L'Università e il Quartiere Latino nel centro storico di Treviso

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ESAME DI MATURITA’ 2006/2007 I.T.G. A.PALLADIO CLASSE V SEZ. D

TESINA DI FIOROTTO DAVIDE

L’UNIVERSITA’ E IL QUARTIERE LATINO NEL CENTRO STORICO DI TREVISO


INTRODUZIONE Tra i diversi interventi edilizi che hanno rivalutato la nostra città di Treviso, uno dei più rilevanti è il restauro dell’ex ospedale San Leonardo. Situato in un’area centrale della cittadina, rappresentava un patrimonio culturale abbandonato e inutilizzato, dopo lo spostamento, in una zona più periferica della città, dell’ospedale. Nell’ultimo decennio per la struttura è stato pensato e in seguito realizzato, un progetto di restauro edilizio conservativo che restituisce a Treviso un’area che presto avrebbe spostato il “baricentro” della città. Ora una volta terminati i lavori, l’opera architettonica mostra il suo splendore e il successo di un lavoro spesso complicato, considerando la localizzazione dell’immobile, in pieno centro storico, e la composizione del terreno sottostante, aggravato dalla presenza dell’acqua. Qui si incrociarono due sfide: progettare e realizzare in trecento giorni una sede universitaria all’interno della sede fatiscente di un ospedale dimesso e ridare alla città un intero quartiere che versava in un grave stato di abbandono. Il restauro dell’ex complesso di San Leonardo non costituiva una semplice sfida: 365 giorni per restaurare 75000 mc non sono molti, ma la determinazione e la buona volontà di alcune persone hanno reso possibile la realizzazione di un’opera considerata da molti un miracolo. Per capire tutto ciò bisogna considerare lo sforzo enorme che c’è stato dietro, dai 160 uomini che lavoravano giorno e notte in cantiere, a tutti quelli che hanno risolto le difficoltà burocratiche, dai problemi organizzativi e alle polemiche nate. Quest’area è ricco patrimonio storico, artistico e culturale della città di Treviso: sorge a 300m da Piazza dei Signori e si affaccia in uno dei posti caratteristici della città, il fiume Sile. Oggi il complesso ospita diverse destinazioni d’uso: culturale, commerciale, direzionale e residenziale, che fanno da contorno alla piazza; essa rappresenta un motivo d’incontro e di socializzazione perché caratterizzata dalla sua apertura verso il Sile e dalla rimessa in luce del Cagnan di mezzo, che le conferiscono un’atmosfera unica nel panorama cittadino tanto amato dai trevigiani. Ma la sfida oggi continua e si è spostata al di là del corso fluviale, attraversando il nuovo ponte pedonale: si tratta della ristrutturazione del cinquecentesco convento di San Paolo e dell’ex distretto militare, l’altro nuovo lato del quartiere latino. Il progetto si svilupperà su un’area di 16500 metri quadri, con 40 mila metri cubi di volumetria, suddivisi tra università, residenza e commercio; previsti anche 6 mila m2 di verde, 7000 m2 di parcheggi oltre che ad un piccolo porticciolo sul Sile, il termine dei lavori è fissato prima del 2010.


I PROTAGONISTI Mi sembra giusto subito ricordare alcuni tra i principali (tutti sarebbe impossibile) uomini che con la loro intelligenza e volontà sono riusciti a vincere questa sfida sembrata impossibile. Primo tra tutti Dino De Poli presidente di Fondazione Cassamarca, l’ente che ha finanziato il restauro del complesso di San Leonardo, insieme al suo braccio operativo l’ingegnere Pietro Semenzato direttore dei lavori. Vitale l’intervento del cavalier Angelo Carron, titolare dell’impresa che ha realizzato l’importante opera di restauro commissionata dalla Fondazione, e dei suoi figli che oggi portano avanti l’eredità lasciata dal padre. Qui sono molte le persone che hanno lavorato, ingegneri, archeologi, progettisti, architetti e geometri. Bisogna ricordare inoltre, l’amministrazione comunale di Treviso, l’assessore all’urbanistica Sergio Marton e le Soprintendenze che hanno reso possibile tale grande intervento. Ultimo ma, secondo me più rilevante di tutti, l’architetto Paolo Portoghesi, mente ideatrice dell’intera opera, contattato da Dino De Poli, ha collaborato giorno per giorno alla realizzazione del progetto insieme all’impresa Carron. Il pensiero del professor Portoghesi si esprime nella sua opera architettonica, che difende i valori urbani attraverso il segno di progetti che non cercano mai una gratuita autoaffermazione, in ogni sua opera egli insegue le tracce della storia e della natura, testimoni dell’atto creativo e dei suoi infiniti echi. Paolo Portoghesi Paolo Portoghesi è nato a Roma nel 1931, dove si laurea in architettura nel 1957. Fu docente universitario di letteratura italiana, storia dell’architettura e di progettazione architettonica. Ha sempre lavorato parallelamente in campo teorico, nella ricerca storica, e come architetto libero professionista, tenendo a mente il riadattamento della memoria storica nella tradizione dell’architettura moderna. Portoghesi è autore di un cospicuo numero di saggi e di più di 50 libri sul Rinascimento e il Barocco Architettonico, l’architettura Art Noveau e contemporanea. Opera a livello internazionale e tra i suoi innumerevoli lavori ricordiamo: Casa Baldi a Roma, la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno, la moschea e il centro culturale islamico di Roma, il teatro di Catanzaro, la piazza di Abano Terme e il Consolato generale italiano a Berlino. Fu anche presidente della Biennale di Venezia dal 1983 al 1992. Portoghesi è anche autore di alcune riviste ed organizza molte mostre; nella sua carriera è stato premiato con vari riconoscimenti, quali il premio nazionale d’architettura per la critica storica, direttore del settore architettonico della Biennale di Venezia, ‘laurea honoris causa’ in scienze tecniche dall’Ecole Politechnique Fédérale di Losanna e premio Campidoglio (2006).


LO SCAVO ARCHEOLOGICO L’espansione urbana medioevale di Treviso e l’ospedale di Santa Maria dei Battuti - Inquadramento geomorfologico Questa zona di Treviso si colloca, da un punto di vista geomorfologico, all’interno di una vallecola (piccola depressione), in cui si trovano depositi alluvionali ghiaioso-sabbiosi. In quest’area, grazie agli accurati scavi, si è evidenziata la traccia di un vecchio corso d’acqua, di cui è emersa parte della sponda, e una probabile ansa del fiume Sile. - La necropoli altomedioevale e le prime bonifiche dell’area In questa superficie di piana alluvionale si sono trovate sei tombe a inumazione. Di queste, cinque sono raggruppate nella parte centrale dell’area, mentre una si trova isolata in vicinanza della sponda del fiume. All’interno delle tombe erano presenti alcuni elementi di corredo: un braccialetto in ferro ed altri in bronzo,inoltre si conservavano pochi resti del corpo sepolto dentro una cassa lignea, locata sotto gli edifici che si è riusciti a demolire ed ora ricostruiti. Nello scavo archeologico si sono trovate tracce di una strutturazione funzionale riconducibile ad alcune prime operazioni di bonifica dell’area, mediante la costruzione di sponde formate da pali lignei disposti verticalmente ed orizzontalmente. Questo luogo abbracciato dall’antico corso del Sile e dal vecchio canale Botteniga, sulla base del materiale ceramico recuperato, sembra ricondursi ad un arco cronologico compreso tra il VI e il VII secolo d.C. - L’espansione urbana medioevale Nell’area sono stati rinvenuti dei resti di una capanna realizzata con pareti lignee, documentate dalle buche dei pali poste sui limiti del pavimento in battuto di limo giallo, sopra il quale è presente un focolare residuale. Sono state ritrovate parti di altre capanne, su un livello di ghiaia fine utilizzato come base, in cui le strutture perimetrali erano costituite da pali verticali a testa piatta con diametro di circa 20-30 cm i quali dovevano sostenere tavolati orizzontali. Il piano pavimentale è costituito da una stesura di limo sabbioso giallastro; all’esterno è stata rinvenuta una fascia di ciottoli e laterizi a profilo convesso, interpretata come probabile stradina. Questi edifici in legno erano destinati ad uso abitativo di sviluppo urbano al di fuori del perimetro della città romana, in un’area precedentemente destinata a uso di necropoli e prevalentemente paludosa. Questo dato può significare un’espansione della città di Treviso a causa di un forte aumento della popolazione in epoca precedente la fase medioevale duecentesca. - Formazione del quartiere medioevale Presumibilmente il completamento dei lavori di sistemazione dell’area porta alla formazione di un nucleo abitativo più stabile e complesso, con la sostituzione delle povere abitazioni in legno con strutture in muratura. Inoltre porta a un’occupazione della sponda fluviale forse connessa con uno sfruttamento della stessa in funzione dei traffici fluviali. Purtroppo le strutture rinvenute non chiariscono l’organizzazione interna e nemmeno la sua funzionalità, tuttavia si può pensare che i locali di abitazione fossero ubicati a un piano superiore e il piano


terra diversamente utilizzato. Negli spazi esterni si è trovato un livello ghiaioso costituito da più stesure, interpretato come probabile asse viario. Cronologicamente questa fase potrebbe inquadrarsi in epoca medioevale, è possibile che i resti trovati in una zona ad est dello scavo, possano appartenere al palazzo dei da Coderta, distrutto dai trevigiani agli inizi del XIV secolo. L’edificio risulta, infatti, demolito fino a livello delle fondazioni, con estesi strati di macerie che ricoprono l’area. - L’ospedale dei Battuti Sopra le rovine spianate del precedente edificio, è realizzato il primo nucleo dell’ospedale dei Battuti, la cui costruzione è datata prima metà del XIV secolo. Questa costruzione delinea un complesso edilizio in cui sono stati messi in luce due grandi vani di forma rettangolare di cui il primo, settentrionale, con dimensioni di circa 9,5 x 6 m mentre il secondo, centrale, ha dimensioni leggermente maggiori (11 x 6 m). Sono state rinvenute le fondazioni dei plinti in laterizi di un probabile porticato che andava a collegarsi alla larga muratura perimetrale. Questo muro costituisce ora anche il perimetrale della chiesa di Santa Croce, la cui data di fondazione non è nota, anche se alcuni storici ipotizzano una costruzione coeva al complesso ospedaliero. I vani del primo ospedale non mostrano suddivisioni interne e in quello centrale sono presenti due piccole trincee forse pertinenti ai sostegni di un grande scalone che portava al piano/i superiori. La posizione della scala andrebbe a giustificare la presenza del lungo corridoio nella zona meridionale; infine è possibile che una parte dell’edificio sia stata destinata ad abitazione, grazie alle numerose tracce ritrovate nel luogo. - L’espansione del complesso ospedaliero Il complesso dell’Ospedale si evolve con ampliamenti e modifiche strutturali. Non rimane nulla dei piani interni di questa nuova costruzione, tuttavia è da rilevare come le fondazioni siano imponenti, ancora più grandi dell’edificio antico. Le più importanti novità sono le pavimentazioni realizzate con stesure di limo, solo successivamente in battuti di calce, il nuovo colonnato con interasse di circa 3 m e l’uso di tramezze per dividere l’ambiente in piccoli vani. E’ possibile che l’area sia stata “recintata” da una muratura con uno spazio dedicato come orto o giardino, e una parte dell’edificio utilizzata come deposito o ricovero animali. Cronologicamente questa fase dovrebbe segnare il passaggio tra il Medioevo e il primo Rinascimento e potrebbe evidenziare l’acquisizione completa degli edifici vicini, sicuramente con altri usi, alla proprietà dell’ospedale. - Le fasi rinascimentali Le vecchie case medioevali ancora presenti e il vecchio edificio dell’Ospedale sono stati abbattuti per la costruzione di un nuovo edificio con una nuova serie di strutture murarie e con la presenza di piastrini, a base rettangolare, allineati a coppie. A queste strutture si associano canalette in laterizi con lo scopo di convogliare le acque bianche di scarico nel Cagnan, questo può considerarsi un primo sistema di fognatura. La presenza di pietre utilizzate come macine deriva dalla presenza, documentata storicamente, di mulini all’interno del complesso ospedaliero, la cui energia era ricavata da un canale derivato dal Cagnan, lo stesso entro cui scarica il precedente condotto.


PARTE STORICA L’ex ospedale di Santa Maria dei Battuti a Treviso nei secoli L’origine dell’ex Ospedale di Santa Maria dei Battuti si collega con l’istituzione avvenuta a Treviso della compagnia dei Flagellati: la Scuola di Santa Maria dei Battuti, fondata poco dopo il 1260 sulla sponda destra del Sile. Quest’area ideale e centrale ha sempre manifestato la sua condizione di pluralità di destinazioni d’uso: qui sarà insediato il porto della città di Treviso, collegamento commerciale con Venezia. I corsi dei fiumi Sile e Cagnan assumeranno notevole importanza storica, essi segneranno il perimetro della città di Treviso romana, medioevale e veneta costituendo il naturale limite e la prima difesa. Nel 1300 circa la Scuola di Santa Maria dei Battuti subisce un primo spostamento nel vicino castello, per poi insediarsi in un terreno ceduto dai da Coderta per costruire l’ospedale nel 1333 che avrà vita e sviluppo per oltre seicento anni. La cultura illuministica del Settecento contribuì non poco a dare un nuovo volto architettonico alla città che passò alla Repubblica di Venezia attraverso una successione estenuante di domini francesi e austriaci. Gli edifici furono ristrutturati e fu costruito il ponte di Santa Margherita: tale costruzione segnò per il Sile il passaggio della zona da spazio commerciale ad area residenziale. Il governo napoleonico effettuò vaste riforme e la Scuola dei Battuti fu soppressa. Per qualche secolo risulta difficile tracciare la storia dell’evoluzione del complesso ospedaliero. La prima fonte certa è una planimetria del 1791; precedentemente si può supporre che la struttura abbia ricevuto continue modificazioni ed aggiunte. Il corpo principale era a forma di quadrilatero irregolare, compreso tra via San Pancrazio, piazza Santa Maria dei Battuti e via Gualpertino da Coderta, affacciato sul corso d’acqua Cagnan. La pianta particolarmente accurata del perito pubblico A. Prati consente di stabilire con esattezza la consistenza dell’edificio e la sua destinazione al piano terra di tutte le sue parti, mentre un dipinto del Coghetto, ci aiuta a definire il suo carattere architettonico e la sua probabile datazione. L’edificio era composto da un porticato a giorno con arcate sorrette da colonne, rinforzate alle due estremità da pilastri murari. La sua preziosa veste architettonica fa pensare all’architettura veneziana del


Quattrocento e dei primi anni del Cinquecento, in particolare per la cornice delle finestre e per il disegno del portico in cui gli archivolti si allacciano formando il margine inferiore del muro. Appena due anni dopo la redazione dello scrupoloso rilievo del Prati, veniva conferito a Daniele Danieletti l’incarico di progettare la sostituzione della vecchia loggia con un vero e proprio palazzo, dando un elevato valore architettonico alla facciata. Morto il Danieletti, in un clima culturale molto diverso, già sotto il dominio austriaco, a completare l’opera in funzione delle esigenze pratiche dell’Ospedale viene chiamato Petrovich, architetto croato che interpreta il tema dell’“architettura civile” con sensibilità diversa e ben altre capacità. Dietro al bel porticato del Danieletti, il Petrovich concepisce due piani stretti al piano terra scavando al di sotto delle soglie e dividendo in due parti i grandi portali della precedente facciata. Inoltre sostituisce la scala esterna a doppia rampa con una scala a forbice, creando un enorme contrasto nella facciata, risultando un corpo estraneo e decontestualizzato ma sicuramente più funzionale per la struttura. Dopo la conclusione nel 1832 dell’opera del Petrovich, inizia un periodo di infelici sostituzioni parziali dettate da esigenze funzionali che continuarono per il secolo successivo, suscitando una protesta della cultura trevigiana. Ma la direzione dell’ospedale non bada a questi pareri e procede con i suoi lavori di sopraelevazione, cercando di conservare alcuni elementi della vecchia facciata, ma finendo per distruggere l’armonia proporzionale. Così, come traccia di un periodo poco felice per l’architettura e per il rispetto dei monumenti, viene cancellato una delle più belle pagine del neoclassicismo trevigiano e profondamente alterato il fondale di una delle vedute più tipiche della città. Il corpo di fabbrica che si estende da via San Pancrazio a via Gualpertino da Coderta, attestandosi su piazza Santa Maria dei Battuti, ha subito notevoli


trasformazioni e manomissioni. L’elemento che lo caratterizza è il portale lapideo lombardesco con la lunetta affrescata e l’orologio sovrastante a segnare uno dei principali ingressi del vecchio Ospedale. Nel 1854 si tentò di dare inizio a un progetto di rinnovamento globale di questa parte di ospedale, ma fu realizzato solamente nel 1893. Il progetto prevedeva modifiche importanti al corpo di fabbrica che si attesta sulla piazza con la sopraelevazione dello stesso e la demolizione della caratteristica torre dell’orologio. Una nuova distruzione si ebbe nel 1944, in seguito alla quale fu ricostruita completamente l’ala su via Gualpertino da Coderta: ma dopo il 1945 i reparti di degenza si trasferirono progressivamente nella nuova sede di Santa Maria di Ca’ Foncello. La chiesa di Santa Croce dovrebbe essere la cappella dell’Ospedale. Essa rappresenta un ricco patrimonio artistico e culturale, oltre che di importanza architettonica, per la sua presenza all’interno di tele, dipinti e affreschi di vari noti artisti, e di un organo. Si presume che la data di costruzione della chiesa sia parallela alla fondazione dell’Ospedale. L’edificio non subisce mai una completa distruzione ma viene arricchita nei secoli ed infine restaurata. L’aspetto originario della ex casa Bortolan era composto da quattro edifici disposto a lotto gotico lungo vicolo Bortolan. L’intervento di J.Bortolan porta alla unificazione delle quattro unità dando loro una veste di palazzo neoclassico, con affreschi e stucchi all’interno e marmorini e stucchi all’esterno, che non andarono perduti: l’unica ad essersi smarrita è una fontana lapidea con lo stemma dell’Ospedale in rilievo. L’anno 1877 corrisponde con la data d’acquisto dell’immobile da parte dell’amministrazione ospedaliera, la quale influì su aggiunte e rifacimenti dell’edificio per necessità ospedaliere; fu luogo di magazzini per la legna e deposito delle fascine, cantine per l’attività vinificatoria e spazio per la produzione di grano ed elettricità tramite l’uso dei mulini. - Santa Maria Bertilla Boscardin Entro le mura dell’Ospedale, negli anni che andarono dall’ottobre 1906 all’ottobre 1922, una sorella della congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori, Maria Bertilla, operò nell’oscurità in modo umile e instancabile. Morì a 34 anni a seguito di una dolorosa agonia per un urgente intervento a causa di un tumore all’utero. La sua morte ne consacro le virtù eroiche a la venerazione di tutti i testimoni della sua semplice vita, casta e spesa totalmente alla dedizione verso i sofferenti, l’11 maggio 1961 Papa Giovanni XXIII la proclamò Santa Maria Bertilla. - Le cessioni L’istituzione ospedaliera cessa definitivamente di esistere nel vecchio Ospedale nel 1998, quando il comparto edificato viene ceduto alla Fondazione Cassamarca, gli ultimi reparti ad essere dimessi erano quelli attinenti alle attività fisioterapiche. I lavori iniziarono con le demolizioni di alcuni edifici e con la restaurazione di altri, il primo stralcio dei lavori si concluse nell’autunno del 2000 con l’apertura dell’Università, a seguire vennero ristrutturate la piazza verso il Sile, ora detta piazza Università, palazzo Bortalan, la chiesa di Santa Croce e fu costruito il ponte pedonale che collega il polo universitario insediatosi nel 2001 presso


un’ala dell’ex Distretto militare. In seguito l’impresa Carron acquisisce dalla Fondazione Cassamarca tutta la restante parte dell’ex Ospedale Santa Maria dei Battuti. - Metodologia del restauro Posto fin dall’inizio il problema di due stili architettonici presenti nel palazzo della Dogana, si è deciso di preservare il progetto fatto dal Pietrovich, ma ridare alla facciata lo splendore del Danieletti, andando incontro alla necessità di operare per il cambio di destinazione d’uso. La stessa logica ha suggerito la riapertura del Cagnan, che ci porta oggi a rivalutare il segno urbano delle acque correnti che attraversano Treviso: a questa parte della città la nostra epoca può dare un nuovo significato nel rispetto del passato, senza rinunciare alla sua rivalutazione. Prioritari rispetto ai lavori di adattamento del complesso dell’ex Ospedale sono stati i lavori di consolidamento, resi obbligatori dalle condizioni statiche di gran parte degli edifici e dai problemi che pongono i sovraccarichi necessari per le nuove destinazioni d’uso. E’ stata svolta una fase preventiva di studio dettagliato dei cedimenti delle fondazioni, con la demolizione di parte della muratura e del solaio mezzanino, che guastava l’estetica del palazzo della Dogana. Prima dell’intervento, i fabbricati che costituiscono il complesso dell’ex Ospedale di Santa Maria dei Battuti erano in origine caratterizzati da una omogenea finitura di superficie a marmorino (a eccezione di pochi in calce e sabbia) con partiture architettoniche realizzate sia a intonaco che in pietra. Si presentavano diversi fenomeni di erosione superficiale e le tinteggiature avevano preso un colore giallino che si rifletteva sull’intera facciata, provocato dagli agenti atmosferici e dal traffico, inoltre erano presenti numerosi distacchi dell’intonaco dalla muratura causati dall’errato impasto preparatorio troppo fine e dalla stesura in un unico strato. Mancanze e rifacimenti in corrispondenza della linea di terra erano da imputarsi, invece, a fenomeni di risalita capillare di acqua del terreno; è stato effettuato un accurato lavoro di analisi sulle facciate.


COME PROGETTARE L’UNIVERSITA’ E IL QUARTIERE LATINO A TREVISO Paolo Portoghesi Il mestiere dell’architetto in Italia richiede una grande pazienza e comporta una seria di inevitabili frustrazioni. Quello che è successo a Treviso, progettare e realizzare in trecento giorni la nuova università e un ponte sul Sile, è quindi non solo una caso fortunato ma un vero e proprio miracolo che presuppone una serie di condizioni divenute assai rare che fanno pensare ad altri tempi, quando le città italiane potevano in cinque anni, come successe a Roma all’epoca di Sisto V, cambiare radicalmente il proprio volto e diventare per secoli un esempio da seguire in tutto il mondo. Il restauro, un settore dell’architettura in cui la cultura italiana può vantare significativi primati può diventare una parte significativa della “modernizzazione”, se sarà concepito come una tecnica di intervento che mira non alla imbalsamazione ma a una attenta individuazione di ciò che richiede la più rigorosa conservazione, di ciò che può mantenere in pieno il suo valore urbano cambiando destinazione d’uso e distribuzione interna, e di ciò che è legittimo trasformare anche radicalmente in forme che esprimano la presenza creativa del nostro tempo accanto e in armonia con le testimonianze di tempi lontani. Nell’ottobre 2000, l’inaugurazione dei corsi universitari è coincisa con la consegna della prima parte del complesso restituito alla città, insieme all’Università, dopo 700 anni. Particolare cura richiese la configurazione e l’arredo dell’aula magna, il cuore dell’edificio, che il presidente De Poli voleva severa e solenne come quelle delle università inglesi. Per raggiungere l’obbiettivo sembrò indispensabile adoperare come essenza il rovere sabbiato, la cui finitura mette in rilievo le venature e il bel colore naturale. Il disegno dell’aula magna si ispira al Teatro Olimpico palladiano nella forma della cavea, ma rievoca l’atmosfera oxfordiana nel ritmo serrato dei pannelli di legno che rivestono le pareti e diventano scranni dietro la cattedra. La cuffia di legno concava che fa da riflettore sonoro sopra gli scranni ha svolto perfettamente il suo ruolo e la sala è apprezzata oggi per la buona acustica. Le poltrone sono caratterizzate da un disegno astratto su fondo blu; l’impianto di aerazione si sviluppa in modo irregolare, percorre il soffitto dell’aula come i rami di un albero che si protenda verso l’assemblea. A sei anni dall’inaugurazione nessun atto di vandalismo ha incrinato la compiutezza dell’arredo, fortificando l’ideale che la bellezza sia un’arma di difesa.


Non meno curati dell’aula magna sono l’ingresso verso il Sile con la volta a carena che celebra di Treviso la vocazione commerciale legata al percorso fluviale e l’andito verso la piazzetta della chiesa, coperto da una volta a botte fatta di tubi di vetro di Murano soffiati di un bel colore verde-azzurro che richiamano il colore delle acque del Sile nelle luminose giornate di primavera. Si tratta di un piccolo omaggio a Frank Lloyd Wright che adoperò tubi di cristallo di produzione industriale nei velari sospesi sopra i pilastri a fungo del salone degli uffici Johnson a Racine. Ognuna delle aule del resto è stata oggetto di studio perché la diversità delle dimensioni, della esposizione, della qualità spaziale richiedeva per ciascuna soluzioni diverse adatte alle sue particolarità. Elemento unificante delle aule sono gli arredi di betulla, che rafforzano la luminosità, e la forma delle sedute rivestite con una stoffa disegnata utilizzando delle forme fantastiche. La composizione dei pavimenti deriva dalla combinazione degli schemi decorativi più diffusi nel mondo, e i soffitti risultano abbassati con un controsoffitto leggero per la necessità di lasciar passare nell’intercapedine cavi elettrici e altri impianti, la soluzione ha portato a scegliere un sistema che ricorda molto quello dei cassettoni degli antichi soffitti in legno. Un ambiente la cui forma è nata in corso d’opera è la cappella dedicata a santa Bertilla, la quale si è deciso di situarla nel luogo ove sono state ritrovate quattro colonne tuscaniche che erano imprigionate nel muro e che richiamavano la figura di un ciborio (altare). Seguendo il suggerimento formale per la collocazione, si è anche deciso di salvare il cinquecentesco soffitto ligneo e aggiungere unicamente un pavimento di terrazzo alla veneziana a cerchi concentrici. Per quanto riguarda la parte più antica dell’Ospedale, il corpo di fabbrica della Maternità, il progetto venne impostato con criteri scientifici conservando murature, solai, intonaci e riportando in luce il bellissimo tetto a capriate. Con lo stesso criterio si affrontò il restauro del palazzo Bortolan, nel quale sono stati rispettate e rivalorizzate le strutture cinquecentesche e neoclassiche, per rendere leggibile all’osservatore una realtà costruttiva stratificata senza privilegiarne una o l’altra. Nell’edificio sono stati recuperati i bei soffitti lignei cinquecenteschi rinforzandoli dove necessario con elementi metallici e restaurate con ogni cura le decorazioni a stucco e affresco di età neoclassica. Poiché l’antica scala dell’attuale palazzo dell’Umanesimo Latino era stata spostata nel tardo Ottocento fu necessario costruirne una ex novo e la necessità di rendere ben visibile l’intervento moderno portò a realizzare un scala a chiocciola come un albero, indipendente dall’involucro murario. Un’idea ispirata da un’affermazione di Ridolfi, che parlava di una scala come un albero con un tronco fatto di aste di ferro, per


dare eleganza e senza dimenticare il tema della natura. Per realizzare la scala si scelse il ferro e dell’albero si volle rievocare la linea flessuosa dei rami e, dopo un lungo ragionamento sulla geometria, si preferì di escludere la saldatura e privilegiare l’avvitatura come sistema di connessione a secco. La struttura molto semplice è basata su un tubo cilindrico di spessore costante attorno al quale si avvolgono i singoli elementi ramificati che variano di spessore ad ogni piano. Per il taglio delle lamiere è stato usato il laser, lasciando alle superfici tagliate la rugosità che ne deriva; i gradini della scala appaiono come delle piccole mensole che assicurano stabilità, essi sono realizzati in marmo rosso di Verona. Insieme a palazzo Bortolan, l’11 settembre 2001, venne inaugurato il ponte sul Sile, indispensabile per collegare i due poli della nuova Università. In un primo tempo il progetto proponeva una struttura simile a quella di una barca con la chiglia portante e una serie di nervature che sostenevano l’impiantito. Strada facendo per ridurre l’impatto sul paesaggio si scelse il modello del vecchio ponte con gli obelischi e la sagoma rialzata verso il centro, tipica dei ponti veneziani. La piazza ha un aspetto accogliente e familiare, il disegno a damiera è stato realizzato in marmo di Verona e biancone, con al centro un tappeto che ripropone con i suoi mosaici il moto delle onde; al centro doveva esserci una fontana ma l’istinto portò a lasciare la piazza libera. In occasione della trasformazione del corpo destinato originariamente a lavanderia dell’Ospedale, si è dovuto riprogettare la scala dell’albero di palazzo Bortolan. In questo caso la scala doveva collegare tre livelli, il terreno, il ballatoio e il piano superiore e svolgersi in un stretto vano rettangolare. Nacque così l’idea di sviluppare la scala intorno a due alberi con una sagoma simile a quella del segno matematico dell’infinito; l’intreccio dell’albero della vita e della conoscenza, così chiamati, è simbolo della vita e del sapere che l’Università realizza nel suo ruolo di esperienza e trasmissione della cultura. I gradini in legno grezzo e il parapetto formato da cavi intrecciati dà alla scala un ritmo avvolgente, di leggerezza e forza dinamica. I motivi delle ringhiere e delle volte in ferro battuto si ispirano ai motivi ornamentali raffigurati negli antichi affreschi delle case di Treviso. Il terzo tempo dell’operazione, il compimento del Quartiere Latino, è stato senza dubbio il più lungo e difficile poiché non era pensabile inserire residenze e servizi in un’area centrale senza adeguati parcheggi e la costruzione di un parcheggio sotterraneo in un’area pervasa dall’acqua presentava problemi ardui da risolvere. Era impensabile poter demolire gli edifici per costruire un parcheggio sotto, l’unica soluzione era quella di collocare il sotterraneo sotto la piazza e sotto gli edifici che il piano consentiva di demolire e a ricostruire lasciando intatta unicamente la facciata esterna. Iniziò così la fase più difficile e rischiosa del restauro dal punto di vista tecnico.


La realizzazione del parcheggio fu affidata ai migliori specialisti nel campo, i quali effettuarono un controllo millesimale, ora per ora, delle conseguenze prodotte nella zona circostante dalla creazione dei pali e delle pareti di contenimento. Un altro ostacolo a cui si andò incontro fu la richiesta della Soprintendenza archeologica di effettuare una attenta analisi del terreno che rivelò la presenza di antiche murature, mantenute in vista in prossimità della chiesa di Santa Croce, e di numerose testimonianze storiche dello sviluppo della città. Per la zona residenziale la prima idea era di sperimentare forme decisamente moderne anche se non disgiunte dalla memoria storica, ma questo pensiero andava in contrasto con quello che era il programma e fu, fin da subito, bocciato. Si preferì seguire la tradizione veneta, le finestre furono inserite nei “righi” orizzontali, come note sul pentagramma musicale, e il tema dei marcapiani fu adottato insieme a un tipo di finestra tipico di Treviso, molto diffuso nelle facciate del Settecento e del primo Ottocento che, con una fioriera sporgente a livello della soglia, estende verso il basso il rettangolo del vano dandogli una proporzione più snella ed elegante. Nell’immaginare la piazza dell’area residenziale la si è voluta animata dal viavai delle persone attirate dalle varie funzioni previste nel corpo di fabbrica della ex Maternità e dalle vetrine dei negozi degli altri edifici unite al pianterreno da una tettoia sporgente, sorretta da mensole in acciaio Corten, che convoglia e protegge il traffico pedonale sostituendo quel felice segno di “urbanità” che è il portico basso e poco profondo tipicamente trevigiano. Una piccola galleria unisce la piazza alla via San Pancrazio in corrispondenza dell’edificio d’angolo con le piccole finestre ad arco; inoltre la piazza è attraversata da due assi di penetrazione che collegano alla città. Nelle scale interne che danno accesso agli appartamenti, le ringhiere in lamiera forata con l’ausilio del computer, riprendono alcuni dei motivi decorativi delle più belle e celebrate facciate trevigiane. Soprattutto nell’Ottocento a al principio del Novecento si è guardato alla città come realtà puramente materiale, luogo di funzioni da svolgere e di operazioni “pratiche” da svolgere, testimonianze quindi della insensibilità con cui si è guardato a un bene comune


sottovalutandone il valore estetico. Fortunatamente negli ultimi decenni ci si sta rendendo conto di quanto la bellezza della città incide sulla vita degli uomini ed è nata una nuova cultura ambientale attenta ai valori del passato, ma, nello stesso tempo, consapevole che la modernità ci ha aiutato a comprenderli e a dar loro il giusto ruolo nella trasformazione della città (Carlo Levi scrisse:”Il futuro ha un cuore antico”).


GLI IMPIANTI Il progetto di restauro e di rinascita del quartiere dell’Università di Treviso costituisce un modello anche per la distribuzione degli spazi tecnici e per l’impiego di tecnologie di avanguardia. Sicurezza, controllo, didattica, comfort sono le parole simbolo di un sistema impiantistico che è stato realizzato a tempo record, assicurando un’adeguata risposta ad ognuno di questi concetti-guida. Molti vani tecnici sono stati alloggiati in appositi locali interrati sotto la piazza, altri, occupano il sottotetto e intere stanze alle quali si accede da porte identiche a quelle delle aule, o dietro a pannelli di legno non distinguibili da quelli impiegati per l’arredo. - Impianto di condizionamento L’impianto di condizionamento è principalmente del tipo a mobiletti ad aria primaria nel comparto dell’Università, mentre è a pavimento radiante nel comparto residenziale. Nel comparto dell’Università il ricambio d’aria, stabilito per legge, è assicurato da 14 centrali che trattano e immettono nell’ambiente circa 50000 mc/h d’aria, inoltre controllano mediante sonde di temperatura e umidità le condizioni termoigrometriche dei singoli ambienti. - Impianto elettrico La corrente elettrica che alimenta l’intero quartiere arriva ad una tensione di 10000 V nella cabina Enel interrata posta sotto la piazza, successivamente, attraverso un trasformatore in resina, è portata a 400 V. Un programma computerizzato controlla tutti i punti luce, regolando l’intensità dell’illuminazione attraverso la lettura in tempo reale dei dati che provengono dai rilevatori, in pratica diventa più intensa man mano che la luce esterna diminuisce. - Impianto idraulico In un locale interrato, sotto la piazza, è alloggiata la centrale termica per la produzione dell’acqua calda a 80°C per il riscaldamento invernale. Sono presenti tre caldaie pressurizzate a gas metano della potenzialità complessiva di 1628 kW. Accanto alla centrale termica, nei vani interrati è alloggiata anche la centrale frigorifera che produce acqua fredda a 7°C per la climatizzazione estiva. La centrale è composta da gruppi frigo con condensazione ad acqua; sono presenti due gruppi frigoriferi con potenzialità complessiva di 1060 kW. Non è presente una centrale di produzione di acqua calda sanitaria. Per i servizi del comparto Università l’acqua calda sanitaria è prodotta da bollitori elettrici localizzati, negli appartamenti, invece, è prodotta da scambiatori ad accumulo locali alimentati dalla rete di riscaldamento. L’impianto idraulico sotto la piazza si snoda lungo 10 km di tubi. L’acqua calda per il riscaldamento invernale del comparto residenziale è prodotta da una centrale termica centralizzata, posta al piano terra, composta da caldaie modulari con potenzialità complessiva di circa 500 kW.


- Depurazione acque reflue Tutte le acque reflue vengono convogliate in un impianto di depurazione posto anch’esso sotto la piazza. L’impianto riesce a trattare un portata giornaliera di 120 mc. Il trattamento è di tipo aerobico a massa sospesa e segue lo schema di processo a fanghi attivati ad aerazione prolungata, attraverso sequenze cicliche, realizzate in un unico bacino. Ogni ciclo è costituito da quattro fasi: fase anossica, aerazione, sedimentazione, scarico. - Sistema antincendio Il gruppo di pressurizzazione antincendio, alloggiato nei locali interrati che si trovano sotto la piazza, è costituito da due pompe (una in funzione e una di riserva) capaci ciascuna di erogare 1200 L/min (72 mc/h) con una prevalenza di 82 m di colonna d’acqua. Il gruppo di pressurizzazione alimenta gli idranti esterni e i naspi posti all’interno del complesso. Il funzionamento del gruppo antincendio, in caso di guasto elettrico, è assicurato da un gruppo di continuità in funzione 24 ore su 24. Sotto la piazza è presente una vasca di riserva idrica antincendio della capacità di 150 mc. Ognuna delle macchine per il trattamento dell’aria, in funzione all’Università, è munita di serrande tagliafuoco automatiche che si chiudono non appena il sistema di rilevamento incendi avverte la presenza di fumo, ciò impedisce quindi l’eventuale propagarsi delle fiamme. - Impianti per la didattica Una particolare attenzione è stata dedicata alla realizzazione degli impianti per la didattica dell’Università, che sono stati cablati in fibra ottica. Grazie ai sistemi audio e video realizzati, alcuni corsi universitari sono tenuti in videoconferenza. L’aula magna è servita da una sala regia che controlla 40 telecamere su monitor al plasma. - Gestione generale – Sistema di supervisione In tempo reale sul display del computer della consolle dell’Università, sono segnalate anomalie riguardanti il sistema antincendio, il sistema antintrusione, il sistema idraulico e quello elettrico. Il quadro della gestione generale fornisce in tempo reale le informazioni sui vari impianti e sulla sostituzione dei componenti, allo scadere della vita media provvede a informare l’operatore della necessità di procedere all’operazione di manutenzione prima della rottura. E’ possibile anche controllare i parametri di benessere all’interno dei singoli ambienti e programmare un’ottimizzazione dei costi di gestione (accensioni, spegnimenti, regimi ridotti e/o parziali in funzione dell’occupazione dei locali).


IL PARCHEGGIO SOTTERRANEO Il garage che ha battuto l’acqua Un garage interrato a quota -11 m che si può dire sia stato scavato nell’acqua, un’impresa eccezionale dal punto di vista tecnologico e costruttivo, tanto più per essere avvenuta in pieno centro storico. La soluzione individuata dallo staff tecnico e sviluppata progettualmente poi dal pool di ingegneri consulenti è stata quella di costruire l’autorimessa alla “rovescia”, con il sistema denominato “top down” (dall’alto al basso). La spinta dell’acqua, sia in senso verticale dal basso verso l’alto sia in senso laterale, contro la paratia in cemento armato perimetrale era ed è molto forte per la presenza di una falda freatica a quota -1,30 m e di una falda artesiana a quota -24 m. per contrastarla è stato quindi necessario non solo eseguire i vari passaggi mettendo in opera barriere costruttive molto consistenti, ma anche monitorare 24 ore su 24 il sistema di drenaggio. Questo sistema attraverso pompe meccaniche era in grado di pompare nelle adiacenti acque del Sile 5000 l al minuto per ognuno dei sei pozzi, per un totale di 30000 l al minuto. L’autorimessa interrata si sviluppa su tre piani ciascuno dei quali ha una superficie di 2000 mq per una superficie complessiva del manufatto di 6000 mq, che ospitano 127 posti macchina. La presenza della falda freatica e della falda sottostante ha imposto la ricerca di soluzioni progettuali innovative e complesse, inoltre l’iter progettuale era vincolato alle problematiche derivanti dai fabbricati limitrofi di interesse storico che non si potevano demolire e dalla presenza di un imponente scavo archeologico. - La prova d’esecuzione Per una valutazione accurata dei parametri da applicare, delle modalità operative e della risposta del terreno al trattamento, si è scelto in via preliminare un campo prova che ha costituito una vera e propria simulazione dello scavo definitivo. In un’area rettangolare all’interno del cantiere, di dimensioni 6 x 4 m circa, sono state eseguite la paratia perimetrale in jet grouting (getto di malta in pressione) armato e il tampone di fondo. Successivamente è stato eseguito lo scavo sino alla quota -11 m prevista dal progetto, senza che si evidenziassero apprezzabili venute di acqua né dalle pareti laterali né dal tampone di fondo. - La tecnica del jet grouting e le opere fondazionali Si è quindi proceduto allo scavo definitivo fino a quota -11 m dal piano campagna, realizzando un tappo di fondo su tutta l’area avente uno spessore di circa 5 m per bilanciare nella fase di scavo la sottospinta idraulica con un carico stabilizzante. L’intervento è stato suddiviso in due zone, nella zona A, a cielo libero a ridosso dei fabbricati sono stati realizzati diaframmi in cemento armato dello spessore di 80 cm spinti fino ad una profondità di 24 m. Nella zone B invece, vista l’impossibilità di accedere all’interno dei fabbricati vincolati dalla


Soprintendenza con i macchinari per diaframma, si è realizzato una paratia in jet grouting a colonne del diametro di 90 cm compenetrate tra loro e armate con doppio ordine di micropali del diametro di 140 mm. Inoltre sotto la quota di scavo sono stati realizzati dei pali del diametro di 1200 cm e della profondità di 25 m, agganciati alla platea. - Il sistema top down La scelta del sistema top down, che prevede l’esecuzione di ciascun solaio prima della realizzazione dello scavo sottostante, è cominciata con il getto del primo solaio al piano terra, al quale è seguito lo scavo sottostante, la realizzazione del terzo solaio e in seguito la realizzazione della platea di fondazione. Per sostenere in modo provvisorio i solai prima dell’esecuzione delle strutture di sostegno verticali definitive, si è creato una struttura portante provvisoria di pilastri realizzati con tubi circolari in acciaio del diametro di 50 cm e sono stati collocati in posizione sfalsata lungo le travi principali di sostegno.

- Scelta della soluzione del metodo REP Per l’esecuzione del primo solaio a piano campagna si è scelto di utilizzare le travi tralicciate miste, meglio conosciute come travi e lastre REP, un acronimo che sta per rapidità, economia, praticità. Da questo sistema ci si possono aspettare prestazioni superiori alle travi in c.a. tradizionali che si possono così sintetizzare:maggior rapidità di posa e di getto; autoportanza e quindi eliminazione della casseratura e dei sui tempi di disarmo; dimensioni inferiori al c.a. a parità di carichi o prestazioni maggiori a parità di geometria; velocità di posa in opera; rispondenza alle caratteristiche di resistenza al fuoco; flessibilità strutturale; ottime caratteristiche di finitura dell’intradosso “a vista”.


MATERIALE UTILIZZATO bibliografia Paolo Portoghesi, l’Università e il Quartiere Latino nel centro storico di Treviso, a cura di Mario Anton Orefice, Marsilio Baglioni – Guarnerio, La ristrutturazione edilizia, Hoepli Tinè S., La pratica del restauro, Be – Ma Cristinelli G., Restauro e tecniche, Arsenale Marconi P., Il restauro e l’architetto, Marsilio web Fondazione Cassamarca: www.fondazionecassamarca.it http://www.fondazionecassamarca.it/03_ap/SanLeonardo/index.html Carron SpA: www.carron.it dvd Il futuro ha un cuore antico 30 settembre 2006, Diario di cantiere, Carron (allegato) incontro con l’autore Paolo Portoghesi. L’università e il quartiere latino nel centro storico di Treviso, 16/05/2007 Palazzo Bomben


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