Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Editoriale pagg. 1-4
EDITORIALE Michele Ercolini *
Il titolo scelto per il settimo numero della Ri-Vista (il terzo in veste monografica) pone sul tavolo due questioni: da una parte, il “sistema delle risorse” qui rappresentato dalle acque, dai fiumi e dai “loro” paesaggi; dall’altra le modalità attraverso cui tale sistema può essere letto (chiavi di lettura), inquadrato (ambiti di ricerca), “raccontato” e progettato (esperienze). Il numero si compone di quattro differenti sezioni. La prima, dedicata ai “Saggi”, si apre con l’interpretazione del fiume quale “segno e motore” del paesaggio. Partendo da questo tipo di approccio, attraverso criteri interpretativi, di progetto e di partecipazione e con l’aiuto di alcuni casi studio, Giorgio Pizziolo inquadra il corso d’acqua quale termine di relazione molteplice: nei rapporti ecologici con il territorio e con l’ambiente; nei confronti dei “popoli del fiume”; tenendo conto delle trasformazioni antropiche; infine, in rapporto alla gestione della “risorsa acqua”. L’articolo che segue, a firma di Giovanni Campeol, si pone l’obiettivo di affrontare le questioni metodologiche e le tecniche applicative legate alla lettura delle trasformazioni del paesaggio, prendendo a riferimento i sistemi fluviali. Attraverso la presentazione di un caso studio (fiume Adige) viene dimostrata la possibilità di verificare, scientificamente, l’efficacia dell’approccio valutativo nell’interpretazione delle trasformazioni del paesaggio. In questo senso, la ricerca condotta sull’Adige si presenta come emblematica non solo per l’interpretazione del paesaggio fluviale, ma anche per la metodologia utilizzata per tradurre detta interpretazione in azioni di natura urbanistica. Con l’intervento di Giampaolo Di Silvio viene, altresì, ribadita la necessità (“una sorta di pressante invito ai confratelli idraulici”) da un lato, a guardare con nuovi occhi quanto è stato fatto in passato nel campo della pianificazione alla scala di bacino, dall’altro a rispondere con equilibrio alle emergenti e crescenti domande di “naturalità” per i nostri corsi d’acqua. L’obiettivo è quello di abbandonare il prima possibile, così come avvenuto (o sta avvenendo) negli altri Paesi europei, la staticità del concetto di “regolazione”, restituendo al fiume, compatibilmente con le esigenze di sicurezza e le legittime necessità di utilizzazione delle risorse, la sua dinamicità idrica, ecologica, geomorfologica e paesistica. L’input del saggio di Laura Sasso (scritto in collaborazione con Giovanna Codato e Elena Franco), come più volte sottolineato, è riconducile all’esperienza maturata attorno al libro, curato dalla stessa Sasso, “Archivi da mostrare, Paesaggi e architetture in rete per una rete di progetti”. Il fine è quello di dimostrare, soprattutto con riferimento ai sistemi fluviali, le strette connessioni tra i temi dell’“archivio”, del “paesaggio archivio di se stesso”, del trinomio “archivio-museo-paesaggio”. Un concetto quello di “archivio” che, è bene ribadirlo, 1
è lontano e rifiuta drasticamente la “museificazione” del paesaggio. Quale luogo di conservazione, a tutela delle tracce del passato, “l’archivio” è da realizzarsi altresì attraverso una catalogazione ordinata, resa metodica, che necessita ponderazione, analisi; processi, questi, che implicano studio e conoscenza di ciò che si vuole archiviare. I casi-studio esaminati e sviluppati hanno dimostrato la possibilità di progettare una nuova rete archivistica e museale nel territorio torinese, a partire dall’asta fluviale del Po e dei suoi affluenti. Lungo tale sistema sono stati individuati luoghi e architetture antiche idonee ad ospitare polarità con caratteristiche di museo, veri e propri strumenti di salvaguardia attiva del paesaggio fluviale, originali e innovativi nei confronti dei territori da recuperare, ricchi di sorprendenti potenzialità. La sezione “Saggi” si chiude con l’articolo curato da Tessa Matteini, che coincide con un “salto” di scala: da quella di area vasta si passa alla scala del giardino. Del giardino viene, anzitutto, sottolineata la nascita quale “recinto” irrigato nel deserto e il successivo sviluppo secondo matrici formali e modelli culturali diversi, in molti casi influenzati dal sistema delle acque utilizzato per l’alimentazione. Questo tentativo di comprendere il ruolo culturale dell’acqua nella costruzione del giardino, paesaggio artificiale per eccellenza, si conclude ponendo l’accento su alcune considerazioni utili nella pratica progettuale e suscettibili di approfondimento nel campo di ricerca. Il ruolo dell’acqua sia come materiale costitutivo per la costruzione fisica e concettuale di giardini e paesaggi sia, soprattutto, quale bene prezioso ed indispensabile soggetto ad un consumo accelerato. La necessità, o sarebbe meglio dire l’urgenza, di riconoscere al “sistema acqua” il ruolo basilare che, di fatto, le compete, come risorsa, scheletro e struttura portante del paesaggio. La sezione successiva, dedicata ai “Dialoghi”, vede come protagonista il professor Pier Francesco Ghetti attuale Rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, professore Ordinario di Ecologia. L’obiettivo dell’intervista si può così sintetizzare: fornire un quadro, il più possibile completo e aggiornato, sulle motivazioni e sulle cause di quello che può definirsi un “errore di fondo” nel rapportarsi, dal punto di vista progettuale e culturale, con l’acqua, i fiumi, il paesaggio (“sistema delle risorse”). In particolare, si è cercato di capire che cosa è stato fatto e che cosa ancora si può fare per la difesa, il governo e la riqualificazione di tale sistema. In realtà le interessanti riflessioni scaturite dall’intervista e riconducibili a svariati argomenti (dalla sostenibilità alla “questione ambientale”, dai problemi di Venezia “Città d’acqua” al concetto di paesaggio fluviale, dal significato di “biodiversità culturale” agli aspetti normativo-legislativi) possono anche essere lette quale punto di partenza del percorso che la sezione successiva (“Itinerari”) dedica al tema “acque, fiumi, paesaggi fluviali”. Un itinerario che prende il via dai paesaggi fluenti della Persia, si addentra tra le vallate della Loira, prosegue lungo il Reno, approda in Italia tra le rive del Ticino, dell’Oltrepo mantovano, per poi concludersi lungo il Tevere. Le affascinanti montagne della Persia, i monti Alborz e i monti Zagres, fanno da sfondo al saggio elaborato da Rita Micarelli e Irani Behbehani Homa. I protagonisti del “racconto” si muovono tra le nevi e le acque che scendono verso il deserto, tra le grandi e verdi vallate e le straordinarie città che crescono e si consolidano ai piedi delle montagne. Siamo nell’antica Persia tra i popoli che abitano vallate fluviali remote e apparentemente separate dalla città, ma ancora in grado di esprimere culture e stili di vita ben radicati nella dinamica e nel fluire delle acque. La storia della natura e della cultura di questi bellissimi paesaggi primigeni, così come descritto dalle autrici, è vissuta con le acque, i frutti e gli animali, ma è anche continuamente tessuta con il rinnovarsi della produzione dei tappeti, stagione dopo stagione. E proprio attraverso la tessitura e l’attività femminile si riesce a mantenere una continuità creativa che oggi si sta vivacemente esprimendo; la stessa tessitura, infine, può divenire un sostegno concreto per la conservazione del patrimonio ambientale, sociale e dei paesaggi fluenti dell’antica Persia.
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L’articolo che segue ci porta a percorrere le affascinanti sponde del medio corso della Loira. Laura Verdelli si sofferma, in particolare, sul processo di valorizzazione e rivitalizzazione in atto, basato sulla patrimonializzazione dei paesaggi culturali e naturali della Loira. Tale processo, associato alle dinamiche di valorizzazione e promozione dei prodotti enogastronomici e vitivinicoli, sta creando le condizioni per l’ottimizzazione delle risorse e l’adesione di tutti gli attori locali. Questo patrimonio (naturale, culturale e paesaggistico) fa parte, altresì, di progetti territoriali che lo mettono in valore come oggetto attivo di sviluppo innovativo, capace di rispondere contemporaneamente alle attese di abitanti e visitatori, in stretta connessione con i pilastri dello sviluppo sostenibile. Lo scritto di Angela Colucci illustra, sinteticamente, due interessanti esperienze sviluppate nell’ambito del percorso di ricerca “I Territori del fiume” e caratterizzate da un elevato grado di complessità, di integrazione tra molteplici obiettivi e di intersettorialità in termini di approccio, metodi interpretativi e sistemi di risposte: il caso del bacino del Reno (IPCR) e l’esperienza del Blue Ribbon Network (Greater London Plan 2004). I due casi, pur partendo da differenti sguardi, integrano molteplici temporalità, dimensioni, contesti e contemplano le differenti declinazioni del tema. L’obiettivo finale si può così sintetizzare: individuare sistemi di risposta per il governo del territorio (politiche, piani e progetti) in relazione alle differenti declinazioni delle dimensioni del tempo, dello spazio e dei contesti, al fine di garantire sistemi ambientali, territoriali e paesistici resilienti e di qualità. L’itinerario prosegue affrontando la prima delle tre realtà fluviali sul territorio italiano. Il saggio curato da Fabrizio Schiaffonanti e Elena Mussinelli, attraverso un resoconto degli studi e delle ricerche sviluppate (a partire dal 2002) nell’ambito del Dipartimento B.E.S.T. Building Environment Science and Technology del Politecnico di Milano, descrive in dettaglio la redazione del nuovo Piano d’area del Parco Naturale della Valle del Ticino piemontese. In particolare, viene posta l’attenzione su temi inerenti la lettura del “sistema delle risorse” (ecologiche, ambientali, culturali, paesaggistiche) caratterizzanti il territorio del Parco, gli obiettivi, gli indirizzi e i risultati attesi nel campo della pianificazione ambientale, territoriale e paesistica dell’area, con riferimento ai principali percorsi metodologici seguiti e alla struttura formale del Piano. Il saggio è introdotto da una breve premessa che evidenzia le molteplici azioni in atto nell’ambito del progetto ambientale del Parco del Ticino e nel più ampio contesto territoriale (ad esempio: gli studi sulle aree antistanti di preparco, eccetera). “Ciclopista, paesaggio golenale, bonifica” sono le tre parole chiave che sintetizzano l’articolo redatto da Paola Marzorati. Partendo dalle parole di Carlo Cattaneo, che definì la bassa pianura lombarda una “patria artificiale”, una patria il cui suolo “per nove decimi è opera e conquista degli uomini che l’hanno costruito”, e attraverso un personale e curioso “diario di viaggio”, scritto durante una passeggiata in un pomeriggio primaverile lungo le sponde dell’Oltrepo mantovano, Paola Marzorati ci guida alla conoscenza di alcuni percorsi a valenza paesaggistica lungo i principali corsi d’acqua e canali della rete di bonifica, realizzati all’intero di un progetto curato dalla Provincia di Mantova, in collaborazione con la Regione Lombardia e i Consorzi di bonifica. Il caso preso in esame riguarda il percorso ciclabile denominato “Sulle strade del Po”. L’ultima tappa dell’itinerario coincide con un interessante saggio curato dal Segretario dell’Autorità di Bacino del fiume Tevere Roberto Grapelli in collaborazione con Remo Pelillo. Prendendo atto dell’“autonomia” che differenzia l’attività di ciascuna Autorità di bacino e sottolineando, allo stesso tempo, l’esistenza di un comune denominatore rappresentato dalla necessità di conformare il proprio operato agli indirizzi nazionali, l’articolo evidenzia l’impegno dell’Autorità di bacino del Tevere nel proseguire nel solco di una tradizione che parte dagli inizi del Novecento e che, nel corso dei successivi decenni, ha lasciato una “impronta” forte e marcata diventando essa stessa una delle componenti fondanti del “paesaggio tiberino” ed ancora oggi (per le considerazioni esposte nello scritto) l’ispiratrice del futuro sviluppo di questo affascinante territorio.
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L’ultima sezione è dedicata al resoconto di “Progetti, Eventi e Segnalazioni”. Il primo dei tre eventi segnalati, svoltosi a Firenze il 10 e 11 maggio 2006, è il Convegno internazionale “Fiume, paesaggio, difesa del suolo. Superare le emergenze, cogliere le opportunità”. L’input culturale e scientifico di tale iniziativa (promossa ed organizzata dal Dottorato di Ricerca in Progettazione paesistica - prof. Giulio G. Rizzo, dott. Michele Ercolini - e dal Master in Paesaggistica - prof. Guido Ferrara - dell’Università degli Studi di Firenze), vale a dire il tentativo di trasformare un “sistema di esigenze” (riconducibile a necessità di difesa del suolo) in un “sistema di opportunità” per la progettazione di “nuovi paesaggi”, ha contraddistinto la maggior parte delle relazioni presentate nelle due giornate di lavoro. L’articolo a firma di Chiara Lanzoni, invece, è un dettagliato rapporto della presentazione del “Manifesto del Terzo paesaggio”, primo libro tradotto in italiano del paesaggista francese Gilles Clément. In apertura, Chiara Lanzoni punta l’attenzione sull’espressione “Terzo Paesaggio”, frammento indeciso del giardino planetario, luogo in cui l’uomo lascia alla sola natura l’evoluzione del paesaggio. La presentazione del libro, a cui hanno partecipato Stefano Boeri, Pierluigi Nicolin e il curatore del volume Filippo De Pieri, è coincisa con la precisazione, da parte di Clément, di alcuni concetti chiave (ripresi poi dall’autrice del saggio), tra cui si segnalano: la diversità contenuta nei luoghi del “Terzo paesaggio”; il funzionamento di questi spazi (l’estensione, il carattere, lo statuto, le sfide, la mobilità, l’evoluzione, la scala, la rappresentazione dei limiti, i rapporti con il tempo, la società e la cultura); lo stupore con cui dobbiamo guardare e rapportarci alla natura. Con l’intervento di Alessandra Cazzola, dedicato al workshop “Terre de Rivières” (organizzato a Roma il 16 e 17 novembre 2006 dal gruppo di ricerca del Dipartimento Interateneo di Pianificazione Territoriale e Urbanistica dell’Università di Roma “La Sapienza”, in collaborazione con altre Università europee), si chiude il numero monografico. Durante le due giornate di lavoro sono stati presentati progetti e ricerche (organizzati in tre sessioni tematiche: Pianificazione, Ecologia ed Educazione-Comunicazione) a testimonianza di problematiche comuni e ad indicazione di “buone pratiche”, con lo scopo di contribuire all’arricchimento delle iniziative e degli approcci integrati (sul piano scientifico, tecnico, amministrativo) per la gestione e la valorizzazione dei paesaggi fluviali. Obiettivo finale del progetto, che assume come contesto la Direttiva-quadro europea sull’acqua (2000/60), consiste nella definizione di una Convenzione sul paesaggio fluviale e di una Carta europea dei paesaggi fluviali.
* Dottore di ricerca in Progettazione paesistica, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’Università degli Studi di Firenze 4
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Saggi pagg. 5-12
IL FIUME, SEGNO E GENERATORE DI PAESAGGIO Giorgio Pizziolo *
Summary The river can be considered as a complex term of relationships, for the ecological connections with territory and environment, towards the settlements of populations, towards the anthropological transformations, and, in particular, towards the projects and the management of the fluvial resources. The whole thing can be referred to the continuous becoming of the complex fluvial phenomenon, which is related - often problematically – to many processes, both environmental and social. Interpretative consequent criteria, of projects, participation, social involvement. Some study cases will be described. Key-words River, landscape, territory, environment, anthropological transformations, participation
Abstract Il fiume come termine di relazione molteplice, sia nei rapporti ecologici con il territorio e con l’ambiente, sia nei confronti delle popolazioni insediate (i popoli del fiume), sia nei confronti delle trasformazioni antropiche ed in particolare nei confronti della progettazione e della gestione della “risorsa fiume”. Il tutto nelle dinamiche del continuo divenire del fenomeno fluviale complessivo, che si rapporta, spesso problematicamente, agli altri processi ambientali e sociali. Criteri interpretativi, di progetto e di partecipazione, conseguenti. Eventuali casi studio. Parole chiave Fiume, paesaggio, territorio, ambiente, trasformazioni antropiche, partecipazione
* Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Firenze
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È noto come ogni fiume, nel suo formarsi nei tempi geografici della sua esistenza ed in quelli della sua dinamica in perpetuo divenire, definisce ambiti territoriali che sono tanto di sua diretta pertinenza (alvei, golene, lanche, estuari, delta, eccetera), quanto di suo immediato riferimento (gole, pianure, vallate, bacini, eccetera), dei quali comunque esso è il protagonista principale. Dunque, il suo segno sul territorio è determinante, sia sotto la forma di segno immediato della sua presenza e della sua pertinenza, sia nella sua forma di segno “di contesto” e di area di riferimento. Ma sul territorio possiamo spesso ritrovare anche i segni del suo divenire nel tempo, possiamo riferirci alle tracce dei suoi andamenti e percorsi passati, successivamente abbandonati ma ancora visibili in molte maniere, sia dirette, sia legate alle “interpretazioni” conoscitive scientifiche. Già queste semplici considerazioni mostrano quanto sia complesso il rapporto tra il fiume ed il suo territorio di pertinenza, sia quello direttamente investito dal fenomeno, sia quello del suo contesto di riferimento, compresi quelli della sua storia geografica che spesso il territorio conserva come traccia. Si tratta in ogni caso di fenomeni grandiosi, geomorfologici, che incorporano al loro interno tempi variabili, a volte lunghi e costanti, a volte rapidi ed impetuosi. Su questa base geologica e geografica, si presentano ed hanno luogo i fenomeni della vita, che proprio la presenza dell’acqua dolce esalta nelle loro molteplici manifestazioni. Questo fenomeno, talmente noto che è quasi scontato nella sua descrizione, è comunque un fenomeno che non va sottovalutato, in particolare oggi, perché in molti casi è totalmente compromesso. Riscoprire oggi quella dimensione di fattore vivente primario che è propria del fiume (quando lo è effettivamente), è da un lato quasi un obbligo di consapevolezza e dall’altro un’esperienza esaltante. In ogni caso anche i fenomeni della vita si manifestano con quella ricchezza e diversità che abbiamo visto sopra, organizzandosi sia nelle modalità direttamente rapportabili al corso d’acqua sia come fenomeni viventi che si relazionano alla presenza di un corso d’acqua nel contesto di un vasto territorio (dai fenomeni climatici e microclimatici, alla fertilità, alla risorsa idrica accumulata disponibile, eccetera). In molte situazioni la presenza del corso d’acqua è fondamentale per l’esistenza della vita su quel territorio, ed in ogni caso lo è per il tipo di vita che scaturisce da quella stessa presenza. Sulla base di un tale dispiegamento di fenomeni risulta chiaro come anche le società umane hanno sempre dovuto fare i conti con il fiume, nel bene e nelle difficoltà che questo fatto comporta. Senza voler fare del “determinismo fluviale” certo è che molte civiltà sono direttamente legate alla presenza di un fiume, e alla maniera di rapportarsi al fiume stesso. Non vi è peraltro un’unica maniera di rapportarsi al fiume, ed anzi a volte il fiume ha unito le popolazioni dando luogo ad un rapporto stretto società/territorio, a volte il fiume ha diviso, creando sulle opposte rive dei popoli “rivali” (appunto!). A volte il fiume è stato via di penetrazione in territori sconosciuti o via di commerci, a volte è stato elemento di confine o di separazione o di scontro bellico. In ogni caso esso è sempre un fattore determinante. Il riferimento al corso d’acqua è peraltro elemento complesso e spesso contraddittorio. Si pensi al caso di Firenze in età comunale, la cui stessa origine è quella di essere città che si determina sull’attraversamento dell’Arno, e che per questo motivo è nodo viario di rilevanza internazionale, e che inoltre trae dal fiume l’energia e le acque per le sue lavorazioni (concerie, tintorie, eccetera). Ma la città, peraltro, è sottoposta a subire tutte le variabilità di un fiume a regime torrentizio, sotto il costante incubo delle alluvioni. Il legame tra la popolazione ed il fiume è di Amore/Odio, come è simboleggiato dal fatto che la città sul fiume è “murata”, e che anche il ponte originario è esso stesso edificato. Ma la città non cambierebbe mai la sua collocazione, e preferisce convivere con il pericolo piuttosto che abbandonare il corso d’acqua, sua origine e sua forza. 6
Figure 1-2. Com’è noto il paesaggio è strumento privilegiato di “lettura di relazioni” ed è “struttura relazionale esso stesso”.
Al contrario (contemporaneamente) si può prendere in considerazione il caso di Siena in età comunale posta su uno spartiacque, tra bacino dell’Arno e bacino dell’Ombrone, anch’essa vincolata ad una viabilità internazionale (la Francigena), ma, proprio perché situata su un valico, drammaticamente lontana da corsi d’acqua perenni, tanto da essere costretta a crearsi un corso d’acqua artificiale sotterraneo (i “Bottini”) e a vagheggiare un fiume sotterraneo inesistente (la Diana). Forse all’origine delle diverse vicende dei secoli successivi, che distinguono le due città, può darsi che il diverso e opposto riferimento ad un corso d’acqua abbia contribuito alle diverse evoluzioni delle due città comunali, e in particolare delle loro industrie manifatturiere e delle loro culture. In realtà, ogni città ha un suo proprio modo di rapportarsi al suo corso d’acqua, non solo, ma la stessa città può cambiare nel tempo il modo di riferirsi al suo fiume (emblematico il caso di Roma, che cambia nel tempo il rapporto con il suo corso d’acqua dagli affacciamenti e i porti fluviali della città antica alle opere di difesa della città pre e post unitaria). In ogni caso lo studio di questa “relazione” è di grandissimo interesse e riserva scoperte affascinanti. Una chiave per affrontare tale “relazione”, può essere quella del “Paesaggio”. Com’è noto il Paesaggio è strumento privilegiato di “lettura di relazioni” ed è “struttura relazionale esso stesso”1. 1
Su questo argomento abbiamo sviluppato molte ricerche, verificandole in rapporto a riferimenti epistemologici interdisciplinari e ad esperienze progettuali. I risultati sono stati comunicati e divulgati in più occasioni e descritti in numerose pubblicazioni. Tra queste si segnalano due volumi: GIORGIO PIZZIOLO, RITA MICARELLI, L’arte delle
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Questo carattere relazionale del Paesaggio è ancora più evidente se si fa riferimento all’idea di Paesaggio, così come è sviluppata nella Convenzione Europea. In essa il paesaggio è visto come fenomeno della complessità, in quanto Territorio (e suo assetto) e contemporaneamente in quanto Percezione del territorio stesso. Dunque un doppio fenomeno fisico ed antropico al tempo stesso, certamente in sé relazionale. Nella Convenzione Europea la percezione del paesaggio oltre che individuale è pensata come collettiva, e in tal modo il paesaggio assume la dimensione di un fenomeno sociale, e perciò di un fenomeno intrinsecamente relazionale. Ed infine il paesaggio viene considerato come un fenomeno frutto di apporti naturali e antropici e, come dice il testo, delle loro “Interrelazioni”. Ora, tenendo conto come abbiamo visto che le relazioni tra fenomeni geografici e naturali, e più ancora quelle tra popolazioni umane e uso del fiume, non sono solo lineari e deterministiche ma spesso complesse e polisemiche, risulterà chiaro come sia necessario ricorrere alla categoria delle “relazioni”, a rapporti cioè “aperti ed evolutivi”, per addentrarci nello studio dei fiumi e della loro influenza sulle città e sulle campagne. Le tre famiglie di relazioni, alle quali fa riferimento la Convenzione Europea, già aprono ad una molteplicità di casi che ci consentono di incrociare letture differenziate anche di uno stesso fenomeno, modificando progressivamente il nostro punto di vista, e passando da letture eminentemente scientifiche, a letture sociali, a letture della complessità di incrocio di fenomeni che non sono sempre direttamente comparabili tra loro e che si esprimono con linguaggi eterogenei e differenti. Spesso, per superare alcune difficoltà di comparazione, possiamo poi disporre di uno strumento di grande suggestione e di immediata efficacia comunicativa: il ricorso alle arti in particolare alla poesia e alla pittura - che spesso ci svelano il senso nascosto del paesaggio e delle sue intrinseche relazioni con i sentimenti o con il pensiero delle persone e delle società umane. Fiumi e paesaggi, dipinti narrati o musicati, ci parlano di antiche e nuove relazioni per via diretta, quella della relazione per antonomasia: la via dell’arte. Ma il riferimento alla Convenzione Europea ci consente di affrontare anche la questione più preoccupante, quella della condizione attuale dei fiumi e quella del rapporto tra fiumi, società, popolazioni. Quanto più può essere affascinante lo studio delle relazioni tra l’uomo ed il corso d’acqua nella sua dimensione storica e potenziale, pur con tutte le sue contraddizioni e complessità, così all’opposto risulta deprimente constatare la banalizzazione e l’alterazione dei rapporti che si rivelano nella situazione attuale. Spesso il fiume, nella sua perdita di significato naturale e di fattore vitale, può essere preso ad esempio limite, a caso emblematico, della perdita di relazione tra società umane e ambiente. Se infatti prendiamo in considerazione tutti e tre gli aspetti che abbiamo visto caratterizzare il fenomeno fiume, e cioè: a) il territorio di pertinenza del corso d’acqua e dei suoi ambiti stagionali e di formazione del corso stesso; b) il territorio di riferimento ampio, dove il fiume si rapporta al suo contesto; c) la dimensione vivente del corpo idrico e delle sue relazioni anch’esse viventi, sia quelle molto vicine che quelle di più ampia prossimità; ci accorgiamo che tutti questi fenomeni risultano oggi praticamente alterati, e ciò vale sia per i nostri fiumi italiani che per la maggior parte dei fiumi europei e mondiali. Ciò che sta accadendo è principalmente dovuto al fatto che si è perduta la percezione della complessità del ‘fenomeno fiume’ per riversare su di esso ogni tipo di sfruttamento: idraulico, energetico, di depurazione e di scarico e di regimazione delle acque, tutti esercitati separatamente e seguendo modelli industriali. relazioni, Alinea, Firenze 2003; GIORGIO PIZZIOLO, RITA MICARELLI, Dai margini del Caos, l’ecologia del progettare, Alinea, Firenze 2004.
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Figura 3. “Questo è il Teatro della progettazione del Parco Fluviale nella Piana fiorentina”.
Oggi diventa ancor più necessaria una lettura paesistica del rapporto contemporaneo uomo/fiume, questa volta utilizzata in senso inverso e cioè per una lettura paesistica dell’alterazione e dei paesaggi degradati. Una tale lettura, come anche ci viene consigliata nella Convenzione Europea, può tornarci di grande utilità. Come poterla effettuare? Anche questa volta, e a maggior ragione, occorre usare il concetto di “Relazione”, applicato alle tre casistiche che abbiamo visto; ciò può avvenire sia comparando le precedenti relazioni con quelle esistenti, sia affrontando quelle in atto come problemi dai molteplici aspetti, compreso il punto di vista degli abitanti. Solo un procedimento conoscitivo relazionale può essere in grado di ricomporre in un quadro significativo tutte le diverse problematiche di situazioni così complesse, a cominciare da quelle partecipative delle popolazioni coinvolte. Di fronte a questo stato di cose da molti anni si è sviluppata l’ipotesi di poter intervenire progettualmente per cercare di invertire queste pericolose tendenze, sia nei confronti dei fiumi divenuti dei pericoli incombenti sulle popolazioni urbane e rurali, sia nei confronti di inquinamenti non più tollerabili, sia per l’impoverimento degli ambienti di vita dei fiumi, tanto nelle città e segnatamente nelle periferie, quanto nel territorio. Come al solito in Italia, di fronte ad un imponente mole di ‘progetti disegnati’, siamo in presenza di pochissimi casi realizzati. In Europa le cose vanno meglio; in particolare l’esperienza dell’Emscher Park in Germania ci mostra il caso raro di una riqualificazione ambientale e paesistica di un intero contesto fluviale, di un’intera vallata. Ma anche in Francia e in Spagna vi sono esempi, generalmente urbani, di riprogettazione fluviale o di gestione partecipata (vedi i Contratti di fiume francesi). Personalmente riteniamo che anche e proprio in fase progettuale e di proposta di nuovi paesaggi la dimensione “relazionale” dovrebbe avere la massima utilizzazione, anche per evitare i ‘progetti-maquillage’, solo di facciata, che non ricostruiscono rapporti viventi tra le parti alterate del fiume, come pure talvolta ci capita di vedere. 9
Figura 4. La Piana di Firenze in un “diverso divenire”, dove il Parco fluviale avrebbe assunto un ruolo fondamentale.
Come esempi di una progettazione paesistica relazionale potremmo citare alcuni nostri casi “storici”, già pubblicati, che risalgono agli Ottanta-Novanta del secolo scorso. Essi riguardano l’Arno nel tratto a monte e a valle di Firenze, e l’Elsa, il fiume affluente dell’Arno che si snoda nella sua vallata fino a confluire nell’Arno in corrispondenza di Empoli, a valle della gola della Gonfolina2. Il primo caso - che risale agli anni Ottanta - è quello del Parco fluviale dell’Arno nel Comune di Bagno a Ripoli (Firenze). Si trattava di elaborare un Parco fluviale lavorando su un piccolo tratto (quello di pertinenza comunale), su una sola riva e sul solo versante collinare ad essa correlato, dimostrando la fattibilità di una realizzazione ambientale impostata sulla gestione e la promozione della risorsa fluviale nella sua complessità. In quella occasione i tre livelli del valore paesistico del fiume (l’ambito fluviale vero e proprio, il contesto, e il fiume come struttura della vita) venivano affrontati relazionalmente ciascuno in sé ma più che altro nei rapporti che intercorrevano tra loro. Si svilupparono così i diversi tematismi progettuali: - la valorizzazione del suolo nella connessione tra agricoltura risanata e alimentazione; - l’uso molteplice della risorsa acqua intesa come bene ambientale e valorizzata ecologicamente nella sua gestione civile (la fitodepurazione delle acque reflue per piccoli impianti, la creazione di un canale verde/blu come passeggiata e come adduzione delle acque all’impianto acquedottistico della città di Firenze, la valorizzazione degli impianti territoriali storici (Pescia e Gualchiere di Remole) anche in funzione della produzione energetica ad ‘acqua fluente’; - il rapporto tra il tratto di fiume nel territorio di Bagno a Ripoli e la città di Firenze (accessibilità, percorsi, piccoli mercati, orti fluviali organizzati in forma di giardino sociale e di impianto di micro compostaggio, con recupero dei rifiuti vegetali prodotti negli stessi orti); - i collegamenti col territorio più vasto connessi con gli antichi percorsi e con l’intero corso del fiume (la via Maremmana etrusca, i percorsi di raccordo alle colline). I tematismi vennero ad incrociarsi reciprocamente lungo tutto il percorso del fiume, costituendo un intreccio di relazioni, di ritmi, di disposizioni impiantistiche territoriali e di suggestioni estetiche, fino a determinare un assetto spazio-temporale fluente, quasi un andamento sinfonico. Non fu proposta alcuna ‘zonizzazione’ tradizionale ma fu prodotto un disegno territoriale molto articolato in cui si esprimevano direttamente e sinteticamente le molte complesse suggestioni progettuali.
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I progetti dei due parchi sull’Arno sono stati pubblicati sui numeri monografici della rivista Parametro, n. 146, aprile 1986; n. 193, novembre-dicembre 1992, a cura di Giorgio Pizziolo. Il Parco dell’Elsa è stato descritto nel volume GIORGIO PIZZIOLO, RITA MICARELLI, Dai margini del Caos, l’ecologia del progettare, Alinea, Firenze 2004.
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Figura 5. Il Parco fluviale sulla riva dell’Arno a Lastra a Signa: ipotesi di progetto.
Il secondo caso è quello del Parco fluviale sulla riva dell’Arno a Lastra a Signa, a valle di Firenze e direttamente a contatto con il nuovo impianto di depurazione delle acque della città. Il parco avrebbe dovuto ‘mitigare’ l’impatto di questo impianto, sorto a poca distanza dall’abitato di Lastra a Signa e incombente sulla riva fluviale di pertinenza comunale. Si trattava di ritrovare contemporaneamente una via accettabile per ‘riavvicinare’ il fiume al centro storico di Lastra e per promuovere un uso sociale delle aree di pertinenza fluviale ancora recuperabili. Il progetto si fondò, dunque, sulla nuova relazione vitale della rinascita delle acque in uscita dal depuratore e il Parco divenne così un’occasione per affrontare l’impatto provocato dalla grande quantità di acque reflue (ancorché depurate a norma di legge) e di operare il loro monitoraggio attraverso la creazione di un nuovo sistema di circolazione e di fitodepurazione di finissaggio delle acque in uscita. Il ‘monitoraggio’ avveniva direttamente in grandi fontane, canaletti e sistemi di ossigenazione, integrati da un sistema di percorsi e di fruizioni articolate degli spazi coltivati e delle aree recuperate dal degrado dopo lunghi sfruttamenti industriali (una fornace e la sua cava di argille esaurita, e altri impianti abbandonati). Il sistema della vegetazione di nuovo inserimento forniva la base per riattivare le relazioni tra l’ambito fluviale, il centro storico e la collina di Lastra, che era stata separata dal fiume, fino alla sua estraniazione. Un Parco di relazioni e di ‘acque ritrovate’ nella suggestione estetica che superava la mera funzionalità di un semplice e doveroso risanamento ambientale per diventare luogo di attrattive e di consapevolezza sociale . Infine, negli anni Novanta, fu predisposto un progetto di fattibilità per il Parco dell’Elsa (terzo caso) che privilegiava la relazione dialettica e contrapposta tra ambiente fluviale ritrovato nell’ambito dell’agro-ecosistema di fondovalle e pedecollinare, messo a confronto con la città industriale/lineare dell’Elsa, alla quale il parco faceva da spalla ecologica relazionale, insieme col verde urbano di interconnessione tra un nucleo abitato e l’altro.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI PIZZIOLO GIORGIO, MICARELLI RITA, L’arte delle relazioni, Alinea, Firenze 2003. PIZZIOLO GIORGIO, MICARELLI RITA, Dai margini del Caos, l’ecologia del progettare, Alinea, Firenze 2004. Rivista Parametro, n. 146, aprile 1986, numero monografico a cura di Giorgio Pizziolo. Rivista Parametro, n. 193, novembre-dicembre 1992, numero monografico a cura di Giorgio Pizziolo.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Tutte le immagini utilizzate sono state fornite dall’autore del testo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Saggi pagg. 13-25
LA
VALUTAZIONE DEL PAESAGGIO FLUVIALE: ASPETTI METODOLOGICI E TECNICHE APPLICATIVE
Giovanni Campeol *
Summary The essay intend to tackle the methodological questions and the applicable techniques linked to the reading of the landscape transformations. The evaluation approach overcomes the traditional landscape readings, usually detailed, but strongly affected by the cultural formation and merely descriptive. The overcoming happens thanks to the research of coherence, logical and rationality between the analytical and the project and planning apparatus. Using a studying case it will be possible to check the efficacy of the evaluation approach, understanding the landscape transformations. Key-words Landscape, environmental evaluation, urban planning, river planning
Abstract Il saggio intende affrontare le questioni metodologiche e le tecniche applicative legate alla lettura delle trasformazioni del paesaggio, con particolare riferimento ai corsi d’acqua. L’approccio valutativo avanza le tradizionali letture del paesaggio, spesso sofisticate ma fortemente influenzate della formazione culturale di chi le effettua, grazie alla ricerca di momenti di coerenza, logica e razionalità tra apparato analitico e ipotesi pianificatorie (con relative definizioni normative). Attraverso la presentazione di un caso studio (fiume Adige) è possibile verificare l’efficacia dell’approccio valutativo nell’interpretazione delle trasformazioni del paesaggio. Parole chiave Paesaggio, valutazione ambientale, pianificazione urbanistica, pianificazione fluviale
* Dipartimento di Costruzione dell’Architettura, Università IUAV di Venezia
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PREMESSA Considerare il paesaggio come “strumento” per produrre pianificazione territoriale ed urbanistica è sempre stata un’aspettativa di grande fascino che ha coinvolto, in tempi recenti, studiosi di formazioni diverse come Steiner o Sereni. In tal senso anche il legislatore ha provveduto a emanare leggi e norme, in epoche diverse, che imponevano la necessità di redigere strumenti urbanistici di tipo paesaggistico. Tuttavia per quanto il paesaggio rappresenti la fonte stessa della conoscenza, in quanto capace di descrivere l’evoluzione storica del territorio, i risultati dal punto di vista dell’efficacia della strumentazione urbanistica di tipo paesaggistico sono stati assai deludenti. In questo saggio non si intende dissertare sull’evoluzione del concetto di paesaggio nella disciplina urbanistica e neppure sulla natura giuridica delle norme che hanno introdotto l’obbligo della pianificazione paesaggistica, in quanto esiste una ponderosa letteratura in materia. Piuttosto si vuole affrontare una questione assai più pratica, “volgare” se si vuole, di come trasferire la lettura del paesaggio nella redazione degli strumenti di pianificazione, attraverso procedimenti (meglio protocolli) di tipo valutativo. Si ritiene, infatti, che questo sia il modo più efficace per poter introiettare conoscenze di tipo paesaggistico nell’elaborazione degli strumenti urbanistici, altrimenti influenzati prevalentemente da variabili di tipo economico, ieri, e di tipo ecologico o pseudo ecologico, oggi. Infatti, piuttosto che elaborare strumenti di pianificazione con l’aggettivazione paesaggistica o ecologistica, è forse meglio elaborare piani che sappiano introiettare la lettura del paesaggio in modo strutturale, inteso come contenitore delle componenti biotiche, abiotiche e umane. Il paesaggio è stato oggetto di una molteplicità di studi che hanno generato una proliferazione di definizioni, con significati piuttosto ambigui (fatto di per sé positivo se 1 inserito nell’interpretazione geografica di Dematteis ). Ingegnoli (1993) lo definisce come “[…] porzione di territorio eterogenea composta da un insieme di ecosistemi interagenti che 2 si ripete con struttura riconoscibile” , definizione che trova nella “Landscape Ecology” la sua massima espressione. Inoltre il paesaggio è stato interpretato spesso a fini della sola tutela, attraverso chiavi di lettura basate sul “parere” di saperi esperti (funzionari ministeriali, soprintendenti, commissioni edilizie, eccetera) frutto di semplicistici e spesso apodittici giudizi di valore. Approccio, questo, che non può essere metodologicamente annoverato nei processi valutativi e che non ha prodotto alcuna evoluzione nel campo della pianificazione territoriale e urbanistica, generando un dispendioso conflitto tra “conservazionisti” e “trasformisti”. IL RUOLO DELL’AMBIENTE E DEL PAESAGGIO NELLA DISCIPLINA URBANISTICA È legittimo chiedersi, innanzitutto, come mai le discipline che hanno come obiettivo fondamentale il “saper fare” nel territorio, in primis l’urbanistica, hanno per tanto tempo impedito che l’approccio ambientale divenisse una modalità consolidata nella costruzione del “progetto nel territorio”. Nel campo disciplinare della più generale pianificazione territoriale e urbanistica, l’approccio teorico e metodologico si è caratterizzato, e in parte ancora si caratterizza, sostanzialmente in due visioni che spesso sono state in conflitto tra di loro, sia per motivi culturali che per motivi accademici. Tale scontro, assai evidente nella “scuola” veneziana, ma presente anche in altre realtà, ha generato una sostanziale incapacità di comprendere l’importanza, se non l’utilità, dell’approccio ambientale nel fare pianificazione. 1 2
GIUSEPPE DEMATTEIS, Le metafore della terra, Feltrinelli, Milano 1985. VITTORIO INGEGNOLI, Fondamenti di ecologia del paesaggio, Cittàstudi, Milano 1993.
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Da un lato i fautori dell’analisi territoriale leggevano, e ancora leggono, il progetto come corollario delle trasformazioni, assegnando alla visione “sociologico-storicistica” un ruolo rilevante se non esclusivo per la comprensione delle trasformazioni territoriali. Dall’altro i 3 fautori della progettazione urbanistica, di matrice “architettonico-ingegneristica” , leggevano le trasformazioni territoriali come frutto della realizzazione di progetti, relegando l’analisi ad un ruolo strumentale agli stessi. Mentre la visione architettonico-ingegneristica, una volta sottrattasi dall’abile conflitto generato dalla visione sociologico-storicistica, ha con maggiore velocità preso atto della rilevanza delle tematiche ambientali come fondamentale aiuto alla progettazione, la visione sociologico-storicistica si è involuta in un processo di riduzionismo accademico nel quale la questione ambientale è stata nominalmente inserita (anche moltiplicando corsi di “ecologia”) ma con un ruolo marginale e di tipo formale. In tal senso appare emblematico osservare come oggi la visione sociologico-storicistica si sia indirizzata verso una lettura delle trasformazioni territoriali prevalentemente attraverso i processi partecipativi, enfatizzando la tecnica dell’“ascolto”, ma abbandonando tutto il sapere teorico, metodologico e tecnico necessario per valutare ed elaborare il progetto urbanistico. E il paesaggio? Sostanzialmente questo tema ha avuto, per alcuni aspetti, ancora meno fortuna in quanto è stato relegato, per molto tempo, ad un ruolo prevalentemente poetico-percettivo, assolutamente inutile nella visione “sociologico-storicistica” e di una qualche marginale utilità nella visione architettonico-ingegneristica. Mentre nel primo caso la famiglia accademica ignorava, e tuttora ignora, le teorie e le metodologie di lettura del paesaggio (avendole rifiutate in quanto non coerenti con la teoria del conflitto sociale, quale motore delle trasformazioni), nel secondo caso si è iniziato a riflettere sull’utilità di questa lettura delle trasformazioni per indirizzare le scelte di piano. Tuttavia, in questo secondo caso, si evidenzia una certa difficoltà ad utilizzare il paesaggio nell’elaborazione degli strumenti di piano e dei progetti, causa la mancanza di un apparato metodologico capace di gestire il processo tra l’analisi del paesaggio e l’elaborazione dei piani e dei progetti. Tale difficoltà metodologica, però, può essere superata attraverso l’applicazione dei procedimenti di valutazione ambientale capaci di internalizzare nel processo di piano le più generali tematiche ambientali compreso il paesaggio. UN CASO APPLICATIVO DI VALUTAZIONE DEL PAESAGGIO: IL TERRITORIO DEL FIUME ADIGE Tra i molti lavori ai quali direttamente si è preso parte nel campo della valutazione del 4 paesaggio , quello relativo al caso del fiume Adige si presenta come emblematico non solo per l’interpretazione del paesaggio fluviale, ma anche per la metodologia utilizzata per 5 tradurre detta interpretazione in azioni di tipo urbanistico. Dal 1997 al 2000 , si è sviluppata una ricerca molto complessa avente per oggetto le fasce fluviali dell’Adige, nella quale hanno collaborato esperti di discipline diverse (come la biologia, la chimica, le scienze naturali, l’urbanistica, l’architettura, eccetera), analizzando in dettaglio undici aree campione, dalla sorgente alla foce, rappresentative delle diverse morfologie del bacino fluviale (figure 1, 2 e 3). 3
Assai interessanti sono le riflessioni di Eugene Hargrove che evidenziano come nei fondamenti della filosofica greca si nasconda l’ostacolo concettuale più rilevante nella comprensione dell’importanza delle questioni ambientali per la gestione del territorio. 4 Si veda in particolare la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) (responsabile Giovanni Campeol, coordinamento Sandra Carollo), elaborata in occasione del nuovo PRG del Comune di Schio (VI), in cui si è applicato un particolare modello di valutazione del paesaggio capace di interpretare le trasformazioni dello stesso in senso storico e di simulare le future modificazioni generate dalla realizzazione del PRG. 5 GIOVANNI CAMPEOL, Utilizzi pianificatori delle analisi biologiche-ecologiche in alcune aree campione fluviali dell’Adige (coordinamento: Barioni Anna, collaboratori Girelli Loredana e Masconale Matteo), 2000. Ricerca, finanziata dall’Autorità di Bacino dell’Adige, “Studi e ricerche finalizzati alla conoscenza integrata della qualità delle rive del fiume Adige”, responsabile: Braioni Maria Giovanna, Dipartimento di Biologia, Università di Padova.
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Figura 1 (a sinistra). Bacino idrografico dell’Adige. Figura 2 (a destra). Individuazione geografica delle undici aree campione lungo il corso del fiume Adige.
L’obiettivo principale era quello di riuscire, attraverso il coordinamento di esperti di diverse discipline, a trasferire nel processo di pianificazione territoriale e urbanistica analisi e valutazioni necessarie per definire norme urbanistiche, utilizzabili per la redazione del Piano territoriale di bacino idrografico. Le informazioni delle diverse discipline sono state aggregate in tre grandi “contenitori” denominati Analisi Territoriali, Analisi Ecologiche, Biologiche, Fisico-Chimiche, Microbiologiche e Analisi Paesaggistiche, affrontando: 1. la definizione di un metodo di indagine per governare il fiume stabilendo una gerarchia delle analisi specialistiche. Questa gerarchia seleziona alcuni indicatori analitici primari che permettono di conoscere nel modo più completo e approfondito possibile il sistema fluviale; 2. una serie di sopralluoghi per approfondire e valutare in senso ambientale aspetti quali quelli paesaggistici, ecologici, storici, urbanistici, in modo da costruire elaborati dell’evoluzione dei processi insediativi in relazione alle componenti biologiche ed ecologiche; 3. una dettagliata analisi paesaggistica; 4. un’elaborazione dei dati raccolti attraverso check-list contenenti tutte le informazioni relative alle diverse discipline; 5. una stesura di cartografie tematiche con relative documentazioni fotografiche al fine di rappresentare le diverse qualità ambientali delle aree campione. Tale raccolta consentirà di portare ad unità diverse informazioni generalmente suddivise in diversi campi disciplinari (Biologia, Urbanistica, Botanica); 6. un’elaborazione di “abachi” contenenti normative e procedure per gli indirizzi progettuali e gestionali.
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Figura 3. Vista aerea di una parte del bacino idrografico dell’Adige.
In questo saggio viene presentata una sintesi del modello valutativo adottato per il Paesaggio, utilizzando un approccio derivato dalla Landscape Ecology, organizzando e razionalizzando un percorso logico tra analisi paesaggistiche e indicazioni pianificatorie. Steiner, affermando che “Chi pianifica il paesaggio ha bisogno di un metodo che costituisca 6 una struttura organizzativa e di procedure di riferimento” , elabora un modello di “pianificazione ecologica” che è stato reinterpretato, in occasione del caso studio, in uno schema metodologico sintetico (figura 4). Il sistema di valutazione del paesaggio utilizzato nel caso del fiume Adige si basa su una lettura dettagliata di molti aspetti costituenti una determinata fascia fluviale, ovvero bosco, corpi d’acqua, siepi, prati, arativi, insediamenti urbani e industriali, infrastrutture, elementi detrattori ed attrattori, attraverso una Scheda di rilevamento. Attribuendo a ciascun aspetto un punteggio opportuno, si è potuto “misurare”, mediante aggregazione dei valori quantitativi, il valore complessivo per ogni area di rilevamento. I valori così ottenuti sono stati poi suddivisi in cinque classi di qualità del paesaggio: ottima, discreta, media, scarsa e pessima. Le undici aree omogenee ai fini valutativi sono state delimitate in Aree Di Rilevamento (ADR), in cui applicare una complessa Scheda di Rilevamento (figura 5). Dette ADR vengono delimitate dalla presenza di barriere visive, costituite da rilievi o da altri elementi occlusivi naturali o artificiali. Nel caso in cui il fiume scorra in zone vallive, esse si estendono fino al primo grande segno morfologico. Nelle aree di pianura, dove non si riconoscono segni evidenti di interruzione del territorio, l’ADR si estende fino a dove l’occhio riesce a percepire ancora distintamente ogni forma e ogni elemento caratterizzante il paesaggio (circa ottocento metri).
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FREDERICK STEINER, Costruire il paesaggio, Mc Grav-Hill, Milano 1994.
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Figura 4. Schema metodologico sintetico.
Figura 5. Modello di scheda di rilevamento.
Ogni ADR è a sua volta suddivisa in due sub aree: l’ADR1 si muove dal fiume al primo elemento morfologico principale, l’ADR2 dal primo elemento morfologico principale verso il paesaggio circostante fino a coprire l’estensione di tutta l’ADR (figura 6). L’individuazione delle sub-aree è importante per la compilazione della scheda e la successiva valutazione del paesaggio. Nella Scheda Tecnica di Rilevamento vengono individuati sei gruppi omogenei di elementi da analizzare: Emergenze architettoniche; Viabilità e infrastrutture; Aspetti vegetazionali; Elementi d’acqua; Altri elementi; Scena visiva.
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Figura 6. Schema ADR.
Per ognuno dei primi cinque gruppi è prevista una descrizione degli elementi così come si percepiscono nelle ADR1 e ADR2. Il sesto gruppo è invece oggetto di lettura separata. Il metodo di raccolta delle informazioni è basato sulla divisione in tre distinte colonne della Scheda di Rilevamento, nelle quali verranno individuati, gruppo per gruppo, tutti i singoli elementi percepiti. Nella prima colonna sono riportati tutti gli elementi percepiti percorrendo l’intera ADR; nella seconda colonna gli elementi presenti nell’ADR1; nella terza gli elementi dell’ADR2. Le aree limitrofe all’ADR vengono prese in considerazione nel sesto gruppo di elementi. Di seguito si descrivono le caratteristiche degli elementi costituenti i diversi gruppi, ovvero le emergenze architettoniche, la viabilità e le infrastrutture, gli elementi vegetazionali, gli elementi d’acqua, altri elementi e la scena visiva. Gruppo 1 – Emergenze architettoniche. Le informazioni relative alle diverse tipologie edilizie vengono aggregate in nove sottogruppi: 1.1 Edifici isolati; 1.2 Aggregato urbano; 1.3 Centro urbano; 1.4 Case isolate rurali; 1.5 Corti rurali; 1.6 Aggregato rurale; 1.7 Annessi rustici; 1.8 Allevamenti zootecnici; 1.9 Edifici industriali. Ciascuno di questi sottogruppi viene suddiviso a sua volta per specificare in dettaglio i diversi manufatti in relazione alla loro qualità. Gruppo 2 – viabilità e infrastrutture. In questo gruppo vengono descritte le vie di comunicazione, tra cui le autostrade, le strade di scorrimento veloce, le strade di collegamento tra centri, le strade poderali/interpoderali, le strade arginali e la ferrovia, eccetera. Gruppo 3 – elementi vegetazionali. Gli elementi descritti sono: il bosco, caratterizzato dall’associazione di alberi, arbusti e cespugli; la massa arborea, intesa come associazione di ridotte dimensioni di alberi e arbusti; gli alberi isolati notevoli; i filari; i viali alberati; il canneto e le colture, distinte in cinque voci, e l’incolto. Gruppo 4 – elementi d’acqua. All’interno di questo gruppo vengono descritti tutti gli elementi d’acqua, naturali e/o artificiali, ad esclusione del fiume. Gruppo 5 – altri elementi. Gli elementi utili che non possono essere riuniti sotto i precedenti quattro gruppi, vengono descritti suddivisi in: 5.1 Elementi detrattori; 5.2 Elementi attrattori. Nel sottogruppo 5.1 (“elementi detrattori”) viene segnalata la presenza di rumori o di odori, la presenza di depositi di rifiuti, la presenza di cave e di strutture agricole (quali tunnel, reti antigrandine, ricoveri per attrezzi agricoli, eccetera). Tra gli elementi del sottogruppo 5.2 (“elementi attrattori”) è possibile individuare suoni melodici, variazioni cromatiche, coltivazioni a mosaico e a terrazzo. Gruppo 6 - Scena visiva. In quest’ultimo gruppo viene descritta sia la visibilità dell’ADR1 e ADR2 dal percorso principale, che può essere diretta, filtrata, limitata o nulla, sia il paesaggio di secondo piano.
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Tabella 1. Classi qualitative per le ADR.
La valutazione quantitativa del paesaggio fluviale dell’Adige L’attribuzione dei punteggi a ciascun indicatore di paesaggio, così come descritto attraverso la Scheda di Rilevamento, consente di valutare le caratteristiche del paesaggio delle undici aree campione. Per ogni indicatore appartenente ai sei diversi gruppi di elementi omogenei della scheda di rilevamento, si sono individuati i criteri per definire cinque diverse valutazioni quantitative: 1. APICE POSITIVO, attribuito agli elementi di eccezionale qualità la cui presenza è in grado da sola di connotare positivamente il paesaggio. 2. APICE NEGATIVO, attribuito agli elementi fortemente degradanti la cui presenza è sufficiente a determinare una configurazione negativa del paesaggio. 3. PUNTEGGIO POSITIVO (+1), attribuito agli elementi che contribuiscono positivamente, senza tuttavia incidere in modo determinante alla valutazione complessiva. 4. PUNTEGGIO NEUTRO (0), attribuito agli elementi significativi dal punto di vista percettivo ma che non si pongono né come elementi di attrazione, né come elementi di disturbo. 5. PUNTEGGIO NEGATIVO (-1), attribuito agli elementi che contribuiscono negativamente, ma non in modo determinante sul lavoro finale. Calcolo dei valori quantitativi Considerando le schede singolarmente, si procede individuando il punteggio complessivo, sommando algebricamente tutti i valori relativi agli elementi individuati nei sei gruppi della scheda di rilevamento. Al fine di simulare il più possibile la complessità e la diversità degli elementi costituenti il paesaggio delle diverse ADR è necessario ponderare i risultati, poiché non tutti i parametri hanno la stessa importanza nella determinazione delle qualità visive. Pertanto viene scelto un opportuno coefficiente moltiplicatore per ciascun gruppo omogeneo sulla base dell’importanza, in relazione, ad esempio, delle caratteristiche storico-culturali degli elementi costituenti le ADR: EMERGENZE ARCHITETTONICHE coefficiente 2 VIABILITÀ E INFRASTRUTTURE coefficiente 1 ELEMENTI VEGETAZIONALI coefficiente 3 ELEMENTI D’ACQUA coefficiente 3 ALTRI ELEMENTI coefficiente 1 SCENA VISIVA coefficiente 2 Da un’identificazione quantitativa del paesaggio è necessario giungere ad una classificazione qualitativa sintetica finale, in base della sommatoria algebrica ed alla successiva ponderazione dei punteggi assegnati per le diverse ADR (comprese le ADR1 e ADR2).
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Figura 7. Area 04 - Valutazione paesaggistica, normative e abachi.
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Figura 8. Area 08 - Valutazione paesaggistica, normative e abachi.
Il punteggio ottenuto nella compilazione delle schede di rilevamento delle undici aree campione, ha permesso di individuare cinque categorie qualitative del paesaggio, ovvero Buona, Discreta, Media, Scarsa e Pessima, alle quali associare delle azioni pianificatorie. Dette azioni si basano sul principio che più il paesaggio è di elevata qualità più esso debba essere “conservato”; ne consegue che esse possono declinarsi nella Conservazione, Valorizzazione, Recupero, Riqualificazione e Ricostruzione del paesaggio, secondo la correlazione evidenziata nella tabella 1.
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Figura 9. Area 11 - Valutazione paesaggistica, normative e abachi.
Come evidenziato dalla figura 4, le linee guida e le norme urbanistiche definite per la pianificazione territoriale delle fasce fluviali dell’Adige, emergono dalla valutazione interdisciplinare che ha coinvolto tre grandi sistemi, quello delle analisi Territoriali (Mosaico dei PRG, Elaborazione di carte tematiche), delle analisi Ecologiche, Biologiche, Fisico-chimiche, Microbiologiche e quello delle analisi Paesaggistiche. Per tutte le undici aree campione si è così definito il livello di qualità paesaggistica condizione base per individuare le azioni pianificatorie. Si presentano (vedi figure 7, 8 e 9) tre aree campione 04 Bolzano, 08 Brentino Belluno – Dolcè (VR) e 11 Badia Polesine (RO), per le quali si evidenzia il risultato della valutazione paesaggistica, le azioni pianificatorie, i contenuti della norma e gli abachi progettuali. 23
Articoli normativi per il Piano di bacino dell’Adige Le valutazioni interdisciplinari (urbanistiche, ecologiche, biologiche, fisico-chimiche, microbiologiche e paesaggistiche), hanno permesso, quindi, di redigere le norme urbanistiche per il Piano di bacino, aggregate in due macro temi, ovvero gli indirizzi ecologici e gli indirizzi agricoli. Indirizzi ecologici. Per questo campo si sono individuati gli articoli normativi riportati in 7 nota . Indirizzi agricoli. Per questo campo si sono individuati gli articoli normativi riportati in 8 nota .
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI AA.VV., Valutazione ambientale e processi di decisione, NIS-La Nuova Italia Scientifica, Roma 1992. AIRALDI LUIGI, Pianificazione dell’ambiente e del paesaggio, Franco Angeli, Milano 1987. BIASUTTI RENATO, Il paesaggio terrestre, UTET, Torino 1947. BOCA DIEGO, Analisi paesaggistica, Pirola, Firenze 1990. BORIANI MAURIZIO, Natura e architettura, la conservazione del patrimonio paesistico, Clup Milano 1987. CAMPEOL GIOVANNI, CAROLLO SANDRA, Modelli di valutazione ambientale per gli strumenti di pianificazione urbanistica: dagli indicatori ecologici a quelli paesaggistici, in “La valutazione ambientale strategica nella pianificazione territoriale”, GARANO M., ZOPPI C. (a cura di), Gangemi Editore, Roma 2003. CAMPEOL GIOVANNI, Il ruolo dei bacini idrografici nei processi di pianificazione, DAESTIuav, Venezia 1996. CAMPEOL GIOVANNI, La valutazione ambientale nella pianificazione territoriale e urbanistica, in S. STANGHELLINI, INU-DAEST (a cura di), “Valutazione e processi di piano”, Alinea Editrice, Firenze 1996. CAMPEOL GIOVANNI, Parchi fluviali, Grafo, Brescia 1990. CAMPEOL GIOVANNI, Un modello applicativo di valutazione ambientale strategica per i piani urbanistici, in Valutazione Ambientale, n. 3 Gennaio – Giugno 2003, Edicom Edizioni, Milano 2003. DEMATTEIS GIUSEPPE, Le metafore della terra, Feltrinelli, Milano 1985. FINKE LOTHAR, Introduzione all’ecologia del paesaggio, Franco Angeli, Milano 1993. 7
Art. 1 Gestione dell’alveo (morfologia substrato, rettificazione). Art. 2 Tutela delle isole fluviali. Art. 3 Deflusso minimo vitale. Art. 4 Individuazioni di aree a pesca controllata. Art. 5 Gestione di allevamenti ittici autoctoni. Art. 6 Realizzazione di nuove aree riparie. Art. 7 Gestione delle aree riparie esistenti. Art. 8 Salvaguardia delle aree golenali. Art. 9 Gestione delle specie alloctone infestanti. Art. 10 Gestione dell’irrigazione. Art. 11 Gestione della vegetazione arborea e arbustiva presente. Art. 12 Gestione dei biotopi. Art. 13 Realizzazione di zone umide. Art. 14 Gestione delle zone soggette a rischi di esondazione. Art. 15 Rinaturazione di corsi d’acqua minori. Art. 16 Rinaturazione di cave dismesse. Art. 17 Salvaguardia dei boschi di versante. 8 Art. 18 Favorire localizzazione di elementi di rete ecologica minore in aree a coltivazioni intensive (corridoi biologici). Art. 19 Strisce di “coltivazione non raccolta”. Art. 20 Compatibilizzazione ambientale dell’attività agricola. Art. 21 Introduzione del “riposo colturale” (set aside). Art. 22 Gestione naturalistica del pioppeto. Art. 23 Realizzazione di fasce “sterili” di separazione tra argine e colture. Art. 24 Sostituzione dei tutori dei vigneti. Art. 25 Gestione delle aree prative. Art. 26 Gestione e realizzazione di aree di vivai per specie vegetali autoctone. Art. 27 Fruizione dell’ambito fluviale. Art. 28 Gestione delle opere di derivazione. Art. 29 Gestione degli scarichi. Art. 30 Riqualificazione di manufatti idraulici ed edilizia storica. Art. 31 Gestione delle attività ludiche. Art. 32 Valorizzazione paesaggistica dei paleoalvei. Art. 33 Realizzazione di abachi tipologici per annessi rustici. Art. 34 Norme e per la progettazione di nuova edilizia. Art. 35 Realizzazione o mitigazione delle recinzioni. Art. 36 Valorizzazione degli aggregati urbani e rurali. Art. 37 Inserimento di elementi vegetazionali autoctoni fluviali. Art. 38 Mimetizzazione vegetazionale degli elementi detrattori. Art. 39 Realizzazione di filari alberati. Art. 40 Rinaturalizzazione di aree intercluse. Art. 41 Gestione delle fasce di rispetto dei punti di captazione delle acque potabili. Art. 42 Gestione dei depuratori. Art. 43 Monitoraggio delle acque. Art. 44 Gestione delle dighe.
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GAMBI LUCIO, Geografia fisica e Geografia umana di fronte ai concetti di valore, in Questioni di Geografia, Napoli 1964. GIACOMINI VALERIO, ROMANI VALERIO, Uomini e Parchi, Franco Angeli, Milano 1982. HARGROVE EUGENE, Fondamenti di etica ambientale, Muzzio, Padova 1990. INGEGNOLI VITTORIO, Fondamenti di ecologia del paesaggio, Cittastudi, Milano 1993. MALCEVSCHI SERGIO, Qualità ed impatto ambientale, ETAS Libri, Milano 1991. MARINELLI OLINTO, Ancora sul concetto di Paesaggio, in Rivista di geografia didattica, I, 1917. MCHARG IAN, Progettare con la natura, Muzzio Ed., Padova 1989. MILIANI LUIGI, Le piene dei fiumi veneti e i provvedimenti di difesa, Le Monnier, Firenze 1937. PAOLELLA ADRIANO, Ambiente e progettazione, Maggioli, Rimini 1996. PIGNATTI SANDRO, Paesaggio vegetazionale e paesaggio agricolo, in Casabella n. 575-576. ROMANI VALERIO, Il paesaggio: tutela e pianificazione, Franco Angeli, Milano 1994. SERENI EMILIO, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1961. SESTINI ALDO, Il paesaggio antropogeografico come forma d’equilibrio, in Rivista Geografica Italiana, XII, 1947. SESTINI ALDO, Le fasi regressive nello sviluppo del paesaggio antropogeografico, in Rivista Geografica Italiana, LIV, 1947. STEINER FREDERICK, Costruire il paesaggio, McGraw-Hill Libri Italia, Milano 1994. TONIOLO ANTONIO RENATO, L’insegnamento della Geografia come scienza del Paesaggio, in Rivista di geografia didattica, I, 1917. TURRI EUGENIO, L’Adige: il fiume, gli uomini, la storia, Cierre Edizioni, Verona 1992. ZERBI MARIA CHIARA, Il paesaggio tra ricerca e progetto, Giappichelli, Torino 1994. ZERBI MARIA CHIARA, Paesaggi della geografia, Giappichelli, Torino 1993.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 3: EUGENIO TURRI, L’Adige, il fiume, gli uomini, la storia, Cierre Edizioni, Verona 1992. Figure 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9: immagini fornite direttamente dall’autore del testo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Saggi pagg. 26-37
CONSIDERAZIONI IDRAULICHE, MA NON SOLO, SULLA RINATURALIZZAZIONE DEI CORSI D’ACQUA Giampaolo Di Silvio*
Summary The paper discusses the most relevant engineering interventions carried out during the centuries in the European watercourses and considers the means and ways to bring them nearer to the pristine conditions. Although a total re-naturalization of the river is almost invariably impossible, an attempt is made to single out reasonable trade-off solutions between the requirements of safety and resources utilization and the reconstruction of a pleasant and congenial environment. Key-words Engineering, watercourses, pristine conditions, re-naturalization, landscape
Abstract Si passano in rassegna gli interventi di ingegneria più significativi che hanno portato, nel corso dei secoli, ad un progressivo allontanamento dei corsi d’acqua europei dalla loro configurazione naturale e si esaminano i mezzi e i modi per riportarli verso la situazione pristina. Sebbene una completa rinaturalizzazione del fiume sia quasi sempre impossibile, si individuano ragionevoli soluzioni di “dialogo” fra le esigenze di sicurezza e di utilizzazione idrica e la ricostruzione di un ambiente e di un paesaggio più gradevole. Parole chiave Ingegneria, corsi d’acqua, situazione pristina, rinaturalizzazione, paesaggio
* Istituto di Idraulica “G. Poleni”, Università degli Studi di Padova
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PREMESSA La relazione che segue è stata tenuta in occasione del Seminario dedicato ai “Nuovi sviluppi applicativi dell’idraulica dei corsi d’acqua”, tenutosi il 27-31 gennaio 1997 a Bressanone (Bolzano) e organizzato dai colleghi padovani in onore del professor Claudio Datei, emerito di Costruzioni Idrauliche, che proprio in quell’anno compiva settantacinque anni. Si è trattato dunque di un incontro, indubbiamente di carattere scientifico, al quale, accanto ai padovani, hanno partecipato gran parte degli idraulici italiani, provenienti sia dall’ambiente accademico, sia da quello della professione e della pubblica amministrazione. Le relazioni e le memorie di quel Seminario hanno tutte carattere specialistico, compresa quella tenuta da chi scrive e riportata nel seguito. In effetti, sebbene quest’ultima relazione, per essere dedicata alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, faccia necessariamente riferimento a numerose questioni concernenti altre discipline (geomorfologia, biologia animale e vegetale, ecologia, eccetera), il punto di vista con cui si affrontano i problemi resta quello dell’ingegnere idraulico. E ciò non soltanto perché, come già detto, appartenessero a questa disciplina i partecipanti al Seminario, ma soprattutto perché gli ingegneri idraulici erano (e sono ancora, nel nostro e negli altri Paesi) i principali responsabili della gestione dei corsi d’acqua maggiori. Negli ultimi decenni, a dire il vero, soprattutto dopo l’istituzione delle Autorità di Bacino e la ristrutturazione del Ministero dei Lavori Pubblici (articolato in Ministero delle Infrastrutture e Ministero dell’Ambiente), come pure dei corrispondenti Dipartimenti a livello regionale, numerosi giovani di nuove professionalità si sono felicemente inseriti nei quadri di queste amministrazioni. Tuttavia, come nei tempi d’oro del glorioso Corpo del Genio Civile (dove Genio, nell’italiano di una volta e ancor oggi in francese, indica in generale l’ingegneria, civile o militare che fosse), la progettazione, esecuzione e manutenzione degli interventi sui fiumi appartiene ancora alla “confraternita” dello scrivente. Diciamo, quindi, che la presente relazione costituisce una sorta di pressante invito ai confratelli idraulici, da un lato a riguardare con nuovi occhi quanto è stato fatto in passato, dall’altro a rispondere con equilibrio alle emergenti, ma crescenti, domande di “naturalità” per i corsi d’acqua del nostro Paese. Si tratta insomma di abbandonare il rigido concetto di “regolazione” dei corsi d’acqua (dominante negli ultimi due secoli), e di restituire al fiume il maggiore grado possibile di libertà, compatibilmente con le prevalenti esigenze di sicurezza e con le legittime necessità di utilizzazione delle risorse. Senza cedere peraltro alle pressioni di alcuni gruppi ideologicamente polarizzati, per quanto rumorosi possano essere, verso soluzioni irragionevoli o semplicemente non realistiche. Sotto questo aspetto, sebbene da quel Seminario siano ormai passati dieci anni e l’atteggiamento degli ingegneri si sia alquanto modificato, la relazione mantiene una sua attualità, e potrebbe anzi utilmente raggiungere ambienti culturali e professionali diversi da quelli a cui era stata inizialmente destinata. Da un lato, infatti, grazie anche alle più profonde conoscenze di idromorfodinamica fluviale e alle moltiplicate possibilità di calcolo numerico, gli ingegneri stanno facendo proprie impostazioni progettuali assai diverse da quelle molto schematiche di un tempo. Dall’altro, le professionalità complementari sul piano biologico, ecologico, paesistico sono certamente più pronte ad accettare i vincoli di tipo strutturale, e più generalmente costruttivo, che l’ingegneria impone. LA SITUAZIONE PRISTINA1 Qual’è un corso d’acqua “naturale”? Come è fatto? Dove si trova? Non dico un piccolo torrente di montagna in qualche valle remota delle nostre Alpi, certamente incontaminato ma di dimensioni tali che nella bella stagione si può scavalcare con qualche salto. 1
Rielaborazione del documento presentato in occasione del Seminario “Nuovi sviluppi applicativi dell’idraulica dei corsi d’acqua”, tenutosi il 27-31 gennaio 1997 a Bressanone (Bolzano).
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Figura 1. Un battello a vapore lungo il Missouri ancora in condizioni naturali all’inizio (1832-34).
Ma intendo un vero e proprio fiume, di dimensioni rispettabili, insomma da attraversare con una barca anche in condizioni di magra. La prima idea che viene in mente a questo proposito sono i corsi d’acqua della foresta pluviale, in Africa o in Sud America, oppure quelli delle pianure settentrionali, in Siberia o in Canada. Le fotografie del National Geographic scattate in queste zone ci mostrano paesaggi fluviali dall’aspetto senza dubbio “naturale”, ma anche eccessivamente “esotico”, caratteristico di climi troppo diversi da quelli delle zone temperate a noi familiari. Ma allora, visto che nella fascia temperata del pianeta, quella cioè più densamente abitata, i fiumi naturali sono stati da tempo sottoposti a modificazioni sostanziali, come si fa ad immaginare quello che doveva essere il paesaggio fluviale pristino di questi climi? Una possibilità veramente straordinaria è offerta dalla serie di acquerelli realizzata dal pittore svizzero Karl Bodmer nel corso del suo lungo viaggio in Nord America dal 1832 al 18342. Poiché il suo viaggio si è sviluppato principalmente lungo il corso dell’Ohio e del Missouri, con una puntata fino a New Orleans lungo il corso del Mississippi, la maggior parte dei suoi acquerelli riguarda i paesaggi fluviali (corso principale ed affluenti grandi e piccoli) di uno dei maggiori bacini idrografici delle zone temperate. L’epoca poi è particolarmente felice: grazie all’accessibilità dei luoghi con confortevoli battelli a vapore, quelli che vengono rappresentati dal pittore svizzero sono paesaggi già visti e visitati da persone di tutti i ceti e nazionalità e non soltanto (come fino a pochi decenni prima) da una manciata di trappers francesi o di soldati spagnoli. Il pittore quindi non deve concedere, né concede, nulla al misterioso, al meraviglioso, all’incredibile. Talvolta, piccolissimo in una grande ansa fluviale, si riconosce uno steamer che faticosamente risale la corrente, appoggiato doverosamente sulla sponda concava (figura 1). In qualche altro acquerello compaiono, ancora più minuscoli e sperduti, alcuni esseri umani, a piedi o a cavallo, accompagnati dai loro animali. Qualche volta si vedono perfino, a rispettosa quota rispetto al livello dell’acqua, alcune costruzioni, oppure, più in basso, un traghetto per carri a cavalli. Questi minuscoli segni di “umanità” sono in qualche modo tranquillizzanti, ancorché chiaramente ininfluenti e perfino piuttosto incongrui rispetto alla maestosa ed innocente “naturalità” del grande fiume (figura 2). 2
Joslyn Art Museum, Karl Bodmer’s America, Dai Nippon Printing Co. Ltd., 1984.
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Figura 2. Ambiente fluviale delle zone temperate e primi segni di antropizzazione: animali domestici all’abbeverata (1832-34).
Si tratta insomma dell’America intatta e incontaminata di Waldo Emerson e di Henry Thoreau, dalla quale sono in vario modo germogliati, per oltre un secolo, gran parte dei sogni e dei miti di quella nazione. A parte le suggestioni letterarie, comunque, le numerose e dettagliate rappresentazioni del Bodmer danno un’idea abbastanza precisa delle condizioni pristine dei corsi d’acqua delle zone temperate. Le zone inondabili, estremamente estese, permettono lo sviluppo di una fauna ed una flora molto differenziata a seconda della maggiore o minore soggezione alle piene. Quello che colpisce particolarmente in questa scena sono i numerosi tronchi abbandonati alla corrente. Si tratta del così detto “trasporto solido galleggiante” che nel nostro Paese ha dato così gravi problemi in occasione delle piene più recenti (per esempio Tanaro), per la sua tendenza ad occludere le luci dei ponti. Nei grandi fiumi del mid-west americano nel 1832 il pericolo dei tronchi galleggianti o conficcati nel letto (“snags”) era limitato alla navigazione, come richiamato nelle note di alcuni acquerelli di Bodmer (figura 3). Anche questi fiumi, peraltro, non dovevano restare inalterati ancora per molto tempo. Con lo sviluppo degli insediamenti rivieraschi a quote sempre più basse e con l’espandersi dell’agricoltura nelle zone d’inondazione, sono presto iniziati e si sono moltiplicati gli interventi da parte dell’U.S. Army Corps of Engineers (Genio Militare, responsabile della gestione dei maggiori fiumi) per garantire una certa sicurezza al territorio e per migliorare le utilizzazioni idriche. Già alla fine del secolo scorso, la gran parte dei fiumi americani non si trovava in situazione molto diversa da quella determinatasi più gradualmente nell’Europa occidentale.
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LA SITUAZIONE ATTUALE I fiumi dei Paesi sviluppati e più densamente popolati sono oggi per lo più organismi artificiali. Gli interventi si sono sviluppati nel corso dei secoli per conseguire le seguenti finalità, più o meno importanti a seconda del tempo e del luogo: difesa idraulica, con la costruzione delle arginature principali; trasporto, con la costruzione dei canali navigabili; utilizzazione dell’acqua, con la costruzione di derivazioni, dighe e traverse; utilizzazione del suolo, con la costruzione di arginature secondarie e con il restringimento dell’alveo principale; sistemazione del corso d’acqua con la regolarizzazione delle sezioni e del profilo. Nel seguito si esamineranno, brevemente, il primo e l’ultimo degli interventi sopraccitati. Le arginature principali Che le arginature fluviali e marittime fossero diffuse in gran parte d’Europa sin da tempi remoti è testimoniato, fra l’altro, dai versi di Dante: “Quale i Fiamminghi fra Guizzante e Bruggia / temendo il fiotto che ‘nver lor s’avventa, / fanno lo schermo perché ‘l mar si fuggia; / e quale i Padovan lungo la Brenta, / per difender lor ville e lor castelli, / anzi che Chiarentana il caldo senta […]” (Inf., XV, 4-9). Dante fa riferimento a due regioni naturalmente esposte ad inondazione, ma anche particolarmente sviluppate dal punto di vista socio-economico: la zona costiera fra Wissant (sul passo di Calais) e Bruges esposta alle tempeste del mare del Nord e la zona di Padova soggetta alle piene del Brenta (stranamente attribuite da Dante allo scioglimento delle nevi in Carinzia). È verosimile che un sistema di arginature, costiero o fluviale, si sviluppi nel corso dei secoli a partire dalla linea di rilievo naturale rappresentata rispettivamente dal cordone dunale o dai depositi che si formano spontaneamente in fregio al corso d’acqua. A misura che gli argini diventano più robusti e più elevati si riduce la frequenza con cui le zone umide protette dalle arginature vengono inondate; questo determina una maggiore sicurezza idraulica per i residenti ed una più sicura utilizzazione delle zone d’inondazione a scopi agricoli. Per contro la flora e la fauna tipica delle zone umide tende a scomparire.
Figura 3. Trasporto solido galleggiante nei grandi fiumi americani dell’Ottocento: un pericolo solo per la navigazione (1832-34).
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Regolarizzazione delle sezioni d’alveo Molti corsi d’acqua dei Paesi industrializzati sono stati sottoposti alla regolarizzazione delle sezioni d’alveo. Questo significa che l’alveo irregolare del corso d’acqua originale è stato reso sostanzialmente uniforme, cioè trasformato in un lungo prisma a sezione per lo più trapezoidale, oppure, in presenza di golene, di forma composta ma sempre regolare; molto spesso le sponde sono rivestite mentre in qualche caso sono rivestite anche le golene (quais) e perfino il fondo (cunettoni). In molti casi la regolarizzazione (o, come anche si dice, la sistemazione) del corso d’acqua appare necessaria sia per aumentare la sicurezza idraulica, sia per realizzare questa o quella utilizzazione. In altri casi però si ha l’impressione che l’operazione sia stata dettata esclusivamente dal desiderio di rendere “prevedibile” il comportamento del corso d’acqua. In effetti, privi com’erano di mezzi di calcolo automatico, è ben comprensibile la preoccupazione dei vecchi ingegneri di evitare incertezze nelle valutazioni e la tendenza a tener tutto sotto controllo, come era loro in effetti possibile per i canali a moto uniforme. Quella che potrebbe essere chiamata “sindrome di Chézy”, è stata endemica per più di un secolo in tutto il continente. Perfino i termini tecnici utilizzati nei vari paesi riecheggiano tutti l’antica pulsione di noi ingegneri a porre sotto controllo il “disordine” della natura: river regulation (inglese), Flußregulierung (tedesco), correction d’une rivière (francese), regularizaciòn de rio (spagnolo), rivier normalisatie (olandese), regularovanie reka (russo). RINATURALIZZARE: PERCHÈ? Nei paragrafi precedenti si sono esaminati i motivi che hanno portato attraverso i secoli, quasi da per tutto nei Paesi industrializzati, a sostanziali modifiche della situazione pristina dei corsi d’acqua, attraverso interventi di vario genere. In questi stessi Paesi, soprattutto nell’ultimo decennio, si è sviluppato un movimento di opinione che richiede di ristabilire le condizioni preesistenti (“rinaturalizzazione”) su questo o quel tratto di fiume. A parte l’ovvio sostegno delle forze politiche di tipo ambientalistico, tale movimento di opinione è guardato con simpatia anche da alcuni esponenti di categorie professionali (come tecnici forestali, biologi, geologi, architetti, eccetera) i quali vedono con interesse l’aprirsi di nuove possibilità alle loro competenze disciplinari. Da parte degli ingegneri idraulici, per contro, si è manifestata un’iniziale riluttanza a considerare la rinaturalizzazione come strada tecnicamente percorribile se non sacrificando, in misura inaccettabile, le utilizzazioni idriche o mettendo addirittura a repentaglio la sicurezza idraulica. Sebbene negli ultimi tempi ci sia stato un certo riavvicinamento delle posizioni, incoraggiato dalla presenza nelle stesse agenzie ed amministrazioni di tecnici di diversa formazione, pure i pareri intorno alla rinaturalizzazione dei corsi d’acqua sono ancora estremamente differenziati; ciò con riferimento sia ai motivi che richiedono l’azione di restauro, sia alle modalità con le quali la rinaturalizzazione del corso d’acqua debba essere di volta in volta effettuata. Le motivazioni invocate per il restauro sono: ragioni estetiche o paesaggistiche; ragioni ecologiche o ambientali; ragioni ricreative o turistiche; ragioni funzionali o di sicurezza. Nel seguito si esamineranno una dopo l’altra tali motivazioni, facendo cenno sia pure sommariamente alle possibili risposte, soprattutto (ma non solo) in termini idraulici. Le ragioni estetiche o paesaggistiche Quello che viene subito richiesto, quando si parla di restauro di un corso d’acqua, è quasi sempre il ripristino della vegetazione. È interessante notare che tale richiesta, sebbene motivata in termini “ecologici”, ha per lo più una motivazione “estetica”: la nuda terra, la pietra o (Dio ne guardi) il cemento hanno ormai una connotazione negativa, che si pensa in qualche modo mitigata dalla presenza di erba, arbusti o alberi, a prescindere dagli effetti che tale presenza potrà avere sull’ecosistema. In realtà, quella che viene invocata come rinaturalizzazione si limita molto spesso a una generica “mano di verde” avente per scopo 31
l’abbellimento o l’occultamento di manufatti esistenti, con motivazioni quindi puramente estetiche. A tale riguardo, però, pur riconoscendo che la presenza di vegetazione conferisce sovente un aspetto gradevole al paesaggio, bisogna evitare che dalla sindrome di Chézy (Antoine, de; ingegnere idraulico. Chaˆ lon-sur-Marne, 1718) menzionata precedentemente si cada nella sindrome di Cupiello (Luca, don; costruttore di presepi. Napoli, 1931) tratteggiata nella famosa commedia di De Filippo. È facile infatti che interventi di rinaturalizzazione basati sul ripristino approssimato di boschi e cascate tendano a creare un paesaggio appunto da presepio. La qual cosa, oltre ad essere talvolta pericolosa, può essere discutibile anche sul piano estetico, soprattutto in certi casi. È chiaro che i criteri adottati diciamo - per il passaggio dell’Ammer attraverso Oberammergau (alta Baviera), non possono essere quelli che presiedono alla sistemazione fluviale del Tevere a Roma, così come il castello di Neuschwanstein differisce da Castel Sant’Angelo o l’imperatrice Sissi da Giulio II. Le ragioni ecologiche o ambientali Ben diverse, ovviamente, sono le spinte verso la rinaturalizzazione generate dal desiderio di ripristinare, nel suo complesso, il sistema ecologico fluviale. Il corridoio fluviale, in effetti, costituisce un ecotono, cioè un sistema continuo caratterizzato però da gradienti biologici molto elevati. La diversità biologica, riguardata dagli ecologi come un indice positivo per la qualità dell’ambiente, è assicurata dalle variazioni tanto idrologiche (successione di piene e magre) che morfologiche (irregolarità geometriche dell’alveo); essa viene quindi tendenzialmente ridotta nei corsi d’acqua regimati e regolarizzati. Per il mantenimento dell’ecotono, tuttavia, non solo sono necessarie importanti variazioni idrologiche e morfologiche, ma deve essere anche assicurata la continuità spaziale al sistema. In altre parole, si deve garantire la possibilità di flussi fisici e biologici nel corso d’acqua, sia in direzione trasversale sia in direzione longitudinale. A questo scopo si possono prevedere collegamenti acquei fra l’alveo principale e la parte più interna delle golene (canali secondari), come pure opportuni passaggi (scale a pesci) attraverso le strutture quali dighe e traverse che sbarrano il corso d’acqua. Va rimarcato a riguardo che è praticamente impossibile ricostituire la situazione pristina sull’intera rete fluviale, senza mettere a repentaglio la sicurezza o l’utilizzazione del fiume; d’altro canto interventi troppo limitati nello spazio non consentono lo sviluppo di un sistema ecologico complesso che sia stabile nello stesso tempo. Bisogna perciò concentrare gli sforzi su tratte del fiume opportunamente estese secondo i criteri del cosiddetto nature building3. Le ragioni ricreative o turistiche A parte le motivazioni autenticamente e rigorosamente ecologiche, un certo tipo di rinaturalizzazione del corso d’acqua può essere richiesto da parte della popolazione anche per attività ludiche o sportive. È chiaro però che queste attività oltre a presentarsi più o meno compatibili con altri obiettivi nell’uso delle risorse sono anche in competizione fra di loro. Nell’uso delle golene, ad esempio, le attività da svolgere all’asciutto (passeggiate, ciclismo, equitazione) appaiono più compatibili con lo sviluppo di un bosco planiziale rispetto ad un certo tipo di attività acquatiche (birdwatching, canoa, vela), le quali evidentemente convivono meglio con una golena soggetta a frequenti allagamenti. La soluzione va ovviamente trovata in accettabili compromessi di uso congiunto, per i quali l’idraulica può suggerire interessanti soluzioni. Le ragioni funzionali o di sicurezza Accade frequentemente di sentire che la rinaturalizzazione di un corso d’acqua sia necessaria per migliorarne la “funzionalità idraulica”, ovvero per aumentare la “sicurezza” del territorio attraversato. 3
M.E VAN BOETZELAR, J.K VRIJLING, The come-back of nature in aquatic Netherlands, in 1st Int. Symp. on Habitat Hydraulicus, Trondheim, Norway, 18-20 Aug. 1994.
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Figura 4. Sistemazione di un torrente giapponese con salti di fondo e protezione di sponda, l’inserimento di isole artificiali protette, scale a pesci e vie d’acqua differenziate.
Tali professioni di fede sono tutte sostanzialmente basate sul dogma che le condizioni naturali siano più “stabili”, e quindi più “sicure”, rispetto alle condizioni modificate dall’intervento dell’uomo. Tipici corollari che ne conseguono sono, ad esempio, che lo sviluppo della vegetazione fluviale non dev’essere ostacolato (in quanto le piante proteggono col loro apparato radicale le sponde dall’erosione), oppure che le golene vanno lasciate assolutamente libere (in quanto così attenuano più efficacemente i colmi di piena). Visioni teleologiche del mondo che assegnano obiettivi provvidenziali al libero gioco dei meccanismi della natura, come appunto il raggiungimento di configurazioni di equilibrio ottimale, sono molto antiche. In realtà l’equilibrio raggiunto in condizioni assolutamente naturali è solo talvolta stabile e quasi mai quello richiesto dalle necessità umane: basti pensare all’incessante divagare dei fiumi a meandri in condizioni naturali. Al contrario, gli interventi antropici sono concepiti proprio per aumentare la stabilità dei sistema o quanto meno per far assumere al sistema una configurazione di equilibrio più accettabile di quella naturale. È vero che molti interventi antropici, stabilizzando la situazione in un certo tratto del corso d’acqua, rendono spesso più critica la situazione in un altro tratto. Come pure può accadere che un intervento di stabilizzazione sia efficace per eventi di piccola entità, ma dia luogo a situazioni ancora più pericolose per eventi molto gravi. Non è comunque sostenibile come regola generale che la natura lasciata a se stessa fornisca invariabilmente risultati migliori, dal punto di vista della stabilità e della sicurezza, di quanto non si ottenga con un opportuno controllo. Per riprendere i due esempi precedentemente richiamati, è facile riconoscere che un eccesso di vegetazione incontrollata può essere pericoloso sotto vari aspetti (aumento della resistenza idraulica; trasporto a valle di tronchi e rami divelti; filtrazioni preferenziali attraverso il corpo arginale determinate dalle radici). Nello stesso modo, si può dimostrare che la massima efficacia delle superfici golenali al fine della riduzione del colmo di piena non si ottiene quando le golene sono lasciate libere, ma quando sono presidiate verso fiume da argini secondari che vengono tracimati (o intenzionalmente demoliti) per livelli di piena superiori ad un certo valore.
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Figura 5. Sistemazione di un corso d’acqua giapponese a pendenza meno elevata. Al torrente è permesso di divagare all’interno di opere di protezione e di controllo, gradevoli all’aspetto ma ben resistenti.
Tale sistema viene utilmente applicato nelle ampie golene che si ritrovano lungo il corso medio del Po, ed è anzi da tempo riconosciuto come “Sistema Po” anche fuori del nostro Paese4. Del resto il problema di “decapitare” l’onda di piena lungo un importante corso d’acqua, utilizzando al meglio i volumi d’invaso disponibili, diventa ancor più complesso quando si mettano in conto gli sfasamenti (positivi o negativi) delle onde provenienti dagli affluenti, a loro volta legati alla distribuzione spazio-temporale dell’evento meteorologico. Come si sa, infatti, le golene (libere o controllate che siano) agiscono non solo sulla riduzione del picco ma anche e soprattutto sulla sua celerità di propagazione5; non si vede come, quindi, la disposizione (necessariamente statica) delle golene naturali sia in grado di ottimizzare l’abbattimento del picco di piena per tutte le possibili combinazioni spaziotemporali delle piogge sul bacino idrografico. Non si può escludere, è vero, che in assenza di perturbazioni antropiche la configurazione plano-altimetrica della rete idrografica e la distribuzione spaziale delle golene (parametri che controllano, in definitiva, i tempi di propagazione dell’onda) possano associarsi in modo tale da decapitare l’onda, diciamo, più “pericolosa” dal punto di vista meteorologico. Per quanto riguarda la rete idrografica, in effetti, sono stati individuati alcuni meccanismi morfologici che in ciascun istante del processo evolutivo danno luogo a configurazioni plano-altimetriche “ottimali”, cioè corrispondenti a valori minimi per alcune grandezze di tipo energetico6. In linea di principio, quindi, questi meccanismi potrebbero ben coesistere con quelli che, lungo la stessa rete fluviale, definiscono tanto in senso trasversale che longitudinale la geometria “ottimale” delle golene, cioè quella che lamina le onde più pericolose. 4
J. JENSEN ET AL., Principles of River Engineering, Pitman, 1979, pag. 399. GIAMPAOLO DI SILVIO, Attenuazione delle onde di piena lungo corsi d’acqua provvisti di espansioni golenali, Atti dell’Ist. Veneto di SS.LL.AA., 1969-70, Tomo CXXVII, Classe di scienze matematiche e naturali. 6 A. RINALDO, Recenti sviluppi della morfologia fluviale: approccio frattale, Nuovi sviluppi applicativi dell’Idraulica dei corsi d’acqua, Bressanone 27-31 gennaio 1997. 5
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Figura 6. Sistemazione di corsi d’acqua giapponesi. Nell’esempio a sinistra la vegetazione è quasi totalmente assente, sebbene l’aspetto complessivo si presenti in certo modo “naturale”. Nell’esempio a destra, il torrente in condizioni di magra presenta perfino una simulazione di corrente idrica “litoide”.
Essendo però i meccanismi di modellazione della sezione trasversale dei corsi d’acqua ancora molto poco conosciuti è difficile andare al di là di pure speculazioni. In ogni caso, pur ammettendo che in condizioni assolutamente naturali il fiume tenda ad assumere una configurazione tale da minimizzare i picchi di piena lungo tutto il suo corso, è molto probabile che tale configurazione non sarebbe oggigiorno accettabile per diversi motivi. Prima di tutto ad una riduzione dei livelli di piena ordinaria, dovrebbe corrispondere un’estensione molto più ampia delle golene rispetto alla situazione attuale; inoltre, gli argini maestri “naturali”, destinati a contenere le piene maggiori, sarebbero molto più bassi di quelli attuali e soggetti perciò a tracimazione molto più frequente. In condizioni assolutamente naturali, quindi, la curva di durata delle zone allagate sarebbe troppo piatta, cioè interesserebbe superfici molto ampie per tempi molto lunghi, con risultati oggi assolutamente intollerabili. Nelle condizioni attuali, al contrario, risultato di una storia plurisecolare di interventi antropici consistenti nel restringere la zona golenale e nel rialzare gli argini maestri, la curva di durata delle superfici allagate si presenta molto ripida, con due marcate discontinuità in corrispondenza alla quota delle golene e alla quota degli argini maestri. In particolare, il sormonto degli argini maestri ha oggi una frequenza estremamente bassa, e c’è tutto l’interesse affinché tale frequenza diventi ancora più bassa. Ciò si ottiene appunto ritardando l’invasione delle golene per mezzo di argini secondari, cioè riservando tutto il volume disponibile per attenuare, con la loro tracimazione controllata, le onde di piena più pericolose nelle condizioni attuali. CONCLUSIONI All’emergente richiesta di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua nel nostro Paese, ancora non molto forte ma destinata sicuramente ad aumentare, dovrebbe essere data da parte degli ingegneri idraulici una risposta equilibrata. Dare una risposta equilibrata significa rifuggire da chiusure preconcette nei confronti di interventi di questo tipo, ma nello stesso tempo significa respingere senza esitazioni proposte che possano determinare, anche nel lungo periodo, conseguenze tecnicamente inaccettabili soprattutto se riguardanti la sicurezza. Va tenuto presente che in materia fluviale, pur in presenza di una crescente attenzione agli aspetti naturalistici, l’ultima parola spetterà comunque all’ingegnere. La nostra corporazione possiede infatti, anche in questo campo, la giusta competenza professionale, e cioè la capacità di sintetizzare informazioni e conoscenze di vario tipo per pervenire a decisioni progettuali. Per far fronte al loro compito, però, è necessario che gli ingegneri siano pronti ad acquisire e a “metabolizzare” professionalmente nuovi atteggiamenti: e non mi riferisco tanto alla capacità di interloquire con esperti di altri settori
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(la fin troppo celebrata interdisciplinarità), ma piuttosto alla necessità di rinunciare ad alcune comode schematizzazioni nell’ambito della stessa idraulica. I problemi che abbiamo di fronte non possono essere più affrontati con le “regole dell’arte” che hanno guidato i nostri predecessori nella sistemazione della rete fluviale così come oggi la conosciamo. Tali regole, se ci si pensa, sono sostanzialmente basate sulla “semplificazione”: semplificazione dei fenomeni ottenuta attraverso la semplificazione del sistema fisico. È questo il senso del termine tecnico regolazione che compare in varie forme in tutte le lingue europee quando si parla di corsi d’acqua. Un fiume regolato è un fiume che essendo stato sistemato geometricamente e stabilizzato morfologicamente si comporta in modo semplice, cioè in modo facilmente prevedibile. Un fiume naturale o, ancor di più, da rinaturalizzarsi presenta invece un comportamento complesso, cioè difficile da prevedere. A questo riguardo c’è da osservare che le capacità predittive a disposizione degli ingegneri sono oggigiorno molto superiori a quelle di un tempo. Ciò sia perché negli ultimi decenni c’è stato uno sviluppo di mezzi di calcolo e di tecniche computazionali che permette di risolvere numericamente problemi che una volta erano assolutamente fuori portata, sia perché sono accresciute le conoscenze su fondamentali processi idraulici e morfologici (meandri, alvei pluricursali, barre fisse e mobili, soglie naturali, eccetera) che hanno luogo nei corsi d’acqua. Tuttavia, sebbene la morfodinamica fluviale sia oggi meglio conosciuta, è bene riconoscere che la previsione quantitativa di numerosi fenomeni è ancora molto difficile. In realtà quello che viene richiesto alla nostra professione non è tanto la capacità di anticipare, in tutti i suoi dettagli, il comportamento di un organismo naturale (o rinaturalizzato) estremamente complesso qual’è un corso d’acqua, ma piuttosto quella di stimare con sufficiente attendibilità i possibili campi di variazione di alcune grandezze fondamentali: livelli idrici in condizioni di piena; abbassamento o innalzamenti del fondo; erosioni o depositi di isole, barre, lanche, canali secondari, eccetera. Molto spesso le stime richieste riguardano scale spaziali e temporali diverse, coinvolgono vari meccanismi e richiedono di volta in volta analisi particolari. È proprio questo il terreno dove l’ingegnere idraulico può mettere meglio a frutto le sue specifiche conoscenze di idrodinamica e di morfologia, sostenute dalle regole della prudente progettazione (ad ampi margini di incertezza devono far riscontro robusti coefficienti di sicurezza). Certo può essere comprensibile la riluttanza di molti ingegneri ad abbandonare il concetto di regolazione: rinunciare, cioè, al comportamento affidabile di un fiume regolato per tornare all’inaffidabilità del fiume naturale. Dopotutto, trattare organismi inaffidabili è non solo più difficile, ma anche più costoso. Tuttavia, non si può negare il fascino, la bellezza e l’interesse emanato da una creatura vivente che si comporta come tale. Se in Italia, come spero, potremo economicamente permettercelo avremo anche noi fiumi rinaturalizzati. È bene dunque che la nostra corporazione si prepari per tempo ad assolvere questo nuovo compito, che potrà rappresentare la sfida alla nostra professione per i prossimi decenni.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ABRAHAMS A.D., LI G. AND ATKINSON J.F., Step-and-pool streams: Adjiustment to maximum flow resistance, Water Resources Research, Vol. 31, n. 10, Oct. 1995, pagg. 25932602. D’ALPAOS L., Possibili soluzioni per la difesa dalle piene del fiume Brenta, Consorzio di Bonifica Pedemontano Brenta, Atti del Convegno “Dopo l’alluvione per prevenire nuove alluvioni”, Padova 7 luglio 1995. DI SILVIO GIAMPAOLO, Attenuazione delle onde di piena lungo corsi d’acqua provvisti di espansioni golenali, Atti dell’Ist. Veneto di SS.LL.AA., 1969-70, Tomo CXXVII, Classe di scienze matematiche e naturali.
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2, 3: Joslyn Art Museum, Karl Bodmer’s America, Dai Nippon Printing Co. Ltd., 1984. Figure 4, 5, 6: dalla relazione presentata dall’autore in occasione del Seminario “Nuovi sviluppi applicativi dell’idraulica dei corsi d’acqua”, tenutosi il 27-31 gennaio 1997 a Bressanone (Bolzano).
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 sezione: Saggi pagg. 38-45
DAGLI ARCHIVI DI PAESAGGI A POSSIBILI MUSEI VIRTUALI Laura Sasso* con Giovanna Codato e Elena Franco **
Summary The title of the book coordinated by Laura Sasso “Archivi da mostrare, Paesaggi e architetture in rete per una rete di progetti” (“Archives, Landscapes and Architecture network for a network of projects”, NdT) wants to show the close relationships between the concept of archive considered as an open space, landscape as an archive of itself, the trinomial concept archive-museum-landscape. Graphics and tri-dimensional models have shown the possibility to plan a new archive and museum network in Turin’s metropolitan area, centered on the river Po and its affluents. Places and historic architectures were identified along this fluvial system apt to host polarities that can have the characteristics of a museum, an effective active preservation tool, truly original and innovative mediums to restore territories, rich with surprising potential. The study cases, analyzed and developed in their different aspects, illustrate the concept of the museum as a container of material that documents the museum that opens to the river, floods the river itself, and the landscape that is a museum of itself. Key-words Archives, landscapes, museum, rivers, Po
Abstract Il titolo del libro da me curato “Archivi da mostrare, Paesaggi e architetture in rete per una rete di progetti”, da cui deriva l’input del presente saggio, vuole dimostrare, soprattutto con riferimento ai sistemi fluviali, le strette connessioni tra i temi dell’“archivio” in quanto considerato luogo aperto, del “paesaggio archivio di se stesso”, del trinomio “archivio-museo-paesaggio”. Recenti studi, elaborati grafici e modelli tridimensionali hanno dimostrato la possibilità di progettare una nuova rete archivistica e museale nel territorio torinese, a partire dall’asta fluviale del Po e dei suoi affluenti. Lungo tale sistema fluviale, infatti, sono stati individuati luoghi e architetture antiche o appartenenti al secolo scorso idonee ad ospitare polarità con caratteristiche di museo, veri e propri strumenti di salvaguardia attiva del paesaggio fluviale, originali e innovativi nei confronti dei territori da recuperare, ricchi di sorprendenti potenzialità. I casi-studio, esaminati e sviluppati con approfondimenti diversi, illustrano i temi del museo in quanto edificio contenitore e per i materiali contenuti, quelli del museo che si dilata verso i lungofiume, quelli del territorio che è museo di se stesso. Parole chiave Archivi, paesaggi, museo, fiumi, Po
* Dipartimento di Progettazione Architettonica e di Disegno Industriale, Politecnico di Torino ** Dipartimento Ingegneria dei Sistemi Edilizi Territoriali, Politecnico di Torino
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Negli ultimi anni si è assistito alla scomparsa della città, all’espansione di periferie diffuse, di reti fisiche di comunicazione, di zone industriali che hanno corroso zone agricole, parchi, antichi giardini e ambiti fluviali. Parallelamente, la cultura architettonica ha affrontato problemi di riqualificazione urbana, territoriale e paesistica, maturando atteggiamenti di responsabilità nei confronti del passato, nella convinzione che il recupero di esso contribuisca a rinnovare il presente. Tralasciando le questioni sui versanti delle discipline urbanistiche e dei fallimenti che sono state loro talvolta riconosciute, vale la pena provare a ricercare soluzioni credibili tra cui quella di restituire ai vari contesti sopraffatti e stravolti i loro caratteri originali, secondo principi della tutela attiva, del restauro ambientale, dell’economia del restauro, del recupero delle potenzialità. Le attuali politiche del territorio presuppongono un lavoro di salvaguardia e di tutela degli ambienti naturali e non: conservazione dei caratteri storico–culturali del paesaggio agrario e infrastrutturazione ecologica del territorio; manutenzione e valorizzazione dei centri storici e potenziamento delle attività agrituristiche attraverso la comprensione della cultura dei luoghi, intesi come entità spazio-temporali depositari di testimonianze, moniti e relazioni. Sta emergendo una cultura per il paesaggio che ne riconosce il valore come archivio delle tracce della storia degli uomini e della natura: secondo la concezione odierna non si intende il paesaggio né come ambiente, né come territorio1, bensì come un aspetto dell’ambiente e del territorio percepito dai soggetti che ne fruiscono; non solo spazio produttivo, ma bene simbolico, riferimento culturale collettivo, frutto di comunione di intenti2 e stratificazione di assetti3 evolutisi nel tempo, in un continuo “accordarsi” tra forze naturali e necessità dell’uomo: non vi sono distinzioni, nella teoria come nella pratica, tra naturalità e artificialità4. Questo nuovo approccio attribuisce alla cultura la capacità di modificare i paesaggi e, allo stesso tempo, a far parte di essi5; cultura non solo più squisitamente volta a spiegare storicamente delle tradizioni abitative consolidate o per comprendere dinamiche biologiche intrinseche e non6, che semmai vede questa memoria creatrice di una diffusa capacità previsionale. La costruzione di un archivio di paesaggio è connessa a questa nuova cultura del luogo, inteso come contesto che rappresenta vivamente con evidenza e concretezza la rete di significati7 all’interno del quale le azioni degli uomini diventano fatti culturali, il cui valore riflette un “valore di scambio” nell’azione sociale; un fenomeno pubblico, dunque, e non individuale, ma che soggettivamente dà senso alle azioni di vita quotidiana, del lavorare, dell’intraprendere relazioni interpersonali e dell’abitare. 1
LIONELLA SCAZZOSI, Valutare il Paesaggio, in ALBERTO CLEMENTI (a cura di), Interpretazioni di paesaggio. Convenzione Europea e innovazioni di metodo, Meltemi editore, Roma 2002. 2 Françoise Dubost, docente di sociologia dell’arte, osserva che il paesaggio tradizionale è un “paysage patrimoine”. Vd. FRANÇOISE DUBOST, LUCIEN CLERGUES, Mon paysage. Le paysage préféré des Français, Marval, Paris 1995. 3 MAURIZIO BORNIANI et al., Il paesaggio antropico come palinsesto: il caso dell’Ager Ticinensis e della Mediolanum Ticinum, in MARINA DE MARCHI, MIRELLA SCUDELLARI, ANTONIO ZAVAGLIA (a cura di), Lo spessore storico in urbanistica, Vol. 23, Ed. Società Archeologica Padana s.r.l., Mantova 2001. 4 Tale concetto è ribadito nella Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, che sottolinea il ruolo determinante del paesaggio nel rafforzare le identità regionali e qualificare le relazioni tra i cittadini e il loro paesaggio definendolo, “...una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. Cfr. Consiglio d’Europa, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 20 ottobre 2000, Cap. I, Art.1. 5 JOAN I. NASSAUER, Culture and changing landscape structure, Landscape Ecology, vol. 10, n. 4, SPB Academic Publishing, Amsterdam 1995, pagg. 229-237. 6 STEPHEN C. BOURASSA, The Aesthetics of Landscape, Bellhaven Press, London 1991. 7 CLIFFORD GEERTZ, The interpretation of cultures, Basic Books, New York 1973. Geertz è un antropologo culturale statunitense famoso per la promulgazione dell’approccio Weberiano alla cultura, per l’individuazione di metodologie critiche ed interpretative dell’antropologia, sostenendo che la cultura deve essere “letta” e interpretata come testo, similmente alla letteratura. Tra i suoi lavori si annoverano: Agricultural Involution (1963), Islam Observed (1968), The Interpretation of Cultures (1973), Local Knowledge (1983) e Works and Lives (1988).
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Figura 1 (a sinistra). La rete fluviale del Piemonte e i luoghi oggetto delle ricerche. Figura 2 (a destra). La nuova rete archivistica e museale: contenuti e contenitori.
Il patrimonio, sia esso naturale o culturale, è quindi legato inscindibilmente a due elementi: appartenenza e senso del tempo, dove la prima è caratterizzata dal legame dell’area con la tradizione della sua comunità e il secondo si basa sulla storia del luogo trasmessa da almeno una generazione (dunque soprassedendo sulla cultura contemporanea, che farà parte del patrimonio di domani) e, secondo la Carta di Cracovia, “può essere definito solo il modo in cui il patrimonio può essere individuato” e come “[…] la pluralità nella società comporta anche una grande diversità del concetto di patrimonio come concepito dall’intera comunità. I monumenti, come singoli elementi del patrimonio, sono portatori di valori che possono cambiare nel tempo. Questa variabilità dei valori individuabili nei movimenti costituisce, “di volta in volta”, la specificità del patrimonio nei vari momenti della nostra storia”8. La comprensione delle loro dinamiche evolutive porta a delineare le problematiche afferenti il paesaggio e di conseguenza fonda le politiche pubbliche a tutela del paesaggio e del patrimonio che questo rappresenta, poiché la politica per il paesaggio non può che fondarsi sulla conoscenza di tutto il territorio. Come afferma il paesaggista Jacques Coulon, “L’avvenire del paesaggio non è nella sua costruzione ma nella sua comprensione”. Questa va affrontata secondo un approccio semiotico9, vale a dire, secondo un processo di significazione del paesaggio attraverso la lettura dei suoi legami con la società, poiché, sempre secondo la Carta di Cracovia, “ciascuna comunità, attraverso la propria memoria collettiva e la consapevolezza del proprio passato, è responsabile dell’identificazione e della gestione del proprio patrimonio. 8
Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito. Carta di Cracovia. Documento finale della Conferenza internazionale sulla conservazione “Cultural heritage as Foundation of Development Civilization” tenutasi a Cracovia nell’ottobre 2000 che contiene i principi suggeriti per la conservazione ed il restauro del patrimonio, riprendendo in parte i principi della Carta di Venezia del 1964 e introducendo i concetti di fruizione del patrimonio, di memoria, di conservazione progettata e di autenticità. 9 Nell’accezione proposta da C.S. Peirce e F. De Saussure all’inizio del Novecento, incentrata sulla definizione di Morris della pragmatica come “scienza del rapporto dei segni con i loro interpreti”. Vd. CHARLES MORRIS, Segni, Linguaggio e Comportamenti, Ed. Longanesi, Milano 1963.
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Figura 3 (a sinistra). Torino: i casi studio per la progettazione di un sistema di centri di documentazione permanente in rapporto al sistema fluviale del Po nel tratto della città. Figura 4 (a destra). Tre nodi della rete archivistica e museale proposta: confronto dimensionale.
La definizione come “luogo in cui si conservano carte antiche e documenti che si riferiscono agli interessi di corpi morali”10 non rende all’archivio il giusto significato. L’archivio di paesaggio vuole rendere riconoscibile il paesaggio stesso perché se ne recuperi il senso, nella prospettiva di una sua conservazione e di una sua progettazione consapevole. Nell’ambito della riqualificazione territoriale sostenibile – nell’accezione più stretta di Brundtland11 – onde attivare le potenzialità del territorio facendo attenzione a preservarne l’identità, tra gli obiettivi di fondo, tesi all’incentivazione alla localizzazione di nuove iniziative soprattutto nei servizi alle persone ed alle imprese, all’incremento della competitività e della produttività strutturale dei sistemi economici territoriali, vi è una componente socio-culturale da recuperare imprescindibile per un’efficace progettazione del territorio, che non si limiti alla mera realizzazione di opere più o meno inserite nel paesaggio, che deve essere presa in considerazione. Da qui l’esigenza di costruire un archivio dei sistemi segnici sul territorio così come percepiti dai soggetti culturali che ne fruiscono determina la sua comprensione semiotica attraverso un processo interpretativo che affronti la conoscenza in termini di percezione del paesaggio come senso del luogo e della struttura del territorio, come testo del luogo attraverso i progetti che ne hanno modificato la caratterizzazione.
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Cfr. Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana URL: HTTP:// www.etimo.it Questa è la definizione di sviluppo sostenibile contenuta nel Rapporto Brundtland: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future”. BRUNDTLAND GRO HARLEM, Our Common Future. The World Commission on Environment and Development, Oxford University Press, Oxford 1987.
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Figura 5 (a sinistra). Archivio Torino sud: il sito dell’antico castello Mirafiori e del Mausoleo della Bela Rosin – Intenti di progetto. Figura 6 (a destra). Archivio Torino sud: Mausoleo della Bela Rosin – Soluzioni di progetto.
Un archivio che rifiuta la “museificazione” di qualcosa così fortemente legato alla sfera dei sensi - il paesaggio - atto vitale e concreto per il progetto locale fornendo la conoscenza delle peculiarità e del valore del territorio - anche in termini di trasformazioni, dinamiche evolutive e potenzialità - risorsa economica e socioculturale, per la definizione delle linee interpretative che orienteranno gli interventi di riqualificazione in divenire su di esso. Quale luogo di conservazione, a tutela delle tracce del passato, esso è da realizzarsi attraverso una catalogazione ordinata, resa metodica, che necessita ponderazione, analisi; processi, questi, che implicano studio e conoscenza di ciò che si vuole archiviare. L’ambizioso progetto di archiviare il territorio, anche e soprattutto nella sua accezione di paesaggio, comporta un lavoro conoscitivo della sua cultura, delle stratificazioni nel tempo, storico-culturali e geofisiche. Limitandosi alla nozione di paesaggio inteso come “Patrimonio Paesaggistico” ai fini del riconoscimento dei contesti paesistici intesi come ambiti caratterizzati da diversi sistemi di relazione tra valori di identità, sistemi di permanenze storico-culturali, risorse fisico-ambientali, assetti funzionali e risorse sociali e simboliche, occorre individuare assetti agroforestali, relazioni ecologiche, sistemi di permanenze, ma che altresì evidenzi fenomeni di prossimità, continuità, similarità, per sottolineare il valore culturale del paesaggio in quanto processo di significazione12, e per sostenere il processo di identificazione individuato anche nell’ambito della “Convenzione Europea del Paesaggio”. Un archivio così inteso, è allora depositario della conoscenza del luogo diventando strumento conoscitivo fondamentale in fase di progettazione e pianificazione territoriale, in quanto utile a riconoscere il senso del luogo in cui si opera fornendo l’incipit per gli indirizzi di pianificazione paesaggistica. 12
Nel senso di riconoscimento del ruolo culturale e della funzione estetica del paesaggio. Se certamente la componente territoriale tenuta in considerazione è l’elemento paesaggistico nella sua accezione più tradizionale, per il quale, cioè, la bellezza è considerata valore fondamentale, si deve anche sottolineare l’intenzione a concepire quest’ultima secondo la gnoseologica Humboldtiana del paesaggio che ne riconosce il fondamento estetico nell’indissolubile legame tra uomo e natura.
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Figura 7 (a sinistra). Archivio Torino nord: soluzione di multipolarità e percorsi per la costruzione della nuova rete archivistica e museale. Figura 8 (a destra). Archivio Torino nord: la cascina Airale – Soluzioni di progetto.
Tra gli obiettivi, avanzati già negli anni Ottanta del Novecento, vi era anche quello di trasformare la città in museo e l’intero territorio in parco: museo in senso ampio, per mostrare e istruire, parco nei suoi molteplici risvolti, da noi trattati in altri contesti. In realtà l’accezione museale in senso innovativo e dinamico non è ancora nell’immaginario comune. Quando nel 1999 Laura Sasso pubblicò “Canelli città museo”, libro nel quale il termine museo indicava la straordinaria ricchezza del territorio e le possibilità di immaginare una città diversa – onirica e possibile – la casa editrice fece notare che un titolo del genere non avrebbe evocato tanto i temi della progettazione quanto gli aspetti conservativi del luogo. Proprio per raggiungere gli obiettivi di riqualificazione del centro antico e della campagna circostante, invece, si era provato a riconsiderare l’intero territorio come parco e specialmente la parte antica della città come una sorta di giardino di pietra trattato a museo. Quest’ultimo veniva inteso nel senso più autentico del termine di ‘luogo sacro alle Muse’, museo non come luogo destinato alla conservazione assoluta e rigorosa, ma come struttura in divenire che consentisse a ciascuno di avvicinarsi alle civiltà del passato (quelle del vino per Canelli) e approfondire la conoscenza delle medesime. Il dentro e il fuori della città antica, le trame delle vigne e delle cascine, erano stati considerati un continuum museale che avrebbe comunicato al visitatore la sua storia, la sua vitalità connessa con la coltura della vite e i suoi prodotti derivati. Il tema del “museo fuori del museo” è stato ulteriormente esplorato nel corso della ricerca PRIN 2002 “Archivi di paesaggi”, conclusa formalmente ma aperta ad esplorazioni in campo, di cui Laura Sasso è responsabile13.
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“Archivi di paesaggi”: titolo ermetico, ideato quasi per scommessa nell’avviare meccanismi di relazioni complesse pur ricercando soluzioni semplici al fine di verificarne agevolmente le fattibilità. Al programma di ricerca hanno inoltre contribuito: Marisa Maffioli, Valeria Minucciani, Edoardo Baglione, Elena Bouchard, Raffaella Rava, Giulia Zilioli.
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Figura 9 (a sinistra). Archivio Torino sud: soluzione di multipolarità e percorsi per la costruzione della nuova rete archivistica e museale. Figura 10 (a destra). Archivio Torino centro: soluzione di multipolarità e percorsi per la costruzione della nuova rete archivistica e museale.
Il titolo del libro “Archivi da mostrare, Paesaggi e architetture in rete per una rete di progetti” vuole dimostrare poi le strette connessioni tra i temi dell’archivio in quanto considerato luogo aperto, del paesaggio archivio di se stesso, del trinomio paesaggioarchivio-museo. Elaborati grafici e modelli tridimensionali hanno dimostrato la possibilità di progettare nuove reti archivistiche e museali nel territorio torinese, a partire dall’asta fluviale del Po e dei suoi affluenti. Lungo tale sistema fluviale, infatti, sono stati individuati luoghi e architetture antiche o appartenenti al secolo scorso idonee ad ospitare polarità con caratteristiche di museo, veri e propri strumenti di salvaguardia attiva del paesaggio fluviale, originali e innovativi nei confronti dei territori da recuperare, ma ricchi di sorprendenti potenzialità. I casi, esaminati e sviluppati con approfondimenti diversi, illustrano i temi del museo in quanto edificio contenitore e per i materiali contenuti, quelli del museo che si dilata verso i lungofiume, quelli del territorio che è museo di se stesso. Basti citare alcuni esempi: l’Abbadia di Stura, luogo strategico e carismatico nel passato e il suo sistema agricolo, ora interrotto da massicci insediamenti industriali; l’insieme dei resti dell’antico castello e parco del Viboccone, della Manifattura Tabacchi, della fabbrica ex Fimit, della cascina detta dell’Airale, dove gli aspetti museali del territorio si sovrappongono a quelli degli edifici o alla memoria di essi; l’acquario rettilario di Ezio Venturelli e la stretta lingua di terra già destinata a giardino zoologico, ora barriera fisica e funzionale tra fiume e città, ma potenziale area di connessione se si recupera la sua funzione originaria; il possibile sistema museale lungo il torrente Sangone, ai confini tra Torino e Nichelino, nelle forti polarità dei resti dell’antico Castello di Mirafiori, del Mausoleo della Bela Rosin, della Palazzina di caccia di Stupinigi, del Castello del Drosso, nonché nel disegno complesso delle tracce degli antichi giardini, delle zone a parco e delle tracce delle rotte di caccia, aperte idealmente al continuum della campagna circostante.
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In tali contesti, dopo aver delineato - ricorrendo a priori alla virtualità - soluzioni di progetto poco invasive e facilmente rinnovabili, a partire da percorsi territoriali sino ad allestimenti interni fortemente radicati nei luoghi, resta davvero difficile immaginare realtà museali che non si estendano al di fuori di esse. Ulteriori programmi di ricerca dovrebbero approfondire altri casi sperimentali al fine della rivalutazione integrata del patrimonio artistico, architettonico, ambientale, culturale locale. In tempi recenti molti luoghi minori del Piemonte hanno promosso azioni volte ad una maggiore consapevolezza del valore del proprio patrimonio culturale: tale attenzione collettiva ormai diffusa sul territorio può trovare nella progettazione di un museo virtuale, organizzabile a sistema, l’unica via attualmente sostenibile per la comunicazione, la valorizzazione e quindi la conservazione. L’impostazione del lavoro dovrebbe passare attraverso la traslazione di concetti e principi museologici e museografici dal reale al virtuale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BORNIANI MAURIZIO et al., Il paesaggio antropico come palinsesto: il caso dell’Ager Ticinensis e della Mediolanum Ticinum, in DE MARCHI MARINA, SCUDELLARI MIRELLA, ZAVAGLIA ANTONIO (a cura di), Lo spessore storico in urbanistica, Vol. 23, Ed. Società Archeologica Padana s.r.l., Mantova 2001. BOURASSA STEPHEN C., The Aesthetics of Landscape, Bellhaven Press, London 1991. BRUNDTLAND GRO HARLEM, Our Common Future. The World Commission on Environment and Development, Oxford University Press, Oxford 1987. Consiglio d’Europa, Convenzione Europea del Paesaggio, Firenze 20 ottobre 2000. DUBOST FRANÇOISE, CLERGUES LUCIEN, Mon paysage. Le paysage préféré des Français, Marval, Paris 1995. GEERTZ CLIFFORD, The interpretation of cultures, Basic Books, New York 1973. MORRIS CHARLES, Segni, Linguaggio e Comportamenti, Ed. Longanesi, Milano 1963. NASSAUER JOAN I., Culture and changing landscape structure, Landscape Ecology, vol. 10, n. 4, SPB Academic Publishing, Amsterdam 1995, pagg. 229-237. SASSO LAURA, Archivi da mostrare, Paesaggi e architetture in rete per una rete di progetti, Lybra Immagine, Milano 2004. SCAZZOSI LIONELLA, Valutare il Paesaggio, in CLEMENTI ALBERTO (a cura di), Interpretazioni di paesaggio. Convenzione Europea e innovazioni di metodo, Meltemi editore, Roma 2002.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Tutte le immagini utilizzate sono state fornite dall’autrice del testo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. 45
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Saggi pagg. 46-58
IL DISEGNO DELL’ACQUA NELLA COSTRUZIONE DI GIARDINI E PAESAGGI Tessa Matteini *
Summary In every ages, hydraulic system characterized garden and landscape design, built around water function, symbols, religious, formal and esthetical valences. Patterns of many historical and contemporary landscapes are often organized in a plot, tightly linked to water systems. Garden was born like an irrigated enclosure in the desert, to become place of soul, reflection or representation land, initiation or didactic way, or public park, always following his feeding water thrickle. The article deals with historical excursus, to analyse evolutions and transformations of water in design of gardens and landscapes, until contemporary age, by taking examples and quotations in projects, landscapings and cultural references. Key-words Water, design, landscape, garden
Abstract Il sistema idrico ha sempre caratterizzato, nel corso dei secoli, il disegno di giardini e paesaggi, costruiti intorno alla funzionalità, alla simbologia, alle valenze religiose, compositive ed estetiche legate alla presenza dell’acqua. La struttura di molti paesaggi, storici e contemporanei, è organizzata secondo una trama che non può prescindere dal sistema idrico che li alimenta. Il giardino nasce come recinto irrigato nel deserto e diviene di volta in volta, luogo dell’anima, spazio di meditazione o rappresentanza, percorso iniziatico o didattico, oppure parco pubblico, sempre seguendo il filo dell’acqua che lo alimenta. Il saggio effettua un excursus storico, analizzando evoluzioni e trasformazioni fisiche e concettuali della componente acqua nelle categorie progettuali legate alla costruzione di giardini e paesaggi, fino al contemporaneo, prendendo ad esempio progetti, realizzazioni e riferimenti culturali sul tema. Parole chiave Acqua, progetto, paesaggio, giardino
* Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze
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“Sarebbe difficile trovare una materia più adatta da esaminare nella costruzione di un giardino, che un trattato su acque e fontane. Sono quelle che costituiscono il principale ornamento dei giardini, che li animano e sembrano donargli vita; la loro luminosità scintillante, la loro caduta ne bandiscono la solitudine e noi spesso dobbiamo soltanto alla loro frescura e al loro mormorio, l’amabile riposo che i giardini ci procurano”1 Antoine Joseph Dezailler d’Argentville, La théorie et la pratique du jardinage, Paris 1747 (1709).
Se, come sostiene Michel Conan, i giardini attraversano senza rumore la nostra storia2, l’acqua costituisce, da sempre, il contrappunto che accompagna armonicamente questa processione silenziosa e la risorsa preziosa che ne consente l’esistenza. Tra i materiali che definiscono il giardino, l’elemento idrico appare infatti, con la struttura vegetale, uno tra i più primordiali3, costituendone un presupposto quasi ineludibile: tranne in condizioni molto particolari, non può esistere un giardino senza acqua che lo nutra e lo mantenga in vita. Il più celebre dei trattatisti francesi, Dezailler d’Argentville nel 1747, ne sottolinea così l’imprescindibilità in ogni impianto vegetale per la creazione di un giardino di piacere: “La necessità dell’acqua per l’accrescimento dei vegetali è stata ormai sufficientemente stabilita. È l’acqua che mantiene l’elasticità delle piante, che sviluppa i loro semi e che, riunendo i principi nutritivi della linfa, le dona i mezzi per spostarsi all’interno della pianta”4. Per questo, il sistema idraulico ha caratterizzato, nel corso dei secoli, il disegno di giardini e paesaggi, costruiti intorno alla funzionalità, alla semantica, alle valenze percettive, figurative ed estetiche legate alla presenza dell’acqua. La struttura compositiva di molti dei paesaggi storici e contemporanei, è organizzata secondo una trama che non può prescindere dalla rete di acque che li alimenta. Così il giardino nasce e si trasforma, diventando di volta in volta, luogo dell’anima, spazio di meditazione o di rappresentanza, percorso iniziatico, ritiro filosofico oppure parco pubblico, sempre seguendo il filo dell’acqua che lo disegna5. MATRICI FIGURATIVE E CULTURALI L’utilizzo dell’acqua per l’irrigazione dei giardini risale alle culture mesopotamiche, in cui paradisi artificiali venivano costruiti in terre desertiche, fino ad allora sterili ed alimentate da un flusso d’acqua quasi continuo, realizzato a dorso d’uomo6. Il giardino nasce così come recinto irrigato nel deserto e si sviluppa secondo matrici formali e modelli culturali diversi, in molti casi influenzati in maniera importante dal sistema di adduzione idrica utilizzato per l’alimentazione7. 1 Si tratta del capitolo primo nell’introduzione alla Quarta parte dell’opera, un trattato di idraulica per i giardini. ANTOINE JOSEPH DEZAILLER D’ARGENTVILLE, La théorie et la pratique du jardinage, Paris 1747, Actes sud, Arles 2003, pag. 418. Traduzione dell’autrice. 2 «Les jardins traversent sans bruit notre histoire». La frase è di Michel Conan, riportata da JOHN DICKSON HUNT, Greater Perfections, The practice of garden theory, Thames and Hudson, London 2000, pag. 14. 3 Vedi il capitolo Au fil de l’eau, in HERVE BRUNON, MONIQUE MOSSER, Le jardin contemporain. Rénouveau, expériences et enjeux, éditions Scala, Paris 2006, pag. 40. 4 ANTOINE JOSEPH DEZAILLER D’ARGENTVILLE, op.cit., pag. 418. Traduzione dell’autrice. 5 Per la stesura di questo articolo, vorrei ringraziare il dott. Graziano Ghinassi che ha fornito i materiali e la preziosa consulenza tecnica su molti dei temi trattati, consentendo lo sviluppo di una serie di riflessioni, nate dallo studio comune sull’argomento, in occasione della correlazione per la tesi di laurea della dott.ssa Luigina Di Lorenzo, “Acqua: tra cultura, qualità della vita e conservazione della risorsa”, discussa il 29 aprile 2005. 6 Sullo sviluppo delle tecniche di sollevamento, adduzione e conservazione dell’acqua nell’antichità, vedi PIETRO LAUREANO, Abitare il deserto. Il giardino come oasi in ATTILIO PETRUCCIOLI, Il giardino islamico. Architettura, natura, paesaggio, Electa, Milano 1994, pagg. 63-84; PIETRO LAUREANO, Atlante d’acqua. Tecniche tradizionali per la lotta alla desertificazione, Bollati Boringhieri, Torino 2001. In particolare i capitoli “Oasi”, pagg. 121-202 e “Tecniche idriche e costruzione del paesaggio”, pagg. 203-235. 7 Sull’evoluzione delle tecniche idriche nel giardino vedi: LUIGI ZANGHERI, Acquedotti e sistemi idraulici, in LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Leo S.Olshki, Firenze 2003, pagg. 309-322.
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Figura 1. Una rappresentazione del paradiso terrestre che evidenzia il ruolo strutturante dei corsi d’acqua che disegnano il giardino, nell’Histoire ancienne jusqu’à César (1250-1400), conservata presso la Bibliothèque Royale de Bruxelles.
Il primo giardino di cui resta traccia nella memoria dell’uomo, il paradiso terrestre descritto dalla Genesi, viene disegnato dal percorso dei quattro fiumi8 che provvedono all’irrigazione della composita flora dell’Eden, disposti a formare una quadripartizione orientata secondo i punti cardinali. Questa struttura geometrica quadripartita, denominata Chaar-bagh (o cahārbāgh)9, diverrà la matrice figurativa che contraddistingue molti dei giardini orientali ed islamici e, attraverso la contaminazione culturale che avviene in periodo tardoantico e medioevale, sarà utilizzata anche all’interno degli horti conclusi della cristianità, assumendo in questo caso significati legati alla simbologia sacra. In questi spazi, di ispirazione prevalentemente religiosa10, l’acqua proveniente da una fontana/sorgente centrale rappresenta l’origine della vita ed il giardino viene suddiviso da quattro canali perpendicolari in altrettanti settori che simboleggiano le quattro regioni della Terra, secondo il modello edenico. Il modello quadripartito attraversa tutta la storia del giardino formale, fino ad ispirare imponenti realizzazioni in scala paesaggistica, come il bacino cruciforme di Versailles.
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I quattro fiumi di cui parla la Genesi erano il Tigri, l’Eufrate, il Gihon e il Pishon. Gli ultimi due, non sono mai stati identificati, né collocati geograficamente. 9 Sulla matrice formale e semantica dello cahārbāgh, vedi MAHVASH ALEMI, Il giardino persiano: tipi e modelli in ATTILIO PETRUCCIOLI, op. cit., Milano 1994, pagg. 45-46. 10 Nel Medioevo, l’hortus conclusus assume, tra le altre, la valenza metaforica legata al mistero della verginità di Maria, inserendosi così nella complessa simbologia religiosa riconducibile alle tematiche del giardino medioevale. Su questo tema vedi, in particolare, MARIELLA ZOPPI, Storia del giardino europeo, Laterza ed., Bari 1995.
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Figura 2. Un’immagine dello cahārbāgh, letteralmente frutteto o recinto quadripartito, in una miniatura persiana intitolata “L’imperatore Bābūr supervisiona l’impianto di Bāgh-i-Vafā mentre si provvede a mettere a filo il canale dell’acqua” (dal Bābūrnāme, Londra, Victoria and Albert Museum). In primo piano, con la tavola dei progetti, è visibile l’architetto11.
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Sull’interpretazione della miniatura, vedi MAHVASH ALEMI, op. cit., pag. 39.
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Figura 3. Il canale longitudinale progettato da Kienast e Vogt, nel giardino per la fondazione del Swiss Re Centre for Global Dialogue a Rüshlikon.
In epoca contemporanea la matrice dello cahārbāgh è stata riproposta, ad esempio, nel progetto per il Garden of Forgiveness a Beirut12, come struttura per organizzare lo spazio ed evocare l’ibridazione di modelli culturali di giardino in un contesto urbano storicamente contraddistinto dal melting pot. Un’altra matrice figurativa, strettamente legata alla struttura idrica del giardino, è quella che si origina dal segno di un corso d’acqua centrale, riscontrabile negli spazi aperti delle domus pompeiane (si pensi alla casa di Loreio Tiburtino13), in cui un canale stretto e lungo detto Euripo, riproduceva il fenomeno dell’inversione della corrente caratteristico dell’omonimo stretto che separa l’isola di Eubea dall’Attica14. Il funzionamento di questi canali, irrigui ed ornamentali al tempo stesso, avveniva attraverso un sistema di chiuse e paratoie ed il loro disegno longitudinale organizzava la struttura compositiva di tutto il giardino. Il modello dell’euripo romano è all’origine di un’altra categoria di spazio aperto15, costruito intorno alla linea generatrice del canale centrale e rappresentato da una serie di esempi storici, come il Patio dei Mirti, nei giardini dell’Alhambra a Granada, costruito da Yusuf I alla metà del XIV secolo16.
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Sul Garden of Forgiveness (1999-2006), progettato da Kathrin Gustafson e Neil Porter, vedi in particolare: JANE AMIDON, Moving Horizons. The Landscape Architecture of Kathryn Gustafson and Partners, Birkhäuser, Basel-Berlin-Boston 2005, pag. 190 e segg.; PETER REED, Groundswell, constructing the contemporary landscape, The Museum of Modern Art, New York 2005, pag. 78 e segg.; NEIL PORTER, Garden of ForgivenessHadiqat Samah, Beirut in “Topos”, n. 45, dicembre 2003. 13 Sull’organizzazione planimetrica del sistema idrico nella domus di Loreio Tiburtino ed in generale sull’importanza dell’acqua negli spazi aperti privati ed urbani in epoca romana, vedi MARIELLA ZOPPI, Storia del giardino europeo, Laterza ed., Bari 1995, pagg. 17-18. 14 PIERRE GRIMAL, L’arte dei giardini. Una breve storia, edizione a cura di Marina Magi, Donzelli Editore, Roma 2005, pag. 24. 15 MARIELLA ZOPPI, op. cit., Laterza ed., Bari 1995, pag. 25. 16 MARIELLA ZOPPI, op. cit., Laterza ed., Bari 1995, pag. 27.
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Figura 4. William Kent, disegno prospettico per la collina di Chatsworth, nel Derbyshire. La narrazione è costruita attraverso la sequenza di elementi architettonici in progressione, disposti lungo il versante e collegati dal continuum della linea d’acqua: l’antichità classica evocata da una copia del Tempio della Sibilla a Tivoli, la fase successiva, il Rinascimento italiano, raffigurato da arcate rustiche ispirate a quelle della Villa Aldobrandini a Frascati17, ed infine la rappresentazione del presente, evocato dai due capricciosi padiglioni romani.
Lo schema derivato da questa struttura viene riproposto in chiave contemporanea, fra gli altri, da Kienast e Vogt nel giardino per la fondazione del Swiss Re Centre for Global Dialogue a Rüshlikon18. Nel disegno del parco svizzero, il lungo corridoio d’acqua, al tempo stesso percorso e superficie riflettente, è utilizzato dai progettisti come connessione fisica e concettuale tra la parte storica e quella moderna del complesso, attraverso la combinazione di materiali e schemi tradizionali, definiti però adoperando strumenti progettuali contemporanei. Un’altra matrice storica, quella del giardino formale terrazzato, è strettamente connessa al disegno dei sistemi di adduzione e di deflusso idrico. La sua origine si trova in uno dei modelli archetipici per la storia dell’arte dei giardini: le terrazze pensili di Babilonia. Secondo le fonti antiche, tra gli elementi caratterizzanti la struttura costruttiva dei giardini babilonesi19 si trovava un complesso sistema per l’utilizzo delle acque, denunciato dai piccoli fori per il drenaggio. 17
Secondo Dickson Hunt. Vedi JOHN DICKSON HUNT, op.cit., pag. 230. Sul giardino del centro vedi, in particolare, la scheda in UDO WEILACHER, In gardens. Profiles of Contemporary european Landscape Architecture, Birkhauser, Berlin 2005, pagg. 114-122. 19 Le informazioni archeologiche di cui disponiamo attualmente tendono a collocarne la costruzione durante il regno di Nabucodonosor II (605-562 a.C.). Sulle fonti e le interpretazioni dei giardini babilonesi, vedi LUIGI ZANGHERI, Il giardino pensile di Babilonia, in LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Leo S.Olshki, Firenze 2003, pagg. 299-308. 18
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Un bacino artificiale per la conservazione, posto ad una quota superiore e alimentato attraverso meccanismi per il sollevamento idraulico20, forniva acqua di irrigazione per caduta naturale. Il modello terrazzato viene riproposto nei giardini rinascimentali e barocchi, generalmente dotati di sistemi idraulici di adduzione che funzionano per caduta e in cui possono trovare posto vasche di disconnessione, ed un sistema sotterraneo di fosse fogniate per lo smaltimento delle acque superficiali. In molti casi, si pensi soltanto alle realizzazioni del Cinquecento mediceo come Boboli, Castello, Petraia, collocazione e forma del giardino sono determinate proprio dalle necessità idriche che impongono la presenza di una sorgente, o la costruzione di un acquedotto e lo sfruttamento di un dislivello considerevole per consentire il movimento dell’acqua. La struttura del giardino deve prevedere, al tempo stesso, una serie di accorgimenti per il drenaggio, necessari a mantenere la stabilità del versante. La minuziosa illustrazione dell’articolato sistema idraulico del parterre di Castello riportata dal Vasari, nella Vita del Tribolo21, contiene notazioni sulle problematiche di alimentazione, conduzione e conservazione dell’acqua ed illustra la sapienza tecnologica sull’argomento raggiunta nel XVI secolo alla corte medicea, attraverso i contatti con le fonti classiche e con il mondo arabo22 da sempre custode delle conoscenze teoriche e pratiche sulla scienza irrigua23. Un altro importante resoconto sul Piano degli agrumi, scritto da Michel de Montaigne intorno al 1581, ricorda, con qualche approssimazione, la descrizione delle spalliere dei giardini valenciani nella Vita di Ferdinando d’Aragona, scritta da Lorenzo Valla fra il 1445 ed il 144624. In effetti la modularità quadrata, che distingue il disegno planimetrico degli spartimenti del giardino del Tribolo, potrebbe conseguire dalle esigenze di un sofisticato sistema idraulico di derivazione arabo-ispanica, come quelli sperimentati nei giardini della Spagna meridionale. Tra le matrici che trovano nel sistema idrico una struttura organizzativa importante, è d’obbligo inserire anche quella del giardino disegnato per episodi, con intenti narrativi e semantici, ampiamente applicata dagli inizi del Settecento alla definizione dei modelli culturali del giardino paesaggistico25. Realizzazioni come il giardino di Rousham o quello di Chatsworth, disegnati da William Kent nella prima metà del Settecento, o il parco di Méréville, progettato da Bélanger e Hubert Robert negli anni Ottanta del secolo26, organizzate secondo una successione di quadri successivi, destinati a raccontare una storia al visitatore che li attraversa, vengono unificate, nella composizione generale, proprio dal percorso dell’acqua che, al loro interno, lega i singoli passaggi in un continuum. L’origine di questo tipo di struttura compositiva risale almeno all’antichità classica: si pensi alla sistemazione degli spazi aperti nella villa di Adriano a Tivoli (117-138 d.C.), in cui i
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PIERRE GRIMAL, op.cit., Roma 2005, pagg. 9-10. Vita di Niccolò detto il Tribolo in GIORGIO VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori, (Firenze 1568) edizione Salani, Firenze 1963, volume V, pagg. 287-289. 22 Sul giardino islamico vedi ATTILIO PETRUCCIOLI, op.cit, Milano 1994, ed in particolare il capitolo di James L. Wescoat, L’acqua nei giardini islamici: religione, rappresentazione e realtà, pagg. 109-126 e LUIGI ZANGHERI, BRUNELLA LORENZI, Il giardino islamico, Olshki, Firenze 2006. 23 L’attenzione specifica per l’arte idraulica, presente in Europa fin dal Medioevo, si sviluppa in particolare nel Quattrocento, quando si diffondono gli scritti di Erone Alessandrino, Filone e le traduzioni di alcuni manoscritti arabi sull’argomento. Vedi LUIGI ZANGHERI, Acquedotti e sistemi idraulici, in LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Leo S. Olshki, Firenze 2003, pag. 318. 24 Per questa indicazione ringrazio l’architetto Giorgio Galletti che mi ha segnalato le affinità tra le due descrizioni. 25 Su questo tema, vedi JOHN DICKSON HUNT, “Ut pictura poesis”: il giardino e il pittoresco in Inghilterra, 17101750, in MONIQUE MOSSER, GEORGES TEYSSOT (a cura di), L’architettura dei giardini d’Occidente, Electa, Milano 1990, pagg. 227-237. 26 Il parco viene realizzato tra il 1784 ed il 1786 per Jean Joseph Laborde Su Méreville, ed in generale sui giardini di H. Robert, vedi JEAN CAYEUX, Les jardins d’Hubert Robert, Paris, Herscher 1987. Per un inquadramento culturale nel fenomeno dei parc à fabriques, vedi DOMINIQUE CESARI, Les jardins de lumières en Ile de France, Parigramme Paris 2005, pagg. 40-46. 21
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singoli episodi paesaggistici, citazioni di siti reali o letterari prediletti dall’imperatore27, e la sistemazione generale sono organizzati e relazionati da una serie di luoghi d’acqua, fortemente connotati dal punto di vista simbolico e semantico: il Canopo, che rievoca un canale visitato in Egitto, il Pecile ed il Teatro marittimo, interpretato variamente dagli autori, come raffigurazione simbolica del Cosmo o ritiro di delizie28. SUL FILO DELL’ACQUA: PERCORSI, SEQUENZE E NARRAZIONI “Tutte queste piccole strade erano bordate e traversate da un’acqua limpida e chiara, a volte dispersa fra l’erba e i fiori in rivoli quasi impercettibili, a volte in più grandi ruscelli che scorrevano sulla ghiaia pura e macchiettata che rendeva l’acqua più brillante. Si vedevano delle sorgenti ribollire e sgorgare dalla terra, e qualche volta dei canali più profondi, nei quali l’acqua calma e tranquilla rifletteva gli oggetti” Jean Jacques Rousseau, Nouvelle Heloïse, 176129
Il giardino di Giulia, l’Eliseo descritto da Rousseau nella seconda metà del Settecento, costituisce un’esemplificazione delle modalità con cui, nel modello del giardino paesaggistico, frequentemente sia il percorso dell’acqua a disegnare la trama degli itinerari e dei riferimenti funzionali, semantici e percettivi. Ma già in epoca imperiale, nella descrizione del giardino della villa di Tusculum, Plinio il Giovane guidava l’amico Apollinare alla scoperta delle sue proprietà, lasciandosi condurre proprio dall’acqua che sottolineava, negli intenti del proprietario, la buona gestione del complesso: “Presso ai sedili delle fontanelle, per tutto l’ippodromo mormorano rivoli condotti da canaletti docili alla mano che li dirige: con essi si innaffiano ora l’una, ora l’altra coltivazione e a volte tutte ad un tempo”30. Le rappresentazioni del giardino medioevale, in forma di hortus deliciarum, connotate da un simbolismo accentuato che conferisce un forte potere semantico a tutti gli elementi compositivi, utilizzano molto spesso il percorso dell’acqua come elemento di raccordo tra i diversi episodi. Si pensi soltanto al fenomeno culturale dei romanzi cavallereschi, come il Roman de La Rose di Guillaume de Lorris31 che narra lo svolgersi di un percorso iniziatico e simbolico alla ricerca di felicità, saggezza e amor cortese incarnate nel fiore della Rosa. Nel frutteto di Deduit, descritto nella prima parte del romanzo, l’acqua che scorre estesamente, grazie a piccoli tubi, diviene l’elemento strutturante dell’impianto compositivo, ed il centro del giardino è costituito, alla maniera persiana, da una fonte in marmo all’ombra di un pino, dedicata alla memoria di Narciso32 e ornata da due cristalli di rocca che riflettono l’intero giardino, conferendo all’acqua la valenza ulteriore di dispositivo percettivo. Il giardino medioevale nella sua forma più compiuta e matura é individuabile in un’altra descrizione letteraria, composta da Giovanni Boccaccio per il proemio alla Terza giornata del Decamerone, in cui l’acqua, ancora una volta al centro dell’hortus conclusus, e della narrazione, diviene elemento allegorico, decorativo e strumento di piacere sensoriale, sgorgando da una “fonte di marmo bianchissimo e con meravigliosi intagli; iv’entro, la quale non so se da natural vena o da artificiosa per una figura, che sopra una colonna che nel
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Sull’identificazione dei luoghi collezionati da Adriano nel suo parco a Tivoli e sull’organizzazione compositiva e planimetrica, vedi il capitolo Le collezioni dei Tre Regni, in CHARLES W. MOORE WILLIAM J. MITCHELL, WILLIAM TURNBULL, Poetica dei giardini, Franco Muzzio Editore, Padova 1991, pagg. 100-102. 28 Ibidem. 29 Nella traduzione riportata in PIERRE GRIMAL, op.cit., pag. 80. 30 Vedi l’epistola di Plinio ad Apollinare riportata nel capitolo Orti greci e giardini romani in LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Leo S.Olshki, Firenze 2003, pag. 13. 31 Il poema viene iniziato nel 1220 da Guillame de Lorris e terminato nel 1280 in forma satirica da Jean de Meung. MARIELLA ZOPPI, op. cit., Laterza ed., Bari 1995, pag. 31. PIERRE GRIMAL, op. cit., pag. 45-47. 32 Ibidem.
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mezzo di quella ritta era gittava tant’acqua e sì alta verso il cielo, che poi non senza dilettevole suono nella fonte chiarissima ricadea che di meno avria macinato un mulino”33. Tra i giardini formali costruiti dal disegno dell’acqua, particolarmente significativo è l’esempio del barco di Bagnaia, tradizionalmente attribuito al Vignola, in realtà opera del senese Tommaso Ghinucci che vi lavora per il cardinale Giovan Francesco Gambara, vescovo di Viterbo a partire dal 156634. Il sistema idraulico, che sfrutta la pendenza del versante per il suo funzionamento “a caduta”, compone la struttura del giardino, disegnandone la planimetria ed organizzandone il percorso di visita. L’asse geometrico e prospettico centrale è costituito dal percorso di una catena d’acqua che si trasforma nel passaggio tra i vari livelli in cui è suddiviso il giardino: dalla fontana del Diluvio, trattata con roccaglia ad imitazione naturalistica di una sorgente boschiva, attraverso una serie di episodi acquatici (vasche, fontane, tavole d’acqua) fino alla terrazza inferiore, un vasto spazio quadrato organizzato da moduli regolari, con ampio parterre d’eau, disegnato intorno alla Fontana dei Mori.
Figura 5. La fontana dei lumini nel percorso d’acqua centrale del giardino di Villa Lante a Bagnaia (Viterbo).
La transizione fisica, simbolica e concettuale dallo spazio segreto e ombroso del selvatico superiore al parterre formale terrazzato, soleggiato ed aperto sul paesaggio circostante, attraversa una serie di stati intermedi, rappresentati dalla trasformazione della catena d’acqua centrale che si modifica in una sequenza continua di variazioni dialettiche: movimento/quiete, selvatico/domestico, ombra/luce. All’incirca negli stessi anni35, lungo i versanti del parco di Pratolino, dal Giove di Baccio Bandinelli al gruppo della Lavandaia che strizza i panni con il puer mingens di Valerio Cioli, attraverso una straordinaria sequenza di invenzioni figurative e tecnologiche, la costruzione semantica della fabula di Francesco I, viene rappresentata da Bernardo 33
Riportato in Il giardino della Firenze medioevale, LUIGI ZANGHERI, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Leo S. Olshki, Firenze 2003, pag. 25. 34 Sul giardino di Bagnaia, vedi Villa Lante a Bagnaia. Storia e interpretazioni in MONIQUE MOSSER GEORGES TEYSSOT, op.cit., pagg. 87-91. 35 A Pratolino, Bernardo Buontalenti lavora tra il 1568 ed il 1586, per Francesco I dei Medici.
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Buontalenti, ingegnere idraulico, scenografo ed inventore, con diversi artifici, utilizzando l’acqua come materiale privilegiato36: in forma di getti disposti a creare una galleria perfetta, nel viale degli zampilli; come patina iridescente che ravvivava le decorazioni polimateriche sulle pareti delle grotte artificiali. O ancora come motore del movimento degli automi eroniani37, descritti dai visitatori38, e riproposti in seguito nelle grotte manieriste e barocche dei giardini di numerose regge europee, come Hellbrunn, Heidelberg, St Germain en Laye, Praga e Monaco, spesso disegnate da progettisti italiani, come i celebri Tommaso ed Alessandro Francini chiamati in Francia da Enrico IV alla fine del XVI secolo39. In alcuni casi, l’utilizzo dell’acqua diviene strumento di esibizione e raffigurazione dell’assolutismo monarchico, come nella creazione di un altro percorso allegorico legato al tema idrico, quello che si snoda all’interno del parco di Versailles40, commissionato nel 1661 ad Andrè Le Nôtre da Luigi XIV. Nella costruzione del giardino reale, le ambizioni del sovrano dovettero tuttavia confrontarsi con questioni idrauliche molto concrete: fu necessario bonificare estese zone paludose e costruire acquedotti che dalla Senna conducessero ingenti volumi d’acqua fino alla reggia e al parco. I dislivelli esistenti tra la quota del fiume e quella di consegna costituirono il principale limite per l’approvvigionamento idrico. Le tecnologie dell’epoca, tra cui la cosiddetta Machine de Marly41, una complicata macchina di pompaggio costruita lungo la Senna, a Bougival, da Arnold De Ville e Rennequin Sualem, non furono in grado di porre completamente rimedio al problema, tanto che i giochi d’acqua di fontane e bacini venivano azionati quasi esclusivamente al passaggio del re e della corte. A volte la forma dell’acqua individua più di ogni altro elemento la matrice culturale che compone il giardino: nel Parco della Villa reale di Caserta, ad esempio, la transizione stilistica dal giardino barocco al parco paesaggistico è disegnata proprio dalla catena d’acqua centrale, nella sequenza che passa dalla monumentalità costruita del grande canale di Luigi Vanvitelli (1750), alla cascata paesaggistica soprastante, creata dal figlio Carlo, nella seconda metà del Settecento, ad imitazione di un corso d’acqua naturale. Il potere evocativo e semantico delle superfici di corpi d’acqua, laghi e bacini, è stato utilizzato frequentemente dai progettisti per costruire narrazioni e ricreare particolari situazioni emotive all’interno di giardini e paesaggi. Tra i modelli del landscape garden è d’obbligo ricordare, in questo senso, il paesaggio filosofico disegnato dal marchese de Girardin a Érmenonville42, tra il 1767 ed il 1785, che accoglie, tra gli altri episodi, la tomba di Rousseau sull’isola dei Pioppi. Il sepolcro, disegnato da Hubert Robert, è collocato sulla piccola isola, scelta dallo stesso filosofo, coronata da un cerchio di pioppi cipressini e distanziata dalla riva a significare la separazione dal mondo terreno, simboleggiata dall’acqua.
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Vedi LUIGI ZANGHERI, I giardini del Buontalenti fra ingegneria e teatro, in MONIQUE MOSSER GEORGES TEYSSOT, op.cit., pagg. 92-95. 37 Gli automi erano così denominati dal matematico Erone Alessandrino, nel cui trattato, Pneumatica (I secolo d. C.) venivano illustrate le modalità per far funzionare gli automi tramite un sistema che utilizzava acqua ed aria compressa. Sul sistema idraulico di Pratolino, vedi in particolare LUIGI ZANGHERI, Pratolino, il giardino delle Meraviglie, Gonnelli, Firenze 1979, pagg. 247-253. 38 Le meraviglie idrauliche di Pratolino conobbero una grande fortuna critica e vennero descritte e divulgate da numerosi autori come Francesco de Vieri, nei suoi Discorsi delle maravigliose opere di Pratolino, o d’Amore (1586), dai taccuini di disegni di Giovanni Guerra (1598), e da diari di viaggio come quelli di Michel de Montaigne (1580) o di Heinrich Schichkardt (1599). 39 Sul tema delle grotte vedi il saggio Le grotte dei giardini in LUIGI ZANGHERI, op.cit., pagg. 333-343. 40 Il sistema dei canali, delle vasche e delle fontane di Versailles è stato concepito secondo una complessa iconografia, legata alle declinazioni storiche e mitologiche del tema del sole, emblema del sovrano. Vedi AURELIA ROSTAING, Les jardins de Le Nôtre en Île de France, Monum, Editions du Patrimoine, Paris 2001, pagg. 25-33. 41 Sull’approvvigionamento idrico di Versailles e la vicenda della machine de Marly, vedi AA.VV., Les Maîtres de l’eau, d’Archimède à la machine de Marly, Éditions Artlys, Versailles 2006. 42 Su Érmenonville, vedi la scheda omonima in DOMINIQUE CESARI, op.cit., pagg. 24-33.
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Figura 6. Percorsi d’acqua nel giardino storico e contemporaneo. A sinistra il canale d’acqua e la vasca ottagonale nel Cold Bath del giardino di Rousham, Oxfordshire, disegnato da William Kent negli anni Trenta del Settecento; a destra il canale musicale progettato da Geoffrey Jellicoe per il giardino di Shute House, nel Dorset.
Il forte potenziale comunicativo di questo scenario viene riproposto, più di due secoli dopo, dal paesaggista Dieter Kienast in un contesto completamente diverso, un giardino pubblico ad Helsinki, il Töölönlahti Park, disegnato intorno ad un sistema di canali e ad un lago all’interno dell’ambiente urbano. Nel parco, che intende riproporre le pratiche progettuali ed il fascino agreste del landscape garden, trasferendoli nel centro della città, Kienast utilizza ampiamente il rapporto semantico con il sistema d’acque, citando esplicitamente la suggestiva solitudine dell’isola dei Pioppi di Ermenonville. CONCLUSIONI Al termine di queste brevi note, delineate nel tentativo di comprendere il ruolo culturale dell’acqua nella costruzione del giardino, paesaggio artificiale43 per eccellenza, sembra importante sottolineare alcune considerazioni utili nella pratica progettuale e suscettibili di approfondimento nel campo di ricerca. L’acqua è uno dei materiali costitutivi per la costruzione fisica e concettuale di giardini e paesaggi, ma, prima di tutto, è una risorsa preziosa soggetta ad un consumo accelerato. Nel corso dei secoli, paesaggisti capaci hanno sviluppato progetti di spazi aperti disegnati intorno al sistema idrico, con l’obiettivo di consentire il rispetto, la salvaguardia e lo sfruttamento consapevole dell’acqua, in un’ottica che, in termini contemporanei, potremmo definire ‘sostenibile’. Il progetto di un paesaggio del XXI secolo dovrebbe nascere con lo stesso atteggiamento culturale, concepito in un’integrazione di competenze specifiche che riconosca al sistema dell’acqua il ruolo basilare che, di fatto, le compete, come risorsa, scheletro e struttura portante di un paesaggio44. 43 “Il giardino è un sistema ecologico fortemente antropizzato e per questo, tanto più fragile quanto più grande è il livello di artificialità. Il mantenimento dell’equilibrio si basa su una serie di apporti energetici esterni di cui l’acqua è senz’altro il più importante.” Da GHINASSI GRAZIANO, Acqua e giardino. Dai fasti dell’antichità all’incertezza per il futuro, in “Bollettino dell’Accademia degli Euteleti”, San Miniato al Tedesco, dicembre 2005, pag. 325. 44 Tra i numerosi esempi virtuosi, in questo senso è possibile citare, tra tutti, il progetto sintattico di Peter Latz per il Landshaftpark di Duisburg Nord (1991-2002) e quello della Agence Ter (Henri Bava e Olivier Philippe) per il Park der Magischen Wasser in Bad Oeynhausen (1997-2000).
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Figura 7. A sinistra, l’isola dei pioppi ad Ermenonville, con il sepolcro di Rousseau, disegnato da Hubert Robert Da ALEXANDRE LABORDE, Description des nouveaux jardins de la France et de ses anciens châteaux, Paris 1808. A destra la riproposizione contemporanea del tema nel progetto di Dieter Kienast per il parco di Töölönlahti, ad Helsinki.
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: AZZI VICENTINI MARGHERITA, CARDINI FRANCO, GALLETTI GIORGIO, Giardini. Mille anni di arte del verde tra Oriente e Occidente, Giunti, Firenze 2005, pag. 14. Figura 2: PETRUCCIOLI ATTILIO, Il giardino islamico. Architettura, natura, paesaggio, Electa, Milano 1994, pag. 40. Figura 3: WEILACHER UDO, In gardens. Profiles of Contemporary european Landscape Architecture, Birkhauser, Berlin 2005, pag. 118. Figura 4: MOSSER MONIQUE, TEYSSOT GEORGES (a cura di), L’architettura dei giardini d’Occidente, Electa, Milano 1990, pag. 231. Figura 5: foto Tessa Matteini, settembre 2000. Figura 6a: foto Tiziana Lettere, luglio 2002. Figura 6b: ANDREW WILSON, Influential gardeners. The designers who shaped 20th century garden style, Clarkson Potter, New York 2002, pag. 69. Figura 7a: JOHN DICKSON HUNT, The Picturesque garden in Europe, Thames and Hudson, London 2002, pag. 9. Figura 7b: MARTIN R. DEAN, UDO WEILACHER, DIETER KIENAST, Dieter Kienast, Birkhauser, Basel, Berlin, Boston 2004, pag. 281.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Dialoghi pagg. 59-66
ACQUE, FIUMI E PAESAGGI. RIFLESSIONI CON PIER FRANCESCO GHETTI Michele Ercolini *
Summary The object of the interview with Pier Francesco Ghetti can be so listed: to provide a summary, the much possible complete and updated of motivations and causes of what can be defined the very basic mistake facing, from a cultural and planning point of view, the water, river an landscape. In particular, understanding what has already been done and what can still be done for the defence, the government and the requalification of the system of resources. Key-words Water, rivers, landscape, sustainability, Venice
Abstract L’obiettivo dell’intervista svolta con il prof. Pier Francesco Ghetti si può così sintetizzare: fornire un quadro, il più possibile completo e aggiornato, sulle motivazioni e sulle cause di quello che possiamo definire un “errore di fondo” nel rapportarsi, dal punto di vista progettuale e culturale, con l’acqua, i fiumi, il paesaggio (“sistema delle risorse”). In particolare, si è cercato di capire che cosa è stato fatto e che cosa ancora si può fare per la difesa, il governo e la riqualificazione di tale sistema. Parole chiave Acque, fiumi, paesaggi, sostenibilità, Venezia
* Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze
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PIER FRANCESCO GHETTI (Peschiera del Garda, Verona 1943), attualmente Rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, già Preside della Facoltà di Scienze MM.FF.NN. dell’Università Ca’ Foscari, è Professore Ordinario di Ecologia presso la Facoltà di Scienze dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Titolare dei corsi di Ecologia delle acque, Principi di Ecologia, Analisi degli ecosistemi, già docente di Biologia generale, Idrobiologia, Analisi di valutazione di impatto ambientale, Ecologia Applicata, Analisi dei sistemi ecologici, Coordinatore del Dottorato in Analisi e Governo dello sviluppo sostenibile (Dipartimento di Scienze Ambientali, Venezia). I suoi interessi di ricerca hanno riguardato, in particolare, lo studio delle condizioni naturali e patologiche delle realtà fluviali e le modalità di risanamento di questi ambienti. Tra i più recenti temi di studio ricordiamo, la messa a punto di criteri per la valutazione di impatto per quanto riguarda le valenze naturalistiche e paesaggistiche, la definizione di indicatori e indici della qualità degli ambienti fluviali, l’individuazione di principi e metodi della ricerca interdisciplinare in campo ambientale.
Nel Seminario di studi “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, tenutosi a Trento nel 2002, parlando di “questione ambientale”, sottolineava la dannosità e l’influenza di un “pensiero guida” riconducibile “alla volontà di tenere separati i fatti degli uomini dai fatti della natura, ovvero ad una costante aspirazione di collocarsi al di fuori e al di sopra della natura”1 Tema quanto mai attuale visto che proprio quest’anno ricorre il quarantennale dell’alluvione di Firenze (1966-2006). In proposito, si sente di confermare questa sua analisi critica? E se sì perché, secondo lei, si persevera in questo errore? Io credo che si stia pagando quello che è un retaggio della storia e cioè l’esigenza da parte dell’uomo di trovare un rapporto il più possibile armonico con il proprio ambiente, ambiente che era prevalentemente naturale nel passato. Di fatti, l’agricoltura di quel tempo poteva benissimo essere definita un’agricoltura “ecologica”, in quanto un insieme di elementi, quali la scelta della policoltura, un paesaggio agrario ben diversificato, la grande fatica umana, la mancanza d’energia, spingeva la società agricola e l’agricoltore ad individuare delle forme di rapporto armonico con il paesaggio naturale, “imitando”, in qualche modo, la natura stessa. Nonostante tutto ciò, non si può non ricordare il verificarsi, dall’anno Mille in avanti, delle imponenti bonifiche, macropere straordinarie in grado di trasformare, ad esempio, la Pianura Padana, caratterizzata - in origine - da un paesaggio simile a quello dei grandi laghi americani, in un territorio vivibile in cui era possibile produrre. Non dice il vero, quindi, chi sostiene che nel passato rimaneva tutto com’era e dov’era. C’era però una sostanziale differenza. Esisteva, cioè, un limite, o meglio - diremmo oggi una “sostenibilità delle trasformazioni” che garantiva l’uomo dal rischio del fallimento, “del non avere raccolti”; si evitava così la monocultura (che provocava risultati disastrosi, come accadde in Irlanda), e chi tentava avventure in questo senso era automaticamente selezionato ed eliminato dall’evoluzione naturale. Ovviamente, la contropartita era il verificarsi di produzioni molto basse con fame e miseria che la facevano da padrone. Questo era il quadro. Il passaggio al periodo industriale e postindustriale, è una fase in cui la disponibilità di energia fossile, e quindi di macchine, fornì all’uomo l’ebbrezza di poter intervenire in modo drastico sul paesaggio, trasformandolo radicalmente. Per avere l’immagine precisa di ciò che è avvenuto è sufficiente confrontare le foto aeree dei voli fatti in Italia nel primo dopo guerra con le immagini aeree attuali. Salta subito agli occhi come, in termini di superficie modificata, più che la struttura urbana è la struttura agraria (il grande tessuto agrario) a risultare alterata e radicalmente modificata. Emerge dunque con chiarezza l’esistenza di una vera e propria forzatura, da parte dell’uomo, verso una forma di paesaggio sempre più artificializzato, che da un lato, ovviamente, aumenta la produttività ma, dall’altro, fa crescere a dismisura la responsabilità della cultura umana nel gestire e governare il territorio. 1
PIER FRANCESCO GHETTI, Verso una sostenibilità ambientale, in BALDACCINI GILBERTO NATALE, SANSONI GIUSEPPE (a cura di), “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, Atti del Seminario di studi, Trento 18-19 aprile 2002, Trento 2003, pagg. 1-10.
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In pratica, si è verificato uno spostamento dai sistemi auto-regolativi naturali verso quelli regolativi dell’uomo. La stessa cosa, per certi aspetti, la possiamo ricondurre al tema della variazione dell’ecosistema urbano; la città medievale, ad esempio, era una città che riassumeva tutti i propri bisogni in un insieme di attività (da quella agricola a quella artigianale) che si risolvevano in un contesto abbastanza limitato-locale. Il passaggio alla fase industriale ha portato ad un progressivo ed ulteriore artificializzazione del sistema urbano, con un aumento impressionante dei flussi di materia ed energia dall’esterno e la crescita, altrettanto impressionante, dei rifiuti (e l’esigenza di smaltirli) ovvero delle quote di materia che si accumulavano. Bene, a questo punto le posizioni erano due: da un lato c’era chi immaginava e immagina ancora (soprattutto nella cultura classica) che la natura sia in qualche modo un disagio, cioè una realtà che disturba; dall’altro, chi tentava di portare all’estremo la cultura ecologista, l’idea cioè che solo la natura ha valore. La realtà, come spesso accade sta nella posizione di mezzo, ovvero: l’uomo è parte della natura - la cultura è parte della natura, è nelle cose. Per cui il problema è semplicemente questo: o ci affidiamo ai sistemi regolativi naturali, o noi sostituiamo alcuni di questi modelli con dei sistemi regolativi governati dall’uomo. È un po’ quello che è avvenuto, negli Stati Uniti, all’interno dell’evoluzione del pensiero nella cultura dei Parchi: da una prima idea del Parco (dei primi del Novecento) come realtà naturale intatta a quelle attuali di un Parco che comprende anche il costruito e che, soprattutto, riesce a mantenere quella che è una parvenza di sostenibilità o, comunque, di armonia nel rapporto uomo-natura. Questa è la grande sfida del nostro tempo. Vorrei richiamarmi al concetto di “biodiversità culturale”, da lei accennato durante il Seminario di studi organizzato e promosso, nel 2003, dal Dottorato di Ricerca in Progettazione paesistica dell’Università degli Studi di Firenze2, per comprenderne meglio il significato, l’utilità e la possibilità di misurarla attraverso specifici indicatori? Questa affermazione si fonda su un principio ecologico che ritengo, nonostante tutto, essere ancora valido, certamente di difficile misurazione, ma valido e cioè il fatto che gli ecosistemi naturali si reggono attraverso un sistema di biodiversità. La biodiversità significa tante diverse professioni svolte da diverse specie, professioni che in qualche modo creano una comunità che è più funzionante se più diversificata, in quanto sfrutta meglio il flusso della materia dell’energia, lo sfrutta cioè in maniera più razionale, più efficace (parlando in termini termodinamici). Questo è, in sintesi, il concetto della biodiversità biologica. Ora è evidente che i processi di artificializzazione (in termini semplicistici, passare dal bosco naturale al giardino, dall’orto al piazzale) provocano una progressiva perdita di naturalità ma, allo stesso, comportano, per poter mantenere una stabilità, l’aumento rilevante del costo della cultura, l’aumento della nostra capacità di governare un sistema in alternativa. Tanto è vero che mentre un tempo potevamo “fregarcene” del capire “dove va l’ambiente”, poiché l’ambiente manteneva un “suo percorso”, oggi viceversa non possiamo più non pensare a quale sarà l’ambiente nei prossimi cinquanta-cento anni, perché dipende da noi il fatto che possa funzionare o meno. In altre parole, noi perdiamo in un certo territorio in diversità biologica ma, contemporaneamente, la stabilità viene garantita da un aumento di diversità culturale; la diversità culturale diventa quindi l’elemento di garanzia che assicura, nel proseguire del tempo, la nostra capacità di governare quel sistema. Si tratta, pertanto, di uno strumento che garantisce un equilibrio. In pratica, si sopperisce alla diversità biologica con una diversità di tipo culturale. 2
“Fiume, territorio e paesaggio: l’opportunità di un approccio integrato”, Seminario di Studi - Relatore: PIER FRANCESCO GHETTI. Seminario organizzato dal Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica (promotore: MICHELE ERCOLINI), Firenze 9 ottobre 2003.
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Perché nella Prefazione del recente Manuale sulla riqualificazione fluviale curato dal CIRF (2006) ha definito il fiume come “l’utile idiota del paesaggio”? Direi che la motivazione è riconducibile alle modalità attraverso cui è avvenuta la trasformazione del territorio e al fatto di avere, in qualche modo, sottovalutato il ruolo portante che il reticolo idrografico, in senso lato, svolge nel territorio stesso. Gli elementi di idrologia fondamentale ci insegnano, anzitutto, che tale reticolo ha un andamento di norma curvilineo, diversificato, dinamico, ha una sua gerarchizzazione, costruisce un “suo” rapporto con il territorio e il paesaggio. Il ruolo del fiume, quindi, si assolve attraverso una duplice funzione: quella di garantire il flusso del trasporto torbido e, contestualmente, l’autodepurazione dell’acqua. Questo faceva del fiume - l’uso del verbo al passato non è causale - uno degli elementi portanti del territorio e della civilizzazione (i primi insediamenti umani sono nati proprio lungo le vie d’acqua). Questo reticolo era sia apparato circolatorio sia apparato escretore. Al contrario oggi, nella lettura che noi facciamo del territorio, esiste una sorta di banalizzazione dei percorsi d’acqua, attuata attraverso la rettificazione, realizzando barriere tra acqua e suolo, nel senso di input e output di materie di rifiuti, eccetera. Una banalizzazione in grado di mettere in crisi il ruolo chiave del reticolo idrografico, sia in termini di sicurezza idraulica dei territori sia in termini di qualità della risorsa che viene trasportata. E tutto questo ha un costo. Ora, siccome siamo abituati all’analisi costi-benefici forse un’analisi attenta ci direbbe che visto la criticità della “questione acqua”, sia in termini di sicurezza sia in termini di risorsa, bé ripensare in chiave diversa il rapporto suolo-acqua potrebbe realmente diventare uno degli snodi vitali della pianificazione del territorio e del paesaggio. Ovviamente, alcuni atteggiamenti “controcorrente” si vedono, la stessa cultura idraulica ha incominciato ad intuire i limiti dell’approccio unidirezionale. Non sempre, tra l’altro, questo tipo di modus operandi garantisce la sicurezza del territorio poiché non c’è il volano, quella resilienza che è tipica dell’ambiente naturale. Il risultato è dunque il fiume intubato, il fiume che scompare alla vista del paesaggio, perché ormai le strade vanno in altre direzioni, lo superano, lo scavalcano. Il tutto, a mio avviso, è una forma di semplificazione estrema che può costare davvero cara. La quarta domanda affronta il tema della “risorsa acqua” e della difesa del suolo dal punto di vista legislativo. Come da lei più volte sottolineato, infatti, “la disciplina pubblica sulle acque si è modificata relativamente in relazione alle differenti priorità attribuite, nei vari periodi, all’uso di questa risorsa. Per rendersi conto di ciò basta ripercorrere le tappe essenziali dell’evoluzione di tale ambito normativo”3. Se, dunque, uno dei metodi più efficaci per meglio comprendere l’evoluzione di un qualsiasi “sistema di esigenze” (di tutela della risorsa acqua, di difesa del suolo, di governo dei territori fluviali) consiste nell’analizzare l’evolversi delle leggi riguardanti tale sistema, le chiedo una breve riflessione in merito al Decreto in materia ambientale emesso nell’aprile scorso (D.lgt. 152/2006)4. È vero che le normative di solito fotografano l’attenzione che l’opinione pubblica ha rispetto ad un determinato tipo di problema. In genere però la fotografano a posteriori. Detto questo, è evidente che scorrendo la legislazione dal Regno d’Italia in avanti si capisce benissimo quali erano gli interessi prevalenti del tempo. 3
PIER FRANCESCO GHETTI, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993, pag. 253. A livello centrale il suddetto Decreto: sopprime le Autorità di bacino di rilievo nazionale, regionale e interregionale; introduce un’arbitraria delimitazione dei distretti idrografici; progetta l’amministrazione di governo delle acque e della difesa del suolo in contrasto con fondamentali direttive europee; non prevede alcun regime transitorio che consenta un’armonica entrata in vigore delle norme; sconvolge il demanio idrico invadendo le competenze delle Regioni a statuto speciale, in contrasto con i principi della L. 36/94 (Legge Galli); ostacola l’entrata in vigore di alcuni Piani di bacino stralcio (PAI) già adottati da tempo dai rispettivi comitati istituzionali. 4
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All’inizio del Regno d’Italia si guardava, soprattutto, a rendere pubbliche le acque per problemi connessi alla navigazione, alla fluitazione del legname. Successivamente, l’attenzione si sposta sugli aspetti idraulici perché il problema era l’avvio dell’industrializzazione, l’incremento demografico e, quindi, ad una maggiore sensibilità nei confronti della difesa dalle alluvioni. Poi, a seguire, si manifesta l’interesse nelle bonifiche, agli usi agrari, in questo conflitto tra l’utilizzo dell’acqua per produrre energia e dall’altra parte la difesa della campagna con l’irrigazione. Bisogna arrivare alla Legge Merli del 1976 per trovare una norma che parli, per la prima volta, di qualità delle acque. Alla fine degli anni Settanta, infatti, il consumismo determina quel surpluss di materia che, in quanto inquinante, deve essere affrontata dal punto di vista legislativo. Ci si accorge però ben presto che un’impostazione basata solo su limiti tabellari (“non oltre una certa concentrazione”) ha poche prospettive, nel senso che una sostanza può essere presente anche in piccole concentrazioni ma esserci una quantità enorme. Quello che conta è il bilancio di massa di materia inquinante, vale a dire la quantità complessiva che viene veicolata e non tanto un “limite a”. Ecco allora che si arriva alla normativa degli ultimi anni, ovvero al principio, in totale assonanza con le impostazioni teoriche che le scienze ambientali danno al problema, che il risultato finale della nostra attività di governo del sistema acqua o meglio degli ambienti acquatici deve essere quello di recuperare una buona qualità ecologica. Il concetto di qualità ecologica, che potrebbe sembrare un termine banale, in realtà è di enorme complessità. Recuperare una buona qualità ecologica, in sintesi, vuole dire ripristinare i modelli di funzionamento degli ambienti originali; significa avere le piante, gli animali, una morfologia molto diversificata, eccetera. Il risultato finale deve essere quello di arrivare ad un fiume capace di auto-rigenerarsi, di produrre dei processi ecologici tali per cui dentro ci può stare anche il mollusco, il pesce, eccetera, che non sono solo degli aspetti estetici aggiuntivi ma delle realtà funzionali, in quanto operano un certo tipo di lavoro all’interno di questo ecosistema. Sul concetto di sviluppo sostenibile. Giuliano Cannata nel recente Convegno internazionale “Fiume, paesaggio, difesa del suolo. Superare le emergenze, cogliere le opportunità” (Firenze, 10-11 maggio 2006) ha sostenuto, provocatoriamente e partendo da una motivazione antropologico-estetico-culturale, che non ha più senso parlare di sviluppo sostenibile: “Le attività umane legate alla cultura assumono un peso economico soverchiante. Non c’è più bisogno di preoccuparsi della compatibilità dell’economia con l’ambiente. Non si può più dire ‘dipartimento della sostenibilità, sviluppo sostenibile: se non è bello non è economicamente interessante, prima che sostenibile. Non lo si può neanche porre, non esiste il problema della valutazione d’impatto, il problema della compatibilità: sono parole senza senso”. Il sottoscritto, in una recente pubblicazione5, ha richiamato altresì la necessità di andare oltre il concetto di sviluppo sostenibile, soprattutto quando si parla di sostenibilità rapportandola al governo delle trasformazioni del territorio e del paesaggio: “Un progetto è definito sostenibile se il processo su cui si basa è finalizzato a fare in modo che l’entità delle variazioni apportate dalle attività antropiche per rispondere a determinate necessità, riesce a mantenersi entro limiti tali da non danneggiare irrimediabilmente le risorse naturali e culturali. Andare “oltre” l’obiettivo della sostenibilità significa fare un passo in avanti, ossia vedere nel suddetto processo di trasformazione anche un’opportunità, un’occasione per la progettazione di un nuovo paesaggio”.
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MICHELE ERCOLINI, Dalle esigenze alle opportunità. La difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo”, Firenze University Press, Firenze 2006.
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Lei, infine, nel Seminario di studi “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, tenutosi a Trento nel 20026, parlava della necessità di andare verso una “cultura della sostenibilità”, verso una “sostenibilità ambientale”. Le chiedo qualche riflessione in merito, partendo da questi diversi punti di vista. L’affermazione di Giuliano Cannata è sì una provocazione ma solo fino ad un certo punto. Cerchiamo di spiegarci meglio. Anzitutto è indubbio questo vero e proprio “abuso” del termine “sostenibilità”. Inoltre, a mio avviso, esiste una precisa contraddizione nel termine di “sviluppo sostenibile”. I due concetti, “sviluppo” e “sostenibile”, sono fra loro incompatibili per definizione, nel senso che è difficile immaginare oggi, a livello planetario o a livello locale, la possibilità di coniugare questi due termini, ossia che ci possa essere uno sviluppo così come lo intende l’opinione pubblica generale, cioè un aumento di consumi, un aumento di energia, e che questo sia sostenibile. Per definizione tutto ciò non può essere vero. Si tratta di due direzioni diverse. Questo, è bene chiarirlo, non vuol dire togliere valore al concetto di sostenibilità. Intanto perché pur in modo inconscio chi usa il termine “sostenibile” si pone un problema: ovvero far si che le sue trasformazioni siano tali da essere compatibili con una certa realtà e, dunque, non tali da alterare un determinato processo. Andiamo oltre e facciamo un altro passo. Il concetto di “sostenibilità ambientale” è abbastanza proprio perché nell’ambiente è possibile ragionare in termini di bilanci. Facciamo un esempio. Se io getto dentro un fiume degli inquinati che aumentano la materia presente (e quindi la produzione) di una quantità trenta, così da passare da settanta a cento, se quell’ambiente ha una capacità di consumo di centocinquanta, questo non comporta nulla. Se, viceversa, io getto dentro una quantità pari a duecento, tale quantità diventa insostenibile; il fiume avrà un collasso e si trasformerà in qualcosa d’altro non essendo più in grado di mineralizzare la sostanza. Quindi, da questo punto di vista, sostenibilità viene intesa in termini di bilancio. Andiamo adesso ad immaginare la “sostenibilità” con riferimento al concetto di “sviluppo sostenibile”. Affinché i due termini non siano in contraddizione è necessario uscire dall’equivoco che per sviluppo si debba sempre intendere un aumento di consumo di materia, di energia. Molto probabilmente invece esiste, nella dimensione di sviluppo, un altro tipo di interpretazione: è poi vero che aumentando la materia e l’energia la gente è più felice? È poi vero che tale incremento è migliorativo nel campo dell’economia nazionale? È chiaro, oggi noi siamo in un’epoca dell’economia della conoscenza (Cina a parte); oramai è sempre più rilevante la tendenza a forti investimenti nella ricerca (Stati Uniti, Finlandia, Svezia) ma non, attenzione, per aumentare i processi di consumo di materia ma per migliorare la qualità. Se così è, perché non possiamo immaginare che la grande avventura intellettuale del prossimo secolo sia quella di andare nella direzione di una reale sostenibilità intesa come grande investimento nella ricerca scientifica e nel sapere (in senso lato), rivolta ad una società che funzioni meglio con un minor consumo di materia ed energia? Faccio un esempio. Le radio a transistor di quando ero giovane erano grandi circa un metro per settanta centimetri di altezza; se le confronto con i transistor di adesso vedo che si può produrre lo stesso oggetto con qualità migliore, per di più risparmiando materia. Se poi vado oltre e affronto il tema delle nano tecnologie mi chiedo se questo si possa o meno leggere come una vera rivoluzione industriale. Perché? Perché invece di partire dalla materia (dal legno, dal minerale) e produrre l’oggetto creando tanta materia di scarto, parto dalla molecola, dall’atomo, ottenendo un risparmio di materia. Quindi non è sbagliato immaginare che esista anche una sostenibilità dello sviluppo ma è necessario modificare il paradigma attorno al quale ragionare. È questo il salto logico.
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PIER FRANCESCO GHETTI, Verso una sostenibilità ambientale, in BALDACCINI GILBERTO NATALE, SANSONI GIUSEPPE (a cura di), op. cit., Trento 2003, pagg. 1-10.
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Mi spingo oltre. Tutto ciò potrebbe anche essere una grande occasione di sviluppo della conoscenza. Si potrebbe arrivare ad un nuovo rinascimento della scienza che, lasciando perdere le grandi conquiste dell’industrialesimo dal 1700 in avanti (tutto fondato sul petrolio, sull’energia fossile), sarebbe in grado di collocarsi in una sfera completamente diversa, appunto sostenibile. Siamo a Venezia, stiamo parlando di acque, di paesaggio, di sviluppo sostenibile e dunque, per forza di cose, mi viene da chiederle una sua opinione sulla delicata questione del “M.O.S.E.”. Da quando sono a Venezia, ovvero dal 1992, non fanno altro che domandarmi se sono a favore o contro il M.O.S.E., ed io cerco di rispondere loro dicendo che esiste un problema che è quello dell’acqua alta a Venezia, problema che sta crescendo perché c’è un innalzamento del livello del mare e che quindi occorre dare soluzione a tutto ciò. Oggi siamo al trenta percento dell’opera del M.O.S.E., una soluzione tecnologica che può anche non essere la migliore ma è quella che oggi è stata adottata, verificata, ed è quella che va conclusa, anche per dare un esempio che in Italia qualche cosa si riesce a portare a termine. Ma questo tema mi dà l’opportunità per stigmatizzare il comportamento di un “ambientalismo di raccatto”, che senza avere una reale cultura alla gestione dei problemi ambientali si affanna attorno a delle battaglie pregiudiziali, perché non c’è dialogo, esiste una posizione del sì o del no e basta! E questo non può andar bene in una realtà come la nostra in cui, invece, il governo dell’ambiente è un problema quotidiano, con il quale dobbiamo misurarci tutti e non è che dicendo solo dei no che riusciamo a fare qualcosa. Non a caso, altri Paesi che hanno cambiato rotta rispetto a noi fanno molto meglio le strade, i ponti, hanno cioè una cultura del costruito molto superiore alla nostra. Ma veniamo al caso specifico di Venezia secondo me esemplare. Venezia è la città più moderna del mondo, ovviamente mille anni fa; solo la follia umana, infatti, poteva immaginare di collocare una città all’interno di una laguna. La laguna per definizione è l’ambiente naturale più dinamico che esista, è in continua trasformazione. Nel fare questo tipo di scelta, mille anni fa i veneziani hanno avviato una grande sfida dell’uomo con la natura, nel senso che si sono messi di fronte alla forza della natura cercando di trovare le soluzioni che consentissero all’uomo di trarre il massimo vantaggio e il minimo svantaggio da questa localizzazione. Tale modernità oggi, se ci pensiamo bene, è il tema con il quale ci misuriamo quotidianamente in tutti i posti del mondo, laddove, avendo altri mezzi rispetto ad allora, ci poniamo il problema di “sfidare” la natura, nel senso di confrontarci, di misurarci con essa. Questo è il tema nel governo del nostro pianeta. Nel caso di Venezia, si è creato un nesso inscindibile fra la città storica (questa sorta di “pesce” immerso nelle acque) e la laguna, che ha dato vita ad una realtà unitaria e funzionale, all’adempimento della funzione sia come urbis che come civitas. Poi, nei secoli, questa piattaforma sul Mediterraneo è diventata il polo più importante di conquista del mondo allora più noto, più produttivo. È divenuta un’area di accumulo di ricchezze e di esperienze nell’ambito del governo della città e del governo delle cose (l’apparato normativo veneziano è, per certi aspetti, unico al mondo). Ricordiamo, ad esempio, la capacità dei veneziani di spostare due fiumi che andavano ad interrare la laguna, la capacità di creare cordoni dunali nei confronti del mare e di bloccarli con i murazzi, l’idea di lasciare le tre bocche di porto grazie a cui la marea ogni giorno ricambia tutta l’acqua, e così via. Ecco, tutto questo congegno incredibile è una macchina artificiale, anche se il livello di naturalità di questa città (la laguna è un po’ l’equivalente di un bosco che sta intorno alla città) aveva creato un tutto armonico, funzionale ed efficiente che gli ha consentito di arrivare fino a noi.
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Poi Cristoforo Colombo ha scoperto l’America e i grandi scambi sono avvenuti altrove, fuori dal Mediterraneo; è stato una casualità della storia che ha fatto perdere alla città di Venezia la sua funzione. Da isola è stata “agganciata” al terra ferma, spostando così completamente gli orientamenti, sono arrivate le orde di turisti, eccetera. Si sta massacrando una realtà che non riesce più a recuperare la sua civitas. L’urbis esiste ancora ma è la civitas che non esiste più. È questo il vero problema di Venezia. Il dibattito “M.O.S.E. sì M.O.S.E. no” poco conta rispetto a tutto questo.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ERCOLINI MICHELE, Dalle esigenze alle opportunità. La difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo”, Firenze University Press, Firenze 2006. ERCOLINI MICHELE, Fiume, territorio e paesaggio: l’opportunità di un approccio integrato, in Quaderni della Ri-Vista - Ricerche per la progettazione del paesaggio, Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze, Quaderno n. 2 - volume 2 maggio-agosto 2005, Firenze University Press, Firenze 2005. GHETTI PIER FRANCESCO, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993. GHETTI PIER FRANCESCO, Verso una sostenibilità ambientale, in BALDACCINI GILBERTO NATALE, SANSONI GIUSEPPE (a cura di), “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, Atti del Seminario di studi, Trento 18-19 aprile 2002, Trento 2003, pagg. 1-10.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di gennaio 2007. L’intervista è stata realizzata, a Venezia, il 19 dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 67-75
I FIUMI E LE ACQUE: I PAESAGGI FLUENTI DELLA PERSIA Homa Behbahani*, Rita Micarelli **
Summary The both grandiose chains of mountains of Persia, the Alborz Mountains, which form a circle round the south shore of Caspian Sea, and the Zagres chain, along the NW-S E direction, look onto the vast Dasht-è-Kavir. Desert. A lot of impressive landscapes, civilizations and human settlements (extraordinary villages and towns) were originated along the fluvial valleys, where the snows and the waters sloped down from the mountains flow into the rivers before disappearing in the desert. The ancient Persia is still present and manifest itself in the contemporary landscapes of these remote regions where the populations are still well rooted into such a dynamical and flowing life environment. Here waters, plants and fruits provide the fundamental resources and support sedentary and semi nomad people who live together in this ‘steady and flowing realm’: the first in traditional villages, the second along the valleys. Semi nomad tribes and their animals follow their rhythmic seasonal itineraries and meet every season the sedentary people in their village sharing in peace their common steady and flowing realm. Their history is continuously becoming, weaved by the hands of each woman and by the wisdom of the whole nomad group as a complex marvellous carpet, and it is enriched by the seasonal meetings with the sedentary populations in the villages. At the present this intact wonderful condition is menaced of destruction. A big dam could be built at the end of this valley. Key-words Persia, Dasht-è-Kavir, waters, semi nomad people, landscape, Kilim
Abstract Le due maestose catene di montagne della Persia, i monti Alborz, a corona tra il mar Caspio e i monti Zagres, si affacciano entrambe sul mare desertico di Dasht-è-Kavir. Le nevi e le acque che scendono verso il deserto danno origine alla vita delle grandi verdi vallate e alle straordinarie e bellissime città che crescono e si consolidano ai piedi delle montagne. L’antica Persia vive ancora con i popoli che abitano queste vallate fluviali, remote e apparentemente separate dalla città, ma ancora in grado di esprimere culture e stili di vita ben radicati nella dinamica e nel fluire delle acque, nel fiorire e nei frutti che crescono sui versanti e costituiscono una risorsa primaria per questi piccoli gruppi umani che praticano il seminomadismo. Queste alte vallate e i loro corsi d’acqua rappresentano un patrimonio vivente e un vero ‘reame’ per i popoli che vi abitano, percorrendole e assecondando il ciclo delle acque e delle stagioni. La storia della natura e della cultura di questi straordinari paesaggi primigeni è vissuta con le acque, i frutti e gli animali, ma è anche continuamente tessuta con il rinnovarsi della produzione dei tappeti, stagione dopo stagione. Una meraviglia intatta ma minacciata dalla costruzione di una diga che la seppellirebbe. Parole chiave Persia, Dasht-è-Kavir, acque, nomadismo, paesaggio, Kilim
* Faculty of Environment, University of Tehran - Department of Environmental Design ** International Institute for Advanced Studies in System Research and Cybernetics, Politecnico di Milano 67
IRAN CENTRALE – IL TERRITORIO DEL “QUARTO CLIMA” Sette climi, sette grandi bio-regioni costituiscono i paesaggi dell’Iran, tra il mar Caspio e il Golfo Persico, tra l’Arabia e l’immenso continente dell’Asia. Il primo clima è a nord, tra i monti Alborz e il Caspio (Tehran); il secondo all’estremo nord ovest (Tabriz), il terzo nell’ovest (le paludi laterali alla Mesopotamia), il quarto nella zona centrale (Kashan, Esfahan, Yazd), il quinto a sud (dai monti Zagres al Golfo Persico), il sesto a sud est (Kerman, Sistan e Baluchestan), il settimo a nord est (Korasan, provincia di Golestan). Dai climi mediterranei e alpini del nord e nordovest si passa ai climi delle paludi e delle coste del Golfo Persico, dalle pendici verdeggianti delle montagne i fiumi sfociano a formare calde paludi, o si perdono nei deserti, con stagioni e temperature variabili e sempre differenti, e con produzioni agricole ricchissime e varie. Le due catene di montagne Alborz e Zagres imponenti e severe si affacciano sul deserto centrale di Dasht-è-Kavir: a nord, posti a corona a delimitare le rive del Caspio, gli Alborz, sull’asse Nord Ovest-Sud Est, i monti Zagres con le più antiche testimonianze di Persepoli e con Esfahan, la città più affascinante e grandiosa ingrandita e magnificata nel clima quasi rinascimentale dello Shah Abbas. In questa fascia climatica, nelle valli ancora segrete del fiume che giungeva a Persepoli, cerchiamo le antiche testimonianze e le tracce di un’ecologia profonda e ancora viva, che qui si comprende nella sua attualità, nel suo essere antica e contemporanea al tempo stesso, in una mescolanza affascinante che mostra i paradossi di una natura difficile e di una condizione umana duttile e complessa che in quell’ambiente si è costituita, imparando i segreti della sua rinnovabilità.
Figura 1. Le due maestose catene di montagne della Persia, i monti Alborz, a corona tra il Mar Caspio e i monti Zagres, si affacciano entrambe sul mare desertico di Dasht-è-Kavir.
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I MONTI ZAGRES Tra il deserto di Dasht-è-Kavir e i monti Zagres il paesaggio è solenne e grandioso. La catena di Zagres si estende nella direzione nord-ovest e sud-est per oltre mille chilometri di lunghezza, da mille a quattromilaquattrocento metri di altezza, le sue montagne appaiono altissime sul deserto e la loro presenza incute al tempo stesso fiducia e paura. Non si attraversano facilmente, ma nemmeno si possono evitare, aggirandole o semplicemente colonizzando le loro pendici. Lo sapevano bene gli antichi ‘carovanieri’ che costeggiavano i deserti, e lo sapevano i primi fondatori degli insediamenti della Persia antica, che lungo gli antichissimi itinerari asiatici offrivano ai viaggiatori il riferimento sicuro e ospitale di un caravan serraglio che ognuno poteva trovare lungo il cammino, alla fine di un giorno di viaggio, e che su questi stessi itinerari fondavano le città, costruivano giardini e palazzi, santuari e mercati. La massiccia e altissima catena di Zagres con le sue montagne generose e capaci di fornire acqua fresca e abbondante, e il deserto sottostante, incapace di trattenerla e di consentirne l’uso, sfidavano quei costruttori ad esercitare tutta la loro ingegnosità. L’acqua, prima che i deserti la inghiottissero nei loro strati sabbiosi profondi senza più restituirla al suolo, alle piante e agli animali che potevano vivere sulle pianure ai bordi delle catene montuose, si doveva e si poteva catturare, e su questo si misurarono con successo le società umane e le loro capacità di amministrare durevolmente questa risorsa così fondamentale. Le acque che scorrevano in superficie nelle alte vallate sparivano nel deserto e potevano essere utilizzate solo se venivano ‘catturate’, incanalate nel sottosuolo e subito protette nei Qanat, condutture nascoste appena sotto la superficie, che alimentavano una rete di cisterne poste al cuore di ogni insediamento, ad alimentarne la vita e la sua continuità.
Figura 2. Paesaggi contrastanti e contrapposti: i fiumi, ad esempio, sono tali solo nel tratto del loro scorrere montano, e solo raramente ricompaiono in superficie.
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ECOLOGIA E TECNOLOGIA, UNA CONVIVENZA POSSIBILE E FELICE Paesaggi contrastanti e contrapposti, da una parte i fiumi che sono tali solo nel tratto del loro scorrere montano, e che solo raramente ricompaiono in superficie, tra le coltivazioni o all’interno delle città, dall’altra deserti inospitali, costituiscono le condizioni estreme in cui si manifesta e si evolve la vita, nella natura e nelle società degli uomini. Una frequentazione continua, solo apparentemente rarefatta, ha fatto di questi paesaggi un grandioso e complesso ambiente di vita, curato e coltivato in tutte le modalità conosciute nella storia degli uomini: dalle coltivazioni più estensive - esercitate quasi nella forma della caccia raccolta preneolitica - alle pratiche del nomadismo stagionale, all’agricoltura irrigua dei giardini, degli orti e dei frutteti, alla vita degli accampamenti, dei villaggi e delle città. Questo straordinario dispiegamento di abilità consolidate e di innovazioni creative che si manifesta nelle culture più tradizionali – ancora radicate profondamente nei loro ambienti di vita - e nelle società urbane - vivaci custodi dei mercati e dei laboratori artigiani - forma e costituisce il paesaggio e lo caratterizza nella sua interezza. Sulla montagna, col fluire delle acque e delle stagioni, e con l’incedere lento degli uomini e degli animali, si consolidano itinerari che vengono percorsi ciclicamente dai gruppi nomadi. Le soste sono misurate sulla disponibilità di pascolo per gli animali e sulla varietà di vegetazione e di frutti per il completamento dell’alimentazione degli uomini, la frequentazione è continua e regolata temporalmente dalle leggi della natura. Le pendici delle alte vallate sono coperte da una ricca vegetazione spontanea, ancora quella originaria che si rinnova dopo ogni ‘raccolto’ dei frutti, così come l’acqua si rinnova dopo ogni ciclo stagionale. In questo fluire si ricostituiscono le acque, la vegetazione, e si assicurano risorse per la vita degli animali e degli uomini. “Nomadi stagionali” o “seminomadi” vengono chiamati i gruppi che abitano queste e molte altre vallate delle montagne iraniane, e che trovano le ragioni profonde del loro vivere in questa dinamica stagionale che li rende sovrani di un vasto reame, fluente e dinamico, di cui vanno fieri. Il fluire dei Nomadi non è uno spostamento, come la nostra cultura ci porterebbe a definire i loro movimenti, ma esprime una condizione che nella vita contemporanea è difficile ormai persino concepire: essi regnano, abitando il divenire, e in questo regnare nasce l’orgoglio del loro essere indipendenti dai modelli di vita sedentari ormai dominanti e di essere nel contempo interlocutori e ‘partners’ dei gruppi che progressivamente hanno occupato altre nicchie di quelli stessi ambienti, costruendovi villaggi, e coltivando orti, frutteti e campi. In queste valli si pratica la convivenza pacifica tra le due modalità di vita e si modella il paesaggio conseguentemente. Gli accampamenti dei nomadi sono costruiti con i criteri ben noti in quegli ambienti: le tende nere, le masserizie e gli attrezzi, i recinti provvisori per il bestiame, pochi oggetti di uso quotidiano e molta sapienza. Questo albero di pistacchio (figura 4), il cui tronco è inciso per ricavarne il nettare, aspetta ad ogni passaggio i suoi raccoglitori, che lo useranno per tutta la prossima stagione, e così è per le mandorle e le noci, che vengono prelevate ad ogni stagione e possono essere conservate e consumate senza difficoltà per tutta la stagione successiva, ben protette dai loro gusci legnosi. Dalle distese di vegetazione primigenia e ovviamente spontanea, si giunge all’ambiente di vita agricolo: la vegetazione si infittisce, le coltivazioni si specializzano, la produzione aumenta, ma questa trasformazione non è conflittuale, né rispetto all’ambiente - che mantiene la sua diversità e la sua ricchezza biologica - né per i gruppi dei nomadi che trovano le occasioni per commerciare i loro prodotti (tessuti, tappeti, vasellami, gioielli) né per i contadini dei villaggi che porteranno i loro prodotti (le loro eccedenze, come le definisce l’economia) più a valle, fino alle città, senza entrare in competizione. Due reami, uno fluente - di vallata- e uno più stabile nella sua identificazione territoriale - tra i villaggi e i loro spazi coltivati di pertinenza - convivono senza configgere, e in questo vivere la tensione tra due modi di vita opposti non porta all’appiattimento di un modello sull’altro, né produce rivalità esasperate; al contrario, si realizza e perdura una condizione di vita in cui è il divenire che è stabile, una condizione i cui riferimenti non sono più quelli meramente spaziali ma sono quelli del Tempo. 70
In queste vallate la dinamica contrapposta dei due stili di vita - nomade e sedentario - è ancora in atto e ci fa comprendere la bellezza di una condizione qui ancora vissuta, e invece ormai perduta in molte altre parti del nostro pianeta. UN VILLAGGIO: TANGH-È-BOLAGHI Prati, foreste di noci, mandorli e pistacchi selvatici, ricoprono le pendici di questa montagna, formando un grande giardino spontaneo di frutti primigeni che si estende verso sud. Su questo versante si aprono molte vallate, dove si praticano fiorenti coltivazioni di vigne, fichi e melograno; sulla pianura, al bordo della catena, si coltivano grano, orzo, papavero, cotone e tabacco. Sul versante opposto sta invece un deserto, da sempre conosciuto e percorso dai traffici commerciali est-ovest. L’inverno qui è difficile e obbliga le popolazioni a spostamenti seminomadi stagionali che si praticano da monte a valle, lungo i corridoi ecologici dei torrenti e dei fiumi. La pastorizia è integrata da un’agricoltura estensiva praticata lungo i percorsi stagionali, sulle terre che sono tutte di proprietà della comunità. La produzione è destinata all’autoconsumo e allo scambio con i villaggi stanziali dove l’agricoltura è praticata in forma più intensiva e viene invece scambiata con le città.
Figura 3. Sulla montagna, col fluire delle acque e delle stagioni, e con l’incedere lento degli uomini e degli animali, si consolidano itinerari che vengono percorsi ciclicamente dai gruppi nomadi. Gli accampamenti dei nomadi sono costruiti con i criteri ben noti in quegli ambienti: le tende nere, le masserizie e gli attrezzi, i recinti provvisori per il bestiame, pochi oggetti di uso quotidiano e molta sapienza.
Donne e uomini formano le loro abilità con l’esperienza diretta, praticata ‘lavorando sul campo’ e tutti sono capaci di svolgere le diverse mansioni agricole e artigianali. Tra queste fanno eccezione la tessitura e la produzione dei i tappeti che è riservata alle sole donne. Una profonda gola che solca la catena e sbocca nella pianura interna di Persepoli, a Passargat, rappresenta un tratto del passaggio seminomade dalla montagna alla pianura, costituisce un riferimento fondamentale per la tribù Qashqai che raccoglieva i prodotti 71
spontanei - mandorle, pistacchi selvatici - e coltivava grano e orzo. Questo ambiente è oggi frequentato e costituisce un paesaggio straordinario e unico, con vestigia archeologiche che furono costruite e usate fino dalla preistoria. Cantine per la produzione del vino, forni, tracce di insediamenti, ossari, passaggi costruiti sulle pareti rocciose, testimoniano la continuità degli insediamenti stabili e una frequentazione umana ininterrotta capace di elaborare alti livelli di tecnologie costruttive e impiantistiche nelle città, e nello stesso tempo di saper vivere con dignità una condizione di nomadismo ‘persistente’ di grande importanza. Dagli impianti urbani che alimentavano Persepoli (dimora estiva di Ciro il Grande, che in inverno si spostava verso sud, a Suse) allo spazio-tempo della vita nomade, le testimonianze si incrociano e si accostano continuamente e alle rovine grandiose di un insediamento reale, si contrappongono i tessuti e i colori dei nomadi, che smontano e rimontano i loro accampamenti e rigenerano i loro insediamenti ad ogni stagione.
Figura 4. Questo albero di pistacchio, il cui tronco è inciso per ricavarne il nettare, aspetta ad ogni passaggio i suoi raccoglitori, che lo useranno per tutta la prossima stagione.
Lo spazio di riferimento del nomade, che non è e non può essere un’architettura, è infatti il kilim (un tappeto tessuto creato dalle donne solo per l’uso familiare) che con le sue figure e i suoi colori esprime i valori e i sentimenti di appartenenza al gruppo e alla sua continua mobilità. Segni, simboli e figure stilizzate rappresentano le emozioni più condivise e riconosciute da tutti e manifestano anche la paura delle forze della natura che si vuole dominare o controllare. Le tribù della tenda nera (seminomadi che vivono anche in molte altre zone prossime ai deserti) hanno stabilito in questa gola il loro “reame fluente”, che vive dei loro percorsi e che alimenta le loro necessità, ricevendo in cambio le loro attenzioni. Una condizione di complessità, forse ancora poco valutata in quanto tale, si esprime nella vita quotidiana e nella cultura familiare, religiosa e di gruppo, delle tribù. Donne, uomini e ambienti di vita hanno formato un tessuto complesso e durevole che è rimasto fino ad oggi pressoché indisturbato e che può dimostrare come si possa scegliere e mantenere una vita dignitosa, diversa e opposta alla sedentarizzazione, lavorando e imparando, dalla scuola alla cura del bestiame alla coltivazione estensiva. 72
Figure 5-6. Cantine per la produzione del vino, forni, tracce di insediamenti, ossari, passaggi costruiti sulle pareti rocciose, testimoniano la continuità degli insediamenti stabili e una frequentazione umana ininterrotta capace di elaborare alti livelli di tecnologie costruttive e impiantistiche nelle città e, nello stesso tempo, di saper vivere con dignità una condizione di nomadismo ‘persistente’ di grande importanza.
CONTINUITÀ, DIVERSITÀ, CREATIVITÀ Tutte queste forme di vita, dal villaggio desertico al villaggio di montagna, ai villaggi del nord, ai reami fluenti dei seminomadi, costituiscono una rarità ambientale e culturale che persiste da tempi antichissimi, testimoniando mondi che altrove sono ormai scomparsi: per autodistruzione (come è accaduto in Europa), per colonizzazione e conseguente distruzione di ogni forma di vita legata al proprio ambiente (come è stato per le Americhe). Mentre in Europa si vanno ricostruendo gli antichi e preziosi valori ecologici che si mantenevano perpetuandosi nella transumanza (semi e piante suoli e tradizioni che viaggiavano con gli uomini e gli animali) e si pensa di ricostituire questa modalità perduta, in Persia si rischia di perdere questo prezioso patrimonio di cultura e di paesaggi. Senza la presenza, la cultura e l’economia di questi popoli anche i paesaggi diventerebbero irriconoscibili, segnando la perdita delle risorse ecologiche più preziose che qui la natura offre a chi le sa coltivare con sapienza, come è per l’acqua e per i frutti selvatici primigeni. Occorre interpretare questo patrimonio vivente ambientale e umano come un tutto inscindible, come una preziosa e ormai sempre più rara, sorgente di complessità. Queste realtà invece vengono generalmente studiate e messe in valore per le loro molteplici e differenti risorse, considerate ciascuna separatamente, e proprio questa modalità di ‘valorizzazione’ rischia di travolgere e cancellare per sempre i valori profondi di quel mondo. La ricchezza dei monti Zagres, i grandi fiumi che da essi scaturiscono (il fiume Polvare, che lambisce Perepoli e Passagard, viene chiamato Syvand dagli abitanti di Tangh-è-Bolaghi), la vegetazione boschiva, i frutti, gli animali, le acque non possono essere separati e occorre che vengano preservati i loro rapporti reciproci e le relazioni tra gli uomini, le loro società organizzate, l’ambiente. Sembra ormai che una tale impostazione di tutela sia stata dimenticata e oggi queste valli sono minacciate da una grande diga che ne cancellerebbe ogni testimonianza vivente, allagando i versanti dei giardini spontanei, distruggendo i frutti che vi crescono, cancellando gli itinerari consueti e millenari dei nomadi e ogni loro possibilità di sopravvivenza. 73
Figure 7-8. Tutte queste forme di vita, dal villaggio desertico al villaggio di montagna, ai villaggi del nord, ai reami fluenti dei seminomadi, costituiscono una rarità ambientale e culturale che persiste da tempi antichissimi, testimoniando mondi che altrove sono ormai scomparsi.
Figura 9. Lo spazio di riferimento del nomade, che non è e non può essere un’architettura, è infatti il kilim, un tappeto tessuto creato dalle donne solo per l’uso familiare che con le sue figure e i suoi colori esprime i valori e i sentimenti di appartenenza al gruppo e alla sua continua mobilità. Segni, simboli e figure stilizzate rappresentano le emozioni più condivise e riconosciute da tutti e manifestano anche la paura delle forze della natura che si vuole dominare o controllare.
CON L’ARTE DELLA MEMORIA, L’ARTE DELLA CREATIVITÀ: RITESSERE Occorrerebbe invece tutelare ciò che è complesso, ciò che è, come dice questa parola, tessuto insieme, così come è stato tessuto insieme quel reame, fatto di acqua, di frutti e di vie transumanti, fatto di colori e di voci, di grandezza e di sobrietà misurata. Nel nostro caso proprio la tessitura costituisce un riferimento emblematico: dal Kilim, il tappeto come spazio di riferimento, ai gioielli, ad ogni altra arte praticata dalle donne appartenenti a tutte le 74
culture di villaggio o da gruppi seminomadi, è sulla tessitura che possiamo far conto, e sul suo significato, sia reale che metaforico. Attraverso la tessitura e l’attività femminile è possibile mantenere una continuità creativa che oggi si sta vivacemente esprimendo; la stessa tessitura può divenire un sostegno concreto per la conservazione del complesso patrimonio ambientale e sociale e dei paesaggi che lo contraddistinguono. L’arte della memoria può riconoscersi e trovare la sua espressione nella vita e nella creatività femminile, nella natura e nella cultura, e può diventare anche l’arte del divenire, nella più significativa relazione anche con il ruolo contemporaneo della donna in queste società .
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BERTO MARZIA, Kilim persiani Rashidi, Venezia 1991. Printed in Islamic Republic of Iran: SAIDI SOMAIE, Anthropology of semi nomadic tribes in Passargad region, 2004. YASSAVOLI JAVAD, Seven Climes of Iran, 1998. ZAREI FARHA, Agriculture in Passagard Region, 2003. ZAREI FARAD, Archaeology of Tang i Bulaghi, 2003.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Tutte le immagini utilizzate sono state fornite dalle autrici del testo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 76-85
IL
PAESAGGIO CULTURALE FLUVIALE COME MOTORE DI SVILUPPO DEL TERRITORIO: IL CASO DELLA VALLE DELLA LOIRA
Laura Verdelli *
Summary After its abandoning as an infrastructural axis (transportation and economic) the Loire river middle course starts today a process of valorisation and revitalisation of its cultural and natural landscapes. According to the most recent declinations of the cultural patrimony notion a series of cultural, patrimonial and landscape infrastructures is organising following a scheme based on three major groups of actions, often overlapped and combined: actions related to cultural tourism and the attractiveness of the biggest French UNESCO’s site; actions connected with the valorisation of savoir-faire, ancient workmanships and know-how and local products (vineyards production in particular); actions associated with the high quality of live provided by the landscape and environmental context (than, more than supply a green and ecological aspect, also offers a suggestive water scenery). Heritage is taken into account as a possible factor of territorial sustainable development, through the valorisation of its different components, of identity and memorial values, as well as market ones, within an environment where river corridor concentrate multiples and, sometimes contradictories, expectations. Key-words Cultural landscape, patrimonialisation, river corridor, vineyards production
Abstract Dopo aver assistito alla sua dismissione economica e come asse di trasporto, il medio corso della Loira è oggi sottoposto ad un processo di valorizzazione e rivitalizzazione basato sulla patrimonializzazione dei suoi paesaggi culturali e naturali. Le dinamiche in atto sono riconducibili a tre grandi famiglie di azioni: azioni legate al turismo culturale ed all’attrattività del più vasto sito UNESCO di Francia; azioni legate alla valorizzazione dei savoir-faire, degli antichi mestieri, dell’artigianato e dei prodotti locali (in particolare la produzione vitivinicola); azioni legate alla qualità e al contesto di vita offerti dal quadro paesaggistico e ambientale (che oltre ad assolvere la funzione di polmone verde propone il suggestivo scenario acquatico). Ci si rivolge al patrimonio come possibile fattore di sviluppo sostenibile del territorio, valorizzandone al contempo le diverse componenti e il valore identitario e memoriale, così come quello di mercato, in un quadro di riferimento dove il corridoio fluviale concentra attese multiple e, a volte, contraddittorie. Parole chiave Paesaggio culturale, patrimonializzazione, corridoio fluviale, produzione vitivinicola
* Architetto, Dottoranda di ricerca in cotutela in Pianificazione del territorio e Urbanistica presso l’Università di Tours (Francia) e in Storia dell’Arte, specialità Patrimonio Culturale, presso l’Università di Coimbra (Portogallo)
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INTRODUZIONE Secondo uno schema interpretativo piuttosto diffuso, alla Loira viene attribuito prioritariamente il ruolo di infrastruttura economica di comunicazione e trasporto sulla quale si è sviluppato, a partire dall’antichità, un antroposistema complesso basato principalmente sulle interazioni tra società e ambiente fluviale. Questa situazione geografica, dipendente dal corso d’acqua, ha catalizzato l’organizzazione del territorio sia in termini spaziali che sociali, orientando insediamenti e urbanizzazione. Nel corso del secolo XX l’importanza della risorsa infrastrutturale materiale rappresentata dal fiume è gradatamente diminuita fino a scomparire sia nella sua funzione di via di comunicazione e trasporto, soppiantata da ferrovie, strade e autostrade, che in quella di forza motrice per l’industria, determinando l’allontanamento graduale delle attività produttive dalle sponde. Il fiume ha conservato il ruolo di fornitore di granulati per l’edilizia1, integrandolo con quello di supporto alla produzione di energia: le acque sono utilizzate in alcune centrali idroelettriche ma soprattutto per il raffreddamento di diverse centrali nucleari. Mentre le attività economiche si allontanano dai bordi immediati del fiume, gli agglomerati abitativi antichi vi restano continuando a dover fare i conti con l’irregolarità del livello delle acque ed i rischi legati a piene e inondazioni. Argini e alzaie della Loira sono, a tutt’oggi, piuttosto dei terrapieni situati ai margini del letto maggiore del fiume che non rigidi incanalamenti inflessibilmente posizionati lungo il suo letto minore. Tale caratteristica dona all’insieme di paesaggi e rive un aspetto così “naturale” che la Loira viene definito l’ultimo fiume “selvaggio” d’Europa malgrado il suo corso sia regolato artificialmente da secoli. Alla preservazione dell’attuale aspetto delle sponde ha contribuito una forte mobilitazione della società civile. A partire dal 1979, anno della pubblicazione del noto rapporto di Jean Chapon: “Protection et aménagement intégré de la vallée de la Loire”, cittadini, attivisti, ecologisti, prioritariamente costituiti in forma associativa nei collettivi Loire vivante SOS Loire vivante e in collaborazione con il WWF e France Nature Environnement2, hanno osteggiato tutti i progetti di dighe e sbarramenti, sia quelli finalizzati alla produzione di energia idroelettrica che quelli destinati alla realizzazione di bacini di stoccaggio delle acque (a usi irrigui e turistico-balneari). EVOLUZIONI PATRIMONIALI RECENTI Nel corso degli ultimi due decenni, ed in seguito alle trasformazioni avvenute nel campo economico e sociale, una serie di attori istituzionali ha ingaggiato un processo di identificazione, protezione e patrimonializzazione dei paesaggi culturali del medio corso della Loira composto da diverse ed importanti tappe: dall’istituzione di dispositivi amministrativi di gestione, come il Plan Loire Grandeur Nature (1994)3, alla definizione di perimetri protetti, come il Parc Naturel Régional Loire Anjou Touraine (1996)4.
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All’estrazione di sabbia e ghiaia e alle cave è dedicata la tesi di master di CAROLINE BARRAY, Développement culturel durable, interprétation des carrières alluvionnaires de la Loire. Paysage, patrimoine et création, Université de Tours, 2002. 2 Fédération française de protection de la nature et de l’environnement. 3 Istituito dal Governo il 4 gennaio 1994 ha trasformato profondamente la logica di approccio alla Loira ripensando l’insieme della pianificazione partendo dall’idea che bisognasse prendere in considerazione il carattere naturale ancora preservato del fiume. Nelle fasi recenti é apparsa, tra le priorità, la valorizzazione del patrimonio naturale, paesaggistico e culturale. 4 I Parchi naturali regionali sono stati creati con Decreto 1 marzo 1967 allo scopo di dotare di uno strumento pianificatorio specifico territori dall’equilibrio fragile e dal patrimonio naturale e culturale ricco e minacciato.
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Figura 1. Colonne di vapore acqueo sovrastanti la centrale nucleare di Avoine (Indre et Loire).
Tale dinamica è culminata con l’iscrizione di un tratto del fiume, oggi denominato “Val de Loire”, sulla lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO5. Parzialmente vitivinicolo, questo paesaggio si iscrive nella categoria dei paesaggi essenzialmente evolutivi e viventi, risultato cioè “d’une exigence à l’origine sociale, économique (…) et a atteint sa forme actuelle par association et en réponse à son environnement naturel”6. Percepita, soprattutto dalle istituzioni, come una soglia fondamentale nel processo di trasformazione territoriale, l’attribuzione del label UNESCO, il cui obiettivo prioritario é la conservazione dei patrimoni e della loro gestione, sembra possa anche originare un incremento ed una trasformazione della frequentazione turistica, sebbene non sia stato finora possibile quantificarne l’ampiezza7. Il territorio definito dal perimetro del “Val de Loire” é oggi oggetto di una trasformazione che prende spunto dalla volontà di patrimonializzazione dei suoi paesaggi culturali e naturali che riflettono la costruzione sociale del paesaggio del fiume e delle sue valli prodotta nella longue durée.
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The Loire Valley between Chalonnes and Sully-sur-Loire é iscritto sulla lista dal 30 novembre 2000. Si tratta del più grande sito di Francia, limitatamente alla sezione “beni culturali”, abbraccia duecentottanta chilometri lungo il fiume, e comprende quattro dipartimenti (Loir-et-cher, Maine et Loire, Loiret, Indre-et-Loire) e due regioni (Centre e Pays de la Loire). 6 Orientations devant guider la mise en oeuvre de la Convention du patrimoine mondial, Paris, UNESCO, WHC.05/2, 2 février 2005, pag. 90. 7 “While no formal data have been collected, a site’s inscription on the World Heritage List often coincides with a boost in visitation rates” ARTHUR PEDERSEN, Managing Tourism at World Heritage Sites: a Practical Manual for World Heritage Site Managers, World Heritage Manuals n. 1, Paris, UNESCO World Heritage Centre, 2002, pag. 11. Per quanto riguarda il caso specifico del Val de Loire i rappresentanti degli imprenditori turistici non sono stati in grado di descrivere oggettivamente la trasformazione di questo particolare mercato né di quantificarla precisamente. Per i dettagli rimandiamo all’articolo PHILIPPE CALLOT, LAURA VERDELLI, Comment le tourisme est-il intégré dans la démarche de valorisation territoriale? Le cas du Val de Loire, Atti del Convegno Internazionale “Développement territorial et tourisme”, 17-21 agosto 2006 Bogotà (Colombia) – in corso di stampa.
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La dimensione estetica non è uno dei criteri di eleggibilità per l’iscrizione in questa specifica categoria della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO8; ciononostante la conservazione dell’estetica di questi paesaggi costituisce, oggi, una vera sfida. Le autorità locali desiderano, infatti, mantenere ed incrementare il fatturato turistico della regione che, per il momento, conta sull’attrattiva tradizionale e non secondaria dei “Castelli della Loira”, siti difensivi e dimore aristocratiche meta annuale di milioni di visitatori. A questo fine, appare necessario e indispensabile garantire la complessità del termine “paesaggio culturale”, in modo che possa rispondere alla sempre più raffinata richiesta turistica9. Il riferimento alla “bellezza” dei paesaggi e alla loro “autenticità” - variabili non oggettivamente misurabili e quantificabili - traspare in modo particolare in occasione delle manifestazioni culturali ed artistiche promosse dalle istituzioni locali, oggi sempre più numerose. Il materiale divulgativo e pubblicitario prodotto diviene, quindi, un supporto per la diffusione di una (supposta) identità paesaggistica dei luoghi. Contemporaneamente, viene messa in evidenza la relazione tra territorio, terroir e produzioni agro-alimentari, vitivinicole in particolare. Tale volontà di incidere sulla dimensione turistica dei luoghi attraverso la qualità del sito e dei suoi prodotti pone una sfida in materia di pianificazione del territorio giacché le azioni devono garantire, al contempo, la conservazione della dimensione estetica dei paesaggi, la loro evoluzione, legata al progresso delle tecniche di produzione, e il mantenimento della qualità dei prodotti. DINAMICHE ATTUALI La patrimonializzazione territoriale su vasta scala è stata individuata come nucleo prioritario dello sviluppo futuro e domina la costruzione intellettuale sottesa ad organizzare la fase attuale delle trasformazioni territoriali. In accordo con le più recenti declinazioni della nozione di patrimonio10, che comprende ormai componenti materiali e immateriali, territori e superfici estese, una serie di infrastrutture culturali, patrimoniali e paesaggistiche si sta rapidamente strutturando, secondo uno schema riconducibile a tre grandi famiglie di azioni (descritte in seguito) che sono spesso compresenti e combinate anche se non sembra che esista un attore unico capace di gestire o pilotare la complessità delle azioni in corso. Si può, forse, parlare di una convergenza, sovente inconscia e casuale. Nonostante ciò, gli interessi dei vari attori sono, talvolta, in contrasto tra loro, e i percorsi individuati per arrivare al fine patrimoniale dichiarato molteplici. Turismo culturale Le collettività territoriali (regioni, dipartimenti e comuni) promuovono, in maniera più o meno coerente e concertata11, un “nuovo” prodotto turistico capace di combinare le caratteristiche del territorio, l’aspetto paesaggistico e la produzione enogastronomica, utilizzando l’iscrizione UNESCO come biglietto da visita e cassa di risonanza.
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Mentre lo é per un’altra categoria, quella del “paysage clairement défini, conçu et créé intentionnellement par l’homme”* che comprende, per esempio, i giardini, rendendo la distinzione a volte sottile. * Orientations devant guider la mise en oeuvre de la Convention du patrimoine mondial, Paris, UNESCO, WHC.05/2, 2 février 2005, pag. 90. 9 In effetti, il paesaggio culturale di riferimento è spesso contaminato da un contesto immaginario e immaginato e proiettato sul territorio reale. Gli operatori turistici, sovente, tendono a rispondere alle sollecitazioni di specificità reali o sognate anche trasformando la loro offerta, e producendo delle “nuove autenticità antiche” e delle “tradizioni contemporanee”. 10 Per una definizione del concetto di «Patrimonio» rimandiamo a JACQUES LEVY et MICHEL LUSSAULT (sous la direction de), Dictionnaire de la géographie et de l’espace des sociétés, Paris 2003, pagg. 692 -693. 11 Per mezzo di una serie di incentivi ad attori pubblici e privati, ma anche tramite politiche pubbliche, sia a livello statale, estremamente presente in Francia, che decentrato.
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Figura 2. Riproduzioni recenti di imbarcazioni tradizionali - Brehemont (Indre et Loire).
Questa tendenza istituzionale recente si ripercuote sul territorio originando offerte turistiche innovative, parallele a quelle classiche, che per il momento restano alquanto limitate a causa dell’inerzia mostrata dagli imprenditori locali ad integrare gli standard qualitativi che questo nuovo mercato richiede. Ancorati ad un turismo “tradizionale” consolidato, anche se in flessione, le associazioni di categoria dell’Ho-re-ca faticano a sposare la visione di sviluppo sul medio e lungo periodo espressa dalle amministrazioni e restano legate all’immediato fatturabile. La dicotomia è chiaramente emersa nel corso dei gruppi di lavoro costituiti la scorsa primavera allo scopo di valutare gli effetti dei primi cinque anni d’iscrizione all’UNESCO e pilotati dalla Mission Val de Loire – Patrimoine Mondial12. I risultati, presentati pubblicamente in occasione del quarto Rendez-vous du Val de Loire non hanno fatto menzione esplicita di questo aspetto13. Più sensibili al nuovo orientamento sono, invece, gli attori economici legati all’emergenza del turismo vitivinicolo, di quello prettamente fluviale14, dei festival e delle manifestazioni culturali e delle attività museografiche ed espositive. Questo gruppo di attori economici – ed evidentemente anche sociali – coordina volentieri le proprie azioni con la serie di attività promosse certo dai poteri pubblici, ma che, per la loro riuscita, necessitano dell’adesione e della partecipazione attiva degli attori locali e privati.
12 Struttura interregionale che gestisce il complesso meccanismo di gestione del sito e che funge da interfaccia tra il settore pubblico e quello privato. 13 In realtà i suddetti rendez-vous costituiscono l’incontro annuale di un’altra branca del meccanismo di gestione del sito: il Comité de Développement che dovrebbe assicurare la partecipazione della società civile in tutte le sue componenti e che è aperto a tutti gli attori pubblici, privati ed associativi dell’economia, del turismo, dell’ambiente, del patrimonio, della cultura e dell’educazione. È dunque comprensibile che un certo numero di considerazioni “scomode” siano state risparmiate. 14 Un piccolo numero di operatori indipendenti propone delle crociere fluviali su battelli tradizionali che erano quasi scomparsi.
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In tale categoria rientrano, ad esempio, la Charte de Fontevraud15 che propone “la création, à partir du Val de Loire, d’un réseau international porté par les acteurs des territoires de la vigne et du vin, avec pour objectif, un engagement d’excellence de protection, gestion et aménagement des paysages de ces territoires dans le respect de leurs valeurs naturelles et culturelles”16 e il Progetto Vitour17 il cui obiettivo é quello di “créer un réseau des Vignobles européens du Patrimoine mondial de l’UNESCO (6 pays) autour de références communes de développement durable associant connaissan”ce, préservation, et valorisation touristique des patrimoines culturels et paysagers viticoles”18. Tutto ciò sta avvenendo altresì in un momento in cui, alla vigilia delle elezioni presidenziali, il Paese s’interroga sull’importanza della cultura in politica, partendo dal presupposto che essa e le industrie culturali siano fattori di sviluppo economico: “La culture est un vecteur d’image, elle est la promotion d’un territoire (…) la culture est une véritable activité économique. (…) LA CULTURE et LES CULTURES [maiuscolo nel testo] en ces termes ne doivent donc pas être réduites au simple divertissement et au plaisir, mais bien assimilées à une identité authentique, qu’il convient d’assurer et de promouvoir par tous les moyens qu’ils soient politiques, intellectuels, économiques ou sociaux”19. A questo proposito particolarmente significativo è stato il Convegno “La culture est-elle encore un enjeu politique ?” organizzato dal canale culturale ufficiale televisivo (Arte, uno dei tre canali pubblici nazionali) e radiofonico (France Culture, l’ammiraglia culturale dell’emittente pubblica Radio France) che si é tenuto a Parigi venerdì primo dicembre 2006 e che ha avuto una larga eco mediatica. Questo convegno é stato preceduto da un sondaggio sulla Politica culturale che ha evidenziato come, tra gli obiettivi ed i compiti attribuiti alla politica culturale, al secondo posto delle risposte, immediatamente dietro alla “facilitazione dell’accesso alla cultura ed alle attività culturali per i più ampi strati della popolazione”, compaia: “La salvaguardia e lo sviluppo del patrimonio culturale”20. Valorizzazione dei savoir-faire, degli antichi mestieri, dell’artigianato e dei prodotti locali «Faire des paysages viticoles des paysages du patrimoine mondial est légitime si l’on se réfère effectivement aux fondements culturels des vignobles ; cet objectif ne peut cependant faire oublier la nécessaire vigilance qui doit s’exercer sur ces vignobles reconnus à l’échelle planétaire afin que leur reconnaissance ne soit pas uniquement un argument mercantile, mais qu’elle contribue à la pérennité des savoir-faire de la nature et d’un produit abouti, susceptible de contribuer à un développement durable des paysages ruraux»21.
In materia di protezione e conservazione del paesaggio, date le caratteristiche intrinseche della coltivazione della vigna (organizzata su vaste porzioni di terreno geometricamente ordinate e gerarchizzate con risultati estetici sovente apprezzati), i tempi di sviluppo nel medio e lungo periodo delle attività vitivinicole e il legame diretto di queste con la terra, 15
Charte Internationale de Fontevraud - Protection, gestion et valorisation des paysages de la vigne et du vin, firmata a Angers, il 12 dicembre 2003, tra il Ministère de l’Ecologie et du Développement Durable, l’Institut National des Appellations Contrôlées, la Mission Val de Loire – Patrimoine mondial, il Bureau Interprofessionnel des Vins du Val de Loire, la Confédération des Vins du Val de Loire e l’Office International de la Vigne et du Vin. 16 Charte Internationale de Fontevraud - Protection, gestion et valorisation des paysages de la vigne et du vin, Angers, 12 dicembre 2003, pag. 3. 17 “Vitour” é una rete europea di vigneti creata nel 2004 su iniziativa della Mission Val de Loire e d’InterLoire e concretizzata sotto forma del progetto Interreg III C “Vitour - Les Vignobles du Patrimoine mondial: offres touristiques innovantes et développement durable”. Il progetto ha una durata di 30 mesi (luglio 2005 – dicembre 2007) ed é finanziato dall’Unione Europea. 18 Vitour - Les Vignobles du Patrimoine mondial: offres touristiques innovantes et développement durable - fiche résumée du dossier de présentation du projet, Mission Val de Loire, pag. 1. 19 Dal testo introduttivo alle problematiche del convegno citato. 20 I risultati del sondaggio sono stati parzialmente pubblicati su Le Monde del 1° dicembre 2006, pagg. 20-21. 21 YVES LUGINBÜHL, Paysages viticoles, in “Les paysages culturels viticoles”- dans le cadre de la Convention du Patrimoine mondial de l’UNESCO. Étude thématique ICOMOS, juillet 2005, pag. 18.
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risulta una relazione necessariamente biunivoca tra gli operatori di questo settore ed il quadro istituzionale. In effetti, i vignaioli-vinificatori sono anche i produttori materiali di una componente valorizzata e valorizzante del paesaggio culturale. Questa caratteristica fa sì che, anche in altri contesti, questi produttori siano tra i primi a comprendere il valore collettivo del patrimonio territoriale ed intervengano per mantenerlo e svilupparlo. Questi imprenditori sono, per esempio, fra i primi e più forti sostenitori delle azioni di valorizzazione e salvaguardia del paesaggio culturale intraprese lungo il fiume Douro (Portogallo), ed in specifico nel frammento del Douro Vinhateiro, anch’esso iscritto nelle liste dell’UNESCO. Dalla loro parte, gli attori istituzionali attivano e incentivano con patrocini e finanziamenti una buona parte della nuova offerta turistico-culturale che si rivolge alla popolazione locale ed a un turismo “di prossimità” che è individuato come quello attualmente più sensibile. Numerosi festival e manifestazioni culturali associano il paesaggio fluviale e i prodotti che ne definiscono l’identità, primo fra tutti “Jour de Loire”22, avvenimento che si svolge in più giorni e che coinvolge centinaia di attori lungo tutto il corridoio fluviale compreso nel territorio del dipartimento dell’Indre et Loire. Tra le attività che mirano alla valorizzazione del fiume non sono da dimenticare le ricostruzioni storiche come la Remontée du sel, che rinverdisce l’antica tradizione della risalita del fiume da parte delle barche che trasportavano il sale marino nell’entroterra. Per il momento si tratta ancora di un settore limitato e specialistico, anche se in forte aumento23. Qualità e ambiente di vita offerti dal quadro paesaggistico e ambientale Questo gruppo è il più eteroclito ed associa le offerte genericamente dedicate allo sport e al tempo libero (come la pratica della canoa-kayak fluviale o l’attività ciclistica – lungo le numerose piste ciclabili, alcune delle quali scorrono proprio sull’argine del fiume) all’applicazione dei dettami dello sviluppo sostenibile. In assenza di indicatori oggettivi e misurabili in materia di manutenzione ed evoluzione dei paesaggi fluviali, si fanno strada i giudizi di valore e di gusto basati sul senso estetico e sulla sua influenza sulla qualità della vita, introducendo contrasti e paradossi legati a situazioni di fatto non approvate e condivise da tutti gli attori. Ne sono un esempio concreto la controversia nata attorno al recente sviluppo della foresta alluvionale spontanea lungo le rive dei corsi d’acqua – foresta che, al tempo stesso, chiude otticamente le prospettive, tradisce la configurazione tradizionale, estremamente antropizzata, dei bordi fiume, aumenta il verde ed il lato romanticamente selvaggio del fiume – oppure la polemica sullo sviluppo dei pioppeti, tra posizioni tradizionali favorevoli ad una coltura produttiva e tecnicamente appropriata e visioni panoramiche sentimentali importate da turisti e neo-rurali d’origine urbana. Resta costante lo sguardo al patrimonio culturale come possibile fattore di sviluppo sostenibile del territorio, attraverso la valorizzazione delle diverse componenti e del valore identitario e memoriale ed alla crescita costante, anche grazie a dinamiche esterne, del suo valore di mercato. Il corridoio fluviale è un quadro di riferimento con la particolarità di concentrare attese multiple e contraddittorie, essendo oggetto, allo stesso tempo, di domande in materia di usi ricreativi e ludici; di attese in termini di qualità estetica della vita; di messa in opera di piani di protezione dai rischi di inondazione; allorché permane, contemporaneamente, zona di potenziale crescita urbana. 22
Creato nel 2002 dal Conseil général d’Indre- et Loire “cet événement invite chacun à plonger dans la magie et la beauté du fleuve et à découvrir la Touraine à travers les richesses qui font son identité: savoir-faire, gastronomie, patrimoine architectural, histoire et hommes célèbres, œnologie, art des jardins, patrimoine naturel” Brochure di presentazione di Jour de Loire 2005. 23 A titolo d’esempio si può menzionare il fatto che solo tre ristoranti nel dipartimento Indre et Loire servano pesce della Loira, con la volontà non solo di proporre una ristorazione regionale, ma anche quella di abbinarla ad un’ottica di sviluppo sostenibile (metodi di pesca tradizionali e approvvigionamento locale). L’abbinamento tra tradizione, culinaria in questo caso, e mercato sembra consolidarsi, anche se la sua diffusione non è scevra, a volte, da ingenue ed incongrue invenzioni pseudo-patrimoniali.
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Figura 3. Pratica del kayak.
Al contempo tutte le azioni si inseriscono in un quadro legislativo in rapida evoluzione dove la pianificazione territoriale è obbligata a mettersi in relazione con le istanze, almeno formali, della salvaguardia patrimoniale, culturale e paesaggistica attraverso gli strumenti di ultima generazione24 e gli orientamenti normativi nazionali e internazionali, prima fra tutte la Convenzione Europea del Paesaggio25, che prevede, tra l’altro: “Chaque Partie s’engage à intégrer le paysage dans les politiques d’aménagement du territoire, d’urbanisme et dans les politiques culturelle, environnementale, agricole, sociale et économique” e “Chaque Partie s’engage à accroître la sensibilisation de la société civile, des organisations privées et des autorités publiques à la valeur des paysages, à leur rôle et à leur transformation”26.
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“Attraverso la cosiddetta legge SRU Solidarietà e rinnovo urbani (13 dicembre 2000), che costituisce l’ultima normativa francese in materia di urbanistica, e nella quale il legislatore afferma la volontà d’integrare il patrimonio nella politica urbanistica, sono stati istituti i nuovi strumenti di pianificazione territoriale, tanto a livello comunale che metropolitano. Si tratta del PLU Piano Locale d’Urbanistica (che prende il posto del POS Piano d’Occupazione del Suolo); e dello SCOT Schema di Coerenza Territoriale, che si sostituisce al vecchio SDAU Schema di Ordinamento Urbano. Entrambi comportano, oltre ad un regolamento urbanistico, un PADD Progetto di Ordinamento e di Sviluppo Sostenibile attraverso il quale dovrà esprimersi un vero progetto urbano coerente”. LAURA VERDELLI, La Loira, fiume “privilegiato”/The Loire as a “privileged” river, in “Rivers as cultural infrastructures”, Bologna, Editrice Compositori, 2005, pag. 56. 25 Firmata a Firenze, sotto l’egida del Consiglio d’Europa, il 20 ottobre 2000, ratificata dalla Francia il 17 marzo 2006 ed entrata in vigore il 1° luglio 2006. 26 Convention Européenne du Paysage, Firenze, Consiglio d’Europa, 20 ottobre 2000, Articoli 5 e 6.
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CONCLUSIONI “Les paysages du Val de Loire portent l’héritage du siècle de la Renaissance et du siècle des Lumières, ils témoignent, aussi, de deux millénaires d’histoire entre les habitants et le fleuve. Cette esthétique paysagère consacrée par l’UNESCO est l’expression d’une complexité savamment tissée au fil du temps qu’il appartient aux habitants du site de comprendre, d’entretenir et de faire évoluer pour mieux la transmettre”27.
I paesaggi culturali lungo la valle della Loira costituiscono oggi un capitale prezioso per lo sviluppo del territorio. Il processo di conservazione del patrimonio, associato alle dinamiche di valorizzazione del paesaggio e di promozione dei prodotti enogastronomici e vitivinicoli, crea le condizioni per l’ottimizzazione delle risorse e l’adesione di tutti gli attori del territorio. Il patrimonio naturale, culturale e paesaggistico fluviale fa parte oggi di progetti territoriali che lo mettono in valore come oggetto attivo di sviluppo innovativo, capace di rispondere contemporaneamente alle attese di abitanti e visitatori, in stretta connessione con i pilastri dello sviluppo sostenibile.
Figura 4. Paesaggio della confluenza tra Loira e Vienne a Candes Saint Martin (Indre et Loire).
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1-3: foto di Laura Verdelli (2005). Figura 4: foto di Romeo Carabelli (2004).
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 86-97
STRATEGIE
INTEGRATE PER LA QUALITÀ E LA RESILIENZA DEI TERRITORI
DEI FIUMI Angela Colucci *
Summary The paper presents two case-studies developed in the research Lands of the river. The case studies are characterised by a high complexity level and by the integration between the several issues in relation to the interpretation methodologies and in relation to the responses system. The Rhine river basin experience and the Blue Ribbon Network (Greater London Plan 2004) were chosen in order of their complexity and of their innovation developed in the proposals and in the instruments (methodologies and responses). The paper underlines the innovation aspects, first of all in order of the integration between the different issues of the relationships between the man and the river and their vision aimed to the sustainable development of the whole environment system. The aims of the research is to define responses systems (policies, plans and projects) in relation to the different declination of the spatial, time and context variables, based on homogeneous factors/concepts of lectures and responses (vulnerability, resilience, network and system). Key-words River, Reno, Greater London Plan, vulnerability, resilience, network, system
Abstract L’articolo presenta due esperienze (fiume Reno e Blue Ribbon Network - Greater London Plan), sviluppate nell’ambito del percorso di ricerca “I Territori del fiume”, caratterizzate da un elevato grado di complessità, di integrazione tra molteplici obiettivi e di intersettorialità in termini di approccio, metodi interpretativi e sistemi di risposte. L’obiettivo del lavoro è l’individuazione di sistemi di risposta per il governo del territorio (politiche, piani e progetti) in relazione alle differenti declinazioni delle dimensioni del tempo, dello spazio e dei contesti, basati su una continuità di concetti e metodi interpretativi (vulnerabilità, resilienza, reti, sistemi e luoghi) al fine di garantire sistemi ambientali, territoriali ed urbani resilienti e di qualità. I sistemi di risposte devono raggiungere congiuntamente più obiettivi, tra i quali l’elevata qualità del territorio, dei complessi insediativi e naturali, la gestione sostenibile del sistema idrologico e delle risorse idriche e la sicurezza della popolazione e dei luoghi. Parole chiave Fiume, Reno, Greater London Plan, vulnerabilità, resilienza, reti, sistemi
* Dottore di Ricerca in Pianificazione Urbana, Territoriale e Ambientale, Politecnico di Milano
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PRESUPPOSTI E STRUTTURA DELLA RICERCA L’articolo presenta sinteticamente due esperienze che, muovendo da contesti ed obiettivi differenti, sviluppano proposte capaci di coinvolgere il complesso del sistema territoriale ed ambientale e di intercettare le differenti declinazioni del rapporto tra uomo e sistemi fluviali, verso obiettivi di qualità, di resilienza e sicurezza. Attualmente le reciproche interdipendenze tra uomo e acque hanno portato all’emergere di fenomeni di crisi che si traducono in eventi più o meno estremi (come le alluvioni, la siccità e la gestione delle acque durante gli eventi di pioggia intensa) e in fenomeni diffusi (come gli inquinamenti ed i dissesti del territorio). Inoltre, l’integrazione degli aspetti di gestione sostenibile del sistema delle acque nell’ambito della prassi del governo del territorio è oggi un aspetto strategico e sempre più caratterizzato dall’urgenza, nonché ampiamente caldeggiato dai principali soggetti e dibattiti istituzionali e scientifici internazionali ed europei. Indagare la relazione uomo/acque necessita, da un lato, di aperture multidisciplinari e di un approccio integrato, ma, dall’altro, anche di limitazioni di campo al fine di strutturare un percorso di ricerca. Del tema uomo/acque l’attenzione è posta alle implicazioni territoriali e ambientali di tale rapporto ed ai sistemi di risposte, in termini di strumenti di governo del territorio che possono essere messi in campo al fine di prevenire e mitigare i fenomeni di crisi e ridurre gli impatti diffusi. Il lavoro di ricerca muove dai fiumi, ma si sostanzia dei temi della gestione del sistema idrografico complessivo, della qualità e quantità delle acque, del funzionamento del ciclo delle acque e dell’equilibrio tra gli ambiti fluviali, le attività antropiche e la sicurezza della popolazione. L’obiettivo del lavoro di ricerca1 è l’individuazione di meccanismi di risposta per il governo del territorio (politiche, piani e progetti) in relazione a differenti declinazioni delle dimensioni del tempo, dello spazio e dei contesti, basati su una continuità dei concetti e dei metodi interpretativi (vulnerabilità, resilienza, reti, sistemi e luoghi) al fine di garantire sistemi ambientali, territoriali ed urbani resilienti e di qualità. Le declinazioni del tema, fattori determinanti, concetti interpretativi e il quadro degli strumenti Il rapporto uomo/fiumi presenta numerose declinazioni. Il tema che ha dato avvio al lavoro di ricerca è quello dei rischi alluvionali e della gestione degli eventi idrologici straordinari. Al fine di garantire sistemi integrati di risposte sono state indagate altre declinazioni: la gestione qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, i temi del paesaggio e del valore evocativo e culturale dei fiumi e dei territori dei fiumi. Nel percorso di lavoro sono emersi tre fattori determinanti: il tempo, la dimensione spaziale e i contesti. Questi tre concetti devono essere di volta in volta dichiarati e resi espliciti, in quanto fanno emergere nelle loro differenti declinazioni criticità ed opportunità differenti. Se i fattori determinanti mutano di volta in volta i termini della questione, è necessario individuare dei concetti che possano garantire la continuità nelle fasi di lettura, interpretazione e di risposta in relazione alle differenti dimensioni territoriali, temporali e di contesto. I concetti interpretativi utilizzati sono la vulnerabilità/resilienza, reti/sistemi, luoghi e strumenti.Al fine di costruire un quadro di strumenti interpretativi e di risposta si sono percorsi due assi di ricerca: la raccolta di casi di buone pratiche2 (con l’obiettivo di comprendere gli strumenti messi in campo in relazione alle declinazioni dei fattori determinanti) e la costruzione dei quadri degli strumenti disponibili nel contesto italiano, in relazione alle materia di governo del territorio, di difesa del suolo, di gestione delle risorse idriche e di gestione dell’emergenza. 1
La ricerca “I territori dei fiumi” ha avuto avvio nell’ambito del Dottorato di ricerca in Pianificazione Urbana, Territoriale e Ambientale del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano. 2 I casi indagati sono numerosi e fanno ovviamente riferimento a contesti e dimensioni spaziali differenti: il caso del Bacino del fiume Po, il caso della ridefinizione del paesaggio lungo il fiume Mississipi, il metodo della NOOA (vulnerability assessment tools), alcuni casi di progettazione integrata di ambito olandese, l’approccio Low-Impact Development, eccetera.
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Figura 1. Lo schema del percorso di ricerca “I territori dei fiumi”.
In questa sede si è scelto di presentare il caso del bacino del Reno (IPCR) ed il caso del Blue Ribbon Network (Greater London Plan 2004) sia per la loro complessità che per lo sforzo messo in campo per garantire un alto livello di integrazione ed intersettorialità delle risposte. I due casi, infatti, pur partendo da differenti sguardi integrano molteplici temporalità, dimensioni, contesti e contemplano le differenti declinazioni del tema. IL CASO DEL BACINO DEL FIUME RENO Delle molteplici iniziative e progetti attivati per la gestione integrata del bacino del Reno verranno sinteticamente ripercorse le tappe dell’istituzione della International Commission for the Protection of the Rhine (IPCR), i principali obiettivi e contenuti delle politiche per la prevenzione del rischio alluvionale e l’Action Plan on Flood Prevention (dell’IPCR) e dell’esperienza ed i progetti attivati nell’ambito del programma INTERREG IIc IRMA. International Commission for the Protection of the Rhine Il bacino del fiume Reno (lungo milletrecentoventi chilometri) ha un’estensione di circa centottantacinquemila chilometri quadrati e ospita una popolazione di circa cinquanta milioni di abitanti. Porzioni più o meno estese di nove Stati europei sono compresi nel bacino del Reno: Germania, Francia, Svizzera ed Olanda, Austria e Luxemburgo, infine Italia, Liechtenstein e Belgio per un’estensione trascurabile.
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Il sistema fluviale del Reno è soggetto ad un intensivo uso dato da molteplici attività umane e in esso sono localizzate sei tra le più importanti aree industriali europee. Negli anni Sessanta, a fronte dello stato di alto inquinamento del fiume, viene siglato il primo accordo trans-nazionale tra Svizzera, Francia, Germania, Lussemburgo e Olanda. Con l’accordo di Berna (29/4/1963) è istituita l’International Commission for the Protection of the Rhine against Pollution (ICPR). Nel 1975 l’IPCR elabora e approva con l’accordo degli Stati partecipanti la prima Convenzione per la tutela del Reno dagli inquinanti chimici. Nel 1977 viene siglata una nuova convenzione che include la Comunità Europea. L’IPCR quindi muove le sue origini e i suoi primi programmi dall’obiettivo di ridurre i livelli di inquinamento del corpo idrico. Negli anni Novanta vengono ridefinite le strategie dell’IPCR, e, sulla base di un approccio integrato, sono compresi obiettivi più complessi quali la salvaguardia ed il miglioramento della qualità degli ecosistemi perifluviali, la promozione dell’uso sostenibile ed efficiente delle risorse idriche e la tutela delle acque sotterranee. Nell’ambito della nuova Convenzione (29/4/1999) sono attivati i programmi: The Action Programme for the Rhine (PAR) (19852000), Draft programme for the sustainable development of the Rhine 2020 (2001), Action Plan on Flood Defence (1998), Il programma Salmon 2000 (1997), The Ecological Master Plan for the Rhine (1991) ed il programma di monitoraggio e dell’attuazione delle azioni previste. Action Plan on Flood Defence Il processo di elaborazione e di costruzione dell’Action Plan on Flood Defence per il fiume Reno, elaborato dall’IPCR, si intreccia con l’esperienza del progetto INTERREG IIc IRMA. Durante le alluvioni del 1993 e del 1995 lungo i fiumi Rhine, Moselle and Meuse numerose città e aree abitate furono invase dalle acque, migliaia di persone evacuate con danni stimati nell’ordine di svariati milioni di euro. Il piano di azione si pone nell’ottica di migliorare le condizioni ambientali e di ricostruire i presupposti per un corretto equilibrio tra le funzioni ecologiche, fisiche e idrogeologiche della valle fluviale del Reno e il sistema antropico. Il piano si pone con un approccio interdisciplinare per compensare i deficit ecologici derivanti dal passato. Cinque sono i principi guida individuati dall’Action Plan per la sua attuazione: 1_ Water is a part of the whole; 2_Store water; 3_Let the river expand; 4_ Be aware of the danger; 5_Integrated and concerted action. Il piano, in coerenza con le richieste emerse durante le conferenze di Arles e Strasbourg, deve integrare, coordinare e connettere le misure, le azioni e gli interventi ai differenti livelli di governo, locale, regionale, nazionale e internazionale. In questa ottica devono essere garantite strategie trasversali che abbraccino la gestione delle acque, la pianificazione territoriale e urbana, la tutela e valorizzazione delle aree naturali, le misure agricole e forestali. L’elaborazione dell’Action plan si basa altresì su una lunga esperienza e differenti progetti già avviati nell’ambito del bacino del Reno3. Deve essere tenuto presente che per raggiungere l’obiettivo da un lato dovranno essere messe in campo, simultaneamente, differenti politiche appartenenti ai differenti settori e dall’altro lato politiche e strategie da attivare nei differenti campi, senza essere incoerenti o contrastanti con gli obiettivi della riduzione del rischio alluvionale. Risulta indispensabile: garantire la coerenza delle scelte insediative e di sviluppo economico lungo i fiumi con gli obiettivi di prevenzione e riduzione del rischio alluvionale. Oltre alla attivazione delle misure specifiche è indispensabile avviare processi di coinvolgimento, informazione e formazione dei cittadini, stakeholders, del mondo produttivo ed amministrativo.
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Nel sito web dell’IPCR sono riportati i riferimenti e alcune schede dei principali progetti sviluppati e sui quali è basata l’elaborazione dell’Action Plan on Flood Defence.
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L’Action Plan, il cui obiettivo generale è la prevenzione di tutte le situazioni di alluvione, (non solo gli eventi più gravi) esplicita quattro action-targets, a cui sono connesse le misure per il loro raggiungimento: - Reduce damage risks: mantenimento del livello di rischio di danno invariata fino al 2000, riduzione del rischio di danno del dieci percento entro il 2005 e del venticinque percento entro il 2020; - Reduce flood stages: riduzione del livello delle acque durante gli stadi di piena massima di trenta centimetri entro il 2005 e di settanta centimetri entro il 2020; - Increase awareness of floodings: incrementare la consapevolezza del rischio alluvionale, attraverso la realizzazione di mappe di rischio; - Improve the system of flood forecasting: migliorare i sistemi di predizione, allarme ed allerta delle dinamiche alluvionali (migliorare l’efficacia dei sistemi predizione al fine di ridurre del cinquanta percento i tempi di previsione entro il 2000 e del cento percento entro il 2005). In relazione ai target viene individuato un sistema di misure ed azioni, per le quali sono quantificati i costi di massima ed i tempi di realizzazione.
Tabella 1. Obiettivi strategici e azioni del Flood Action Plan.
Non Structural Flood Plain Management Uno dei programmi attuativi dell’Action Plan è il Non Structural Flood Plain Management. Il Documento contiene un sistema di misure non strutturali finalizzate alla riduzione del rischio alluvionale, integrato da numerosi esempi di buone pratiche realizzate nell’ambito del bacino del Reno. I principali temi di intervento sono: - i prerequisiti e gli strumenti di attuazione. Il primo asse di intervento fa riferimento alla adozione di metodi efficaci ed omogenei per l’ambito del bacino idrografico per la conoscenza e la valutazione della pericolosità, della vulnerabilità, dell’esposizione e del rischio, alla corretta e efficace comunicazione dei risultati e delle informazioni, alla elaborazione di forme di informazione, formazione e partecipazione; 90
- la tutela delle persone. Oltre a sistemi di allerta è prevista l’elaborazione di piani di emergenza, nella cui elaborazione deve essere attivamente coinvolta la popolazione; - il Controllo degli usi del suolo. Gli indirizzi di sviluppo territoriale devono contemplare il tema della prevenzione del rischio alluvionale al fine di garantire aree di laminazione. Gli strumenti urbanistici, i regolamenti edilizi ed i piani di sviluppo devono contenere specifiche ed appropriate indicazioni, basate su criteri trasparenti e chiare cartografie al fine di essere comprese dalla popolazione. Nell’ambito del Programma IRMA sono stati realizzati interventi di delocalizzazione di aree anche in centri urbani, come nel caso di Dresda, al fine di garantire ambiti di divagazione fluviale più naturale e più ampi. - interventi di impermeabilizzazione delle costruzioni. Appropriate tecniche di costruzione, integrate da misure temporanee di protezione possono ridurre i danni dovuti alle alluvioni. - i piani di emergenza. Oltre ai piani di emergenza per le aree urbane vengono introdotte alcune misure e incentivi per l’adozione di piani di emergenza domestica e degli insediamenti industriali e le forme di assicurazione private. - la valutazione dell’efficacia e il ruolo degli attori. Il documento contiene un piano per la valutazione degli effetti e dell’efficacia delle misure proposte. Vengono poi esplicitati i ruoli e le responsabilità che devono giocare i differenti attori nel processo: abitanti e proprietari, gli attori economici, le autorità di gestione delle risorse idriche, le autorità di pianificazione e urbanistica e le municipalità. International Rhine-Meuse Activities (IRMA) INTERREG IIC Program Gli obiettivi del programma IRMA (International Rhine-Meuse Activities, bacini del Reno e della Mosa, nazioni coinvolte: Germania, Francia, Lussemburgo, Belgio e Olanda) riguardano la realizzazione di progetti mirati alla riduzione del rischio alluvionale e al controllo degli eventi di piena, l’attivazione di campagne per aumentare la consapevolezza e la conoscenza sul rischio alluvionale nella popolazione e nelle comunità. Nel 1999 furono approvati centocinquantatre progetti per un totale complessivo di centoquarantamilioni milioni di euro. Tre sono gli assi prioritari identificati dal progetto IRMA, a cui fanno capo le misure ed i progetti: - Misure relative agli interventi nel bacino dei fiumi (tema 1): i progetti mirano a aumentare le capacità di ritenzione delle acque dei fiumi tributari (Rinaturalizzazione dei corsi d’acqua naturali e degli ambiti golenali; sistemi di drenaggio indiretto lo scarico delle acque piovane nelle aree edificate; creazione di aree di espansione fluviale); - Misure lungo i corsi fluviali (Tema 2), L’obiettivo generale è quello di invertire il processo di artificializzazione dei corpi idrici aumentando i livelli di complessità ecologica (preservazione, recupero e miglioramento delle capacità di funzionamento del sistema fluviale; aumento degli spazi degli ecosistemi naturali); - Incrementare la conoscenza, la pubblica consapevolezza e la cooperazione transnazionale (Tema 3) La cooperazione transnazionale e la condivisione delle esperienze e delle conoscenze tra le comunità locali e scientifiche sono indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi (sviluppo di modelli e esperienze di pianificazione territoriale; promozione di buone pratiche - monitoraggio, predizione, allarme e allerta); L’approccio scelto dal programma IRMA ha avuto un vasto successo in termini di: cooperazione tra gli Stati ed i soggetti coinvolti; integrazione e coerenza tra gli interventi attuati e gli obiettivi; realizzazione di progetti ed interventi. IRMA-SPONGE - Rhine-Meuse Activities – Scientific Programme ON GEnerating Sustainable Flood Control Parallelamente al progetto IRMA è stato attivato il programma IRMA-SPONGE Umbrella Program che ha coinvolto trenta istituti e centri ricerca (appartenenti ai sette Paesi presenti nel progetto IRMA), coordinato dal Centre for River Studies (NCR) in Olanda.
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Tabella 2. Elenco dei progetti avviati nell’ambito del progetto IRMA (sito web www.irma-programme.org) e del programma IRMA – SPONGE.
Gli obiettivi dei progetti avviati riguardano lo sviluppo di metodi e modelli di valutazione dei fenomeni e del rischio alluvionale, la costruzione di processi di conoscenza, partecipazione ed integrazione tra le attività scientifiche, gli stakeholders e le popolazioni coinvolte al fine garantire effettiva attuazione dei progetti. Il progetto IRMA-SPONGE ha avviato tredici progetti, il cui costo totale è di quattordici milioni e mezzo di euro, dei quali cinque milioni provenienti dal fondo IRMA. Alla fine del 2001, data di chiusura del progetto, sono stati raggiunti numerosi risultati: la realizzazione e utilizzo di nuovi modelli di valutazione idraulica; lo sviluppo di studi teorici e di metodologie per la valutazione delle relazioni tra i mutamenti climatici e le strategie di adattamento; la realizzazione di aree di espansione delle acque; rinaturalizzazione delle aree naturali golenali; lo sviluppo di metodi di valutazione del rischio e della vulnerabilità (integrazione degli aspetti sociali, ecologici e socio economici); la realizzazione delle cartografie per i bacini del Reno e della Mosa; il miglioramento dei sistemi di allarme e allerta; lo sviluppo e l’attuazione di strumenti a supporto dei processi decisionali e di gestione della sicurezza pubblica e di processi di integrazione delle misure di gestione delle acque e di pianificazione territoriale. All’interno del programma IRMA – SPONGE, i progetti che hanno una particolare importanza nell’ottica dello sviluppo di metodi interpretativi e di sistemi di risposta integrati tra governo del territorio e gestione delle risorse idriche sono: Spatial planning and supporting instruments for preventive flood management, DSS-Large Rivers: interactive 92
flood management and landscape planning in river systems, Development of spatial planning instruments to improve river flood prevention and awareness e Living with floods: resilience strategies for flood management and multiple land use in the River Rhine basin. In particolare, l’obiettivo generale del progetto Spatial planning and supporting instruments for preventive flood management è l’elaborazione di processi decisionali di pianificazione territoriale ai fini della prevenzione dei fenomeni e dei rischi alluvionali. La struttura complessiva del progetto si articola in tre parti principali: analisi e individuazione degli strumenti di zonizzazione del territorio, individuazione degli strumenti a supporto della realizzazione delle misure di prevenzione del rischio alluvionale e gestione dei sistemi di tutela delle popolazioni in caso di emergenza. L’ipotesi di partenza del progetto è l’integrazione, nelle scelte di pianificazione, dei criteri di gestione preventiva dei fenomeni alluvionali. Le scelte di piano devono garantire la realizzazione di ambiti di divagazione fluviale, migliorare i livelli di compatibilità tra gli usi del suolo e il sistema fluviale, attivare forme di prevenzione a livello locale e individuale. La prima fase del progetto ha portato alla realizzazione del quadro comparativo (Svizzera, Francia, Germania e Olanda) dei sistemi giuridici e degli strumenti attuativi in materia di pianificazione territoriale e gestione delle risorse idriche. Si è poi individuato un sistema di misure suddivise in quattro tematiche: la tutela delle aree di ritenzione idrica, l’aumento delle aree di espansione delle acque del fiume, l’aumento delle capacità di assorbimento delle acque, la minimizzazione degli effetti e dei danni potenziali dovuti agli eventi alluvionali. IL GREATER LONDON PLAN 2004 Il piano per la Greater London (Greater London Plan – GLP - febbraio 2004), è un documento programmatico in cui sono contenute le politiche e le strategie di sviluppo per l’area metropolitana di Londra, basato sugli obiettivi di incremento della qualità urbana e di sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Questo strumento si caratterizza per una natura strategica: in esso sono contenute le politiche e le azioni per il raggiungimento degli obiettivi e individuati gli strumenti ed i soggetti responsabili per garantirne l’attuazione e la realizzazione. Il GLP definisce i criteri per la progettazione dello spazio e della struttura urbana, e rimanda ai Boroughs ed ai progetti attuativi per la specificazione degli usi del suolo. Il piano si apre con la dichiarazione degli obiettivi generali del sindaco e della GLA per lo sviluppo della città di Londra, seguiti dall’identificazione delle strategie generali, poi dettagliate nei successivi capitoli dedicati alle politiche. I capisaldi del GLP sono costituiti dalle Policies, che riportano obiettivi, criteri o invarianti. Il primo gruppo di policies è riferito ai temi più tradizionali: Living in London, Working in London, Connecting London, Enjoyning London. La seconda parte è dedicata alle croscutting policies, ovvero le politiche che richiedono, per la loro attuazione e implementazione, un coordinamento tra i tradizionali settori disciplinari, professionali e amministrativi. Le crosscutting policies sono: - London’s metabolism: using and managing natural resources; - Design on London; - Blue Ribbon Network. Nel documento sono poi dettagliati gli indirizzi strategici riferiti alle sub-aree della Greater London, i metodi e gli strumenti per la gestione, l’attuazione ed il monitoraggio delle policies e dei loro effetti. Blue Ribbon Network Il Blue Ribbon Network (BRN) viene inteso quale rete infrastrutturale integrata che, agendo sul sistema dei fiumi e dei canali, si pone nell’ottica di raggiungere obiettivi, generalmente, trattati separatamente come la riduzione del rischio alluvionale, la tutela della salute e della qualità delle acque, la gestione del sistema idrico e il riequilibrio delle acque superficiali e di 93
falda, la tutela del paesaggio e dell’identità storica di parti di città, il rilancio delle infrastrutture e dei trasporti lungo i corsi d’acqua, il rilancio economico (e sociale) delle aree lungo i canali, l’incremento e lo sviluppo delle attività di fruizione e di svago dei canali e delle loro sponde. Il Blue Ribbon Network è costituito da: the Thames, the canal network, the other tributaries, rivers and streams within London and London’s open water spaces such as docks, reservoirs and lakes. It includes culverted (or covered over) parts of rivers, canals or streams [GLP2004, 4.77, p.194]. Il GLP esplicita i criteri per l’individuazione dei confini del BRN e del water space, per la cui specificazione si rimanda alle autorità locali (Boruogh). Il water space parte dalle water surfaces ma si sostanzia degli argini, delle fasce perifluviali e delle porzioni di città che sono in relazione con il water network: edifici, isolati, quartieri, spazi pubblici, i servizi, eccetera.
Figura 2. Schema spaziale del Greater London Plan.
Alla base della definizione dei principi del BRN vi sono due obiettivi generali: il bilanciamento degli aspetti economici, sociali e ambientali e la promozione degli usi sostenibili dell’acqua e degli spazi ad essa connessa. I sei principi costituiscono il riferimento per tutte le politiche contenute nel GLP e per i relativi programmi attuativi. - La natura multifunzionale del BRN dovrà essere protetta e valorizzata al fine di garantire una crescita della metropoli londinese attraverso un uso sostenibile ed efficiente dello spazio. - La politica del BRN è parte integrante del sistema degli spazi pubblici (Pubblic Realm System) e contribuisce alla costituzione della rete degli Open Spaces di Londra. Il BRN deve essere un sistema di luoghi salubri e sicuri, ed offrire un sistema di ambienti differenziati (vivaci e vitali e quieti e intimi); - Al fine di rendere Londra una città ancora più prosperosa le politiche devono supportare anche lo sviluppo economico attraverso la localizzazione di attività economiche e l’incremento del trasporto fluviale. La capacità attrattiva del BRN per gli investimenti deve essere sostenuta attraverso appropriate possibilità di rigenerazione e di sviluppo delle aree lungo i corsi d’acqua. - L’accessibilità e l’integrazione sociale. Il BRN deve essere accessibile a tutta la popolazione londinese e i suoi obiettivi di miglioramento culturale e ambientale devono concorrere alla riduzione della discriminazione e migliorare l’integrazione sociale. - Il trasporto lungo le vie d’acqua deve essere incrementato sia per le persone che per le merci al fine di migliorare l’accessibilità della città di Londra, e concorrere a ridurre la congestione dovuta al traffico veicolare. 94
- Al fine di fare di Londra una città ancora più attrattiva, ben disegnata e verde, le politiche devono proteggere e valorizzare la biodiversità e il paesaggio e valorizzare il patrimonio culturale e architettonico. Dovranno essere adottate strategie per una sostenibile gestione delle risorse idriche e, in coerenza con il principio di precauzione, politiche per la prevenzione degli inquinamenti e delle alluvioni. Le politiche del Blu Ribbon Network Per l’attuazione del BRN si sono individuate trentaquattro politiche con diversi contenuti ed afferenti a molteplici settori di intervento. Le prime due (Policy 4C.1 The strategic importance of the Blue Ribbon Network e Policy 4C.2 Context for sustainable growth) esplicitano gli obiettivi generali del BRN ed i criteri per garantirne il raggiungimento. Le restanti trentadue possono essere ricondotte a quattro principali temi: a. le politiche per la tutela, la valorizzazione e il potenziamento delle risorse naturali, ambientali e storico culturali (Policies: 4C.3 The natural value of the BRN, 4C.4 Natural landscape, 4C.5 Impounding of rivers, 4C.10 Historic environment, 4C.11 Conservation areas) e per la prevenzione dei fenomeni alluvionali e la sicurezza della popolazione (Policies: 4C.6 Flood plains, 4C.7 Flood defences, 4C.8 Sustainable drainage, 4C.9 Rising groundwater, 4C.23 Safety on and near to the BRN); b. le politiche ed i criteri per lo sviluppo economico e sociale delle porzioni di città comprese nel BRN (Policies: 4C.12 Sustainable growth priorities for the BRN, 4C.13 Passenger and tourism uses on the BRN, 4C.14 Freight uses on the BRN, 4C.15 Safeguarded wharves on the BRN, 4C.16 Increasing sport and leisure use on the BRN, 4C.17 Increasing access alongside and to the BRN, 4C.18 Support facilities and activities in the BRN, 4C.19 Moorings facilities on the BRN, 4C.28 Development adjacent to canals, 4C.34 Links outside London); c. i criteri per il disegno e la progettazione degli interventi lungo il BRN (Policies 4C.20 Design – starting from the water, 4C.21 Design statements, 4C.22 Structures over and into the BRN, 4C.29 Open water); d. le politiche specifiche per il sistema del Tamigi (Policies: 4C.24 Importance of the Thames, 4C.25 Thames Policy Area, 4C.26 Appraisals of the Thames Policy Area, 4C.27 Green industries along the Thames) che dovranno essere sviluppate in coerenza con il River Thames Strategy e le politiche per ambiti specifici di recupero e trasformazione (policies: 4C.30 New canals and canal restoration, 4C.31 Rivers, brooks and streams, 4C.32 Docks, 4C.33 Royal Docks). Il natural value del BRN . Il BRN, in quanto costituito da elementi naturali ed artificiali è un sistema dinamico. Al fine di tutelare e potenziare la biodiversità si prevedono restrizioni agli usi del suolo e criteri di compatibilità localizzativa, interventi di riqualificazione delle aree perifluviali. La riduzione del livello di inquinamento delle acque è necessario per il raggiungimento dell’incremento della biodiversità. La prevenzione del rischio alluvionale. Il tema della prevenzione dei fenomeni alluvionali è ritenuto strategico e di interesse prioritario per l’intera area metropolitana di Londra (innalzamento della fluttuazione media della marea) Il potenziamento dei sistemi di previsione e prevenzione dei rischi alluvionali è basato sul principio di precauzione e mirato al miglioramento dei sistemi di allarme e gestione dell’emergenza e alla riduzione della vulnerabilità (attraverso specifici regolamenti tecnico-costruttivi per singoli edifici e strutture). La politica 4C.23, inoltre, prevede che tutti gli attori istituzionali ed economici debbano garantire che l’attuale livello di sicurezza sul BRN sia mantenuto e incrementato nel tempo. A tal fine tutti i progetti dovranno essere integrati con specifici studi di Safety and risk assessment. Poiché la sola costruzione di barriere e argini non costituisce un’efficace soluzione per la riduzione del rischio alluvionale, sono previste iniziative per la naturalizzazione delle aree golenali per il deflusso delle acque. L’esistente sistema difensivo e le sue componenti devono essere tutelati. Le autorità locali devono individuare le aree a
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rischio alluvionale e indicare le zone nelle quali è necessario porre il vincolo di inedificabilità (aree funzionali di golena). Sustainable drainage strategy. L’implementazione del sistema sostenibile di drenaggio implica lo sviluppo di specifici studi sul deflusso e sull’attuazione di tecniche che riducano il run-off, problema attualmente aggravato dalla vasta presenza di superfici altamente impermeabilizzate. La gestione sostenibile del drenaggio è strettamente connessa alla riduzione dei rischi alluvionali, e prevede azioni come la permeabilizzazione di superfici urbane, sistemi di accumulo di acque e l’utilizzo di specifiche tecniche costruttive. Per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche ed il ciclo idrogeologico sono previsti specifici interventi, quali un progetto per la risoluzione dell’innalzamento delle acque di falda e la riduzione degli sprechi di acqua. La conservazione del tessuto e dell’ambiente storico-culturale. Nei progetti di trasformazione e sviluppo dovranno essere studiate le relazioni tra nuovi insediamenti e l’ambiente, comprensivo del tessuto e degli edifici storici, con particolare attenzione negli ambiti di marea e in relazione al sistema storico della canalizzazione e delle opere idrauliche. Il Sindaco ed i Boroughs dovranno identificare le aree di conservazione che dovranno essere esplicitamente connesse agli spazi del BRN (aree ripariali e acque). Priorità per lo sviluppo. I criteri di sviluppo devono rispondere, negli ambiti del BRN, all’obiettivo di aumentare la qualità della vita dei cittadini di Londra. I partners dello sviluppo dovranno assicurare che “the development of these location includes a mix of opportunities to use, enjoy and improve the BRN” (lungo il BRN sono localizzate ventisette aree di trasformazione). Ad esclusione delle aree naturali finalizzate alla tutela della biodiversità, lungo i BRN dovranno essere sviluppati gli usi di tipo sportivo, di fruizione e di divertimento. I criteri di disegno e progettazione lungo il BRN. L’alta qualità della progettazione delle aree di sviluppo lungo il BRN costituisce un obiettivo da perseguire e un requisito imprescindibile. I progetti di trasformazione devono riflettere i caratteri locali e, in generale, essere coerenti con i principi del BRN e del buon disegno urbano, al fine di aumentare la qualità del tessuto urbano edificato e della rete degli open spaces. Le nuove trasformazioni si dovranno integrare con successo con lo spazio dell’acqua (water space) e dovranno essere coerenti con i sette criteri definiti dal BRN. La qualità dell’ambiente lungo il fiume gioca un importante ruolo nella costruzione del paesaggio urbano di Londra ed al suo ruolo di world city. Ogni porzione e tratto ha un proprio carattere peculiare che deve essere riflesso nei progetti delle nuove trasformazioni.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BERZI DIEGO, COLUCCI ANGELA, MAMBRETTI STEFANO, Sustainable development and Risk. Flood hazard and vulnerability assessment. Methodological proposal and application, in E. BERIATOS, C.A. BREBBIA, H. COCCOSSIS, A. KUNGOLOS (edited by), Sustainable Planning & Development, W.I.T. (Wessex Institute of Tecnology) Press, Ashurst, Southampton (UK) 2003, pagg. 37-46. BRUTTOMESSO RINIO, MORETTI MARTA, Il fiume e la città: i waterfront fluviali, in LAURA SASSO (a cura di), La continuità e lo specchio, Edizioni Lybra Immagine, Milano 2005. COLUCCI ANGELA, La valutazione della vulnerabilità territoriale: alcuni indicatori, “Territorio” nuova serie, II trimestre 2003, 25, Franco Angeli, Milano 2003, pagg. 90-97. Major of London, The London Plan, GLA, Londra 2004 (si rimanda anche alla vastissima documentazione della GLA disponibile sul sito internet istituzionale: www.london.gov.uk) Urban Task Force, Towards an urban renaissance, Urban Task Force, London 1999.
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SITI INTERNET Si rimanda ai siti internet del IPCR (www.iksr.org) e del programma INTERREG IIC IRMA (www.irma-programme.org) per il reperimento di tutta la documentazione relativa al caso del bacino del Reno.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: elaborazione dell’autore. Figura 2: sito web della GLA www.london.gov.uk
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 98-110
TERRA
D’ACQUE: IL PROGETTO AMBIENTALE DEL PIEMONTESE
PARCO
DEL
TICINO
Fabrizio Schiaffonati*, Elena Mussinelli**
Summary The paper describes studies and researches carried out by the Department B.E.S.T. Building Environment Science and Technology of Politecnico di Milano since 2002 to sustain the writing out of the new Area Plan (Piano d’area) of the Natural Park of Ticino river in Piedmont. In particular the text points out the themes related with the systems of the resources -ecological, environmental, cultural and landscape resources- characterising the Park, the aims, the foreseen outcomes with reference to the planning of environment, territory and landscape of the area, considering the major methodological ways followed and the formal framework of the Plan. The short introduction of the paper points out the actions still open with regards to the environmental project of the Park of Ticino river, for example: the studies for the buffer zone called also prepark area; the analysis to sustain the drawing up of specific masterplan by the Trust for the management of the Park. Key-words Landscape planning, landscape design, politics for sustainability, valorisation of the resources
Abstract Il saggio fa un resoconto degli studi e delle ricerche sviluppate a partire dal 2002 nell’ambito del Dipartimento B.E.S.T. Building Environment Science and Technology del Politecnico di Milano, a supporto della redazione del nuovo Piano d’area del Parco Naturale della Valle del Ticino piemontese. In particolare sono evidenziati i temi inerenti la lettura del “sistema delle risorse” - ecologiche, ambientali, culturali, paesaggistiche - caratterizzanti il territorio del Parco, gli obiettivi, gli indirizzi e i risultati attesi nel campo della pianificazione ambientale, territoriale e paesistica dell’area, con riferimento ai principali percorsi metodologici seguiti e alla struttura formale del Piano. Il saggio è introdotto da una breve premessa che evidenzia le molteplici azioni in atto nell’ambito del progetto ambientale del Parco del Ticino e nel più ampio contesto territoriale, quali ad esempio gli studi sulle aree antistanti di preparco e gli approfondimenti finalizzati a fornire elementi per la predisposizione dei progetti attuativi da parte dell’Ente di gestione del Parco stesso. Parole chiave Pianificazione ambientale, progettazione ambientale, politiche per la sostenibilità, valorizzazione delle risorse
* Professore Ordinario di Tecnologia dell’architettura, Direttore del Dipartimento B.E.S.T. Building Environment Science and Technology del Politecnico di Milano ** Professore associato di Tecnologia dell’architettura, presso il Dipartimento B.E.S.T. Building Environment Science and Technology del Politecnico di Milano 98
Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla; magari laggiù, un po’ a sinistra e un po’ oltre il secondo cavalcavia, sotto il «macigno bianco» che oggi non si vede. Sebastiano Vassalli
PREMESSA1 Il progetto ambientale del Parco del Ticino piemontese nasce e si sviluppa all’interno di una Convenzione quadro sottoscritta nell’autunno del 2002 tra l’Ente di gestione del Parco e il Politecnico di Milano, Dipartimento B.E.S.T. Building Environment Science and Technology, che ha segnato l’avvio di una collaborazione scientifica e tecnica, nell’ambito della quale sono state promosse molteplici azioni di ricerca a supporto dell’indispensabile aggiornamento del quadro conoscitivo e analitico del territorio, per il successivo orientamento delle scelte pianificatorie in materia di tutela ambientale attiva, valorizzazione delle risorse e sviluppo sostenibile del Parco stesso. Motore principale di questo progetto ambientale è stata la redazione del nuovo Piano d’area2, avviata nel dicembre 2001 dall’Ente di gestione con la revisione del precedente strumento di pianificazione e l’affidamento degli studi al Politecnico di Milano3. In realtà la collaborazione con l’Ateneo milanese non si è esaurita con il nuovo Piano, ma ha assunto connotati di maggior respiro e rilievo in riferimento al più complesso programma interdisciplinare di adeguamento alle trasformazioni dello scenario in materia ambientale e di tutela e valorizzazione delle aree protette. In continuità con il Piano d’area sono state quindi promosse azioni complementari che hanno riguardato l’approfondimento conoscitivo del territorio, lo sviluppo di strumenti innovativi di gestione per la valorizzazione fruitiva: la redazione del Piano pluriennale di sviluppo socio-economico - con una prima fase di implementazione di uno strumento di scelta per la destinazione d’uso delle aree, curata dal Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Milano, e la successiva predisposizione del Piano pluriennale, da parte del Politecnico; il recupero ambientale e fruitivo di alcune cave dismesse; la valutazione della sostenibilità ambientale di una via navigabile nella tratta sub-lacuale del fiume fino allo sbarramento del Panperduto, inserita in un più ampio programma INTERREG IIIA Italia-Svizzera. Oggi questa visione programmatoria a medio termine si sta concretizzando nel Programma integrato di sviluppo locale (PISL), strumento della Regione Piemonte, attraverso il quale l’Ente di gestione, sempre con la collaborazione del Politecnico di Milano, ha ottenuto finanziamenti per interventi di iniziativa pubblica e privata finalizzati allo sviluppo economico e alla conservazione del patrimonio agricolo - che ancora oggi riveste grande rilievo - e alla risoluzione di criticità legate alla presenza di aree industriali, che mirano ad
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“Terra d’acque. Novara, la pianura, il riso” è il titolo di un libro nel quale Sebastiano Vassalli raccoglie testi, racconti e immagini letterarie sulla storia sociale e culturale del territorio novarese. Il libro è stato pubblicato dalla casa editrice Interlinea nel 2005. 2 Il nuovo Piano d’area è stato finanziato nell’ambito dell’accordo di programma quadro per interventi di valorizzazione ambientale nelle aree protette, sottoscritto tra la Direzione per la Conservazione della Natura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e la Regione Piemonte. 3 La struttura organizzativa delle figure professionali messe in campo dal Dipartimento B.E.S.T. del Politecnico di Milano si è così articolata: Responsabile scientifico della ricerca - Prof. Fabrizio Schiaffonati (Direttore del Dipartimento B.E.S.T.); Coordinamento operativo - Prof.ssa Elena Mussinelli, Arch. Arturo Malocchi; Gruppo di lavoro - Prof. Fabrizio Schiaffonati, Programmazione e progettazione ambientale - Arch. Arturo Majocchi, Pianificazione urbanistica e ambientale - Prof. Ugo Majone, Idrologia e idrogeomorfologia -Prof. Luca Marescotti, Infrastrutture - Prof.ssa Elena Mussinelli, Struttura insediativa, beni architettonici e culturali - Prof. Alessandro Segale, Componenti ambientali e economia del territorio; Collaboratori - Dott.ssa Beatrice Eiselt, Analisi ambientali e cartografia - Arch. Caterina Martini, Inquadramento programmatico e cartografia - Arch. Diletta Pellecchia, Pianificazione ambientale e socio-economica - Ing. Vittoria Riboni, Idrologia e idrogeomorfologia - Arch. Raffaella Riva, Beni culturali e paesaggio - Arch. Andrea Tartaglia, Struttura insediativa - Arch. Monica Perroni, Rapporti tra Ente di gestione del Parco e gruppo di lavoro.
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accelerare quel processo virtuoso di riqualificazione, valorizzazione delle risorse e riconversione delle attività non sostenibili, già avviato con la revisione del Piano d’area. In questa stessa ottica si inquadra l’affidamento al Dipartimento B.E.S.T., con il cofinanziamento dei Comuni, delle attività di predisposizione di Linee guida e di valutazione di incidenza per la redazione dei Piani attuativi finalizzati al riordino delle componenti ambientali, infrastrutturali e edilizie nelle aree denominate Ponte di Galliate, Villa Picchetta, Casone Montelame e Laghetti Elmit, nonché delle ricerche per l’identificazione degli interventi di mitigazione della vulnerabilità di edifici e infrastrutture nelle fasce A e B del Piano stralcio di assetto idrogeologico (PAI). Infine, nell’ambito dello scenario di trasformazione degli strumenti di gestione del territorio, anche in ragione del trasferimento di nuove competenze e responsabilità alle Amministrazioni locali, è emersa con forza la necessità di promuovere lo sviluppo di una dimensione di governance capace di guardare con nuova attenzione al territorio novarese nel suo complesso. Tale necessità ha portato alla sottoscrizione nel dicembre del 2006 di un contratto di ricerca tra la Provincia di Novara e il Dipartimento B.E.S.T. per l’approfondimento conoscitivo e metaprogettuale delle aree contigue al Parco, con l’obiettivo di individuare una fascia preparco nella quale operare per la valorizzazione del territorio di transizione tra il contesto urbanizzato e l’area protetta, definendo alcune linee di coordinamento fra i diversi soggetti deputati alla gestione del territorio in materia di fruizione delle risorse ambientali e culturali e di salvaguardia delle qualità paesistiche, anche con interventi per la formazione di aree ecologicamente attrezzate a supporto dello sviluppo produttivo, per la valorizzazione e la riqualificazione produttiva del paesaggio agricolo (riconversione, nuove filiere, tecnologie sostenibili, qualificazione dei prodotti). Queste azioni si stanno peraltro sviluppando in linea anche con la visione strategica dell’area vasta della città di Novara, in fase di definizione attraverso la redazione del Piano strategico4, che attribuisce particolare importanza al tema della sostenibilità ambientale e della tutela attiva. OBIETTIVI E CONTENUTI DEL PIANO D’AREA Il Parco Naturale della Valle del Ticino piemontese è stato istituito con Legge regionale 21 agosto 1978 n. 53, con obiettivi di salvaguardia delle caratteristiche naturali e paesistiche, promozione dell’agricoltura e organizzazione del territorio a fini fruitivi e scientifici, nonché ricostituzione dell’unità ambientale della fascia fluviale con il coordinamento degli interventi in area piemontese e lombarda. La gestione è affidata a un Ente strumentale della Regione Piemonte che ha sede nel complesso seicentesco di Villa Picchetta a Cameri, di cui fanno parte i rappresentanti dei Comuni e degli Enti territorialmente competenti. Si tratta di un contesto di grande pregio ambientale, esteso per seimilacinquecentosessantuno ettari sulla sponda ovest del fiume Ticino, su parte del territorio di undici Comuni della Provincia di Novara5, e - con il Parco Regionale lombardo - costituisce una delle maggiori aree fluviali protette in Europa. Nel novembre del 2002 entrambi i Parchi sono stati infatti insigniti del titolo di Riserva della Biosfera nell’ambito del programma Man and Biosphere (MAB) dell’UNESCO; inoltre il Parco piemontese, dal 2000 inserito nell’elenco dei proposti Siti di Importanza Comunitaria della rete ecologica europea Natura 2000 (codice sito SICp IT1150001), nel 2005 ha ricevuto definitivamente anche questo riconoscimento. 4
Il “Servizio di assistenza tecnica alla definizione del Piano strategico di area vasta e redazione del Piano della mobilità (PUM)”, è stato aggiudicato con determina del Servizio Ambiente e Mobilità del Comune di Novara 7 settembre 2006 n. 152 all’Associazione Temporanea di Imprese costituita tra Politecnico di Milano Dipartimento BEST (Prof. Fabrizio Schiaffonati, capogruppo) e SCS Azioninnova S.p.A. 5 Il Parco Naturale piemontese comprende parte del territorio dei Comuni di Castelletto sopra Ticino, Varallo Pombia, Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri, Galliate, Romentino, Trecate e Cerano. I confini sono stati individuati nella legge istitutiva, e successivamente ampliati con Legge regionale 22 febbraio 1993 n. 10, con l’annessione della località denominata Cascina Picchetta.
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Figura 1. Inquadramento geografico del Parco Naturale della Valle del Ticino.
Dal febbraio 1985 il Parco piemontese è dotato di un Piano d’area6, che costituisce Piano per il Parco ai sensi della legge quadro in materia di aree protette ed è, a tutti gli effetti, stralcio del Piano territoriale secondo la legge istitutiva. Il Piano d’area ha inoltre effetto di Piano paesistico ai sensi della Legge regionale 3 aprile 1989 n. 20 e sostituisce la strumentazione urbanistica, paesistica e territoriale di qualsiasi livello. Gli indirizzi attuativi del Piano del 1985, ancora vigenti nelle more di approvazione del nuovo Piano7, ricalcano, per impostazione generale e contenuti, i principali orientamenti espressi dal quadro normativo e culturale dei primi anni Ottanta.
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Il Piano d’area vigente è stato adottato con deliberazione della Giunta Regionale 20 maggio 1980 n. 47-29779 e approvato con deliberazione del Consiglio Regionale 21 febbraio 1985 n. 839 C.R. 194. 7 Il nuovo Piano d’area è stato adottato dall’Ente di gestione del Parco con delibera di Consiglio direttivo 16 febbraio 2006 n. 5, e quindi trasmesso alla Regione Piemonte per gli adempimenti di legge.
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Figura 2. Ansa del Casone a Pombia (Fonte: foto Agusta Westland spa).
In particolare, l’individuazione dell’area protetta discende da un’interpretazione del sistema ambientale come sistema autonomo, l’impianto pianificatorio appare connotato prevalentemente da scelte di tutela, con una netta prevalenza di un apparato normativo di tipo vincolistico nella zonizzazione del territorio e la mancanza di contenuti proiettivi in ordine agli aspetti gestionali ed attuativi, anche nella loro dimensione socio-economica. Molteplici sono le ragioni che hanno indotto l’Ente di gestione a procedere alla revisione di questo strumento di pianificazione. In primo luogo è parsa evidente l’inadeguatezza del precedente Piano, che denunciava un quadro analitico e documentale incompleto, non aggiornato, e ormai non più finalizzato a sostenere operativamente le decisioni di assetto del territorio. I riconoscimenti ottenuti dal Parco a livello internazionale hanno poi imposto un adeguamento strutturale della zonizzazione e delle relative norme di attuazione in relazione ad obiettivi e criteri definiti in sede comunitaria. La complessità della gestione amministrativa e l’unità ambientale della Valle del Ticino, che si configura come ambito territoriale omogeneo, hanno inoltre implicato che il Piano d’area si interfacciasse e confrontasse con altri strumenti di pianificazione, in particolare il Piano territoriale di coordinamento del Parco lombardo e il Piano stralcio di assetto idrogeologico dell’Autorità di bacino del fiume Po, che disciplinano gli interventi e il governo del territorio
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lungo il fiume, armonizzando nella sintesi le differenti scale di pianificazione, dai sistemi sovraordinati, alle scelte e agli obiettivi espressi nei Piani regionali, provinciali e comunali. Affrontare questo percorso ha quindi significato confrontarsi con uno scenario pianificatorio profondamente modificato, caratterizzato dall’emergere di nuove istanze socio-economiche e da forme evolute di gestione del processo di costruzione del Piano: un modello partecipato, improntato al principio della sussidiarietà e alle logiche di sviluppo sostenibile e fattibilità attuativa, in grado di coniugare le finalità di tutela che connotano un Parco Naturale di valenza sovranazionale con una prospettiva di valorizzazione anche economica delle risorse naturali, culturali e paesaggistiche. L’aggiornamento del Piano ha perciò richiesto azioni per una messa a sistema del quadro programmatorio, dalla grande scala, attraverso le previsioni, gli indirizzi e i vincoli delle strumentazioni settoriali, sino al livello di una più efficace e sinergica integrazione del mosaico dei Piani comunali, con un significativo impegno di audit del territorio e momenti di verifica con i soggetti a vario titolo interessati dalle previsioni di Piano. Alla luce di queste considerazioni il nuovo Piano si è configurato come strumento aperto e flessibile che individua le politiche di tutela e le norme di settore per la valorizzazione delle peculiarità ambientali, ecologiche, paesaggistiche e storico-culturali del Parco. Le strategie di Piano sono improntate ai nuovi concetti di sostenibilità dello sviluppo, competitività e cooperazione, qualità, integrazione, multiscalarità, sussidiarietà e condivisione, e al raggiungimento degli obiettivi generali di: ▪ ridefinire e adeguare i contenuti programmatici e prescrittivi alla normativa nazionale ed europea vigente; ▪ mantenere un adeguato livello di coerenza tra le politiche del Piano, le scale e i livelli della pianificazione sovraordinata e locale, il coordinamento e l’orientamento delle politiche settoriali; ▪ promuovere la tutela attiva del territorio, attraverso forme di programmazione e gestione partecipata, finalizzate allo sviluppo socio-economico e alla riqualificazione ambientale e paesistica. Il nuovo Piano d’area si compone quindi di: ▪ Relazione generale, che ne illustra la filosofia; ▪ Studi di settore, che documentano le analisi effettuate (Quadro programmatico e normativo; Struttura socio-economica; Sistema delle acque; Sistemi infrastrutturali; Aspetti geomorfologici e pedologici; Inquinamento acustico e atmosferico; Aspetti naturalistici; Attività estrattive; Paesaggio, beni archeologici, architettonici e culturali); ▪ Norme tecniche di attuazione; ▪ Allegati alle Norme tecniche di attuazione (Ambienti e specie della direttiva Habitat; Scheda Natura 2000 della fauna del Parco; Scheda elenco floristico del Parco; Scheda Piano di assestamento forestale; Nuclei storici, beni di rilevanza paesaggistica, storicoarchitettonica e culturale); ▪ Tavole tematiche di sintesi del quadro analitico (scale da 1:100.000 a 1:10.000), che restituiscono il quadro conoscitivo derivato dagli Studi di settore e da una campagna di rilievo puntuale condotta sull’intero territorio degli undici Comuni del Parco; ▪ Tavole di progetto (scale 1:25.000 e 1:10.000), mutuate e verificate con accurate azioni di audit del territorio e di interfaccia con i soggetti locali. Elemento qualificante del nuovo Piano è stato il coinvolgimento dei soggetti locali e degli Enti sovraordinati nelle scelte pianificatorie sin dal loro avvio. Nell’iter di revisione si sono infatti organizzati numerosi incontri con le Amministrazioni comunali, la Regione Piemonte, la Provincia di Novara, il Consorzio di irrigazione e bonifica Est Sesia principale gestore dei canali irrigui, l’ENI Divisione Agip concessionaria del bacino petrolifero di VillafortunaTrecate, le società TAV e Italferr del gruppo Ferrovie dello Stato, le Ferrovie Nord Milano. Tali incontri hanno reso possibile la ricostruzione del complesso quadro di trasformazioni territoriali e infrastrutturali che interessano il novarese, che oggi, pur candidandosi ad essere il nuovo polo logistico al crocevia tra il Corridoio 5 Lisbona-Kiev e il Corridoio 24 dei due mari Genova-Rotterdam, mantiene ancora forte l’immagine agricola di “Terra d’acque”. 103
Figura 3. Diga della Miorina a Castelletto sopra Ticino.
PROCEDURE E ATTUAZIONE DEL PIANO D’AREA A testimonianza del superamento della concezione idealistica della tutela del paesaggio e della mutata visione culturale della conservazione, il nuovo Piano si connota quale strumento di valorizzazione e promozione delle risorse, individuando una metodologia di programmazione e gestione mirata alla proposizione di scenari progettuali e operativi che rivolgono una grande attenzione alle dinamiche di trasformazione del territorio all’interno e all’esterno del Parco. Tale impostazione ha guidato tutte le fasi della redazione del Piano, a partire dalle analisi iniziali, condotte alle diverse scale su sistemi ambientali e paesistici, attività antropiche e reti infrastrutturali. Le analisi sono state sviluppate da un punto di vista storico-documentale e successivamente verificate e implementate sul campo con una campagna di sopralluoghi, non limitata all’area protetta, a vario titolo preordinata alla tutela, ma estesa all’intero territorio dei Comuni del Parco stesso. L’attenzione rivolta in questa fase alle diverse componenti ambientali (idrogeomorfologia, idrologia, pedologia, usi agricoli del suolo, flora e fauna) e insediative (assetto socio-economico, beni culturali e paesaggio) si è poi riflessa nella zonizzazione del Piano d’area, che supera la mera registrazione delle destinazioni funzionali e produttive prevalenti. In riferimento alla disciplina degli usi del suolo, i sopralluoghi hanno consentito di registrare le modifiche recenti, mediante confronto con le immagini zenitali del territorio (foto aeree del 1988 e fotopiano del 1999), e di restituirle cartograficamente utilizzando la codifica Corine land cover al terzo livello8. 8
L’iniziativa europea Corine land cover è nata nel 1990 specificatamente per il rilevamento e il monitoraggio delle caratteristiche di copertura e uso del territorio, con particolare attenzione alle esigenze di tutela, ed è coordinata dalla Commissione Europea e dall’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA).
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Figura 4. Piano d’area - Tavola 1, “Inquadramento territoriale”.
Accanto alla mosaicatura degli usi del suolo, le caratterizzazioni ambientali hanno quindi consentito di definire areali di rispetto a rilevante valenza fisico-naturale. Tra gli elementi connotanti il paesaggio, per le riconosciute qualità e il valore di patrimonio naturale e culturale non riproducibile, sono stati considerati: il piede degli affioramenti morenici, dei terrazzi antichi e del terrazzo fluviale, i biotopi, le riserve naturali, le zone umide e boschive9, le aree di rimboschimento, il sistema agricolo dei suoli, la rete dei canali irrigui e il sistema delle cascine.
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Di interesse botanico e faunistico per la tutela della biodiversità, ma anche aree boschive di interesse progettuale, ovvero aree a proprietà pubblica indivisa che possono ospitare funzioni di tipo fruitivo, didattico e scientifico.
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Figura 5. Piano d’area - Tavola 10, “Analisi delle emergenze territoriali”.
A tale scopo, inoltre, sono state localizzate e perimetrate le zone e gli elementi di rilevante valenza paesistica e storico-culturale, i centri urbani di antica formazione, i beni architettonici suddivisi in base alla tipologia (chiese, oratori, piloni devozionali, cascine, cascine a corte, mulini, architettura civile, architettura fortificata, edifici produttivi, opere di ingegneria idraulica, ponti, beni e siti archeologici), i percorsi storici e i punti panoramici. Il sistema dei beni culturali è stato valutato in relazione alla qualità dei manufatti e al loro stato di conservazione, individuando una scala a tre livelli di pregio e interesse progettuale. Relativamente al sistema infrastrutturale le trasformazioni in atto sono state individuate come criticità da monitorare, dalla scala delle grandi opere viabilistiche e ferroviarie, al controllo dei flussi che interessano il Parco, sino al livello locale della regolamentazione delle modalità fruitive e del sistema delle piste ciclopedonali. Per le attività edilizie si è invece stabilita la necessità di dare risposta alle esigenze di recupero dei manufatti agricoli oggi inutilizzati e degli edifici industriali dismessi, oltre che regolamentare gli interventi sull’edilizia ad uso residenziale e ricettivo. Le analisi hanno sottolineato come la ricchezza principale del Parco sia rappresentata dal sistema delle acque, che comprende il fiume Ticino ma anche l’estesa rete di canali, corsi d’acqua minori e zone umide, per il quale è necessario prevedere norme finalizzate al suo mantenimento e miglioramento (analisi degli equilibri ecologici del fiume e individuazione del deflusso minimo vitale, protezione delle scarpate dall’erosione e consolidamento delle fasce di vegetazione ripariale residuale, valutazione degli impatti delle diverse tipologie di scarichi sulla qualità delle acque), anche in correlazione e coordinamento con le norme lombarde. La valutazione integrata di tutti i tematismi registrati ha portato ad una prima proposta di azzonamento di Piano, discussa con gli attori istituzionali locali. Sono quindi seguiti momenti collegiali di ponderatura degli obiettivi iniziali e ulteriori fasi di approfondimento e dettaglio. Il principale assunto metodologico per la definizione della zonizzazione è stato quello della verifica, per ciascuna unità ambientale, delle interferenze causate dalle attività presenti e dagli interventi realizzati o previsti dal Piano del 1985. Le aree sedi di interferenze sono quindi state oggetto di ulteriore disamina delle possibili interazioni fra sensibilità del sito e capacità turbativa delle diverse tipologie d’intervento.
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Figura 6. Tabella zonizzazione.
La zonizzazione proposta suddivide il Parco in zone omogenee organiche, sufficientemente estese e continue, che sintetizzano e ricompongono in unità di paesaggio la frammentazione degli usi del suolo, anche in coerenza con l’azzonamento MAB dei Parchi Naturali piemontese e lombardo e con la strategia fruitiva espressa nel Piano. La fruizione, tema centrale nel nuovo Piano, è interpretata come fattore di sviluppo socioeconomico del territorio e pone in stretta relazione la localizzazione delle aree di concentrazione delle attività con i gradi di tutela del Parco. Le opportunità fruitive sono quindi articolate in una rete di offerte che, attraverso la razionalizzazione e la complementarietà di strutture e attività, consente di soddisfare una domanda qualitativamente estesa, contenendo i fenomeni di pressione insediativa e privilegiando la valorizzazione delle strutture esistenti. Di fatto la fruizione viene a costituire un vero e proprio Piano di settore, che localizza le zone e individua attività e tipologie di intervento consentite, demandandone la quantificazione alla pianificazione attuativa. La nuova zonizzazione assume quindi logiche di tutela a carattere sistemico e graduale e si pone in stretta correlazione con gli indirizzi di sviluppo, salvaguardia e valorizzazione territoriale delle zone contigue al Parco, con riferimento in particolare alle direttive del Piano territoriale di coordinamento del Parco lombardo e del Progetto territoriale operativo regionale, area di approfondimento Ovest Ticino (PTO Ovest Ticino). A livello operativo il nuovo Piano d’area introduce innovativi strumenti di attuazione, in riferimento ai diversi livelli di gestione e intervento sul territorio. Nello specifico sono definiti a livello intercomunale cinque Ambiti di pianificazione concertata e coordinata, per i quali si ritiene necessario specificare indirizzi di pianificazione condivisi tra i Comuni del Parco, gli eventuali Enti sovraordinati e i Comuni limitrofi su sponda lombarda.
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Figura 7. Piano d’area - Tavola 9a, “Zonizzazione”. Figura 8. Piano d’area - Tavola 9e, “Sistema della fruizione”.
Le azioni di pianificazione concertata possono essere promosse dall’Ente di gestione e dai Comuni interessati, tramite accordi di programma o conferenze di servizi. All’interno di ciascun Ambito sono quindi individuate aree particolarmente complesse, per le quali è necessario elaborare Progetti d’area integrati (masterplan o piani direttori) per il coordinamento degli interventi a scala locale e dei relativi Piani attuativi. I Progetti d’area integrati possono essere promossi dall’Ente di gestione in collaborazione con i Comuni interessati e rappresentano l’anello di collegamento strumentale tra il Piano d’area e i Piani attuativi ed esecutivi di dettaglio. Il nuovo Piano d’area, Piano per il Parco e Piano paesistico ai sensi di legge, si propone inoltre come Piano di gestione del Parco quale Sito di Importanza Comunitaria della rete Natura 2000, rappresentando lo strumento che garantisce il raggiungimento degli obiettivi di conservazione degli habitat e delle specie che caratterizzano l’area. La Regione Piemonte, se lo riterrà opportuno, potrà infatti nominare l’Ente Parco soggetto gestore del sito.
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Figura 9. Piano d’area - Tavola 8d, “Criteri per la pianificazione partecipata, ambiti di pianificazione”.
Il riconoscimento ottenuto dal Parco implica che tutti gli interventi di pianificazione attuativa all’interno dell’area protetta e nella fascia contigua, che possano comportare ripercussioni sullo stato di conservazione dei valori naturali tutelati, siano sottoposti a valutazione di incidenza da effettuarsi a quattro livelli (screening, valutazione appropriata, valutazione delle soluzioni alternative e valutazione delle misure compensative). Il nuovo Piano applica quindi la procedura preventiva della valutazione di incidenza per Piani, progetti e interventi all’interno del Parco e nelle aree limitrofe ritenute sensibili. In questa stessa direzione si muovono le direttive del PTO Ovest Ticino, approvato nel 1997, che segnala l’opportunità e la necessità di istituire una fascia preparco, richiamando l’esigenza di ricorrere a strumenti di pianificazione sovracomunale per affrontare e gestire le problematiche ambientali del territorio. Analoghe indicazioni per l’istituzione di aree di controllo degli effetti ambientali e paesaggistici dello sviluppo insediativo residenziale sono ulteriormente richiamate e ribadite nel Piano territoriale provinciale di Novara, adottato nel 2002, e approvato con delibera del Consiglio Regionale 5 ottobre 2004 n. 383-28587, che per esse prescrive il parere di compatibilità territoriale formulato dalla Provincia o dalla Regione. Concetto peraltro ribadito nelle Linee guida di attuazione della rete ecologica della Provincia di Novara, presentate nel 2007, rispetto alle quali l’esigenza di una fascia contigua costituisce una delle naturali concretizzazioni e continuazioni del Parco.
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Queste considerazioni hanno fatto emergere con forza la necessità di ricomprendere il Parco all’interno di un contesto territoriale più ampio, sul quale estendere le logiche di tutela e valorizzazione espresse nel Piano d’area stesso e la procedura della valutazione di incidenza. La politica dell’Ente di gestione e del gruppo di lavoro è stata quella di coinvolgere le Amministrazioni comunali, già dal novembre 2002, nella definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile del Parco e delle aree che lo circondano, per intraprendere una comune azione volta alla miglior valorizzazione delle risorse territoriali, pur nella piena tutela dei valori ambientali. Questa politica sta oggi trovando piena attuazione anche nell’ambito della citata ricerca promossa dalla Provincia di Novara per lo studio della fascia preparco e l’individuazione di Linee guida progettuali. L’interesse del percorso di ricerca, oltre il valore documentale degli studi e i contenuti dei Piani, risiede dunque nella sperimentazione della dimensione multiscalare e dell’articolazione infradisciplinare proprie della progettazione ambientale, con approcci integrati orientati al governo delle decisioni nelle diverse fasi del processo, anche con riferimento alle nuove procedure della valutazione strategica e a forme evolute per la valorizzazione delle qualità ambientali e fruitive del Parco all’interno del più ampio contesto territoriale. L’ambizione più grande è stata forse quella di contribuire, con la costruzione di uno strumento dalle caratteristiche nuove, a ripensare in termini di sostenibilità il rapporto tra uomo e ambiente fondato sulla considerazione di responsabilità10.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI SCHIAFFONATI FABRIZIO, MAJOCCHI ARTURO, MUSSINELLI ELENA (a cura di), Il Piano d’area del Parco Naturale della Valle del Ticino piemontese, Collana “Studi e progetti”, Libreria Clup, Milano 2006.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Dove non diversamente specificato, le immagini sono elaborazioni e riprese fotografiche a cura del gruppo di lavoro del Politecnico di Milano.
Ringraziamenti Un particolare ringraziamento all’architetto Raffaella Riva per il prezioso supporto nella ricerca delle fonti informative ed iconografiche.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di febbraio 2007. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
10 Lo studio completo è pubblicato in: FABRIZIO SCHIAFFONATI, ARTURO MAJOCCHI, ELENA MUSSINELLI (a cura di), Il Piano d’area del Parco Naturale della Valle del Ticino piemontese, Collana “Studi e progetti”, Libreria Clup, Milano 2006.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 111-124
“SULLE STRADE DEL PO”. DALLE BONIFICHE DEI MONACI BENEDETTINI AI GIORNI NOSTRI Paola Marzorati*
Summary The province of Mantova, in collaboration with Regione Lombardia and the reclamation and irrigation local authorities, promoted the realization of some bike and pathways of a great landscape value along the main rivers and canals in the Oltrepo mantovano area. One of those is the cycling track called “On the ways of Po river”, travelled by the author of this article in a warm afternoon of may (2006). The track curls along the flood plain landscapes and was built on the main bank of Po river. The goal of this project is to create a greenway that connects the main core areas of the provincial ecological network. The itinerary of a great landscape value integrates the last strip of nature preserved in San Colombano park, with the important historical and cultural heritage spreaded all over the Oltrepo mantovano, as the Monastery of Polirone in San Benedetto Po and the drainage units of Moglia di Sermide and Revere. Key-words Cycle way, flood plain landscape, reclamation
Abstract La Provincia di Mantova, con la collaborazione della Regione Lombardia e dei consorzi di bonifica, ha promosso la realizzazione di alcuni percorsi a valenza paesaggistica lungo i principali corsi d’acqua e canali della rete di bonifica. Uno di questi è la ciclopista denominata “Sulle strade del Po”, che l’autrice di questo articolo ha percorso in un pomeriggio di maggio (2006) e che si snoda nei paesaggi golenali dell’Oltrepo mantovano. È una strada d’argine che viene attrezzata per divenire una greenway di collegamento tra i principali nodi della rete ecologica provinciale. L’itinerario a forte valenza paesistica mette a sistema gli ultimi lembi di natura preservati nel Parco di San Colombano, con le permanenze storico-culturali disseminate sul territorio, come il Monastero di Polirone a San benedetto Po e gli stabilimenti idrovori di Moglia di Sermide e Revere. Parole chiave Ciclopista, paesaggio golenale, bonifica
* Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze
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INTRODUZIONE Carlo Cattaneo definì la bassa pianura lombarda una “patria artificiale”, una patria il cui suolo “per nove decimi è opera e conquista degli uomini che l’hanno costruito”1. Il territorio dell’Oltrepo mantovano rientra appieno in questa descrizione, infatti, sin dal medioevo fu soggetto ad un’opera continua di sistemazione idraulica e bonifica, per ovviare al rischio che le terre, poste a quote più basse del livello del Po, venissero inondate. Nel X secolo i monaci benedettini dell’Abbazia di Polirone iniziarono la bonifica delle terre emergenti dal fiume e tale opera si protrasse durante la signoria dei Gonzaga e poi sotto la dominazione asburgica. L’attività zootecnica, sempre in precario equilibrio con le terre coltivate, influenzò l’estensione dei campi, le rotazioni adottate e la presenza di piante ed arbusti. La lentissima ma progressiva meccanizzazione, l’introduzione di nuove specie coltivate (mais, pomodoro, tabacco, patata) a partire dal XVI secolo e l’utilizzazione dei concimi chimici iniziata alla fine del 1800, hanno completato, ma non esaurito, l’opera di trasformazione. Il salto di qualità fu dato oltre che dalle modifiche del processo produttivo, dalle grandi opere di bonifica e di irrigazione iniziate dopo l’Unità d’Italia. Furono costituiti i primi consorzi di bonifica, tra cui quello dell’Agro mantovano e Reggiano, che interessa la porzione di Oltrepo posta a destra del Po e a sinistra del Secchia. In questo comprensorio, la bonifica integrale fu realizzata nel periodo tra il 1889 e il 1907, portando notevoli miglioramenti alla produttività della zona e a cambiamenti negli avvicendamenti colturali. La bonifica non solo offriva maggiori superfici coltivabili, ma rendeva l’ambiente più sano e meno gravemente assoggettato alle devastazioni della malaria. Ciò ha consentito quindi di mettere in pratica anche un capillare programma di infrastrutturazione territoriale per aumentare il presidio del territorio e rendere la campagna un ambiente ospitale con la costruzione di case coloniche, stalle e silos, lo sviluppo dei servizi territoriali, come ad esempio l’elettrificazione rurale ed, infine, interventi sulla viabilità interpoderale e sui manufatti di attraversamento della rete consortile.
Figura 1. I paesi alluvionati in data 11 novembre 1801 a causa delle rotte del fiume Po e Secchia agli argini di Luzzara e San Siro. 1
CARLO CATTANEO, Notizie naturali e civili su la Lombardia. La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, 1884.
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Nella prima metà del XX secolo il sistema agricolo mantovano, in seguito all’apertura del mercato nazionale cominciò ad orientarsi verso la zootecnia da latte, con la diffusione di prati stabili ed avvicendati ai cereali. Il paesaggio cominciò così a mutare nell’assetto colturale ed in seguito nella struttura fondiaria, continuando però a reggersi sull’elemento cardine dell’azienda tradizionale agro-zootecnica. Dal Secondo Dopoguerra in poi, invece, si assistette alla destrutturazione dell’azienda; l’introduzione e l’impiego massiccio della chimica in agricoltura e la meccanizzazione sempre più spinta delle tecniche agricole portarono alla rottura del rapporto produzione-terra e al conseguente “tracollo” del paesaggio agrario storico, che si ritrova oggi ad avere forme sempre più banalizzate e scarso valore dal punto di vista naturalistico. L’azienda agricola attuale è diventata soltanto luogo di prelievo di produzione. I cascami, i reflui, ossia i prodotti di scarto dell’agricoltura non vengono più re-inseriti nel ciclo produttivo e le aziende, guidate dalle logiche di mercato, mirano ad una specializzazione sempre più spinta che li porta a perdere i legami con il territorio locale. LA PROGETTUALITÀ IN CORSO La rete ecologica costituisce un paradigma concettuale di grande portata, capace di promuovere strategie di conservazione della diversità biologica e dei processi ecologici attraverso la pianificazione del territorio. Con lo sviluppo dell’attenzione ai temi ambientali la programmazione di area vasta in Lombardia ha visto approfondire più di un progetto di rete ecologica con connotazioni e funzioni diverse: nelle aree fortemente urbanizzate quelle di salvaguardia delle aree libere contro il rischio di saldatura tra i tessuti insediativi; nelle aree prevalentemente agricole quelle di tutela della risorsa suolo e dei manufatti della cultura materiale ed infine nelle situazioni di rischio naturale e/o di contiguità a fonti di rischio tecnologico quella di salvaguardia attiva della popolazione residente oltre che della attività e dei beni patrimoniali presenti. In generale sono programmi che contengono interventi su più versanti con un carattere dove, da un lato, possono prevalere le funzioni di tutela, dall’altro, quelle di un progetto integrato tra i fattori ecologici e le permanenze storico-culturali. Quest’ultimo è anche il caso della rete ecologica elaborata nell’ambito del Piano Territoriale della Provincia di Mantova2. Il progetto individua alcune aree di particolare rilevanza naturalistica che si configurano quali nodi della rete3 e tenta di creare dei collegamenti tra di essi, per ottenere un sistema spaziale unitario e progettato in modo tale che ogni intervento si inserisca in un disegno complessivo. Nel territorio considerato non esistono grandi riserve di natura ed il paesaggio è costituito da un’ampia matrice di seminativo in cui si individuano piccole unità eco-sistemiche quali habitat lineari lungo i principali corsi d’acqua e canali naturali e zone umide. In un contesto avente una così scarsa dotazione naturalistica, occorre integrare le risorse fisico-naturali con quelle paesaggistiche e con il sistema della cultura agronomica locale per costruire una strategia di progettazione efficace. La connessione come strategia prioritaria Nel paesaggio dell’Oltrepo mantovano, dove gli elementi naturali (piccoli boschi, aree umide, dossi sabbiosi e brughiere) sono spesso delle isole attorniate dall’attività antropica, il progetto punta alla connessione della rete primaria con quella secondaria individuata dal PTCP: a questa finalità possono contribuire principalmente i canali irrigui, con le relative aree di pertinenza. 2
Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Mantova è stato approvato con delibera del Consiglio Provinciale n. 61 del 28/11/2002 e pubblicato sul BURL - serie inserzioni n. 5 del 29/01/2003. Politecnico di Milano, Responsabile scientifico prof. Maria Cristina Treu, coordinamento arch. Carlo Peraboni. 3 “In questo Circondario la Rete Ecologica di I livello si basa sui corsi del fiume Po (in cui rientrano anche gli stepping stones delle riserve naturali Isola Boschina e Isola Boscone) e del fiume Secchia, seguendo in generale il confine delle fasce fluviali definite dal Piano di bacino, ovvero gli argini, e sul nodo costituito dalla Riserva naturale delle Paludi di Ostiglia”. Relazione allegata al PTCP di Mantova.
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Figura 2. Il paesaggio della policoltura e dell’aratorio vitato del XIX secolo.
Il sistema idraulico dei corsi irrigui di origine artificiale, con le pur ridotte aree di pertinenza, costituisce di fatto una struttura di notevole importanza ambientale: oltre alla distribuzione nel territorio di un elemento vitale quale l’acqua, lungo i canali possono vivere, svilupparsi e diffondersi con buona biodiversità, elementi della flora e della fauna. Spesso i corsi d’acqua sono l’unico elemento di continuità biologica attraverso barriere quali strade, autostrade, ferrovia, abitati o ancora attraverso vaste estensioni agricole prive di vegetazione naturale. La funzione ambientale dei canali irrigui può essere tuttavia incentivata ed esaltata sia con interventi di riqualificazione, potenziamento arboreo e arbustivo, rinaturalizzazione dei canali esistenti, frequentemente non in contrasto con tutte le esigenze gestionali, sia attraverso la costruzione di nuovi corsi d’acqua, sia catalizzando la formazione di nuovi spazi o sistemi verdi.
Figura 3. Schema della rete ecologica provinciale generale per l’intero territorio della Provincia di Mantova.
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La Provincia di Mantova, con la collaborazione della Regione Lombardia Direzione Generale Agricoltura ed i consorzi di bonifica, ha promosso la realizzazione di alcuni percorsi a valenza paesaggistica lungo i principali corsi d’acqua e canali della rete di bonifica. Il caso che prenderemo in esame in questo articolo è il percorso ciclabile denominato “Sulle strade del Po”, percorso in un pomeriggio del mese di maggio del 2006. ITINERARIO CICLO PEDONALE SULL’ARGINE MAESTRO DEL PO Il tema della multifunzionalità dell’argine è stato trattato da Alessandro Massarente nel glossario per il Manuale INFRA4. Si riporta un estratto del testo: “Robert Venturi5 sottolineava il ruolo dell’elemento archetipo: come l’elemento a doppia funzione - ad esempio i ponti abitati - esso è “diverso dall’elemento superfluo, perché contiene un doppio significato, che è il risultato di una combinazione più o meno ambigua del risultato originario, evocato per associazione, con nuovi significati derivanti dalla funzione strutturale e programmatica, sostituita o modificata, e dal nuovo contesto. La lettura e la definizione progettuale di infrastrutture a doppia funzione o polifunzionali – ad esempio […] la stradaparco, l’argine o il rilevato ferroviario trasformato in percorso ciclabile e/o pedonale hanno già dimostrato nella storia e nel presente, di poter svolgere un ruolo importante nella definizione delle politiche di trasformazione della città e del territorio. Di fronte alla crisi della progettualità monofunzionale delle infrastrutture evidenziata dall’ingegneria dei trasporti, il tentativo di rendere compresenti non solo discipline differenti, ma anche tempi storici diversi e diversi modi d’uso nel progetto infrastrutturale, può contribuire a definire alcune metodologie progettuali, nonché mettere a punto strumenti rappresentativi e procedure realizzative adatte alla complessità delle situazioni contestuali affrontate”.
Figura 4. Cartellonistica lungo l’argine maestro del Po in Comune di San Benedetto Po.
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AA.VV., In.Fra. Manuale di forme insediative e infrastrutture, Marsilio, 2002, pagg. 291-292. ROBERT VENTURI, Ancora livelli contradditori: l’elemento a doppia funzione, in Id., Complexity and contradiction in architecture, New York 1966. 5
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Figure 5-6. La pista ciclabile promiscua con la strada sull’argine maestro del Po, in un contesto extraurbano, località Tabellano e nei pressi dell’agglomerato di San Benedetto Po.
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Il percorso “Sulle strade del Po”, preso in esame, corrisponde alla strada sull’argine maestro del Po, nel tratto tra il Comune di Luzzara e quello di San Benedetto Po. La ciclopista inserita nell’ambito golenale ha valenza paesistica e di fruizione dell’ambiente, per residenti e turisti. È un elemento molto importante del contesto territoriale perché luogo indispensabile alla mobilità (pedonale e ciclabile), ma anche spazio di osservazione, di conoscenza, di ricreazione e di godimento estetico. Il tracciato è percorribile con facilità, in un tempo contenuto ed è dotato di una segnaletica direzionale e didattica che rende semplice l’orientamento e la conoscenza delle sue peculiarità.
Figura 7. Individuazione degli edifici matildici presenti nell’Oltrepo mantovano (indicato in grigio).
Le permanenze storico-culturali Percorrendo la pista ciclabile è possibile godere oltre che di suggestive viste sul paesaggio della golena, anche dei piccoli centri storici costruiti vicini all’argine e di alcune permanenze storico-culturali di grande valore. In particolare l’area dell’Oltrepo mantovano si caratterizza per la presenza di un patrimonio storico-culturale importante, che riguarda musei, chiese, palazzi, ville, corti, manufatti idraulici. Il monastero del Polirone di San Benedetto Po e il Palazzo Ducale di Revere costituiscono le due emergenze architettoniche rilevanti sul territorio ma accanto ad esse si individua un patrimonio di edilizia diffusa, di “architettura minore” che racchiude tuttavia valori di rilevanza storico-culturale. Si tratta di edifici di culto, alcuni dei quali sono presenti nell’itinerario matildico, altri ancora, molto numerosi, sono gli edifici rurali, tra i quali spiccano anche numerose ville nobiliari che aggiungono alla funzione di corte agricola quella di villa ludica, di piacere e di rappresentanza dello status sociale dei proprietari. Si segnalano, inoltre, una serie di edifici di architettura idraulica di grande impatto e interesse che ricordano l’aspetto importante dell’azione di bonifica che ha caratterizzato e disegnato il territorio mantovano nella storia, a partire proprio dall’azione dei benedettini insediati in Polirone sino al governo delle acque attuato dai consorzi di bonifica.
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Figura 8. Cartellonistica con indicazioni dei percorsi matildici presso l’Abbazia dei monaci benedettini di Polirone a San Benedetto Po.
Nell’itinerario matildico sono riportate le architetture legate alla figura di Matilde di Canossa. Il tema della valorizzazione e promozione di tale patrimonio è stato affrontato all’interno del progetto Sistema Po Matilde6, in cui sono stati coinvolti venti Comuni dell’area e le cui azioni hanno prodotto i primi risultati: la costituzione di un’unitaria cartellonistica, di un sistema informativo comprendente anche la realizzazione di un sito informatico. A testimonianza della profonda fede religiosa di Matilde restano sul territorio mantovano alcune pievi di cui Santa Maria Assunta di Pieve di Coriano, insieme a San Lorenzo di Pegognaga costituisce forse l’esempio più insigne del basso mantovano. Su questo territorio, sono presenti in modo diffuso architetture minori rurali che presentano peculiarità tipologiche e formali di rilievo; molte di queste strutture sono abbandonate e versano in precarie condizioni di conservazione. Accanto alle corti agricole, diffuse sul territorio, si segnalano poi numerose ville che oltre ad avere una destinazione agricola, con funzione di gestione e controllo sul territorio, assumono anche il ruolo di luogo ludico, deputato agli ozi e al riposo della famiglia nobiliare. Un capitolo importante dell’architettura che caratterizza il territorio dell’Oltrepo è quello dei manufatti legati all’azione di bonifica che, proprio in questa area, riveste un ruolo primario nel disegno del paesaggio. I consorzi di bonifica che operano nell’Oltrepo sono quattro: Sud Ovest Mantova, Agro Mantovano Reggiano, Revere e Burana. Tra gli impianti in opera si segnalano: la stazione idrovora della Travata di Bagnolo San Vito (1926) della Bonifica sud di Mantova; la botte di San Prospero di San Benedetto; lo stabilimento di Mondine; l’impianto idrovo di San Siro in San Benedetto (1925); lo stabilimento idrovoro dell’Agro Mantovano Reggiano di Moglia di Sermide (1900-1906); l’impianto idrovoro di Revere 6
Per approfondimenti sul tema degli itinerari legati alla figura della Contessa Matilde di Canossa è possibile consultare il sito internet è www.terredimatilde.it
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(1920-27); le chiaviche Borsone; Bondanello. Il patrimonio culturale dell’Oltrepo riguarda poi i musei che costituiscono i “presidi culturali” del territorio, veri centri propulsori della cultura e punti di riferimento per la progettazione futura turistica e di sviluppo economico. Dal 2003 esiste il progetto “Sistema museale provinciale” (L.R. 1/2000) che si ispira alla gestione associata ed integrata di servizi museali e turistici ponendosi i seguenti obiettivi: attivare iniziative di promozione in sinergia con soggetti pubblici e privati, incentivare flussi di visita, innovare e migliorare i sistemi gestionali del patrimonio museale. Il sistema museale mantovano si ispira al concetto di museo come bene culturale, fucina per nuovi bacini d’impiego, capaci di sviluppare le risorse endogene del territorio integrando il rispetto e la valorizzazione delle tradizioni e delle tipicità locali con l’utilizzo di strumentazioni e metodologie all’avanguardia.
Figura 9. Studio per un sistema museale nel territorio dell’Oltrepo mantovano. Quadro della progettualità prevista nei Comuni.
Alcune tappe principali del percorso Luzzara. La battaglia del 5 Agosto 1702 A Luzzara si sale sull’argine e lì comincia l’itinerario, indicato con cartellonistica informativa per tutta la sua lunghezza. Siamo nel perimetro del Parco di San Colombano7, comprendente un’ampia zona di golena del Po con all’interno tre “bugni”, specchi d’acqua formatisi in occasione delle rotte storiche del fiume nei pressi degli argini di difesa diventati oggi degli importanti ambienti naturali circondati da una vegetazione spontanea, tipica delle zone umide. 7
Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS).
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Figure 10-11. Corte San Giuseppe e il campo luogo della battaglia.
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Figura 12. Paesaggio della golena in localitĂ Tabellano e Motteggiana.
Figura 13. Abbazia dei monaci benedettini di Polirone.
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Figura 14. Mappa della pista ciclabile tra gli stabilimenti idrovori di Sermide e Revere con indicazioni di punti di interesse lungo il percorso.
La prima tappa è il luogo commemorativo della Battaglia del 5 Agosto 1702 Guerra di successione al trono di Spagna (1701-1714). La cosiddetta “Battaglia di Luzzara”, è stata combattuta in un territorio “di confine”: una zona appartenente a due Comuni, a due Province, a due regioni. Luzzara e Riva di Suzzara furono le tacite testimoni di quei giorni di scontri sanguinosi e oggi si trovano accomunate da questo episodio storico che appartiene alla cultura sociale di entrambe. Partendo dal pretesto della avvenuta battaglia, il luogo è divenuto oggetto di un progetto di valorizzazione articolato nelle seguenti azioni: per migliorare la fruizione è stato potenziato il percorso, già presente sopra l’argine del fiume, attrezzato quale percorso pedonale e ciclabile. La memoria dello scontro è stata poi perseguita attraverso la realizzazione di pannelli con le ricostruzioni storiche delle vicende, con le varie fasi dei mutamenti fisici che ha conosciuto il territorio e con dati sulla vita del fiume. Il paesaggio golenale del Parco di San Colombano Percorrendo la strada d’argine si incontrano scorci paesaggistici di notevole suggestione, in cui un alternarsi di argini, pioppeti, terre bonificate, ponti e attracchi fluviali, caratterizzano il paesaggio golenale e fluviale del Po. Nella fascia golenale racchiusa tra l’argine maestro del Po ed il corso dello stesso spopolano le ampie ed estese colture industriali di pioppo quasi sempre canadese. Uno degli ultimi lembi di natura conservati lungo il Po, in provincia di Mantova, è rappresentato dal Parco di San Colombano, posto in un’area golenale in località Luzzara che viene inondata periodicamente dalle piene, in cui vi sono una serie di aree umide di differenti origini, come alcune ex-cave con ampi e profondi specchi d’acqua e, circondate da strette fasce di canneti, o come piccoli e poco profondi stagni completamente ricoperti di vegetazione palustre (tifeti, cariceti, aggruppamenti di vegetazione acquatica caratterizzata da Ninphae luteum, eccetera). Nella zona sono poi presenti ampie fasce boscate, generalmente formate da salici, in parte allagate, che stanno ricolonizzando le zone incolte e le rive degli specchi d’acqua. Purtroppo l’isolamento di questi ambienti umidi, le loro spesso esigue dimensioni, possono determinarne la scomparsa o l’impoverimento biologico. Percorrendo la pista sull’argine è possibile dedicarsi all’attività del birdwatching. 122
Figura 15. Lo stabilimento idrovoro dell’Agro Mantovano Reggiano di Moglia di Sermide (1900-1906).
San Benedetto Po e l’Abbazia di Polirone San Benedetto Po, anticamente S. Benedetto in Polirone in quanto il primo insediamento attorno all’anno 1000 sorgeva sopra un’isola tra il fiume Po ed un suo ramo chiamato Lirone (oggi scomparso), è l’ultima tappa della ciclopista considerata ed il punto cruciale dell’itinerario, per la presenza dell’imponente Monastero di Polirone (fondato nel 1007 da Tedaldo di Canossa). Fu Matilde di Canossa, detta “Contessa guerriera” per le sue battaglie contro gli eserciti invasori, a renderlo famoso. Nel 1077, in occasione dell’incontro di Canossa tra Papa Gregorio VII ed Enrico IV imperatore, Matilde affidò l’abbazia di Polirone al Pontefice, il quale la aggregò alla Congregazione benedettina di Cluny in Borgogna. Oggi San Benedetto Po, grazie alla presenza del complesso monastico, è divenuto il fulcro di un sistema di itinerari turistici ed eno-gastronomici che gravitano sul mantovano da tutta l’Italia e dal Centro Europa. Il Parco della bonifica Un’area di particolare rilievo in cui sono ben presenti le relazioni tra bonifiche e paesaggio è quella della fascia degli impianti di bonifica intorno al Po (stabilimenti idrovori, chiaviche, canali, sifoni), che si estende da S. Matteo delle Chiaviche a Borgoforte e S. Benedetto Po, fino a Sermide. Su quest’area, posta a destra del Secchia, è in corso la realizzazione di un grande “parco” della bonifica da parte del Consorzio di Bonifica e Irrigazione dell’Agro Mantovano e Reggiano, che consisterebbe nel collegamento mediante pista ciclabile dei due importanti stabilimenti idrovori di Moglia di Sermide e Revere. Il percorso “Sulle strade del Po” potrebbe in futuro essere integrato con il “parco” della bonifica. Se ciò avvenisse San benedetto Po diventerebbe il punto di partenza di molteplici itinerari di grande suggestione che potrebbero mettere a sistema le golene, attive o popolate, con le opere di risanamento lasciate nel tempo dai successivi interventi tecnici operati dalle comunità e dai dominanti, fino alle opere consortili d’epoca moderna.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI CAMERLENGHI EUGENIO, Lineamenti di geografia e storia del paesaggio agrario mantovano, Tre lune edizioni, Mantova 2003. CAMERLENGHI EUGENIO, L’agricoltura mantovana dalla preistoria ad oggi, Mantova 1997. NEGRI GIORGIO GABRIELE, Comprendere il paesaggio: studi sulla pianura lombarda, Electa, Milano 1998. PARMIGIANI CARLO, SISSA GIOVANNI, ZAGNI ALDO, La bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, Edizioni del Consorzio di Bonifica, Mantova 1994.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: PARMIGIANI CARLO, SISSA GIOVANNI, ZAGNI ALDO, La bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, Edizioni del Consorzio di Bonifica, Mantova 1994, pag. 30. Figura 2: PARMIGIANI CARLO, SISSA GIOVANNI, ZAGNI ALDO, La bonifica dell’Agro Mantovano Reggiano, Edizioni del Consorzio di Bonifica, Mantova 1994, pag. 68, Il corso della Fossalta da Quistello a Quatrelle con il progetto Diversivo della Moglia, A.S.MN., Archivio Gonzaga, busta 91-36. Figura 3: Relazione illustrativa del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale della Provincia di Mantova, pag. 86. Figure 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 13, 15: fotografie di Paola Marzorati. Figura 7: Camera di Commercio di Mantova, Il Piano di marketing territoriale per l’Oltrepo Mantovano, Primo rapporto di ricerca (aprile 2005), Politiche territoriali e progettualità esistente (a cura di Stefania Terenzoni), pag. 68. Figura 9: GHITTI ERIKA, MAZZALI MARTINA, MUDU ALESSANDRA, Tesi di Laurea “Centri per l’interpretazione, contenitori di percezioni. Dal sistema museale allo sviluppo di una rete di itinerari del patrimonio culturale per promuovere un turismo sostenibile nel territorio” relatore arch. Carlo Peraboni, Politecnico di Milano. Figura 14: Consorzio di Bonifica e Irrigazione dell’Agro Mantovano e Reggiano, brochure informativa.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. 124
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Itinerari pagg. 125-134
PAESAGGI, FIUMI FIUME TEVERE
ED ACQUE: L’IMPEGNO DELL’AUTORITÀ DI BACINO DEL
Roberto Grappelli *, Remo Pelillo **
Summary The evolution of the landscape and its representation scale are appropriate to the prospect and the scale of basin planning. The river Tevere basin Authority acts on the tecnique tradition that made its decision related to landscape features. Flood prevention and soil protection policy. The big flood plains on the north of Rome are in defence of the city. The protection of the big flood plains is the target of the Authority planning, that is to say to protect the landscape. Water resources policy. The river Tevere has two hydrological states, one is as the Paglia river and the other is as the Nera river. The tradition has used these hydrological states and it has built three water schemes on them. The Authority will organize these water schemes in a single water system. Key-words Tevere, Roma, landscape, basin planning, “paesaggio tiberino”, floods
Abstract La velocità con la quale evolvono i caratteri del paesaggio e la scala di rappresentazione di questo sono congruenti con gli orizzonti temporali e la scala di risoluzione degli obiettivi della pianificazione di bacino. L’Autorità di bacino del Tevere ha operato nel solco di una tradizione tecnica ed amministrativa che ha fondato le sue scelte sui caratteri del paesaggio tiberino. Nel campo della difesa del suolo il carattere fondante è rappresentato dalla conservazione delle grandi alluvioni a nord di Roma che costituiscono il più efficiente baluardo alle piene di Roma. Conservare le grandi alluvioni come indica la pianificazione dell’Autorità di bacino significa conservare un tratto caratteristico del paesaggio tiberino. Nel campo dell’utilizzazione della risorsa idrica il carattere fondante è rappresentato dallo “sfruttamento” sostenibile dei due regimi idrologici che caratterizzano il Tevere. La tradizione ha coniugato tali regimi con le aspettative di sviluppo dell’area dando vita ai grandi schemi idrici del bacino del Tevere: lo schema irriguo a nord, lo schema idroelettrico al centro e lo schema civile a sud. L’Autorità di bacino nei propri atti di pianificazione ha inteso ed intende conservare tali schemi idrici ed in prospettiva metterli a “sistema” per vincere le sfide future improntate alla più efficace ed efficiente gestione dell’acqua, “risorsa” scarsa. Parole chiave Tevere, Roma, paesaggio, pianificazione di bacino, “paesaggio tiberino”, alluvioni
* Segretario Generale dell’Autorità di bacino del fiume Tevere ** Dirigente tecnico dell’Autorità di bacino del fiume Tevere
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PREMESSA Partiamo da un’affermazione apodittica: il paesaggio è, tra le tante possibili, la rappresentazione più sintetica ed organica degli effetti delle dinamiche fisiche e territoriali. Vale la pena chiedersi quanto peso ha avuto (ed ha e, si spera, avrà) l’attività delle Autorità di bacino ed in particolare quella del Tevere sull’attuale immagine del paesaggio e sui possibili sviluppi futuri. La velocità con cui evolve il “paesaggio” appartiene sostanzialmente allo stesso ordine di grandezza dei tempi della pianificazione di bacino: i cambiamenti percepibili del paesaggio vanno da una generazione all’altra così come alla prossima generazione appartengono gli orizzonti strategici delle scelte operate dall’Autorità. Il “paesaggio” infine riguarda una scala territoriale sostanzialmente coincidente con quella propria dell’Autorità: le scelte si muovono su un orizzonte geografico racchiudibile in una scala tra 1:100.000 e 1:50.000. Ed anche se alcuni effetti (e le connesse valutazioni dell’Autorità) si spingono a scale più piccole1, il mosaico è e rimane quello dell’area vasta così come l’orizzonte temporale rimane quello del lungo termine. Percorrendo sentieri già tracciati, l’Autorità ha strutturato la propria azione attraverso il Progetto di Piano di Bacino, adottato dal Comitato Istituzionale nel settembre 1999, che delega ai piani stralcio sia la definizione di aspetti tematici particolari che investono l’intero bacino sia la risoluzione di una o più criticità emergenti in un’area limitata composta da alcuni sottobacini: appartengono alla prima categoria il piano per l’assetto idrogeologico (PAI), il piano per l’utilizzazione della risorsa (PS9) e il piano per gli aspetti ambientali (PS10); appartengono alla seconda categoria il piano per le aree di esondazione tra Orte e Castel Giubileo (PS1), il piano per il Lago Trasimeno (PS2), il piano per il Lago di Piediluco (PS3), il piano per l’Alto Tevere (PS4) e il piano per la fascia costiera (PS7); di taglio concettuale diverso il piano per l’area metropolitana (PS5) che integra una strategia tematica globale in un’area limitata del bacino. Ogni Autorità di bacino ha tracciato un proprio percorso caratteristico che la differenzia dalle altre, anche se esiste un comune denominatore rappresentato dall’aver conformato il proprio operato agli indirizzi nazionali. Tuttavia le specificità fisiche del bacino e l’ambiente culturale nei quali le singole Autorità si sono mosse non spiegano da soli le ragioni del percorso intrapreso. Occorre riferirsi al contesto socio-economico e istituzionale che ha ispirato (e all’interno del quale sono maturate) le scelte per trovare una risposta ai differenti approcci o alle differenti tempistiche con le quali le criticità sono state affrontate. La storia delle Autorità di bacino è ancora troppo breve per permettere l’evidenza di una “impronta” forte e marcata sui caratteri del paesaggio, anche perché i “precursori” degli auspicabili cambiamenti non sono così evidenti e manifesti da far comprendere se la strategia adottata è efficace (oltre che efficiente) come si desidererebbe. Rimane allora un’unica fondamentale certezza che, per il bacino del fiume Tevere, è rappresentata dall’aver continuato ad operare nel solco di una tradizione che parte dagli inizi del Novecento e che, nel corso dei successivi decenni, ha lasciato una “impronta” (questa sì) forte e marcata diventando essa stessa una delle componenti fondanti del “paesaggio tiberino”2 ed ancora oggi (per le considerazioni che seguono) l’ispiratrice del futuro sviluppo dell’area.
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Nel linguaggio comune molte volte per “grande scala” si intende il rapporto di 1:100.000 (o di 1:50.000). Viceversa per la “piccola scala” si intende il rapporto di 1:10.000 (o anche di 1:5.000). Qui e nel testo manterremo questa convenzione non proprio rigorosa in modo da conservare una certa “familiarità” di linguaggio e l’analogia con le altre locuzioni di “breve termine” e “lungo termine” normalmente riferibili ai processi a “piccola scala” e a quelli a “grande scala”. 2 Con il termine “paesaggio tiberino” indicheremo la rappresentazione sintetica del “bacino” e non solo del “fiume”.
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Nel seguito dell’articolo esamineremo quegli elementi della tradizione che l’Autorità ha inteso proteggere da qualsiasi possibile “mortificazione”, vero fattore di criticità su cui intervenire. LA DIFESA DEL SUOLO3 Se le prime azioni tese alla difesa dalle inondazioni risalgono all’epoca romana4 e allo Stato Pontificio5, una vera e propria consapevole6 strategia globale di assetto idraulico7 vede la nascita nel 1942 con l’approvazione del piano per la “Sistemazione Generale del bacino del Tevere” ad opera della Commissione Speciale per lo Studio del Piano Regolatore delle Opere di sistemazione del Tevere8, istituita dopo l’alluvione del 1937 con decreti interministeriali del 1938 e del 1940 ed alla quale furono chiamati tra gli altri Umberto Puppini, Mario Giandotti, Giulio De Marchi, Marco Visentini e Pietro Frosini, nomi che hanno fatto la storia dell’idrologia e dell’idraulica. Le conclusioni cui pervenne la Commissione furono poi fatte proprie, nel 1974, dalla cosiddetta Commissione “De Marchi” istituita dopo l’alluvione di Firenze. L’elemento fondante comune è costituito dal risalto assegnato alla funzione idraulica delle piane alluvionali del medio corso del Tevere9 che, dislocate in serie tra Orte e Castel Giubileo a mo’ di tre “stomaci”, costituiscono il più efficiente (in quanto naturale) presidio per la difesa dalle inondazioni urbane del fiume. Questi grandi “stomaci”, che laminano una parte dei volumi delle piene e che sono allo stesso tempo causa ed effetto della “risposta idraulica” del bacino agli eventi meteorici critici, costituiscono (ancora storicamente vocati ad un’agricoltura a conduzione “familiare”) un serbatoio di “naturalità” che le varie traverse idroelettriche (Ponte Felice e Nazzano cui va aggiunta quella di Alviano) tra l’invaso di Corbara e Castel Giubileo hanno convertito in un efficiente sistema di aree umide. Questa felice congiuntura tra funzione (idraulica) di difesa esercitata dalle piane alluvionali e funzione (idrica) di utilizzazione della risorsa svolta delle traverse ha generato un “paesaggio” che, se pure non proprio “naturale”, vale la pena di mantenere e sviluppare per i suoi caratteri di sostenibilità10.
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La figura “Rappresentazione dell’assetto idraulico con le grandi pianure alluvionali” evidenzia, campite in azzurro, le maggiori aree di laminazione del bacino. Quelle a valle della confluenza con il Nera rappresentano l’oggetto di tutela del PS1. 4 È verosimile che Ponte Milvio, fino al 1870 posto in piena campagna romana, costituisse una “voluta” strozzatura per le piene del Tevere, almeno di quelle fino ad una certa soglia, imponendo al fiume di esondare prima di attraversare il centro urbano. 5 Fin dal XVI secolo era chiara la relazione tra le piene del Paglia e quelle a Roma: qui si collocano le origini del Consorzio per la bonifica della Val di Paglia e della Val di Chiana Romana. 6 Con tale aggettivo intendiamo riferirci alla capacità di tradurre le scelte in termini oggettivi e con procedure caratterizzate da rigore scientifico oltre che da consistenza amministrativa. 7 Nel seguito verranno utilizzati i termini “idraulico”, “idrologico” ed “idrico” che hanno un significato non intercambiabile: il termine “idraulico” fa riferimento ai livelli con cui si manifesta il deflusso di una portata (e pertanto è molto usato nei contesti dove si trattano gli eventi di piena), il termine “idrologico” fa riferimento alla genesi delle portate (e pertanto è utilizzato nei contesti dove si tratta il comportamento del fiume indipendentemente dai suoi stati critici) mentre il termine “idrico” fa riferimento ai volumi d’acqua (e pertanto è usato nei contesti dove si tratta l’uso dell’acqua). 8 In realtà la Commissione non si occupò soltanto dei problemi delle piene del Tevere ma affrontò, anticipando i tempi, una strategia globale dell’acqua nel bacino. 9 Con il termine “medio corso del Tevere” indichiamo il tratto compreso tra l’invaso di Corbara e la traversa di Castel Giubileo, immediatamente alle porte di Roma. Con “alto corso del Tevere” il tratto a nord dell’invaso di Corbara e con “basso corso del Tevere” il tratto a valle di Castel Giubileo fino alla foce. In realtà gli ultimi venti chilometri di percorso risentono oggi dell’influsso del mare così da costituire una sorta di “acqua di transizione” con caratteristiche fisiche, chimiche, idrodinamiche e ecologiche diverse. 10 Nel testo il termine “sostenibile” sta ad indicare ciò che è in grado di risolvere al proprio interno i problemi che genera, senza trasferirli ad altri (contesti) o alle generazioni future.
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Figura 1. Tevere: rappresentazione dell’assetto idraulico con le grandi pianure alluvionali. Le zone campite in azzurro corrispondono alle maggiori aree di laminazione del bacino.
Il piano stralcio per le aree soggette ad esondazione nel tratto del Tevere compreso tra Orte e Castel Giubileo, PS111, ha fatto leva su questa felice congiuntura imponendo sia la salvaguardia del potere di laminazione di tali aree sia la valorizzazione della loro naturalità. La stessa Regione Lazio, con la L.R. n. 29/97, ha accolto quest’ultima indicazione ponendo l’obiettivo della costituzione di un parco interregionale del Tevere. Il piano stralcio per l’assetto idrogeologico, PAI, ha generalizzato tale strategia di assetto idraulico al resto del bacino: privilegiando le politiche di manutenzione e di prevenzione del rischio rispetto agli interventi di difesa e limitando questi ultimi alle attuali situazioni di rischio; 11
Il PS1, in realtà, è stato redatto ed approvato prima della redazione e dell’adozione del Progetto di Piano di Bacino ed i primi atti di preparazione risalgono al 1990. La circostanza nulla toglie al carattere organico e sistematico del Piano di bacino ma testimonia il carattere pragmatico dell’azione dell’Autorità nel privilegiare gli obiettivi effettivamente prioritari conservando sempre una visione d’insieme della strategia.
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assegnando ai diversi livelli del reticolo idrografico funzioni di difesa idrogeologica in linea con le loro potenzialità naturali. Il primo obiettivo è insito nello stesso “paesaggio storico” del fiume caratterizzato, ad eccezione di pochi e puntuali occorrenze, da un livello globale di rischio sostanzialmente basso: nei secoli, lungo l’asta del Tevere tra le sorgenti e Castel Giubileo, le comunità locali hanno privilegiato l’insediamento di media collina rispetto a quello nelle piane alluvionali, sede di attività agricole a basso “valore aggiunto”, lasciando in eredità un “paesaggio” intrinsecamente sicuro. Il secondo obiettivo è insito nella struttura idrografica del bacino costituita da: un reticolo principale (asta del Tevere e grandi affluenti) sede della capacità di laminazione naturale del bacino, patrimonio indiviso ed indivisibile delle Regioni; un reticolo secondario (affluenti di ordine immediatamente inferiore12) che con la sua capacità di ritenzione e di laminazione contribuisce a non aggravare le condizioni di deflusso nel reticolo principale; un reticolo minore (la rete di ordine minimo e di drenaggio dei versanti) che con il suo fattore transitorio di invaso contribuisce a non aggravare le condizioni di deflusso nel reticolo secondario. Il “paesaggio” delle piccole e grandi alluvioni, antiche e recenti, è quindi protagonista nell’assetto idrogeomorfologico del bacino (in particolare in quello idraulico) così come il “paesaggio” dei torrenti in quota e delle sponde ai piedi delle pendici costituisce la prima trincea di contrasto dei dissesti geomorfologici di versante. Il realismo di questa strategia sta anche nella ineluttabilità di una tale scelta. A mano a mano che le dinamiche di sviluppo territoriale interferiscono13 con il reticolo idrografico si estende la lunghezza dello stesso che deve essere tenuta sotto controllo per prevenire e contrastare gli effetti dei fenomeni critici: manutenzione continua e costante delle opere idrauliche di difesa per assicurarne la massima efficienza e mantenimento dell’officiosità idraulica degli alvei di piena per garantire le condizioni di deflusso ipotizzate negli scenari di pericolo. I costi annui di tale attività di controllo crescono quindi secondo i caratteri di una funzione integrale14. Una stima per difetto riferita ad un orizzonte quinquennale valuta in circa trenta milioni di euro il fabbisogno finanziario annuo nel bacino del Tevere da assegnare agli interventi di manutenzione e mantenimento per non aumentare l’attuale livello di rischio idraulico a fronte di una capacità di spesa annua per nuove opere idrauliche di difesa pari a circa cinque milioni di euro. La criticità di una tale situazione è allarmante in quanto sposta sulle generazioni future un costo certo a fronte di una probabile crescita economica futura che dovrebbe sostenere tali costi. L’USO DELLA RISORSA IDRICA15 Il termine “torrentone” con il quale ironicamente viene indicato il Tevere non rende giustizia della complessa struttura idrologica che lo caratterizza. 12
Esistono diversi metodi di classificazione del reticolo tutti riconducibili all’ordinamento in funzione della posizione rispetto alle confluenze: nel testo faremo riferimento all’ordinamento crescente dalla sorgente alla foce. 13 Intendiamo qui con tale termine l’intersezione tra un’area insediata (o prevista tale) e la fascia di inondazione della piena duecentennale. 14 Con il termine “integrale” intendiamo qui che i costi annui di manutenzione si sommano a quelli degli anni precedenti ogni volta che viene realizzata un “nuova” opera idraulica e/o vengono aggiunti “nuovi” tratti di reticolo da tenere sotto controllo. La funzione “costo annuo di manutenzione” è così una funzione non decrescente che non si esaurisce mai. 15 Le figure “Rappresentazione dello schema irriguo dell’Alto Tevere” e “Rappresentazione dello schema idroelettrico del Nera-Velino” evidenziano gli elementi caratteristici delle utilizzazioni servite e danno un’idea dell’estensione e dell’importanza degli schemi stessi. Si è trascurata la rappresentazione dello schema romano in quanto non avrebbe reso giustizia della complessità sia a livello di adduzione che di distribuzione. Una particolare caratteristica dello schema romano è quella di avere un approvvigionamento di riserva costituito dal lago di Bracciano, che entra in funzione in condizioni di crisi delle sorgenti principali.
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Se non si può avvicinare il Tevere ai grandi corsi d’acqua dell’Europa continentale (anche per l’orografia assolutamente diversa nella quale scorrono) non è nemmeno lecito confonderlo con le “fiumare” calabre o i corsi d’acqua della regione mediterranea. I quattrocento chilometri dell’asta principale lasciano sulla sinistra idrografica gli Appennini e sulla destra gli alti collinari del senese e dell’aretino seguiti dai complessi vulcanici vulsino, cimino e sabatino. L’immagine che se ne trae immediatamente è quella di un versante, in sinistra, che sostiene il deflusso perenne e di un versante, in destra, che caratterizza le piene e gli stati di forte intumescenza nonché la quota di trasporto solido che ancora arriva al mare. Il versante in sinistra idrografica ha il suo baricentro nel fiume Nera, il versante in destra idrografica nel fiume Paglia. Alla “tranquillità” del primo fa da contraltare la “irrequietezza” del secondo. Su questa idrologia l’uomo, nel corso dell’ultimo secolo, ha realizzato un insieme di schemi idrici la cui importanza (e complessità interna) conferisce una diversa “dignità” al torrentone. Analizziamoli singolarmente. Lo schema irriguo A nord, sull’alto Tevere, a partire dagli anni Sessanta, fu ideata ed avviata la realizzazione dello schema idrico facente capo oggi all’Ente Irriguo Umbro-Toscano. Capace di immagazzinare16 complessivamente circa trecento milioni di metri cubi d’acqua (invasi di Montedoglio, di Casanuova e del Carpina oltre traverse e opere di presa nel bacino del Tevere e il piccolo invaso della Chiassaccia nel bacino dell’Arno), lo schema nasce inizialmente per “soccorrere” l’agricoltura di una vasta area che va dalla Chiana toscana (nel bacino dell’Arno) e dall’alta Val Tiberina fino a Todi estendendosi verso est nella piana del Topino-Marroggia e verso ovest fino ai comprensori irrigui intorno al lago Trasimeno ed ai laghi di Chiusi e Montepulciano. Oltre la funzione di “soccorso” lo schema avrebbe dovuto soddisfare gli usi civili, anche se in misura molto limitata (non superiore a qualche unità percentuale della prevista intera capacità di regolazione). Il “soccorso” all’agricoltura si sarebbe poi trasformato in un vero e proprio soddisfacimento dei fabbisogni irrigui nel momento in cui la struttura produttiva agricola fosse uscita dall’indeterminatezza degli orizzonti di sviluppo per orientarsi verso forme colturali a più alta redditività. In una prospettiva ancora più lontana lo schema avrebbe sostenuto le esigenze idriche di un’area più vasta ed articolata dal punto di vista delle utilizzazioni. La finalizzazione dello schema era dunque già tracciata nel senso che avrebbe dovuto accompagnare e sorreggere non solo le dinamiche di sviluppo socio-economico di un’area molto più vasta ma anche il soddisfacimento delle esigenze ambientali in relazione ai nuovi orientamenti culturali. Ancora oggi non è agevole intravedere la struttura delle future esigenti; è probabile che: nel settore agricolo si ridurrà gradualmente l’incidenza delle colture estensive a bassa redditività a favore di altre caratterizzate da un maggior livello di integrazione industriale e commerciale e con un conseguente estendimento dei consumi idrici al di fuori del tradizionale periodo irriguo17; nel settore civile i fabbisogni cresceranno sempre di più attorno ai centri di gestione del servizio idrico integrato; nel settore ambientale il sostegno alla portata minima vitale si tradurrà nel sostegno ad un regime di fluenze in grado di caratterizzare elevati livelli di qualità ambientale degli ecosistemi presenti nei tratti dei corsi d’acqua sottesi dalle opere di regolazione e di sostenere usi ricreativi legati sempre più alla maggiore disponibilità di “tempo libero”. 16
In realtà la capacità di immagazzinamento è maggiore; poiché i singoli serbatoi dello schema sono a rifasamento pluriennale la capacità di regolazione diventa il parametro di riferimento. 17 Tradizionalmente il periodo irriguo si svolge da maggio a settembre. Modificandosi la struttura produttiva il periodo irriguo potrebbe anche coincidere con l’intero anno, così come del resto avviene per i consumi civili. A parità di volumi consumati una tale evenienza non è indifferente rispetto ai bilanci idrici in quanto potrebbe accentuare eventuali punte di “deficit”. Occorre allora specializzare le procedure di bilancio secondo le usuali tecniche di valutazione del “cash flow”.
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Figura 2. Rappresentazione dello schema idroelettrico del Nera-Velino.
Come si vede il problema della ripartizione di una risorsa immagazzinata si trasforma in un problema di sostegno ad un cambiamento di “paesaggio” di non poco conto: dal paesaggio “rurale” dell’immediato dopoguerra al paesaggio “antropogenico”18 di un futuro molto probabile. Lo schema idroelettrico Più di dieci anni prima che negli Stati Uniti fosse istituita la Tennesse Valley Authority per contrastare i colpi della grande crisi economica del 1929, nel bacino del Nera era entrata in funzione la centrale idroelettrica di Galleto a sostegno del polo industriale di Terni19. I decenni successivi hanno visto l’originario schema ampliarsi verso tutto il Nera e verso il Velino completando così un mosaico del quale fanno parte l’invaso di Corbara, gli impianti sul Farfa e sull’Aniene e le traverse di Alviano, Ponte Felice, Nazzano e Castel Giubileo. Sul Tevere tra i primi del Novecento e gli anni Settanta si anticipa dunque l’orizzonte strategico della produzione di energia da fonti rinnovabili (e che tali dovranno essere mantenute) delineato dalle leggi n. 9 e n. 10 del 1991, promulgate dopo il referendum sul nucleare, e dal Programma d’azione adottato a Rio de Janeiro nel 1992 sullo sviluppo sostenibile. 18
Il termine “antropogenico” è un neologismo recentemente utilizzato con riferimento al rischio (“rischio antropogenico”) e più in generale agli effetti (“effetti antropogenici”) delle attività dell’uomo. Qui assume - con relativa responsabilità di uso improprio - il significato di sottolineare l’intima connessione tra i fenomeni fisici e le attività umane. 19 La centrale di Galleto non è la sola ad essere stata realizzata prima degli anni Trenta: in questo senso se ne contano ben cinque. La prima costruzione di una centrale idroelettrica nel bacino del Tevere risale al 1898.
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Figura 3. Rappresentazione dello schema irriguo dell’Alto Tevere.
Se si dovesse racchiudere lo schema idroelettrico in un’immagine-simbolo, non ci sarebbe nulla di più efficace della Cascata delle Marmore per l’idea del “valore idrodinamico” che ha l’acqua in questa parte del bacino e che costituisce il valore fondante del “paesaggio” appenninico dell’Italia centrale, prima ancora della sua “purezza” e “freschezza” di petrarchesca memoria. Difendere questo valore significa difendere il più efficace deterrente nei confronti di usi (e prelievi) meno sostenibili e la più grande opportunità di rendere tale schema un domani funzionale a più usi. Lo schema romano Lo schema idrico che fornisce acqua potabile alla popolazione di Roma e al suo hinterland (circa cinquecento milioni di metri cubi annui) ha radici in epoca romana ed ancora oggi una parte di quelle realizzazioni costituisce l’unica chiave di lettura dello schema attuale. 132
Ora come allora Roma, unica Capitale europea, beve acqua di “sorgente”20, intrinsecamente protetta e strutturalmente disponibile con costanza di portata in quanto proveniente dai massici calcarei del pre-appennino centrale (catene dei Simbruini e del Monte Velino). Lo schema a supporto del servizio idrico integrato romano è posto a chiusura dell’intero bacino idrografico, in una posizione delicata per gli impatti notevoli che le portate effluenti dagli impianti di depurazione hanno sul tratto finale del Tevere già di per sé gravato dai diciassettemila chilometri quadrati del bacino. La scommessa non è semplice: sostenere sul tratto terminale del fiume la presenza di una città di circa tre milioni di abitanti, che si muovono secondo logiche di sviluppo e di comportamento non sempre riconducibili a criteri assoluti di sostenibilità senza che le acque fluenti che ricevono gli scarichi subiscano un degrado tale da compromettere irrimediabilmente non solo gli ecosistemi presenti ma anche la sicurezza sanitaria. Così come la sfida non è di poco conto: saper rispondere ai cambiamenti futuri del “paesaggio metropolitano” mantenendo gli attuali requisiti di sostenibilità e introducendo quegli elementi di innovazione tecnica e tecnologica che raccolgano il “gradimento” del cittadino-utente. CONCLUSIONI I tre schemi descritti sono in equilibrio tra loro. Esiste ancora un margine di equilibrio, peraltro molto precario, con la miriade delle piccole derivazioni sparse lungo tutto il reticolo del bacino: l’attuale situazione non rappresenta dunque “il migliore dei mondi possibili”. Per questo motivo il piano di bacino individuò come prioritario l’obiettivo del “progressivo abbandono dei prelievi dissipativi ad acqua fluente” (i più comuni se non gli unici tra le piccole derivazioni) facendo leva sui grandi sistemi di approvvigionamento (e quindi di distribuzione) che in questa prospettiva conservano tutta la loro attualità e centralità. L’assetto idraulico del PAI è congruente con tale obiettivo delineando una strategia di utilizzazione del territorio al di fuori delle aree alluvionali e quindi coerente con le potenzialità attuali degli schemi che, valorizzando il “valore idrodinamico” della risorsa, consentono un utilizzo “a cascata” della stessa. Pur tuttavia schemi idrici ed assetto idraulico non formano ancora un “sistema”21 in quanto la semplice condizione di equilibrio (o di indifferenza) tra i vari schemi e di questi con l’assetto idraulico potrebbe non essere sufficiente a rispondere ai cambiamenti a venire che richiederanno una sempre maggior efficacia d’azione sia degli schemi che dell’assetto. Nulla garantisce che processi di razionalizzazione interna ai singoli schemi o maggiori affinamenti delle strategie di assetto idraulico, assunti isolatamente gli uni dagli altri, possano produrre i risultati voluti: esiste infatti un limite oltre il quale l’unica risposta è nella integrazione degli schemi stessi con le strategie di assetto, che diventano così “sistema”. Completiamo dunque l’affermazione della premessa: al “paesaggio” come rappresentazione sintetica ed organica degli effetti delle dinamiche fisiche e territoriali non può che corrispondere un “sistema” che, in relazione alle forzanti interne ed esterne, governi gli esiti e le istanze dello sviluppo22. L’Autorità di bacino è il soggetto al quale è affidata la custodia di un tale sistema.
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Sotto questo profilo l’Italia gode di un privilegio sconosciuto alla gran parte dei Paesi europei, in particolare a quelli dell’Europa continentale, per i quali l’unica fonte di approvvigionamento è costituita dagli acquiferi profondi del bassopiano franco-renano e, ovviamente, dai riusi di acque reflue. 21 Per la definizione di “sistema” occorre riferirsi alla Teoria dei sistemi. La parola a volte è usata non correttamente per riferirsi semplicemente a situazioni e/o a contesti di elevata complessità. 22 In tale contesto il termine “sistema” assume il significato proprio della Teoria dei sistemi. Vale la pena di richiamare al riguardo alcune teorie fondanti del pensiero sistemico: quella sull’autoregolazione e sul carattere indispensabile della varietà (W.R. Ashby) e quella sullo “incrementalismo sconnesso” quale strategia del policy macking (C.E. Lindblom). Ovviamente non si tratta di strumenti applicativi in senso stretto quanto di principi cui ispirarsi.
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Tutte le immagini utilizzate sono state fornite dall’autore del testo.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di novembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Progetti, Eventi e Segnalazioni pagg. 135-142
CONVEGNO INTERNAZIONALE “FIUME, PAESAGGIO, DIFESA DEL SUOLO. SUPERARE LE EMERGENZE, COGLIERE LE OPPORTUNITÀ”, FIRENZE 10-11 MAGGIO 2006. PRESENTAZIONE, APPROCCIO, OBIETTIVI E TEMI-CHIAVE Michele Ercolini *
Summary The objective of the international conference is trying to consider landscape river planning a cultural, social and economic investment instead of a “loss”, project that should aim to the control of a landscape that changes but, at the same time, keeps, from an ecological and environmental point of view, harmonic forms and sustainable structures and regenerates itself on the basis of human being needs without damage nature. The necessity of floods defence becomes an opportunity for planning new landscapes, new spaces and new natural and ecologic sceneries. Key-words Conference, holistic approach, landscape, rivers, necessity, opportunity
Abstract Il Convegno internazionale si è posto uno specifico obiettivo: arrivare a considerare il progetto del paesaggio fluviale un investimento culturale, sociale, economico anziché una “perdita”, puntando ad un “controllo” di un paesaggio che si trasforma mantenendo forme armoniche e strutture sostenibili sotto il profilo ecologicoambientale e si ridisegna continuamente sulla base delle esigenze dell’uomo, senza per questo sopraffare la natura. L’esigenza di difesa idraulica fluviale diviene così un’opportunità per la pianificazione di nuovi paesaggi, nuovi spazi e nuovi scenari ecologici e naturali. Parole chiave Convegno, approccio olistico, paesaggio, fiumi, esigenze, opportunità
* Dottore di Ricerca in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze
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PREMESSA Il 10 e 11 maggio 2006 si è tenuto, a Firenze, il Convegno internazionale sul tema “Fiume, paesaggio, difesa del suolo. Superare le emergenze, cogliere le opportunità”1. L’input culturale e scientifico di tale iniziativa (promossa ed organizzata dal Dottorato di Ricerca in Progettazione Paesistica - prof. Giulio G. Rizzo, dott. Michele Ercolini - e dal Master in Paesaggistica - prof. Guido Ferrara - dell’Università degli Studi di Firenze), vale a dire il tentativo di trasformare un “sistema di esigenze” (riconducibile a necessità di difesa del suolo) in un “sistema di opportunità” per la progettazione di “nuovi paesaggi”, ha contraddistinto la maggior parte delle relazioni presentate. Di seguito vengono elencati, sinteticamente, i temi chiave riconducibili a tale input2.
Figura 1. Locandina del Convegno.
PROMUOVERE UN APPROCCIO OLISTICO In molti degli interventi si è sottolineata la necessità-urgenza di promuovere un approccio olistico, superando l’orientamento cosiddetto “a compartimenti stagni”. Sostenere, in pratica, una sorta di “contaminazione di saperi”, un’azione interdisciplinare in grado di coinvolgere, oltre a quelle tradizionali dell’ingegneria idraulica, competenze di ecologia, geologia, ingegneria ambientale, architettura del paesaggio, biologia e scienze forestali. 1
Ideazione, progetto, organizzazione: dott. Michele Ercolini. Coordinamento scientifico: professor Giulio G. Rizzo, dott. Michele Ercolini. 2 Nel giugno 2007 sono stati pubblicati gli atti dalla casa editrice Firenze University Press.
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Figura 2. Segreteria del Convegno.
Durante il Convegno (sia all’interno delle singole relazioni che nei dibattiti di fine sessione) si è riflettuto sull’opportunità di modificare la politica finora adottata nella pianificazione e nella gestione dei corsi d’acqua e del territorio. In sostanza, si è ribadito il seguente messaggio: l’approccio “monoculturale” (idraulico) al controllo delle piene è fallito. Conseguenza: risulta fondamentale intervenire sui fiumi, sul territorio e il paesaggio annesso, in modo integrato e multidisciplinare. In tutte le relazioni presentate, è bene chiarirlo, l’interdisciplinarietà non è stata intesa quale semplice “accumulo-sovrapposizione” di saperi stratificati (idraulici, morfologici, storici, paesistici, ecologici, economici, sociali), ciascuno portatore della propria esperienza e della propria “verità”, ma come “processo di conoscenza” all’interno del quale si costituiscono “tra i saperi, o meglio, tra i loro interpreti, in contesti specifici, linguaggi comuni di concetti”. Ritrovare un accettabile livello di integrazione tra i saperi iperspecializzati e ipersettoriali risulta indispensabile, anche e soprattutto, in un’attività come la pianificazione urbanistica e paesistica dei sistemi fluviali. Proprio l’acqua, infatti, così come affermato da Vittoria Calzolari, “può essere considerata il primo filo conduttore della reintegrazione tra saperi e tra azioni”. Durante il Convegno è stato sottolineato, più volte, come in recenti studi e ricerche, la risorsa “acqua” e la risorsa “paesaggio” stiano iniziando a ritagliarsi, seppur ancora timidamente, un ruolo del tutto particolare; questo sia perché ritenuti elementi cardine di ogni ipotesi di processo di trasformazione del territorio, sia perché riconosciuti come concetti “portatori di nuovi approcci disciplinari integrati, che vanno trovando definizione con riferimento alla nozione oggi sempre più ricorrente di piano/progetto strategico: espressione di orientamenti innovativi rispetto ai tradizionali approcci programmatici e pianificatori, rivolti all’assunzione di una visione sistemica, integrata, multiscalare e multidisciplinare delle trasformazioni ambientali, anche nelle loro implicazioni di carattere operativo (molteplicità dei soggetti coinvolti, complessità del processo decisionale, correlazione con aspetti di programmazione e fattibilità economica)”3. 3
FABRIZIO SCHIAFFONATI, ELENA MUSSINELLI, Il tema dell’acqua nella pianificazione urbanistica, in UGO MAIONE, ARMANDO BRATH, PAOLO MIGNOSA, “La difesa idraulica delle aree urbane”, Ed. Bios, Cosenza 2002, pag. 15.
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SUPERARE LA “CULTURA DELL’EMERGENZA” La “cultura dell’emergenza” porta a considerare i corsi d’acqua semplici manifestazioni idrauliche da cui difendersi in nome della sicurezza della vita umana. Questo tipo di approccio, ove il fiume diventa “qualcosa” che incute timore, contribuisce alla diffusione della cosiddetta “difesa passiva del territorio”, ovvero una politica che, basandosi esclusivamente o quasi sulla ricostruzione e sulla riparazione a danno avvenuto, instaura quella logica perversa dell’intervento straordinario, mettendo in secondo piano i sistemi della prevenzione. Promuovere un allontanamento dalla “cultura dell’emergenza” ovviamente non significa, così come chiarito in sede di Convegno, criticare tutto quello che si è fatto (di buono) in questi ultimi anni in termini di pianificazione dell’emergenza. Ci riferiamo, in particolare, ai criteri di massima e alle linee guida attorno ai quali ruota la “macchina dell’emergenza” e, implicitamente, la programmazione e previsione degli eventi calamitosi. Criticare la logica di tale “cultura”, così come sottolineato durante i dibattiti di fine sessione, significa, al contrario, condannare con forza “l’ordinarietà della pianificazione straordinaria”, la “cultura dell’emergenza permanente”. Cerchiamo di capire meglio. Nel nostro Paese, sempre più di frequente, si verificano calamità generate da eventi alluvionali. Con la stessa sicurezza si può affermare, senza il timore di essere smentiti, che in Italia si continua a rispondere a tutto ciò sostenendo ed incentivando la logica della straordinarietà, condensando e “intasando” di infrastrutture il territorio e il paesaggio senza, per di più, un’opportuna pianificazione a monte. Ancora oggi, non a caso, ad ogni piena, ad ogni evento alluvionale “eccezionale”, ricompaiono puntuali le proposte ed i meccanismi dell’intervento straordinario e delle grandi opere, al di fuori di piani e programmi adeguati. La “cultura dell’emergenza” ha comportato, e comporta tuttora, un sistema di interventi disarticolati i quali, anche se talora necessari, minacciano fortemente la sopravvivenza delle risorse fluviali. In proposito, molti relatori si sono soffermati e hanno denunciato (mostrando casi italiani, ma non solo) lo stravolgimento degli alvei, le razzie sulle golene, le frequenti cementificazioni delle sponde, l’elevata presenza di dighe, sbarramenti e invasi. Tutte soluzioni tecnologiche a problemi puntuali che si risolvono, spesso, in un beneficio di breve durata e in un differimento spazio-temporale del degrado e del pericolo. Una logica, questa, ancora dominante e “che nel passato ha favorito l’istituzione di enti di intervento straordinario, le gestioni commissariali, l’abuso del sistema delle concessioni, l’affidamento di commesse di opere pubbliche al sistema delle imprese private e a partecipazione statale”4. Affrontare il problema delle alluvioni esclusivamente come “emergenza” significa, altresì, semplificare i problemi, restringere i tempi, facilitare la lettura delle cause ripercorrendo il più delle volte scelte ed indirizzi (ma anche errori) del passato. Un programma fatto in fretta, che impiega decine di milioni di euro, “crea situazioni pregresse difficili da modificare: e la fretta non giova - come dimostrato in numerose occasioni - alla qualità del progetto, che viene ad essere operato su interpretazioni approssimative degli eventi e su progettazioni ingessate dalle risorse programmate”5. Durante il Convegno si è voluto rimarcare, in particolare, l’estrema necessità di sostituire alla logica “dell’emergenza permanente” la Cultura della pianificazione ordinaria e del mantenimento migliorativo del suolo e delle opere di difesa. Ovvero, alla proliferazione di interventi urgenti e straordinari (che ripropongono, il più delle volte, le stesse opere e gli stessi errori del passato con uno spreco di soldi, tempo ed energie), rispondere promuovendo un serio governo dei fiumi, delle acque, del territorio, del paesaggio. 4
ADRIANO GOIO, Il territorio fragile, in ERMINIO M. FERRUCCI (a cura di), “Primo Forum Nazionale: rischio idraulico e assetto della rete idrografica nella pianificazione di bacino. Questioni, metodi, esperienze a confronto”, Maggioli Editore, Rimini 2003, pag. 380 (versione in pdf). 5 SIMONA BARDI (a cura di), Liberafiumi - Proposte per il miglioramento della qualità degli ambienti fluviali, dossier allegato alla rivista “Attenzione”, 23, 2001, Edizione Edicomp, Roma 2001, pag. 10.
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Figura 3 (a sinistra). Apertura dei lavori: da sinistra, prof. Guido Ferrara, prof.ssa Mariella Zoppi, prof. Romano del Nord, prof. Raimondo Innocenti. Figura 4 (a destra). Lo scrittore Maurizio Maggiani durante il suo “racconto”.
CONIUGARE TUTELA DELLE RISORSE E SICUREZZA DELLA POPOLAZIONE Il sistema delle esigenze riconducibile alla difesa del suolo è passato, almeno nelle intenzioni, da semplice tema applicativo legato a tecniche idrauliche ad elemento determinante degli interventi di pianificazione del territorio e del paesaggio. In particolare, le problematiche inerenti la difesa del suolo sono oggi (o meglio dovrebbero essere) affrontate in termini non di intervento puntuale localizzato ma di pianificazione territoriale a scala di area vasta. Proprio perseguendo questa direzione, come già accaduto in altri Paesi europei (Francia, Olanda e Inghilterra), anche in Italia, a partire dalla fine degli anni Ottanta, venne avviata una (nuova) politica di difesa del suolo fondata sulla pianificazione per bacini idrografici. Un nuovo modo di porsi in cui “fiumi, terre e società umane divengono le polarità di un processo di conoscenza e pianificazione che non può essere scisso dal territorio. […] L’intento è quello di promuovere strumenti di programmazione integrata in grado di restituire una base conoscitiva organizzata, riferita al territorio corrispondente al ‘bacino idrografico’, per coniugare tutela delle risorse e sicurezza della popolazione”6. “Coniugare tutela delle risorse e sicurezza della popolazione” significa, poi, tenere conto del legame esistente tra governo del territorio, difesa dalle alluvioni e salvaguardia del “sistema delle risorse” (risorse ecologiche, paesistiche, storiche, culturali, eccetera). In questo modo “l’acqua - come sottolineato da Giuliano Cannata - è di volta in volta fattore di rischio e di crisi, risorsa umana, economica, naturale da difendere, e il suolo e il territorio sono a un tempo ricchezza da difendere e sorgente ultima di rischio (in quanto produttori di dissesto e inquinamento) per l’ambiente in generale e per l’acqua in particolare”. SOSTENERE UNA NUOVA “CULTURA DELL’ACQUA” Il rapporto fiume/paesaggio/esigenze di difesa del suolo, pur rappresentando uno dei temi chiave nel governo del territorio, risulta, alla luce dei fatti, inspiegabilmente poco esplorato. Tutto ciò nonostante la “risorsa paesaggio” sia tra quelle maggiormente condizionate dall’azione dell’uomo, a seguito della sconsiderata artificializzazione e dell’eccessivo grado di uniformità indotti, proprio, dalle necessità di difesa dal rischio inondazioni.
6 PAOLO FRANCALACCI, I fiumi e le risorse naturali del territorio, in PAOLO FRANCALACCI, ATTILIA PEANO (a cura di), “Parchi, Piani, Progetti - Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche”, G. Giappichelli, Torino 2002, pag. 261.
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Figura 5. Sala del Rettorato: il numero totale dei partecipanti ha superato le trecento presenze.
Quello che, a nostro avviso, ancora sfugge nella fase di pianificazione dei sistemi fluviali (motivata da esigenze di difesa idraulica) sono le regole e, soprattutto, le motivazioni che collegano la risorsa acqua agli equilibri ambientali, ai risvolti socio-economici, alle scelte insediative e, infine, alla progettazione di nuovi paesaggi. Il tutto può ricondursi ad una questione di natura culturale. Assumere come obiettivo il sostegno per una nuova Cultura dell’acqua richiede, così come denunciato in alcune relazioni (Calzolari, Laureano), profondi cambiamenti nelle nostre scale di valori, nel nostro modo di intendere la natura e nell’approccio alle esigenze. Significa, in pratica, mettere in discussione il modello tradizionale di gestione idraulica secondo cui l’acqua è considerata solo come bene economico, una semplice risorsa produttiva da sfruttare o da cui difendersi. Significa, usando le parole di Vittoria Calzolari, promuovere “la capacità da parte di una società di dare risposta alle diverse esigenze umane che in qualche modo dipendono dall’acqua, utilizzando le qualità e le potenzialità del bene in modo intelligente, lungimirante ed economico sotto il profilo ambientale”. Nel caso specifico della pianificazione alla scala di bacino sviluppare una cultura dell’acqua “implica che la risorsa acqua e il sistema fluviale siano assunti come fattori guida nei piani urbanistici e paesistici, e più in generale, in ogni tipo di progetto o piano in cui siano presenti aspetti ambientali”. In ragion di ciò, il ruolo della Cultura dell’acqua deve essere recepito all’interno della progettazione paesistica quale elemento integratore tra saperi, azioni e riqualificazione fluviale. La risorsa acqua intesa come fattore costitutivo dell’identità fiume, identità in sé, ma anche nel suo rapporto con il contesto territoriale e paesistico. Certamente la strada da percorrere, così come emerso nel dibattito finale, è ancora lunga, ma questo non ci deve intimorire perché se non possiamo farci carico di cambiare tutto entro domani, possiamo, o meglio, dobbiamo sentirci responsabili di sviluppare o di (ri)creare dal nulla, se ce ne fosse bisogno, una Cultura dell’acqua adeguata, una metodologia d’intervento apposita, unitamente ad un rinnovato “sistema di governo” che risponda a tale cultura.
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DALLE ESIGENZE ALLE OPPORTUNITÀ L’ultimo tema chiave emerso e discusso nelle due giornate di lavoro riguarda la necessità, sempre più urgente, di un’inversione di tendenza, qui intesa quale esito di un’opzione strategica: passare dalla mera gestione idraulico-ingegneristica alla salvaguardia del “sistema delle risorse” e alla “produzione” di opportunità, anche attraverso un “disegno” di paesaggio in grado di confrontarsi con le spinte della modernizzazione e di gestire i mutamenti e le trasformazioni che, comunque, soprattutto in assenza di interventi, interferiscono con esso. Il tutto è stato discusso e inquadrato non in termini di valutazione d’impatto ambientale, ma cercando di promuovere un approccio integrato entro cui riuscire a definire criteri guida per la progettazione di un “nuovo paesaggio”, criteri interpretati come riferimento costante, come “un a priori” rispetto ai processi di trasformazione da programmare e pianificare. Si è lavorato, in altre parole, verso una prospettiva fondata sul “dialogo” tra risorse, esigenze e opportunità, e soprattutto distinta e distante dall’approccio “cosmetico” e dalla logica del “compromesso e dell’emergenza”. Solo così, siamo convinti, l’esigenza di difesa del suolo, prima ancora che l’infrastruttura, può diventare occasione per un progetto di “un nuovo paesaggio”, possibilità concreta per trasformare in “luoghi” i “non luoghi”, in paesaggi i “paesaggi altri”. RELATORI & RELAZIONI Di seguito viene riportato l’elenco di tutti relatori (con i rispettivi interventi) che hanno partecipato alla manifestazione. Prof. Augusto Marinelli, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Firenze; prof. Romano del Nord, Prorettore dell’Università degli Studi di Firenze; prof. Raimondo Innocenti, Preside della Facoltà di Architettura, Università di Firenze; prof.ssa Mariella Zoppi, Assessore alla Cultura - Regione Toscana. Gabriele Paolinelli, Professore a contratto di Architettura del Paesaggio, Università degli Studi di Bologna - Paesaggi fluviali e reti ecologiche nella pianificazione territoriale; Giuseppe Gisotti, Presidente SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) - Interferenze fra geomorfologia fluviale, attività antropiche e paesaggio; Pietro Laureano, Unesco Centro Studi Ipogea - Cultura dell’acqua e costruzione del paesaggio; Romeo Farinella, Direttore CITER - Laboratorio di progettazione urbana e territoriale, Università degli Studi di Ferrara - I fiumi come infrastrutture culturali: l’esperienza del Po di Volano; Pompeo Fabbri, Ordinario di Architettura del Paesaggio, Politecnico di Torino - Il fiume come sistema: il caso di Torino città d’acque; Maurizio Maggiani, Scrittore - Acqua, fiume e memoria: il “paesaggio raccontato”; Guido Ferrara, Coordinatore del Master in Paesaggistica, Università degli Studi di Firenze. Paolo Urbani, Ordinario di Diritto amministrativo, Università degli Studi di Pescara Università Roma Tre - Acque, fiumi e difesa del suolo: problemi giuridico-legislativi degli assetti della pianificazione e della tutela ambientale; Bruno Brunetti, Claudia Chicca, Domenico Danese, Dirigenti AIPO (Agenzia Interregionale per il Po) - Grado di attuazione degli interventi sulla base degli strumenti di pianificazione: l’esperienza dell’AIPO sul fiume Po; Giovanni Menduni, Segretario dell’Autorità di Bacino del Fiume Arno - La pianificazione alla scala di bacino tra governo della risorsa fiume e governo delle trasformazioni: l’esperienza dell’AdB del fiume Arno; Alberto Magnaghi, Ordinario di Pianificazione Territoriale, Università degli Studi di Firenze - La progettazione multidisciplinare dei parchi fluviali: il caso della media valle dell’Arno; Francesco Piragino, Direttore del Consorzio di Bonifica “Colline del Chianti” - Esigenze di difesa del suolo e riqualificazione del torrente Pesa (Toscana): l’opportunità di un approccio integrato; Tiziano Lepri, Assessore Pianificazione territoriale, Difesa del suolo, Bonifica, Piccoli Comuni, Provincia di Firenze.
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Erik Mosselman, Istituto Delft Hydraulics - Università degli Studi di Delft (Olanda) - “Room for the river”: nuova gestione della difesa idraulica e nuove opportunità di progettazione ecologica e paesaggistica in Olanda; Maija Rautamaki, Direttrice del Dipartimento di Architettura del Paesaggio, Politecnico di Helsinki - Land use and landscape management in Finnish river valleys; Domenico Luciani, Direttore Fondazione Benetton Studi Ricerche Un caso tedesco: il fiume Mulde e le miniere della Goitzsche; Giuseppe Baldo, Direttore del CIRF (Centro Italiano di Riqualificazione Fluviale) - La riqualificazione fluviale in Italia: esperienze e sfide; Pippo Gianoni, Direttore a.i. del Centro Internazionale Civiltà dell’Acqua - “Il respiro delle acque”. Presentazione del libro dedicato a Renzo Franzin; Danilo Palazzo, Professore Associato di Progettazione Urbanistica, Politecnico di Milano. Roberto Gambino, Ordinario di Urbanistica, Politecnico di Torino - Difesa del suolo e pianificazione territoriale: separare quando necessario, integrare ovunque possibile; Vittoria Calzolari, Ordinario di Urbanistica, Università La Sapienza di Roma - Cultura dell’acqua e pianificazione paesistica alla scala di bacino: idee ed esperienze; Michele Ercolini, Dottore di ricerca in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze - Fiume, paesaggio, difesa del suolo: dal “paesaggio altro” al “paesaggio terzo”; Giuliano Cannata, Professore a contratto di Pianificazione dei bacini fluviali, Università degli Studi di Siena - Acque, fiumi, pianificazione dei bacini idrografici: l’uso del suolo come difesa; Maria Cristina Treu, Ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano - Pianificazione di bacino, urbanistica e pianificazione territoriale: linguaggi, strumenti, casi; Giulio G. Rizzo, Coordinatore del Dottorato in Progettazione Paesistica, Università degli Studi di Firenze. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ERCOLINI MICHELE, Dalle esigenze alle opportunità. La difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo”, Firenze University Press, Firenze 2006. ERCOLINI MICHELE, Fiume, territorio e paesaggio: l’opportunità di un approccio integrato, in Quaderni della Ri-Vista - Ricerche per la progettazione del paesaggio - Dottorato di ricerca in Progettazione paesistica – Università di Firenze, Quaderno n. 2 – volume 2 – maggio-agosto 2005, Firenze University Press, Firenze 2005. FERRUCCI ERMINIO M. (a cura di), Primo Forum Nazionale: rischio idraulico e assetto della rete idrografica nella pianificazione di bacino. Questioni, metodi, esperienze a confronto, Maggioli Editore, Rimini 2003. FRANCALACCI PAOLO, PEANO ATTILIA (a cura di), Parchi, Piani, Progetti - Ricchezza di risorse, integrazione di conoscenze, pluralità di politiche, G. Giappichelli, Torino 2002. GHETTI PIER FRANCESCO, Manuale per la difesa dei fiumi, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1993. KIPAR ANDREAS, Il paesaggio e la difesa idraulica, in MAIONE UGO, BRATH ARMANDO, MIGNOSA PAOLO, “La difesa idraulica delle aree urbane”, Editoriale Bios, Cosenza 2002, pagg. 57-60. SCHIAFFONATI FABRIZIO, MUSSINELLI ELENA, Il tema dell’acqua nella pianificazione urbanistica, in MAIONE UGO, BRATH ARMANDO, MIGNOSA PAOLO, “La difesa idraulica delle aree urbane”, Ed. Bios, Cosenza 2002. RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: elaborazione di Michele Ercolini. Figure 2-5: foto di Michele Ercolini. Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte. 142
Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Progetti, Eventi e Segnalazioni pagg. 143-150
PRESENTAZIONE DEL “MANIFESTO DEL TERZO PAESAGGIO” CLÉMENT, GIOVEDÌ 12 OTTOBRE, TRIENNALE LAB, MILANO
DI
GILLES
Chiara Lanzoni *
Summary “Manifeste du Tiers paysage” is the first book translated in Italian of the French landscaper Gilles Clèment, work that becomes part of his continuous research on the edge of the equilibrium between planning experience and theoretical treatment. Through the expression “Tiers paysage”, unsettled fragment of the planetary garden, Clèment indicates all the places in which man leaves to the only nature the landscape evolution, where all human activities are suspended. The presentation of the work was attended by Stefano Boeri, Pierluigi Nicolin and Filippo De Pieri, the volume trustee, and was accompanied by the underlining, from the author’s part, of some key concepts: the diversity contained in these places, refugee for species that can’t find space elsewhere, the astonishment by which we have to see and to refer to nature. These concepts sustain the theme that accompanies every chapter of the book, delicately but intensely at the same time: the man consciousness of his being part of nature. And after having done this “manifest”, man can’t help feeling responsible. Key-words Third landscape, refuge of diversity, amazement, manifeste
Abstract “Manifesto del Terzo paesaggio” è il primo libro tradotto in italiano del paesaggista francese Gilles Clément, opera che si inserisce nella sua ricerca continua sul filo dell’equilibrio tra esperienza progettuale e trattazione teorica. Con l’espressione “Terzo Paesaggio”, frammento indeciso del giardino planetario, Clèment indica tutti i luoghi in cui l’uomo lascia alla sola natura l’evoluzione del paesaggio, dove l’attività umana è sospesa. La presentazione del libro, a cui hanno partecipato Stefano Boeri, Pierluigi Nicolin e il curatore del volume Filippo De Pieri, è stata accompagnata dalla puntualizzazione, da parte dell’autore, di alcuni concetti chiave: la diversità contenuta in questi luoghi, rifugio per specie che non trovano spazio altrove; lo stupore con cui dobbiamo guardare e rapportarci alla natura. Questi concetti sostengono il tema che accompagna ogni capitolo del testo, delicatamente ma intensamente allo stesso tempo: la presa di coscienza dell’uomo del suo essere parte della natura. E dopo aver reso ciò “manifesto”, l’uomo non può esimersi dal sentirsi responsabile. Parole chiave Terzo paesaggio, rifugio per la diversità, stupore, manifesto
* Dottoranda di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze
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UN MANIFESTO PER IL TERZO PAESAGGIO Gilles Clément è uno dei principali paesaggisti contemporanei, ingegnere agronomo, botanico, entomologo, scrittore. Nell’appuntamento alla Triennale di Milano, il 12 ottobre 2006, ha presentato il suo ultimo libro, Manifesto del Terzo paesaggio, in occasione della pubblicazione italiana del testo, la prima di uno dei suoi lavori. Nel libro, Clément condensa tutta la sua produzione, teorica e pratica, affidando alla tipologia del manifesto l’espressione dei concetti elaborati per un Terzo paesaggio; paesaggio che non appartiene alle categorie osservate fino ad ora e spesso non viene considerato. Che racchiude al suo interno diverse tipologie di forma, dimensione e statuto ma con la caratteristica comune di essere un paesaggio in cui l’attività umana è sospesa1. “Se si smette di guardare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (sarà una dimenticanza del cartografo, una negligenza del politico?) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione sui quali è difficile posare un nome. Quest’insieme non appartiene né al territorio dell’ombra né a quello della luce. Si situa ai margini. Dove i boschi si sfrangiano, lungo le strade e i fiumi, nei recessi dimenticati dalle coltivazioni, là dove le macchine non passano. […] Tra questi frammenti di paesaggio nessuna somiglianza di forma. Un solo punto in comune: tutti costituiscono un territorio di rifugio per la diversità. Ovunque, altrove, questa è scacciata. Questo rende giustificabile raccoglierli sotto un unico termine. Propongo Terzo paesaggio, terzo termine di un’analisi che ha raggruppato i principali dati osservabili sotto l’ombra da un lato, la luce dall’altro”2. Nel senso etimologico del termine la parola manifesto, utilizzata come aggettivo, indica un qualcosa di evidente, di palese. Ma manifesto è anche un documento redatto al fine di far conoscere alla collettività un fatto, un’intenzione o un programma3. Il testo di Clément ha del manifesto la struttura paradigmatica, fatta per punti, quasi per aforismi, ricordando così i manifesti delle avanguardie culturali, artistiche e politiche del secolo scorso. È strutturato in dodici brevi capitoli articolati per punti, preceduti da un paragrafo, Definizioni, che inquadra il tema e introduce allo sviluppo dei concetti chiave per un Terzo paesaggio. L’epilogo del libro, intitolato Manifesto, racchiude la vera parte programmatica dell’opera: per ogni sezione, lenti attraverso cui l’autore ha guardato al Terzo paesaggio, individua frasi essenziali come slogan propositivi, che lui stesso afferma possano essere espresse anche in forma interrogativa. Con il Manifesto del Terzo paesaggio Clément riprende i concetti espressi negli anni precedenti, ne mostra le evoluzioni e le connessioni reciproche, centrando il tema che da sempre caratterizzava la sua ricerca ma che fino ad ora non era stato definito con una specifica dimensione. Il termine Terzo paesaggio, come spiega nel libro alla sezione I - Origine, nasce dall’analisi condotta sul paesaggio di Vassivière nel Limousine, che portò alla luce l’artificiosità di quello che sembrava naturale e invece era frutto dell’attività umana. Lo studio mostrò il carattere binario di questo paesaggio: da un lato il paesaggio dell’ingegnere forestale, paesaggio di ombra dominato dalle piante di douglas, dall’altro lato il paesaggio dell’agronomo, paesaggio della luce, prodotto dello sfruttamento a fini agricoli del suolo. Nella dicotomia di luce e ombra Clément si rese conto che queste due categorie non esaurivano la descrizione del paesaggio nella sua interezza: si accorse dell’esistenza di una terza categoria, dove le specie vegetali, scacciate dall’uomo nei terreni sottoposti a sfruttamento, si rifugiano e trovano le condizioni per vivere. Clément mostra fin dall’inizio della sua attività un’attenzione particolare verso i terreni abbandonati, i residui, dèlaissè, e gli incolti, friches. 1
L’aggettivo “sospesa” può indicare chiaramente lo stato di transizione di queste aree. Il non uso di un terreno, come esplica Gilles Clemént, può dipendere da vari fattori: l’abbandono di un’attività, in attesa di un utilizzo migliore, oppure il non utilizzo legato alla casualità o a difficili condizioni di accesso al luogo. 2 GILLES CLÉMENT, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005, pagg. 10-11. 3 Tratto da Il Nuovo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana, di Nicola Zingarelli, Zanichelli, Bologna 1990. 144
Figura 1. Disegni di Gilles Clément che rappresentano i rifugi per la diversità, ciò che egli definisce Terzo paesaggio: la somma dei residui, delle riserve e degli insiemi primari. E il confronto con la diversità presente negli spazi gestiti dall’uomo.
Per questi paesaggi intraprende una ricerca condotta sull’equilibrio tra il lasciar essere e l’intervento diretto, tra il rispetto di quello che succede in un luogo in stato di abbandono e l’azione del giardiniere che modifica e interviene sui processi4. Nel testo non si limita a dare una definizione di cosa è il Terzo paesaggio ma entra nel funzionamento di questi spazi, ne descrive l’estensione, il carattere, lo statuto ossia i rapporti con le questioni territoriali e amministrative, le sfide, la mobilità, l’evoluzione, la scala, la rappresentazione dei limiti, i rapporti con il tempo, la società e la cultura5. È un modo per tentare di affinare il nostro sguardo, vedere gli spazi che stanno tra e che non hanno una definizione precisa, per rendere questi spazi manifesti. Può sembrare insolito che sia una casa editrice di filosofia a pubblicare, in italiano, l’ultimo libro di Gilles Clément, ma non è casuale. Clément viene definito da Alain Roger6 “il più filosofo” dei paesaggisti francesi: “se, come già osservava Gilles Deleuze, caratteristica della filosofia è la capacità di creare concetti, non vi è dubbio che Gilles Clément meriti pienamente il titolo di filosofo: e non è eccessivo, forse, vedere in lui il Liebniz o il Deleuze […] dei giardini e del pensiero paesaggistico”7. Nel corso della sua attività, infatti, Clément ha elaborato ed espresso due concetti basilari quali il Jardin en mouvement e il Jardin Planetaire, teorizzati attraverso scritti e sperimentati nella realizzazione di giardini. Il Manifesto del terzo paesaggio è quindi il terzo asse di ricerca dell’attività teorica e pratica di Gilles Clément, che non può prescindere dalle trattazioni che lo precedono ma anzi procede da esse. 4
Per Gilles Clément il giardiniere é colui che opera con la natura e con il paesaggio: il paesaggista, l’agronomo, l’ingegnere forestale, eccetera. Il termine evoca il legame con l’esperienza diretta, prima di tutto il giardiniere è colui che osserva e conosce la natura. 5 I capitoli del libro Manifesto del terzo paesaggio, dal n.3 al n.12, sono denominati secondo questi titoli seguendo un ordine progressivo. 6 Alain Roger è filosofo e romanziere, professore di Estetica e di Teoria del Paesaggio. È autore di numerosi contributi sul tema del paesaggio e la sua attività è volta principalmente alla ricerca di una Teoria del paesaggio. 7 ALAIN ROGER, Dal giardino in movimento al giardino planetario, in “Lotus navigator”, 2 – aprile, I nuovi paesaggi, Electa, Milano 2001, pag. 72. 145
L’UOMO E LA NATURA: OSSERVARE CON STUPORE IL GIARDINO PLANETARIO Durante il suo intervento alla Triennale, Gilles Clément si sofferma sull’attenzione che l’uomo deve avere nei confronti della natura, atteggiamento che guida la sua ricerca teorica, i progetti ma anche la quotidianità nell’osservazione di ciò che lo circonda. Clément parla di poesia, rispetto e amore verso il paesaggio, dello stupore suscitato in lui ogni volta nell’osservare gli animali che popolano il suo giardino e le specie vegetali che lì vivono. Il giardiniere è prima di tutto un osservatore, che studia, scopre le relazioni e i comportamenti tra gli esseri. “Regarder pourrait bien être la plus juste façon de jardiner demain”8. E ad ogni osservazione associa un’azione, che deve assecondare il “potere di invenzione della natura”9. Secondo Clément il giardiniere deve collaborare con la natura, non agire contro di essa. Questo principio sintetizzato dal motto “faire le plus possible avec, le moins possible contre”10 individua il ruolo del giardiniere e di Clément stesso all’interno del giardino: assecondare il più possibile e ostacolare il meno possibile le energie in gioco, concentrare l’attività verso l’osservazione della natura e minimizzare gli interventi11. È così che progettò il suo giardino a la Creuse, dove sviluppò il primo esperimento sul tema del giardino in movimento, tenendo conto dei ritmi biologici e della diversità della vegetazione. Sullo stesso principio realizzò in parte il parco André Citröen di Parigi12. Il termine Jardin en Mouvement venne descritto per la prima volta nel 1984, all’interno dell’articolo La friche apprivoisée, ovvero l’incolto addomesticato. Come ricorda Alain Roger nel suo saggio “se è vero che il principio di economia è l’essenza stessa del giardinaggio, ciò non significa che questo si riduca al volgare laisser faire. Al contrario, esso implica un certo controllo: l’incolto viene addomesticato, la natura educata, anche se l’addomesticato deve sempre svolgersi in modo dolce”13. L’accostamento dei due termini produce però un paradosso: l’incolto per definizione esclude l’utilizzo da parte dell’uomo, mentre nell’addomesticare l’uomo è l’artefice primario. Una possibile chiave di interpretazione viene suggerita nel dibattito da Stefano Boeri, che introduce il tema della “metafora della coltivazione”14, sottolineando come questo sia uno dei grandi suggerimenti che Clemént ci dà: misurare gli interventi su tempi medio-lunghi, ripresi dalla logica del coltivare. La friche, l’incolto, è uno spazio in cui le specie sono lasciate libere di installarsi e svilupparsi, luoghi che non sono voluti e costruiti dall’uomo e che spesso sfuggono alla nostra attenzione, ma che presentano una grande ricchezza e un’elevata densità di specie. L’insegnamento di Clemént è quello di prendersi cura di questi luoghi attraverso interventi dai tempi dilatati, secondo una logica che richiama la coltivazione, piuttosto che il progetto inteso come attuazione formale di un’idea. In questo modo passa in secondo piano l’apparente paradosso dell’incolto addomesticato: non ci si deve più chiedere fino a che punto si può intervenire con il progetto, poiché è il progetto che segue la natura e non il contrario. 8
GILLES CLEMENT, La Sagesse du jardinier, L’œil neuf, Parigi 2004. FILIPPO DE PERI, Gilles Clément in movimento, in GILLES CLÉMENT, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005, pag. 70. 10 Le Jardin en Mouvement, www.gillesclement.com 11 Ogni essere dispone per il proprio sviluppo di una certa quantità di energia. Le pratiche che Gilles Clément segue nelle trasformazioni propongono di minimizzare il dispendio e sfruttare al meglio le energie proprie degli esseri viventi. 12 Il Parc André Citröen viene progettato nel 1989 dall’equipe formata dai due gruppi vincitori del concorso, Gilles Clément e l’architetto Patrick Berger da una parte, il paesaggista Alain Provost e gli architetti J.P.Viguier e J.F. Jodry dall’altra. 13 ALAIN ROGER, op. cit., Milano 2001, pag. 73. 14 Questa espressione, così come alcune parti del testo, sono state redatte citando e rielaborando gli interventi svolti da Gilles Clément, Stefano Boeri e Pierluigi Nicolin in occasione della presentazione del volume Manifesto del Terzo paesaggio, in data 12 ottobre 2006, presso la Saletta Lab della Triennale di Milano. 9
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Figura 2. Schizzo di Gilles Clement: la Carta dei biomi in un continente teorico, che riporta il concetto del giardino planetario.
Nel Manifesto l’autore si esprime in merito all’estensione del Terzo paesaggio affermando che le sue frontiere sono quelle “del Giardino planetario, limiti della biosfera”15. Secondo Clément, dobbiamo immaginare il nostro pianeta come un grande giardino, sviluppare il concetto di giardino dall’hortus conclusus del monaco medioevale al jardin planètair. “Il Giardino planetario è una rappresentazione del pianeta come giardino. Il sentimento di finitezza ecologica fa apparire i limiti della biosfera come lo spazio concluso di ciò che è vivente”16. Il secondo concetto teorico formulato da Clément, il giardino planetario appunto, entra pienamente nelle definizioni del Terzo paesaggio: l’intero pianeta viene considerato come un giardino, chiuso e recintato, i cui confini sono quelli oltre ai quali non esistono esseri viventi, lo spazio di “una relazione tra uomo e natura in cui l’attore privilegiato – il giardiniere, cioè il cittadino planetario – agisce localmente nel nome e nella coscienza dell’intero pianeta”17. Nel suo racconto Thomas et le Voyageur18 Clément presenta la “parabola delle antinomie presenti nel giardino planetario, prima fra tutte quella di Thomas, artista sedentario, giardiniere vernacolare, e del suo anonimo “doppio”, il Viaggiatore planetario”19. 15
GILLES CLEMENT, op. cit., Macerata 2005, pag. 16. GILLES CLEMENT, op. cit., Macerata 2005, pag. 8. 17 ALAIN ROGER, op. cit., Milano 2001, pag. 82. 18 Romanzo scritto da Gilles Clément nel 1997. Il titolo completo é Thomas et le Voyageur. Esquisse du jardin planétaire. Il libro racconta del confronto epistolare dei due protagonisti: Thomas, studioso e uomo pratico che osserva e ragiona su ciò che direttamente lo circonda; il viaggiatore, uomo di scienza che ragiona alla scala planetaria e che attraverso le sue lettere dai diversi posti del mondo che visita, mette in crisi le certezze di Thomas. Lo scopo comune dei due protagonisti è lo studio del giardino planetario. 19 ALAIN ROGER, op. cit., Milano 2001, pag. 75. 16
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Figura 3. Schizzo di Clément che rappresenta una stessa superficie di residuo, compatto o frammentato ad esempio a causa delle maglie dell’urbanizzazione. A parità di superficie il residuo frammentato presenta un numero di specie inferiore.
Con l’ossimoro del giardino planetario Clément indica il suo modo di considerare l’ecologia integrata all’uomo, e la finalità del giardino planetario che è quella di gestire la diversità senza distruggerla. A questo proposito Clément osserva, attraverso la metafora del treno lanciato ad alta velocità verso lo sfruttamento del pianeta, che non dobbiamo solo rallentare la corsa, ma cambiare treno. Ancora una volta riporta il nostro sguardo sulla natura, sguardo disattento e distratto che produce uno sfruttamento incondizionato delle risorse. Per Clément il rapporto tra uomo e natura deve essere riconsiderato alla luce di una nuova attenzione alla diversità. Il Terzo paesaggio ha a che fare con piccoli spazi, residui di un’organizzazione territoriale: nella somma di questi spazi, sia che si trovino in un ambito rurale sia che si trovino in un ambito urbano, si detiene la qualità del paesaggio planetario. In ogni capitolo del libro è contenuto un delicato, e allo stesso tempo esplicito, richiamo alla centralità dell’uomo. Non si parla di Terzo paesaggio in termini naturalistici o ecologici, la chiave di lettura che accompagna la trattazione del tema riserva all’azione dell’essere umano un ruolo decisivo: il Terzo paesaggio è legato alla demografia, acquista una dimensione politica nella necessità di essere conservato e sviluppato, la sua evoluzione accompagna quella dell’organizzazione territoriale. Gilles Clément, in un passo del libro, così sintetizza l’importanza del ruolo giocato dall’uomo nella gestione della diversità: “la durata del Terzo paesaggio – della diversità, del futuro biologico – è legata al numero umano e soprattutto alle pratiche messe in opera da questo numero”20. Nel Manifesto sottolinea la centralità dell’istruzione, ancora una volta è l’uomo in primo piano, proponendo di “insegnare i motori dell’evoluzione come si insegnano le lingue, le scienze, le arti”21, in modo tale che gli strumenti per essere giardinieri siano conosciuti da tutti, per “facilitare il riconoscimento del Terzo paesaggio alla scala abituale dello sguardo”22. É un impegno per cui dobbiamo sentirci responsabili, in quanto noi stessi siamo parte della natura. 20
GILLES CLEMENT, op. cit., Macerata 2005, pag. 31. GILLES CLEMENT, op. cit., Macerata 2005, pag. 60. 22 GILLES CLEMENT, op. cit., Macerata 2005, pag. 62. 21
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Nella sua formula che è anche una dichiarazione di intenti,”On va a Jardiner la planète”23, Clément non indica tanto un intervento effettivo e concreto, quanto una predisposizione per fare della terra un giardino, richiamando il concetto del jardin planetaire. VERSO UNA COSCIENZA COLLETTIVA DEL TERZO PAESAGGIO “Lo statuto (non scritto ma accertato) del Terzo paesaggio è di ordine planetario. Il mantenimento della sua esistenza non dipende da esperti ma da una coscienza collettiva”24. Nel portare a conoscenza il tema del Terzo paesaggio Gilles Clément ha lo scopo di stimolare la riflessione, ricuperando il vero significato del manifesto: rendere palese, portare alla consapevolezza che il Terzo paesaggio appartiene alla collettività e come tale essa stessa deve tutelarlo e mantenerlo. Partendo dal presupposto che la terra è come un giardino, l’uomo ha la rivelazione dello spazio destinato alla vita e agli esseri viventi come uno spazio chiuso. Per Clément una volta messo in luce il concetto tutti devono sentirsi responsabili di questa nuova entità, divenendo così giardinieri. L’autore dichiara di essersi ispirato, per la teorizzazione del Terzo paesaggio, al Pamphlet dell’abate Sieyès del 1789: “Qu’est-ce que le Tiers-Etat? – Tout – Quel rôle a-t-il joué jusqu’à present? – Aucun – Qu’aspire-t-il à devenir? – Quelque chose”25. Il Manifesto del Terzo paesaggio è un modo per nobilitare gli spazi residuali, per avvicinare questi spazi all’uomo accettando che abbiano un loro codice che può rimanere indecifrabile; è un portare alla luce qualche cosa a cui fino ad ora non è stato riconosciuto alcun valore, ma che ricopre un’importanza primaria nella vita del nostro pianeta perché é il rifugio per la diversità. Conseguente alla presa di coscienza di questa ricchezza, tuttavia, la precisazione di Clément si pone contro ogni forma di tutela e regolamentazione, affermando che l’uomo non deve applicare al Terzo paesaggio i principi comuni dell’organizzazione del territorio, ma elevare la “non azione”, o un’azione minima, come possibile forma di rispetto nei confronti dei tempi e dei modi di crescita che appartengono agli esseri di questa diversità.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI CLEMENT GILLES, La sagesse du jardinier, L’oeil neuf, Paris 2004. CLEMENT GILLES, Les libres jardins de Gilles Clément, Editions du Chene, Parigi 1997. CLÉMENT GILLES, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005. ROGER ALAIN, Dal giardino in movimento al giardino planetario, in “Lotus navigator”, 2 aprile, I nuovi paesaggi, Electa, Milano 2001. SITI INTERNET http://www.gillesclement.com http://www.triennale.it/index.php?id=1&tbl=0&idq=361 http://www.quodlibet.it/generale/singole/clement.htm
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ALAIN ROGER, op. cit., Milano 2001, pag. 77. GILLES CLEMENT, op. cit, Macerata 2005, pag. 26. 25 Testo in lingua originale di Gilles Clément, tratto dal sito www.gillesclement.com. L’abate Emmanuel Joseph Sieyès, uomo politico francese, scrisse l’opuscolo politico Che cos’é il Terzo Stato? in cui denunciava l’assenza dei ceti non appartenenti alla nobiltà e al clero dagli organi rappresentativi e dall’ordinamento politico, di un terzo stato appunto. 24
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RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figure 1, 2, 3: CLÉMENT GILLES, Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005, pag. 23, pag. 29, pag. 38.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio ISSN 1724-6768 Università degli Studi di Firenze
Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica http://www.unifi.it/drprogettazionepaesistica/ Firenze University Press anno 5 – numero 7 – gennaio-giugno 2007 numero monografico Acque, fiumi, paesaggi. Chiavi di lettura, ambiti di ricerca, esperienze sezione: Progetti, Eventi e Segnalazioni pagg. 151-161
“TERRES DE RIVIÈRES” Alessandra Cazzola *
Summary Terre de Rivières is the outcome of a collaborative research undertaken with a EU funded project by the same name, which culminated in an international seminar held in November 2006. The workshop presents a collection of case studies on rivers and river regions each taking into account diverse aspects, including geographical, administrative and institutional variables. The case studies have been organized into three sections: Planning, Ecology and Education-Communication. This doesn’t imply, a gap between these fields, which are all - inevitably - cross-cutting in nature. Key-words River, river regions, waterfront, European Union directive and project
Abstract Terre de Rivières è il risultato di una ricerca condotta con fondi dell’Unione Europea per un progetto che porta il medesimo nome, culminata in un Seminario internazionale tenutosi a Roma nel novembre 2006. Durante il workshop sono stati mostrati alcuni casi studio inerenti fiumi e ambiti fluviali considerati in diversi aspetti: geografico, amministrativo, istituzionale. Gli esempi presentati durante le due giornate del seminario sono stati organizzati in tre sessioni tematiche: Pianificazione, Ecologia ed Educazione-Comunicazione, anche se i casi non sono del tutto separabili, gli uni dagli altri, in maniera così schematica. Parole chiave Fiume, area fluviale, waterfront, direttiva e progetto Unione Europea
* Dottore di Ricerca in Progettazione paesistica, Università degli Studi di Firenze; Specialista in Pianificazione Urbanistica, Università di Roma “La Sapienza”
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I TEMI DEL WORKSHOP Rispetto a realtà territoriali diverse ma interessate tutte dalla presenza di corsi d’acqua, durante le due giornate del workshop1 sono stati presentati lavori e ricerche a testimonianza di problematiche comuni e ad indicazione di “buone pratiche” progettuali, con lo scopo di contribuire - magari indirettamente - all’arricchimento delle iniziative e degli approcci integrati (sul piano scientifico, tecnico, amministrativo) per la gestione e la valorizzazione dei paesaggi fluviali, nell’ottica dello sviluppo durevole. Lo sguardo è stato verticale rispetto ai contesti (geografico, amministrativo, istituzionale), orizzontale rispetto alle discipline (pianificazione, ecologia, educazione/comunicazione). Il workshop è il risultato di due anni di attività intrapresa col progetto europeo Interreg IIIC sud2 Union de Terres de Rivières, che assume come contesto la Direttiva-quadro europea sull’acqua (2000/60) e che vede coinvolti ventiquattro partner di dieci Paesi diversi con le loro municipalità e comunità locali, agenzie di sviluppo, università, organizzazioni non governative.
Figura 1. Il logo del progetto.
L’obiettivo è quello di scambiare esperienze e conoscenze sugli impatti sociali e territoriali della “risorsa acqua”, per arrivare ad una Convenzione sul paesaggio fluviale e ad una Carta europea dei paesaggi fluviali. I partner condividono due importanti paradigmi: - l’acqua è un patrimonio comune inalienabile, e il suo uso è un diritto umano fondamentale; - l’Europa si costruirà in modo durevole solo se noi, cittadini europei, collaboreremo giorno dopo giorno. Tali paradigmi vanno sviluppati con strategie di protezione e sviluppo ambientale, economico, sociale e culturale delle risorse idriche e dei contesti fluviali, in un quadro politico “bottom-up” che veda protagonisti i popoli in sinergia con gli Stati, in una costante apertura alle realtà locali. Il progetto si è implementato con la creazione di cinque gruppi di lavoro, con i seguenti obiettivi: 1. gestione amministrativa della rete informatica, sviluppo di una rete strutturata e perenne, trasformazione della rete in Gruppo Europeo di Cooperazione Transanazionale; 2. l’acqua sorgente di vita: gestione delle risorse idriche, trattamento della polluzione e depolluzione, desalinizzazione, risanamento; 3. l’acqua fattore di sviluppo: protezione e valorizzazione dei paesaggi fluviali; 4. Capitalizzazione dei saperi per lo scambio, la trasmissione e la conservazione, con azioni trasversali in grado di: proporre approcci scientifici; definire procedure per la
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Il workshop è stato organizzato a Roma il 16 e 17 novembre 2006 dal gruppo di ricerca del DIPTU (Dipartimento Interateneo di Pianificazione Territoriale e Urbanistica) dell’Università di Roma “La Sapienza”, in collaborazione con altre Università europee. 2 Il programma INTERREG è un’iniziativa dell’Unione Europea volta a stimolare la cooperazione tra i Paesi della UE.
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cooperazione transnazionale tra le collettività locali e i gruppi di esperti; sviluppare conoscenza e formazione per fornire ai decisori strumenti utili; 5. Comunicazione: come sviluppare la comunicazione interna ed esterna alla rete e i necessari processi di dialogo e scambio. LA SESSIONE «PIANIFICAZIONE» La sessione “Pianificazione” del Workshop3 ha offerto un panorama in progress del lavoro dei diversi partner universitari, che hanno considerato la progettazione come terreno di confronto e di scambio tra attori e professionalità diverse, secondo lo spirito dei programmi Interreg dell’UE, e che si sono posti come punto di osservazione privilegiato esterno alle esperienze prodotte. I casi studio analizzati sono stati posti o come basi di riferimento indispensabili alla progettazione, o come ricerche da cui desumere lacune da colmare o gap ancora da risolvere. Gli esempi prodotti (la foce del Tevere, l’esperienza dell’Emscher Park, il fiume Skjern), così eterogenei, sono importanti perché offrono un ampio panorama rispetto alla diversità dei problemi che si presentano, delle scale di intervento da adottare (dai piccoli interventi nelle realtà di provincia come St.Mammès ai progetti nelle grandi capitali europee), degli attori coinvolti (amministratori locali, ricercatori e docenti universitari, professionisti, volontari, eccetera). L’ulteriore eterogeneità data dagli approcci diversi e dai molti punti di vista è stata sintetizzata attraverso due possibili chiavi di lettura: le caratteristiche principali e il significato e il livello di innovazione propri di ciascun progetto. Per il primo punto sono stati presi in considerazione: - il tipo di contesto (corsi d’acqua naturali o artificiali; spazio urbano o extraurbano); - la natura dei problemi (rinaturalizzazione delle acque o riqualificazione delle sponde); - il ruolo dei corsi d’acqua rispetto al contesto (locale, regionale, interregionale) e il rapporto con i diversi soggetti coinvolti; - le tipologie di strumenti (piano, progetto, programma, politica); - gli approcci (istituzionale o no, scientifico, tecnico). Per il secondo: - i rapporti del fiume con la città e i suoi abitanti: casi e pratiche intesi a riavvicinare i cittadini all’uso del fiume (ne è valido esempio il progetto sul Tevere, che rappresenta una progettazione emblematica e strutturale in seno al NPRG della città di Roma); - le relazioni tra le risorse idriche e il territorio, e gli aspetti ecologici (con gli esempi delle esperienze concrete della Senna e dell’Emscher); - l’equilibrio tra conservazione e sviluppo del paesaggio fluviale (con le esperienze di pianificazione e gestione di aree naturali protette, come il Tevere e lo Skjern in Danimarca). Tutti i contributi hanno concorso a dimostrare come il rinnovato interesse per i corsi d’acqua prenda spunto dagli aspetti relativi alla qualità delle acque, per svilupparsi poi verso le nuove opportunità di sviluppo sostenibile che i loro contesti possono offrire tanto al territorio limitrofo, quanto alla rete dell’Unione Europea. La foce del Tevere: dalla sicurezza idraulica alla riqualificazione ambientale e paesistica Il progetto4 - che illustra uno Studio di Fattibilità condotto per il Comune di Roma - parte dalla necessità di predisporre una serie di interventi di messa in sicurezza idraulica della foce del Tevere. 3
Curata da Barbara Pizzo e Giacomina Di Salvo (Università “La Sapienza” di Roma) e da Ursula Von Petz e Tanja Huehner (Università di Dortmund). 4 Il progetto è stato realizzato da un gruppo di esperti di diverse discipline coordinato da Giovanni Cafiero e Giulio Conte.
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Figura 2. Piano stralcio di assetto idrogeologico: le fasce fluviali e le zone a rischio idraulico.
Tali interventi vengono integrati in un progetto più ampio, che ha il doppio obiettivo di protezione e riqualificazione degli ecosistemi fluviali e di rilancio del turismo nell’intera zona. Differenti alternative di intervento sono state ipotizzate in una prima fase e successivamente valutate attraverso una “matrice multicriteria” che ha tenuto conto degli effetti ambientali, sociali ed economici di ciascuna. Tale metodo ha permesso di comparare vantaggi e svantaggi delle varie soluzioni, e di scegliere la migliore. Gli obiettivi perseguiti, in estrema sintesi, sono stati: - riduzione dei rischi idraulici (ovvero l’obiettivo principale, posto sin dall’inizio dello Studio); - sostenibilità finanziaria per l’Amministrazione pubblica; - miglioramento della foce del fiume sia dal punto di vista naturalistico e ambientale (fondamentale in una Riserva Naturale), sia per l’uso di loisir e tempo libero (per cui oggi la zona non è attrezzata); - salvaguardia del paesaggio storico originario del fiume e della foce; - realizzazione di benefici sociali ed economici (creazione di nuove opportunità di sviluppo, plus-valore economico derivante dall’incremento di valore delle aree, miglioramento delle condizioni di accessibilità, riduzione del volume di traffico); - semplificazione amministrativa, finanziaria e delle procedure (in coerenza con le attuali strategie di pianificazione territoriale). Ciascuna alternativa progettuale è stata, poi, valutata rispetto alla propria capacità di raggiungere i differenti obiettivi e la soluzione che si è dimostrata più fattibile, sotto il maggior numero di punti di vista, prevedeva: - l’estensione dell’argine a difesa del nuovo porto di Ostia; - la localizzazione di un mix di funzioni urbane (per il loisir, lo svago ed il tempo libero) al posto del borghetto abusivo dell’Idroscalo; - la salvaguardia e la valorizzazione paesistica dell’intera area del corridoio fluviale, dalla foce fino alla zona archeologica di Ostia antica.
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Figura 3. La soluzione ottimale presentata al termine dello Studio di Fattibilità condotto per il Comune di Roma.
La valorizzazione del paesaggio fluviale della Senna L’erosione delle sponde naturali della Senna nell’area della Municipalità di St.Mammès (Regione dell’Ile de France), alla confluenza con la Yonne, ha costituito una reale preoccupazione per le comunità insediate lungo il corso d’acqua e per le loro Amministrazioni, che hanno realizzato un progetto di consolidamento spondale con nuove tecniche applicative (il “fascinage”) accompagnandolo alla realizzazione di spazi per il tempo libero.
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La Municipalità ha recuperato a questo scopo un’area (Chemin de Prés) occupata da un camping e una zona verde di circa due ettari e mezzo, oggi inutilizzata; per entrambe è stato delineato un uso ambientalmente compatibile, con la creazione di spazi per passeggiate lungofiume, aree picnic, giochi per bambini. Questa fase sta per essere ultimata, mentre verranno realizzate in un secondo tempo altre aree attrezzate per roulotte e tende, e percorsi fitness snodati lungo il fiume, a collegare le numerose zone attrezzate per gli sport all’aria aperta. Parallelamente alla realizzazione di questi percorsi e aree attrezzate, sono in corso di realizzazione le operazioni di consolidamento delle sponde mediante l’antica tecnica del “fascinage”.
Figura 4. Uno dei tratti lungofiume oggetto dell’intervento.
Il sistema del fiume Emscher Attraverso l’International Building Exibition (IBA) - cominciata nel 1989 e terminata nel 1999 - è stato dato un nuovo impulso allo sviluppo economico, fisico e sociale dell’Emscher Park. Al progetto, presentato durante il workshop da Ursula von Petz e da Tanja Huhner dell’Università di Dortmund, hanno contribuito differenti istituzioni nazionali (come la Emschergenossenschaft e la Regionalverband Ruhr), insieme alle autorità locali che hanno dato vita ad un processo di cambiamenti strutturali per tutta l’area nord dell’ex distretto minerario della Ruhr. L’Emscher nasce dal monte Holzwickede nelle vicinanze della città di Dortmund e, con un andamento est-ovest, attraversa l’ex area mineraria della Ruhr, sfociando nel fiume Reno in prossimità di Duisburg. Nel passato il fiume era di modeste dimensioni e aveva solo pochi e piccoli affluenti, tutti caratterizzati da un alto livello di inquinamento delle acque a causa degli scarichi incontrollati sia da parte delle industrie minerarie, sia degli insediamenti presenti lungo il suo corso5. Inoltre, la zona era negativamente caratterizzata da un sistema di smaltimento delle acque reflue localizzato tutto in superficie, in quanto sarebbe stato particolarmente rischioso realizzarlo in sotterranea a causa delle attività estrattive.
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L’area della Ruhr - localizzata nella zona del Nord Reno-Westphalia - ha rappresentato per molto tempo il cuore industriale della Germania; in particolare, l’area del fiume Emscher si è trasformata, nel corso del diciannovesimo secolo, in una regione densamente popolata (circa due milioni di abitanti occupavano un’area di circa ottocento chilometri quadrati).
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Figure 5-6. Alcuni manufatti di archeologia industriale sottoposti agli interventi di riqualificazione.
Figura 7. Il progetto complessivo dell’Emscher Park.
Il sistema fluviale dell’Emscher fu, poi, profondamente modificato da una serie di pesanti operazioni di bonifica che ne rettificarono i corsi d’acqua e ne modificarono la conformazione morfologica e l’andamento, tanto che la nuova velocità dell’acqua rese ben presto la zona inaccessibile sia dagli uomini, sia dagli animali. Dalla metà degli anni Settanta le miniere cominciarono a non essere più produttive con un conseguente veloce declino industriale di tutta la zona mineraria: questo causò l’abbandono di gran parte dell’area, delle strutture industriali e residenziali realizzate e delle opere di regolamentazione delle acque. Lo Stato del Nord Reno-Westphalia ha pensato di risolvere problemi di riqualificazione di tutto l’ambito fluviale, in un primo tempo con programmi di natura esclusivamente finanziaria; solo nel 1989 (con il progetto dell’International Biulding Exhibition - IBA) si è cominciato ad intervenire con cambiamenti territoriali strutturali e soluzioni che dessero impulsi di lunga durata. Molti interventi, specifici per ciascuna delle città presenti e legati tanto alla rinaturalizzazione delle sponde quanto alla riqualificazione degli insediamenti urbani, sono già stati realizzati dando vita ad un parco che ha il fiume come spina dorsale, quale collegamento fisico tra le diverse città. In particolare sono state attuate operazioni di: - reintegrazione del fiume e dei suoi affluenti all’interno delle aree urbane; - riuso delle aree di archeologia industriale con funzioni legate principalmente al loisir e al tempo libero; - messa in sicurezza dei corsi d’acqua cementati.
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Per il futuro i principali progetti attualmente allo studio mirano a: - realizzare un catalogo dei progetti e dei desiderata (fattibili sia dal punto di vista tecnico, che da quello economico) ipotizzati dalle varie Municipalità; - definire un Master plan specifico per la gestione delle acque e per la rivitalizzazione del fiume; - completare il “parco a tema” dell’archeologia industriale e delle funzioni per il tempo libero. Il fiume Skjern: un vecchio fiume per un nuovo paesaggio Il progetto6 ha considerato la pianificazione del paesaggio fluviale dello Skjern come un investimento culturale, sociale ed economico e come strumento per un costante controllo di un ambito territoriale in continua trasformazione. La soluzione finale ha prodotto forme armoniche e strutture sostenibili, insieme ad un nuovo paesaggio capace di rigenerarsi in base alle necessità antropiche senza modificare e danneggiare la struttura naturale dell’ambito fluviale. Il motto dell’intera operazione è stato: “la necessità della difesa idraulica diventa un’opportunità per pianificare nuovi paesaggi, nuovi spazi e nuovi scenari ecologici e naturali”.
Figure 8-9. L’area fluviale dello Skjern: prima della bonifica degli anni Sessanta (sopra) e dopo i nuovi interventi (sotto).
L’ambito oggetto di intervento è una vasta zona della valle fluviale del fiume Skjern che nel 1960 aveva subìto un’imponente operazione di drenaggio capace di trasformare quattromila ettari di paludi e zone fangose in terreni adatti all’agricoltura e alle coltivazioni. I meandri del fiume furono in gran parte rettificati attraverso terrapieni e sistemi di pompaggio, la valle fu completamente drenata delle acque e paludi, pascoli e mandrie di bestiame furono sostituiti da campi di grano e macchinari agricoli. La bonifica - il più grande progetto mai realizzato in Danimarca, con circa ottanta chilometri di canali - seppur positiva per ciò che riguarda gli aspetti agricoli, ha prodotto effetti negativi sulla natura e sul paesaggio fluviale, quali: - impoverimento dell’ecosistema vegetazionale e faunistico; - inquinamento delle acque; 6
Illustrato, nel corso del workshop, dal dott. Michele Ercolini (Università degli Studi di Firenze).
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- riduzione della capacità di auto-depurazione del fiume e dei fiordi. Fino agli anni Ottanta ci fu un generale consenso che accompagnò tutta l’operazione di bonifica, di messa in sicurezza idraulica delle sponde del fiume e di ampliamento dell’agricoltura, ma dal 1987 in poi la situazione cambiò, tanto che il Parlamento danese decise di ripristinare lo stato dei luoghi così come era originariamente. Oggi, a quaranta anni di distanza, duemiladuecento ettari dello stesso territorio sono stati nuovamente trasformati e riportati nelle condizioni originarie con una spesa complessiva di circa trentacinque milioni di euro, finanziati in parte attraverso fondi dell’Unione Europea (programma LIFE), in parte con fondi statali (Ministero dell’ambiente e dell’energia). Gli obiettivi principali sui quali si è fondato il progetto sono: - miglioramento delle condizioni e protezione dei biotopi e delle specie endogene; - conservazione degli aspetti naturalistici originari; - rigenerazione del paesaggio fluviale e costiero; - miglioramento della qualità delle acque; - realizzazione di una specie di patchwork di aree (laghi, prati, radure e anse del fiume) fruibili anche da parte dell’uomo per una serie di attività all’aria aperta (passeggiate nella natura, navigazioni sul fiume, campeggi, eccetera). LA SESSIONE «ECOLOGIA» La seconda sessione7 ha affrontato i cambiamenti subìti dagli ecosistemi fluviali a causa delle attività antropiche (agricoltura, industria, turismo) che ne hanno profondamente modificato la qualità e la struttura. L’omogeneizzazione dei corsi d’acqua e dei laghi europei, che ne è risultata, ha prodotto da un lato la diminuzione del livello di biodiversità, dall’altro la formazione di specie nuove, più forti e adattabili, che hanno ben presto soppiantato le specie autoctone originarie. Di fronte all’aumento di tali fenomeni si è diffusa una nuova presa di coscienza della necessità di misure di protezione e di riqualificazione degli ecosistemi d’acqua dolce, non solo per la loro funzione di approvvigionamento di acqua potabile, ma anche e soprattutto per il loro ruolo unico di riserve di biodiversità. Solo in questo quadro ora si è disposti a valutare le loro funzioni turistiche e di potenziale sviluppo economico. L’acqua (qualità e quantità che ne assicurino la sostenibilità e la perennità) è certo uno dei principali problemi che l’UE dovrà affrontare, dato anche l’interesse suscitato a livello mondiale dalle mutazioni climatiche: tanto la già citata Direttiva-quadro, quanto una serie di programmi di tutela e azioni specifiche finanziate nell’ultimo periodo sono passi importanti verso la salvaguardia di questa risorsa essenziale, ma non sono ancora sufficienti. Uno dei passi successivi sarà quello di creare - per ogni Stato membro e secondo le tipologie e le dimensioni dei corsi d’acqua - una lista di opzioni di gestione, per raggiungere gli obiettivi attesi. La Direttiva, infatti, non solo ha fissato scadenze a breve termine (2008 e 2016) per la valutazione di un oggettivo miglioramento dei contesti, ma contiene innovazioni sostanziali quanto ai metodi per raggiungere questo scopo. È in questo quadro che ha lavorato l’Union des Terres de Rivières, orientando le proprie attività su una metodologia integrata di: - valutazione della qualità dei corpi idrici superficiali, attraverso l’esame delle componenti biologiche; - riduzione di dimensione degli impianti di depurazione e la loro migliore efficacia nella diminuzione delle materie organiche; - interventi specifici mirati ad accrescere il potenziale di auto-depurazione naturale; - valorizzazione a largo raggio della fruizione delle aree fluviali. 7
Curata da Giuseppe Castaldelli (Università degli Studi di Ferrara) e Luis Santos (Technical University of Tomar).
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I contributi del Workshop si sono proposti al contempo come esempi di risanamento dell’ambiente e come modelli di gestione, da validare in un’ottica di recupero della qualità non solo delle acque, ma delle specie vegetali e animali. Una conoscenza approfondita dell’ecosistema, con l’individuazione delle cause del degrado, è fondamentale premessa ad un’azione di recupero ecologico. Il primo lavoro condotto ha recuperato dunque, luogo per luogo, tutte le informazioni disponibili sull’ambiente fisicochimico - dalla qualità delle acque ai modi di utilizzarle - atte ad integrare le conoscenze già possedute: si sono elaborati e interpretati i dati col ricorso ai GIS e ad altri strumenti statistici. L’ambizione è stata quella di agevolare l’adattamento alle direttive comunitarie (Water Framework Directive, Nitrate Directive) delle legislazioni locali. Si spera che le indicazioni possano poi essere comunicate ai produttori e ai consumatori, perché il miglioramento dell’ambiente possa diventare nella prassi motore di nuove attività economiche e di un turismo consapevole e sostenibile, in un circuito “virtuoso” di utilizzazione durevole delle risorse. LA SESSIONE «EDUCAZIONE E COMUNICAZIONE» Il tema dell’educazione-comunicazione, ultima sessione del Workshop8, riveste fondamentale importanza non tanto e non solo come attività istituzionale, ma come elemento determinante nelle politiche condivise e nello stile di governo bottom-up del territorio. È una risorsa molto citata nelle Dichiarazioni strategiche a livello mondiale (ad esempio quella di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo) e nelle direttive comunitarie: essa riguarda sia la cooperazione internazionale, sia il ruolo strategico di mediazione, diffusione e sensibilizzazione che le relative pratiche possono svolgere nei processi di governo delle trasformazioni del territorio e nelle dinamiche - spesso conflittuali - che insorgono tra istanze di sviluppo e istanze di protezione degli equilibri ecologici e dei sistemi fluviali. È possibile dimostrare che nella prassi istanze ecologiche e interessi particolari non sono contraddittori, ma questo comporta un’opera lunga e continua di sensibilizzazione e di formazione delle persone che vivono nel territorio. Il progetto Union des Terres de Rivières ha tra i propri obiettivi “verticali”: - la diffusione dei documenti comunitari (in primis la Direttiva sull’Acqua) entro le istituzioni locali, grazie alle competenze tecniche e scientifiche delle Università; - la diffusione delle relative informazioni a tutti i livelli; - l’incremento dell’interesse dei ricercatori per i temi legati ai fiumi e ai loro aspetti sociali, culturali e paesaggistici; - la creazione di cicli di formazione in materia; - la creazione di materiali didattici da diffondere nelle scuole a tutti i livelli; e tra gli obiettivi “orizzontali”: - la partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati alla costruzione dei piani di gestione dei bacini idrografici; - la discussione pubblica di modi innovativi di risolvere i problemi, parte integrante dell’opera di educazione-sensibilizzazione che permette alle popolazioni di capire i problemi, di proporre soluzioni e di prendere decisioni durevoli. Innanzitutto, si è reso necessario esaminare attentamente le pratiche - spontanee e non - di utilizzo e di appropriazione del fiume da parte della popolazione. Nella promozione di un rapporto più consapevole con le risorse fluviali, si è assistito poi alla nascita di soggetti nuovi: la stessa UdTR, o i Contratti di fiume di cui si trovano esempi nel Veneto, in Lombardia, in Slovacchia, o il movimento inglese e gallese dei Rivers Trusts, nato da un’iniziativa delle comunità di bacino per la difesa degli ambienti fluviali e della pesca. 8
Curata da Barbara Pizzo e Giacomina Di Salvo (Università “La Sapienza” di Roma).
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Altre iniziative hanno interessato le scuole, come nel caso greco di Trikala, o le università, come è accaduto a Cracovia. In questo campo sono giunti contributi anche dall’esterno del progetto: le importanti ricerche di Tours e di Coimbre testimoniano che dall’interesse per gli ambienti fluviali può nascere formazione ad alto livello. Le esperienze di partecipazione e dialogo e le riflessioni svolte entro il progetto potranno prendere la forma di una Convenzione sui paesaggi fluviali, che sia esempio per tutta l’Unione Europea di costruzione di politiche condivise, in vista di uno sviluppo durevole e sostenibile.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI DI SALVO GIACOMINA, PIZZO BARBARA (a cura di), Terre de rivières, Officina, Roma 2006.
RIFERIMENTI ICONOGRAFICI Figura 1: sito web www.terresderivieres.com Figure 2-3: Studio di Fattibilità “Strutture per la messa in sicurezza idraulica della sponda sinistra della foce del Tevere Fiumara Grande” - Relazione conclusiva, Roma 2006, pag. 6 e pag. 56. Figura 4: sito web www.terresderivieres.com Figure 5, 6 e 7: sito web www.ocs.polito.it/biblioteca/giardini/emscher_f.htm Figure 8 e 9: DI SALVO GIACOMINA, PIZZO BARBARA (a cura di), Terre de rivières, Officina, Roma 2006, pag. 30.
Testo acquisito dalla redazione della rivista nel mese di dicembre 2006. © Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.
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