L'open innovation

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L’OPEN INNOVATION come occasione di crescita e di incontro per i talenti del Mezzogiorno atti del convegno Lunedì 18 maggio 2009


Seconda edizione novembre 2010 a cura di Erika Basile

Piazza dei Martiri, 58 – 80121 Napoli tel. 081.421900 (pbx) – fax 081.422212 www.denaro.it • denaro@denaro.it


Sommario

Introduzioni: Amedeo Lepore

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Alfonso Ruffo

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Ivano Russo

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Interventi: Amedeo Lepore

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Costantino Formica

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Antonio Prigiobbo

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Lucio Iaccarino

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Daniele Dalli

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Alexander M. Orlando

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Il convegno sull’open innovation promosso dal Centro Studi dell’Unione Industriali di Napoli è stato un’occasione di confronto molto significativa e, soprattutto, in anticipo sui tempi. Infatti, il tema dell’innovazione diffusa, appena approdato in Italia e nel Mezzogiorno, rappresenta un’assoluta novità e l’onda lunga proveniente d’oltreoceano ha iniziato solo ora ad irrompere nel continente europeo. Tuttavia, dopo l’incontro svoltosi a maggio scorso, l’effetto di questo primo afflusso si avverte nitidamente dalla moltiplicazione dei siti web dedicati a questo argomento e dall’attivazione straordinaria di una prima partecipazione in rete, ancora confusa e indistinta, ma dal grande valore preparatorio. Il Mezzogiorno d’Italia, come è emerso dai contributi dei relatori, si presta particolarmente a questa innovazione. Innanzitutto perché, proprio a causa della difficoltà estrema delle sue condizioni, può essere l’avamposto europeo di un sistema inedito: se l’open innovation sfonda qui, può penetrare più facilmente nel resto del continente. Inoltre, a parte ogni considerazione di opportunità, è proprio il carattere di questa nuova metodologia e la diffusione di una logica di partecipazione alle soluzioni dei problemi dal basso, che rivoluzionano vecchie convinzioni: il Sud, con l’impiego di questo strumento, è in grado di volgere alcuni dei suoi più consolidati vincoli in inusitate possibilità per il suo futuro. In particolare, la vasta disponibilità di ingegni e creatività, soprattutto giovanili, può essere valorizzata da un sistema di collaborazione aperta in rete, contrastando l’emorragia di talenti, che impoverisce l’area meridionale di uno dei suoi maggiori capitali. Ma anche la struttura economica del Mezzogiorno, in quanto tale, può trarre vantaggio dalla sua frammentazione e dalla dimensione ridotta di gran parte delle sue imprese. Non si tratta di riscoprire l’infelice teoria del “piccolo è bello” o di annullare le responsabilità di una logica di sviluppo a livello meramente locale, che hanno condannato il Sud ad un divario sempre più accentuato ri7


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spetto al resto del Paese e alle aree più dinamiche d’Europa. La vera novità è rappresentata, al contrario, dal fatto che gli antichi freni possono diventare occasioni di impulso per lo sviluppo, grazie ad un potente sistema di aggregazione. Le imprese, anche quelle più minute, hanno la possibilità di usufruire di una nuova e conveniente – se non gratuita, in base ai principi della freeconomics – dotazione di servizi e di conoscenza, oltre che di cominciare a “fare sistema”, uscendo da una condizione di inferiorità e di isolamento, con la crescita in termini di mercato. L’innovazione diffusa si presta a contribuire al cambiamento di Napoli e del Mezzogiorno, introducendo un modello di partecipazione aperta e un processo di catalizzazione, che interessa le imprese, le istituzioni, le persone e i mercati. In questo modo, è possibile ragionare in relazione ad una “massa critica”, prodotta dall’aggregazione progressiva dei soggetti in campo, che può rappresentare una valida alternativa macroeconomica al deserto produttivo meridionale e stimolare efficacemente nuove strategie di sviluppo per il Sud. È, soprattutto, la rapidità del cambiamento e la possibilità di partire dal basso, ma in una dimensione di rete, che definiscono l’utilità e la pervasività di questa ondata innovativa. Napoli e il Mezzogiorno devono saper cogliere il senso delle parole di Henry Chesbrough, secondo il quale: «Un mondo pieno di opportunità e di rischi attende coloro che hanno il coraggio di compiere questo viaggio». Con il convegno sull’open innovation, la nascita di un’associazione dedicata a questo tema (Napoli open innovation, www.napoliopeninnovation.it) e la pubblicazione di questo volume abbiamo iniziato la nostra avventura. Speriamo che siano in molti a condividerla. Amedeo Lepore Docente universitario Università degli Studi di Bari e Luiss di Roma Presidente dell’Associazione NOI

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Chi l’ha vista all’opera la paragona a uno tsunami. È la rivoluzione culturale dell’open innovation, l’innovazione aperta che conquista coscienze e comportamenti. Quando arriva, nulla più è come prima. Dobbiamo averne paura? Sì, se restiamo ancorati a vecchi schemi di protezione. La casa crollerà e noi saremo seppelliti dalle macerie. Certamente no, se sapremo accettarne la filosofia e farla nostra. È un’onda violenta che passa da un continente all’altro. Bisogna saperla cavalcare, essere pronti all’impatto per farsene trasportare. Vietato chiudere gli occhi, sconsigliato sottovalutarne la portata. L’innovazione aperta si basa sulla condivisione a scala mondiale di soluzioni per ogni tipo di problema. Corre lungo i fili invisibili della rete, cancella le distanze, esalta le differenze; trasforma i vincoli in opportunità. Chi ne ha provato l’ebbrezza e misurato gli effetti ne parla come di un sistema magico che trasforma tutti i giocatori in vincitori. Chi cerca risposte e chi le dà. In ruoli che possono capovolgersi all’infinito. E il vecchio adagio per il quale il cammello è un cavallo disegnato da un gruppo di lavoro? Spazzato via. La forza della massa e l’intelligenza collettiva diventano il motore del mondo. Le idee sono tutto. Significa dover rinunciare ai frutti del proprio intelletto? Tutt’altro, si tratta di poterne cogliere i vantaggi alla massima potenza. Nell’open innovation le proprietà immateriali valgono più dei mattoni. Le imprese, anche quelle piccole, possono contare sull’attenzione di centinaia di migliaia di ricercatori, professionisti e non, che accettano la sfida lanciata e si misurano sulla capacità di venirne a capo. I giovani, anche quelli delle terre più remote, possono mettersi in mostra confidando nel proprio valore senza su9


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bire i condizionamenti di una società baronale, chiusa, nemica del merito. Non è poco. Interrogando le masse e ricevendone i suggerimenti – secondo schemi di lavoro collaudati – si rinnovano le aziende, si migliorano le città, si rivitalizzano le organizzazioni. Si produce reddito, distribuisce ricchezza. E noi ancora chiusi nel cerchio asfissiante del sospetto ancestrale, dell’invidia sociale, del dispetto personale. Alfonso Ruffo Direttore del Denaro

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L’iniziativa di valorizzazione dell’open innovation è stata sollecitata da Amedeo Lepore un po’ di tempo fa ed è stata posta a me in qualità di direttore responsabile del Centro Studi dell’Unione Industriali di Napoli. Per questo ho provato a pensare a un momento di confronto non eccessivamente dispersivo tra gli addetti ai lavori. Da tempo, il Centro Studi dell’Unione Industriali ha avviato una serie di approfondimenti e di forum tematici su singoli argomenti. Tra questi un ruolo specifico è rivestito, a nostro parere, dall’open innovation e dalla gestione della conoscenza e della circolazione della conoscenza tra il sistema universitario e il mondo delle imprese. Il focus sull’open innovation segue l’approfondimento sulla responsabilità sociale delle imprese, in particolare sul rapporto tra uomo e donna rispetto ai ruoli del management all’interno del sistema produttivo. Credo sia opportuno, per rilanciare il sistema delle imprese, guardare con interesse e fiducia all’open innovation. Da tempo si parla della sfida di velocizzare il trasferimento della conoscenza dall’Università, tradizionale luogo di produzione, alle imprese, dove invece la conoscenza viene applicata. Lo sfruttamento produttivo dell’open innovation è un grande tema e una grande sfida competitiva per il Mezzogiorno, attraverso cui le imprese meridionali possono colmare quel divario che ancora esiste con altre realtà del Paese e attivare una dinamica di trasferimento tecnologico assolutamente rilevante nel contesto economico attuale. È importante, però, che le imprese conoscano a fondo tutti i vantaggi garantiti dall’open innovation e sappiano come capitalizzare al meglio questa risorsa. Perché solo così la nostra realtà produttiva può guardare al futuro. Ivano Russo Direttore del Centro Studi dell’Unione degli Industriali di Napoli 11



Atti del Convegno

Amedeo Lepore Docente dell’Università degli Studi di Bari e Luiss di Roma Questo incontro di estrema attualità sull’open innovation, promosso dal Centro Studi dell’Unione Industriali, costituisce un primo momento di confronto tra personalità che svolgono attività in diversi settori degli studi e della ricerca – compreso uno storico economico, come il sottoscritto –, del web 2.0 e dell’economia della rete, la net-economy. Si è aperto, infatti, un campo molto vasto e inedito di azione, che, grazie alla “rivoluzione delle comunicazioni” promossa dallo sviluppo di Internet negli ultimi due decenni, può consentire una partecipazione di massa alla soluzione di problemi rilevanti per l’innovazione di processo e di prodotto, oltre che per l’affermazione di un nuovo modo di concepire la conoscenza e la sua gestione (knowledge management). Il metodo del crowdsourcing, un termine che risulta difficile da tradurre in italiano, ma che deriva dalla sintesi di due parole crowd (folla) e outsourcing (la pratica di affidare all’esterno alcune attività), si concretizza quando «una società chiede a una comunità indistinta di svolgere per suo conto un compito prima affidato ai propri dipendenti», secondo l’indicazione contenuta nella rivista “Wired”. Si tratta di una nuova forma di ricerca collaborativa, che permette ad una moltitudine di persone e organizzazioni di contribuire ad un avanzamento del tutto inusitato della conoscenza, a livello dell’economia globale. Attraverso questa modalità, è possibile non solo migliorare lo standard e la portata delle iniziative di business aziendale, in quanto tali, ma anche impiegare uno strumento offerto dalla rete per suddividere in piccoli compiti diffusi grandi attività concentrate e creare nuovo valore, spostandone il baricentro all’esterno dell’impresa. Inoltre, in un’accezione più ampia, questo metodo innovativo serve a rivoluzionare, in molti ambiti, il processo di elaborazione cognitiva e scientifica, i suoi contenuti di merito e i suoi obiettivi: così, è possibile minimizzare i costi e i tempi necessari per il conseguimento 13


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dei relativi risultati e, inoltre, mettere in grado istituzioni, gruppi, organizzazioni e singoli individui di soddisfare le proprie esigenze di progresso delle conoscenze, di soluzione di problemi complessi e di partecipazione ad un nuovo stadio dell’accrescimento complessivo del sapere e delle sue applicazioni concrete. InnoCrowding, il social network guidato da Alexander M. Orlando, che si sta sviluppando a livello internazionale per diffondere la cultura e la pratica dell’open innovation e per realizzare un sistema collaborativo di rete sempre più pregnante, è una delle realtà più avanzate in questo campo, insieme ad InnoCentive (e a diverse altre, in crescita esponenziale nel web). Il confronto che si apre, a partire da questo convegno, con l’esperienza avviata oltreoceano è di fondamentale importanza, anche se si tratta solamente di un primo approccio alla problematica dell’innovazione diffusa e all’analisi delle iniziative dei suoi principali protagonisti, cui dovranno seguire incontri mirati con il mondo delle imprese, dell’università, delle competenze e delle professioni, per approfondire le opportunità offerte dall’attuazione e generalizzazione di una tale innovazione nel nostro Paese. In ogni caso, il punto di partenza di questo mutamento e della sua promozione deve essere il nostro territorio, le realtà di Napoli e del Mezzogiorno, nella considerazione delle vaste possibilità offerte dall’open innovation, attraverso la piena valorizzazione di un peculiare e intenso passato, ma, soprattutto, grazie alla chiara manifestazione della capacità della parte migliore del Sud di assumersi una responsabilità verso il futuro. I trascorsi di questa grande area meridionale hanno profonde radici, con fasi di protagonismo positivo, ma con la persistenza di una situazione di divario rispetto al resto del Paese, che ha caratterizzato la storia del Mezzogiorno, perlomeno negli ultimi centocinquanta anni. Questa situazione è stata definita da un rapporto costantemente divergente tra il Nord e il Sud, eccetto quando si è affrontata la “questione meridionale” con strategie nazionali, volte allo sviluppo industriale dell’intera regione, e con politiche di carattere strutturale, in grado di fornire una risposta al dualismo attraverso lo 14


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strumento dell’intervento straordinario. Questo scenario, tuttavia, è alle nostre spalle perché, ormai, dopo la Cassa per il Mezzogiorno, non vi sono state più iniziative di questa natura. Al contrario, sono state operate scelte che, non solo non hanno contribuito a risolvere il problema del Mezzogiorno, ma lo hanno seriamente aggravato. I tempi più recenti, poi, hanno visto prevalere l’immagine deteriore, purtroppo partita da Napoli, di una realtà in via di completa disgregazione. Un territorio rappresentato per la sua arretratezza, il suo declino e i suoi drammi, oltre che per le sue incapacità di fondo, rispetto alle esigenze di un mondo che sta cambiando profondamente. Il Sud, in questo modo, rischia di essere lasciato a se stesso. Eppure, si può provare a ripartire da un’idea positiva dello sviluppo di questa parte del Paese, attraverso iniziative innovative, che non siano solo il prodotto di decisioni dall’alto (o top down, come si dice). Innanzitutto, perché ci troviamo in una situazione molto particolare, nella quale, per ragioni di fondo – cioè, per le compatibilità economicofinanziarie dello Stato, ma, soprattutto, per la delegittimazione delle istituzioni e della politica meridionali –, non vi è un clima favorevole allo sviluppo di interventi nazionali per questa macro-area italiana. Il Mezzogiorno non ha reso una buona prova di sé, anzi, in questi anni, ha espresso classi dirigenti e capacità di governo del tutto inadeguate, se non pregiudizievoli per il proprio destino. Il “respingimento” del Sud è stato motivato anche dal fatto che è emersa una “questione settentrionale”, sospinta dalle esigenze di affrancamento dai vincoli burocratico-amministrativi ed espressione di un nuovo protagonismo competitivo della struttura produttiva del Nord, che ha catalizzato attenzione e interessi rispetto alle politiche di sviluppo, forzando la mano sull’abbandono del Sud al suo destino. Di fronte alle serie difficoltà dei prossimi anni di operare nuove scelte di carattere generale, che potrebbero contribuire fortemente a invertire le tendenze negative per il Mezzogiorno, è necessario compiere un profondo cambiamento, nel senso di una discontinuità, verificando concretamente le modalità attra15


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verso le quali il Sud, con il protagonismo dei propri attori, possa riprendere un cammino positivo. In questo senso, la scelta della costruzione e della gestione della conoscenza in una logica di crescita dal basso (o bottom up) assume una rilevanza autonoma ai fini della ripresa dell’area meridionale, soprattutto se orientata verso un nuovo paradigma di sistema. Quella dell’open innovation è l’occasione per muoversi in questa direzione. È un’idea-forza che può far uscire il Mezzogiorno da uno scenario di inerzia e di chiusura interna, che andrebbe consegnato alla storia di questa parte del Paese e non alla sua attualità. Il destino del Sud è legato alla capacità di emanciparsi, di crescere e di aprirsi ad un rapporto con le aree territoriali dell’Europa e del resto del mondo, che stanno già conducendo un processo di profonda trasformazione. Il Mezzogiorno, infatti, non è in grado di trovare la ricetta per risolvere i propri problemi solo al suo interno o dentro i confini nazionali. Il nuovo modello di competizione internazionale richiede l’adozione di una prospettiva di carattere globale, inserendo l’analisi e le possibilità di soluzione dell’atavica contraddizione del dualismo italiano, il divario tra il Nord e il Sud, in un contesto più ampio e aggiornato. In questo modo, può apparire più chiaramente l’occasione che si presenta per una società difficile e complessa come quella meridionale, ma anche per un mercato che può cogliere, dagli svantaggi della sua condizione, una grande opportunità. Il Mezzogiorno si trova in una condizione di grave arretratezza economica. Tuttavia, la presenza di talenti, creatività, intelligenze, competenze diffuse, in questa parte dell’Italia, può rappresentare l’elemento di fondo sul quale puntare per introdurre un motore di aggregazione e di crescita, che non è un fattore tradizionale nella nostra economia, ma che può diventare, oltre che una grande novità, un elemento di vantaggio considerevole. Gli strumenti dell’economia della conoscenza, con particolare riferimento alla rete telematica, possono stimolare notevolmente l’utilizzo e l’espansione di un sistema, nel quale agiscono da protagonisti figure come quelle dei seekers e 16


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dei solvers, cioè coloro i quali hanno problemi da risolvere (innanzitutto, le aziende) e coloro i quali posseggono la preparazione o l’inventiva per trovare le soluzioni più avanzate (innanzitutto, i “cervelli” e i ricercatori): uno schema di questo tipo, con una relazione stretta tra domanda e offerta di knowledge, può trovare nel Mezzogiorno un’area particolarmente favorevole. E può trovarla per due ragioni fondamentali: la prima è la crisi internazionale, la seconda è la rete in quanto tale, che mette in evidenza il merito e le capacità, consentendo di porre su un piano di pari opportunità realtà e soggetti diversi. Internet, infatti, è l’espressione di un mondo aperto, nel quale chi è possessore di ingegno, di cultura e di creatività può dare un contributo effettivo al successo di un’idea innovativa, può entrare in un circuito virtuoso e affermarsi rapidamente. Un nuovo modello può succedere a quello “nordista” della riproduzione del valore semplicemente all’interno dell’azienda: quello delle relazioni tra l’impresa, la sua organizzazione interna e il mercato, ovvero i consumatori e gli utenti, nel cui ambito assume decisiva importanza la realizzazione di un incremento di ricchezza e di significato dell’attività svolta. Al tempo stesso, la crisi rappresenta non solo una situazione sfavorevole e di arretramento, ma anche una condizione di svolta, in grado di far fruttare un’opportunità. Questa crisi, infatti, sta ridefinendo gli equilibri internazionali, ma sta anche rideterminando le modalità attraverso cui funzionano il sistema di produzione e il sistema di fornitura dei servizi. In questo quadro, si sta intensificando ed estendendo la possibilità di realizzare idee, non solo attraverso il contributo di gruppi ristretti di esperti, di uffici interni ai nuclei aziendali, ma attraverso una partecipazione diffusa di idee, di inventiva e di talenti. Vi sono due punti di riferimento teorici, dai quali si può partire, per una più approfondita comprensione di questo percorso. Il primo è lo studio di Chris Anderson su The long tail, di grande interesse, perché – oltre ad utilizzare un metodo di approfondimento, di indagine e di studio, molto simile a quello di chi si occupa di storia economica, cioè l’analisi quantitativa e seriale dei fenomeni economi17


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ci, che, partendo da fatti concreti, arriva alla definizione teorica – ha effettivamente indicato un’interpretazione del passaggio dal vecchio sistema del mercato e della produzione di massa, ad un sistema nel quale i mercati di nicchia, se aggregati, messi insieme tra loro, possono rappresentare un’alternativa significativa al sistema precedente. Questo è anche un modo per comprendere e fornire risposte alla complicata realtà dei territori meridionali: il fatto che nel Mezzogiorno vi siano tante piccole iniziative autonome, alcune delle quali hanno anche un carattere fortemente innovativo, può permettere di individuare qui un pezzetto della coda lunga, sviluppatasi a livello internazionale. Il secondo riferimento è a Coimbatore Krishnarao Prahalad, che ha analizzato la distribuzione del reddito attraverso una piramide, la cui base, in precedenza, veniva ritenuta una massa indistinta, una parte della popolazione del mondo bisognosa unicamente di interventi di carattere assistenziale. Considerata non nella univocità dei singoli individui, ma in tutta la sua estensione, rappresentativa di una fetta fondamentale della popolazione mondiale con un reddito molto basso – sono stati presi in esame, infatti, i 4 miliardi di persone che hanno un reddito al di sotto di due dollari al giorno –, la base della piramide acquista un altro significato. Questa notevole parte della popolazione, infatti, può costituire un grandissimo mercato. Sulla base di tale semplice, ma non scontata valutazione, si è dato il via a tutta una serie di strategie e di interventi – soprattutto in riferimento alle aziende private –, che, in qualche modo, hanno sostituito le vecchie politiche di welfare. Basti pensare a ciò che ha rappresentato il microcredito a livello internazionale o volgere lo sguardo ad alcune iniziative di considerevole importanza, che alcune aziende multinazionali hanno concepito per i paesi più arretrati del mondo, con la realizzazione di prodotti monodose, in grado di soddisfare una domanda frammentata e ampia. Facendo riferimento a queste opportunità, vi è la possibilità di individuare un percorso di grande utilità per la realtà meridionale. Il Sud può fare tesoro dei propri punti di forza e cerca18


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re di sfruttarli al meglio. Le regioni meridionali mostrano il grande limite di una diffusa presenza di intelligenze, di competenze e di creatività, che solo al di fuori di questo territorio e del suo contesto riescono a realizzare notevoli obiettivi, ma che nel Mezzogiorno, in mancanza di un sistema nel quale possano far valere le proprie attitudini, purtroppo, vanno disperse. Il crowdsourcing, la rete e l’open innovation possono aiutare a far maturare decisamente queste capacità. Quelli che sono apparsi come punti di debolezza (il mercato frammentato, la presenza di una struttura che si basa prevalentemente sulle piccole e medie imprese, ecc.) possono diventare, al contrario, elementi di particolare vantaggio e un’occasione propizia nel corso di questa nuova fase, nella quale la crescita dal basso delle idee, la diffusione della conoscenza, a partire dal rapporto “da pari a pari”, possono rappresentare una nuova frontiera o, perlomeno, essere un contributo ad un nuovo tipo di sviluppo dell’area meridionale e alla responsabilizzazione di chi opera nel Sud. Su questi obiettivi, è possibile oggi costruire una nuova iniziativa di vasta portata per Napoli e per tutto il Mezzogiorno.

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