-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------38
SABATO 28 SETTEMBRE 2019
LA VITA DEL TENORISSIMO | 12
CULTURA cultura@gazzettadiparma.it
di VITTORIO
CARLO BERGONZI LA VOCE DI VERDI
DAGLI ARGINI DELLA BASSA AL SUCCESSO MONDIALE
TESTA
Il lungo addio del Tenorissimo l’ultimo grande dell’epoca d’oro Bergonzi vede nero nel futuro dell’Opera: «Troppo potere ai registi, mal gestiti i cantanti» Una vita intensa, la fama e i successi La malattia e la fine. Le ultime parole per la moglie: «Ti ho amata tutta la vita»
È
tempo di ritornare da dove eravamo partiti. Dove è cominciata l’avventura di Carlo Bergonzi nato nella cascina sotto l’argine e novant’anni dopo tornato all’amata terra generatrice, ora custode materna della pace eterna di questo figlio diventato il più grande tenore verdiano del Novecento. L’ultima dimora del garzone canterino che con la voce ha conquistato fama e gloria è qui a Vidalenzo, in un camposanto che partecipa alla vita. E’ all’ingresso del paese, a due passi ci sono la chiesa del matrimonio, le scuole elementari di Carlo, il caseificio teatro della rivolta in nome della libertà canora; il negozio e magazzino degli Aimi, la famiglia di Adele, la bella ragazza diventata sua moglie. Impossibile a Vidalenzo non passare davanti a quello che i portoghesi chiamano, con amarognola rassegnazione e intento consolatorio, il «Repouso da vida» e non salutare i compaesani traslocati nel quartiere dei singoli ipogei coperti da lapidi e fiori, contornato dalle ornate cappellette di famiglia segno di distinzione per gli inquilini dell’Aldilà. Il nostro adesso è qui, tra i marmi bianchi e neri, accanto ai suoi cari, poco distante dal piccolo oratorio funebre nel quale due iscrizioni ricordano che quel luogo erano stati sepolti i genitori di Verdi, Carlo e Luigia Uttini, sfrattati da Sant’Agata dal compositore in dissidio con il padre e collocati a Vidalenzo. Una visita a questo piccolo mondo dagli orizzonti sconfinati e i silenzi sonori di cinguettii chicchirichì e muggiti aiuta a capire la stupefacente impresa compiuta da Bergonzi, munito soltanto della forza e della determinazione di sé stesso, di un carattere nel quale stava scritto il suo destino di uomo coraggioso e artista nato.
UN'EPOPEA DURATA 90 ANNI
Novant’anni, dal 13 luglio del 1924 al 26 luglio del 2014, in pratica quasi un secolo è durata l’epopea di Carlo, un’epica Bergonzeide dai continui colpi di scena. Dagli argini della Bassa
alla Scala al Metropolitan di New York, dalla carretta colma di carbone alle serate di Gala in suo onore nel lusso del Waldorf Astoria, brindisi e cene a champagne millesimato e caviale ma con il cuore alla terra natale, la nostalgia per le merende a pane e salame, il lambrusco allungato con l’acqua («Mez e mez»), l’orgoglio delle proprie radici, il piacere della semno delle partiture. Cura assoluta della voce: in silenzio tutta la vigilia e il giorno della recita. Aereo, albergo, prove per un mese, poi la prima, le repliche. Poi di nuovo si ricominciava. Questa è la vita da asceta che abbiamo fatto io, Del Monaco, Corelli, così come la facevano i grandissimi prima di noi, Gigli, Pertile, Schipa». Sì, ci vuole carattere e volontà ferrea, un fisico… «bestiale», una capacità di sopportazione infinita. Merce rara di questi tempi. «Sento spesso dire che non ci sono più le belle voci di allora. Non è vero» diceva il Tenorissimo, «le voci ci sono, è la gestione dei teatri che CARLO BERGONZI In alto, con gli abiti di scena di Andrea Chénier insieme alla moglie Adele dietro le quinte; in famiglia con la moglie e i due figli.
plicità e la complice soddisfazione dei coniugi Bergonzi di parlarsi nella protettiva lingua madre bassaiola, arabo indecifrabile per l’elite newyorkese in estatica ammirazione del nuovo idolo del Metropolitan. Il successo e l’agiatezza, la fama e i trionfi, vissuti senza caderne schiavo, senza alterare la scala dei valori e dei doveri, imperturbabile saggezza di uno stoico: «Sono e sempre sarò Carlo figlio del casaro Antonio – Tugnèn – e di Amalia».
FAMIGLIA E CANTO
Un gentiluomo di stampo ottocentesco, tutto famiglia e canto, capace di reggere una vita piena di soddisfazioni ma a prezzo di rinunce e sacrifici. Prototipo di una generazione che ha attraversato i drammi della guerra e l’entusiasmo della ricostruzione, la miseria e la conquista del benessere. Una razza in via di estinzione, anzi forse già estinta. Una domenica pomeriggio del 2008, ospite
della Casa della Musica e del professore Marco Capra, Bergonzi racconta sè stesso e il suo tempo. Una lunga stagione d’oro per l’Opera, mettiamo in fila a caso un po’ di tenori protagonisti di quel tempo felice: Tagliavini, Di Stefano, Del Monaco, Carreras, Domingo, Bergonzi, Kraus, Pavarotti, Poggi, Prandelli, Cecchele, Labò, Martinucci, Giacomini… Era l’epoca in cui si andava all’opera «per sentire» il tal tenore (o baritono o basso) e il tal soprano magari diretto da «quel» maestro. Scenografia, regia e costumi tanto meglio se belli ma la cosa più importante era il canto, era la musica. L’opera se eseguita bene potevi bearti sentendola ad occhi chiusi. Bergonzi non ha dubbi: «La vedo molto difficile. Dov’è un giovane che sia disposto a fare la vita che ho fatto io e hanno fatto altri colleghi…A letto alle otto e mezza di sera. Vocalizzi e esercizi di respirazione ogni mattina. Studio quotidia-
nano i registi che sempre più spesso alterano o ignorano le indicazioni del compositore. Un disastro». Chi scrive ricorda una Lucia di Lammermoor al Teatro Regio di Parma, nel 2008. Regia di Krief. Dal palco Bergonzi segue lo spettacolo scuotendo ogni tanto il capo. Al posto della sinistra e mortifera fontana della sirena, in scena il regista ha piazzato una panchina. E sir Edgardo canta «chi mi frena il mio furore e la man che al brando corse?» agitando una rivoltella: «Perché» dice Bergonzi, «questo cambiamento? Mette il pubblico nella condizione di chiedersi il significato invece di fruire semplicemente canto e musica». Nel 2010 «Loggione» manda in onda una Butterfly al Teatro Regio di Torino, regia di Michieletto. E’ ambientata in una specie di postribolo a disposizione del turismo sessuale praticato da Pinkerton che abbandonata la quindicenne mogliettina dagli States promette a Cio Cio-san di tornare da lei e dal figlio «della colpa». Il soprano immagina il suo arrrivo cantando la celere aria «Un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo» fumo prodotto dai comignoli della nave della Marina americana di cui il mascalzone è capitano. Che invece irrompe sulla collina di Nagasaki alla guida di una fuoriserie strombettante. La mattina dopo Bergonzi al telefono: «Era un fil di fumo del tubo di scappamento! Ma perché? Che significa? Svilisce la bellezza e l’intensità della cronaca immaginaria di Butterfly che ''vede'' l’ingresso nel porto della nave bianca, e poi ''uscito dalla folla cittadina un uomo, un picciol punto s’avvia per la collina''. Il finale poi, con lei suicida con la rivoltella…Mah!. E il duetto d’amore? Lui sotto e lei sul tetto. Ma forse sono io a non essere all’altezza di queste pensate troppo intelligenti…». Mestiere difficile e duro quello del cantante d’opera. E’ anche per questo che Bergonzi non ha mai minimamente spinto i due figli, dotati di bella voce, a intraprendere la carriera di cantante. Maurizio, il maggiore, sposo di Erminia e padre di
PRESENTAZIONI Il 2 ottobre alla Corale Verdi Il 2 ottobre, alle 17, il libro di Vittorio Testa sarà presentato alla Corale Verdi con ospiti d’onore il soprano Lucetta Bizzi e il tenore Fabio Armiliato. Interverranno: il professor Marco Capra, il direttore della Gazzetta di Parma Claudio Rinaldi, il vicepresidente di Diabasis Giuseppe Massari, il caporedattore di Diabasis Leandro Del Giudice, lettura di brani da parte di Giustina Testa.
è sbagliata. Oggi un giovane canta bene nei panni di Nemorino? Ecco che domani gli verranno proposti contratti per interpretare ruoli non adatti alla sua voce, Aida, Ballo in maschera, addirittura l’Otello o l’Andrea Chénier. Pur di incassare in fretta – ecco un’autentica disgrazia: l’epidemia di fretta- il ragazzo firma, canta, troppo e in opere per lui troppo impervie. In poco tempo la voce è rovinata. Nella mia Accademia a volte sento voci stupende: ecco, mi dico, questa farà carriera, quest’altra ancora di più. Finito il corso, invece, accettano tutto e in due mesi si giocano il futuro». Morale: «Oggi tutti cantano tutto. Si fanno poche prove. Domi-
Martina e Carlo; odontoiatra con studio a Parma e Busseto. E’ il celebre primogenito nato mentre Bergonzi latitante da tre mesi esordiva clandestinamente da tenore a Bari, il 12 gennaio del 1951. «Ricordo la sofferenza nostra e sua ad ogni partenza, vedevo la sua vita certo bellissima dal punto di vista artistico ma piena di sacrifici, di ansie, di fatiche enormi. Soltanto un uomo della bontà e della generosità di mio padre poteva riuscire a non farci pesare la sua spesso lunga assenza». Marco, che dirige l’albergo di famiglia «I due Foscari», fu protagonista di una scena da antologia del buonumore. «Mi piaceva cantare le arie,