L’ESTETICA SACRIFICALE DI ERIC GANS:

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L’ESTETICA SACRIFICALE DI ERIC GANS: DAL PAESAGGIO SACRIFICALE CRUENTO (SACRIFICAL LANDSCAPE) ALLA ORIGINE DELL’ARTE DEI LINGUAGGI (AESTHETIC LANDFORM) di Davide Polovineo

1 INTRODUZIONE: CONFIGURAZIONE DELLA SACRIFICING CULTURE IN ERIC GANS Eric Lawrence Gans1 ci offre fin dal 1971 dense e preziose comunicazioni sul tema del sacrificio, sintetizzate, in particolar modo, nella rivista in rete ―Chronicle‖ No. 184 intitolata Sacrificing Culture2. Quel che appare oggi di moderno interesse nel contributo dello studioso californiano e discepolo di Girard, al di là dell’ampiezza del raggio d’interesse e di materiali letterari e antropologici che egli padroneggia, è un’impostazione da lui data in ―Chronicle‖ della tesi sulla ―estetica sacrificale‖. Ciò che l’autore vuole dimostrare è che le forme estetiche (aesthetic landform), nate dalla prassi sacrificale cruenta ( o meglio dal paesaggio sacrificale-sacrifical landscape), si sono evolute da caratteristica necessaria dell'organizzazione sociale del gruppo dei proto-umani predatori ad elemento intra-psichico della condizione umana. Per Gans l'emergere dell’arte come performance, e quindi di tutte le componenti che la strutturano compresa quella rituale-sacrificale3, è Cfr. E.L.GANS, The Discovery of Illusion: Flaubert's Early Works 1835-37, University of California Press, Los Angeles 1971; IDEM, Un Pari contre l'histoire: les premières nouvelles de Mérimée (Mosaïque), Minard Archives des lettres modernes, Paris 1972 ; IDEM, Musset et le drame tragique, Librairie José Corti, Paris 1974 ; IDEM, Le Paradoxe de Phèdre suivi du Paradoxe constitutif du roman, Nizet, Paris 1975 ; IDEM, Essais d'esthétique paradoxale, Editions Gallimard, Paris 1977 ; IDEM, The Origin of Language: A Formal Theory of Representation, University of California Press, Los Angeles 1981 ; IDEM, The End of Culture: Toward a Generative Anthropology, University of California Press, Los Angeles 1985; IDEM, "Madame Bovary": The End of Romance, G. K. Hall, Boston 1989; IDEM, Science and Faith: The Anthropology of Revelation, Rowman & Littlefield, Savage-Lanham 1990; IDEM, Originary Thinking: Elements of Generative Anthropology, Stanford University Press, Stantford 1993; IDEM, Signs of Paradox: Irony, Resentment, and Other Mimetic Structures, Stanford University Press, Stanford 1997. Di prossima pubblicazione: E.L.GANS, The Scenic Imagination: Originary Thinking from Hobbes to the Present Day. Stanford University Press, Stanford (expected Fall 2007); IDEM, The Most Beautiful Girl in the World: Carole Landis (19191948), University of Mississippi Press, (expected early 2008). 1

Cfr.http://www.anthropoetics.ucla.edu/views/vw205.htm. Si deve ringraziare, per la conoscenza dell’opera di E.Gans in lingua italiana, il prof. Fabio Brotto che attraverso un’attenta traduzione dei maggiori articoli gansiani ha permesso agli studiosi italiani di accostarsi all’antropologia genetica. 2

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Per un’attenta analisi di studio sulla tematica rituale sacrificale cfr. A.N TERRIN, Il pasto

sacrificale nella storia comparata delle religioni, in S.UBBIALI (ed.), Il sacrificio evento e rito, Edizioni Messaggero, Padova 1998, p. 263-310;IDEM, Il Rito. Antropologia e fenomenologia della ritualità, Morcelliana, Brescia 1999;IDEM, Antropologia e orizzonti del sacro, Cittadella Editrice, Assisi 2001.

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profondamente interconnessa con la sua ipotesi della Scena delle Origini che non può essere riletta semplicemente in termini di teoria dell’evoluzione: l'origine dell'umano viene compresa non soltanto come un processo ma come un evento artistico4 poiché è proprio nella sfera dell’estetica che vi è il terreno più favorevole ad un dialogo fruttuoso fra il pensare in termini di evento e il pensare in termini di processo5. Ma, per seguire attentamente questa lezione sull’estetica sacrificale, dobbiamo in maniera sintetica presentare, soprattutto per chi non conosce l’autore, l’intera tesi di Gans sulla scena originaria. Nel pensiero di Eric Gans il ―Sacro‖ e il linguaggio sono le manifestazioni primordiali dell'umano6. In The Origin of Language, il suo primo libro, Eric Gans affronta la questione delle origini dell'umano, e, come si evince dal titolo, il problema dell'origine del linguaggio7, ossia del mondo dei segni, che sono cosa ben diversa dai segnali di cui dispongono gli animali8. 4

Cfr ivi, cit. in rete.

Un'esperienza estetica può essere compresa sia come risultato d'un processo che genera un "effetto estetico" particolare, che come evento memorabile nella durata del relativo soggetto. Più specificatamente, l'esperienza dell'arte è generata e fortemente strutturata da un processo interno all'opera d’arte specifica, che può essere compresa come meccanismo destinato deliberatamente a provocare nel suo pubblico l'esperienza di un nuovo evento. 5

Sulla definizione gansiana del sacro cfr. E.L.GANS, Il sacro generativo : la riabilitazione dell'eredità di Durkheim, in ―Studi Perugini‖ 10 (2000), pp. 93-103. 6

In particolar modo Eric Gans affronta l’argomento in L'origine des structures linguistiques élémentaires, in ―Archives et documents de la société d'histoire et d'épistémologie des sciences du langage‖ 4 (1984), pp. 1-21. (Cfr. anche G.URBAN, Metasignaling and Language Origins, in ―American Anthropologist‖ 104(1) (2002), pp. 233-243; CH BRIGGS , Linguistic Magic Bullets in the Making of a Modernist Anthropology, in ―American Anthropologist‖ 104(2) (2002), pp. 481-498; R.D’ANDRADE , Cultural Darwinism and Language, in ―American Anthropologist‖ 104(1) (2002), pp. 223-231; ALVARD M.S.-KUZNAR L., Deferred Harvest: The Transition from Hunting to Animal Husbandry, in ―American Anthropologist‖ 103(2) (2001), pp. 295-311). Per la sua comprensione dell’origine del linguaggio E.Gans si collega alle due ipotesi sulla formazione del linguaggio: l'ipotesi "arcaica" e quella "tarda". L'ipotesi arcaica dominante è quella secondo cui il linguaggio in qualche forma, quello che alcuni scrittori chiamano attività "simbolica" e Gans preferisce chiamare "rappresentazione", sia apparso contemporaneamente al genere Homo, il cui emergere dall'Australopithecus circa due milioni di anni fa coincide con la prima evidenza di utensili di pietra. In questa ipotesi, l'aumento di dimensione cerebrale, dall'Homo abilis attraverso l'Homo erectus al Neanderthal e all'Homo sapiens, fu esso stesso un prodotto del linguaggio. L'ipotesi tardiva, che ha ancora oggi dei sostenitori, fu costruita per spiegare il contrasto tra quella che appariva come un'estrema stagnazione tecnologica per quasi due milioni di anni di fabbricazione di utensili e il "decollo" di circa 50.000 anni fa che produsse tecnologie più raffinate, l'arte delle caverne, evidenza di riti funerari, ed infine l'invenzione neolitica dell'agricoltura che in dieci o dodicimila brevi anni ci ha resi quel che siamo ora. Più che la tecnologia degli strumenti, è l'apparizione in quest'epoca dei primi indubitabili segni di "cultura" – ovvero di cultura rituale, religiosa – che ha conferito a quest'ipotesi la sua plausibilità. Si può constatare che rispetto alla scelta tra l'ipotesi arcaica e quella tarda Gans dimostrò un certo grado di ciò che gli psicologi chiamano "dissociazione". Gans è più preoccupato di difendere l'origine singola dell'umanità contro l'ipotesi un tempo molto in voga dell'origine multipla che di decidere in che momento questa singola origine dovesse aver avuto luogo. Non scegliendo tra ipotesi arcaica e tarda, mantiene elementi di ciascuna senza riflettere realmente sulla loro incompatibilità. Per Gans l'ipotesi arcaica sembra dettata dalla semplice logica. Secondo l'ipotesi tarda, i primi parlanti furono i cosiddetti Cro-Magnon, appartenenti alla specie Homo sapiens identici geneticamente a noi. L'ipotesi tarda perciò può essere mantenuta solamente se si è assunto che il nostro moderno cervello e l'apparato vocale umano possano essersi evoluti indipendentemente dal linguaggio. In 7

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Il segno delle origini per Gans è un segnale che si è reso temporalmente autonomo, separandosi dal contesto vitale in cui è emerso ed acquistando la capacità di essere riprodotto in una serie infinita. Il segno linguistico, costituisce un suo proprio mondo, definito da Gans, il mondo trascendentale dei segni, un mondo verticale che emerge dall'orizzontalità del mondo del vissuto animale9. In base a questa asserzione gansiana scaturisce la domanda metodologica di partenza dello studioso californiano: come nasce il linguaggio? In quali circostanze può essere emerso il primo segno? Gans sviluppa la sua tesi sull’origine del linguaggio e sulla scena originaria nel suo libro Originary Thinking, in cui dà fondamento alla sua antropologia generativa, e nell' opera Signs of Paradox. Nella delineazione di un evento che è stato definito dall’autore californiano Little Bang, per analogia col Big Bang della fisica, per Gans il salto dall'animale all'umano deve essere avvenuto in un modo definito, e deve essere considerato come l'evento, pensato solo scenicamente10, di una esplosione antropica. Per l’ipotesi gansiana un gruppo di proto-umani, predatori-maschi, circonda un grosso animale appena ucciso11 provando una fortissima attrazione per le sue carni. Nel caso di altri predatori non si porrebbe alcun problema, mangerebbero secondo la scala gerarchica della dominanza. Ma nei proto-umani i tipici meccanismi di controllo dell'aggressività sono collassati, sicché l’individuazione, dal punto di vista alimentare, di un corpo attraente è sul punto di scatenare un'aggressione indifferenziata che porterebbe alla nemesi del gruppo. Ma proprio quando la tensione ha raggiunto il climax, non si ha la vittima ma l'emissione, da parte di un membro del gruppo, di un segnale di rinuncia alla competizione per il cibo. Recepito, i predatori maschi contemporaneamente si ritraggono. Quel

tal caso, il linguaggio sarebbe sorto come una exaptation, un sottoprodotto accidentale dell'interazione tra evoluzione cognitiva e sistemi di comunicazione pre-linguistici. Di contro, l'ipotesi originaria gansiana presuppone che il linguaggio come primo atto umano fosse sorto tra creature con nessun adattamento previo di cervello e tratti vocali, e che sia stato esso a dirigere la loro acquisizione di questi adattamenti. Per Gans questa è la logica di tutte le modificazioni evolutive. 8Cfr.

ALVARD M.S.-KUZNAR L., Deferred Harvest: The Transition from Hunting to Animal Husbandry, pp. 295-311Gli animali possono disporre di un vocabolario complesso, come i delfini, ma non parlano, bensì attuano forme di comunicazione facendo corrispondere un determinato suono ad una determinata situazione 9

Cfr. G. URBAN, Metasignaling and Language Origins, pp. 233-243

Cfr. E.L.GANS, Sacred Text in Secular Culture. In To Honor René Girard, in ―Stanford French & Italian Studies‖ 34 (1986), pp.51-64. 10

Per Gans, tutta la cultura è scenica, nel senso che evoca la tensione tra la periferia desiderante e il centro desiderato di una scena collettiva. Un individuo isolato può evocare la scena nella sua immaginazione solo perché essa è già esistita nella realtà collettiva. Anche il linguaggio, come nucleo di quel sistema di rappresentazioni che è la cultura umana, evoca una simile scena collettiva. Dal primo momento questa scena fu per definizione memorabile, l'intuizione della memorabilità ereditata da questa scena ci consente di offrire un'ipotesi della sua costituzione conforme alla nostra conoscenza empirica da un lato e al principio di parsimonia del rasoio di Occam dall'altro. Cfr. E.L.GANS, Flaubert's Scenes of Origin, in ―Romanic Review‖ 81/2 (1990), pp.189-202 . 11

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segnale è ciò che Gans chiama deferral of violence through the sign12 ovvero il primo segno linguistico, che si stacca dall'immediata presenza dell'oggetto cui si riferisce, emergendo nella forma primordiale del significante come rinuncia alla violenza (differimento)13. Nello stesso evento, i predatori maschi fanno inoltre l’esperienza dell'indisponibilità dell'oggetto del desiderio, della sua non controllabilità e quindi il primo segno linguistico può essere definito il name-ofGod, ovvero l’ indisponibilità e la non controllabilità della sacralità del sangue e della vita14. Inoltre l’atteggiamento ―periferico ed eccentrico‖ dei predatori maschi che circondano il cadavere-centro fa un'esperienza che in sé contiene in germe altre due radici sociali: il diritto e l’arte. Nel ritirarsi insieme dalla competizione, emerge la radice del diritto come fondamentale uguaglianza di tutti i membri del gruppo, e la radice dell'arte, in quanto ciascuno esperisce l'oscillazione tra il segno linguistico che lo indica e la indisponibilità dell'oggetto centrale che può essere solo contemplato come segno che indica la presenza e l'assenza reale dell'oggetto. Cfr. IDEM, L'origine des structures linguistiques élémentaires, pp. 1-21. In queste pagine Gans analizza in maniera chiara ciò che linguisticamente definisce con la terminologia « differimento della violenza ». 12

13Cfr.

D. BICKERTON, Language evolution: A brief guide for linguists, in ―Lingua‖ 117(3) (2007), pp.510-526; IDEM, Language and Species, University of Chicago Press, Chicago 1990. Gans parlando di forma primordiale del significante svela il suo legame con l’opera di Bickerton. In Language and Species per analogia con la distinzione tra il non grammaticale pidgin e il grammaticale creolo, Bickerton propone per il linguaggio sia un'origine arcaica sia una tarda. L'origine precoce, al tempo dell' Homo habilis, avrebbe implicato l'emergere del "riferimento simbolico", il segno linguistico, ma non della struttura sintattica. Nella visione di Bickerton, la sintassi non si sarebbe potuta evolvere gradualmente, dal momento che non vi è alcun esempio di un linguaggio intermedio quanto a complessità sintattica tra i pidgin, che egli trova paragonabili sia alle espressioni dei bambini che a quelle delle scimmie istruite nel linguaggio umano, e le lingue naturali odierne. (E' un cardine della linguistica moderna che tutte le lingue conosciute, da quella degli Aborigeni australiani all'Inglese contemporaneo, siano ugualmente "avanzate" e ammettano in linea di principio la reciproca traduzione.) Così, l'emergere di un linguaggio sintatticamente maturo come noi lo conosciamo, che Bickerton situa al tempo dell'origine tarda intorno a 50.000 anni fa, sarebbe stato un riflesso di sviluppi evolutivi nel cervello, che si realizzarono d'un colpo nel linguaggio e in una qualche mutazione finale inesplicabile. Per Bickerton proprio l'attitudine del bambino all'apprendimento del linguaggio dimostra l'esistenza di "qualcosa di simile" al modulo grammaticale di Chomsky senza tuttavia rispondere alla domanda chiave di come esattamente il suo cervello sia idoneo a questo processo di apprendimento. Inoltre il contrasto tra il linguaggio di creature il cui cervello non era ancora specificamente adatto al linguaggio, le cui culture materiali furono in apparenza stabili per centinaia di migliaia di anni, e che non hanno mostrato alcuna evidenza di attività simbolica, e, dall'altro lato, il linguaggio di individui anatomicamente identici a noi, (relativamente) innovativi nella loro strumentazione, e che seppellivano i loro morti e tracciavano disegni su pareti di caverne, dimostra, per Gans, che "qualcosa di simile" alla dicotomia di Bickerton deve essere vero. Per Gans il fatto che oggi non esista alcuna forma di linguaggio intermedia non costituisce prova che la sintassi moderna sia comparsa d'un tratto più di quanto l'assenza di forme intermedie tra lucertole e serpenti provi che questi ultimi abbiano perso le loro zampe d'un tratto. Anche se tutte le lingue moderne derivano da un'antenata comune parlata circa 50.000 anni fa, non vi è alcun bisogno di assumere che quest' Ursprache sia comparsa a sua volta in un singolo salto mutazionale al di là dei primitivi linguaggi del tipo "pidgin" perché il legame potrebbe essere fornito dal gesto. Dio e l'uomo nascono insieme, secondo Gans, nel Little Bang della scena originaria. Cfr. E.L.GANS, Sacred Text in Secular Culture, pp. 51 -64. 14

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Ulteriormente è da sottolineare come in questa scena delle origini abbia la propria radice il risentimento15 a causa dell’indisponibilità e non controllabilità dello stesso oggetto centrale-sacro. Nel corso di migliaia e migliaia di anni, occupare il centro, in tutti i vari modi in cui ciò sarà attuato, sarà sempre causa di risentimento. Nell’analisi gansiana, ogni fenomeno antropologico, letterario e artistico può essere ricondotto alla scena originaria, attraverso una procedura definita originary analysis. Soprattutto nelle sue pubblicazioni su Internet (Anthropoetics e Chronicles of Love and Resentment)16, Gans la applica, metodologicamente, a tutti i momenti artistici e letterari, e soprattutto al romanzo, la cui fondamentale funzione, per lo studioso californiano, è quella di una negoziazione del risentimento. 2 LA MATRICE GIRARDIANA DI ERIC GANS: LA CONFIGURAZIONE DEL SACRIFICAL LANDSCAPE La visione gansiana dell’evento originario che segna la transizione dal prehomo sapiens all'homo sapiens17, da interpreti di diversa collocazione e prospettiva nel mondo universitario statunitense18 è ritenuta la prima grande matrice girardiana dell’opera di Gans. Questa transizione originaria o ominizzazione, per Girard, è la fonte competitiva del "misconoscimento" (méconnaissance) e menzogna, forme incorporate in ogni desiderio e rappresentazione19. Già nella sua opera iniziale ― Menzogna romantica, verità romanzesca”, Girard accetta le idee hegeliane di base sul desiderio20 e tende a definire la violenza in termini di competizione per l’Essere21. Cfr. E.L.GANS, The Culture of Resentment, in “Philosophy and Literature‖ 8/1 (1984), pp. 5566. 15

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Riviste in rete del dipartimento di studi francofoni della UCLA University.

Ovvero la transizione che Girard, in ―Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo‖, chiama "ominizzazione": cfr. R.GIRARD, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983, pp. 35-44. 17

Cfr. T.SIEBERS, Violence, Difference, Sacrifice: A Conversation with René Girard, in ―Religion and Literature‖ 25/2 (1993), p.23; IDEM, The Ethics of Criticism, Cornell University, Ithaca, 1988; P.LIVINGSTON, Models of Desire. René Girard and the Psychology of Mimesis, The Johns Hopkins University, Baltimore 1992, pp. 103-124. 18

19

Cfr.IDEM, Violenza e Sacro, Adelphi, Milano 1980, pp. 193. 223-225.

Cfr. IDEM, Menzogna romantica e verità romanzesca,Bompiani, Milano 1965, pp. 45-98. Cfr. anche G.W.F. HEGEL, Die Phänomelogie des Geistes, Würzburg, Goebhardt, 1933; ( trad.it., Fenomenologia dello Spirito, I, La Nuova Italia, Firenze 1970). Le citazioni riportate e inumeri di pagina si riferiscono alla traduzione italiana. A pag. 150 del vol. I della Fenomenologia dello spirito Hegel afferma: "E l'autocoscienza quindi e' certa di se stessa soltanto perche' toglie questa alterita' che le si presenta come vita indipendente: essa e' concupiscenza o appetito. Certa della nullita' di questo altro essa pone per se' questa nullita' come verita' propria, annienta l'oggetto indipendente e si da' con cio' la certezza di se stessa come certezza vera, come tale certezza che le e' divenuta in guisa oggettiva.Ma in questo appagamento l'autocoscienza fa esperienza dell'indipendenza del suo 20

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L’analisi hegeliana, nella ―fenomenologia dello spirito‖, inizia con una riflessione sulle forme pure della conoscenza e più specificamente sulla ―certezza sensibile‖22.Fin dalla parte iniziale della sua opera Hegel applica la procedura dialettica23. Qui essa consiste, almeno in prima approssimazione, nel mostrare che ogni atto o stato è più complesso di quanto appaia e che la sua complessità rende contradditoria la sua apparente semplicità24.Sono tra le pagine più famose della Fenomenologia quelle che vengono dedicate a questo momento, decisivo nella costituzione dell’autocoscienza, che è la scoperta dell’altrui coscienza, e insieme, del nostro complesso rapporto con essa. Da un lato si mostra che nessuno può essere ―per-sé‖ senza essere ―per- altri‖. Dall’altro, che ogni relazione intersoggetiva ―non può non essere‖ antagonista. La socialità-questa la tesi di fondo di Hegel- è essenzialmente conflitto25.Secondo questa tesi, il modello è definito come l’individuo di cui noi tentiamo di imitare l’essere. Il modello di desiderio sembra possedere un'eccedenza d’essere e gli individui da quest’abbondanza sono stimolati a desiderare il modello, imitarlo ed abbandonare il senso dell’originalità dei loro propri desideri. Fondamentalmente ri-leggiamo Hegel nella definizione girardiana del desiderio come desiderio d’essere l’altro26. L’odio di sé, dei soggetti desideranti, così come il loro odio del modello pongono tuttavia Girard di fronte alla stessa contraddizione scoperta da Hegel. Uno non può essere quello che ha ucciso. Di conseguenza Girard, ne La Violenza e il Sacro, introduce una variazione sulla mediazione hegeliana. Egli argomenta che la mediazione interna, che è imitazione di desiderio fra gli esseri umani, possa essere organizzata tramite la mediazione esterna, che è imitazione del desiderio non umano di Dio27. In breve, la violenza è contenuta da un'altra forma d’idealismo, che richiama l’idealismo di Platone, in cui una gerarchia organizza le versioni di comportamento imitativo, anche se Girard, ulteriormente, enfatizza l'aspetto acquisitivo del desiderio nell'identificazione di crisi personali e

oggetto. L'appetito e la certezza di se stesso, raggiunta nell'appagamento dell'appetito stesso, sono condizionati dall'oggetto; infatti l'appagamento sussiste mediante il togliere questo Altro, e affinche' il togliere ci sia, ci deve essere anche questo Altro. L'autocoscienza, dunque, mediante il suo rapporto negativo, non e' in grado di toglier l'oggetto; anzi non fa che riprodurre l'oggetto nonche' l'appetito. In effetto, qualcos'altro dall'autocoscienza e' l'essenza dell'appetito‖. I riferimenti hegeliani sono riportati in R.GIRARD, Menzogna romantica e verità romanzesca, pp.45-98. Cfr. anche T.SIEBERS,"Violence, Difference, Sacrifice: A Conversation with René Girard, in "Religion and Literature‖ 25.2 (1993), p.23; P.LIVINGSTON, Models of Desire. René Girard and the Psychology of Mimesis, p.103. 21

22

Cfr. G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello Spirito,p. 81.

23

Cfr. ivi, p. 82.

24

Cfr. ivi, p. 153.

25

Cfr. ivi, p. 159.

26

Cfr. R.GIRARD, Violenza e Sacro, pp. 193. 364.

27

Cfr. ivi, pp. 193. 223-225.

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culturali, e questo desiderio acquisitivo (la mimésis d'appropriation) nello scenario fondativo è la dinamica che fa precipitare l'evento28. Prendeno seriamente questa lezione girardiana, Eric Gans formula una teoria che ha definito teoria mimetica con la rivelazione trascendente che ha il suo primo atto scenico nella scena originaria che Gans descrive in Science and Faith. Nello showing delle origini c’ è un gruppo di pre-umani i cui appetiti sono eccitati dall'animale che è stato ucciso dai loro colpi29. Ogni predatore maschio nota i movimenti appropriativi degli altri membri del gruppo e conseguentemente, per timore dello scatenarsi di un conflitto generalizzato, ciascun predatore interrompe il proprio gesto appropriativo. Questo gesto mancato viene definito da Gans designazione ostensiva dell'oggetto desiderato poiché il gesto rimanda all’oggetto centrale di cui non ci si può appropriare ma è ostensivo poiché diviene una stampa nella loro memoria di ciò che è avvenuto e costituisce, inoltre, l'inizio della rappresentazione tramite il linguaggio30poiché da un punto di vista linguistico e strutturale, il seme della distinzione tra "esso/quello/noi" che scaturisce dalla mancata appropriazione e dalla indisponibilità dell’oggetto, rappresenta il primo stadio della comunità umana propriamente intesa. Inoltre proprio nel gioco desiderio*appropriazione*designazione estensiva della Scena delle Origini nascono le due ulteriori forme strutturali del linguaggio che si evolveranno: la forma verbale dell’imperativo (ovvero la forma grammaticale del comando, dicendo effettivamente che tu devi cooperare e che non devi combattere per l'oggetto)e quella dichiarativa (la forma grammaticale dell'enunciazione) che in realtà dice che vi è ―qualcosa di altro dall'oggetto designato‖: Proprio tale strutturazione linguistica pone le fondamenta all’associazione di tutti quei lessemi che strutturano la società (la proprietà, il potere, il rituale, la storia, gli dèi, la comunità, il prestigio) compresa gansianamente come rappresentazion*linguaggio*cultura, in cui prima la proto-comunità dei predatori e in seguito ogni comunità umana proteggono se stessi dal pericolo originario. Come si può notare, pur essendo l’ipotesi gansiana estremamente suggestiva, la sua struttura risente fortemente del modello girardiano 31anche se Gans, differentemente da Girard, non circoscrive la scena originaria ad una situazione di caccia:per Gans si può ragionevolmente inferire che l'oggetto designato può essere qualunque cosa32. Sul versante girardiano la scena originaria deve avere, invece, come centro la vittima umana come oggetto designato. Per Girard, soltanto questa ipotesi è in grado di dar conto della potenza del sistema culturale basato su integrazione e sostituzione. I miti stessi, la storicità e 28,

Cfr. ivi, pp. 113-115. In queste pagine Girard propone una teoria delle ―origini sociali‖ strettamente legata al ―desiderio mimetico‖. 29

Cfr. Cfr. E.L.GANS, The Culture of Resentment, pp. 55-66.

30

Cfr. IDEM, L'origine des structures linguistiques élémentaires, pp. 1-21.

31

Cfr. R. GIRARD, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, pp. 68-109.

32

Cfr. E.L.GANS, The Culture of Resentment, pp. 55-66.

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l’uniformità dei sacrifici sono l’attività strutturante del processo vittimario del capro espiatorio. Girard afferma che il denominatore comune dei vari miti consiste in due transfert: il primo, detto anche transfert d’aggressività, consiste nella lapidazione o l’espulsione della vittima da cui deriva un beneficio concreto per l’intera comunità (la ricomposizione della crisi e la seguente pace, seppur temporanea), mentre il secondo, detto transfert di divinizzazione, pone fine al processo e consiste nella venerazione della vittima immolata da parte della comunità riappacificata, venerazione giustificata dal potere conciliatorio del capro espiatorio. Afferma l’autore: "Le divinizzazioni mitiche si spiegano perfettamente per opera del ciclo mimetico, e si basano sulla capacità che hanno le vittime di polarizzare la violenza. (…) Se il transfert che demonizza la vittima è potentissimo, la riconciliazione che ne consegue è così improvvisa e perfetta da apparire miracolosa e da suscitare un secondo transfert che si sovrappone al primo, il transfert di divinizzazione della vittima"33.

Gli uomini tendono a convincersi che uno solo di loro è responsabile di tutta la mimesis violenta, che in lui si trova la macchia che li contamina tutti: distruggendo la vittima espiatoria gli uomini crederanno allora possibile sbarazzarsi del loro male (dei tabù universali) ed effettivamente se ne libereranno poiché tra loro non ci sarà più la violenza fascinatrice34.I tabù universali ruotano attorno al crimine, in particolare al parricidio e all'incesto, i due pericoli minacciosi per l'ordine e la pace della comunità umana. Per Gans, invece, è semplicemente più ragionevole ed elegante sostenere che nel sacrificio, per esempio, un animale possa essere sostituito ad una vittima umana, o che un ―dono‖ possa essere dedicato in luogo di un animale o di un uomo. Questa comprensione prettamente antropologica del sacrificio in Eric Gans ha come base di pensiero il modello fornito dal Saggio sul dono di Mauss35. Per 33

Cfr. R.GIRARD, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi, Milano 2001, cit. p. 165.

Per Girard i conflitti sono provocati dal desiderio mimetico antagonista e di appropriazione che trova stimolo in un surplus di esseri e di oggetti che altri possiedono. Per Girard le persecuzioni sono effetti che rivelano la loro causa proprio nella crisi delle differenze, ossia in quella distruzione dell’ordine culturale che fa progredire la violenza e i conflitti. Il ritorno alla differenziazione e all’ordine è possibile addossando la causa dei conflitti a uno oppure a un gruppo di capri espiatori. Cfr. IDEM, Il capro espiatorio,p. 30. 34

Cfr. IDEM, The Market and Resentment, in AAVV, Passions in Economy, Politics, and the Media, a cura di W. PALAVER-P. STEINMAR-PÖSEL, Lit. Verlag, Vienna 2005, pp. 85-102. Qui Gans rilegge e decostruisce il maussiano Saggio sul dono ( Cfr. M.MAUSS, Saggio sul dono, Einaudi, Torino 2002). Il dono di cui parla Mauss non è assimilabile alla moneta, l'equivalente universale di scambio della moderna economia di cui rappresenterebbe l'origine, in quanto le cose scambiate negli esempi addotti da Mauss sono oggetti di natura problematica perché composita, circolano e non circolano, sono contemporaneamente valori e talismani, condensano il tempo e le virtù dei loro possessori. Neppure è assimilabile al contratto, che non è equivalente allo scambio, ma deriva semmai dalla necessità di alienare un diritto per instaurare simultaneamente le convenzioni che fondano il diritto e la nuova libertà che esso consente. Il dono di cui parla Mauss è invece il "prestito usuraio". L'errore di Mauss, per Gans, comincia quando, per ragioni che difficilmente si comprendono, egli vuole che un prestito sia un dono, e che la reale positività di quest'ultimo sia omologata con l'obbligo terribile che l'usura impone a colui che vi ricorre, a rischio della propria libertà, per avere ciò che non ha. L’usura prende vita quando il desiderio, il bisogno di avere, è 35

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Eric Gans la riflessione di Mauss è importante per la sua significanza antropologica poiché si basa sul concetto di ―scambio‖36.Il sacrificio vive le sue dinamiche nella logica dello scambio37 e affinchè questa dinamica abbia luogo, l'oggetto sacrificale, che si trova nel luogo sacro e appartiene all'essere sacro, deve venire diviso tra i partecipanti del rito che ottengono delle porzioni non dell'indivisibile sacro/divinità, ma della creatura referenziale che esemplifica l'eterno significato. Il fatto che le porzioni "eguali" del banchetto che segue siano virtualmente scambiabili è, per Gans, una conseguenza necessaria dell'originario mutuo scambio di segni. Nell'origine, questo garantisce lo spostarsi del risentimento dal gruppo al centro e il suo scaricarsi nel pasto comune. Il valore adattivo del segno è reso possibile dalla combinazione di rendimento in termini di soddisfazione degli appetiti e riduzione di tensione mimetica che esso consente: lo scambio di segni identici è garantito dallo scambio di cose "eguali"38. Una volta che questa uguaglianza è realizzata nella distribuzione rituale, essa implica l'eguaglianza di tutti i possessi divisibili "fuori" del rituale39. Tuttavia dobbiamo considerare che noi non siamo mai realmente al di fuori del rituale, ma solo al di fuori del contesto scenico rituale. tanto forte che per soddisfarlo mettiamo in pericolo anche la nostra anima. Rilevando come essa sia il calco della teoria della magia di Mauss, interamente basata sulla nozione di mana, Gans in The Market and Resentment afferma che il mana piuttosto è il vero della cosa: essere, stato, esperienza, accessibili ed esprimibili. La categoria è un attributo di sostanza, in certi casi equivalente all'attributo di ―iesistenza‖ che concettualmente fissa il manifestarsi dell'authentikòn (inteso etimologicamente come 'ciò che produce da sé) che la vista, l'intendimento conoscono. Cfr. anche. J.P. DUPUY- P. DUMOUCHEL, L’enfer des choses. René Girard et la logique de l’economie, le Seuil, Paris 1979, pp. 8ss. 36

Cfr. E.L.GANS, The Market and Resentment, pp.85-102. La posizione di Mauss mostra, per Gans, di presupporre un'antropologia, nel senso di una concezione dell'uomo, nella quale il dono si rivela come una forma di competizione fra gli individui. In questa lotta per il riconoscimento, secondo il modello individuato da Hegel, l'uomo del desiderio, impegnato nella dialettica servopadrone, cerca di essere riconosciuto dagli altri. Nel dare e rendere differiti nel tempo dello scambio -prosegue la critica di Gans- si mette in moto una prestazione che impegna, un atto che vincola, instaurando una dialettica in cui l'idea stessa di un 'dono libero' diventa un non senso e proprio perché nella relazione non c'è libertà, si instaura la 'reciprocità' e si intrecciano legami positivi e necessari. Nessun dono risulta pertanto realmente disinteressato e costringe all'interno di quel "lavoro dell'usura" che intesse quella singolare rete, allo stesso tempo astratta e coercitiva, in cui il prestito diventa malefico, e il bisogno resta cronicamente inappagato. D'altra parte la partecipazione tra cosa che circola e agente è, nell'analisi di Mauss, debitrice del pre-logico di Lévy-Bruhl, che parlano invece di cose che in effetti non tornano, di un'equivalenza tra una cosa che dò e una cosa che ricevo possibile solo come"transustanziazione" che rende somiglianti due cose in realtà differenti. 37

Lo stesso Girard ammette che ―si l’on me demande si tout désir est mimétique, j’ai tendance à répondre oui. Simultanément il me faut répondre non. Si on considère qu’il existe un désir de la mère pour l’enfant et un désir de l’enfant pour la mère, je ne pense pas que l’affection maternelle soit mimétique, ni que l’affection de l’enfant pour sa mère soit mimétique.‖ Citazione in P. DUMOUCHEL, Violence et vérité autour de René Girard. Colloque de Cerisy, Grasset, Paris 1985, p.379. 38

39

Cfr. E.L.GANS, The Market and Resentment, pp.85-102.

9


Di conseguenza un modello di sistema di scambio originario richiede che alla reciprocità dello scambio periferico si aggiunga un fattore supplementare o supplément, che riflette l'onere o "tassa" sul processo di scambio, imposto dal centro rituale come risultato dell'intensificazione mimetica del desiderio. Per Gans un'analisi più specificamente antropologica dovrebbe misurare la violenza della rivalità mimetica in base all'energia simbolica impiegata per differirla. La mediazione del centro è anzitutto un'operazione di interdizione: l'essere sacro che garantisce il processo di scambio è ciò che è proibito, non scambiabile almeno per un certo tempo, e l'investimento energetico di desiderio mimetico trasferito al centro sacro non viene "scaricato", ma al contrario viene consacrato all'oggetto di devozione comunitaria. In tal modo il sacro, nel senso più generale del termine, è il processo mediante il quale il desiderio mimetico è trasceso nella rappresentazione. Il sacro può essere insito in vari oggetti o pratiche, ma non lo si può comprendere se lo si concepisce come una qualità: come il bello, il sacro si realizza soltanto nell'esperienza interattiva, con la differenza che l'estetico trova la propria garanzia sulla scena individuale della rappresentazione, laddove il sacro è collegato almeno virtualmente alla scena comunitaria40. Il sacro è la dinamica di uguaglianza materiale approssimativa che segue la divisione dell'oggetto centrale, ma non è l’inizio ma la conclusione del processo originario di distribuzione41. Per Gans pertanto il sacro è la vera attività economica che dipende dal differimento della centralità rituale, nella sua duplice dinamica di attività che è stata svolta fuori dal centro sacrificale e che viene al centro sacrificale per la valutazione42. Molto prima che si trasformi in una forza dominante, e per quanto fortemente un ordine sociale dato tenti di resistere alla sua influenza, il Sacro è, per Gans, sempre un "mercato": un luogo dove il valore è determinato attraverso lo scambio ma che a sua volta eccede lo scambio43.

40

Cfr. E.L.GANS, Il sacro generativo : la riabilitazione dell'eredità di Durkheim, pp. 93-103.

Cfr. J.P. DUPUY- P. DUMOUCHEL, L’enfer des choses. René Girard et la logique de l’economie, le Seuil, Paris 1979, pp. 8ss. 41

I concetti di dono e di gratuità, nella terminologia gansiana, non costituiscono tanto la negazione paradigmatica o la contraddizione dialettica del calcolo e dell'accumulazione, quanto la loro sfida simbolica, la loro "parte maledetta", incessantemente soffocata, incessantemente rinascente. Richiamando l'antica presenza della generosità e della prodigalità, questa critica dei fondamenti dell'economico del sacrificio dimostra come la maggior parte delle società umane abbiano accordato un posto secondario all'utilitarismo suggerendoci il carattere "eccezionale" del mercato moderno. Cfr anche C. CHAMPETIER, Homo consumans : morte e rinascita del dono, Arianna, Casalecchio 1999. 42

43

Cfr. E.L.GANS, The Market and Resentment, pp. 85-102.

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3 IL CAPRO ESPIATORIO COME FIGURALE E L’ORIGINE DEL LINGUAGGIO L'analisi gansiana dell’origine del linguaggio come atto di differimento dal capro espiatorio è fondata su un'intuizione fondamentale: la scoperta che il pericolo posto dal capro espiatorio può essere differito dall'emissione del segno è anche la scoperta che la causa prima di questo pericolo non è l'oggetto in sé44. A Gans non interessa la validità ipotetica del capro espiatorio ma la “narratività originaria”. Non concepisce la vicenda del capro espiatorio ma gli interessa la narrazione del Mito del Capro e allo stesso tempo include la narratività nella scena originaria, nell'emissione del segno originario45.L'inscrizione della storia del capro espiatorio è molto più importante dell’ipotetica vicenda della violenza sul capro. Il capro-narrato può essere attinto nel tempo e non può essere trascurato come fosse un epifenomeno46. Infatti, la temporalità del segno non è quella dell'azione appetitiva del gustare il capro, ma quella della sua chiusura nella narrazione: in tal modo il segno esiste nel tempo (in quanto significante)poiché non può sfuggire alla temporalità di un testo narrato47. Il segno materiale differito dall’evento del capro e trainato verso la narrazione dell’evento del capro, diviene la base delle arti per cui l’evento del capro è musicale poiché narrato come suono, danzato e figurativo poiché narrato come gesto, e così via inserendosi come potenzialità in ogni uso reale del segno. In tal senso le narrazioni delle rappresentazioni che conseguono il differimento della violenza mediante la rappresentazione del capro espiatorio, il sempre rinnovato processo della generazione della trascendenza dall'immanenza, sono ciò che Gans chiama cultura48. La base della dicotomia tra il trascendente e l'immanente è la relazione linguistica tra il segno (individuato dal gruppo) e la cosa (il capro espiatorio), che si raddoppia in quella tra significante e significato. Ma è anche vero il contrario e cioè che è proprio con il capro espiatorio che il segno è stato introdotto nella natura. Ed appunto per consolidare questo passaggio della sua tesi, Eric Gans si confronta con la tesi centrale di Terrence Deacon, che affermava che il cervello umano con la sua corteccia pre-frontale straordinariamente vasta si sia evoluto come risultato del linguaggio piuttosto che essere la causa della sua comparsa49. In The Simbolic Species, la conoscenza di Deacon della struttura interna "darwiniana" del cervello – determinata non da una mappa genetica ma dalla "sopravvivenza delle più adatte" sinapsi – lo libera dai tradizionali scenari "pragmatici" per l'origine del linguaggio e si avvicina molto all’ ipotesi originaria Cfr. E.L.GANS, Le Logos de René Girard, in AA.VV., René Girard et le problème du mal, a cura di J.P.DUPUY-M.DEGUY-M.SERRES, Grasset, Paris 1982,pp.179-214. 44

45

Cfr. IDEM, La constitution du discours littéraire, Revue d'Esthétique XXVII/1 (1974), pp.17-24.

46

Cfr.IDEM, Le Logos de René Girard,pp.179-214.

47

Cfr.IDEM, La constitution du discours littéraire, pp. 17-24.

48

Cfr. E.L.GANS, The Culture of Resentment, pp. 55-66.

Cfr.T.W. DEACON, The Symbolic Species: The Co-evolution of Language and the Brain, Norton, New York, 1997 ; (trad.it. La specie simbolica: coevoluzione di linguaggio e cervello, edizioni Fioriti, Roma 2001). 49

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gansiana. Deacon spiega l'origine della rappresentazione simbolica a partire dalla dipendenza delle società proto-umane dalla carne, procurata da gruppi di cacciatori e cercatori di carogne composti di soli maschi, gruppi le cui attività dovevano rendere necessaria un'assenza dai luoghi di residenza protratta per lunghi periodi50. Sotto la pressione di queste circostanze, queste società dovevano essere altamente motivate al mantenimento della fedeltà femminile tramite la creazione di un vincolo simbolico di matrimonio, in contrasto col legame meramente "associativo" della monogamia animale51. Un tale rinforzo simbolico doveva avere chiaramente degli effetti vantaggiosi sulla capacità riproduttiva, la forza motrice dell'evoluzione52. Il ragionamento di Deacon, straordinariamente audace e sottile per gli standard delle scienze sociali, non lo conduce alla proposta di un evento originario come tale53. Ma la sua elaborazione include molte componenti chiave di un evento del genere: A)la carne come nutrimento condiviso dal gruppo come essenziale alla sopravvivenza proto-umana B)la difficile necessità di mantenere la pace tra i membri della banda maschile di caccia C)la necessità che i cacciatori si trattengano dal mangiare la loro preda sul posto per portarla alle compagne e alla prole D)il primo segno come ciò che serve a stabilire un'istituzione etica E)la natura collettiva dei significati del linguaggio. F)il rinforzo del riferimento simbolico tramite il rituale. Se combiniamo questi sei punti in una scena di rinuncia/divisione ritualmente ripetuta (mediata dal segno) della carne sacrale dell’animale, abbiamo, a tutti gli effetti, l'ipotesi generativa dell'origine del linguaggio gansiano. Ma in base a queste ipotesi deaconiane, Gans porta in avanti la tesi iniziale. Infatti alla tesi dell’origine del linguaggio come atto di differimento dal capro espiatorio ne consegue che la storia raccontata dal segno originario è in primo luogo non tanto la narrazione del capro espiatorio quanto più la narrazione della stessa emissione del segno, vale a dire la storia della conversione del gesto di appropriazione del capro in un gesto di significazione. Il segno inizia come movimento per appropriarsi dell'oggetto e finisce come gesto che imita l'oggetto54. E' questo stato finale che costituisce il segno come forma proprement dit; ma nella scena originaria questo stato marca la conclusione di un processo. Giungiamo così alla conclusione inaspettata che, sebbene nei termini del già-umano la 50

Cfr. ivi, p. 335, passim.

51

Cfr. ivi, p. 392, passim.

52

Cfr. ivi, p. 392, passim.

53

Cfr. ivi, pp. 355-362.

54

Cfr. E.L.GANS, L'origine des structures linguistiques élémentaires, pp. 1-21.

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testualità preceda la narratività, nei termini del divenire-umano, che la scena realizza, è la narratività a costituire la testualità. Il segno deve raccontare la sua storia prima di poter acquisire una significanza formale. Nel conseguente modello di narrazione come costituzione del segno, la storia è la generazione della trascendenza dall'immanenza. Il segno formale come significante che significa un significato è il destino finale di un gesto che è cominciato come tentativo di appropriazione di un oggetto reale. Il differimento dell'appropriazione conferisce senso all'oggetto, e questo a sua volta conferisce senso al gesto originale, che ha ricercato l'assimilazione dell'oggetto e, con essa, l'abolizione della sua identità significativa. Ciò che è significativo è ciò che resiste all'assimilazione e ne causa il differimento. Il segno è la storia di questa resistenza55 e per far comprendere questa seconda parte della sua tesi, Gans presenta l'esempio girardiano classico del mito tikopia56. Il dio straniero Tikarau è invitato ad una festa. Egli inciampa e abbandona una gara di corsa, dichiarando di essersi ferito, ma ruba invece il cibo della festa. Mentre scappa per non essere linciato, cade, lasciando dietro di sé diversi alimenti, e salendo le colline ritorna in cielo. Per Gans, l'ascensione,che definisce la separazione del dio dalla comunità umana, è atto di differimento del linciaggio collettivo. Il punto importante di questo mito, per lo studioso californiano, è che il mito fornisce un modello per la generazione della trascendenza dall'immanenza, del mondo superumano della significazione dal mondo subumano che la ignora. La narrazione di Tikarau non è meramente la genesi della cultura materiale che egli si lascia dietro, ma è quella della distinzione tra segni e cose che è la caratteristica minimale dell'umano57.Pertanto il mito è generativo e narra della nascita dell'umano mediante l'azione di differimento dell'oggetto del desiderio mimetico collettivo; inoltre con quello che Gans, nella spiegazione di questo mito, definisce racconto della storia del suo stesso sorgere, il segno originario deflette l'imperativo della presenza fisica. La presenza del segno è in verità coniugata con la presenza di ciò cui si riferisce, ma esso non si riferisce ad un referente fisico né ancora ad un significato o Idea - ma all'Essere che sta dietro la sua manifestazione fisica. Il referente mondano ascende al reame trascendente dei segni immortali; la narrazione rifiuta l'appropriazione mondana con il situare i suoi oggetti in un universo di rappresentazioni tanto che per Gans la lettura girardiana della narrazione come occultamento di un assassinio reale pone, indipendentemente da questa analisi, un dubbio davanti all'analisi della narrazione in generale58. 55

Cfr. R.GIRARD, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, pp. 134 ss.

56

Cfr. E.L.GANS, Originary thinking,pp.102ss.

57

Cfr. ivi, pp.102 ss.

58Cfr.

oltre il testo di riferimento (Cfr. E.L.GANS, Originary thinking,p.102) anche IDEM, Sacred Text in Secular Culture, pp.59-63. Per Gans, poiché il rituale non è storia, fin dall'origine è integrato dal mito. Tuttavia neppure il mito è storia, perché fin dall'origine è integrato dal rituale. L'avventura mitica non è una finzione autosufficiente; essa deriva la sua autorità dalla rappresentazione sacra. Il mito narra di dèi, esseri insieme mondani e trascendenti che agiscono nel mondo ma che sussistono a-temporalmente come segni piuttosto che come cose corruttibili. Il paradosso della divinità è quello dell'Essere indipendente del desiderio mimetico. Se il linguaggio è in primo luogo intorno agli dèi, e solo in seguito intorno agli umani, è perché la significanza inerisce all'Essere a-temporale del significato. Anche quando hanno forme animali o comunque

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Questo ammonimento gansiano non sancisce il ritorno ad uno stadio di innocenza pre-girardiana che ignora la violenza. Ma l'analisi originaria sposta l'accento dalla violenza alla trascendenza. Il mito occulta l'assassinio al fine di dare figura alla generazione del trascendente59. Come per Girard anche per Gans, affinché un linciaggio non travisato possa fornire questa figura, dobbiamo aspettare la storia della Passione. Non possiamo generalizzare la formula per la trascendenza né nel mito né nella narrazione: nel primo dipende dalle specifiche circostanze storiche cristallizzate nel rituale, e nella seconda dall'imprevedibilità della sua rivelazione etica.All'interno del cristianesimo la storia della passione e della resurrezione rappresenta un chiaro progresso rispetto al racconto di Tikarau. Per Gans, il Cristo risorto è apertamente paradossale, dal momento che egli insieme rivela e trascende la violenza: ―Sebbene credo quia absurdum fosse la parola d'ordine dei primi cristiani-afferma l’autore- il cristianesimo odierno si è prefisso lo scopo di narrare la sua storia senza il paradosso‖. Ma nel suo intento di eliminare il sacrificale, il cristianesimo ha perso di vista l'intuizione culturale più profonda: che essere l'oggetto di una qualsiasi storia, e a fortiori di una narrazione religiosa, significa ipso facto incarnare una significanza immortale che non può mai essere sufficientemente spiegata col riferimento ad eventi mondani‖ 60.

Gans afferma che, per quanti fatti si possono portare alla luce riguardo al Gesù storico, la comprensione della significanza della sua storia per l'umanità è comprensibile unicamente dal paradosso narrativo non spiegato né spiegabile61. non umane, gli dèi sono antropomorfi: il criterio reale dell'antropomorfismo è l'uso del linguaggio. E tuttavia poiché essi sono immortali, la significanza che fonda il loro sistema di significazione è lontana dall'esperienza temporale umana. La morte cui gli dèi non sono soggetti non è in primo luogo la morte come fine inevitabile della vita, ma quella morte che il segno è stato creato per stornare: la morte per mano dei propri simili. Quel che separa Dio dall'uomo non è l'esistenza senza fine, la vita eterna, ma l'invulnerabilità al pericolo del desiderio mimetico. I miti sono storie con le quali l'uditore non si può identificare pienamente. Siamo nell'ambito della storia autentica quando i compagni umani degli dèi cominciano ad occupare il centro della scena e l'esperienza dell'umanità mortale diviene la base della significanza. Le storie riguardano essenzialmente mortali che non condividono l'Essere che trascende il desiderio mimetico. Così Gans suggerisce che la perdita dell'erba dell'immortalità da parte di Gilgamesh può servire da linea divisoria esemplare tra il mito e la narrazione letteraria (Cfr. E.L.GANS, Originary thinking,p.102). Sia che noi accettiamo sia che rifiutiamo il concetto antropomorfico popolare di Dio, il suo infantilismo dovrebbe farci esitare a dichiararci liberati dai lacci della superstizione. Dicendo che Dio è come noi tranne per il fatto che è immortale non si rende facile la spiegazione dell'origine o della funzione culturale della sua immortalità. L'immortalità è in primo luogo una qualità dell'Idea, di ciò che è significato dal segno. L'idea del dio immortale deriva dall'uso del segno per designare l'oggetto centrale originario: un dio è un essere mondano che allo stesso tempo partecipa dell'essere trascendente del segno. 59

Cfr. E.L.GANS, Sacred Text in Secular Culture, pp.59-63.

60

Cfr. IDEM, Christian Morality and the Pauline Revelation, in ―Semeia‖ 33 (1985), p. 97.

Pertanto per Gans quel che chiamiamo mistero è la relazione paradossale tra il mondo delle cose e il mondo dei segni, tra l'immanenza e la trascendenza. Vi è un solo mistero: quello di come la seconda possa essere generata dalla prima. Noi non possiamo risolvere il mistero, ma possiamo ridurlo a termini minimi. Non possiamo conoscere esattamente quale configurazione di soggetti e oggetti abbia fatto sorgere l'evento originario, né esattamente quale configurazione consenta all'effetto generativo dell'evento di essere riprodotto. La riproduzione rituale è sempre meccanica, 61

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Ovvero la narrazione soprannaturale può essere sostituita solo da una che non spieghi ma ri-narri la generazione della trascendenza dall'immanenza. Questo non è in grado di farlo una ―spiegazione‖ della resurrezione, ma unicamente una narrazione ritualizzata62.

4 L’ESTETICA

SACRIFICALE: IL SACRIFICIO COME LUOGO IN CUI L’UOMO RICONOSCE IL

LINGUAGGIO

Come possiamo constatare la narrazione originaria gansiana è fortemente sacrificale e, a sua volta, dischiude le dinamiche di una nuova cultura per il genere umano: la cultura sacrificale63.Il vantaggio di questa cultura, che modellò i nostri antenati in una nuova specie, era, per citare l'espressione formulare dell'ipotesi originaria, che la cultura effettua "il differimento della violenza tramite la rappresentazione". Ma, per Gans, vi sono nell'ipotesi due elementi complementari che la ricerca sul sacrificio non ha ancora assimilato: l'origine del segno umano in un evento, e la funzione del segno come rappresentazione del sacro, che è, come Girard ci ha insegnato, l'esteriorizzazione del potenziale umano di violenza mimetica autodistruttiva. Per Gans non possiamo comprendere un elemento senza l'altro. Perché il segno commemori un evento come origine della comunità umana, questo evento deve essere memorabile ritualmente. Ma la sua memorabilità implica l'assoluta necessità dell'evento per la sopravvivenza del gruppo, ovvero il differimento della sua autodistruzione mimetica e il suo costituirsi in comunità umana64.Per Gans l'attività rituale, come quella artistica, contiene sempre informazione circa il mondo, ma questa informazione è subordinata all'ordine umano che supporta. Man mano che il cervello divenne sempre più adatto al linguaggio, il linguaggio a sua volta poté diventare sempre più complesso sia nel vocabolario che nella sintassi65. La complessità della società non poteva oltrepassare i limiti della poiché essa feticizza elementi riproducibili della scena a spese della configurazione complessiva inconoscibile. Il rituale tenta soltanto di riprodurre il mistero, non di penetrarlo, e proprio per questa ragione non può mai riprodurlo pienamente (Cfr. l’intera propsettiva di studio in IDEM, Essais d'esthétique paradoxale, Editions Gallimard, Paris 1977 ). Cfr.IDEM, Scandal to the Jews, Folly to the Pagans, in ―Diacritics‖ 9/3, (1979),pp.43-53; Cfr anche IDEM, End of an Illusion, in ―The Harvard Annual Film Review‖ 2 (2004), pp. 29-31. 62

63

Cfr. IDEM, Il sacro generativo, pp. 93-103.

In tale ipotesi gansiana, in modo esplicito, ritroviamo il contributo di PH.LIEBERMAN, Eve Spoke: Human Language and Human Evolution, W.W.Norton & Company, New York-London 1998, pp.14-25; Cfr. ancora IDEM, Human Language and Our Reptilian Brain, Harvard University Press, Cambridge-Massachusetts-London 2000, pp.26-94. Cfr. inoltre sulla stessa tematica M.A.ARBIB, Co-Evolution of Human Consciousness and Language, in ―Annales of the New York Academy of Sciences‖ 929 (2001),pp.195-220; J.AITCHISON, The Seeds of Speech: Language Origin and Evolution, Cambridge University Press, Cambridge 2000; J.R.HURFORD- M. STUDDERTC.K.KENNEDY, Approaches to the evolution of language, Cambridge University Press, Cambridge 1998. 64

65

Cfr. E.L.GANS, L'origine des structures linguistiques élémentaires, pp.1-21

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cultura simbolica di cui il linguaggio era il sostegno formale, ma l'esistenza di una simile cultura deve aver continuamente spinto la selezione naturale nella direzione dell'adattamento del tipo cultura-linguaggio, con gli ordinamenti sociali più complessi ed efficienti che continuamente emarginavano, eliminavano o assorbivano i loro rivali. Gans, anche qui, per confermare la prima parte sulla tesi sacrificale cita pagine di The Symbolic Species del neuroscienziato Terrence Deacon che afferma che la presentazione della comparsa del linguaggio umano si fonda sulle correnti ricerche sulla struttura e l'evoluzione del cervello66. Deacon è consapevole della differenza qualitativa tra linguaggio umano e sistemi animali, una differenza che egli esprime nei termini di Charles S. Peirce67 come quella tra segni indexical68e i segni simbolici del linguaggio, che sono, come li ha chiamati De Saussure, "arbitrari", perché il loro riferirsi ad un oggetto mondano è mediato tramite un sistema di segni in cui i segni sono tutti interrelati tra loro. Ma a questo punto Gans porta la sua tesi sacrificale ad un secondo livello. Considerando che, secondo l'ipotesi originaria, l’evento sacrificale deriva la sua forma dall'evento originario, il contenuto fondamentale del sacrificio, come di tutti i meccanismi culturali, è fornito dagli oggetti di appetito preculturale69. Il sacrificio rituale coinvolge principalmente i grandi animali commestibili perché questi sono le forme di nutrimento più concentrate; l'energia motrice predominante nelle narrazioni è il desiderio sessuale, la cui importanza biologica non ha bisogno di dimostrazione70. Per Gans, invece, è meno ovvio; per questo è necessariamente da mettere in rilievo, ciò che è importante per comprendere la cultura sacrificale ovvero il paesaggio sacrificale. Su questo punto Gans si sofferma e si appoggia agli psicologi evolutivi Gordon Orians e Judith Heerwagen

Cfr. T.W. DEACON, The Symbolic Species, pp.430 ss. Cfr. sulla tematica, il testo citato da Deacon di D.C.DENNET, Darwin's Dangerous Idea: Evolution and the Meanings of Life, Simon & Schuster, London 1995 ( trad. It. L’idea pericolosa di Darwin: evoluzione e significati della vita, Bollati Boringhieri, Torino 1997). 66

67

Cfr. E.L.GANS, L'origine des structures linguistiques élémentaires, pp.1-21.

68Ovvero

quelli appresi tramite l'associazione con il loro oggetto, come nel famoso esperimento di Pavlov in cui ad un cane viene insegnato a far squillare un campanello come un index della presenza di cibo. 69

Cfr. E.L.GANS, Il sacro generativo, pp. 93-103.

Anche qui con le sue citazioni Gans si appoggia alla ricerca di PH. LIEBERMAN, On the Origins of Language: An Introduction to the Evolution of Human Speech, Macmillan Publication, New York 1975 (trad.it., L’origine delle parole, Boringhieri, Torino 1980); IDEM, Biology and Evolution of Language, Harvard University Press, Cambridge- Massachusetts-London 1984; IDEM, Speech Physiology, Speech Perception, and Acoustic Phonetics, Cambridge Studies in Speech Science and Communication, Cambridge 1987; IDEM, Uniquely Human: The Evolution of Speech, Thought, and Selfless Behavior, Harvard University Press, Cambridge-Massachusetts- London 1991; IDEM, Human language and Human uniqueness, in ―Language & Communication: an interdisciplinary journal‖, 14 (1994), pp.87-95. 70

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che suppongono un estetico dei paesaggi poiché l’attrattiva per l’habitat è fondamentale per la nostra specie nella sua fase formativa nel Pleistocene71: ―Nature- affermano gli autori- has fortunately provided an intuitive guide to habitat quality—our emotions. Positive emotional states of interest and pleasure, associated with preference, signal that an environment is likely to provide resources and supports that promote survival and well-being, while negative affective states serve as warnings of potential harm or discomforts. Because humans evolved in a natural landscape, it is reasonable to turn to the natural environment for clues about preference patterns that may be applicable to building design. Drawing on habitat selection theory, ecologist Gordon Orians argues that humans are psychologically adapted to and prefer landscape features that characterized the African savannah, the presumed site of human evolution. Although humans now live in many different habitats, Orians argues that our species long history as mobile hunters and gatherers on the African savannahs should have left its mark on our psyche. If the "savannah hypothesis" is true, we would expect to find that humans intrinsically like and find pleasurable environments that contain key features of the savannah that were most likely to have aided our ancestors' survival and well-being. These features include: A high diversity of plant (especially flowers) and animal life for food and resources; Clustered trees with spreading canopies for refuge and protection; Open grassland that provides easy movement and clear views to the distance; Topographic changes for strategic surveillance to aid long-distance movements and to provide early warning of approaching hazards; Scattered bodies of water for food, drinking, bathing, and pleasure;A "big sky" with a wide, bright field of view to aid visual access in all directions; Multiple view corridors and distances. Cross-cultural research on landscape preferences shows the strong appeal of landforms and spatial features that are similar to the savannah. The design of built settings also shows manipulation of space and artifacts that are consistent with savannah features, especially in retail and hospitality settings. Light, décor, sounds, food, flowers, smells, visual corridors—all are used to enhance emotional experience, not as an end in itself, but rather to increase purchasing behaviors and retain customer loyalty‖72

E’ proprio la figuralità dell’habitat che crea un modello evolutivo plausibile e plasma il nostro gusto topografico: tendiamo a trovare attraenti scenari, simili alla savana, che offrono potenzialità di alimento ma specialmente "prospettiva" e "rifugio", che ci permettono la capacità di vedere senza essere visti. Nella seguente tabella, che potrà risultare molto utile per la comprensione della loro teoria ,Gordon Orians e Judith Heerwagen organizzano i vettori fondamentali per la delineazione della figuralità dell’habitat:

J.HEERWAGEN, Psychosocial Value of Space, in WBDG (WHOLE BUILDING DESIGN GUIDE) 20-02-2007 (http://www.wbdg.org/design/psychspace_value.php); l’articolo in rete è costruito in base ai risultati di ricerca di G.ORIANS-J.HEERWAGEN, Evolved Responses to Landscapes, in BARKOW-COSMIDES-TOOBY, The Adapted Mind, Oxford University Press, Oxford 1992, pp. 555-579. 71

72

Cit. in WBDG 20-02-2007 (http://www.wbdg.org/design/psychspace_value.php).

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Links Between Basic Human Needs and Environments Social engagement Comfortable meeting places, indoors and outdoors; circulation systems and layouts that support informal interaction; attributes that draw people to space and encourage conversation (views, humorous décor). Cultural and Collective Meaning

Celebratory spaces; artifacts and symbols of cultural and group identity; sense of uniqueness.

Relaxation and psychological restoration

Quiet spaces with low sensory stimulation; connections to nature; distant views; outdoor seating or walking paths in visually appealing landscapes.

Visual and aural privacy as needed; movement between interaction and solitude

Enclosure or screening; distance from others; ability to regulate the desired degree of social interaction by moving between spaces or by manipulating personal space. Variety of informal social spaces to encourage relationship development.

Learning and information sharing

Good acoustics for training/learning environments; good visibility to support situation awareness; layouts, meeting spaces, and circulation that support conversation and information exchange without unduly disturbing others.

Connection to nature and natural processes

Daylight, views of nature outdoors, careful use of indoor sunlight, natural ventilation, interior plantings, nature décor, and nature patterns in spatial layouts, furnishings, and carpeting.

Sensory variability

Daylight access; indoor sunspots; variation in color, pattern, and texture; natural ventilation.

Sound levels similar to nature

Operable windows to allow connection to positive outdoor sounds; acoustic conditioning to reduce equipment and industrial noise, yet allowing for some human sound ("buzz") that is energizing. See also WBDG Productive—Provide Comfortable Environments.

Interesting visual environment with aesthetic integrity

Adoption of naturalistic, bio-inspired design; patterned complexity; reduced monochromatic environments; more organic layouts and forms.

Wayfinding and making sense

Landmarks, variability of space to serve as location cues, windows to orient by outdoor views, use of color and pattern on walls or carpeting to provide location and movement cues. Also appropriate signage and visual displays to develop overall sense of space. See also WBDG Form, Style, and Materials.

Exercise

Indoor gym, outdoor bike and hiking paths, open stairways to promote interaction and walking, visually interesting landscape to entice exploration. 18


Sense of equity

Design of spaces and allocation of amenities that shows concern for the health and well being of all occupants, visitors and other users of the space.

Attingendo notevolmente dall’attività di studio di Gordon Orians e Judith Heerwagen, per Gans, il figurale è fondamentale per comprendere non solo il sacrificio ma l’intera comprensione della scene delle origini73. Infatti il figurale funziona come una risposta di differimento ad una domanda imperativa riguardante l'oggetto centrale. Se l'oggetto non è qui in questa stanza ma qui in questa frase, la figura ci consente di passare da una sfera all'altra nella nostra immaginazione: qui in questa frase diventa qui nella mia scena immaginaria della rappresentazione. Al fine di presentare questa formulazione dichiarativa come narrativa, dobbiamo pensare che l'assenza dell'oggetto sia il risultato del suo allontanamento intenzionale, e pertanto non irrevocabile. Il segno figura o rende immaginabile questo allontanamento col convertire in una sequenza intenzionale la nostra esperienza paradossale di oscillazione tra (1) il suo riferimento a questo essere mondano specifico e (2) la sua rappresentazione dell'Essere che questo essere particolare incarna. Poiché il centro del desiderio mimetico che il segno rappresenta non è disponibile a noi che lo richiediamo, noi figuriamo il suo referente mortale come immortale. Noi vediamo l'oggetto come un oggetto dell'esperienza fisica, e tuttavia il segno che lo rappresenta si riferisce ad un significato al di là della temporalità dell'esperienza fisica. Ciò che è figurato da segni specifici di immortalità, quali l'esser libero dalla gravità o invulnerabile alle offese, è il semplice fatto della designazione da parte del segno. L'essere rappresentato dal segno è in se stesso la figura primaria dell'immortalità, che a sua volta è la base di ogni figuralità. Pertanto la narrazione è inseparabile dalla figuralità. Per Gans già la concezione del mito di Girard ci presenta un modello del figurale come trasferimento metaforico di un fatto mondano violento in un fatto trascendente74.La non-violenza del volare del mito di Tikarau attraverso l'aria, contrasta con la violenza dello sparagmos principalmente nella preservazione dell'integrità della figura centrale. Non è tanto la direzione verso l'alto del volo che è essenziale, quanto il fatto che il corpo è preservato da ogni offesa. Il corpo che vola è soprannaturale: la liberazione dalla gravità raffigura la liberazione dalla mortalità e quest’ esempio indica a Gans che la figuralità è in primo luogo soprannaturalità in contrasto con la comprensione comune del soprannaturale come pura varietà del figurale e che non può essere spiegato come estensione iperbolica di attributi naturali. Per Gans quel che dice 73

Cfr. E.L.GANS, The Necessity of Fiction, in ―Sub-Stance‖ 50 (1986), pp.36-47.

Cfr. IDEM, End of an Illusion, in ―The Harvard Annual Film Review‖ 2 (2004), pp. 29-31. Gans fonda la sua teoria dell’antropologia generativa su questo snodo della teoria girardiana, allontanandosi, tuttavia, dall’idea di Girard secondo cui il corpo della vittima è il primo segno e ipotizzando che un gesto di appropriazione abortito, che simultaneamente rinuncia e si riferisce sia alla vittima che al gruppo circostante, sia il primo atto di rappresentazione. La prospettiva di Gans consente una descrizione dell’epistemologia come un tentativo di contenere la violenza, e mediante ciò riporta l’idealizzazione della violenza operata dai circoli filosofici alla sua scena originale. 74

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Rousseau nel Discorso sull'origine dell'ineguaglianza75 circa gli uomini primitivi che essendo impauriti parlavano degli stranieri come "giganti" esprime la superiore intuizione che il soprannaturale realizza il differimento della violenza mediante la rappresentazione tramite la trasfigurazione del nostro potenziale di violenza mimetica. Se l'altro è un gigante, egli non solo è un uomo più grande di me ma anche è dotato di poteri sacri che io farei meglio a non contrastare. Compresa come incarnazione immaginaria del soprannaturale, la figura funziona come ponte tra il mondano e il trascendente-significante. In ogni caso la sua motivazione concreta è l'attribuzione ad un essere mondano di un potere (volo, gigantismo) che preserva la comunità dal conflitto nelle condizioni di indifferenziazione che caratterizzano la crisi mimetica.La figura originaria rappresenta l'invulnerabilità della vittima entro il mondo dell'esperienza umana come indicazione dell'immortalità della sfera trascendente della significanza76. Il passaggio paradossale dal mondano al trascendente può essere soltanto figurato: non vi è alcun modo di descrivere la sfera trascendente ostensiva, eccetto che in termini dichiarativi inadeguati77. Di qui, per Gans, il senso di una significanza ineffabile che è proprio dei mistici: prima dell'antropologia generativa soltanto mistici ed umoristi hanno praticato il pensiero paradossale. L'ipotesi del paesaggio sacrificale in senso figurale offre una base evolutiva per il "giudizio senza concetto" dell’estetica kantiana78. Per Gans il nostro giudizio 75

Cfr.IDEM,The Victim as Subject: The Esthetico-Ethical System of Rousseau's Rêveries, pp.3-32.

76

Cfr. IDEM, The Necessity of Fiction, in ―Sub-Stance‖ 50 (1986), pp.36-47.

Cfr. IDEM, La chouette de Minerve; essai sur la fin de la littérature,in « Nouvelle Revue Française » 236 (1972), pp.88-93. 77

Cfr. IDEM, Originary and/or Kantian Aesthetic, in ―Poetica‖ 35/3-4 (2003), pp. 335-353. E’ interessante,a proposito, l’analisi redazionale della Critica del giudizio di Kant nelle sue diverse redazioni. Nel capitolo X della cosiddetta Prima introduzione alla Critica del Giudizio, non pubblicata da Kant, si affronta il problema della ricerca d'un principio del Giudizio tecnico, e si cerca di stabilire, sebbene il termine "deduzione" non compaia, un principio del Giudizio capace di giustificare la pretesa alla validità necessaria del giudizio di gusto. Ora, è proprio l'assenza di una simile "deduzione" che per Kant contraddistingue tutta una schiera di "pretesi psicologi". "Così", scrive Kant, "esiste una schiera di pretesi psicologi che dicono di saper precisare le cause d'ogni modificazione o moto dell'animo suscitato da tragedie, rappresentazioni poetiche ed oggetti naturali, e danno perfino il nome di filosofia a questa loro ingegnosità, mentre sembra che manchi loro non solo la conoscenza sufficiente a spiegare scientificamente i più comuni eventi naturali del mondo corporeo, ma fors'anche, addiritttura completamente, la capacità di avere tale conoscenza" (I. Kant, Prima Introduzione alla Critica del Giudizio, Laterza, Roma-Bari 1969, p. 100.). Mentre per il bello è possibile indicare una facoltà in grado di coglierlo e che si può anche connotare con un nome preciso, "gusto", per il sublime, nota Kant, non disponiamo di una analoga denominazione atta a caratterizzarlo. Esso indica una comparazione, che ci conduce ben al di là della misura abituale delle grandezze e l'immaginazione subisce alla vista di esso un'estensione tale che la misura abituale non è più sufficiente a comprendere l'oggetto. Centrale è anche qui il concetto di immaginazione e la sua netta differenza rispetto alla misura abituale delle grandezze. Ed è proprio alla luce di questa definizione del sublime che Kant valuta l'identificazione fra sublime e terrore. Dapprima egli così ne parafrasa il pensiero: "Burg, una mente illuminata, ha scritto sul bello ed il sublime, e dice: sublime è ciò la cui rappresentazione ci incute terrore e timore, ad esempio, altezze solitudini profonde, ed in esse il luogo di soggiorno terrificante e solo degli eremiti, ed infine la notte è sublime, ma il giorno è bello". E soggiunge immediatamente con atteggiamento critico: "Ma Burg non ha del tutto ragione; poiché ciò che suscita in noi terrore, non sempre lo troviamo sublime, ed al contrario mostriamo avversione di fronte a ciò che ci riempie di timore". 78

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sarà chiaramente più rapido e più decisivo se non ci richiede di ragionare, cioè di confrontare nelle nostre menti un dato paesaggio con una serie di immagini di paesaggio con diversi gradi di idoneità all’abitazione o all'esplorazione da parte degli umani. Fra i cacciatori del Pleistocene che si muovono sul terreno, la capacità di decidere correttamente, senza riflessione, sulla direzione da seguire ha sicuramente la stessa probabilità di interessare la selezione evolutiva che ha la capacità di scegliere correttamente, con una semplice annusata o un morsetto, quale cibo è da mangiare. Non è affatto una coincidenza che la nozione di gusto sin dall'inizio sia stata connessa con l'estetico. Se il nostro gusto per quanto riguarda il cibo ha un uso pratico, allo stesso modo lo ha, o lo aveva, il nostro gusto per quanto riguarda il paesaggio. Gans, spingendo l'ipotesi un passo avanti, afferma che la distinzione kantiana fra il "bello" e il "sublime" sembrerebbe distinguere le scene in cui vogliamo entrare dalle scene che desideriamo soltanto contemplare79.Per Gans il fatto che noi usiamo lo stesso linguaggio per parlare di bei paesaggi e belle pitture suggerisce con forza che il nostro gusto per quest’ultime in un certo senso derivi dal gusto per i primi. Così la psicologia evolutiva fornisce questa consistente giustificazione per l’attenzione primaria dell’estetica di Kant alla bellezza naturale,

L'esperienza, infatti, mostra come non sempre vi sia una coincidenza fra il terrore e il sorgere in noi dell'idea di sublime e testimonia, anzi, che spesso, nei confronti di ciò che suscita terrore, assumiamo un atteggiamento di ripulsa. "Migliore" - afferma Kant - "sarebbe la seguente definizione: sublime è ciò in cui l'immaginazione viene a tal punto estesa dall'oggetto, che la misura usuale non è più sufficiente a comprenderlo. Con questo non vogliamo negare che alcune cose sublimi possano suscitare in noi un sacro terrore, ad esempio un mostruoso castello le cui rovine in parte crollate ci mostrano la triste antichità".(Cit. in Kant's gesammelte Schriften, a cura della Accademia delle Scienze di Berlino, Berlino 1900, vol. XXV, pp. 192 ss.). Cfr. IDEM, Originary and/or Kantian Aesthetic, pp.335- 353. Anche in queste pagine le sottolineature gansiane sono di notevole rilievo anche se sono necessarie alcune precisazioni in merito. Nel corso di antropologia che svolse a partire dal 1772-73 sulla base della terza parte della Metaphysica di Baumgarten, la Psychologia empirica, Kant riserva un interesse del tutto particolare ai problemi estetici. La fase immediatamente successiva alla dissertazione del 1770 sulla Forma e i princìpi del mondo sensibile ed intelligibile ruota intorno al problema della validità del giudizio. È il giudizio sul bello destinato a valere solo per il singolo soggetto che lo enuncia, in un determinato luogo ed in un determinato momento temporale, oppure può aspirare ad essere considerato valido da tutti gli esseri umani? E quale status si deve assegnare alla valutazione del sublime? Gli appunti dalle lezioni di logica e di antropologia del semestre invernale 1772-73 rispondono a questi interrogativi cruciali per l'estetica avvalendosi di una distinzione: il concetto di "rapporto" [Verhältnis] viene delimitato e separato da quello di "impressione" [Eindruck]. Il sublime, considerato quale impressione isolata, singola sensazione avulsa da rapporti formali, non implica universalità; la bellezza, rappresentando l'oggetto di un giudizio che prescinde dal mutevole della sensazione empirica, si offre quale realtà formale che non colpisce il soggetto dall'esterno rendendolo passivo. Laddove il bello presuppone forma, proporzione, e misura, il sublime è riconducibile alla grandezza senza limiti e colpisce direttamente i sensi. All'origine del piacere per il bello si situa così una qualità oggettiva, fondata sulle leggi della sensibilità; leggi che Kant, intorno al 1770, ravvisa nello spazio e nel tempo in quanto intuizioni pure; alle sorgenti del sublime non vi sono invece dati oggettivi. "Il sublime", si legge nelle Lezioni di antropologia, "non ha un nesso con la proporzione. Rocce audacemente sporgenti, nelle quali non si trova alcuna misura, ma solo grandezza, sono sublimi. Qui non è importante tanto il piacere", conclude Kant, "quanto piuttosto la grandezza dell'affetto" (citazioni in : Kant's gesammelte Schriften, a cura della Accademia delle Scienze di Berlino, Berlino 1900, vol. XXV, p. 198). 79

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ma sembra ancor meno pronta di Kant ad affrontare la questione cruciale dell'articolazione dell'estetico naturale con quello culturale80. Uno dei clichés più vetusti dell’estetica offre un modo semplice di distinzione fra la bellezza della natura e quella dell’arte: l'idea, che risale almeno alla Poetica di Aristotele, è che gli oggetti che ci impauriscono o ci respingono nel mondo reale (Aristotele accenna a "gli animali vili e i cadaveri") ottengono la nostra lode quando sono soggetti di un’opera d’arte81. L’arte contemporanea più radicale, a prescindere da quelle che possono essere le sue altre virtù, permette a Gans di affinare questa asserzione. Laddove gli esempi classici (tipicamente immagini delle bestie selvagge) erano più spaventosi che ripugnanti, una tendenza importante nelle arti plastiche, invece, esprime un culto della bruttezza e della repulsione, usando escrementi, sangue mestruale e altre escrezioni allo scopo apparente di dimostrare che l’estetico può essere definito soltanto nell'opposizione ai nostri gusti biologici82. Sin da quando i romantici hanno La descrizione del sublime conferma, agli occhi di Kant, che esso concerne unicamente la singola impressione [Eindruck], la materia della conoscenza, producendo "commozione" [Rührung] e non vertendo su rapporti formali riconducibili alle intuizioni pure di spazio e tempo. In questa fase egli non tenta un'elaborazione positiva ed autonoma, ma accetta la caratterizzazione dell'"autore inglese". Nella traduzione di Gans i termini Eindruck e Rührung vengono utilizzati ad indicare il particolare "effetto" [Wirkung] del sublime. Per Kant come per Burke il sublime si identifica infatti con tutto ciò che suscita terrore [Schrecken] nel soggetto che lo osserva. Ma proprio in ciò risiede al tempo stesso il suo limite per Kant. Mentre per il Verhältnis (rapporto), per la bellezza, si può parlare di un elemento formale, per lo Eindruck si è invece di fronte ad una singola sensazione, e all'effetto che essa produce sui sensi. Nel primo caso è possibile fondare un giudizio universale, nel secondo ci si trova in presenza di giudizi che possono al più esprimersi su ciò che è piacevole. 80

Cfr. IDEM, Prose poétique, in ―Romanic Review‖ LXVI/3 (1975), pp.187-198. Implicitamente Gans si ricollega alla matrice estetica aristotelica. Si sottolinea, come richiamo nozionistico, che per Aristotele l’arte è mimesi, cioè imitazione della natura, e che il bello è la pura forma. Anche secondo Platone l’arte era imitazione della natura, mentre il bello era l’idea priva di materia ma a differenza di Platone, Aristotele osserva che nell’attività artistica l’artista tende a ricavare dalle cose la Forma e non semplicemente ad imitarle, degradandosi, perciò l’arte è in genere mimesi che innalza lo spirito. La tragedia e la commedia sono imitazioni libere da contingenza (quindi spirituali) di sentimenti elevati nel caso della tragedia e di sentimenti più ―bassi‖ nel caso della commedia. L’importanza spirituale di queste due attività, specialmente della tragedia, consiste nell’elevazione dello spirito verso livelli nobili; la tragedia conduce direttamente all’eroico, quasi al divino; la commedia vi conduce indirettamente per reazione. Questa elevazione dello spirito era chiamata da Aristotele, catarsi o purificazione. Gans ipotizza che la catarsi aristotelica consiste nell’eliminazione del dubbio, in quanto attraverso l’azione drammatica (tutto ciò che è rappresentato) si passa da uno stato di incertezza o da possibile pericolo ad uno stato di certezza del pericolo o della liberazione dal pericolo stesso. Occupandosi di arte rappresentativa Aristotele annuncia tre unità, cioè tre regole a cui l’opera drammatica deve attenersi per avere valore artistico: esse sono unità di tempo, luogo e azione. In sostanza l’opera drammatica, cioè la rappresentazione teatrale, deve svolgersi in modo che il tempo utilizzato nella narrazione corrisponda al tempo reale dell’azione stessa; il luogo in cui si svolge la rappresentazione deve essere tale da consentire che gli spostamenti siano gli stessi possibili nella realtà; l’azione rappresentata deve essere possibile nella realtà sia come tempo che come spazio. Queste tre unità aristoteliche, come sottolinea Gans stesso, hanno caratterizzato la sua concezione di Rappresentazione e l’utilizzo della terminonologia estetica. 81

82

Cfr. IDEM, The Body Sacrifical, pp.159-178.

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deciso di épater le bourgeois, l'arte sempre più è stata opposta, non, come spesso è stato affermato, all' "utile", ma al naturalmente o semplicemente bello, al genere di oggetti che la selezione naturale apparentemente ci spingerebbe a scegliere. Comprendiamo l’importanza di questa riflessione per la comprensione di cultura sacrificale in Gans. Infatti l'oscillazione fra il segno estetico ed il suo referente immaginario è mediatrice fra cultura umana ed estetico naturale. Gans suppone che in prassi sacrificale un oggetto potenzialmente significativo sarà stato rilevato come tale dal nostro sistema preculturale di percezione, e perfino che avrà ricevuto una valenza estetica, proprio come il paesaggio valutato tramite il nostro giudizio estetico naturale. Pertanto l'effetto strutturante del segno risulta, secondo l'ipotesi originaria, dalla sacralizzazione dell'oggetto tramite la convergenza dei desideri della comunità; esso è necessario non alla percezione in sé ma alla focalizzazione esclusiva dell'attenzione che è caratteristica della contemplazione estetica. Così il segno fornisce un "supplemento" all'interesse estetico naturale destato dall'oggetto, con la conseguenza che il campo visivo, invece di comporsi di un insieme di oggetti variamente interessanti, è ristrutturato nei termini di un oggetto centrale su cui tutta l'attenzione è concentrata e uno sfondo da cui tutto l'interesse è stato distolto. Ma l'interesse concentrato su questo oggetto non è più semplicemente preliminare ad un’azione appropriativa o esplorativa. La mediazione dal segno è equivalente ad un ritiro dal mondo dell’appetito, in quello di una contemplazione "disinteressata". In tal modo la cultura, rinforzando le disposizioni relative dell'estetico naturale con la significatività assoluta generata dal segno, diviene in ultima istanza il luogo in cui l’estetica sacrificale interpreta e conosce il mondo. 5 SINTESI Per Gans il contenuto fondamentale dell'arte come di tutti i meccanismi culturali è fornito dagli oggetti di appetito preculturale. Il sacrificio rituale coinvolge principalmente i grandi animali commestibili perché questi sono le forme di nutrimento più concentrate; l'energia motrice predominante nelle narrazioni è il desiderio sessuale, la cui importanza biologica non ha bisogno di dimostrazione. Da un punto di vista della psicologia evolutiva, alcuni studiosi suppongono un estetico dei paesaggi che riflette la loro attrattiva come habitat per la nostra specie nella sua fase formativa nel Pleistocene. Interconnessa con l’impostazione ―abitativa‖, Gans trae una riflessione strattamente biologico affermando: ―Questo genere di senso estetico è un perfezionamento del tropismo che provoca il movimento delle amebe verso le soluzioni che possiedono il pH richiesto. L'ameba non deve esercitare il "giudizio" perché il suo tropismo è definito da una singola equazione computata dal sistema di percezione dell'ameba stessa. Per contro, denominiamo il nostro proprio giudizio "estetico" perché il campo della percezione che lo occasiona è troppo complesso e l'insieme dei criteri valutativi troppo vago per permettere una concettualizzazione semplice. L'ipotesi del paesaggio attraente offre una base evolutiva per il "giudizio senza concetto" dell’estetica kantiana. Il nostro giudizio sarà chiaramente più rapido e più decisivo se non ci richiede di ragionare, cioè di confrontare nelle nostre menti un dato paesaggio con una serie di immagini di paesaggio con diversi gradi di idoneità all’abitazione o all'esplorazione da parte degli umani. Fra i cacciatori del Pleistocene che si muovono sul terreno, la capacità di decidere correttamente, senza riflessione, che direzione seguire ha sicuramente la stessa probabilità di interessare la selezione evolutiva che ha la capacità di scegliere correttamente, con una semplice

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annusata o un morsetto, quale cibo è da mangiare. Non è affatto una coincidenza che la nozione di gusto sin dall'inizio sia stata connessa con l'estetico. Se il nostro gusto per quanto riguarda il cibo ha un uso pratico, allo stesso modo lo ha, o lo aveva, il nostro gusto per quanto riguarda il paesaggio‖ 83.

Ma in che modo questa lezione biologica sull’estetico si può articolare con i fenomeni della ritualità sacrificale e soprattutto con l’individuazione di indicatori di passaggio dal sacrificio come rito cruento al sacrificio spirituale? Per Gans possiamo supporre che un oggetto potenzialmente significativo a livello sacrificale (ciò che Girard identifica con il capro espiatorio) sarà stato rilevato come tale dal nostro sistema biologico di percezione, proprio come il paesaggio valutato tramite il nostro giudizio estetico naturale84. Per Gans avviene, rispetto alla risoluzione violenta girardiana, un differimento della violenza attraverso l’emissione di un segno di rinuncia. Non è più importante, conseguentemente, per lo studioso californiano l’oggetto del sacrificio ma la nascita del segno che sposta l’attenzione dei carnefici dalla dimensione appetitiva a quella segnica. Tale operazione fa scaturire la nascita di una nuova cultura ovvero la ―sacrificing Culture‖ e una nuova funzione del sacrificio che supera la sua dimensione di rito cruento per divenire estetica85. Inoltre il segno di differimento della violenza fornisce un ―supplemento‖ all’interesse estetico naturale o biologico, con la conseguenza che il campo visivo da dimensione strumentale ( poiché inzialmente rivolta in maniera cruenta verso l’oggetto) diviene dimensione ―assoluta‖ poiché la mediazione del segno è equivalente ad un ritiro dal mondo dell’appetito in quello di una contemplazione disinteressata86ovvero di una forma sacrificale spiritualizzata. Pertanto la cultura rinforza le disposizioni relative dell’estetico naturale con la significatività assoluta generata dal segno. L’estetico acquista la sua specificità, cioè la sua indipendenza dalla prassi appetitivi, soltanto sulla scena comune della Rappresentazione, dove il desiderio del pericolo mimetico ci porta non più ad una risoluzione violenta e alla nascita di una cultura della violenza, ma alla contemplazione del segno, del linguaggio, dell’arte87. Davide Polovineo davide.polovineo@fastwebnet.it

83

E.L.GANS, Sacrificing Culture, in ―Chronicle‖ 184. Rivista in rete.

84

Cfr. ivi, cit. in rete.

85

Cfr. E.L.GANS, The Beginning and End of Esthetic Form, pp.19ss.

86

Cfr. IDEM, The End of Culture, pp 4-9

87

Cfr. IDEM, Il sacro generativo, pp. 93-103.

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