Oh Nude Stanze - Marina Cingi

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Tutte le opere che compaiono in questo volume sono della pittrice Anna Cingi Serventi.

Coordinamento editoriale Leandro del Giudice Redazione Anna Bartoli Giovanni Cascavilla In copertina Muse, Anna Cingi, 1989

ISBN 978-88-942-5

Š 2019 Edizioni Diabasis

Diabasis srl -stradello san Girolamo, 17/b - 43121 Parma Italia telefono 0039.0521.207547 - e-mail: info@diabasis.it www.diabasis.it


Marina Cingi

Oh, nude stanze! Presentazione Giulio Di Giulio Prefazione Giulia Prosperetti

diabasis


Anna Cingi Serventi (Reggio Emilia 1927-Parma 2006), pittore e incisore. Allieva di Morandi e Guidi. Ha prodotto una gamma ricchissima di oli, incisioni, disegni, guazzi, tecniche miste e ha tenuto mostre personali a Milano, Roma, Cremona, Parma, Mantova, Brescia. A Reggio Emilia ha, tra le altre, tenuto una mostra dell’ opera grafica accompagnata dal volume edito da Skira Anna Cingi. Opera grafica curato da Gianni Cavazzini e Massimo Mussini. Hanno scritto di lei, tra gli altri: Sandra Orienti, Mina Gregori, Elda Fezzi. Ha vinto rilevanti premi e donato le sue incisioni alla Biblioeca Comunale Panizzi di Reggio Emilia. Le sue opere compaiono in musei, pinacoteche, edifici pubblici e privati in Italia e all’estero.

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Presentazione

Marina Cingi dipinge ancora una volta un efficace affresco di storia italiana. Come già ci ha abituato nei suoi precedenti scritti, riesce perfettamente e con l’usuale maestria a ricreare uno scorcio di storia italiana vissuta attraverso gli intrecci delle vite di vari protagonisti, Cecco, Giordano, Milena, Fabio, accomunati dal gravitare intorno all’ambiente universitario. L’autrice, figlia di una poetessa (Elvira Fangareggi) e sorella di una pittrice (Anna Cingi), riesce nella sua espressione letteraria a creare una meravigliosa sintesi delle caratteristiche di queste due arti, fondendo l’eleganza di una prosa mai banale con l’immediatezza quasi pittorica con cui riesce a tratteggiare intere epoche. Il suo stile, sempre piacevole e coinvolgente, riesce in maniera mirabile a immedesimare il lettore negli états d'esprit che si attraversano, dall'otto settembre all’ottimismo degli anni cinquanta, dalla società del benessere alla contestazione sessantottina. Il libro si apre nel caos del periodo badogliano e, dopo aver attraversato anni di pace e spensieratezza, si chiude con un nuovo caos: quello della rivoluzione studentesca, mostrando in maniera chiara il contrasto tra questi momenti e gli anni di calma e tranquillità, teatro principale degli avvenimenti descritti. Quello che per molti autori sarebbe un campo minato politico dal quale troverebbero salvezza soltanto cavalcando idealmente una corrente, è affrontato dalla Cingi con il consueto approccio post-ideologico, nel quale le esistenze, in balia del fato, attraversano non dei luoghi fisici ma i grandi stati di spirito collettivi di questi de5


cenni così pregni di eventi e di significati. Nella narrazione cingiana l’uomo non è l’eroe nicciano ma nemmeno l’antieroe pasoliniano. È un uomo ordinario, con pregi e difetti, debolezze e virtù, che vive immerso nella sua epoca senza avere né la forza o la velleità di cambiarla, né il desiderio di arrivare sul bordo dell’abisso. È un uomo che, proprio perché ordinario, è stato spesso ignorato dalla letteratura dominante, che ha sempre trovato più culturalmente redditizio basarsi sugli estremi umani, sul bianco e sul nero e mai sui toni di grigio con i quali la Cingi ci ha abituato essere a suo agio. È proprio questa caratteristica a donare una grandissima contemporaneità e originalità a questo testo. Non è infatti la nostra epoca, il periodo storico in cui l’ordinario è il protagonista assoluto, aiutato in ciò dall’emergere dei nuovi strumenti informatici? Nella scrittrice, l’ordinario è comunque, come già in passato nelle sue opere, sinonimo di borghese, intendendo con tale termine quel misto di aspirazioni e valori comuni patrimonio della cosiddetta maggioranza silenziosa, che benissimo si inserisce nell’ambiente universitario. È proprio in questo topos borghese per eccellenza – l’Università – che l’autrice conosce bene avendo insegnato nelle Università di Parma e Venezia, che si svolge la narrazione. Una narrazione che procede secondo i canoni classici, ai quali non sfugge nemmeno l’amore. Milena, dopo le delusioni giovanili, sceglierà infatti la via più rassicurante, anteponendo la razionalità al cuore, l’affetto alla passione, la sicurezza all’incertezza. La parabola di vita dei protagonisti è anche quella della nostra nazione e delle sue diverse anime. È una sorta di Novecento bertolucciano senza tuttavia dover mai ricorrere all'estremo. La vita dei protagonisti infatti è ordinaria, inserita nell'ambiente universitario, prima da studenti, poi da profes6


sori, ma sempre molto normale, nel senso anti-eroico e distaccato dagli estremi del termine. Ed è proprio l'ordinarietà dei protagonisti a donare rilevanza alle filosofie collettive che vengono da essi vissute e subite e che portano il lettore a donare empatia verso questi personaggi che risultano molto vicini a noi e che chiunque può quasi percepire di aver conosciuto nel corso della propria vita. La bellezza della narrazione della Cingi sta anche in questo: il mondo che rappresenta è un mondo a noi vicino, che conosciamo, nel quale siamo cresciuti e con il quale condividiamo i medesimi riferimenti ideali e culturali. Tutto ciò appunto permette di calarsi completamente nel racconto e a quasi immedesimarsi. È infatti in quest’ultimo punto che sta la particolarità di Marina Cingi: sono proprio i comportamenti dei personaggi a essere i veri protagonisti del romanzo. Le persone sono un espediente letterario per raccontare un’epoca, per rendere la narrazione avvincente e alla portata di un'ampia utenza. In questo senso il testo può dirsi formativo, per come riesce a dipingere, senza la noia di un manuale, la nostra storia. La Cingi non rincorre mai facili politicizzazioni o idealizzazioni, aspetto assai raro nella produzione letteraria italiana e grande vulnus della letteratura del nostro paese. Infatti più un’arte si politicizza più rischia di perdere quel soffio vitale che la innalza per diventare un mero strumento nelle mani di gruppi di potere. In un periodo storico in cui i toni politici paiono nuovamente alzarsi dopo alcuni decenni all’insegna della post-ideologia, l’insegnamento cingiano trova ancor più valore; in un certo senso ci riporta con i piedi per terra mostrandoci come con una prospettiva più alta appariamo minuscoli rispetto alle grandi vicende dell’umanità. Ulteriore punto di forza nel testo sta – altra caratte7


ristica dell’autrice – nel fatto di come tali e tanti temi vengano affrontati in relativamente poche pagine, senza che tuttavia siano mai trattati in maniera sbrigativa o frettolosa. L'impressione a fine libro è di aver letto un opera titanica, un grande affresco storico, quando invece il tutto si svolge senza mai tediare il lettore con una bulimia di scrittura. Quanti scrittori trovano appagamento al proprio ego nel prolungare oltre il necessario i propri racconti? La prosa della Cingi è invece sempre essenziale, lascia sempre con una sensazione di completezza e mai di strabordamento e tuttavia si arriva a fine libro appagati e con la sensazione di aver letto un racconto ben più lungo e articolato. È un libro che tanti dovrebbero leggere, specialmente le nuove generazioni per le quali il dopoguerra rimane un’epoca ben poco conosciuta in rapporto alla esondante letteratura che la circonda, tra Fascismo e Sessantotto. E invece fu proprio nel silenzio di questi anni lontani dai grandi avvenimenti che il nostro paese ha forgiato la sua anima, non meno che nelle ben più raccontate epoche vicine. Giulio Di Giulio


Prefazione

Un prisma dalle molteplici sfaccettature. Con un’intensità supportata da uno sguardo sempre lucido Marina Cingi, in questo suo ultimo scritto, scandaglia i diversi aspetti dell’animo umano per restituirne un’immagine unica e complessa. Attraverso il vissuto di Francesco, Giordano, Milena e Fabio, gli interrogativi posti dalla vita vengono affrontati dall’autrice con una serenità frutto di una matura elaborazione. Parole sopite e lasciate fermentare per anni sgorgano, ora, con semplicità, accompagnando il lettore in un percorso che non si esaurisce con la lettura del romanzo. È questo – come recita il titolo della serie di incisioni di Anna Cingi, sorella dell’autrice, scelte per accompagnare il testo, Quello che resta, di questo viaggio nella memoria. Un cammino sospeso tra la nostalgia di un tempo perduto e le speranze di un presente ritrovato in cui tutto acquisisce senso e si veste di significati nuovi. Nel fluire delle pagine il fil rouge della narrazione è tracciato dai dipinti e dalle incisioni della Cingi artista, che completano il testo estrinsecandone con la loro forza espressiva significati profondi. Evocato dalle opere il tema del ricordo emerge, così, dai Tramonti d’immagine e dalle Perdite di affresco che, nella produzione di Anna Cingi, completano i tre cicli ispirati alla memoria. Un binomio che vede fondersi arte e scrittura in un continuo e prolifico confronto tra intelligenze diverse. Confronto che, attraverso le discussioni tra Francesco e Giordano, rappresenta uno dei temi centrali del romanzo. «Pensi davvero che tutto ciò che abbiamo sia merito esclusivamente della scienza? Non è così, Giordano. Arti 9


figurative, poesia, musica... Che cosa sarebbe l’uomo senza di esse?» domanda Cecco all’amico. Senza mai mettere in discussione la necessità e i grossi meriti della scienza, l’autrice, una vita dedicata alla Chimica ma sempre immersa nell’arte e nella poesia, scalfisce le gerarchie e invita a riflettere sulla complementarità del sapere umano. Lasciando aperto il dibattito tra i due amici, Cingi ci suggerisce che la risposta non c’è. Sono vere entrambe le argomentazioni, condivisibile il valore della scienza come quello delle arti, ma, dal momento che sono tutte necessarie, non ha senso interrogarsi su quale debba primeggiare. Ampio spazio nella narrazione è occupato dal dubbio, tema che nel romanzo perde la sua accezione negativa e diventa la chiave di ricerca necessaria per indagare gli universi complessi della religione e dell’amore. C’è Cecco la cui vocazione sembra consolidata dal senso di colpa ma, seppur con qualche rimpianto, nella sua strada riesce, comunque, a trovare realizzazione e serenità. Giordano, le cui convinzioni così risolute, infine, vacillano quando di fronte al miracolo della vita si sente impotente. Ma a emergere sugli altri è il travaglio interiore di Milena la cui ricerca dell’amore restituirà alla giovane una consapevolezza nuova e inattesa. Dalle prime delusioni alla passione impossibile fino a una stabilità socialmente imposta, la bella Milè, scoprirà i diversi volti dell’amore per trovare, al termine del suo percorso, la quadratura del cerchio. A porre fine al conflitto che turba il cuore della giovane sarà una presa di coscienza importante avvenuta proprio grazie a quel «solco profondo e doloroso» lasciato dal «compimento tardivo di un sogno antico». Al di là di facili promesse e dichiarazioni postume, Milena capirà che certi amori possono esistere solo confinati in quel clima di incertezza e di desiderio 10


che crea la distanza perché il loro potenziale continua a vivere finché resta inespresso. Una consapevolezza che permetterà a Milena di risvegliarsi dal sogno e iniziare a vivere pienamente la sua realtà, accettando il proprio destino e apprezzandone, finalmente, il valore. Quella che emerge dalla prosa di Cingi è una definizione dell’amore che oltrepassa la concezione classica del termine. Nel testo ogni suo aspetto viene esaltato e considerato degno di essere vissuto, dall’ardente infatuazione alla «primavera incantata» citata da Giordano e sapientemente descritta dal poeta e scrittore Rainer Maria Rilke. Ed è amore anche quello che lega i due protagonisti la cui amicizia, dopo i difficili anni di guerra, viene sancita da un «riprendiamo insieme» carico di significato. Grazie a questa promessa Cecco e Giordano riusciranno a riguadagnare il tempo perduto ricostruendo, passo dopo passo, la propria identità. Un senso di appartenenza che, come sottolineato a più riprese dall’autrice, dopo l’8 settembre era divenuto, più che mai, un bene prezioso. Nel complesso un Bildungsroman che partendo dalle «case nude», spogliate dal conflitto mondiale, attraverso le emozioni dei personaggi, immerge il lettore nelle inquietudini e nelle aspirazioni di un’epoca determinante per la storia italiana. Quando si volta l’ultima pagina si ha la rassicurante sensazione che, in qualche modo, il destino abbia fatto il suo corso e ogni interrogativo sia stato sciolto. I dubbi e i conflitti dei protagonisti anziché essere affrontati alla stregua di insormontabili ostacoli da abbattere vengono, infatti, considerati parte integrante della loro formazione. Perché alla fine tutto resta e tutto conta. Giulia Prosperetti 11


Indice Presentazione, Giulio Di Giulio Prefazione, Giulia Prosperetti

pag. 5 7

Oh, nude stanze

15

Dopo l’8 settembre 1943

25

I profughi longobardi

33

Si vive anche senza conoscere i sassi

41

Madrigale studentesco

49

Il giovane e brillante professor Foliani

59

Un fioeellino da non cogliere

69

Il camice sulla sedia

79

De jucunda juventute

87

Stato di grazia

97

Mete raggiunte

107

I baronetti

113

Alfeo e Aretusa

123

L’inferno è brutto anche in terra

133

La ninfa perduta

139

Addio stato di grazia

145

Arrivano i nostri

153

Post molestam senectute

170

Una parolina al principale

181


Ringraziamenti Sono grata a chi, come sempre, mi è stato vicino in questa piacevole fatica: Ferruccio Serventi, Paolo e M. Grazia Cingi, Leandro del Giudice, M.Grazia e Imer Bartoli.



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