mercoledì 27 aprile 2011 Friedrich D. E. Schleiermacher, Monologhi, a cura di Ferruccio Andolfi, Reggio Emila, Diabasis, 2011, pp. 126, € 12,00, ISBN 978-88-8103-751-3. Recensione di Giuseppe Pulina - 27 aprile 2011 Etica, libertà, felicità, individualismo Forse non rappresenteranno la summa ufficiale del pensiero etico del Romanticismo, ma i Monologhi di Schleiermacher, dati alle stampe dalla casa editrice Diabasis, possono essere considerati a buon titolo una delle opere più significative della riflessione che molti filosofi postkantiani tedeschi, spronati in ciò anche dagli scritti fichtiani, dedicarono ai temi della morale. In effetti, i Monologhi di Schleiermacher presentano uno spaccato più che attendibile degli interessi dei romantici per la riflessione morale, buono per scandagliare il mondo dei valori dei contemporanei di Goethe e Schiller, ma anche per penetrare nella vicenda biografica e intellettuale dello stesso autore che, da raffinato scrittore, fa un uso intrigante del registro diaristico e degli strumenti dell’analisi introspettiva, proponendo se stesso come cavia delle proprie osservazioni. L’inserimento del testo schleiermacheriano, dato originariamente alle stampe nel 1800, in una collana (“La ginestra”) che si propone di diffondere la conoscenza di un individualismo di stampo solidaristico è scelta quanto mai opportuna. Schleiermacher affronta nei suoi Monologhi i classici temi della riflessione etica (libertà, felicità, amore, amicizia, le relazioni interpersonali, la prospettiva della senilità, la morte, il matrimonio e altri ancora), ma, come avverte Andolfi nel suo saggio introduttivo: «Il carattere di novità del punto di vista etico ma anche ontologico introdotto da Schleiermacher può essere apprezzato a pieno solo se lo si inserisce nella storia dell’individualismo moderno» (p. 27). Di un individualismo, verrebbe da dire, che va oltre la rivendicazione romantica e fichtiana di un primato assoluto dell’Io e che tiene ben presente, a suo modo superandola o correggendola, la dura lezione morale di Kant. La lettura dei Monologhi dà anzi l’idea che la distanza di Schleiermacher da Fichte sia quasi direttamente proporzionale alle affinità che legano il secondo all’autore della Critica della ragion pratica. E in un certo senso, adottando una ben precisa chiave di lettura, si può affermare che una delle costanti dei Monologhi sia proprio il confronto con Kant, teorico dell’universalità della legge morale e di un modello di perfezione umana che a Schleiermacher sembrava non rendere conto della complessità del soggetto, fatto di corpo, ma anche di spirito, e portato a cercare il giusto equilibrio tra l’uno e l’altro. Da un rapporto equivoco di queste due componenti possono derivare concezioni errate e nocive della giovinezza e della vecchiaia (tema dell’ultimo dei cinque monologhi), ingenuamente considerate alla stregua di due incompatibili età della vita, che vede il corpo in primo piano negli anni della giovinezza e lo spirito in pieno risalto quando il vigore del corpo inizia a venire gradualmente meno. Suona così come un monito estremamente efficace la nota di Schleiermacher sulla vecchiaia, concepita come «un vuoto pregiudizio, il misero frutto della sciocca illusione che lo spirito dipenda dal corpo» (p. 99). La prestanza del fisico non è sempre indice fedele di un’accettabile condizione morale: «Per contemplare l’umanità – si chiede, infatti, Schleiermacher – ho forse bisogno degli occhi, i cui nervi si deteriorano già a metà della vita?» Domanda che, sulla falsariga di quanto si può leggere nelle pagine precedenti dei Monologhi, ne può suggerire un’altra di questo tipo e che noi così formuliamo: “quanto può dirsi ben fondata la relazione etica di un Io che crede di poter prosperare in un mondo dove all’umanità si attribuisce solo una funzione gregaria e ornamentale?” Ovviamente, questa non è la posizione di Schleiermacher, che crede in un progressivo, seppur sofferto, affinamento morale dell’uomo (p. 76). C’è, tuttavia, un passaggio dei Monologhi che, meglio di quelli già citati, sembra riuscire a condensare con più forza concettuale e chiarezza il credo morale del nostro filosofo. Lo si trova in quelle pagine del secondo dei cinque monologhi (“Sondaggi”) in cui l’autore giunge ad esaminare il rapporto tra azione e contemplazione, strettoia impervia per la filosofia morale di tutti i tempi. «Solo se nell’atto presente l’uomo è cosciente della propria individualità, può esser sicuro di non