Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Editoriale pagg. 1-3
EDITORIALE Enrica Dall’Ara*
Coerentemente con gli obiettivi della Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona si estendono i ragionamenti scaturiti durante la sua quarta edizione del marzo 2006 all’interno di un numero monografico della Ri-vista, eco immediatamente successiva l’evento, confronto a livello internazionale sulle discipline inerenti il progetto di paesaggio affacciato da un porto marittimo mediterraneo. Si protraggono i temi del convegno, le impressioni sui progetti selezionati e vincitori, sugli esercizi presentati dall’esposizione delle scuole di architettura e di paesaggio, in un vocio che ci si augura fertile. Due anime un po’ sfuggenti appaiono ripetutamente all’aria aperta e vengono rievocate dal Premio Rosa Barba del Paesaggio, assegnato ex-aequo al parco Piedra Tosca a Les Preses (Girona, Spagna), di RCR Aranda Pigem Vilalta, e Harnes Lagune (Francia), di David Verport, anime belle a cui non si vuole rinunciare, per un equilibrio fra estetica ed etica, o fra cui semplicemente non si sa scegliere, desiderosi del gesto artistico (arte) e premurosi per la questione ecologica (natura). Le motivazioni del risultato del Premio le apprendiamo da Harry Harsema, giornalista e architetto del paesaggio, olandese, membro della giuria internazionale, che dice come il premio ex-aequo significhi dare il via ad un dibattito disciplinare. In realtà il dibattito è in corso da tempo. Maria Goula, anticipando le sue Riflessioni sulle possibili tendenze, riscontrabili dall’osservatorio-Biennale nell’opera di paesaggio degli ultimi quattro anni, commenta: “Credo che il messaggio in questo caso rimanga chiaro. Ed è che la realtà della pratica è lontana dalla sinergia, tanto acclamata a livello di teoria, fra una base funzionale d’etica ambientale e la sofisticazione progettuale”. Siamo ai discorsi abituali, per essere il progetto di paesaggio un progetto del entorno, parola spagnola intraducibile in italiano, tradotta riduttivamente nelle declinazioni ambiente, spazio aperto, intorno, paesaggio, eccetera, in pratica tutto ciò che ci circonda, scenario di qualsiasi svolgimento, nostro, ma anche autonomo da noi, naturale e solo parzialmente controllabile; per essere questo, non si può scegliere, e lascia una delusione prevedibile la nostra pretesa di sfogliare un progetto di paesaggio che risulti comprensivo ed esaustivo in tutti gli aspetti della disciplina. La questione è troppo ampia. Però anche consapevoli dell’ampiezza e della difficoltà di un progetto di sintesi, non si nasconde una certa insoddisfazione.
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I saggi di Rosa Barba che qui si ripropongono in edizione italiana sono scelti perché, anche se maturati anni fa (nel 1995 e nel 1999), senza intenzionalità espressa in modo esplicito sono incentrati esattamente sul tema della produzione del paesaggio, prodotto fra natura e arte, pratica quotidiana di intervento sul territorio e volontà estetica, che è il tema specifico della quarta edizione della Biennale Paesaggio: prodotto/produzione. Paesaggio come prodotto dell’economia è un altro aspetto. Valéry Didelon nel suo intervento al convegno ha prospettato un paesaggio quale prodotto-marchio.Il paesaggio si assottiglia: “trasparente come un logo” diceva Rem Koolhaas a proposito della città (Generic City, 1997). Si smaterializza, e deriva una superficialità, argomento su cui si ascoltava Perejaume nell’edizione precedente della Biennale: “si può misurare questo effetto di superficie ovunque. Anche si tratti di un luogo appartatissimo ed insondabile, immediatamente si fa sentire una certa perdita di gravità, una cessione di peso, di quello che pesa ogni luogo concreto nel mondo, da parte di ciò che lo tesa, che lo lega e lo fissa alla superficie”1. Paesaggio come prodotto stratigrafico - con richiamo alle estrazioni (cave) nel paesaggio di cui parlava Rosa Barba - materico, corposo, geologicamente lento, apparentemente inerte e malleabile; paesaggio come effimero, sgravato, superficiale. Scrivendo torna un senso di stanchezza di idee, senza che significhi decadenza, o sì, benvenuta la decadenza se fosse come lo è stata storicamente, sempre in seguito alle culture più stabili e consolidate - una maniera nervosa di germinare qualcosa di nuovo, un progresso. Riproporre i testi di Rosa Barba ha il valore di tornare ai turbamenti iniziali, radice della Biennale Europea del Paesaggio, quando si trattava ancora di mettere “insieme idee, disegni e citazioni, per rivedere […] il linguaggio e il materiale di cui oggi si dispone nel progetto dello spazio intorno” e quando si tentava di aprire delle direzioni di ricerca e di lavoro: “visioni sul paesaggio che compromettono il suo progetto o la sua pianificazione. […] che vi suonino nuove, qualcosa di dodecafonico, e quasi per niente retoriche o dejà vu.” 2 Senza dubbio hanno un tono meno stanco dei nostri atteggiamenti attuali, progettuali o discorsivi che siano, anzi hanno l’apertura sciolta, forse non troppo ordinata, di chi sembra mettere su un tavolo un groviglio di urgenze con intuizione, enfasi e impegno di dire e di fare. Passione e inquietudine che forse stiamo perdendo. L’obiettivo della Biennale è di continuarle. Eppure un’impressione da questa edizione è che ci stiamo avvolgendo senza molta novità nei labirinti di una architettura del paesaggio piena di insidie di noiosità. I progetti esposti alla Biennale dimostrano felicemente che il paesaggismo europeo ha acquisito “manualità”, serietà professionale tradotta in un buon disegno. Ma sembra stiamo disattendendo alcune aspettative, e ne abbiamo parlato in parte con Jordi Bellmunt, nell’intervista che si presenta, il quale in chiusura individua positivamente un’ipotesi di lavoro per i prossimi anni. Un’ulteriore considerazione: una volta ribadita con energia l’esigenza del progetto di paesaggio, momento necessario, forse va sfumando l’intelligenza di tenere come idea di sottofondo la possibilità anche di non intervenire e, confrontandoci con questa eventualità di “astensione” nella pratica professionale, l’opportunità di calibrare di conseguenza l’azione, graduarla nel rispetto dei luoghi e del tempo, senza confondere il nostro lavoro né con una mimesi della natura, né con il design, né necessariamente con la Land art. Non è un apologia della rinuncia: è solo un menzionare il disuso, o dimenticanza, altra anima che fa e disfa il paesaggio e custodisce una complessità che il prodotto del progetto spesso rende irriconoscibile. Rosa Barba a proposito della cava romana Mèdol di Tarragona scrive: “E’ o non è uno spazio architettonico? E’ stato costruito per ospitare un’attività? E’ stata modellata 1
Perejaume, in Sólo con naturaleza. Catalogo de la III Bienal Europea de Paisaje – III Premio Europeo de Paisaje Rosa Barba, Arquíthemas 17, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Fundación Caja de Arquitectos, Barcelona 2006, pag. 27 [trad. it. dell’autore]. 2 Rosa Barba, in ROSA BARBA I CASANOVAS, Argumentos, practicas y trabajos en el proyecto del paisaje, “GEOMETRÍA”, n. 20, Paisaje (I), Málaga (España) 1995, pag. 2 [trad. it. dell’autore].
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dalla mano dell’uomo, e poi abbandonata alle inclemenze del tempo. E’ rimasta soggetta, come qualsiasi spazio naturale, alla trasformazione che ora denominiamo azione dei fattori ambientali. E questo ci ha donato un luogo in cui riconosciamo l’impronta umana a lato della forza della natura. Qui c’è per questo, credo, per il disuso evidente nelle forme spaziali delle cave, un territorio che consente di porsi la questione dell’origine della forma”3. Ci si chiede quale origine abbia tanto formalismo nell’architettura del paesaggio recente, che abbiamo riscontrato alla Biennale, se il formalismo sia una consapevolezza matura oppure sia una semplificazione di questioni che non hanno nulla di semplice. Lascia comunque perplessi, perché abbiamo una forte necessità di rimanere inquieti senza stabilizzare eccessivamente forme e modi di intervento, perché simpatizziamo culturalmente più per il processo di produzione che per il prodotto: “quello che manca al prodotto è l’inquietudine della produzione” (Jerôme Bouterin, paesaggista e pittore, di Parigi, alla seconda giornata del simposio della Biennale, sul tema Paesaggio: prodotto/produzione ideata e condotta da Catherine Mosbach).
*Architetto, dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze.
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Rosa Barba, Pedreres en el paisatge, in Paisatge de les pedreres de Menorca. Restauració i intervencions, Edita Rosa Barba i Casanovas - Màster d’arquitectura del paisatge - UPC, Barcelona 1999. pag. 37.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Saggi pagg. 4- 13
IL PROGETTO DI PAESAGGIO: ARGOMENTI, PRATICHE E LAVORI.1 Rosa Barba i Casanovas* Traduzione di Enrica Dall’Ara**
Summary The paper is the Italian edition of Rosa Barba i Casanovas’ s articles Argumentos, practicas y trabajos en el proyecto del paisaje, and ARGUMENTOS en el proyecto del paisaje that are published in the monographic issue Paisaje of the magazine “GEOMETRÍA” in 1995. Rosa Barba, manager of the Master Programme in Landscape Architecture of Barcelona during the years 19932000, with an expressive and passionate language tries to define what landscape and landscape project mean in a period during which in the European Mediterranean countries the discipline of landscape architecture should be revenged. From her words emerges the need of a quiet job, to do together with other disciplines, “in a scientific manner” and with poetic lightness, that there are never discount aims. Key-words Landscape architecture, Landscape design, Rosa Barba, Barcelona. Abstract L’articolo si configura come edizione italiana degli articoli Argumentos, practicas y trabajos en el proyecto del paisaje, e ARGUMENTOS en el proyecto del paisaje di Rosa Barba i Casanovas, pubblicati nel 1995 sul numero monografico Paisaje [Paesaggio] della rivista “GEOMETRÍA”. Rosa Barba, direttrice del Programma di Master in Architettura del Paesaggio di Barcellona negli anni 19932000, con un linguaggio espressivo e appassionato tenta alcune definizioni di ciò che è paesaggio e progetto di paesaggio, in un momento in cui, nella compagine dei paesi europei del mediterraneo, ancora la disciplina dell’architettura del paesaggio, come pratica e come didattica, aveva bisogno di essere “rivendicata”. Dal tono delle sue parole emerge la necessità di un lavoro sobrio, da affiancare alle altre discipline del territorio con “scientificità” e delicatezza poetica, che non è mai obiettivo scontato. Parole chiave Architettura del paesaggio, progetto di paesaggio, Rosa Barba, Barcellona.
*Direttrice del Programma di Master di Architettura del Paesaggio e del Centro di Ricerca di Progetti di Paesaggio (CRPP), Università Politecnica di Catalogna, Barcellona, negli anni1993-2000. ** Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze.
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Il presente articolo è una edizione italiana dell’ articolo: ROSA BARBA I CASANOVAS, Argumentos, practicas y trabajos en el proyecto del paisaje, “GEOMETRÍA”, n. 20, Paisaje (I), Málaga (España) 1995, pag. 2.
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Per introdurre questi testi e disegni che mostrano quello che oggi chiamiamo progetti di paesaggio, con l’intenzione di sviluppare l’alternativa che implica la sua specificità e attualità per il progetto dell’ambiente in cui viviamo, si sono messe insieme idee, disegni e citazioni, per rivedere, con questo bagaglio, il linguaggio e il materiale di cui oggi si dispone nel progetto dell’ambiente. Il costante ricorrere, nell’ambito della progettazione architettonica e urbanistica, a parole quali: forme del naturale e dell’artificiale; limiti e confini; orizzonti e coste; vegetazione, arboricoltura o arte topiaria; ecosistema e unità di paesaggio…che non sono estranee ad un vocabolario già consolidato ma il cui significato a volte sembra enigmatico per le poche chiavi che troviamo del suo controllo nell’architettura e nell’urbanistica, le discipline per progettare ciò che abitiamo, denota che, incorniciata in un’altra combinatoria , sta emergendo una nuova sensibilità per i valori ambientali che si concretizza in letture diverse e, con quello che vedremo qui, in altre proposte per il progetto dello spazio esterno all’architettura. Il paesaggio, così come si mostra qui, come architettura del non edificato – forma dell’ambiente, sorge come una nuova opzione di progetto, maneggiando temi che si sono considerati ovvi, sicuri o immutabili in passato e che riguardano terre e acque, suolo e vegetazione, clima e luogo geografico. Interessa affrontare il tema in tutti i suoi aspetti, dai più concettuali ai più concreti, per avvicinarci a quello che si sta già configurando come un nuovo campo di lavoro: il paesaggismo. Altrimenti, come conformare questo paesaggio, interno ed esterno alla città, che viene filtrato dai suoi bordi ed emerge nei suoi parchi e piazze? Come progettarlo nella sua forma e nei suoi contenuti, nello spazio e nel tempo? Questa monografia dedicata al Paesaggio, verrà pubblicata in due numeri consecutivi di GEOMETRIA con lo scopo di abbracciare le particolarità che introducono le scale alle quali si affronta il tema. L’intenzione è situare la questione del paesaggio, la sua specificità e il suo legame con l’idea di luogo. Ciò si fa presentando, in questo primo numero dedicato agli argomenti-temi intorno ai quali gira la progettazione in chiave “paesaggistica”, esercizi-pratiche per l’apprendimento del progetto, in questa materia che abbiamo proposto da dodici anni, nel Programma Master di Architettura del Paesaggio de la UPC, e lavori-consulenze che il nostro gruppo di progetti e ricerca, il C.R.P.P., è andato realizzando negli ultimi cinque anni. Seguirà questo primo numero un secondo in cui si sviluppa il valore che l’idea di paesaggio ha come chiave di progetto e pianificazione nei temi di intervento nel territorio, enfatizzando il valore del luogo dalla grande scala del territorio all’analisi di progetti di spazi aperti che hanno fondamento nello specifico di questa prospettiva concettuale. I vari articoli sono diretti all’analisi della pratica professionale del progetto e della riqualificazione, in diverse realtà. Quindi quello che segue è una sintesi tremendamente intenzionata: di visioni sul paesaggio che compromettono il suo progetto o la sua pianificazione. Spero che vi suonino nuove, qualcosa di dodecafonico, e quasi per niente retoriche o dejà vu. Vogliono essere tutte una sintesi di quello che pensarono e disegnarono quei professionisti che ispirati dalla natura, anche se non sempre conformi ad essa, lavorarono sul paesaggio per costruirlo, con l’idea di un ambiente migliore, di creare uno spazio più vicino a ciò che oggi chiamiamo sostenibile, però sempre attuale e bello. Prima di iniziare un’altra riflessione: spero che questo serva a riconoscere finalmente che nella specificità professionale della costruzione dell’ambiente, il protagonismo del progetto di paesaggio deve essere rivendicato e già concesso, a lato delle altre scienze ambientali, come in quasi tutti i paesi di cultura occidentale2 affinché, come gli urbanisti nati nel secolo scorso e ancora attuali oggi, gli architetti del paesaggio inizino a camminare in un mondo specialistico, quello dei paesaggisti. 2
Manuel Ribas i Piera, cattedratico emerito della UPC (Universidad Politecnica de Catalunya), Fondatore del Corso di Master di Architettura del Paesaggio, Dipartimento di Urbanistica (UPC), alla presentazione del corso: “Il corso si presenta come sussidiario di una laurea specifica in architettura del paesaggio”. Xavier Martínez, dottore di ricerca in Biologia: “L’ultima riforma degli studi universitari nello Stato Spagnolo non contempla la creazione di una laurea specifica di Paesaggio. Questa situazione è in forte contrasto con ciò che da anni è comune nella maggioranza dei paesi dell’Unione Europea ed in altre società avanzate del mondo”, in Papers de Paisaje, O. Catáleg 12 anys Curs Master d’arquitectura de paisatge.
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ARGOMENTI NEL PROGETTO DI PAESAGGIO3
Tenterò, per iniziare, di avvicinarmi ad alcune definizioni di quello che si intende per paesaggio, per creare con questo gioco narrativo una rete sufficientemente fitta, come per imprigionare alcuni dei suoi significati4, ciò che dovrà servirci per interpretare il senso, nella teoria e nella pratica, degli esercizi e lavori con le forme dello spazio aperto che costituiscono il materiale che si mostra, per introdurci nella specificità di questa prospettiva. 1. PARADOSSALMENTE S’INVOCA IL PAESAGGIO COME ISPIRAZIONE, PERÒ QUASI NESSUNO DICE DI COSTRUIRLO. Questo accade fra gli architetti e urbanisti che l’hanno come incarico disciplinare, ma anche, seppure in misura minore, fra quelli che si autodefiniscono paesaggisti. I geografi5 lo vedono come un campo di lavoro scientifico e i giardinieri, gli agricoltori, gli ingegneri forestali lo fanno e lo disfano senza pensare, quasi, ai paesaggi che modificano o soppiantano. Il verbo costruire che utilizzo qui al posto di progettare prospetta quindi l’atteggiamento di coloro che intervengono nel fare il paesaggio senza scusarsi, che agiscono senza indugiare sulle conseguenze delle proprie azioni o omissioni. Bisogna quindi dire che, sebbene le azioni sono o possono essere consapevoli, le trasformazioni sull’ambiente sono inevitabili, e che c’è sempre una reazione dell’ambiente nel tempo che appare come risultato visivo nel paesaggio, che parla della sua “natura”, anche se il termine può sembrare equivoco. La prima definizione allude pertanto al paesaggio come riferimento e materiale costante; presente, permanente, ma mutevole, più che al paesaggio come risultato dell’azione umana. Questa può essere la prima chiave del perché dell’ampio utilizzo del termine per propositi tanto essenzialmente diversi come la filosofia, la pittura, la contemplazione, la bellezza, il progetto di certi ambienti, per l’inevitabile indifferenza con cui presiede gli interventi umani ciò che può convertirsi in suo ispiratore.
Figura 1. Orti abbandonati a Geret. Figura 2. Suolo in una cava del Garraf [Spagna]. 3 Il presente articolo è un’edizione italiana dell’articolo: ROSA BARBA I CASANOVAS, ARGUMENTOS en el proyecto del paisaje, “GEOMETRÍA”, n. 20, Paisaje (I), Málaga (España) 1995, pag. 3-13. 4 Devo essere grata per le chiavi che mi ha offerto Italo Calvino in Porqué leer a los clásicos, 1995, Tusquets editores Col. Fábula [edizione spagnola del libro di Calvino Perché leggere i classici] su come introdurre questo tema e avvisare delle rischiose analogie che ho riscontrato fra i due campi ideando questa “finestra” per leggere nel paesaggio. 5 “La geografia del paesaggio presenta il “paesaggio” dal punto di vista globale attraverso una concezione sistemica del medesimo.”, Maria de Bolòs, dottorato di ricerca in Geografia.
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2. IL PAESAGGIO, NELLA SUA METAMORFOSI COSTANTE, È PRESENTE ANCHE LÌ DOVE SI IMPONE L’IDEA PIÙ OPPOSTA CHE ABBIAMO DEL “NATURALE”. Dice Galileo in una delle pagine del Dialogo: “Io non posso senza grande ammirazione, e dirò gran ripugnanza al mio intelletto sentir attribuire per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile…, ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile…io per me reputo la Terra mobilissima ed ammirabile per le tante e sì diverse alterazioni, mutazioni, generazioni…, che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser soggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l’acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo e come se non fusse in natura, e quella stessa differenza ci farei che è tra l’animal vivo e il morto è […].”6 E continua, in una lettera a Fortunio Liceti del gennaio del 1641: “Ma io veramente stimo, il libro della filosofia esser quello che perpetuamente ci sta aperto innanzi agli occhi; ma perché è scritto in caratteri diversi da quelli del nostro alfabeto, non può essere da tutti letto: e sono i caratteri di tal libro triangoli, quadrati, cerchi, sfere, coni, piramidi et altre figure matematiche, attissime per tal lettura.”7 Questo secondo approccio ci avvicina al paesaggio come ad una trasformazione dell’ambiente fisico che si conclude nei nostri sensi, in particolare nella vista, in un’intenzione reale ed estetica. Il movimento che si genera in apparenza dalla condizione materiale dei suoi elementi - i fiumi che si muovono, le sponde che si erosionano, la geometria delle forme del rilievo permanenti e mobili, le dune che si spostano - prospettano un campo di lavoro in cui ciò che è reale non è immutabile e ciò che è fisico chiama all’astrazione per essere compreso. Da qui è più chiaro capire perché il paesaggio si configura come una garanzia o un equivalente di universo, però anche come spazio scientifico, come corpo materiale dove sperimentare la conoscenza e anticipare che le condizioni formali non sono indifferenti a questa realtà materiale.
Figura 3. Microrganismi. W. Irvine, in H.B.N. HYNES, The Biology of Poluted waters, Liverpool University Press 1960.
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GALILEO GALILEI, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, a cura di F. Flora, Mondadori, Milano 1996, pagg. 62-63. [Nota bibliografica del traduttore]. 7 GALILEO GALILEI, Le Opere, edizione nazionale, vol. XVIII, Barbera, Firenze 1968, pag. 295. [Nota bibliografica del traduttore].
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3. I PAESAGGI RIMANGONO NELLA NOSTRA MEMORIA COME PIETRE MILIARI, ORIZZONTI, SEGNI O AMBIENTI, CHE HANNO VALORE TANTO PER CHI LI RICORDA COME PER CHI LI SCOPRE, EVOCA O INVENTA PER LA PRIMA VOLTA. Sono ganci a cui la memoria si afferra per continuare a lasciare brandelli che rimarranno come testimone nelle opere degli artisti: pittori, architetti, paesaggisti…che inoltre si alimenteranno di questi per creare uno spazio futuro. I paesaggi si costruiscono per strati di desiderio, volontà e azioni, e lottano per rimanere fra l’usura del tempo e l’impeto delle catastrofi, maggiori e minori, attraverso questa memoria che li legittima in immagini. Perciò ogni paesaggio porta impressa l’impronta di quello che lo ha preceduto e lascia per il futuro i segni delle culture che lo hanno attraversato, o se ne sono appropriate. In qualche maniera ogni progetto risponde ad una struttura spaziale anteriore “che si aggira”, e che prevedibilmente si comporta con autonomia propria, con capacità di reazione limitata. Per cui il paesaggio appare, soprattutto per coloro che lo vedono come luogo malleabile, quale un mondo che acquista forma e immagine a somiglianza degli spazi dell’intelletto, abitato da un insieme di segni che corrispondono ad una geometria singolare. Dal Rinascimento, la sua esperienza come luogo della natura consente di considerarlo come punto di partenza in uno degli intenti più seri per raggiungere la bellezza e una definizione critica del mondo. “La bellezza, questo principio visibile che regola le forme e chiama le emozioni,…intesa come espressione del cosmo…nasce dal Rinascimento come espressione dell’universo”.8
Figure 4-6. Stonehenge, Wiltshire, Gran Bretagna [in alto]; Versailles, pianta [in basso a sinistra]; Blenheim Palace, Oxfordshire, progetto originale, di Henry Wise e Sir John Vanbrugh [in basso a destra]. In GEOFFREY AND SUSAN JELLICOE, The landscape of man, Thames and Hudson 1975. 8
Rafael Argullon in RAFAEL ARGULLON, Tres miradas sobre el arte, Ediciones Destino, Barcelona 1988.
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4. OGNI VISIONE DI UN PAESAGGIO È IN REALTÀ UNA SCOPERTA E UNA REVISIONE, OVVERO UN PAESAGGIO NON È MAI COMPLETO E CI ARRIVA PRECEDUTO DA MOLTE LETTURE PER INIZIARE UN’ALTRA SERIE ANCH’ESSA INCOMPLETA. Sì, possiamo dire: “Credette anche di riconoscere alberi e seminativi che non avrebbe potuto nominare, perché la sua diretta conoscenza della campagna era molto inferiore alla sua conoscenza nostalgica e letteraria”9. Il paesaggio appare come un campo di tensioni fra individualità e aspirazioni collettive, come luogo in cui generare un alfabeto per esprimersi e in cui trovare un punto di vista. Per alcuni il paesaggio solamente è esistito ed esiste nei dipinti, nelle fotografie o nei testi che gli insegnarono come rappresentarlo, e tuttavia l’estetica del paesaggio è in un certo modo ridondante per il fatto di avere qualcosa di indimenticabile, di incosciente che si mimetizza nelle pieghe della memoria collettiva e individuale. La quarta definizione ci avvicina ad un paesaggio reale e immaginato allo stesso tempo, permanente, identico e mutevole, che esercita un’influenza particolare. Perciò il paesaggio è storia viva, è spazio nel tempo, ma anche è depositario di questa virtù morale che alcuni trovano nella natura, e che il romanticismo ha convertito in ragione individuale. Forse questo spiega la costante presenza multidisciplinare nella lettura del paesaggio, che reclama ora chiavi per l’intervento. “La capacità di capire le leggi della natura passa attraverso percezioni e perfino attraverso scuole differenti […] Di frequente ci imbattiamo in quello che si è chiamato “visione amazzonica dei nostri sistemi naturali, che porta a comprensioni che invocano la più assoluta intoccabilità. Sistemi naturali che nella loro totalità e con intensità diverse hanno sopportato – e per tanto sono una risposta – la presenza interattiva della nostra specie, per molti secoli. Un’altra cosa è come sono state queste relazioni. Crediamo che si debba avere una prospettiva storica degli usi dell’ambiente, non dall’angolo erudizionista o classicamente storico, ma come un modo per avvicinarci al suo funzionamento attuale”.10 “Nell’avvicinarci al mondo vegetale vediamo nell’albero l’elemento più significativo e gli riconosciamo diverse qualità secondo l’occhio dell’osservatore: l’albero come struttura perfetta, […] come unità biologica capace di approfittare delle risorse della maggioranza di ecosistemi del nostro pianeta. L’albero come elemento urbano che nonostante le condizioni dell’ambiente urbano sopravvive ai problemi per renderci l’esistenza più gradevole […] che ci aiuta a integrare e a strutturare il paesaggio. L’albero che ci restituisce l’atmosfera. L’albero come residenza e alimento degli animali. L’albero come oggetto di una poesia …”11
Figure 7 e 8. Collage di Kirsten Smith [a sinistra] e Collage di John Souleles [a destra], Università di Calgary, Canada, Programma Barcellona, Laboratorio Delta del Llobregat, professori Margaret Koole e Maria Goula, architetti. 9
JORGE LUIS BORGES, El Sur, cuento de artificios. Marti Boada, geografo, in Papers de Paisajes, Op.cit. 11 Teresa Casasayas, dottorato in Biologia, in Papers de Paisajes, Op.cit. 10
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Figura 9. Planimetria della visibilitĂ dal percorso del fiume Ebro, con sezioni sullo stesso percorso. Basso Ebro [Spagna].
Figura 10. Cristo, Packed Coast, Progetto per Australia, vicino a Sidney, 1969. In GILLES A. TIBERGHIEN, Land Art, Art Data, UK 1995.
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5. PARLARE DI PAESAGGIO È PARLARE DI QUALCOSA ABBONDANTEMENTE CONOSCIUTO, UN LUOGO COMUNE CHE SI RIFIUTA DI ESSERE DEFINITO ma che è diverso per gli uni e per gli altri, e che proprio per questo [per tutti] risponde, a somiglianza degli antichi talismani, all’idea di luogo nella mutabilità che il tempo impone, all’idea di ecosistema che la visione globale dell’ambiente propone. Campo e città: territori del naturale e dell’artificiale, di ciò che è dominato dalla natura e dall’uomo? Piuttosto territori delle forme che si modificano e dei luoghi che si sono fatti come immutabili, spazi di logiche diverse che dialogano su un luogo comune che è lo spazio. Però dal [punto di vista del] paesaggio non tutto lo spazio è identico, e quest’affermazione, che può sembrare banale, comporta riconoscere che il valore di uso, di dominio o di presenza possono configurare un codice distinto a quello della zona, o a quello dello spazio urbano, urbanizzabile o non urbanizzabile, che hanno dominato le nostre leggi sul territorio. Nemmeno tutto quello che si vede viene “calpestato” da tutti, né i luoghi “naturali” sono estranei a quelli “costruiti”, intenzionalmente artificiali. Le reti e i corridoi che sostengono i mondi del naturale e dell’urbanizzato, intrecciati e sovrapposti, appoggiandosi su ciò che è visibile ci consentono di sostenere ciò che è reale a diverse scale. “I paesaggisti provenivano dalla cultura dei viandanti. Erano osservatori che alla consuetudine dell’agguato univano l’attesa. Erano simili agli architetti. Erano installatori di trappole e come questi, anche se con abilità differenti, fabbricanti d’imbrogli e di reti. Seppure in apparenza i paesaggisti fondavano la propria disciplina sulla scenografia, questa impressione era inesatta, poiché avevano a che fare con la scenografia di processi. La loro deontologia consisteva nel cambiare la sorpresa che sperimentava il viandante con la certezza con cui un agricoltore attendeva attento il prevedibile. Possedevano tradizione.”12
Figura 11. Christo and Jeanne-Claude, Running Fence, Sonoma and Marin Counties, California, 1972-1976. In GILLES A. TIBERGHIEN, Land Art, Art Data, UK 1995. Figura 12. Walter de Maria, frame from the film “Two lines, three circles on the desert”, Mojave Desert, California, march 1969. In GILLES A. TIBERGHIEN, Land Art, Art Data, UK 1995. 12
Miguel Roldán, architetto, in Papers de Paisajes, Op.cit.
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6. IL PAESAGGIO SI MANTIENE COME RUMORE DI FONDO ANCHE LÌ DOVE L’ATTUALITÀ PIÙ INCOMPATIBILE SI IMPONE. Non si può continuare a rinviare una definizione che relazioni il paesaggio con le altre discipline che progettano l’ambiente, e che non può essere incompatibile con quello che sappiamo sulla determinazione dei pensieri formali, i tempi nella costruzione dello spazio, sulle discipline che ci spiegano quello che siamo e fin dove siamo arrivati, anche se poi dovessero servire solo parzialmente per affrontare il presente. Gli sguardi sul paesaggio con intenzioni più o meno esplicite parlano sempre di questo nesso fra il visto e l’inventato, fra ciò che si costruisce e ciò che vale per carpire un’idea che costruisca il paesaggio futuro. “Poi un’idea di tempo determinato dalla volontà, il tempo di un’azione decisa una volta per tutte, in cui il futuro si presenti irrevocabile come il passato; e infine l’idea centrale […]: un tempo plurimo e ramificato in cui ogni presente si biforca in due futuri, in modo da formare “una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli.”13 Come in Borges, con il paesaggio succede rispetto al tempo quello che possiamo concedere ai tempi dell’architettura o anche dell’urbanistica. “Nel tempo reale, nella storia, ogni volta che un uomo si trova di fronte diverse alternative, opta per una ed elimina e perde le altre; non così nell’ambiguo tempo dell’arte, che assomiglia a quello della speranza e dell’oblio”.14 E questo paesaggio - che si nega ad incominciare, perché esisteva prima di qualsiasi tempo presente, e che si nega a terminare perché sarà completo solo nella mente di coloro che lo inventano ogni giorno, che si appoggia alle impronte di coloro che lo hanno reso possibile e si espone come una completa successione di tempi reali e futuri - è ciò che si vuole mostrare nella sua caleidoscopica presenza di parole che costruiscono un universo comprensibile, progettabile, ricordabile e amato in quanto reale, anche se questa idea dovesse andare contro ad una tendenza generale del nostro secolo che suggerisce il caos dell’universo frattale, per confermare l’ipotesi naturalista della possibilità del governo del mondo visibile, contro l’espressione magmatica, appoggiandosi al tessuto degli eventi e all’esplorazione dell’inconscio creativo.
Figura 13. Mercé Berengue, Intervento ad Albufera de Alcudia, Maiorca [Spagna]. Master de Arquitectura del Paisaje (Barcellona), professori: Rosa Barba, architetto e dottore di ricerca, Jordi Bellmunt, architetto, Bet Figueras, architetto del paesaggio.
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Italo Calvino a proposito di J. L. Borges, in ITALO CALVINO, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 2006, pag. 265. [Nota bibliografica del traduttore]. 14 J. L. Borges, citato in ITALO CALVINO, Op.cit., Mondadori, Milano 2006, pagg. 266-267. [Nota bibliografica del traduttore].
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1-13: immagini tratte dall’edizione originale degli articoli: ROSA BARBA I CASANOVAS, Argumentos, practicas y trabajos en el proyecto del paisaje; ARGUMENTOS en el proyecto del paisaje, “GEOMETRÍA”, n. 20, Paisaje (I), Málaga (España) 1995, pagg. 2-13., per gentile concessione di Ricard Piè e dell’editore di “GEOMETRÍA”.
© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Saggi pagg. 14-25
ESTRAZIONI NEL PAESAGGIO. 1 Rosa Barba i Casanovas* Traduzione di Enrica Dall’Ara**
Summary “Scientific knowledge, aesthetic emotion, theory and technique, as arms to make possible our partecipation in the world. We put all this together, what we have and what presents with evidence the making of glances fixing our knowledge and settinguo a tool of communication and culture. Eyes from near and far, on which we can find and remind, on landscapes that belong to who live and dream”.With these words Rosa Barba introduces the book Paisatge de les pedreres de Menorca. Restauració i intervencions, in which we find her article Pedreres en el paisatge that we are publishing now in Italian. For Rosa Barba talking about Minorca’s quarries is the chance for a more general discussion on the relation between natural elements and processes and human activities in building the landscape and on the implication that the stratigraphy of this double action has on transformation and rehabilitation projects of these sites. Key-words Landscape architecture, Rosa Barba, Quarries, rehabilitation project of out of use quarries. Abstract “Conoscenza scientifica, emozione estetica, teoria e tecnica, quali braccia necessarie per rendere possibile il nostro intervento nel mondo. Abbiamo riunito tutto questo, quello che abbiamo e un materiale che presenta esplicitamente la formazione degli sguardi che fissano la nostra conoscenza e ne fanno un veicolo di comunicazione, di cultura. Sguardi da lontano e da vicino, su ciò che troviamo e possiamo ricordare, delle terre che sono di chi le abita e di chi le sogna”. Così Rosa Barba introduce il libro Paisatge de les pedreres de Menarca. Restauració i intervencions [Paesaggio delle cave di Minorca. Restauro e interventi.] di cui è parte il suo articolo Pedreres en el paisatge, che qui si presenta in edizione italiana. Parlare delle cave di Minorca è, per l’autrice, l’occasione per un ragionamento più generale sul rapporto fra elementi e processi naturali e attività umana nella costruzione del paesaggio e sulle implicazioni che la stratigrafia di questa doppia azione ha sui progetto di trasformazione e recupero di questi luoghi. Parole chiave Architettura del paesaggio, Rosa Barba, Cave, progetto di recupero di cave in disuso.
*Direttrice del Programma di Master di Architettura del Paesaggio e del Centro di Ricerca di Progetti di Paesaggio (CRPP), UPC, Barcellona, negli anni1993-2000. ** Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze. 1
Il presente articolo è un’edizione italiana dell’articolo di Rosa Barba i Casanovas Pedreres en el paisatge, pubblicato all’interno del libro Paisatge de les pedreres de Menorca. Restauració i intervencions, Edita Rosa Barba i Casanovas - Màster d’arquitectura del paisatge - UPC, Barcelona 1999, pagg. 33-49. La traduzione del titolo dell’articolo, che utilizza la parola estrazioni per dire cave, vuole in qualche modo anticipare la suggestione che offre il testo di Rosa Barba: paesaggio di stratigrafie naturali e umane, da cui continuiamo ad attingere, estrarre, memoria, emozioni, idee, progetti di paesaggio [nota del traduttore].
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Il paesaggio è costruito per strati di desiderio, volontà e azioni: e lotta per rimanere, contro l’usura e i cambiamenti che i tempi, le catastrofi e gli interventi introducono, anche negli sguardi che lo legittimano in immagini.2
Quasi tutta la nostra teoria dell’intervento, per fare la città, per pianificare il territorio, per costruire il paesaggio, nasce dal presupposto d’un dominio possibile sull’ambiente fisico. E, come disse Leo Marx3, d’una moderna illusione di progresso indefinito e, potremmo aggiungere, di una concezione quasi maggioritaria della tecnica intesa come una ingegneria orientata a risolvere conflitti concettualizzati in maniera semplice e lineare, basandoci su una esperienza scientifica e normativa, sicuramente per rendere possibile la conoscenza. Significa, questo, che supponiamo una natura stabile, equilibrata e benefattrice, che ci dona ciò di cui abbiamo bisogno, anche tutto quello che ci manca, quindi, per costruire l’ambiente? Ed è questa una natura che intendiamo come fonte illimitata di beni e di energia, che offre il luogo4 e assorbe l’azione umana? Come dobbiamo vedere in questo scenario le cave? In origine sono fonte della materia per costruire gli edifici, gli ingegni e gli artefatti maggiormente permanenti per urbanizzare la terra, sono anche fonte di spazi per vivere protetti, di grotte che riparino…. O non sono le cave romane gli antichi segni della necessità di costruire edifici, e anche, soprattutto, i porti, gli acquedotti e le strade, elementi per la vita della grande città che sarà Roma?
Figura 1. Pozzo di Robadones .
I tempi e la costruzione sono cambiati da quel momento. E se pensando alle cave di allora i segni ci sembrano l’eredità, migliorata dal tempo, delle civilizzazioni passate, riguardo alle cave di oggi occorre scoprire, invece, perché ci chiediamo solamente cosa dobbiamo fare con questi segni involontari di un’azione sempre giustificata dallo sviluppo. Come affrontare i segni non premeditati, che però potremmo dire necessari, di questa azione sull’ambiente che sono le grandi escavazioni del Massiccio del Garraf per costruire l’autopista, per esempio? O le enormi cave di gesso del Penedès5 ….
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ROSA BARBA I CASANOVAS, ARGUMENTOS en el proyecto del paisaje, “GEOMETRÍA”, n. 20, Paisaje (I), Málaga (España) 1995, pag. 3-13. 3 LEO MARX, La macchina nel giardino: tecnologia e ideale pastorale in America, Lavoro, Roma 1987. 4 NORBERT SCHULZ, Genius Loci, Electa, Milano 1981. 5 In Catalogna, Spagna [nota del traduttore].
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Dove e come collocarle? Cosa possiamo imparare dalle cave marine di Minorca che sono il filo conduttore di questo libro? Cave che sono presenti, ma di cui molti colpi sembrano cancellati nel paesaggio attuale. Le abbiamo dimenticate? Forse sono state fortunatamente dimenticate. Le cave che ora vediamo, più vicine a noi, in Catalogna, sono interruzioni nel paesaggio. Spazi di parentesi in cui rimane in sospeso la continuità di un mondo fatto per strati, e potremmo dire per episodi di ciò che chiamiamo naturale e artificiale. Si mostrano - poiché in esse si interrompe la sequenza continua che costituisce il paesaggio - gli elementi e i processi, le volontà di cambiamento e le resistenze che il fatto di interferire violentemente in una condizione ambientale comporta. Parlano di una tensione e di una crisi, ma diamogli un voto di fiducia. Le cave si riferiscono al fatto di estrarre un mondo nuovo da un territorio antico. Di costruire un mondo permanente, di pietra, con la pietra che ci offre la terra. Di penetrare nella terra per stabilire un contatto con la prima fonte di esistenza. La pietra, che costruisce le case e costruisce i muri, che intrappola la luce fra le vetrate nelle cattedrali gotiche, che rende possibile che nasca un sogno, sogno che la cava custodisce. E potremmo dire che, in alcuni casi, la cava ritorna negli spazi dimenticati, nel paesaggio, sotto la città, nelle grotte piranesiane che scopriamo illuminando sotto terra a Napoli… il sogno di questa prima cattedrale, dalla casa di Adamo al paradiso. Per chi proviene dall’architettura, le cave contengono il desiderio e la promessa, la volontà e l’azione della costruzione degli spazi umani nelle architetture più antiche e permanenti. E sono spesso allo stesso tempo spazi che, quando rimangono, meravigliano per la loro grandezza, specialmente quando, già separati dalla propria utilità, li invade la natura. Direi che è proprio quando appaiono con queste forme pure che [le cave] nascono oltre il proprio uso e presentano l’opportunità di una esperienza spaziale che ci ricorda quante volte abbiamo voluto cercare la radice dell’arte nella natura.
Figura 2. El Mèdol, cava romana a Tarragona.
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Prima di parlare di Minorca, pensiamo alla Mèdol, la cava romana di Tarragona. E’ o non è uno spazio architettonico? E’ stato costruito per ospitare un’attività? E’ stata modellata dalla mano dell’uomo, e poi abbandonata alle inclemenze del tempo. E’ rimasta soggetta, come qualsiasi spazio naturale, alla trasformazione che ora denominiamo azione dei fattori ambientali. E questo ci ha donato un luogo in cui riconosciamo l’impronta umana a lato della forza della natura. Qui c’è per questo, credo, per il disuso evidente nelle forme spaziali delle cave, un territorio che consente di porsi la questione dell’origine della forma. E a questo punto occorrerebbe parlare della storia delle arti e non dimenticare l’episodio del pittoresco, quando la natura smette di essere sfondo per apparire come uno spettacolo visivo. Quando come disse R. Krauss 6, si promosse la radice di ciò che possiamo considerare la traslazione ad un’estetica per il pubblico della singolarità proposta dal romanticismo. Così - come quando Constable dipinge i suoi paesaggi e E. H. Gombrich7 dice, citandolo, che si cancellano le frontiere fra il disegno topografico e il disegno artistico nel dire: “la pittura è una scienza, e sarebbe da considerarsi come una ricerca delle leggi della natura. Perché allora non considerare la pittura di paesaggio come una branca della filosofia naturale, della quale i quadri non sono altro che esperimenti?” - potremmo affermare riguardo alle cave, perché in quelle si cancella il vincolo fra forma e funzione, che sono spazi privilegiati per studiare la natura dei mezzi d’intervento che relazionano gli strumenti e le forme delle costruzioni naturali e artificiali e il significato che questo può avere al momento di considerare i valori del paesaggio. Come dice R. Krauss 8, “leggendo un testo sul pittoresco si cade immediatamente dentro questa divertente ironia con cui la Austen9 contempla la scoperta, da parte della sua giovane protagonista, di come la natura stessa sia costituita in relazione alla sua “attitudine ad esser plasmata in immagini”. E’ ovvio che la stessa nozione di paesaggio si forma ricorrendo al pittoresco, essendo quest’ultimo una rappresentazione del primo. Il paesaggio si converte in una re-duplicazione dell’immagine precedente. Le priorità si percepiscono perfettamente in un dialogo fra uno dei principali rappresentanti del movimento pittoresco, il Reverend William Gilpin e suo figlio, in una visita al Paese dei Laghi” […] “Che contrasto fra il bagliore e l’oscurità! Non ho parole per descriverlo. Non è necessario: devi solo guardare nel tuo taccuino per fartene un’idea. Ho provato un gran piacere nel constatare che le osservazioni di quel giorno confermavano completamente il tuo sistema di effetti, ovunque lo sguardo si dirigesse, guardando uno dei tuoi disegni.” Il commento è di speciale interesse, dato che si produce in seguito ad una prima visita, frustrante, proprio perché le condizioni atmosferiche non aiutavano a percepire la qualità “pittoresca”10 del luogo, e mette in luce il valore che l’interpretazione artistica possiede parallelamente all’osservazione scientifica. Le cave…rimarcare un’altra volta che si situano in paesaggi che sono nel limite fra il naturale e il costruito, dove gli effetti della luce e il contrasto delle ombre sono dovuti a episodi speciali creati e provocati tanto dalle azioni umane quanto dalle condizioni naturali, e per i quali quasi sempre possiamo identificare questa tensione magica che ci fa parlare delle condizioni estetiche e dell’arte. La luce che si infiltra nelle cave di Robadones [Minorca] non ci ricorda le incisioni di Piranesi? Materiale, quindi, per lavorare sull’origine della forma, vicino a questa necessaria convenzione di convertire in geometria e in disegno un mondo per conoscerlo. Per fissare in immagini una ricerca sul valore e il significato del mondo che ci 6
ROSALIND E. KRAUSS, La originalidad de la Vanguardia y otros mitos modernos, Alianza Editorial, Madrid 1996. 7 ERNEST H. GOMBRICH, Arte e ilusión, Gustavo Gili, Barcelona 1982. 8 ROSALIND E. KRAUSS, Op. Cit. 9 Fa riferimento ad un paragrafo dell’opera Northanger Abbey di Jane Austen. 10 Nota: occorre aggiungere che nel contesto “americano di R. Krauss” pittoresco vuol dire “espressamente basato sui valori pittorici, plastici o visuali, scenici”.
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circonda. Reduplicazione dell’immagine per riconoscerla e farne un riferimento ad altre esperienze estetiche, la chiave di un mondo in cui le figure umane centrali nel quadro appariranno prima di spalle per poi scomparire e dar luogo alla natura, come nei quadri di Caspar D. Friedrich.
Figura 3. C. D. Friedrich, Pierced rock in ultewald, 1801.
Figura 4. W. Gilping, Watercolor, 1780.
Per chi pensa al paesaggio, la terra e la roccia primigenia rappresentano inoltre e allo stesso tempo: qualcosa di permanente, la condizione piĂš stabile, perchĂŠ permettono definire orizzonti e parlare di luoghi come di recinti; e la matrice del cambiamento, la condizione materiale piĂš immediata e pratica, visto che consente di lavorare la terra ed aspettare il raccolto, abitare-ancorare edifici e definire gli spazi sociali che danno luogo alla cultura.
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Mi fa molto piacere ricordare di Minorca la casa che nasce dentro la propria cava, cava che rimane come un orto, umido, al riparo dal vento, chiuso e protetto dagli sguardi estranei, per la nuova quota profonda e per la recinzione che crea la cava stessa. Sembra che qui, in questi luoghi, il ciclo si chiuda, si sigilli la ferita che la cava rappresenta sulla terra. Qui vediamo anche che un nuovo ordine s’istalla sopra il suolo, come quando siamo in grado di costruire una città, di coltivare un campo. Qual è l’ordine che stabiliscono le cave? Quando Margalef ci disse che il trasporto orizzontale di energia che caratterizza l’azione umana lascia residui, ci parlava di questo, di paesaggi che oggi vorremmo dimenticare ma che riconosciamo come nostri per i segni di questo residuo? Per questo adesso molti vogliono cancellarle? Cosa vuol dire dimenticarci delle cave? Che cosa è successo? E ci sono molti tipi di cave. Il vuoto delle cave ha un destino incerto. A Minorca molte, ricoperte di terra, scompaiono in un mondo di campi coltivati e chiusi, ed a Letizia11 e ad altri rammarica rinunciare alla memoria di un’azione necessaria. Da altri abbiamo scoperto alcune delle più belle cave di Minorca, o le cave di tufo di Napoli, dalla mano degli amanti delle cave, come spazi fortunatamente dimenticati….se non sono stati riempiti di rifiuti. Ancora meravigliati per la qualità di ciò che ci offrono nello scoprirle ci imbattiamo – direi in ritardo – in una domanda insistente che ci parla di restaurarle. Perché? Che cosa vuol dire, che cosa possiamo dire? E’ così perché effettivamente cominciamo ad essere coscienti della discontinuità che costituiscono nel paesaggio, e perché il territorio e il paesaggio ora sono beni scarsi da amministrare e pertanto di valore per immaginare il futuro? O è perché è difficile per noi riconoscere che possono esserci paesaggi dimenticati? O semplicemente perché non abbiamo alternative agli spazi che il paesaggio pittoresco ci offre e stiamo parlando dal punto di vista delle qualità formali degli elementi, spazi e progetti nel territorio che sappiamo che dovrebbero avere un ruolo in futuro, confidando nella forma e nella qualità dei luoghi che proteggono la [nostra] cultura? Possiamo stabilire così che il paesaggio è un bene scarso, pertanto di valore; e che la natura è il nostro primo materiale scientifico e referente artistico in molte azioni umane. Da più d’un secolo fa, siamo coscienti inoltre che ci obbliga-consente di agire opponendoci, in un dialogo di contrari che il movimento moderno vuole legittimare confrontando i significati che [la natura] ha nel mondo dell’ecologia e in quello delle arti, in un esercizio che contiene più risorse di quante ne consideriamo abitualmente. Quindi fermiamoci un momento su questo punto, dobbiamo considerare, come fa notare Nikolaus Pevsner12, che l’idea di natura comprendeva, al momento della genesi del pittoresco e del movimento moderno- e fino a molto poco tempo fa, o per alcuni può essere ancora adesso - due concetti in apparenza opposti: da un lato si presenta come l’ordine eterno dell’universo, della stabilità da cui dipendono i principi d’armonia che hanno il proprio parallelo nell’architettura antica; e dall’altro è la natura non contaminata dall’uomo. Un concetto ci porta all’esperienza della visione come una comprovazione scientifica, l’altro ci accompagna per sperimentare l’aspetto eccezionale di ogni elemento, di ogni luogo o spazio nell’insieme. L’uno facilita la visione illuminista, l’altro l’esperienza romantica. L’uno accompagna quello che sarà la mano destra e l’altro la sinistra nei gesti di Flusser13; una parla di scienza e tecnica, l’altra dell’arte. Quanto è scelta e quanto è necessità ciò che costituisce la cava? Dove possiamo dire che cominciano le azioni umane e le azioni della natura a modellare questi spazi?
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Laetitia Sauleau tratta di questo nel libro Pedreres de Menorca, Ed. Líthica i sa Nostra. NIKOLAUS PEVSNER, Genesis of the Picturesque, Architectural Review XCVL, 1944. 13 WILÉM FLUSSER, Los gestos, Fenomenología y comunicación, Ed. Herder, Barcelona 1994. 12
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Figura 5. Piranesi, Vedute di Roma, the colosseum interior.
Figura 6. El Mèdol, cava romana di Tarragona.
Non dovremmo interpretare le azioni umane come un fattore ulteriore di cambio dei processi che rileva la lettura ecologica? Siamo d’accordo su questo punto di vista, quando consideriamo che ci comportiamo come una specie quando vogliamo scappare dal determinismo che sembra imporci l’ambiente, opponendoci con un insistente trasporto orizzontale di energia al trasporto verticale che la gravità propizia. Generando però inquinamento, generando rifiuti, ma anche informazione e cultura, come dice Margalef. Perché per tanto tempo l’Umanità ha cercato nella natura la chiave di un ordine, capace di trascendere i tempi e d’ispirare le azioni umane? Quasi ha avuto bisogno di ciò per tutto il tempo che le è stato necessario per dominare una rappresentazione plausibile e fedele del proprio ambiente […]. Non è quindi opportuno considerare che l’arte guarda l’altro lato - occulto fino ad ora dell’apparenza, quando comincia ad introdurre e ad includere un altro valore alle coordinate estetiche e all’esperienza artistica?
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Quando alla fine del periodo pittoresco Ruskin14 può affermare: “La percezione della forma solida è completamente il risultato dell’esperienza. Non vediamo altro che colori piatti e grazie ad una serie di esperimenti scopriamo che una macchia di nero o di grigio indica la parte in ombra di una sostanza solida, o che un colore debole indica che l’oggetto in cui appare è lontano. Tutto questo potere tecnico della pittura dipende dal fatto che recuperiamo quella che potrebbe essere definita l’innocenza dell’occhio, cioè una sorta di percezione infantile di queste macchi piane di colore, semplicemente come tali, senza consapevolezza di ciò che significano, come le vedrebbe un ceco che recuperasse la vista all’improvviso”, l’impressionismo nell’arte non investiga e presenta un’idea di visione che mette in crisi il valore dell’apparenza e ci avvicina ad un altro “punto di vista” nella ricerca della forma o meglio dire nell’invenzione e riconoscimento della forma? Quanto interessa questo il paesaggio o, ancora meglio, l’intervento nel paesaggio?
Figura 7. Piranesi, Vedute di Roma, Villa Adriana, Tivoli.
Nel dibattito sulla convertibilità fra le forme della natura e le forme dell’arte, o meglio, del valore delle geometrie euclidee che hanno sostenuto per tanto tempo l’intervento, a tenore del discorso precedente, la radice della coscienza artistica quando nasce? E’ la natura un modello per l’arte o è l’arte che rivela la natura? Abbiamo bisogno, come si è detto tante volte durante il Rinascimento, che la natura si manifesti come un ideale di equilibrio, ancora? Il limite della nostra conoscenza, del nostro sguardo, non ci colloca in un altro punto di vista? O come ci dirà H. Arendt15 dalla Land Art o dai primi earthworks16 non si tratta forse solo, invece, di costruire un altro linguaggio, altri modi e strumenti per intervenire nel mondo?
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ERNEST H. GOMBRICH, Op. cit. HANNAH ARENDT, La condición humana, Ed. Paidós, 1° edición, 1993. 16 GILLES TIBERGHIEN, Land Art, Ed. Carré, Paris 1993. 15
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Consideriamo l’idea di permanenza, d’equilibrio e cambiamento, anche dalle scene che registra la memoria17. La terra, non smettiamo di considerarla il più permamente dei nostri scenari di vita? E la cava, “cambiando” la terra e mostrandoci le viscere di un mondo “naturalmente” risolto, non è per questo l’inizio di un cambiamento, di quello che abbiamo sovvertito, o del punto di vista che abbiamo superato, che consideravamo una garanzia e che ora potrebbe non essere niente altro che un sogno.
Figura 8. La Bonanova.
Probabilmente conoscete il detto su Michelangelo, che vedeva, nei blocchi di marmo che estraeva dalla cava, la scultura che contenevano, il che gli permetteva di dire che di fatto egli non si dedicava a nient’altro che a togliere ciò che c’era in più; lo stesso Michelangelo che diceva non comprendere il valore dei quadri che dipingevano nelle Fiandre alcuni pittori che si definivano paesaggisti, perché non facevano altro che riflettere scene della vita quotidiana. Sfondo e figura nella rappresentazione dell’ambiente18. Esercizio sulla modificazione dell’immagine che comporta cambiare il punto di vista dalla terra al globo, dal globo al satellite19. Valori del paesaggio e degli edifici, degli artefatti che abbiamo imparato a rispettare e a stimare mediante l’arte: pittura, scultura, architettura…ci hanno lasciato mostrandoci immagini, personali e collettive - altre visioni della realtà che sono in definitiva la cultura. Valori che vogliamo continuare, paesaggi che vogliamo recuperare costruendo e ricostruendo l’ambiente. Un fantasma percorre la città del XIX secolo, e questa cerca in un paesaggio bello ed equilibrato un desiderio di forma prodotto dall’arte del pittoresco. Però un vento soffia le parole che esprimono le forme della città nel nostro tempo, nella seconda metà del XX secolo, e disordina la tavola, e come direbbe Foucault, “non è la vicinanza fra le cose ma il luogo in cui esistevano ciò che abbiamo perso o ciò che ha smesso d’esistere” e per questo allora abbiamo cominciato a non fidarci più della cassetta degli attrezzi dei modi di ripensare e costruire questo mondo, per recuperare la necessaria coscienza di saperci capaci 17
TADAHIKO HIGUCHI, The Visual and Spatial Structure of Landscape, The MIT Press, Cambridge/London 1988. CLAUDIO GUILLÉN, Múltiples Moradas, Ed. Tusquets, 1° edició, Barcelona 1988. 19 HANNAH ARENDT, Op.cit. 18
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di rimanere sulla terra. Qualcosa che dal Vertice di Rio de Janeiro, ed anche da prima, in qualche modo mettiamo in dubbio. E senza esaurire l’inquietudine di un millenarismo che può sembrare non necessario, riconosciamo che la nostra arte, da quel momento della fine degli anni ‘60, riflette il desiderio di recuperare un mondo fino allora invisibile e un altro mondo strumentale, che vada oltre l’antica visione fra arte e scienza, alla quale opporre la più recente esperienza di una cultura che si costituisce a cavallo fra ciò che è scientifico e ciò che è sensibile. Non ci sono risposte oggettive perché non ci sono domande oggettive, dirà Arendt 20.
Figura 9. Qual è l’ordine che stabiliscono le cave?
Le cave ci aiutano in questo, specialmente le cave abbandonate di Minorca, dimenticate nella confezione delle mappe, cancellate dall’orizzonte della terra. A capire e sperimentare la debole frontiera che separa ciò che è umano da ciò che è naturale, nella materialità e nelle forme. Ci mostrano che arte e scienza, strumenti di intervento e cultura, fanno sì che il paesaggio segua una storia che continua, che rivela del passato le questioni materiali che sceglieva il costruttore. Questo interessa i materiali e le geometrie che ci mostrano le tecniche, gli strumenti che rendono possibili le forme. Ha a che fare con i fattori geografici e ambientali che ci ricordano il tempo che pure costruisce il paesaggio e ha a che fare con una attitudine collettiva, di fare o lasciar fare, in cui ci sentiamo coinvolti. I luoghi che conosciamo, che ricordiamo, che visitiamo, nascono dall’appropriazione che il “passo umano” imprime, fa, sopra e di fronte ad una geografia. Sono indizi che registra il tempo, e gli sguardi, e le azioni che il tempo comporta, come abbiamo considerato nel campo dell’architettura, soprattutto quando si tratta di rifare territori, quando si tratta di recuperare, di ricostruire il passato. Così quindi, a proposito del recupero delle cave, la prima cosa da dire è, forse, quale paesaggio si tratta di recuperare? Dal momento che ci sono molti paesaggi e molti tipi di cave, fra il naturale e l’artificiale. Se il paesaggio è allora luogo naturale e il risultato di una 20
HANNAH ARENDT, Op.cit.
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sequenza di azioni più o meno premeditate di dominio e sfruttamento della natura, nelle cave, e concretamente in alcune di esse, riconosciamo un valore “paesaggistico”, specialmente quando con il passare del tempo,azioni umane e fattori ambientali si mescolano. Riscontriamo, per la forte presenza dell’elemento naturale, per il manifesto disuso di questi spazi, qualcosa di mimetico con la natura nel suo processo di trasformazione, soggette come sono a fatti di carattere imprevedibile. Le cave ci permettono, quindi, di lavorare al limite, nei confini incerti, ogni volta più astratto, fra spazio naturale e paesaggio, e identificare questo confine come qualcosa di variabile, esterno all’architettura e dominato dal mondo vegetale e minerale, contro lo spazio urbano che identificheremmo come qualcosa di stabile, conosciuto e abitato da architetture. Se possiamo dire che il paesaggio accumula architetture, che fa della costruzione un registro, occorre considerare la dimenticanza come una condizione di continuità, o piuttosto come una risorsa ad un altro assestamento del tempo? Sappiamo che le cave e le architetture costruite insieme ci spiegano la profonda implicazione fra il naturale e l’artificiale o aggiunto, fra ciò che è progettato con intelligenza, sentimento ed esperienza pratica, con la scienza, l’arte e la tecnica, tutte queste allo stesso tempo, in un insieme necessario. Quindi consideriamo quello che si propone quando alcune delle impronte che abbiamo lasciato (che si sono convertite nelle cave, perché erano spazi che nascevano per essere dimenticati dalla mano che le costruiva) adesso si vogliono “restaurare”. Quando torniamo su questi spazi in disuso ci meravigliamo a volte, a Minorca, e rabbrividiamo, come quando siamo nel Garraf. E quindi dovremmo pensare: dobbiamo cancellare le cave che sono piaghe sul territorio, cicatrici difficili da rimarginare, che ci insegnano, nell’ironica comprensione dei residui di Margalef, l’imprudente, a volte, azione sulla terra? E anche: dobbiamo restaurare questi spazi che vivono nell’oblio, che sono esistiti, perché non sono stati scoperti, che sono in pericolo, alcuni, ora che arriviamo dappertutto, che diciamo che gli spazi dimenticati si convertano in spazi abbandonati che si riempiono di rifiuti? Quale atteggiamento occorre avere di fronte a questi episodi che nella storia rimarranno fra parentesi, dimenticati dallo sguardo, dalla gestione, e che per questo motivo sono stati possibili? Quante cave si sono convertite in discariche di rifiuti! Oggi sembrano offrire ancora questa opportunità per una gestione del territorio che comporta di trovare il modo di far scomparire i rifiuti. Forse bisognerebbe tornare a pensare che non tutte le cave sono uguali, come non lo sono i territori. Che la roccia e il luogo, naturale e costruito, il sole, l’acqua e il clima, ci parlano di diverse opportunità in una gestione del paesaggio che possiamo considerare dovrebbe essere più sostenibile, come si dice oggi, forse più proficua per il futuro e per questo pensata in modo più integrato e più complesso. Perciò, come penso, ogni azione di trasformazione, ogni progetto e intervento risponde (potremmo dire: bene o male) ad una realtà anteriore che si aggira malgrado tutto al suo interno, nonostante che presumibilmente si comporti con autonomia propria e sembri avere una capacità di reazione limitata, la considerazione di questa complessità di cambiamento nella complicità fra ciò che è naturale e ciò che è artificiale ci obbliga nelle cave a parlare anche di futuro. Lavorando sul colore nel paesaggio, anni fa ci siamo imbattuti nelle cave, qui a casa nostra, ossessionati dall’idea della banalità di un restauto che si basa molte volte su nulla di più che pitturare di verde un paesaggio che spesso verde non è o non vuole esserlo. Studiando questo e guardando Minorca e le sue magnifiche cave abbandonate, a raso terra, vorrei concludere che le cave sono la domanda, formulata mille volte, su come considerare la nostra impronta. E che per questo motivo, immersi in ciò che ora è già la nostra città territorio, quella delle periferie interne ed esterne, dei tessuti discontinui, delle più o meno dimenticate cave, dobbiamo riconsiderare la nostra posizione, in cui la tecnica già non lavora con ragionamenti semplici e con processi lineari; e che basandoci su questo, se “possiamo dire che, ogni paesaggio porta impressa l’impronta delle realtà che l’hanno preceduto, e lascia per il futuro segni delle culture che l’hanno attraversato, e che qualche volta se ne sono
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appropriate…”21, le cave, da adesso, dovranno far parte della cassetta degli attrezzi su cui dobbiamo contare per finire di costruire i nostri territori.
Figura 10. Dettaglio della cava di Cúrnia Nou [Minorca, Spagna].
Figura 11. Sa Cetària [Minorca, Spagna].
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1-11: tratte dall’edizione originaria del presente articolo: ROSA BARBA I CASANOVAS, Pedreres en el paisatge, in Paisatge de les pedreres de Menarca. Restauració i intervencions, Edita Rosa Barba i Casanovas - Màster d’arquitectura del paisatge - UPC, Barcelona 1999, pagg. 33-49, per gentile concessione degli Editori. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. 21
ROSA BARBA, Op. cit.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Dialoghi pagg. 26-31
NUOVAMENTE LA BIENNALE DI PAESAGGIO DI BARCELLONA. DIALOGO CON JORDI BELLMUNT* Enrica Dall’Ara**
Summary First reflections on the fourth Biennal of Landscape Architecture, after few days from the end of the meeting, in a dialogue with Jordi Bellmunt ,director of the Master Programme in Landscape Architecture and member of the Biennal Esecutive Committee. These considerations are anticipated by a brief history of the event. The results of Rosa Barba Prize, the projects chosen for the exposition and the finalist projects, the theme of this edition Landscape: product/production, all these things originates a reflection, by one side, on the value of research and innovation in the landscape project and, by the other side, on the importance of a spread good doing in the profession (good practices that can tent to standardization). Key-words European Biennial of Landscape, European Landscape Award Rosa Barba, Barcelona 2006.
Abstract Primissime considerazioni sulla quarta Biennale Europea di Paesaggio, a pochi giorni dalla chiusura delle sue giornate d’incontro, in un dialogo con Jordi Bellmunt, direttore del Programma di Master in Architettura del Paesaggio e membro della Commissione Esecutiva della Biennale, introdotte da una brevissima storia dell’evento. Gli esiti del Premio Rosa Barba, i progetti scelti per l’esposizione e i progetti finalisti, il tema, soprattutto, di questa edizione Paesaggio: prodotto/produzione originano una riflessione sul valore della ricerca e dell’innovazione nel progetto di paesaggio, da un lato, e l’importanza di un “buon fare” professionale, diffuso, (buone pratiche, che in una qualche misura possono tendere alla standardizzazione) dall’altro. Parole chiave Biennale Europea del Paesaggio, Premio Europeo del Paesaggio Rosa Barba, Barcellona 2006.
*Architetto, Direttore del Programma del Master di Architettura del Paesaggio,
Università Politecnica di Catalogna, Barcellona. ** Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze.
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Una brevissima storia della Biennale (obiettivi, organizzazione, eccetera.). La storia della Biennale è molto semplice, gli inizi quasi uno scherzo e il resto sono otto anni di lavoro, a volte molto intenso, a volte vertiginoso, qualche silenzio, e sempre rinventato ad ogni edizione. Dalla distanza che offre il fatto di stare ancora chiudendo capitoli di questa quarta edizione, direi che la Biennale è una bella storia di amicizie. Nel 1998, vicino a Rosa Barba, stavamo preparando - sempre dal gruppo di ricerca del Master de Arquitectura del Paisaje del Departamento de Urbanismo y Ordenación del Territorio della Universidad Politécnica de Catalunya - la nuova laurea in Paesaggismo, quando, dal Colegio de Arquitectos de Catalunya, ci chiesero di organizzare una giornata di sensibilizzazione verso il Paesaggismo, che finì con il convertirsi, grazie a Rosa, nella 1° Bienal Europea de Paisaje de Barcelona. Il nostro obiettivo principale era appoggiare la nascita della nuova laurea con un evento in cui si potessero riunire professionisti e ricercatori di Paesaggio da tutta Europa e coinvolgere, al suo interno, l’Università come istituzione. Dalle prime ombre e dubbi siamo passati all’euforia nel verificare l’arrivo di quasi mille progetti alla 1° edizione, fatto che si è ripetuto nel 1999 con una partecipazione significativa al simposium; da quel momento la Biennale ha preso corpo grazie all’aiuto di persone, istituzioni, amministrazioni pubbliche e al collettivo studentesco, che ha fatto sua la Biennale, senza dimenticarmi del piccolo gruppo che in ogni edizione ha lavorato generosamente all’interno di un’organizzazione sempre più complessa. Era tanta la passione che l’assenza di Rosa Barba nel 2000, anima di tutto, fu superata pensando che la continuità fosse una sfida e un debito verso di lei. Crediamo sempre che fino ad oggi Rosa ci abbia continuamente aiutato. Dall’inizio si sono susseguite Rehacer paisajes (1999), Jardines insurgentes (2001), Sólo con naturaleza (2003) e in fine Paisaje como producto y/o producción (2006), con un riconoscimento ogni volta maggiore, di cui ci sentiamo orgogliosi da un lato e debitori dall’altro.
Figura 1. Catalogo Rehacer paisajes (2001). Figura 2. Catalogo Jardines insurgentes (2002). Figura 3. Catalogo Sólo con naturaleza (2006).
C’è qualcosa di nuovo, con riferimento alla quarta edizione, qualche cambiamento? Quale la continuità e quale l’evoluzione fra le diverse edizioni? In questa 4° Biennale ci sono stati alcuni cambiamenti importanti rispetto all’edizione precedente e se ne sono consolidati alcuni che erano già stati compiuti; fondamentalmente sono stati: a- Riguardo all’organizzazione, la quale è diventata più gerarchica per dare risposta a una complessità crescente di controllo di atti, esposizioni, relazioni internazionali, economia, relazioni istituzionali, obiettivi, convocatorias y simposium.
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In questa edizione si sono creati la Commissione Esecutiva, composta da quattro membri in rappresentanza degli enti organizzatori della biennale, e il Comité de organización y seguimiento (Comitato di Organizzazione e Continuità) composto da altri quattro membri che svolgono un lavoro continuo di controllo, ed infine il Comité asesor (il Comitato Consigliere) in rappresentanza delle istituzioni e amministrazioni pubbliche che collaborano con la Biennale. Ad ogni modo in momenti di coordinamento molto intenso gli schemi diventano più indefiniti e tutto il mondo collabora dedicando tempo e passione, affinchè tutto si svolga apparentemente con normalità. b- Riguardo a convegno ed esposizioni si è creata la figura del commissario del simposium, che dà coerenza agli interventi, suggerisce i temi del dibattito e collabora con gli organizzatori della Biennale. In questa edizione il commissario è stata l’eccellente paesaggista francese Catherine Mosbach, che ha sviluppato il tema Paisaje como producto/producción (Paesaggio come prodotto/produzione) nella seconda giornata del convegno. Nella prima giornata si è ripetuta la formula della Biennale precedente, con la presentazione dei dieci progetti finalisti selezionati dalla giuria internazionale per l’elezione del premio Rosa Barba di Paesaggismo. Nella terza sessione è stata introdotta una novità che si vorrebbe continuare - con la scelta di un territorio che abbia scommesso sul Paesaggismo, in uno qualsiasi dei suoi aspetti, per il proprio sviluppo. In questo caso una zona contaminata dell’Est della Germania, vicino alla frontiera polacca, è servita da riferimento per interventi strategici di riqualificazione e trasformazione paesaggistica. Inoltre, riguardo all’esposizione, in questa occasione il suo allestimento, progettato da Laia Escribá, in Plaça Nova (COAC1), presenta tre formati per facilitare la sua itineranza, itineranza che nelle ultime edizioni è diventato un fatto abituale.
Figura 4. Esposizione della quarta Biennale di Architettura del Paesaggio, Barcellona, COAC, Plaza Nova.
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Nella sede del Colegio de Arquitectos de Catalunya.
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Continuare con la Biennale ha il valore di seguire una tradizione, continuare ad affermare il ruolo di Barcellona nella compagine internazionale, senza scomparire, anzi affermando una presenza attiva? (Con quali idee alle spalle, con quale specificità nel metodo, nella teoria del paesaggio? E con quali interventi nella città di Barcellona e nel suo territorio?) Oppure continuare con la Biennale significa chiedere, nell’invito all’evento, una collaborazione nella ricerca di novità, di linee che si distacchino da quello che già conosciamo e possiamo comprendere, spiegare chiaramente, fare con una certa sicurezza nel progetto di paesaggio? Ricerca nella direzione di ciò che ci lascia confusi? Sarebbe bello pensare che la Biennale possa arrivare ad essere la somma di queste situazioni che prospetta questa buona domanda, poichè c’è qualcosa di tutto questo nell’analisi che possiamo fare della Biennale, soprattutto da un punto di vista globale e in qualche modo esterno all’evento. In questi momenti parlare della Biennale come tradizione mi sembra qualcosa di prematuro, perché al contrario per la sua organizzazione ancora si utilizza la parola consolidamento quando si affronta la situazione del congresso; però è eccellente dare questa immagine di solidità, anche se contiene un messaggio implicito di ripetitivo. E’ interessante prospettare il topico Barcellona, perchè sinceramente non è mai stato nell’animo degli organizzatori nè di approfittarne nè di fomentarlo. Sicuramente la Biennale non sarebbe mai esistita se non si fossero sommate una serie di congiunture favorevoli all’evento, e il marchio Barcellona è una di queste. D’altra parte il Master de Arquitectura del Paisaje, nucleo teorico della Biennale, nasce nel 1983 dopo il recupero democratico dei territori e degli spazi pubblici cittadini e dopo un lavoro professionale costante su di questi, che portano a riconoscere il modello Barcellona, riguardo allo spazio pubblico, come uno dei migliori esempi della seconda metà del XX secolo; e questo si implementa ed evolve negli anni ’90 con il lavoro sul territorio periurbano, e in questi ultimi anni su tutto il territorio, dai piani, dai progetti e atteggiamenti. Questa visione si riferisce a quanto detto prima, e qui spieghiamo e capiamo che la Biennale si converte in un “luogo” privilegiato dove si riuniscono progetti, idee e persone che non smettono di trasmettere inquietudini e contrasti, cosa che ci permette di analizzare, cercare e a volte capire tendenze, emergenze e, magari, sicurezze in una disciplina tanto fragile come il nuovo Paesaggismo. Come organizzatori vogliamo sempre qualcosa in più, cerchiamo difetti, progetti o progettisti che non arrivano e che ci sembrano indispensabili per corroborare certe linee di lavoro che intuiamo essenziali per il pregiudizio che ci facciamo della Biennale avant la lettre, ma questa sempre finisce col sorprendere e a volte non positivamente. Intendiamo la Biennale - ed è una condizione che non vogliamo perdere come la casa di tutti dal punto di vista professionale, e questo ci da una visione dello stato della questione paesaggistica in Europa davvero desiderabile. Il tema di questa edizione è “Paesaggio: prodotto/produzione”. In realtà è un tema conosciuto: paesaggio come permanenza e come processo, come risultato di azioni (nel territorio) però anche, ancora, in atto… : come interpreta il tema? Il titolo sembra inoltre rivendicare un “dominio” umano, in quanto le parole ci ricordano l’”industria”, l’operosità, la produttività dell’uomo, Quindi, non più solo con la natura (come affermava il tema dell’edizione precedente)? A Questa domanda sarebbe giusto rispondesse dettagliatamente Catherine Mosbach, commissaria della Biennale, quale quasi proprietaria intellettuale dell’idea che ha riunito relatori e partecipanti intorno ad un concetto che in ultima istanza non ci sembra incoerente con i messaggi lanciati attraverso i temi delle edizioni precedenti della Biennale (Rehacer paisajes, Jardines insurgentes e Solo con naturaleza). Però occorre mettere in evidenza, nell’interpretazione di questo nuovo tema, la continuità nella volontà progettuale del paesaggio e nella sua artificialità, nonostante queste si formalizzino mediante elementi naturali (Solo con naturaleza). E inoltre mettere in evidenza la speciale normalità di un
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prodotto pragmatico come il paesaggio, che si trova comodo nelle indecisioni di altre discipline e consente di essere inteso dalla poliedrica somma di stratificazioni culturali. Torno al tema dell’innovazione. Quello che ho notato, osservando i progetti presentati nell’esposizione e i progetti finalisti, è che esiste quasi un linguaggio comune, anche se si tratta di progetti di tipo diverso (piani, giardini, parchi naturali, parchi urbani…), e che questo non consiste in un linguaggio formale, ma nell’espressione di una esperienza condivisa a livello internazionale. Si potrebbe parlare di uno stile (Una moda? Un prodotto standard?) che racconta qualcosa di positivo: racconta che il fatto che il progetto di paesaggio includa geografia, ecologia, urbanistica, economia, turismo, ambiente, land art, architettura e tutto ciò che partecipa alla trasformazione dei luoghi, ora non è più un manifesto per iniziare una teoria e una pratica, ma è già pratica interiorizzata e verificata nel lavoro. Adesso siamo così tanto abituati a questo fatto, che l’eleganza estetica sembra abbastanza diffusa, i gesti razionalmente equilibrati e “corretti”. Si incontrano qualità diffusa, buone pratiche, buoni lavori. Ma non rimane nient’altro da dire? Occorre nuova originalità oppure no? (Potrebbe anche essere che semplicemente occorra lavorare bene ordinariamente). L’originalità non sembra essere la protagonista di questa Biennale; ma sembrano esserlo progetti molto belli e opportuni, non originali. E’ il momento di fermarsi in questo punto “corretto” ed elegante (sicuramente un risultato importantissimo) e continuare diffondendo, ma senza investigare? Continuiamo a produrre questo buon prodotto di paesaggio? Stiamo incidendo in una questione importantissima, che riguarda l’essenza del paesaggismo e che dobbiamo sviluppare in modo molto equilibrato per poter comprendere le sue sfumature. D’altro lato questa domanda incide molto direttamente su uno stato d’animo essenziale per pensare, progettare, ricercare o lavorare sui nostri paesaggi, uno stato di effervescenza, di inquietudine intellettuale che ci piacerebbe fosse un po’ più comune in una disciplina che apparentemente sta cercando il suo luogo e le sue competenze. Procedendo per punti: la Biennale, come abbiamo commentato, è un evento in cui si riunisce una gran quantità di progetti europei, di un minimo di qualità, sviluppati in un arco di tempo relativamente scarso per il tipo di disciplina che è, questo ci deve dare una messa a fuoco globale della materia, senza andare oltre all’analisi di nuove tendenze, ai confronti fra culture paesaggistiche, processi di evoluzione o conoscere semplicemente le realtà attuali del paesaggismo, che non è poco. Senza voler eludere la domanda, è vero che si inizia a denotare una certa standardizzazione nei progetti di paesaggio, scala a parte, una “qualità” che appartiene al capitolo di buone pratiche - come suggerisce accuratamente la domanda- più che ad una linea di innovazione del nuovo paesaggismo. Questo non è necessariamente un male, il paesaggismo non deve essere confuso direttamente con i meccanismi dell’arte né dell’architettura e la maggiore innovazione o coraggio in questa materia è essere sufficientemente rigorosi e prudenti, parlando da un’ottica generale, per generare un prodotto d’una qualità minima media che lo possa convertire in modello. E’ anche certo che i passi in questo senso si sono ingigantiti negli anni precedenti e che ora incominciamo a notare una certa decelerazione nei risultati di alcuni progetti (i dieci finalisti della 4° Biennale sono a mio parere un esempio significativo di una certa “erotica” del particolare, contro atteggiamenti più generalisti e il relativo abbandono di certe tendenze che si erano indicate in precedenti edizioni della Biennale (Solo con naturaleza). In fine penso che dobbiamo tranquillizzarci, anche se non addormentarci, a livello professionale, in questa correttezza ed eleganza progettuale commentata, e lavorare con più passione dalle Università nel cercare nuove linee di lavoro e di ricerca che passano, a mio parere, attraverso il tendere maggiori e migliori ponti intellettuali con altre discipline ambientali e sociali relazionate con il paesaggismo (ecologia, energia, turismo, sociologia o economia) e che non cessano di trovare la forza, nei progetti, di cui il loro peso specifico ha
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bisogno. Il paesaggista contemporaneo sarà un professionista con mentalità meridionale, creatore e lavoratore allo stesso tempo e che, con i fondamenti di una conoscenza rigorosa delle leggi ambientali e territoriali, non eviterà di dare una risposta eminentemente formale alle nuove e complesse problematiche riguardo ai nostri paesaggi. Questo è responsabilità dell’Università insegnarlo.
Figura 5. Pubblico partecipante al simposio del secondo giorno della quarta Biennale, Collegio degli Architetti di Catalogna.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: immagine di copertina del Catalogo Rehacer paisajes. Remaking landscapes, Arquíthemas 6, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Fundación Caja de Arquitectos, Barcelona 2001; per gentile concessione dell’Organizzazione della Biennale Europea di Paesaggio. Figura 2: immagine di copertina del Catalogo Jardines insurgentes. Gardens in arms, Arquíthemas 11, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Fundación Caja de Arquitectos, Barcelona 2002; per gentile concessione dell’Organizzazione della Biennale Europea di Paesaggio. Figura 3: immagine di copertina del Catalogo Sólo con naturaleza. Catalogo de la III Bienal Europea de Paisaje – III Premio Europeo de Paisaje Rosa Barba, Arquíthemas 17, Col·legi d’Arquitectes de Catalunya, Fundación Caja de Arquitectos, Barcelona 2006; per gentile concessione dell’Organizzazione della Biennale Europea di Paesaggio. Figura 4: fotografia di Enrica Dall’Ara. Figura 5: fotografia dell’Organizzazione della Biennale Europea del Paesaggio, per sua gentile concessione. Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di giugno del 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Itinerari pagg. 32 -40
RIFLESSIONI
SULLA QUARTA
BIENNALE EUROPEA DEL PAESAGGIO
Maria Goula* Traduzione di Enrica Dall’Ara **.
Summary Many questions come from the fourth Biennal of Landscape Architecture of Barcelona and the attempt to answer when the event appears too near: reflection on contents, on the results of Rosa Barba Prize, on a possible reading or emerging some tendencies in building landscape all over the Europe during the last four years. Really, as Maria Goula underlines, it is difficult to talk about tendencies regards to a very short time from the last Biennal: the issue of artifice, urban square and European identity, memory obsession and public works , are probably steady elements that characterize the European identity. Key-words European Biennial of Landscape, European Landscape Award Rosa Barba, Barcelona 2006.
Abstract Numerose domande scaturite dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona, e il tentativo di approntare una risposta quando l’evento appare ancora molto vicino: riflessioni sui contenuti, sul risultato del Premio Rosa Barba al Paesaggismo, sulla possibile leggibilità, o semplice emergenza, di alcune tendenze nell’opera costruita in Europa negli ultimi quattro anni, nonostante, come evidenzia l’autrice, sia difficile parlare di tendenze in relazione ad un breve spazio di tempo, quello che separa l’ultima biennale dalla precedente: la questione dell’artificio, la piazza urbana e l’identità europea, l’ossessione per la memoria e l’opera pubblica come due costanti che caratterizzano possibilmente un’ identità europea. Parole chiave Biennale Europea del Paesaggio, Premio Europeo del Paesaggio Rosa Barba, Barcellona 2006.
*Architetto, Professoressa del Master di Architettura del Paesaggio, Università Politecnica di Catalogna, Barcellona. ** Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze.
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Circa due mesi dopo la chiusura della IV Biennale Europea del Paesaggio celebrata a Barcellona i giorni 23-25 di Marzo, ancora sembra difficile allontanarsi dalle impressioni sull’evento, razionalizzare l’esperienza, slegarla dalle aspettative alimentate durante l’anno della sua preparazione e, anche, cresciute nella misura in cui si definivano i suoi contenuti. Siamo soliti dire, noi che ci occupiamo da più di otto anni della Biennale, che è molto difficile separare l’incontro - e ogni tipo di scambio che si realizza durante questi giorni fra professionisti e studenti - dai contenuti e dalle impressioni su una esposizione che resiste ad essere vista1, quasi come l’opera costruita in Europa, dal momento che sembra occorra aspettare l’edizione del catalogo per ricordare, riesaminare, analizzare argomenti e idee che sono emersi durante il simposio. La quarta biennale è stata un grande successo, un successo di numeri, di interesse e di partecipazione – a volte sappiamo che giochiamo in vantaggio, visto che Barcellona come sede della Biennale conta su una forza d’attrazione difficile da ignorare: clima, geografia, tradizione, ed un laboratorio di idee sulla città e recentemente anche sul paesaggio. Ma la quarta Biennale è stata anche un successo di contenuti? Non saprei dirlo con certezza. Per vari motivi. Questa Biennale è stata diversa dalle precedenti; per iniziare, il suo tema (“Paesaggio: prodotto/produzione”) non si è saputo quasi fino alla fine; inoltre, come è successo nella precedente, i suoi contenuti, almeno quelli del primo giorno del convegno, sono dipesi dalla selezione dei finalisti da parte di una giuria ed è stata una commissaria invitata, la paesaggista Catherine Mosbach colei che ha ideato il dibattito del secondo giorno. Così gli organizzatori della Biennale si sono occupati in pratica del terzo giorno, per dare visibilità a una delle operazioni più caratteristiche di uno dei paradigmi di maggiore rilevanza nella progettazione del paesaggio nella compagine del tardo postmoderno: un’operazione di grande scala, trasversale, in una frontiera interna europea, fra Germania e Polonia, sviluppata dall’IBA, in un territorio con gravi problemi economici e di autostima collettiva. Per noi questo progetto a molte scale, di riqualificazione, gestione e progetto, offriva l’opportunità di completare la discussione proposta da Catherine Mosbach, su una delle maggiori, e per questo estendibili ad altri campi, dicotomie della nostra professione: la dicotomia fra la produzione del progetto di paesaggio – complessa, lenta, un processo di confronto con argomenti divergenti, conflittuali, in definitiva, e soprattutto, trasversale, interscalare, multi-referenziale, e allo stesso tempo auto-referenziale – e la consegna di un prodotto che ogni volta viene già predefinito - soprattutto il suo programma o le strategie da impiegare - per assiomi, ideologie, e le tendenze fluttuanti del mercato. Per questo non so se si può parlare di successo di contenuti; non per un’altra ragione, dato che il dubbio che prospetto non si deve prendere come una sfiducia nell’interesse dei progetti presentati, o nella capacità intellettuale dei relatori delle conferenze di collocarsi dentro la difficile proposta di Catherine Mosbach. Niente di tutto questo. Si tratta solo di una intuizione, di un sentimento, spero condiviso, che la biennale come momento di incontro abbia perso la sua effervescenza. La Biennale Europea del Paesaggio già si è consolidata nella coscienza dei paesaggisti d’Europa, e anche in quella dei giovani architetti. Noi che siamo stati alle Biennali precedenti, e siamo molti, sembra che già ci conosciamo; sembra che abbiamo sviluppato dei codici comuni i quali hanno permesso collaborazioni, interscambi, amicizie e la costruzione di reti. Reti di persone con interessi convergenti che allo stesso tempo conoscono le loro differenze e i propri limiti. In questo senso credo che questa volta, sia come pubblico sia come organizzatori, siamo stati più esigenti, soprattutto perché sembra che in un momento di cambiamenti riguardo a politiche e situazioni complesse in Europa - di certo molto chiari nell’ambito accademico, 1
Mi riferisco ad una certa difficoltà a vedere più di 200 progetti mediante una serie di immagini. Gli organizzatori hanno affrontato molte volte il tema dell’esposizione senza, alla fine, decidere di cambiare sostanzialmente il formato. Quest’anno i progettisti dell’esposizione hanno insistito sul fatto di non lasciare vedere con facilità il materiale visivo e hanno optato per esporre in modo più intenso i dieci finalisti, precedendo l’opera con una mini-istallazione-commento sulle idee centrali di ogni progetto esposto.
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dove il paesaggismo lotta per consolidare la sua disciplina imprescindibile per chiarire i problemi specifici e, allo stesso tempo, comuni nei nostri ambienti e apportare complessità nelle soluzioni proposte…Sembra, quindi, che ci sia la necessità di un’immagine pubblica forte, innovatrice della disciplina che fondamentalmente offrirà un discorso critico ai modelli territoriali, urbanistici e ambientali dominanti; ma soprattutto offrirà nuove idee e nuovi ed efficaci atteggiamenti. Solo in questo senso credo che possiamo valutare non solo il convegno ma anche l’opera presentata; da un’esigenza che non si orienta solamente verso la ricerca dell’originalità, ma bensì cerca di consolidare un buon fare, comunicarlo, spiegarlo e divulgarlo a gestori, politici e clienti.
Figura 1. Il prato esteso e i movimenti topografici che manipolano la vista, sono alcuni degli argomenti fondamentali di progetto, reiterativi nella scuola francese e qui depurati da parte dei progettisti. Landschaftspark, München Riem, Germany - Latitude Nord.
Riguardo ai progetti, quest’anno se ne sono ricevuti più di quattrocento, cosa che ci è sembrata un successo incredibile, dato che già da un anno esistono come minimo tre manifestazioni2 che sembrano condividere gran parte del pubblico europeo. Questi progetti realizzati, per la maggior parte, presentavano buona qualità d’implementazione, di sicuro sempre più difficile da valutare attraverso immagini, con l’assenza frequente d’una relazione che chiarisca e che collochi la giuria nel contesto della problematica affrontata e soprattutto espliciti l’approccio; tuttavia, sorprendentemente, questa volta hanno configurato un panorama relativamente omogeneo, con poche eccezioni che possano notarsi. E’ un po’ strano, perché mi sembra che, per la prima volta, si possa dire che i progetti selezionati come finalisti costituiscono le eccezioni; sono quei progetti originali, singolari e allo stesso tempo per niente rappresentativi di quello che è stato forse il programma o la categoria di progetto più frequente nella esposizione, che senza dubbio in questa occasione è stata la piazza urbana. 2
La biennale come prima iniziativa, e con un premio economico, sicuramente la iniziativa più globale nel senso che include esposizione, simposio, pubblicazione e premio; l’iniziativa sulle buone pratiche dell’opera di paesaggio in Europa, dall’Olanda, appoggiata dall’EFLA e pubblicata nel 2006 in un catalogo accurato ed interessante, il Fieldwork, Landscape Architecture Europe, che propone questioni riguardo al paesaggismo contemporaneo dalla disciplina; e il premio dello spazio pubblico a Barcellona, organizzato dal Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona (CCCB). Occorre inoltre menzionare il premio della rivista “Topos” fra i più rilevanti nel campo.
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Figure 2 e Figura 3: L’elemento dell’acqua, in questo caso più che giustificato vista la funzione, è uno degli elementi maggiormente utilizzati dai progettisti del paesaggismo emergente. Figura 2. De Nieuwe Ooster Cemetery, Ámsterdam, The Netherlands -Karres en Brands. Figura 3. Cemetery Extension, Weiach, Switzerland - Kuhn Truninger Landschaftsarchitekten.
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Qui emerge una domanda molto seria e complessa a cui rispondere. Cosa ci si aspetta da un premio? Qual è il messaggio che deve trasmettere? Membri della giuria dicevano che forse la selezione dei finalisti3 – opere che spiccavano per vari motivi: per la loro posizione culturale, la loro altissima qualità progettuale e costruttiva, la sensibilità in relazione al contesto e alla memoria, per l’interesse programmatico o di scala – trattava poco quei temi che sembra si siano convertiti in assolutamente importanti4, come per esempio la riqualificazione di aree degradate, la gestione delle risorse, la riqualificazione e il progetto sostenibile degli spazi della città; mancavano anche progetti che avessero la volontà di interferire con i modelli urbanistici, di progettare il turismo, di strutturare gli spazi produttivi, eccetera. Cosicché il premio, ancora una volta - sicuramente con il pretesto della necessità di dare un messaggio riguardo agli interessi e alle priorità della disciplina, alla sua base etica e sociale e al suo potenziale di alternativa - si è diviso5. Credo che il messaggio, in questo caso, rimanga chiaro. Ed è che la realtà della pratica è lontana dalla sinergia, tanto acclamata a livello di teoria, fra una base funzionale d’etica ambientale e la sofisticazione progettuale.
Figura 4. Il paesaggismo contemporaneo esplora l’aspetto ambientale e l’aspetto sensoriale e frequentemente tenta di arricchire esperienze urbanistiche corrette e anche convenzionali. Scharnhauser Park, Stadt Ostfildern, Region Stuttgart, Germany - Janson + Wolfrum, Architektur + Stadtplanung. 3
Dicevano inoltre del fatto, dovuto alla differenza di approcci e problematiche, che è stato molto difficile selezionare fra quelli. Ad ogni modo vorrei ricordare che questo è stato però un problema relativo a tutte tre le giurie precedenti. E’ quasi consuetudine discutere maggiormente sul tipo di progetto, sulla sua posizione culturale, sulla categoria a cui si iscrive, che sul progetto in sé. 4 Con l’assoluta eccezione del progetto vincitore relativo al recupero di un’area mineraria abbandonata mediante il recupero della qualità dell’acqua e il progetto di spazi liberi che accompagna un’importante operazione urbanistica; entrambi sono stati rappresentativi di due categorie: la riqualificazione di spazi degradati mediante le rigenerazione dei processi naturali e l’acqua, e quella di operazioni urbanistiche di grande dimensione e di nuova implementazione, sorprendentemente rappresentate da pochissimi progetti. In realtà poco interessanti. 5 Il ripetersi di un premio Rosa Barba ex-aequo potrebbe essere letto da questo punto di vista: quello del confronto fra due tradizioni fondamentali, l’una manchevole dell’altra: quella della costruzione ingegneristica, processuale e tecnica, e quella del progetto sofisticato e poetico, ma che interferisce solo per far sì che questo possa essere contemplato e utilizzato. Jerome Buterin rivendica qualcosa che può apparire radicale, che i paesaggisti lavorano lo sfondo; e dico che è radicale perchè sembra che i paesaggisti abbiano lottato per spiegare che quello sfondo, sia nella pittura pre-paesaggistica sia nelle letture territoriali e urbane, era importante. Così si perpetua una dicotomia, quella di preparare lo sfondo, o quella di disegnare le sue figure, le sue forme, che lo ordinano e gli danno valore. Ma che ne è stato di quella proposta tanto vigente del “figured ground” che commenta Elisabeth K. Meyer e tanti altri? E’ qualcosa di difficile da raggiungere?.
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TENDENZE Il presente testo ha anche la volontà di fare un commento sull’idea della possibile leggibilità, o semplice emergenza, di alcune tendenze nell’opera costruita in Europa negli ultimi quattro anni. Per cominciare, credo che sia difficile parlare di tendenze in relazione ad un breve spazio di tempo, quello che separa l’ultima biennale dalla precedente 6. Però sì, sarebbe utile constatare dei fatti che si potrebbe dire differenzino l’opera della quarta Biennale dalle precedenti. La questione dell’artificio Anche in questa Biennale la forma, l’artefatto progettato è stato come un leit motif dei progetti. Quindi non sembra tanto una tendenza quanto una costante: nelle opere di pavimentazione, nella riqualificazione di spazi urbani, nel progetto dello spazio pubblico è l’artificio, l’implementazione sofisticata della forma, a prendere protagonismo e, a volte, filtrata dall’influenza del paesaggio. Il pubblico più fedele della Biennale, per la maggiorparte, proviene dal contesto mediterraneo, fatto dovuto sicuramente tanto alla prossimità geografica quanto allo svegliarsi di un interesse riguardo il paesaggio e la sua specificità mediterranea; proviene quindi dalla tradizione del progetto dello spazio aperto a partire dall’artificio, e sembra richiamare innovazione, nuove variabili con le quali filtrare la tradizione. Una delle tendenze evidenti è l’interesse per progetti globali e processuali, ogni volta maggiore, che questa volta è stato espresso nella maniera più eloquente dal voto del premio del pubblico7. Per questo motivo mi è venuto in mente quello che anni fa commentava Rosa Barba: “Why, despite a predominant lack of vegetation, are landscape architects so fond of Barcelona’s public spaces?”. Questa domanda apparentemente innocente credo mettesse in luce una possibile incoerenza, presente nel paesaggismo in Europa. Da un lato osserviamo la volontà vera di progettare con i processi naturali, e dall’altro esiste la constatazione da parte dei paesaggisti di un’apertura a progettare lo spazio aperto senza limitarsi all’ecologia del luogo -che inesorabilmente è stata il paradigma più vitale della progettazione dell’ambiente nella seconda metà del XX secolo trasgredendo così le limitazioni di una tradizione orticola o ingegneristica. Potremmo anche parlare di altre costanti: - la maggior parte dei progetti sono situati in contesti fortemente urbanizzati. - si può constatare ancora una volta la mancanza di progetti a grande scala, o nel territorio rurale; sicuramente una delle dicotomie più persistenti riguarda la dicotomia tra design e planning. 8 - inoltre, la difficoltà dei piccoli comuni di generare opera pubblica di interesse. - la strategia più comune per la sopravvivenza economica dei luoghi, una specie di panacea, è il turismo. - L’acqua come l’elemento più valorizzato e più utilizzato nella progettazione.
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Ricordo al lettore che proprio dopo la terza biennale abbiamo pensato valesse la pena fare una riflessione sull’opera inclusa nei tre cataloghi della biennale e parlare di alcune idee più o meno consolidate, alcuni territori conquistati e - perché no? – di alcune tendenze verso il futuro prossimo. Questo testo è pubblicato nel catalogo della III Biennale Europea del Paesaggio con il titolo “Sette domande riguardo all’opera costruita in Europa”. Gli argomenti sopra i quali si è centrata questa riflessione - e penso che riflettevano solo in forma minima lo stato della questione della professione in Europa negli ultimi anni - e allo stesso tempo gli interessi promossi dagli organizzatori sono stati: contesti urbani, la prevalenza dell’artificio, suoli, spazio pubblico versus paesaggio, giardini e parchi, effimero e l’aspetto ambientale come strato. 7 Il premio del pubblico è coinciso con uno dei progetti vincitori, il progetto di recupero di un’area mineraria del gruppo Paisage. 8 Utilizzo espressamente la lingua inglese per eplicitare da dove proviene fondamentalmente questa separazione che si estende nelle diverse culture d’Europa.
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Figura 5 e Figura 6: Espressioni radicali della piazza urbana. Figura 5. Katharina Sulzer-Platz. Sulzer Area, Winterthur, Switzerland -Vetsch Nipkow Partner AG. Figura 6. Espai/Descobriments de tres forns industrials romans, Vilassar de Dalt, Catalunya - Toni Gironès Saderra.
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La piazza urbana e la identità europea Prima ho detto che, inaspettatamente, quest’anno la piazza è stata la categoria distinguibile, la categoria più frequente. Inoltre, potremmo dire che ha sostituito la categoria ormai classica di parchi e giardini. Sarà un caso? O significa che è arrivato il momento di tornare a parlare della piazza, luogo elementare della trama urbana, tanto nei centri come nelle nuove 9 periferie? Una pubblicazione recente dell’urbanista Maria Rubert sulla piazza, revisione della sua tesi di dottorato e di anni di ricerca, propone la contemporaneità di questi spazi, soprattutto, nelle nuove forme delle metropoli diffuse e dei loro contenitori di programmi di urbanità. Per cui è evidente che tornare a parlare della piazza non costituisce nessuna retrocessione. I nuovi abitanti dei centri delle città, le nuove urbanizzazioni nelle aree limitrofe, e inoltre le indagini elaborate dall’antropologia della città e la ecologia urbana contribuiscono a far pensare che la piazza, così come la strada - i due progetti pubblici per eccellenza - tornano a prendere protagonismo. Ricordano quello che commentava George Steiner10 sui cinque assiomi che si condividono in Europa: “Cinque assiomi per definire Europa: i caffè; il paesaggio che possiamo percorrere, a cui possiamo attingere, e a scala umana; le strade e i luoghi che portano nomi di statisti, scienziati, artisti, scrittori del passato. A Dublino perfino fermate dell’autobus indicano dove sono le case dei poeti; la nostra doppia provenienza da Atene e da Gerusalemme; e , per finire, il timore di un capitolo finale, di quel famoso crepuscolo hegeliano, che offusca l’idea e la sostanza dell’Europa perfino nel pieno mezzogiorno.”
Figura 7. Esempio di uno spazio pubblico che sorge dall’interstizio e si sviluppa a partire da criteri e gesti progettuali ben sperimentati durante gli ultimi venti anni. Projecte d’urbanització del Passeig García Fabria, entre els carrers Bilbao i Josep Pla, Barcelona, Spain Ravellat/Ribas arquitectes.
L’ossessione per la memoria - ampliata mediante i discorsi ambientali e sociologici- e l’opera pubblica11 sono due costanti che si depurano ogni volta di più e che caratterizzano possibilmente un’ identità europea. Nonostante la generalizzazione e a volte la banalizzazione degli strumenti europei e il loro ruolo catalizzatore verso l’omogeneizzazione dei territori, uno si chiede se il paesaggio può 9
MARIA RUBERT DE VENTÓS, Places Porxades a Catalunya, Editorial Edicions UPC (Universitat Politècnica de Catalunya), 2006. 10 GEORGE STEINER, La idea d’Europa, Arcàdia, 2004, pag. 35. 11 Possiamo dire che l’assenza di certi paesi, o la poca partecipazione, alla Biennale è dovuta giustamente al fatto che sono carenti di cultura e tradizione di concorsi e di opera pubblica.
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essere un concetto agglutinatore che può avvicinare i cittadini a partecipare alla costruzione dell’acclamata identità locale e, in fin dei conti, Europea, o se semplicemente serve da scusa a queste democrazie centraliste che sembra non funzionino tanto bene come si pensava. L’interesse per il paesaggio che ha avuto varie espressioni, legislative, accademiche, e, anche, reazioni corporativiste, ha mostrato l’emergenza di una reclamata e particolarmente necessaria trasversalità, e possiamo dire che coincide con sforzi di dare senso a questo progetto europeo, ultimamente in difficoltà. Forse per comprendere questo interesse improvviso si deve pensare alla maturità alla quale è arrivato il movimento ambientalista con le sue sfumature, che coincide con l’impressione generalizzata che gli strumenti convenzionali di progettazione non siano capaci di dare risposte efficaci e garanzie a lungo termine, riguardo alla complessa problematica dei nostri territori; sicuramente il paesaggio collega in modo diretto - per la sua ricchezza, in quanto concetto che oscilla fra le reminescenze di tradizione pittorica - le narrative dei diversi soggetti che vi si relazionano, e in fine collega i progettisti, in quanto metodo, come diceva Marc Claramunt, in quanto modo e prisma di approssimazione alla progettazione, però soprattutto in quanto ponte per riconciliare visioni normalmente divergenti. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI RUBERT DE VENTÓS MARIA, Places Porxades a Catalunya, Editorial Edicions UPC (Universitat Politècnica de Catalunya), 2006. STEINER GEORGE , La idea d’Europa, Arcàdia, 2004. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1-7: fotografie degli autori dei progetti, per gentile concessione dell’Organizzazione della Biennale Europea di Paesaggio di Barcellona.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di giugno del 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Itinerari pagg. 41-48
SUGGESTIONI DA BARCELLONA Harry Harsema* traduzione di Antonella Valentini**
Summary More entries, more participants, much industrial heritage and two winners again. These are the first initial findings of the fourth Biennale for Landscape Architecture in Barcelona. However, the Biennale is in particular a meeting of landscape architects from all over Europe, with each other, and with that special town along the Catalan coast. The Biennale happened in March 2006 was mainly focused on transformation and the influence of heritage; from all projects seemed also to appear that many things in the European landscape architecture have become very similar. Too much formwill, too much use of fashionable materials and too many tricks. Two are the winners: Park Piedra Tosca in Spain, was praised for the extraordinary way in which the designers had opened up the volcano landscape literally and figuratively; Harnes Lagune in France, for the good combination of nature development and water management. Key-words European Biennial of Landscape, European Landscape Award Rosa Barba, Barcelona 2006.
Abstract Più concorrenti, più partecipanti, molta eredità industriale e due vincitori ancora. Queste sono i primi elementi della quarta Biennale di Architettura del Paesaggio di Barcellona. La Biennale è in particolare un incontro tra gli architetti del paesaggio provenienti da tutta Europa l’uno con l’altro e con quella città speciale lungo la costa catalana che è Barcellona. La Biennale svoltasi nel marzo 2006 appare principalmente focalizzata sulle trasformazioni e sull’eredità della tradizione; da tutti i progetti traspare però anche una diffusa condizione che li rende alquanto simili: troppa ricerca di stile, troppo uso di materiali alla moda, troppi artifici. Due sono nominati vincitori ex aequo: Park Piedra Tosca in Spagna è stato scelto per il modo straordinario con cui i progettisti hanno aperto il paesaggio vulcanico, letteralmente e figurativamente; Harnes Lagune in Francia per la felice combinazione di sviluppo della natura e gestione delle acque. Parole chiave Biennale Europea del Paesaggio, Premio Europeo del Paesaggio Rosa Barba, Barcellona 2006.
* Architetto del paesaggio e produttore delle riviste Blauwe Kamer e ‘scape, membro della giuria del Premio Rosa Barba della Biennale del Paesaggio di Barcellona 2006. ** Architetto, specializzata in Architettura dei Giardini e Progettazione del Paesaggio e Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università di Firenze.
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A Barcellona gli spazi pubblici si disvelano. In una soleggiata domenica di marzo come questa si possono vedere dozzine di persone, giovani e vecchie, divertirsi in una semplice terrazza alla rinnovata Placa del Països Catalans. Giocano, parlano, leggono, bevono, camminano e riposano in questo spazio esterno, talvolta esuberante, che è stato disegnato con attenzione e amore. Non per nulla Barcellona è ancora considerata l’icona della progettazione degli spazi pubblici esterni. Ovviamente il clima è un fattore stimolante per tanta vita sociale che prende luogo negli spazi pubblici. Comunque, la libertà dopo Franco, l’orgoglio della città, la vita sociale e il temperamento meridionale hanno contribuito alla rinascita del design che già si data indietro alcune decadi. Si può osservare che l’architettura del paesaggio e lo sviluppo urbano sono largamente provati e determinati in relazione con l’architettura. L’uso abbondante di forme e materiali architettonici qui, nella città di Gaudi e Miro, è impressionante e lampante. È più o meno la fine della quarta Biennale di Architettura del Paesaggio, quattro giorni di convegno durante i quali i paesaggisti provenienti da tutta Europa si ritrovano a Barcellona. Un incontro suggestivo al quale ho potuto partecipare come membro di una giuria che è giunta a un sorprendente risultato per il Premio Rosa Barba. Accanto a questo evento, c’è stato un ricco simposio organizzato da Catherine Mosbach, co-vincitrice dell’ultima Biennale e la presentazione dell’International Bau Austellung nella antica Germania dell’Est. Dopo ciò, Richard Stiles in rappresentanza del Consiglio Europeo delle Scuole di Architettura del Paesaggio, ha relazionato sullo sviluppo per le organizzazioni educative e la pubblicista tedesca Lisa Diedrich ha concentrato l’attenzione sul libro Fieldwork, Landscape Architecture Europe. ACCIAO E SPACCATURE Il tema del primo giorno di Biennale è stato il Premio Rosa Barba. In una gremita stanza di uno degli edifici universitari, circa quattrocento partecipanti e studenti hanno seguito la presentazione dei dieci finalisti della mattina di martedì. Guardando le dieci presentazioni si giungeva inevitabilmente alla conclusione che questa Biennale era principalmente focalizzata sulle trasformazioni e sull’eredità della tradizione. Per esempio, c’era un edificio disegnato in luogo di un antico forno romano lungo la costa spagnola del Mediterraneo, un tempio fatto di pesanti gabbioni, con porte di accesso vetrate, pozzi di luce e una terrazza. Impressionante e poetico. Ma la stessa sensazione si trovava anche nel ridisegno di un isolato parco geologico in Catalogna, con un bel percorso pedonale e una sala di ingresso drammaticamente rappresentata in acciaio Corten. Oppure, in Winterthur dove una vecchia acciaieria è stata trasformata in un’area residenziale per la quale i progettisti si sono limitati nell’uso di materiali industriali e elementi formali. I binari sono stati lasciati intatti e le superfici di cemento sono state trattate con affilatura metallica, così che dopo la pioggia vengono a crearsi suggestive piscine. Acciaio e spaccature, divisioni, dominano nello spazio pubblico, pochi germogli di alberi sotto un sottofondo di metallo. La trasformazione di una vecchia miniera nel nord della Francia va ancora oltre. Qui un parco naturale è stato sviluppato in una laguna attraverso la combinazione della purificazione dell’acqua e lo sviluppo della natura; l’acqua è pulita abbastanza per nuotare e la natura offre molte opportunità per camminare. E c’è anche un vasto parco urbano ai confini meridionali di Monaco, con vista sulle Alpi, dove file di alberi richiamano le scomparse piste. Come rendere accessibile un’area che prima non lo era a causa della sua funzione? Quali nuove funzioni, quali nuovi programmi possono essere realizzati in un’area abbandonata? Quanta ricreazione e naturalità può avere l’Europa? E in questo caso, quanto è essenziale il progetto?
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Figura 1. Il parco Piedra Tosca a Les Preses, Girona. Il progetto, di RCR Aranda e Pigem Vilalta, propone una lettura artistica per un parco geologico di pietra vulcanica.
RICERCA DI STILE
Si può pensare che sia più facile per i progettisti di progetti concreti. Se ciò riguarda l’espansione o il ridisegno di cimiteri a Amsterdam e Weiach, oppure la copertura di una grande autostrada lungo la costa di Barcellona, il disegno di un’area scolastica in Slovenia o una nuova area residenziale a Stoccarda – queste assegnazioni non sono ambigue. Il motivo per cui questi progetti sono finiti in finale alla Biennale è dato dalle speciali soluzioni che sono state trovate. Ben presto la giuria ha selezionato i dieci finalisti tra solo cinquanta dei quattrocentocinquanta progetti presentati, della cui preselezione la giuria stessa non è responsabile in quanto fatta dall’organizzazione. In verità il compito di giudicare cinquanta progetti in un giorno è risultato abbastanza difficile: come si può giudicare tali serie proposte in un tempo così breve? La giuria tuttavia ha iniziato a sentire come molte cose stiano diventando simili nell’architettura del paesaggio europeo. Troppo formalismo, troppo uso di materiali alla moda come acciaio Corten e troppi artifici con illuminazione esterna. Comunque i dieci finalisti hanno raggiunto eleganti soluzioni e si è avuta una grande difficoltà a trovare un vincitore. Si è discusso se si fosse dovuto dare un segnale contro la tendenza alla insufficiente distinzione nell’architettura del paesaggio europea nel trovare una soluzione unica, ben considerata e adeguata al luogo, ma con un potere internazionale di espressione. Forse il vincitore avrebbe dovuto essere un progetto di piccola scala e unidimensionale con questa qualità eccezionale nella perfezione. Un progetto quale quello dei forni romani. Ma quel progetto può essere considerato architettura del paesaggio?
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Figura 2. Harnes Lagune nel nord della Francia, David Verport ridisegna un’area mineraria dismessa creando un parco acquatico estremamente ricco in biodiversità.
RISPETTO Con la decisione finale di nominare due vincitori la giuria ha voluto dare il via a tale dibattito. Questa decisione può essere presa come una dichiarazione. Il fatto è che la discussione sulla relazione tra architettura e architettura del paesaggio è una istanza straordinariamente sensibile: quello dell’architettura del paesaggio non è uno studio indipendente ma un corso post laurea negli studi universitari di architettura. Uno dei progetti vincitori, Park Piedra Tosca in Les Preses a Girona, in Spagna, è stato scelto per il modo straordinario con cui i progettisti hanno aperto il paesaggio vulcanico, letteralmente e figurativamente. Da una parte distaccando, solo rimuovendo qualcosa o non facendo nulla, dall’altra parte dando significato e potere d’espressione al paesaggio attraverso un intervento potente. Alcuni membri della giuria hanno pensato che fosse asociale e aristocratico, non un paesaggio dove le famiglie avrebbero mangiato tapas in una calda estate, forse perché era land art… La maggioranza però, lo trovava piacevole e adatto a rivelare la bellezza del paesaggio. L’altro progetto vincitore, Harnes Lagune nel nord della Francia, era il progetto con maggior pregnanza regionale e presentava anche un’enfatica soluzione verde attraverso la combinazione di sviluppo della natura e gestione delle acque. Allo stesso tempo la componente culturale, o in altre parole, il contenuto dell’architettura non era molto presente. Perché non fare dello sviluppo naturale e del ridisegno di un’area mineraria un atto culturale? D’altra parte alcuni sostenevano che ciò si debba rispettare quando non avviene. Alla fine, l’implementazione e l’incentivo in futuro per vaste parti di Francia, Belgio e Olanda è indurre, quando esistono problemi simili, lo sviluppo della natura come possibilità. Sì, il tempio per i forni romani può non essere considerato architettura del paesaggio: difficilmente inserito nell’ambiente, la localizzazione inaccessibile lungo il mare e oscurata da un inadatto contesto di nuove case. Le scale del Scharnhauserpark, invece, rimanevano troppo un mezzo per disegnare un nuovo sviluppo urbano; il rigido disegno della Kathrarine SchulzerPlatz non era abbastanza convincente nella combinazione di libertà, memoria e ospitalità. E, infine, con la fine espansione a Weiach la giuria si domandava se non fosse una eccessiva traslazione stilizzata della storia e dell’ambiente e troppo poco un posto intimo dove portare i propri amati. 44
Figura 3. Espansione del cimitero De Nieuwe Ooster ad Amsterdam di Karres en Brands.
ELEMENTI BRONZEI Anche l’espansione ad Amsterdam del cimitero De Nieuwe Ooster ha sollevato dubbi. I progettisti suggeriscono che, nel rito della sepoltura, il loro disegno avrebbe creato una libertà. Ma quale motivo per scegliere allora una delle strisce, che nei termini del disegno rappresenta una delle linee del codice a barre da cui l’espansione è stata costruita? Quale era la rigida applicazione di questo dispositivo incompatibile con la desiderata libertà, a scapito della sorprendente completezza del disegno? Può darsi che qui le differenze nella cultura della sepoltura in Europa giochino un ruolo determinante. L’approccio francese al progetto per Riempark è stato invece considerato un po’ tecnocratico e arrogante. Sebbene il parco abbia una dimensione considerevole e l’approccio sia impressionate, per quale motivo era necessario indicare le coordinate del luogo in elementi bronzei sul mappamondo? Perché così tante linee di cemento, bordi e scale? È questo un parco che ti vuole far sentire con semplicità? La maggioranza dei giurati aveva i suoi dubbi. E questi dubbi continuarono a resistere per una intera serata e nottata. Solo durante la mattina di venerdì il giudizio finale è stato dato, l’ex-aequo, sebbene non supportato dall’intera giuria. Si è voluto realmente scegliere un vincitore. Il venerdì sera il pubblico ha pertanto iniziato a protestare dopo che il risultato è stato annunciato in due lingue dal presidente Paolo Bürgi, a dispetto del fatto che fosse straordinariamente simile al giudizio del pubblico: il vincitore era Lagoon of Harnes, il secondo posto per Park Piedra Tosca e il terzo posto per De Nieuwe Ooster.
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GRANDI ALBERI Molte sono state le esperienze alla Biennale; come le conferenze talvolta confuse, ma anche affascinanti organizzate da Catherine Mosbach per il venerdì - che dimostrano chiaramente come la Biennale possa acquistare carattere e sostanza stabilendo una serie di curatori. Per esempio, il contributo del botanico Claude Figureau che ha investigato la prevalenza e lo sviluppo di tutti i tipi di funghi, muschi e altre specie microbiologiche è stato intrigante - ma quale era il significato per l’architettura del paesaggio? L’abbondanza delle forme? Provare che tale vita biologica sta scomparendo dalle nostre città e villaggi? Che cosa possiamo farci sapendo che specie asiatiche e africane portate sotto le suole delle scarpe possono finire a Lione? Mosbach stessa ha dichiarato che non avrebbe mai potuto realizzare il progetto vincitore del giardino botanico di Bordeaux senza l’interferenza intellettuale di Figuereau. Gli architetti del paesaggio dovrebbero essere aperti più ai contributi delle altre discipline. La ricchezza nel programma è stata grande. Per esempio, l’architetto danese Stig Andersson ha mostrato alcuni suoi progetti con soluzioni allegre, creative e high tech per la natura nelle città moderne, inclusi gli effetti sonori dei tuoni e dell’acqua e gli effetti di luce, mentre ombre suggeriscono la presenza di grandi alberi. Che cosa inoltre dobbiamo pensare del video in cui il genere umano mostra la sua forza distruttiva: paesaggi che bruciano, corpi, distruzione. La storia di Juurlink e Geluk sul loro disegno per il paesaggio della città olandese era piuttosto incoraggiante. L’architetto australiano Julian Lexworthy ha mostrato il proprio interesse nel costruire assecondando la natura, come è praticato da numerosi architetti e paesaggisti olandesi, usando vecchio cemento come linee diritte e artificiali nel progetto. Catherine Mosbach vuole indagare le cose in profondità e le amplia. Che essa usi il denominatore “paesaggio come prodotto, paesaggio come produzione” sembra un po’ poco impegnativo a posteriori. E con le domande del pubblico “perché non c’è nessuna donna nel gruppo?” o “perché gli architetti del paesaggio in Spagna non possono lavorare senza il titolo di architetti?” la discussione non ha fatto molti progressi. E’ evidente come la relazione tra architettura e architettura del paesaggio sia qui estremamente delicata; lo testimonia il fatto, ad esempio, che molti architetti del paesaggio non approvano che tali studi non siano indipendenti dal corso universitario di architettura. Durante il dibattito finale il sabato mattina è stata citata Rosa Barba: “dietro l’architettura c’è il paesaggio”. È una dichiarazione della quale il significato diventa chiaro solo dopo un po’. Essa mostra una compassione che è espressa persino più esplicitamente nell’idea che quando si abbatte un albero si distrugge anche il suolo nell’albero. PIAZZE È sabato sera tardi quando stiamo a sedere in Placa Real bevendo vino e grappa – una calda serata primaverile, musica, molte persone, palme, fontane. Stiamo discutendo la differenza con l’Olanda, il fatto che quasi tutto del paesaggio è dato come il risultato delle condizioni topografiche più docili e la disciplina dell’architettura ha pertanto diverse radici e prospettive che in Spagna, dove altre ambizioni e motivi dominano, come il risultato di diverse condizioni e il contributo tradizionalmente forte dell’architettura. Come questa piazza. Gli alberi a Placa Real sono posizionati in quadrati che sono stati tagliati dalla pavimentazione naturale. Essi giacciono profondamente, che è probabilmente funzionale alla fornitura d’acqua. In più la pavimentazione in pietra ha un’espressione potente, piatta, senza dettagli superflui. Questa piazza nella sua forma corretta è anche il risultato del revival che ha posto Barcellona nel panorama internazionale come luogo focale dell’architettura del paesaggio. C’è ancora molto da imparare, sebbene alcune persone si siano lamentate che la qualità degli spazi pubblici stia declinando. Manutenzione e vulnerabilità: forse questo potrebbe essere un buon tema per la prossima Biennale.
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Figura 4. Roman Ovens, progetto di Toni Gironês sul luogo di un accampamento romano a Vilassar de Dalt lungo la costa spagnola.
IL PREMIO ROSA BARBA E IL PREMIO EUROPEO PER GLI SPAZI PUBBLICI URBANI Nel 1998 due iniziative parallele iniziarono il proprio lavoro nella capitale catalana senza sapere una dell’altra. L’importante centro culturale Cccb preparò una manifestazione chiamata “La riconquista dello spazio pubblico in Europa”, includendo l’edizione del Public Space Award e, parallelamente, la scuola di architettura Etsab, insieme all’Ordine degli architetti, organizzò un congresso professionale in architettura del paesaggio chiamato “Biennale del paesaggio”, dovendo essere edita ogni due anni. Guardando indietro, era come se proprio in questo anno a Barcellona finisse un’epoca e ne iniziasse una nuova. Era come se la manifestazione del Cccb chiudesse un periodo eroico di nuovi spazi pubblici creati dagli architetti catalani e come se la Biennale aprisse l’era dell’architettura del paesaggio catalano quale nuova istanza per creare spazi pubblici, territori, ambienti. Alla presentazione del Premio per gli Spazi Urbani Pubblici, il vecchio Oriol Bohigas qualificò l’architettura del paesaggio come “una professione decorativa per donne”, sicuramente annusando la concorrenza emergente degli altri. Alla prima Biennale orde di paesaggisti provenienti da tutta Europa condivisero il sentimento di partecipare alla nascita del nuovo movimento catalano, pieno di entusiasmo e di una seria volontà di scambiarsi esperienze fra professionisti di varia nazionalità. La Biennale ha provato ad essere un vivido e serio laboratorio per l’architettura del paesaggio europeo, strategicamente molto importante per l’architettura del paesaggio catalana e spagnola nei loro sforzi per il riconoscimento del titolo e allo stesso tempo aprendosi totalmente al mondo professionale europeo. La quarta edizione, tra il 23 e 26 di marzo del 2006, ha attratto più di trecento partecipanti da tutta Europa. Essi potevano sfamarsi con simposi, mostre, escursioni e presentazioni. Una parte centrale è stato il Premio Europeo di Architettura del Paesaggio Rosa Barba, dal nome di una delle fondatrici della Biennale che è stata un importante architetto a Barcellona, 47
deceduta nel 2000, poco dopo la prima edizione. Con i recenti progetti degli ultimi quattro anni più di quattrocentocinquanta partecipanti da tutta Europa hanno gareggiato per il primo posto e quindicimila euro di premio. Questo numero di partecipanti è stato quasi il cinquanta percento in più dell’ultima edizione, il che mostra come, sia la Biennale che l’area specialistica, siano molto popolari. Il paese di provenienza principale è la Spagna, con quarantacinque percento (di cui settantacinque percento dalla Catalogna), a cui si aggiungono una forte rappresentanza di Portogallo, Svizzera, Francia, Olanda, Germania. Il presidente della giuria del Premio Rosa Barba è stato Paolo Bürgi dalla Svizzera, uno dei due vincitori della passata edizione. La giuria includeva Theresa Andresen dal Portogallo, presidente della Federazione Europea degli Architetti del Paesaggio (Efla), Marc Claramunt dalla Francia, direttore della rivista Pages Paysages, Harry Harsema produttore delle riviste Blauwe Kamer e ‘scape e Sara Bartumeus, Ramon Pico e Joan Roig dalla Spagna, la prima esponente dell’organizzazione, mentre il secondo in qualità di vincitore del premio del pubblico della passata edizione. Anche il Premio Europeo per gli Spazi Urbani Pubblici, rivolto a progettisti e committenti, è consegnato per la quarta volta questo stesso anno 2006. L’ iniziativa è stata organizzata con la collaborazione di molti centri di architettura in Europa, come quelli di Vienna, Londra, Parigi e Rotterdam. Questo Premio sugli spazi pubblici e la Biennale continuano però ad essere entità separate. Per esempio, Aron Betsky, direttore del Rotterdam Architecture Institute Nai e co-organizzatore del Premio, non sapeva nulla della Biennale! E d’altra parte, durante la Biennale il Public Space Award non è stato minimamente citato. Betsky riferisce del Premio come qualcosa rivolto soprattutto ai Paesi meridionali, dove si rileva un grande interesse per gli spazi pubblici. Ciò è provato dalle iscrizioni e dai risultati. L’architettura del paesaggio è presente ora – nonostante le parole di Bohigas – e lo sono persino i paesaggisti uomini. Ciò è evidente dai risultati dell’ultima edizione 2004: il premio (ex-aequo) è stato attribuito ad un piano di sviluppo paesaggistico per una diga, progettato dall’architetti catalani Battle @ Roig, mentre DS Landschapsarchitecten dal’Olanda hanno ricevuto una menzione d’onore per il progetto del Tilla-Durieux Park a Berlino. Il premio per il 2006 è stato annunciato a Giugno1.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (SITI INTERNET) www.coac.net/landscape/ www.urban.cccb.org RIFERIMENTI ICNOGRAFICI Figure 1-4: fotografie degli autori dei progetti, per gentile concessione di Harry Harsema
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di agosto 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Il premio è stato attribuito ex-aequo a Horske Orgulje/Sea Organ, Zadar (Croazia) 2005 dell’architetto Nikola Basic e a A8ernA, Zaanstad (Olanda) di NL Architects [nota del traduttore].
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 4 – numero 5 – gennaio - giugno 2006 numero monografico Dalla quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona sezione: Eventi pagg. 49-59
MOSTRA INTERNAZIONALE DI SCUOLE: PROGETTI DI PAESAGGIO BARCELLONA, ETSAB, 23 MARZO - 3 APRILE 2006. Ferran Sagarra* Traduzione di Enrica Dall’Ara **.
Summary Besides the exposition of projects of landscape architects coming from all the Europe at the European Lanscape Biennal of Barcelona, various projects of Schools and Faculties are presented at the International Exhibition of Schools: Landscape Projects. The first exhibition is showed at the College of Architects in Plaza Nova, the second one in the main room of ETSAB (Escola Tecnica d’Arquitectura de Barcelona) from March 23rd to April the 3rd, 2006. This is a special moment of Biennal that gives a completeness at its programme of events, giving attention not only to the professional activities but also to the didactic one. Infact, this is an opportunity to compare different approches to teaching and to the landscape project. Key-words International Exhibition of Landscape and Architecture Schools: Landscape Projects, European Biennial of Landscape, European Landscape Award Rosa Barba, Barcelona 2006.
Abstract Parallelamente all’esposizione dei progetti professionali della quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona allestita nella sede del Collegio degli Architetti in Plaza Nova, nella sala centrale dell’ETSAB (Escola Tecnica d’Arquitectura de Barcelona) vengono esposti progetti presentati da Scuole e Facoltà, all’interno della Mostra Internazionale di Scuole: Progetti di Paesaggio, che rimane aperta dal 23 marzo al 3 Aprile 2006. Anch’essa è un momento della Biennale e dà completezza al suo programma di eventi, mostrando attenzione non solo per l’attività professionale ma anche per la didattica: è infatti un’opportunità in più per confrontare approcci differenti all’insegnamento e al progetto di paesaggio. Parole chiave Mostra Internazionale di Scuole: Progetti di Paesaggio, Biennale Europea del Paesaggio, Premio Europeo del Paesaggio Rosa Barba, Barcellona 2006.
* Professore di Urbanistica della Escola Tecnica d’Arquitectura de Barcelona (ETSAB) e del Master in Architettura del Paesaggio; membro della giuria del Premio associato alla Mostra Internazionale di Scuole: Progetti di Paesaggio della quarta Biennale Europea di Paesaggio di Barcellona. ** Architetto, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università di Firenze.
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Figura 1. Locandina della Mostra Internazionale di Scuole: Progetti di Paesaggio, Barcellona 2006.
La Mostra Internazionale di Scuole con il titolo Progetti di Paesaggio viene presentata all’interno della quarta Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona. Si tratta di una esposizione parallela a quella destinata ai lavori professionali all’interno della biennale barcellonese che con il suo premio Rosa Barba ha già ottenuto una divulgazione ed un prestigio notevoli.1 1
La lista completa delle scuole partecipanti è: 1. l'Université de Montréal , École d'architecture de paysage. 2. Università degli Studi Meditteranea di Reggio Calabria, AGP Architetura dei Giardini e dei Parchi. 3. Edinburgh College of Art 4. Università degli Studi Meditteranea di Reggio Calabria, Facoltà di Architettura. 5. Universität Hannover, Institut für Landschaftspflege und Naturschutz. 6. Technische Universität Berlin. 7. Ècole Nationale Superieure du Paysage Versailles. 8. Architectural Association & AA School of Architecture. 9. Escu. Arquit. Atenes, Metosovio National Polytechnic. 10. Aristotle University of Thessaloniki Faculty of Agriculture. 11. Kingston University London, School of Architecture and Landscape. 12. Universitè Geneve, Institut d’Architecture. 13. University of Thessaly. 14. UDP- Diego Portales University. 15. ETHZ. 16. Universita` IUAV di Venezia. 17. University of Zagreb, Faculty of Agriculture. 18. Valencia ETSAV. 19. Universidade do Porto, Dept. de Botânica Faculdade de Ciências Universidade do Porto. 20. University of Virginia, Department of Archtecture and Landscape Archtecture. 21. Universita` di Ferrara, Facoltà di Architettura. 22. Master MAPAT 23. Università di Roma "La Sapienza". 24. Università di Torino, Facoltà di Agraria. 25. Larenstein University. 26. Politecnico di Milano ALAD. 27. University of Ljubljana.
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Sembra opportuno constatare il successo di partecipazione di questa prima edizione, con ventinove scuole, fatto che costituisce una piccola prova in più del consolidarsi della Biennale Europea del Paesaggio di Barcellona che, dopo otto anni e con la partecipazione in massa di proposte e professionisti del paesaggio, costituisce ormai un referente di questa disciplina in Europa. Quella delle scuole è una partecipazione sostanzialmente europea, venticinque scuole su un totale di ventinove sono europee, contro due del Nord America (Montreal e Virgínia), una cilena e una del Marocco. La maggior presenza di scuole mediterranee è dovuta alla rappresentanza molto numerosa delle italiane (otto scuole), mentre le restanti sono distribuite omogeneamente: Grecia (tre), Spagna (due), Francia (una), Croazia (una) e Slovenia (una), più una del Portogallo e quella già menzionata del Marocco. La rappresentanza di scuole del Nord e del Centro Europa si limita a tre britanniche, una olandese, nessuna scandinava, due tedesche e due della Svizzera. Si può argomentare che questo è dovuto alla prossimità con la scuola organizzatrice, quella di Barcellona, però credo piuttosto che sia la conseguenza di un maggiore fermento delle scuole mediterranee, di una questione di affinità con il tipo di paesaggismo praticato nella scuola di Barcellona e di una certa interpretazione mediterranea del paesaggio (da non confondere con quella di un paesaggio mediterraneo). Del totale delle scuole, solo sei sono di paesaggio e arte dei giardini, mentre le restanti si ripartiscono in parti uguali fra quelle di architettura (ce ne sono dieci) e altre di diverse specializzazioni come agronomia o botanica (altre dieci in tutto). Forse è per questo che il tipo di paesaggio di cui si occupano ha a che fare con l’architettura della città – intendendo con questa espressione la sua struttura e i suoi spazi pubblici – o con territori che possono essere ampi ma che sono sempre urbanizzati.
Figura 2. ETH Zürich Zentrum für Weiterbildung – SCHWEIZ.
28. Università di Genova, Facoltà di Architettura. 29. UPC ETSAB Barcelona.
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I lavori che le scuole hanno presentato alla mostra hanno un interesse vario – non poteva essere diversamente – e anche caratteristiche differenti: alcuni sono il risultato di un corso dal tema unico nel quale gli studenti avevano lavorato insieme, individualmente o in piccoli gruppi, però su un luogo solo, come nel caso della Edimburg College of Art, della Sapienza di Roma, della Università di Larenstein, della Università di Ljubljana o della UDP di Santiago del Cile. In altri casi veniva fissato un tema e il luogo cambiava per ogni progetto, come nel caso dei porti presentati dalla Kingston University o in quello degli spazi fluviali della ETH di Zurigo. In altri casi ancora il tema è variabile ed il luogo è comune. Altre scuole hanno preferito presentare una mostra di tutti i propri corsi e programmi. L’eterogeneità dei progetti ha avuto la virtù di apportare una grande ricchezza al momento di offrire una visione amplia del paesaggismo che si insegna nelle scuole. La ricchezza ed eterogeneità della mostra - che si è riusciti ad addomesticare attraverso una normalizzazione relativamente rigida delle presentazioni - è dovuta anche ai diversi modi di rappresentazione di ciascun progetto: alcuni privilegiano gli schemi, altri le prospettive, i plastici o i fotomontaggi. Le fotografie del luogo e la loro manipolazione o l’estetica particolare dei documenti di analisi di alcune scuole, con la onnipresenza dei colori, a volte molto vivaci, hanno trasformato la hall della Scuola di Barcellona – spazio della mostra – in un luogo interessante ed allegro. La sezione, e soprattutto la sezione prospettica e colorata, si dimostra uno strumento di rappresentazione particolarmente adeguato alla nostra disciplina. L’insieme dell’esposizione, seppure in forma disordinata, copre gran parte della casistica del progetto di paesaggio contemporaneo, se consideriamo la gran diversità di tematiche ed approcci a cui facciamo riferimento. Qualche programma, come quello del dottorato dell’Università di Reggio Calabria lo fa in modo quasi esplicito, nel presentare lavori di analisi sistemica che includono molte delle tematiche che elenchiamo di seguito.
Figura 3. Lucia Coniglione, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Architettura, Dipartimento OASI – ITALIA.
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Il paesaggio del territorio I ragionamenti a grande scala che presentano analisi e/o trattamenti di strutture quasi geografiche non sono i più frequenti però hanno un interesse evidente. La scuola di Versailles dimostra di muoversi comodamente in questa scala, con progetti come quello relativo ad un paesaggio di pascoli nelle lande del Tarn-et-Garonne del Midi-Pirenei. E’ un approccio a grande scala –forse troppo grande – anche l’esercizio che presenta lo IUAV di Venezia sul delta del fiume Ebro e la pianura di Castelló fra la Catalogna e València, o quello intitolato territori lenti su un luogo interstiziale. In questa categoria troviamo lavori inerenti strutture ecologiche e analisi di ambiti di paesaggio con proposte di pianificazione come quelle dell’Università di Larenstein per rendere compatibili la crescita urbana e i valori del paesaggio agrario del polder olandese. Lo studio dei processi di trasformazione delle strutture ecologiche e della loro coerenza spaziale concentra gran parte dell’interesse, quando si tratta di queste grandi scale Alcuni lavori, di portata geografica più contenuta, non si limitano ad analizzare e giungono a formulare progetti di carattere sintetico con una forte capacità incisiva, come avviene nel caso studiato dalla Facoltà di Ferrara per la riqualificazione di un paesaggio delle Alpi danneggiato da una frana. I lavori che meglio rappresentano questa capacità sintetica in relazione a paesaggi in territori non urbani sono sicuramente quelli della ETH di Zurigo che lavorano su alcune aree fluviali. Le presentazioni di questi studi hanno il gran pregio di essere molto chiare e normalizzate e consentono una facile comparazione. Assi e percorsi. La scala intermedia. Il percorso è stato, senza dubbio, il primo meccanismo di appropriazione antropica di un territorio vergine e continua ad esserlo fra territori che hanno bisogno di cambiare e stabilire nuove relazioni, per questo gli spazi aperti e i loro percorsi di collegamento fra la città e la periferia sono un tema ricorrente del paesaggismo e di questa esposizione.
Figura 4. U.P.V. Escola Tècnica Superior d’Arquitectura de Valencia, Departament d’Urbanisme, ESPANYA.
Fra le tante proposte individuiamo quella dell’Università di Montréal, di un circuito che mette in relazione la città di Saida con i suoi dintorni a partire da fatti storici, tutto creando una nuova trama fra la città storica e il suo Wastani (giardino storico), la città universitaria e i luoghi archeologici di interesse. 53
Anche altri lavori si concentrano su percorsi lineari per biciclette, passeggiate attraverso luoghi archeologici, percorsi fluviali, o di appropriazione di un antico letto di fiume – come alcuni dei progetti della scuola di Valencia per il fiume Tura, che hanno titoli che li farebbero deviare verso categorie che commenteremo più avanti, Ecosystem, Raised Landscapes o Estratos. Inoltre questo meccanismo lineare serve spesso per studiare temi di attualità come il ridisegno del limite di un antico corridoio industriale, gli ecosistemi, paesaggi dimenticati o “strati”. Disegno urbano e urbanizzazione. Solo a partire da una certa dimensione possiamo continuare a pensare l’interstizio come un “paesaggio”, a meno che non “apriamo” la città in modo tale da permettere al paesaggio di penetrare il tessuto urbano. Di conseguenza molti dei lavori si occupano di uno dei temi del ragionamento ambientalista che meglio ha potuto istallarsi nel pensiero urbanistico e architettonico, quello dei corridoi biologici che qui sono anche visuali e paesaggistici. Nel capitolo di questi si potrebbe includere anche il lavoro del master MAPAT di Rabat che ha un titolo tanto esplicito come quello di Changing from a street to a social place, e corrisponde ad un oggetto più limitato dentro la città. E’ un analogo caso di studio – più speculativo - Schichtwechsel della Università di Hannover, per una strada di margine sotto un viadotto, verso l’università. Il fatto è che le scuole di paesaggio includono [nei loro programmi] il disegno dello spazio urbano che alcuni considererebbero oggetto di una disciplina ben distinta. Di conseguenza la mostra comprende molti esercizi di disegno urbano, di sistemi di spazi pubblici e di urbanizzazione come quella della scuola cilena UDP che presenta l’urbanizzazione della propria area universitaria situata dentro il tessuto urbano di Santiago. Riguardo a questo campo, può essere interessante constatare come il modo di trattare lo spazio della città consista spesso nell’introdurvi un paesaggio “esterno” alla città. In occasioni di disegno urbano si può passare a progetti urbani di maggior entità come quello di espansioni urbane (o di nuclei rurali) di nuova tipologia, come accade con le Maglie ritrovate dello IUAV o il piano per un quartiere residenziale della Università di Zagreb. Vale la pena menzionare in questa categoria, e per sua attualità, l’urbanizzazione degli spazi esterni di un aeroporto (Reggio Calabria). Parchi e giardini Come non poteva essere altrimenti, i temi classici e alla radice della disciplina, che sono il parco e il giardino, sono molto presenti alla mostra, tanto nella versione ristretta di luoghi cittadini legati allo svago, al passeggio, allo sport, quanto nella versione di parchi più tematici come per esempio parchi agro-botanici, campus universitari o nuovi cimiteri. Notiamo che il programma di base della Facoltà di Reggio Calabria presenta progetti di parchi, fra gli altri temi, e che la TU di Berlino si interessa di un ampio ventaglio di argomenti di disegno urbano, che vanno dalle aree portuali, ai percorsi fluviali, fino ad un patio di un asilo progettato insieme ai bambini. Ancora più ampio è il ventaglio della facoltà di Salonicco, con l’analisi di vasti paesaggi o questioni di gestione del paesaggio e dell’agricoltura, ma che include parchi e pati di scuole. Anche buona parte dei lavori del Laboratorio MAPAT sono centrati sugli spazi urbani, però, guardando i progetti, forse il programma più aderente alla tradizione dell’arte dei giardini è quello delle università di Ljubljana e di Genova. Su questa linea, quella di Zagreb presenta il progetto di un cimitero e quella di Milano propone la sua versione contemporanea: un parco per lo spargimento delle ceneri.
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Figura 5. Soumaya Samadi, MAPAT Master en Arcuitecture du paysage et Amenagment du Territoire, MAROC.
Relazione architettura-paesaggio Più frequenti sono gli esercizi che propongono la relazione dell’architettura con il paesaggio, spesso all’interno di una ricerca sull’identità o il significato di nuovi paesaggi. Piscine naturali o tentativi di misurare l’impatto di un edificio sul paesaggio o semplicemente proposte di belvedere come quella di riqualificazione del Belvedere di Bracciano presentata dall’Università di Roma. Questo approccio abitua ad essere molto sensibili e offre spazio a riferimenti poetici come la citazione di Nikos Kazantzakis nella proposta di un edificio nel paesaggio, attraverso un collegamento indipendente, dato che può trattarsi di un centro di fotografia, di una residenza famigliare o di un edificio mimetizzato nella topografia del paesaggio di un parco del divertimento.
Figura 6. Nikos Kazantzakis. “The path to silence”. Erato Alipranti, Panagiota Georgakopoulou, Eleuteria Tzanaki, National Technical University of Athens, School of Architecture, Section I Architectural Design and Composition – HELLÁS.
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Paesaggio e infrastrutture Un oggetto d’interesse di assoluta attualità è quello dell’infrastruttura e la sua relazione con il paesaggio. Lo è per la proliferazione e per la rigidezza delle grandi infrastrutture, principalmente di quelle della mobilità. Ci sono sempre più autostrade, treni ad alta velocità, o aeroporti, e sono sempre più grandi ed inflessibili. Alcuni dei progetti che abbiamo già elencato o che elencheremo sono risposte a questi grandi artefatti e proposte per il trattamento degli spazi che generano. E’ il caso dell’analisi paesaggistica per l’impianto dell’anello di strade a Salonicco, studiata dalla sua università. Rientrerebbero inoltre in questo capitolo la proposta di direttrici per zone portuarli o i tanti progetti per un porto che commenteremo nel paragrafo seguente. Paesaggi post-industriali Al di là della funzione o dei luoghi trattati dagli esercizi, ciò che è molto rilevante – come annunciavamo all’inizio – è la volontà di confrontarsi con casi e problemi contemporanei, di una società post-industriale. La ri-qualificazione di spazi pubblici, tessuti urbani o paesaggi, e molti altri interventi che iniziano con il prefisso “ri” sono la categoria più frequente, se si fa un rapporto con le proposte ex novo. Evidenziamo la ri-naturalizzazione di una parte di una penisola (della Maddalena, proposta dalla AGP di Reggio Calabria). Anche quando si tratta di nuovi sviluppi, lo sforzo principale si concentra nel trovare referenti che donino continuità al luogo, prospettando l’intervento più come una transizione che come un atto di creazione originario. Inoltre il progetto stesso, lungi dal proporsi come uno stato immutabile, incorpora questa idea di evoluzione e cambiamento nel tempo, prevedendo le possibili derive dell’oggetto progettato. I riferimenti alla città o alla periferia urbana si collocano molto spesso nei suoi interstizi e molti progetti sono progetti di limiti urbani, occupandosi così di una questione prettamente contemporanea. Abbondano le proposte di recupero di luoghi in decadenza e resti industriali, come per esempio quello di una tomba all’interno di una miniera che risulta molto suggestivo o la rinaturalizzazione di una raffineria , o il recupero, più volte ripetuto, di cave per farne cose più diverse, come un parco del paesaggio di pietra. In questo capitolo è particolarmente interessante il progetto di un itinerario per approfittare di fenomeni geotermici con finalità turistiche in un’antica centrale termica che l’Università di Ferrara presenta con il titolo Paesagginfernali, una delle scuole che si confronta con questi programmi nel modo più risolto. Se c’è una condizione post-moderna, è quella che fa riferimento alla relazione fra le città portuali ed i loro porti originari o porti vecchi e in generale alla relazione della gente con l’acqua e i fronti marittimi e fluviali. Abbiamo già parlato di alcuni paesaggi fluviali, a questi dobbiamo aggiungere quelli proposti dalla TU di Berlino, fra cui quello che crea un anfiteatro sopra un fiume o il passaggio pedonale sopraelevato che è il frutto dell’interramento di una autostrada, o anche i fronti marittimi presentati da Reggio Calabria o quello dell’estuario del Bou a Rabat presentato dal Master MAPAT della sua Università. Citiamo inoltre l’area d’ozio marittimo in Sicilia o le marine presentate da Reggio Calabria. Fra i molti porti presentati sottolineiamo i progetti interessanti de la Kingston University di Londra, per tre porti - Ostende, Suffolk e Zeeland- che prevedono l’incorporazione delle tipologie spaziali ereditate e la loro inclusione in un nuovo paesaggio (The question is What to do when the city has left).
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Figura 7. Landscape.is. Jaime Uriarte, Joanna Goranson, Rhys Williams, Nina Kolbeck, Kingston University London, School of Architecture and Landscape – UNITED KINGDOM.
Ecologia, risparmio energetico Alcuni di quelli che abbiamo denominato paesaggi post-industriali si prospettano all’interno di una chiara preoccupazione per l’ambiente. Però l’approccio ecologico e ambientale ha una propria autonomia nella Mostra che commentiamo. Lo dimostra, per esempio, l’importanza della fito-depurazione nel progetto di un nuovo campus dell’Università di Messina o il parco di un “eco-villaggio” o la ri-qualificazione del paesaggio di una pineta, tutte proposte della selezione di Reggio Calabria. Anche il progetto per un parco inondabile nella Valdarno, proposto da Ferrara, dimostrerebbe la medesima preoccupazione, così come quello intitolato Under the viaduct che propone la ri-utilizzazione dell’acqua accumulata in un viadotto di traffico per irrigare le piante che andrebbero a conformare il nuovo paesaggio sottostante o, ancora, altri progetti con interesse per sistemi di energia passiva (presentati dal Politecnico di Milano) Memoria e identità Un tema ricorrente che propongono molti dei lavori in mostra è quello che possiamo definire della memoria e dell’identità. La percezione dei vicini e dei visitatori in uno spazio urbano considerato come paesaggio è la preoccupazione esplicita di un lavoro presentato da Hannover, però l’approccio di alcune scuole italiane e greche fa un riferimento più diretto alla memoria e alla identità, come è nel caso della tomba all’interno di una miniera intitolato The disapearance of the geographical… (Atene) o di Landscape upgrade of greek cities che propone una gestione del paesaggio e degli spazi urbani aperti per rafforzare la identità urbana (Salonicco). Abbiamo già fatto riferimento ad un lavoro sul recupero del paesaggio in seguito ad una frana nelle Alpi, che ha il titolo esplicito Tra identità e memoria, ed è sempre un riferimento esplicito alla memoria quello del progetto di un percorso di avvicinamento al campo di concentramento di Fossoli, entrambi della Facoltà di Ferrara, come lo è inoltre il progetto nel porto romano di Classe (Ravenna) che propone un percorso e un belvedere su un territorio archeologico. Una forza speciale ha il progetto Nature, Landscape, Memory, in cui si creano nueve terrazze per nuovi itinerari che seguono monasteri mussulmani abbondanati dell’ordine Bektashi, presentato dall’Università di Thessaly.
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Figura 8. Nature, Memory, Landscape. Christos Kakalis, University of Thessaly, Department of Architecture – HELLÁS.
Questioni di composizione Per concludere questo riesame dei lavori presentati alla mostra dalle scuole e facoltà, vorrei fare un commento sugli aspetti di composizione come quello dell’utile astrazione geometrica che caratterizza i lavori svolti dalla AA di Londra riguardo il Messico. Più reiterato è il ricorso a pieghe o folder, che consente di localizzare programmi complessi nelle zone sottostanti per lasciare la superficie quale paesaggio (a volte lunare), come avviene in alcune proposte della TU di Berlino o nella Agricultural Agora della scuola di Atene che nella forma di una ferita nel paesaggio stabilisce, nella parte in basso, un “vuoto conformato urbanamente nella scena naturale” (“urban shaped void in the natural scenery”). Di grande interesse è anche l’indagine sulle textures che si ottengono per sovrapposizione di sistemi (progetto RaumKöper, anch’esso della TU di Berlino), o il sistema compositivo del “bassorilievo” utilizzato nel progetto già citato Nature, Landscape, Memory di Thessaly.
Figura 9. Landscales – a proposed pattern of urbanization, Santa Fe, Mexico City. Eva Tsouni, Architectural Association & AA School of Architecture, MA Landscape Urbanism – UNITED KINGDOM.
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Per finire torniamo alla questione della condizione mediterranea della Mostra, per dire che oggi come oggi è difficile parlare di un paesaggismo mediterraneo confrontandolo con uno, ad esempio, anglosassone. Non sempre si riconoscono nei disegni e fotomontaggi dell’esposizione territori specifici di questa parte del mondo, fatta eccezione per la presenza quasi costante della città e dei sui suburbi, questo sì caratteristico e molto presente nell’immaginario e nella realtà dei paesi mediterranei, in cui il contrasto fra la compattezza delle città storiche, o di molte loro espansioni, e lo spazio aperto “esterno” o interstiziale è ben visibile. Anche la presenza della storia nel territorio – che qui abbiamo denominato “memoria” – potrebbe essere una peculiarità della mediterraneità che, anche se condivisa con altri luoghi non europei, abbiamo visto in molti dei progetti. A conclusione diciamo anche che l’impatto delle grandi infrastrutture e la pressione sul sistema ecologico – oggetto di molti lavori presentati – è anch’esso più forte visivamente nei paesi mediterranei sviluppati che al nord. Forse questo è ciò che ci permetteva di parlare, all’inizio di questo articolo, di un approccio mediterraneo nella Mostra Internazionale di Scuole: progetti di Paesaggio della quarta Biennale Europea di Paesaggio di Barcellona. Fra i progetti presentati alla Mostra si è assegnato un premio e una menzione alle migliori proposte secondo l’opinione di una giuria composta da quattro membri che lo hanno emanato dopo aver valutato i progetti e i programmi proposti dalle diverse scuole, privilegiando quegli approcci che pensano il paesaggio nel senso di evoluzione permanente, così come anche la chiarezza espositiva delle presentazioni.2
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1-9: progetti esposti alla Mostra Internazionale di Scuole: Progetti di Paesaggio, Barcellona, ETSAB, 23 marzo- 3 Aprile 2006, per gentile concessione dell’Organizzazione della Biennale Europea di Paesaggio di Barcellona.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre del 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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I membri della giuria sono stati: Ippolito Pizzetti, professore e paesaggista dell’Università degli Studi di Ferrara, Alfred Fernandez de la Reguera, architetto e professore di Architettura del Paesaggio della Universitat Politècnica de Catalunya, Anna Zahonero, professoressa e coordinatrice della Laurea in Paesaggio della UPC, ed io, professore e vicedirettore della Escola d’Arquitectura de Barcelona, ETSAB.
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