Libertas, Silenzio e Colpa in Tristia 2, 1 di Ovidio

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« PERDIDERINT CUM ME DUO CRIMINA, CARMEN ET ERROR ALTERIUS FACTI CULPA SILENDA MIHI » Libertas, Silenzio e Colpa come vettori di analisi di Tristia 2, 1, v.207ss di Publio Ovidio Nasone di Davide Polovineo davide.polovineo@fastwebnet.it

1 IL BACKGROUND SOCIO-POLITICO DELL’OPERA La storia dell’elegia latina è la storia di una manifestazione effimera poiché, come affermò Felix Jacoby, nella sua genesi, evoluzione e nemesi abbracciò un mezzo secolo di vita di cui l’appendice di estrema derivazione fu l’opera di Ovidio1: In apparenza-affermava Paratore- si trattava di un frutto maturato sul medesimo tronco da cui erano germogliate la poesia e la tecnica di Tibullo e di Properzio: in realtà anche se le liriche d’amore erano accentrate intorno ad una figura di donna, Corinna, che sembrava continuare la serie inaugurata dalla Lesbia catulliana e arricchita dalla Licoride di Cornelio Gallo, dalla Cintia di Properzio e dalle donne di Tibullo, tutto il cosiddetto canzoniere ovidiano appariva come una ripresa, in chiave perfettamente letteraria e talvolta sottilmente parodistica, delle situazioni e dei luoghi comuni ormai consacrati dall’elegia erotica2.

F. BESSONE, «Sapere, non sapere, dire, non dire. Ignoranza, reticenza ed ironia nelle Heroides», in: Quaderni del Dipartimento di filologia, linguistica e tradizione classica, Torino 1997, 207-223; G. BRETZIGHEIMER, Ovids Amores. Poetik in der Erotik, Tübingen, 2001; M. S. BROWNLEE, The Severed Word. Ovid's Heroides and the Novela Sentimental, Princeton, 1990; L. C. CURRAN, Ovid Amores 1.10, Phoenix, 1964; M. H. T. DAVIDSON, The Search for an alter orbis in Ovid's Remedia Amoris, Phoenix, 1996; A. DAY, The origins of Latin love-elegy, Oxford, 1938; R. DIMUNDO, «L'arte della seduzione e il doctus amator ovidiano», in “Bolletino di Studi Latini“, 30 (2000), 19-36; J. DION, «Les secrets d'Ovide dans les Amours: de l'architecture de l'œuvre à Corinne», in “Collection Latomus” 266 (2002), Bruxelles, 158-170;H. FRÄNKEL, Ovid: a poet between two worlds, Berkeley 1956; A. M. GUILLEMIN, Le public et la vie littéraire à Rome, Paris 1937; M. LABATE, L’arte di farsi amare. Modelli culturali e progetto didascalico nell’elegia ovidiana, Pisa 1984; E. PARATORE, Bibliografia ovidiana, Sulmona, 1958; E. RIPERT, Ovide, poète de l'amour, des dieux et de l'exil, Paris, 1921;L. P. WILKINSON, Ovid recalled, Cambridge, 1955. 1

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E.PARATORE, Ovidio nel bimillenario della nascita, in Ovidiana: Recherches sur Ovide


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Ma l’amor ovidiano, fino alla conseguenza estrema della vetta del più oscuro stato di vita, l’esilio, non è solo espressione, manifestazione, ostentazione di un sentimento ma è un amore vincolato dal desiderio di amare il Princeps e proprio da questo scaturisce la libertà poetica nei confronti dell‘autorità; la costruzione dell’elegia di Tristia se da un lato è causata dall’atteggiamento polemico e di contrasto ai piani attuativi imperiali delineati dalla Lex Iulia de maritandis ordinibus tra le varie classi sociali e la Lex Iulia de adulteriis corcendis riguardante i casi di adulterio, tuttavia, al di là di ogni considerazione, appare chiaro ad una prima lettura delle fonti che l’elegia è marcata dal gioco autorità-libertà nei confronti del Princeps, amato e odiato, desiderato e disprezzato dal Poeta sulmonese in esilio a Tomi sul Mar Nero. Per questo l’elegia ovidiana di Tristia è una negoziazione della libertà poetica che regge il conflitto tra il Poeta e il Princeps e conduce il lettore in un tragico silenzio che sarà dicibile ed inevitabilmente visibile solo in Tristia 2, 1, v.207ss3 :

publiées à l'occasion du bimillénaire de la naissance du poète. 2 plates. Paris: Les Belles Lettres, 1958, 121 3 OVIDIUS NASO PUBLIUS, P. Ovidi Nasonis Tristium libri quinque ; Ibis ; Ex Ponto libri quattuor ;Halieutica ; Fragmenta / recognovit brevique adnotatione critica instruxit S.G. Owen, Collezione Scriptorum classicorum bibliotheca Oxoniensis, 1915 Pubblicazione Oxonii, London 1915 ( Typographeo Clarendoniano, 1955); Per la traduzione italiana cfr. OVIDIUS NASO, PUBLIUS, Tristezze, (introduzione traduzione e note di Francesca Lechi) , Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1993; Per le Edizioni cfr. OVIDIUS NASO, PUBLIUS, Pub. Ouidii Nasonis Fastorum lib. 6. Tristium lib. 5. De Ponto lib. 4 , Lugduni, apud Seb. Gryphium, 1539; OVIDIUS NASO, PUBLIUS, Publii Ouidii Nasonis, quae hoc in libello continentur. Fastorum. Libri 6. De tristibus. Libri 5. De Ponto. Libri 4 [Venezia : Aldo Manuzio 1.] (Venetijs : in Academia Aldi, mense Febr. 1503); OVIDIUS NASO, PUBLIUS, P. Ovidii Nasonis Tristium libri 5, ex iterata R. MERKELII recognitione , Lipsiae, In aedibus B. G. Teubneri, 1908; ed inoltre Edizione 1471 Editio Bononiensis I] Puteolanus 1471, Heroides; Sappho ad Phaonem; Amores; Ars amandi; Remedia amoris; Metamorphoses; Ibis; Fasti; Tristia; Epistolae ex Ponto; De pulice; De Philomena; De medicamine faciei; De nuce ; Edizione 1471 Editio Romana I, Pars I: Metamorphoses, Pars II Amores; Ars amandi; De pulice; Remedia amoris; Heroides; De nuce; Medicamina faciei; Ibis; Tristia; Sappho ad Phaonem; Epistolae ex Ponto; Fasti. (Pseudo-) Ovid: Consolatio ad Liviam; Edizione 1474 Editio Veneta, Rubeus: Opera (Contenente: Metamorphoses. Heroidum epistolae. Sappho ad Phaonem.Ars amandi.(I). Amores, vel Elegiae. Remedia amoris. Medicamina faciei feminae. De nuce. Fasti. Tristia. Ep istolae ex Ponto.Pulex. Philomena. Ibis). / Pseudo-Ovidio: Consolatio ad Liviam.(II). Venetiis : Jacobus Rubeus ([n.d.diciembre], 1474.); Edizione 1480 Editio Vicentina: Opera. Ed: Barnabas Celsanus - Contenente: Heroides; Amores; Ars amandi; De remedio amoris; Ibis; Fasti;


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« Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error alterius facti culpa silenda mihi »4

Carmen et error sono stati i motivi dell’esilio di Ovidio e ciò porta il poeta a gridare a squarciagola: “Silenda Culpa…..mihi”. E cade nella solitudine. Non c’è “più nessuno ostacolo” tra lui e la moltiplicazione del silenzio a causa della Colpa, ricordandoci anche il consigliato “silenzio di Wittgenstein”. A questo punto ci si aspetterebbe dal Poeta sulmonese la rassegnazione a tacere su ciò che non si può esprimere chiaramente. Ma che cosa potrebbe significare per un poeta come Ovidio, unterwegs zur Sprache, “in un cammino verso il linguaggio” (Heidegger), la resa al silenzio di fronte a ciò che si ritiene “inesprimibile colpa”? Non è “esprimibile” con una parola che non ha potenza tanto allusiva che porti oltre ogni scontata determinazione concettuale? Senza dubbio, ci sono, per citare il titolo di un saggio di H. Uihely dedicato a Georg Trakl (“Der Monat”, H. 7, 1954), i Grenzen des Sagbaren, i “limiti del dicibile” ma è pur vero che lo stesso “dicibile” non necessariamente Ovidio lo “dice” in maniera

Tristia; Epistolae ex Ponto; De pulice; De Philomena; De medicamine faciei; De nuce; Consolatio ad Liviam; Metamorphoses. Life of Sappho from Suidas and others. Sabinus: Epistolae Ulyssis ad Penelopen, Bonus Accursius: Vita Ovidii; Edizione 1502-03 Aldina, Quæ hoc volumine continentur.[Vol.1] Ad Marinum Sannutum Epistola: qui apud Græcos scripserint µεταµορφωσεις,Vita Ovidii ex ipsius operib. Index fabularum et cæterorum, Ovidii Metamorphoseων libri quindecim. [Vol. 2] Publii Ovidii Nasonis Heroidum Epistolae. Auli Sabini. Epistolæ tres. P. Ovidii Nasonis Elegiarum. Libri tres. De Arte Amandi. Libri tres. De Remedio Amoris. Libri duo. In Ibin. Liber unus. Ad Liviam Epistola de morte Drusi. De nuce. De Medicamine Faciei. [Vol. 3:] Publii Ovidii Nasonis quæ hoc in libello continentur Fastorum. Libri. VI. De Tristibus. Libri. V. De Ponto. Libri. IIII.). Publisher/year 3 vol. In ædibus Aldi: Venetiis, 1502, 03]. 4 Tristia 2, 1, v.207 sg.


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concettualmente determinata. Il poeta sulmonese anche il “dicibile” lo “dice” a suo modo nella libertà, cioè in modo irripetibile, in un modo che sembra l’unico, insostituibile modo di “dirlo”. E a me pare che sia “detto” in questo modo, dal poeta sulmonese, il “formidabile impegno nel non lasciarsi morire” . Restare in silenzio di fronte alla “Colpa”, accantonandola nell’“inesprimibile” in un “lungo di silenzioso declino” (Cioran), in un “silenzio claudicante” (il piccolo Maurice Merleau-Ponty) in un invisibile silenzio” (Maurice Blanchot) è la ferma decisione di voler affermare che la nascita dell’essere in libertà è la colpa. Ma a questo punto nasce la semplice ed immediata domanda: di che colpa si tratta? Di quale Errore? Se per quanto riguarda il termine Carmen il richiamo esplicito è all’Ars Amatoria , opera in contrasto con l’impostazione etico-giuridica augustea, differenti, invece, sono le ipotesi di lettura dell’Error. La prima ipotesi riguarderebbe la presenza femminile negli Amores. Infatti cantata negli Amores con lo pseudonimo di Corinna, l’imperatrice Livia Drusilla sarebbe stata l’amante di Ovidio. La stessa figura imperiale è legata ad una seconda ipotesi di lettura dell’Error ovvero al fatto che Ovidio che avrebbe curiosato in maniera morbosa sulla condotta privata dell'imperatrice Livia. Una terza ipotesi riguarderebbe il sospetto di correità ovidiana nelle relazioni della nipote di Augusto, Giulia, moglie di Lucio Emilio Paolo, con il patrizio romano Decimo Bruto Silano. Una quarta ipotesi riguarderebbe il fatto che Ovidio, partecipante attivamente alla congiura di Agrippa Pòstumo, pretendente al trono, si sarebbe schierato pubblicamente contro Tiberio. Una quinta ipotesi, collegabile a Publio Quintilio Varo o al contrasto tra Germanico e Augusto, riguarderebbe il biasimo e la pubblica esternazione di Ovidio di un comportamento iroso di Augusto. È proprio a causa di questo risvolto che si rende necessario un intervento dall’esterno da parte delle scienze antropologiche che tendi ad individuare la poetica libertas insita nella dinamica elegiaca ovidiana. A sua volta né il lettore né il ricercatore possono essere immuni al contagio mimetico della libertà e il modo di osservare il funzionamento è estremamente complesso visto il risvolto pratico della triste vicenda descritta da Ovidio.


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Entro tale problematica è possibile riconoscere nell’ipotesi sociologico-funzionalista girardiana una spiegazione di tipo causale tra desiderio mimetico, ars poetica e violenza repressiva del Princeps, in quanto il rapporto causa-effetto è visto nella relazione inconscia del comportamento che “sacrifica” per mantenere in vita un ordinamento sociale5. Due momenti della visione girardiana si presentano come importanti nell'approccio al testo ovidiano . In primo luogo il Libro II di Ovidio consiste in un’interessante “avventura antropologica” che sul materiale della letteratura soprattutto classica ( in particolar modo della tragedia e della mitopoiesi della Grecia classica6) soddisfa l'esigenza di studio di trovare le strutture unificanti della violenza e dei suoi meccanismi. L'evidente attenzione agli aspetti formali unificanti porta Ovidio a presentare la violenza come un “principio rivelatore”. Il pensiero ovidiano si caratterizza pertanto per una tendenza alla sintesi, alla riduzione: si sforza non di sottolineare le diversità ma di ridurre la diversità e la complessità di un fenomeno all'unità come possiamo comprendere dalla lettura del testo:

Ergo hominum quaesitum odium mihi carmine, quosque debuit, est uultus turba secuta tuos. At, memini, uitamque meam moresque probabas illo, quem dederas, praetereuntis equo: quod si non prodest et honesti gloria nulla redditur, at nullum crimen adeptus eram. Nec male commissa est nobis fortuna reorum lisque decem deciens inspicienda uiris. Res quoque priuatas statui sine crimine iudex, deque mea fassa est pars quoque uicta fide. Me miserum! Potui, si non extrema nocerent, iudicio tutus non semel esse tuo. ultima me perdunt, imoque sub aequore mergit incolumem totiens una procella ratem. Nec mihi pars nocuit de gurgite parua, sed omnes pressere hoc fluctus oceanusque caput. Cur aliquid uidi? Cur noxia lumina feci? Cur imprudenti cognita culpa mihi? Inscius Actaeon uidit sine ueste Dianam:

Con tale procedimento Girard struttura l’intera sua ipotesi. Cfr. E.WEB, The New Social Psycology of France: The Girardian School, in “Religion” 23 (1993),pp.255-256 6 Tuttavia il richiamo alla cultura classica greca deve sempre essere interpretato all’interno del rapporto tra ciò che si compie nel rito e ciò che si narra nel mito. 5


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praeda fuit canibus non minus ille suis. Scilicet in superis etiam fortuna luenda est, nec ueniam laeso numine casus habet. Illa nostra die, qua me malus abstulit error, parua quidem periit, sed sine labe domus: sic quoque parua tamen, patrio dicatur ut aeuo clara nec ullius nobilitate minor, et neque diuitiis nec paupertate notanda, unde sit in neutrum conspiciendus eques7.

In secondo, Ovidio concentra ogni sforzo di “spiegazione” del fenomeno della violenza sulla realtà sociale e culturale cui esso è congiunto. Vi è il grande merito di leggere la fenomenologia della violenza all'interno dell'universo simbolico- culturale che la società romano-imperiale si costruisce e la propensione a considerare la politica, in questo contesto, come sempre applicata e cioè funzionale al mondo simbolico-culturale8. Si tratta di un approccio che si concentra sull'aspetto socioculturale e che si risolve pertanto in uno studio simbolicoculturale del fenomeno della poetica ovidiana. Da questo si delinea una proposta di rilettura antropologica dell’associazione lessicale silenzio-libertà di espressione analizzando i comportamenti umani, descritti da Ovidio. Il propagarsi della libertà

Tristia, Liber 2, I, vv. Così la poesia mi ha procurato l'odio della gente e la massa, come doveva, ha seguito il tuo volto adirato. Eppure, ricordo, approvavi la mia vita e i miei costumi quando sfilavo davanti a te sul cavallo che mi avevi donato. Ma se questo non vale e all'onestà nessuna ricompensa viene data, non ero incorso però in nessuna censura. Né fu male affidarmi la sorte degli imputati, né le cause che vengono indagate dai centumviri. Anche degli affari privati sono stato giudice senza biasimo, e anche la parte perdente ha riconosciuto la mia onestà. Me infelice! avrei potuto, se non mi nuocevano gli ultimi casi, vivere sicuro per la tua approvazione data non una volta sola. Gli ultimi atti sono la mia rovina e una sola tempesta sommerge nel fondo del mare la barca tante volte incolume, e non una piccola parte del gorgo mi nocque, ma tutti i flutti e l'Oceano si riversarono su questo mio capo. Perché vidi? Perché resi colpevoli i miei occhi? Perché dalla mia imprudenza fu conosciuta una colpa? Ignaro Atteone vide Diana senza le vesti: ed egli nondimeno fu preda dei suoi cani; per i Celesti dunque anche la disavventura deve essere espiata e quando è offeso un nume non ha perdono nemmeno il caso. Quel giorno in cui mi travolse un maledetto errore, perì la mia casa, umile sì, ma senza macchia, che anche così umile è riconosciuta illustre per l'antichità degli avi e non inferiore per nobiltà a nessun'altra, e che non si distingue né per ricchezza né per povertà, e il cavaliere non si fa notare né per l'una né per l'altra. 8F. H. ISAMBERT, L’élaboration de la notion du sacré dans l’école durkhéimienne, in « Archives de sciences sociales des religions » 42 (1965), p.39. 7


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di espressione è pertanto non separabile dal “Silenzio” . E’ interessante soffermarsi sul fatto che la poetica stessa di Ovidio costruisca tale associazione: «Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error /alterius facti culpa silenda mihi »


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2 ARS

POETICA OVIDIANA E PUBBLICITA‘ IMPERIALE: ALL’ORIGINE DEL

CONFLITTO

La delineazione della pubblicità imperiale è un principio latente che agiva in tutta la strutturazione socio-politica di Roma come trasposizione sul piano politico del concetto economico di mercato in cui convergono le merci che si impongono per la loro qualità e il sistema pubblicitario per la vendita. Ora per un tale operazione era necessario che la pubblicità imperiale imponesse il silenzio di opinione. Questa operazione racchiude in sé un potenziale trasformativo: la pubblica opinione è il fattore politico interagente sulla sfera pubblica e privata come è evidenziabile dagli elementi poetici. Inoltre la stessa operazione socio-culturale è analizzabile all’interno dei meccanismi che regolarono l’analisi dei fattori di passaggio dalla società degli Uditori della repubblica romana alla Societas degli adulatori dell’età imperiale. La peculiarità della società degli uditori dell’età repubblicana consisteva nel legame esistente tra i membri del pubblico su un “mutuo interesse”. Il canone del Silenzio era proprio un certo accordo tra i diversi membri della collettività. La variabile di passaggio alla Società degli Adulatori è identificabile proprio nella negoziazione di questo principio di mutuo interesse. A causa delle condizioni in cui si svolgerà la vita imperiale il comportamento del popolo romano di adulazione emerse con grandezza sempre crescente. Ciò fondamentalmente scaturiva dall’attuazione dei fattori che strappano il popolo dal provincialismo, dalle proprie culture, dai propri gruppi locali. Da questa caratteristica derivò l’esacerbato individualismo della massa e la conseguente adulazione del Princeps era la soddisfazione aggregativa necessaria. La forma in cui si stabiliva il comportamento delle masse avveniva paradossalemente grazie al Silenzio imposto e non in base ad un’attività concordata. Questa attività individuale si manifestava principalmente in forma di scelte che si realizzavano in risposta a impulsi e sentimenti destati appositamente dall’oggetto d’interesse delle masse ovvero dal Princeps. Differentemente gli Uditores del periodo repubblicano operavano in modo collettivo: messo a confronto da una questione problematica sui quali gli atteggiamenti erano discordi dovevano riuscire a determinare una risoluzione. Non era sufficiente una risoluzione individuale da cui


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derivava una scelta secondo le proprie preferenze, come nel caso della propaganda imperiale. La collettività della repubblica acquisiva il suo particolare tipo di unità dalla decisione collettiva e dall’opinione collettiva. Qui si fondava la trascendenza politica poiché essa stimolava un dibattimento razionale sebbene questa situazione fosse sempre più ostacolata dai tentativi di manipolazione dell’opinione pubblica da parte di gruppi mossi da interessi particolari. Nell’età imperiale, differentemente diventava molto difficile per l’individuo replicare con efficacia ai mezzi di propaganda imperiale: le basi per la materializzazione delle opinioni erano organizzate dal potere e la massa possedeva poca autonomia per l’elaborazione di una opinione mediante il dibattito. Il poeta elegiaco che prese posizione contro l’impianto propagandistico imperiale fu Properzio che vide in Ottaviano non solo l’uomo crudele che vuole dividere gli amanti, ma il superbo che si crede superiore a Giove. In tal senso la rottura del silenzio venne a costituire il contrappunto alla pubblicità imperiale. L’Idealtypus dei Poetae Novae è in questo modo uno degli elementi di freno e di contrappeso alle convenzioni sociali: E’ certo al di fuori di ogni considerazione e posizione contingente che gli elegiaci erano pervasi da un costante desiderio di libertà, non solo nei confronti della donna amata, ma di tutte le convenzioni sociali: essi disdegnano quello che gli altri cittadini amano”. La posizione degli elegiaci nella delineazione dell’Idealtypus dei Poetae Novae fu una sorta di “rivoluzione invisibile”. Con ciò il prestigio dell’attualità del Princeps risultava lesionata ma soprattutto veniva recisa la celebrità dell’Imperatore che era veicolata dal particolare e inscindibile rapporto Potere+Silenzio. La relazione del destinatario col prodotto visivo delineato dalla pubblicità imperiale si accrebbe in modo inaspettato negli anni di Ovidio. Le necessità ultime, tuttavia, della societas romananecessità che potremmo chiamare le radici antropologiche della pubblica immagine restarono le stesse di ogni etnia, perché nascevano dal desiderio cosciente o incosciente di privilegiare la comunicazione ottica rispetto agli altri codici (soprattutto quello verbale), sebbene, specialmente per quanto riguarda il prodotto della propaganda imperiale, il fenomeno normale fosse l’associazione degli stimoli o meglio del desiderio mimetico. Come per le culture egizie e mediorientali la costruzione di sculture e monumenti giganteschi che


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erano elementi rappresentativi della immortalità del reggente nasceva dal proposito deliberato di creare una determinata risposta di sottomissione e ammirazione nei membri della collettività, trasmettendo un certo tipo di sentimenti e di vincoli che non somigliavano in nulla alla micro-struttura letteraria degli elegiaci. Naturalmente il risentimento elegiaco dei Poetae Novae non è né gratuito né dovuto al caso ma è la logica conseguenza di una lunga tradizione letteraria che ha origini in Callino, Mimnermo, Antimaco di Colofone, Ermesianatte e Filita: Gli elegiaci vivevano a Roma, ne vedono la grandezza e la potenza, ma sanno anche che in essa si nascondono ambizioni e favoritismi: Virgilio la descriveva come una città perfetta, il centro spirituale del mondo il luogo della giustizia e del benessere: non è possibile tam praesentes alibi conoscere divos (Buc I,41). La poesia elegiaca non si aggira mai in un mondo bucolico. Se evasione esiste, è sempre intermittente e parziale; la realtà del mondo esterno resta, in qualche modo, presente.9

Tradizione e mutamento della prospettiva del Silenzio: due aspetti importanti che coinvolgono il singolo e la collettività romana nella vita quotidiana, modificandone la capacità di percezione e dando luogo a un processo di identificazione e anche di accettazione di modalità altre. L’idealtypus dei Poetae Novae è proprio la testimonianza del mutamento del paradigma del Silenzio dell’età imperiale. È interessante notare come le vicende amorose degli elegiaci per la donna amata siano quasi un rompere il muro del Silenzio e delle convenzioni: Questa vita d’amore rivela un triplice carattere. Anzitutto un carattere erotico nel senso moderno della parola, nel qual caso l’elegia diviene la poesia dell’amore libero e trova il suo manuale nell’ars amatoria di Ovidio. A questo aspetto moderno si oppone talvolta, l’amore come ideale di vita, l’amore unico, in cui si aggiunge alla attrazione fisica la ricerca della unione di due esseri, per una più nobile fusione di anime. Ma il tentativo di vivere un ideale è tragicamente votato all’insuccesso per un seguito di circostanze sociali e umane, per una ineluttabile sorte: l’amore in questo caso, si rivela con un altro carattere: è conosciuto come un male, una malattia incurabile, e la elegia diviene la poesia della disperazione d’amore e della sofferenza. Properzio definisce il suo

A.DELLA CASA, Le donne degli elegiaci latini, Loesher Editore, Torino 1972, cit. p. XII

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destino e la sua poesia come un triste fatum, dominato da una dura puella (II,1,78) e afferma (II, 17,9-10) che durius in terris nihil est quod vivat amante nec modo si sapais quod minus esse velis10.

Gli stili dell’ornarsi femminile, descritti dei poeti, e delle fattezze corporee, dell’acconciatura dei capelli11 rivestono in tal senso un paradigma di rottura del Silenzio poiché costituiscono veri e propri linguaggi, mezzi di trasmissione di “status”, di “saperi”, di poteri altri dai canoni imposti dal Princeps12. Il paradigma che prende vita da questa operazione di correlazione è da intendere come l’origine prima dei valori simbolici della Libertas poetica che ha un suo fondamento antonomo, ma non contradditorio, bensì complementare, con quelli dei valori della autorevolezza imperiale.

Ibidem, cit. p. XIII “Ovidio lo dice apertamente nei consigli che dà al lettore sulla scelta della donna da amare (ars I,44): quaerenda est oculis aprta puella tuis, ma anche in Properzio notiamo come l’amore sia in gran parte dovuto alla bellezza fisica della donna amata. Lo stesso Tibullo, che pure non dà descrizioni particolareggiate della donna, ascrive il merito dell’amore per Delia non alla magia, ma alla sua bellezza. L’aggettivo erotico usato da Tibullo con maggiore frequenza è tenera e solamente una volta (I,I,55) Delia è detta formosa: il suo ideale è la bellezza naturale, spontanea, non artefatta: egli sogna di tornare da Corcira inaspettatamente e di trovare delia disadorna, longos turbata capillos (I,3,90) a piedi nudi. La stessa semplicità ammirava Properzio, ma questo non lo tratteneva dal paragonare Cintia alle eroine del mito: Arianna, Ermione, Andromeda, Antiope. Di Cintia Properzio analizza i vari particolari del volto e del corpo: ha una facies candida, che ricorda il latte, i gigli, le rose: gli occhi sono neri, biondi e lunghi i capelli, affusolate le mani; era maxima toto corpore, cioè alta di statura, conforme ad una caratteristica femminile già lodata dai tempi di Omero. Anche Ovidio descrive nei dettagli la bellezza di Corinna che ricorda sotto certi aspetti, Cintia ma forse con una tendenza ad accentuare la eleganza. In Ovidio l’aggettivo che gode maggiore favore è decens, che non silegge nella elegia di Tibullo e di Properzio. Un discorso a parte meriterebbe la figura di Fabia, la moglie cantata nei tristia; di essa Ovidio mette in rilievo sempre le doti spirituali, la fedeltà, la generosità d’animo, la affettuosa assistenza con cui seguiva, da lontano il marito in esilio. 12 La consapevolezza della ricerca tipologica en profondeur a garanzia di una descrizione densa del paradigma estetico-elegiaco, come strumento per raggiungere variegate sfaccettature di conoscenza, è uno strumento che annulla la separazione e/o distinzione tra conoscenza e spiegazione del fenomeno stesso. In queste prospettive d’indagine risulta chiaro l’associazione tra paradigma estetico e paradigma della rottura del silenzio che divengono local knowledge ovvero l’immagine identitaria del Femminile è un immagine simbolica che rompe il muro di silenzio imposto dal Princeps e dalla pubblicità imperiale. 10 11


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A questo proposito non deve essere tralasciato il fatto che negli elegiaci le configurazioni simboliche, in quanto trasfigurazioni della realtà concreta, sono strettamente legati alla storicità romana e che molti simboli che furono vivi nel passato, si sono fatti nell’età imperiale simboli “morti” in ragione del corso degli eventi.


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3 IL PARADIGMA DEL TACITO ACCORDO E IL PARADIGMA ROTTURA DEL SILENZIO: IL PRINCIPE E IL POETA A CONFRONTO

DELLA

La pubblicità del Princeps era coscienza identitaria, che pur mutando di contenuti, conservava una incidenza concreta, e ai limiti drammatica sul mondo reale. La duplice connotazione, autocratica e legalitaria, della ideologia e della prassi politica augustea è rilevabile chiaramente in campo artistico: l’Ara Pacis, inaugurata nel 9 a.C., mostra Augusto come primus inter pares tra i magistrati, sacerdoti e membri della sua famiglia; proprio il culto alla augusta famiglia spingeva sempre più verso l’affermazione dell’eccezionalità del principe: Augusto ebbe solo a Roma, almeno 80 statue (tra cui quella di Prima Porta e della Via Labicana) con caratteristiche iconografiche che tendono, attraverso la semplicità e il gusto neoclassico, a realizzare l’idea della superiorità morale del principe. In oriente, secondo la tradizione ellenistica, la sua posizione era già sentita come quella di un monarca divinizzato. Anche le vaste realizzazioni di opere pubbliche e di monumenti sia in Roma sia nelle province servirono a rafforzare le basi ideologiche del principato, consolidando al tempo stesso la posizione personale di Augusto. La Spiral Dynamics augustea, in tal senso, segnala un cambiamento nella visione del mondo predominante, in modo tale da essere profondamente connessa con i cambiamenti delle condizioni di vita fondamentali della Roma post repubblicana. Si può affermare che le principali preoccupazioni imperiali diventano incongruenti con le metafore generali dei poeti elegiaci. Mettere in relazione queste due tipologie ci serve per rispondere meglio alla questione del gioco sottile costruito sul desiderio mimetico. Se noi consideriamo l’operazione di Ottaviano come un impianto politico costruito sull’oggetto di desiderio mimetico (espresso come atto di consenso al Princeps), possiamo estrapolare che il cives romano percepisce un Altro che desidera potere sulla struttura di governo, e conseguentemente ciò ispira al cittadino la desiderabilità di tale controllo. Di conseguenza il pubblico romano percepisce l’impossibilità del possesso dell’oggetto politico desiderato e, necessariamente deve proiettare la mancata appropriazione interiorizzando il desiderio del Princeps. Sembra che non vi sia alcuna distanza – fisica, spirituale o simbolica – dentro l’organizzazione politica augustea, tra la


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mediazione esterna di un tale desiderio e la immediatezza del Princeps espressa dall’ostentazione della sua Bellezza. Quindi la rivalità mimetica deve essere mediata internamente, e questo mette in moto una catena di eventi che vede Cives e Princeps diventare reciprocamente antagonisti e di conseguenza inevitabilmente “doppi“. Ricordiamoci che la natura intensificativa della duplicazione mimetica causa il fatto che ognuna delle due parti accresce il desiderio del suo antagonista aumentando la sua resistenza all'appropriazione dell'oggetto (in questo caso il diritto di voto), e intanto afferma il proprio diritto sminuendo le pretese degli altri . Così le parti divengono indistinguibili l'una dall'altra: ora la questione diventa come si possa negare con qualche legittimità il diritto di voto ad un antagonista mentre lo si conferisce all'altro, se entrambe le parti sono completamente indistinguibili l'una dall'altra. La conclusione logica di questo ragionamento è l'annullamento di un eguale potere di voto ad entrambe le parti: così il suffragio viene espanso a includere altri individui. Naturalmente, questo caso si può dare solo nel caso della presenza dello Stato come terza parte. 13.

Comprendiamo che la mediazione interna, che è imitazione di desiderio fra gli esseri umani, a livello di scelta politica può essere organizzata tramite la mediazione esterna del silenzio. In breve, la scelta è contenuta dal paradigma del silenzio in cui una gerarchia organizza le versioni di comportamento imitativo. In tal senso, l’ imitazione è una funzione del desiderio nella misura in cui essa si rivela come tacito accordo fra gli individui, e questi individui sono spinti a ripetere i gesti di altri14: si comprende che in tal senso il silenzio cessa d’essere luogo filosofico ed entra nella sfera antropologica. È proprio sul paradigma del tacito accordo che la comprensione fondamentale riguardo alla competizione con l’idealtypus dei Poetae Novae trova la sua articolazione più potente. La conseguenza pratica di questo tentativo è la rottura del paradigma del tacito accordo, modello antropologico che è eccedenza d’essere e gli individui da quest’abbondanza sono stimolati

N. CHARNEY, Il capro espiatorio moderno. Comprendere il principio democratico contemporaneo, Intervento al Colloquium on Violence and Religion (COV&R), Saint Paul University, Ottawa, Canada, 31 maggio – 4 giugno 2006 (Traduzione dall'inglese del prof. Fabio Brotto). 14 ivi, p. 411 13


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a desiderare il modello, imitarlo ed abbandonare il senso del “paradigma del tacito accordo“che in tal senso, è un esercizio di forme aperte di violenza nel tentativo di mediare la rivalità, è un’organizzazione che struttura lo sfogo della violenza in un modo tale che non permette alla rivalità mimetica centrale di crescere fino al punto in cui si degrada pienamente nell'imprevedibile esplosione di una violenza reciproca di tutti contro tutti. Contrariamente la rottura del paradigma del tacito accordo è il luogo originario del conflitto: Questo tipo di conversione è possibile soltanto perché anche alla più alta intensità mimetica vi sono individui che possono essere differenziati gli uni dagli altri15.

NICHOLAS CHARNEY, .Il capro espiatorio moderno. Comprendere il principio democratico contemporaneo 15


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4 IL FONDAMENTO DEL SILENZIO La gran parte del Secondo Libro di Tristia, si muove proprio in questo gioco. Ora tale tensione Libertas+Autorità+Silenzio è una costante letteraria, in un approccio sincronico, presente soprattutto dove i personaggi sono vittime o artefici di scandali. Let us examine- afferma Eric Gans- the two polar forms of human desire we know so well, resentment and love. Hamlet at Claudius's court, Alceste, Molière's Misanthrope, in Célimène's salon, Rousseau just about anywhere--these resentful figures are drawn to scenes centered on persons whose authority they find scandalously illegitimate. Ostensibly in order to destroy this illegitimate power, resentment attaches itself to the scene on which this power is exercised; but the destruction is incompatible with the attachment. The man of resentment is in contradiction with himself. He is dependent on the object of his hostility; he lives in secret fear that his desire will be granted and the scene of his resentment will be abolished. But if resentment is paradoxical, how can this be the case for love, Wheel desire is harmony itself? Love is the converse of resentment. The resenter dreams of destroying someone who appears invulnerable. The lover, on the contrary, makes every effort to fortify his beloved against the mortality he shares with her. The lover does not fetishize the beloved's power; yet like the resenter he is attached to the scene of his desire. In the less noble forms of love, I am anxious for the world's approval, even its envy; but even when, in love's most sublime moments, I lose myself in my beloved's eyes, I find myself again, reflected in their tiny microcosm. Thus even as I work for my beloved's infinite happiness, I cannot wish that this happiness not continue to require my care. Were my love's aim fulfilled and my beloved rendered invulnerable to death, the scene of my love would vanish. Thus love and resentment have the same basic structure--the structure of all desire. But their symmetry is not perfect. Vulnerability is the lot of all mortal creatures. However much energy I expend in caring for my beloved, my care will never abolish the human scene on which it acts. There is paradox at the horizon of my love, where my ultimate aim is to free my beloved from the ills of the human condition; but my efforts can never do more than defer her suffering and death. In contrast, resentment is paradox here and now. The pathology of Hamlet's delay in murdering Claudius is already revealed in Act I, where he wears mourning in council and affects to regard the new King with disdain. If he really disdained the King's court, he would go back to Wittenberg. If Alceste really hated hypocrisy, he would marry Eliante and forget about Célimène's soirées. Desire, of which love and resentment are the extremes, is robust because it is paradoxical: we cannot help thinking about it, but it cannot be thought away. When an image will not leave my


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imagination, we call it an obsession; but we never explain what property of the image produces this effect. It is not because of some physiological presence of the image in our brains; it is because we cannot renounce our dependency on the scene where our paradoxical desire unendingly abolishes itself16.

Come i grandi eroi letterari, anche Ovidio si muove sulla scena producendo nello spettatore immagini forti e indelebili. Quello che noi leggiamo come secondo libro dei Tristia non è altro che il libellus di autodifesa di un eroe: Ovidio lo invia ad Augusto per difendere la sua Ars, accusata di essere un’opera oscena e difende se stesso dall’accusa di essere maestro di turpe adulterio, osceni doctor adulterii (v.212). In questo libello si evidenziano gli elementi retorico-giuridici utilizzati da Ovidio per costruire la sua difesa, che segue le disposizioni proprie dell’orazione giuridica romana. L’esordio di Ovidio deve essere considerato come una “insinuazione”; infatti, senza che Augusto se ne accorgesse, lo condusse ad ascoltare quel che aveva da dire, fingendo di elogiare la sua giustizia (vv.7-8.29) e la sua clemenza (vv. 19-28.39-46). Ed essendo anche il padre di tutti, patriae rector dicare paterque (v.39), lo implora di usare clemenza e perdono.

Quid mihi uobiscum est, infelix cura, libelli, ingenio perii qui miser ipse meo? Cur modo damnatas repeto, mea crimina, Musas? An semel est poenam commeruisse parum? Carmina fecerunt, ut me cognoscere uellet omine non fausto femina uirque meo: carmina fecerunt, ut me moresque notaret iam demi iussa Caesar ab Arte meos. Deme mihi studium, uitae quoque crimina demes; acceptum refero uersibus esse nocens. Hoc pretium curae uigilatorumque laborum cepimus: ingenio est poena reperta meo. Si saperem, doctas odissem iure sorores, numina cultori perniciosa suo. At nunc (tanta meo conies est insania morbo) saxa malum refero rursus ad ista pedem: scilicet ut uictus repetit gladiator harenam,

E.L.GANS, Paradoxes of Love and Resentment, in rivista in rete “Chronicles of Love and Resentment” No. 9: Saturday, September 9, 1995.

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et redit in tumidas naufraga puppis aquas. Forsitan ut quondam Teuthrantia regna tenenti, sic mihi res eadem uulnus opemque feret, Musaque, quam mouit, motam quoque leniet iram: exorant magnos carmina saepe deos. Ipse quoque Ausonias Caesar matresque nurusque carmina turrigerae dicere iussit Opi: iusserat et Phoebo dici, quo tempore ludos fecit, quos aetas aspicit una semel. His precor exemplis tua nunc, mitissime Caesar, fiat ab ingenio mollior ira meo. Illa quidem iusta est, nec me meruisse negabo: non adeo nostro fugit ab ore pudor. Sed nisi peccassem, quid tu concedere posses? Materiam ueniae sors tibi nostra dedit. Si, quotiens peccant homines, sua fulmina mittat Iuppiter, exiguo tempore inermis erit; nunc ubi detonuit strepituque exterruit orbem, purum discussis aera reddit aquis. Iure igitur genitorque deum rectorque uocatur, iure capax mundus nil Ioue maius habet. Tu quoque, cum patriae rector dicare paterque, utere more dei nomen habentis idem.

Egli procede cercando d’ingraziarsi Augusto, e lo fa elencando numerose sue imprese; accusando Augusto attraverso quegli stessi meriti che precedentemente sono stati oggetti di lode; in questo andirivieni conduce il Principe ad ammettere di essere stato troppo imprudente nel condannarlo, perché nelle sue opere non vi è alcun reato. Assicuratasi la benevolenza di Augusto per via indiretta, restano da chiarire i luoghi retorici da utilizzare per la costruzione della difesa e Cicerone ne suggerisce quattro: parlare di sé, degli avversari, del giudice e del soggetto della causa. Tutte indicazioni che Ovidio esegue alla perfezione. Accenna alle sue azioni e alle sue occupazioni, confuta asserzioni e cerca di dissipare sospetti su di lui e per muovere a pietà ricorda la precedente serenità della sua casa e i disagi presenti, fino a giungere a una preghiera fervorosa, inserita nelle lodi intessute per Augusto.

Idque facis, nec te quisquam moderatius umquam inperii potuit frena tenere sui.


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Tu ueniam parti superatae saepe dedisti, non concessurus quam tibi uictor erat. Diuitiis etiam multos et honoribus auctos uidi, qui tulerant in caput arma tuum; quaeque dies bellum, belli tibi sustulit iram, parsque simul templis utraque dona tulit; utque tuus gaudet miles, quod uicerit hostem, sic uictum cur se gaudeat, hostis habet.

Parlando della causa cerca di smontare l’accusa contrapponendovi delle altre tesi, che la mettano in una prospettiva favorevole. Ovidio, nella lunga captatio benevolentiae, rivolta ad Augusto, cerca di suggerirgli degli atteggiamenti simili a quelli riportati negli esempi: nei vv. 27-50 il Principe è paragonato a Giove, e con lui sono sottolineate alcune qualità come la clemenza, il perdono, la magnanimità. Causa mea est melior, qui nec contraria dicor arma nec hostiles esse secutus opes. Per mare, per terras, per tertia numina iuro, per te praesentem conspicuumque deum, hunc animum fauisse tibi, uir maxime, meque, qua sola potui, mente fuisse tuum. Optaui, peteres caelestia sidera tarde, parsque fui turbae parua precantis idem, et pia tura dedi pro te, cumque omnibus unus ipse quoque adiuui publica uota meis. Quid referam libros, illos quoque, crimina nostra, mille locis plenos nominis esse tui? Inspice maius opus, quod adhuc sine fine tenetur, in non credendos corpora uersa modos: inuenies uestri praeconia nominis illic, inuenies animi pignora multa mei. Non tua carminibus maior fit gloria, nec quo, ut maior fiat, crescere possit, habet. Fama Ioui superest: tamen hunc sua facta referri et se materiam carminis esse iuuat, cumque Gigantei memorantur proelia belli, credibile est laetum laudibus esse suis. Te celebrant alii, quanto decet ore, tuasque ingenio laudes uberiore canunt: sed tamen, ut fuso taurorum sanguine centum, sic capitur minimo turis honore deus.

Nei vv. 51-67 ricorda ad Augusto di essergli stato molto devoto e cerca di fare presa nel suo animo sfociando in una contrita


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preghiera, v.57 “Optavi, peteres carestia sidera tarde“: nei vv. 68-82 Ovidio ricorda che anche lui in passato ha scritto molto sulla Gens Iulia e almeno questo dovrebbe essergli di giovamento (vv.60-66). La sua poesia non è in grado di aumentare la sua gloria (v.67), ma può tramandare le sue gesta (vv.69-70). Ovidio parlando di sé rammenta ad Augusto i suoi costumi passati (vv.89-90) che approvava, ricorda di essere stato un uomo molto attivo politicamente (vv-)3-96) e un onesto avvocato. Ai vv. 51-52, dissipa alcuni sospetti che gravano su di lui e che potrebbero peggiorare la sua situazione, giacché egli non ha impugnato le armi e non ha seguito neppure forze ostili. In questo modo Ovidio pone le basi dell’arringa, cercando di rinforzare la sua immagine e smontare quella dell’avversario, che nella fattispecie è anche chi lo ha condannato, quindi deve cercare di mediare tra le due cose. È sua intenzione far passare Augusto per tiranno, incapace di governare, data la facilità con cui va in escandescenza e non lascia sereni neanche gli altri nobili, che da un momento all’altro potrebbero subire la sua stessa sorte. Per Ovidio un Principe non dovrebbe abbandonarsi all’ira (vv. 133-134), comune a qualunque uomo, non a un Principe che egli accusa, e che lo ha condannato senza offrirgli la possibilità di difendersi (vv.131-132) in un regolare processo. Questa riflessione apre la strada all’ipotesi della condanna politica. In sintesi si può affermare che alla radice del Secondo Libro di Tristia e del suo stesso rapporto con la letteratura, infatti, si colloca un processo conoscitivo e creativo che possiamo così sintetizzare nei suoi aspetti salienti: 1) Originaria aspirazione all'ordine (richiamo ai temi mitopoietici); 2) Scoperta del disordine oggettivo (nei confronti della figura di Cesare Augusto): tensione tra Libertas poetica e autorità; 3) Sforzo soggettivo di analisi e comprensione delle cause del disordine, di dominio razionale di esso (progetto di riduzione del caos a cosmo attraverso l'indagine razionale e la scrittura letteraria); 4) Vanificazione dello sforzo per insufficienza di energie o per impossibilità oggettiva, che si manifesta drammaticamente nella scelta del silenzio. Scrivere Tristia infatti per Ovidio significa « aprire un'istruttoria» nei confronti della dinamica della libertà di espressione e dell‘autorità imperiale: la speranza che lo muove è che relazioni e cause siano finite e dominabili; la realtà è che nella ricerca le relazioni si


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moltiplicano indefinitamente, i fili si ingarbugliano e lo scrittore rischia di perdersi. Si potrebbe anche dire che Ovidio è nelle intenzioni (per il bisogno di ordine e di indagine razionale) un positivista del mondo latino e nei risultati (per l'inestricabilità del garbuglio interno ed esterno) uno scrittore esemplarmente contemporaneo. Davide Polovineo


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