Louis Daguerre l'alchimista che fermò il tempo

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Ennery Taramelli

Louis Daguerre L’alchimista che fermò il tempo


Coordinamento editoriale Leandro del Giudice Redazione Giovanni Cascavilla Muriel Benassi Copertina Anna Bartoli Le rovine della Cappella di Holyrood, 1824, Louis Daguerre, Liverpool, Walker Gallery In retro-copertina Diorama della chiesa di Bry-sur-Marne, 1842, Louis Daguerre ISBN 978-88-8103-882-4 Š 2018 Diaroads srl - Edizioni Diabasis vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 – e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it


A Scilla


Noi non vediamo che immagini riflesse nello specchio. Le comprendiamo risolvendo i loro enigmi. Paolo di Tarso


PROLOGO



OTTO DI SERA

– Che silenzio! Fuori, di là dei vetri, cala la notte. – Madame, avverte Adele, la mia cameriera. Monsieur Seymour chiede di raggiungerlo. – Vado subito! Porta i lumi. – Devo andare… Ma ecco… Solo pochi minuti, per non perdere l’ispirazione della lettera per Geneviève de Rigny. Collegio di Vichy, 16 maggio 1856 Rispondo alla vostra lettera dell’aprile scorso, gentile mademoiselle, per mettervi al corrente di una notizia che certo vi sarà gradita. Avevo perso ogni speranza di convincere il giovane Seymour, ma alla fine ha accettato. Ha promesso che leggeremo assieme questa sera. Purtroppo la famiglia Dumousset non è riuscita a vincere la sua assurda ostinazione di abbandonare gli studi e andare per mare. Lui ha deciso e ormai è fatta! A giugno, si imbarcherà sulla goletta Jacquard che fa rotta per l’America del Sud. Tuttavia non lascerà la Francia, senza conoscere la verità sulla vita e l’opera di suo padre, Louis Daguerre. Prevedo che sara una lunga notte di lettura, ma nutro la speranza che quanto verrà a sapere lo riconcili con la sua memoria. Se penso che tutto ha avuto inizio tre anni fa, quando ho ricevuto il testo autografo e la lettera, a firma di Madame D. Come sapete, l’autrice desiderava restare anonima, e mi chiedeva di leggere il manoscritto; sosteneva che era basato su documenti di prima mano che voi, Geneviève de Rigny, le avevate messo a disposizione, perché fosse fatta luce sull’invenzione della dagherrotipia. Ammetto che sono stata vivamente colpita dall’audacia della scrittrice. Sotto la sua penna, gli eventi e i personaggi, le cui 7


vicende si intrecciarono con la storia dell’invenzione, balzavano a tutto tondo sullo sfondo di quella Parigi, ormai sparita, che ne sancì il trionfo. Immaginai subito che Voi, quale stretta confidente di Daguerre negli ultimi anni della sua vita, avevate rivestito una parte importante nella stesura del manoscritto. Ma non mi sarei aspettata di ricevere una seconda lettera, questa volta a vostra firma. Conoscevate tutto di me. Che io, Juliette Delpire ero nata semplice borghigiana, avevo studiato ed ero diventata istitutrice. Eravate a conoscenza dei rapporti che mi legavano alla famiglia Dumousset, e a vostro giudizio possedevo il talento necessario per redigere l’altro capitolo, così importante, dei soggiorni di Louis Daguerre a Thiers. Posso confidarvi che prima di decidere ho avuto delle forti perplessità. Mi chiedevate un compito non facile. Per raccontare questa vicenda, non avevo a disposizione dei documenti, ma solo memorie. In nome dell’affetto e dell’amicizia che ci univa, Berthe Doumousset parlava spesso della sua storia d’amore con l’artista parigino. Conoscevo i suoi ricordi, i suoi pensieri, le sue riflessioni. Darthez, il fratello di Berthe, custodiva l’epistolario dei due amanti. Quando lo misi al corrente della vostra richiesta, mi diede il consenso di pubblicarlo. Si disse inoltre disposto a scrivere una memoria, assieme a Jean Pine Chapet, anche lui intimo amico dell’artista. Basandomi su queste testimonianze, ho scritto la vicenda di Louis Daguerre a Thiers. Il vostro giudizio positivo mi ha dato il coraggio di rivolgere a Seymour la preghiera di ascoltare. Confido, assieme a voi, che la lettura di questi due libri possa convincerlo a venire a Bry-sur-Marne per il 20 giugno, giorno del solstizio d’estate. – Bene è fatta! Bisogna che vada! Non devo che prendere il lume, aprire la porta della stanza e raggiungere Seymour…Ma perché tanto esitare? Tra le più illusorie delle apparenze, la vita non sconfina sempre nelle regioni del sogno.

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LIBRO DI MADAME D


DRAMATIS PERSONAE

Samuel Finley Morse François Arago

Edward Norris Kirk

Nicéphore Niépce

Isidore Taylor

Paul Delaroche

Louise Vernet


Louis Jacques MandĂŠ Daguerre



I Martedi, 26 febbraio 1839. Pomeriggio. Nuvoloso. + 6,6°.

C’era ancora poca gente verso le sei nel foyer dell’Odeon, anche se la compagnia degli Italiens metteva in scena quella sera la prima del Don Giovanni di Mozart. Due signori in frac camminavano su e giù sul pavimento lucidato a cera, agitando i bastoni e parlando animatamente. Accomodate sui divani di velluto, le loro dame bisbigliavano. Di tanto in tanto lanciavano delle occhiate verso la galleria, con le colonne che si moltiplicavano all’infinito nei grandi specchi dalle cornici dorate. Entrarono con aria indolente piccoli gruppi di spettatori. Gli uomini dritti e impettiti, le donne ancheggiando lievemente, riempirono il salone di un brusio di voci discrete, sommesse, ancora tranquille. Entrò un uomo alto, distinto che si guardò attorno con un’espressione assorta. Superò il buffet, tra il tintinnio dei bicchieri di cristallo che i camerieri sistemavano sui vassoi, e scivolò fuori sulla terrazza. Grossi nuvoloni solcavano il cielo cupo. Alcune finestre degli edifici, disposti tutt’attorno alla piazza ovale, erano illuminate. – New York, Londra, Parigi. Viste di notte e dall’alto, tutte le città paiono identiche, sospirò Samuel Morse. L’inventore americano era a Parigi dal mese di settembre dell’anno precedente, quando aveva presentato all’«Accademia delle Scienze» il congegno del telegrafo elettromagnetico che aveva riscosso un successo clamoroso. La stampa ne aveva ampiamente dato notizia. I colleghi francesi lo avevano sommerso di elogi, e il fisico e astronomo François Arago, segretario perpetuo dell’«Institut», gli aveva concesso il brevetto. 15


Subito aveva preso via la trattativa con il Ministero degli Interni, per l’installazione del telegrafo sulla ferrovia tra Parigi e Le Havre. Lo scioglimento delle Camere, all’inizio di febbraio, aveva provocato una brusca pausa d’arresto. Erano così passati i giorni, le settimane e l’attesa era diventata estenuante. L’aria rigida lo convinse a rientrare; aveva appena messo piede nel vano della porta finestra, che si fermò attonito. Simile a un suntuoso salotto privato, il foyeur era affollatissimo. Tutta Parigi era lì: aristocratici del faubourg Saint-Germain e ricchi borghesi; ufficiali in alta divisa e dandy annoiati; agenti di Borsa e raffinate cortigiane del quartiere Saint-George. La gente arrivava, passava, s’incrociava e l’artificio dello splendore mondano riluceva come le stelle nel firmamento. Spaesato, si rifugiò accanto al camino, guardando la folla che continuava a affluire. Fu come un’apparizione. Accanto alla balaustra, sostava una giovane donna. – Louise Vernet! Avrebbe riconosciuto ovunque la figura minuta, il volto fine e gentile, e gli occhi castani che possedevano il fascino di una grazia misteriosa. Forse in virtù dell’intuito squisitamente femminile, che fa percepire a una donna lo sguardo insistente di un uomo, Louise si voltò. Un leggero trasalimento di sorpresa, e subito un sorriso le illuminò il volto. Anche lei lo aveva riconosciuto e gli andò incontro. – Samuel, che piacere rivedervi, disse soave, e tese le mani inguantate che lui strinse fra le sue. – Stento a credere che la donna affascinante che ho di fronte è la mia giovane amica di Roma. – E io, che dovrei dire della vostra metamorfosi. Vi ho conosciuto come pittore, e oggi siete l’inventore di cui parla tutta Parigi. Prese a osservarlo tra le ciglia socchiuse. Samuel Morse era cambiato; sotto la fronte alta, gli occhi scuri apparivano induriti, e le pieghe, agli angoli della bocca, scavavano ancor più il viso scarno. 16


Un signore sui quarant’anni, elegantissimo nel frac dal taglio perfetto, li aveva raggiunti. Era Paul Delaroche, esponente della ricca borghesia della Chaussèe d’Antin, e noto pittore di quadri di storia. – Professor Morse, che piacevole sorpresa vedervi a teatro. Ma forse la sorpresa maggiore è scoprire che voi e mia moglie vi conoscete. Louise arrossì leggermente. – È un’amicizia antica. Risale al soggiorno romano, quando papà era direttore dell’Accademia di Francia, a Villa Medici. L’inventore esitò, in un moto d’improvvisa timidezza. – Ho un magnifico ricordo della vostra ospitalità. Come sta il cavalier Vernet, vostro padre? – Sta bene e lavora molto, come al solito. Si lamenta che i quadri che sta dipingendo a Versailles, all’atelier del Jeu de Paume, lo porteranno alla tomba, ma dipinge dodici ore al giorno. Sono certa che sarebbe felice di vedervi. Dovete assolutamente venire a trovarci. Non è vero, Paul? – Sicuro! Del resto ho invitato più volte il Professor Morse durante i nostri incontri all’«Institut». – Sono davvero imperdonabile. Ma la questione del telegrafo elettromagnetico mi assorbe completamente. Louise inclinò il capo con aria civettuola. – Nei salotti si parla molto di voi… Lo sapete che al teatro de Variétés una piéce mette in scena la vostra invenzione? Due personaggi comunicano tramite il telegrafo da un continente all’altro. – Sono lusingato, ma sarei più soddisfatto se la mia invenzione riscuotesse altrettanto successo al Ministero degli Interni. – Come proseguono le trattative? intervenne Delaroche, che quale membro dell’«Institut» era al corrente della questione. – Non saprei rispondervi. Aspetto con impazienza che il Conte de Montalivet confermi o meno l’installazione del telegrafo. – Che pensa Arago a questo proposito? So che è un fervido sostenitore del vostro progetto. – Difatti. Lo sto giusto aspettando. Mi ha invitato questa sera per la prima del Don Giovanni. 17


– Arago verrà a teatro?!! La moglie e l’inventore lo fissarono con aria interrogativa, e lui si affrettò a spiegare. Aveva ricevuto una missiva da parte di Arago che lo convocava d’urgenza l’indomani pomeriggio all’«Institut». – Pare che abbia trascorso tutta la giornata al Ministero degli Interni. Morse si mise in allarme. – Che riguardi la faccenda del telegrafo? – Non credo, osservò Delaroche. Devo comunque avvertirlo che domani non mi sarà possibile incontrarlo. – Se lo desiderate gli riferirò della vostra presenza a teatro. – Mi fareste un grande favore. Louise strinse il braccio del marito. – Paul, dobbiamo andare. I conti di Noailles ci aspettano. Con un incantevole sorriso tentò di strappare una promessa all’inventore. – Martedì sera daremo un ricevimento. Desidero sinceramente che veniate. – Non ve lo posso assicurare. Qualora la trattativa con il governo non vada a buon fine, lascio Parigi al più presto. – Mi auguro allora di rivedervi martedì, replicò Louise, lanciandogli un lungo sguardo carezzevole. La coppia sparì tra la folla, che da un capo all’altro della galleria, formava due correnti in continuo movimento. Suonò il campanello dell’inizio dello spettacolo, e il foyer si svuotò rapidamente. Morse raggiunse la balaustra e scrutò in basso. François Arago saliva in fretta le scale e gli fece un cenno. – Sono davvero desolato, si scusò. Attraversare Parigi a quest’ora è un’impresa disperata. Ci mancava solo che la compagnia degli Italiens fosse spostata all’Odeon. Il segretario perpetuo dell’«Institut» aveva occhi scuri, e i lineamenti marcati del volto erano messi in risalto dalla folta capigliatura corvina. Una maschera lo riconobbe, e gli andò incontro per accompagnarlo nel palco in fondo all’emiciclo. 18


1.

I due uomini entrarono e si liberarono dei mantelli. Morse si affacciò al parapetto e volse lo sguardo in giro. La sala era immersa in un’atmosfera accesa di luce e colori. Il grande lampadario di cristallo spandeva una pioggia di luce, e le divinità zodiacali, dipinte sulla volta tra festoni di acanto, brillavano di una luce vivida. La platea e le logge erano gremite Il vociare del pubblico si alzava in una cupa onda sonora, interrotta a tratti da scoppi di tosse e dagli accordi degli orchestrali davanti ai leggii. – Che dispiegamento d’orchestra! esclamò ammirato. Le luci iniziarono ad abbassarsi e un silenzio improvviso cadde nella sala. Scostò la poltroncina e sedette accanto ad Arago che gli mormorò sottovoce. – Ho notizie urgenti da comunicarvi. Vi parlo nell’intervallo. Thèophile Tilmant salì sul podio e la bacchetta si mosse nell’aria. Gli orchestrali attaccarono gli accordi dell’ouverture. Gonfiando i panneggi, il sipario si raccolse con leggero brusio ai lati del proscenio.

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