, to conclude, how do you envisage globalisation in the packaging sector? Here innovation plays a central part in making consumer goods successful. Packaging represents the major instrument for transmitting to the consumer both factors of innovation and those which differentiate the product. It is therefore important to understand the different cultures within various markets while you have to know and respect their own traditions. Personally I love to work with local artists and people in order to fuse several aspects, swap traditions and create that concept of osmosis between the parts which have a weak presence in this addictive concept of globalisation. Marco Ligas Tosi writes about art, architecture, cinema and design for Italian and international magazines. He works as an advertising executive and account director for advertising agencies in Milan.
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A colloquio con
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Associati
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Fondata nel 1984 da Maurizio di Robilant, ROBILANTASSOCIATI è oggi l’azienda leader nel settore del Brand Advisory e Strategic Design. Il suo obiettivo è la valorizzazione di brand, prodotti e servizi tramite un’attività di marketing strategico che mira, da una parte a individuare e a potenziare i valori di una marca e del suo posizionamento sul mercato e, dall’altra, a definire l’immagine di marca per mezzo della progettazione del corporate e brand design. Negli anni, l’agenzia ha rafforzato la propria presenza a livello internazionale, sviluppando progetti importanti per aziende di tutto il mondo, in particolare in Europa, Giappone, Nuova Zelanda e Cina (nel 2005 ha peraltro aperto a Shangai una sede propria). Tra i principali clienti dell’agenzia ricordiamo Artsana, Bolton, Bacardi Martini, Campari, Enel, Ferrero Distilleria Francoli, Fiat Automobiles, Galbani, Illy JTI, Unilever, Vismara e altri.
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Sonia Pedrazzini
Con Giuliano Dell’Orto, direttore creativo di RobilantAssociati, abbiamo voluto approfondire il
concetto di packaging come “emozione”. Ha individuato per noi alcuni prodotti - di cui l’agenzia si è occupata particolarmente significativi dal punto di vista della comunicazione, disegnando un quadro di riferimento ampio, interessante e in continuo divenire. Qual è il vostro concetto di “packaging emozionale”? Il packaging è il primo elemento del prodotto con cui il consumatore entra fisicamente in contatto. È un media, uno strumento attraverso cui la marca parla di sé stessa e dei suoi prodotti: mediante il ricorso a scelte tecniche, estetiche e materiche - capaci di evocare caratteristiche che rendono unico il brand, il prodotto o il suo particolare processo produttivo si costruisce un racconto che, oltre a informare, punta a emozionare e coinvolgere il consumatore, generando il
desiderio e la motivazione all’acquisto. Bacardi Breezer, Ferrari, Prime Uve, Grappa del Gattinara… Sono progetti assimilabili per quanto concerne l’aspetto emozionale e polisensoriale del packaging o hanno altre caratteristiche che meritano di essere evidenziate? Tutti questi prodotti citati sono estremamente diversi tra loro in relazione al target, ai momenti di consumo, ecc. Pur appartenendo a categorie distinte, fanno comunque leva sulla polisensorialità per entrare in relazione con la sfera emotiva del consumatore, per attirarlo e sedurlo ricorrendo a particolari tattili o visivi. Ciascuno di essi però utilizza questa leva in maniera distintiva, piegandola alle proprie particolari caratteristiche, alla personalità della marca, e al tono più adeguato a raggiungere il proprio target di riferimento. In
questo modo ogni marca dà vita a registri, codici e modalità espressive peculiari e coerenti con i propri valori. Ciò testimonia la grande flessibilità di uno strumento come il packaging, capace di far fronte a esigenze comunicative distanti con una straordinaria ricchezza e potenza espressiva. Partiamo da Bacardi Freezer: come mai la scelta di un tocco vintage, con ripresa di temi da “anni ’60”? Trattandosi di un’edizione speciale - ideata in occasione del lancio di un nuovo gusto per l’estate - l’identità visiva di questo prodotto risponde soprattutto alla volontà di attrarre un consumatore attento alle mode, piuttosto che interpretare i valori del brand. Non per questo, però, la scelta stilistica è slegata dalle tradizionali modalità espressive della marca, ma si giustifica invece con la volontà di dare una connotazione appealing e di tendenza al prodotto, secondo codici estetici mutuati direttamente dal mondo del fashion. Per Prime Uve è molto interessante il lavoro svolto sul monogramma di Bonaventura Maschio, che evoca simbolismi alchemici. Quale processo creativo avete seguito? Per i distillati di Bonaventura Maschio ci siamo concentrati sulla ricerca e sull’ideazione di un simbolo che fosse semplice ma di grande forza espressiva, in grado di interpretare, sintetizzare e racchiudere tutto il vissuto, la tradizione e
l’esperienza di una storica distilleria. Il monogramma si ispira al mistero dei segni alchemici, per evocare quello che viene considerato come uno dei punti di forza dell’azienda, ovvero l’iper-specializzazione del processo di distillazione, la scelta sapiente e accurata delle uve più nobili e pregiate, la ricercatezza e l’unicità degli accostamenti aromatici. Il simbolo rende il racconto più suggestivo e quindi più coinvolgente di una semplice descrizione. Un progetto impegnativo, quello della Grappa del Gattinara, in cui i dettagli hanno avuto importanza strategica: la fascia di rame che avvolge la bottiglia, le scanalature sul vetro, l’astuccio regalo ad alto impatto emotivo, fino al sigillo che deve essere apposto manualmente. Si evocata così una produzione di tipo iper-artigianale e ultradedicata. Secondo voi, questo approccio così caldo emozionale, appunto - è applicabile anche ad altri tipi di prodotti più tecnici? Se si, in che misura? Ci può fare qualche esempio? Il concetto di packaging emozionale è ipoteticamente applicabile a qualsiasi prodotto, a prescindere dalla sua connotazione marcatamente tecnica. La cosa importante è infatti comprendere fino in fondo la natura del prodotto stesso e quindi trovare la soluzione più adatta a comunicarne le indispensabili caratteristiche tecniche in una chiave seducente, capace di interagire
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con la sfera emotiva del consumatore grazie al coinvolgimento di tutti i sensi. Il cofanetto che abbiamo ideato in occasione del lancio ufficiale del nuovo marchio FIAT, potrebbe rappresentare un valido esempio in proposito. Realizzato per la presentazione alla stampa, conteneva il logo, riprodotto nelle sue dimensioni reali, un mini-cd e un leaflet che illustravano il percorso evolutivo del brand dalle origini a oggi. Pur svolgendo compiutamente il compito informativo-didascalico da una parte e contenitivoprotettivo dall’altra, l’astuccio doveva anche presentare in maniera consona l’oggetto contenuto. Da qui la scelta di un materiale tecnologico e della chiusura magnetica: dettagli che hanno contribuito a creare la percezione di uno stile essenziale e sofisticato. All’interno il logo, col suo sfondo rosso rubino, si stagliava come un gioiello di valore sul velluto chiaro del rivestimento, che ne amplificava l’impatto visivo ed emotivo, sottolineando la preziosità del dono. Come è possibile coniugare in modo efficace contemporaneità e tradizione nel packaging di un marchio storico? Ci riferiamo in particolare al progetto relativo a Ferrari Brut. L’efficacia di un’operazione tanto delicata deriva dalla capacità di distinguere tra quegli elementi dell’identità visiva con un valore rilevante in termini di brand equity e quelli che invece
rappresentano una mera decorazione. “Ripulendo” l’etichetta da dettagli ridondanti, gli elementi più significativi riescono ad avere maggiore spazio, guadagnando in termini di impatto e forza espressiva. D’altra parte, “semplificare” non significa rinunciare alla ricchezza e al prestigio di dettagli ricercati, che si ottengono scegliendo con cura i materiali, le cromie e le lavorazioni (in questo caso, dell’etichetta e degli astucci). La semplificazione, poi, offre una percezione di contemporaneità, a tutto vantaggio della raffinatezza e dello stile. Insomma, si tratta di un insieme coerente che, secondo noi, concorre ad amplificare la percezione dei valori di marca.
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An Interview with RobilantAssociati Sonia Pedrazzini Founded in 1984 by Maurizio di Robilant ROBILANTASSOCIATI is today the leader in the Brand Advisory and Strategic Design sector. Its objective is to valorise brands, products and services by means of a strategic marketing activity which aims, on one hand to identify and expand the values of a brand and its positioning in the market, and, on the other, to define the brand image by means of planning corporate and brand design. Over the years the company has strengthened its presence on an international level, developing important projects for companies all over the world, especially in Europe, Japan, New Zealand and China (what is more they opened their own office in Shanghai in 2005). Some of the company’s major clients include Artsana, Bolton, Bacardi Martini, Campari, Enel, Ferrero Distilleria Francoli, Fiat Automobiles, Galbani, Illy JTI, Unilever, Vismara and others. With Giuiliano Dell’Orto, creative director of RobilantAssociati, we wanted to investigate the concept of packaging as “emotion”. He found some products for us- which the company has worked on- which are especially significant from the communication point of view, generating a large, interesting and continually growing frame of reference.
Bacardi Breezer, Ferrari, Prime Uve, Grappa del Gattinara… Are these similar products as far as the emotional and polysensorial aspect is concerned or do they have other features which deserve to be highlighted? All the products mentioned are extremely different from one another in relation to the target, consumer moments etc. Although belonging to distinct categories they anyway appeal to polysensoriality in order to enter the consumer’s emotional sphere, to attract and seduce him, resorting to tactile or visual details. However, each uses this lever in a distinctive manner, bending it to their own characteristics, to the personality of the brand, and the tone most suitable for reaching their target of reference. In this way every brand generates expressive registers, codes and modalities which are peculiar and coherent with their values. This is shown by the enormous flexibility of an instrument such as packaging, able to cope with very different communicative demands with an extraordinary richness and power of expression.
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Let’s start with Bacardi Freezer. Why the choice of a vintage touch, reprising sixties themes? As it was a special edition- created on the occasion of the launch of a new taste for summer- the visual identity of the product responds above all to a desire to attract the consumer who is attentive to fashion, rather than interpreting the brand values. However, this is not the reason why the stylistic choice abandons the traditional means of expression of the brand.
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What is your “emotional packaging” concept? Packaging is the first element of the product with which the consumer enters physically into contact. It is a medium, an instrument through which the brand speaks of itself and its products. By resorting to technical, aesthetic
and material choices- able to evoke characteristics which make the brand, product or its particular manufacturing process uniquea story is constructed which, as well as informing, aims to thrill and involve the consumer, generating desire and motivation to purchase.
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Instead there was a desire to give the product an appealing and trendy connotation, according to aesthetic codes borrowed straight from the world of fashion.
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For Prime Uve the work on the monogram of Bonaventura Maschio, which evokes alchemical symbolism, is very interesting. What creative process did you follow? For Bonaventura Maschio distillates we concentrated on research and the invention of a symbol which was simple but had great expressive strength, able to interpret, synthesise and encapsulate the experience and tradition of a historical distillery. The monogram is inspired by the mystery of alchemical signs to evoke what is considered to be one of the strengths of the company, which is the hyper-specialisation of the process of distillation, the wise and careful choice of the most noble and prized grapes, the elegance and uniqueness of aromatic juxtapositions. The symbol makes the story more suggestive and therefore more enthralling than a simple description. Grappa del Gattinara is a demanding project in which details have strategic importance. The copper strip which encircles the bottle, the grooves on the glass, the gift box with its high emotive impact, the seal which has to be applied by hand. This evokes unique craftsmanship. In your opinion can this type of warm, emotional approach be applied to other more technical types of product? If so, to what extent? Can you give us some examples? The concept of emotional packaging can be hypothetically applied to any product, notwithstanding its markedly technical connotation. The important thing is to have an in-depth understanding of the nature of the product itself and then to find the most suitable way to communicate its indispensable technical characteristics in a seductive key, able to
interact with the emotive sphere of the consumer thanks to involving all the senses. The case we designed for the occasion of the official launch of the FIAT brand might be a good example of this. Created for the press presentation, it contained the logo, reproduced in real dimensions, a mini-CD and a leaflet which illustrated the evolution of the brand from its origins to now. Although fulfilling its task of informing-educating on one hand and containing-protecting on the other, the case also had to present the object contained in a suitable fashion. This is why we chose a technological material with a magnetic fastening, details which contributed to creating a perception of an essential and sophisticated style. Inside, the logo, with its ruby red background, stood out like a precious jewel against the pale velvet of the lining, which amplified the visual and emotive impact, underlining the preciousness of the gift. How can you combine contemporaneity and tradition efficiently in the packaging of a historical brand? With special reference to the Ferrari Brut project. The efficiency of such a delicate operation derives from an ability to distinguish between those elements of the visual identity which have a high value in terms of brand equity and those which are instead merely decorative. By “cleaning” the label of redundant details the most significant elements are given more space, gaining in terms of impact and strength of expression. On the other hand, “simplifying” does not mean renouncing the richness and prestige of elegant details which are obtained by carefully choosing material, colours and processes (in this case the label and case). Simplification offers a perception of contemporaneity all to the advantage of elegance and style. All in all it is a coherent whole which, in our opinion, contributes to increasing the perception of the brand values.
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GIOCARE È UNA COSA SERIA Traboccano dagli scaffali dei supermercati, così come dalle mensole nelle camere dei bambini: le macchinine. Giocattoli sempre in voga, ormai quasi esclusivamente made in China, sono una ripetizione perfetta delle automobili dei grandi e offrono tre ore di felicità assicurata. Ci vuol così poco per far felice un bambino…
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Luca Aragone
come un poster che mostra, attraverso simpatiche vignette, la possibile vita delle macchinine di legno: da gioco ad antitarme per i cassetti, fino a diventare legna da ardere. Un aspetto importante da sottolineare è che il progetto, packaging compreso, è stato concepito pensando al rispetto dell’ambiente e partendo dall’utilizzo di materiali completamente naturali e riciclabili, ma soprattutto si è cercato di dare ad ogni oggetto una continuità funzionale e temporale. A conferma di questo impegno, in occasione del lancio di TobeUs, sono stati cuciti dei sacchettini in juta, contenenti i trucioli di legno provenienti dallo scarto in fase di produzione, da poter utilizzare nei cassetti come anti-tarme, grazie alle qualità aromatiche del legno utilizzato.
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Partendo da queste riflessioni, Matteo Ragni, con la collaborazione di Giulio Iacchetti e Odoardo Fioravanti, ha dato vita al progetto TobeUs, una serie di automobiline che sembrano provenire da un’altra epoca e che recano in sé i valori fondamentali del gioco, perché, come giustamente diceva il grande Bruno Munari, giocare è una cosa seria. Dice Ragni: «Abbiamo pensato a un giocattolo fatto di legno: forte, caldo e indistruttibile. Pochi gesti per dare forma a pochi modelli riconoscibili: la Sportiva, la Berlina, il Furgone Portavalori, il Pick-Up, la Romantica. Solo la mano del designer e del falegname. Un gioco che deve durare nel tempo, da conservare e far invecchiare o da passare ad altri bambini, ai figli dei figli. Con la consapevolezza di regalare dei valori, dei ricordi agli adulti, non solo un gioco». TobeUs è un prodotto artigianale, interamente realizzato a mano partendo da un blocco di legno sempre della stessa misura, modellato attraverso un unico taglio che dà forma ai diversi modelli. Il legno utilizzato per la “carrozzeria” è il cedro del libano, aromatico e durevole, mentre le ruote sono realizzate in mogano, legno duro, compatto e facile da lavorare, di finissima e pregiata venatura. Particolare attenzione è stata rivolta al packaging del giocattolo, pensato per essere parte integrante del gioco stesso e per stimolare la fantasia dei piccoli. La scatola, infatti, realizzata in cartoncino color avana, con grafiche interne disegnate dallo studio grafico Due Mani Non Bastano, attraverso semplici gesti, può essere trasformata in un piccolo garage per la macchinina, oppure in una base dove appoggiare ed esporre i diversi modelli, o ancora appesa al muro
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Playing is a Serious Business The supermarket shelves are overflowing with them, the same as the shelves in our children’s rooms: toy cars. Toys that are always the craze, virtually all now exclusively made in China, they are perfect replicas of the grown-ups’ cars and offer three hours of guaranteed happiness. You need so little to make a child happy…
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Luca Aragone Starting off from these reflections, Matteo Ragni, with the cooperation of Giulio Bacchetti and Odoardo Fioravanti created the TobeUs project, a series of miniature cars that appear to come from another era and that themselves bear the fundamental values of play, because, as the great Bruno Munari rightly said, playing is a serious business. Ragni says: «We thought up a toy made of wood: tough, warm and indestructible. A few gestures to give shape to a few recognisable models: the sportscar, the saloon, the securicor van, the pick-up, the romantic car. Only the hand of the designer and the carpenter is involved. A plaything that has to last in time, to be preserved and to allow to age or pass on to other children, our children’s children. With the awareness of making a present of values, of recollections to the grown-ups, not merely a plaything». TobeUs is a craftsman’s product, entirely made by hand starting from a block of wood that is always the same size, modelled by a single cut that gives shape to the different models. The wood used for the “bodywork” is cedar of Lebanon, aromatic and durable, while the wheels are in mahogany, a fineveined hardwood, compact and easy to work. Particular attention has been paid to the packaging of the toy, devised to be an integral part of the game itself and to stimulate the kids’ imagination. The box in fact, made in light brown cardboard, with internal graphics drawn by the graphic studio
Due Mani Non Bastano [Two Hands Are Not Enough], with simple gestures can be turned into a small garage for the car, or as a base to hold and exhibit the various models, or again hung on the wall as a poster that shows, the possible lives of the wooden cars: from plaything to woodlice repellent for drawers, up to becoming firewood. An important aspect to be underlined is that the project, packaging included, has been conceived in respect of the environment and starting from the use of completely natural and recyclable materials, but aboveall one has tried to give each object a functional and temporal continuity. In confirming this commitment, on the occasion of the launch of TobeUs, wood shavings from the production waste were sewn up in jute bags, to be used in drawers as woodlice repellents, thanks to the aromatic qualities of the wood used.
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dice la pura verità
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Elisir di lunga vita
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Francalma Nieddu
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La prima volta l’ho visto su una pagina pubblicitaria, e ho pensato che il succo di frutta Alixir fosse un medicinale. Il nome, che alludeva agli elisir di antica tradizione farmaceutica, e il packaging, che riprendeva la forma di un flacone e rimandava a benefici effetti, mi hanno tratto in inganno. Poi mi sono imbattuta in confezioni alimentari vestite di nero che facevano capolino dagli scaffali di un supermercato‌
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Packaging accattivanti, total black, senza alcuna finestra per mostrare il prodotto interno. Una grafica raffinata e innovativa che enfatizza - mediante icone di facile comprensione - una gamma di prodotti con quattro tipologie differenti di benefici nutrizionali. È questa la scelta coraggiosa operata da Barilla: differenziare in maniera estrema una linea di prodotti alimentari in grado di distogliere l’attenzione dagli altri prodotti sullo scaffale, che riprendono immagini di “mulini bianchi”, o disegni di frutta più o meno realistici - e qualificare immediatamente il prodotto come premium. Come sottintende il nome Alixir, qui ci troviamo di fronte a un aspetto “magico” e propiziatorio. I contenitori, garantendo la riconoscibilità dei prodotti, ne favoriscono il consumo grazie all’uso di packaging strutturali differenti per ogni categoria di prodotto: sacchetto per i biscotti, flow-pack per il pane, flacone per i succhi. Confezioni realizzate con materiali sofisticati e con diversi livelli di trattamenti, studiate per proteggere al meglio gli elementi attivi contenuti nell’alimento, prolungando la vita del prodotto, mantenendone la freschezza e salvaguardandone valori nutrizionali
e sapore. Il tutto offrendo il massimo livello di servizio anche, dove richiesto, mediante l’uso di monoporzioni, che garantiscono la giusta quantità di principi attivi per un consumo individuale. La proposta alimentare Alixir incuriosisce, è un vero e proprio programma medico e salutistico sviluppato dal Centro Ricerche Barilla, che dovrebbe risponde alla richiesta di un’alimentazione più ricca dal punto di vista di nutrienti specifici, per migliorare lo stato psicofisico e tenere sotto controllo i fattori di stress. Ma non finisce qui: è stato infatti anche creato l’Alixir Food Lounge, uno spazio ideato sul modello dei temporary shop, già presentato a Milano e Roma, interamente dedicato alla nutrizione e al benessere con un’ambientazione moderna e tecnologica. All’ingresso, un tunnel sonoro accompagna il visitatore attraverso i “segreti per vivere al meglio” e nel percorso interno pannelli olografici informano i visitatori sulle influenze che hanno l’alimentazione e lo stile di vita su di noi, guidandoli passo dopo passo alla scoperta della Next Food Experience. Si entra poi in possesso della Alixir Card e si accede all’area centrale dove è possibile usare una postazione touch screen oppure
gustare un menu personalizzato secondo il proprio stato di salute, preparato da uno chef dell’ ”Accademia di Cucina Barilla”. Al termine del percorso ogni partecipante riceve i materiali informativi con i suggerimenti alimentari utili a migliorare il proprio stato di benessere. Per concludere in bellezza l’esperienza (è il caso di dirlo), l’Alixir shop, che permette di portare a casa un ricordo tangibile di questo percorso emozionale: gli alimenti, in primis, e poi T-shirt, spille, magneti e qualche riflessione in più su come ci nutriamo. La linea di prodotti Alixir, così originale, così connotata, così in grado di generare una vera atmosfera emotiva, potrebbe somigliare vagamente alle linee di “nutricosmetici”, quegli integratori alimentari che aggiungono nutrienti particolari all’alimentazione e, aiutando le funzioni vitali, rendono più belli. Se, da sempre, si dice che l’uomo è ciò che mangia, chi non desidererebbe un simile effetto secondario?
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The Alixir of Long Life The first time I saw it in a page of advertising, I thought the Alixir fruit juice was a medicinal product. I was fooled by the name, that alludes to the elixirs of ancient pharmaceutical tradition, and the traditional bottle shape and conjuring up beneficial effects. Then I came across black clad food packaging peeking at me from a supermarket shelf…
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Francalma Nieddu A truly entrancing packaging, totally black, without any window showing the product inside. A refined and innovatory graphics that emphasises - by way of an easily comprehensible icon - a range of products with four different types of nutritional benefits. This the courageous choice made by Barilla: differentiate a line of food products to the extreme, to the point of drawing attention away from the other products on the shelf having reassuring, traditional image (windmills and whatnot) or that bear more or less realistic pictures of fruit - this to immediately qualify the product as premium. As the name Alixir implies, we are dealing with a “magic” or propitiatory aspect. The containers, guaranteeing the recognisability of the products, aid the consumption of the same thanks to the use of differently structured packaging for each product category: the bag for biscuits, flowpack for bread, bottle for juices. Packs made with sophisticated material and different levels of processing, devised to best protect the active elements contained in the food product, prolonging the life of the product, keeping it fresh and safeguarding its nutritional properties and flavour. All this while offering the max level of service even, when required, via the use of monoportions, that guarantee the right
quantity of active principles for individual consumption. As a food product Alixir arouses curiosity, it is a true and proper medical and health program devised by the Barilla Research Centre, to respond to the demand for a richer diet in terms of specific nutrients, to improve ones psychophysical state and keep stress factors under control. But things do not stop here: in fact Alixir Food Lounge has also been created, a space created along the lines of the temporary shops, already presented in Milan and Rome, entirely dedicated to nutrition and wellness in a modern and technological environment. At the entrance, a sound tunnel accompanies the visitor through the “secrets of living better” and inside a succession of holographic panels inform visitors on the influence that diet and lifestyle have on us, guiding us step by step on the discovery of the Next Food Experience. One then receives and Alixir Card, allowing one to access the central area where a touchscreen station is available, or where one can taste a menu personalised according to ones own state of health, prepared by a chef from the “Barilla Cuisine Academy”. At the end of itinerary each participant receives info material offering suggestions as to how to improve their own state of wellness. To finish up on a high note one has the Alixir shop, that allows you to take home a tangible memento of this emotional experience: the food products first and foremost and then T-shirt, badges, magnets and some reflections on what we eat and the way we eat it. The Alixir product line, for its originality, it connotation and capability of generating an emotional atmosphere, might vaguely resemble the lines of “nutricosmetics”, those food integrators that add special nutrients to our diets and, boosting our vital functions, make us look better. If it has always been said that man is what he eats, who would baulk at a similar spin-off.
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Packaging: plurale,
femminile Maria Gallo
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L’universo femminile ha scritta nel proprio DNA la capacità di relazionarsi con il mondo delle “cose” e delle “persone”, anche quando questi accelerano rapidamente i loro cambiamenti. Non stupisce perciò l’attenzione posta da Future Brand proprio sul rapporto tra need forti del femminile contemporaneo e i settori della comunicazione, packaging, moda, design, arte, retail... L’agenzia ha concluso da poco una ricerca specifica, in cui ha individuato e analizzato sette mondi femminili e relative declinazioni: “Back to the nest Domestic goddess style”, “Full integrity - Into the wild”, “Deep caring - Natural clues”, “Elegant femininity Global bourgeois”, “Fifth element -Dream&poetry”, “No ages - Pink re-birth”, “Urban Assertiveness -
Luxury & Performance”. Approfondiamo l’argomento con Silvia Barbieri, FB Head of Strategy. Cosa ha spinto Future Brand verso questa ricerca? La maggiore complessità del mercato al femminile, rispetto a quello maschile, o l’interesse delle aziende verso questo mercato? Le donne hanno un ruolo storicamente molto forte nel mondo dei consumi, per diverse ragioni: hanno una maggiore propensione al consumo, acquistano per conto di altri
(sono le cosiddette “responsabili d’acquisto”) e hanno una grande influenza anche quando non compiono direttamente la scelta del consumo. Le donne sono, insomma, protagoniste del mercato. Ma gli stili da voi individuati, abitano solo i mercati più maturi come Europa, USA, Giappone... O pensa che possano essere individuati anche in mercati emergenti come Russia, Cina...? Ormai il consumo è globale, perciò sono globali tanto i bisogni quanto gli stili che catturano quei bisogni. Per chi svolge il nostro lavoro ha più senso raggruppare i target per bisogni e non più per area geografica. Naturalmente non possiamo escludere che certi stili abbiano una maggiore rappresentatività in certi luoghi piuttosto che in altri. In Russia, per esempio, stanno vivendo una stagione del consumo che ricorda l’era degli status symbols degli anni ‘80 occidentali. Perciò oggi in Russia Luxury & Performance è uno stile più rappresentativo di altri. Qual è il capitolo su cui state lavorando maggiormente in questo momento? Uno degli stili che stiamo approfondendo - e che interessa anche la moda, il design, l’architettura - è Natural Clues. Una scelta quasi inevitabile, vista la forza con cui si sono imposti all’attenzione pubblica e individuale i temi della salute e dell’ecologia. Pensiamo che questa sia una
sorta di reazione ri-equilibrante, nata dal massiccio avanzamento del mondo digitale, dell’inquinamento, dei ritmi di vita quasi innaturali a cui ci ha portato la forte urbanizzazione. Cerchiamo il buono e la serenità nella Natura. Una natura benigna a tutti gli effetti, piegata ai nostri bisogni, antidoto naturale al degrado fisico e mentale. Tuttavia si sta facendo strada una nuova tendenza, che abbiamo definito Into the wild. È una tendenza culturalmente molto interessante anche se ancora debole, almeno nel packaging. Into the wild, una sorta di evoluzione di Natural Clues , rappresenta il desiderio di una natura selvaggia, non addomesticata ai nostri bisogni, forte e a volte perfino traditrice, perché intatta e dominatrice. Potremmo definirlo un stile “bifronte” perché, se da un lato è l’estremizzazione del desiderio di natura, dall’altro porta dentro di sé l’amara consapevolezza che il nostro progresso ha fatto ammalare la natura, privandola della sua forza primigenia.
Facciamo un esempio. Che relazione c’è, oggi, tra il packaging di prodotti femminili e le tendenze o i segni della moda? Una relazione forte, ma non necessariamente preferenziale: perchè la creatività moderna, in generale, gioca su continui rimandi e re-interpretazioni. È come se esistesse una sorta di rete immaginaria dell’energia creativa, che si auto-alimenta stimolando i diversi attori. Il creatore chiuso nella sua superiorità, nella sua torre d’avorio, di fatto non esiste
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Il packaging è uno di quei rari prodotti dell’ingegno umano in grado di materializzare (nel senso di dare un corpo tangibile) i riferimenti culturali del pubblico. È d’accordo? Assolutamente sì, anche se penso che questo accada in modo forse inconscio e poco consapevole. Il packaging, avendo dimensioni fisicamente
ridotte, fa un uso dei segni estremamente sofisticato, complesso e sottile. Nel progetto del pack gli operatori del settore fanno naturalmente scelte molto consapevoli, ma il risultato è un insieme di segni che influenza la scelta in modo sottile, mai troppo palesemente.
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Quello che incuriosisce nella vostra ricerca è l’individuazione di tendenze molto diverse tra loro: Nature vs Pink Anarchy o Luxury vs Dream & Poetry. Dobbiamo pensare ad un universo femminile che vive di opposizioni o si tratta piuttosto di complementarità? Entrambe le cose: parliamo di complementarità quando - come spesso succede - vediamo lo
stesso consumatore compiere scelte assai diverse. Ma questo accade perchè, semplicemente, lei (o lui) sta seguendo il need o il mood del momento. Altre volte assistiamo invece a vere e proprie opposizioni perché seppur in modo decrescente ci sono intere fette della popolazione legate, in modo quasi esclusivo, ad un solo stile. È la conseguenza dell’accelerazione dei movimenti sociali e dei fenomeni culturali. Fino ad alcuni anni fa un trend emergeva, dominava per un certo periodo e poi si diffondeva nel corpo sociale. Il percorso oggi è lo stesso, ma la sua durata si è incredibilmente velocizzata, e poiché non tutti i consumatori assorbono i cambiamenti con la stessa rapidità, accade che nel corpo sociale, per un certo periodo, coesistano popolazioni radicalmente diverse, in funzione del loro grado di apertura alle novità.
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Packaging: Plural, Female Maria Gallo
quasi più: la creatività di oggi è il frutto di una continua coproduzione tra mondi della cultura e della comunicazione. Le idee viaggiano dalla musica alla moda, al cinema, al design, alla pubblicità, al packaging... e ritorno.
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Nei diversi insight della vostra ricerca non viene mai citato il dato anagrafico, eccetto nel capitolo Pink Anarchy: «...gioco a sentirmi donna o bambina, a prescindere dalla mia età anagrafica reale». Forse l’età non è più un fattore determinante per la codifica dei target femminili? L’età - tranne che per settori estremi o per mercati particolari - non è più una variabile forte. La cultura contemporanea ha ucciso l’età anagrafica, perché oggi l’età è assolutamente situazionale. Ci comportiamo e pensiamo, in un dato momento, secondo età diverse, indipendentemente dall’età reale. Una domanda “tecnica”: quante ricerche realizzate ogni anno e quanti professionisti lavorano alla loro produzione? Svolgiamo un minimo di tre o quattro ricerche l’anno e il numero dei professionisti che vi contribuisce coincide con il numero dei dipendenti. In Future Brand lavoriamo tutti insieme, ognuno con i suoi ricettori sul reale, per trasformare la nostra capacità di leggere i consumatori, in valore per le marche su cui lavoriamo.
The female universe has its ability to relate to the world of “things” and “people” written in its DNA, even when those things and people are changing rapidly. It is therefore unsurprising if Future Brand is focussing on the relationship between the strong needs of the contemporary female and sectors such as communication, packaging, fashion, design, art, retail… The agency has just concluded a specific study in which they identified and analysed seven female worlds and their declinations: “Back to the nest Domestic goddess style”, “Full integrity - Into the wild”, “Deep caring - Natural clues”, “Elegant femininity - Global bourgeois”, “Fifth element Dream&poetry”, “No ages - Pink re-birth”, “Urban Assertiveness - Luxury & Performance”. We examine the subject in more depth with Silvia Barbieri, FB Head of Strategy. What led Future Brand to this study? The greater complexity of the female market compared to the male market, or companies’ interest in this market? Historically women play a powerful role in the world of consumption, for various reasons. They have a stronger propensity to consume, they buy on behalf of other people (they are those in charge of buying) and wield an enormous influence even when they are not directly involved in choosing consumer goods. Women are, in brief, market protagonists. But are the styles you have identified only found in more mature markets such as Europe, the USA, Japan… Or do you think that they can be found in emerging markets like Russia and China too…? Consumption is now global, and so are the needs and styles which capture those needs. For those in our profession it makes more sense to group targets in terms of needs and no longer in terms of geographical area. Naturally, we cannot rule out the fact that certain styles are more representative in certain places rather than in others. In Russia, for instance, they are experiencing a period of consumption which recalls the era of the western status symbols of the eighties. So, in Russia Luxury & Performance is a more representative style than any of the others.
What chapter are you working on most at the moment? One of the styles we are investigating - and which also involves fashion, design and architecture- is Natural Clues. It is an almost inevitable choice considering the impact that health and environment themes have had on the public and on the individual. We believe this is a kind of way of redressing the balance, in light of the massive advance of the digital world, pollution and the almost unnatural paces of life that urbanisation has led us to. We seek out the goodness and serenity of nature. A benign nature in every respect which bends to our needs and is a natural antidote to physical and mental deterioration. However, a new trend, which we have called Into the Wild is making inroads. This trend is extremely interesting from the cultural point of view though still weak, at least in terms of packaging. Into the Wild, a kind of development of Natural Clues, represents a desire for a wild nature, not bowed to our needs, strong and even treacherous, virginal and masterful. We could define it as a “two-faced” style as while, on one hand, there is the exasperation of the desire for nature and, on the other, there is the bitter awareness that our progress has caused nature to become sick, depriving it of its primitive force.
Packaging is one of those rare products of human genius able to materialise (in the sense of giving a tangible form to) the public’s cultural references. Do you agree? Absolutely. Even though I think that this happens in a perhaps unconscious and rather artless way. Packaging, being limited in terms of volume, uses extremely sophisticated, complex and subtle signs. In pack design sector operators naturally make extremely conscious choices yet the result is a collection of signs which influence the decision subtly and never too obviously.
What is interesting about your study is the identification of trends which are very different from one another: Nature vs Pink Anarchy or Luxury vs Dream & Poetry. Should we think of a female universe which feeds on oppositions or is it more a question of being complementary? Both. We talk about complementariness when - as often occurs - we see the same consumer making rather different choices. But this mostly happens because, put simply, she (or he) is responding to the need or mood of the moment. At other times we see veritable oppositions since - though less and less so there are entire sections of the population linked almost exclusively to a single style. It is the consequence of the acceleration of social movements and cultural phenomena. Until a few years ago a trend emerged, dominated for a while and then spread through society. Nowadays the same thing happens but it is incredibly fast and, because not all consumers absorb changes at the same speed, it may be that radically different populations coexist within a society, depending on their degree of openness towards the new.
In the various insights of your study there is no mention of personal data, except in the chapter Pink Anarchy: «... I play at feeling woman or child, independently of my true age». Perhaps age is no longer a decisive factor in codifying female targets? Age- except for extreme sectors or particular markets- is no longer a strong variable. Contemporary culture has killed age because today age is absolutely situational. We behave and think, at any given moment, as though we were a certain age, independently of our true age.
Let’s give an example. What relationship is there nowadays between the packaging of female products and fashion trends or signs? A strong but not necessarily preferential relationship. Because modern creativity generally plays on continual references and reinterpretations. It is as though there were a kind of imaginary network of creative energy which feeds upon itself, stimulating various players. The superior creator in his ivory tower no longer exists in reality. Creativity nowadays is fruit of a continuous co-production between worlds of culture and communication. Ideas travel from music to fashion, to cinema, to design, to advertising, to packaging… and back.
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A technical question. How many studies do you carry out every year and how many experts are involved in them? We carry out at least three or four studies a year and the number of experts who contribute coincides with the number of staff. In Future Brand we all work together, each with his antenna tuned to the real world, in order to transform our ability to read consumers into a value for the brands we are working for.
SPAZZA TURA EMOZIO NALE
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Marco Senaldi
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Pensare positivo fa bene, ma per farlo non basta mettere da parte il pessimismo e focalizzare la mente su pensieri piacevoli, talvolta è necessario liberarsi - anche materialmente - di oggetti che possono generare ricordi sgraditi e, di conseguenza, emozioni negative. Stephen Woowat con il suo progetto Positive, sviluppato quando era studente alla Staffordshire University in Inghilterra e poi vincitore del MPA Roses Student Creativity Awards, ci invita a fare proprio questo. Prendete le foto del vostro “ex” o di alcune performance poco edificanti, oppure raccogliete oggetti che vi rimandano a luoghi e a persone che volete dimenticare; inserite tutto nella Negativity Refuse Bag e, dopo averla sigillata bene, chiudete gli occhi, fate un respiro profondo e gettatela nella spazzatura insieme agli altri rifiuti. Finalmente liberi. Sempre alla Staffordshire University, Sthephen ha sviluppato anche altri concept in cui il packaging svolge la parte del leone, tra essi SandBox e The Design Police. SandBox, è un concept brand che, con scatole colorate e dal design accattivante, promuove la commercializzazione della sabbia per differenti usi possibili. Ad esempio, scegliendo la rossa confezione FireBox, si possono, all’occorrenza, spegnere piccoli incendi, mentre con la GolfBox è facile creare una buca da golf in ufficio per giocare durante la pausa pranzo, oppure, per ammazzare la noia e tornare bambini la PlayBox fornisce l’occorrente per costruire un castello di sabbia. Di tutt’altro genere è The Design Police, un progetto grafico, ironico e provocatorio che ha lo scopo di educare i designers ad identificare e correggere il cattivo design. Attraverso il “Visual Enforcement Kit”, un set di adesivi e di pennarelli rigorosamente dalla punta rossa, si può segnalare quali sono gli aspetti negativi di un visual in modo da rafforzare ed incentivare la buona comunicazione. Il kit è attualmente scaricabile in formato pdf dal sito www.design-police.org. Io l’ho già fatto, e una volta stampato sarò pronto, armato della mia critica adesiva, a lasciare il segno sul brutto design che mi circonda.
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Emotional Rubbish Marco Senaldi Thinking positively is good for you but in order to do so it is not enough merely to put aside your pessimism and focus the mind on pleasant thoughts. Sometimes it is necessary to get rid of objects which can generate unpleasant memories and, consequently, negative emotions. Materially speaking too. Stephen Woowat with his Positive project, developed when he was a student at the Staffordshire University in England and then winner of the MPA Roses Student Creativity Awards, invites us to do precisely this. Take the photos of your ”ex” or some far from edifying performances or gather objects which remind you of places and people you would rather forget. Put everything into a ”Negativity Refuse Bag” and, after sealing it carefully, close your eyes, take a deep breath and throw it into the bin together with all the other rubbish. Free at last. At Staffordshire University Stephen has developed other concepts too, in which packaging takes the lion’s share, including SandBox and The Design Police. SandBox, is a concept brand whose colorful boxes and winning design promotes the marketing of sand for various potential uses. For instance, by choosing the red packaging FireBox, you can, if necessary, put out small fires, while with GolfBox it is easy to create a hole in the office so you can play golf during your lunch break or, if you want to stifle boredom and act
like a kid again, PlayBox supplies everything you need to build a sand castle. The Design Police is a whole different genre. The purpose of this graphic, ironic and provocative design is to educate designers to identify and correct bad design. Through the “Visual Enforcement Kit”, a set of stickers and felt tip pens with strictly red nibs, you can signal the negative aspects of a visual in such a way as to reinforce and encourage good communication. The kit is currently downloadable in pdf format from the website www.design-police.org . I have already downloaded it and, once printed, I will be ready, armed with my critical stickers, to leave a mark on the ugly design that surrounds me.
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By keeping the pace to the latest technologies and material researches AMB offers a full range of constantly updated solutions to preserve and maintain unaltered the organoleptic qualities of the products by means of vacuum or modified atmosphere packaging.
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Ceci n’est Pas un Bijoux de Papier!
Gioielli, borse e packaging di carta sono la nuova frontiera del lusso ecologico secondo la designer Sandra Di Giacinto, presente ormai nei gift-shop museali di tutto il mondo.
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Rosita Fanelli
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Pensare a un gioiello, generalmente, significa ancora oggi immaginare qualcosa di pregiato, in oro o argento e pietre rare. Sandra Di Giacinto sovverte i canoni, sostituisce il metallo e le pietre con la carta riciclata, cambiando così la valenza che oggi si dà al termine “prezioso”, ma mantenendone intatti l’unicità, l’estro e l’originalità. La designer - grazie a plissettature, pieghe e incollaggi - realizza gioielli preziosi come i più tradizionali monili perché, in questi oggetti, è stata capace di racchiudere un’idea, un pensiero, una filosofia tutta contemporanea. Forse la definizione migliore per opere come queste, che negli anni Sessanta sarebbero state probabilmente catalogate come Arte Povera, è “ecosostenibilità al servizio del lusso”. E ancora, la leggerezza della carta è una caratteristica nota a tutti, ma non certo la sua resistenza, eppure Sandra, con le sue abili mani è riuscita a rendere “eterni” bijoux fatti di
fogli e cartone plissetati. Tanto che alcuni suoi pezzi sono stati selezionati per la collezione “Gioiello Italiano Contemporaneo: tecniche e materiali tra arte e design” - una mostra inaugurata a Vicenza, ospitata poi al Castello Sforzesco di Milano nei giorni del Salone del Mobile 2008 e proseguita a luglio nel prestigioso Kunstgewerbemuseum di Berlino - dove La Di Giacinto esponeva accanto alle grandi firme della gioielleria italiana come Bulgari e Buccellati. Chi è Sandra Di Giacinto? Qual è la tua formazione e come ti sei avvicinata al mondo della carta? Sono diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma e ho seguito un percorso artistico che mi ha occupato prima nei disegni per tessuti, poi per complementi d’arredo. Da sempre però sono stata attratta dalla carta e dal cartone realizzando cornici ed altri elementi con questi materiali. La sfida è stata quella di riuscire a ricavare da materiali
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semplici, apparentemente poveri, accessori originali, essenziali, grafici con un alto contenuto innovativo. Gioielli di carta, quasi un ossimoro… Ma da dove deriva il loro “essere preziosi”? Parlare semplicemente di gioielli di carta può essere riduttivo e fuorviante, ecco perché preferisco invece la definizione di gioiello contemporaneo. Sono oggetti il cui valore è nel progetto perché, come sosteneva Enzo Mari “la qualità di un progetto dipende dal grado, sia pur minimo, di cambiamento culturale che innesca”. Nei miei accessori c’è il richiamo all’arte, al dadaismo, all’architettura.
In concreto, reinterpretano tecniche e materiali della tradizione italiana secondo un’estetica contemporanea, dove il design si configura come elemento d’innovazione. Infine… non sono fragili: basta semplicemente un minimo d’attenzione, come quando si indossa una collana di perle… Che carte utilizzi per i tuoi gioielli? Hai mai plissettato carte laminate d’oro o argento? I miei sono gioielli contemporanei, leggeri, resistenti e ricercati, che utilizzano materiali innovativi, da
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legatoria, telati, metallizzati o spalmati in pvc, oppure cartoni riciclati e resinati, plissettati a caldo. La tua produzione è fatta non solo di gioielli ma anche di borse e packaging. Qual è l’espressione artistica migliore nella resa della carta? Forse in ordine di preferenza i gioielli rimangono al primo posto. In questo momento sono però particolarmente soddisfatta dalle mie borse plissé in ecopelle, dove utilizzo soprattutto le pagine del Corriere della Sera e di Repubblica, che vengono assemblate e trattate con una resina speciale. Ogni pezzo appare simile, eppure è sempre diverso dato che viene realizzato a mano con differenti immagini e testi di giornali, che diventano composizioni artistiche uniche. Come sono state accolte dal mercato le tue proposte? Il mercato francese, con le sue fiere specializzate, rimane
un’importantissima vetrina internazionale e sembra essere il più benevolo nei confronti delle mie opere. Il mercato italiano è, generalmente, più tradizionalista e meno ricettivo alle novità. Ciononostante al momento ho un’ottima collaborazione con le boutique Fabriano di Roma e Milano. Un altro mercato europeo promettente per i miei prodotti è quello spagnolo, mentre per quanto riguarda i mercati extra UE da quest’anno sono presente in Giappone e, nonostante il cambio sfavorevole del dollaro, sarò presente anche nella nuova sede del Museo del Design di New York (MAD). A questo proposito gli store all’interno dei musei d’arte rimangono per me degli ottimi punti vendita, come ad esempio quello del Museo di Arte Contemporanea del Lussemburgo (MUDAM).
2/08 Rosita Fanelli, critica d’arte e curatrice di mostre. Collabora con riviste su carta e on-line per le sezioni arte, architettura, design e packaging.
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Per far conoscere i tuoi prodotti funziona ancora il passaparola o credi nell’importanza della carta stampata e dunque della comunicazione attraverso il materiale da te tanto amato? Direi che funziona bene il passaparola e sicuramente gli articoli sulle riviste specializzate. Altrettanto efficace è il mondo di internet e dei bloggers. Pensa che una simpatica blogger aveva inserito i miei gioielli tra i regali richiesti on line a Babbo Natale!
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Ceci n’est Pas un Bijoux de Papier! Paper jewellery, bags and packaging are the new frontier of ecological luxury according to designer Sandra Di Giacinto, now found in museum gift-shops all over the world.
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Rosita Fanelli Generally, the idea of jewellery still means something precious, made of gold or silver or rare gems. Sandro Di Giacinto subverts the canons and substitutes metal and stones with recycled paper, thus changing the meaning we give to the term precious nowadays, but keeping intact the uniqueness, the inspiration and the originality. The designer- by pleating, folding and gluingmakes jewels which are just as precious as the most traditional of jewels because, with these objects, she has been able to encapsulate an entirely contemporary idea, a thought, a philosophy. Perhaps the best definition for works like these, which, in the sixties, would probably have been catalogued as Arte Povera, is “environmental sustainability at the service of luxury”. Moreover, while everyone knows how light paper is, not everyone knows how resistant it is. And yet Sandra, with her skilled hands, has succeeded in making “eternal” bijoux out of pleated sheets and cardboard. To the extent that some of her pieces have been selected for the collection “Gioiello Italiano Contemporaneo: tecniche e materiali tra arte e design” - an exhibition inaugurated in Vicenza and then held at Castello Sforzesco in Milan during the Salone del Mobile 2008 , continuing in July at the prestigious
Kunstgewerbemuseum of Berlinwhere Di Giacinto exhibits alongside great Italian designers such as Bulgari and Buccellati. Who is Sandra Di Giacinto? What is your training and how did you approach the world of paper? I graduated in sculpture from the Academy of Fine Arts of Rome and I set out on an artistic career which saw me working first in fabric design and then in furnishing accessories. However, I have always been attracted by paper and cardboard, making frames and other elements from these materials. The challenge was to succeed in creating original, essential, graphic accessories with a high innovative content from simple, apparently poor materials. Paper jewellery, almost an oxymoron… Where does its preciousness derive from? To call it simply paper jewellery may be limiting and misleading. This is why I prefer the definition of contemporary jewellery. The value of these objects lies in their design since, as Enzo Mari claimed, “the quality of a design depends on the degree, albeit minimal, of cultural change it triggers.” In my accessories there are references to art, to Dadaism, to architecture. In concrete terms they reinterpret traditionally Italian techniques and materials according to a contemporary aesthetic, where design is an element of innovation. Finally.. they are not fragile: all that is needed is a bit of care, just like when you wear a pearl necklace… What kind of paper do you use for your jewels? Have you ever pleated gold or silver laminated paper? My jewellery is contemporary, lightweight,
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resistant and refined, using innovative materials from bookbinding, linen, PVC spread metallic, or recycled and resined, hot pleated cardboard.
Is word of mouth still the best way to get your products known or do you believe in the importance of printed paper and, therefore, advertising through the medium you love so much? I would say that word of mouth and, certainly, articles in specialised magazines work well. Equally efficient is the world of internet and bloggers. Just think, a nice blogger added my jewels to the gifts requested from Father Christmas on line!
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Rosita Fanelli, art critic and museum curator. She works with magazines on paper and on-line in art, architecture, design and packaging sectors.
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Your production consists not just of jewellery but also of bags and packaging. Which works best in paper ? Perhaps, in order of preference, jewellery remains in first place. At the moment however I am particularly satisfied with my plissĂŠ bags in faux leather, where I use mainly pages of Corriere della Sera and Repubblica, which are assembled and treated with a special resin. Each piece looks alike and yet is always different, given that it is made by hand using different pictures and articles from newspapers, which become unique artistic compositions.
How has the market greeted your ideas? The French market, with its specialised fairs, remains a very important international showcase and seems to be the most benevolent towards my works. The Italian market is generally more traditionalist and less receptive to novelty. Notwithstanding this, at the moment I have an excellent working partnership with the Fabriano Boutique in Rome and Milan. Another promising European market is Spain, while as far as countries outside the European Union are concerned, I sell my work in Japan and, despite the unfavourable dollar exchange rate, I will have a space at the new Museum of Design of New York (MAD). Museum shops are still excellent sales points for me, like, for instance, the shop at the Museum of Contemporary Art in Luxembourg (MUDAM).
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H2 Luca Aragone
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Joe Velluto Have a nice rain! (part.)
Alberto Meda Francisco Gomez Paz Solar Bottle (part.)
«Progettare l’acqua sembra un assurdo. Ma dal momento che sempre più dovremo confrontarci con temi ambientali, allora il design non può esimersi dal progettarla in tutte le sue vesti». Le parole dell’architetto Roberto Marcatti, curatore della mostra e del saggio H2O nuovi scenari per la sopravvivenza (Cusl, 2006), riflettono molto bene quale pensiero stia alla base del lungo lavoro di sensibilizzazione verso uno dei grandi problemi che attanagliano il nostro pianeta: l’acqua. Se pensiamo che un abitante su due della Terra, tre miliardi di persone, abita in case prive di sistema fognario e che seimila bambini al
giorno muoiono per mancanza e per malattie derivanti dall’acqua, allora lo scenario davanti ai nostri occhi diventa decisamente catastrofico e scuotere le coscienze è quantomeno necessario. Dice ancora Marcatti: «Dedicare all’acqua una mostra è stato un modo per sensibilizzare la cultura del progetto attraverso la presa di coscienza di un problema globale, a volte sottovalutato, a volte non dichiarato anche per motivi di interesse economico e a volte non preso in considerazione per mancanza di informazione ed educazione». Per l’occasione sono stati chiamati a raccolta più di cento tra architetti, grafici e designer che con tavole, disegni, schizzi e provocazioni hanno riflettuto su questo tema, ottenendo risultati importanti ed in alcuni casi anche alti riconoscimenti. Il contenitore d’acqua “tecnologico” per le donne africane di Daniela Puppa; la bottiglia per purificare con il sole di Alberto Meda e Francisco Gomez Paz; il progetto di serbatoio idrico di Alberto Ferruzzi; la doccia solare di Fabio Lenci; fino ad arrivare all’ascensore idraulico di Luigi Centola… Sono tutte proposte e progetti realistici e fattibili che riguardano i vari aspetti e gli impieghi di questo bene prezioso, a partire dalla raccolta dell’acqua, fino alla sua purificazione, al trasporto, alla distribuzione, al riciclo e ai cambiamenti climatici correlati. Di recente, ad ampliare ancora di più la mostra, sono stati coinvolti anche gli studenti di due importanti accademie italiane, la NABA di Milano e l’ISIA di Roma, che coordinate dallo stesso Marcatti e da Cintya Concari, hanno potuto dire la loro affrontando questo tema con creatività ed entusiasmo.
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Entrambe le scuole, hanno dato vita a momenti di confronto e discussione all’interno delle proprie attività didattiche, traducendosi poi in atti creativi e di progettazione che rispecchiano quali siano oggi le nuove esigenze sociali. Ad esempio, sono stati sviluppati progetti sulla raccolta dell’acqua contenuta nella nebbia, sistemi d’irrigazione destinati all’agricoltura e procedimenti per la purificazione dell’acqua attraverso il vapore prodotto dalla preparazione dei cibi; o ancora, apparecchi elettronici che gestiscono il flusso dell’acqua durante una doccia per evitare sprechi o campagne pubblicitarie per sensibilizzare al problema con immagini di forte
impatto emotivo. Questa mostra itinerante, inaugurata nel 2006, corre ormai veloce come un fiume in piena e ha già “bagnato” con le sue opere molte città italiane; si è spinta anche oltreoceano raggiungendo alcune città del Canada. H2O è molto più di una semplice esposizione di progetti o di un’esercitazione accademica, è un’idea in continua evoluzione che esplora le molteplici strade della comunicazione sociale. In rete potete visitare il sito internet e il blog, dove si possono leggere e discutere ogni giorno nuove importanti notizie sul mondo dell’acqua. www.h2omilano.org/blog
Mario Piazza Tanti bicchieri, poca acqua (part.)
James Irvine Sunset in San Francisco (part.)
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Progetto degli studenti dell’ Accademia ISIA di Roma
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Luca Aragone «Designing water seems absurd. But as we must increasingly tackle environmental problems, we cannot avoid it». The words of architect Roberto Marcatti, curator of the exhibition and essay H2O nuovi scenari per la sopravvivenza - H2O New Scenarios for Survival (Cusl, 2006), reflect the philosophy which lies at the root of the lengthy work of sensitising people towards one of the greatest problems tormenting our planet: water. If we think that one in two of earth’s inhabitants, or three billion people, live in houses without plumbing and that six thousand children die every day due to lack of water and diseases deriving from water, then the scenario we are faced with becomes decidedly catastrophic and shaking people’s consciences is, at the very least, necessary. Marcatti says: «Dedicating an exhibition to water was a way of sensitising people to the culture of design through raising their awareness of a global problem, sometimes underestimated, sometimes not declared for economic reasons and sometimes not taken into consideration due to lack of information and education». For the occasion more than a hundred architects, graphic artists and designers were gathered together who, with canvases, drawings, sketches and provocations, reflected on this theme, achieving important results and, in some cases, winning prestigious awards. The “technological “ water container for African women by Daniela Puppa; the bottle purified by the sun by Alberto Meda and Francisco Gomez Paz; the design for the water tank by Alberto Ferruzzi; the solar shower by Fabio Lenci and, finally, the hydraulic lift by Luigi Centola… They are all realistic and feasible ideas and projects which regard the various aspects and uses of this precious commodity, from the collection of water, to its purification, transport, distribution, recycling and correlated climatic changes. Recently, to expand the exhibition even further, students of two important Italian academies were invited to get involved: NABA of Milan and ISIA of Rome which, coordinated by Marcatti and Cintya
Progetto degli studenti dell’ Accademia ISIA di Roma
Concari, were able to have their say, tackling this theme with creativity and enthusiasm. Both schools generated instances of comparison and discussion during classes, transforming them into creative acts of design which reflect today’s social demands. For example, projects regarding the collection of water contained in fog, irrigation systems destined for agriculture and procedures for the purification of water through vapour produced by the preparation of foods or electronic devices which manage the flow of water during a shower in order to avoid waste or advertising campaigns to raise awareness of the problem using images which make a strong emotional impact. This travelling exhibition, inaugurated in 2006, now moves as fast as a swollen river and has already “wet” many Italian cities with its works. It has even gone abroad, reaching some cities in Canada. H2O is much more than a simple exhibition of designs or an academic exercise. It is a constantly evolving idea which explores the multiple avenues of social communication . On the internet you can visit the website and blog where you can read and discuss important news regarding the world of water everyday. www.h2omilano.org/blog
News Packaging desiderabile e durevole Si terrà a Montecarlo, il 30 e 31 ottobre, il 36° congresso del PDA (Pan European Brand Design Association) l’associazione che riunisce i professionisti del brand, del packaging e del corporate design. Il tema su cui si articolerà il simposio è quello dell’eco-design, argomento di forte attualità e importanza, giustificato dalla ormai pressante necessità di ripensare il packaging secondo nuovi approcci e comportamenti. La protezione dell’ambiente e le buone strategie per la gestione dei rifiuti sono ormai criteri di marketing, che i designer e i creativi di tutto il mondo non possono più sottovalutare. Questo
implica la capacità di produrre nuove visioni, scenari inediti e soprattutto ricerca ed innovazione sostenibile. Significa dimenticare pratiche e processi produttivi ormai obsoleti anche se consolidati; significa ammettere che è giunto il tempo di far propria una nuova filosofia sia di vita che di produzione, abbracciando le tematiche dell’eco design e applicandole in contesti in cui il packaging è protagonista: la grande distribuzione, la logistica e persino il comportamento del consumatore. Durante il congresso sarà analizzato, seguendo diverse prospettive e punti di vista, l’apparente conflitto tra il packaging
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production and make it ones own, embracing the themes of eco design and applying them to contexts where packaging is protagonist: broadscale distribution, logistics and even consumer behaviour. During the congress, according to different prospects and points of view, the apparent conflict between complex and luxury packaging and environmental protection will be analysed. One will try to reconceive packaging as durable but also desirable goods, because the challenge of the new century will be “ecoinnovation”, light and resistant materials technologies with a lower impact, high functional performance and service without naturally losing out on appeal and aesthetics. Among the speakers at the convention: Fabrizio Bernasconi (president of PDA Italia) Patrick Jouslin de Nouray (Environment and External Relations Head Tetra Pak France) and Sylvie Bénard (Manager for Environmental Services LVMH).
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Desirable and durable packaging The PDA - the Pan European Brand Design Association - that unites European brand, packaging and corporate design professionals, will be holding its thirty-sixth congress at Montecarlo 30th -31st October. This year’s symposium will be organized around the theme of eco-design, subject currently of high importance, justified by the now pressing need to rethink packaging according to new approaches and behaviours. Environmental protection and good waste management strategies are by now marketing criteria that designers and creatives all around the world cannot afford to underrate. This implies the capacity to produce new visions, unusual scenarios and aboveall sustainable research and innovation. It means forgetting manufacturing processes and procedures that have become obsolete even if consolidated; it means admitting that the time has come to adopt a new philosophy both of life and of
complesso e di lusso e la protezione dell’ambiente. Si cercherà di ripensare agli imballaggi come beni durevoli ma anche desiderabili perché la sfida del nuovo secolo sarà l’ “eco-innovazione”, materiali leggeri e resistenti, tecnologie meno impattanti, altissime prestazioni funzionali e di servizio senza naturalmente perdere in appeal ed estetica.Tra i relatori del convegno: Fabrizio Bernasconi (presidente PDA Italia); Patrick Jouslin de Nouray (Direttore Environment and External Relations Tetra Pak France) e Sylvie Bénard (Manager for Environmental Services LVMH).
identità dinamica Artefice è un laboratorio creativo milanese che, dal 1996, interpreta il proprio lavoro come un percorso profondo nelle brand, offrendo servizi di consulenza strategica, innovazione di prodotto, branding, pubblicità e packaging. Attraverso il “Sistema delle Identità Dinamiche”, Artefice definisce una struttura di comunicazione in grado di viaggiare velocemente in superficie, di mutare in modo naturale e di conservare intatto il cuore dei valori di un prodotto e di una marca. Nell’open space dove ha sede l’agenzia, abbiamo incontrato il direttore creativo Pier Benzi.
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L’attività di Artefice spazia dal pack design alla grafica, dalla progettazione di eventi a quella di corporate identity, di restyling... Esiste un collegamento fra tutto questo, e in sintesi, come si potrebbe esprimere? Naturalmente esiste un collegamento. Nasce dall’anima che il prodotto deve incarnare, nell’interpretazione di un mercato, di un mondo; riguarda la natura di oggetti che hanno comunque un destino commerciale. Il legame consiste proprio in questo, in un’architettura che c’è e non si vede, che ha la necessità di traslare e permettere al prodotto, alla sua anima, alla sua immagine di vivere in situazioni estremamente diverse.
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Luca Aragone
Nel vostro sito sono riportati i punti salienti di quello che viene definito il “Sistema delle Identità
Dinamiche”, in cosa consiste esattamente e soprattutto quali ricadute ha nella vostra attività? È la necessità di prefigurare… non uno scenario futuro ma la possibilità stessa di produrre scenari futuri. Mi spiego meglio: il tentativo è quello di riuscire a creare un’identità che sia sufficientemente forte per lavorare all’interno dei canoni storici di ogni marchio/prodotto ma altrettanto aperta a transitare attraverso il tempo, in modo che i canoni stessi non rappresentino dei vincoli invalicabili ma delle opportunità. Abbiamo per esempio avvertito questa esigenza durante il lavoro che facemmo in occasione delle Olimpiadi
prodotto. Abbiamo prima di tutto cercato di eliminare alcune paure, e questo lo si è potuto fare offrendo al cliente la possibilità di percorrere la strada insieme. La collaborazione era già iniziata in precedenza con lo sviluppo, già in un’ottica innovativa, di una gamma di grappe e liquori dopo pasto; una tale conoscenza reciproca si è poi rivelata utile
portato alla definizione di un logo composito, in grado di attraversare le due identità senza piegarle l’una all’altra ma, al contrario, potenziandole nel messaggio di passione e spirito sportivo proprio delle Olimpiadi.
per poter sviluppare il progetto Amaro Averna in maniera interessante e che ha portato alla realizzazione del design della bottiglia e dell’etichetta di un prodotto dalla storicità assoluta, presente sul mercato fin dal 1868. Il percorso di lavoro ha previsto il confronto con la storia e la tradizione secolari di questo amaro. Gli obiettivi primari del progetto hanno risposto alla necessità di pensare a una bottiglia proprietaria e distintiva più slanciata, volta a sostenere il mood di Averna con il suo “gusto pieno della vita” e a rinnovare il prodotto nell’assoluto rispetto della tradizione. Siamo così arrivati a creare assieme al cliente un’identità di marca forte, riconoscibile, capace di esprimersi al meglio, oltre che nella classica bottiglia da 75 ml, anche in tutti gli altri formati di gamma. Talvolta nel pack design contemporaneo si parla di
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In che modo è possibile coniugare l’identità di marca con l’innovazione? È molto importante che ci sia coerenza in questo passaggio e si deve innanzitutto operare per avere una buona visione del passato e della storia di un marchio, affinché poi nel futuro questi possa essere individuato al meglio. Un esempio significativo è il lavoro per l’amaro Averna. In questo caso parliamo di un settore molto complesso e abitualmente poco dinamico, all’interno del quale ci siamo confrontati non con i referenti di una multinazionale ma con una famiglia proprietaria che ha quindi sempre vissuto un rapporto emotivo con il proprio
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invernali di Torino (2006). In quella situazione ci siamo trovati di fronte alla necessità di raccogliere in un unico segno due identità molto distinte, forti e indeformabili come quella di Coca-Cola e quella individuata per l’occasione dal Comitato Olimpico. Ciò è stato possibile negando e successivamente riaffermando le rigorose linee guida delle due corporate e ha
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esperienza nostalgica del consumo. Cosa significa? Dobbiamo distinguere due diverse situazioni: una dove il brand lavora in termini vintage perché il passato, la memoria, fa parte del suo DNA, un’altra dove questi riferimenti fanno parte di un’operazione puramente strategica e di marketing e il prodotto vive di questa tattica solo per un determinato tempo, tempo in cui è in atto quel tipo di tendenza. Quanto è importante oggi l’aspetto emozionale nella progettazione di packaging che devono risultare vincenti? E il colore, come si inserisce in questo discorso?
L’impatto emotivo oggi sembra essere uno degli aspetti più importanti, e sicuramente narrare attraverso il colore permette di agire sulle emozioni. Alcuni colori rappresentano delle emozioni, indipendentemente dal gusto o dalla diversa cultura del consumatore, perché attivano, attraverso le loro vibrazioni, le loro lunghezze d’onda, degli stimoli. Attraverso questi parametri - che sono più o meno oggettivi - si inseriscono anche delle soggettività. Infatti, in culture diverse dalla nostra il bianco, come il nero, possono avere altri significati rispetto a quelli da noi comunemente attribuiti; il viola e il lilla poi, sono colori di forte rottura, da noi sono
usati con cautela, ma, presso altri popoli possono essere utilizzati con molta più libertà. Sicuramente l’aspetto emotivo stimola il catching, cioè il gesto di prendere in mano un prodotto e guardarlo. Il colore, in questo caso, gioca un ruolo importantissimo. Anche se da un punto di vista teorico la palette dei colori è infinita, in realtà, soprattutto nell’ambito del packaging, le sfumature si appiattiscono una volta che vengono affiancate sullo scaffale, e quindi, per agire al meglio sull’aspetto emotivo bisognerà utilizzare adeguatamente sia la modulazione dei colori che delle grafie e dei simboli. Ad esempio, nel momento in cui si disegna un cuore verde (per intenderci, quello sulla confezione degli yogurt Danacol di Danone, Ndr.) il gioco delle emotività sarà molto forte perché viene rappresentata graficamente una negazione, una contrapposizione simbolica e concettuale, come contrapposti sono il diavolo e l’acqua santa o il predatore e la preda (e a tal proposito si veda il logo, denominato “Lupuccello”, per il brand Franciscanum che si è aggiudicato il premio Brand Identity Grand Prix nella categoria Logo Design, Ndr.). Oltre al discorso cromatico, anche l’aspetto tattile è molto importante. Se si riesce a lavorare con cognizione su entrambi questi aspetti - non sempre è possibile - si otterrà sicuramente un prodotto di successo.
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Il vostro logo (una grande A dove al suo interno s’insinua uno spermatozoo) è molto particolare. Come ha avuto origine? Di solito la soluzione che viene adottata nell’ambito della comunicazione e quindi delle agenzie, è quella di essere molto misurati nel rappresentare la propria
identità in modo da poter incontrare le istanze e le idee di tutti. Da un lato è giusto ma dall’altro crediamo che ognuno di noi debba essere se stesso. Sicuramente con questo logo dichiariamo di essere proprio quello che siamo: siamo nati con noi stessi, senza essere stati ereditati da nessuno e
siamo il frutto delle nostre mani e della nostra natura. Tutto questo lo proiettiamo nel nostro lavoro quotidiano e nella nostra creatività, io, per esempio ora sono contento di aver contribuito a mettere al mondo una figlia perché sono convinto che questo sia davvero il massimo immaginabile della creatività.
Artefice Dynamic Identity Artefice is a creative laboratory which has, since 1996, seen its work as a deep exploration of brands, offering services of strategic consultancy, product innovation, branding, advertising and packaging. With their “System of Dynamic Identity” Artefice defines a communication structure able to move quickly on the surface, to change in a natural way and to keep intact the core values of a product and of a brand. In the open space which houses the agency’s offices, we met creative director Pier Benzi. Luca Aragone
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On your website there is a list of the main points of
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Artefice’s activities range from pack design to graphics, from event planning to corporate identity, to restyling… Is there a connection between all this and how can it be described in a nutshell? Naturally there is a connection. It is born of the soul that the product has to embody, in the interpretation of a market, a world. It regards the nature of objects which anyway have a commercial destiny. The connection consists precisely in this, in an architecture which is there but which is invisible, which needs to move and allow the product, its soul, its image, to survive in very different situations.
what is defined as the “System of Dynamic Identities”. What exactly are they and, above all, what effects do they have on your work? It is the need to predict… not a future scenario but the very possibility of producing future scenarios. Let me explain better. We attempt to successfully create an identity which is sufficiently strong to work within the historical canons of every brand/product but flexible enough to travel in time, so that the canons themselves do not represent insurmountable constraints but opportunities. For example, we saw the need for this during the work we did for the Winter Olympics in Turin (2006). Then we found ourselves facing the problem of how to encapsulate two highly distinct, strong and inalterable identities such as that of Coca-Cola and the one chosen for the occasion by the Olympic Committee in a single sign. We did it by ignoring and subsequently reintroducing the strict guidelines of the two corporates, leading to the definition of a composite logo able to combine the two identities without having one bow to the other but instead strengthening the Olympic message of sportsmanlike passion and spirit.
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How is it possible to combine brand identity with innovation? It is extremely important to be coherent at this stage and, above all, to work towards achieving a clear vision of the past and the history of a brand so that they can be sharply identified in the future. One significant example is the Averna bitter project. In this case we are talking about a highly complex and generally not particularly dynamic sector where we were dealing not with a multinational but with a family business, whose owners have always had an emotional connection with their product. First of all we attempted to eliminate some of their fears and we managed to do this by offering the customer the opportunity to travel the road together. The partnership had already begun with the innovative development of a range of grappas and after dinner liqueurs. The exchange of knowledge proved useful for developing the Amaro Averna project in an interesting fashion and led to the creation of the design of the bottle and label of a legendary product, on the market since 1868. The project envisaged the involvement of the history and centuries old tradition of this bitter. The primary objectives of the project responded to the need to produce a more slender, exclusive and distinctive bottle, designed to buoy up the mood of Averna with its “full taste for life” and to renew the product while respecting its tradition. This is how, together with the client, we came to create a strong, recognisable brand identity able to express itself in every format as well as in the classic 75ml bottle.
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Sometimes in contemporary pack design we talk about the nostalgic experience of consumption. What does this mean? We have to distinguish between two different situations. One where the brand works in vintage terms as the past or memory is part of its genetic makeup and another where these references belong to a purely strategic marketing operation and the product thrives for a limited period, for as long as the trend survives. How important is the emotional aspect in successful packaging design today? And how does colour come into it? Today the emotional impact appears to be one of the most vital aspects and certainly using colour enables us to influence emotions. Some colours represent
emotions independently of the consumer’s taste or culture as they create a stimulus with their vibrations and their wavelengths. Within these parameters- which are more or less objective- there are subjectivities. Indeed, in cultures unlike ours, white, like black, can have different meanings compared to those we commonly attribute to it. Purple and lilac are colours which violate codes and which we use with extreme prudence yet in other countries they may be used with a great deal more freedom. The emotional aspect certainly stimulates “catching”, which is the act of picking up a product and examining it. In this case colour plays an extremely important role. Even though from a theoretical point of view the colour palette is infinite actually, and above all in the sphere of packaging, shades are flattened as soon as the products are lined up on the shelves and, therefore, in order to work on the emotional aspect one has to work with the modulation of colours as well as graphics and symbols. For example, when you draw a green heart (like the one on the packaging of Danone’s Danacol yoghurt, Ed) the emotive factor will be extremely powerful as graphically it represents a negation, a symbolic and conceptual contrast, just like the devil and holy water or the hunter and his prey ( see the logo,known as “Lupuccello” for the Franciscanum brand which won the Brand Identity Grand Prix in the Logo Design category, Ed). As well as the question of colour the tactile aspect is also extremely important. If you can work knowledgably with both of these aspects - something which is not always possible - then you will certainly obtain a successful product. Your logo (a large “A” with a spermatozoon swimming up into it) is highly unusual. Where did it come from? Usually in advertising and agencies one chooses to be moderate in order to fit in with everyone’s demands and ideas. On the one hand this is correct but on the other we believe that every one of us should be himself. Certainly this logo declares that we are exactly who we are. We set up by ourselves without help from anyone and we are the result of our own hard work and natures. We project this onto our daily work and onto our creativity. For example I am now happy to have brought a child into the world as I am convinced that this is truly the peak of creativity.
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My Pack un designer sceglie il suo packaging preferito e ci spiega il perché
Donata Paruccini/Malo
(ciano, magenta) e con una stampa ovattata, come se fosse fuori fuoco. Prendendo in mano questo vasetto e toccandolo, mi sono accorta che si trattava di un materiale che non vedevo da tanto tempo e che mi ha immediatamente riportato all’infanzia: la carta paraffinata. Mi spiace che le foto non
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delle confezioni. La grafica, i colori, la forma, sono in questo momento più che mai determinanti per la mia scelta d’acquisto. Così, un giorno, mentre cercavo di comprare uno yogurt, sono rimasta colpita da una confezione la cui grafica ricordava gli Anni ’70, dai colori decisi e primari
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Il reparto dei formaggi nei supermercati francesi (in questo momento sono in Francia) offre una vasta gamma di varietà casearie. Sono qui da poco e non conoscendo ancora le differenze di gusto delle varie tipologie, per l’acquisto mi faccio unicamente sedurre dall’immagine esteriore
possano descrivere bene il materiale e soprattutto che non siano in grado di restituire l’esperienza tattile, ma spero che qualcuno si ricordi di questo tipo di confezioni che esistevano anche in Italia e che erano perfette per realizzare, da bambini, dei rudimentali ricevitori collegati a un filo, una specie di walkie-talkie caserecci. Non so perchè da noi non vengano più usati, forse per qualche regolamento igienicosanitario, ma pensandoci bene, molti prodotti caseari usano abitualmente la paraffina per
avvolgere e conservare ed è sicuramente un materiale adatto agli alimenti. Nel caso dello yogurt sembra che sia ottimale, non gli fa perdere il siero, mantenendo il prodotto perfetto nella consistenza e nel sapore d’origine. Mi sembra interessante anche la forma del vasetto a tronco di cono capovolto, che in Francia è largamente usata per questo tipo di prodotto come se fosse una forma della tradizione ora recuperata, ma su questo dovrei fare una ricerca più dettagliata.
My Pack A designer chooses her favourite packaging and explains to us why
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Donata Paruccini/Malo The cheese section of French supermarkets (I am in France at the moment) offers an enormous variety of cheeses. I haven’t been here for long and, not knowing the difference in taste of various typologies, I let myself be seduced by the appearance of the packaging. Graphics, colours, shapes, are now, more than ever, decisive factors in my choice of purchase. So, one day, while I was trying to buy a yogurt, I was struck by a packaging whose graphics recalled the seventies, with strong primary colours (cyan, magenta) and a woozy print as though it were out of focus. Picking up this pot and touching it I realised it was a material I hadn’t seen for a long time and which catapulted me back to my childhood: paraffin paper. I am afraid that photos are unable to describe the material and, above all, that they are unable to render the tactile experience but I hope someone remembers this type of packaging which was also used in Italy and which was perfect for children for making rudimentary
Il ricordo d’infanzia, quindi, mi ha fatto conoscere e acquistare questo prodotto, che ora compro spesso e sicuramente preferisco mangiare da questi barattolini che da quelli in plastica.
Donata Paruccini, designer, vive e lavora tra Milano e Parigi. I suoi oggetti sono in produzione per Alessi, ENO, Morellato, Pandora Design e RSVP. Ha partecipato a diverse esposizioni collettive, tra cui: “The New Italian Design”,Triennale di Milano, 2007; “Premio Caiazza Memorial Challenge”, organizzata da Promosedia,Udine 2005; “Art of Italian design”, Atene 2005; “1950-2000: Theater of Italian Creativity” Dia Center, New York,2003.
receivers connected to a string, a sort of homemade walkie-talkie. I don’t know why it is not used in Italy any more, perhaps due to some health or hygiene regulation, but, on reflection, paraffin is regularly used for packaging and preserving cheeses and it is certainly a suitable material for foods. In the case of yogurt it appears it is optimal, and stops it from losing its serum, keeping the product pristine in terms of texture and flavour. I think it is interesting too that the shape of the pot is an upside down truncated cone, widely used in France for this type of product as though it were a kind of tradition that has now been now revived, although this is something I need to investigate further. It was therefore my memory of childhood which took me to this product and led me to buy it. I now buy it often and I certainly prefer to eat from these little pots than from those made of plastic.
Donata Paruccini, designer, lives and works in Milan and Paris. Her objects are produced for Alessi, ENO, Morellato, Pandora Design and RSVP. She has taken part in various group exhibitions including: “The New Italian Design”, Milan Triennale, 2007; “Premio Caiazza Memorial Challenge” organised by Promosedia, Udine 2005; “Art of Italian design”, Athens 2005; “1950-2000: Theater of Italian Creativity“ Dia Center, New York, 2003.
school box
A Scuola di Packaging
Istituto Rosa Luxemburg Rosita Fanelli Non sono molti gli istituti superiori statali del sud d’Italia in grado di formare i designer del domani. L’Istituto Rosa Luxemburg di Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari, con il suo dipartimento di grafica pubblicitaria permette, al termine dei cinque anni di studio, di potersi inserire in agenzie, tipografie, studi grafici e fotografici o di poter accedere agli studi universitari con un’ottima preparazione tecnica. Il Dirigente Scolastico, professor Francesco Scaramuzzi, ha fatto in modo che l’istituto fosse in grado di crescere e di confrontarsi con le esigenze del mondo lavorativo proponendo agli studenti un piano di studi contemporaneo, all’avanguardia e vicino ai loro interessi.
Tra i vari laboratori, quello di packaging ha riscosso particolare successo e ha toccato tutti gli aspetti progettuali, dal brief al mock-up. Durante le lezioni, tenute dal professor Domenico De Cosmo, gli studenti sono stati seguiti da vicino ma, allo stesso tempo, sono stati liberi di esprimersi autonomamente. Tra i vari progetti realizzati vi è stato quello dedicato alla progettazione di un packaging per foulard: piccoli gruppi hanno lavorato su confezioni di lusso, eleganti e raffinate; sono state individuate forme inusuali come il doppio prisma forato o la piramide con manico in plastica; il materiale d’elezione è stato il cartoncino e per la stampa si sono utilizzati colori pantone, ori
a caldo, decorazioni varie e vernici UV per gli effetti ibridi. Un’esperienza che ha coinvolto gli studenti a tutto tondo, dalla progettazione alla realizzazione, in un confronto diretto e continuo con le cartotecniche del territorio. «Se volgiamo lo sguardo al mondo dell’educazione, ci si accorge della considerevole distanza con la realtà dell’industria, tuttavia le scuole sono vere e proprie palestre per sviluppare le risorse umane e individuare talenti e nuove promesse», così parla della sua esperienza De Cosmo che aggiunge: «Il compito di un docente è quello di mediare tra il mondo della formazione e quello del lavoro, due attività che apparentemente vanno su binari paralleli con ben poche occasioni di scambio. I tempi della didattica hanno a che fare, oltre che con questo divario, anche con condizioni quali: autocoscienza, percezione,
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At Packaging School There are not many state secondary schools in the south of Italy able to train the designers of the future. The Rosa Luxemburg Institute at Acquaviva delle Fonti in the province of Bari, with its department of commercial artists allows students, at the end of a five year course, to work for advertising agencies, publishers, graphic design and photography studios or to go on to study at university with excellent technical qualifications. The headmaster, Professor Francesco Scaramuzzi, has made sure that the institute is able to grow and to meet the demands of the world of work, offering a contemporary syllabus for students which is both avant-garde and has their interests close at heart. The packaging workshop was particularly successful and touched on every aspect of design, from the brief to the mock-up. During lectures, held
by professor Domenico De Cosmo, students were closely monitored yet at the same time free to express themselves independently. Various projects included one dedicated to the design of a packaging for scarves. Small groups worked on luxury, elegant and sophisticated packaging. Unusual shapes were produced, such as a dual perforated prism or a pyramid with a handle made of plastic. The material chosen was cardboard whilst for printing, panton colours, warm golds, various decorations and UV paints for hybrid effects were used. This experience involved students in everything, from design to production, in a direct and continuous exchange with paper industries in the area. «If we look at the world of education we realize there is quite a gap between ourselves and the
stimoli, motivazione, premi; forzando uno di questi elementi si rischia di interrompere un flusso propositivo e fecondo. Negli istituti professionali spesso si ha a che fare con una serie di situazioni non completamente omogenee nonché - talvolta con realtà territoriali difficili. Gli studenti che hanno effettuato questi lavori hanno una buona mente creativa e stanno affinando la conoscenza degli aspetti tecnici. Ciò che ha acceso in loro l'interesse per la progettazione è stato non solo la possibilità di vedere realizzato il proprio progetto da un'importante azienda cartotecnica del territorio, ma anche la percezione che stavano studiando un
oggetto/contenitore capace di stimolare tutti i loro sensi e di evocare il mondo dell’infanzia, ricco di rimandi e di emozioni. Questa dimensione ludica ha innescato il potenziale creativo degli studenti e ha modificato l'approccio all'esercitazione in un’attività più strutturata, laboratoriale e di autoapprendimento. Alla fine del corso - nonostante l’aspetto più tecnico sia passato in secondo piano a causa di inesperienza sui processi di fattibilità - alcuni lavori hanno mostrato reali possibilità produttive, soprattutto in paesi esteri come la Svizzera o l’Inghilterra. Restano le idee che hanno inciso sull'intero progetto. Quelle sono comunque degne di nota».
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their interest in design was not just the possibility to see their own design produced by an important paper industry in the area but also the perception that they were studying an object/container able to stimulate all the senses and to evoke the world of childhood, rich in references and emotions. This playful dimension triggered the students’ creative potential and changed the approach to the exercise into an activity which was more structured around the workshop and self-study. At the end of the course, despite the technical aspect taking a back seat due to inexperience with feasibility studies, some works demonstrated genuine manufacturing potential, above all in overseas countries such as Switzerland or Great Britain. The ideas which influenced the design as a whole remain. They are anyway worthy of note».
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world of industry. However, schools are veritable training grounds for developing human resources and spotting talent and new promise». This is the view of De Cosmo, who adds: «The task of a teacher is to mediate between the world of school and the world of work, two activities which apparently move along parallel lines with few opportunities to meet. The length of training also depends on factors such as self-awareness, perception, stimuli, motivation and rewards. By forcing one of these elements you risk interrupting a positive and prolific flow. In professional institutes one often has to deal with a series of situations which are not entirely homogeneous as well as, at times, problems linked with the local reality. The students who produced these works have fine creative minds and are sharpening their technical know-how. What stirred
This is (Not) a Magazine Francesco Spampinato This is a Magazine, conosciuta anche come This is (Not) a Magazine, è una strana creatura editoriale, più simile ad un libro che a una rivista, nata nel lontano 2002 dalle menti di Andy Simionato e Karen Ann Donnachie, due australiani trapiantati a Milano. Uno è graphic designer, l’altra fotografa, ma non amano barriere settoriali, sono artisti ad ampio raggio alle prese anche con progetti di performance - con una lunga esperienza nel teatro sperimentale - moda, comunicazione ed attivismo e sempre alla ricerca di un contatto con il prossimo nel tentativo di innescare delle reazioni all’andamento naturale delle cose. TIAM conta su un network internazionale di creativi, una comunità allargata ed aperta. Dall’inizio ad oggi hanno collaborato circa duecento artisti, alcuni sono vere celebrità ma molti sono emergenti. Concepita inizialmente per il web, è stata una delle prime pubblicazioni online ed è servita da modello per le ezine e le blog-zine fiorite numerose in rete negli ultimi tempi. Eppure, proprio nel momento del boom dell’editoria telematica, Andy e Karen decidono di allargarsi alla carta stampata affidandosi alla prestigiosa tipografia Nava di Milano che permette loro
di lavorare sui propri libri come se fossero sculture. Attualmente TIAM consiste in una collana di libri d’artista, Atomic Activity Books, diversi spazi in rete - a cui sono destinate operazioni di Internet art, video e sound art - e un libro appunto, un compendio pubblicato una volta l’anno che raccoglie progetti concepiti ad hoc. Una volta impaginato, questo materiale viene rimaneggiato sia a livello grafico che fisicamente ed ogni volta varia di dimensione. La copertina potrebbe essere una scultura da ritagliare e montare. Nascosti all’interno poi ci potrebbero essere messaggi cifrati, frammenti di un puzzle, indicazioni per raggiungere un luogo o questionari sul senso della vita e dell’arte da compilare e spedire. TIAM è un viaggio più che una rivista, una vera esperienza polisensoriale. Tutti le nostre percezioni sono impegnate nell’esplorazione di tale complicata tessitura linguistica ed emozionale. Ci sono suoni e video, raccolti su dvd allegati o archiviati in rete. Ci sono oggetti di diversa natura, un palloncino da gonfiare o delle zollette di zucchero. La vista è dedicata al lavoro, alla ricerca di un percorso tra composizioni grafiche azzardate, collage e giustapposizioni. Per non parlare poi del tatto… lo scorrimento delle pagine richiede un continuo riposizionamento delle dita sul libro, alla ricerca di piccole porzioni cartacee, pieghe da spiegare, buchi da trapassare, figurine da incollare e linguette scorrevoli. Leggerla è come conoscere qualcuno. Si tratta sempre di un rapporto reciproco da cui non si rimane mai delusi.
www.thisisamagazine.com
tools
This is (Not) a Magazine Francesco Spampinato
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This is a Magazine, also known as This is (Not) a Magazine, is a strange publishing beast, more like a book than a magazine, devised back in 2002 by the brains of Andy Simionato and Karen Ann Donnachie, two Australians who have moved permanently to Milan. One is a graphic designer and the other is a photographer, yet they are not fond of labels. They are allround artists working on projects that concern performance (they have years of experience in experimental theatre), fashion, communication and activism, always seeking contact with other people in an attempt to trigger reactions to the natural way of doing things. TIAM counts on an international network of designers, which is an extended and open community. Up to now approximately two hundred artists have taken part. Some are genuine celebrities but many are up-and coming artists. Initially conceived for the web it was one of the first online publications and has served as a model for the numerous e-zines and blog-zines which have flourished on-line recently. And yet, in the midst of the data communication boom, Andy and Karen decided to move into printed paper, relying upon prestigious publishers Nava of Milan who allow them to work on their books as though they were sculptures. Currently, TIAM consists of a series of artists’ books, Atomic Activity Books, various websites - the home of Internet art, video and sound art operations - and a book, a compendium published once a year, which collects projects which are designed ad hoc. Once made up, this material is readapted both graphically and physically and the size changes every time. The cover might be a sculpture to cut out and mount. Hidden inside there could be secret messages, fragments of a puzzle, directions to a place or questionnaires on the meaning of life and art to fill in and send off. TIAM is more a journey than a magazine and a veritable polysensorial experience. Every one of our senses is involved in the exploration of such an intricate linguistic and emotional composition. There are sounds and videos, collected on enclosed DVDs or in on-line archives. There are various kinds of objects, such as balloons to blow up or sugar cubes. The eyes are kept busy seeking a path through daring graphics, collages and juxtapositions. Not to mention the tactile dimension‌ leafing through the pages requires one’s fingers to be constantly on the go, searching for small paper parts, folds which have to be opened out, holes to go through, picture cards to glue on and sliding tabs. Reading it is like meeting someone new. It is a two-way relationship which never disappoints.
News
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Friendly steel… the art of recycling - At the behest of the CNA Consorzio Nazionale Acciaio (Italian National Steel Consortium) four of the five works created by the students of the Naples Institute of Fine Art using packaging steel were recently inaugurated in the Sepsa and MetroCampania NordEst stations of the Circumvesuviana Neapolitan light railway. As well as spreading the culture of materials recovery, eliminating waste and protecting the environment, the works underline the traditional link between Naples and steel production. Brands on show The context was truly great - the Milan Furniture Show - in occasion of which the Lombard capital transforms itself, leaving its habitual cultural and artistic lethargy to welcome and amaze hundreds and thousands of visitors. The event we wish to recall, is that organized by the agency Lumen inside its headquarters in via Tortona, where a evolutionary path was traced out by the packaging and the advertising that have mapped out the history of the big brands. The exhibition, aimed at discovering the present, past and future of the brand concept, was enhanced by the exceptional presence of Robert Opie’s collection that, for over 40 yeas, comprises packaging and advertising from all around the world. The entire collection, that counts over a million pieces, can be admired at the Museum of Brands, Packaging and Advertising (www.museumofbrands.com) Notting Hill, London, founded by the same Opie.
Acciaio amico... l’arte del riciclo Per iniziativa del Consorzio Nazionale Acciaio - CNA sono state inaugurate di recente, nelle stazioni ferroviarie napoletane di Circumvesuviana, Sepsa e MetroCampania NordEst, quattro delle cinque opere d’arte realizzate dagli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli con imballaggi in acciaio. Oltre a diffondere la cultura del recupero dei materiali, eliminando sprechi e a tutela dell’ambiente, le opere sottolineano lo storico legame tra il territorio partenopeo e la produzione di acciaio.
Brand in mostra Il contesto era uno di quelli ghiotti - il Salone del Mobile di Milano - in occasione del quale il capoluogo lombardo si trasforma, uscendo dal consueto letargo culturale e artistico per accogliere e stupire le centinaia di migliaia di visitatori. L’evento che vogliamo ricordare, è quello organizzato dall’agenzia Lumen all’interno della sede di via Tortona, dove è stato ricreato un percorso evolutivo tracciato dai packaging e dalle pubblicità che hanno segnato la storia dei grandi marchi. L’esposizione, volta alla scoperta del presente, passato e futuro del concetto di brand, è stata arricchita dall’eccezionale presenza della collezione di Robert Opie che, da oltre 40 anni, raccoglie packaging e pubblicità provenienti da tutto il mondo. L’intera raccolta, che conta oltre un milione di pezzi, si può ammirare al Museum of Brands, Packaging and Advertising (www.museumofbrands.com) di Notting Hill, fondato dallo stesso Opie.
Nobodyisperfekt piccole cose per rendere più facile la vita Francalma Nieddu Photo: Nicole Stephani
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Come è arrivata all’idea di aprire un negozio di questo genere? Ho lavorato come fotografa per 14 anni prima di pensare di avviare una mia attività. All’inizio ho messo a disposizione la mia esperienza nel campo delle attrezzature tecniche fotografiche per le persone anziane non a loro agio con questi apparecchi. Poi ho modificato l’impostazione del negozio e ho ampliato il suo concept generale inserendo oggetti in grado di aiutare
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Nessuno è perfetto, sottolinea il nome di questo negozio di Amburgo, dove una “k” sta al posto della “c” per evidenziare, con una piccola imperfezione grammaticale, che qui è facile e meno imbarazzante cercare oggetti utili a superare gli handicap. Questo luogo sorprendente, a prima vista, sembra contenere casalinghi e vari oggetti di design, per il tempo libero e idee regalo; ma a uno sguardo più attento ci si rende conto che è pieno di cose utili per la quotidianità delle persone anziane e con problemi psicomotori. Senza possedere l’immagine tristemente
tipica dei negozi sanitari, presenta i suoi oggetti in modo divertente e ludico. Ci aiuta a saperne di più l’imprenditrice poco più che quarantenne Nicole Stephani.
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tutti nella vita di tutti i giorni, sia persone con handicap che quelle senza. Come si dice, “nessuno è perfetto” così, nel 2005, è nato Nobodyisperfekt. Cosa si cerca e cosa si trova da Nobodyisperfekt? Da noi il criterio più importante è la funzionalità. L’assortimento include articoli casalinghi, accessori per l’arredamento, borse e carrelli per la spesa, aiuti ottici per la lettura, telefoni e telefonini con grandi tasti, sistemi di chiamate di emergenza, articoli da regalo e molte altre cose. In particolare ci sono ausili per persone con handicap, per esempio maniglie, ganci e posate particolari. Il mio motto è “il mondo è già abbastanza complicato” e per esperienza personale so che specialmente le persone con un handicap hanno difficoltà a trovare pratici aiuti per il loro quotidiano. Inoltre, i prodotti a loro dedicati del tipo “ausilio sanitario” di solito hanno poco fascino. Così mi è venuta l’idea di selezionare oggetti che però non avessero quel triste aspetto medicale e ospedaliero. Il secondo criterio a cui devono rispondere i miei prodotti è quindi che siano piacevoli da usare e belli da vedere. Molti degli oggetti in vendita sono stati addirittura premiati per il loro design. Scelgo inoltre prodotti che sono frutto di una ricerca continua, non trascuro di frequentare le più disparate fiere, da quelle di design e di tendenza a quelle più tecniche e specialistiche. Una sfida particolare è quella di rispondere
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nel modo più ottimale ai bisogni e ai desideri specifici dei miei clienti. Ricerco molti spunti in internet e ultimamente succede spesso che alcuni clienti arrivino con oggetti appena comprati che orgogliosamente propongono per ampliare l’offerta del negozio. Nobodysperfekt si ispira al concetto di “Design for All”? [organizzazione che ha come scopo progettare oggetti utilizzabili da tutti partendo dalle esigenze di persone non normodotate, il cui manifesto è stato stilato a Stoccolma nel 2004, n.d.r.] A dire il vero non conosco il loro concetto; ma fin dall’inizio ho avuto contatti con l’IF Design e l’Universal Design Hannover, associazioni che da più di cinque anni si occupano di definire cosa è l’universal design nei settori di architettura, arredamento e design di prodotti e di servizio. Il trend demografico globale è verso una popolazione composta sempre di più da anziani e gli effetti sociali sulla qualità della vita di tutti si dovranno affrontare come una sfida comune. Parliamo di packaging: come lo considera e in che rapporto è con i prodotti che vende? Il packaging e il suo design sono molto importanti e, spesso, prodotti belli e pratici mancano di un packaging accurato.
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Quindi il packaging ha una sua importanza nell’impatto sulla clientela? Certamente; ha soprattutto il compito di non far sembrare già per
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vecchi i prodotti d’uso quotidiano. Questi, infatti, devono avere un aspetto fresco e moderno perché nessuna persona anziana compra volentieri articoli classificati per anziani, e ciò si dovrebbe riflettere anche nel packaging. Un esempio illuminante è quello della “2CaratCup” di Invotis, una tazza che possiede un manico a forma di anello d’oro con un vistoso brillante. Nel suo packaging la tazza è nascosta sotto un rivestimento di velluto, mentre solo il manico-anello è ben visibile, e questo la fa sembrare un gioiello prezioso in un “vero” portagioie. L’irresistibile gioco di illusione e sorpresa è un elemento cruciale per il successo di questo prodotto, che allo stesso tempo è anche funzionale e le persone che hanno problemi di prensilità riescono facilmente a reggere la tazza che viene assicurata alla mano in maniera pratica e divertente. Oggetti come questi sono la vera tendenza: hanno un che di retrò, ma sono funzionali e belli.
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E qual è secondo lei l’oggetto che meglio riassume la dimensione del contemporaneo? Gli oggetti attuali dovrebbero essere essenziali, belli e saper unire più funzioni. In assoluto, l’oggetto che riflette meglio il trend attuale è l’ IPhone, naturalmente insieme al suo packaging così ben riuscito. Nicole Stephani NOBODYISPERFEKT - DINGE DIE DAS LEBEN EINFACHER MACHEN Papenhuder Straße 42 D 22087 Amburgo Tel. +49 40 594 678 44 Fax +49 40 594 678 45 info@nobodyisperfekt.de www.nobodyisperfekt.de
Nobodyisperfekt Little things that make life easier Francalma Nieddu Photo: Nicole Stephani Nobody is perfect, underlines the name of this Hamburg store where a ‘k’ stands instead of a ‘c’ to highlight, by means of a tiny spelling error, that here it is easier and less embarrassing to look for objects which are useful for dealing with a disability. At first sight this astonishing place appears to contain household appliances and various design objects for one’s leisure time as well as gift ideas. Yet a closer look reveals that it is full of things which are useful in the everyday lives of elderly people and people with disabilities. Without presenting that image which is sadly typical of shops which sell medical products it presents its wares in an amusing and playful way. Nicole Stephani, the owner in her early forties, tells us more. How did you come to open a shop of this kind? I worked as a photographer for 14 years before I thought about starting my own business. At the beginning I made my experience in the field of photography available to elderly people who were uncomfortable with camera equipment. Then I modified the layout of the shop and expanded the general concept by adding objects able to help people both with and without disabilities with their daily lives. As they say ‘Nobody is perfect’. This is how Nobodyisperfekt was born in 2005. What do people look for and what do people find at Nobodyisperfekt? In our shop the most important criterion is functionality. The selection includes household goods, furnishing accessories, shopping bags and trolleys, optical aids for reading, telephones and
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mobile phones with large keyboards, emergency call systems, gift articles and much more besides. In particular there are aids for people with disabilities, for instance special handles, hooks and cutlery. My motto is “The world is already complicated enough” and from personal experience I know that people with disabilities find it especially hard to find practical help for living their everyday lives. Moreover, the ‘sanitary aids’ dedicated to them usually have very little charm. This is how I came up with the idea of choosing objects which did not have that sad medical or hospital look. The second criterion my products have to meet is that they be a pleasure to use and beautiful to look at. Many of the items on sale have actually won prizes for their design. Moreover, I choose products which are the result of continuous research and I don’t miss any of the trade fairs, from the trendy, design ones to the more technical and specialised ones. A particular challenge I face is to meet the specific needs and desires of my customers. I find a lot of ideas on the internet and lately I have often had customers coming to me with objects they have just bought which they proudly suggest I should get in stock.
Let’s talk about packaging. How do you consider it and what is its relationship to the products you sell? Packaging and its design are extremely important and often beautiful, practical products lack welldesigned packaging. So packaging has its own importance in the impact the product makes on customers? Of course. Above all its task is not to make products of everyday use seem as though they are meant for elderly people. They should have a fresh and modern look because no elderly person willingly buys articles which are classified as products for the elderly, and this should be reflected in the packaging. An illuminating example is the Invotis “2CaratCup”, a cup which has a handle in the shape of a gold ring with a flashy diamond. In its packaging the cup is hidden beneath a velvet lining and only the handle-ring is visible. This makes it look like a precious jewel in a ‘real’ jewel case. The irresistible game of illusion and surprise is a crucial element for the success of this product which is, at the same time, functional and people who have problems gripping can easily hold the cup which attaches to the hand in a practical and amusing way. Objects like these are truly trend-setting. They have a retro feel but they are functional and beautiful too.
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And what is, according to you, the second object which best encapsulates the contemporary dimension? Contemporary objects should be essential, beautiful and able to combine several functions. The object which reflects the current trend best of all is the I-Phone, naturally together with its successful packaging.
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Is Nobodyisperfekt inspired by the concept of “Design for All”? (An organisation whose aim is to design objects which can be used by everyone, starting with the needs of differentlyabled people, whose manifesto was drawn up in Stockholm in 2004, Editor’s note) To tell the truth I don’t know their concept but from the beginning I had some contacts at IF Design and Universal Design Hannover. These are associations which have, for over five years, been busy defining what universal design means in the sectors of architecture, furnishings and the design of products and services. The global demographic trend is moving towards a population which is increasingly composed of elderly people and the
social effects on everybody’s quality of life will have to be faced as a common challenge.
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News Snack per tutti
Cubo Magico
A 95 anni dal lancio sul mercato statunitense sbarca anche nel Bel Paese Oreo, e lo fa con un look tutto nuovo. Il biscotto al cacao ripieno di morbida crema alla vaniglia da settembre è disponibile in pratiche confezioni che trovano spazio nella cartella dei più piccoli, quanto nella ventiquattrore dei papà. Tre i formati disponibili: una confezione da 176 g con 4 porzioni salva freschezza, il pratico barattolo da 115 g con il prodotto in formato mignon (entrambi destinati a supermercati e negozi di prossimità) e lo stick da 66 g con 6 biscotti (per bar e distributori automatici).
Si chiama Magic Pop Up Cube ed è un messaggio animato (perché salta letteralmente agli occhi), un oggetto per comunicare qualsiasi tipo di informazione in modo alternativo e divertente. Il magic cube, una volta aperto, diventa anche gadget con tanto di packaging. Concepito come un pop up, sorprendente e colorato, da bidimensionale si trasforma in oggetto tridimensionale, vera e propria materializzazione di un brand, destando la meraviglia e la curiosità chi lo tiene tra le mani. Lo propone Equent, società leader nel settore della comunicazione multicanale e della “Media Innovation”, che progetta e produce “Amazing Media” per veicolare informazioni e fare branding in modo ludico e creativo e con il preciso intento di offrire ai propri clienti prodotti unici ed esclusivi.
Snacks for all Ninety-five years on from its launch on the US market Oreo is now coming to Italy, and it is doing so with a completely new look. The cocoa biscuit with soft vanilla cream fillings as of September will be available in practical packs that will fit into the kids rucksacks the way they will find place in papa’s briefcase. Three formats available: a 176 g pack with 4 freshness saving portions, the handy 115 g tin with the mini format product (both for local supermarkets and shops) and the 66 g stick with 6 biscuits (for bars and vending machines). Magic Cube Magic Pop Up Cube is an animated message (it literally jumps when you look at it), an object for communicating any type of information in an
alternative, fun way. The magic cube, once opened, also turns into a gadget with packaging included. Conceived as a pop up, surprising and colorful, from 2D it turns into a 3D object, a true and proper brand materialisation that will amaze and arouse the curiosity of those who happen to grasp hold of it. It is proposed by Equent, leading company in the multichannel and “Media Innovation” sector, that designs and produces “Amazing Media” to vehicle information and perform branding in a fun, creative way, with the very intent of offering its customers unique and exclusive products. Daily decor OPPURE Cartone Design is a new concept of “readymade” interior decoration: a surprising
Arredare quotidiano “OPPURE Cartone Design” è un nuovo concetto d’arredo “readymade”: una sorprendente linea di oggetti e mobili di uso quotidiano interamente realizzati in cartone ondulato, ideata dallo studio Doppiospazio e prodotta e distribuita da Cortepack SpA. Essenzialità dei volumi, eleganza di forme, ecletticità tecnica per un concept ecologico, dunque, che valorizza le qualità di leggerezza e resistenza all’usura del cartone. Lampade, tavoli, sedute e librerie esaltano linearità, modularità e versatilità delle linee, oltre a una grande passione per il design. Quello nato dalla collaborazione fra la società produttrice di cartone e lo studio di architettura e design è un progetto in continua evoluzione, che si colloca nell’ecosistema dell’esistenza moderna, negli aspetti di uso e riuso quotidiano, e riflette appieno il fenomeno del nomadismo culturale e demografico.
IL BUON DESIGN - Più di 1000 designer, uomini di cultura e d’affari provenienti da tutto il mondo si sono riuniti lo scorso 23 giugno al teatro Aalto di Essen per la cerimonia di premiazione del red dot award: product design 2008. I 3.203 iscritti (il 25,7% in più rispetto allo scorso anno), testimoniano la crescente
phenomenon of cultural and demographic nomadism.
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GOOD DESIGN - Over 1,000 designers, people of culture and business people of all nationalities gathered at Essen Aalto Theatre on the 23rd of June for the prize-giving ceremony of the red dot award for product design 2008. The 3,203 entries (25.7% up on last year) are proof of the increasing importance of the role played by “good design” at a global level. The competition organised by Design Zentrum Nordrhein Westfalen (Essen, Germany) - is divided into three product categories: product design, communication design and design concept. To find out who the winners are and to submit an entry for the 2009 competition: www.reddot.de.
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line of objects and furniture for daily use entirely made in corrugated cardboard, created by the design studio Doppiospazio and produced and distributed by Cortepack SpA. The essential nature of the volumes, elegance of the forms and technical eclectic nature hence creating an ecological concept that exploits the quality and lightness and wear resistance of cardboard. Hence lamps, tables, seats and bookshelves with the onus on the linear, modular and versatile nature of the lines while also featuring a grand passion for design. That born out of the cooperation between the cardboard manufacturer and the architecture and design studio is a product that is evolving continuously, fully part of the ecosystem of modern existence, in daily use and reuse, and fully reflecting the
importanza del ruolo giocato a livello globale dal “buon design”. Il concorso - organizzato dal Design Zentrum Nordrhein Westfalen (Essen, D) - prevede tre categorie di progetti: product design, communication design e design concept. Per conoscere i vincitori e per iscriversi all’edizione 2009: www.red-dot.de.
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Spirits
Design
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Quando i designer si danno all’alcool
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L.A. Una bottiglia di gin e una di vodka, due progetti molto diversi tra loro accomunati da un unico aspetto: le “matite” illustri che le hanno disegnate. Bombay Sapphire e Wyborowa, due dei più famosi marchi di alcolici al mondo, hanno affidato rispettivamente a Karim Rashid e Frank Gehry il compito di progettare i loro nuovi flaconi di vetro. Revelation, questo il nome della creazione di Rashid, nasce all’interno del Bombay Sapphire Prize e vanta la collaborazione di due celebri aziende del lusso: Baccarat e Garrard. La bottigliagioiello, realizzata a mano in Francia da Baccarat in edizione limitata di soli cinque pezzi, è un’enorme gemma con dieci facce, che rappresentano i dieci ingredienti usati per creare il complesso e raffinato gusto del suo contenuto. L’unicità di quest’oggetto è esaltata dalla sua chiusura. Ogni tappo, infatti, è decorato con zaffiri e diamanti dalla più antica gioielleria al mondo, Garrard. Questi packaging da 1 milione di dollari (il prezzo per ogni esemplare è infatti di 200.000 dollari) saranno esposti in cinque dei maggiori aeroporti del mondo: Londra, New York, Dubai, Singapore e Sidney. Il ricavato dalla vendita sarà devoluto in
beneficenza all’associazione “The Smile Train”, per contribuire alla realizzazione di ambulatori per bambini che vivono in paesi disagiati. Bottiglia di lusso o meglio, di “classe”, anche quella realizzata dalla Pernod Ricard per la vodka polacca Wyborowa Exquisite, frutto della genialità creativa dell’architetto Frank Gehry, noto al grande pubblico per aver progettato il museo Guggenheim di Bilbao
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e la Walt Disney Concert Hall di Los Angeles. Concepita come una microarchitettura di vetro, dalla forma slanciata e sinuosa, è caratterizzata da linee forti e taglienti ma tra loro armoniche e capaci di comunicare sia la rigidità formale del ghiaccio con cui si suggerisce di servirla che l’elegante delicatezza che richiama la cremosità del suo contenuto. Entrambi i progetti sono stati presentati allo scorso Salone del Mobile di Milano e confermano la tendenza degli ultimi anni che vede sempre di più il design entrare nel settore degli spirits, garantendo un’immagine nuova, unica e inconfondibile, per esaltare al meglio le caratteristiche del marchio e per educare così la vista prima del palato.
Spirits of Design When designers hit the bottle L.A.
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A gin and a vodka bottle, two projects that are very different with one point in common: the illustrious designers that created the same. Bombay Sapphire and Wyborowa, two of the most famous spirits brands in the world, have respectively turned to Karim Rashid and Frank Gehry for the design of their new glass bottles. Revelation, this the name of Rashid’s new creation, that came into being as part of the Bombay Sapphire Prize and can boast the cooperation of two famous luxury concerns: Baccarat and Garrard. The bottle-jewel, handmade in France by Baccarat in a limited edition of as few as five pieces, is an enormous ten sided gem, that represent the ten ingredients used for creating the complex and refined taste of its contents. The uniqueness of this object is highlighted by the closure. Each top is in fact decorated with sapphires and diamonds of the oldest jewellery of the world, Garrard. This 1 million dollar packaging (the price of each item is in fact 200,000 dollars) will be placed on show in the five of the largest airports in the world: London, New York, Dubai, Singapore and Sydney. The revenue on sales will be donated in charity to the association “The Smile Train” to contribute to the creation of medical care units for children living in poor countries. Pernod Ricard has also created luxury or rather “classy” bottle for the Polish vodka Wyborowa Exquisite, fruit of the creative ingenuity of architect Frank Gehry, known to the public for his having designed the Guggenheim museum Bilbao and the Walt Disney Concert Hall Los Angeles. Conceived as a micro-architecture in glass, offering streamlined sinuous shapes, it features strong sharp lines that blend with each other harmoniously capable of communicating both the rigid formality of ice suggested for the serving of the same - and the elegant delicateness that conjures up the creaminess of its contents. Both projects were presented at the last Milan Furniture Show and confirm the trend over the latter years that sees design enter the world of spirits, guaranteeing a new, unique and unmistakable image, to bring out the characteristics of the brand to the best to educate ones sight prior to the palate.
News Manga mania
Ri-Ciclo Uno sguardo oltre i rifiuti
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Una mostra fotografica che nasce dall’intuizione del fotografo Ico Gasparri e dedicata all’interpretazione artistica dei rifiuti differenziati. Realizzata con il contributo dei consorzi Comieco, Corepla, Cial, Coreve, Rilegno e il patrocinio di Comune e Provincia di Napoli e della Regione Campania la mostra - che ospita oltre 50 immagini scattate principalmente all’interno di impianti di riqualificazione di plastica, alluminio, carta/cartone, legno e vetro di varie aree della Campania - si svolge a Napoli dal 10 al 24 ottobre nell’Antisala del Consiglio Provinciale di Santa Maria la Nova, e dal 29 ottobre all’11 novembre presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. (www.agenziaprimapagina.it)
Ri-Ciclo - Looking beyond the rubbish This is the title of the photographic exhibition devised by photographer Ico Gasparri and dedicated to an artistic rendering of rubbish destined to be recycled. Set up with the contribution of consortiums Comieco, Corepla, Cial, Coreve, Rilegno and the sponsorship of the Comune and Provincia of Naples and Regione Campana, the exhibition - which houses over 50 photographs mostly taken at plants for recycling plastic, aluminium, paper/cardboard, wood and glass in various parts of Campania - will be held in Naples from the 10th to the 24th of October in the Antisala of the Provincial Council of Santa Maria la Nova, and from the 29th of October to the 11th of November at the Italian Institute for Philosophical Studies. (www.agenziaprimapagina.it).
Lumen ha realizzato per Deo Borotalco una nuova etichetta dalla veste fresca e frizzante: una “Limited Edition” ispirata al mondo dei fumetti manga, in linea con i trend del target adolescente cui si rivolge. La nuova identità visiva richiama infatti 4 mood ben distinti: Lovely Girl, ragazza dolce che ama il rosa (vaniglia e caramella mou), Pepper Girl, vivace e un po’ “peperina” (mora e lampone), Cool Boy, ragazzo misterioso e sicuro di sé (fresco e con un fondo ambrato) e Hot Boy, dinamico che ama stare in compagnia (deciso con un fondo orientale). Il pack è quello utilizzato solitamente per Deo Borotalco, una bomboletta spray prodotta internamente all’azienda. La stampa è effettuata direttamente sul contenitore mediante l’utilizzo di un rullo che ruota intorno alla bomboletta stampando il decoro in un’unica passata.
Manga mania Lumen has created for Deo Borotalco a new label with a fresh and fizzy format: a “Limited Edition” inspired by the world of Manga comics, in line with the trends of its adolescent target group. The new visual ID in fact conjures up 4 separate moods: pink inclined Lovely Girl, (vanilla and caramel mou), Pepper Girl, lively and a bit “peppery” (blackberry and raspberry), mysterious and selfassured Cool Boy (fresh with an ambered base) and Hot Boy, dynamic who loves company (resolute with an oriental base). The pack is that normally used for Deo Borotalco, a spraycan produced entirely inside the concern. Print is straight on the pack via the use of a roller that circles around the spraycan printing the decoration in one single pass.
Loghi d’Italia e altre storie Un viaggio interattivo e multisensoriale alla scoperta degli elementi - persone, prodotti, storie, territori - racchiusi nei loghi delle più note aziende italiane. Lo propone, con l’aiuto di sofisticate tecnologie hardware e software (ma anche dei manifesti di Depero, dei Caroselli di Testa e Cavandoli, delle confezioni e delle scenografie che hanno contribuito a edificare l’identità nazionale), la mostra-evento Loghi d’Italia, storie dell’arte di eccellere, che si svolgerà da fine novembre a Castel Sant’Angelo. Ideata e curata da Innovarte, in collaborazione con la Commissione Cultura di Confindustria e con Museimpresa, l’esposizione “racconterà” le aziende più antiche - Amarelli, nata nel 1731, o la Peroni del 1846 - i “nuovi” di inizio ‘900 (Perugina, Lagostina…) e le imprese sorte nel corso del XX secolo (Zanotta, iGuzzini…), fino alle realtà emergenti che proiettano nel futuro l’eccellenza italiana. Fino al 2011 la mostra sarà ospitata dagli Istituti Italiani di Cultura all’Estero.
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The Choices of Packaging - Design Center is the name for a project promoted by the Academy of Fine Arts of Bologna with the funding of the Councillorshop for productive activites for Regione Emilia Romagna and the contribution of the Cassa di Risparmio Foundation, Bologna. This is a service structure that has as its objective the valorisation of the company through design and that, among its activities, includes the organization of conventions. The first of the series entitled Scenario is called “The choice of packaging” and was moderated by the editor-in-chief of ItaliaImballaggio Stefano Lavorini. Held 17th June at the Main Hall of the Academy, in cooperation with the Istituto Italiano Imballaggio, it covered two topics dear to the packaging sector: the logic of the segment, that involves several agents in an ideal unicuum (from the materials and machines producers to the packaging user, going by way of the packaging converter and designer) and the environmental compatibility of recycling.
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Le scelte del Packaging - Design Center è il nome di un progetto promosso dall’Accademia di Belle Arti di Bologna con il finanziamento dell’Assessorato alle attività produttive della Regione Emilia Romagna e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Si tratta di una struttura di servizio che ha come obiettivo la valorizzazione dell’impresa attraverso il design e che, fra le sue attività, annovera l’organizzazione di convegni. Il primo della serie intitolata Scenari si chiama “Le scelte del packaging” ed è stato moderato dal direttore di ItaliaImballaggio, Stefano Lavorini. Svoltosi il 17 giugno presso l’aula Magna dell’Accademia, in collaborazione con l’Istituto Italiano Imballaggio, ha sviluppato due temi cari al settore imballaggio: la logica di filiera, che coinvolge diversi interlocutori in un unicum ideale (dal produttore di materiali e macchine all’utilizzatore del packaging, passando per i converter di imballaggio e progettisti) e la compatibilità ambientale del riciclo.
Italian logos and other stories An interactive and polysensorial journey of discovery of the elements-people, products, stories, places - contained within the logos of the most famous Italian companies. All this can be seen, with the aid of sophisticated hardware and software technologies (as well as Depero’s posters and Testa and Cavandoli’s Caroselli, packaging and settings which have contributed towards creating the national identity) at the exhibition - event Italian Logos, history of the art of excelling which will take place from the end of November at Castel Sant’Angelo. Conceived and curated by Innovarte, in partnership with the Cultural Commission of Confindustria and with Museimpresa, the exhibition will tell the story of the oldest companies - Amarilli, founded in 1731, or Peroni, founded in 1846 -, “new” companies dating from the beginning of the nineteen hundreds (Perugina, Lagostina…) and companies founded during the twentieth century (Zanotta, iGuzzini…), all the way up to those emerging companies which project Italian excellence into the future. Until 2011 the exhibition will be housed at the Italian Cultural Institutes abroad.
News Metallizzati e semitrasparenti
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Nata nel 1994, Premi SpA (Gessate, MI) è ormai una realtà consolidata nella produzione di imballaggi destinati ai settori cosmetico, profumiero e farmaceutico: grazie all’esperienza acquisita nella trasformazione dei materiali più svariati, offre soluzioni che si distinguono per la cura dei dettagli. A LuxePack si presenta con alcune novità, che ampliano il ventaglio delle proposte di packaging, che la stessa azienda definisce “standard d’alta gamma”: linee semplici ed eleganti proposte con varie finiture. Tra le realizzazioni più recenti si distingue Aluminium, una linea completa di vasi e flaconi con capsule e coperchi in alluminio lucido e satinato. Ma la novità più rilevante che l’azienda di Gessate porta in anteprima al salone monegasco riguarda un nuovo tipo di finitura: si tratta di una metallizzazione semitrasparente ottenuta con un processo innovativo, che permette di ottenere un effetto semitrasparente, appunto, uniforme sul vetro e (a seconda delle caratteristiche della superficie sulla quale si deposita il metallo) dà origine a effetti cromatici differenti. Parlando del procedimento vero e proprio, la metallizzazione avviene a temperatura ambiente in alto vuoto in presenza di plasma che non genera alterazioni di tipo termico. In questo modo si evitano gli inconvenienti tipici della metallizzazione tradizionale, come la formazione di bolle o la sfogliatura. Il processo è completamente automatizzato ed estremamente rispettoso dell’ambiente, grazie alla totale assenza di emissioni sia in aria che in acqua; la tutela ambientale è, del resto, un motivo portante e imprescindibile per aziende che vogliono stare al passo con i tempi.
Metalised and semitransparent Born in 1994, Premi SpA (Gessate, MI) is now an established business in the production of packaging destined for the cosmetics, perfume and pharmaceutical sectors: thanks to years of experience in the transformation of a wide variety of materials, it can offer solutions that stand out for their attention to detail. The concern appears at LuxePack with some new solutions, which widen their packaging selection, which Premi defines as “high range standard:” simple and elegant lines with various finishes. Among the new creations Aluminium stands out, a complete line of jars and phials with capsules and caps in polished and glossed aluminium. But the most striking innovation that the Gessate-based concern previews at the Monaco exhibition involves a new type of finish:
a semitransparent metalisation achieved through an innovative process, which enables obtaining a semitransparent effect, evenly across the surface of glass and (according to the characteristics of the glass surface on which the metal is deposited) achieves various color effects. Speaking of the procedure itself, metalisation occurs at room temperature in high vacuum in the presence of plasma that does not generate thermal alterations. In this way problems often caused by metalisation are avoided, such as the formation of bubbles or flaking.The process is completely automated and very eco-friendly, thanks to the total absence of emissions in the air or water; protecting the environment is, after all, an inextricable and driving motivation for companies that wish to keep up with the times.
Biobottiglia, si può È ufficiale: per produrre la nuova bottiglia di Acqua Sant’Anna (marchio della Fonti di Vinadio SpA, azienda a capitale interamente italiano che, per prima, sposa una politica ecocompatibile con un’iniziativa di tale portata) non viene utilizzata neanche una goccia di petrolio. Dopo oltre un anno di esperimenti condotti nello stabilimento di Vinadio (CN), sarà dunque la prima acqua minerale per il mass market a essere imbottigliata in un contenitore interamente realizzato con Ingeo™, plastica naturale ricavata dalla fermentazione degli zuccheri delle piante anziché dal petrolio. Nella fase sperimentale, sono state prodotte circa 1 milione di bottiglie, sottoposte a test per verificarne caratteristiche, comportamenti e prestazioni comparate al PET, con risultati del tutto positivi. Nella pratica, a una produzione di 50 milioni di “biobottiglie” corrisponde un risparmio di 13.600 barili di petrolio e una riduzione di emissioni di anidride carbonica pari a quelle emesse da 3.000 auto che percorrono in un anno circa 10.000 chilometri ciascuna.
FOOD IS THE SKY … Or rather a primary need, as a Chinese proverb recites. And Chinese too the author of a book-denouncement “Food safety in China”, censored by the Peking government and now published in Italy by Spirali. Zhou Quing, journalist and scholar of popular customs and usages, with a dramatic history of dissent behind him, has documented how “the Chinese sky is upside down”: the whirl of profits has triggered off rash production practices, to the total detriment of quality. The inefficiencies of central control have left space for complicity and connivance between the burocratic system and illegal activities, in the hands of organized crime. The book is an accurate, brave investigation, bearing ghastly testimony to adulteration, pollution, poisoning, the use of enslaved labour, thousands of victims a year. The report, that narrates real occurrences in compellingly dramatic tones, exposes the serious dangers that not only threaten the local market, but consumers all around the world: a spiral of ugliness without any apparent way out.
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IL CIBO È IL CIELO … Ovvero un bisogno primario, come recita un proverbio cinese. E cinese è anche l’autore del libro-denuncia La sicurezza alimentare in Cina, censurato dal governo di Pechino e ora edito in Italia da Spirali. Zhou Qing, giornalista e studioso di usi e costumi popolari, con una storia drammatica di dissenso alle spalle, ha documentato come “il cielo cinese si sia capovolto”: il giro d’affari impetuoso ha innescato pratiche produttive incoscienti, a totale detrimento della qualità. Le inefficienze del controllo centrale hanno poi aperto spazi di complicità e connivenze tra il sistema burocratico e le attività illegali, nelle mani della malavita organizzata. Il libro è un’indagine accurata e coraggiosa, con testimonianze agghiaccianti su sofisticazioni, inquinamento, intossicazioni, impiego di mano d’opera schiavizzata, migliaia di vittime all’anno. Il reportage, che narra vicende reali con i toni della drammaticità letteraria, mette a nudo i gravi pericoli che incombono non solo mercato locale, ma sui consumatori di tutto il mondo: una spirale di brutture che sembra non avere vie d’uscita.
Biobottles, you can It’s official: to produce the new Acqua Sant’Anna bottle (brand of Fonti di Vinadio SpA, company fully with Italian capital that was first to combine an ecocompatible policy with undertakings of this scale) not a drop of petrol has been used. After over a year of experiments carried out in the Vinadio (CN) works, Acqua Sant’Anna will be the first mineral water for the mass market to be bottled in containers entirely made of Ingeo™, a natural plastic derived from the fermenting of plant sugars as opposed to petroleum.In the experimental phase, some 1 million bottles were produced, subject to testing to verify their characteristics and performance seen against PET, with highly positive results. Practically speaking, producing 50 million “biobottles” entails a saving of 13,600 barrels of petrol and a reduction of carbon dioxide emissions the equivalent of that discharged by 3000 automobiles each traveling around 10,000 km in a year.
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Small women grow up Previewed at Cosmoprof 2008 the new brand identity of Debby, the Deborah Group young line, work of the creative genius of Total Tool. The objective was that of repositioning the brand from the original target of teenage girls to that of young women in their twenties. The image offered is essential, technological but at the same time rich and flexible. The graphics are urban, aggressive and in the logotype, the black and magenta colors have reinterpreted the traditional pink and fuchsia, The packaging of the various products (eye shadows, earths, lipsticks, gloss, varnishes) evokes the world and the language of consumer electronics (iPods, portable phones, USB keys) thanks to the linear and clean forms. Total Tool, agency founded and headed by architect and designer Giulio Ceppi, was given the brief by the Deborah group after an international competition. «What we liked about Ceppi’s team was indeed its different approach, as an outsider to the world of fashion» Mariella Talamo, project leader of the cosmetics concern stated. «Thanks to a transversal and explorative creativity they proposed new ideas and evocations».
Piccole donne crescono Presentata in anteprima al Cosmoprof 2008 la nuova brand identity di Debby, linea giovane di Deborah Group, è opera del genio creativo di Total Tool. L’obiettivo era quello di riposizionare il marchio dal target originario delle ragazzine teen-ager a quello delle giovani donne ventenni. L’immagine proposta è essenziale, tecnologica ma al tempo stesso ricca e flessibile. La grafica è urbana, aggressiva e, nel logotipo, i colori nero e magenta hanno reinterpretato i tradizionali rosa e fucsia. Il packaging dei vari prodotti (ombretti, terre, rossetti, gloss, smalti) richiama il mondo e i linguaggi dell’elettronica di consumo (iPod, telefoni portatili, chiavi USB) grazie a forme lineari e pulite. Total Tool, agenzia fondata e diretta dall’architetto e designer Giulio Ceppi, è stata incaricata da Deborah Group dopo una gara internazionale «Ciò che ci è piaciuto del team di Ceppi è stato proprio l’approccio diverso, da “outsider” del mondo del fashion» ha affermato Mariella Talamo, project leader dell’azienda cosmetica. «Grazie a una creatività trasversale ed esploratrice ci hanno proposto idee e suggestioni nuove, fuori dai soliti schemi».
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Marco Senaldi Joel Desgrippes and Marc Gobé on the Emotional Brand Experience Anne Hellman, Rockport, 2008 € 21 www.rockpub.com
The Bags Index Book, 2008, € 22,00 www.indexbook.com
The publisher Index Book of Barcelona produces volumes dedicated to design, graphics, photography and the visual sector in general, made with great creative flair - confirming the magical moment that Iberian inventiveness is going through. This book is a collection of dozens and dozens of bags of all types, created by over 100 international designers. A treasure trove of ideas that
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L’editore Index Book di Barcellona produce volumi dedicati al design, alla grafica, alla
fotografia e al visual in genere, realizzati con grande estro creativo - a conferma del momento magico che sta vivendo la inventiva iberica. Questo libro è una raccolta di decine e decine di borse di ogni genere, create da oltre 100 designer internazionali. Una miniera di idee che tocca anche il packaging, dato che una sezione è dedicata alle shopping bags di carta e di plastica.
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Desgrippes Gobé è una delle agenzie di design e branding più famose e importanti del mondo - e a capirlo basta scorrere l’elenco, posto al termine del volume, dei vari collaboratori, che oltrepassa quota 1400. Joel Desgrippes e Marc Gobé fondano il loro approccio innovativo sull’emotional branding - cioè la capacità di suscitare emozioni grazie all’uso sapiente di grafica, materiali e forme coordinate. Tra i loro successi indimenticabili, tanto per citare, il flacone del profumo Boucheron a forma di anello e il restyling del brand Coca-Cola.
Desgrippes Gobé is one of the most important design and branding agencies in the world and to understant this one only has to take a look at the list of its co-workers at the end of the volume, in excess of 1400. Joel Desgrippes and Marc Gobé base their innovative approach on emotional branding - that is the capacity to arouse emotions thanks to an adroit use of coordinated graphics, materials and forms. Among their unforgettable successes, to mention but two, the Boucheron perfume bottle and the restyling of the Coca-Cola brand.
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also covers packaging, in that a section is dedicated to paper and plastic shopping bags. Package and p.o.p. structures Index Book, 2008, € 20,00 www.indexbook.com Altro libro di piccolo formato, che presenta oltre 280 idee di imballaggi per tutte le categorie di prodotti, dal cibo ai cosmetici, dai farmaceutici ai fazzolettini di carta, con particolare attenzione agli espositori da punto vendita. Nel libro è accluso un CD rom contenente schemi facilmente replicabili. Another small format book, that presents over 280 packaging ideas for all product categories, from food to cosmetics and from pharmaceutical to paper wipes, with particular attention to salespoint display cases. The book also includes a CD rom containing easily replicable designs.
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Package Design daab, 2008 € 24,95 www.daab-online.com Classico volume illustratissimo che raccoglie centinaia di progetti e prodotti caratterizzati da un packaging unico e originale. Chiaramente realizzato sulla scia delle numerose raccolte di questo genere che cominciano a comparire a livello internazionale, questo Package Design si concentra più che sui prodotti come tali sugli studi di
design che stanno dietro a ogni singolo progetto di imballaggio.
packs, wrappings of all kinds wonderfully shown.
A classic highly illustrated volume that contains hundreds of projects and products featuring unique and original packaging. Clearly made in the wake of the numerous collections of this kind that are beginning to appear at international level, more than on the products as such this Package Design concentrates more on the design studies that lie behind each single packaging project.
Package Design Now! G. Kozak, J. Wiedemann, Taschen, 2008, € 30 www.taschen.com
Bags, labels, and Point of Purchase C. Knight and J. Glaser,Rotovision, 2008, € 30 www.rotovision.com Il “solito”, imperdibile, fantastico libro Rotovision. Copertina ultra-cool, grafica perfetta, foto sbalorditive, testi accurati, scelta delle immagini e dei prodotti di prim’ordine, impaginazione e stampa da oscar. Che aggiungere? Il meglio del meglio della produzione internazionale di shopping bags, barattoli, confezioni in carta e plastica, involucri di ogni genere - esposta al meglio. The “usual” not-to-be-missed, fantastic Rotovision book, ultracool cover, perfect graphics, amazing photos, well-written, perfect choice of pictures and products, paging and print worthy of an Oscar. What can we add? The best of the best of the international output of shopping bags, jars, paper and plastic
Dopo aver aggredito il mercato editoriale un tempo considerato di nicchia con best seller come Art Now e Architecture Now, il grande editore tedesco scende nel campo del design e in particolare del packaging. Il volume è una ricca e articolata rassegna di package design suddivisa in nove sezioni (da beverage a pharmaceutical e oltre), introdotta da testi esaurienti e arricchita da una serie di case studies e di approfondimenti aggiornati e originali. Al di là del valore oggettivo dell’opera però, ciò che deve far riflettere è la scelta di un grande editore come Taschen di dedicare un volume così ampio a un tema ritenuto tanto ristretto quale il packaging: un altro segno, se ce n’era bisogno, del fatto che siamo davvero entrati nell’età dell’imballaggio. After having taken on what was once considered a publishing market niche with best sellers like Art Now and Architecture Now, the renowned German publisher now enters the field of design and in particular that of packaging. The volume is a rich and well-structured review of package design divided up into nine sections (from beverage to pharmaceutical and beyond), with exhaustive introductions
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embellished by a series of case studies and updated, original feature articles. Over and beyond the objective value of the work though, what makes one reflect is the choice of a big publisher like Taschen to dedicate such a hefty volume to a topic considered as limited as packaging: another sign, if we needed one, of the fact that we have entered the packaging age. Materiali per il design a cura di B. Del Curto, C. Marano, Casa editrice Ambrosiana, 2008, € 38,00 Un testo di taglio scientifico che tratta in modo unitario argomenti che spesso sono affrontati in ambiti differenti: la scienza dei materiali, da un lato, e la progettazione industriale dall’altro. Per il professionista un valido repertorio dei materiali, delle loro proprietà e delle tecnologie di lavorazione; per il designer un contributo scientifico e un manuale insostituibile; per il profano un libro che aiuta a capire come nascono gli oggetti, dalla forchetta alla sedia.
D come Design. La mano, la mente, il cuore a cura di A. Pansera, Eventi & Progetti editore, 2008, € 45,00 www.e20progetti.it Catalogo della omonima mostra tenutasi al Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, nell’ambito del Torino World Design Capital 2008. Mostra e catalogo però raccoglievano in questo caso lo specifico contributo delle donne al design e alla progettazione, con un ampio corredo iconografico e una serie di apparati che permettono di ricostruire il “filo rosa” della creatività in oltre un secolo di contributi. Il volume è completato da un Dizionario delle designer, imprenditrici e donne della comunicazione 1902-2008, a cura di Mariateresa Chirico, che si consulta rovesciando il volume.
I colori del design Patrizia Scarzella, Franco Angeli, 2008, € 20,00 www.francoangeli.it Il colore è un elemento strategico che può contribuire al successo dei prodotti di design, come testimoniano molte case histories di questi anni. Il volume prende in esame vari casi emblematici dagli interruttori BTicino agli interni della nuova 500 Fiat, alle scelte cromatiche delle valige e accessori di Piquadro. Una serie di interviste a designer e imprenditori completa il volume e aiuta a comprendere il ruolo del colore nella progettazione, nella produzione e nella comunicazione delle merci contemporanee. Colour is a strategic element that can contribute to the success of design products, as many case histories over these years bear witness to. The volume examines several emblematic cases, from BTicino’s switches to the inside of the new Fiat 500, to the chromatic choices of Piquadro’s suitcases and accessories. A series of interviews with designers and entrepreneurs completes the volume and helps to comprehend the role of colour in design, in the production and communication of contemporary goods
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Catalogue of the exhibition of the same heading held at the Turin Regional Natural Science Museum, as part of Turin World Design Capital 2008. In this case though show and catalogue covered the specific contribution of women to design and planning, with a broad array of pictures and illustrations and a series of devices that enable one to trace back over a century of female creativity. The volume is completed by a Designer’s Dictionary, entrepreneuresses and women in communication
1902-2008, edited by Mariateresa Chirico, that can be consulted turning the book upside down.
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A work with a scientific approach that combines topics that are often tackled in different fields: the science of materials on the one hand and industrial design on the other. For the professional a valid repertoire of materials, of their properties and processing technologies; for the designer a scientific contribution and an irreplaceable manual; for the layman a book that helps
understand how objects are created, from the fork to the chair.
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Design del popolo Vladimir Archipov, ISBN, 2007, € 23,00 www.isbnedizion.it
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Al di là del titolo vagamente da “realismo socialista”, Design del popolo è una raccolta straordinaria di oggetti nati dalla necessità quotidiana e dalla inventiva della gente comune ai tempi dell’Unione Sovietica. Si scopre così che un vecchio disco in vinile può trasformarsi in sottovaso, che un cartello segnaletico può fungere da badile, o che due ruote di bicicletta possono fare le veci di una antenna televisiva. Oltre che una antologia di oggetti, il libro è una serie di ritratti dove indigenza, ingegno e persino umorismo si mescolano per far riflettere chi, come noi, ha a disposizione tutto e con le proprie mani non sa fare più niente. Beyond the vaguely ‘socialist realism’ title, Design del popolo is an extraordinary collection of objects born out of daily necessities and out of the inventiveness of common people in the times of the Soviet Union. One discovers that an old record can be turned into a flowerpot saucer, that a road sign can act as a shovel, or that two bicycle wheels can act as a TV antenna. As well as an anthology of objects, the book is a series of portraits where need, ingenuity and even humour mix to allow those like us to reflect who have everything at arm’s reach and cannot turn their hand to anything anymore.
Design Management Brigitte Borja de Mozota, Franco Angeli,2008, € 28,00 www.francoangeli.it Il design oggi riveste un’importanza crescente per la competitività di un’azienda. Partendo da questo presupposto, l’autrice - docente di marketing innovazione e comunicazione d’impresa - presenta le basi teoriche e metodologiche per l’integrazione del design nella strategia aziendale. il volume è arricchito dall’analisi di alcuni casi di successo di imprenditori e designer (da Giulio Castelli a Alberto Alessi) e delle istituzioni più prestigiose che hanno fatto grande questa disciplina (design Council, Design management Institute, ADI). Design today has a growing importance for company competitiveness. Starting from this assumption, the authoress lecturer in marketing innovation and company communication presents the theoretical and methodological base for integrating design in company strategy. The volume is enriched by the analyses of some case studies of successes by entrepreneurs and designers (from Giulio Castelli to Alberto Alessi) and the most prestigious institutions that have made this discipline great (design Council, Design management Institute, ADI). Il design che prima non c’era Renato De Fusco, Franco Angeli, 2008 € 35 www.francoangeli.it
De Fusco è l’autore della ben nota Storia del design, uscita a metà anni ‘80 presso Laterza - uno fra i primi importanti contributi volti a descrivere in modo approfondito le vicende di un’arte ritenuta fino a quell’epoca quasi “minore”. In questo volume molto più agile affronta un mutamento decisivo nel disegno industriale - cioè il fatto che esso non si confronta più con oggetti pre-esistenti a cui donare un nuovo aspetto, ma crea ex-novo oggetti “che prima non c’erano”. Intelligenza, ironia, invenzione sono i caratteri fondamentali di questo design inedito - come testimoniato dai numerosi progetti dei giovani designer italiani. The title literally translates as “the design that did not exist beforehand”, its author De Fusco is the author of the wellknown Storia del design, published in the mid eighties by Laterza - one of the first important contributions aimed at describing in depth the aspects of an art up to then considered as almost “minor”. In this much more agile volume the author tackles a decisive change in industrial design that is the fact it no longer deals with pre-existing objects to be given a new appearance, but now creates objects ex novo that “did not exist beforehand”. Intelligence, irony, inventiveness are the fundamental characteristics of this original design - as is born witness to in numerous projects by young Italian designers.
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2/2008 semestrale di cultura del packaging, comunicazione, arte e design
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