MASSIMO PULINI
G I N E V R A
C A N T O F O L I La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento
INDICE
PREMESSA, Simona Lembi GINEVRA CANTOFOLI.
UN RISARCIMENTO,
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Fiorella Frisoni
GINEVRA CANTOFOLI. UN PUNTO INTERROGATIVO La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento Un’allegoria allo specchio La ripetizione differente Il caso Beatrice Cenci Un nido capovolto Fuori dalla bottega di Guido L’algida eco di Domenichino Somiglianze parallele Il Barocchetto Il passato paesaggio Alle spalle di Elisabetta Bologna pittrice I frammenti di una vita Per ricostruire una personalità Come un’appendice: la cronaca degli ultimi ritrovamenti Sine macula
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CATALOGO
DELLE OPERE
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APPARATI Regesto Bibliografia generale
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INDICE
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PREMESSA
Nell’ambito dei propri programmi, l’Assessorato alle Pari Opportunità della Provincia di Bologna da anni promuove attività di ricerca e di valorizzazione dell’identità storica femminile. A questo contesto appartengono gli studi dedicati al “fenomeno” della donna artista che si rivelano occasione privilegiata d’indagine. Dal Medioevo al Novecento il ruolo femminile a Bologna è significativo sia nel campo delle arti figurative che in quelli della letteratura e delle scienze, anche per la specificità del contesto storico cittadino dove la presenza dello Studium precocemente è promotrice di valori alti femminili nella cultura. È indubbio tuttavia che alla fama della donna “dotta” abbia contribuito in special modo la storiografia artistica, giunta al punto da annoverare una tale massiccia presenza di artiste attive a Bologna da distendere sulla città un alone leggendario. Una testimonianza straordinaria di espressioni artistiche che è stata raccolta in via sistematica a partire dal 1994, costituendo la base di un centro di documentazione per la storia delle donne artiste attive in Europa dal Medioevo al Novecento, ormai di prossima apertura presso la sede degli Archivi Provinciali. Dalla mappatura del “fenomeno” della donna artista nel territorio provinciale la ricerca si è infatti ampliata a un censimento di pittrici, scultrici, incisore, ricamatrici, fotografe, operanti in Europa fra Medioevo e Novecento, costruito su molteplici tranches di lavoro. Una storia della creatività delle donne in campo artistico da cui emerge una memoria ancora in gran parte da scoprire, ed insieme una varietà di modelli culturali e sociali, inventati, sperimentati e adottati dalle artiste a seconda delle contingenze e delle vicende biografiche, dal loro primo ingresso al pieno inserimento in un ruolo professionale di difficile accesso per le donne. In questa cornice si inscrive la pubblicazione del volume di Massimo Pulini, che per rigore scientifico e novità di apporti in pieno risponde ai criteri d’impostazione e di studio su cui si fonda il centro di documentazione. Una ricostruzione dell’identità e dell’esperienza artistica di Ginevra Cantofoli, collaboratrice di Elisabetta Sirani, che, persa nelle pieghe del tempo, riacquista contorni concreti, restituendo contestualmente verità PREMESSA
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storica alla notizia di una scuola tutta al femminile, aperta a Bologna dalla maestra e celebre pittrice del Seicento. Una memoria che lentamente riprende forma, per fornire spunti nuovi di riflessione e di approfondimento ai frequentatori del mondo degli studi, ai cittadini, ma soprattutto alle donne interessate al problema della “coscienza del sé”, secondo gli obiettivi ispiratori del centro di documentazione per la storia delle donne artiste: progetto appassionante che la Provincia di Bologna coltiva con la partecipazione sensibile della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, cui va il nostro più vivo ringraziamento. Simona Lembi Assessora alle Pari Opportunità della Provincia di Bologna
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PREMESSA
G I N E V R A CA N TO F O L I . U N R I S A R C I M E N TO
Un “cenacolo” al femminile; ecco come doveva presentarsi, per usare il termine adottato da Irene Graziani, l’Accademia gestita da Elisabetta Sirani, la geniale figlia di Giovanni Andrea, il più fedele allievo e collaboratore di Guido Reni. Almeno una dozzina di allieve di tutte le età, dai trentotto che doveva contare Ginevra Cantofoli nel 1656, data in cui la Sirani registra nella sua Nota delle pitture, giunta al secondo anno, l’esecuzione del «ritratto della signora Ginevra Cantofoli pittrice», ai tre di Elena Maria Panzacchi (sempre che la notizia sia vera e non viziata dal desiderio di accrescere il “mito” di Elisabetta) e di diverso ceto sociale. Se una certa pratica della pittura faceva parte, come osserva Adelina Modesti nella monografia da lei dedicata alla Sirani (2004), dell’educazione delle signorine di buona famiglia, a scorrere l’elenco delle discepole ricordate dal Malvasia e quello, più ampio, del Masini, ripreso poi dal Crespi nel terzo tomo della Felsina pittrice (1769), si nota che non poche di loro erano figlie di pittori e incisori intenzionate a proseguire professionalmente il lavoro paterno. Il che sembra costituire una sorta di contrappasso, se si pensa che la scuola di Elisabetta si poneva nell’ambito dell’eredità culturale di un pittore come Guido Reni, di straordinario talento inventivo e di altissima intelligenza formale, ma non alieno da singolari idiosincrasie nei riguardi del mondo femminile. Pur amorevolmente legato alla madre vedova sembra, a dar retta a Carlo Cesare Malvasia, non aver tollerato in casa presenze femminili «aborrendo trattar con esse, e spicciandosi ben presto, necessitatovi». Il sospetto maturato dal pittore sulle donne, da lui considerate esseri infidi, dediti al veleno e ai malefici, suscita in un caso, solo «per aver trovato frà suoi panni bianchi una camicia da donna» addirittura una crisi che potremmo definire “isterica”. Figuriamoci come avrebbe giudicato una scuola di pittura tenuta da una “femmina” per altre “femmine”. Sarebbe, quanto meno, inorridito. E che la pittura al femminile godesse di considerazione più come fenomeno di costume che per sincero apprezzamento dei valori esecutivi da lei espressi, lo dimostrano alcuni taglienti giudizi espressi per lettera da Annibale Ranuzzi, corrispondente in Bologna, insieme al suocero Ferdinando Cospi, del granduca Leopoldo de’ Medici, circa la vanità della Sirani e il suo amore smodato per i monili. Di alcune di queste allieve non ci resta che il nome; di altre, Irene Graziani che di quell’Accademia femminile si era occupata fin dalla sua tesi di laurea, dandone conto in alcuni saggi pubblicati e, di recente, nel catalogo della mostra dedicata da Bologna alla Sirani un paio d’anni or sono, ha identificato non pochi dipinti citati dalle fonti; sotto il nome di altre ancora, forse le più interessanti, come Lucrezia Scarfaglia e, appunto, GINEVRA CANTOFOLI. UN RISARCIMENTO
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Ginevra Cantofoli, oggetto del volume che qui si presenta, erano state raccolte opere, ma in numero scarno, e con qualche dubbio. Per quanto mi riguarda, da quando, molti anni fa, ho cominciato a occuparmi di Giovanni Andrea Sirani e di sua figlia, ho maturato la convinzione, condivisa da altri studiosi, che la cosiddetta Beatrice Cenci della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma, per lungo tempo fregiatasi della paternità del Reni, fosse da restituire alla Cantofoli, per confronto con l’unica opera a me nota, il supposto Autoritratto della Pinacoteca di Brera, senza però trovare la voglia, o il coraggio, di proseguire su quella traccia. Lo ha fatto, invece, Massimo Pulini, raccogliendo con pazienza e lungimiranza intorno a quelle prime opere (perché l’Autoritratto di Brera, da lui inteso piuttosto come un’Allegoria della pittura o un ritratto ideale della Sirani, è stato anche il suo punto di partenza) un nutrito, anche più di quanto si potesse sperare, gruppo di una trentina di dipinti, che ci restituiscono una pittrice di non scarso spessore, non succube della lezione figurativa della Sirani e attenta, anzi, a cogliere altri riferimenti formali coevi, che lo studioso ha con puntualità individuato. È pur vero che l’assegnazione alla Cantofoli della tela braidense data a non prima degli inizi del Novecento, ma, a ben pensare, tutto, dal retaggio siranesco alle connotazioni stilistiche coerenti con quanto si faceva a Bologna nella seconda metà del Seicento, dal taglio compositivo a un certo sfumato “protopasinelliano”, può corrispondere alla matura allieva di Elisabetta ed è giusta l’osservazione di Pulini sul fatto che l’assegnazione a una semisconosciuta pittrice bolognese nella Milano di primo Novecento può trovare giustificazione solo in qualche appiglio documentario o scritta antica sul retro del telaio o della tela oggi cancellata o coperta da successivi interventi. Di quella ricostruzione lo stesso studioso aveva già dato un assaggio nel catalogo della mostra già ricordato (Bologna 2004), ma il corpus raccolto nel presente volume si è arricchito di diversi numeri di non poco conto. Riemergono fortunosamente dall’oblio, grazie alla tenacia di Pulini, due di quelle pale che, a sentire il Malvasia, Ginevra si era decisa ad affrontare, rassicurata dall’insegnamento della Sirani: il San Tommaso di Villanova per San Giacomo Maggiore, dipinto fra il 1658 e l’anno successivo – il che costituisce un preziosissimo puntello nella vicenda dell’artista, quasi senza appigli cronologici – e l’Immacolata Concezione della Pinacoteca Nazionale di Bologna, proveniente dalla chiesa di San Lorenzo, dichiaratamente cantariniana e i cui sodi contorni appaiono diversi dalle superfici mutevoli, scelte dalla pittrice nelle suo opere “da stanza”. Ma, sulla scia della produzione del Reni, ma anche di Simone Cantarini, di Flaminio Torri e di Elisabetta Sirani, è soprattutto nelle mezze figure femminili, dall’epidermide quasi lievitante e smarrita nel pulviscolo atmosferico e dalle ombrose arcate sopracciliari a rilevare per contrasto il luccichio degli occhi, che la Cantofoli raggiunge il suo apice espressivo. Qui si segnalano alcuni dipinti, a mio giudizio, bellissimi: la Berenice della Borghese, la Ninfa marina della collezione Koelliker, i cui ornamenti sembrano appartenere a un catalogo del Museo Cospiano (prezioso supporto anche per la Galatea, oggi in colle10
GINEVRA CANTOFOLI. UN RISARCIMENTO
zione privata, dipinta da Elisabetta per lo stesso Ferdinando Cospi nel 1664), entrambe caratterizzate da una misura solenne e ritrosa a un tempo, al pari della Liberalità del Museo di Nîmes, tolta opportunamente dal catalogo della Sirani e restituita alla Cantofoli. A sua volta, il malinconico Apollo già nella Heim Gallery di Londra, datato dall’autore, come le precedenti, agli anni Sessanta del secolo, sembra procedere in parallelo con Lorenzo Pasinelli, al quale Renato Roli nel 1977 l’aveva, con un errore di assoluta ragionevolezza, assegnato. Tutti accettabili sono i riferimenti di stile individuati da Pulini per queste opere, da Simone Cantarini a Michele Desubleo, dal Domenichino al Cignani, fino alla premonizione, nella meditazione intimistica di alcune indimenticabili figure, di certe soluzioni del già citato Pasinelli, in particolare della sua fase giovanile, quale la vediamo nella Dama di casa Bentivoglio delle Gallerie fiorentine, pubblicata a suo tempo da Evelina Borea (1975). Convincente appare anche il collegamento col perugino Giandomenico Cerrini, attivo a Firenze ma certo non ignaro di quanto si stava facendo a Bologna nella cerchia dei reniani, con i quali viene sovente confuso, e nell’ambito della cui produzione Pulini fa emergere una nuova personalità, da lui convenzionalmente chiamata “Pseudo Cerrini” o “Maestro delle Vanitas”. A questi collegamenti, aggiungerei quello con Carlo Francesco Cittadini per la figura di sinistra nella giovanile Allegoria della Sincerità comparsa sul mercato antiquariale londinese nel 2003 ed eseguita dalla Cantofoli, secondo Pulini, alla fine anni Quaranta, e di Emilio Taruffi, bolognese, ma attivo anche in area toscana e centroitaliana, e socio del Cerrini in alcune imprese. Sotto l’aspetto documentario, non emergono novità sostanziali rispetto a quanto già si sapeva sulla biografia della pittrice (il suo matrimonio nel 1653 con Francesco Facchini, la nascita dei figli Orsola e Michelangelo), se non una possibile parentela con un’altra allieva di Elisabetta Sirani, la già rammentata Lucrezia Scarfaglia. Ma il nuovo e coerente catalogo è una tappa irrinunciabile per gli studi bolognesi. Qualche riserva mi permetto di esprimerla sulla pur incantevole Allegoria della Musica della Fondazione Rau, la cui abile costruzione in tralice sembra richiamare altri esempi di Francesco Gessi. Ciò che conta, però, è che sia stata restituita alla storia dell’arte, col suo corredo di pensieri, di originali soluzioni iconografiche, di aperture al nuovo corso «al gran cangiamento» della pittura bolognese avvertito dal Lanzi, una nuova protagonista, ed è ulteriore merito di Massimo Pulini quello di essersi posto il dubbio che il rapporto alunna/discepola fra la Sirani e la Cantofoli vada forse rivisto e non considerato a senso unico. Quando Elisabetta la ritraeva, nel 1656, Ginevra doveva avere con Casa Sirani un’amichevole consuetudine e, probabilmente, un ruolo più importante di quanto fino a oggi si sia creduto, per la creazione della pittura “femminile” a Bologna. Fiorella Frisoni GINEVRA CANTOFOLI. UN RISARCIMENTO
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GINEVRA CANTOFOLI
G I N E V R A CA N TO F O L I . U N P U N TO I N T E R R O G AT I VO
La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento
Chi inserisce la ricerca storica nei laboratori del dubbio, non si dovrebbe stupire del punto di domanda messo nel sottotitolo di un libro come questo. Forse si resta increduli, io sono il primo a esserlo, del fatto che nessuno abbia scritto una intera pagina su Ginevra Cantofoli e che di colpo qualcuno ne pubblichi una monografia. Vi sono tanti artisti del Seicento, conosciuti e riconosciuti, che vantano una lunga bibliografia di ricerche, ma ancora non hanno ricevuto il lustro di uno studio complessivo. È come se io avessi iniziato a rovescio, dalle somme per risalire alle singole voci di una addizione, in realtà, come un giocatore che si ritrova servito al primo giro di carte, ho semplicemente chiuso la mano iniziale di una partita che si sta aprendo solo ora e che, sono certo, riserverà prossime sorprese, anche a correzione di questo mio gioco avventato. I decimali che restano delle somme calcolate sulla figura di Ginevra mi indurranno a continuare le indagini, ma avendo sùbito maturato l’impressione che si potesse ricavare una precisa e limpida poetica dalle prime opere, raggruppate nell’evidente sintonia delle forme e della pittura, ho deciso di cimentarmi in un lavoro critico che desse immediato rispetto a chi per troppo tempo è stata ignorata. Cosicché questo testo non è partito dallo spulcio archivistico dei documenti, le giornate di quaresimale studio delle carte notarili sono giunte dopo la stagione di festa, dopo la raccolta dei dipinti. Molti emozionanti riscontri si sono dati appuntamento solo alla fine del lavoro, ma da principio io ho seguito l’intuito, le aperture di pensiero e di sguardo che due quadri affratellati nello stile innescano, dando origine a un racconto destinato ad avere una propria vita.
La nuova nascita di una pittrice nella Bologna del Seicento
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… Cencia è l’ideale dell’anima femminile più dolce, non l’ideale delle forme, non quello dell’elevata espressività. Si potrebbe essere più belli, forse più interessanti, ma non più amabili. F.W. Basilius von Ramdohr, Über Mahlerei … (1787)
Il caso Beatrice Cenci
Il fatto che un’opera di Ginevra Cantofoli, ora conservata a Palazzo Barberini6 (fig. 5), sia stata per secoli ammirata come uno dei massimi esempi di Guido Reni, del suo programma neoraffaellesco (quasi rappresentasse la personale Fornarina del genio bolognese), è il migliore indice delle qualità e del pensiero estetico di questa pittrice resuscitata. Parlo di un’icona che ha saputo suggestionare l’immaginario collettivo. Antichi cultori d’arte e di storia, assieme a grandi letterati e commediografi avevano trovato nel candore morale di quella ragazza vestita e inturbantata di bianco, la perfetta corrispondenza all’idea della moderna martire, emersa dalle drammatiche vicende di Beatrice Cenci7. È straordinario comprendere come quella semplice figura continui a parlare della dignità e della malinconia femminile, anche ora che nessuno la ritiene più il ritratto raccolto da Guido Reni nelle segrete di una prigione romana, prima che la giovane parricida venisse giustiziata.
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Il caso Beatrice Cenci
5. Ginevra Cantofoli, Sibilla (già attribuito a Guido Reni e ritenuto Ritratto di Beatrice Cenci), Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Barberini, inv. 1944. 6. Guido Reni, Sibilla, Londra, collezione Sir Denis Mahon, in deposito presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna.
7. Ginevra Cantofoli, Testa di ragazza (Sibilla) (già attribuito a Guido Reni e a Marcantonio Franceschini), San Pietroburgo, Museo di Stato dell’Ermitage, inv. GE-192.
Al pari di antiche reliquie che hanno smarrito un’origine certa, per le quali non resta che affidarsi a un tramando impastato di culto e di leggenda, alcune opere d’arte divengono idoli che restano collocati sugli altari anche dopo aver subito le confutazioni più lampanti. Appurato che Reni giunse a Roma non prima del 1601, molto tempo dopo quindi l’esecuzione della condanna avvenuta alla vigilia dell’anno giubilare (l’11 settembre 1599), è in ogni caso certo che a quelle date non avrebbe mai potuto dipingere con lo stile espresso nel dipinto in parola, perché questo risulta gravido di un purismo che venne messo a punto, in Italia, solo dopo gli anni Trenta del XVII secolo. Ma ogni personaggio che entra nella suggestione popolare e nelle lacrime della gente deve, prima o poi, fare nido in una immagine e la giovane figlia del perfido Francesco Cenci che, dopo aver liberato se stessa e i suoi con-
8. Niccolò Fontani, Guido Reni esegue il ritratto di Beatrice Cenci in carcere, Firenze, mercato antiquario.
Il caso Beatrice Cenci
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giunti dalle perversioni del padre, affrontò nel modo più fiero la lama del boia, non poteva mancare di una icona venerabile. Cosicché quel quadro, che sicuramente nacque come variante languida di una Sibilla8, venne a un certo punto individuato quale perfetta effigie di Beatrice. Nei secoli successivi, l’agglomerarsi di racconti d’appendice e pure le incursioni di elevata letteratura hanno contribuito a consolidare, attorno alla “shakespeariana” vicenda, il mito e l’equivoco sul fasullo Ritratto di Beatrice Cenci. L’Ottocento bisognoso di oleografie, anche di quelle dedicate alla vita dei geni della pittura, ha persino prodotto quadri in cui si metteva in scena il momento nel quale Reni ritraeva la fanciulla derelitta, costruendo teatrini aneddotici, intrisi di gusto neogotico e melodramma scadente (fig. 8). Ma aldilà di queste immagini da cartolina e di infinite altre copie, anche importanti artisti hanno subito il fascino di quell’effigie romana, dandone una eco gloriosa. Perfino alcuni irraggiungibili ritratti di Vermeer come la Ragazza con velo di Palm Beach o la celeberrima Ragazza con turbante e perla all’orecchio del Mauritshuis all’Aja (fig. 9) si direbbero poggiati, seppur unicamente a livello compositivo, sul modello della “Cenci”, anche se risulta difficile ricostruire un precoce percorso della nostra immagine. Forse poco dopo che Ginevra Cantofoli la dipinse (presumibilmente negli anni Quaranta9), quella tela dovette venir etichettata col nome del celeberrimo Guido per poter essere accolta nell’Olimpo delle più famose pitture della Storia, riprodotta ed esportata in tutta Europa. Impossibile dare computo delle copie e delle interpretazioni studiate su que-
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Il caso Beatrice Cenci
9. Jan Vermeer, Ragazza con l’orecchino di perla, L’Aja, Royal Cabinet of Paintings Mauritshuis, inv. 670. 10. Pelagio Palagi (già attribuito a Domenichino), Sibilla, Londra, Apsley House, su concessione del Duca di Wellington.
11. Julia Margaret Cameron, Ritratto femminile in veste di Beatrice Cenci, 1870. 12. Carlo Cignani, Flora, Modena, Galleria Estense.
sto tema, ma almeno per tutto il XIX secolo scultori e pittori, non solo europei ma di tutto il mondo, si cimentarono su quella semplice figura. A campioni estremi di questa fortuna segnalo un inedito dipinto conservato nella collezione londinese di Apsley House (fig. 10), una bellissima variante della nostra giovane, che ritengo vada riferita al pennello neoclassico del bolognese Pelagio Palagi10, e infine la straordinaria serie di studi fotografici di Julia Margaret Cameron (fig. 11), espressamente dedicata al dipinto romano. Se la tela Barberini resta indubbiamente un esito tardo della lezione di Guido, perché è vero che lo stile di Ginevra muove da quella fonte, le percepibili differenze, in aggiunta e in sottrazione a quella colta matrice, formulano una precisa poetica che solo ora si intuisce quanto abbia saputo anticipare il gusto di generazioni successive. Quello che sarà di Carlo Cignani, di Francesco Mancini, di Marcantonio Franceschini o di Girolamo Donnini. La grazia discreta, asciugata dall’aulica ostentazione dei modelli reniani, è infatti la stessa della Flora (Modena, Galleria Estense)11 (fig. 12), capolavoro maturo eseguito dal Cignani intorno al 1681. Dunque le più divulgate forme di un certo “Barocchetto bolognese” si spiegano meglio grazie al riemergere delle sensibili opere di Ginevra.
Il caso Beatrice Cenci
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San Tommaso da Villanova Olio su tela, cm 250 x 200 Bologna, monastero di San Giacomo Maggiore Rocambolesco, quasi romanzabile è stato il percorso che ha portato al ritrovamento di questo dipinto che risultava disperso da vari decenni. Tutte le guide della città, a partire dalle Pitture di Bologna del Malvasia, ricordano, nella chiesa di San Giacomo Maggiore, l’opera col San Tommaso da Villanova eseguita da Ginevra Cantofoli che lasciò il posto, verso la metà dell’Ottocento, a un altro dipinto di Pietro Fancelli, raffigurante il medesimo santo in atto di fare l’elemosina ai poveri. Già Marcello Oretti (Delle pitture che esistevano nelle Chiese della Città di Bologna che comprova gli abusi nati per tale mancanza, Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B 30, f. 10), verso la fine del Settecento, afferma che l’opera si presentava tutta ridipinta, lasciandoci intuire che la successiva sostituzione fosse avvenuta a causa dello stato conservativo della pittura. Nonostante questo, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, il quadro di Ginevra figurava appeso in chiesa, anche se nella parete laterale di un altro altare, a fianco della pala di Lavinia Fontana. Nel 1923 Stefano Luigi Astengo nel suo testo su Gli Agostiniani a Bologna e il tempio di San Giacomo, riporta le seguenti memorie: «Nel 1658 i Padri di San Giacomo incaricarono il P. Sacrista di trovare un pittore per un quadro di San Tomaso da Villanova, vescovo agostiniano, per le feste della canonizzazione imminente. Il lavoro fu affidato a Ginevra Cantofoli (Innocenzo Cantofoli era frate di San Giacomo nel 1625), scolara di Elisabetta Sirani, che ne diè il 90
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disegno e lo ritoccò, e collocato in questa cappella. La quale – già dei Vitali, e dedicata prima del 1658 a San Sebastiano – ridotta a mal partito per la trascuranza dei patroni, fu riscattata dal convento e nel 1672 ceduta ai Belluzzi che vi fecero la ferriata…». Mi piace a proposito del quadro della Cantofoli rievocare una notizia del convento (Lib. III f. 106) conservataci dall’Oretti: «1659 adì 5 genaro– Il sabato dopo nel pomeriggio si chiusero tutte le botteghe della città. Mons. Ill.mo Arcivescovo Boncompagni benedì l’imagine di S. Tomaso di Villanuova dipinta dalla sig.ra Ginevra Cantofoli, posta alla destra dell’altar maggiore della metropolitana di San Pietro con musiche, e dapoi processionalmente fu portato alla nostra chiesa». Dopo aver riportato questa nota l’Astengo prosegue: «Veramente a vederlo ora, come si trova (nella cappella dei SS. Cosma e Damiano, num. 14) non si direbbe meritasse tanto entusiasmo. Ma o forse il tempo lo deteriorò così che noi non possiamo più apprezzarlo; o a quei tempi la Cantofoli – sia pure per riflesso della maestra Sirani – era pittrice di grido» (Astengo, Gli Agostiniani a Bologna… cit., pp. 58-59). Ho ritenuto opportuno riportare questa lunga citazione perché, a parte il protrarsi delle inesattezze sull’alunnato di Ginevra presso la Sirani, che al tempo aveva solo vent’anni, raccoglie molte notizie utili alla storia dell’opera. Dopo l’Astengo solo la guida Ricci-Zucchini (1930-1950) menziona il quadro come ancora conservato entro l’edificio religioso. Sapere che almeno uno dei sei dipinti pubblici che le fonti antiche assegnavano a Ginevra Cantofoli era sopravvissuto fino a una data così prossima a noi, incitava a un ulteriore impegno nella ricerca. Inoltre Gian Piero Cammarota, che qui ringrazio,
mi ha portato a conoscenza che nel 1971 la chiesa aveva subito un limitato incendio. Quello poteva essere stato un evento foriero di confusione e di spostamenti per alcune delle tele esposte, ma nelle schede sul patrimonio artistico conservato in San Giacomo, ordinate dopo quella data dalla Soprintendenza, non figurava più il dipinto in questione. Per scrupolo d’indagine mancava la verifica della prima schedatura condotta nel 1932. Le polverose cartelle burocratiche redatte da Adriana Arfelli, che purtroppo
non contenevano nessuna fotografia, offrivano però un preciso resoconto sulla composizione della pala. Il santo vi figurava «… inginocchiato, con le braccia aperte in adorazione. Indossa un piviale dorato, ha in capo la mitra bianca. Un angioletto a destra tiene una croce astile; altri tre giocano a sinistra, in basso». Fino a quel momento andavo cercando un’Elemosina di San Tommaso, traendo esperienza da tutte le iconografie che raffigurano, unicamente, il santo intento a svolgere questo atto munifico verso i poCatalogo delle opere
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vicinano questo dipinto allo stile contornato e asciutto di Giambattista Salvi detto il Sassoferrato. Curiosamente coesistono fattori moderni, come la dimensione feriale da ritratto, elementi antichi e idealizzati che sembrano rivolgersi se non al Sassoferrato, direttamente a Raffaello e a Leonardo. L’opera, nella collezione Exeter, è riferita ad artista di Scuola romana e qui si riconduce a Ginevra Cantofoli per la prima volta. Si conoscono tuttavia altre due varianti autografe che sono transitate nel mercato antiquario con la giusta attribuzione. 114
Catalogo delle opere
Nei cataloghi di vendita non risultano tuttavia espliciti i motivi, i documenti o i pareri che hanno fatto emergere il nome della pittrice bolognese. Appare solo un riferimento al quadro della Bob Jones University di Greenville che Stephen Pepper attribuì (a mio avviso impropriamente) a Ginevra. Mentre una versione è pressoché identica, l’altra differisce più nelle espressioni del volto che in altri particolari compositivi. Più prossimo a una fisionomia da “bambola” l’esemplare di Burghley House, mentre un pizzico di verità in più traspare dal quadro passato da Christie’s
a South Kensington (15 dicembre 2000). Anche un più profondo scandaglio sentimentale si coglie in quest’ultimo quadro, che risulta rifinito da una cornice dipinta che va a circoscrivere in un ovale il busto della ragazza. È inportante rilevare che in un più remoto passaggio in asta (Christie’s, 29 giugno 1951, n. 135) l’opera era considerata un Ritratto di Beatrice Cenci e assegnata a Guercino. Bibliografia Christie’s, 11 dicembre 1987, n. 115; Christie’s, 29 giugno 1951, n. 135. Catalogo delle opere
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In realtà i caratteri somatici affusolati sono molto distanti dalle figure di Elisabetta e le epidermidi tornite e seriche sono più prossime a quelle espresse da Ginevra nella Ninfa Koelliker o nelle opere Pallavicini-Rospigliosi. Ma in attesa di ulteriori confronti che possano sciogliere ogni dubbio, ho deciso di segnalare quest’opera anche se accompagnata da una ragionevole riserva. Prima di entrare nella collezione Rau il dipinto è transitato nella raccolta Earl of Lonsdale di Lowther Castle ed esposto nel 1963 in una mostra organizzata dalla Appleby Brothers Limited. Bibliografia: Summer Exhibition 1963, Appleby Brothers Limited, 1963 (come E. Sirani); La collezione Rau, 2002 (come E. Sirani).
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Catalogo delle opere
35. Ginevra Cantofoli (attr.)
Salvator Mundi Olio su tela, cm 50,8 x 48,6 (ovale) Londra, Dulwich Picture Gallery, cat. 280 Anche questo raffinato e giovane Salvator Mundi dimostra caratteri prossimi allo stile di Ginevra, è comprensibilmente catalogato come opera di Anonimo artista bolognese, mentre la cornice riporta un’iscrizione ottocentesca che riferisce il dipinto a Elisabetta Sirani. Oltre a queste indicazioni che, seppur imprecise, tornano utili ad accompagnare l’opera verso il luogo e il tempo nei quali dovette aver origine, va rilevato anche un dialogo instaurato con le forme idealizzate del classicismo proprie di Francesco Albani. Ma la ieraticità pensierosa e l’impe-
netrabile sguardo del giovane Cristo sono prossimi alla sequenza di opere commentate alle schede 17, 18 e 19. La Berenice, la Ninfa marina e il San Giovanni Evangelista sono disposti in una analoga posa e vivono uno stesso sottile confronto con l’osservatore. Forse è solo il riemergere del bolo rosso, dell’imprimitura mordente, più vicina a quelle usate da Elisabetta, che discostano questa tela dal gruppo, quel tanto che impedisce una serena attribuzione e obbliga a segnalarla con cautela. Vanno riferite anche le forti affinità della tela londinese con un altro Salvator Mundi, attribuito alla Sirani e passato a Roma presso le aste di Finarte (20 maggio 1982, lotto n. 58) e un bellissimo disegno policromo degli Uffizi (Gabinetto Disegni e Stampe, inv. 6299 F), anch’esso riferito alla Sirani,
ma che mi ha sempre fatto pensare a una prova affine allo spirito di Ginevra. Infine devo ricordare che nell’inventario tutelare stilato nel 1668 dalla Cantofoli vengono elencati un Salvatore e un «Salvatorino non finito». Bibliografia R. Beresford, 1998, p. 301, n. 280 (come Italian school, bolognese).
36.
Circe Olio su tela, cm 101 x 78 Bologna, collezione privata Per ironia della sorte, anche questa figura è stata identificata come una Sibilla, sotto tale impropria dicitura infatti è apparsa,
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REGESTO
1618. Nasce, presumibilmente a Bologna, Ginevra Cantofoli da Francesco Cantofoli e Ottavia Buldrini (i due genitori si erano coniugati nel 1616. Un altro Francesco Cantofoli, o forse lo stesso in prime nozze, nel 1597 si era sposato con Cecilia Scarfaglia, omonima di Lucrezia Scarfaglia che diverrà pittrice intorno alla metà del Seicento). La data di nascita di Ginevra si deduce dal suo atto di morte (1672), nel quale viene fatta menzione dei cinquantaquattro anni di età della defunta. Thieme e Becker nel loro Allgermeines Lexicon der Bildenden Künstler (1915) riportano la data del 1608, forse a causa di un refuso che ha poi generato qualche equivoco. Ulteriori confusioni documentarie sono derivate dalla presenza di una quasi omonima vissuta nella Bologna di primo Seicento, una certa Ginevra Cantoffi (altre volte ricordata come Cantofoli) che il 31 ottobre 1627 contrasse matrimonio con Baldassarre Maltachesi o Maltachetti (il 21 settembre del 1628 i due battezzano il figlio Vincenzo e il 20 agosto del 1629 un altro figlio di nome Sebastiano. Che questa Ginevra sia un’altra persona rispetto alla nostra lo dimostra il fatto che tra il 1646 e il 1660, in vari atti notarili viene indicata come sposata col Maltachetti, mentre negli stessi anni la pittrice viene ricordata come coniugata con Francesco Facchini). 1653. L’11 maggio Ginevra Cantofoli si sposa con Francesco di Michele Facchini originario di Mantova, presso la chiesa bolognese di San Tommaso in Strada Mag138
Regesto
giore (Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Manoscritti B, Carrati ms. B 901, t. II). Il 27 agosto le suore dei SS. Vitale e Agricola cedono una proprietà a Ginevra Cantofoli e Angelo Maria Donati (Archivio di Stato di Bologna – d’ora in poi ASB – Notarile, Mario Dalla Noce, 27 agosto 1653, prot. 6D, f. 52). 1656. Nasce la figlia Orsola Catterina Facchini. Nello stesso anno Elisabetta Sirani esegue un «ritratto della signora Ginevra Cantofoli pittrice». 1658. Tra l’11 e il 17 febbraio nasce il figlio Michelangelo che dovette però morire in tenera età in quanto non viene citato nel documento di tutela del 1668. Verso la fine dell’anno Ginevra realizza il San Tommaso da Villanova in occasione della canonizzazione del monaco agostiniano, per un altare della chiesa di San Giacomo Maggiore. L’opera verrà consacrata pubblicamente, con grande concorso di folla, nei primi giorni del 1659. 1659. Il 18 aprile Ginevra Cantofoli Facchini riceve un incarico da Nicolò Girolamo Fracassati di realizzare «tre quadri di pittura, rispetto ad uno con una mezza figura del Re Davide rispetto all’altro con una mezza figura della Juditta et rispetto all’altro un’… [ovalo?] con le figure della Regina Ester et Re Assuero et altre figure dentro», nell’atto di “assegnazione” ven-
gono ricordati altri pagamenti che il Fracassati doveva a Marco Antonio Cantofoli, fratello defunto del quale Ginevra viene detta erede (ASB Notarile, Carlo Antonio Mandini, 18 aprile 1659, prot. H, f. 6). 1668. Il 26 gennaio Ginevra stila una procura (ASB Notarile, Lorenzo Pellegrini, 26 gennaio, prot. 8, f. 99). Il 4 ottobre muore il marito Francesco. Il 10 ottobre Ginevra redige un Inventario tutelare a favore della figlia Orsola Catterina (reso noto da Stefania Sabbatini nel 1995). È il documento più ricco di informazioni che è giunto a noi sulla vita privata e sull’attività artistica di Ginevra. Delle cinquantuno pitture citate nell’elenco, diverse vengono esplicitamente riferite alla mano della pittrice. Una serie di opere eseguite su cristallo ci lasciano intendere una particolare e inedita applicazione dell’artista e una predilezione per tecniche inconsuete e sicuramente minuziose, forse prossime alla miniatura. Dovettero essere questi i «piccioli quadretti» di cui parlava Malvasia, ai quali Ginevra si adoperava prima che venisse incitata da Elisabetta a pensieri «più grandi». Viene anche ricordato un «ramo in acqua forte con l’immagine di San Tommaso da Villanova intagliato dalla suddetta signora» cioè la matrice che presumibilmente riproduceva l’effige della pala realizzata dalla pittrice nel 1658. L’elenco dei beni prosegue con una succinta teoria di indumenti, lenzuoli, oggetti di casa e qualche modesto gioiello. I fogli notarili terminano col riferimento a una lite giudiziaria intercorsa tra Ginevra e Giuseppe Maria Poeti e alle spese relative, sostenute coi guadagni «del suo essercizio di pittura», lasciandoci intendere una certa autonomia sociale raggiunta dalla pittrice.
L’elenco con i soggetti dei dipinti citati nell’Inventario tutelare è il seguente: Un Ritratto di Carlo Secondo Duca di Mantova; una Cleopatra; due Vasi di fiori; una Maddalena nel deserto; una Madonna in Egitto; un Ritratto di Francesco Cantofoli; un Vaso di fiori; un Mosè; un dipinto con le Grazie di Venere; un San Giuseppe (del Castiglioni); una Madonna della Rosa (della sig.ra Ginevra); sette Testine sul cristallo (della sig.ra Ginevra); tre più grandi sul cristallo (della sig.ra Ginevra); due Paesini ricamati; una Favola di Calipso su cristallo; un Ritratto della Filosofia (della sig.ra Ginevra); un Salvatore; una Madonna allattante il puttino; un Ecce Homo; una Annunziata; una Beata Vergine Addolorata; una Immacolata Concezione; un Sant’Antonio da Padova; un Ritratto di Suor Prudentiana; una Maddalena; un Rame intagliato con San Tommaso da Villanova (della sig.ra Ginevra); una Madonna col figlio che dorme; un Cristo coronato di spine; una Virtù coronata di Lauro; un quadro grande con la Carità con tre puttini; un Crocifisso con Madonna e San Giovanni; una Sacra Famiglia; due Madonne col Bambino (della sig.ra Ginevra); Regesto
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un Salvatorino non finito; un Ritratto di Donna; sei cristalli con Testine disegnate dalla sig.ra Ginevra e non finiti. (ASB Notarile, Lorenzo Pellegrini, 10 ottobre 1668, prot. 8, f. 75 ss.). 1669. Il 16 agosto Ginevra Cantofoli vende una proprietà a Clementia Ercolani (ASB Notarile, Camillo Felini, 16 agosto 1669, prot. 3, f. 54). 1671. Il 14 settembre vende una proprietà a Casta Bardini (?) (ASB Notarile, Bartolomeo Guglielmini, 14 settembre 1671, prot. 20, n. 61).
to dispone che in prossimità del suo sepolcro (nella chiesa di San Giacomo Maggiore) «sia fatta una memoria di lapide di macigno da porsi in luogo comodo a ciò che sia veduto da tutti…» (ASB Notarile, Camillo Felini, filza 4, n. 22). Il 10 o l’11 maggio muore la pittrice, «Ginevra Cantofoli Facchini in casa de’ sig.ri Rossi in Strada Santo Stefano, d’età d’anni 54. Confessata, comunicata ad oglio santo fu portata alla chiesa delli RR. PP. di San Giacomo ed in conseguentemente fu seppellita» (Libro dei morti della parrocchia di Santa Maria della Ceriola). Ginevra venne seppellita nell’altare di San Tommaso, che conteneva il suo dipinto. Nella stessa chiesa era stato seppellito Ippolito Cantofoli agostiniano, zio paterno di Ginevra.
1672. Il 29 marzo fa testamento attraverso il quale lascia un suo quadro alla signora Giovanna Zanetti, sua serva, una SS. Annunziata dipinta da lei alla sorella Caterina Zambonini (già moglie di Orlando Bonini) A parte l’Inventario tutelare, pubblicato da Stefae tutti i suoi beni alla figlia che affida alla nia Sabbatini nel 1995, tutti gli altri documenti cisignora Clementia Ercolani Leoni. Nell’at- tati nel regesto sono inediti.
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