Intellettuali e politica nel libro di Giuseppe Massari
È un libro apparentemente controcorrente (Un dì quando le veneri, di Giuseppe Massari, Editore Diabasis, 2018) o come diremmo oggi politicamente non corretto. La copertina con la foto del balilla (da una bellissima copertina de La Fiamma del luglio 1941 di Carlo Mattioli) e la seconda e terza pagina di copertina con gli scritti di Giuseppe Bottai del 1940 e di Vittorino Ortalli del 1942 sembrerebbero addirittura apologetiche. Il nome dell’autore e la sua storia fanno subito chiarezza che si tratta di ben altro. Giuseppe Massari, nome di battaglia “Balilla”, era andato partigiano sui monti della Val Parma appena sedicenne, ha preso parte attiva alla Resistenza, e dopo la Liberazione alla vita politica dei partiti della sinistra costituzionale. È stato Vice Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Parma e autore tra le altre opere con Mario Rinaldi di un’antologia critica del periodo partigiano, Vento del Nord, rivista nata nel maggio 1945 e vissuta fino al dicembre 46 con il fine di formare nuove e impegnate coscienze civili. Il frutto della nuova opera di impegno civile di Massari prende il titolo dalle parole nella Traviata del padre di Alfredo che si rivolge a Violetta “ un dì quando le veneri ....“ , quando la bellezza sarà sfiorita. Massari stesso rivela che l’opera è “il racconto di un’avventura giornalistica di successo, sperimentale e d’avanguardia intrapresa a Parma dal giugno 1941 al maggio 1943 “. Una specie di diario pubblico rivisto al presente “quando le veneri ... “. E rileggendo le pagine di questo foglio quindicinale fascista Massari scopre che “Parma era una specie di Atene, anche di scrittura sperimentale“. Lì in quelle pagine c’è già il nuce l’Officina Parmigiana con tutte le firme che renderanno unica la stagione letteraria parmense di quegli anni. Stagione illustrata mirabilmente dapprima sul Raccoglitore da Paolo Briganti (1979) poi sempre mirabilmente da Paolo Lagazzi sulla Palatina (1981). Come scrive anche il curatore del libro Giovanni Ronchini queste pagine sono “una tappa fondamentale nel percorso di sistemazione della feconda, unica scena culturale parmigiana“ appunto la Officina Parmigiana. Ma aldilà degli aspetti formali o agiografici, e della continuità “pur attraverso il passaggio dal collo di bottiglia del regime“, il tema di fondo a cui libro di Massari sottende è un tema sempre presente, allora come adesso e come sarà in futuro, quello dei rapporti tra gli intellettuali e la politica. Questo tema emerge anche se in forma quasi ovattata e distante, che in fondo e’ tipica del “contesto parmigiano”, come tema di fondo che rimbalza da quegli anni 1941 - 43 al presente. Fin dai tempi di Socrate e Platone agli intellettuali è stato riconosciuto un compito di faro e di guida nella società, senza commistione e condizionamento dei ruoli. E con la difesa del bene supremo che è la libertà di giudizio e di espressione. Ma la storia ha insegnato che anche gli intellettuali non sono immuni dalle debolezze caratteristiche della natura umana, siano esse ambizioni personali, vanagloria, prestigio, potere, ecc. ecc. Nel periodo del fascismo è ben noto che i professori universitari, parte centrale e fondamentale del mondo intellettuale, nella stragrande maggioranza firmarono il giuramento di fedeltà al regime fascista. Solo una ventina di essi su circa 1200 professori non firmarono. Tra le firme spiccano anche quelle di Giuseppe Levi, anatomopatologo dell’ Università di Torino e padre di Natalia Ginzburg, Gioele Solari maestro di Norberto Bobbio, Luigi Einaudi. Anche con le leggi razziali del 1938 l’esempio che giunse dal mondo della cultura fu desolante. In riferimento al periodo considerato dall’autore, 1941 -43, gli anni della rivista La Fiamma, specie se osservato dalla prospettiva del presente, sono illuminanti le parole lasciate scritte da Cesare Pavese “che la cultura italiana abbia potuto sotto il fascismo continuare praticamente immutato il suo corso significa che della libertà - le fosse o no consentita - non ebbe neanche prima quel largo gusto che parrebbe“. Nelle parole di Pavese si sente il tono di una ammissione di responsabilità e insieme di denuncia. Come è stato riconosciuto da studiosi del periodo del ventennio l’adesione dei “chierici“ al regime fu estesa, generale, ebbe carattere orizzontale, investendo non solo i letterati
(non a torto definiti “ubbidienti”) ma anche esponenti delle arti figurative, cineasti, musicisti, architetti, scienziati. Solo alcuni spiriti liberi, illuminati, hanno scelto altre strade. Come Leone Ginzburg che scriveva “noi che abbiamo scelto vie più difficili e cerchiamo di lavorare per tutti sentiamo il diritto e il dovere di manifestare pietà per loro. La maschera del fascismo quando è portata a lungo non vuol più staccarsi dal volto”. Il racconto al presente di Massari di una rivista fascista e di quegli anni ha il grande merito di ricordare non solo agli intellettuali ma a tutti gli spiriti con il gusto della libertà i pericoli insiti per il nostro paese anche nella presente stagione. Umberto Squarcia GdP 03/10/2018 pag. 37 Domani 04/10/2018 alle ore 17 in Palatina presentazione del volume «Un di' quando le Veneri»