Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
EDITORIALE Enrica Dall’Ara*
Si continua con entusiasmo, in riferimento al lavoro editoriale della Ri-vista, che procede entrando nell’attualità del dibattito sul progetto di paesaggio, ma soprattutto in riferimento all’impegno professionale di pianificatori e architetti paesaggisti, per come emerge dagli articoli che si presentano, anticipati dal tono appassionato di Carl Steinitz, nel suo saggio Progettazione del paesaggio: storia dell’influenza delle idee, con cui si è scelto di aprire questo numero. Il suo atteggiamento può mantenersi quale sottofondo utile anche nella lettura degli articoli che seguono: “Non sono uno storico. Sono un progettista del paesaggio che guarda al futuro. Nonostante ciò, so che la maggior parte delle idee che hanno formato il mio lavoro sono vecchie idee”. Sono le idee con cui in epoche diverse si è guardato al paesaggio con attenzione alla sostenibilità ambientale e culturale dei progetti – ricorrendo a parole attuali – coniugando le esigenze della produttività, con l’ecologia e l’estetica, senza antitesi. Sono gli argomenti dei contributi presentati nel numero: essenzialmente “eredità” di questioni che non smettono di chiedere ricerca, progetti, trasmesse dal tempo della Rivoluzione Industriale, epoca in cui la separazione funzionale fra vita urbana e vita rurale si è approfondita fino a creare un contrasto problematico. A livello di paesaggio immaginario, nel XIX secolo vanno formandosi due miti opposti, la città-metropoli e il paesaggio rurale e naturale, che assumono nella relazione reciproca il ruolo di polo attrattivo. Rimbaud guardando Parigi (la stessa “Parigi, capitale del XIX secolo” di Walter Benjamin) ha fotografato con il realismo di un’allucinazione due mondi che compaiono in forma di divinità, Natura e Bellezza (la città), l’una verde – serena, bucolica – l’altra malsana, maledetta, splendida: “Per quanto sia orrendo vederti oppressa/ così, e per quanto non si sia mai fatta d'una città/ una piaga più puzzolente nella verde Natura,/ il Poeta ti dice: «Splendida è la tua Bellezza!»”1 Parallela all’espressione poetica, la pianificazione utopica tenta soluzioni organiche per superare la spaccatura fra i due mondi e le sue implicazioni socio-economiche: i phalanstères di Fourier e il Traité de l'association domestique-agricole (1822), la Garden City of Tomorrow di Howard (1902), la Ville Contemporaine (1922) e la Ville Radieuse (1930) di Le Corbusier, la Broadacre City (1934) e la Living City (1958) di Wright, sono elaborazioni potenti sul pensiero che ha guidato lo sviluppo dei territori occidentali. I contenuti sono noti, l’obiettivo è superare la congestione delle metropoli e l’abbandono delle campagne cercando un’integrazione funzionale ed estetica fra i due paesaggi, che fosse un modo per l’uomo di riavvicinarsi alla natura. Nella Ville Contemporaine, il centro urbano costituito da un sistema di torri destinate ad attività terziarie su tre lati si relaziona con una maglia residenziale, filtro verso il territorio rurale; quasi fosse una struttura di Escher organizzata a partire dalla rete delle strade, 1
“Quoique ce soit affreux de te revoir couverte/ Ainsi; quoiqu'on n'ait fait jamais d'une cité/ Ulcère plus puant à la Nature verte,/ Le poète te dit : «Splendide est ta Beauté!» ” , da Arthur Rimbaud, L'orgie parisienne ou Paris se repeuple, 1871.
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l’architettura, in superficie e in altezza, scompare per gradi, anche se il suo limite non è sfumato ma marcato da un rettangolo di strade che blocca l’espansione della città; sul quarto lato un parco di grande dimensione si allunga a unire il centro terziario alla campagna. Nella Ville Radieuse le funzioni urbane sono concentrate negli edifici dispersi lungo distese verdi senza soluzione di continuità. In Broadacre City la città è annullata, le sue attività proprie trasferite nel territorio agrario organizzato secondo geometrie, gerarchie sociali, progetti di architetture di Wright, che misurano uno spazio pianeggiante sconfinato, quale è lo spazio americano su cui egli ragionava, definendone un’estetica. Nel gioco dei ruoli svolti storicamente da città e campagna non sono determinanti solo le ideologie e l’idealismo. Neppure il disimpegno resta escluso. Guardare il paesaggio rurale come meta ricreativa non è un fatto recente, al contrario è possibile risalire molto indietro ricercando luoghi “fuori porta” deputati al divertimento, dove si trascorrono i giorni della festa. Alcuni pleasure gardens, giardini di piacere, dei secoli XVI, XVII e XVIII, si sviluppano oltre le mura urbane, in fasce di frontiera prossime alla città, oppure in località distanti conosciute per il loro pregio naturalistico, per la presenza di acque curative per esempio. In questi luoghi, in forma spontanea o ad opera di impresari, giungono musicisti, commedianti, acrobati, circhi, si realizzano installazioni che vanno trasformandosi in strutture permanenti di divertimento. Oggi si discute di ruoli e di forme dello spazio urbano per centrare progetti di riqualificazione nel centro e nelle periferie della città contemporanea, pensandola sempre come luogo privilegiato delle attività umane, spazio collettivo; dall’altro lato si indagano strategie di ‘manutenzione’ per il paesaggio rurale che fatica a trovare funzioni nuove, mentre le pratiche agricole che l’hanno creato e gestito vanno scomparendo. Quest’ultimo è il tema specifico delle Giornate di Studio di Torino dell’aprile 2004, Il paesaggio rurale: memoria e sviluppo, e del Convegno Internazionale tenutosi a Milano l’ottobre scorso Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni. Il valore della città come habitat dell’uomo è affermato nei progetti recenti di Londra per la riqualificazione di Southwark, è tema centrale del progetto urbanistico e architettonico e del ciclo di dibattiti nel Forum de Las Culturas di Barcellona. Nelle due situazioni l’intervento di riqualificazione di luoghi degradati a livello locale parla un linguaggio da città-modello, con cui vengono potenziati immagine e richiamo turistico, come avviene in occasione di un’Esposizione Universale. L’esigenza di finalizzare la pianificazione e i suoi strumenti all’integrazione fra naturalità e urbanità nel contesto urbano emerge nella descrizione delle città d’acqua di Antonello Boatti, ed è alla base dell’attività operata e presentata da Federico Oliva. Non sembrano affievoliti i significati di città e campagna, anche se l’attenzione ai casi particolari spesso sposta i termini del dibattito odierno dalla visionarietà dell’utopia - che ha caratterizzato i due secoli passati - alla puntualità di progetti mirati su un paesaggio dato, di cui si vuole tutelare alcuni aspetti con l’inserzione di altri in grado di attualizzarlo. Il desiderio verso città e campagna percepiti come poli di una dicotomia è ancora fortissimo, perché nonostante si aggiungano altri luoghi di cui si parla molto (telematici, virtuali, intermodali, eccetera) l’ estetica romantica ha immagini vive, la varietà delle relazioni urbane e la bellezza del paesaggio naturale e rurale rimangono irrinunciabili.
*Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze. Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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PROGETTAZIONE DEL PAESAGGIO: STORIA DELL’INFLUENZA DELLE IDEE
Carl Steinitz* Traduzione a cura di Michela Saragoni** ABSTRACT L’autore in questo saggio rende omaggio ai grandi maestri dell’architettura del paesaggio, volendo con ciò sottolineare quanto sia importante nella progettazione l’influenza delle idee pregresse. Fa quindi un excursus che tocca circa trenta personaggi, di ognuno dei quali ci propone un’idea, quella che ritiene essere stata più originale ed innovativa, che ha avuto più influenza sulla progettazione del paesaggio, quella cioè che fa del personaggio un maestro. Conclude con alcuni progetti recenti che vogliono essere un esempio di come queste importanti idee progettuali si sono tramandate nel tempo e dello stato dell’arte che hanno raggiunto. PAROLE CHIAVE Hangzhou, Huang Shan, Stowe, Repton, Morel, Jefferson, Worlitz, Loudon, Lennè, Olmsted, Cleveland, Eliot, Geddes, Howard, Manning, Merrit Parkway, Escritt, Eckbo, Jackson, Lynch, Halprin, Lewis, McHarg, Fisher, Roger, Crowe, Litton, Stone, Forman ABSTRACT In this essay, the author pays homage to the big masters of landscape architecture, so underlining how important in design is the influence of former ideas. He makes a brief look that touches about thirty figuress and for each one he proposes one idea, the one he regards as more original and innovative, the one that has more influence on landscape planning, therefore the one that changes that figure in a master. He ends off with some recent projects as an example of how these important planning ideas it’s been hand on and of the actual state of art. KEY WORDS Hangzhou, Huang Shan, Stowe, Repton, Morel, Jefferson, Worlitz, Loudon, Lennè, Olmsted, Cleveland, Eliot, Geddes, Howard, Manning, Merrit Parkway, Escritt, Eckbo, Jackson, Lynch, Halprin, Lewis, McHarg, Fisher, Roger, Crowe, Litton, Stone, Forman
Non sono uno storico. Sono un progettista del paesaggio che guarda al futuro. Nonostante ciò, so che la maggior parte delle idee che hanno formato il mio lavoro sono vecchie idee. Recentemente ho deciso di preparare una conferenza per rendere omaggio alle persone che mi hanno influenzato e sono felice di potervene fare partecipi. Non includerò molte immagini di progetti famosi. Per ognuno di circa trenta personaggi influenti, mostrerò un ritratto e l’illustrazione di un’idea e, cosa più importante, farò un sunto delle idee principali che hanno caratterizzato il suo lavoro. Naturalmente ne risulterà una semplificazione: ognuna di queste persone ha prodotto un complesso corpus di lavori, ma ognuno ha fatto una o due cose che hanno avuto una grande influenza su di me e su molti altri. Ho incluso alcuni lavori in cui ho lavorato anch’io. Anche se qualcuno potrà considerarlo prematuro, penso che dare un accenno sullo stato dell’arte di alcune idee di progettazione del paesaggio e della loro applicazione concreta sia utile. La migliore definizione di quello che facciamo è stata data nel 1968 da Herbert Simon in un libro intitolato “The Science of Artificial”, in cui scriveva: “everyone designs who devises
courses of action aimed at changing existing conditions into preferred ones”1. Ma la scala e la dimensione sono importanti per il modo in cui ci si pone come progettisti. Possiamo lavorare su un piccolo progetto, come una casa in un sito difficile, o possiamo lavorare su un progetto di medie dimensioni, come ad esempio un’area di nuovo sviluppo urbano o un nuovo parco urbano, o possiamo lavorare su larga scala, ad esempio per una nuova città o una strategia di conservazione regionale. Solo perché uno sa progettare ad una scala non significa necessariamente che sappia lavorare anche alle altre. Io mi interesso particolarmente di grandi paesaggi con valenze naturalistiche e culturali. Penso che i piccoli progetti siano importanti, ma credo che la pianificazione del paesaggio lo sia di più, così mi concentrerò su esempi di paesaggio inteso in larga scala. I miei primi due esempi vengono dalla Cina della Dinastia Song meridionale. Il West Lake di Hangzhou è importante perché mille anni fa fu presa la decisione di costruire un grande paesaggio artificiale che è però diventato naturale: fu un atto deliberato di cambiamento del paesaggio sulla grande scala. Troppa gente crede che la progettazione del paesaggio sia solo conservazione e reazione ai diversi agenti, ma il West Lake è la prova che la progettazione del paesaggio include azioni lungimiranti, rivolte al futuro. Questo paesaggio è stato realizzato per ragioni difensive, agricole e di approvvigionamento idrico, ma fin dal principio è stato pensato come un luogo di grande bellezza scenica ed importanza culturale. Il paesaggio del West Lake è diventato il fulcro dell’arte e della poesia. Questo grandioso paesaggio è caratterizzato sia dall’utilità che dal valore spirituale, ma oggi deve confrontarsi con problematiche nuove. Il lago si trova infatti in una situazione di critica, sovraccaricato dal turismo e minacciato dalla vicinanza di una importante città in fase di crescita e soggetta a sostanziali cambiamenti: questa pressione potrebbe distruggere la qualità del West Lake. Si tratta quindi di un paesaggio progettato per ragioni pratiche, trasformatosi nel tempo in un paesaggio culturale che viene considerato come se fosse stato frutto di un processo naturale. Ora deve diventare parte di una politica urbanistica regionale di ampio respiro, altrimenti si perderà quella qualità che lo rende così importante. L’esperienza del West Lake dimostra che una progettazione “forte” del paesaggio era possibile già molto tempo prima dell’avvento dei grandi macchiari e che un paesaggio progettato può essere come una risorsa culturale ma al tempo stesso naturale. Il secondo esempio è Huang Shan, un’area montana che è il simbolo di diverse culture poetiche ed artistiche. Per quanto ne so è stata oggetto del primo grande programma di conservazione e protezione del paesaggio a partire da circa novecento anni fa. L’idea importante è che il paesaggio possa essere protetto in ragione del suo ruolo di simbolo di una cultura. I visitatori devono rendersi conto che non stanno guardando semplicemente una bellissima area montana, ma soprattutto un paesaggio culturale di grande importanza nazionale. Nel XVI sec. i Medici erano la più potente famiglia italiana. Avevano case nelle città ma soprattutto avevano sedici ville nella campagna toscana, decorate con affreschi che esprimevano l’idea che il paesaggio fosse la base del benessere della famiglia oltre che un posto meraviglioso. Durante i successivi due-trecento anni, l’idea che un paesaggio agricolo potesse essere un bel paesaggio prese sempre più piede, anche se in ogni caso chi fruiva la villa non era chi coltivava la terra e quindi non creava direttamente il paesaggio. Diversamente dai contadini, l’aristocrazia aveva il tempo per riconoscere e godere della bellezza del paesaggio agricolo produttivo. E’ stato solo negli ultimi cento anni circa con l’aumento dell’istruzione e del tempo libero, che l’apprezzamento della bellezza di un paesaggio agricolo produttiva ha potuto essere condivisa e goduta da chiunque. Molti dei grandi paesaggisti inglesi avevano la stessa idea che il paesaggio possa essere sia produttivo che bello. Un buon esempio si ha a Stowe, un lavoro di Charles Bridgeman, William Kent and Lancelot “Capability” Brown. Il paesaggio era produttivo, con pecore, 1
“chiunque progetti concepisce una linea d’azione mirata a modificare le condizioni esistenti in quelle preferite”
mucche e cervi che pascolavano tra le rade macchie d’alberi: questo tipo di paesaggio inglese è stato idealizzato come un bel paesaggio ed ha formato quell’immaginario che ha ispirato molta parte dell’architettura del paesaggio occidentale. Il più famoso paesaggista inglese è stato probabilmente Humphrey Repton (1752-1818). Per i grandi paesaggi di cui mi interesso, ebbe una buona idea veramente importante, che viene associata ad un’altra cattiva idea. La sua buona idea è stata che ogni progetto può essere descritto utilizzando due disegni: uno “prima” (fig.1) ed uno “dopo” (fig. 2) la realizzazione del progetto.
Fig. 1
Fig. 2
Gli acquerelli di Repton che illustrano i suoi progetti hanno dei lembi che si ripiegano sull’area di intervento: sollevando questi lembi appare il nuovo progetto. Repton usa l’unica via diretta per mostrare gli effetti dei cambiamenti proposti nel paesaggio esistente. La seconda idea, quella cattiva, è una grossolana idea culturale che deriva dall’idea di Burke del sublime. “designs that are vast only by their dimensions are always sign of a common and low imagination. No work of art can be great, but as it deceives. To be otherwise is the prerogative of nature only2”.In altre parole un progetto deve essere artificioso: deve illudere. E progettare un grande paesaggio implica una mancanza di immaginazione. Non credo che le grandi dimensioni implichino scarsa immaginazione, né che un progetto debba essere artificioso. Circa nello stesso periodo in Francia Jean Marie Morel (1728-1810) scriveva il suo libro “Theorie des jardins” (1776). La sua posizione di base, molto importante, era che il progetto fosse gestione dei processi naturali del paesaggio. Lavorò sul famoso paesaggio di Ermenonville, vicino a Parigi, che è un paesaggio progettato che rispetta e porta beneficio ai processi naturali del luogo, alla sua idrologia, vegetazione e al drenaggio. Nel 1770 era già aperto quel dibattito che anima tutt’ora l’architettura del paesaggio: “stiamo creando paesaggi artificiali o gestendo processi naturali?” Thomas Jefferson (1743-1826), terzo presidente degli Stati Uniti d’America, stabilì che la parte centrale degli Stati Uniti dovesse essere rilevata e suddivisa utilizzando una griglia quadrata. Il suo obiettivo era di incoraggiare l’insediamento in quello che adesso è il Midwest e aveva bisogno di un modo economico per definire i confini dei poderi dei nuovi insediamenti. La sua idea che il paesaggio potesse essere organizzato secondo una griglia si estese verso ovest con il crescere del paese. Chiunque sorvoli il paese può vederlo ancora oggi: la forma del paesaggio americano deve più a Fig.3 Jefferson che a qualunque altro individuo (fig. 3).
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“I progetti che sono vasti solo per le loro dimensioni sono sempre il segno di un immaginazione bassa e ordinaria. Nessuna opera d’arte può essere grande, a meno di illudersi. Il comportarsi in maniera opposta è prerogativa della natura soltanto”.
I nostri colleghi tedeschi potrebbero reclamare che la progettazione del paesaggio è nata con il Principe Leopold III Friederich Franz von Anhalt-Dessau (1740-1817), che nel 1740 ereditò uno dei molti principati tedeschi e si occupò della sua valorizzazione. L’Inghilterra era allora la più progredita e fiorente nazione del mondo: la letteratura, l’economia, il governo ed il paesaggio inglesi erano presi a modello nella maggior parte dell’Europa. Il principe Franz fece lunghi viaggi in Inghilterra per studiare l’”English way” sia per introdurre in Germania le idee inglesi, sia per riprogettare le proprie terre secondo i modi del paesaggismo inglese. Il paesaggio di Worlitz è stato sviluppato tra il 1765 ed il 1817 ed aveva la duplice funzione di mostrare ed insegnare le avanzate tecniche agriculturali inglesi e di simbolo che illustrasse il liberalismo inglese: era quindi un paesaggio didattico. Molti impararono i nuovi ideali sociali economici, politici ed appresero le nuove idee sul paesaggio proprio dal “regno giardino” di dessau-Worlitz. La grande idea del Principe Franz è stata di non copiare lo stile ma di usare invece il paesaggio per insegnare. John Claudius Loudon (1783-1843), nel 1830 era il più importante paesaggista in Gran Bretagna. Si era fatto questa reputazione progettando parchi e giardini per ricchi committenti ma anche come teorico e scrittore del giardino paesaggistico e dell’architettura del paesaggio. Loudon ebbe un’idea straordinaria: fece un piano regionale del paesaggio per l’intera regione di Londra (fig. 4) in cui proponeva un’alternanza di anelli di città e di campagna, centrati sul palazzo di Westminster, sul Tamigi. Loudon fece una serie di disegni esemplificativi di come un giardino possa essere differente se è situato nel cuore della città, in un’area suburbana o in campagna. Questo diagramma concentrico era il suo modo di mostrare che la gente non può vivere solo in città, né solo in campagna: sono entrambi necessari. Nel 1830 questa era un’idea molto importante, ed è rilevante ancora oggi. Peter Joseph Lennè (17891866) è senza dubbio il più famoso architetto del paesaggio tedesco. Lennè disse: “nothing can thrive without care, and the most significant things lose their work through improper handling”3. Progettare non è abbastanza, nè lo è costruire: senza cura un paesaggio perde molto velocemente I suoi valori. Lennè ebbe una straordinaria carriera che ha coinciso con un periodo di rivoluzione politica. I suoi lavori più importanti sono a Potsdam, sede del più importante palazzo reale tedesco: famosi architetti fig.4 progettarono gli edifici in questo paesaggio, ma Lennè progettò la struttura del paesaggio. Il suo principale contributo fu l’asse centrale, una linea lunga circa tre chilometri alla quale tutti gli altri ancorarono i propri progetti. Lennè dimostrò che se la concezione del paesaggio è chiara e potente fin dal principio, può funzionare come base organizzativa anche per le diverse articolazioni future. Nel 1840 Friedrich Whilelm IV salì al trono e Lennè gli sottopose un progetto per l’espansione e la valorizzazione di Berlino e dei suoi dintorni, includente anche l’espansione del Tiergarten. Con il suo progetto iniziale 3
“niente può crescere senza che ce ne curiamo, e le cose più significative perdono di funzionalità a causa di trattamenti impropri”
del 1819 e 1832 per il Tiegarten aveva drenato le zone paludose creando torrentelli tortuosi e percorsi basati sulla geometria primaria di lunghi allineamenti. Ora Lennè propone un nuovo sistema di parchi pubblici, accessibili a tutti, e questa fu un’idea veramente importante. Gli americani considerano Frederick Law Olmsted (1822-1903) il fondatore dell’architettura del paesaggio ed in effetti fu il primo ad usare questo nome, ma Olmsted fu influenzato da quello che aveva conosciuto dell’Europa. Probabilmente è più famoso per il progetto, insieme a Calvert Vaux, del Central Park di New York, ma io considero più importanti altri due progetti. Negli anni sessanta dell’800 John Muir, Olmsted e altre persone ebbero l’idea (simile all’idea di 900 anni prima per Huang Shan) che si dovessero proteggere i più importanti paesaggi americani. Fecero tutti gli studi per creare lo Yosemite National Park, il primo della nazione, ed oggi, grazie al lavoro di Olmsted e di altri di quel periodo, molti importanti paesaggi americani sono protetti, come lo stesso Yosemite, Yellowstone ed il Grand Canyon. La seconda idea associata ad Olmsted riguarda il suo lavoro a Biltmore in North Carolina, nella proprietà di George W. Vanderbilt, l’uomo più ricco d’America, la cui casa era situata all’interno di 4100 ettari di foresta in territorio montano. Olmsted assunse un giovane, Gifford Pinchot, come capo del Dipartimento di Gestione Forestale della proprietà. Vanderbilt, Olmsted e Pinchot sono stati i pionieri della selvicoltura scientifica in America: rifuggirono la monocoltura ed il taglio a raso e perseguirono la multifunzionalità del territorio. Quando poi il governo degli Stati Uniti diede vita al servizio forestale nazionale, Pinchot ne divenne il primo direttore e promosse due importanti idee nate proprio a Biltmore: per prima cosa le sue ricerche sulla selvicoltura scientifica, poi la multifunzionalità della foresta: come habitat animale, per gli usi ricreativi, per proteggere l’acqua e l’aria ed infine per la produzione del legno. La foresta di Biltmore venne donata al governo e divenne la prima Foresta Nazionale americana. Nel 1883 l’architetto del paesaggio Horace W.S. Cleveland (1814-1900) ebbe un’idea veramente importante. Cleveland era il paesaggista delle due città gemelle di Minneapolis e St. Paul, nel Minnesota, sulle due rive opposte del Mississippi. A quel tempo le due città erano piccole e Cleveland le convinse a comprare terre per creare un sistema regionale di parchi molto tempo prima che la gente si insediasse nelle vicinanze. Trattandosi di un progetto che guardava in avanti di molte decine d’anni, gli fu possibile comprare le terre ad un prezzo molto basso: oggi le due città si sono ingrandite e i terreni sono diventati costosi, ma esse hanno già il loro sistema di parchi. Si è trattato di un’idea enormemente importante, che ha però richiesto un investimento di denaro molto anticipato. Charles Eliot (1859-1897) era un famoso architetto del paesaggio che visse nella mia città, Boston. Alla fine degli anni Novanta dell’Ottocento la gente di Boston sapeva che le altre città stavano realizzando importanti sistemi di parchi, ma Boston era una vecchia città, già completamente urbanizzata e con poca terra disponibile. Eliot ebbe così l’idea di di sviluppare un sistema di spazi aperti partendo dalle aree residuali interne alla città, quelle aree che nessuno voleva per costruire: prese le aree aride, ripide, rocciose, le parti malsane della città e le usò per progettare un sistema di parchi. Altre persone, incluso Olmsted, trasformarono queste aree in attraenti parchi e aree ricreative. Guardando oggi il sistema di parchi di Boston, esso appare come qualsiasi altro sistema di parchi, ma è stato realizzato da terre inutilizzate o degradate. La grande idea di Eliot è stata di prendere il controllo di queste aree con la consapevolezza di poterle trasformare in qualcosa di bello. Patrick Geddes (1854-1932) era un filosofo, un biologo ed un pianificatore ed ebbe due grandi Fig.5
idee. La prima la chiamò “Valley section” (fig. 5). Come evoluzionista e pensatore globale, era interessato all’interrelazione tra la gente, le sue attività ed il suo ambiente: il diagramma della “valley section” esprime questa relazione. La sezione comincia dalla montagna ed arriva fino alla costa: alle altitudini maggiori, in montagna, è normale ed usuale trovare minatori, più in basso si trovano le foreste ed i boscaioli, poi i cacciatori e i pastori, ancora più in basso contadini e giardinieri ed alla fine, sulla costa, i pescatori. Il punto è che questo tipo di interrelazione uomo-ambiente non funziona o comunque richiede troppe energie o rischi troppo alti. Geddes viaggiò e lavorò in tutto il mondo, specialmente nelle aree di influenza britannica. Ebbe una seconda grande idea che ha dato forma a molti dei suoi piani, ben espressa proprio dal nome di uno di questi: “city development: a study of parks, gardens, and culture-institutes”4. Egli era convinto che la struttura primaria della forma urbana sia data dal progetto di parchi, giardini ed istituzioni culturali, mentre le aree industriali, commerciali e residenziali siano secondarie. Ebenezer Howard (1850-1928), Raymond Unwin (1863-1940), ed altri si batterono contro le terribili condizioni abitative dell’Inghilterra industriale del XIX sec. In quel periodo le case dei poveri e della classe operaia erano sovraffollate, pericolanti e malsane. Erano molti gli intellettuali che pensavano che la gente non potesse vivere a quel modo e proposero molte idee, delle quali la più importante fu la Città Giardino di Howard (fig. 6). L’idea era di ridurre le dimensioni e la densità delle città più grandi circondandole con una fascia di campagna e ricollocando gli abitanti in nuove piccole città suburbane: tutte le aree dovevano essere connesse da un efficiente sistema di trasporti pubblici. Agli inizi del XX sec. La città giardino divenne il più importante modello per lo sviluppo urbano in Inghilterra, in America e in parte dell’Europa. L’idea si è sviluppata in un generale interesse per l’efficiente sviluppo delle aree suburbane e viene ripresa dal “New Urbanism” dei giorni nostri. Le città giardino erano un’idea davvero buona per la gente che viveva nelle aree suburbane, ma hanno probabilmente contribuito al declino dei centri urbani. Warren H. Manning (1860-1938) lavorò per Frederick Law Olmested prima di sviluppare la sua carriera personale. Intorno al 1910 in America si assisté ad uno sviluppo molto interessante, che ha portato alla diffusione dell’elettricità ed all’invenzione dei tavoli fig.6 luminosi, inizialmente pensati per facilitare il ricalco. Nel 1912 Manning sviluppò il primo studio che utlizzava la sovrapposizione di mappe come metodo di analisi, più o meno come facciamo oggi. Egli sovrapponeva le mappe selezionate per ottenere nuove combinazioni di informazioni, ed in questo modo fece un piano per lo sviluppo e la conservazione per Billerica, Massachussets. Circa in questo periodo vennero realizzate le mappe nazionali contenenti le informazioni base sulle risorse del territorio e vennero messe a disposizione del pubblico. Manning si procurò un centinaio di mappe su suoli, fiumi, foreste ed altri elementi del paesaggio: sovrapponendole su un tavolo luminoso realizzò il piano del paesaggio dell’intera regione, che venne pubblicato su Landscape Architecture nel giugno 1923. Il suo piano comprendeva un sistema di future aree urbanizzate ed un sistema di parchi 4
“sviluppo della città: uno studio di parchi giardini ed istituzioni culturali”
nazionali ed aree ricreative, le strade principali e indicazione di tracciati per le strade di lunga percorrenza che tutt’oggi utilizziamo. Comprendeva cioè tutto ciò che un piano del paesaggio esauriente dovrebbe contenere al giorno d’oggi, ed è rimarchevole che Manning l’abbia fatto allora e per un’intera regione. E’ uno dei progetti più importanti, arditi, coraggiosi e creativi nella storia della nostra professione. Ho cominciato con l’esempio di Hangzou, dove è stato creato un famoso paesaggio acquatico. In Olanda è successo esattamente l’opposto: qui l’acqua è stata rimossa e nuove terre sono state create a partire dal XV sec. L’Olanda ha un paesaggio di basse altitudini: il nome “Netherlands” significa infatti terre basse. E’ frequentemente soggetta a grandi inondazioni e proprio a causa di questo pericolo sono state prese due decisioni a livello di pianificazione paesistica: una è quella di costruire dighe per contenere i fiumi, l’altra di colmare aree marine. Il paesaggio dell’intero territorio è il prodotto di queste decisioni. Diversamente dal West Lake di Hangzou, realizzato a mano ma con apparenze “naturali”, questo paesaggio è stato realizzato con le macchine e si vede; non finge di essere niente di diverso. Se ti occupi di architettura del paesaggio in Olanda impari a rispettare i piani e le linee rette: piani e linee rette hanno creato un paesaggio fortemente strutturato entro cui un disegno molto irregolare o comunque curvo potrebbe risultare conflittuale (in Cina, dove la maggior parte del paesaggio si basa su linee curve e irregolari, è la linea retta a rappresentare l’eccezione). In Olanda le necessità nazionali hanno richiesto la creazione di larghe aree di nuovi territori emersi ed un piano del paesaggio che avesse scopi economici e sociali con conseguenze visive compatibili. La prima autostrada a pagamento in America è stata costruita tra Boston e New York nel 1935. La Merrit Parkway è stata pensata per l’efficienza dei trasporti, ma venne chiamata parkway perché è stata progettata non in contrasto con il paesaggio, ma in accordo e sulla base di esso (fig. 7), con pochissimi viadotti e soltanto una galleria. Frutto del lavoro non di ingegneri ma di architetti del paesaggio, viene usata sia per le necessità di trasporto sia semplicemente per piacere, ed è importante sottolineare che la parola usata per definirla è “parkway”, non “highway” né “speedway”, né “expressway” o “thruway”. Negli anni Venti e Trenta ci furono importanti cambiamenti nelle metodologie della pianificazione paesistica, guidate da colleghi inglesi come G.E. Hutchings e C.C. Fagg che non erano architetti del paesaggio ma geometri e geografi. Essi scrissero alcuni dei primi manuali sulla pianificazione paesistica regionale. L’idea più nuova ed importante è stata di riconoscere che i paesaggi sono sistemi, costituiti da elementi complessi connessi gli uni agli altri : se si opera un cambiamento, inevitabilmente si modificano Fig.7 anche le altre parti del sistema. I pianificatori del paesaggio devono avere un’ampia e complessa comprensione del sistema per poter estendere un piano efficace, non possono essere soltanto specialisti. Negli anni Venti e Trenta iniziò la pianificazione moderna: comparvero i primi testi per educare i tecnici responsabili della parte burocratica della pianificazione. Allora gli studenti leggevano i testi, ma adesso, nel nostro sistema scolastico, pochissime persone leggono i testi. “Regional Planning” di L.B. Escritt, pubblicato nel 1943 è spesso meno di un centimetro: se i miei studenti lo leggessero imparerebbero molto più di quanto io insegni, per esempio imparerebbero come sovrapporre le mappe ed usarle per analizzare il paesaggio per precisi scopi. La tecnica è semplice ed efficace.
Dopo l’elezione di un governo socialista, nel 1947 gli inglesi resero di competenza nazionale il controllo e la pianificazione territoriale. Furono capaci di mettere a punto un ottimo sistema di pianificazione molto velocemente, perché avevano i testi per istruire i pianificatori. Garret Eckbo (1910-2000) fu uno dei più importanti architetti del paesaggio del XX sec. Un influente progettista di giardini ed un prolifico scrittore. A mio parere il suo periodo più importante fu quello in cui si occupò di progettare insediamenti a Los Angeles, California, dopo la Seconda Guerra Mondiale: progettò con grande sensibilità verso il paesaggio, ma anche rendendosi disponibile a cambiarlo. Guardando uno di questi insediamenti probabilmente ci si sentirà confusi perché Eckbo non progettava disegnando sulla carta: progettava sul territorio e decideva la disposizione delle case ed i maggiori cambiamenti del paesaggio sul posto. Scrisse un eccellente libro intitolato “Landscape for living”, pubblicato nel 1950, di cui la parte più interessante è il capitolo quindici, dove descrive le attività di progetto “from art to planning”, dall’arte alla pianificazione. Qui egli fa un’importante dichiarazione, ovvero che l’arte e la pianificazione sono la stessa cosa, ma sono espresse con tecniche differenti. Negli anni Cinquanta il presidente Esenhower decise gli Stati Uniti dovevano dotarsi di autostrade a pagamento che connettessero tutte le capitali degli stati, e diede l’incarico di progettare queste autostrade interstatali agli ingegneri. Fu un’idea buona e cattiva insieme: adesso abbiamo autostrade dritte, veloci e sicure, ma non sono molto gradevoli ed hanno spesso causato seri danni alle città ed ai paesaggi che attraversano. J.B. Jackson (1909-1996) non era architetto del paesaggio, bensì professore di studi sul paesaggio culturale a Berkley e ad Harvard. Era un geografo del paesaggio che fondò la piccola ma influente rivista intitolata “Landscape”. Egli spiegò agli americani il valore dei paesaggi ordinari: la maggior parte degli architetti del paesaggio, degli architetti e dei progettisti si concentravano sui luoghi speciali, sottovalutando l’attività quotidiana della gente comune nel creare il paesaggio. Jackson diede vita a quello che oggi è un potente meccanismo di protezione e valorizzazione di quel che chiamiamo paesaggi culturali: paesaggi ordinari con specifiche caratteristiche. Diede vita alla rivista negli anni ’50, quando l’America si stava sviluppando così velocemente da non avere il tempo di proteggere le cose che apparivano d’intralcio. Jackson cominciò il suo lavoro negli anni ’50, ma non fu che negli anni Ottanta che gli Stati Uniti avviarono un sistema di protezione dei paesaggi culturali. Il mio insegnante, Kevin Lynch (1918-1984) ebbe un’idea veramente importante: disse che i progettisti devono capire e considerare il modo in cui la gente comune percepisce il proprio ambiente. Lynch scrisse molti libri su diverse tematiche, ma il suo primo lavoro importante, ed il più importante, è “The image of the city”: per la prima volta vennero fatte interviste per capire come la gente comune interpretava la città. Lynch disse che il progetto può rendere la città più comprensibile, più chiara e definita. Riteneva che una buona città debba avere una struttura riconoscibile ed un’immagine non imposta dai pianificatori ma derivata dalla percezione di chi vive sul posto (fig. 8). Lawrence Halprin è uno dei più famosi architetti del paesaggio americani. Prima di cominciare un progetto, egli guardava il paesaggio della regione e cercava di capire i processi che avevano formato l’area su cui doveva intervenire (fig. 9) e cercava di rispecchiare questi processi nel suo progetto: un buone esempio è il suo famoso lavoro a Sea Ranch. Fig. 8 Philip Lewis dell’università del Wisconsin
ha speso la maggior parte della sua vita studiando la parte settentrionale del Mid-west, un’area di circa 1600 km quadrati. Ha realizzato molti piani per quest’area, dei quali il più importante è probabilmente quello per un sistema di parchi per lo stato del Wisconsin. Il suo studio ha dimostrato che i corridoi lungo i fiumi ed i torrenti erano i più importanti da proteggere: è stato il primo a pensare un piano del paesaggio intorno all’idea dei corridoi ambientali. (Fig. 9) Ian McHarg (1920-2001) scrisse “Design with nature”, che è probabilmente il libro più influente nel settore della pianificazione paesistica. In esso descrive come i processi naturali possano guidare lo sviluppo e include diversi progetti alle diverse scale. Quello che ritengo più importante è il piano per le Valleys. Negli anni Sessanta Baltimora prevedeva di espandersi nell’area conosciuta come The Valleys: McHarg ed i suoi colleghi capirono che potevano esserci diverse possibili strutture per lo sviluppo insediativo e studiarono quattro alternative: sapevano che piuttosto che fare un unico progetto è meglio farne diversi e confrontarli per capire qual è il migliore. Lo sviluppo non era previsto nelle pianure basse, così da poter proteggere l’agricoltura, né sui versanti ripidi e sulle sommità: era distribuito sui versanti più dolci e sugli altopiani. McHarg capì la relazione tra paesaggio, tecnica ingegneristica, scienza e sviluppo: il piano per le Valleys è un’ottimo piano del paesaggio. Verso la metà degli anni Sessanta c’è stato un grande cambiamento: Howard Fisher (1903-1979) inventò SYMAP, il primo programma pubblico di computer grafica. Nel 1963 venne ad Harvard per mettere a punto il primo laboratorio di computer grafica ed io sono stato tra i primi a lavorare in questo laboratorio. Nel 1965 quando ero Junior Professor, io e quattro studenti abbiamo realizzato il primo piano regionale utilizzando il computer: il piano di Delmarva. Abbiamo studiato un’area vicina a Washington che includeva l’intero stato del Delaware, parte del Maryland e parte della Virginia: è un’area molto grande e il compito era veramente difficile. Le mappe che abbiamo prodotto non erano belle quanto quelle disegnate a mano e furono criticate per la qualità grafica, ma non certo per il tipo di analisi che le aveva create. Avevamo capito il potere del computer nella pianificazione paesistica. Dal 1967 Fig. 9 abbiamo tecniche per mappare il terreno, per disegnare edifici e vegetazione; possiamo disegnare prospettive usando il computer. Di contro queste immagini vengono criticate perché un bravo disegnatore può disegnare molto meglio del computer, ma sappiamo bene che la tecnologia andrà migliorando. Verso la fine degli anni ’60 con Peter Roger ed i nostri studenti abbiamo fatto molti altri studi di pianificazione del paesaggio, lavori pubblicati con il titolo “A Systems Analysis Model Of Urbanization and Change”. Tutt’oggi penso che ci siano cinque cose principali di cui occuparsi: sistemi, analisi, modelli, urbanizzazione e cambiamento. Uno di questi studenti, Jack Dangermond ha fondato la ditta che ha prodotto il primo programma per la cartografia computerizzata ad essere commercializzato ed oggi il suo marchio, ESRI, è il più importante del settore. Realizzando gli strumenti che altri avrebbero usato, Jack Dangermond ha probabilmente contribuito alla pianificazione del paesaggio molto più di qualsiasi professore o pianificatore.
Sylvia Crove (1901-1997) fu uno dei grandi architetti del paesaggio inglesi. Ebbe una carriera lunga e varia nell’architettura del paesaggio ed è responsabile di un’importante idea. La Crowe ha speso molta parte della sua carriera come consigliere del governo inglese per le pratiche forestali. Cercò di scoraggiare la monocoltura e di evitare le brutte piantagioni a blocchi rettilinei che ne conseguono, sostenendo l’importanza di piantare alberi di diverse specie utilizzando forme che si accordino con la forma naturale del terreno. Scrisse una relazione intitolata “The landscape of forests and woods”, in cui fornisce esempi di approcci i alla riforestazione che tengano conto degli aspetti ecologici, della produzione economica, degli usi ricreativi e dell’estetica. Agli inizi degli anni Settanta R. Burton Litton dell’università della California ed Edward Stone, del servizio forestale degli Stati Uniti reagirono ad una nuova importante legge americana, il National Environmental Policy Act (NEPA, legge nazionale sulle politiche ambientali). Il Congresso degli Stati Uniti decise che per ottenere una maggiore protezione si facessero dei rapporti sull’impatto ambientale che tenessero conto di cose quali la qualità di aria e acqua, gli impatti biologici, comprendendo anche la qualità estetica. La nuova legge sollevò una questione molto seria: come studiare gli impatti ambientali in termini estetici? Non ci si può basare sull’opinione personale, deve esserci un metodo. A causa della legge ogni agenzia federale che si occupasse di gestione del territorio sviluppò un metodo per valutare gli impatti visuali. La prima agenzia a produrre un metodo fu il United States Forest Service, che nel 1974 propose il Visual Management System. Il Bureau of Land Management ed altre agenzie seguirono con le proprie versioni di sistemi di gestione degli aspetti visuali: come risultato abbiamo molti diversi sistemi che creano spesso confusione. Il risultato importante è che ora in America qualsiasi grande progetto viene valutato anche per il suo impatto visivo. Agli inizi degli anni Ottanta un libro molto importante fu scritto dal mio collega Richard Forman e da Michel Godron intitolato “Landscape ecology”. Il decennio degli anni ottanta fu il periodo in cui i biologi e gli scienziati della terra cominciarono a lavorare a stretto contatto con pianificatori e progettisti. In generale gli scienziati della terra capivano il paesaggio e realizzavano che esso è soggetto a subire modificazioni, ma non sapevano come proporre cambiamenti che lo migliorassero. Oggi l’ecologia del paesaggio aiuta a capire gli effetti dei cambiamenti guardando la struttura spaziale del paesaggio in termini ecologici: si tratta di uno strumento estremamente utile per la pianificazione paesistica. Forman e due dei nostri studenti scrissero un libro intitolato “Landscape ecology principles in landscape architecture and land-use planning”, che aiuta a capire i principi generali derivati dalle scienze ambientali che dovrebbero dare forma alla nostra attività di pianificazione del paesaggio. Nel 1986, per la prima volta il governo degli Stati Uniti ha promosso delle linee guida per valutare il paesaggio storico rurale, riconoscendo coì che il paesaggio rurale culturale deve essere documentato e protetto. Oggi c’è in America un ampio movimento che si occupa di identificare e proteggere questi paesaggi, che si basano su caratteristiche regionali, non quindi su un carattere nazionale americano. Nel 1983 ho organizzato un progetto con colleghi di cinque organizzazioni, lavorando attraverso internet ed è stata la prima volta che abbiamo potuto scambiarci e condividere dati, idee e direttive in maniera efficiente con questo sistema. Ogni quattro mesi ci incontravamo per mantenere i contatti personali e per prendere importanti decisioni di gruppo. Da allora non ho più pensato che i miei colleghi per una ricerca debbano essere limitati a quelli di Harvard, dove insegno: in questa ricerca ho lavorato con gente in California, Oregon, Nevada e Washington. Se la persona giusta per un lavoro è lontana non è più un grosso problema. Il progetto era uno studio di tre anni sul futuro della regione di Camp Pendleton, California, un’area che include praticamente la totalità delle aree non insediate tra Los Angeles e San Diego. L’organizzazione del progetto si è basata sulle sei domande del mio framework : “1.come può essere descritto il paesaggio? 2.in che modo lavora il paesaggio? 3.Il paesaggio funziona bene? 4.come può essere alterato il paesaggio? 5.quali differenze possono causare i diversi cambiamenti? 6.può il paesaggio essere
modificato?”. Ognuna di queste sei domande riporta ad un diverso aspetto del problema e del metodo. E’ inutile porsi soltanto la quarta domanda, tutte le domande devono essere affrontate. Per questo progetto abbiamo fatto dei modelli computerizzati di vari processi di paesaggio, inclusi modelli di suolo, idrologia, vegetazione, struttura ecologica del paesaggio, habitat faunistici e qualità visiva. Abbiamo poi realizzato diversi piani alternativi ed abbiamo usato i modelli per confrontare il loro diverso impatto. Abbiamo lavorato su un paesaggio complesso, il che ha richiesto una maggiore complessità di metodo per la pianificazione paesistica: il risultato è stato un piano più complesso ma maggiormente aderente alla realtà del luogo. Io ed i miei colleghi abbiamo appena terminato un progetto in un’area tra Messico e Arizona dove un paesaggio desertico verrà insediato e sviluppato. La zona ripariale del bacino del fiume San Pedro è un habitat particolarmente importante per gli uccelli e si suppone sia protetto da un trattato internazionale: nell’area di studio l’habitat fluviale risulta invece essere a rischio di distruzione a causa dell’abitudine della popolazione residente di pompare acqua dall’acquifero sotterraneo che alimenta il fiume. I biologi sostengono che se il livello dell’acqua scende sotto i cinque metri, gli alberi moriranno e così il fiume. Ci si aspetta che la popolazione dell’area raddoppi nel futuro prossimo, così la questione è: come procurare nuovi posti attraenti per i nuovi insediamenti senza distruggere il fiume? Il gruppo di ricerca ha prodotto un ampio ed approfondito spettro di analisi per questo complesso problema, ma come comunicare le nostre scoperte? Come mostrare alla gente che le scelte fatte ora saranno cruciali per la futura sopravvivenza del fiume? Oggi abbiamo tecniche computerizzate per collegare i modelli di analisi ai programmi di animazione, così in questo progetto ogni alternativa è stata presentata non a parole o con immagini statiche, ma come animazione, immagini in movimento (fig. 10). Abbiamo potuto mostrare il livello del fiume abbassarsi in conseguenza di diverse scelte di piano fatte oggi.
Fig. 10
Credo che stiamo migliorando nella comprensione del paesaggio che progettiamo, abbiamo molti più dati e modelli. Nel processo democratico americano, la politica è diventata sempre più complicata e di conseguenza anche i piani sono diventati più complicati. Questo crea grosse difficoltà per la gente comune nella comprensione di quello che accade oggi e di
quello che potrebbe succeder nel futuro. Se c’è una potenziale crisi, è molto importante che la gente si renda conto della situazione, altrimenti non potrà attuare vitali cambiamenti. Questa dovrebbe essere la nostra prossima maggiore sfida: rendere le complesse decisioni di pianificazione paesistica più leggibili e comprensibili, in modo da aumentare la partecipazione pubblica ed implementare le scelte che sostengono un futuro più equo e sostenibile.
RINGRAZIAMENTI. Ringrazio particolarmente Tess Canfeld per i suoi contributi editoriali e sostanziali. Molti altri hanno contribuito più o meno direttamente, specialmente coloro di cui ho utilizzato i lavori, spesso senza permesso: li ringrazio tutti. * **
Professore di architettura e pianificazione del paesaggio, Harvard University Graduate School of Design Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica, DUPT, Università degli studi di Firenze
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
ABSTRACT Il presente contributo, esaminando le politiche locali del Borough, illustra le modalità con le quali il Dipartimento diretto da Alistair Huggett ha trasformato l’area di Bankside. Nella prima parte sono richiamate le condizioni socioeconomiche di Southwark, il Borough al centro di Londra storicamente considerato povero con gravi problemi igienici ed una forte carenza di spazi verdi. Nella seconda parte si esaminano gli obiettivi e le strategie di riqualificazione adottate dal Dipartimento con una particolare attenzione agli interventi per le aree di Bankside e della nuova Tate Modern ed ai soggetti. Examining the local politics of Borough, this work explains the modality with which the Department managed by Alistair Huggett, transformed the Bankside area. In the first part recalls the social-economic conditions of Southwark, borough in the centre of London, historically considered poor, with great sanitary problems and with a strong shortage of green spaces. In the second part examines the targets and the strategies of reclamation adopted by the Department, with a particular attention for the projects for Bankside and for the new Tate Modern, and for the subjects. PAROLE CHIAVE Strategie di riqualificazione, verde urbano, piano. Reclamation strategies, urban green, plan.
IL CONTRIBUTO DI A. HUGGETT PER LA RIGENERAZIONE DI SOUTHWARK. Lucia Nucci* Alistair Huggett è il tecnico responsabile dell’ufficio di rigenerazione nel Council di Southwark. Il suo ruolo è stato fondamentale nelle varie fasi della riqualificazione. Egli ha trasferito la sua esperienza tecnica di esperto di paesaggio e progettazione urbana, nella realtà amministrativa locale, gestendo con abilità ed equilibrio le trasformazioni in atto. Il suo contributo principale è consistito nel definire una vision di sintesi sulla quale costruire la trattativa ed il consenso con i privati, necessari per l’attuazione del progetto. La vision sulla quale sta lavorando da anni, per riqualificare uno dei Borough più poveri di Londra, tende alla costruzione di una continuità di spazi pubblici o ad uso pubblico che dalle parti più interne e più degradate del Borough (Elefant and Castle…) arrivi al Tamigi, migliorando le condizioni di vita. Su questa vision Alistair Huggett ha redatto alcuni schemi sintetici. Questi rappresentano le scelte che intende perseguire l’amministrazione e che Alistair Huggett porta con sé nei tavoli di concertazione pubblico privata per coinvolge attivamente i privati che di fatto realizzeranno gli interventi. Il presente contributo, esaminando le politiche locali del Borough, illustra le modalità con le quali il Dipartmento diretto da Alistair Hugget ha trasformato l’area di Bankside. Nella prima parte sono richiamate le condizioni socioeconomiche di Southwark, il Borough al centro di Londra storicamente considerato povero con gravi problemi igienici ed una forte carenza di spazi verdi. Nella seconda parte si esaminano gli obiettivi e le strategie di riqualificazione adottate dal Dipartimento con una particolare attenzione agli interventi per le aree di Bankside e della nuova Tate Modern ed ai soggetti.
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REGENERATION A SOUTHWARK Alistair Huggett** “…Dalla rinascita di Bankside al renewal di Peckham, le trasformazioni di Southwark negli ultimi anni sono state formidabili. Un altro Borough del Sud di Londra, Southwark, può stare “proudly” nel cuore di una delle più belle città al mondo come principale destinazione turistica e come modello di rigenerazione urbana…Purtroppo spesso accade che, anche dietro esempi riusciti di rigenerazione urbana, si nasconda un ancora un residuo di povertà dell’inner-city. Noi, infatti, [nonostante i numerosi sforzi fatti] continuiamo ad essere il Council con uno dei più bassi tassi di occupazione e con alcune tra le circoscrizioni più povere […].” (Councillor Richard Porter, Executive Member for Regeneration and Economic Development, Southwark Council)
Il ruolo del Southwark Council’s Regeneration Department è quello di migliorare le condizioni del Borough, non solo quelle fisiche ed ambientali ma anche socio economiche. Questo avviene cooperando con i diversi livelli amministrativi e in partnership pubblicoprivate. Il Dipartimento usa tre strumenti per raggiungere questo obiettivo: - pianifica strategicamente durante il processo di costruzione del piano locale, l’Unitary Development Plan; - rilascia concessioni edificatorie esclusivamente per progetti di elevata qualità, ampiamente esaminati con la comunità locale; - interviene in aree degradate che sono parte di un programma di rigenerazione urbana. Il London Borough di Southwark, collocato al centro di Londra al di sotto della City lungo il Tamigi, ha una popolazione di 230.000 abitanti. Per diretto contrasto con il più importante centro economico, il Borough è tra i più poveri in Inghilterra e in Scozia con gravi problemi socioeconomici, un alto tasso di disoccupazione, un basso numero di proprietari di appartamenti ed autovetture.
Figura. 1. La sede della Greater London Authority di Norman Foster and Partners.
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Figura 2. Una veduta di Tower Bridge dalla sede della Greater London Authority.
Figura 3. Gli spazi pubblici davanti alla Greater London Authority.
La popolazione di Southwark è composta per il 22% da ragazzi al disotto dei 15 anni e solo il 43% parla inglese come seconda lingua, circa il 33% è black o appartiene ad una minoranza etnica. Recentemente 13.000 asylum seekers si sono trasferiti in questo quartiere.
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Per questo motivo i programmi di rigenerazione in corso e previsti interessano oltre il 40% del territorio del Borough.1 Fortunatamente sono stati creati 15.000 nuovi posti di lavoro anche nel turismo. Sono in costruzione più di 250.000 mq di uffici tra cui il complesso Foster Architects More London e la nuova sede della Greater London Authority (cfr. figg. n. 1, 2, 3). E’ stato previsto presso London Bridge il più alto grattacielo (70 piani) in Europa lo “Shard of Glass” (cfr. fig. n. 4) di Renzo Piano con attività miste all’interno (terziarie, commerciali, residenziali). Come dice Kenneth Powell nella sua introduzione al testo “City Reborn” “…il cielo era il limite dell’ambizione rigenerativa di Southwark – l’edificio, è stato obiettato, sarebbe divenuto il marchio della rigenerazione urbana. Ma, come ha replicato il direttore della rigenerazione Paul Evans, il progetto diviene l’immagine di un Borough dinamico ed attraente nel quale vivere […]. ”2 Vicino al London Bridge, Borough Market è un’antica istituzione dal medioevo. Dopo un periodo di declino il mercato si è reinventato come “London’s Larder”, centro specializzato di prodotti da cucina. Di grande aiuto è stato il completamento della River Walk la rete pedonale che arriva sino ai Docklands, che Peter Ackroyd così descrive (2000) “…il lungofiume è sempre percorso da molte persone, è caratterizzato dalla grande ospitalità e senso di libertà del Sud che ancora per una volta si manifesta a chi percorre questo spazio trasformandolo in uno dei più attraenti centri della vita di Londra […].”3
Figura 4. Lo “Shard of Glass” di Renzo Piano. 1
Economic Development and Strategic Partnerships Unit, Tackling Poverty, Building Prosperity, 2004, disponibile su internet all’interno del sito del Borough di Southwark. 2 KENNETH POWELL, City Reborn: Architecture and Regeneration in London, from Bankside to Dulwich, Merrell Publishers Ltd, to be published Nov. 2004. 3 Cfr. Ackroyd Peter, 2000.
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Questi cambiamenti non sono avvenuti per caso; alcuni di questi sono stati voluti dal Council, altri sono derivati da risposte del mercato. Il rischio più grande è di dimenticarsi dei problemi dei residenti. Ad esempio, l’aumento di valore dei suoli ha fatto chiudere piccole attività (studi di artisti, bar, servizi per la città con una gestione familiare), che erano il motore economico dell’area, a favore di un’omogeneizzazione delle attività. Questo articolo illustra le modalità con le quali il Southwark’s Regeneration Department ha trasformato l’area di Bankside. LA REGENERATION DI SOUTHWARK Nel 1989 il Council ha scelto un tipo di regeneration che promuovesse innanzi tutto lo sviluppo socioeconomico. Per cercare di investire le limitate risorse economiche, esso ha individuato cinque aree designate come aree di rigenerazione nell’Unitary Development Plan (UDP) del 1995: Bankside, l’area del Pool of London, Elephant and Castle, the Aylesbury e Peckham Housing Estates. A queste si sono aggiunte successivamente anche le aree di Bermondsey Spa, Canada Water e Bellenden Renewal Area. Gli obiettivi e le politiche adottate prevedono di: - stimolare ed orientare gli investimenti privati in partnership con il settore privato nelle aree prescelte, per assistere l’economia locale, migliorare l’ambiente e rispondere alle esigenze locali (Regeneration: Objective R.2); - realizzare degli spazi urbani che siano ben disegnati, accessibili a tutti, funzionali al vivere quotidiano (Environment: Objective E.2 Urban Design). Il Council non ha utilizzato una sola strategia, “one size fits all”, ma differenti strategie utilizzate singolarmente o combinate insieme: una per l’housing, una per le proprietà ed il mercato immobiliare, una per la cultura ed il turismo ed un modello misto che combina insieme diverse politiche. La scelta del tipo di rigenerazione è legata a molte variabili tra cui, la percentuale di proprietà di suolo del Council, la destinazione d’uso prevalente, le risposte delle agenzie esterne, siano esse investitori privati o agenzie con fondi pubblici.
Figura 5. La Peckham Library di Will Alsop.
Nel Peckham Programme l’intervento è prevalentemente un programma di rigenerazione residenziale. Peckham è un quartiere degli anni ‘60 densamente costruito con più di 3.500 alloggi con accessi insicuri, scarsa dotazione di servizi ed un piccolo open space. Per esso è stata costituita una partnership pubblico-privata tra il Council, il costruttore privato ed il proprietario degli alloggi sociali, Residential Social Landlords (RSL’s); con 260 milioni di Sterline di un Single Regeneration Budget (SRB – fondi del governo per la riqualificazione)
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sono stati demoliti e realizzati 2.500 alloggi con parchi e giardini per famiglie a un basso reddito. Il 40% di queste residenze sono gestite ed affittate dal Residential Social Landlords (RSL's). Sono state, inoltre, realizzate una piscina ed una biblioteca (progettata da Will Alsop e premiata nel 2000 con lo Stirling Prize for Architecture, cfr. fig. n. 5). Un programma socio economico ha contribuito alla riqualificazione del quartiere per il 126% con una riduzione del tasso di disoccupazione del 26% tra il 1994 ed il 2002 ed a dimezzare la paura del crimine. Questo programma continuerà, indipendentemente dai fondi, per assicurare il mantenimento e la valorizzazione del patrimonio pubblico con un programma di “Community Wardens” addetti a monitorare gli spazi urbani (discariche abusive, macchine abbandonate, prelievo della posta, …). L’Aylesbury Estate, il più grande complesso residenziale in Europa interamente trasferito al RSL, è un altro positivo esempio di riqualificazione residenziale. A seguito di una forte opposizione dei residenti ad un primo programma di intervento ne è stato predisposto “dal basso” un altro più ambizioso con investimenti pari a 56 milioni di Sterline. Il Bellenden Area Renewal, che ha vinto il London Tourism Award nel 2003, è un piccolo programma di rigenerazione concentrato su investimenti in residenze private, in attività economiche di piccole dimensioni, ridisegno dello spazio pubblico, combinato con un programma di riqualificazione culturale che ha visto coinvolti artisti contemporanei del calibro dello scultore Anthony Gormley e del fashion designer Zandra Rhodes.
Figura 6. Una veduta aerea di Bankside.
Un altro modello di rigenerazione adottato è quello di una partnership tra il Council ed il costruttore, dove il Council è il proprietario del suolo, degli edifici e dei permessi edificatori ed il costruttore è colui che investe il capitale con ritorni economici derivanti dal nuovo valore del suolo e dalla proprietà di alcuni nuovi edifici. La più importante è quella di Elephant and Castle per 1.500 milioni di Sterline, supportati per 30 milioni di Sterline da un SRB con un programma di progetti socioeconomici. Con lo stesso programma si intendono riqualificare Canada Water con 1.000 milioni di Sterline e Bermondsey Spa con 500 milioni. Nella parte settentrionale del Borough, per le aree di Bankside (cfr. fig. n. 6); e quelle gestite dal Pool of London lungo il Tamigi, è stato usato un altro modello di rigenerazione basato su un’offerta di uffici e sulla realizzazione di un “nuovo quartiere culturale” sfruttando la
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vicinanza della City e delle principali attrazioni turistiche di Londra (Tower of London, St. Paul’s Cathedral, Houses of Parliament, eccetera) sulla riva opposta del fiume. LA REGENERATION DI BANKSIDE Bankside è il lungofiume più antico di Londra tra il ponte dei Frati Neri, Blackfriars Bridge, ad Ovest ed il ponte di Londra, London Bridge, ad Est. La sua storia risale alle origini della città, essa era un’area di supporto per la City of London, sede degli storici teatri di Londra Globe and Rose Theatres (cfr. fig. n. 7), prima residenza per gli immigrati e sede dei principali servizi della città (ospedali, prime linee ferroviarie verso i suburbs, centrale elettrica,…). I residenti sono circa 1.800 abitanti, la maggior parte dei quali vive in appartamenti del Council o dell’housing association. La presenza dell’enorme Bankside Power Station, dismessa dal 1981 e considerata una presenza incombente nei primi anni ‘90, è stato il principale problema per lo sviluppo futuro dell’area. Vi era inoltre un considerevole numero di uffici, alcuni del Governo costruiti negli anni ‘60, altri di investitori privati costruiti nel boom edilizio degli anni ‘80.
Figura 7. Lo Shakespeare’s Globe Theatre.
L’area ha avuto differenti fasi di sviluppo urbano che hanno generato una varietà di qualità ed identità. In particolare: - il pattern stradale medievale enfatizzato da alcuni interventi nel XIX e XX Secolo; - le strade principali che collegano Bankside con le aree della riva sinistra del Tamigi (lo Strand, la City) e con le stazioni ferroviarie (Waterloo Station, London Bridge Station e Charing Cross Embankment); - i ponti che creano una discontinutà della rete dei percorsi pedonali posta ad una quota più bassa; - i viadotti ferroviari che sono una barriera per il movimento; - il lungo Tamigi aperto al pubblico tra i ponti di Blackfriars e di Southwark (cfr. fig. n. 8); - un numero limitato di pocket parks e di open spaces degradati in un contesto storicamente carente di spazi aperti.
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Figura 8. Una veduta del lungo Tamigi.
L’area è stata così descritta da Renzo Piano nel libro “City Reborn”: “…attrattiva e fascinosa con strade e piazze molto affollate, con inaspettate scale e mercati colorati e con improvvise vedute sul fiume. Essa si deve confrontare con tutti i problemi della città moderna: traffico, sicurezza, trasparenza, qualità della vita. La linea ferroviaria è un’insormontabile barriera nel cuore del neighbourhood […]. ”4 Il Council non aveva le risorse economiche necessarie per la riqualificazione di Bankside che, nel frattempo, diveniva sempre più un’area negletta e degradata. Con la designazione “di area di riqualificazione” Bankside diveniva centro degli investimenti sia pubblici (Central Government Regeneration Funding) sia privati, valorizzandone le potenzialità: da quelle terziarie, vista la vicinanza con la City, a quelle per il tempo libero (cfr. fig. n. 9). In questo processo hanno contribuito positivamente oltre all’estensione della Jubilee Line con due stazioni a Bankside (London Bridge e Waterloo), la nuova Tate Gallery of Modern Art e la costituzione della Cross River Regeneration Partnership.
Figura 9. La Bankside guide.
LA TATE GALLERY Nel 1994 i proprietari della Bankside Power Station hanno predisposto con il Council un progetto di sviluppo che è stato di importanza strategica per la rigenerazione di tutta Bankside, sia per le dimensioni del complesso sia per la sua vicinanza a St. Paul’s Cathedral 4
Cfr. KENNETH POWEL, Op. Cit.
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(cfr. fig. n. 10) ed a Trafalgar Square. Nello stesso anno la Tate Gallery voleva aprire una nuova galleria per le nuove collezioni di arte moderna. In collaborazione con il Southwark Council è stata prescelta questa area, tra molte possibili al centro di Londra per la nuova stazione della metropolitana e per i numerosi interventi infrastrutturali in corso di realizzazione. La Tate ha chiesto ed ottenuto dalla Millennium Commission e da English Partnerships5 l’acquisto, per 50 milioni di Sterline, della derelict land (il suolo dismesso) e dell’edificio. Nei successivi cinque anni è stato portato avanti il programma per trasformare la centrale in una Galleria, centro culturale di importanza mondiale, secondo un modello utilizzato anche per il Guggenheim di Bilbao ed per la Peckham Library di Southwark. Questo approccio è stato oggetto di studio da parte della DTZ Pieda Consulting per comprendere gli effetti economici derivanti dall’industria della cultura e del tempo libero (arti visive, performance, audio-visivo, interactive media, pubblicità e musica).
Figura 10. Il Millenium Bridge di Foster and Partners e la Tate Modern di Herzog & de Meuron.
In questi anni Southwark non aveva una urban design strategy o proposte per la sistemazione degli spazi pubblici, ad esclusione di alcune previsioni generali già contenute nell’UDP. Nel 1995 sono state predisposte ed approvate dalla Regeneration and Environment Committee alcune indicazioni per assicurare un ricco mix funzionale nel rispetto dell’identità locale, una qualità di disegno del costruito degli spazi pubblici e per favorire l’accessibilità ed il movimento ai pedoni. Queste erano rispettivamente: - favorire la riconoscibilità di Bankside; - promuovere una varietà di usi con l’inserimento di attività differenziate per la sicurezza negli spazi pubblici sia di giorno che di notte (commercio al piano terra, residenza ai piani superiori, studi professionali, spazi espositivi); 5 English Partnership è l’agenzia del Governo per la rigenerazione. Per il ruolo svolto da English Partnership Cfr. LUCIA NUCCI, Reti verdi e disegno della città Compemporanea la costruzione del nuovo piano di Londra, Gangemi Editore, 2004.
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promuovere un’offerta di spazi per attività che abbiano differenti caratteristiche e dimensioni (dalle botteghe per gli artisti sotto le arcate della ferrovia, alle gallerie d’arte,…) - favorire l’accesso all’interno dell’area con misure per il traffico e per il trasporto pubblico; - valorizzare l’attuale pattern stradale e la dimensione pedonale anche studiando le vedute prospettiche; - facilitare un accesso “in sicurezza” ai nodi di scambio anche limitando la pedonalizzazione; - integrare le piste ciclabili nel piano del traffico, prevedendo aree di sosta in corrispondenza delle principali attrazioni turistiche; - integrare il nuovo disegno della Tate Gallery con il contesto, utilizzando i benefici economici derivanti dalla presenza della galleria; - favorire l’accesso agli open space esistenti e di progetto, compreso il lungo Tamigi. Il finanziamento, un Single Regeneration Budget (SRB), è arrivato alla Cross River Partnership, una partnership pubblico privata costituita per questo progetto di rigenerazione, secondo le modalità previste dal Governo attraverso Government Office for London (GoL).
LA CROSS RIVER PARTNERSHIP Questa Partnership, costituita nel 1994, comprende quattro Boroughs (Southwark e Lambeth al di sotto del Tamigi e City of Westminster e City of London, al di sopra del Tamigi), rappresentanti dei gestori di reti, organizzazioni di volontariato, imprese sociali. Come già richiamato, essa ha il compito di permettere l’accesso ai fondi del Governo, i Single Regeneration Budget (SRB), per raggiungere i seguenti obiettivi: - potenziare gli accessi e le connessioni tra la riva sinistra e la riva destra del Tamigi; - rigenerare South Bank per spostare le pressioni di sviluppo della riva sinistra sulla riva destra del Tamigi favorendo l’occupazione nella parte meridionale più povera; Nel 1995 ha ricevuto 8.3 milioni di Sterline con un SRB per progetti per l’ambiente, l’accessibilità ed attività sociali, nel 1996 altri 4 milioni di Sterline per completare la rete della viabilità e per attuare il programma per gli Open Space. La Partnership ha inoltre finanziato altri progetti come il Millennium Bridge, il ponte pedonale che collega la Tate Modern con St. Paul’s Cathedral (cfr. fig. n. 11), il Traffic Management Schemes ed il marketing. Per massimizzare i benefici derivanti dagli interventi di rigenerazione, nel 1995 il Southwark Council ha favorito un Environmental Improvement Programme (EIP) che prevedeva investimenti pari a 3 milioni di Sterline in quattro anni per la realizzazione di progetti di interconnessione tra le strade principali, di landmarks nel paesaggio urbano e per cicli di conferenze e dibattiti su questioni legate al disegno degli spazi urbani. Questi programmi sono stati predisposti in forma tra loro integrata, con una grande partecipazione dei residenti, utilizzando anche le proposte derivanti da recenti studi come quello di Llewelyn-Davies del 19936. Il Council nel 1995 ha inoltre commissionato a Martin Caldwell Associates il Bankside Economic Study che definiva le differenti modalità di intervento da parte del Council per favorire sia l’inserimento di nuove residenze, sia l’uso pubblico dei piani terra anche con attraversamenti pedonali interni tra negozi. Altre raccomandazioni riguardavano le conseguenze dell’apertura della nuova Tate e del nuovo ponte; per i pedoni la strategia era quella di costruire una continuità lungo il fiume che intercetti le principali attrazioni turistiche e i nodi del trasporto pubblico.
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Studio commissionato da Bankside Employers Forum che ha dimostrato l’immagine negativa che aveva quest’area sia per i residenti sia per coloro che lavorano nella zona.
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Figura 11. Il Millenium Bridge di Foster and Partners e St. Paul’s Cathedral.
Un programma di incontri con i residenti ha favorito la condivisione e la riuscita del progetto di riqualificazione. L’aver costituito sul luogo il Bankside Residents Forum ha dato ai residenti un ruolo forte nella trattativa e nell’agenda politica. Il Council ha preferito elaborare delle “proposte per lo spazio pubblico” piuttosto che un masterplan predefinito, poiché, non avendo una grande quantità di suolo pubblico, ha preferito utilizzare il suo potere definendo e modificando le destinazioni d’uso e le localizzazioni. Era necessario costruire un strategia di progetti sia per rispondere alla domanda dei residenti, sia per selezionare i progetti ed attuarli. Nel 1995 il Council commissiona il Bankside Transport Study (Urban Initiatives), uno studio sul traffico, largamente condiviso con i residenti e i soggetti locali. Le strategie dello studio sono divenute la base del Council's Bankside Street Improvement Programme che prevede la riqualificazione di alcuni percorsi pedonali, favorendo investimenti anche per edifici esistenti e per spazi abbandonati. Lo studio ed il programma sono parte di altri due programmi di rigenerazione: il primo per valorizzare Bankside, dando un’identità all’area ed attivando il mercato immobiliare, il secondo, la Southwark Design Initiative, che ha avviato la prima fase del Bankside Street Improvement Programmeed. Pur non essendovi un masterplan era chiara la strategia: localizzare i potenziali progetti e fornire garanzie sulla loro fattibilità sia sociale che economica. La “Strategy” comprendeva i principi di urban design dell’UDP, le raccomandazioni degli studi economici, le ricerche sul trasporto e sull’accessibilità, le strategie di marketing e le strategie per il ricettivo, lo street improvement programme. L’approccio incrementale proposto dal Council favorisce l’evoluzione delle idee e dei programmi al variare delle esigenze di mercato e della domanda dei residenti. Esso richiede che vi sia il totale consenso tra i soggetti (residenti, amministratori, politici,…). Questo approccio è stato scelto per la generale incertezza sulla disponibilità di fondi, sul numero dei visitatori della Tate Modern7, su alcune infrastrutture programmate dal Sindaco 7
Inizialmente erano stati stimati 1.5 milioni di visitatori contro gli attuali 5 milioni.
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(potenziamento della rete ferroviaria), sulla natura imprevedibile del mercato. Per esempio un imprenditore presenta una planning application per un edificio con un uso residenziale, terziario o alberghiero e poi il mercato decide quale è più redditizio e generalemente diviene ufficio. LA SOUTHWARK DESIGN INIZIATIVE La Southwark Design Initiative (SDI) 8 è stata fortemente voluta dal Department of Environment's Urban Design Campaign per promuovere lo sviluppo e la riqualificazione ambientale9. Lanciata nel 1996 con una collaborazione tra Southwark Council, la Architecture Foundation ed il Government Office for London (GoL), questa ha seguito lo stesso modello proposto dalla Architecture Foundation tra anni prima a Croydon nel sud di Londra, dove 15 architetti hanno esibito proposte progettuali che sono state successivamente realizzate. L’Architecture Foundation ha organizzato la SDI e la mostra “Future Southwark”, favorendo anche un’immagine di Bankside come quartiere culturale. Sono state scelte otto aree che contenevano grandi trasformazioni, spazi pubblici ed highways. Su cento architetti che hanno proposto un portfolio, ne sono stati scelti otto, in base al curriculum professionale. I progetti, tutti realizzati ad eccezione di uno su suolo privato, sono stati selezionati in base alla loro fattibilità economica ed alla loro rispondenza alle esigenze locali dei residenti. Per vedere realizzati i progetti in un tempo ragionevole, l’Amministrazione deve essere concreta. Nella versione finale tutti i progetti volevano avere una forte rispondenza ai caratteri dei luoghi. I progettisti, non avendo un masterplan cui attenersi, hanno cercato le soluzioni specifiche più adatte ai singoli contesti. Gli obiettivi del Council erano quelli di migliorare la qualità degli spazi pubblici e la loro immagine all’esterno e dare una riconoscibilità a Bankside, area centrale di Londra, che possa stimolare gli investimenti. Questi in sintesi gli obiettivi prefissati: - coinvolgere i residenti nella costruzione del progetto; - cercare di essere premiati a livello metropolitano per l’urban design; - sviluppare un nuovo “quartiere” nel centro città con un patrimonio pubblico riconoscibile ed attraente; - proporre ai media ed al pubblico una nuova immagine del quartiere con attività artistiche e culturali; - sperimentare le innovazioni legate al disegno ed alla realizzazione degli spazi pubblici; - utilizzare al meglio i 2.65 milioni di Sterline disponibili. Tutti i progetti avevano dei temi comuni per la presenza dei residenti che assicuravano il raggiungimento delle soluzioni di lungo periodo (la sicurezza degli spazi, la specificità di ciascun luogo, la connessione e la continuità pedonale ai piani terra, l’uso dell’illuminazione, l’inserimento di elementi artistici). Tutti i progetti sono stati esposti, alla mostra “Future Southwark”, ed esaminati dalla stampa, dai media e da alcuni progettisti, promuovendo così all’esterno l’immagine dell’area. Il Council è stato successivamente considerato un cliente innovativo, come è dimostrato dai due premi vinti (RIBA Regional Award nel 1999 e RIBA Client of the Year Award nel 2002). Questa esperienza è stata particolarmente utile per il Concil per vari motivi. La priorità ed il disegno degli spazi del pedone erano il centro dell’iniziativa. Questi due temi hanno costretto i progettisti ad utilizzare le teorie del disegno più che lo “urban 8
ROSS MOFFATT, The Southwark Design Initiative – A Design Led Approach to Public Realm Improvements in Bankside, MA thesis in Urban Design, University of Westminster, London 2001. Ross Moffatt è stato uno dei consulenti della Greater London Authority per il nuovo piano di Londra. 9 Un ulteriore supporto è derivato dalla Thames Strategy del 1995 con le guidelines allo sviluppo del lungo Tamigi.
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pragmatism” che in genere li porta a realizzare soluzioni spaziali modeste. Un team ha sviluppato il concetto “shared ground” per il disegno degli spazi pubblico privati studiando la percezione dei margini degli spazi, tema che è stato molto apprezzato. In secondo luogo ciascun progetto seguiva un suo approccio locale senza una particolare attenzione alle strategie generali per l’area. L’assenza di un masterplan se ha favorito una maggiore creatività tuttavia ha determinato un risultato d’insieme che non sembra corrispondere a ciò che il Council si proponeva di raggiungere. I politici locali avevano pareri discordanti sul percosro progettuale. Alcuni pensavano che fosse un processo razionale e che i residenti erano coinvolti, altri invece che vi fosse coinvolta solo un’elite. Inoltre gli elaborati sembravano più adatti per le riviste di architettura che non per comunicare alla gente comune. Di conseguenza i residenti non riuscivano ad esprimere le loro perplessità durante il processo consultivo e spesso esprimevano alla fine parere negativo. Uno degli obiettivi dello SDI era quello di attirare l’interesse dei media e del pubblico proponendo Bankside e Southwark come luoghi con un ambiente urbano stimolante e con un disegno degli spazi innovativo. Il livello di interessamento da parte dei media è stato altissimo, sono stati scritti articoli sui quotidiani, sulle riviste specializzate e sulle guide turistiche di Londra. Questo fermento culturale, inizialemente legato alla Tate ed al Millennium Bridge, ha permesso di modificare l’immagine del quartiere, da neighbourhood degradato a quartiere culturale al centro di Londra. L’impatto di questa nuova immagine ha prodotto in termini di investimenti più di 250.000 mq. di nuovi edifici, sei alberghi e nuove residenze. La legittimità di questa operazione ha diverse implicazioni per la costruzione dei prossimi progetti a Bankside ed a Londra. La Architecture Foundation ha utilizzato questo format in altri Boroughs come “roadshows”. I successivi progetti per Southwark hanno visto lavorare insieme i progettisti con gli ingegneri, in particolare per i disegni di dettaglio e per le fasi di realizzazione per assicurarne la fattibilità e la durabilità nel tempo. Questo significa in un “pragmatic urbanism” avere una maggiore attenzione agli abitanti fruitori degli spazi, piuttosto che alla veste grafica degli elaborati10.
Figura 12. La Gambia Street Playground.
La rigenerazione di Bankside non riguardava solo grandi progetti e programmi. Ne è un esempio il ruolo avuto dalla Bankside Open Spaces Trust (BOST) nella rigenerazione degli open spaces and parks pubblici. BOST era in origine un soggetto, appartenente al Bankside Residents Forum, che riuniva persone interessate a migliorare gli open spaces di piccole dimensioni nell’area di Bankside. Il Council ha supportato la sua costituzione come 10
Su quattro gruppi di progettisti solo tre hanno successivemente stipulato contratti con il Council per i progetti del programma di rigenerazione.
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charitable trust, con il compito di aiutare le comunità locali a migliorare e mantenere gli open spaces. Il BOST ha costituito dei resident gardening clubs, ha premiato alcuni progetti locali ed ha organizzato eventi nei parchi (cfr. fig. n. 12). Queste iniziative hanno riscosso un grande successo tanto da far divenire il BOST oggetto di un progetto pilota del Gabinetto del Primo Ministro per il loro lavoro innovativo con i street drinkers, coinvolgendoli nella manutenzione e gestione di un parco vicino all’ostello. Come altri programmi di rigenerazione a Southwark i progetti spaziali sono strettamente collegati a programmi socioeconomici. Questi sono basati sulla creazione di posti di lavoro, attività di tirocinio e di aggiornamento, supporto economico allo sviluppo, specialmente per i black e le minoranze etniche, investimenti interni, sviluppo e promozione turistica. Vi è, per esempio, un Workplace Co-ordinator Programme che trova un lavoro ai disoccupati e li supporta per un periodo di tempo, 500 residenti dal 2000 hanno trovato un lavoro in differenti discipline (finanza, business administration, settore turistico ricettivo, settore artistico e culturale, medico sanitario, edilizio). Un altro programma favorisce i single parent11 a trovare un lavoro con agevolazioni per i bambini come “home-based project” che forniscono forme di assistenza residenziale o condominiale per genitori con lavori flessibili. I fondi per questi programmi possono derivare dall’European Social Fund, dal Neighbourhood Renewal Fund, da SRB oppure da finanziamenti privati o del Council. Il successo legato al processo di rigenerazione, come ha detto il Councillor Richard Porter, ha prodotto altri problemi. Il ruolo, ad esempio, dei tall buildings nella città, tema attualmente presente nel dibattito internazionale, oggetto della mostra “Tall Buildings” al MOMA di New York12, ed a Londra. L’area di Bankside è divenuta di recente oggetto di interesse da parte di alcuni costruttori, ma con una forte opposizione sia da parte dei residenti contro le torri residenziali vicino alla Tate che da parte del Council contro otto torri residenziali vicino a Tower Bridge. La necessità di una struttura urbana costituita da tall buildings è apparente. In ogni caso il Council sta attualmente facendo una forte opposizione per definire ciò che è “tall” o “very tall” building e circa il ruolo di questi nella città (questioni di densità/sostenibilità, prestigio/profilo, landmarks/skylines etc). Il Greater London Authority Policy Team deve definire quali siano le aree più appropriate per localizzare questi edifici. Il dibattito ha proposto non solo questioni estetiche, ma temi relativi all’organizzazione dello spazio pubblico (strade principali, nodi, barriere, tunnels). Gli esiti del dibattito in corso saranno assunti nelle politiche del Council, in particolare per il nuovo Unitary Development Plan (UDP) e per la Bankside Supplementary Planning Guidance13 cosi come nel Draft London Plan. Fondamentale è il ruolo delle prossime politiche per continuare l’evoluzione di Bankside. Infatti uno studio della DTZ Pieda ha dimostrato come la gestione del cambiamento e la percezione dell’area siano le priorità per il Council. Questi cambiamenti si sono concentrati sull’importanza dell’industria culturale per l’occupazione che è aumentata tra il 1991 ed il 2002 dell’80% (9.400 contro 17.300). Questa crescita non è dipesa dall’economia locale. Il mercato residenziale dagli anni ‘90 è stazionario a seguito della costruzione di più di 1.100 appartamenti, di cui l’85% privato ed il 15% social housing, in parte costruiti in edifici nuovi in parte ricavati dalla conversione di magazzini ed edifici industriali. Quest’area centrale di Londra offre un alloggio di facile accessibilità ad un prezzo competitivo. Lo studio ha dimostrato come Southwark stia divenendo il principale mercato di uffici della Central London per l’aumento dell’accessibilità combinato con la crescita del mercato residenziale, delle attivtà commerciali di dettaglio, delle attrezzature culturali e del tempo libero (in particulare la Tate Modern), insieme con il cambiamento dell’immagine dell’area. Il 11
I single parent sono donne o uomini soli con figli a carico che a Southwark sono il 60% dei residenti. Museum of Modern Art, Tall Buildings, cfr. http://www.moma.org/exhibitions/2004/tallbuildings/index_f.html. 13 The Southwark Plan, The first Draft for Deposit Unitary Development Plan, Southwark Council, November 2002. Disponibile su internet all’interno del sito del Borough. 12
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costruttore di Palestra, un intervento speculativo di 50.000 mq., ha scritto nella brochure “…le eccezionali amenities di Southwark, gli efficienti mezzi di trasporto, combinati con affitti e tassi ragionevoli rispetto alla Central London, attirano i principali investitori ad aprire nuove attività […]”. L’architetto del progetto Palestra, Will Alsop, ha dichiarato che “…l’apertura della Tate Modern ed il potenziamento dei mezzi di trasporto – la Jubilee Line Extension e la futura stazione Thameslink 2000, con i collegamenti con gli aeroporti di Luton e Gatwick rendono Southwark uno dei più dinamici centri di crescita culturale e commerciale di Londra […].” Lo sviluppo St. Christopher’s House è stato attuato con una Section 106 agreement che assicura, all’interno di un intervento commerciale di 80.000 mq., un 10-15% di spazio destinato ad attività culturali. Questa richiesta del Council contenuta nella trattativa deriva dalla prossimità con la Tate Gallery. E’ impossibile anticipare quale sarà il futuro di Bankside, soprattutto per un’area così legata al ruolo di Londra come città mondiale e centro finanziario. Il resto di Southwark, prevalentemente residenziale, è relativamente immune agli andamenti del mercato mondiale. L’economia di Bankside può subire un andamento negativo per il mercato degli uffici o del turismo. La diversificazione negli usi sarà fondamentale per assicurare una rigenerazione sostenibile, cosicome lo sarà il ruolo del Council all’interno dei meccanismi del sistema di pianificazione urbanistica, sia per la determinazione delle planning applications che per le politiche del nuovo UDP ma anche nel rispetto della democrazia e del coinvolgimento della comunità senza la quale non si può sostenere alcuna rigenerazione. Come scrive Kenneth Powell “…All’inizio del XXI Secolo Southwark è certamente [un Borough] importante e vario, la sua rinascita sociale ed economica si riflette in alcune delle più belle architetture di Londra. Più importante della qualità di ciascun edificio però è il modo con il quale questi contribuiscono ad arricchire, valorizzandolo, il patrimonio pubblico. I Landmarks sono importanti ma nel futuro il cambiamento per gli architetti [e per i Council] che lavorano a Southwark rimane rivolto alle questioni locali, l’housing continua ad essere la priorità…” Southwark continua ad essere ancora uno dei Boroughs più degradati, con problemi sociali ed economici. La sfida è rimasta la stessa!
* Lucia Nucci, Università di Roma Tre. **Alistair Huggett BSc; Dip LA; MLI; MA; MSc - Framework and Implementation Manager in the Economic Development and Strategic Partnerships Unit of the Regeneration Department of Southwark Council. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Tutte le fotografie appartengono alla Borough of Southwark, Regeneration Department, Economic Development and Strategic Partnerships.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre del 2004. Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
POLITICHE E AZIONI LOCALI PER IL VERDE URBANO A LONDRA Lucia Nucci*
Summary In the U.K., particularly in London, is in progress, from some years, a cultural and administrative reform that concern the government, the urban transformations and the policies for open spaces. Actually, the debate is focusing on how to translate in local policies the many directions of the reform and on the results of the early experiences of urban retraining. This report examines the local policies for open spaces promoted by Borough of Southwark, to show how the accomplishment of the continuity of open space, that is provided by the new plan of London, it’s realizing starting “from down”, with local policies and decisions. The reading of recent documents shows the big technical experiences acquired through the years by the local administrations of Boroughs, that knows the limits of the administrative system on law. They make all the possible experiments to go over these limits, treating the subject of several policy levels on equal terms and using their accurate knowledge local reality and metropolitan reality. Key-words Urban retraining, open spaces, plan.
Abstract In Gran Bretagna, in particolare a Londra, è in corso di attuazione da alcuni anni una riforma culturale ed amministrativa del Governo, delle trasformazioni urbane e delle politiche per il verde. Attualmente il dibattito è concentrato sul come tradurre in politiche locali le numerose indicazioni della riforma e sui risultati delle prime esperienze di riqualificazione urbana. Il presente contributo, esaminando, a titolo esemplificativo, le politiche locali per il verde promosse dal Borough di Southwark, vuole mostrare come attualmente la continuità degli spazi verdi prevista dal nuovo piano di Londra si stia attuando e realizzando dal basso con politiche e decisioni locali. La lettura di alcuni recenti documenti ha messo in evidenza la grande esperienza tecnica acquisita negli anni dalle amministrazioni locali dei Boroughs che conoscono i limiti del sistema amministrativo in vigore e sperimentano quanto possibile per superarli con un rapporto paritario tra soggetti amministrativi di livello diverso ed una precisa conoscenza della realtà locale e della realtà metropolitana. Parole chiave Riqualificazione, verde urbano, piano.
* Università di Roma Tre.
GLI ORIENTAMENTI GENERALI In Gran Bretagna, in particolare a Londra, è in corso di attuazione da alcuni anni una riforma culturale ed amministrativa del Governo, delle trasformazioni urbane e delle politiche per il verde. Nel 1999 l’Urban Task Force ha proposto indirizzi per la riqualificazione delle città inglesi ed in particolare di Londra al Ministero dell’Ambiente dei Trasporti e delle Regioni1, questi indirizzi hanno stimolato da tempo un dibattito ed una catena di documenti e di decisioni a tutti i livelli amministrativi2. In risposta il Ministero ha prodotto un documento, l’Urban White Paper3 (2001), con gli impegni programmatici del Governo in materia di riqualificazione urbana. Nel 2002 l’Urban Green Space Task Force ha proposto, per migliorare la qualità dei parchi urbani, cinquantadue raccomandazioni contenute nel documento Green Space, Better Place4 che hanno dato luogo alla revisione da parte del Governo di alcuni documenti base della pianificazione nazionale tra cui: la Planning Policy Guidance Note (PPG 17); on Planning for Open Space, Sport and Recreation. A Londra, ripristinata nel 2000 la Greater London Authority (GLA), è stato adottato il nuovo piano: The Draft London Plan (2002-2004). Nel contempo alcuni Boroughs della città hanno avviato la sperimentazione delle tesi dell’Urban Task Force con interventi realizzati nei quartieri poveri dell’area centrale e consolidata (Southwark, South Bank) ed in ex aree industriali contaminate (la Greenwich Peninsula con il Dome e con il Greenwich Millenium Village)5. Attualmente il dibattito è concentrato sul come tradurre in politiche locali queste numerose indicazioni e sui risultati delle prime esperienze di riqualificazione urbana. Il presente contributo, esaminando, a titolo esemplificativo, le politiche locali per il verde promosse dal Borough di Southwark, vuole mostrare come attualmente la continuità degli spazi verdi prevista dal nuovo piano di Londra si stia attuando e realizzando dal basso con politiche e decisioni locali. Nella prima parte sono sinteticamente richiamate le politiche che propone il nuovo piano di Londra per costruire una rete verde urbana continua; la GLA ha infatti definito l’obiettivo generale e le azioni che, a questo fine, devono perseguire i Boroughs locali. Nella seconda parte si esaminano le direttive specifiche e le scelte progettuali per il verde di due documenti (2002-2003) del Borough di Southwark che hanno dato luogo alla 1
Urban Task Force, 1999, Towards an Urban Renaissance, Taylor and Francis Group PLC. Cfr. Il “rinascimento urbano” a Londra: documenti e casi di studio, II parte, pagg. 47-244, in LUCIA NUCCI, Reti verdi e disegno della città contemporanea la costruzione del nuovo piano di Londra, Roma, Gangemi Editore, 2004. 3 Our Towns and Cities: The Future Delivering an Urban Renaissance, Department of Environment, Transport and Regions, DETR, 2001. 4 Urban Green Space Task Force, 2002, Green Spaces, Better Places – Report of the Urban Green Space Task Force, Department of Transport, Local Government and the Regions, 2002. 5 Cfr. Il “rinascimento urbano” a Londra: documenti e casi di studio, II parte, pagg. 161-244, in LUCIA NUCCI, 2004, op. cit. 6 Mayor of London, The Draft London Plan: Draft Spatial Development Strategy for Greater Londo, London, giugno 2002, Greater London Authority. 7 Nel Luglio 2003 è stato pubblicato, il terzo documento del percorso di costruzione del Piano: Draft London Plan, Examination in public: panel report, Luglio 2003, GLA. Nel Febbraio 2004 è stata pubblicata la risposta della GLA alle osservazioni del Panel. 8 Cfr. II parte, cap. 4.1., in L. Nucci, 2004, Op. Cit.. 9 Il piano fa tesoro delle difficoltà di attuazione che hanno avuto i precedenti strumenti. Per il verde ad esempio una specifica politica facilita il coordinamento tra più Boroughs per la realizzazione delle reti verdi per evitare che nelle zone di confine sia interrotta la continuità. Anche il concetto dello standard e delle aree di influenza sono reinterpretate passando da una logica puntiforme ad una logica reticolare-sistemica. 10 Le politiche hanno come soggetto il Sindaco e l’Amministrazione come soggetti che in prima persona vigilano sull’attuazione del piano. 11 Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, Op. cit., pag. 7-11. 2
realizzazione della rete verde locale, oggi pressoché completata: l’Unitary Development Plan e la Open Space Strategy6. La lettura di questi ultimi documenti ha messo in evidenza la grande esperienza tecnica acquisita negli anni dalle amministrazioni locali dei Boroughs che conoscono i limiti del sistema amministrativo in vigore e sperimentano quanto possibile per superarli con un rapporto paritario tra soggetti amministrativi di livello diverso ed una precisa conoscenza della realtà locale e della realtà metropolitana. Circa il rapporto paritario tra soggetti di livello diverso in Gran Bretagna vi è una chiara divisione dei ruoli: l’organismo di governo metropolitano, la Greater London Authority, fornisce indicazioni strategiche che sono e devono rimanere generali, quello di governo locale, il Borough, predispone immediatamente indicazioni/azioni attuative specifiche sul territorio, senza aspettare la formale approvazione dello strumento di livello superiore. Durante la costruzione del Nuovo Piano, mentre la GLA definiva gli obiettivi e le grandi strategie di riqualificazione urbana, alcuni Boroughs hanno avviato, con sperimentazioni progettuali, le azioni locali per raggiungere questi obiettivi. Questa organizzazione amministrativa ha molti vantaggi, in quanto consente immediatamente la disponibilità di casi di livello locale nei quali si verificano le questioni generali e gli indirizzi posti dal piano, nel corso della loro definizione. La stessa chiarezza nei ruoli e compiti e di collaborazione tra livelli di governo è riscontrabile negli altri livelli amministrativi: statale e regionale. La chiara conoscenza che i Boroughs hanno della realtà locale e metropolitana è dovuta alla grande esperienza acquisita negli anni in cui era assente un soggetto di livello metropolitano, come la GLA, durante i quali si trovavano a dover discutere con soggetti con competenze settoriali (London Ecology Unit,…) dovendo costruire loro una sintesi o gestire localmente le grandi realizzazioni statali che erano spesso avulse dal contesto locale. La conoscenza della realtà ha comportato che questi soggetti abbiamo costruito da subito una vision locale, una strategia che li guida sia nelle trattative con i privati per la concessione dei diritti edificatori, sia negli studi e nelle ricerche che commissionano ai consulenti. Questa esperienza permette di comprendere il ruolo che deve avere un soggetto sovraordinato come la GLA, ad esempio, per coordinare tra loro i diversi Boroughs nel realizzare la continuità urbana del verde. Il piano chiede loro di costruire la continuità del verde dal basso, ma un Borough può solo partecipare a titolo consultivo ai lavori di predisposizione dello UDP di quello confinante. Spetta alla GLA assicurare la coerenza e la continuità del verde proposto dai singoli Boroughs. Questa esperienza ha inoltre consentito ai Boroughs di definire specifiche tipologie di verde, le forme di tutela, standard, usi più rispondenti alle esigenze locali, pur nel rispetto del disegno complessivo cui tende il piano generale. Il nuovo piano di fatto riconosce al livello locale queste facoltà ed infatti delega ai Borough di definire questi temi che, nei piani precedenti, erano gestiti unicamente in modo centrale dal GLC. LE DIRETTIVE DEL NUOVO PIANO DI LONDRA PER IL SISTEMA DEL VERDE Nel Draft London Plan7 una visione sistemica reinterpreta la tradizione inglese del disegno del verde urbano alla luce dello sviluppo sostenibile. Sono rielaborati in questa nuova versione ed in una prospettiva programmatica di città contemporanea compatta e sostenibile, la maggior parte dei temi presenti nei precedenti piani (la continuità del verde, dalla porta di casa ai grandi parchi utilizzando anche i left over space, l’organizzazione sistemica, lo 6 L’Unitary Development Plan è il piano urbanistico del livello locale del Borough. E’ un documento composto da un testo e da alcuni elaborati. Il testo illustra gli obiettivi e le politiche che l’amministrazione locale vuole raggiungere. Gli elaborati rappresentano in forma prescrittiva sul territorio le indicazioni delle politiche. La Open Space Strategy è il documento che il Nuovo Piano di Londra ha chiesto a tutti i Boroughs per realizzare la continuità del verde. 7 Mayor of London, The Draft London Plan: Draft Spatial Development Strategy for Greater London, London, giugno 2002, Greater London Authority, pubblicato e disponibile su internet all’interno del sito della Greater London Authority, downloaded luglio 2002.
standard, la gerarchia degli spazi verdi, gli usi, la domanda sociale, gli spazi environmentally pleasant, un’organizzazione per centralità di verde e spazi pubblici costruiti di diverso livello). La continuità, la permeabilità, l’integrazione funzionale e relazionale in un sistema verde a rete degli open space8, utilizzando spazi residuali non edificati e piccoli parchi, è la politica strategica che rende particolarmente innovativo questo documento. Il piano scopre le potenzialità che hanno le aree libere residuali nel collegare tra di loro le aree verdi consolidate e più estese e gli spazi pubblici delle città, trasformando i singoli elementi in sistema verde. A tutti i Boroughs è richiesto di perseguire la riconnessione funzionale e fisica degli open space, all’interno della rete, e verso il più ampio spazio pubblico. La continuità della rete verde viene quindi costruita prevalentemente “dal basso” e “dall’interno” della città, considerando le esigenze delle comunità locali. Due ulteriori orientamenti di qualificazione del sistema del verde rispetto alle esigenze della città appaiono innovativi: l’allargamento del concetto di sistema del verde a comprendere anche gli spazi pubblici urbani naturali ed artificiali; l’arricchimento del concetto di continuità spaziale del sistema del verde con quello di integrazione degli usi sociali, necessari e fruibili nel corso delle ventiquattro ore e di sedi della mobilità lenta. Il sistema del verde è composto da più tipi di aree, con dimensioni, caratteri e ruoli diversi. La Green Belt, lo storico “grande anello verde non urbanizzato” di cintura (36.423 Ha), composto da aree agricole, aree boscate ed aree per attività ricreative, prevalentemente di proprietà pubblica, contiene oltre dodicimila ettari di vacant land prive o in attesa di usi specifici. Il nuovo piano, a fronte delle tendenze compromissorie e di riduzione degli anni ‘80-‘90, ne accentua la tutela e ne propone parziali ampliamenti. La Metropolitan Open Land (MOL), composta da isole o limitati cunei verdi che penetrano dai margini verso le aree centrali urbane, con rilevante incidenza per l’articolazione della forma complessiva della Greater London, comprende diversi tipi di parco pubblici e privati, spesso di formazione storica. Il piano vieta ogni alterazione dei perimetri e degli usi delle aree della Metropolitan Open Land e fornisce criteri per promuoverne l’estensione. Le aree componenti sono portate a sistema, nella dimensione metropolitana ed in quella locale, da elementi lineari con ruoli di “connessione”: la Blue Ribbon Network, i green corridors e le green chain. La Blue Ribbon Network costituita dalle vie d’acqua naturali, il Tamigi ed i suoi dodici affluenti, ed artificiali, i canali navigabili, il Grand Union Canal e il Lee Navigation. In una specifica direttiva del piano si stabilisce come sia importante che il disegno della città e della regione metropolitana debba partire dalla rete delle vie d’acqua, la Blue Ribbon Network, in termini di usi, di immagine e di attrezzatura dello spazio pubblico. I green corridors e le green chains non sono rappresentati negli elaborati del piano ma individuati al livello locale, su coordinamento della GLA. “[...]Nella revisione degli UDP, i Boroughs devono identificare, proteggere e sviluppare i green corridors, le green chains e tutte quelle aree libere che, con usi appropriati, potrebbero valorizzare i contesti e le relazioni tra le comunità locali… I green corridors possono essere i margini delle strade, le vie ferroviarie, le vie d’acqua o un percorso panoramico per ciclisti e pedoni; essi possono non essere accessibili al pubblico in alcune parti, ma possono contribuire alla qualità del paesaggio e promuovere il movimento degli animali e delle piante [...]. Le green chains, come definite già nel passato dal London Planning Advisory Cometee (LPAC) nel 19919, sono costruite con spazi environmentally pleasant, quali viali
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Gli open space di Londra comprendono parchi, allotments, commons, aree boscate, altri habitat naturali, recreational grounds, playing fields, children’s play areas. 12 Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, Op. Cit. pag. 216. 14
Per una definizione più completa del termine Green Chain cfr. Le posizioni di T. Turner, II parte, Cap. 1 in L. Nucci, 2004, Op. Cit..
commerciali alberati, spazi antistanti i servizi pubblici (scuole, ambulatori,…), spazi di sosta attrezzati, left over space [...]. Le funzioni presenti nelle green chains, essendo legate agli spostamenti (originedestinazione) della vita quotidiana degli abitanti, rendono queste, come già detto, un effettivo luogo di movimento nel corso delle 24 ore del giorno [...].”10 Per capire quali aree siano interessate nel costruire la continuità verde locale è necessario quindi, consultare i piani dei singoli Borough (Unitary Development Plan, UDP). Gli smaller parks, recreational grounds, play space, burial grounds, allottments, commons sono le aree verdi della scala locale di quartiere e di vicinato. Per questi il piano propone il complessivo ripensamento degli usi ammissibili in funzione della nuova domanda di fruibilità quotidiana. Più in generale circa gli usi funzionali da privilegiare, il sistema verde urbano deve essere caratterizzato nelle sue parti da funzioni diverse, integrate tra loro, che ne consentono la continuità di utilizzo nelle ventiquattro ore, secondo le diverse esigenze. Inoltre la continuità spaziale e l’integrazione funzionale delle aree deve favorire la mobilità lenta e pedonale verso le centralità urbane e verso le grandi aree naturali ed agricole più esterne, in particolare, la trama degli spazi residuali e delle aree verdi di piccole dimensioni possono consentire una mobilità capillare e relazioni funzionali entro e tra le aree residenziali. Nel piano tutti i tipi di parco (Parks, allotments, commons, woodlands, recreation grounds, plying fields, children’s play area) hanno una diversa caratterizzazione di usi funzionali come parte di un sistema integrato. “[...]Sono aree “di respiro” nell’ambiente costruito, un’occasione per il tempo libero. Promuovono la salute, il benessere e la qualità della vita. Hanno un importante ruolo per stimolare le relazioni e l’integrazione sociale dei residenti [...].”11 Gli usi sportivi ammissibili sono differenziati per livelli (metropolitano e locale) e pensati per una fruizione continua nelle diverse ore del giorno; tra gli usi ed i significati attribuiti agli open space, il piano rilancia il loro ruolo educativo, ambientale, connesso alla formazione scolastica. Londra ha per tradizione una buona dotazione di aree pubbliche (public open spaces) o di uso pubblico. Il piano prevede l’aumento del patrimonio delle aree libere di proprietà pubblica nelle zone edificate che ne sono carenti e nelle aree di rigenerazione. Nelle aree di nuova trasformazione le aree verdi restano in prevalenza private ed ai privati è affidata la realizzazione di attrezzature sportive e servizi. Lo standard di aree verdi proposto dal piano, è utilizzato per la definizione dei requisiti funzionali minimi delle diverse tipologie di aree verdi, in termini di dimensione e distanza dalla residenza, al fine di selezionarne le caratteristiche d’uso e valutarne le condizioni equilibrate di distribuzione ed accessibilità rispetto alle aree urbane insediate o da insediare. I regional parks devono avere una dimensione superiore ai quattrocento ettari ed una distanza dalle abitazioni che varia dai 3,2 agli 8 Km; i metropolitan parks una dimensione intorno ai sessanta ettari ed una distanza dalle abitazioni di 3,2 km; i district parks una dimensione di venti ettari ed una distanza dalle abitazioni di 1,2 km; i local parks and open spaces una dimensione di due ettari ed una distanza dalle abitazioni pari a 400 mt, gli small open spaces una dimensione minore di due ettari ed una distanza inferiore ai 400 mt. Nel Giugno del 2003 la GLA ha redatto una Guide to open space strategies12 che fornisce ai Boroughs i criteri di base unitari per localizzare e caratterizzare questi spazi, interpretando la domanda locale dei residenti: 9 Per una definizione più completa del termine Green Chain cfr. le posizioni di Tom Turner, II parte, Cap. 1 in LUCIA NUCCI, 2004, op. cit. 10 Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op. cit., pagg. 7-11. 15 16
Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op. cit., pag. 68. Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op.cit., pag. 214. 17 Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op. cit., pag. 214-216. 12 Mayor of London, Guide to Preparing Open Space Strategies: Spatial Development Strategy f 11
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“[...]individuazione delle aree residuali per potenziare la connessione tra open space e spazio pubblico 13; - censimento e monitoraggio di tutti gli open space esistenti; - verifica locale delle esigenze e del valore degli spazi aperti dal punto di vista culturale e ricreativo, educativo, strutturale ed ecologico; - regimi di tutela con appropriate destinazioni d’uso nelle tavole di piano; - priorità negli investimenti per rispondere alle necessità individuate; - modalità di valorizzazione dell’accessibilità con il trasporto pubblico, con piste ciclabili, percorsi pedonali e percorsi attrezzati per disabili [...].”14 Sotto il profilo naturalistico il piano tutela la biodiversità attraverso una Biodiversity Strategy “[...]che individua i criteri e le procedure per identificare le aree da tutelare per la biodiversità, di importanza metropolitana, urbana e locale[...].”15 La GLA, seguendo i criteri proposti dalla Biodiversity Strategy, perimetrerà i siti di importanza metropolitana per la conservazione della natura che verranno successivamente recepiti negli UDP locali. Con gli stessi criteri i Boroughs dovranno individuare i siti di importanza locale per la conservazione della natura e per le altre destinazioni locali che saranno anch’essi recepiti negli UDP. Il piano conferma le tipologie di tutela da tempo in vigore in Gran Bretagna (Sites of Special Scientific Interest, National Nature Reserves, Special Protection Areas, Special Areas for conservation, Sites of Metropolitan Importance) e le modalità di tutela (parere preventivo di English Nature). Nel piano la GLA, insieme con la Countryside Agency, Foresty Commission, English Nature e la National Farmers Union, promuove l’accesso alle aree agricole e la protezione dei paesaggi di frangia attraverso la costruzione di Community Forests che riuniscono le principali aziende agricole a Londra.
L’OPERATIVITÀ DEL BOROUGH PER IL SISTEMA DEL VERDE Contemporaneamente alle riforme ministeriali e alla costruzione del Nuovo Piano di Londra, come già ricordato, il livello locale dei Boroughs sperimenta, avviando progetti locali, la realizzazione della rete verde del quartiere. Vi sono state fin dal 1999 numerose esperienze operative (la Public Spaces Framework Strategy di Southwark, la South Bank Urban Design Strategy, il Greenwich Millenium Village e la Greenwich Peninsula, ecc.)16 a verifica delle tesi generali in discussione. In particolare, il Borough di Southwark ha realizzato una rete verde come operazione di rinnovo urbano in un quartiere residenziale povero, coordinando diversi progetti di interesse metropolitano; contemporaneamente ha avviato la revisione del piano urbanistico locale,
Draft Practice Giude, Greater London Authority, Giugno 2003. La guida per l’elaborazione delle Open Spaces Strategies, fornisce ai Boroughs una metodologia unitaria per elaborare, le Open Spaces Strategies. 13
I borough per individuare queste aree possono utilizzare anche il censimento nazionale fatto dal Ministero delle aree libere e sottoutilizzate. 19 14
Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op. cit., pag. 218. In Inghilterra vi è la tradizione di premiare le best pactice delle amministarzioni locali spesso affiggendo targhe celebrative di un progetto paesaggistico, architettonico o sociale. Questi premi hanno creato una competizione al livello locale tra i Boroughs spingendoli sempre a realizzare i progetti al meglio e nel più breve tempo possibile. Molti dei casi di studio locali analizzati hanno ricevuto premi, per il gruppo di progettisti, per la partnership o per l’amministrazione locale. 21 Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, Op. Cit., pag. 218.
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22 15
Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, op. cit., pagg. 218-219. Cfr. Mayor of London, The Draft London Plan, Op. Cit., pag. 220-221. 16 Cfr. parte II, pagg. 161-235, in LUCIA NUCCI, 2004, op. cit. 23
l’Unitary Development Plan ed ha commissionato all’esterno la redazione dell’Open Space Strategy. Come è noto l’UDP formula in termini spaziali con caratteri in parte prescrittivi e prevalentemente orientativi il disegno di assetto del Borough mentre il documento di Strategy raccoglie gli obiettivi generali, i requisiti qualitativi sociali ambientali, le tipologie di open space il programma e le priorità degli interventi e delle azioni proposte che il Borough si impegna a perseguire nell’impostazione dell’UDP e costituisce insieme a quest’ultimo il riferimento per la valutazione delle operazioni concertate con i privati e gli Enti. Il Borough di Southwark è situato al centro di Londra nella zona Sud Est lungo il Tamigi storicamente considerata povera, con gravi problemi igienici ed una forte carenza di spazi verdi. In pochi anni questa parte di città è stata investita da progetti di rilevanza metropolitana (la Nuova sede della Greater London Authority, il B. A. London Eye la ruota panoramica, il quartiere terziario lungo il Tamigi, la Tate Modern, il nuovo Masterplan per Elephant and Castle) che, oltre a potenziare la dotazione di funzioni competitive del settore urbano, hanno indotto iniziative di riqualificazione programmata nell’intero Borough anche nelle sue parti interne e degradate.
IL NUOVO UNITARY DEVELOPMENT PLAN DI SOUTHWARK Nel Novembre 2002, in attuazione delle direttive del London Plan, il Borough rivede l’Unitary Development Plan di Southwark per recepire sia le indicazioni della GLA, sia i contenuti delle strategie avviate da tempo a livello locale. Al fine della costruzione della rete verde locale il nuovo Unitary Development Plan introduce una nuova categoria di open space il “Borough Open Land” che tutela tutti gli open spaces “di importanza per il Borough”. “[...] Southwark ha un numero elevato di open spaces che sono ritenuti importanti ma inappropriati, con una destinazione d’uso Metropolitan Open Land, per la loro dimensione o per il bacino di utenza [prevalentemente locale]. [Questi open space] hanno un intrinseco valore per Southwark, per i suoi cittadini, per quelli che vi lavorano e per quelli che visitano il Borough. I siti, identificati come Borough Open Land, sono di importanza strategica per Southwark ed hanno bisogno di una tutela preventiva. Il Piano di Londra raccomanda ai Boroughs, per tutelare gli open spaces, di assicurare loro una appropriata destinazione d’uso [...].”17 L’UDP suddivide gli open space in: Metropolitan Open Land; Borough Open Land; Other Open Land. Tutti gli open spaces sono disegnati “[...] poiché forniscono un importante contributo nel definire e separare l’ambiente urbano [...].”18 “[...] Gli open space sono una risorsa di amenità e ricreativa per le persone che vivono e lavorano a Southwark. E’ una responsabilità del Borough [...] assicurare una adeguata offerta di open space che risponda alla diversa domanda dei residenti. La Open Space Strategy del Council prevede un audit degli Open Space e di tutte le aree con una dimensione superiore ai 0,3 ettari [...]. Lo studio considera le qualità fisiche, sociali ed estetiche di ciascuno spazio, le esigenze locali, il valore degli open space esistenti per il loro valore culturale, educativo, strutturale, di amenity, per la salute e la biodiversità. La Strategy…dovrà sottolineare come per il Council l’incremento ed una buona gestione degli Open Space sia il principale contributo alla rigenerazione urbana valorizzando l’ambiente, favorendo l’integrazione sociale, la salubrità e fornendo opportunità educative [...].”19 24 17
The Southwark Plan – The First Draft for Deposit Unitary Development Plan e Supplementary Planning Guidance Open Spaces, Southwark Council, November 2002, pag. 95. 25 The Southwark Plan, op. cit. pag. 95. 18 The Southwark Plan, op. cit. pag. 95. 26
La tavola “Clean and Green” sintetizza l’immagine complessiva della rete verde.
Figura 1. L’Unitary Development Plan di Southwark: la rete verde (Clean and Green). (fonte: Borough of Southwark, Regeneration Department, Economic Development and Strategic Partnerships immagine tratta dal The Southwark Plan – The First Draft for Deposit Unitary Development Plan e Supplementary Planning Guidance Open Spaces, Southwark Council, November 2002).
Figura 2. L’Unitary Development Plan di Southwark: la carenza di local park (Local Park Deficiency Map). (fonte: Borough of Southwark, Regeneration Department, Economic Development and Strategic Partnerships immagine tratta dal The Southwark Plan – The First Draft for Deposit Unitary Development Plan e Supplementary Planning Guidance Open Spaces, Southwark Council, November 2002).
La “Local Park Deficiency Map” individua le tre parti del Borough con una scarsa dotazione di parchi locali al centro l’area di East Dulwich densamente costruita, ad Est tra Peckham e New Cross lungo il confine del Borough, a Nord Ovest Newington e Bermonsey. La District Park Deficiency Map individua le quattro parti con una scarsa dotazione di District Park: a Sud Ovest Dog Kennel Hill, a Sud Est tra Peckham e New Cross, a Nord Ovest Newington, The Borough, Elephant and Castle, Bermondsey, a Nord Est Rotherhithe. In entrambe le carte è rappresentato il tipo di apertura al pubblico di ciascun parco.
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The Southwark Plan, op. cit., pag. 97.
Figura 3. L’Unitary Development Plan di Southwark: la carenza di district park (District Park Deficiency Map). (fonte: Borough of Southwark, Regeneration Department, Economic Development and Strategic Partnerships immagine tratta dal The Southwark Plan – The First Draft for Deposit Unitary Development Plan e Supplementary Planning Guidance Open Spaces, Southwark Council, November 2002).
Altro elemento importante l’aver precisato che il Borough, come soggetto istituzionale, può intervenire nelle Planning agreements20 per fermare le pressioni sugli open space o per promuovere l’estensione e la valorizzazione dei corridoi biologici e delle Green Chain Walk. ”[...] Il Borough può entrare nel Planning Agreement per fermare la pressione edificatoria sugli open space e per migliorare l’accessibilità degli stessi. Il Planning Agreement può anche essere utilizzato, dove le opportunità lo permettono, per estendere e valorizzare i corridoi biologici e le green chain [...].”21 Questa precisazione è molto importante perché conferma la capacità di incidenza del Borough nelle decisioni che riguardano il proprio territorio e perché dimostra come sia possibile costruire le continuità verdi utilizzando gli strumenti tradizionali. Dalla lettura del testo dell’UDP si comprende l’autonomia delle amministrazioni locali inglesi e come esse abbiano chiaro un disegno progettuale complessivo, una vision, prima ancora di commissionare gli studi e contrattare gli interventi con i privati.
LA OPEN SPACE STRATEGY DI SOUTHWARK Nel 2003 il Borough di Southwark,, commissiona ad un consulente esterno la redazione di una nuova Open Space Strategy22 con le previsioni dell’UDP, aggiornata rispetto agli ultimi tre documenti ministeriali sugli open space già richiamati: Green Space-Better Space; Revisione Planning Policy Guidance Note (PPG 17); Living places, Cleaner, Safer, Greener. Il primo documento, Green Space, Better Places23, è stato redatto dall’Urban Green Space Task Force la commissione di esperti di varie discipline incaricata di sviluppare proposte per migliorare i parchi urbani, le aree gioco ed i green spaces. Il documento sottolinea, con cinquantadue raccomandazioni per il Governo, l’importanza degli open spaces urbani nel processo di riqualificazione della città contemporanea per le capacità che questi hanno di valorizzare l’ambiente, di facilitare l’integrazione sociale, di fornire opportunità educative. Il secondo documento è la revisione da parte del Gabinetto del Primo Ministro della Planning Policy Guidance Note (PPG 17) on Planning for Open Space, Sport and Recreation24. Esso richiede alle autorità locali di promuovere studi per conoscere ed incrementare il loro patrimonio verde (l’audit, la qualità e gli usi degli open space esistenti), di definire uno standard di open space, di tutelare gli open space di interesse locale, di utilizzare per costruire le continuità verdi gli strumenti urbanistici tradizionali (Planning Agreement Section 106). Il terzo documento, Living places, Cleaner, Safer, Greener25, pubblicato dal Gabinetto del Primo Ministro nel 2002, promuove un approccio integrato nella progettazione dello spazio pubblico sia tra soggetti competenti, sia nel pensare questo spazio come una rete, un tutto che contrasti i processi che, attraverso decisioni incrementali o assenza di decisioni, favoriscano il deterioramento e la frammentazione ulteriore degli open space. Nel rapporto si insiste sia sull’importanza di questi spazi per i neighbourhoods svantaggiati sia sulla necessità di adeguare il disegno di questi spazi alla nuova domanda dei residenti. 20
Il Planning Agreement è un accordo dei privati con l’amministrazione sul permesso di costruire. Il più comune è la Section 106 agreements ed un unilaterale obbligo. Al suo interno può contenere accordi per le infrastrutture, il verde. 27 21
The Southwark Plan, op. cit., pagg. 94, 95, 96. WILSON SCOTT, An Open Space Strategy for Southwark, May 2003. Il Borough già aveva nel 1996 commissionato a Comedia la redazione di una strategia per gli open space. Comedia è una società inglese che redige studi e progetti di riqualificazione con attività culturali utilizzando specifici fondi del Governo. 23 Urban Green Space Task Force, 2002, op. cit. 24 Planning Policy Guidance (PPG) 17 - Planning for Open Space, Sport and Recreation, Office of the Deputy Prime Minister, August 2002. 25 Living places, Cleaner, Greener, Safer, Office of the Deputy Prime Minister, October 2002. 22
Secondo il rapporto sono cinque i fattori di successo per gli open space: chiara leadership, partnership pubblico privata, coinvolgimento della comunità locale, qualità ed innovazione ed una chiara comunicazione delle idee. In risposta al lavoro svolto dall’Urban Green Spaces Task Force il Governo ha istituito una Commission for Architecture and the Built Environment (CABE) for urban spaces soggetto di livello nazionale che ha il compito, tra i tanti, di avviare studi su i parchi urbani e su gli open space per sviluppare indicatori utili al livello locale. La CABE Commission deve inoltre promuovere l’integrazione tra i soggetti competenti in materia di parchi (Groundwork, the Urban Parks Forum, ILAM, the Green Flag Award Scheme, the Improvement and Development Agency IDEA). La Open Space Strategy di Southwark viene costruita anche sulla base di quattro documenti elaborati al livello locale dal Borough: - la Southwark Community Strategy26 con le azioni per combattere la povertà ed il crimine migliorando la dotazione di servizi pubblici; - la Leisure Strategy27 con le azioni per valorizzare le attrezzature del tempo libero all’aperto ed al coperto (outdoor and indoor) con i nuovi fondi stanziati dal Governo, Council’s Environmental Improvement and Community Safety Programme; - il Southwark Plan28 con le tre tipologie di parco (Metropolitan Open Land, Borough Open Land, other Open Land), la mappatura delle aree con carenza di open space e le indicazioni per l’uso della Planning Argreement Section 106; - il Best Value Review of Parks Service con il monitoraggio dell’efficienza dei servizi al fine di conquistare il premio per le amministrazioni locali che hanno il miglior livello di servizi29. Si può osservare come si sia superata la visione settoriale nella elaborazione delle strategie per gli open space. Queste infatti si devono integrare con le strategie sociali, di sicurezza, del tempo libero, ecc. Con una lettura incrociata delle foto aeree e dei perimetri catastali, nella Open Space Strategy, sono stati mappati e numerati in un sistema GIS, 360 open spaces, 20 dei quali presenti nei Boroughs limitrofi di Lewisham e Lambeth, siano essi pubblici o privati, in uso o in disuso. L’Open Space Strategy ha definito per ciascun open space di Southwark: l’apertura al pubblico; la tipologia; l’accessibilità a piedi. Essa ha inoltre verificato sul territorio la carenza di open space e di aree sportive. L’apertura al pubblico è stata definita con tre diverse categorie di accessibilità: - unrestricted, aree verdi (ad es. parchi, aree verdi residenziali, connessioni verdi) con accesso aperto a tutti nel corso della giornata, con eventuali limitazioni dal tramonto all’alba; - limited, aree verdi (ad es. campi sportivi, attrezzature speciali) con accesso consentito previa appuntamento; - restricted, aree verdi (ad es. spazi aperti delle scuole, aree libere di proprietà delle ferrovie) con accesso limitato a gruppi di persone direttamente interessate.
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A First Community Strategy for Southwark 2001-2004 – Southwark Council January 2001. Southwark Leisure Strategy 1999-2003 – Southwark Council December 1998. 28 The Southwark Plan – The First Draft for Deposit Unitary Development Plan e Supplementary Planning Guidance Open Spaces, Southwark Council, November 2002. 29 Per redigere la Strategy si segue il modello proposto dalla Greater London Authority integrato da alcune richieste del Borough: rivedere i tre strumenti che permettono di monitorare la qualità e l’efficienza dei servizi: le migliori prestazioni la Best Value Review on Parks and Open Spaces; il piano di intervento l’Action and Improuvement Plan e il Business Plan; costruire politiche ed elaborare disegni che, in forma di Supplementary Planning Giudance, integrino l’Unitary Development Plan; sviluppare una strategia per le attrezzature sportive ed i campi da gioco; costruire un database ed un GIS dell’intero territorio locale. 27
Le tipologie sono state definite integrando i parametri proposti dall’Urban Green Spaces Task Force con sub tipologie in parte già introdotte nella Strategy del 1995. Urban Task Force Typology Green Spaces Parchi e giardini Parks and Gardens
Local Sub-Typology
Parchi principali Major parks Parchi locali Local parks Squares Squares Giardini Gardens Aree gioco Playspace Aree gioco Playground Aree gioco con avventure Adventure playground Amenity greenspace Amenity Verdi ed i common Green/Common Greenspace Aree verdi residenziali Housing green space Margini stradali Roadside sites Open space istituzionali Institutional open space Campi sportivi Sports Grounds Lotti liberi e fattoria urbana Allotments and City Farms Siti semi naturali Semi-natural Sites Siti ecologici Ecological sites Aree inquinate Brownfield Land Derelict/vacant/brownfield Derelict/vacant/brownfield Area in costruzione Construction site Attrezzatura di servizio Operational open space Cimiteri Cemeteries and churchyards Cemeteries Churchyards Corridoi verdi Green Corridors Connessioni verdi Green links Aree ferroviarie ristrette Restricted railway Argini Embankment Civic Spaces Spazi civili Civic Spaces Piazze civili Civic Square Bacino Dock/waterbody Fronti fluviali Riverfront Tabella 1. Le tipologie di open spaces
Si riportano di seguito alcune definizioni delle tipologie utilizzate per dimostrare come al livello locale vi sia una chiara comprensione di quanti e quali siano i tipi di spazi della città contemporanea che possano contribuire alla costruzione della rete verde. Il Borough ha di fatto aggiornato integrandole le tipologie della tradizione inglese. Parchi principali, major parks, hanno una dimensione superiore ai venti ettari, margini definiti e chiari accessi. Generalmente sono di interesse storico con paesaggi di elevata qualità, contengono al loro interno attrezzature sportive, aree gioco per tutte le età e parcheggi. Hanno un grande bacino di influenza e sono utilizzati nel fine settimana. Parchi locali, local parks, hanno una stretta relazione con le esigenze quotidiane dei residenti. Hanno un disegno flessibile con grandi alberi, aiuole fiorite, aree cespugliate, possono contenere al loro interno attrezzature sportive come campi di basketball recintati in legno, aree gioco per i bambini e attrezzature estensive. Squares,sono piccoli spazi verdi ornamentali al centro di un’area residenziale, gestiti dai residenti che ne decidono anche gli usi, spesso sono di interesse storico. Giardini, Gardens, hanno confini definiti, un disegno molto articolato fatto di diversi paesaggi intricati e dettagliati. Aree gioco, Playground, sono esclusive aree gioco con attrezzature, sedute e cestini, progettate con un alto standard di sicurezza, vietate ai cani. Contengono al loro interno attività ed eventi. Hanno un disegno flessibile ed attrezzature temporanee per rispondere alla
continua domanda di cambiamento. Sono spazi legati alle scuole, alle attività ricreative di quartiere ed ai servizi giovanili. Aree gioco con avventure, Adventure playground, riguardano aree gioco con attività per ragazzi dai sei ai sedici anni animate da uno staff, aperte durante le vacanze scolastiche e nel pomeriggio. Verdi ed i common, Green/Common, spazi di valore storico che hanno condizionato la forma urbana con giochi di luce, sedute e cestini, sono sede di attività ed eventi a pagamento, chiara definizione dei passaggi, delle piste ciclabili e della segnaletica. Aree verdi residenziali, Housing green space, green space, sono realizzati all’interno di un’area residenziale, possono essere privati e sicuri o aperti, circondati da edifici, con un disegno composto da giardini geometrici prevalentemente prativi, con attrezzature ed alcune volte aree gioco. Margini stradali, Roadside sites, area di notevoli dimensioni con o senza vegetazione, senza un confine definito, possono avere sedute, cestini ed essere illuminati. Open space istituzionali, Institutional open space, con confini definiti e sicuri, sono spazi che fanno parte di complessi scolastici, ospedalieri, ecc…; sono ben gestiti e visibilmente non sono parte dello spazio pubblico. Siti ecologici, Ecological sites, aree di interesse ecologico che richiedono, per essere gestite e mantenute, l’intervento di uno specialista che tuteli la flora e la fauna ed interpreti il contesto per definire usi compatibili. Derelict/vacant/brownfield, sono open space non utilizzati, con o senza i segni del precedente uso, non sempre sicuri, possono essere utilizzati dai bambini e dai residenti sia come passaggio, sia per amenity, possono contenere al loro interno una sequenza di vegetazione spontanea. Aree in costruzione, Construction site, è un’area con un confine ed ingressi definiti con lavori di demolizione o nuova edificazione. Attrezzature di servizio, Operational open space, area di servizio con serbatoi o attrezzature per il gas, con confini ed ingressi definiti e sicuri, con o senza vegetazione. Cimiteri, Cemeteries, con confini chiaramente definiti e limitati accessi. La qualità spirituale di questi spazi richiede una speciale gestione, spesso sono anche di interesse ecologico. Churchyards, spazi con confini ed accessi definiti di interesse storico paesaggistico con una specifica organizzazione orticola ed arborea. Connessioni verdi, Green links, percorsi pedonali e piste ciclabili attraverso la vegetazione, lungo canali o vie ferroviarie dismesse o lungo sentieri non sempre di interesse storico con un confine ben definito, aperti a tutti, con una scarsa dotazione di attrezzature poco controllati visivamente. Aree ferroviarie ristrette, Restricted railway, con margini ed ingressi protetti, aree con una sufficiente lunghezza contengono al loro interno sequenze vegetazionali dalla ghiaia lungo i binari, alle aree prative, ai cespugli ed alle aree boscate. Allottment, sono aree con accesso limitato di importanza per la comunità locale che le gestisce e le mantiene. L’accessibilità a piedi ai parchi è stata verificata utilizzando i parametri del nuovo piano di 1.200 mt. per i grandi parchi e di 400 mt. per i parchi locali; con il GIS sono state disegnate per ciascun parco le aree di influenza che, in presenza di ostacoli, sono state ridotte a 280 mt. Questa tecnica ha permesso di evidenziare le parti del Borough che non hanno un facile accesso a piedi alle aree verdi. Uno specifico studio è stato fatto per i parchi con una dimensione inferiore ai quattro ettari che sono stati classificati e valutati con un punteggio in percentuale, dal punto di vista fisico (attrezzature, configurazione dei margini, copertura vegetale, passaggi pedonali, configurazione architettonica, manutenzione, aree gioco, biodiversità), sociale (sicurezza, visibilità, facilità di accesso) ed estetico (armonia degli spazi, texture, colori, diversità, unità, stimoli, divertimento). La lettura della tabella ha dimostrato come i parchi di piccole dimensioni con una scarsa qualità ed uno scarso grado di sicurezza siano quelli più soggetti ad atti vandalici.
E’ stata inoltre verificata la dotazione per abitante di open space pubblici e privati utilizzando sia il parametro 1,6 ettari (4 acri)/1.000 abitanti proposto da Abercrombie nel Piano del 1943-44, sia il parametro 2,4 ettari (6 acri)/1.000 abitanti 30, sia un parametro intermedio tra i due. La dotazione di attrezzature sportive (campi di calcio di hockey, di rugby) ad esclusione dei campi di atletica e tennis è stata calcolata secondo le indicazioni del Governo (Sport England) e della National Playing Fields Associations. Per ciascuna attrezzatura sono definiti: gli utenti; il numero di team sportivi; il regime proprietario (pubblico o privato ad uso pubblico). E’ stata inoltre calcolata la dotazione di queste attrezzature utilizzando lo standard di 1,2 ettari/1.000 abitanti. Nella Strategy viene ribadita l’importanza delle attrezzature private ad uso pubblico. I dati ottenuti sono stati presentati in consultazioni pubbliche per verificare con la cittadinanza le quattro priorità di azione del Borough: potenziamento delle aree per il gioco; potenziamento delle attrezzature per i ragazzi tra gli undici ed i diciotti anni; aumento delle aree verdi senza la presenza di cani; maggiore dotazione di servizi igienici pubblici. Anche il questionario di verifica inviato per posta ai residenti ha confermato queste priorità. La Strategy concorda pienamente con quanto ribadito dall’Urban Green Space Task Force sul ruolo chiave degli open space nel realizzare una vision di un Borough con un ambiente di alta qualità, dove tutti, dai bambini agli anziani, alle minoranze etniche possano godere di un ambiente urbano che offra una ampia scelta di differenti spazi aperti. Si ribadisce quindi il ruolo del verde come spazio che favorisce l’integrazione sociale, la salute in città e le opportunità educative. Per raggiungere questa visione la Strategy propone di perseguire le seguenti azioni: - monitorare i parchi già realizzati per comprendere le difficoltà e facilitarne l’uso per le categorie sociali svantaggiate (bambini, anziani, minoranze etniche); - verificare l’effettivo incremento delle aree verdi locali; - inserire nell’Unitary Development Plan specifiche politiche che ribadiscano il ruolo centrale degli open space nella riqualificazione urbana; - redigere una strategia di paesaggio che valorizzi la connessione degli open space per combattere i fenomeni di degrado e ridurre gli atti vandalici; - ampliare i confini della Metropolitan Open Land per inserire alcuni spazi verdi che completino la rete verde, per avere nel 2020 uno standard di 2 ettari/1.000 abitanti; - aumentare la dotazione di attrezzature sportive per potenziarne l’uso, per favorire la costituzione di nuovi team sportivi che abbiano anche il compito di avvicinare i ragazzi alla natura; - cercare di vincere il riconoscimento Best Value Review per gli open spaces pubblici. L’ipotesi da verificare avanzata in premessa è che il sistema del verde urbano a Londra si stia costruendo dal basso, dal livello locale dei Boroughs. Sono stati esaminati il documento di piano del livello urbano metropolitano della GLA, The Draft London Plan, ed i due documenti del livello locale, The Unitary Development Plan e la Open Space Strategy. E’ stato verificato come la grande esperienza tecnica acquisita negli anni dalle amministrazioni locali dei Boroughs li abbia portati a costruire sia un rapporto paritario con la GLA sia una vision interna locale che anticipa l’immagine/la vision dell’intera città. La rete verde che è stata costruita a livello locale risulta coerente e collabora alla costruzione della rete generale. Il suo disegno non è astratto, trova riscontro rispetto alle esigenze specifiche dei luoghi ed alla domanda dei cittadini. Circa l’operatività, essendo sia la fase attuativa che quella di gestione condotte dall’autorità locale, questo ne facilita il rapporto contrattuale con gli operatori quindi la fattibilità del progetto e l’impostazione dello stesso in rapporto alla effettiva capacità di manutenzione e gestione nel tempo degli spazi verdi realizzati. La vera scommessa attualmente è la verifica dell’immagine complessiva del livello metropolitano. Sarà infatti interessante verificare se la GLA eserciterà il suo ruolo di ente 30
Questo parametro si avvicina al parametro proposto da R. Unwin: 2,82 ettari (7 acri)/1.000 abitanti.
sovraordinato di coordinamento per realizzare un’unica rete verde metropolitana rimettendo a sistema, in un disegno unitario, le reti verdi costruite localmente. Un importante contributo, per superare le difficoltà, proviene dalla storia dell’attuazione del verde a Londra e dalle indicazioni dell’LPAC31. Attualmente il Borough ha aperto al pubblico cinque nuovi parchi e sta completando la realizzazione di altri sei parchi per una spesa complessiva di circa 7.630.000 Sterline. Questo dimostra come la costruzione della rete verde dal basso faciliti le operazioni attuative della rete e nel contempo raggiunga obiettivi complementari di soddisfazione della comunità locale e di riqualificazione del quartiere.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2004. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Cfr. Le posizioni di Tom Turner, II parte, Cap. 1 in LUCIA NUCCI, 2004, op. cit.
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
IL NUOVO PIANO DI ROMA: COLLOQUIO CON FEDERICO OLIVA Alessandra Cazzola *
Summary Starting from the studies of McHarg, there is a growing interest to a development more respectful and less destructive of natural values. In the time it’s been settled a common feeling trough the environmental issues related to deterioration, consumption and pollution of the resources. This new environmental feelings it’s been also tackled in the field of land and urban planning, that had to revise instruments and techniques, and to redefine its knowing bases using the knoledges and the instruments of ecological disciplines (related both to extra-urban lands and to urban fabrics). Talking with prof. Oliva we analyze the environmental and landscape contents of the new city plan of Rome, adoptee by the city council in the 2003. Key-words Rome, ecology and urban planning, city planning, relationships between area plans and ordinary plans.
Abstract A partire dagli studi di McHarg si registra un crescente interesse per uno sviluppo più rispettoso e meno distruttivo dei valori naturali e si è via via consolidato un comune sentire nei confronti delle problematiche ambientali relative al degrado, al consumo e all’inquinamento delle risorse. Questa nuova sensibilità ambientale è stata affrontata anche nel campo della pianificazione (territoriale e urbana), che ha dovuto rivedere gli strumenti e le tecniche adottate, nonché ridefinire le proprie basi conoscitive utilizzando in larga parte gli strumenti e le conoscenze delle discipline ecologiche (relative sia al territorio extra urbano che ai tessuti urbanizzati). In un dialogo con il prof. Oliva si analizzano con attenzione i contenuti ambientali e paesistici del Nuovo Piano Regolatore di Roma, adottato in Consiglio Comunale nel 2003. Parole chiave Roma, ecologia e urbanistica, pianificazione urbanistica comunale, rapporti pianificazione di settore pianificazione ordinaria.
* Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze; Specialista in Pianificazione Urbanistica, Università di Roma “La Sapienza”.
FEDERICO OLIVA, architetto, professore ordinario di “Urbanistica” presso la Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano, Presidente del Corso di Laurea in Pianificazione Territoriale Urbanistica e Ambientale. Membro effettivo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica. Molte sono le sue pubblicazioni scientifiche e le esperienze professionali riguardanti soprattutto i temi relativi agli strumenti della riqualificazione e della trasformazione urbana. Inoltre ha approfondito il tema dell’integrazione tra urbanistica e ecologia, approfondendo gli aspetti della rigenerazione ecologica della città, dei nuovi standard ambientali e dei bilanci ambientali degli interventi di trasformazione urbanistica. Ha lavorato a numerosi Piani Regolatori - Pavia (1976), Ancona (1988), Piacenza (1998), Reggio Emilia (1999), La Spezia (1999), Roma (2003), Ivrea (2004), Vigevano (2004), Cuneo e Carrara (in corso) - e Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale Pesaro/Urbino (1994-1998), Perugia (1995-1999) e Forlì/Cesena (1997-1999).
A partire dagli studi di McHarg si registra un crescente interesse per uno sviluppo più rispettoso e meno distruttivo dei valori naturali e si è via via consolidato un comune sentire nei confronti delle problematiche ambientali relative al degrado, al consumo e all’inquinamento delle risorse. Questa nuova sensibilità ambientale è stata affrontata anche nel campo della pianificazione (territoriale e urbana), che ha dovuto rivedere gli strumenti e le tecniche adottate, nonché ridefinire le proprie basi conoscitive utilizzando in larga parte gli strumenti e le conoscenze delle discipline ecologiche (relative sia al territorio extra urbano che ai tessuti urbanizzati). Oggi possiamo riconoscere alcuni elementi ricorrenti nelle diverse esperienze di “sostenibilità urbanistica” ormai realizzate nel nostro paese? Parlare di “esperienze realizzate” mi sembra eccessivo, nel senso che alcuni piani, una netta minoranza tuttavia, hanno cercato di affrontare in questi ultimi dieci anni il tema della sostenibilità, o meglio il tema del governo sostenibile del territorio, con soluzioni che dobbiamo ancora definire sperimentali in quanto appunto non generalizzate. Gli elementi ricorrenti sono piuttosto quelli dell’analisi, del quadro conoscitivo su cui si fondano i piani, che anche per il contributo delle nuove leggi regionali (Toscana, Emilia, Umbria, Basilicata, Calabria, Puglia) si è molto arricchito, proprio nella direzione della conoscenza e della documentazione relative al degrado, al consumo e all’inquinamento delle risorse. Purtroppo, il processo di integrazione tra pianificazione urbanistica e ecologia, appunto iniziato con esperienze di grande interesse all’inizio degli anni novanta, ha poi subito una evidente battuta d’arresto per il corporativismo tecnico e culturale dimostrato da ambedue le discipline, che hanno tenuto ben separati i propri campi di azione e i propri campi di competenza, ma anche i rispettivi strumenti operativi e cioè i piani urbanistici da un lato e le valutazioni e i processi di Agenda 21 dall’altro. Ma anche per una sorta di ambiguità del mondo ambientalista nei confronti del piano urbanistico, le cui strategie principali non sono solo quelle della conservazione, ma, al contrario, sono soprattutto quelle della trasformazione, del progetto al futuro della città e del territorio; ambiguità che ha toccato il punto più alto in occasione della mancata approvazione alla fine della passata Legislatura della riforma urbanistica, per un evidente dissenso da parte delle forze politiche che rappresentano più direttamente le posizioni ambientaliste. Mentre si è anche registrata una marcata debolezza disciplinare degli urbanisti che non hanno voluto o saputo generalizzare le esperienze di integrazione, accontentandosi di formulazione generali e poco operative nelle leggi regionali, ma anche nei piani. Insomma si è determinata una sorta di contrapposizione politica tra urbanisti e ambientalisti, finalizzata a garantire identità e posizioni, che è emersa con evidenza in occasione delle scelte più importanti, come nel caso della mancata riforma urbanistica alla fine della scorsa Legislatura (situazione che si sta ripetendo nella discussione in Parlamento sulla cosiddetta
“legge di principi” per il Governo del Territorio, in attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione). Fa eccezione l’iniziativa della “Associazione Nazionale Coordinamento Agende 21 Locali Italiane” (www.cittàsostenibile.it) che anche recentemente, in un convegno tenutosi a Ferrara (21 maggio) e Modena (20 settembre) ha ribadito le ragioni e la scelta, anche operativa, dell’integrazione. Qualche anno fa, parlando di piani regolatori sostenibili su un numero di Urbanistica 1, lei articolava i casi presentati in due famiglie di piani: quelli che affrontano i nuovi impegni ecologici in maniera organica e strutturata dentro lo strumento urbanistico(Reggio Emilia, Pisa); quelli che, invece, all’interno del piano affrontano solo alcuni temi ecologicoambientali specifici ma molto significativi (Bergamo, Cercola). Il nuovo PRG di Roma sembra appartenere alla prima famiglia: in che modo e con quali strumenti? Credo che quella distinzione sia ancora valida, anche se nel frattempo si è ulteriormente precisato il quadro tecnico-operativo della sostenibilità nei piani, il che sottolinea, per esempio, alcuni limiti del piano di Roma. Questo piano, tuttavia, presenta un approccio complessivamente sostenibile, per le seguenti scelte di fondo: - il sistema della mobilità principalmente fondato sul ferro, che è anche la scelta più importante del piano; una “mobilità sostenibile” che riduca il peso inquinante del traffico motorizzato individuale a favore del trasporto collettivo che utilizzi mezzi meno inquinanti ed energivori è infatti generalmente ritenuta una concreta condizione di sostenibilità; - il sistema ambientale organizzato in “rete ecologica”, al fine di massimizzare gli effetti che le aree a più alta naturalità hanno sulla città; la possibilità di costruire una tale rete è un’altra condizione riconosciuta di sostenibilità; - regole urbanistico - ecologiche che favoriscono il cosiddetto processo di “rigenerazione ecologica”, cioè la rigenerazione delle risorse ambientali riproducibili, come la permeabilità dei suoli urbani (acqua), la destinazione a verde di una quota rilevante dell’area e la sua trasformazione a verde alberato (aria); - le “cessioni compensative” nella Città della trasformazione, cioè la cessione obbligatoria di una quota rilevante della superficie territoriale dell’area, assai superiore agli standard, per tutti gli ambiti di nuova trasformazione previsti. Minore rilievo hanno invece avuto due scelte che normalmente sono considerate fondamentali per un approccio di sostenibilità e cioè la riduzione degli impatti sulla città e sull’ambiente delle nuove infrastrutture (la cosiddetta “ambientazione” delle infrastrutture) e la riduzione del consumo di nuovo suolo agricolo. La prima per motivi oggettivi, legati alle dimensioni della città e quindi alla complessità del piano, che hanno suggerito una soluzione solo metodologica attraverso elaborati non prescrittivi, tutta affidata quindi alla futura gestione; la seconda per il peso oggettivamente rilevante del “residuo di piano”, pur drasticamente ridotto con tagli e compensazioni e assai “ammorbidito” dalle nuove regole introdotte dal piano (indici più bassi, destinazioni meno impattanti, cessioni più ampie), che ha ovviamente condizionato non solo l’impostazione del piano, ma anche il dibattito intorno ad esso. Questa del “residuo di piano”, cioè delle previsioni non attuate e non riducibili della pianificazione precedente, è una questione sottovalutata da molti urbanisti, ma anche dalla stessa riforma urbanistica in corso (le leggi regionali e la “legge di principi” prima citata), forse perché non sembra esserci una valida soluzione giuridica.
1
OLIVA FEDERICO, Integrare urbanistica ed ecologia, in Urbanistica 112, INU edizioni, Roma 1999, pagg. 47-62
Figure 1 e 2. Rete ecologica: stralcio dell’elaborato prescrittivo P4, tavola 6 (settore nord est) e legenda.
Nelle esperienze più recenti di pianificazione urbana sostenibile ha assunto un aspetto prioritario la cosiddetta “rigenerazione ecologica della città”, ovvero quelle scelte all’interno del piano attraverso le quali viene sostenuto il processo naturale di rigenerazione della risorse ambientali fondamentali (aria, acqua, suolo). In che tipo di scelte si è tradotta questa strategia all’interno del Piano Regolatore di Roma? Credo di aver in parte già sviluppato il quesito con la risposta alla precedente domanda. Aggiungo che, per il suolo - risorsa ambientale non riproducibile - il piano di Roma dispone correttamente la bonifica preventiva dei suoli inquinati, ma trattandosi di una quota ridotta delle complessive aree passibili di trasformazione, l’incidenza di questa norma non è oggettivamente rilevante. Voglio però sottolineare una questione relativa all’importanza di come la “trasformazione con regole” (ecologico-urbanistiche) ridimensioni lo stesso approccio finalizzato a considerare il “consumo di suolo” come una delle principali condizioni di sostenibilità, rilevando anche come tale approccio sia un’altra dimostrazione di vischiosità della cultura urbanistica italiana, che ha assimilato alcune certezze valide in un certo contesto (l’espansione urbana, trent’anni fa) e fa fatica ad aggiornarsi. Accertato infatti che un ettaro di suolo agricolo produce 1 tonnellata all’anno di ossigeno, assorbe due tonnellate all’anno di anidride carbonica ed evapora per traspirazione sette tonnellate all’anno di acqua e che questi valori sono moltiplicati se lo stesso ettaro di verde viene attrezzato con un adeguato numero di alberi (la produzione di ossigeno raggiunge cinque tonnellate all’anno, l’assorbimento di anidride carbonica passa a trenta tonnellate all’anno e l’evaporazione per traspirazione a trentatre tonnellate all’anno di acqua); se, infine, lo stesso suolo venisse attrezzato a “bosco urbano” i valori sarebbero ulteriormente moltiplicati, raggiungendo rispettivamente nove tonnellate all’anno di produzione di ossigeno, sessantanove tonnellate all’anno di assorbimento di anidride carbonica e cinquantanove tonnellate all’anno di produzione di acqua per evotraspirazione. Come sottolineavo all’inizio, la trasformazione può essere più importante della conservazione ai fini di garantire una concreta ed effettiva strategia di sostenibilità urbanistica. Se si pensa poi che l’agricoltura italiana è assai idroesigente (per scelte
comunitarie) e quindi poco sostenibile (senza contare del carico inquinante dovuto ad alcune tecniche di produzione) e per di più inutilmente competitiva con quella di molte zone sottosviluppate del mondo, la sua ostinata conservazione in aree marginali periurbane appare alquanto discutibile, soprattutto in relazione alla sostenibilità.
Abbiamo già detto che a Roma le analisi e le scelte urbanistiche e quelle ecologiche e ambientali si sono confrontate ed integrate, definendo, alla fine, una comune classificazione e “specifiche azioni ecologiche sono state incorporate nella disciplina urbanistica”2. Come è stato tradotta negli elaborati del piano questa classificazione e come vengono disciplinate queste “specifiche azioni ecologiche”? Desidero sottolineare come per “incorporare” si debba intendere un’azione ecologicaambientale tale da comportare un miglioramento della qualità dell’ambiente urbano, direttamente connessa all’attuazione del piano; un’azione che si attui quindi nel corso della normale attuazione del piano e non sia dipendente da altre iniziative.
Figura 3. Guida alla progettazione delle infrastrutture per la mobilità (stralcio): mitigazione degli impatti.
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OLIVA FEDERICO, Il sistema ambientale, in Urbanistica 116, INU edizioni, Roma 2001, pagg. 158-165
Ciò non significa che altri strumenti o altre iniziative, come per esempio il Piano di azione ambientale dell’Agenda 21 o altri piani settoriali relativi non abbiamo una grande importanza per garantire ulteriormente la sostenibilità dello sviluppo urbano o per migliorare la qualità ambientale della città esistente: infatti, è ormai opinione generalizzata degli urbanisti più avveduti come il governo del territorio non sia una competenza esclusiva dei piani, ma anche delle politiche urbane, tra le quali spiccano certamente quelle legate all’ambiente; il piano semmai, appare, almeno nella situazione italiana, una condizione che in qualche modo deve anticipare le politiche, rappresentando una sorta di “telaio” sulle quali le stesse possono essere costruite. Ma per questi aspetti devo necessariamente rinviare alle considerazioni assai approfondite di Maurizio Marcelloni (che si è a lungo occupato di pianificazione strategica) nel suo recente libro su Roma pubblicato da Laterza.
Il Piano delle certezze (1997) aveva eliminato le destinazioni d’uso del PRG ’62 in contrasto con la perimetrazione dei parchi e con i vincoli cogenti dei Piani Paesistici, di fatto tutelando più di ottantamila ettari e cancellando ben cinquantanove milioni di metri cubi edificabili. L’immagine del sistema ambientale nel Piano delle certezze era quella di una “ruota verde” formata dai parchi urbani e metropolitani e dalle aree agricole, con alcuni “raggi” (rappresentati sempre dai parchi) che penetravano fin nel cuore della città. Oggi sembra che il nuovo piano arricchisca e articoli più nel dettaglio quella immagine: è vero? In effetti questa è esattamente la situazione. I “raggi” tuttavia non sono rappresentati solo dai parchi, che in molti casi rappresentano comunque le previsioni più corpose di questa struttura territoriale, ma anche dalle tante nuove aree verdi tra di loro collegate nella “rete ecologica” e direttamente legate all’attuazione del piano con il meccanismo della “cessione compensativa”, che almeno nella versione iniziale del piano, non quella emendata dal Consiglio Comunale, riguardava tutte aree per “Verde e servizi di livello locale”. Insomma, i collegamenti tra le grandi aree naturalistiche che formano una “rete” effettiva, erano affidati dal piano ancora al processo di trasformazione, in particolare al meccanismo compensativo che regolava l’acquisizione delle aree pubbliche, destinate a verde e servizi; ulteriore dimostrazione del ruolo attribuito alla trasformazione urbana nella costruzione di una città effettivamente sostenibile.
«Il verde cresce se la città si trasforma» è uno degli slogan che sta alla base del piano, che, infatti, si pone l’obiettivo di garantire in ogni Municipio la ragguardevole dotazione (standard) di verde pubblico e attrezzato di tredici mq per ogni “abitante insediato o insediabile”. Ci può descrivere il meccanismo attuativo che avete predisposto per raggiungere questo obiettivo? Il meccanismo è appunto quello dell’acquisizione compensativa a cui facevo riferimento nella risposta precedente. In pratica sia nella Città Consolidata che nella Città da Ristrutturare (oltre che nella Città della Trasformazione, dove però non sono previste aree pubbliche al di fuori dei perimetri sottoposti a perequazione urbanistica) l’acquisizione delle aree pubbliche era assicurata dal riconoscimento di una assai ridotta edificabilità per funzioni non residenziali delle varie aree, da esercitare però solo sul 20% di ciascuna di esse o di gruppi di aree aggregate, con la cessione gratuita e obbligatoria del rimanente 80%. Una soluzione assai equilibrata, che aumentava di pochissimo il cosiddetto “dimensionamento” del piano, ma metteva chiaramente in luce l’inaffidabilità della soluzione espropriativa, l’unica soluzione alternativa possibile, sia per le alte indennità, commisurate ai valori di mercato, oggi previste dalla legge, sia per la brevità della durata dei vincoli urbanistici (cinque anni), sia per l’impossibilità di una loro reiterazione se non in forma onerosa, come
in sancito dalle più recenti sentenze in materia della Corte Costituzionale. L’esproprio era confinato alla sola Città Storica, perché sembrava non appropriato attivare operazione di compensazione, cioè di anche minima edificazione, in un tale contesto. La politica non ha accettato questa soluzione di “buon senso” e in nome della più evidente ideologia, il Consiglio Comunale ha escluso dall’acquisizione compensativa anche tutte le aree per “Verde e servizi di livello locale” presenti nella Città Consolidata, dove vive la maggioranza della popolazione e dove i livelli degli standard urbanistici sono i più bassi, condannando così centinaia di migliaia di romani ad una qualità insediativa non certo soddisfacente. Ho espresso tutta la mia delusione per questa soluzione sul numero 137 di Urbanistica (“Il difficile sentiero dell’urbanistica riformista”), al quale rimando per qualche approfondimento.
La campagna romana è sicuramente una porzione di territorio unica nel suo genere, che possiede una forte connotazione paesistica: ad essa, sia per la sua estensione (Roma con i suoi centotrentamila ettari è il più grande comune agricolo d’Italia), sia per i suoi caratteri specifici e le relazioni particolari che tra questi si instaurano, sempre più viene riconosciuto ed attribuito il ruolo di complesso/risorsa culturale, storica, paesaggistica, ecc... È pur vero, però, che Roma - per un lungo periodo - ha avuto un rapporto con la sua campagna particolare, attribuendo a quest’ultima un ruolo esclusivamente produttivo: pascolo innanzitutto, coltivazioni estensive in secondo luogo. Oggi, invece, il rapporto della città con la sua campagna è profondamente mutato ed è possibile riconoscere molteplici tipologie di aree, articolate a seconda del diverso grado di pressione insediativa alla quale sono sottoposte e dello stato in cui versa l’attività agricola. Nel Piano vengono riconosciute queste diverse tipologie di aree e di paesaggi? Credo che questo aspetto sia uno dei contenuti del piano meno convincenti, non perché sia assente (in realtà è presente anche una carta gestionale sul paesaggio con relativa Guida), ma perché non è stata sviluppato alcuna analisi originale nel merito e, di conseguenza, anche le scelte progettuali sono alquanto tradizionali, per non dire poco approfondite. La stessa distinzione nelle due zone agricole ambientali e no, risale al PRG del ’64 ed è ripetuta in modo che probabilmente non corrisponde più alla situazione di fatto in molte situazioni. D’altronde è impossibile pianificare un territorio così complesso senza disporre di conoscenze adeguate, che solo ora, nella fase delle controdeduzioni, sono disponibili e che stanno contribuendo a migliorare in modo rilevante la qualità del piano per le zone extraurbane e per la stessa ridefinizione della “rete ecologica”. Ricordo comunque che alcune analisi e ricerche svolte da uno specialista agronomo relativamente alle caratteristiche produttive dell’agro romano presentavano una situazione così dirompente rispetto all’impostazione conservativa più tradizionale, che le stesse sono state di fatto messe da parte e la normativa delle zone agricole che ne è derivata è un insieme alquanto confuso di norme vincolistiche e alquanto complicate, dove si inventano nuovi strumenti (il PAMA) per le nuove costruzioni, senza sapere (e quindi senza indicare) quale ufficio e di quale settore dovranno gestire gli stessi strumenti.
Nella Convenzione Europea del Paesaggio si è affermata la convinzione che gli obiettivi di mantenimento e di recupero delle qualità paesistiche devono essere impostati tanto nei “paesaggi d’eccellenza”, quanto e soprattutto nei “paesaggi ordinari” che “rappresentano comunque l’espressione tangibile delle società che li abitano, ed in quanto tali si configurano come paesaggi culturali non diversamente da quelli tanto più celebrati e protetti” 3.
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CLEMENTI ALBERTO, Revisioni di paesaggio, Meltemi, Roma 2002, pag. 17.
Abbiamo avuto modo di vedere come il sistema ambientale individuato nel piano si strutturi in parte sul sistema di aree protette (statali, regionali e comunali) che interessano una buona percentuale del territorio comunale: come si rapporta - non solo da un punto di vista normativo/prescrittivo - il PRG con i piani di assetto che recentemente l’Ente RomaNatura ha predisposto per le riserve naturali di sua competenza? Il rapporto è l’unico possibile che si può istituire in un Paese dove le cosiddette “pianificazioni separate” sono una condizione comune e un problema per le zone extraurbane: il PRG si limita a riportare la perimetrazione dei “Parchi istituiti” e a indicare come per essi saranno i relativi piani di assetto (RomaNatura non è l’unico ente di gestione) a definirne la disciplina, senza quindi porre in essere alcun condizionamento. Un problema si pone per gli ambiti che pur essendo stati inizialmente perimetrati come parchi, non sono mai stato oggetto dei decreti istitutivi da parte della Regione, come l’ambito Arrone-Galeria, dove quindi i Piani di assetto dovrebbero essere di responsabilità del Comune, che tuttavia si limita, almeno per ora, alla semplice tutela attraverso il PRG. Voglio inoltre ricordare che il problema delle “pianificazione separate” riguarda anche i Piani Paesistici, che interessano il territorio romano in modo discontinuo e sono redatti in modo poco leggibile e non coordinato con il PRG: nel complesso le modalità di trattamento dei quasi ottantamila ettari del territorio romano extraurbano mi sembrano scontare negativamente l’arretratezza del nostro sistema di pianificazione, con l’affastellamento e la sovrapposizione “separata” di troppi strumenti dal PRG ai Piani di assetto, dal PTCP ai PTP.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI CITATI NEL TESTO CLEMENTI ALBERTO, Revisioni di paesaggio, Meltemi, Roma 2002. MARCELLONI MAURIZIO, Pensare la città contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2003. OLIVA FEDERICO, Integrare urbanistica ed ecologia, in Urbanistica 112, INU edizioni, Roma 1999, pagg.47-62. OLIVA FEDERICO, Il sistema ambientale, in Urbanistica 116, INU edizioni, Roma 2001, pagg.158-165.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1 e 2: Comune di Roma, Nuovo Piano Regolatore, elaborato P4 Rete ecologica, Roma 2003 Figura 3: Comune di Roma, Nuovo Piano Regolatore, Guida alla progettazione delle infrastrutture per la mobilità, Roma 2003
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2004. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
PAESAGGIO,
TERRITORIO E PIANIFICAZIONE IN TRE DIVERSE CITTÀ SEGNATE DALLA PRESENZA DELL’ACQUA: SANTIAGO DE COMPOSTELA, LIONE E MAZARA DEL VALLO A CONFRONTO Antonello Boatti*
Summary Identify the means by which water can deeply mark shape, life, management and use of a town. From this point, move and think about policies, plans and projects, which assume as key targets landscape enhancing. These are main topics which inform and are emphasises by this contribution. It is, also, a trip through places, projects and processes, even different between them, offered to the reader. Santiago de Compostela, Lione and Mazara del Vallo become, by this way, the places where to identify the tamed river, the core theme of some landscape and the continuous fighting between nature and humans. Starting from these points, outline, tell and target to the planned or not yet planned project choices, the results achieved or aimed to such landscape, its core signs and the urban space become at the same time, the basic point of preservation, renewal, evolution and its reconquest. Key-words Landscape, water, Santiago de Compostela, Lione, Mazara del Vallo.
Abstract Individuare le modalità con cui l’acqua è in grado di segnare profondamente la forma, la vita, il funzionamento e l’uso di una città e da qui muoversi e ragionare intorno alla definizione di politiche, piani e progetti che assumano quale obiettivo principale la valorizzazione del paesaggio urbano. Sono questi i temi che animano ed informano il presente contributo ma è soprattutto un percorso tra luoghi, progetti e processi anche differenti tra loro quello che viene offerto al lettore. Santiago de Compostela, Lione e Mazara del Vallo diventano in questo senso i luoghi entro cui riconoscere il fiume domato, il soggetto forte di alcuni paesaggi o ancora la lotta continua tra natura e uomo e, a partire da questi, descrivere, raccontare e indicare le scelte progettuali compiute o ancora da compiere, gli esiti raggiunti o auspicati affinché il paesaggio, i suoi segni forti e lo spazio urbano diventino allo stesso tempo gli elementi della conservazione e del rinnovamento, del mutamento e della riconquista. Parole chiave Paesaggio, acqua, Santiago de Compostela, Lione, Mazara del Vallo.
* Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano.
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PREMESSA Nessun altro elemento naturale o artificiale è in grado di segnare profondamente non solo la forma, ma la vita, il funzionamento e l’uso di una città quanto lo possa fare la presenza dell’acqua. Naturalmente la qualità e le caratteristiche delle acque che lambiscono le città sono determinanti per gli effetti che possono generare su di esse. Così quando l’acqua consiste in un fiume ormai, almeno apparentemente, domato e cioè che scorre storicamente con relativa tranquillità nel tessuto urbano, essa rappresenta comunque sempre più di un semplice sfondo “possiede infatti, una storia, una personalità, un’identità che deve essere presa sul serio e influenza il carattere degli uomini che vivono in quel ambiente, evocano un’atmosfera, un sentimento del tempo, una particolare emozione”1 come appare ad esempio con il Tevere a Roma. Un secondo significativo caso si configura quando l’acqua è “soggetto forte in alcuni territori strettamente strutturati su corsi o specchi d’acqua, su canali e navigli di diversa portata. L’acqua è soggetto forte di alcuni paesaggi, che possono con buona ragione essere considerati paesaggi d’acqua”2. Sono queste le città che si affacciano su corsi d’acqua che svolgono un ruolo importante nel sistema economico, nella produzione, nel trasporto e nelle comunicazioni così come accade a Londra o Amsterdam. Può esistere infine alla base del rapporto con l’acqua una lotta continua tra natura e uomo, come per esempio a Rotterdam dove la città non esisterebbe senza dighe, polder e canali, dove il paesaggio si snoda in forme assolutamente artificiali al di sotto del livello del mare sulla foce a delta del fiume Maas. Ma senza giungere all’estremo, questa ultima categoria può raggruppare i casi in cui il rapporto tra società umane e l’acqua è più evidente ed è ben visibile in artefatti che condizionano, limitano e modificano gli stessi corsi dei fiumi, le rive del mare e i porti. Questa suddivisone schematica delle caratteristiche della presenza dell’acqua nelle città, ben lungi dal rappresentare un abaco delle infinite variabili sul tema è utile, se si vuole, attraverso l’esplorazione di alcuni casi particolarmente specifici, definire politiche, piani e progetti significativi nell’ambito della valorizzazione del paesaggio urbano. Accettando di percorrere il rischio di qualche semplificazione si è scelta Santiago de Compostela in Galizia come archetipo di città percorsa da un fiume domato e anche di conseguenza sino agli anni ’80 dimenticato e trascurato, Lione come esempio di città in cui i fiumi sono soggetto forte, legati tuttora e sensibilmente alla vita e alla produzione (comunicazioni) e Mazara del Vallo come piccola città in cui mare e fiume declinano in altri modi i termini della lotta uomo – natura scanditi dallo sviluppo e dal declino della più grande flotta peschereccia d’Italia e dalla storia del suo porto e del suo fiume. I processi di pianificazione dei tre casi presi in esame sono assai differenti tra di loro, ma tutti accumunati dalla consapevolezza di voler attribuire valenza paesaggistica al processo di pianificazione. Per Santiago de Compostela si fa riferimento al Plan General di Ordenaciòn Municipal e del Plan Especial de Protecciòn y Rehabilitaciòn de la Ciudad Històrica del 19953. Per Lione lo strumento fondamentale è costituito dallo Schèma Directeur Lyon 2010 e dai suoi piani tematici. Nel caso di Mazara del Vallo viene invece preso in considerazione uno studio coordinato dall’autore di questo saggio che rielabora un’interessante tesi di laurea4.
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WIM WENDERS, L’atto di vedere, Ubulibri, Milano 1992, pag. 89. LELIO PAGANI, Premesse, in LELIO PAGANI, (a cura di), Corsi d’acqua e aree di sponda: per un progetto di valorizzazione. Tecniche di intervento sui corsi d’acqua e sulle aree spondali, University Press Edizioni Sestante, Bergamo 2003, pag. 7. 3 OFICINA DE PLANEAMIENTO (diretta da Anxel Viña), Plan General di Ordenaciòn Municipal e Plan Especial de Protecciòn y Rehabilitaciòn de la Ciudad Històrica, Santiago de Compostela 1990-1995. 2
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SANTIAGO DE COMPOSTELA: IL VALORE DELL’ANALISI STORICA NELL’INDIVIDUAZIONE DEI VALORI PERMANENTI DEL PAESAGGIO Affidare all’analisi minuta della cartografia storica la ricostruzione degli elementi che costituiscono le invarianti del paesaggio è uno degli scopi evidenti del piano urbanistico di Santiago de Compostela. La città è la tappa estrema del pellegrinaggio conosciuto come il “Camino de Santiago” dove fede, arte, religiosità popolare, letteratura, tradizioni, leggende e vicende storiche si mescolano.
Figura 1. Santiago de Compostela: veduta della città tra i due fiumi, il Sar e il Sarela.
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CHIARA PRANZO-ZACCARIA, FEDERICA ROMEO, CHIARA SCHIAZZA, Mazara del Vallo tra Europa e Mediterraneo, Tesi di Laurea, Facoltà di Architettura, Politecnico di Milano, a.a. 2001/2002, relatore prof. Antonello Boatti.
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Santiago di Compostela nacque nel nono secolo nello spazio compreso tra il fiume Sar e il suo affluente Sarela. Due fiumi di ridotta capienza che attraversano un paesaggio atlantico, mosaico di boschi, coltivazioni minifondiste e piccoli borghi dispersi. Il suo centro di netta origine medievale ha subito in modo evidente un processo di barocchizzazione ed è anche caratterizzato dalle ricostruzioni dell’Ottocento. La città storica, che fino agli anni Cinquanta del secolo passato rappresentava praticamente la città intera, è caratterizzata da una planimetria - consolidata già alla fine del Settecento che non colonizza gli argini dei fiumi, ma si limita ad attraversarli con vie di comunicazione assiali su cui si appoggiano allineamenti di case periferiche, arricchendosi in corrispondenza dei ponti con insediamenti di chiese o conventi. I Fiumi Il fiume Sarela scorre lungo il lato ponente della città passando molto vicino ai limiti della facciata monumentale del centro storico. L'intero corso, dalle sorgenti allo sbocco nel fiume Sar, è stato oggetto di una decisa protezione urbanistica nella pianificazione municipale del 1995, che tende a preservare non solo il letto e gli argini del fiume, ma anche i campi di irrigazione canalizzata, i terreni di coltivazione e le zone boscose che caratterizzano il paesaggio agricolo.
Figura 2. Santiago de Compostela: il bosco di querce di Santa Susanna in una carta del 1908 e in un fotopiano del 1992.
La salvaguardia del fiume Sarela consente di sviluppare una vera e propria sinergia per il paesaggio urbano. Da un lato preservando dallo sviluppo edilizio il versante ovest della città si consente la conservazione e valorizzazione della prospettiva storica della cattedrale dai diversi e principali caminos.
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Dall’altro l’intervento lungo il corso del fiume costruisce un nuovo paesaggio urbano mediante l’ampliamento del Campus Universitario Sud con un giardino botanico che si estende fino oltre al fiume, il rafforzamento della vocazione universitaria con la localizzazione a nord di nuove Facoltà, la creazione di un parco universitario tra Campus Nord e Campus Sud inserito in un potente sistema verde ed infine con il recupero delle architetture industriali e rurali legate alle risorse idriche. Tutte le operazioni di pianificazione sono quindi fortemente orientate alla salvaguardia, alla esplorazione e al rilancio critico vivo e non vetrificato del centro storico e dei corsi d’acqua con i loro significati profondi. Vengono innanzitutto valorizzate le tracce indelebili dell’interezza e della coralità della struttura del paesaggio urbano e storico di Santiago che possiamo riassumere nel duplice “genius loci” costituito dal Santuario e dal Mercato, dalle Ruas, e dalla misteriosa struttura dei chiostri. Il “genius loci” Abitare un luogo come sostiene Luisa Bonesio nel suo Geofilosofia del paesaggio 5, significa accordarsi al suo spirito e questo caratterizza la fisiognomica della comunità e delle civiltà fedeli alla propria originaria interpretazione del “genius loci”. Ancora Pier Luigi Cervellati in un suo recente libro affida agli urbanisti (già dal sottotitolo “una modesta proposta per non perdere la nostra identità storica e culturale e per rendere più vivibili le nostre città”) il compito di ri-fondare la città a partire dal riuso e della manutenzione delle strutture esistenti sostenendo tra l’altro che “Il paesaggio non appartiene tanto alla sfera della creatività , quanto a quella della manutenzione. E del restauro inteso […] quale restituzione”6. Così il piano del 1995 affida alla valorizzazione dei luoghi del Santuario e del Mercato il compito del rilancio della città attraverso la attualizzazione dei valori anche simbolici dei due luoghi. Il Santuario A Santiago la centralità della Cattedrale giunge inalterata dall’XI secolo ad oggi e rappresenta sicuramente il luogo dei luoghi.
Figura 3. Santiago de Compostela: il luogo dei luoghi - il Santuario.
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LUISA BONESIO, Geofilosofia del paesaggio, Mimesis, Milano 1997. PIER LUIGI CERVELLATI, L’arte di curare la città, Il Mulino, Bologna 2000, pag. 80.
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Tutto ruota attorno alla sacralità civile e architettonica del Santuario. Nessun altro luogo della città può essere paragonato con esso e quella architettura informa e dovrà informare di sé tutto il tessuto urbano e anche le parti nuove della città. Il Mercato Ricostruito tra il 1937 e il 1942 rimpiazzando l’originaria struttura in ferro costituisce l’altro e minore caposaldo del paesaggio urbano del centro storico situato a quattro “ruas” di distanza dalla Cattedrale, ma all’interno della prima cerchia muraria, con la sua particolarissima architettura di granito. “Ci sono certo dei paesaggi la cui particolare natura impone innanzitutto una loro conservazione; ma è importante anche recuperare la capacità di progettare dei mutamenti che sappiano essere esteticamente validi cioè tali da non sfigurare l’identità dei luoghi pur trasformandola ove questo è necessario”7. Le Ruas de Santiago Le “Ruas” in galiziano significano le strade in generale, ma se diciamo le “ruas de Santiago” intendiamo quelle determinate strade che si dispiegano nel settore meridionale del centro storico seguendo la direttrice sud nord lievemente piegata verso est. È il barrio gotico, continuo, riconoscibile, autonomo e meritevole di far nascere un esperimento come quello del Consorcio de Rehabilitaciòn de Santiago de Compostela. Il Concorcio attua una particolarissima attività di concerto con l’Amministrazione Comunale: partecipazione democratica alle scelte, agevolazioni economiche per la progettazione, architettura ecologica e biocompatibile, rigoroso rispetto per l’ambiente storico sono gli ingredienti di una “ricetta” vincente. Gli spazi occulti: la struttura dei chiostri Nessuna analisi particolare della città è di per sé esaustiva, ma tutte le analisi concorrono a formare la conoscenza della città. Dalle analisi catastali del piano terra emerge con forza l’esistenza di un subsistema dei chiostri che rappresentano una particolarissima città privata. Molti di essi sono oggi conventi di clausura, altri residui di una società nobiliare o altoborghese, alcuni infine, nella magia della democrazia, sono diventati spazi per tutti da gustare in modo discreto. Tutti rappresentano una delle realtà di Santiago messa in evidenza da una attenta analisi cartografica: ma tutto il sistema di pianificazione urbanistica si radica nell’esame e nell’interpretazione della cartografia storica. I segni forti del paesaggio impongono le scelte progettuali e il fiume Sarela è al contempo il cardine della conservazione e del rinnovamento del paesaggio urbano Nella manutenzione e nel restauro della città storica si dipana una politica urbanistica che cerca di ricomporre anche i luoghi di frangia tra centro storico e città contemporanea attraverso una ricostruzione quasi calligrafica degli spazi verdi e boscati che riprendono il proprio ruolo. La viabilità assume una nuova gerarchia che relega il traffico veicolare ai bordi del nucleo storico, le arterie esterne sono ridimensionate e il centro gotico e le sue ruas diventano pedonali tornando a essere il cuore della città. Lo stesso progetto degli anni Ottanta di una forte penetrazione viaria nei pressi del centro storico, proprio nel delicatissimo lato di ponente, viene sottoposto a forte critica con la riduzione del calibro stradale e una vasta pedonalizzazione. Il successivo concorso di progettazione e la stessa realizzazione confermano le scelta di piano.
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PAOLO D’ANGELO, Morte e resurrezione del paesaggio, “Parametro”, 245, 2003, pag. 49.
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Dibattuta tra valore simbolico dello spazio medievale, processo di barocchizzazione della città e ricostruzioni dell’Ottocento, sospesa tra un futuro di capitale amministrativa della Galizia e un passato legato alla più grande tradizione del cattolicesimo, Santiago sceglie la strada di una ricostruzione critica del centro storico basata su un restauro quasi ossessivo delle ruas e del barrio gotico e contemporaneamente di interventi forti di architettura di qualità subito fuori della cerchia muraria come il Centro Galiziano di Arte Contemporanea di Alvaro Siza (1988-1993) contornato dal Parco di S. Domigo de Bonaval, entrambi costruiti accanto ad un austero convento settecentesco.
Figura 4. Santiago de Compostela: Galician Center for Contemporary Art di Alvaro Siza (1988–1993).
Ed è proprio il progetto del paesaggio lungo il fiume Sarela che guida questo difficile processo di manutenzione, restituzione e trasformazione della città, preservando dallo sviluppo edilizio il versante ovest per consentire la conservazione e valorizzazione della prospettiva storica della cattedrale e costruendo lungo il corso del fiume un nuovo paesaggio urbano basato sull’ampliamento dell’università intesa come nuova vera e nobile identità di Santiago.
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LIONE: IL PAESAGGIO URBANO COME UNO DEGLI ELEMENTI FONDANTI DEL PIANO STRATEGICO Inserire nello schema direttore della città e della sua area urbana molti piani a tema con al centro il paesaggio urbano come il Plan Lumière, il Plan Couleurs, il Plan Vert, il Plan Bleu: così può essere sintetizzato il grande sforzo innovativo condotto dalla municipalità lionese nell’ambito della più complessa iniziativa nota come “Lyon 2010”8.
Figura 5. Lione: Schema Direttore – Master Plan Lyon 2010.
Fondata dai romani nel 43 a.C. con il nome di Lugdunum (la collina dei corvi), antica capitale commerciale e militare delle tre Gallie, la città, il cui nucleo originario occupava la collina di Fourvière con il foro, il teatro, un odeon e il tempio di Cibele, si estende presto anche sulle pendici della collina della Croix-Rousse (Anfiteatro delle Tre Gallie) e nella penisola tra la Saone e il Rodano.
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ELENA MARCHIGIANI, Lyon 1999-2010. Strategie e progetti per la città contemporanea, “Planum”, 2002, http://www.planum.net/journals/lyon-it.html.
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Lione raggiunse il suo massimo splendore nel Rinascimento. Alla fine del XVI secolo diviene il più importante centro francese per l’industria della stampa. Ma è la lavorazione della seta che conferirà alla città il suo carattere originale: Lione, città dei setaioli. Storicamente le vicende della Rivoluzione Francese bloccarono bruscamente lo sviluppo della città iniziato nel Rinascimento, e Lione fu teatro di insurrezioni sanguinose dei “federalisti” (17 luglio 1793) e di violente reazioni giacobine che provocarono migliaia di vittime. Lione cade il 9 ottobre 1793 e si riporta questa frase, pronunciata alla Convenzione: “Lyon n’est plus”. Per la verità l’applicazione pratica dell’editto della Convenzione che all’articolo 2 ordinava la distruzione della città ad eccezione delle case dei poveri, delle dimore dei patrioti e dei martiri e degli edifici pubblici ed industriali, si esaurì in una sanguinosa catena di esecuzioni. Lo sviluppo riprenderà sotto l’impero Napoleonico, trasformando Lione in una città industriale. Crescono rapidamente, caduti i vincoli sui terreni degli ordini religiosi, i quartieri operai sulle pendici della Croix-Rousse, mentre viene urbanizzata la riva sinistra del Rodano. L’impianto urbanistico del quartiere la Croix-Rousse, è caratterizzato nella sua parte più vecchia, da case popolari addossate alla collina con i loro singolari “traboules”, (dal latino Trans ambulare, passare attraverso) ballatoi e cortili, passaggi interni collegati tra di loro che vanno a formare una specie di labirinto interno ai quartieri che spesso nasconde delle vere e proprie meraviglie tra cui i numerosi trompe-l’oeil magicamente inseriti nella realtà del quartiere. Le trasformazioni ottocentesche della Presqu’ile Il tessuto urbano rinascimentale della Presqu’île viene riorganizzato tra il 1848 e il 1863, con l’apertura di tre nuove arterie rettilinee, con direzione nord-sud, caratterizzata dalla distruzione di circa 1000 edifici e dal trasferimento di 25.000 abitanti, che per la maggior parte non tornarono a vivere nel quartiere. Nel 1857 iniziavano i lavori per la realizzazione del Parc de la Tête d’Or, il più celebre dei tre “cuori verdi” che la città di Lione conta attualmente. La Lione di Tony Garnier All’inizio del XX secolo, lo sviluppo della città fu influenzato dall’opera dell’architetto capo del comune, Tony Garnier e dalla sua architettura modernista (1919-1934), organizzata principalmente attorno alle Halles, edificio costituito da una sala lunga più di duecento metri sostenuto da una splendida struttura in acciaio, con lo stadio olimpico e il quartiere EtatsUnis. Le industrie continuano a svilupparsi, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale mondiale. Lione dopo la stagnazione della prima metà del 1900 trova il suo rilancio con lo sviluppo delle infrastrutture La città entra nel circuito delle metropoli europee dopo la stagnazione della prima metà del secolo scorso con lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto (aereoporto Satolas, stazione TGV, linee della metropolitana), la realizzazione tra il 1965 e il 1982 del centro direzionale, commerciale e culturale di Part-Dieu. Nel 1968 nasce la Comunità Urbana della Grande Lione, che comprende, oltre al capoluogo, altri 54 comuni, formando in questo modo la seconda area metropolitana di Francia, che attualmente conta 1.508.966 abitanti. Lione e la qualità urbana - le aree pedonali Nella Presqu’ile, penisola tra i due fiumi che attraversano la città, la Saone e il Rodano, si estende un’importante zona pedonale oggetto di numerosi interventi iniziati nei primi anni Settanta. Partendo dal sistema Place de Terreaux e Place de la Comédie, la via pedonale, che nel primo tratto si configura piuttosto come una via ad accesso riservato, giunge a Place
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Bellecour, la piazza più vasta di Lione nel cuore della penisola formata dalla confluenza della Saone con il Rodano e dominata dalla statua del Re Sole.
Figura 6. Lione: planimetria del Parc de la Tete d’Or.
La pedonalizzazione del quartiere di Saint Jean è iniziata nel 1978, in seguito al buon successo riscontrato negli interventi precedenti effettuati nella Presq’île. Il quartiere St-Jean, che si estende dalla riva destra della Saone, comprende un gran numero di edifici storici di 10
buon valore, tra cui la Cattedrale di Saint Jean del XII secolo, la Cattedrale di St. Paul del XII secolo, la Loggia dei Cambi del XVII secolo, oltre a numerosi palazzi prevalentemente rinascimentali. Da allora, per due terzi degli edifici si è aperta una nuova prospettiva di vita. Le abitazioni sono state risistemate e si è preservata una composizione sociale eterogenea, che comprende anche una notevole presenza di immigrati nordafricani. L’asse portante dell’isola pedonale è costituito da Rue St-Jean e dalla parallela Rue du Bœuf. A nord l’isola si estende con Rue Juiverie e Rue Laineire terminando in Place St-Paul, dove si trovano l’omonima cattedrale, risalente al XII secolo e rimaneggiata in età gotica, e la stazione ferroviaria. L’isola comprende inoltre le vie traverse a quelle citate e un gran numero di trabuoles. Il valore dello Schema directeur nella progettazione del paesaggio urbano Nel 1992 è adottato lo Schema direttore “Lyon 2010”9 per la grande Lione che definisce una nuova struttura per un’area metropolitana di 71 comuni. Un piano che mette a sistema gli interventi puntuali sul centro e sugli spazi pubblici e la creazione di nuovi poli di ricerca e di produzione esterni, nelle aree di accesso alla città segnate dalla presenza di trasporto pubblico e dai nodi della maglia portante della viabilità veicolare. Ma anche un piano teso a ricostruire il paesaggio urbano. Lo Schema direttore “Lyon 2010” è caratterizzato da piani a tema: - Piano di occupazione del suolo o master plan; - Piano della luce; - Piano del colore; - Piano delle zone di protezione del patrimonio architettonico paesaggistico; - Piano verde; - Piano blu per la riqualificazione dei fiumi; - Schema di sistemazione degli spazi pubblici centrali e periferici. Il Piano dell’occupazione del suolo e dello sviluppo dei poli tecnologici È bene evidente la struttura dei cunei verdi e il ruolo dei fiumi nel ridisegno del paesaggio urbano. Alla struttura forte del centro fanno riscontro i poli dello sviluppo tecnologico e della ricerca che si affacciano verso la Grande Lione. Tutti i poli interni alla città sono tutti localizzati lungo il fiume forte della città e cioè il Rodano. Così il Parco di Gerland e la Cité Scolaire Internationale a sud e non diversamente a nord la Cité Internationale di Renzo Piano o al centro il progetto di Lyon Confluence10 che secondo l’idea dell’urbanista Francois Grether e del paesaggista Michel Desvigne affida al ridisegno delle rive dei due fiumi, al porto e ai parchi la riorganizzazione degli spazi e delle funzioni tra fiume e città. Esternamente l’intervento più rilevante è costituito dalla stazione del TGV di Calatrava organicamente collegata all’aeroporto a simbolizzare il punto di equilibrio tra città dinamica, veloce e competitiva e città dolce, amichevole e calma11.
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Agence d’urbanisme de la Communauté urbane de Lyon, Direction départementale de l’équipement du Rhone et Direction départementale de l’agriculture et de la foret du Rhone, Schéma directeur de l’agglomeration lyonnaise: Lyon 2010, Agence d’urbanisme de la communauté urbaine de Lyon, Lyon 1992, pag. 314. 10 SEM LYON CONFLUENCE, Les rives des fleuves, le port et le parc, “Le notes”, 2000, http://www.lyonconfluence.fr. 11 ROMEO FARINELLA, Lione e Bordeaux. Strategie e progetti urbani per due città fluviali, “Paesaggio urbano”, 2, 2003.
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Figura 7. Lione: la Cité Internationale di Renzo Piano.
Piano della luce Il panorama della città di Lione è stato completamente trasformato, a partire dal 1989, da un originale programma di illuminazione, che ha riguardato oltre 150 siti. Per ottenere questo risultato, è stata creata una nuova atmosfera luminosa usando fibre ottiche, illuminazione semi-diretta o indiretta con l’ausilio di proiettori integrati con gli elementi dell’arredo urbano. Il Piano della Luce fonda la sua realizzabilità su un partenariato tra pubblico e privato e contribuisce al rilancio anche economico della città. E così smentendo ogni teoria brutalmente sviluppista è paradossalmente la qualità urbana uno dei principali motori dello sviluppo ed è sulla base di queste considerazioni che la Philips decide di spostare grande parte degli uffici e della ricerca a Lione attratta fatalmente dai risultati raggiunti con il piano della luce. Piano del colore Strettamente connesso al piano della luce il piano del colore è destinato attraverso la definizione di una tavolozza di colori “alla valorizzazione dei differenti settori della città e al rafforzamento dell’identità di alcuni luoghi urbani mal sfruttati e apprezzati”12. In questo senso particolarmente significativo e unitario è l’intervento eseguito sulle facciate in Place St. Paul nella vecchia Lione dove i colori delle terre richiamano la tavolozza naturale della adiacente collina di Fourviere. Al quartiere della Croix-Rousse e nella zona di Fourviere le scelte cromatiche non paiono sufficienti per l’obiettivo dichiarato della ricerca dell’identità storica e allora sono i trompel’oeil a raccontare in presa diretta la storia del Sindaco di Lione e del suo architetto capo Tony Garnier che simbolicamente si affacciano sulle prospettive del vecchio quartiere dei Setaioli.
12 LAURA FERRARI, L’acqua nel paesaggio urbano: letture esplorazioni ricerche scenari. Milano riscopre l’acqua, Tesi di Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze (XVI ciclo, coordinatore: Prof. Giulio Gino Rizzo), discussa nel settembre 2004, tutor prof. Antonello Boatti (Politecnico di Milano), co-tutor prof. Augusto Boggiano (Università degli Studi di Firenze), pag. 160.
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I diversi piani si collegano e si tengono tra di loro, come dimostreranno i cromatismi affidati alle diverse specie vegetali scelte nel piano del verde.
Figura 8. Lione: realizzazioni secondo il Piano della Luce.
Piano del verde A partire dal 1996 con il lancio del nuovo Plan de Végétalisation, l’obiettivo che si pone è la messa in opera di una politica globale di trattamento della natura, da applicare tanto alla piantumazione di una piazza quanto alla creazione di un nuovo parco, oppure alla scelta del tipo di pianta da usare per un nuovo allineamento di alberi lungo un viale. Alla base del Piano del Verde, c’è una riflessione di fondo tesa a ridefinire il ruolo della natura, verso un modo più “naturale” di trattare l’elemento vegetale, più libero, in relazione diretta con le specificità geografiche dei differenti quartieri. Ciò implica una diversificazione della tavolozza del verde. Si individuano così tre ambienti distinti. Il primo è costituito dalle colline di Lione Fourviere e Croix-Rousse con i loro antichi quartieri. Il secondo è costituito dalle rive fluviali, il terzo dalla pianura con il suo tessuto urbano fortemente strutturato. Così le specie vegetali proposte si differenziano in base alle caratteristiche del luogo. In tal modo le pendici delle colline hanno come proprio riferimento il fuoco (già usato nella scelta dei colori degli intonaci).
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La vegetazione quindi è scelta in relazione alla forte colorazione autunnale e compaiono aceri, cornioli, faggi, ciliegi selvatici, eccetera … . Le rive del Rodano e della Saone hanno come elemento associato l’acqua e la vegetazione è scelta per i colori argentei e per le forme fluide: salici, pioppi tremoli, pioppi bianchi e persino l’assenzio che ci trasporta di colpo nel clima degli artisti e dei letterati maledetti della Parigi di fine Ottocento, primi Novecento. Infine la pianura si associa con la terra che porta con sé le piante da frutto e quelle ornamentali e quindi il melo, il limone, il lillà, il caprifoglio, eccetera … . Il patrimonio arboreo è oggi equamente ripartito tra i parchi storici come il Parco de la Tete d’Or e il Parco des Hauteurs sulle pendici di Fourviere e quelli di nuovo impianto come il Parco de Gerland. Piano delle zone di protezione del patrimonio architettonico e paesaggistico e piano blu per la riqualificazione dei fiumi In questi due piani si ripropone il rafforzamento di alcuni settori e luoghi della città, in particolare le quattro sponde fluviali. Gli interventi alla scala urbana (passerelle e ponti nell’area centrale come la passerella storica di St. Georges o quella nuova davanti al Palazzo di Giustizia, il nuovo water front alla Città Internazionale sul Rodano) e extraurbana (naturalizzazione delle sponde e riqualificazione delle aree limitrofe) costituiscono l’ossatura dell’intervento di riqualificazione del paesaggio fluviale. Elaborato nel 1991 il Plan Bleu ha delineato un assetto generale e di riqualificazione dei fiumi Saone e Rodano “integrando allo stesso tempo dimensione paesistica, ambientale, economica e sociale di questi importanti elementi naturali all’interno della trama urbana […]. Indipendentemente dal livello di azione e di intervento l’obiettivo principale individuato dal piano è stato indubbiamente non solo quello di proteggere e valorizzare gli ambienti naturali e il paesaggio fluviale, ma soprattutto quello di favorire il recupero delle relazioni tra la città e i suoi due fiumi, tra i cittadini e la presenza dell’elemento fluido, tra la natura e la trama urbana”13. Lo schema di sistemazione degli spazi pubblici centrali e periferici è il linguaggio comune della nuova identità lionese “Refaire la Ville sur elle – meme”14 è il motto dello schema d’aménagement des espaces publics e riassume una strategia che ha interessato nella stessa misura il centro e gli ambiti periferici. La costruzione di un vocabolario comune per l’arredo urbano con incarichi agli stessi progettisti delle piazze storiche come dei luoghi irrisolti delle periferie. Assumere cioè gli spazi pubblici come trama strutturante della nuova immagine lionese ha comportato di cercare risposte unitarie a diversi temi quali l’assetto fisico spaziale, quello funzionale, l’accessibilità veicolare e quella pedonale: le vie e le piazze vengono ridisegnate associando diversi tipi di pavimentazione con materiali particolari come l’acqua, la vegetazione, la luce naturale e artificiale ed i colori. Così lo schema di sistemazione degli spazi pubblici costituisce il vero paradigma di comportamento del più generale piano di Lione dalla ricerca dell’identità dei luoghi (Fourviere, Croix-Rousse, Presqu’île, Rodano e Saone) al lancio di una nuova visione della città (Parco de Gerland, Cité Internazionale, Cité Scolaire Internazionale e Lyon Confluence), sino all’esaltazione delle risorse naturali dentro la città e prima fra tutte l’acqua. Il paesaggio urbano è chiamato quindi a parlare un unico democratico linguaggio che affida pari opportunità di luce, di colori e di nobiltà di materiali al centro come ai quartieri più periferici che tuttavia si avviano strutturalmente a divenire nuove polarità.
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LAURA FERRARI, op. cit., Università degli Studi di Firenze 2004, pag. 161. ELENA MARCHIGIANI, op. cit., 2002, http://www.planum.net/journals/lyon-it.html.
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MAZARA DEL VALLO: LO SPAZIO URBANO RIDISEGNA IL CENTRO STORICO DAL PARTICOLARE AL GENERALE
Riportare vitalità a Mazara del Vallo e al suo centro storico innestando nella città i valori di una cultura multietnica che già si è di fatto riappropriata del vuoto lasciato dagli italiani nell’attività della pesca e nell’abitare i luoghi. La sfida sociale e culturale dell’integrazione mutietnica si radica in un progetto urbano che ha come punto focale il mare e il suo fiume come ponte verso la sponda africana del Mediterraneo. Questo è il tema che lo studio autonomo condotto dall’autore di questo saggio propone alla riflessione di tutti. Mazara del Vallo, centro fenicio poi colonia romana, conosce l’apice del suo sviluppo durante la dominazione araba (IX secolo d.C .). Con i Normanni attorno all’anno 1000 viene spazzata via la parte più rappresentativa della città araba mentre ne permane la struttura minuta. Durante il periodo aragonese tra il XIV e il XVI secolo la città subisce un periodo di decadenza. Nel periodo della Controriforma Mazara vive le trasformazioni fantastiche del Barocco che ancora oggi caratterizzano il centro storico. Dopo una sostanziale stasi dello sviluppo durante il Settecento e all’inizio dell’Ottocento è con la metà di questo secolo che la formazione del porto, la valorizzazione del fiume Mazzaro e lo sviluppo dell’industria dei vini segnano l’espansione della città fuori dalle storiche mura. Ma soprattutto inizia la stagione della flotta della pesca. Un’ulteriore espansione è conosciuta dalla città durante il XX secolo. “L’introduzione della ferrovia favorì lo sviluppo del commercio via terra, oltre che via mare, consentendo di aumentare il valore dei terreni circostanti nella zona dove venne costruita la stazione ferroviaria. Nelle aree circostanti la linea ferrata si insediarono le industrie vinicole”15. Tra il 1927 e il 1930, si realizzò l’approfondimento del porto a cinque metri e il prolungamento del molo orientale16. Alla fine degli anni Quaranta, il Comune di Mazara del Vallo si trovava ad affrontare tutti i problemi lasciati dalla guerra. L’amministrazione comunale si trovò di fronte a questioni in qualche modo di sopravvivenza come la sistemazione delle strade, la costruzione d’alcune scuole e l’inizio della realizzazione della fognatura, degli acquedotti e degli impianti d’illuminazione. “Dopo il rallentamento subito durante la Seconda Guerra Mondiale, l’attività di pesca riprese nel 1944 con il ritorno dei motopescherecci militarizzati a scopi bellici e l’esercizio della pesca azzurra (alici, sarde, sgombri) riprese a pieno ritmo. Il mare apparve finalmente in tutta la sua potenzialità di immenso patrimonio da sfruttare senza confini e campi marini delimitati da proprietà private, dove il possesso del pesce pescato è di chi lo cattura”17. Il piano regolatore del 1958 con l’espansione lungo la costa in direzione sud est apre la pagina della colonizzazione del lungomare che incomincia a conoscere i primi gravi episodi di abusivismo edilizio. Il piano regolatore del 1968 con la previsione di ulteriori espansioni lungo tutti i litorali disegna l’accerchiamento del centro. Il piano regolatore del 1988 rappresenta efficacemente le tendenze future della crescita di Mazara. Nonostante il grande sviluppo previsto il centro storico rimane ben individuato. Il nucleo originario costretto tra abbandono e degrado e avendo subito una modificazione etnico-sociale sostanziale (oggi su duemila abitanti del centro seicento sono stranieri, principalmente marocchini) conserva comunque una sua unità espressiva fortemente connotata dalle caratteristiche della città araba tradizionale in cui sono incastonati i gioielli del Barocco. 15
CHIARA PRANZO-ZACCARIA, FEDERICA ROMEO, CHIARA SCHIAZZA, op. cit., a.a. 2001/2002. GIOVANBATTISTA QUINCI, Mazara del Vallo: i nostri paesaggi e i nostri centri pescherecci, Istituto poligrafico dello stato, Roma 1931. 17 GIOVANBATTISTA QUINCI, op.cit., Roma 1931. 16
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Figura 9. Mazara del Vallo: veduta dall’alto del centro storico.
I segni della dominazione araba sono conservati ed evidenti nel centro storico: dal reticolo viario che ricorda in modo impressionante quello della casbah di Tunisi alle tipologie dei cortili sino a giungere agli odori e ai sapori che escono dalle case ormai abitate in grande parte dai pescatori tunisini che vivono a Mazara18. Contemporaneamente crescono gli edifici abbandonati che attorniano in larga parte le zone abitate dagli immigrati.
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ENRICO GUIDONI, La cittĂ europea: formazione e significato dal IV al IX secolo, Electa, Milano 1968.
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In verità il centro di Mazara è costituito da un dedalo di strade storiche in cui l’itinerario barocco si mescola a quello islamico a sua volta contaminato dai segni della religiosità cristiana.
Figura 10. Mazara del Vallo: il portocanale alla foce del fiume Mazaro negli anni Venti e nel 1945.
Rivitalizzazione e valorizzazione del centro storico: il metodo di pianificazione delle modalità di intervento Il metodo di pianificazione più adatto in un centro come quello di Mazara del Vallo così frazionato in termini di proprietà appare quello delle modalità di intervento edificio per edificio e che è radicato ormai nella maggior parte dei comuni italiani. Tuttavia i progetti, semplici permessi di costruire senza ricorso a piani attuativi preventivi, dovranno indicare modi e tecniche di consolidamento, le modifiche nella suddivisione interna e gli accorpamenti di più unità edilizie consentite, le variazioni e sostituzioni parziali
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o ricostruzioni dei sistemi distributivi, gli interventi di connessioni orizzontali interne e i sistemi di distribuzione verticali, il ripristino delle coperture e delle facciate. Gli interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazione dovranno essere attivati senza alterare le relazioni spaziali fondamentali esistenti tra gli edifici interessati e il relativo intorno ambientale, e non debbono essere in contrasto con il mantenimento di ambienti ed elementi di particolare valore architettonico (sale affrescate, soffitti a volte, eccetera …). Pedonalità e traffico limitato rilanciano il ruolo del centro storico La viabilità carrabile libera è perimetrale lungo le mura normanne nord e est e sul lungo mare, mentre il lungo fiume e alcune principali arterie del centro storico saranno a traffico limitato. Le aree pedonali coincideranno con il sistema degli spazi pubblici messi a rete e con la valorizzazione dei quartieri “arabi”. Prescrizioni puntuali e abaco morfologico Un centro storico così ricco di particolari e intarsi richiede la scrittura di prescrizioni puntuali tese alla loro salvaguardia e in taluni casi alla loro vera e propria scoperta. Spesso sarà necessario il rimando ad un abaco morfologico che sarà costituito da elementi costruttivi paradigmatici sia per gli edifici (finestre, portoncini, balconi, inferriate, eccetera …) sia per la sistemazione degli spazi all’aperto (arredo urbano e pavimentazioni), al fine di conservare i sistemi costruttivi e i materiali tradizionali delle costruzioni storiche. Lo spazio urbano ridisegna il centro storico dal particolare al generale – la progettazione degli spazi aperti ad uso pubblico, il sistema delle piazze e il lungo fiume Il sistema degli spazi pubblici è basato sulle piazze più importanti all’interno delle vecchie mura: Piazza Plebiscito, Piazza della Repubblica, Piazza Santa Veneranda, Piazza San Michele e due piazze proprio sul confine del quadrilatero piazza Mokarta e Piazza Regina. Nella pavimentazione di ciascuna piazza saranno incastonate le lastre di pietra lavica, quindi molto scure, che indicheranno le principali direzioni per orientarsi in un centro storico labirintico. Su ognuna vi è una scritta bianca realizzata per contrasto con polvere di marmo: MARE – FIUME – SEGESTA – SELINUNTE. L’arredo urbano è costituito sempre dai medesimi elementi, in modo che l’intervento nelle principali piazze cittadine risulti il più unitario possibile. Per quel che riguarda le sedute, esse saranno sia di tipo mobile, sia di tipo fisso consentendo di introdurre nell’arredo urbano ciò che è già presente nella minuta vita di tutti i giorni e cioè quella tipica abitudine che accomuna tutto il meridione d’Italia di sostare spostando la propria sedia secondo le convenienze e l’umore che le compagnie e le stagioni suggeriscono. I lampioni che vengono proposti sono costituiti lunghi steli flessibili che seguiranno il mutare del vento. Piazza della Repubblica La piazza principale della città con l’arcivescovado, il seminario, il fianco della cattedrale e sullo sfondo l’edificio più discusso della città, il municipio: un edificio costruito per essere realizzato altrove (molto a nord) e buttato sulla piazza di Mazara. Importante quindi oltre al gioco delle pavimentazioni l’adesione alla proposta della controfacciata per il Palazzo Municipale dello scultore Pietro Consagra, artista mazarese conosciuto in tutto il mondo19.
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Pietro Consagra nasce a Mazara del Vallo nel 1920. Dal 1938 al 1944 studia presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Nel 1944 si trasferisce a Roma dove lavora nello studio di Mazzacurati e Guttuso e dove, nel marzo del 1947, redigerà insieme ad altri il Manifesto del gruppo astrattista “Forma” in cui veniva teorizzata la lezione dell’astrattismo, appresa grazie ad un viaggio parigino. Al ritorno a Roma dal viaggio nascono le sculture astratte di Consagra caratterizzate da questo momento in poi dalla ricerca della frontalità, innovativa e rivoluzionaria riduzione ad unico punto di vista per la scultura.
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Piazza Mokarta Piazza Mokarta a sud est del quadrilatero delle mura dove ancora oggi rimane un’antica vestigia del castello normanno: l’arco. La particolarità è data dall’affaccio sul mare al quale si può scendere da una larga scalinata.
Figura 11. Mazara del Vallo: progetto di piazza Mokarta.
Coronano la piazza i giardini pubblici che si affacciano sul lato ovest della piazza, mentre un’ulteriore scultura di Pietro Consagra, “gente che viene dal mare”, viene valorizzata nel suo significato simbolico di ponte verso le coste africane del Mediterraneo essendo finalmente percepita nella corretta prospettiva liberata dalle auto in sosta. Piazza Plebiscito Piazza Plebiscito è caratterizzata dalla presenza di tre importanti edifici: il Collegio dei Gesuiti, la chiesa di Sant’ Ignazio e la chiesa di Sant’Egidio. Al centro della piazza si trova un grande Ficus con una folta chioma, fonte di ombra, ideale per riposarsi o chiacchierare sfruttando le sedute mobili previste dal progetto. Sul lato di Sant’Egidio è progettata l’apertura al pubblico di un giardino piuttosto ampio che si infila fra i retri delle case e della chiesa del Carmine. Piazza Regina e Lungo Mazzero La pavimentazione di lastre di basalto e marmo si intervallano l’una all’altra secondo una trama ben definita che si dissolve scendendo lungo il canale. Su questa piazza sorgerà il nuovo mercato e approderà la chiatta – feluca riproposizione di quella storica che permetteva di attraversare il fiume e raggiungere il Trasmazzaro.
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Figura 12. Mazara del Vallo: progetto di piazza Regina con riproposizione della storica chiatta che un tempo permetteva di attraversare il fiume e raggiungere il Trasmazzaro.
Piazza Santa Veneranda Su di essa si affaccia la scuola media e anche la scuola tunisina e la chiesa di Santa Veneranda, già oggi auditorium. L’edificio abbandonato accanto alla chiesa è riproposto come centro anziani per favorire l’incontro delle generazioni. Le sedie panca movibili si spostano sotto l’albero e anziani, bambini, genitori italiani e tunisini dialogano nella piazza archetipo della integrazione multietnica. Piazza San Michele Piazza San Michele è caratterizzata dalla presenza dell’omonima chiesa e del convento costruiti nel 1600 ed ancora attivi. La piazza è nelle ore pomeridiane quasi completamente in ombra e quindi ideale luogo di riposo e di invito alla meditazione, vero e proprio momento di calma tra due nuove arterie commerciali.
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La salvaguardia attiva degli elementi del paesaggio Città del mar Mediterraneo protesa verso l’Africa, Mazara del Vallo dovrebbe esigere un attentissima conservazione, protezione e progettazione del paesaggio, per le sue aree naturali ed extraurbane come già esaminato per le parti costruite. È proprio il territorio non ancora urbanizzato a richiedere la definizione di unità di paesaggio che possano riverberarsi nella definizione della normativa tecnica di un piano per Mazara. Un primo contributo è esposto di seguito con la classificazione dei principali elementi del paesaggio: - l’idrografia, distinguendo il mare e le sue coste, il Mazaro con il porto canale e il Mazaro nell’entroterra; - l’orografia, la cui invariante principale è costituita dai “deccai” e cioè le colline pianeggianti del territorio mazarese generalmente coltivate a grano con esili filari di alberi piegati dal vento sul crinale; - la vegetazione, caratterizzata dalla campagna incolta, spontaneamente stepposa e pietrosa e da estesi cespugli di fichi d’india fioriti; - la coltivazione e lavorazione del terreno, con i suoi filari di ulivi e di viti basse, di origine gallica, costruiti per aiutare nei climi aridi a mantenere umido il terreno e non subire i forti venti che caratterizzano questi paesi; - gli insediamenti, caratterizzati dal “Baglio”, il tipico casale siciliano, nelle campagne e dai muri in conci di tufo che separano le diverse proprietà dei campi. Multietnicità: un valore Mazara del Vallo quindi può riappropriarsi di una propria identità storica, geografica e culturale proprio nel riconoscimento della mutietnicità e creare i presupposti per un nuovo periodo di vivacità economica. Così l’attenzione data simbolicamente all’acqua del mare, del fiume e del porto nelle scelte progettuali riguardanti la città costruita e le sue aree esterne è il paradigma di un impegno più complessivo e concreto per il rilancio economico di una città che come si era visto all’inizio è fortemente condizionata dal rapporto e dalla lotta uomo-natura. Per quel che concerne il settore della pesca, un migliore collegamento, sia ferroviario che autostradale tra Gela (punto di sbarco del pesce) e Mazara, renderebbe i trasporti più veloci e molto meno costosi. Inoltre un mercato del pesce al dettaglio, più grande, nuovo e prossimo al centro storico potrebbe invogliare maggiormente una clientela non solo mazarese. Dare nuova vita al centro storico offrendo a italiani e stranieri, giovani e anziani, turisti e locali, attrattive culturali, di svago, di aggregazione, oltre che servizi, ed attrezzature pubbliche. Creare un centro di cultura in lingua araba e in particolare la biblioteca di cultura islamica rivolta principalmente ai figli degli immigrati per fornire loro occasioni per non dimenticare la lingua, le tradizioni e la cultura del paese d’origine. La multietnicità è come un’onda forte del mare. È molto più bello lasciarsi andare in essa senza farsi travolgere che contrastarla.
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Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2004. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Anno 1 – numero 2 – luglio-dicembre 2004 Firenze University Press
IL PAESAGGIO RURALE: MEMORIA E SVILUPPO. TORINO, APRILE 2004. LA MULTIFUNZIONALITÀ DELL’AGRICOLTURA. Francesca Finotto* Politecnico di Torino: Scuola di Specializzazione in Storia, Analisi e Valutazione dei Beni Architettonici e Ambientali Dottorato di Ricerca in Storia e Critica dei Beni Architettonici e Ambientali Dottorato di Ricerca in Pianificazione Territoriale e Sviluppo Locale Università degli studi di Firenze: Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica Giornate di studio Il paesaggio rurale: memoria e sviluppo Torino, 22-23 aprile 2004 Abstract Filo teso tra aspettative estetiche, ambientali e fruitive ed esigenze produttive, spesso contrastanti, il paesaggio rurale è oggi, in un processo di trasformazione epocale, il luogo della complessità. Complessità connaturata ai suoi mille volti che si disegnano nei paesaggi dell’agricoltura moderna, dell’omologazione e dei contrasti, in quelli dell’abbandono, rischioso e insieme promettente, delle aree marginali, e ancora in quelli dei sistemi agrari tradizionali, frutto di una lenta evoluzione e di un progetto collettivo. Discutere di sviluppo e memoria – quasi a voler tracciare un confine ideale tra trasformazione e salvaguardia, tra riprogettazione e tutela – pone quindi non pochi interrogativi, tanto sul piano dei metodi che su quello dei contenuti. Le risposte a tali interrogativi, anche alla luce dei più attuali orientamenti culturali e politici della comunità internazionale e nazionale, devono essere cercate nella multifunzionalità dell’agricoltura, quale punto di svolta per configurare un nuovo modello di governo delle trasformazioni dei paesaggi rurali. Multifunzionalità quindi per sottrarre da una dimensione evanescente il concetto di sviluppo rurale sostenibile. Appurato ciò, occorre però rimarcare l’esigenza di un’azione progettuale consapevole quale condizione ineludibile per dare fondamento e prospettive concrete a tale multifunzionalità. Azione progettuale che, rifuggendo una distribuzione indifferenziata sul territorio di interventi e finanziamenti, li leghi in un’ottica sistemica capace di governare l’organizzazione stessa del paesaggio, incrementandone sinergie e potenzialità. Summary The rural landscape is a scenery divided among aesthetic, environmental and functional expectations, and productive needs that are often contrasting. It is also, today, part of a cyclical process of transformation making it a yet more complex space. The complexity of its nature is ingrained in the thousand faces reflected within the landscapes of modern agriculture through their unification and contrast, through their neglect at once dangerous and promising of their marginal areas and through their traditional agrarian techniques slowly developed by a collective project. To undertake a dialogue about development and tradition, to trace an ideal line of demarcation between transformation and conservation, between a replanning of the rural landscape and its preservation, is a problem that raises many questions with regard to both the methodologies to be employed and the contents of said methodologies. In light of the most recent political and cultural tendencies of the national and international community, the answers to such questions must be sought in agriculture’s multifunctionality, as a turning point for the configuration of a new regulatory model for rural landscapes. Such multifunctionality is necessary to put the concept of a sustainable rural development in a concrete form.
Once this concept has been made clear we must remind ourselves of the necessity for a projectual action which is aware of the needs of the rural landscape. Such projectual action should detach itself from a unified distribution of both territorial interventions and financial resources. It should instead create a system connecting the organization of the landscape itself to its needs, incrementing in such way its synergy and potentialities. Parole chiave Memoria – sviluppo – ordinarietà – eccellenza – struttura – immagine – schizofrenia – PAC – multifunzionalità – sostenibilità – parchi e agricoltura – Convenzione Europea del Paesaggio – progetto Keywords Memory – development – ordinariness – excellence – structure – image – schizophrenia – CAP – multifunctionality – sustainability – parks and agriculture – European Landscape Convention – project
Il tema del paesaggio rurale è oggi argomento di grande attualità. Numerosi sono stati infatti nel 2004 i convegni, i seminari e in generale le occasioni di riflessione e dibattito sull’argomento, promossi da istituzioni universitarie e da associazioni, quali ad esempio Italia Nostra, nelle diverse realtà regionali. Questo contributo si propone di raccogliere le riflessioni esposte nelle Giornate di studio sul tema “Il paesaggio rurale: memoria e sviluppo”, organizzate a Torino il 22 e 23 aprile scorsi, dalla “Scuola di Specializzazione in Storia, Analisi e Valutazione dei Beni Architettonici e Ambientali” e dai Dottorati di Ricerca in “Pianificazione Territoriale e Sviluppo Locale” e “Storia e Critica dei Beni Architettonici e Ambientali” del Politecnico di Torino, in collaborazione con il Dottorato di Ricerca in “Progettazione Paesistica” dell’Università di Firenze. I relatori invitati, provenienti da realtà disciplinari diverse, perché molteplici volevano essere le chiavi di lettura e di analisi, hanno scandagliato il difficile scenario in cui si colloca oggi il progetto di paesaggio rurale: filo teso tra aspettative estetiche, ambientali e fruitive ed esigenze produttive, spesso contrastanti, che portano inevitabilmente ad operare sull’onda della discontinuità. C’è il paesaggio dell’agricoltura moderna intensiva, frutto di scelte tecniche, in continuo mutamento ed eterodirette, dove le operazioni agricole sono completamente meccanizzate. È il paesaggio della banalizzazione monoculturale e dell’omologazione, delle distese di campi che senza soluzione di continuità si sciolgono nelle periferie urbane, tanto che diventa difficile stabilire dove cominci l’urbanizzato e dove finisca il paesaggio agrario. C’è, all’opposto, il paesaggio dell’abbandono, della marginalizzazione delle aree collinari e montane, dove le tecniche odierne di conduzione difficilmente possono essere applicate, vuoi per la morfologia del territorio, vuoi per il frazionamento della proprietà. Tra questi due estremi si colloca tutta una varietà molteplice di paesaggi dei sistemi agrari tradizionali, frutto di una lenta evoluzione e di un progetto collettivo che vede attori le popolazioni locali, dove la bellezza non è valore aggiunto, ma elemento costitutivo. Il paesaggio rurale è quindi, oggi più che mai, il luogo delle grandi trasformazioni, degli abbandoni, rischiosi ed insieme promettenti, della conservazione che cerca nuove vie, pregne di implicazioni sociali, politiche, culturali ed ambientali; in una parola è il luogo della complessità. E proprio questa complessità è ben presente alla Convenzione Europea del Paesaggio che, abbattuto ogni discrimine cronologico e tipologico, chiede che l’attenzione sia rivolta all’intero territorio, nella pienezza dei suoi valori concentrati o diffusi, eccezionali o ordinari, antichi o recenti, naturali o intrinsecamente culturali. Chiede che sia incorporata la dimensione dinamica del paesaggio, caratterizzata da un processo vivo e perenne di elaborazione storica, ed invita ad azioni progettuali, capaci di accompagnare le trasformazioni, coniugandole con le attese e le esigenze degli attori sociali. Discutere di sviluppo e memoria - di governo delle trasformazioni e salvaguardia, di ri-progettazione e tutela - dei paesaggi rurali comporta quindi un drastico spostamento dell’attenzione dagli oggetti ai sistemi, dagli eventi al contesto, dalle politiche esclusivamente di settore a tutte le altre che a vario titolo incidono sull’evoluzione del territorio.
L’interazione complessa nel paesaggio rurale di natura, storia, cultura ed economia, impone la necessità di superare il tradizionale dualismo tra sviluppo economico del settore agricolo e sviluppo delle aree rurali. Ciò è indispensabile per conseguire e mantenere l’equilibrio dell’insieme di territori che complessivamente occupano oltre l’80% della superficie dell’Unione Europea, ma sul quale è insediato soltanto il 25% circa della popolazione, territori la cui importanza, in termini di qualità della vita, riguarda l’intera società civile. Il paesaggio rurale può quindi essere elemento catalizzatore di una strategia di sviluppo articolata, dove il settore primario svolge un ruolo trainante nella crescita di attività complementari legate all’ambiente, al turismo, al tempo libero, alle tradizioni locali, all’artigianato, … Una strategia, in sintesi, che focalizzi l’attenzione sul concetto di multifunzionalità quale risposta più accreditata per rendere meno evanescente il concetto di sviluppo rurale sostenibile. Spesso, però, discutere di sviluppo e memoria del paesaggio rurale, significa anche, implicitamente, focalizzare l’attenzione sull’immagine estetica, oggi in larga misura deludente, di tali paesaggi, vagheggiare un nostalgico recupero di forme pregresse, di reminescenze di una sembianza che non può più esistere perché negata dalle attuali strutture produttive, sminuendo così l’effettiva entità del problema. Ha aperto i lavori delle Giornate di studio l’intervento di Claude Raffestin1, che ha posto l’accento sulla profonda dicotomia tra struttura (realtà) del mondo agrario attuale e immagine (aspetto morfologico) elaborata dalla collettività ed ancorata ad un retaggio della tradizione. Immagine che, in un progressivo processo di destrutturazione, non solo oggi non corrisponde più alle funzioni produttive sottese, ma vi si pone addirittura in contrasto. Troppi e profondamente radicati sono, per Raffestin, i paradossi del mondo agricolo attuale, tanto da poter parlare di una disorientante forma di schizofrenia. La città industriale ha imposto al mondo rurale un’agricoltura speculativa, volta innanzitutto alla massimizzazione della produzione che, con un processo continuo di rilocalizzazione e concentrazione delle risorse, ne ha completamente stravolto i cicli e i delicati equilibri, le strutture tradizionali e le logiche consolidate. La crescita agricola e agroindustriale dell’Europa, a partire dal secondo dopoguerra, ha comportato l’evoluzione della società verso una configurazione sempre meno agraria. Gli addetti al settore sono oggi una percentuale minima (4,5%) della popolazione attiva dell’Unione Europea. Allo stesso tempo, la figura dell’agricoltore ha perso la propria autonomia operativa. Pur gestendo ancora una estesa porzione di territorio “vivente”, non ne controlla più i processi decisionali, ma si adegua a modelli di produzione e di sfruttamento messi a punto da un’informazione funzionale tecnico-scientifica, creata nei laboratori industriali e imposta dai mercati mondiali, modelli che difficilmente possono essere applicati con piena consapevolezza dei rischi che comportano. Se fino a sessant’anni fa, il mondo agricolo trovava il suo punto di equilibrio in quella che Raffestin definisce la fusione delle tre grandi logiche (eco-bio-antropo), logiche che avevano la loro chiusura nell’agire dell’uomo secondo i ritmi della natura, oggi l’intrusione del mondo urbano e industriale hanno determinato la drastica rottura di questo equilibrio. Dove prima la regola era la fusione tra struttura e immagine, orientata da un’informazione regolatrice, fondata nell’esperienza delle generazioni passate, oggi è la fissione, imposta da un’informazione funzionale solo alla produzione. (n.d.a.). Le conseguenze sul paesaggio sono devastanti: per produrre a costi decrescenti e in quantità precise è inevitabile costruire una struttura paesistica con caratteristiche peculiari anche sul piano morfologico, con il rischio di compromettere definitivamente la dimensione estetica e ambientale. L’agricoltura non produce più il territorio, ma semplicemente lo usa. E il territorio è sempre meno luogo fruibile per altre funzioni che non siano quella produttiva. 1 Claude Raffestin, docente di Geografia ed Ecologia Umana dell’Università di Ginevra, è intervenuto con un contributo dal titolo Tra produzione industriale e fabbricazione di immagini ovvero la schizofrenia del mondo agricolo attuale.
La produzione agroindustriale sta rapidamente decomponendo l’immagine del paesaggio agrario che abbiamo imparato ad amare e che vogliamo proteggere e preservare, immagine che non viene da epoche remote, ma si è formalizzata e consolidata solo nell’Ottocento. Non bisogna poi dimenticare che il processo di acquisizione di tale immagine ha il suo substrato nei meccanismi culturali e psicologici del mondo cittadino e non, come si è superficialmente portati a credere, di quello contadino. Le leve del mondo agricolo attuale sono quindi, per Raffestin, tutte urbano-centriche. È la città che impone i modelli intensivi di produzione, gestione e trasformazione del territorio agricolo. È la città che elabora, codifica e diffonde un ideale sociale ed estetico del mondo rurale in netta contrapposizione con la sostanza reale; ed è sempre dalla città che, con non poche contraddizioni, giunge l’istanza di salvaguardia del paesaggio rurale. Contraddizioni perché le città contemporanee sono sempre più direttamente responsabili del dilagante degrado dell’ambiente e del territorio, dello spreco continuo di risorse, ma al tempo stesso sempre più vulnerabili e dipendenti da questo stesso ambiente che con le loro logiche produttivistiche condannano. E proprio a causa di questa vulnerabilità il territorio rurale assume un’importanza che non ha mai avuto in passato. Contraddizioni ancora perché la visione del mondo agricolo della società attuale è caratterizzata da un radicale sdoppiamento tra realtà materiale e immagine ideale di una realtà che non esiste più e che non può quindi essere protetta e tutelata. Sottolinea infatti Raffestin come:“la nostra società di matrice urbana, la cui modernità si manifesta in tutte le direzioni, senta il bisogno irresistibile di fermare il tempo fissando le immagini delle funzioni, ma non le attività e il lavoro conseguente”. In questa direzione si è sviluppato anche l’intervento di Paolo Baldeschi2, che ha illustrato i risultati delle ricerche condotte sul paesaggio rurale storico toscano del Chianti3 e del Montalbano4. Sono, entrambi i casi, paesaggi collinari che, sia pure con gradi di alterazione variabile5, conservano ancora caratteri tradizionali riconoscibili e tratti di naturalità residua significativi; paesaggi ricchi di testimonianze storiche, di valori estetici e di potenzialità economiche e ambientali, ma con elevati costi di manutenzione e ripristino. La bellezza di questi paesaggi, come sottolinea Baldeschi, è soprattutto “una forma apparente attraverso la quale è possibile intuire una straordinaria quantità di lavoro e di conoscenze accumulate nei secoli. Alla base vi è una complessa struttura che svolge ancora un fondamentale ruolo di tutela ambientale”. In questi contesti il confronto tra attese produttive, che spesso impongono cambiamenti strutturali profondi, e difesa di un’immagine tradizionale assume una dimensione singolare, in cui potenzialità e criticità si mescolano alimentandosi reciprocamente. La sostenibilità dei paesaggi della tradizione implica un profondo sfasamento sociale. Sfasamento che si registra nella distribuzione dei vantaggi e dei costi, per cui “spesso i 2
Paolo Baldeschi, docente presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Firenze, è intervenuto con un contributo dal titolo Conservare, trasformare, lasciare alla natura. Metodi di scelta tra possibili scenari di paesaggio. 3 Il progetto di tutela del Chianti è uno strumento specifico del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Firenze (PTCPF), denominato ufficialmente Programma di Paesaggio Chianti. Tale progetto, con un approccio di tipo strutturale, articola il paesaggio collinare del Chianti fiorentino in diversi livelli, ciascuno organizzato secondo specifiche regole e caratterizzato da un certo grado di autonomia operativa. Individua poi le operazioni da compiere e i costi da sostenere per il miglioramento o la trasformazione delle colture, per il ripristino o la conversione delle sistemazioni tradizionali e per la gestione del bosco, giungendo a dettagliare una sorta di manuale per interventi di recupero delle opere di sistemazione idraulico-agrarie (muri a secco, ciglioni, acquidocci, …). Per un approfondimento si veda: PAOLO BALDESCHI, Il Chianti fiorentino. Un progetto di tutela del paesaggio, Laterza, Roma-Bari 2000. 4 La ricerca sul Montalbano (rilievo collinare-montano posto non distante da Firenze) è stata promossa e finanziata da un istituto privato (Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron) nell’ambito di una più vasta ricerca sui Paesaggi dell’identità toscana. 5 Nonostante la resistenza intrinseca del paesaggio collinare alle trasformazioni, queste, a partire dagli anni ’50 si sono manifestate con logiche divergenti; accanto ai processi di abbandono e smembramento fondiario si sono moltiplicate riconversioni produttive guidate da obbiettivi settoriali e limitati.
benefici (incentivazioni al turismo e a tutta una serie di attività collaterali, il ruolo di questi paesaggi nel mantenere gli equilibri idrogeologici ed ecosistemici e nel salvaguardare quindi la biodiversità) che possono derivare dalla tutela del paesaggio tradizionale vengono percepiti dall’intera collettività, mentre gli oneri di gestione sono addossati agli imprenditori agricoli e ai produttori (elevati costi di manutenzione e maggiori difficoltà nelle operazioni colturali)”6. D’altro canto, i valori ambientali e storico-culturali di un paesaggio possono costituire una ricchezza fondamentale anche per gli imprenditori, per la valorizzazione a tutto campo della loro attività e dei loro prodotti. È quindi possibile, e soprattutto è lecito, pensare di far sopravvivere un paesaggio oltre le generazioni che lo hanno prodotto con un lavoro plurisecolare? Con quali strumenti? A quali costi? E ancora, è possibile trovare un punto di equilibrio razionalmente difendibile tra le esigenze delle tecniche colturali moderne e la sapiente razionalità ambientale delle sistemazioni storiche?
Figura 1. Terrazzamenti, un tempo a prevalente uso cerealicolo, a Montegrossi, nel Chianti. Figura 2. Olivi a cavalcapoggio nei pressi di Vinci, nel Montalbano.
Politiche di conservazione pura fondate su vincoli e divieti, spesso aleatori, non solo si sono rivelate fino ad oggi fallimentari, ma rischiano di rendere più acute le contraddizioni intrinseche nella tutela dei paesaggi storici, favorendo anche processi di abbandono. Occorre invece dimostrare che è possibile un governo delle trasformazioni (“propositivo” piuttosto che “negativo”) che permetta di conservare tratti significativi del paesaggio tradizionale rendendoli compatibili con un’agricoltura moderna ed integrata che, senza venir meno alle esigenze economiche e produttive della società, possa offrire agli utenti un paniere sia di prodotti agricoli e artigianali di qualità, sia di servizi culturali e paesaggistici. In sintesi, quindi, un’agricoltura multifunzionale, capace di tradurre la volontà di tutela e salvaguardia dei paesaggi rurali tradizionali in interventi realistici, commensurati alle possibilità offerte dalle risorse locali. Gli stessi orientamenti culturali e politici della comunità internazionale e nazionale, come hanno evidenziato gli interventi di Bruno Giau7 e di Leopoldo Cassibba8, procedono secondo questa direzione. Le recenti politiche agricole dell’Unione Europea e a discendere quelle della Regione Piemonte (in particolare il PSR - Piano di Sviluppo Rurale9) affermano infatti 6 PAOLO BALDESCHI, Un progetto per la tutela del paesaggio storico chiantigiano: metodologia e risultati, “RiVista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, 0, Firenze University Press, 2004. http://www.unifi.it/rdrpp/ 7 Bruno Giau, docente della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino (Dipartimento di Economia e Ingegneria Agraria, Forestale e Ambientale), è intervento con un contributo sugli Effetti delle politiche Agricole sul Paesaggio. 8 Leopoldo Cassibba, già Dirigente dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Piemonte, è intervento con un contributo su Le politiche della Regione Piemonte per lo spazio rurale. 9 La Regione Piemonte ha definito quale obbiettivo globale del PRS 2000 – 2006 (ex Riforma PAC 1999): “La promozione di uno sviluppo (ambientalmente e socialmente) sostenibile in tutte le aree rurali della Regione, mediante il consolidamento della multifunzionalità e pluriattività dell’agricoltura nel contesto economico, sociale e territoriale della Regione, con la creazione per gli agricoltori e per le loro famiglie anche di fonti di reddito e di
una visione dello sviluppo rurale più complessa ed articolata rispetto al solo sviluppo economico del settore agricolo inteso in senso tradizionale. La Politica Agricola Comune, messa duramente in discussione per la spinta prevalentemente “quantitativa” e “produttivistica” che, fino agli anni Novanta, ne ha caratterizzato le logiche e le dinamiche operative, negli ultimi anni (Riforma della PAC del 1999 e revisione di medio termine del 2003) ha definito un nuovo approccio “qualitativo”, meglio rispondente alle attese dell’opinione pubblica e dei consumatori. Le evidenti ricadute negative sulla qualità dei paesaggi e dell’ambiente, la crisi in materia di sicurezza alimentare (dalla BSE alla diossina), il problema delle eccedenze e i vincoli di bilancio che, per il previsto allargamento della Comunità ai paesi dell’Europa centrale e orientale risulteranno anche più rigidi, hanno decretato l’inadeguatezza della vecchia PAC, anche in relazione al ruolo marginale delle politiche di sviluppo rurale, più difficili da gestire rispetto agli automatismi amministrativi della politica dei prezzi. I nuovi orientamenti comunitari, nella prospettiva di integrare la protezione dell’ambiente e del paesaggio, hanno infatti affiancato alle misure di controllo del mercato agricolo e della sua competitività nuove azioni, che prefigurano un’agricoltura indirizzata verso modelli di sviluppo rurale e territoriale multifunzionali, indispensabili per una concreta rivitalizzazione economica e sociale delle aree rurali. Essi convergono verso una concezione integrata dello sviluppo rurale, inteso come “realizzazione di un contesto coerente e durevole per il futuro economico e sociale ed ambientale delle zone rurali”10. Questa concezione mette in gioco la cura del paesaggio, il recupero del patrimonio edilizio, la riduzione degli inquinamenti, oltre al mantenimento e alla creazione di posti di lavoro. Nel contempo evidenzia l’urgenza di una fattiva diversificazione del settore agricolo, imperniata sulla valorizzazione della qualità dei prodotti e sullo sviluppo di nuove attività complementari, soprattutto nel settore dei servizi e delle attività turistico-ricreative. Tali obbiettivi richiedono poi una maggiore flessibilità nell’erogazione degli aiuti economici e azioni di partnernariato tra soggetti pubblici e privati. Gli agricoltori devono quindi rispondere, o meglio, devono essere messi nelle condizioni di poter rispondere, alle attese della società in termini di apporto ad uno sviluppo sostenibile, convertendosi ad una rimodulazione degli aiuti assegnati non più in funzione della produzione (sostegno al prodotto), ma dei servizi resi in termini di qualità alimentare e ambientale (sostegno all’azienda). Si tratta in altre parole di compensare gli svantaggi che possono derivare agli agricoltori, sul mercato mondiale liberalizzato, dalle richieste formulate dalla collettività in merito ad una produzione sostenibile e multifunzionale nelle zone rurali e quindi di remunerare, sotto forma di pagamenti diretti, le concrete prestazioni supplementari che si richiedono al settore agricolo, riconoscendone l’importante contributo di gestione sociale e territoriale Nell’ottica di integrare le politiche per la produzione agricola con quelle di valorizzazione del paesaggio rurale, l’attribuzione dei contributi dovrà essere vincolata all’applicazione del principio dell’ecocondizionalità11 degli aiuti, secondo il quale le erogazioni devono essere condizionate al rispetto delle normative vigenti in materia di salvaguardia ambientale, sicurezza alimentare, sanità e benessere degli animali e all’obbligo di mantenere la terra in buone condizioni agronomiche ed ecologiche. Lo sviluppo rurale quindi, come già detto, non può limitarsi alla considerazione esclusiva della variabile produttiva, ma deve coinvolgere attività plurime e diversificate, connesse e complementari all’agricoltura; e deve investire quindi un territorio molto più vasto di quello
occupazione complementari, specie nelle aree in declino rurale, e nell’ambito delle pari opportunità tra uomini e donne”. 10 Regolamento CE n. 1257/1999 per il sostegno alla sviluppo rurale, relativo al Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e Garanzia (FEAOG). 11 Ai fini della corresponsione dei pagamenti diretti gli agricoltori debbono rispettare le norme della buona pratica agricola ed un totale di diciotto norme comunitarie tra direttive e regolamenti relative a sanità pubblica, salute degli animali, ambiente.
strettamente delegato alla produzione primaria, territorio che soprattutto nel nostro paese spesso si intreccia con quello urbano di margine. È questa la situazione emblematica di due parchi della cintura metropolitana milanese, il Parco delle Groane e il Parco Agricolo Sud Milano, di cui gli interventi di Fabio Lopez12 e Maria Pia Sparla13 hanno documentato le esperienze. In entrambi i casi il territorio del parco, che si staglia in negativo sulle aree urbane dando luogo ad una superficie a macchia di leopardo, è occupato da una percentuale elevata di terreni destinati all’agricoltura (1.195 ettari di terreno agricolo su circa 3.400 ettari totali nel Parco delle Groane e 35.000 ettari su 47.033 ettari totali nel Parco Agricolo Sud Milano). Sono ambiti specifici che, dovendo coniugare tre realtà distinte e difficilmente convergenti – “città”, “parco” e “agricoltura” – da un lato hanno rimesso in discussione il concetto stesso di parco, proponendo una fruizione turistica, ricreativa e culturale del territorio combinata con il produrre e l’abitare, dall’altro promuovono il ruolo strategico del sistema agricolo in termini di difesa del territorio da una crescita indiscriminata ed ecologicamente insostenibile dell’urbanizzato.
Figura 3. Nel parco delle Groane le aree agricole sono inframmezzate da aree naturali, dove prevale la brughiera che evolve gradatamente verso il bosco di pini silvestri e betulle, fino a maturare in boschi di querce e carpini.
In quest’ottica il Consorzio del Parco delle Groane ha avviato già dal 1999 un programma di interventi per il sostegno all’agricoltura, da sviluppare in affiancamento alle misure comunitarie. Ai finanziamenti stanziati nel primo triennio (1999-2001) dalla Regione Lombardia si sono sommati, per il secondo triennio (2002-2004), grazie anche al successo iniziale e alla condivisione del progetto (hanno aderito oltre il 30% delle aziende che operano nell’area) finanziamenti della Provincia di Milano e della Fondazione Cariplo. Gli interventi sostenuti percorrono cinque strategie fondamentali: - assistenza tecnica (potenziamento delle attrezzature per l’analisi del suolo e redazione di piani di fertilizzazione); - informazione e formazione degli addetti (produzione di un vademecum legislativo e attivazione di uno sportello per l’agricoltura); - sperimentazione agro-tecnologica (risanamento dei suoli a seminativo mal drenati, miglioramento della composizione floristica dei prati polifiti, introduzione di nuove specie e varietà di colture, riduzione della concimazione azotata e razionalizzazione del diserbo del mais);
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Fabio Lopez Nunes, direttore del Parco delle Groane è intervenuto con un contributo su L’agricoltura nelle aree protette: il caso del Parco delle Groane. 13 Maria Pia Sparla, del Parco Agricolo Sud Milano, è intervenuta con un contributo su L’agricoltura in ambito periurbano: il caso del Parco Agricolo Sud Milano.
- costruzione di un sistema informativo agricolo e territoriale (stesura di una carta della fertilità dei suoli e della flora infestante, rilievo e restituzione del catasto aziendale); - valorizzazione dei prodotti e del territorio (istituzione del marchio “Parco delle Groane” e del relativo regolamento d’uso e sua pubblicizzazione nel circuito di commercializzazione esterno, ma anche recupero di colture tradizionali, mantenimento di prati stabili per un periodo pari almeno a cinque anni, recupero e nuova realizzazione di siepi e filari, imboschimento di superfici agricole a scopo protettivo e ambientale, mantenimento di fasce e macchie alberate, interventi per il contenimento delle specie esotiche invadenti e convenzioni con gli agricoltori per la gestione forestale e per lo sfalcio dei bordi delle piste ciclabili e dei sentieri).
Figura 4. Risaia allagata arricchita dalla presenza di un filare d’alberi nel Parco Agricolo Sud Milano.
Il Parco Agricolo Sud Milano, a sua volta, in accordo con gli obbiettivi14 individuati dalla stessa legge istituiva ha promosso, fin dal suo avvio, nel 1990, una costante attività d’informazione e sensibilizzazione a sostegno degli agricoltori circa le opportunità offerte dall’Unione Europea. In particolare l’adesione crescente, tra il 1993 e il 1999, alle misure agroambientali previste dal regolamento CEE 2078/9215 ha posto le basi per avviare un 14
“Le finalità del Parco Agricolo Sud Milano, in considerazione della prevalente vocazione agro-silvo-colturale del territorio a confine con la maggior area metropolitana della Lombardia, sono: a) la tutela e il recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna, nonché la connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbani; b) l'equilibrio ecologico dell'area metropolitana; c) la salvaguardia, la qualificazione e il potenziamento delle attività agro-silvo-colturali in coerenza con la destinazione dell'area; d) la fruizione colturale e ricreativa dell'ambiente da parte dei cittadini.”(art. 2, comma 1, della legge di istituzione del Parco, L.R. n. 24 del 23 aprile 1990). 15 Il regolamento CEE 2078/92 - relativo a metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio naturale - aveva l’obbiettivo di promuovere un’agricoltura ecocompatibile attraverso l’istituzione di finanziamenti per gli agricoltori che si impegnavano ad aderire a determinate misure agroambientali per un periodo minimo di cinque anni. Dal 2000 questo regolamento, come le altre misure di accompagnamento alla Riforma della PAC 1992 (Reg. CEE 2080/92 che istituiva un regime comunitario di aiuti alle misure forestali nel settore agricolo, e Reg. CEE 2079/92 che istituiva un regime comunitario di aiuti al prepensionamento in agricoltura), è stato abrogato ed assorbito dal Reg. CE 1257/99 per il sostegno allo sviluppo rurale.
nuovo ciclo di gestione del territorio, che comincia ad essere condiviso anche dagli operatori agricoli del parco, volto a coniugare la difesa dell’ambiente con il permanere dell’attività agricola. Il successo di alcune misure (B01, D102 e D10416) di questo regolamento ha favorito la salvaguardia delle forme di agricoltura tradizionali esistenti (prati permanenti e marcite), impedendone la conversione in produzioni a carattere intensivo, più inquinanti e povere in termini di biodiversità, e la conservazione e riqualificazione di siepi e filari, che in alcune aree del parco prefigura la realizzazione di elementi continui, tali da funzionare con opportune integrazioni, come corridoi ecologici. Tradotto in numeri il regolamento CEE 2078/92, oggi abrogato, al 1999, investiva complessivamente oltre il 20% della superficie agricola utilizzata dal Parco e ammetteva a contributo circa 580 Km tra siepi e filari. Più limitata e sporadica è stata invece l’adesione alle misure che prevedevano l’introduzione di tecniche produttive a basso impatto ambientale (misure A1 e A2 e B00) e la realizzazione di nuovi elementi di naturalità sul territorio (misure D101, D103 B00).
Figura 5. Adesione alle misure agroambientali previste dai regolamento CEE 2078/92 e CEE 2080/92 in alcuni comuni dell’area nord-ovest del Parco Agricolo Sud Milano.
Tanto il programma di sostegno del Parco delle Groane, quanto l’esperienza del Parco Agricolo Sud Milano, come sottolineato dai relatori, arginano solo in parte alcuni fattori congiunturali di crisi, che minano la stessa sopravvivenza dell’agricoltura in area periurbana. La concorrenza impari dei bacini di produzione a basso costo (Europa dell’Est, Oriente, Americhe, …) che con la globalizzazione del mercato mondiale è sempre più pressante, la debolezza delle coltivazioni, ridotte a monocolture di pochissime varietà genetiche, facile preda del primo agente patogeno esterno (come nel caso della diabrotica del mais), lo scarso ricambio generazionale, la vulnerabilità delle piccole aziende rispetto al settore, per cui spesso è più problematico l’accesso al credito comunitario, oltre all’attesa urbanistica 16
La misura B01 prevedeva il mantenimento dei parti permanenti o marcitoi in pianura. Si integrava quindi, a pieno, con la politica del Parco che ha sottoposto a vincolo le marcite ancora esistenti ed integrava il contributo relativo alla loro gestione. Le misure D102 e D104 prevedevano rispettivamente il mantenimento delle siepi e dei filari esistenti. L’ente Parco, per garantire una effettiva congruenza tra interventi realizzati e obbiettivi del regolamento, ha individuato una serie di caratteristiche strutturali delle siepi e dei filari (composizione vegetale, stratificazione verticale e orizzontale, parametri positivamente correlati alla capacità di ospitare la fauna locale) cui gli interventi dovevano conformarsi.
costante nelle aree periurbane, anche se protette, esprimono a pieno l’urgenza di trasformazioni radicali verso nuove forme di agricoltura. Occorre quindi, a maggior ragione, nel contesto delle aree protette, innescare un processo di conversione delle produzioni intensive monoculturali in produzioni di nicchia e di qualità (meglio se orientate verso forme di agricoltura biologica), affiancare la produzione di beni alla somministrazione di servizi, favorire la vendita diretta e il consumo sul posto del prodotto per avvicinare così la clientela all’area di produzione e facilitare la formazione di un mercato locale che si sottrae alla concorrenza di quello globale. In altre parole occorrono nuove e più agili politiche di sostegno alla produzione, che consentano alle imprese agricole di incorporare il paesaggio come qualità del loro prodotto e di vedere riconosciuta dal mercato questa qualità. Occorrono però anche buoni progetti, capaci di sensibilizzare, convincere orientare e, soprattutto, dimostrare la possibilità di una tutela del paesaggio rurale economicamente e socialmente sostenibile. Progetti che diano prescrizioni su “ciò che si può fare” e regole sul “come fare”, che possano essere immediatamente finanziati e tradotti in termini operativi. Questo l’obbiettivo della ricerca “Ambiente costruito e ambiente naturale nella storia, nella tradizione rurale e nel futuro della provincia di Torino” presentata da Attilia Peano17, dove la complessità del paesaggio, come definita dalla Convenzione Europea del Paesaggio, viene analizzata attraverso la costruzione di una matrice interpretativa, testata su aree campione esemplificative, composta di quattro approcci in dialogo tra loro: geografico e socioeconomico, storico, ecologico e urbanistico-edilizio. Ciascun approccio, con il proprio metodo, individua gli aspetti caratterizzanti, i punti di forza e di debolezza, si confronta con i processi di trasformazione della storia e con quelli in corso, con la progettualità locale e con gli orientamenti comunitari, giungendo a formulare indirizzi guida strutturali e operativi per la valorizzazione o la ricostruzione dei paesaggi nel quadro di uno sviluppo rurale multifunzionale.
Tipologie di paesaggio agrario e rurale analizzate nell’ambito della ricerca Ambiente costruito e ambiente naturale nella storia, nella tradizione rurale e nel futuro della provincia di Torino. Figura 6. Il paesaggio dei seminativi a rotazione nella piana di Carmagnola. Figura 7. Il paesaggio dei vigneti a balmetti nel comune di Carema all’imbocco con la Valle d’Aosta. Figura 8. Il paesaggio a mosaico naturaliforme nel Canavese.
Appurato che l’unica via percorribile per uno sviluppo veramente sostenibile del paesaggio rurale è oggi quella della valorizzazione multifunzionale del territorio, ciò che la ricerca vuole invece rimarcare è l’esigenza di una azione progettuale consapevole quale condizione sine qua non per dare fondamento e prospettive concrete a tale multifunzionalità. Azione progettuale che, rifuggendo una distribuzione indifferenziata sul territorio di interventi e finanziamenti, li leghi in un’ottica sistemica capace di riflettere l’organizzazione stessa del paesaggio, incrementandone sinergie e potenzialità.
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Attilia Peano, docente della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, ha presentato gli esiti della ricerca Ambiente costruito e ambiente naturale nella storia, nella tradizione rurale e nel futuro della provincia di Torino, nata da una convenzione tra il Dipartimento Interateneo Territorio (Politecnico e Università di Torino) e la Coldiretti, con contributo della Fondazione CRT.
Il punto di svolta per configurare un nuovo modello di sviluppo rurale multifunzionale, come sottolineato da più relatori, deve infine trovare consistenza in un presupposto ideale capace di coinvolgere l’immaginario collettivo, fino a divenire senso comune e atteggiamento culturale condiviso; un nuovo contratto di coesione tra società e agricoltura. Un contratto di coesione naturale e sociale tra città e campagna, volto a regolare in modo innovativo il sistema complessivo, agendo non solo sul paesaggio visibile, ma sui flussi che costituiscono il paesaggio abitabile e vivibile. Un contratto quindi che, da una parte, deve perseguire l’eliminazione dello spreco delle risorse naturali e culturali di cui è causa la città, dall’altra deve rendere il mondo rurale immediatamente utile al mondo urbano attraverso l’erogazione di prodotti e servizi. *Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2: PARDI FRANCESCO, Sistemazioni collinari, “Paesaggio Urbano”, 5, Rimini 1998, pag. 61. Figura 3: Archivio fotografico del Consorzio del Parco delle Groane. Figura 4: Archivio fotografico del Parco Agricolo Sud Milano – Fotografia di D. Barboni. Figura 5: Elaborazione cartografica a cura del SITPAS (Sistema Informativo Territoriale del Parco Agricolo Sud Milano). Figura 6: Fotografia di Francesca Finotto. Figura 7: CSI Piemonte (a cura di), Guida per il recupero del patrimonio edilizio tradizionale, Regione Piemonte - Assessorato Urbanistica, Pianificazione Territoriale e dell’Area Metropolitana, Edilizia Residenziale, Torino 2002. Figura 8: PEANO ATTILIA, Ambiente costruito e ambiente naturale nella storia, nella tradizione rurale e nel futuro della provincia di Torino, intervento al convegno: Il paesaggio rurale: memoria e sviluppo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2004. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
FORUM DE LAS CULTURAS BARCELLONA, MAGGIO-SETTEMBRE 2004. Enrica Dall’Ara*
Administración General del Estado [España] Generalitat de Catalunya Ajuntament de Barcelona Forum Universal de las Culturas Forum Universale delle Culture Barcellona, 9 maggio – 26 settembre 2004. ABSTRACT L’evento del Forum di Barcellona si configura come momento di implementazione dell’Agenda 21 della Cultura (Porto Alegre, Brasile 2003), con cui si esprime la necessità di indagare relazioni sostenibili fra comunità internazionale e culture locali. Mediante convegni, esposizioni, spettacoli, Barcellona apre il dibattito sui temi “diversità culturale, sviluppo sostenibile e condizioni della pace”, con un programma che copre tutta la stagione estiva 2004. Lo scenario è un nuovo pezzo di città riqualificata, all’intersezione fra il tracciato della Diagonal e la linea di costa, verso Est, che Barcellona aggiunge alla propria offerta turistica e ai piaceri degli spazi collettivi per la sua cittadinanza. The Barcelona Forum event is a part of the implementation of the Agenda 21 for Culture which expresses the necessity of research into sustainable relations between the international community and local cultures. With conferences, expositions, performances, Barcelona opens the debate on the themes “Cultural diversity, sustainable development and conditions for peace”, with a program that takes up all the summer season 2004. The setting is a reclaimed urban area that Barcelona adds as a new part of the city to its tourist offer and to the pleasures of collective spaces for its citizens. PAROLE CHIAVE Forum Universal de las culturas, Forum Universale delle Culture, Barcellona, Agenda 21 della Cultura, riqualificazione urbana, eventi 2004. Universal Forum of Cultures, Barcelona, the Agenda 21 for Culture, urban reclamation, events 2004.
C’è solo un momento nel Forum in cui coincidono i vari aspetti, la trasformazione urbana, gli eventi e le conferenze sui temi specifici, le esposizioni, gli spettacoli: il calendario che va dal 9 maggio al 26 settembre del 2004, a Barcellona. Prima e dopo ogni aspetto ha un suo percorso. Gli interventi urbanistici e architettonici rispondono alle esigenze della città ospite, seguendo un programma di riqualificazione che ha superato le tappe dei Giochi Olimpici del ’92 e continua pezzo a pezzo a intervenire
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procedendo verso Nord-est, lungo la direttrice della costa, fino alle situazioni ancora da risolvere dell’area del fiume Besòs. I contenuti del dibattito iniziano l’implementazione dell’Agenda 21 della cultura, proposta in occasione del FAL (Foro de Autoridades Locales) di Porto Alegre, in Brasile, nel 2003, che ha la sua sessione conclusiva proprio a Barcellona nelle giornate di apertura del Forum Universal de las Culturas, occasione in cui viene approvata l’Agenda. Le sintesi dei dibattiti del forum sono disponibili già su internet. Le mostre sono in catalogo, i concerti e gli spettacoli di strada sono terminati.
Figura 1. Forum de las Culturas. Spettacolo notturno nel porto sportivo (sullo sfondo l’inceneritore).
Quello che distingue un Forum Universale (delle culture) dalle Esposizione Universali a cui per certi aspetti assomiglia molto, è il suo significato proprio di momento di discussione che avviene in piazza (per poi transitare nei diversi luoghi della conversazione contemporanea, sia fisici sia virtuali). Un forum è un sistema che pretende di rimanere aperto, avendo nella diversità1 il suo valore e nella parola il suo strumento di espressione. Per cui segue il programma: “Contenuti: diversità culturale, sviluppo sostenibile e condizioni della pace”2. In quanto: “L’informazione non è un problema tecnico o economico, è politico. La prima cosa che si deve imparare è ammettere l’esistenza di un altro diverso, e tollerare questa diversità. A partire da lì si può provare ad avviare il dialogo.”3 Il Forum condivide con le Esposizioni Universali lo sforzo di creare un’occasione ecumenica per la presa di conoscenza e lo scambio mediante l’esposizione (nel caso del forum soprattutto esposizione orale e scritta di prodotti culturali, realtà, temi del proprio tempo che 1
di modi, di tempi, di opinioni, “delle culture” appunto. Dalle prime pagine del sito web del Forum, http://www.barcelona2004.org/esp/, e dalla scheda sintetica descrittiva dell’evento in La batalla cultural de las ciudades en el siglo XXI, “El Pais- Babelia”, sábado 8 de mayo de 2004, numero 650, pagina 3. 3 Dominique Wolton, citazione in La cohabitación de la diversidad, in La batalla cultural de las ciudades en el siglo XXI, “El Pais- Babelia”, sábado 8 de mayo de 2004, numero 650, pagina 5, trad. it. dell’autrice. 2
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si intendono quali componenti di una costruzione utopica, partecipazione ad una buona condizione - buon luogo- di vita. E’ intrinseca l’importanza della situazione spaziale (eutopos) relazionata a quella sociale e culturale. Il ragionamento sulla inevitabile relazione fra caratteristiche dello spazio e modi di vita struttura il Forum de las Culturas. In maniera coerente con l’idealismo del concetto di forum e dei contenuti del programma, il luogo dell’evento è una piazza o più propriamente una explanada, una piattaforma: l’idea di dialogo aperto viene attuata nello spazio urbano costruendo una piazza aperta, cioè una piazza non definita dalle architetture, ma che le ingloba, le copre, le sorpassa, le attraversa, apparentemente con una grandissima disinvoltura, quale oggetto (e quale maniera di muoversi in libertà) che sempre può prevalere rispetto a quanto incontra. Oltre che come explanada, il luogo del Forum viene definito nelle descrizioni con i termini cubierta (copertura e coperta), manto, alfombra (tappeto), plataforma con un esplicito valore simbolico: “plataforma de dialogo”.4 Alla metafora della piattaforma se ne affianca una seconda, la forma di una mano aperta. “Le dita della explanada scendono in modo tale che le sue estremità si convertono in scogliere sopra il porto sportivo, mentre gli interstizi ospitano scalinate e rampe che consentono di scendere alla zona portuaria. In tre di questi prolungamenti, fascie di prato segnalano zone per riposare. Il dito più vicino al mare alberga la scuola di vela, sopra la quale si colloca la grande pergola fotovoltaica. La copertura della scuola di vela è una fine geometricamente inaspettata della Diagonal5, l’ultimo belvedere verso il mare […] ”6
Figura 2. Immagine e contenuti del Forum: home page del sito web e grafica dei gadget.
La mano è tradotta in tutti gli idiomi possibili: fisicamente si concretizza nella modellazione plastica della piazza, parallelamente è l’immagine-logo del Forum. Occupa quindi i totem informativi, le borse e i sacchetti, le pagine de El País dedicate alla cultura ed in quei giorni quotidianamente partecipi dei temi del Forum, ma anche i bicchieri per la birra dei locali del Barri Gòtic e della Ciutat Vella, i quartieri antichi, in un marchio grande circa due centimetri per due, per cui l’Explanada Forum ha davvero i confini incerti e riappare in moltissimi momenti “centrali” della città, pur essendo la sua propaggine più recente. Il confine della periferia problematica trasla e lascia come parte della città “risolta” un luogo ulteriore. 4
Jordi Borja, Ciudad y ciudadanos del siglo XXI. Presentación del dialogo de 8-12 septiembre 2004. Centre de Convenciones Internacional de Barcelona (CCIB), Barcelona. 5 La Avinguda Diagonal attraversa Barcellona in diagonale da Nord Ovest verso Sud-Est. Nelle previsioni del piano Cerdá, approvato nel 1859, il suo tracciato doveva raggiungere il mare, nei pressi della foce del fiume Besos, a est della città, tracciato rimasto nel suo ultimo tratto ancora irrealizzato fino alla attuale urbanizzazione dell’area del Forum. 6 José Antonio Martínez Lapeña, Elías Torres, Manto multicolor. Explanada Fórum y pérgola fotovoltaica, in “Arquitectura Viva”, n. 94-95, Forum de Barcelona. Entre la ciudad acontecimiento y el paisaje sostenible, Madrid 2004, pag. 78, trad. it. dell’autrice.
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Il paradosso della realizzazione di una piazza aperta risulta intenzionale. Dal punto di vista urbanistico rappresenta la sperimentazione di modalità di coesistenza di infrastrutture e servizi normalmente tenuti a distanza (un depuratore, un inceneritore) e di uno spazio collettivo (si potrebbe definire un’azione di esorcismo). Lo spazio collettivo è il tema dei dibattiti che si tengono dall’8 al 12 settembre: Espacio urbano colectivo nuevas perspectivas. Il concetto tenta di andare oltre la definizione di spazio pubblico, connotazione corrispondente ad un regime di proprietà, per approfondire le caratteristiche spaziali e soprattutto le modalità di fruizione dello spazio urbano contemporaneo.
Figura 3. La Explanada (sullo sfondo l’inceneritore).
Figura 4. Porto sportivo e installazioni del Forum.
Così Jean-Louise Cohen introduce il discorso nella presentazione del ciclo di conferenze: “Gli spazi di vita collettiva riflettono le contraddizioni delle città contemporanee e, come risultato di discussioni per il controllo fra le istituzioni pubbliche e i gruppi privati, offrono agli urbanisti e agli architetti molteplici opportunità di progetti. L’ideale formulato dal Movimento Moderno, di una prolungazione quasi infinita della sfera pubblica […] va erodendosi nella vita quotidiana. L’estensione di piazze, centri commerciali e zone pedonali dell’urbanistica della seconda metà del XX secolo e la crisi finanziaria delle autorità locali ha favorito la proliferazione di spazi abbandonati e trascurati, soprattutto nella periferia delle grandi città. Tuttavia l’enfasi nella riqualificazione degli spazi pubblici urbani ha condotto anche a un autentica rinascita di numerosi quartieri e città. La varietà di modelli di proprietà e di gestione degli spazi di vita collettiva è una questione ineludibile. Gli spazi collettivi della città contemporanea possono considerarsi come un “fenomeno sociale totale”, secondo il concetto introdotto dall’etnologo Marcel Mauss, nel quale l’interscambio è il principio fondatore. Questi spazi ospitano allo stesso tempo forme di interazione istituzionalizzate e relazioni libere fra i cittadini. Incroci della mobilità, teatri di mercanzie, lo spazio collettivo assicura anche l’articolazione di scale diverse del progetto urbano, dal paesaggio all’architettura e alle arti plastiche. E’ un componente chiave dell’identità storica delle città che permette la sua proiezione nel futuro.”7 Si configura attraverso le funzioni e i modi delle piazze storiche, e contemporaneamente come crocevia , occasione di scambio , nel passaggio, nel movimento. Anche se l’idea non è nuova, nelle definizioni si fa ricorso alla figura di un flusso e alla sua dinamica. Si può interpretare lo spazio del Forum come determinato dal flusso delle persone, è un luogo di deambulazione e introduzione. Philippe Hamon descrive il procedimento letterario di introduzione nei testi della temperie culturale influenzata dagli eventi delle Esposizioni Universali del XIX secolo, rilevando un’analogia con l’atteggiamento di un visitatore all’Esposizione. Non differisce di molto dall’atteggiamento di chi visita i luoghi del Forum: 7
Jean-Louis Cohen, Espacio urbano colectivo: nuevas perspectivas. Presentación del dialogo de 8-12 septiembre 2004. Centre de Convencions Internacional de Barcelona (CCIB), Barcelona, trad. it. dell’autrice.
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“Il topos introduttivo, con le sue separazioni divisorie, mobili e immobili, con le sue entrate e uscite, prenderà spesso la forma di un luogo-belvedere (situato al centro di un ambiente da descrivere) o di un luogo intermediario, vestibolo o luogo-frontiera.”8
Figura 5. Porto sportivo (Martínez Lapeña e Torres).
Figura 6. Scalinata dalla explanada verso il mare.
Figura 7. Discesa della explanada al porto sportivo.
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PHILIPPE HAMON, Esposizioni: letteratura e architettura nel XIX secolo, Ed. It. Maurizio Giuffredi (a cura di), CLUEB, Bologna 1995, pag. 135.
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Anche se in realtà si tratta di una forma volumetrica complessa, la explanada insiste sul proprio carattere di superficie tentacolare, mediante l’utilizzo del colore che cambia pezzo a pezzo secondo cinque tonalità diverse e facendo sembrare che il progetto consista in una pavimentazione che si svolge informalmente, lasciando risaltare le architetture che ingloba, la Pergola come baluardo di frontiera, faro, al confine fra terra e mare e l’Edificio Forum di Herzog e De Meuron nel vivo del tessuto urbano. L’Edificio Forum è un elemento incastonato nella piattaforma in quanto il piano terra è uno spazio incerto fra il dentro e il fuori, per l’immagine dell’esterno riflessa su superficie specchianti e deformanti; il corpo dell’auditorio occupa in sezione i tre livelli del piano sotterraneo, terra e primo, inserendosi come vuoto verticale (vuoti verticali sono anche i patii disseminati a prendere luce). 9
Figure 8 e 9. Edificio Forum (Herzog e De Meuron).
Nel caso dell’architettura dell’Edificio Forum l’ambiguità fra superficie e volume è probabilmente uno dei motivi maggiori di fascino. Questo rapporto complicato, volumesuperficie, informa l’intera area del Forum, non è percepibile con un solo sguardo ma va manifestandosi man mano che si sviluppa la visita; la dimensione dello spazio e la sua articolazione in sezione non rendono tutto visibile immediatamente. Nell’edificio di Herzog e De Meuron il volume è un parallelepipedo di base triangolare esattamente inserito all’intersezione fra l’Avinguda Diagonal, l’asse della Rambla de Prim e la Ronda Litoral. L’eccentricità della forma geometrica ha la sua ragione nel disegno urbano, ogni punta dirige verso un luogo di valore: la Diagonal, il porto, la explanada e la Pergola fotovoltaica. Ma l’idealismo della forma esatta non rinuncia ad un vestito stravagante, di superficie blu e
9 “Lo spazio pubblico aperto che appare sotto il corpo triangolare è concepito come uno spazio pubblico ibrido, come un miscuglio di varie tipologie urbane. La serie di patii che traforano il volume superiore e la piattaforma artificiale di accesso stabiliscono delle relazioni molteplici fra il livello della strada e gli altri piani dell’edificio, che permettono allo stesso tempo nuove angolazioni visuali e un gioco di luce cangiante.” in HERZONG & DE MEURON, Plaza y edificio Forum 2004, “arquitectura + tecnología”, n. 23, a+t ediciones, Vitoria-Gasteiz 2004, pag 83, trad. it. dell’autrice.
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argento (pannelli di acciaio inossidabile), smerigliate, rilucenti, che richiamano l’atmosfera del circo o della fiera. Molto sembra un gioco di facciate all’interno del recinto del Forum. Questo si addice ad architetture che intendono essere flessibili; la possibilità di un cambio di uso delle strutture suggerisce di utilizzare “pelli” che possano anch’esse cambiare. “Gli interni dell’auditorio e degli spazi d’esposizione sono pensati come spazi ibridi, non solo con l’idea di sfumare le separazioni fra interno e esterno, ma anche come qualcosa che si adatti facilmente ai cambi costanti di programma. La concezione dell’edificio con la dualità fra lo spazio interiore e esteriore e la flessibilità del programma è, dal punto di vista della collettività, la risposta a una necessità di “curabilità sociale” ”.10
Figura 10. Allestimento con plotte di legno.
Figura 11. Facciate architettoniche e arredo provvisori.
Figura 12. Porto sportivo con passerella pedonale e la pergola fotovoltaica sullo sfondo.
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HERZONG & DE MEURON, Ibidem.
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Secondo la stessa logica, gli edifici del porto sportivo al piano terra hanno facciate costituite di plotte di legno assemblate che verranno sostituite a Forum terminato, continuando le pareti in acciaio corten dei piani superiori. Le plotte di legno arredano il percorso pedonale e diventano panche davanti all’edificio. La zona commerciale del porto chiude le vetrate con tende stampate di simboli che indicano i servizi e le attività esistenti all’interno: ristorante, bagni, eccetera, in modo tale che al livello di comunicazione di tutto l’apparato di segnalazione della fiera si aggiunge quello delle architetture travestite per l’evento. Nel Parc Litoral del Sudoeste del gruppo F.O.A. sull’altro lato rispetto alla Pergola, una serie di dune è ricreata mediante muri di contenimento che senza nessuna interruzione nascono come risvolto o onda della pavimentazione, costituiti nel rivestimento di semilune di cemento di diverso colore. Si sottolinea nuovamente come la relazione fra superficie e archittettura sia rilevante, comprendendo nell’ architettura i consistenti movimenti di terra, la plastica del suolo e tutti i saliscendi della explanada verso il mare. Il luogo del Forum è una gran macchina tellurgica che, non solo nell’allestimento temporaneo ma anche in alcune scelte di costruzione permanente dello spazio (pavimentazioni, pareti), nega la stabilità della propria massa facendosi segno grafico, minuto, forse troppo ricorrente. Si nota l’eterogeneità dei linguaggi architettonici che rimane evidente anche se si esclude l’apparato della fiera: il progetto per il lungo mare Zona de baños di Beth Galí e Jaume Benavent, e le architetture di Xavier Casas e Rosa Torres con le scalinate e le rampe che creano piazze inclinate verso il porto sportivo si distinguono per razionalità ed eleganza pur senza rinunciare all’espressività di elementi un po’ bizzarri. Il Parc Litoral del Sudoeste e il Parc Litoral Nordeste sono opportunamente definibili come entrambi “pittoreschi e pop”11. Quest’ultimo, alla foce del fiume Besòs, riqualifica gli spazi esterni nelle adiacenze dell’inceneritore, e inserisce un nuovo edificio per il riciclaggio dei rifiuti e la produzione di energia. Nell’ organizzare il movimento e le funzioni all’interno del parco, ancora una volta è il trattamento superficiale delle pavimentazioni a fungere da guida, con le riproduzione di pesci, con disegni naturalistici nella zona litorale, mirador, e ridotta ad astrazione nelle cuneo che dalla Ronda litoral fluisce verso il mare, salón. La nuova topografia nasconde l’architettura dei servizi e degli impianti. La Zona de baños è un’area attrezzata per stendersi al sole e bagnarsi, come fosse una spiaggia libera. E’ una fascia interamente costruita fra il Parc Litoral de Sudoeste e il mare, una passeggiata di lastre di cemento a un metro e mezzo di altezza dal livello del mare, oltre la quale si adagia inclinata una piattaforma di legno, mentre si staccano sull’acqua due isole di pietra; scalinate e un incavo a forma di mano aperta consentono un contatto con l’acqua a diverse profondità. La zona per bagnarsi è protetta da tre gruppi si scogliere. E’ un bordo duro e freddo, ma promette di essere un gioco estivo divertente. All’eterogeneità degli stili architettonici e al decorativismo si aggiunge la varietà delle istallazioni nei padiglioni che affrontano gli argomenti legati al concetto di sostenibilità. Ogni istallazione porta avanti il suo discorso con il potere della grafica, su cui spesso è più immediato concentrare l’attenzione, di quanto non si riesca a fare sui contenuti. C’è confusione: l’immagine dei chioschi di ristorazione non si differenzia da quella delle esposizioni; senza soluzione di continuità e senza nessuna dichiarazione di gerarchia i temi 11 L’espressione è assunta da Ábalos e Herreros, che caratterizzano con questi termini il loro Litoral Nortdeste: “La aproppiación y la identificación de este parque litoral como dominio público se confía la construcción de un espacio extraordinario en sus dimensiones y contemporáneo en su imagen pintoresca y pop”. In Ábaloz y Herreros, Factoría pintoresca. Parque de la Paz, in, “Arquitectura Viva”, n. 94-95, F˙rum de Barcelona. Entre la ciudad acontecimiento y el paisaje sostenible, Madrid 2004, pag. 98. Anche il gruppo F.O.A. ricorre al termine pittoresco per descrivere il proprio approccio al progetto di paesaggio, in specifico del Parc Litoral de Sudoeste: “I costrutturi del paesaggio si sono sempre dibattuti fra l’approccio razionale, basato su geometrie lineari e semplici, e l’approccio organico, che tenta una riproduzione pittoresca della natura mediante geometrie complesse. L’impostazione concettuale di questo parco litorale cerca, nel superamento di questa dicotomia ideologica e tecnica, un campo in cui esplorare nuove alternative per la costruzione del paesaggio.” In FOA, Teresa Galí, La mar de dunas. Parque de los Auditorios, in “Arquitectura Viva”, n. 94-95, F˙rum de Barcelona. Entre la ciudad acontecimiento y el paisaje sostenible, Madrid 2004, pag. 94, trad. it. dell’autrice.
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che il Forum affronta si sciolgono nei caffè e nelle vendite dei gadget. Il consumo dell’esperienza non si distingue in maniera sensibile da quella che è possibile vivere in un centro commerciale o in un parco a tema. Si rivela l’incapacità della cultura occidentale del benessere di abbandonare i propri modi, anche nell’occasione del dialogo delle culture. Rimangono inviolati il lusso, la frivolezza, l’ossessione per l’immagine e la moda – si riduce a questo la parola che alimenta il forum, all’ossessione grafica – e una strana voglia di filtrare tutto attraverso il divertimento, svuotato dell’urgenza di una profonda liberazione, piuttosto assomigliante alla noia. Questo aspetto svilisce gli intenti dell’evento. Non è semplice esprimere un giudizio, di fronte all’ambivalenza offerta dall’idealismo dei contenuti a cui viene sovrapposta un’apparenza da Arlecchino. La maschera qui non mostra grande spirito, ma ridondanza di parole, confusione nei mezzi di comunicazione, troppe divagazioni dell’occhio. Restano le cose fatte: “Il beneficio maggiore che si deve ottenere dal Forum è idealista, e si estende molto oltre le migliori intenzioni depositate in un evento che inevitabilmente passerà. I benefici reali potranno essere calcolati eventualmente per la permanenza degli interventi architettonici, urbanistici, e infrastrutturali alla fine della Diagonal.”12
Figura 13 e 14. Parc Litoral del Sudoeste (Foreign Office Architects).
Figure 15 e16. Zona de baños (Galí e Benavent).
*Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.
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Hans Hibeling, Regeneración urbana impulsada por el consumo, in Cuaderno de aquí, “Quaderns”, n. 240, COAC, Barcelona 2004, pagg. 108-109, trad. it. dell’autrice.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI “Arquitectura Viva”, n. 94-95, F˙rum de Barcelona. Entre la ciudad acontecimiento y el paisaje sostenible, Madrid 2004. “Metamorfosi – Quaderni di Architettura”, n. 51, ottobre-dicembre 2004. BUSQUETS JOAN, Barcelona. La construcción urbanística de una ciudad compacta, Ediciones del Serbal, Barcelona 2004. Cuaderno de aquí, “Quaderns”, n. 240, COAC, Barcelona 2004. FAVA NADIA, F˙rum de las culturas. Quali eredità per Barcellona?, in “Il Giornale dell’Architettura”, anno 3 n. 22, Umberto Allemandi & Co., Torino ottobre 2004, pag. 38. GIORGIO SANTILLI, Città un patto per ricucire il territorio, “Il Sole-24-ore”, giovedì 9 settembre 2004 – n.249, pag. 9. HAMON PHILIPPE, Esposizioni: letteratura e architettura nel XIX secolo, Ed. It. Maurizio Giuffredi (a cura di), CLUEB, Bologna 1995. HERZONG & DE MEURON, Plaza y edificio Forum 2004, “arquitectura + tecnología”, n. 23, a+t ediciones, Vitoria-Gasteiz 2004, pag. 82-103. Il porto come struttura urbana, “Trasporti & Cultura”, n. 9, Gabrielli Editori, maggio-agosto 2004. JOSEP LLUIS MATEO/MAP, CCIB. Barcelona, 2004, “arquitectura + tecnología”, n. 23, a+t ediciones, Vitoria-Gasteiz 2004, pag. 104-114. La batalla cultural de las ciudades en el siglo XXI, “El Pais-Babelia”, sábado 8 de mayo de 2004, numero 650, paginas 2-6,18, 19 y 23. ZAERA-POLO ALESSENDRO, MOUSSAVI FARSHID, Parque litoral y auditorios del sudeste de Barcelona 2002-2004, in ALESSENDRO ZAERA-POLO, FARSHID MOUSSAVI, Filogénesis. Las especies de foreign office architects, Actar, Barcelona 2004, pagg. 56-81. Siti Web: www.barcelona2004.org/esp/ RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 3-16: fotografie di Enrica Dall’Ara. Figura 2: rielaborazione di Enrica Dall’Ara delle immagini del Forum, da www.barcelona2004.org/esp/ e dai gadget. Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre del 2004. Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze Anno 1 – numero 2 – settembre/dicembre 2004 Firenze University Press
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SISTEMA RURALE. UNA SFIDA PER LA PROGETTAZIONE TRA SALVAGUARDIA, SOSTENIBILITÀ E GOVERNO DELLE TRASFORMAZIONI MILANO, OTTOBRE 2004 Paola Marzorati*
Summary Lombardy Region with University Politecnic of Milan organized an international conference “The rural system. A challenge for planning between protection, sustainability and changes' management”, in Milan at 13th-14th October 2004. This meeting's efforts will be addressed in verifying if and how the values of multi-functionality practice can be extended, in the short period, to most part of the rural land. In order to obtain this goal the meeting will focus on recognizing the characters of agricultural land, deepening ecological, socio-economical functions and preserving rural landscape ones as part of a greater and more comprehensive planning process based on sustainable design and on a "good policy" approach. This items and issues will be focused exploring some Italian and international best-practices. Key-words Multi-functionality practice in agriculture, Common agricultural policy, Rural system
Abstract La Regione Lombardia con il Politecnico di Milano ha organizzato il convegno dal titolo: Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, che si è tenuto a Milano il 13-14 Ottobre 2004 con l’obiettivo di verificare se i valori della multifunzionalità possano essere estesi alla maggior parte del territorio rurale nel prossimo futuro e in quale modalità. Questo convegno è stata l’occasione, attraverso la ricognizione di esperienze significative estere e nazionali, per fare il punto sulla possibilità di riconoscimento oggettivo delle funzioni ambientali, territoriali e socio-economiche e di difesa del paesaggio del territorio rurale, come parte integrante del processo di pianificazione e progettazione sostenibile.All’agricoltura e al sistema rurale nel suo complesso, l’Unione Europea chiede di saper rispondere alle esigenze di riequilibrio ecologico e di conservazione del paesaggio ormai in parte compromesso; l’auspicio è che questo convegno, attraverso la presentazione di numerosi progetti nelle tre sessioni tematiche, abbia fornito agli operatori del sistema rurale gli strumenti per farlo. Parole chiave Multifunzionalità dell’agricoltura, politica agricola comune, sistema rurale
* Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.
PREMESSA - COSA S’INTENDE PER MULTIFUNZIONALITA’
Il concetto di “multifunzionalità” sta entrando nella legislazione comunitaria e nazionale da quando i Paesi sviluppati si sono visti costretti a ridurre progressivamente le misure protezionistiche e ad orientare la politica agricola verso interventi meno distorsivi del mercato e del commercio. L’idea prende corpo dall’esigenza di riconoscere nelle politiche pubbliche una molteplicità di funzioni, che vanno oltre la produzione di materie prime da
trasformare in beni alimentari, svolte sia dagli agricoltori che da una pluralità di soggetti operanti nei territori rurali, al fine di soddisfare specifiche esigenze della società. A volte queste nuove funzioni sono classificate come produzioni secondarie: è il caso dell’artigianato tipico o delle produzioni delle piccole imprese industriali delle aree rurali nell’ambito di produzioni personalizzate e ad alta caratterizzazione; ma soprattutto si tratta di servizi che attengono all’accoglienza, allo svago, all’intrattenimento, alla ristorazione, allo sport e al godimento dei beni culturali localizzati nelle aree rurali e nei piccoli centri. La gamma delle possibili innovazioni è molto ampia e non è stata ancora del tutto esplorata. L’esplosione dell’agriturismo e del turismo rurale è indicativa delle possibilità di sviluppo di queste nuove funzioni. Ai ruoli descritti si aggiungono i servizi agricoli nell’ambito delle attività didattiche in collaborazione con il mondo della scuola, delle azioni di recupero del patrimonio edilizio storico rurale e di tutte le iniziative collegate all’agroterapia1. Oltre a questi, altri nuovi ruoli sono richiesti all’agricoltore nella cura degli interessi collettivi e impongono una valorizzazione da parte delle politiche pubbliche: tutela e valorizzazione ambientale e paesaggistica, manutenzione del territorio, difesa idrogeologica, consolidamento delle pendici, riduzione dei deflussi idrici, lotta al degrado ambientale e alla desertificazione, salvaguardia dei boschi dagli incendi. La multifunzionalità, pertanto, è un nuovo modello imprenditoriale ed un’opportunità per le imprese di seguire differenti strategie di competitività. Essa, costituisce il progetto di un’agricoltura che vuole corrispondere ai nuovi bisogni della società ed in cui la funzione produttiva di beni e servizi, saldamente legata alla valorizzazione dei territori rurali, trova nuove regole ed opportunità nell’applicazione dei principi dello sviluppo sostenibile, della salvaguardia della biodiversità, della sicurezza alimentare, della liberalizzazione regolata dei mercati2.
INTRODUZIONE ALLE TEMATICHE DEL CONVEGNO Da anni il territorio rurale italiano è al centro di un insieme plurisettoriale di attività produttive extra agricole, di riqualificazione del sistema insediativo diffuso, comprensivo della realizzazione di interventi infrastrutturali. Nella conduzione di queste attività, caratterizzate di frequente dalla realizzazione di interventi di rilevante dimensione, prevale spesso un'attenzione di tipo tecnico, i cui esiti evidenziano la carenza di un approccio intersettoriale integrato con i problemi del territorio rurale. In questo scenario va ad inserirsi il convegno dal titolo: Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, con il quale la Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia ed il Politecnico di Milano hanno cercato di dare una prima risposta alla luce delle “altre” funzioni che le nuove politiche programmatiche agricole imputano al sistema rurale. Con questa iniziativa la DG Agricoltura ha voluto riprendere, approfondendoli, i contenuti del convegno, tenutosi al Politecnico di Milano il 16 dicembre 2002, dal titolo Funzioni e pianificazione del territorio rurale e di una serie di iniziative portate avanti negli ultimi anni sul tema dello sviluppo rurale.3 Questo tema richiedeva urgentemente di essere affrontato soprattutto in Lombardia, essendo la regione più importante d’Europa dal punto di vista agricolo 4. Il convegno qui presentato ha lo scopo di verificare come e se i valori della multifunzionalità possano essere estesi alla maggior parte del territorio rurale nel prossimo futuro. Attraverso 1
Si pensi alla riabilitazione, alla cura del disagio mentale e delle devianze, all’inserimento sociale e lavorativo dei portatori di handicap, ai servizi sanitari, all’assistenza agli anziani, ecc. 2 Relazione presentata da Alfonso Pascale al Seminario dell'Agea su"La riforma della Pac: le scelte dell'Italia e le modalità di applicazione", Roma, 21 settembre 2004 (http://www.alfonsopascale.it) 3 Elaborazione del documento metodologico Sal.Va.Te.R e delle Linee Guida per la pianificazione del territorio rurale. 4 La Lombardia produce il 40% del latte italiano e 18 prodotti D.O.P. (Denominazione d’Origine Protetta).
la ricognizione di “best practices” maturate in alcuni contesti nazionali e internazionali, si è arrivati a fare il punto sulla possibilità di riconoscimento oggettivo delle caratteristiche, delle funzioni ambientali, territoriali, socio-economiche e di difesa del paesaggio del territorio rurale come parte integrante del processo di pianificazione e progettazione sostenibile. Il convegno svoltosi in due giornate presso la sede di Palazzo Turati a Milano ha visto attorno al tavolo di lavoro numerose personalità del mondo accademico italiano ed europeo, rappresentanti istituzionali e delle associazioni di categoria a dibattere intorno alle prospettive di una “conversione al multifunzionale” del territorio lombardo ed italiano.
Figura 1. invito del convegno Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni. Milano, ottobre 2004 .
Durante la sessione plenaria sono state presentate tre esperienze significative europee afferenti alla Spagna, all’Austria ed alla Polonia, nazioni coinvolte da una progettualità comune (il corridoio di trasporto transeuropeo 5 Barcellona-Kiev), ma dissimili dal punto di vista dello stato d’attuazione delle Politiche Comunitarie in campo agricolo e sotto il profilo degli aspetti socio-economici (struttura della produzione agricola del Paese), fisici e degli strumenti di pianificazione paesistica. Successivamente si sono svolte le sessioni tematiche pomeridiane che hanno permesso, attraverso la presentazione di numerosi progetti attuati, di approfondire i diversi aspetti della
multifunzionalità ossia: il tema del mantenimento della dotazione di naturalità del sistema rurale; il tema del nuovo ruolo assunto dal territorio rurale, quale luogo di attività diversificate e non esclusivamente coinvolto nei processi di produzione agricola ed infine il tema del rapporto tra territorio rurale ed azioni insediative che necessita di attenzioni progettuali specifiche anche per la definizione di adeguate misure compensative5. Il titolo del convegno Il sistema rurale: una sfida alla progettazione, (…) è provocatorio ed introduce tre concetti fondamentali 1. il territorio rurale inteso come sistema. Il sistema rurale è costituito da diverse componenti e deve essere studiato simultaneamente in tutte le sue parti ed attraverso i rapporti che intercorrono tra loro, nelle scale temporali e spaziali più opportune. Da questo punto di vista grande aiuto viene dalla disciplina dell’Ecologia del paesaggio. 2. l’approccio progettuale al territorio. Citando M.C.Treu 6 “La prospettiva di lavoro è la ricerca di un progetto di paesaggio che si basi su criteri di lettura delle diverse partizioni delle aree che compongono il mosaico del territorio rurale e su criteri di intervento nella progettazione degli accessi ai fiumi, delle sponde dei canali, dei tracciati di alberature e dei filari di siepi, dei manufatti agrari e residenziali, delle attrezzature di servizio per il sistema degli insediamenti diffusi. L’esito atteso è quello di un progetto di paesaggio per un sistema rurale riconoscibile e integrato con quello urbano. Un sistema territoriale in cui la rete dei valori ecologici si intersecano con quelli del paesaggio.” 3. pianificazione e gestione integrata del territorio rurale. Citando Colantonio 7 “L’esigenza sempre crescente di organizzare il processo di governo del territorio sulla base di una concezione della pianificazione di tipo integrato sia tra i diversi settori, sia tra i vari livelli d’intervento.”
IL SISTEMA RURALE CON UNO SGUARDO ALL’EUROPA
Silvia Calamandrei del Comitato Economico e Sociale dell'Unione Europea8 ha brevemente illustrato la nuova politica agricola comunitaria alla luce della sua recente revisione, definendo l'approccio integrato al sistema rurale, asse portante della P.A.C., ed elemento chiave nelle nuove "prospettive finanziarie" 2007-2013, ispirate allo sviluppo sostenibile. L’approccio integrato al sistema rurale si articola nei seguenti principi9: la vitalità del territorio rurale è essenziale per tutta la società ed esiste un'interdipendenza tra attività agricola e territorio rurale, la salvaguardia della "diversità" del territorio rurale, in termini paesistici, forestali, culturali, la promozione della competitività del settore agricolo, ecc. La riforma della politica agricola comune (P.A.C.), introducendo il disaccoppiamento che separa il concetto di sovvenzione da quello di produzione10, ha rivoluzionato il modo in cui l'Unione Europea sostiene il settore agricolo comportando notevoli ripercussioni 5
Nel pomeriggio del 13 ottobre si sono svolte le seguenti sessione parallele: sessione 1- Funzioni ambientali: valore e potenzialità; sessione 2 - Mercato: opportunità e risposte; sessione 3 - Pianificazione e trasformazioni: qualità e compensazioni 6 Relazione presentata da M.C. Treu, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004, Milano. 7 Relazione presentata da R. Colantonio Venturelli, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004, Milano. 8 Capodivisione della Sezione agricoltura, sviluppo rurale e ambiente del Comitato economico e sociale dell'Unione Europea 9 L’approccio integrato al sistema rurale è stato articolato nel corso della conferenza di Salisburgo del novembre 2003 (II Conferenza europea sullo sviluppo rurale) che ha fissato principi ed obiettivi nella dichiarazione finale. 10 Il termine disaccoppiamento indica che gli aiuti concessi all’agricoltura non sono più erogati sulla base degli ettari coltivati o delle bestie allevate, ma vengono concessi in modo forfetario e quindi indipendente dalla coltura realizzata. Non solo non dipendono da essa, ma lasciano all’agricoltore la scelta sulle colture da attuare, quindi lo spingono sempre di più a guardare al mercato per ottenere il massimo ricavo possibile grazie alle scelte produttive compiute.
sull’economia degli stati membri. La nuova P.A.C. è orientata verso gli interessi dei consumatori e dei contribuenti e, nello stesso tempo, intende lasciare gli agricoltori liberi di produrre ciò che esige il mercato. Una delle indicazioni principali contenute nella riforma del Commissario Fischler (proposta nel Luglio 2004) è appunto il disaccoppiamento, misura che dovrebbe concorrere ad una maggior diversificazione delle attività e ad una migliore integrazione degli aspetti ambientali, di qualità e di sicurezza alimentare, stimolando la multifunzionalità dell'attività agricola. I fondi che si renderanno reperibili grazie alla riduzione dei pagamenti diretti a favore delle grandi aziende saranno messi a disposizione degli agricoltori per realizzare programmi in materia d’ambiente, qualità o benessere degli animali. Infine Calamandrei ha sottolineato l’importanza crescente di altri strumenti di regolamentazione e finanziamento europeo in corso di redifinizione: in particolare la normativa sull'agricoltura biologica e quella su Natura 2000, strettamente connessi ai sistemi di qualità e ad una migliore compatibilità tra agricoltura e preservazione della biodiversità e dell'ambiente.
I casi studio stranieri Durante il convegno sono state presentate tre esperienze di progetti significativi esteri per permettere di comparare le differenti strategie generali e/o gli approcci specifici sviluppati in altri Paesi con quelli dell’Italia e, nello specifico di questo convegno, con quelli lombardi. I progetti prescelti sono stati preceduti da schede di inquadramento che hanno permesso di comprendere e descrivere, nella prospettiva di costruire un approccio conoscitivo integrato, le politiche e le strategie nazionali con cui i progetti si confrontano. Peraboni ha introdotto i casi studio delineandone il quadro delle condizioni dell'agricoltura e ponendo in luce le situazioni di particolare rilevanza per la programmazione e la definizione degli interventi in agricoltura, con particolare riferimento alle complesse tematiche relative al rapporto tra agricoltura e territorio rurale. Gli Stati che hanno presentato interventi progettuali significativi sono stati la Spagna, l’Austria e la Polonia. Questi Paesi hanno aderito all’UE in tempi assai diversi11 e ciò ha determinato delle differenze sostanziali nell’evoluzione del loro sistema produttivo agricolo; da un lato il sistema agroindustriale spagnolo ed austriaco che hanno beneficiato dei proventi derivanti dalla gestione della PAC e che guardano con crescente apprensione alla recente proposta Fischler, dall’altro lato il sistema produttivo polacco che guarda con interesse ed aspettative crescenti alla possibilità di beneficiare dell’integrazione nel mercato europeo. Un secondo fattore che ha condizionato la scelta dei tre paesi è che sono interessati dal passaggio del “corridoio 5” Lisbona-Kiev, corridoio plurimodale facente parte della rete TEN (Trans European Network). La realizzazione di questo corridoio, se da un lato accrescerà il livello di connessione tra i differenti paesi europei, dall’altro innescherà in ambito locale fenomeni di crescita insediativa legati sia alla localizzazione di nuove attività produttive che al potenziamento delle attività di logistica delle merci. La sfida è governare questi processi e fare in modo che le esigenze insediative non depauperino in modo irreversibile la risorsa suolo (Peraboni, 2004) 12. Il primo intervento straniero è stato quello di Jose Louis Miralles, urbanista e professore dell’Università Politecnica di Valencia che ha presentato la sua esperienza di redazione di
11 Ricostruendo la cronologia delle fasi di allargamento dell’Unione Europea possiamo notare come i tre paesi abbiano seguito percorsi differenti, la Spagna aderisce nel 1986, l’Austria diviene stato membro con l’allargamento “a 15” del 1995 mentre l’adesione della Polonia è avvenuta solo nel 2003. 12 C. Peraboni, Riflessioni in merito alle esperienze presentate, in Atti del Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004, Ed.Clup, Milano.
una proposta di legge per la protezione del paesaggio della Horta di Valencia13. L’Horta è un ambito agricolo periurbano caratterizzato da un paesaggio agrario di grande valore naturalistico e culturale, costituito da orti e agrumeti che circonda la città di Valencia (comprende 44 comuni), minacciato dalla pressante domanda di crescita insediativa della città. Questo paesaggio oltre ad essere stato segnalato dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (1998), per la sua rarità - esistono soltanto altri cinque paesaggi simili alla “horta valenciana” in tutta l’Europa - è considerato dalla popolazione dell’area metropolitana di Valencia un’eredità culturale imperdibile, in quanto rappresenta l’insieme delle pratiche d’uso, delle consuetudini, delle tradizioni del mondo rurale nel suo complesso, che deve essere conservato e trasmesso alle future generazioni. Per rispondere alle esigenze di conservazione del territorio rurale e del paesaggio della Horta espresse dalla cittadinanza ed esplicitate, dalla presentazione di un’Iniziativa Legislativa Popolare alla Corte Valenciana (avvallata da 118.000 firme di cittadini valenciani), la Generalitat Valenciana ha incaricato il professor Miralles di redigere, con un’equipe di esperti di altre discipline, una proposta di legge di tutela del paesaggio. Nel suo intervento Miralles ha esposto le motivazioni per cui la legge, a suo parere, non ha dato risultati tangibili. Innanzitutto la mancanza nel panorama disciplinare spagnolo di strumenti, metodologie e di concreti risultati professionali di analisi e progettazione del paesaggio, sia nel campo della rappresentazione, che nella normativa, in grado di rispondere alle problematiche legate alla gestione e alla traformazione del paesaggio nella Horta. Miralles nel suo intervento ha sottolineato la necessità di una riforma degli strumenti urbanistici che integri tecniche di analisi e di disegno del paesaggio alle tecniche della pianificazione ordinaria. La seconda criticità è la difficoltà di conciliare le istanze di una popolazione divisa tra chi vuole il mantenimento del paesaggio della Huerta e chi invece ostacola tale obiettivo. In questo va ad inserirsi anche la tematica non secondaria dell’esigenza dei politici di raggiungere risultati in tempi brevi, a scapito del territorio e del paesaggio che necessita, per trasformarsi, di tempi medio-lunghi. L’intervento di Miralles ha messo in evidenza come, senza un efficace supporto strumentale e normativo e soprattutto senza la volontà politica del soggetto pubblico, sia perdente ogni tentativo di tutela del paesaggio nel suo insieme. Infatti sottolinea come in Spagna la possibilità di protezione del paesaggio esiste a livello normativo soltanto come un caso particolare di area di valore ambientale. Miralles ha presentato in conclusione la recente legge della Comunidad Valenciana sul governo del territorio e sulla protezione del paesaggio (approvata il 4 Luglio 2004) auspicando che questa legge, la prima legge in Spagna che tratta espressamente di paesaggio non sia soltanto un’inutile dichiarazione di intenti dal carattere meramente pubblicitario per l’amministrazione, ma sia il motore della svolta verso una progettualità più attenta alla conservazione e alla qualità del paesaggio. Il secondo intervento straniero è stato quello della professoressa Gerlind Weber che ha presentato una ricerca coordinata da lei per l’Institute of Spatial Planning and Rural Development dell’Università di Vienna finalizzata a delineare le diversità dei paesaggi rurali dell’Austria14. Questa ricerca si lega ai concetti espressi nella dichiarazione finale della conferenza di Salisburgo 15 del novembre 2003 (II Conferenza europea sullo sviluppo rurale), per cui uno dei presupposti per l’approccio integrato al sistema rurale è la salvaguardia della "diversità" del territorio rurale in termini paesistici, forestali, culturali. L’intervento della Weber ha messo in evidenza un aspetto che caratterizza i sistemi rurali e che non era ancora stato considerato: l’estrema varietà di paesaggi che costituiscono il sistema rurale. Questo 13 Relazione presentata da J. L. Miralles i Garcia, La difícil gestión del paisaje: el caso de L’Horta de València, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004. 14 Relazione presentata da G. Weber, Rural areas in Austria. Strengths, weaknesses and measures for sustainable development, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004. 15 II Conferenza europea sullo sviluppo rurale svoltasi a Salisburgo nel novembre 2003. Per maggiori informazioni si veda l’intervento di Silvia Calamandrei sul sito internet del convegno
intervento è stato interessante più per la metodologia d’indagine proposta che per i risultati essendo il contesto austriaco molto diverso da quello italiano. La ricerca presentata è consistita nello studiare attraverso l’analisi S.W.O.T. pregi e limiti di 4 contesti regionali dell’Austria che poi sono stati confrontati. La sintesi del confronto sinottico tra le 4 aree rurali prescelte ha dimostrato come, nonostante i 4 ambiti fossero diversi dal punto di vista fisico-naturale, economico e sociale, avessero problematiche e potenzialità comuni sia in termini economici, ecologici e sociali. Il risultato della ricerca è stato quello di proporre misure per la gestione dei sistemi rurali specifiche per i diversi paesaggi e fortemente orientati all’approccio integrato ai sistemi rurali. Il terzo intervento straniero è stato quello del dottor Markus Tornberg, Consigliere del Comitato Economico e Sociale Europeo per la Polonia16, meno interessante dal punto di vista progettuale, ma importante per aver saputo presentare le aspettative di sviluppo rurale integrato che la Polonia ha, a seguito della sua recente entrata nell’Unione Europea.
LE TRE SESSIONI TEMATICHE: FUNZIONI AMBIENTALI, PIANIFICAZIONE TERRITORIALE E MERCATO
Il programma del convegno si articola attraverso tre momenti fondamentali: ? ? lo studio delle funzioni ambientali per evidenziare il valore e le potenzialità del territorio agro-forestale, sessione 1; ?? l'indagine sulle attività agricole ed extra agricole compatibili con il territorio e richieste dal mercato, sessione 2; ?? un approccio integrato e multidisciplinare per il buon governo del territorio e delle risorse fisiche e per la corretta pianificazione delle trasformazioni del sistema rurale, sessione 3. Pur tenuto conto dell’inevitabile eterogeneità e parzialità degli approcci, i contributi pervenuti nelle tre sessioni hanno fornito, nel loro insieme un quadro ricco, articolato e suggestivo dei problemi in campo, delle soluzioni tentate, e delle difficoltà che occorre superare per realizzare azioni e politiche integrate di sviluppo rurale.
Figure 2 e 3. l’eterogeneità dei paesaggi rurali lombardi (fonte: Regione Lombardia)
I contributi possono essere visti come tessere di un mosaico che acquista significato unitario nell’esigenza di trovare attori all’altezza della straordinaria sfida rappresentata dallo sviluppo sostenibile. La cultura e le conoscenze che essi sapranno esprimere, i valori dai quali si faranno guidare e la capacità che avranno di realizzare forme alte e lungimiranti di cooperazione e coordinamento saranno decisive per l’esito di questa sfida così vitale per il nostro futuro. Ora illustrerò brevemente, mediante l’ausilio dei contributi pervenuti dal Comitato Scientifico, i contenuti trattati nelle tre sessioni.
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Relazione presentata da M. Tornberg, Rural areas in Poland. New development policy, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004.
Le funzioni ambientali del sistema rurale: valore e potenzialità Il professor Francesco Sartori, incaricato di fare un bilancio dei risultati raggiunti con la prima sessione, ha messo in evidenza nella sua relazione conclusiva17, meriti e limiti dell’approccio ambientale alla multifunzionalità. Viene riconosciuto il merito di aver saputo evitare di cadere nell’amarcord, ossia nel rimpiangere la vita rurale di un tempo, proponendo invece concrete modalità progettuali di riequilibrio ecologico delle aree agricole. Un altro punto di merito è il fatto che i vari contributi hanno sottolineato l’importanza della qualità degli indicatori, ciò suggerisce che la conoscenza delle componenti e del funzionamento del sistema rurale risulta sempre più approfondita. Sartori ha evidenziato poi i limiti che questo convegno ha portato sul piatto della bilancia: la mancanza di un linguaggio comune, di un vocabolario comune, esortando gli architetti ad imparare dai naturisti a dare una gerarchia ai vari elementi e la difficoltà di trovare progetti che sappiano far fronte alla perdita di valori etici che porta con sé il mondo rurale. Sartori infine ha sottolineato come l’ambiente nell’ottica della multifunzionalità viene caricato di tante altre funzioni che “l’agricoltore di domani” dovrebbe essere in grado di cogliere; a tal fine occorre che Regioni e Province definiscano efficaci misure di sostentamento per gli agricoltori declinandole dalle indicazioni della P.A.C. e assume molta importanza il vincolo quale strumento di tutela del territorio. Mario Di Fidio18 nella sua presentazione ai poster relativi alla sessione 1 ha posto l’attenzione sulle sinergie dell’approccio integrato al sistema rurale con la protezione della natura e del paesaggio e la gestione delle reti idriche. Le sinergie tra sistema rurale e aree protette sono iscritte nello stesso codice genetico dei parchi, si pensi al fatto che i parchi hanno spesso protetto l’agricoltura locale dall’urbanizzazione, e tuttavia si sa quanto difficili siano stati fino a pochi anni fa i rapporti tra parchi ed agricoltura, a motivo di carenze degli strumenti di pianificazione, finanziamento e comunicazione. Di Fidio propone 3 linee operative: a) la prima consiste nel mettere in comune attraverso strumenti di tipo convenzionale le scarse risorse dei parchi e dell’agricoltura per lo sviluppo di nuovi progetti organici di riqualificazione e gestione del paesaggio naturale e rurale, abbandonando gli schemi operativi del passato; b) la seconda linea operativa consiste nel considerare i parchi, con le loro risorse naturali e paesistiche ed i loro servizi di fruizione, al centro di bacini di utenza più vasti, promuovendo iniziative organiche di accesso ed ospitalità a vari livelli, con la valorizzazione di strutture (per esempio cascine) e produzioni (in particolare tradizionali) agricole, in grado di convogliare risorse dalle aree urbane al sistema rurale integrato nelle aree protette; c) la terza linea operativa consiste nel superare il pregiudizio che la natura sia meritevole di protezione soltanto nei parchi e nelle riserve naturali, mentre in realtà essa deve essere protetta, con strumenti diversi, su tutto il territorio, comprese le aree urbane e metropolitane. A tale proposito, occorre sottolineare che l’Italia è in grave ritardo rispetto ad altri Paesi europei, che da tempo dispongono di una normativa generale per la protezione della natura. Per quanto riguarda la questione della gestione delle reti idriche, è necessario considerare che il sistema rurale, soprattutto nell’Italia settentrionale, ha costruito nel corso dei secoli un 17
Relazione conclusiva della prima sessione tematica presentata da Francesco Sartori, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004. 18 Relazione presentata da M. Di Fidio, Introduzione ai poster della prima sessione funzioni ambientali: valori e potenzialità, al Convegno internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004.
ricchissimo reticolo idrico artificiale, strettamente intrecciato a quello naturale. Negli ultimi anni, numerosi progetti sono stati dedicati alla riscoperta delle potenzialità multifunzionali del reticolo idrico, evidenziando peraltro la necessità di approfondimenti, differenziati nelle varie aree geografiche. Considerato lo stato attuale della nuova progettazione finalizzata alla riqualificazione delle reti idriche naturali ed artificiali, la prima indicazione operativa, suggerita da Di Fidio, è di carattere metodologico, ossia attiene all’esigenza di ricucire i singoli interventi progettuali – ancora troppo dispersi – nell’ambito di programmi organici di bacino. La seconda indicazione operativa è di carattere funzionale: per la piena maturazione della nuova strategia di riqualificazione, accanto alle funzioni naturalistica, paesaggistica e ricreativa delle reti idriche, finora in prevalenza studiate, è necessario approfondire altre funzioni, a carattere per così dire tecnico-ambientale, quali il contenimento delle piene e la fitodepurazione nel contesto rurale e la gestione sostenibile delle acque pluviali nel contesto urbano e metropolitano. E’ vero che tra sistema rurale, reti ecologiche e reti idriche è più facile identificare affinità o compatibilità di obiettivi e conseguentemente i reciproci vantaggi di programmi ed azioni multifunzionali, secondo un approccio integrato, mentre il rapporto tra sistema rurale e sistema degli insediamenti e delle infrastrutture appare più problematico, a motivo del tradizionale antagonismo degli obiettivi e della sproporzione tra le forze socio-economiche in gioco, che vede il sistema rurale in condizioni di netta inferiorità. Ma è anche vero che nelle regioni più sviluppate (in particolare quelle sede di processi di tipo metropolitano), è presente una linea evolutiva che tende ad integrare il sistema rurale e il sistema degli insediamenti e delle infrastrutture, secondo principi di sviluppo complessivo sostenibile, come alternativa alla congestione ed al caos. E’quindi in atto un tentativo di autocorrezione delle potenti forze e dei meccanismi decisionali, che hanno portato e tuttora portano alla sistematica distruzione e compromissione di tante parti del sistema rurale. E’ interessante valutare come lo stesso sistema rurale possa interagire proficuamente con questa linea evolutiva, abbandonando una posizione storica di soggetto estraneo e fatalmente passivo, per assumere ruoli attivi e propositivi nei confronti dei processi di sviluppo territoriale ed urbanistico. Significativa al riguardo è la rilevanza assunta da nuovi strumenti conoscitivi messi a punto da istituzioni facenti capo al mondo agricolo. Particolarmente interessanti risultano le molteplici applicazioni della carta pedologica della Lombardia, realizzata dall’ERSAF negli scorsi anni. La conoscenza analitica della capacità d’uso e della qualità ambientale dei suoli agricoli, nonché dei fattori di rischio legati alle dinamiche idrologiche è stata innanzitutto proficuamente utilizzata dai programmi dello stesso settore agricolo e dei settori ambientale ed idrico. Promettenti sono anche le prime applicazioni del medesimo sistema conoscitivo alla pianificazione territoriale ed urbanistica, volte a contenere ed orientare più razionalmente il consumo di suolo, attraverso sistemi complessi di macroobiettivi – strategie - traguardi ed indicatori numerici da monitorare. Va comunque precisato che, per passare dalla teoria alla prassi, ossia ai processi decisionali concreti, il cammino è ancora lungo.
Mercato: opportunità e risposte Fino a qualche decennio fa, la cura e la conservazione dell’ambiente agricolo e forestale erano visti, dal punto di vista economico, come un input del processo produttivo: l'agricoltore svolgeva intenzionalmente attività quali il controllo dell’erosione, la manutenzione di strade, sentieri, siepi e alberature, la gestione delle acque, la bonifica, la prevenzione degli incendi, ritenendole operazioni indispensabili per ottenere i raccolti dai campi. La collettività si avvantaggiava di riflesso di questo stato di cose e fruiva di un ambiente gradevole, equilibrato, con rilevanti pregi naturalistici e funzionali. Con il passaggio all’agricoltura intensiva e specializzata, in grado di conseguire elevate produttività per unità di superficie e di lavoro, la cura e la conservazione dell’ambiente agrario sono state
molto semplificate, poichè in molti casi comportavano costi ingiustificati e intralci alle operazioni di coltivazione. Per fare in modo che l’agricoltore abbia un ritorno di interesse a produrre beni e servizi ambientali è necessario che essi rappresentino concrete opportunità di percepire redditi: si tratta cioè di trasformare questi beni da input ad output del processo produttivo. Tale passaggio è favorito anche dall'evoluzione del contesto economico-sociale del nostro Paese, dove, con il miglioramento del tenore di vita e l'accresciuta sensibilità nei riguardi dell’ambiente, si è concretizzata una forte domanda di beni e servizi per il tempo libero. La Sessione “Mercato: opportunità e risposte” ha la finalità di raccogliere proposte, esperienze e informazioni sullo svolgimento di attività diversificate nel territorio orientate alla multifunzionalità dell’agricoltura. Dalla rassegna di contributi presentati è emerso come lo stesso tema – trarre opportunità di reddito da attività non convenzionali svolte nel territorio agricolo, in armonia con gli obiettivi di qualità ambientale – possa essere sviluppato attraverso differenti svolgimenti. Infatti come sempre succede quando si devono governare realtà complesse, non esistono ricette universalmente valide, ma soluzioni che, di volta in volta, sappiano considerare e valorizzare le specificità del sito. E’ interessante osservare che tutti i contributi hanno preso in considerazione realtà agricole collinari o montane, ovvero quelle tendenzialmente meno vocate per l’agricoltura intensiva, ma più significative per quanto concerne paesaggio, elementi di naturalità, retaggi. Proprio queste realtà sono quelle che richiedono maggiori iniziative per conservare e, in certi casi, far ritornare una saggia presenza dell’uomo come fattore di regolazione dei processi che avvengono nel territorio. Le proposte delineate sono diverse e molto diversi sono anche gli attori della gestione del territorio: ricercatori, amministratori, privati. Il professor Maurizio Franzini ha presentato nella relazione di sintesi ai contributi della seconda sessione19, il suo giudizio sul futuro dell’agricoltura, nell’ottica del paradigma della multifunzionalità e dello sviluppo sostenibile. E’ partito da una constatazione fondamentale per capire la motivazione che sta alla base della competizione nell’uso delle risorse territoriali: l’uomo contemporaneo pone la domanda di beni collettivi. La natura, l’ambiente, la cultura e le risorse identitarie sono beni collettivi essenziali, che la crescita economica, guidata dal mero calcolo individuale, tende a trascurare... Affinché sia garantita la conservazione del paesaggio, anch’esso bene collettivo servono soggetti pubblici in grado di ovviare alle debolezze del mercato, evitando che il sistema rurale sia una vittima di questo malfunzionamento. Nei Paesi Avanzati è venuto meno il bisogno della terra per sopravvivere, per soddisfare i bisogni primari, quindi alla terra, al sistema rurale nel suo complesso, vengono rivolte nuove domande sociali ed economiche legate all’evoluzione della struttura dei bisogni, al cambiamento degli stili di vita. Per multifunzionalità s’intende quindi liberare quei valori della terra che possono soddisfare le esigenze dell’uomo che la monofunzionalità non soddisfa più. Le nuove domande d’uso del territorio rurale, in molti casi si sono tradotte in disponibilità individuale a pagare, cioè in una condizione essenziale per il normale funzionamento dei mercati. Così sono nati e si sono affermati mercati aventi per oggetto la valorizzazione di alcuni dei lati nascosti delle risorse naturali. Un esempio tra i più significativi è il turismo “verde” e culturale, che rivela proprio la disponibilità a pagare per fruire della “terra” non come mero fattore produttivo. La domanda pagante per la fruizione dei diversi servizi che può rendere il sistema rurale non è già "pronta e disponibile" e non basta, quindi, la semplice predisposizione dell'offerta per attivarla. Occorre che quella domanda venga raggiunta e talvolta è anche necessario “scoprirla”. Per questo è necessario che entrino in campo imprenditori agricoli intelligenti, in grado di capire le domande emergenti della popolazione; assumono speciale importanza le 19
Relazione conclusiva della prima sessione tematica presentata da Maurizio Franzini, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004.
capacità manageriali, la cultura imprenditoriale e anche la “fantasia” innovativa dei singoli, particolare rilievo e importanza assume la capacità di individuare e offrire “nuovi prodotti” e di “convincere” i consumatori della loro utilità, oltre quello che sarebbe il loro livello di spontaneo convincimento. Infine il professor Franzini raccomanda di non usare a sproposito la parola sviluppo sostenibile. La sfida oggi è riempire di contenuti e di significati lo sviluppo sostenibile, definendone meglio obiettivi specifici, strategie e attori, fermo restando che ciò di cui si tratta è assicurare l’accrescimento del benessere sociale nel rispetto della conservazione di beni collettivi essenziali - che, peraltro, a tale benessere concorrono in modo sempre più rilevante. Il percorso di sviluppo del sistema rurale dovrebbe trovare in queste ampie coordinate il proprio essenziale punto di riferimento. Ma le capacità dei singoli e le soluzioni individualistiche, pur molto importanti, non sono sufficienti. Occorre che i diversi attori, pubblici e privati, coordinino le proprie azioni, perché da tale coordinamento dipende in modo cruciale lo sviluppo sostenibile. Se la crescita disordinata poggia sulla più ampia libertà individuale, lo sviluppo sostenibile richiede azioni collettive anche perché esso consiste largamente nella produzione di beni collettivi. Adottare questa prospettiva significa affrontare numerose questioni, quasi tutte riconducibili al modo nel quale deve essere intesa e articolata l’attività di programmazione, necessariamente pluridisciplinare, che ha per oggetto la realizzazione di sistemi rurali sostenibili.
Pianificazione e trasformazioni: qualità e compensazioni La sessione 3 si è occupata di approfondire la tematica dell’approccio integrato e multidisciplinare per il buon governo del territorio e delle risorse fisiche e per la corretta pianificazione delle trasformazioni del sistema rurale. Il problema di fondo cui i contributi hanno cercato di far fronte è la difficoltà di gestione sostenibile delle risorse fisiche, fenomeno che, secondo il professor Enrico Larcan 20 è diventato ancora più evidente negli ultimi decenni, a causa della diffusione insediativa incontrollata e massiccia. L’evoluzione territoriale italiana, indubbiamente espressa nel binomio "crescita" e "diffusione", ha prodotto un generalizzato riversamento edilizio dai nuclei urbani consolidati verso un dequalificato "spazio rurale urbanizzabile" generando lo spreco di suolo agricolo e lo squilibrio del sistema idrico irriguo e di drenaggio, il cui diffuso reticolo - costruito nei secoli per l'agricoltura - si trova oggi in aree che pretendono prestazioni per le quali il reticolo medesimo non è stato concepito. A conferma del fatto che il rapporto tra l'insediamento urbano e il suo intorno sia assurto al rango di questione emergenziale nelle politiche territoriali dell'Unione Europea si ricordi che uno dei suoi assunti-obiettivo è dato dalla nozione di "città compatta", identificata nel "Libro verde sull'ambiente urbano" del 1990 (sulla scorta di precedenti esperienze di alcune città del nord Europa, particolarmente olandesi e danesi) e ulteriormente approfondita in documenti comunitari successivi come lo "Schema di sviluppo dello spazio europeo di Noordwijk", 1997; e, dunque, il tema della "città compatta" corrisponde alla necessità di contenere il consumo di risorse territoriali, ormai già ampiamente compromesse dalla diffusione insediativa ben oltre la sola dimensione metropolitana, in maniera da programmare anche una contestuale riduzione dei consumi idrici e degli sprechi di suolo. Partendo da questi presupposti si può affermare che (citando Guido Ferrara21): la sessione sulla pianificazione Pianificazione e trasformazioni: qualità e compensazioni, si è prefigurata 20
Relazione presentata da E. Larcan, Introduzione ai poster della terza sessione, al Convegno internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004. 21 Relazione presentata da G. Ferrara, Il paesaggio come laboratorio, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004.
come un laboratorio di proposte progettuali. I paesaggi, le risorse, il verde, le acque, i suoli, i vuoti urbani, si trovano in uno stato subalterno, minoritario, forse irrimediabilmente perdente rispetto ad un processo di trasformazione del territorio il cui fine a priori non è “la qualità”. In questo contesto attraverso le esperienze di piano ed i progetti presentati nel convegno, sono state formulate proposte di recupero, di attualizzazione, di ripristino, di riconsiderazione, con strumenti la cui sperimentalità può essere solo in parte riferita alla tradizione pianificatoria ordinaria. Nei contributi si è tentato di identificare i difetti della situazione in essere, di riconoscere il valore delle permanenze del passato, i processi di funzionamento degli ecosistemi, si è auspicato un futuro qualitativamente migliore, spesso attraverso progetti spiegati nel dettaglio, proposte di coinvolgimento di interlocutori specifici, valutazioni di sostenibilità. L’aspetto più interessante di questa sessione del Convegno è il problema del come, che rinvia agli strumenti, ai processi, alle grandezze riconosciute e quantificate, ai suggerimenti pratici che vengono di volta in volta individuati per superare quell’emarginazione, quella sudditanza, quella perdita di memoria denunziata, partendo naturalmente dall’analisi diagnostica della situazione di partenza che il singolo caso studio propone all’attenzione. Ferrara sottolinea come sia cambiato il clima culturale, in nome del paradigma della sensibilità ecologia che da pensiero elitario, negli anni settanta è diventato condiviso. Il territorio rurale si trova oggi ad essere al centro delle politiche di sviluppo europeo, da oggetto che subiva passivamente le politiche vincolistiche di tutela a soggetto-motore di politiche di conservazione attiva, che sostengono la valorizzazione delle risorse identitarie del sistema rurale anche attraverso la multifunzionalità dell’agricoltura. Ferrara sostiene la necessità non solo di strumenti di piano ma anche di normativa in grado di orientare i progetti, a questo proposito si veda il Piano del Parco della Valle dei Templi di Agrigento di cui Ferrara è estensore, in cui sono state redatte 96 norme che dovrebbero garantire la gestione del progetto. La sessione 3 affronta il tema della politica e della pianificazione dei paesaggi, attività indicate dalla Convenzione Europea22 e finalizzate alla valorizzazione, al ripristino o alla creazione di paesaggi”. Si tratta di tipi di attività che: “riconoscono i propri elementi fondanti nella conservazione delle diversità naturali e delle preesistenze storiche e culturali alle diverse scale, ivi compresa la politica delle aree protette e la tutela dell'assetto del paesaggio agrario tradizionale, dei parchi e dei giardini storici; individuano uno specifico campo di attività negli spazi aperti intesi quale complesso ordinato entro cui si colloca la parte costruita della città e del territorio; sono impegnate nel ristabilimento degli equilibri ambientali compromessi, nella difesa del suolo, nel contenimento degli effetti prodotti dall'inquinamento e nella tutela della salute pubblica principalmente attraverso la creazione di sistemi integrati di forestazione urbana e di verde a bassa manutenzione, la rinaturazione dei corsi d'acqua, il recupero delle aree degradate da attività industriali con al primo posto quelle estrattive, l'inserimento e la mitigazione degli effetti prodotti dalle grandi infrastrutture”. Questo convegno è stato l’occasione per dimostrare come sia in corso un processo culturale di tipo rivoluzionario, che torna cioè ad attribuire ai cosiddetti “vuoti” una cogenza formale intrinseca, un contenuto afferente a considerazioni propriamente estetiche. La progettazione del paesaggio non si occupa di semplici "spazi" per scopi distributivi o di definizione di dettagli, fornendo e creando luoghi e ambienti a ciò idonei. Superando il concetto della mera funzione, mentre crea le condizioni ottimali per l'uso e l'azione, la progettazione del paesaggio può essere assimilata ad un processo organico aperto al mutamento ed allo sviluppo nel tempo, in vista della conservazione delle risorse naturali e di ogni altro aspetto qualitativo per il futuro." E’ facile riconoscere che la ricchezza del messaggio culturale e spirituale, le potenzialità espresse dalle cinture verdi, dalle greenways, dai sistemi di parchi e nei processi di ridefinizione essendo il paesaggio incomparabilmente più articolato e complesso di quella di 22
Consiglio d’Europa, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze, ottobre 2000
una grande città. Si può andare ben oltre le “mitigazioni” e le “compensazioni”: il paesaggio può tornare ad essere protagonista, come espressione di una cultura, di un modo d’essere di una civiltà.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E PROSPETTIVE Lo scorso Giovedì 14 Ottobre si è concluso il convegno con l’auspicio di aver contribuito attraverso la costruzione di una rete di relazioni tra soggetti istituzionali ed accademici, nazionali ed esteri, a formare “un’interpretazione corale, di sintesi, condivisa”del progetto di un “sistema rurale riconoscibile e integrato con quello urbano” (Treu, 2004) 23. In questo convegno è stato presentato un insieme di esperienze di piano e di progetti articolato e differenziato. Con questo convegno si è dunque aperto lo spazio per una frontiera progettuale di grande spessore, di rilevante potenzialità. Citando Ferrara, “abbiamo marcato un punto importante, perché siamo messi in grado non solo di porre una serie di picchetti invalicabili alla degradazione, ma torniamo ad essere capaci di reinventare un più alto livello di qualità ai nostri vuoti”. La tavola rotonda conclusiva ha dato modo di comprendere quali e quanti siano i soggetti che agiscono sul territorio rurale24 (amministratore, imprenditore agricolo, filosofo, artista) e di conseguenza renderci conto di quali siano gli approcci con cui essi si relazionano al sistema rurale e quali siano le domande che pongono al territorio. Altre questioni vanno a complicare la già relativa difficoltà degli amministratori a far accettare l’idea della multifunzionalità dell’agricoltura e sono la difficoltà di declinare le politiche agricole di livello europeo a scala locale e l’esistenza di gravi distorsioni insite nella politica di sostegno all’agricoltura europea, di fronte alle emergenze dei Paesi Sottosviluppati. In questo scenario gli imprenditori agricoli si trovano ad essere investiti da un ruolo importantissimo, se si pensa che dalle loro scelte dipenderà il futuro dei nostri territori rurali, - e sicuramente troppo gravoso perché siano in grado di gestirlo solo con le loro forze, conoscenze 25- perché le aziende agricole saranno le custodi della naturalità residua, della biodiversità, delle tradizioni e dei valori etici del mondo rurale ossia, citando James Lovelock26 “le aziende agricole saranno l’avamposto del nuovo umanesimo27. All’agricoltura intesa in senso multifunzionale, è chiesto di cogliere questa sfida, l’auspicio è che questo convegno, attraverso la presentazione di best practices, abbia fornito agli operatori del sistema rurale gli strumenti per farlo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre del 2004. Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Relazione presentata da M.C. Treu, al Convegno Internazionale Il sistema rurale. Una sfida per la progettazione tra salvaguardia, sostenibilità e governo delle trasformazioni, 13-14 ottobre 2004, Milano. 24 Alla tavola rotonda conclusiva hanno partecipato: Rossella Rusca Ministero dell'Economia e delle Finanze, Alberto Piatti AVSI Associazione Volontariato Sociale Italiano, Thierry de l'Escaille della European Landowner's Organisation, Vittorio Moretti Presidente dell’Azienda Agricola Bellavista, LucianoValle filosofo. 25 Si sottolinea l’importanza del ruolo di orientamento e di indirizzo svolto dall’Unione Europea e, a livello nazionale, dalle Regioni e Province 26 James Lovelock è autore di Gaia: A New Look at Life on Earth, 1982; Homage to Gaia: The Life of an Independent Scientist, 2000, The Ages of Gaia: A Biography of Our Living Earth, 2004 27 Sul tema dell’importanza dell’imprenditore agricolo, Luciano Valle ha presentato la sua visione dell’azienda di domani: “non sarà un’azienda agricola idilliaca fuori dalla realtà, ma un’azienda che pensa al futuro della civiltà umana, dove c’è: scienza in rapporto con gli istituti di ricerca, etica, valori e cultura; un’ azienda che custodisce valori, tradizioni, che fa concerti, organizza convegni…”