HERITAGE
E
ra il 1947 e le ferite causate dall’infausta Seconda Guerra Mondiale si stavano a poco a poco rimarginando. Si avvertiva nell’aria più di un sintomo di ripresa a livello nazionale, cosa che si realizzò negli anni seguenti. In quell’anno l’ingegnere torinese Battista Falchetto, stimato progettista e collaboratore di Vincenzo Lancia, azzardò un ciclomotore che aveva poco da spartire con i motorini che verso la fine degli anni ’50 popolavano le nostre strade: il Motom.Mentore fu Ernesto Frua, che vide nel progetto di Falchetto la realizzazione pratica di una sua idea. Non solo ne coniò il nome, ma, dopo che i primi esemplari furono realizzati a Torino, ne impostò la produzione a Milano.
Quando nacque, i ciclomotori erano per la maggior parte costituiti da motori ausiliari applicati ai telai da bicicletta, taluni modificati con una forcella elastica anteriore. Il Motom denunciava invece l’intenzione del progettista di realizzare un piccola moto. Il motore era di esemplare semplicità, economia di esercizio e durata. Ogni particolare del veicolo mostrava che la filosofia dell’industria costruttrice era quella di offrire in vendita al pubblico un prodotto di qualità.
Alla prima apparizione del Motom al Salone di Ginevra del ’47, sul piccolo motore spiccava la scritta Motomic.
La genesi del “48”. Nello schizzo a sinistra datato 3 febbraio ’46 siamo praticamente alla configurazione definitiva. Mentre il concetto del telaio monotrave in lamiera stampata è presente fin dalle origini.
A destra la foto inedita del prototipo Motomic. La versione definitiva avrà un carter meno esteso sulla destra, filettatura più sottile su telaio e parafanghi, portapacchi di minori dimensioni e con diversi supporti, impianto di illuminazione e segnali acustici (in principio un campanello da bicicletta).
Il Motom rappresentava il trampolino di lancio per i principianti delle due ruote. Il modello 48 si affittava nei negozi di riparazione bici per trecento lire l’ora, senza nemmeno preoccuparsi di essere in grado di guidarlo. Era caratteristico il manubrio, che presentava concentrati tutti i comandi di guida: la mano sinistra comandava cambio, frizione e freno anteriore; la mano destra comandava freno posteriore e quando gas. Leggerissimo e robusto come una roccia: i suoi pedali erano provvidenziali se restavi a piedi con la benzina. Il comfort era offerto dall’ottima sella Cantilever, regolabile secondo il peso del pilota come pure in altezza ed anche in senso longitudinale.
Il prezzo era molto poco superiore a quello di uno scooter, ma la parsimonia nei consumi era un’ottima attrattiva commerciale. A farne lievitare il costo, oltre alla complessità meccanica, era il telaio in lamiera che necessitava di stampi molto costosi. Fu il capostipite di una vigorosa serie di ben 34 modelli e il rapido alternarsi di modelli nuovi con cadenza quasi annuale ha fatto sì che il Motom si evolvesse e si perfezionasse. Questo gli consentì in oltre vent’anni di carriera di diventare leader di categoria con una produzione che ha superato il mezzo milione di esemplari.
A destra la sella con annessa la scatoletta metallica per gli attrezzi. L’altezza e il molleggio sono regolabili. In basso a destra l’attacco dei pedali rimovibili. In basso l’impianto di illuminazione alimentato da dinamo ciclistica da 5 W.
Il Motomic fu prodotto per un paio d’anni in 5000 esemplari, presentando ancora soluzioni tecniche ereditate dalla bicicletta come il clacson a trombetta e la dinamo per il faro.
Disegni tecnici di varie componenti meccaniche del Motom e sulla sinistra una ricostruzione in CAD del primo motore.
Motom presentò al Salone del Motociclo di Milano la 98/T e la 98/TS. Queste moto sembravano di grande anticipo sui tempi, al punto di essere esposte al Museum of Modern Art di New York. Progettata dall’ingegnere Piero Remor, la moto dimostrava notevoli pregi ma venne penalizzata da un prezzo troppo alto e da alcuni problemi meccanici che non furono mai risolti. Sicuramente anche le soluzioni tecniche troppo avanzate non furono capite dall’utente di allora. Furono vendute in soli 1.736 esemplari. La progressiva diminuzione di vendita portò alla chiusura della fabbrica nel 1970.
Linea temporale dei vari modelli di motocicletta prodotti durante l’attività dell’azienda.
Tra il 1964 e il 1970 Motom continuò la produzione dei suoi modelli esistenti senza introdurre nel mercato novità.
STRUTTURA
AFFIDABILITÀ La principale caratteristica che spingeva a comprare la Motom era la fiducia che il consumatore aveva nelle sue prestazioni. L’aspetto compatto che saltava subito all’occhio, faceva intuire la solidità della costruzione, basata su una composizione semplice e funzionale dalla scocca alla piu piccola componente del motore. Grazie all’informazione e all’esperienza, il prodotto ha grande successo ed assume l’aspetto di una vera e propria icona per l’operaio o il contadino, l’uomo lavoratore insomma, che ha bisogno di un mezzo che non lo lasci mai a piedi. La sicurezza delle prestazioni era garantita dall’azienda, che teneva a curare il rapporto stabile col proprio cliente. Questo infatti, dopo aver provato Motom, non rimane deluso nelle aspettative e inizia addirittura ad appassionarvisi provando quando può ad investire i suoi piccoli risparmi in ricambi per elaborare il suo mezzo.
StabilitĂ dei rapporti
Sicurezza delle prestazioni
Solidita nella costruzione
INNOVAZIONE Piuttosto chiaro fin dal progetto ingegneristico iniziale, è l’intenzione di avere un prodotto innovativo finalmente ad un buon prezzo. Sul mercato del tempo si potevano trovare di certo mezzi con soluzioni molto avanzate, ma il loro prezzo era considerevolmente fuori budget per un qualsiasi cittadino medio. La ricerca tecnica di Motom è evidente: il motore era un quattro tempi da 50 cc che offriva una una potenza di 1,4 CV a 4500 giri/min ed una velocità massima di 40 km/h. Inoltre troviamo pure nel modello base un tentativo di ergonomia nella sella ampia, comoda e regolabile dal guidatore. Fondamentale poi è l’attenzione ai consumi che veniva posta in un periodo economicamente difficile: l’uso di olio motore è praticamente nullo e quello della benzina arriva fino a 75 km/litro.
Ricerca tecnica
Ergonomia
Consumi ridotti
SPIRITO NAZIONALE Il Motom era più che popolare, diventò una vera e propria icona italiana e di libertà. Per molti rappresentava il primo mezzo che si potevano comprare con i propri guadagni e con cui potevano iniziare a muoversi al di fuori dello stretto orizzonte paesano. Nascendo come prodotto per il popolo, il suo prezzo deve essere adatto al suo acquirente tipo. Il primo modello ha un costo di 82.000 lire per lo stipendio medio di 10.000 lire di un operaio. Considerato che un uomo riusciva a metter via ogni mese solo una piccola percentuale del suo stipendio, egli doveva risparmiare un anno e mezzo per comprarsi una moto.
La produzione made in Italy del prodotto non solo dava un impiego agli operai sul territorio, ma costituiva anche una garanzia per i possibili acquirenti, così legati all’industria nazionale nel difficile periodo di ripresa del dopoguerra. L’orgoglio per Motom porta ad una vera e propria fidelizzazione da parte della gente. Anche una caratteristica distintiva come il suo colore, il “rosso Motom”, diventò un’icona riconosciuta ed apprezzata per cui venne utilizzata una formulazione specifica.
Produzione italiana
Clientela fidelizzata
VERSATILITÀ Per soddisfare le esigenze del variegato orizzonte popolare, l’azienda presentò forme diverse. I modelli sportivi presentavano soluzioni estetiche accattivanti come il cupolino coprifanale, la sella lunga, il manubrio stretto e ribassato; quelli da donna erano invece più leggeri. Seppur il marchio Motom identifichi con il ciclomotore 48 cc, la Motom si cimenta anche nella costruzione di motocicli di pregevole fattura come il Delfino (150 e 160), al 100 Junior ed al potente 98. Soluzioni alternative utilizzanti il motore di 48 cc, furono anche il motocarro e la motozappa con abbinabile pompa d’irrigazione. Sempre garantita era l’accessibilità ai ricambi, che permetteva non solo di aggiustarsi da sé i piccoli guasti ma anche di elaborare il mezzo. Nonostante i bassi consumi, poteva anche succedere di rimanere a piedi: per questo l’azienda decide di lasciare i provvidenziali pedali, propri degli scooter dell’epoca, che potevano salvare lo sfortunato guidatore in ogni situazione.
Per ogni situazione
Anti imprevisti
“Motom non corre, accompagna�