"Non dirlo a nessuno" la nuova raccolta di poesie di Cesare Rusconi

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Cesare Rusconi il «canzoniere» di un nuovo poeta Oggi alle ore 17:30 presso la sala Colli del vescovado la presentazione del libro W. H. Auden intitolò «L'età dell'ansia» il suo poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote come se venissero da un'altra valle, e l'ansia ancora ci assedia e prevale con la sua confusione di appelli, messaggi, ricatti, agitazioni, mentre noi leggiamo le pagine di poesia che Cesare Rusconi ha raccolto in «Non dirlo a nessuno. Poesie 1958-2004» con prefazione di Elvio Guagnini. Il libro sarà presentato alle 17,30 di giovedì 16 nella sala Colli del vescovado da Isa Guastalla, Elvio Guagnini e da chi stende queste note. Dalle pagine di Rusconi filtrano voci lontane, un fiume di parole che nonostante il titolo malizioso ci raggiungono con accorta persuasione, in un incanto che via via diventa più preciso, avvolgente, inquieto, certo non più bisbigliato, ma denso di immagini, parole e date che formano il rumore del Tempo e dei tempi. Questa sinfonia s'intesta ad una «scelta di poesie ordinate per sezioni cronologicamente in successione: 1958-2004. Una scelta effettuata con la collaborazione dell'amico Mario Lavagetto, che rende la struttura di questo libro una sorta di «Canzoniere»: parlo qui proprio del particolare tipo struttura, quella stessa per cui Saba aveva guardato al «Buch der Lieder», al Libro dei Canti di Heinrich Heine». - scrive Guagnini, dando subito un orientamento prezioso di lettura e di percezione stilistica. Lettura e percezione che, se da un lato rivela «dopo anni» la presenza di un poeta che non conoscevamo, dall'altro ce l'impone quasi coll'indice tra naso e bocca perché i «vecchi testi» resuscitino dall'ombra degli anni a nuova vita con il «domestico lume» di una vita rinnovata che ci stupisce, ci incanta e ci fa pensare. Rusconi, infatti, pare un poeta timido. Guagnini scrive che questo è «un testo di singolare autobiografia in versi, realizzata attraverso tessere singole diverse per metro e genere». Un crescendo di vita, verrebbe da dire come una pacifica ma mai rassegnata intonazione di malinconia. E così dal '58 al 2004 cinquant'anni quasi di una liricità affettuosa, incline alla saggezza e alla natura, all'anima come al paesaggio, all'esperienza come agli affetti, al «servizio militare» come agli infiniti ritorni de «Il colore degli intonaci» fissa una volta per tutte in un affascinante poemetto (o poema, forse, o canto «dagli orizzonti aperti»), Cesare Rusconi torna e ritorna sulla riservatezza del proprio messaggio nel senso del canzoniere attraverso «L'oscura carezza '63-'66) e «In famiglia»: tutte tracce di quel lungo discorso che soltanto la poesia concepisce come vera realtà ed esalta. Parrà forse fuori luogo, in questo momento il verbo esaltare, ma non è così: c'è in Rusconi la coscienza di poeta orgogliosa di porsi a raccontare in un raffronto tenace di situazioni e di presenze («Per il centenario di Umberto Saba, ad esempio) che lentamente dispone prima gli «Accordi» e in seguito le «Altre occorrenze» che si pongono lungo l'arco degli anni: occorrenze che sembravano taciute, ma di certo mai sprofondate nel silenzio o nella complicità dell'incontro che chiude la raccolta «Liceo Romagnosi anni cinquanta» all'insegna della sorpresa «Che sorpresa incontrarti, dopo tanto.../ dimenticato il nome, tutto;/ non il viso, ricordo inconfondibile/ del risibile lontano schianto». Ecco l'autobiografia cui accennava Guagnini; autobiografia degli inganni talvolta, ma talaltra, invece, pressante come un evento di ieri e di oggi, un solco che non si chiude tanto ricco di dediche (la necessità dell'appello, di fare l'appello) diceva Bertolucci, e tanto timoroso d'evocare fantasmi in un silenzio di cose, ombre, volti, atmosfere e luoghi che riaffiorano nella lirica «Dopo anni» con la sua dolce e serena meditazione: «Nella sera d'inverno lenta, quando/ Fuori i lampioni offuscati tremano/Su un tramestio incerto di ruote sorprese/Dalla prima precoce nevicata improvvisa/Piombi, dopo anni, nel segreto impero/Di una pensosa magia d'ombre?/ Quando il buio si dilata immenso/Quasi universo colmo e silenzioso/Attorno allo scrittoio ai fogli folgorati, nitidi,/ Dal lume domestico acceso/ - Un faro penetrante inesauribile... -/Finché poi suoni e figure si approssimano,/Più opachi, e giunge,/ Querula e dissipata, l'ora della cena». Un interno bellissimo e trepido di sfumature che racchiude in un sé pieno di emozioni il restare e il partire, l'infinita capacità di contemplare che Rusconi accarezza e dispensa in un ordito sotterraneo ancora disperatamente radicato alla vita, cioè all'ansia mai placata di Auden. Giuseppe Marchetti Gazzetta di Parma 14/11/2017 pag. 35


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