Il dramma e la poesia | Barbi, Nudo, Piferi

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a cura di

simone barbi raffaele nudo claudio piferi

Il dramma e la poesia Progetti per un padiglione d’ombre in Piazza Torquato Tasso a Firenze


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


a cura di

simone barbi raffaele nudo claudio piferi

Il dramma e la poesia Progetti per un padiglione d’ombre in Piazza Torquato Tasso a Firenze


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. I curatori desiderano ringraziare tutti coloro che, a vario titolo, sono stati coinvolti nella realizzazione di questo progetto editoriale. In special modo il prof. Saverio Mecca, Direttore del Dipartimento di Architettura, per il supporto continuo e la dott.ssa Eleonora Brandigi per aver collaborato con entusiasmo alla mostra dei lavori (Suggestioni per la città. Una loggia pubblica in Piazza Tasso, mostra e dialoghi con il quartiere presso la sala Altana della biblioteca Pietro Thouar dal 18 al 23 febbraio 2019). Nell’ambito della didattica vogliamo esprimere la nostra gratitudine a chi ci ha aiutato ad ampliare l’offerta formativa del Laboratorio, fornendo utili spunti di riflessione agli studenti, anche e soprattutto per il loro esercizio di progetto. Ricordiamo le lezioni di Roberto Bosi (Ph.D. DIDA — UNIFI) Lo spazio della soglia. La lezione dei viaggi nell’opera di Louis I. Kahn; di Angela Benfante (Ph.D. student DIDA — UNIFI) Pier Luigi Nervi tra progettazione e costruzione. Il ruolo della luce nella definizione spaziale; di Flavia Tiberi (Ph.D. DIDA — UNIFI) Ombre mutevoli. La componente vegetale nella definizione dello spazio urbano. Di fondamentale importanza per il percorso di crescita degli studenti sono state anche le visite al complesso termale di Chianciano, condotta dal prof. Giampiero Barbetti (DIDA — UNIFI), e quella alle cave di Serre di Rapolano, dell’azienda Travertino Sant’Andrea, a cura di Riccardo Donzellini e di Enzo Giganti, appassionato e coinvolgente padrone di casa. Questo lavoro è dedicato alla generosità e alla passione di chi, ogni giorno, ci ha affiancato e sostenuto nel dialogo con gli studenti: Angela Benfante, Giuseppe Berti, Massimo Mariani, i fabfour (Iacopo Farolfi, Francesco Rega, Alessandro Sordi, Daniele Vanni). in copertina Loggia pubblica in Piazza Tasso (dettaglio di progetto di F. Giovannini, M. Petrolini)

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2019 ISBN 978-88-3338-057-5

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Presentazione Saverio Mecca

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La biblioteca Pietro Thouar: la piazza nella piazza Eleonora Brandigi

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La storia di Piazza Torquato Tasso nello sviluppo urbano dell’Oltrarno Sergio Casprini Progetti per un padiglione d’ombre in Piazza Torquato Tasso a Firenze

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Esercizi progettuali sul limite antico della città Simone Barbi, Raffaele Nudo, Claudio Piferi

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Il ruolo urbano del progetto Angela Benfante

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Progetti

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Note a margine di una esperienza didattica 65 Il ruolo delle discipline strutturali: università e contesto territoriale Raffaele Nudo

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Brevi riflessioni sul ruolo del trasferimento tecnologico in ambito didattico 73 Claudio Piferi Sul progetto didattico. Ragioni e strumenti possibili Simone Barbi

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La materia al confine della città storica Massimo Mariani

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Promesse alla città. Costruzione e responsabilità dell’immagine di architettura Daniele Vanni

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Opere citate

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Bibliografia del corso

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presentazione Saverio Mecca

Demolizione di parte di via della Chiesa e via di Gusciana per la realizzazione di Piazza Torquato Tasso

Direttore del DIDA, Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze direttore@dida.unifi.it

Il tema progettuale della riqualificazione di piazze, di spazi pubblici o di intere parti di città che negli anni hanno perso la loro funzione originaria trasformandosi in luoghi di scarsa qualità di vita, se non addirittura di degrado, è forse uno dei temi più affascinanti ma complessi da affrontare in un Laboratorio di una Scuola di Architettura. Le più diffuse soluzioni progettuali di riqualificazione urbana generalmente propongono la rimozione delle auto (dove presenti), la pedonalizzazione totale dell’area coinvolta, il ridisegno della pavimentazione e degli arredi urbani, l’inserimento o l’incremento delle alberature ritenendo che tali soluzioni, di per sé non negative, siano sufficienti a migliorare la qualità dello spazio urbano. Difficilmente si interviene con nuovi volumi, anche in sostituzione di edifici esistenti, nel timore che una nuova architettura peggiori la qualità urbana, invece di aggiungere valore. Gli esiti degli allievi del Laboratorio di Architettura e Struttura, tenuto da Simone Barbi, Raffaele Nudo e Claudio Piferi, sul tema della riqualificazione di Piazza Torquato Tasso a Firenze, mostrano, invece, come le scelte progettuali possano orientarsi anche verso soluzioni differenti, dove nuove architetture rappresentino lo strumento prioritario per qualificare la città e lo spazio pubblico in particolare. L’esperienza didattica del Laboratorio, infatti, si è orientato verso scelte nelle quali al centro del progetto ci sono le emozioni che i volumi possono generare grazie ai giochi di vuoti e pieni, luci e ombre, trasparenze e opacità. Pur con accenti differenti tutte le proposte progettuali nascono da una forte attenzione al “luogo” che non significa mimetismo e subordinazione al contesto esistente, ma esplorazione delle potenzialità di reinvenzione e di apertura al futuro della città, in un dialogo con la città, ma al tempo stesso la sperimentazione di segni che ambiscano ad essere landmark capaci di reinventare la interazione dei cittadini con il luogo. In questo caso la sperimentazione ha assunto come tema iniziale il progetto di una loggia, un padiglione d’ombre, per dare valore e marcare il nuovo luogo urbano.


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

Laboratorio di Architettura e Struttura A.A. 2017/2018 Momenti di verifica dello stato di avanzamento del progetto

Sono quindi progetti che non solo riqualificano uno spazio, ma si prefissano di aggiungere qualcosa di nuovo e di emozionante all’intera città riaprendola alla architettura, al suo naturale flusso di rinnovamento e trasformazione. Il progetto di architettura è inerente e perenne riflessione critica sul proprio tempo culturale, e dunque necessariamente su quanto ci perviene dalla cultura architettonica e tecnica contemporanea in termini, tra l’altro, di strutturazioni tettoniche, di espressioni concettuali e formali, di tecnologie e di sistemi strutturali. Valore aggiunto del Laboratorio di Architettura e Struttura è sicuramente la multidisciplinarietà che lo caratterizza. Le diverse declinazioni del progetto linguistiche, funzionali, costruttive, strutturali sono curate per proporre agli studenti stimoli molteplici e differenziati, sostenendo un’esperienza progettuale architettonica che possa essere significativa per la formazione di un architetto.


la biblioteca pietro thouar: la piazza nella piazza Dott.ssa Eleonora Brandigi

Biblioteche fiorentine eleonora.brandigi@comune.fi.it

Inaugurata il 6 aprile 1914, la Biblioteca Pietro Thouar si è trasferita nel febbraio 2015 nel complesso delle Ex Leopoldine in Piazza Tasso, acquisendo fin da subito un ruolo importante, come punto di incontro culturale e luogo di socialità, all’interno del nuovo spazio che andava ad abitare. Un aspetto fondamentale per una biblioteca di pubblica lettura e per coloro che vi lavorano è instaurare un rapporto con il territorio circostante che significa stringere contatti personali con chi la frequenta, comprendere le dinamiche sociali del quartiere, conoscerne la storia e le complessità del presente. A maggior ragione se la biblioteca fa parte di uno spazio complesso e articolato come può essere quello di una grande piazza, una sorta di microcosmo dove i meccanismi della vita di quartiere si amplificano e il catalogo dell’umanità che abita il territorio si mostra in maniera accentuata, talvolta caricaturale. E nelle stanze della biblioteca tutto questo emerge e si ripete, in una sorta di piccola piazza nella piazza. È chiaro quindi che la comprensione delle dinamiche della piazza vera, quella urbana, deve essere un compito di primaria importanza per una biblioteca che voglia avere un ruolo all’interno delle trama del territorio. Ecco quindi che l’idea di scegliere la Thouar come luogo dove presentare alcune proposte progettuali per una loggia in Piazza Tasso, realizzate dagli studenti del Laboratorio di Architettura e Struttura guidato dai curatori di questa pubblicazione, i professori Barbi, Nudo e Piferi del Dipartimento di Architettura di Firenze, rappresenta senz’altro un’ulteriore occasione per ribadire l’importanza della biblioteca all’interno della città. Da una parte perché la nuova loggia pubblica rappresenta, nelle visioni libere e responsabili degli studenti, un altro elemento spaziale determinato dalle dinamiche sociali del territorio, così come lo è la biblioteca, e con questa potrebbe idealmente rapportarsi; dall’altra, perché, se normalmente è la biblioteca che si trova ad interpretare il luogo che la circonda, nei progetti presentati il punto di vista è necessariamente rovesciato: il luogo-biblioteca viene guardato dall’esterno, dialoga con altri protagonisti dello spazio urbano e viene riletto all’interno di una nuova storia che la piazza potrebbe ancora raccontare.



la storia di piazza torquato tasso nello sviluppo urbano dell’oltrarno Sergio Casprini

Veduta della Catena, Francesco di Lorenzo Rosselli, 1471-82 ca., Palazzo Vecchio, Firenze

risorgimentofirenze@libero.it

Piazza Torquato Tasso è una delle piazze dell’Oltrarno a Firenze. È posta nel rione popolare di San Frediano tra un varco nelle mura trecentesche verso viale Petrarca — le sole rimaste pressoché intatte durante la realizzazione ottocentesca dei viali di circonvallazione — e le vie convergenti sulla piazza, del Campuccio, della Chiesa, del Leone e di Camaldoli. Anticamente questa zona della città era detta di Camaldoli, per la presenza della chiesa di San Salvatore di Camaldoli con il relativo convento, oggi sconsacrata. Nel Settecento i locali ospitarono le Scuole Leopoldine, scuola per giovani ragazze povere al tempo di Leopoldo II di Lorena, e il conservatorio per fanciulle delle suore salesiane di San Francesco di Sales, detto il Conventino. Attualmente lo spazio della chiesa e del convento è occupato per lo più dalla biblioteca Pietro Thouar e dalla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale. Intorno al monastero esistevano casupole piuttosto modeste: infatti fino al 1500 l’ordine dei camaldolesi costruì nella zona antistante la chiesa un gran numero di case che davano alloggio alle famiglie povere della zona, tanto che l’appellativo di Camaldoli fu dato alla zona compresa fra la Porta Romana e la Porta di San Frediano; oggi Camaldoli è rimasto solo nel toponimo di una delle vie prospicenti la piazza. In quella zona l’unica presenza “aristocratica”, sebbene protetta da un’alta muraglia, è il limite sud-est del giardino Torrigiani; e infatti si impone alla vista nello skyline basso delle case l’alto Torrino ottocentesco che l’architetto Gaetano Baccani realizzò nel giardino. Piazza Torquato Tasso quindi ha una storia recente nello sviluppo urbano dell’Oltrarno rispetto alle altre piazze del quartiere, nate nel medioevo all’arrivo degli Ordini Mendicanti a Firenze, come Piazza Santo Spirito di fronte alla chiesa conventuale degli Agostiniani o Piazza del Carmine di fronte alla chiesa conventuale dei Carmelitani, luoghi nati come spazi religiosi per le predicazioni dei frati o comunque destinati a mercati o feste popolari, sempre sotto la tutela della chiesa. Fino all’Ottocento in quella parte dell’Oltrarno c’era solo la chiesa di San Salvatore con attorno tante misere case popolari e anche alcune botteghe artigiane in un intreccio di stretti vicoli; una zona densamente abitata, chiusa dalle mura trecentesche con solo un’apertura verso la campagna circostante, la piccola porta o postierla di Camaldoli.


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

Veduta panoramica di Firenze Luigi Zumkeller, 1934-36

Ne abbiamo conferma se guardiamo la famosa Veduta della Catena (figura a pag. 10), del 1472, che è il primo dei prototipi attraverso cui l’immagine di Firenze viene riprodotta e ha circolato in Italia e in Europa fino al XVIII secolo. Tra l’altro è la prima rappresentazione conosciuta di una città intera, risultato non di una proiezione poetica della fantasia, ma di una costruzione che si avvale delle possibilità della prospettiva, come controllo e come correzione dell’osservazione diretta dal vero. E appunto nel dettaglio dell’Oltrarno della riproduzione ottocentesca della Veduta, che si trova nella sezione espositiva Le Tracce di Firenze a Palazzo Vecchio, si possono vedere le mura senza varchi, le casupole che si addensano attorno a San Salvatore e a contrasto i palazzi vicino alla mole della chiesa del Carmine. Solo nell’Ottocento si assiste alla riorganizzazione urbana della zona, quando nel progetto di ingrandimento della città proposto dall’ingegnere e architetto Giuseppe Poggi negli anni di Firenze Capitale (1865-1871) fu ipotizzata la trasformazione della porzione già ad orti (e solo di questa) in giardino pubblico, con il conseguente abbattimento di un tratto di mura per rendere disponibile lo spazio anche agli abitanti dei quartieri sorti oltre la cinta difensiva. Infatti già il 31 gennaio 1865, nella presentazione del Progetto di massima per l’ingrandimento di Firenze, Poggi redigeva un circonstanziato rapporto che delineava gli obiettivi e le linee progettuali, tra cui per quanto riguardava l’Oltrarno “[…] un gruppo di fabbriche, comodo ed esteso, da eseguirsi nei terreni pianeggianti tra il Ponte


la storia di piazza torquato tasso • sergio casprini

di ferro delle Cascine, la Porta san Frediano e la Porta Romana […] da questo quartiere possono muovere due comode e facili comunicazioni per i ridenti colli di Bellosguardo” (AA. VV., 2015, p. 189). Le ragioni dell’intervento non erano solo di ordine infrastrutturale, ma anche di tipo economico e amministrativo, in quanto al di là del varco delle mura era prevista la Barriera daziaria di Bellosguardo, uno dei fabbricati che, agli ingressi della città, erano destinati a ospitare un corpo di guardia e il personale incaricato dell’accertamento e della riscossione dei dazî. E nondimeno anche le preoccupazioni di ordine igienico erano alla base del piano urbanistico del Poggi, date appunto le condizioni di degrado sociale dell’intero centro storico e a maggior ragione del rione di Camaldoli. Il progetto del Poggi per l’Oltrarno si arenò, quando con il passaggio della Capitale da Firenze a Roma il Comune fece default e fu portato a termine solo parzialmente attorno al 1905, anno nel quale è registrato dalle piante cittadine, seppure con una demolizione delle mura molto più limitata rispetto all’attuale. Nel 1910 esisteva ancora un fatiscente agglomerato di case, chiamato non a caso Malborghetto, prospicienti quello che era l’ultimo tratto di via della Chiesa. La piazza che si stava comunque formando si chiamava allora Piazza Gusciana, dal nome di un piccolo corso d’acqua che scendeva da Bellosguardo verso il piano. “Durante la guerra 1915-18 i lavori sulla piazza vennero sospesi, e anche dopo la seconda guerra mondiale, i ruderi la rendevano quasi inagibile, con gli scantinati aperti, diventati ricoveri d’animali e depositi d’immondizie” (Bargellini, Guarnieri, 1977-1978, vol. IV, pp. 154-157). L’attuale configurazione, con l’abbattimento dell’intero isolato, è comunque da riferirsi al 1930; ne troviamo conferma nel dettaglio della Veduta panoramica di Firenze (figura a pag. 12) di Luigi Zumkeller (1934-1936). Una veduta a volo d’uccello della città, disegnata a penna da ovest di Firenze, che si trova a Palazzo Vecchio come la Veduta della Catena. In quegli anni la piazza assume il nome di Torquato Tasso. Sempre da Bargellini e Guarnieri sappiamo che soltanto nel 1952 la piazza venne sistemata a giardino, mentre il Comitato per l’estetica cittadina cercava di migliorare i fabbricati, che vi si affacciavano, cominciando dalle antiche mura interrotte. Piazza Torquato Tasso nel corso del tempo si è adeguata quindi alle esigenze del quartiere, in particolare con un giardino attrezzato per bambini e anziani. È uno spazio urbano moderno rispetto alle altre piazze più antiche dell’Oltrarno: come unica testimonianza iconografica del suo passato medievale, all’angolo della piazza tra Via del Leone e Via della Chiesa, è presente un tabernacolo con un affresco del XIV secolo, attribuito al Giottino o a Nardo di Cione, sostituito nel 1958 con una copia.

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pochi passi da fare, e camminando avanti svoltata la prima contrada, si va nel cuore di san frediano, che come un fiore sbocciato allarga le sue membra in piazza torquato tasso. in questa è il dramma e la poesia. dalle case tragiche, dinoccolate, appoggiate una all’altra come per sostenersi stanno accatastate da una parte quasi in un contegno di chi non voglia dar noia allo spazio e non desideri esser visto. con le loro infinite finestre, orbite d’occhi sempre aperti, guardano la vita che li si svolge davanti.

Ottone Rosai


Progetti per un padiglione d’ombre in Piazza Torquato Tasso a Firenze

Studenti del Laboratorio di Architettura e Struttura Corso B | A.A. 2017/2018 Corso di Laurea Magistrale in Architettura (classe LM-4) Gianmarco Baldi, Diego Betti, Clarissa Carbonari, Marco Cipriani, Valentina Ciummei, Agnese Coppini, Arianna Di Giampietro, Leonardo Fabbri, Elisa Farinelli, Federico Bernes, Marina Giaracuni, Francesca Giovannini, Huang Danqing, Martina Iannello, Liouliou Konstantine, Konstantina Kousarise, Giuseppe Laudante, Enrico Ledda, Simonetta Francesca Lisci, Michele Longo, Angela Manzione, Elise Mariani, Rosanna Massaro, Edoardo Mastrantonio, Giacomo Montiani, Luca Pasqualotti, Elena Pasquini, Emanuele Petrilli, Mariachiara Petrolini, Paolo Piermartiri, Claire Plancheria, Roberta Raffa, Alessio Rossi, Ilaria Rosta, Walter Salemme, Valentina Spagnoli, Gabriele Spina, Denny Tabani, Tiansheng Wang, Alessandra Vezzi, Arianna Vio, Virginia Vivona, Benedetta Zamboni



esercizi progettuali sul limite antico della città Simone Barbi, Raffaele Nudo, Claudio Piferi

Università degli Studi di Firenze

Modello di studio in scala di Piazza Tasso

Le parole di Rosai, che il lettore ha trovato scritte nelle pagine che introducono il libro, recitano, tra le altre, “In questa è il dramma e la poesia”. Il “Questa” è riferito alla Piazza Torquato Tasso, area di progetto e “porta” del quartiere di San Frediano che, come un abbraccio, accoglie in Oltrarno chi arriva da sud, da Bellosguardo, dal Viale. A seguire, il “dramma” esprime una angosciata preoccupazione, la “poesia” evoca un possibile riscatto. Volendo dire perché i due termini ci sembrano adatti a definire questa esperienza didattica — felicemente condotta su un’area ricca di pericoli, di sfide, di qualità nascoste o semplicemente opacizzate dal tempo e dall’incuria — potremo giustificarci argomentando che il “dramma” risiede nell’attuale incapacità della piazza nell’esprimere le potenzialità che possiede, mentre la “poesia” può essere ritrovata nel lavoro generoso e appassionato degli studenti, e messa in opera nelle ombre accoglienti che le loro logge — ottenute a partire dal difficile dialogo con la tradizione formale della città e le tecniche costruttive moderne — sanno promettere a chi le osserva. L’intenzione del laboratorio è stata quella di utilizzare l’esercizio progettuale per imparare a leggere i luoghi, comprenderne le criticità e dare risposta a queste, usando gli strumenti della disciplina architettonica e urbana, in relazione con gli indispensabili ragionamenti sulla scelta dei materiali da costruzione, la statica delle strutture e il loro disegno, riflettendo con cura sulla loro possibile costruzione e messa in opera. La scelta di lavorare in città, all’interno del tessuto storico consolidato, ci ha consentito di iniziare dalla lettura dell’esistente per poi sviluppare una strategia insediativa orientata a risolvere il progetto con un unico edificio, la cui funzione elementare ci ha permesso di arrivare rapidamente a definire, con un buon grado di accuratezza, i dettagli. Attraverso il disegno di una loggia pubblica — che in questa esercitazione abbiamo tradotto in “padiglione d’ombre” — si è lavorato sul difficile e primario dialogo tra lo spazio architettonico, la sua costruzione e il tessuto consolidato che le fa da sfondo. Liberando il progetto dai vincoli di una specializzazione funzionale e normativa tipica di molti edifici specialistici, grazie al tema scelto si è potuto infatti riflettere, insieme agli studenti, sulla nozione di “spazialità accogliente” quale utile strategia per definire un nuovo equilibrio, anche simbolico, all’interno degli spazi perduti, o dimenticati, o traditi, della città.


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

La genericità della funzione è servita anche a far riflettere sul rapporto tra la potenziale eternità della forma-struttura di una fabrica e l’invecchiamento, oggi sempre più precoce, delle funzioni in essa ospitate, indagando le conseguenti responsabilità che l’architetto ha, rispetto alla sostenibilità delle sue idee e delle soluzioni con cui conferisce loro sostanza e peso. Un peso che le idee, in Architettura, possono, e devono, avere. Questo è un assunto che il progettista deve sempre tenere in mente, per imparare a sostenerlo con efficacia e grazia, sin dai primi schizzi concettuali. Tutti i progetti elaborati dal corso hanno tenuto in grande considerazione l’indagine della natura strutturale dello spazio architettonico. Non sempre è così in ambito universitario. Quasi mai, anzi, comunque non prima del corso Magistrale. Perché per arrivare ad avere dimestichezza con le leggi della statica lo studente e i docenti necessitano di anni di preparazione. Una volta acquisite le dovute competenze non possiamo più lasciare al caso, al gusto o, peggio, al gesto, il dominio sulla forma. Un pensiero comune nel corpo docente del Laboratorio è che l’architettura debba essere governata, col progetto, secondo leggi oggettive, chiare e comprensibili. In un tempo di tre mesi ci interessava portare lo studente a ragionare sullo spazio architettonico a partire proprio dalla relazione che questo deve avere con la sua struttura resistente, informata dalle leggi oggettive della statica, fino a far coincidere le due cose, a farne sintesi efficace. Il tema del padiglione d’ombre, tipologicamente più disponibile a subire significative variazioni rispetto a quello della loggia, ci è sembrato il più adatto allo scopo. Guardando gli esiti del lavoro presentato in questa pubblicazione, potremmo anticipare al lettore che il dato più evidente è rappresentato dalla estrema varietas delle risposte date dagli studenti, ognuna sostenuta da un’idea precisa di spazio, coraggiosa e plausibile. Possiamo giustificare quest’esito con la nostra ferma volontà di fare ricerca attraverso il Laboratorio. Ricerca portata avanti per mezzo del progetto, incentivando gli studenti a sviluppare la loro autonomia e spirito critico in risposta al tema assegnato. Abbiamo lasciato liberi gli studenti — provenienti da una formazione di primo livello — di interpretare il problema in modo personale, senza utilizzare i vincoli urbanistici, cercando di allenare il loro occhio e la loro mano al principio del q.b. — il “quanto basta” artusiano, citato più volte come declinazione pop del concetto irrinunciabile, in architettura come in urbanistica, della concinnitas albertiana. Ognuno ha potuto stabilire un programma coerente con il tema a partire da poche ma precise raccomandazioni iniziali, ovvero: includere nella progettazione l’intero spazio urbano senza limiti di dimensioni in pianta e in alzato; prevedere spazi per un mercato giornaliero, accessibile ai mezzi per il carico-scarico delle merci; considerare di prevedere all’interno dell’ingombro del padiglione esercizi di vicinato, un fontanello, un piccolo spazio polivalente, in cui ospitare feste o esporre i lavori di artigiani e artisti del quartiere; e infine


esercizi progettuali sul limite antico della città

porre massima attenzione all’accessibilità degli spazi e all’armonizzazione di questi con la città. Nel nostro approccio — interdisciplinare per regolamento e per fortunata e non banale comunione di intenti — e con una media di cinque persone coinvolte in ogni progetto — tre docenti e i gruppi di studenti in numero variabile da uno a tre persone — la questione più importante è stata quella di trasmettere un metodo di lavoro, incentrato sulla costruzione e la verifica delle intenzioni spaziali attraverso l’uso del modello in scala, e mostrare un modo di interpretare il progetto, ancorandolo alla storia senza per questo subirne il peso. Accettandone le misure e rivedendone i caratteri. Incentivando gli studenti a pensare e proporre architetture in grado di dialogare con quelle che ci troviamo davanti ogni giorno, nelle nostre città d’arte, per continuarne la tradizione, alterandone gli equilibri senza spezzarli. Durante l’iter siamo tornati a ragionare sui fondamenti della disciplina architettonica. Le definizioni di attacco a terra, recinto e copertura, insieme a quella di angolo e di soglia — in questo caso tutto l’edificio può esserlo — sono state indagate dallo studente al fine di apprendere come questi “ineliminabili termini” del progetto d’architettura siano sempre da affinare. Nel tempo, la ricerca didattica, quella compositiva, strutturale e tecnologica, la ricerca di un senso del luogo e del giusto modo per interpretarne le necessarie modifiche, si sono alternate, integrate, sovrapposte, perseguendo una sintesi possibile, condensata nel progetto. In questo spazio urbano di grandi dimensioni si potrebbe giocare il calcio storico, tanto è grande la superficie netta della piazza. Uno dei primi dati emersi, comparando i principali vuoti urbani della città storica per dare una scala al progetto, è proprio questa dismisura di Piazza Tasso — seconda solo a Pitti e, per poco, a Santa Maria Novella — resa oggi impercettibile dalla presenza del parco urbano. Ma questo vuoto ha una particolarità che manca a molti altri spazi della città, si trova sul limite delle mura medioevali cancellate dal Poggi ed è definito da una cortina discontinua di case, dall’aspetto popolare, nudo ed essenziale, e pochi monumenti minori, dei quali nessuno è all’altezza di quelli che dominano le altre piazze della città di Firenze. Questa è senz’altro una condizione foriera di temi interessanti. Ricostruire il limite perduto, farlo sentire senza riedificarlo, esaltare un dettaglio o un monumento per elevarli a fuoco prospettico ed elemento d’ordine dello spazio urbano rinnovato. Altri ancora. Oggi le mura abbattute lasciano il posto al viale e al rumore del traffico che assedia il quartiere. In futuro nuove tecnologie attenueranno l’inquinamento ambientale, anche acustico, e l’accesso al centro sarà limitato al minor numero di mezzi privati possibile, favorendo invece trasporti leggeri, sostenibili, silenziosi e lasciando al pedone la maggior parte del dominio sullo spazio urbano. La sicurezza, la pulizia e il decoro della città si gioveranno di questo nuovo ordine, i cui presupposti, ormai non più procrastinabili, informano in vario modo le strategie insediative dei padiglioni e il disegno degli spazi aperti che ne risulta.

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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo


il ruolo urbano del progetto Angela Benfante

Università degli Studi di Firenze angela.benfante@unifi.it

Oltrarno fiorentino, ortofoto

“La tradizione non è che la compresenza di esperienze: è sia la convalida delle emergenze permanenti, sia l’energia delle mutazioni; le une e le altre concorrono allo sviluppo di nuovi effetti infinitamente attivi” (Rogers, 1997, p.21). Leggere, osservare e misurare la città nel tentativo di comprenderne il carattere, le costanti, le variazioni, gli elementi e le loro relazioni per poi trasmetterle al progetto; confrontarsi con il contesto inteso in senso lato come storia, paesaggio, cultura, tecniche costruttive e materiali perché l’architettura sia compresenza di esperienze, espressione del presente consolidato nel passato e rivolto al futuro. La comprensione del carattere di un luogo permette di progettare con coscienza e con spontaneità rispettando l’essenza del luogo stesso (cfr. Monestiroli, 1997), assicurando la continuità col passato, memoria e fondamento della cultura dell’uomo. È attraverso il progetto come momento di ricerca e analisi che si possono acquisire gli strumenti necessari per una riflessione sul rapporto tra costruzione e contesto. Misurare e commisurare ogni singolo gesto perché l’architettura sia espressione identitaria del luogo. “Il disegno dell’architetto è un modo di trasmettere ordini per costruire, uno strumento di costruzione di un mondo reale” (Monestiroli, 1997, p. 114). E. N. Rogers introduce il concetto di tradizione come esperienza unificatrice tra antico e moderno; è quindi inutile rifugiarsi in linguaggio architettonico bensì, come afferma anche E. Persico, bisogna guardare al passato per capire gli errori e non ripeterli. “La tradizione è la sostanza viva ed eterna dello spirito. […] La tradizione non è, dunque, né l’arco, né il capitello né l’orizzontale né la verticale, ma è il modo di intendere tutti questi mezzi nel loro significato di essenza, che è la perfetta coerenza delle loro forme con la necessità che tali forme hanno generato” (Rogers, 1997, p. 39). “Tutto ciò che dà forma all’esistente è architettura, quindi anche un campo arato è architettura […] la forma delle città dovrebbe rappresentare la cultura degli uomini” (Monestiroli, 1997, p. 66-67). La città, nella condizione fenomenologica, è definita dai rapporti tra pieni e vuoti e dalla sequenza di spazi. Gli allineamenti, le proporzioni, le altezze, le visuali, questi sono alcuni aspetti compositivi che definiscono le regole insite nella città stessa e di cui il progetto deve tener conto sia essa tessuto o monumento.


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I progetti degli studenti per Piazza Tasso offrono sperimentazioni su cui impostare una riflessione sul ruolo urbano dell’architettura. Emerge un abaco di configurazioni possibili, ognuna generata da scelte legate alla percezione e alla comprensione delle invarianti; occasione di riflessione e fondamento su cui impostare un dibattito aperto alla città. Piazza Tasso rappresenta un luogo di transizione, sosta e raccordo tra le differenti scale della città, un vuoto urbano di grandi dimensioni. A influire sulla collocazione, sulla forma e sulle dimensioni dei progetti, le antiche mura, le colline circostanti, i percorsi viari, i monumenti, la biblioteca e la Casa della Finestra. Il contatto visivo continuo tra città storica e paesaggio naturale rappresenta una caratteristica di Firenze per la sua antica conformazione. Da ogni strada del centro infatti, ed anche dalle vie che confluiscono in Piazza Tasso, è possibile raggiungere visivamente i monumenti da una parte e le colline dall’altra. “Una architettura si legge mediante i diversi aspetti della sua figura, cioè nei termini con i quali si esprime: chiaroscuro, tessuto costruttivo, plasticità, struttura degli spazi interni, densità e qualità delle materie, rapporti geometrici delle superfici […]. Ognuno nei termini ha una tal congiunzione con gli altri che difficilmente è possibile quietarsi su uno solo” (Moretti, 1952, p. 9). “Ma non vi è solo lo spazio, ma anche le linee, i punti, i piani, che determinano tra loro relazioni varie, […], che a loro volta influiscono sulla sensazione spaziale. Tali relazioni, e particolarmente […] i rapporti tra le parti variano in generale col variare della prospettiva” (Vaccaro, 1952, p. 55). “Lo spazio non è pensato come una realtà circostante, con una propria configurazione formale fissa, ma come una esperienza che si compie” (Argan, 1955, p. 10). Ogni gesto impone delle modificazioni allo spazio urbano così come percepito fin ora. Liberare e pavimentare la piazza [q], costruire al suo centro [g], costruire sul margine [c] [d] o modellare col verde [a] [o] [p]. Atteggiamenti differenti che hanno condotto a configurazioni planimetriche e spaziali diverse tra loro. Il rapporto con le antiche mura e il suo tracciato, non più esistenti ma fortemente percepibili costituisce il primo tema con cui confrontarsi. Allinearsi a queste per ridefinire il margine, separare e raccordare la città dentro e fuori le mura attraverso la costruzione [c] [d], oppure occupare l’intera piazza con un edificio [a], trasformandola attraverso gli allineamenti con le esistenti vie. Un costante esercizio di misura e proporzionamento sia in pianta che in alzato perché “un eccesso di dimensioni o una sproporzionata ricchezza di decorazione spesso sfocia nella volgarità e in ogni caso disturba il senso di equilibrio che è alla base della buona architettura” (Nervi, 1965, p. 3). La città si costruisce per tipi. Il cortile, il chiostro, la loggia, il porticato, elementi di filtro, di separazione e di raccordo tra gli spazi. Una loggia


il ruolo urbano del progetto • angela benfante

angolare [i] [l], elemento misuratore dello spazio urbano, ritmo ritrovato nella modularità del tessuto, recupera gli allineamenti con le esistenti vie, si apre sullo spazio vuoto centrale stabilendo nuove relazioni. Allineamenti con le strade esistenti in parte negati, in realtà, dalla posizione della costruzione, posta ad includere il percorso nel vuoto urbano come naturale dilatazione della strada [i]. Ancora volumi posti come prosecuzione di una strada per stabilire un contatto visivo con il paesaggio nella percorrenza interna della costruzione [l]. Il rapporto con le antiche vie, nelle visuali, negli allineamenti e disallineamenti offre molteplici composizioni spaziali [h] [o] [p]. La loggia, ritmata e vibrante, diventa il fondale principale, che in base al posizionamento ad est o ad ovest cela o apre la piazza verso la biblioteca e la Casa della Finestra, spazi analoghi nelle proporzioni ma dissimili per percezione e attitudine. Ancora, definire un intero isolato come un cortile [m] o come un palazzo con la sua corte interna [n], loggiato leggero [m] o volume pesante [n], espressioni simili nel disegno planimetrico ma completamente differenti nella percezione, elemento misurato e di ridotta scala il primo, volume chiuso in stretta competizione con l’edificato il secondo. Tutte queste possibilità considerano una separazione tra la città extra moenia ed intra moenia pur nel tentativo di raccordo e transizione progressiva. Eliminare questa cesura tentando di portare all’interno della piazza la collina di Bellosguardo e, al tempo stesso, riproporzionare l’ampia piazza esistente costituisce un approccio differente che vede il posizionamento della loggia come naturale prosecuzione di via Villani [e] [f]. Ancora, porre la loggia, di scala ridotta, in posizione marginale, in aderenza al muro del giardino Torrigiani per liberare completamente lo spazio, disegnando con attenzione le percorrenze e i rapporti visuali, come una naturale evoluzione della città in accordo con l’esistente [q]. La concretezza del tema progettuale affrontato ha permesso di indagare la tematica del rapporto con il contesto offrendo strumenti utili alle successive riflessioni, per trasmettere agli studenti un metodo che affondi le radici nella conoscenza e nell’analisi, affinché il progetto di architettura sia espressione identitaria del luogo. L’architettura prima ancora di essere tecnica e costruzione è ispirazione poetica. “Il difficile sta nel fondere l’anima del poeta con la scienza e l’esperienza del tecnico e ancor più nell’educare l’ambiente alla comprensione dei valori che l’umore del poeta e del tecnico possono creare” (Nervi,1951, p. 10).

alle pagine seguenti Impianti urbani dei gruppi di lavoro: [a] G. Baldi, E. Pasquini, A. Rossi; [b] G. Laudante, L. Pasqualotti, V. Spagnoli; [c] M. Giaracuni, M. Longo, E. Petrilli; [d] E. Mariani, C. Plancheria; [e] D. Betti, V. Vivona; [f] W. Salemme; [g] F. Bernes, G. Montiani; [h] E. Ledda, R. Raffa; [i] E. Farinelli, A. Di Giampietro, A. Vezzi; [l] F. Giovannini, M. Petrolini; [m] C. Carbonari, V. Ciummei; [n] M. Iannello, I. Rosta, A. Vio; [o] A. Coppini, L. Fabbri, D. Huang; [p] P. Piermartiri, D. Tabani; [q] S. F. Lisci, R. Massaro, B. Zamboni.

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Progetti


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Simonetta Francesca Lisci | Rosanna Massaro | Benedetta Zamboni


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Vita di quartiere e porta di ingresso alla città, atmosfera familiare e preesistenze monumentali che denunciano un forte legame con la storia. Questo è lo scenario che si offre a chi frequenta Piazza Tasso. Una piazza che è vissuta a pieno dagli abitanti, brulicante di vita a qualsiasi ora del giorno e stagione dell’anno. Una piazza nella quale il legame con lo spazio pubblico è fortemente sentito e, in quanto tale, necessita di essere intensificato. Ciò può essere possibile ricorrendo ad un’architettura che offra delle possibilità concrete di vivere lo spazio della piazza senza comprometterne l’apertura e il respiro già esistenti. Un’architettura che si radichi concretamente a quelle che sono le tracce che la storia ha lasciato, rappresentate dalle mura storiche e dalla cinta del Giardino Torrigiani. La loggia, spazio d’ombra su più livelli, architettura permeabile nell’esibizione sincera della propria struttura, diventa quasi una stanza urbana, instaurando un nuovo dialogo con il muro antico e i temi collettivi della contemporaneità che in questo luogo si affacciano per occuparlo, finalmente.


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1.  Copertura -- Manto di copertura in rame, sp. 1.5mm -- Stuoia tridimensionale anti rombo -- Membrana impermeabilizzante -- Pannello OSB, sp. 25mm -- Rivestimento trave in rame -- Solaio in lamiera grecata -- Controsoffitto con orditura metallica e lastre in cartogesso. Finitura materica color grigio chiaro

2.  Struttura portante -- Trave realizzata con 2 profili IPE 600 accoppiati (superiore) -- Orditura secondaria: profili IPE 180 -- Trave di bordo: profilo IPE 220 -- Pilastri: profilo HEB 300

3.  Attacco a terra e fondazioni -- Pavimentazione in lastre di pietra alberese fiammata, 60x30x6cm -- Strato di allettamento, sp. 5cm -- Piatto in acciaio -- Piastra in acciaio -- Tirafondi -- Membrana impermeabilizzante -- Massetto di pendenza in cls -- Vespaio in ghiaia -- Fondazione a platea in c.a. -- Magrone -- Terreno

4.  Pavimentazione esterna -- Pavimentazione in lastre di cemento, sp. 6cm -- Strato di allettamento, sp. 5cm -- Caditoia a fessura centrale -- Massetto 12cm -- Pozzetto in calcestruzzo 30x30mm per il drenaggio delle acque -- Terreno


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Diego Betti | Virginia Vivona La loggia si imposta sulla direttrice sud-nord di Piazza Tasso misurandone l’estensione con la sua grande copertura, posta in asse con via Villani. La testata sud del padiglione è posta sulla traccia delle antiche mura e, con una sospensione d’ombre, evidenzia una pausa della nuova cortina verde, invitando ad entrare in Oltrarno. La grande copertura a padiglione ribassato è sostenuta alle estremità da appoggi caratterizzati da materiali e spazialità molto diverse. A sud, un cubo in grigliato di mattoni, subisce una rotazione che invita a girargli intorno per accedere ai vari spazi ospitati. Al suo interno troviamo il bar, i bagni pubblici e un piccolo magazzino per lo stoccaggio di materiali utili agli eventi all’aperto; all’esterno trova posto una nuova fontana per l’acqua pubblica. A nord, sul proseguo di via della Chiesa, gli appoggi si moltiplicano fino a formare un’ariosa sala ipostila, realizzata con esili pilastri di calcestruzzo, e governata dalla geometria variabile che caratterizza il cassettonato di copertura. Al centro il vuoto, coperto, per il mercato, il bivacco, il gioco o la musica. Lo spazio della piazza è quindi diviso da una loggia che unisce. Il disegno degli spazi aperti, verdi o pavimentati, è ispirato ad una logica scenografica, tesa ad enfatizzare il settore monumentale definito dalla Casa della Finestra, il Torrino del circolo e l’edificio della Biblioteca.


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1.  Copertura -- Lamiera grecata in rame -- Tavolato in legno -- Scatolari in acciaio di sezione quadrata -- Lastre in cemento alleggerito fibrorinforzato

2.  Solaio intermedio -- Lamiera grecata -- Trave HEA 400 -- Isolamento termo-acustico -- Controsoffitto a orditura metallica in cartongesso

3.  Muratura -- Muratura in laterizio faccia a vista pieno-pieno, 250x120x55/120x190x55mm

4.  Fondazioni -- Battuto di cemento con finitura a spolvero -- Massetto in calcestruzzo con rete elettrosaldata -- Membrana impermeabilizzante -- Sottofondo -- Platea di fondazione -- Membrana impermeabilizzante -- Magrone -- Terreno


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Gianmarco Baldi | Elena Pasquini | Alessio Rossi Piazza Tasso si trova al limite tra città e colline fiorentine. Questa condizione duale ha suggerito lo sviluppo dei temi del margine e della metamorfosi. Unire in un unico gesto architettonico piazza, edificio e paesaggio. Il tutto si concretizza in un macro elemento curvilineo, come un velo posato sull’intera piazza, che si innalza lateralmente in forme sinuose, protese, a sud-ovest, verso le colline e, a nord-est, verso la città. Questo dialogo tra costruito e natura si percepisce in tutta la sua potenza dal centro della piazza. Sul lato rivolto verso Bellosguardo si vede innalzarsi una collina, dalla quale cresce un bosco rigoglioso, reso possibile grazie a grandi vasche di terra che, all’interno del bar e del centro espositivo, caratterizzano lo spazio, illuminato da patii e tagli di luce zenitale. Verso la città storica, la pavimentazione inizia ad alzarsi, definendo un nuovo morbido basamento delle case. Attraverso alcuni varchi, ricavati tra le ciclopiche mensole in cemento armato che sostengono la piazza, si può accedere allo spazio d’ombre e di vita dedicato al mercato, affacciato sul proseguimento di via della Chiesa. Questa sorta di teatro, al centro, si caratterizza come un “campo”, in parte verde in parte pavimentato, che teso verso il complesso monumentale della biblioteca costruisce una nuova, inedita, spazialità urbana.


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1.  Tetto giardino -- Manto erboso -- Strato filtrante: geotessile -- Strato drenante: ghiaietto fine -- Doppia membrana impermeabile -- Strato isolante, sp. 8,5cm -- Barriera al vapore, sp. 6mm -- Solaio predalles, sp. 30cm -- Controsoffitto in cartongesso, 60cm 2.  Parete verticale esterna -- Rivestimento esterno in pietra Santafiora fiammata, sp. 2cm

-- Sottostruttura in alluminio di sostegno -- Setto portante in c.a., sp. 40cm -- Sottostruttura in alluminio di sostegno -- Strato isolante, sp. 5cm -- Rivestimento interno in pietra Santafiora a taglio naturale, sp. 2/3cm 3.  Parete verticale interna -- Rivestimento interno in pietra Santafiora a taglio naturale, sp. 2/3cm -- Sottostruttura in alluminio di sostegno

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-- Strato isolante, sp. 5cm -- Setto portante in c.a., sp. 40cm -- Barriera al vapore, sp. 6mm -- Strato isolante alta densità, sp. 9cm -- Doppia membrana impermeabile -- Terreno 4.  Pavimentazione esterna -- Pavimentazione esterna in calcestruzzo architettonico, sp. 6cm -- Strato di base in sabbia, sp. 4cm -- Vagliato stabilizzato, sp. 10cm -- Ghiaia drenante -- Terreno

5.  Pavimentazione interna -- Pavimentazione in resina macchiata, sp. 3cm -- Malta livellante, sp. 5cm -- Riscaldamento a pavimento -- Massetto isolante, sp. 3,5cm -- Vespaio areato h. 36cm e getto di completamento sp. 4cm -- Platea in c.a., sp. 40cm -- Magrone, sp. 10cm -- Terreno


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Enrico Ledda | Roberta Raffa


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Il disegno della piazza recupera le direttrici dettate dalla maglia urbana, ridefinisce gli allineamenti con le esistenti vie cercando di stabilire uno stretto rapporto con il contesto. Il progetto è composto da due elementi principali: una copertura sospesa e un setto trasversale. L’ombra dell’ampia copertura, posta sul lato nord della piazza, a ricostruire il proseguimento di via della Chiesa, è destinata ad ospitare il mercato e servizi ad esso inerenti; mentre il lungo setto che divide la piazza mercatale dal giardino alberato impostato sul lato est conduce sotto la grande loggia. Questo muro sostiene la copertura e lo sviluppo di una lunga rampa esterna che accompagna sulla copertura del padiglione, una sorta di secondo spazio pubblico, un belvedere praticabile, modellato dagli estradossi delle travi sottostanti. Il progetto del verde si inserisce all’interno delle nuove geometrie della piazza, diventando un valore aggiunto per la fruizione della struttura del mercato e della sua copertura, in parte aperta verso il giardino, con una grande corte.

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Marina Giaracuni | Michele Longo | Emanuele Petrilli Il progetto si imposta sul limite sud di Piazza Tasso, a ricucire la traccia delle mura d’Oltrarno, aperte dal Poggi, in corrispondenza della salita verso la collina di Bellosguardo. Proprio da questo intervallo spaziale nasce l’idea progettuale, che si propone di riportare una continuità fisica tra le mura, senza determinare una chiusura netta tra la piazza e il Viale. L’edificio costruisce un grande spazio d’ombre e, nei materiali e nella composizione del fronte, riflette alcuni caratteri dell’architettura romana. L’intero perimetro del progetto presenta infatti una scansione regolare di aperture, in mattoni faccia vista, che avvolgono il basamento interno della loggia, delimitandone così il confine. A sovrastare questo ritmo strutturale vi è una copertura metallica, con intradosso a cassettoni, poggiante, oltre che sui muri rivolti verso la piazza, anche su due blocchi abitati, realizzati in cemento armato faccia vista, disposti nello spazio a definire ambiti funzionali diversi. All’interno dei grandi pilastri trovano posto un bar, i bagni pubblici, una zona deposito e il fontanello, illuminato dalla luce naturale che piove dall’alto, danzando nell’ombra.


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1.  Copertura -- Rivestimento metallico, 1,50x50 cm, sp. 3mm -- Guaina impermeabile, sp. 2mm -- Pannello OSB, sp. 1cm -- Lamiera grecata, h 4cm -- Profilato metallico, 4x4cm 2.  Solaio superiore -- Profilato metallico, 5x10cm, sp. 5mm -- Profilato metallico, 30x45cm, sp. 17mm -- Profilato metallico, ø 9,5cm

-- Infisso con telaio in allumino e ve-- Setto in c.a., sp 30cm trocamera -- Supporti metallici per contro-- Carter metallico, sp. 3mm soffitto -- Controsoffitto ad orditura metallica -- Malta, sp. 3cm in lastre di gesso 4.  Solaio soppalco -- Pavimentazione in travertino, 3.  Attacco finestra 45x45cm, sp. 3cm -- Lastra di rivestimento in travertino, -- Malta, sp. 3cm h 23x60cm, sp. 1,7cm -- Massetto in cls alleggerito, sp. 5mm -- Sottostruttura metallica verticale -- Solaio in c.a., sp. 30cm -- Isolante termico, sp. 8cm -- Setto in c.a., sp. 30cm -- Lastra di rivestimento in travertino, 5.  Attacco a terra -- Pavimentazione in travertino, h 1,20x60cm, sp. 1,7cm 45x45cm, sp. 3cm

-- Malta, sp. 3cm -- Massetto in cls alleggerito, sp. 5mm -- Elementi a perdere in PVC, h 95cm -- Getto in cls. con rete, h 10cm -- Massetto in cls alleggerito, sp. 5cm -- Impianto di riscaldamento -- Profilato metallico, sp. 1cm -- Elemento in polistirolo -- Listello bloccante in legno -- Magrone di appoggio, h 10cm - Strato drenante in ghiaia - Fondazione in c.a. - Guaina impermeabile - Terreno


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Giuseppe Laudante | Luca Pasqualotti | Valentina Spagnoli


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Il progetto del Foro per Piazza Tasso è il risultato di una ricerca spaziale tesa a ritrovare una condizione di intimità all’interno di questo ambito urbano, oggi molto ampio e dispersivo. Lo sviluppo del padiglione d’ombre — quasi la trasposizione di un foro romano contemporaneo o di un sistema claustrale complesso — mette in forma questa condizione di esclusività e raccoglimento, portando la piazza pedonale al piano interrato. Qui è collocata la zona commerciale e mercatale, raggiungibile per mezzo di molteplici accessi pedonali, il grande scalone sud e la a rampa gradonata a nord a cui si aggiunge una rampa carrabile a servizio dei magazzini. Fuori terra il progetto si segnala per la presenza di un edificio a torre, posto in prossimità della Casa della Finestra e del torrino con i quali definisce una nuova “stanza urbana”, dove i fruitori possano sentirsi accolti in un luogo non solo da attraversare ma anche da vivere. Al contempo il disegno a terra della piazza ad est, influenzato da quanto avviene al piano interrato, definisce una serie di piccoli spazi dello stare avvolti dalle alberature.

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Federico Bernes | Giacomo Montiani


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L’impianto è impostato sui vari assi stradali che si affacciano nella piazza, individuando nell’intersezione dei medesimi, il fulcro dell’intero sistema planimetrico. Al centro viene quindi proposta una grande aula civica, circondata su tre lati da alberi ad alto fusto. Posto ad una quota inferiore rispetto al piano stradale, questo padiglione quadrato, misurato sul vicino chiostro del Carmine, è definito da una copertura a quattro falde, sospesa nell’ombra, poggiata su grandi piloni angolari, al cui interno sono stati ricavati spazi per i bagni pubblici, i magazzini e il fontanello. Un oculo permette alla luce zenitale di entrare nello spazio e mostra la rastremazione dell’intradosso e dell’estradosso di copertura, entrambi convergenti verso il centro. Su tutto il perimetro dell’aula sono disposte delle sedute a gradoni, interrotte solamente dalle rampe di accesso. Il lato nord, l’unico libero da piantumazioni, si presenta come un prato, arredato con sedute in pietra, la cui pendenza copre il dislivello con via della Chiesa.


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1.  Copertura -- Rivestimento in pannelli di cemento fibrorinforzato, sp. 25mm -- Orditura secondaria in alluminio con agganci per pannelli esterni a secco, h 40mm -- Membrana impermeabilizzante doppio strato -- Travi reticolari in acciaio preverniciato, sez. 250x250mm -- Fazzolettature per travi reticolari in acciaio saldato con bulloni per fissaggio meccanico

2.  Scala -- Blocchi lapidei in pietra piacentina, h 165 x b. 300mm -- Rivestimento gradonata in lastre di pietra piacentina, sp. 25mm -- Manto di allettamento in malta cementizia, sp. 20mm -- Soletta in c.a., sp. 200mm

3.  Pavimentazione -- Pavimentazione aula interrata in lastre di pietra piacentina, sp. 60mm -- Sottofondo in sabbia, sp. 50mm -- Massetto in c.a., sp. 100mm -- Fondazione a trave rovescia in c.a., h 700mm -- Membrana impermeabilizzante -- Magrone in calcestruzzo, sp. 150mm -- Terreno

4.  Strato drenante -- Condotta drenante, ø 100mm -- Zoccolo inclinato in malta cementizia -- Magrone in calcestruzzo, sp. 150mm -- Membrana impermeabilizzante -- Terreno

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Clarissa Carbonari | Valentina Ciummei Questo progetto cerca un confronto con le misure del tessuto urbano. Si vuole costruire una loggia minuta ma estesa e leggera, in grado di veicolare la vita nel cuore della Piazza, ma anche di esaltare, attraverso il suo disegno in pianta, uno dei monumenti storici più antichi della città: il tratto di mura medioevali che conducono a porta Romana. Il passo strutturale è originato da quello delle strette case vicine, l’altezza massima recupera la quota del basamento dell’edificio della Biblioteca. La loggia come un leggero velario metallico, caratterizzato da una ritmata increspatura, ottenuta a partire da una costruzione geometrica regolare, ospita anche due piccoli edifici luminosi, in vetro opalino. In questi trovano spazio i bagni pubblici e il fontanello, oltre che un piccolo magazzino di deposito per il materiale e l’attrezzatura del mercato. Lastre di pietra di toni cromatici differenti caratterizzano il disegno della Piazza, a queste si alternano i percorsi pedonali in calcestruzzo gettato. In accordo con i colori caldi della pavimentazione si propone, per la loggia, un rivestimento metallico in lastre di ottone, microforate all’intradosso per sospendere il velario in una suggestiva illuminazione notturna. La superficie, inizialmente lucida e riflettente delle strutture e dell’intradosso della copertura, col tempo, acquisterà una patina brunita, conciliandosi coi caratteri del luogo.


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5.  Solaio a terra interno -- Pannello isolante, sp. 127,5mm -- Pavimentazione in lastre di pietra -- Pannello OSB, sp. 5mm -- Pannello tipo aquapanel, sp. 12,5mm trachite euganea, sp.10mm -- Massetto autolivellante, sp. 30 mm -- Intonaco, sp. 10mm -- Massetto, sp. 100mm 4.  Solaio a terra esterno -- Isolante, sp. 80mm -- Pavimentazione in lastre di pietra -- Guaina impermeabilizzante trachite euganea sp. 50mm, alter3.  Parete interna -- Magrone, sp.150mm nata a getto di calcestruzzo boc-- Lastre di rivestimento in pietra tra2.  Solaio di copertura -- Terreno ciardato chite euganea, sp. 10mm -- Intonaco, sp. 10mm -- Giunti in malta -- Pannello tipo aquapanel, sp. 12,5mm -- Colla, sp. 10mm -- Pannello tipo aquapanel, sp. 12,5mm -- Massetto, sp. 100mm -- Pannello OSB, sp. 5mm -- Ghiaia, sp. 215mm -- Cartongesso, sp. 12,5mm -- Cartongesso, sp. 12,5mm -- Terreno 1.  Solaio di copertura -- Lastra in lamiera metallica, sp. 3mm -- Trave primaria IPE 500 -- Trave secondaria IPE 200 -- Lastra in lamiera metallica, sp. 3mm

-- Pannello isolante, sp. 87,5mm -- Lamiera grecata, sp. 50mm -- Guaina impermeabilizzante -- Intonaco, sp. 10mm -- Lastra in lamiera metallica ti, sp. 3mm


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Agnese Coppini | Leonardo Fabbri | Danqing Huang


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Partendo dalla lettura dei documenti d’archivio, il progetto ridisegna la piazza con l’intenzione di evocare l’antico isolato la cui traccia è richiamata attraverso la sistemazione delle quote e degli arredi della piazza pedonale, rialzata rispetto al piano stradale. L’area che un tempo ospitava il quartiere abbattuto è disseminata di vasche verdi, utili ad emulare l’ingombro degli edifici eliminati dal Piano Poggi. In corrispondenza dell’antico tracciato delle mura sorge invece una fila di tigli: un monumento (monumentum, “ricordo”) che richiama l’immagine della città murata. L’edificio d’ombre, ad una sola falda, si caratterizza per il ritmo serrato dei portali strutturali in cemento armato. Il lato che prosegue via del Leone, subendo una leggera rotazione in pianta, esalta la visione prospettica della torre di cinta, in corrispondenza della testata del giardino Torrigiani. Sul lato interno alla piazza, il prospetto è scandito da una variazione degli aggetti dei portali, che ne smorzano la scala, conformandola alla logica aggregativa tipica del tessuto edilizio vicino.

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Francesca Giovannini | Mariachiara Petrolini Partendo dall’analisi delle piazze esistenti nella città di Firenze, si è deciso di ridimensionare il lotto in questione disegnando uno spazio più misurato, cercando di favorire un dialogo tra questa e la vicina Piazza del Carmine. Si è quindi ridefinita la piazza adiacente agli unici edifici aventi funzione pubblica nell’area, quali la biblioteca, la Casa della Finestra e il torrino, chiudendola con le due logge di differente altezza. Le due strutture sono poste ad ”L” lungo due lati delimitanti il nuovo vuoto urbano; in particolare una di queste si trova in corrispondenza del perimetro delle antiche mura della città. Le due logge hanno una struttura portante in setti in cemento armato a vista, di ritmo costante di 5 m, che in altezza permette di inquadrare due moduli proporzionati tra di loro: quello della loggia minore corrisponde ai 2/3 della loggia maggiore. Si tratta di due edifici indipendenti, con altezze differenti, i cui sbalzi si sovrappongono senza toccarsi. Nell’angolo è stato inserito l’unico volume chiuso del progetto, con funzione di servizi pubblici e bar/ caffetteria, rivestito in lastre di travertino di Rapolano, i cui toni caldi permettono di instaurare un dialogo armonico con le preesistenze di Piazza Torquato Tasso.


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1.  Copertura -- Rivestimento in quadrotti di cemento -- Membrana impermeabilizzante -- Isolante termico, sp. 100mm -- Massetto in calcestruzzo alleggerito, pendenza 1.5%, sp. min. 40mm -- Solaio a predalles, sp. 240mm -- Intercapedine e sottostruttura -- Doppia lastra in cartongesso, sp. 12,5mm 2.  Parete esterna superiore -- Struttura portante in c.a., sp. 30cm

-- Isolante termico, sp. 100mm -- Intercapedine e sottostruttura -- Rivestimento in lastre di travertino, sp. 25mm (dim. varie) 3.  Solaio intermedio -- Pavimentazione in lastre di travertino, sp. 15mm (dim. varie) -- Malta, sp. 5mm -- Massetto, sp. 50mm -- Solaio a predalles, sp. 240mm -- Intercapedine e sottostruttura per soffitto in aderenza, sp. 50mm

-- Lastra in cartongesso, sp. 12,5mm 4.  Parete esterna inferiore -- Rivestimento in resina, sp. 8mm -- Doppia lastra in cartongesso, sp. 12,5mm -- Intercapedine e sottostruttura -- Struttura portante in c.a., sp. 30cm -- Isolante termico, sp. 100mm -- Intercapedine e sottostruttura -- Rivestimento in lastre di travertino sp. 25mm (dim. varie)

5.  Solaio controterra -- Pavimentazione in gres, sp. 15mm (dim. 400x1000 mm) -- Malta, sp. 5mm. -- Massetto, sp. 50mm -- Riscaldamento a pavimento -- Isolante termico, sp. 80mm -- Soletta in c.a., sp. 100mm -- Elementi a perdere in PVC -- Magrone in cls., sp. 100mm


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo


titolo saggio • nome cognome

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Note a margine di una esperienza didattica



il ruolo delle discipline strutturali: università e contesto territoriale Raffaele Nudo

G. Laudante, L. Pasqualotti, V. Spagnoli, vista dello scalone dalla sala ipostila alla quota inferiore della piazza, 18 gennaio, ore 18:00

Università degli Studi di Firenze raffaele.nudo@unifi.it

Nel corso dei tanti anni di militanza presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze, sia in aula che in altre sedi istituzionali, spesso mi sono trovato a dibattere sul ruolo che le discipline strutturali debbano svolgere non solo in ambito didattico, ma in un contesto più ampio attinente al sociale. Per la verità l’argomento, che coinvolge aspetti di estrema concretezza, spesso prendeva l’avvio sul piano semantico, affrontando un tema molto caro agli architetti: quello del rapporto tra architettura e struttura. Tale dicotomia, che negli ultimi anni ha trovato una sorta di codificazione nel Laboratorio di Architettura e Struttura, nasce dalla coesistenza di due anime apparentemente distinte all’interno di una stessa costruzione: alla prima si attribuisce il compito di definire gli aspetti estetici e formali e, in quanto tale, assume una connotazione astratta, direi metafisica; alla seconda si affida invece il compito di dare ‘sostegno’ e concretezza materica al pensiero progettuale. Questa interpretazione o, piuttosto, tale ambiguità, trova piena giustificazione nel ruolo che l’architettura si è ritagliato in tempi recenti. Se da un lato gli splendidi esempi di edifici dell’antichità classica, o del nostro Rinascimento, dimostrano come architettura e struttura siano due concetti sovrapposti, che si fondono in un unico principio costruttivo, è altrettanto vero che, a partire dal XIX secolo, la rivoluzione che ha riguardato materiali e tecnologie ha relegato la struttura in un piano apparentemente secondario rispetto agli altri ambiti progettuali. I nuovi materiali da costruzione, più performanti rispetto ai materiali tradizionali, e i metodi matematici per il dimensionamento strutturale, uniti a nuove esigenze di carattere estetico e tecnologico, hanno ispirato un tipo di progettazione che spesso ha portato a ‘nascondere’ l’impianto strutturale piuttosto che ad esaltarne il contributo agli aspetti morfologici. Su tale questione, intorno alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, è intervenuto Pier Luigi Nervi (2014, pp. 6-10). Il celebre progettista e costruttore fornì il suo autorevole giudizio sulla controversia generata dalla presenza di due figure sostanzialmente coincidenti, entrambe operanti nel campo della progettazione e della tecnica edilizia: l’architetto e l’ingegnere civile. Nervi auspicava, in tal senso, una revisione degli ordinamenti universitari, indicando l’Architetto come gestore unico dei molteplici


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

W. Salemme, vista della loggia da via Villani, 21 settembre, ore 8.30

ambiti che caratterizzano il processo costruttivo. Dalla progettazione all’esecuzione, dall’analisi economica a quella tecnologica, l’Architetto è la figura professionale che meglio di altre possa operare una sintesi efficace dei diversi contributi, anche culturali, necessari alla corretta gestione del progetto. Le parole di Nervi, tuttavia, non devono far pensare che la definizione dell’impianto strutturale giochi un ruolo secondario, o comunque subalterno, all’interno del processo progettuale ed esecutivo. Al contrario. Il progetto nasce come sintesi consapevole ed equilibrata delle varie anime che lo compongono; nessuna fra esse ricopre un ruolo di ‘sudditanza’, meno che mai la progettazione strutturale. Concepire una struttura vuol dire definire un’organizzazione gerarchica di elementi portanti che possa conciliare in modo ottimale efficienza statica, sicurezza ed economia. Non a caso l’ottimizzazione strutturale è diventata, da qualche anno, una disciplina autonoma e un importante


il ruolo delle discipline strutturali • raffaele nudo

ambito di ricerca. Da un punto di vista didattico, questo tipo di approccio consente alla Tecnica delle Costruzioni di stabilire un rapporto più diretto, e quindi meno astratto, tra lo studente e la costruzione. Aste, pendoli, incastri e cerniere trovano in questa disciplina una concretezza tangibile e le loro definizioni sono applicate ad oggetti reali. La nuova sfida diventa ora quella di applicare nel modo più corretto gli strumenti teorici, fondati sull’assunzione di comportamenti ideali e perfetti, a materiali e strutture reali e quindi, per loro natura, imperfetti. Si tratta di un’operazione non banale, che presuppone un importante salto di qualità, nel senso della maturità di pensiero, da parte dello studente. In questo ambito si affronta un altro tema molto delicato della progettazione, ossia quello della sicurezza strutturale e delle relative procedure di calcolo (Metodo degli Stati Limite) (Jossa, 2007; Toniolo, 2009). Tale argomento, che racchiude in sé considerazioni di natura etica oltre che strettamente tecnica, è particolarmente importante per il nostro Paese. Siamo giornalmente chiamati a confrontarci con un contesto territoriale caratterizzato da un’elevata pericolosità sismica (Petrini, Pinho, Calvi, 2004; Parducci, 2007) e dotato, allo stesso tempo, di un patrimonio storico-architettonico di elevato pregio soggetto, come tutto in natura, all’inesorabile aggressione del tempo. I materiali invecchiano, tutti, ed oggi il progettista, ingegnere o architetto che sia, deve far fronte ad un nuovo e gravoso impegno progettuale: l’intervento di riqualificazione, ai vari livelli, di una costruzione esistente, molto più complesso rispetto alla progettazione di un nuovo edificio. In tale ambito, diventa fondamentale l’indagine conoscitiva preliminare, ovvero la fase di studio della costruzione nelle condizioni attuali, prima dell’intervento. Da questo punto di vista risulta chiaro come gli strumenti teorici assumano un ruolo del tutto secondario rispetto alla capacità di lettura complessiva dello stato di salute dell’oggetto indagato, attitudine che presuppone non solo la conoscenza della meccanica dei materiali e del loro stato di degrado ma soprattutto la cultura delle tecniche costruttive in quanto legate alla storia e alle tradizioni specifiche del luogo. Particolare attenzione va dedicata all’analisi dei cosiddetti ‘aggregati strutturali’, il cui impianto statico dipende fortemente dalla stratificazione e dalla successione storica delle varie cellule che risultano assolutamente dipendenti dalle strutture adiacenti. Tali nuove esigenze sono state recepite dalle moderne normative in ambito strutturale, sia nazionali che internazionali1,2, che dedicano ora ampio spazio al progetto degli interventi sulle strutture esistenti. Va altresì sottolineata, riguardo alle nuove costruzioni, l’introduzione del concetto di ‘vita nominale’ di una costruzione, ossia di un arco 1   D.M. 17/01/2018 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti: Aggiornamento delle Norme Tecniche per le Costruzioni. Pubblicato sulla G.U. della Repubblica Italiana n. 8 del 20/02/2018, Suppl. Ordinario n. 42. 2   ACI 318-14: Building Code Requirement for Structural Concrete. Report of American Concrete Institute — Farmington Hills, MI, 2014.

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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

M. Iannello, I. Rosta, A. Vio, 18 luglio, ore 13:30

pagina a fronte E. Farinelli, A. Di Giampietro, A. Vezzi, vista della loggia, 3 aprile, ore 8:10

temporale, stabilito secondo criteri convenzionali, durante il quale la struttura deve garantire opportuni livelli di sicurezza, ottenuti, tra l’altro, con un’attenta e costante manutenzione da parte del proprietario nel caso di costruzioni private, e degli uffici tecnici preposti nel caso di strutture pubbliche. Dal rapporto progettista-committente si sviluppa un legame più esplicito tra progettazione e mondo reale, legame che oggi si intende rafforzare grazie ad un atteggiamento più aperto dell’istituzione universitaria nei confronti del territorio e delle relative problematiche. L’esigenza di un’apertura alle tematiche territoriali e ambientali rientra in un più ampio quadro di revisione e riconfigurazione dell’offerta formativa di livello superiore, che è stato avviato un paio di decenni fa con la Conferenza di Bologna3,4. Nel documento di sintesi che ne è scaturito sono state formalizzate alcune linee programmatiche a livello europeo che tengono conto dei molteplici cambiamenti in atto nella nostra società, con ovvie ricadute sul piano culturale e, di conseguenza, sulla formazione universitaria. Tra i vari aspetti considerati è emersa la necessità di un’università sensibile alle problematiche sociali ai vari livelli e ad un più diretto collegamento con le realtà locali. Tali sviluppi 3   D.M. 03/11/1999, n. 509, del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica: Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei. Pubblicato sulla G.U. della Repubblica Italiana n. 2 del 04/01/2000. 4   European Commission/EACEA/Eurydice, 2018. The European Higher Education Area in 2018: Bologna Process Implementation Report. Luxembourg: Publications Office of the European Union.


il ruolo delle discipline strutturali • raffaele nudo

recenti non potevano restare inascoltati, coinvolgendo tutte le discipline del sapere e, non ultime, quelle progettuali. Sulla base di tali considerazioni si è resa necessaria una riflessione attenta che ha portato ad un aggiornamento dei programmi dei corsi universitari, che rivolgono ora maggiore attenzione al contesto territoriale di più immediata pertinenza. Nello specifico, il Laboratorio di Architettura e Struttura, costituito da tre moduli che rappresentano le principali anime della progettazione, ossia quella compositiva, tecnologica e strutturale, da qualche anno propone esercitazioni progettuali che diventano occasione di rilettura e di riflessione attenta su alcune criticità dell’area fiorentina, dalle periferie al centro storico. Si ritiene che, in tal modo, sia stato avviato un processo virtuoso che possa rispondere alla nuova missione delle discipline progettuali, ossia quella di una progettazione del territorio che metta sullo stesso piano sicurezza, tecnologia, sostenibilità e rispetto della storia e della cultura dei luoghi.

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brevi riflessioni sul ruolo del trasferimento tecnologico in ambito didattico Claudio Piferi

E. Farinelli, A. Di Giampietro, A. Vezzi, sezione

Università degli Studi di Firenze claudio.piferi@unifi.it

Il Laboratorio di Architettura e Struttura, all’interno del corso di Laurea Magistrale in Progettazione, della Scuola di Architettura di Firenze, rappresenta uno strumento valido per indagare le specificità della progettazione tecnologica dei sistemi costruttivi e per approfondire il rapporto inscindibile tra forma, materiali, tecnologie e sito. La possibilità di osare che i laboratori di progettazione ancora consentono, abbinata a temi di indagine affascinanti e stimolanti e alle capacità e disponibilità degli studenti, permettono di ampliare i filoni di ricerca e di raggiungere risultati di altissimo valore simbolico e formale. L’apporto che la tecnologia cosiddetta hard, ovvero quella più attenta ai materiali e ai sistemi costruttivi, (per distinguerla da quella soft orientata allo studio e all’applicazione degli aspetti più procedurali del processo edilizio) garantisce a questa tipologia di laboratori, coinvolge molteplici aspetti (Piferi, 2016). L’intento comune dei docenti dei tre moduli e la curiosità degli allievi hanno permesso di intraprendere e portare a compimento percorsi progettuali di indubbio interesse, durante i quali, così come dovrebbe avvenire nell’esercizio della pratica professionale, composizione e tecnologia, spazi e materiali, forme e elementi costruttivi, si relazionano senza che gli uni prevalgano sugli altri. Il contributo della tecnologia dell’architettura, infatti, risiede non solo nel mettere lo studente a conoscenza di materiali, sistemi e soluzioni costruttive adatte a far funzionare o abbellire il proprio progetto, quanto a fargli comprendere l’importanza del trasferimento tecnologico, inteso come la capacità di trasferire le proprietà tecniche dei materiali e dei sistemi costruttivi (contemporanei o tradizionali che siano) alla specificità di ogni singolo progetto (Piferi, 2013). In assenza di ciò, gli studenti, inconsapevoli, possono andare incontro a molteplici e differenti errori dovuti proprio ad un’errata interpretazione dell’uso delle tecnologie. Un fraintendimento molto frequente è quello di optare per soluzioni tecnologiche povere (solo parzialmente giustificate dall’esigenza di rispettare il luogo in cui si interviene) che non valorizzano il progetto, ma, al contrario, rischiano di svilirlo: affidandosi a tecniche e prodotti standard, a catalogo, senza alcun tentativo di trasferimento tecnologico, talvolta optano per soluzioni che rischiano di compromettere la stessa funzionalità del progetto. Non avvalendosi


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

pagina a fronte E. Farinelli, A. Di Giampietro, A. Vezzi, sezione tecnologica

delle potenzialità che potrebbero derivare dalle scelte tecnologiche, infatti, non riescono a conferire la giusta forza espressiva al progetto e incorrono nell’errore di banalizzarlo. Altre volte, invece, si affidano a sistemi costruttivi e materiali hi-tech, che possono portare ad un tecnicismo estremo, fine a se stesso, poco utile e controproducente: un hi-tech difficilmente sostenibile, che raramente qualifica il progetto. La scelta progettuale forzatamente tecnologica, inoltre, per quanto funzionale, tende a snaturare lo stato dei luoghi, a nascondere, a coprire piuttosto che valorizzare, assumendo rilevanza maggiore rispetto ai luoghi, senza averne però, soprattutto nei contesti storici, la stessa valenza e forza simbolica. La progettazione dei sistemi costruttivi diventa in questi casi un esercizio fine a se stesso, avulso dalla realtà tettonica dell’edificio, generando spesso un paradosso: i sistemi costruttivi individuati sono corretti e funzionano ma non sono in grado di dialogare con il progetto e con il sito, ne rimangono avulsi e non contribuiscono alla possibilità di realizzare concretamente l’opera architettonica proposta (Guazzo, 2008, pp. 161-162). Se utilizzata in questi modi, quindi, la tecnologia dell’architettura non rappresenta un valore aggiunto e una soluzione ai problemi, anzi, non contribuendo alla formazione degli studenti, complica ulteriormente la comprensione di una disciplina già di per se complessa. Tecnologia, struttura e forma, quindi, in questa tipologia di laboratori, devono incontrarsi: la componente tecnica da sola può risolvere i problemi funzionali, ma non quelli formali e strutturali, e la sola forza espressiva della creatività, se non supportata da un background tecnico e tecnologico, si rivela insufficiente. Il processo messo in atto nel Laboratorio ha avuto proprio lo scopo di condurre gli studenti alla progettazione di un’architettura in cui la tecnologia, per assurdo, non emergesse, in quanto è essa stessa alla base del progetto. Se la tecnologia, i sistemi costruttivi e i materiali, infatti, si studiano e si progettano a monte del processo edilizio, saranno protagonisti come la forma e la struttura, rimanendo discreti, senza cadere nell’errore dell’ostentazione, ma conferendo dignità all’opera architettonica. Perché ciò avvenga è utile che la componente tecnologica del progetto sia affrontata dagli studenti già dalle prime fasi del processo ideativo e che il loro percorso si concluda (perché deve essere una conclusione del processo, non un’appendice al processo) con lo studio tecnologico di almeno una porzione del progetto, in una o più scale grafiche, in pianta, prospetto e sezione. Una sezione terra-tetto, strettamente correlata con il prospetto e con la pianta, ad esempio, permette all’allievo di controllare una o più parti della costruzione, intuendo da subito come le scelte degli elementi costruttivi e dei materiali possano incidere fortemente sulla forma complessiva dell’intervento (e viceversa) e come possano essere in grado di dialogare con il contesto in cui l’architettura si inserisce.


titolo saggio • nome cognome

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1.  Copertura loggia -- Lastre in calcestruzzo, sp. 12cm -- Membrana impermeabilizzante -- Isolante acustico, sp. 7mm -- Lamiera grecata con getto in cls, sp. 5+2cm -- Trave HE 400 -- Soletta in cls, sp. 8cm -- Trave in c.a., sp. 60cm

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2.  Copertura -- Pannelli in cartongesso, sp. 1cm -- Massetto in cls, sp. 4cm -- Isolante, sp. 4cm -- Lamiera grecata con getto in cls, sp. 5+2cm -- Trave HE 500 -- Doppio pannello di cartongesso, sp. 2+2cm

-- Magrone, sp. 16cm 3.  Parete esterna -- Pilastro in acciaio, dim. 30x10cm -- Infisso in alluminio con vetro camera 5.  Pavimentazione esterna -- Pavimentazione lapidea, sp. 15cm -- Sabbia, sp. 17cm 4.  Solaio controterra interno -- Pavimentazione in lastre di cls, sp. 2cm -- Massetto in cls, sp. 10cm -- Strato di livellamento, sp. 10cm -- Strato di livellamento, sp. 10cm -- Vespaio con tubo drenante -- Massetto in cls con rete, sp. 6cm -- Membrana impermeabilizzante -- Elementi a perdere in PVC, dim. -- Terreno naturale 66x50cm


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

E. Farinelli, A. Di Giampietro, A.Vezzi, pianta di dettaglio del bar

Gli elaborati grafici specifici, che consistono generalmente in più tavole contenenti delle specifiche informazioni tecniche e soluzioni costruttive in dettaglio, devono essere in grado di dialogare con le tavole d’insieme, esplicitando, attraverso lo studio dei nodi specifici di quel progetto, che le tre discipline, all’interno del Laboratorio, sono state affrontate in maniera congiunta. La progettazione di una loggia contemporanea, tema dell’esercitazione progettuale, è caratterizzata da una complessità specifica che risiede nella funzione fortemente simbolica che questa tipologia di architetture oggi deve avere, rapportata però ad una immagine radicata alla tradizione culturale, che coinvolge il territorio, i materiali e le soluzioni tecnologiche impiegate. Un padiglione di luce ed ombra, infatti, sembra voler privilegiare l’aspetto formale e simbolico su quello tecnico-funzionale. La magnificenza dell’opera architettonica e il messaggio che a questa viene attribuito sembrano dover essere più importanti della funzione: ma è soprattutto in questi casi in cui la tecnologia deve trovare il giusto equilibrio e mediare tra struttura e forma. L’immagine delle architetture progettate dagli studenti passa da una massività generata dall’uso di murature in pietra e laterizio, ad una permeabilità e trasparenza pressoché totale date dalle sottili colonne e dalle grandi aperture. I materiali, strettamente legati ai sistemi costruttivi impiegati, arrivano ad assumere un’importanza fondamentale: hanno la


brevi riflessioni sul ruolo del trasferimento tecnologico • claudio piferi

responsabilità di conferire alla loggia la dignità che le compete e di dialogare con il contesto circostante evitandone un’eccessiva astrazione. Ed allora l’acciaio cor-ten, le lastre di ottone lucido (che col tempo accoglierà su di sé una patina preziosa), il travertino o la pietra serena, lo zinco titanio o il rame, il laterizio e il calcestruzzo faccia a vista, il vetro stratificato, non sono più materiali avulsi dal luogo ma contribuiscono in modo importante all’espressività formale dell’intero progetto e alla sua integrazione in un contesto profondamente radicato nella città come quello di Piazza Tasso. Pilastri sottilissimi, grandi coperture a sbalzo, solai bidirezionali a cassettoni in cemento armato e travi reticolari consentono la creazione di sbalzi e aggetti che garantiscono la giusta stabilità dei progetti, ma al tempo stesso gli conferiscono un linguaggio contemporaneo, mentre colonne, porticati e muri massivi, materiali della tradizione utilizzati in modo convenzionale o innovativo, sembrano creare un continuum temporale con le storiche preesistenze. La progettazione di sistemi costruttivi adeguati permette la creazione di spazi ad ampio respiro indispensabili per ottenere ambienti che devono rappresentare, raccontare e commuovere. Le pensiline progettate in alcuni casi assecondando l’orografia del territorio senza violarlo, emergendo dal piano strada definendo dei nuovi landmark urbani, in altri casi invece diventano parzialmente o in toto ipogei, utilizzando le soluzioni costruttive e i materiali non come un tributo in ossequio alla tecnologia, ma come lo strumento fondamentale per mettere in comunicazione e far dialogare architettura e luogo. Il ruolo della tecnologia dell’architettura, anche nell’ambito dei laboratori delle Scuole di Architettura, quindi, deve essere quello di stimolare e favorire un approccio critico alla progettazione basato sempre sulla consapevolezza che l’evoluzione e l’individuazione della forma corretta, per ogni specifico progetto, può avvenire solo grazie alla sperimentazione e al susseguirsi delle innovazioni tecniche e al loro corretto trasferimento tecnologico. Gli studenti sono stati in grado di intraprendere e portare a compimento percorsi progettuali di indubbio interesse, durante i quali, funzione e forma, tecnologie e composizione, elementi costruttivi e ambientali, si relazionano senza che gli uni prevalgano sugli altri. Questa alchimia che si è creata tra tecnologia, struttura e forma nella progettazione delle logge contemporanee per Piazza Tasso è indubbiamente il risultato di un percorso di ricerca complesso, portato avanti insieme, dagli studenti e dai docenti, che ribadisce l’importanza dell’espressività della tecnologia per il raggiungimento della forma finale desiderata. Il dibattito, complesso e stimolante, meriterebbe certamente più ampia trattazione, ma è indubbio che l’esperienza didattica del Laboratorio di Architettura e Struttura rappresenta un interessante possibilità di ricerca e sperimentazione ma anche di interpretazione, gestione e verifica del rapporto tra tecnologia, struttura e forma.

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sul progetto didattico. ragioni e strumenti possibili Simone Barbi

Allestimento dei modelli di studio e dei disegni per la verifica dello stato di avanzamento del progetto architettonico

Università degli Studi di Firenze simone.barbi@unifi.it

Se “ogni cosa, ha il solo valore che da essa sappiamo trarre” (Neumeyer, 1996, p. 21) allora le poche convinzioni e i dubbi ancora da fugare che il sottoscritto espone al lettore — e soprattutto a se stesso — servono a dare una forma ad un ragionamento sulla didattica del progetto di architettura; per guardare in prospettiva quanto fatto finora e capire da dove ripartire, cosa lasciarsi alle spalle, come procedere. Al di là del talento individuale, sul quale la didattica non ha reale possibilità di incidere, serve proporre agli studenti un percorso in cui possano prendere confidenza con la Tradizione della disciplina (Eliott, 2003, pp. 68-70), con le regole sulle quali si fonda e sulle quali ognuno potrà operare ed esprimere le proprie doti attraverso il dominio del progetto. Favorendo un clima in cui gli studenti — come ricordava Franco Albini — manifestino un’effettiva attitudine e un’ostinata vocazione per la progettazione, tale che la scelta sia sentita come l’unico modo possibile per essi di esprimersi nella società, l’unico modo di comunicare col mondo, l’unico modo di realizzare la propria personalità. Dal primo giorno di lezione ho chiarito che la progettazione architettonica non è una scienza esatta, come può esserlo quella delle strutture, e che non ha più codici cui aggrapparsi. A partire dal Moderno, l’opera non si progetta con formule replicabili, ma attraverso una paziente ricerca fatta di studio, discussioni, tentativi, verifiche, ripartenze, intuizioni, delusioni ed epifanie. Nell’ideazione di un’architettura non c’è gerarchia di ruoli, durante le revisioni si può cogliere l’occasione di condividere una visione, un metodo, dei riferimenti culturali, degli strumenti, e questo è il dato per me più interessante della didattica del progetto. L’essenza del Laboratorio è di essere una palestra dialogica, tramite un confronto serrato e motivato, cercando una via per collegare le distanze che li separano, per raggiungere in modo convincente la figurazione esatta del tema prescelto. In questo scenario la varietas che si può ottenere da una ricerca svolta attraverso l’esercizio progettuale è una ricchezza. E i risultati ottenuti riflettono gli intenti del progetto (didattico) e le sue potenzialità. La cosa che preme far emergere è però l’attenzione posta alla trasmissione di un metodo, piuttosto che al risultato finito. In primis, tra allievo e maestro, ci deve essere un mutuo


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il dramma e la poesia • simone barbi, claudio piferi, raffaele nudo

riconoscimento — quasi un’affinità elettiva — e un comune innamoramento per ciò che deve esser posto alla base del lavoro: una precisa idea di Architettura. Importante è quindi indicare un orizzonte di ricerca convincente, che ognuno osserverà dal suo punto di vista — frutto della propria biografia, costruita consapevolmente o meno, giorno per giorno, e per questo sempre in farsi — al fianco di chi è lì per mostrarlo e a sua volta lo insegue. Il metodo si può trasmettere, e si può imparare. È una praxis con cui affrontare il progetto di architettura, combattendo contro il foglio bianco ed elaborando soluzioni a partire dalla lettura della città, delle misure che essa custodisce e che rappresentano la stessa cosa da sempre: l’uomo, la sua misura e quella delle sue aspirazioni. Il progettista deve imparare a fidarsi della città in quanto espressione fisica di una intelligenza collettiva, che possiamo chiamare tradizione, e che non fa altro che (trat)tenere ciò che è destinato a resistere e invecchiare bene. Serve saper educare gli architetti a riconoscere una sorta di committente nella città, e questo la aiuterà ad aver di nuovo fiducia nelle potenzialità del loro apporto. Nel dibattito sul destino dei centri urbani l’Università ha l’obbligo di sfruttare la posizione di privilegio dalla quale osserva la realtà. Libere dai vincoli e dalle norme contingenti — frutto di continui aggiustamenti (fallimenti?) che raramente considerano le preesistenze e le loro qualità come dato di partenza cui conformarsi — le proposte degli studenti si presentano quali alternative suggestive, potenzialmente in grado di innescare una ampia riflessione sui possibili futuri che la città può inseguire, piuttosto che subire. Questo è un principio fondamentale sul quale porre delle basi solide, plausibili ed entusiasmanti, del progetto didattico. In aula, il luogo della condivisione del metodo è il tavolo, su cui trovano posto i plastici d’inquadramento dell’area di progetto e quelli di studio dei singoli gruppi di studenti, continuamente rimodellati o rifatti per registrare, verificare e controllare, direttamente in tre dimensioni, le intenzioni spaziali che si vogliono perseguire e mettere in forma; il tempo, reso visibile attraverso la “danza del sole maestro d’ombre” (Venezia, 1988), è l’altra dimensione, la quarta, quella più decisiva e colpevolmente disattesa nella prassi attuale. Determinante è quindi l’uso corretto del modello di studio in scala, come strumento utile allo sviluppo del progetto e non alla sola presentazione finale. I disegni sono strumenti con cui esprimere, nella maniera più corretta, chiara e comprensibile, i caratteri del progetto, ma non riescono a restituire l’afflato spaziale, che è ciò che più ci interessa far indagare allo studente. Sul disegno ho insistito per imporre uno standard, vietando abbellimenti e surplus di lavoro e quindi di tempo. Fondo bianco, linee nere, grigie e rosse — poche e usate solo per evidenziare specifici dettagli geometrici e costruttivi — sono più che sufficienti a descrivere, coi giusti spessori, l’opera architettonica. Le visualizzazioni 3D, oggi sempre più


sul progetto didattico • simone barbi

centrali nel racconto del progetto, possono (devono?) essere anch’esse in bianco e nero, per dare centralità al dialogo tra masse, luce ed ombre, mantenendo una salutare distanza tra la realtà e la rappresentazione dell’idea. Attorno a questi materiali disposti ordinatamente sul tavolo si ritrovano, sullo stesso piano, autori, studenti, docenti, cultori, collaboratori. Tutti concentrati quasi fossero spettattori della dissezione di un corpo in un teatro anatomico. Il tavolo da lavoro è dunque una palestra in cui far pratica. Un campo di battaglia sul quale polemicamente (da pólemos) va in scena il “contendere-dell’uno-con-l’altro” (Curi, 2000): docente e studente, progettista e collega, autonomia della città ed ego dell’autore, tradizione e contemporaneità, invenzione e innovazione. Praticando la disciplina la si impara, ognuno con i propri tempi. Alla base della prassi didattica c’è la pratica del dubbio. È in esso che si possono trovare margini di miglioramento delle proprie convinzioni, rafforzare alcune pretese, eliminare supposizioni instabili o capricciose, sovente originate da una hybris che troppo spesso, nella nostra contemporaneità, definisce le azioni dell’autore a discapito delle ragioni del luogo. Se lo studente arriva convinto delle sue soluzioni, credo fermamente che il compito del docente sia quello di scuoterne le basi, attraverso la loro messa in crisi, per vedere “se reggono”. Se invece lo studente porta con sé molti dubbi, è utile aggiungerne di ulteriori, facendo al contempo emergere le sole cose promettenti su cui impostare il lavoro futuro. In entrambi i casi il dialogo mira a fondare il progetto su solidi concetti, aiutando lo studente a riconoscerli. È importante, infine, insegnare a dubitare di ciò che si è insegnato, come ci ricorda il filosofo spagnolo Ortega y Gasset, incentivando l’autonomia critico-interpretativa dello studente. Nel confronto, si impara a fare sintesi, eliminando faticosamente il superfluo per “arte di levare”, e cercando le risposte adatte ad esaltare l’idea, che nell’approcciarsi al luogo “vogliamo appoggi saldamente i piedi per terra, per raggiungere con la testa le nuvole” (Neumeyer, 1996, p. 11). La differenza tra un docente di progettazione e uno studente risiede, in extrema ratio, nella dimestichezza nel dominare strumenti e metodi della disciplina architettonica. È una sapienza — in passato si sarebbe usata la parola “maestria” — che si acquisisce nel tempo, attraverso i progetti fatti, le architetture realizzate, le ore spese a discutere con i colleghi i giustificativi delle scelte da prendere, i libri letti, gli edifici visitati o ridisegnati per carpirne le logiche compositive, strutturali e tecnologiche, i saggi scritti in seguito a ricerche faticose e formative. Durante il tempo dell’apprendistato — diverso per ognuno e potenzialmente senza fine — nel fare esperienza delle cose sopra menzionate, un architetto, sia esso professionista o studente, può avere, nel migliore dei casi, la fortuna di operare con passione, generosità e dando sfogo ad una urgenza interiore che può trasformarsi anche in ossessione. Sentimento che Aldo Rossi, nel saggio introduttivo al libro di Boullé, ci ricorda essere la sola a concedere “la capacità di non affondare nel mare della mediocrità” (Ferlenga, 2005, p. XXIV), e questo, in parte, può essere di stimolo e grande conforto.

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la materia al confine della città storica Massimo Mariani

Università degli Studi di Firenze massimo.mariani@unifi.it

P. Piermartiri, D. Tabani, vista della piazza verso la Casa della Finestra, 4 maggio, ore 12:15

“Lavorare nella città storica significa rispettare masse, proporzioni, allineamenti, […] non rompere ma inserirsi con piccole impercettibili modificazioni in un flusso ininterrotto di continuità” (Fabbrizzi, 2009, p. 306). Questa citazione, estratta da un’interessante pubblicazione monografica su architetti e architetture fiorentine, ben sintetizza molti degli approcci adottati da progettisti provenienti da diverse scuole di pensiero che si sono confrontati con la cultura architettonica fiorentina. Esiste, di fatto, la consapevolezza che la formazione progettuale dell’architetto in una città come Firenze passi anche attraverso la lettura e l’interpretazione degli spazi della città stessa, con l’obiettivo di comprendere i passaggi storico-culturali che ne hanno segnato gli assetti architettonici. Il laboratorio didattico ha affrontato le tematiche legate allo spazio aperto in riferimento a vuoti urbani in grado di creare opportunità di interazione sociale, tramite l’innesto di forma e materia architettonica per lo sviluppo di ambienti urbani aperti e coperti. In questo senso, l’oggetto di studio del programma laboratoriale rappresenta uno spazio aperto al limite del costruito storico consolidato: Piazza Torquato Tasso a Firenze insiste sul confine della geometria di una cerchia di mura (la quinta in ordine cronologico) che, alla fine del XII secolo, venne estesa Oltrarno, dove andavano a formarsi alcuni nuclei abitati. Tale sito storico nasce nel periodo in cui la città si apprestava a diventare Capitale del Regno d’Italia, attraverso la demolizione di una porta delle mura, e subisce trasformazioni successive fino ai primi anni del Novecento quando, con l’avvento della Grande Guerra, venne interrotto il processo di ampliamento, ultimato solo a metà del secolo con la costruzione del giardino e il restauro delle torri. Allo stato attuale, la conformazione di Piazza Tasso presenta un disegno disomogeneo che si inserisce nella cornice urbana marcando un luogo isolato di difficile identità, tra il tessuto storico e la viabilità di circonvallazione, soffocato da utilizzi inopportuni. Le potenzialità e la forte attrattiva della piazza hanno scaturito l’interesse verso proposte di riconfigurazioni spaziali diverse per visione, linguaggio e forma ma connesse dal modello architettonico della “loggia pubblica”, interpretato come legame ordinato tra spazio, materia e struttura oltreché vocativo di un ambiente urbano a dimensione umana. La libertà compositiva intrinseca al tema stesso riscontra, in questo caso,


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P. Piermartiri, D. Tabani, dettaglio della pavimentazione

la necessità di un importante confronto con il valore delle preesistenze, generando riflessioni legate a materiali e tecnologie costruttive con l’obiettivo di individuare soluzioni tecnico-creative trasversali. Lo sviluppo di spazialità variabili (aperte, limitatamente chiuse, aperte ma coperte), caratterizzate da diverse destinazioni pubbliche per la città e i cittadini, orienta gli approcci alla tecnologia verso composizioni di superfici materiche fra tradizione e modernità, natura e artificio. Così, la massività dei materiali lapidei o del calcestruzzo a vista tende a ricucire il confine tra il centro antico e la periferia, mentre la dinamicità di elementi metallici propone contrasti simultanei che evidenziano un nuovo luogo di limite, una sorta di grande soglia urbana sul tracciato delle vecchie mura. Soluzioni di equilibrio completano le possibilità di intervento avvicinandosi idealmente al suggestivo innesto contemporaneo con l’antico convento, opera di Zermani e associati: il restauro del Monastero di San Salvatore a Camaldoli, detto Casa della Finestra si inserisce in addizione al complesso attraverso due setti murari in pietraforte, il cui sfalsamento individua un ingresso dal carattere distributivo che, collegando i vari livelli, raggiunge in sommità una loggia angolare inquadrata da una grande finestra crociata da profilati metallici, simbolo di relazione visiva tra la collina e la città. Tramite tali linee di indirizzo al progetto il percorso del laboratorio progettuale ha sviluppato modelli di riconfigurazione della piazza, i quali possono essere sintetizzati in alcuni progetti di riferimento. La nuova spazialità proposta nella prima soluzione (cfr. pp. 58-63) si apre verso il tessuto urbano


la materia al confine della città storica • massimo mariani

antico attraverso una grande superficie lapidea a terra, la quale collega fisicamente il nuovo assetto con il complesso restaurato. La nuova loggia pubblica si snoda in due corpi aperti e coperti che, diversi nel disegno geometrico e in alzato, si uniscono nella materia e nelle proporzioni degli elementi verticali, sovrapponendosi nell’estremità sud della piazza. Il passo continuo delle colonne in calcestruzzo armato a vista si interrompe nei pressi di tale angolo, ospitando un volume compatto a destinazione pubblica, rivestito in pietra e staccato rispetto al piano orizzontale della loggia. La conformazione a L insiste così con una forma rettangolare a sud-est e un profilo trapezoidale lungo il tratto aperto delle mura antiche, mostrando una regolarità espressiva nella ricomposizione del confine. La seconda proposta progettuale (cfr. pp. 26-31) manifesta un equilibrio tra superfici permeabili e aree pavimentate, nel quale le prime si insediano maggiormente verso il costruito consolidato mentre, nella parte centrale, la pietra mette in relazione il blocco dell’ex convento con il giardino Torrigiani. La loggia si mostra in questo caso come un frammento a chiusura del lembo di quest’ultimo che si affaccia verso la piazza, articolandosi in una struttura spoglia ma vigorosa. La sua sagoma spezzata si compone, per la totalità, di elementi metallici che vanno a incastonarsi alle spalle di una torre, dialogando con essa e con le mura attraverso un forte contrasto materico e morfologico. Il nuovo organismo a sé stante, svuotato di ogni possibile massa, crea così uno spazio pubblico coperto in grado di ospitare attività polivalenti. L’ultima soluzione progettuale (figure a pp. 82, 84) è caratterizzata da un nucleo lapideo affiancato da isole di verde in comunicazione con le preesistenze. L’elemento loggia, appoggiato su un lieve podio in prossimità dell’antico convento, si presenta come sospeso, inquadrando una doppia regolare spazialità: nella parte inferiore cela la natura metallica delle colonne con un rivestimento in lastre di calcestruzzo che va anche a completare la base del volume sovrastante; superiormente, il parallelepipedo si smaterializza attraverso una superficie trasparente continua filtrata da una schermatura vibrante in elementi di laterizio. Gli ambienti così generati, in grado di accogliere molteplici attività legate alla vita sociale di quartiere, risultano qualificati da materiali della tradizione reinterpretati in sistemi contemporanei, configurando un nuovo luogo di confine per la città. All’interno del processo progettuale le soluzioni materiche ipotizzate evidenziano il valore della ricerca di tecnologie e materiali, il cui ruolo va a condizionare la qualità dello spazio urbano caratterizzando il rapporto tra costruito antico e dinamiche contemporanee. Infine, l’importanza di un tema così vicino alla scala del quartiere e alla comunità qualifica le attività del laboratorio didattico che, integrando trasversalmente progettazione architettonica, tecnologica e strutturale, offrono spunti per la città attraverso un esercizio progettuale in cui la materia si assume il compito di mediare valori storici e spazialità contemporanee di un antico confine.

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promesse alla città. costruzione e responsabilità dell’immagine di architettura Daniele Vanni

Università degli Studi di Firenze vanni.daniele@hotmail.it

F. Giovannini, M. Petrolini, vista della piazza dalla Casa della Finestra, 15 giugno, ore 16.30

La costruzione di un’immagine di architettura è, in primo luogo, costruzione dello sguardo. Il nostro tempo ci ha abituati alla possibilità di un modo di vedere estremamente potente quanto efficace: è lo sguardo che si posa sulle cose, in grado di abbracciare il mondo nella sua totalità e la storia nella sua unità1, i quali non costituiscono più lo sfondo dell’agire umano, ma sono un oggetto a loro volta da guardare/predare al pari degli altri. Per rendersi massimamente efficace, lo sguardo ha dovuto perdere il suo baricentro nelle cose osservate, allontanarsi sempre di più, fino a separarsi, dal suo oggetto. Mentre la rappresentazione della città fino ad un tempo relativamente recente tentava di inserirla nello sfondo del suo contesto, inquadrandola in una cornice di alberi o di un portico di una villa — dando cioè una metron che permettesse di misurare e comprenderne le distanze e i segni —, oggi l’esperienza di Google Earth ci ha permesso di dominare con lo sguardo il globo, al prezzo di perdere, osservando, ogni relazione vitale con i luoghi osservati. Oltre alla soppressione virtuale della distanza tra le cose2, le immagini che ci offrono una tale visione sul mondo portano con sé il rischio della perdita del concetto di luogo: è il principio e l’anelito a uno spazio perfettamente omogeneo e indifferente, che “non presenta più alcuna ‘densità particolare’, alcun ‘nodo significativo’” (Cacciari, 2004, p. 42), in cui le cose possono giustapporsi con un ritmo incessante, sempre nuove, e dove non esiste più identità né intensità. I programmi di disegno automatico e di rendering ci hanno aperto la possibilità di qualsiasi sguardo sul progetto. Lo spazio che questi software ci mettono a disposizione è lo spazio matematicamente controllabile: pura estensione cartesiana uniforme, equivalente in tutte le sue parti, un ‘vuoto’ disponibile a ricevere qualsiasi nuova forma ed esigenza. Eppure, lo sguardo del progettista non vede uno spazio così fatto, ma si costruisce in un necessario dialogo con le cose, con la città, con la storia, perché questi siano effettivamente vitali, fecondi, “robusti nutrimenti” (Nietzsche, 1973, p. 94) per la novità, che in   Cfr. Guardini, 2013, pp. 43 segg.   Cfr. Cacciari, 2004.

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A. Manzione, G. Spina, vista del padiglione dalla piazza verso il viale F. Petrarca, 5 maggio, ore 10.00

pagina a fronte E. Farinelli, A. Di Giampietro, A. Vezzi, vista della piazza, 12 agosto, ore 9:10

questo orizzonte non si presenta come im-posizione, press-papier calato dall’alto su spazi sgombrati, resi liberi per qualunque intenzione e invenzione. Si tratta di “saper porgere il contemporaneo” (Latina, 2017, p. 50) alla città e alla storia, e non imporre una firma, uno stile, una forma. Il modo di porsi e di porre (ponere) il progetto nelle sue relazioni con il contesto è già il modo con cui l’immagine di quel progetto in quel contesto si costruisce. Con una modalità analoga a quelle prime rappresentazioni di città, negli schizzi di Álvaro Siza il soggetto che disegna è sempre presente nel contesto dell’oggetto disegnato, attraverso la presenza di una mano, il bordo del taccuino, la punta delle scarpe, una figura di spalle. L’immagine di architettura ha quindi bisogno di un orizzonte nel quale lo sguardo, dialogante con l’orizzonte stesso, sia immerso. Costruire un’immagine che ponga l’opera in dialogo con la città e con la tradizione significa prima di tutto abituarsi a questo tipo di sguardo, abitare tale modo di vedere. Piccoli accorgimenti ci permettono di costruire nelle immagini delle intime relazioni tra l’opera e “la sua esistenza unica nel luogo in cui essa si trova” (Benjamin, 2012, p. 5): la scala delle persone, un orizzonte di montagne, il profilo urbano di cupole e tetti, un ramo che proietta su di noi la sua ombra. L’altezza della camera, infine, corrispondente all’altezza reale dell’occhio — mai troppo bassa né troppo alta —, pone lo sguardo in questo paesaggio. In questo senso, l’immagine di architettura non si risolve in una mera rappresentazione dell’oggetto progettato ad un pubblico


titolo saggio • nome cognome

incognito ed indifferente — un pubblico globale —, ma costituisce una vera e propria ‘promessa’ alla città e alla storia, e a chi, guardando, ne assapora la possibilità del suo evento. Nel suo essere ‘promessa’, l’immagine non si struttura come una pre-visione, non si sostituisce preventivamente all’opera, e l’opera non si esaurisce già nella sua rappresentazione. Riprendendo un ragionamento su cui Francesco Venezia è più volte ritornato nel corso delle sue lezioni e interviste, la potenza dei software di cui possiamo disporre oggi e la ricerca dell’iper-realismo come fine dei render ci hanno spesso indotto a pensare che il progetto si possa esaurire nelle immagini che lo rappresentano, come un corpo vero che finisce per coincidere con il suo simulacro. Mentre il corpo si compone per un accumularsi di strati costruttivi (Leonardo, quando disegnava una figura umana, partiva dallo scheletro, poi vi apponeva i muscoli, i tendini, gli organi, ed infine la pelle e gli abiti), il simulacro si incarna nella sua sostanza di superficie.

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pagina a fronte M. Iannello, I. Rosta, A. Vio, 18 luglio, ore 13:30

È bene chiarire che l’immagine — il simulacro —, nell’atto del promettere, non può dire esaustivamente come il corpo vero è, presupporne la realtà. Essa non dice il progetto, ma può tentare di metterne in scena ‘l’aura’, ‘l’atmosfera’. Questa impossibilità di costituirsi come previsione, di dire già tutta l’opera3, è l’essenza, e insieme la debolezza, dell’esser promessa dell’immagine. In questo senso, il suo ‘modo’ di dire, è quanto di più vicino ci sia alla forma del sogno, dell’illusione, dell’indistinto, della finzione. Con un concetto analogo, Leopardi definisce la poesia non come un’espressione artistica, ma come una forma del dire, complementare al discorso logico-matematico4, nella quale il linguaggio parla per accenni ed indicazioni, ma non smette per questo di rivolgere il suo contenuto alla verità. Evita cioè di presentarsi come definizione, comando, teorema: si fa carico di accennare qualcosa che non può essere altrimenti descritto, che non può essere detto, non perché in-dicibile, ma perché im-pre-dicibile5. Questo il carattere del promettere: il farsi responsabili nel dire l’impredicibile. Nella massima debolezza del dire risiede anche la massima responsabilità dell’artefice e l’impotenza del linguaggio costituisce la sua stessa forza. Seppur vaga, parziale, un’immagine ben costruita sa rivelare la natura profonda di uno spazio, sa fare cenno all’idea che in-forma tutto l’edificio: “per alcune frazioni di secondo ho la sensazione di sapere cosa quell’edificio è” (Zumthor, 2007, p. 11). Per Cacciari, “la congettura è autentica ri-velazione di ciò che in nessun modo può essere disvelato; […] non illusioni, non vuote parvenze, ma vere tracce di un’infaticabile fatica ri-velante. […] La congettura è certamente altra dalla Verità, ma nella sua alterità fa-segno realmente-veridicamente all’alterità della Verità” (Cacciari, 1994, p. 153). Se osserviamo le immagini contenute in questa pubblicazione, le inquadrature non mostrano il progetto nella sua interezza, ma ne raccontano l’idea, l’aspirazione degli spazi, il sapore dei materiali, la magia della luce sulle cose. Spesso un dettaglio, una ripresa ravvicinata sono sufficienti a promettere a chi guarda l’atmosfera di un luogo. Nell’immagine tutto non è già dato, previsto: se il suo oggetto è l’impredicibile — la verità dell’opera ed il suo avvenire nel mondo, che non può esser pre-detta —, la sua forma non può che essere quella dell’illusione leopardiana, del parlare vago ma estremamente

3   Per il concetto di previsione, e il modo in cui in essa si ‘dice’ l’opera — prima in un orizzonte epistemico/assoluto, poi ipotetico/programmatico —, si fa riferimento in particolare a Severino, 1979 e Severino, 1988, pp. 54 segg. 4   “La ragione ha bisogno dell’immaginazione e delle illusioni ch’ella distrugge; […] la geometria e l’algebra della poesia” (Leopardi, 1921-24, P1839); queste considerazioni sono debitrici anche della concezione heideggeriana del pensiero come un “indicare”, un “additare” (“ciò che si sottrae”), in contrapposizione all’azione dimostrante del calcolo scientifico (Heidegger, 1976, pp. 85-95). 5   Su questo tema cfr. Agamben, 2016, pp. 125-131.


titolo saggio • nome cognome

appropriato, dell’accennare e dell’indicare; il suo tèlos6, infine, si dispiega nell’atto del promettere, nell’aprire il darsi dell’opera nella sua verità. Parafrasando un testo di Giorgio Agamben7 sul compito del discorso filosofico, per trasferirlo nel nostro ragionamento sull’immagine architettonica: tutto quello che l’artefice dice nell’immagine (il progetto stesso) non è che un proemio a un’opera non scritta. Ciò significa, forse, che la rappresentazione architettonica non ha a che fare con ciò che si può dire attraverso il linguaggio, ma con la verità stessa dell’opera. L’evento, il manifestarsi della verità dell’opera, può essere solo annunciato, mai detto, rivelato ‘congetturalmente’: promesso.

Il suo ‘definirsi’ e ‘compiersi’: cfr Heidegger, 1976, p. 7.   Agamben, 2016, p. 131.

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Queste indicazioni bibliografiche sono state redatte pensando ad un percorso formativo che non per forza deve completarsi interamente entro i pochi mesi del Laboratorio, non ve ne è la pretesa né la necessità. È un invito a considerare il fatto che nel progetto è il pensiero che deve guidare l’azione, come un corrimano aiuta la salita o la centina sostiene la costruzione dell’arco. La lettura di saggi, articoli, manuali, così come la revisione, la lezione e l’autocritica, sono momenti complementari della formazione del giovane architetto, nessuno di questi deve mancare. Originariamente divisi per Moduli, e ordinati secondo una personale valutazione dei docenti in merito alla importanza dei contenuti rispetto al tema specifico e alla facilità di lettura dei testi, sono qui presentati in ordine alfabetico.

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Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Febbraio 2019



​All’inizio del secolo Ottone Rosai, descrivendo Piazza Torquato Tasso, parla di un luogo in cui risiedono contemporaneamente “il dramma e la poesia”. Volendo dire perché i due termini ci sembrano adatti a definire l’esperienza didattica pubblicata in questo volume, potremo giustificarci argomentando che il “dramma” risiede nell’attuale incapacità che la piazza ha nell’esprimere le potenzialità che possiede, mentre la “poesia” può essere ritrovata nel lavoro generoso e appassionato degli studenti, felicemente sublimata nelle ombre accoglienti che le loro logge sanno promettere a chi le osserva. Il Laboratorio integrato di Architettura e Struttura, incentivando l’esercizio progettuale quale momento operativo utile alla lettura dei luoghi, è servito a trovare risposte plausibili alle criticità emerse. Attraverso l’uso degli strumenti della disciplina architettonica si è voluto riflettere con cura sulla costruzione e la messa in opera delle idee di progetto, ponendole in stretta relazione con gli indispensabili ragionamenti sulla scelta dei materiali da costruzione, la statica delle strutture e il loro disegno. Le molteplici interpretazioni date dagli studenti al tema del “padiglione d’ombre” sono dunque ambiziose ma concrete riflessioni sulla “spazialità accogliente”, tipica della loggia pubblica, quale utile strategia progettuale atta a definire un possibile nuovo elemento d’ordine, anche simbolico, all’interno degli spazi della città. Simone Barbi Architetto e dottore di ricerca. Dal 2018 è docente a contratto di Progettazione architettonica presso il DIDA, Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Laureato a Firenze, ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione Architettonica presso l’Università IUAV di Venezia (Ciclo XXIX). È autore e curatore di libri, saggi e articoli apparsi su riviste nazionali e internazionali. È collaboratore della rivista FirenzeArchitettura e membro del comitato editoriale della rivista Il Quaderno – The I.S.I. Florence Architectural Journal. Si occupa di cultura del progetto architettonico e urbano, indagando principalmente il rapporto tra spazio, struttura e luce naturale nelle esperienze italiana ed europea del ’900. Raffaele Nudo Ingegnere civile ad indirizzo strutturale. Dal 2000 è Professore Associato di Tecnica delle Costruzioni presso il DIDA, Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. È vice-Presidente del corso di Laurea Magistrale (biennale) in Architettura. Ha svolto attività di ricerca in cooperazione internazionale con il Technion di Haifa (Israele) e con l’Università di Bristol (Gran Bretagna). È membro dell’Associazione Europea di Ingegneria Sismica (EAEE) e della sezione italiana dell’American Concrete Institute (ACI). È autore di articoli scientifici pubblicati su riviste, volumi e atti di convegni internazionali e nazionali. Ha tenuto seminari presso università italiane ed estere. La sua attività scientifica è indirizzata alle varie problematiche della sicurezza strutturale, relativamente alle diverse tipologie costruttive e con particolare riferimento alle costruzioni in zona sismica. Claudio Piferi Architetto e Dottore di Ricerca. Dal 2016 è Professore Associato di Tecnologia dell’Architettura presso il DIDA, Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e presso l’EMADU (Ecole EuroMed d’Architecture de Design et d’Urbanisme) di Fez in Marocco. Svolge attività didattica e di ricerca nel campo delle Tecnologie dell’Architettura in ambito progettuale, metodologico e procedurale. È autore di molteplici articoli e testi che indagano il rapporto tra tecnologia, forma e progetto. In ambito accademico svolge ricerca sia sui materiali e sui sistemi costruttivi, della tradizione e innovativi, con particolare attenzione al loro trasferimento tecnologico nel progetto di architettura; sia sull’importanza del controllo del progetto attraverso il dettaglio architettonico in scala quale strumento a monte del processo progettuale.

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