Biosphere | Elena Mancini, Elisabetta Zaccariello

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elena mancini elisabetta zaccariello

Biosphere Percorso di comunicazione sostenibile



tesi | design del sistema moda


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Per la completezza e profondità di analisi di un tema centrale come la sostenibilità applicata al sistema moda Per l'originalità dello sviluppo progettuale e l'efficacia comunicativa ottenuta attraverso il lavoro presentato”. Commissione: Proff. E. Cianfanelli, F. Tosi, E. Benelli, L. Giraldi, G. Alfarano, D. Giorgi, R. Stasi

Ringraziamenti Grazie alla relatrice Elisabetta Benelli ed ai correlatori Renato Stasi e Francesca Filippi. Un ringraziamento particolare va a tutto il team del Lanificio Cangioli 1859, per la presenza, il supporto e gli insegnamenti che ci hanno saputo dare.

in copertina No birds indeed. Fotografia di Paolo Meloni

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gianluca Buoncore

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-130-5

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


elena mancini elisabetta zaccariello

Biosphere Percorso di comunicazione sostenibile



Presentazione

La tesi di laurea che ho assegnato a Elena Mancini e a Elisabetta Zaccariello nasce da una proficua collaborazione che il corso di Laurea Magistrale in Fashion System Design ha, ormai da qualche anno, con il Lanificio Cangioli 1859, storica azienda pratese produttrice di tessuti. Il confronto diretto con una realtà imprenditoriale consolidata come quella del Lanificio ha consentito a Elena ed Elisabetta di individuare gli obiettivi del loro progetto consistente nella definizione di una comunicazione green per l’azienda che si discostasse dai modi tradizionali di affrontare tali tematiche. Dopo aver approfondito il macro-tema della sostenibilità, riferendosi in particolare al settore moda e al suo impatto sull’ambiente, lo studio si è rivolto al settore del tessile e a come, un’azienda matura e consapevole come il Lanificio Cangioli, ha avviato una serie di azioni concrete finalizzate ad ottenere una filiera quanto più sostenibile, partendo dall’adozione di protocolli di gestione dei prodotti chimici, fino alla sicurezza dei propri dipendenti, passando dal risparmio energetico alla selezione delle materie prime e all’utilizzo di materiale riciclato. La possibilità di un contatto diretto e costante con le varie figure dell’azienda è stata di fondamentale importanza per le ragazze, sopratutto per comprendere a fondo le strategie sostenibili messe in atto e valorizzarle mediante un progetto di comunicazione fresco, giovane, pulito e di facile comprensione e, allo stesso tempo, in linea con le tendenze attuali: tutte le componenti del lavoro, dal marchio alle grafiche, dai prodotti allo stand, sono state proposte in un’ottica sostenibile e coerente. Questa esperienza avvalora ancora una volta l’importanza di portare avanti azioni finalizzate a incen­tivare il dialogo, l’interazione e la collaborazione tra l’Università e le aziende, al fine di spingere la ricerca verso traguardi sempre più concreti e vicini alle reali esigenze del mondo imprenditoriale. Elisabetta Benelli Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Introduzione

Parlare di sostenibilità oggi non è semplice: si tratta, infatti, di una tematica tanto familiare quanto difficile da mettere concretamente in pratica. Abbiamo finalmente preso coscienza che il nostro attuale stile di vita non è compatibile con la salute del nostro pianeta, ma sappiamo anche che mettere in pratica un vero e proprio cambiamento richiede molto tempo e impegno, nonché una consapevolezza più profonda da parte di tutti. La problematica riguarda vari settori produttivi, tra cui anche il ramo del tessile e abbigliamento, che andremo ad analizzare in questo elaborato. Numerosi marchi hanno già preso parte a varie iniziative e programmi green, indirizzando il consumatore verso un agire più consapevole e responsabile. Oggi i brands si trovano a competere in un mercato ormai completamente orientato alla sostenibilità, motivo per il quale questa tematica comincia ad essere il principale campo di battaglia. Per queste ragioni non è così scontato per le imprese riuscire a distinguersi all’interno dell’infinita offerta sulla sostenibilità: infatti, da un lato essa rappresenta una tematica che nessuno può permettersi di ignorare, ma dall’altro necessita di essere affrontata in nuovi modi, con un linguaggio diverso, affinché l’azienda riesca a distinguersi dalla massa proponendo al cliente qualcosa di nuovo. Il percorso di questa tesi nasce proprio da questa riflessione, portata avanti con il team del Lanificio Cangioli 1859, azienda nella quale abbiamo svolto il tirocinio l'anno passato. Durante questa esperienza abbiamo cominciato a parlare proprio di sostenibilità: Cangioli è un’azienda che da anni s’impegna per promuovere il messaggio green attraverso varie modalità, ma la necessità di questo progetto nasce dalla presa di coscienza che tutti gli sforzi portati avanti non venivano in alcun modo comunicati ai clienti. La nostra tesi si presenta, quindi, come una naturale prosecuzione del progetto iniziato durante l’attività di tirocinio. Il nostro ruolo è stato proprio quello di sviluppare e curare il progetto di comunicazione e promozione. La filosofia utilizzata è stata quella di approcciarsi in senso critico alla sostenibilità, cercando di comprendere fino in fondo le vere problematiche ed i limiti esistenti per un’azienda che decida di fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta, considerando sia l’attenzione all’ambiente ma anche la soddisfazione dei clienti. L’obiettivo generale della tesi è stato creare un progetto strategico di comunicazione aziendale a tema sostenibilità, che potesse comprendere al suo interno le varie sfumature del lavoro dell’impresa, dal contatto con i clienti, all’elaborazione di materiale informativo, passando dalla nuova linea di tessuti sostenibili, fino all’elaborazione di uno spazio espositivo. Tutto questo è stato realizzato attraverso una comunicazione caratterizzata da un linguaggio fresco, giovane, nuovo, accattivante e indirizzato ad un pubblico giovane, con il fine ultimo di distinguersi dal noioso e scontato modo di comunicare la sostenibilità che caratterizza il mercato oggi. Il lavoro si è articolato partendo da un’indagine sul macro tema della sostenibilità ed andando progressivamente a restringere il campo d’indagine, fino all’applicazione di tale tematica all’interno di un’azienda specifica.

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pagina precedente Parallel World, progetto fotografico di Jan Vranovsky.

Si tratta di un tema estremamente vasto, impossibile da trattare univocamente. Si parla, infatti, di una rete di fattori fondamentali che attraversano tutti i settori, non solo quello della moda, e che devono essere considerati unitariamente. Il cambiamento climatico e l’inquinamento oceanico sono problemi che nessuno ad oggi può più permettersi di ignorare. Non solo un trend La sostenibilità, nel senso ampio del termine, può essere interpretata come una condizione di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri, nell’ottica quindi di lasciare ai posteri una qualità della vita equivalente alla nostra. Tale tematica ha assunto negli anni un grande valore dal momento in cui, come società, abbiamo cominciato piano piano a prendere consapevolezza che, mantenendo l’attuale ritmo di sfruttamento e degradamento delle risorse naturali, avremmo sicuramente pregiudicato il futuro del nostro pianeta e, con esso, lo sviluppo delle generazioni future. Il macro tema della sostenibilità trova, in questa tesi, la sua applicazione nel campo della moda. All’interno della riflessione sulla sostenibilità, il settore del fashion as-

Introduzione alla sostenibilità

sume certamente una grande rilevanza, sia in negativo sia in positivo: infatti esso è senza dubbio uno dei settori con impatto ambientale maggiore ma, proprio per questo, negli ultimi anni si è reso anche protagonista di numerose iniziative a sostegno della sostenibilità. Nelle prossime pagine vedremo, però, che parlare di moda ecosostenibile non è così semplice come si pensa: l’uso di tale aggettivo presuppone, infatti, l’applicazione e il rispetto del principio green in ogni aspetto della filiera, in ogni passaggio della catena produttiva. Come vedremo il fashion system è un campo assai articolato, attorno al quale orbitano tanti altri settori ed industrie anche di natura ed interessi molto diversificati, il che rende molto difficile la coordinazione comune verso un impegno sostenibile ed ecologico. I dati sull'inquinamento generato dal settore tessile-abbigliamento fornite dall'ONU suggeriscono la portata dell’impatto del comparto fashion sulla questione sostenibilità. Tuttavia il problema non è meramente ambientale: fondamentali anche l’aspetto sociale ed etico, soprattutto in un settore come quello della moda che più volte è stato responsabile di violazione dei diritti dei lavoratori. Una certezza c'è: la sostenibilità è il futuro. Il consumatore stesso diventa sempre più sensibile a tali tematiche, sceglien-

do le proposte di aziende che sposano una causa che si condivide, che abbraccia un tema etico e sociale. È così che la sostenibilità è entrata a far parte di diritto delle strategie di marketing e dei sistemi di gestione d’impresa. Tuttavia, pur essendo al centro di questa grande rivoluzione sostenibile, le problematiche ed i limiti sono ancora tanti, sia per il settore moda sia per altri ambiti. In questo capitolo saranno affrontate alcune tematiche e questioni riguardanti la sostenibilità al fine di poter comprendere e mettere a fuoco i punti chiave e le varie implicazioni. Consumo in-sostenibile La ripresa post bellica fa esplodere nei paesi occidentali quella che comunemente conosciamo come ‘era del consumo di massa’ o consumismo. Secondo alcuni è proprio da questa cultura emergente che nasce, come controcorrente, una spiccata sensibilità verso il materiale di recupero, gli scarti e i materiali abbandonati, una cultura che inizia a farsi stile di vita, arte, impegno sociale, e anche moda. È la cosiddetta ‘estetica dell’abbondanza’, una nuova corrente culturale caratterizzata da un sovraffollamento di merci e prodotti, diverse forme stilistiche e artistiche, molteplici elaborazioni e interpretazioni dell’immaginario collettivo, il tutto volto a creare spinte verso un mo-

do di vivere diverso. Un insieme di temi, questi, affrontati in un certo senso anche dal Dadaismo, ma ancor più dalla Pop Art di Andy Warhol, che subisce una vera e propria fascinazione dal mutevole rapporto tra beni di consumo e scarti prodotti dal surplus dei consumi. Sono gli anni della contestazione a cavallo dei ‘60 e i ’70 che, grazie soprattutto a forme inedite di espressione delle varie culture e subculture giovanili, fanno emergere per la prima volta punti di vista antagonisti nei confronti dei modelli di sviluppo imperanti basati sul consumo di massa. Ciò sfocia in pratiche alternative nell’abbigliamento, nell’alimentazione e nelle relazioni sociali, che divengono in breve tempo potenti elementi identificativi e simbolici del rifiuto alla massificazione. È proprio in questi anni, infatti, che si afferma per la prima volta sulla scena del dibattito pubblico la questione della sostenibilità, che fa rima con una visione antagonista dell’ambientalismo, nel quale ci si deve identificare, per esempio, attraverso un abbigliamento ‘di rinuncia’, un simbolo manifesto di rifiuto nei confronti della società dei consumi e della ‘moda veloce’. Prima però di entrare nella questione della sostenibilità nella moda è importante capire in che modo siamo

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giunti ad una situazione talmente critica da portare questa discussione nel nostro quotidiano. Il vero prezzo del Fast Fashion In passato, dalla selezione delle tendenze e delle materie prime fino alla vendita effettiva dell’abito passavano circa due anni; con l’avvento del Fast Fashion i nuovi prodotti riescono ad arrivare in negozio con frequenza settimanale. Questo fenomeno prese piede intorno agli anni Novanta e uno dei primi marchi ad aderire è stata Benetton. I marchi low-cost contemporanei come Zara e H&M riproducono una versione simile dei trend di stagione visti sulle passerelle e la vendono a prezzi accessibili, arrivando a realizzare anche dodici collezioni in un solo anno. La ragione dell’enorme successo del Fast

Fashion sta in una formula produttiva e distributiva completamente nuova, che richiede una strettissima integrazione tra fasi di progettazione, produzione e distribuzione. Questo fenomeno della ‘moda veloce’ è da molti descritto come uno dei più interessanti della nuova cultura della moda, ed è vero; è però importante analizzare anche ciò che esso comporta. Nel brillante documentario The True Cost di Andrew Morgan viene mostrato che nel mondo si consumano ogni anno circa ottanta miliardi di nuovi pezzi di abbigliamento: questa cifra rappresenta il 400% in più di quello che abbiamo consumato solo due decenni fa. Ogni chilo di materiale in più comporta un corrispondente incremento di energia consumata, di sostanze chimiche rilasciate nell’ambiente e il cre-

scente scarseggiare di materie non rinnovabili. L'evoluzione del consumatore In passato l’abbigliamento era creato per durare a lungo nel tempo; oggi con l’enorme quantità di abbigliamento a buon mercato che abbiamo a disposizione, stiamo cominciando a indossare gli abiti come fossero usa e getta. Il vestirsi è sempre stato uno dei bisogni primari dell’uomo, ma la società odierna ha plasmato tali bisogni tramite i mass media e la pubblicità, manipolando le nostre vite e i nostri desideri. Tuttavia, la società di oggi presenta un dualismo interessante: se l’impulso continuo all’acquisto affligge soprattutto i giovani consumatori, è anche vero che le nuove generazioni si dimostrano sempre più sensi-

bili alle tematiche sociali e ambientali. Una tendenza che, allo stesso tempo, vede queste nuove generazioni difensori e distruttori delle sorti del pianeta, e che influenza non poco il mercato. In effetti, i giovani sembrano non trascurare quest’aspetto: il 52% dei ‘Millennials’ dichiara di informarsi sempre sul background di compagnie e prodotti prima dell’acquisto, seguito dal 45% della ‘Gen Z’ e dal 41% dei ‘baby boomers’. In futuro, dunque, etica ed estetica saranno inscindibili: non potremo più considerare e valutare un prodotto solo per fattori come manodopera, creatività e heritage, ma ci concentreremo anche sui valori ed i messaggi trasmessi. Su questa linea di principio, la trasparenza è diventata una delle parole chiave verso cui vira il sistema moda: è giunto il momento per le aziende di essere limpide e di comunicare apertamente il maggior numero d’informazioni che riguardano loro e la filiera produttiva che gli fa seguito. Il problema del greenwashing Con l’espressione greenwashing si intende quella pratica ingannevole adottata da alcune aziende che, per migliorare la loro reputazione, adottano una strategia di comunicazione il cui obiettivo è la costruzione di un’immagine positiva dal punto di vista della sostenibilità senza però di fatto applica-


pagina precedente Unsustainable Consumerism, Marina ÓÁZ, 2018 Polluted Water Popsicles, progetto di tre studenti della National Taiwan University of Arts per comunicare l’inquinamento della loro città

re alcune regole effettive dei processi produttivi. Un fenomeno che, in alcuni casi, determina vere e proprie falsificazioni delle certificazioni ambientali da parte delle aziende, che oggi rappresentano un fattore competitivo per i prodotti e per i consumatori. Questo fenomeno è reso possibile essenzialmente dalla mancanza di controlli da parte degli enti di rilascio delle certificazioni, dal fatto che sia sufficiente un’autocertificazione da parte dell’azienda ed inoltre perché in Italia non esiste un ente preposto a vigilare sulle false campagne pubblicitarie green. L'impatto ambientale Sono le gigantesche dimensioni del settore moda e l’enorme quantità di tessuti prodotti ogni anno a rendere così grave il suo impatto ambientale. Le fabbriche tessili consumano moltissima energia ed emettono elevate quantità di gas a effetto serra. L’80% dell’energia utilizzata nell’industria della moda è consumata proprio da queste fabbriche e la maggior parte di esse opera in Cina, paese ancora dipendente dal carbone per la produzione di energia. Le emissioni atmosferiche sono in genere raccolte nel punto in cui sono prodotte e, siccome esse sono da lungo tempo oggetto di controlli in molti paesi, esiste una buona banca dati sulle emissioni atmosferi-

che provocate da diversi processi specifici. Non è lo stesso per le emissioni in acqua: i vari flussi provenienti dai diversi processi si mescolano e producono un effluente le cui caratteristiche sono il risultato di una complessa combinazione di fattori come il tipo di fibre e di altre composizioni lavorate, le tecniche utilizzate e il tipo di prodotti chimici e di ausiliari impiegati. Altro dramma della produzione del tessile-abbigliamento sono i consumi di acqua delle trasformazioni industriali, particolarmente importanti nei cosiddetti processi a umido come tintura, stampa e finissaggi. Ciò si traduce in un significativo carico inquinante, sia nella fase di coltivazione delle fibre naturali, sia in quella della manifattura dei prodotti stessi. Non si deve infine dimenticare che l’impatto del consumo di acqua ha una dimensione fortemente locale, che può essere affrontato con diverse strategie, come depurazione, minimizzazione o eliminazione.

Obiettivo quasi zero Sono già passati diversi anni da quando l’Unione Europea ed i singoli Stati membri si sono attivati in un’ottica d’individuazione e definizione di parametri comuni da rispettare in tema di sostenibilità. L'attenzione ai temi ambientali, economici e sociali è ormai un requisito base al quale ogni impresa che voglia oggi competere sul mercato deve rapportarsi ed adeguarsi. Il panorama normativo attuale è però alquanto complesso ed articolato: di seguito alcune delle principali regolamentazioni cui far riferimento in un’ottica aziendale, in particolare per quanto concerne il campo moda. • I Sustainable Development Goals, redatti il 25 settembre 2015 dall'Assemblea Generale dell'ONU, consistono in una lista di obiettivi da raggiungere entro il 2030: essi hanno carattere universale e sono fondati sull’integrazione tra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, quella ambientale, sociale ed economica, come presupposti per sradicare la povertà in ogni sua forma.

• Il regolamento REACH è stato pubblicato nel Dicembre 2006 allo scopo di migliorare la conoscenza dei pericoli e dei rischi derivanti dall'utilizzo di alcune sostanze chimiche e al contempo mantenere e rafforzare la competitività e le capacità innovative dell’industria chimica europea. • Il regolamento CLP (Classification, Labelling, Packaging) è un regolamento grazie al quale il sistema europeo relativo alla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche è stato allineato al sistema mondiale armonizzato di classificazione ed etichettatura delle sostanze chimiche (GHS). L’obiettivo del regolamento è di facilitare la libera circolazione delle sostanze, delle miscele e degli articoli sicuri all’interno dell’Unione Europea, garantendo un elevato livello di protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente.

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La moda green

pagina precedente Prada Re-nylon, una delle borse della capsule collection Re-nylon di Prada, realizzata in nylon riciclato Econyl.

Che il settore moda debba fare un passo indietro e accettare di essere ormai governato da questa enorme rivoluzione sostenibile è ormai appurato. Si tratta, come già detto, d’ingenti sforzi sia economici sia di ricerca e sviluppo da parte delle aziende, che spesso però ripagano permettendo di ottenere un posizionamento più alto sul mercato grazie al valore aggiunto che porta una produzione attenta all’ambiente. Le modalità di azione riguardo a queste tematiche sono molteplici; una di queste può essere quella di abbracciare l’utilizzo di nuovi materiali che via via con il tempo si stanno sviluppando, e che si rivelano assai interessanti per il settore della moda. Ecomoda: la nuova frontiera fashion Una novità che si sta facendo spazio nel campo della moda è quella dei nuovi materiali bio-based. La bio-gomma, ad esempio, ha preso il posto del neoprene (di origine fossile) nelle mute subacquee e da surf di Patagonia, utilizzando gomma naturale Yulex® proveniente da fonti certificate dal FSC. La tecnologia della bio-gomma è stata sviluppata inizialmente negli anni Venti negli Stati Uniti; sulla scia dei primi successi, in Italia Pirelli e l’Iri avevano progettato di avviare la coltivazione su larga scala delle piante da cui si ricava la materia prima, per produr-

ne 10.000 tonnellate l’anno, pari a un terzo del consumo italiano di gomma. Il progetto fu ben presto abbandonato a favore della gomma sintetica. Anche le bio-plastiche stanno acquisendo sempre più importanza con il passare del tempo grazie ai perfezionamenti tecnologici. Due marchi del Gruppo Kering, Gucci e Stella McCartney, hanno in catalogo occhiali prodotti con M49®, un nuovo polimero di acetato bio-based prodotto dall’italiana Mazzucchelli. Il M49® è biodegradabile, riciclabile e ricavato dai semi del cotone e dalla polpa di legno con l’aggiunta di plastificanti e pigmenti naturali. Le bio-fibre derivate dagli scarti alimentari rappresentano un altro settore all’avanguardia nel campo moda; di seguito riportiamo alcune tra le più famose. • Orangfiber rappresenta un perfetto esempio di questa logica. Cogliendo un’opportunità dove altri vedevano solo un problema, Adriana Santanocito (specializzata in fibre tessili innovative) ed Enrica Arena (specializzata in marketing, comunicazione e raccolta fondi) hanno deciso di collaborare per sviluppare un processo industriale virtuoso che permette di ridurre gli sprechi e l’inquinamento, trasformando i sottoprodotti dell’industria agrumicola in una nuova risorsa per il mondo della moda. Il risultato è stato quello di

creare tessuti sostenibili di altissima qualità e di ottenere una materia prima-seconda da un sottoprodotto industriale non rivale all’alimentazione, che non incide sulle risorse naturali, ma al contrario ottimizza lo sfruttamento di una matrice che altrimenti andrebbe smaltita. • Econyl è un altro dei neo materiali di maggior successo. Si tratta di un nylon riciclato, che ha le stesse identiche caratteristiche di quello da fonte vergine, con la differenza che può essere rigenerato, ricreato e rimodellato all’infinito. Con questo nuovo materiale è possibile creare nuovi prodotti senza utilizzare nuove risorse. Il processo di produzione del nylon rigenerato comincia con il recupero di rifiuti come reti da pesca, scarti di tessuto, moquette usate, plastica industriale (provenienti da discariche o dagli oceani di tutto il mondo). Questi vengono poi puliti e lavorati secondo un processo di purificazione, fino a farli tornare alle loro qualità e caratteristiche iniziali. • Un altro interessante prodotto di questo innovativo settore è Piñatex, un tessuto ecologico al 100%, derivato da elementi di scarto del frutto di ananas, che non richiedono aggiunta d’acqua per la loro lavorazione e che funge da concime al momento del suo smaltimento. Viene

ricavato dalle foglie sono decorticate attraverso un macchinario che elimina clorofilla e le secca riducendole a una fibra naturale del tutto simile alla pelle per aspetto e consistenza. Il materiale è leggero, traspirante, elastico ed è stato testato secondo gli standard ISO internazionali per caratteristiche tecniche. Moda e sostenibilità Nella linea immaginaria che descrive il progresso verso la produzione più sostenibile nella moda, il coinvolgimento dei grandi marchi è di fondamentale importanza. È possibile definirlo come una sorta di punto di rottura delle barriere che, fino a pochi anni fa, confinavano il movimento dentro una ristretta cerchia di designers e marchi di nicchia che resistevano con ostinazione all’idea che l’espressione ‘moda sostenibile’ fosse un ossimoro e che quindi le due parole fossero inconciliabili. Una cerchia vivace, quella dei sostenibili, innovativi e determinati ma di dimensioni ancora troppo ridotte se confrontate alle quantità prodotte e vendute, infinitesimale se confrontate alla dimensione complessiva del mercato della moda. L’accelerazione che i grandi marchi sono in grado d’imprimere a questa ‘rivoluzione’ dipende

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certamente dai volumi in gioco, e quindi dall’impatto potenzialmente positivo o negativo che la decisione di un grande marchio può avere sul capitale naturale, ma anche dalla capacità dei marchi più noti di interagire con l’immaginario sociale e con le scelte d’acquisto individuali. L'approccio del lusso Il lusso sostenibile è la nuova frontiera della moda: impatto ambientale, effetti sulla salute, condizioni dei lavoratori e informazione sulle modalità di allevamento di animali sono solo alcuni dei criteri che guidano le scelte di acquisto dei consumatori e che mostrano come la reputazione di un brand passi sempre di più attraverso la sua sostenibilità. Sono numerosi i marchi di luxury fashion che da anni hanno de-

ciso di impegnarsi nella tematiche della sostenibilità. Di seguito sono riportati alcuni degli esempi più celebri ed emblematici. Vivienne Westwood rappresenta uno dei capisaldi in materia: anticonformista per eccellenza e ribelle dalla nascita, ha saputo trasformare la moda in un importante mezzo per richiamare l’attenzione sui cambiamenti climatici. Oltre ad essere una stilista, Vivienne ha davvero a cuore il bene del pianeta, delle persone e degli animali e per questo si è mossa contro politiche governative scorrette, portando la protesta anche nelle sue campagne e sfilate. Cosciente dell’impatto della moda sull’ambiente, Vivienne utilizza materiali naturali e lavorati in maniera da inquinare il meno possibile. Il suo attivismo non si limita all’ambiente; dal 2005, infatti, Vivienne fa par-

te di Liberty, ovvero la National Council for Civil Liberties, per la difesa dei diritti umani nel Regno Unito. Inoltre collabora anche con Reprieve e Amnesty International, due organizzazioni umanitarie che si occupano di problematiche simili, ma a livello globale. Stella McCartney è certamente un altro esempio di grande figura della moda a livello mondiale che ha a cuore la salute dell’ambiente e che ha pubblicamente dichiarato le sue politiche di utilizzo di materiale riciclato. Il marchio, che bandisce l’uso della pelle animale dalle sue collezioni, già dal 2012 utilizza per le sue borse tessuti rigenerati. Nel 2016 tutto il cachemire vergine della maglieria è stato sostituito con cachemire rigenerato. Stella ha anche collaborato con Adidas per realizzar Parley Ultraboost X, una calzatu-

ra realizzata con un filato proveniente da bottiglie in PET recuperate dall’oceano dall’organizzazione Parley for the Oceans, un’iniziativa volta a trasformare i rifiuti plastici che inquinano gli oceani in filato ad alte prestazioni. Valentino è stato il primo marchio di lusso a sottoscrivere l’impegno Detox my Fashion proposto da Greenpeace. Valentino Fashion Group è in prima fila per quanto riguarda l’attenzione verso problemi come la presenza di sostanze chimiche nocive nella filiera produttiva e la lotta alla deforestazione. Il rapporto è il risultato della campagna The Fashion Duel, che ha visto coinvolte quindici case di moda italiane e francesi e tra loro firme note come Chanel, Dolce & Gabbana e Prada. Il gruppo Kering (che comprende tra gli altri Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Bottega


pagina precedente Londra, manifestazione contro i cambiamenti climatici che ha preceduto la sfilata-evento di Vivienne Westwood. Zara da tempo ormai utilizza i pacchi in cartone riciclato per il packaging dei suoi prodotti.

Veneta) si è dato il 2025 come obiettivo per la riduzione del 40% di emissioni di gas serra e, dal 2013, ha al suo interno un laboratorio nel quale lavora alla sperimentazione di più di 3000 tessuti innovativi. Il gruppo LVMH (che comprende anche Louis Vuitton, Dior, Celine, Fendi) si sta concentrando sul packaging, che è stato ridotto del 60% nelle sue misure per la maggior parte dei prodotti. Salvatore Ferragamo ha avviato una riflessione sul tema che è culminata nella realizzazione a Firenze da parte del Museo Salvatore Ferragamo e della Fondazione Ferragamo di Sustainable Thinking: un percorso espositivo articolato con mostre anche a Palazzo Vecchio e al Museo del Novecento visitabile dal 12 aprile 2019 all’8 marzo 2020. La casa di moda britannica di Burberry, dopo l’arrivo di Riccardo Tisci alla direzione artistica, non solo ha eliminato l’utilizzo di pellicce, ma ha inoltre dichiarato che entro il 2025 tutti gli imballaggi di plastica saranno riutilizzabili, riciclabili o compostabili. L'impegno del pronto-moda Vi sono moltissime perplessità sull'accostare il concetto del Fast Fashion a quello della sostenibilità. Tuttavia, è giusto riconoscere gli impegni dei diversi brands anche in quest'area del mercato della moda. La fondazione H&M ha istituito nel 2015 The Global

Change Award, un concorso che assegna un premio al vincitore tra i progetti selezionati d’innovazioni allo stadio sperimentale che possono accelerare il cambiamento nell’industria della moda, da un modello lineare a uno circolare. H&M è inoltre impegnata da tempo con H&M Conscious Exclusive, un progetto di capsule collection prodotta con materiali biologici e riciclati. Topshop ha lanciato nel 2013 la capsule collection Reclaim to Wear. Si tratta di un metodo di creazione e produzione di abiti che ha un basso impatto sul pianeta: questi vengono, infatti, realizzati con tagli e scarti di produzione di altre case di moda così da non dover sprecare altra acqua e altra energia per trattare e lavorare altri materiali. Zara ha lanciato nel 2016 la collezione Join Life: fibre naturali, riciclate e da fonti gestite responsabilmente sono le protagoniste della linea donna della casa spagnola che ad oggi si sta mantenendo un successo.

Riciclo, riuso, risparmio “Buy less, choose well, make it last”. (W. Westwood) Non si tratta di un mero slogan per sensibilizzare la popolazione, ma di un invito sincero e a cuore aperto che Vivienne Westwood ha rivolto ai consumatori durante molte delle sue interviste. Cosciente dell’impatto della moda sull’ambiente, la stilista sceglie di utilizzare materiali naturali e lavorati con impatto minimo, cercando al contempo di sensibilizzare anche i consumatori sull’importanza della qualità dei vestiti piuttosto che della quantità. Uno slogan di Patagonia recita: ‘Riparare è un atto radicale’. Con il programma Worn Wear, Patagonia organizza eventi nei college americani per riparare gratuitamente i capi. Inoltre, l’Ironclad Guarantee del marchio prevede che un capo Patagonia danneggiato nell’uso possa essere restituito per una riparazione, sostituzione o rimborso. I danni dovuti all’usura saranno riparati con costi ragionevoli dal centro di riparazioni del marchio, che nel

2016 ha effettuato circa 40.000 interventi di riparazione. Patagonia si è poi spinta oltre, arrivando anche a incitare i consumatori a ridurre gli acquisti, con una campagna sul New York Times intitolata Don’t buy this jacket per il Black Friday 2011. Il successo ottenuto ha permesso all’azienda nel Black Friday del 2016 a donare l’intero ricavo del giorno ad associazioni ambientaliste. Oltre alla sensibilizzazione per modificare le abitudini d'acquisto molte aziende si sono anche mosse per recuperare quello che ormai era stato acquistato. Le iniziative per il recupero dei capi usati possono basarsi su campagne di take-back, in genere accompagnata da incentivi. Queste importanti iniziative generalmente coinvolgono, a fianco dei marchi, organizzazioni benefiche, come Caritas o Humanitas, o organizzazioni di privati come I:CO o Worn Again. Il capostipite dei progetti di take-back su larga scala è stato negli anni Novanta il program-

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ma Reuse-A-Shoe di Nike, che in due decenni ha raccolto oltre trenta milioni di paia di scarpe Nike usate, le cui suole sono state riciclate come materiale per la realizzazione di oltre 9.000 ettari di superfici sportive come piste di atletica, campi da calcio e da football americano, pavimenti per palestre e superfici per parco giochi. Anche Levi’s collabora con I:CO, con un programma di take-back sia nei negozi sia sulla sua piattaforma e-commerce. Nel primo caso il cliente riceve un voucher per uno sconto del 20% su un capo nuovo per ogni capo conferito; nel secondo, è prevista la spedizione gratuita del capo usato a Levi’s, che per ognuno di essi dona 5 dollari alla charity Goodwill. The North Face con il programma Our Clothes the Loop organizza nei propri negozi la raccolta dei capi e delle calzature di qualunque marchio e in qualunque stato; la raccolta è incentivata con un voucher per ulteriori acquisti di prodotti del marchio. Uniqlo con il programma All-product recycling initiative raccoglie i capi nei negozi in quindici paesi e dichiara, al 2015, di aver raccolto sedici milioni di capi interamente destinati al riuso diretto per persone bisognose, anche con un’iniziativa rivolta ai rifugiati.


pagina precedente Amber Valletta, attrice e modella americana in uno scatto molto suggestivo di Johnny Dufort mentre, lo scorso luglio, ha collaborato con Stella McCartney e Extinction Rebellion per trasmettere un messaggio urgente sui cambiamenti climatici.

Iniziative che vestono green Grazie alla partecipazione ed intraprendenza di enti, associazioni, aziende e brands, sono nate una moltitudine di eventi ed iniziative di vario genere volte a promuovere il messaggio di sostenibilità. Sempre più spesso, infatti, sono necessari grandi movimenti per far sì che un messaggio prenda davvero piede nella quotidianità delle persone e gli eventi sono un’opzione molto gettonata per raggiungere questo fine. Di seguito riportiamo alcune tra le più rilevanti. • L'iniziativa Detox my Fashion di Greenpeace, lanciata nel 2011, rappresenta una vera e propria sfida lanciata alle aziende del settore attraverso una campagna che si batte per una moda pulita e libera da sostanze pericolose per la salute e che stabilisce una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2020. Negli anni si è assistito a una maggiore tracciabilità delle filiere: l’attenzione alla sostenibilità è cresciuta in modo diffuso all’interno del mondo del lusso, coinvolgendo anche molti brands che non fanno parte del progetto di Greenpeace. In totale, i marchi coinvolti rappresentano circa il 15% della produzione di abbigliamento mondiale in termini di fatturato e sono un insieme di aziende dalle dimensioni molto variabili, dai grandi brands fi-

no ai produttori tessili del distretto di Prato, uno dei principali poli tessili. Oggi, tutte le aziende coinvolte nel progetto Detox di Greenpeace pubblicano con regolarità un report sulle emissioni di sostanze chimiche pericolose nell’ambiente, includendo nella rendicontazione anche i dati relativi a tutti i fornitori e i subfornitori. • Lo ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals) è un programma internazionale nato a seguito di diversi studi condotti sull’inquinamento provocato dalle industrie tessili, conciarie e del settore calzaturiero che forniscono i maggiori brands globali. L’iniziativa consiste in un programma internazionale che ha costituito a tutti gli effetti un piano che mira alla drastica riduzione delle sostanze chimiche pericolose di tutta la catena di fornitura del settore tessile calzaturiero e conciario entro il 2020. • Il Fashion Pact è un accordo che mette nero su bianco la volontà di uno sforzo comune tra le aziende private e gli stati nazionali per raggiungere un obiettivo di collaborazione in difesa dell’ambiente al di là degli interessi particolari e dei confini nazionali. Ad oggi sono trentadue le aziende internazionali, dal lusso al pronto-moda, dal tessile alla distri-

buzione, che hanno siglato il patto condividendo una serie di obiettivi che ruotano attorno a tre aree principali per la salvaguardia del pianeta: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani. • Il Green Carpet Award è un evento annuale, arrivato oggi alla sua terza edizione, promosso e organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana. Lo scopo è di valorizzare la sostenibilità all’interno della filiera della moda e del lusso attraverso un premio dedicato. • Il Green Carpet Fashion Awards è un’occasione per capire cosa si muove all’interno delle case stilistiche più grandi in fatto di sostenibilità nella ricerca e nella produzione di capi che sempre più rappresentino i valori che si vuole condividere. Questi premi sono il risultato dell’impegno delle case di moda rispetto alle tematiche della sostenibilità ed il loro constante impegno atto ad innescare rapidi cambiamenti, preservando al contempo l’heritage e l’autenticità dei piccoli produttori. I Green Carpet Fashion Awards sono inoltre un’occasione fondamentale per affermare il valore aggiunto della filiera italiana della moda. • Parley for the Oceans è una piattaforma di condivisione d’idee e pro-

grammi finalizzati a tutelare gli oceani dalla minaccia dei materiali plastici. Il network coinvolge coloro che possono contribuire a sviluppare sensibili programmi alternativi per il rispetto dell’ambiente, in particolar modo per l’idrosfera. Tra le collaborazioni che Parley ha stretto con diverse aziende, spicca anche il nome di Stella McCartney, che fino a qualche anno fa risultava una delle poche del luxury fashion a promuovere una produzione senza cuoio, pellicce, pellami o derivati ma con un uso esclusivo di fibre alternative. Altra alleanza strategica per promuovere la salvaguardia dell’oceano è quella stretta con Adidas dal 2015, che rappresenta un altro esempio di successo ecologico poiché nel 2017 sono state vendute più di un milione di scarpe realizzate con rifiuti oceanici.

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Il settore tessile

pagina precedente Lanificio Cangioli 1859, fotografia realizzata all’interno dell’azienda.

La ricerca di questa tesi trova il suo campo di applicazione nel settore tessile, comparto industriale estremamente rilevante per l’economia del nostro paese. Quando si parla di settore tessile e sostenibilità si fa riferimento ad una tematica estremamente attuale: è ormai un dato di fatto che la questione green non sia solamente uno dei tanti trend passeggeri che caratterizzano da sempre il settore moda, ma sia piuttosto un fattore fondamentale sul quale ogni impresa del campo deve lavorare e re-indirizzare i propri sforzi. Dopo tutte le accuse ed i report incriminanti relativi al settore tessile, quest’ultimo non può fare altro che prendere coscienza del suo ruolo di primaria importanza lungo il progressivo percorso verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale. La filiera del Made in Italy L’Italia è nota per rappresentare una delle nazioni leader della produzione di tessuti per abbigliamento di alta gamma, ed è caratterizzata da numerosi distretti specializzati. Uno dei successi del Made in Italy è sicuramente legato alla padronanza dell’intera filiera del tessile-abbigliamento; grazie a ciò il prodotto italiano risulta essere di elevata qualità, stile e innovazione, poiché le strette relazioni tra gli operatori consentono la ricerca di soluzioni col-

laborative. Il sistema moda è un aggregato di operatori economici e organizzazioni strettamente interconnessi e correlati tra loro. Uno dei fattori chiave del successo della filiera Made in Italy è la creatività, intrinseca nel nostro essere come naturale tendenza dovuta al fatto di vivere in uno dei paesi che vanta il più ricco patrimonio monumentale del mondo, e che costituisce una specie di scuola collettiva che sviluppa il senso dell’estetico e del bello. In generale sul territorio italiano è ben rappresentata tutta la catena produttiva, anche se, a causa del forte incremento della competizione riguardante i prodotti provenienti dai paesi in via d’industrializzazione, si sta assistendo ad una sempre più massiccia delocalizzazione verso aree a basso costo del lavoro di alcune fasi della catena produttiva. Nonostante questo fenomeno di delocalizzazione, l'Italia è stata comunque in grado di mantenere una certa supremazia in campo internazionale attraverso il raggiungimento di un estremo livello di specializzazione e di servizio al cliente, sviluppando strategie operative di quick response e di just-in-time per rispondere in tempi ristretti alle esigenze espresse dal mercato. Un altro importante punto di forza del tessile Made in Italy c’è una grande attenzione alla questione della sostenibilità, un tema decisivo per il

futuro della moda in generale. La filiera italiana ha, infatti, il merito di essere uno dei sistemi che maggiormente si è impegnato negli ultimi anni nella riduzione dell’impatto ambientale e nell’adozione d’innovativi metodi di lavorazione sempre meno inquinanti. La trasparenza Quando parliamo di moda sostenibile ed etica, non possiamo trascurare le tematiche legate alle pessime condizioni di lavoro cui sono sottoposti molti dipendenti delle fabbriche produttive in alcune zone del mondo. La sostenibilità, in questo senso, è diventato un tema importante all’inizio degli anni ’90 quando, per la prima volta, si seppe dello sfruttamento dei lavoratori da parte di alcuni importanti marchi di moda. La particolare attenzione verso le condizioni di lavoro degli operai negli stabilimenti di produzione dei grandi marchi è soltanto uno degli aspetti etici di questa nuova moda. Altrettanto importanti sono anche le collaborazioni con progetti umanitari che mirano a incentivare lo sviluppo economico di alcune comunità situate in zone del mondo sottosviluppate. Per garantire una moda più responsabile, anche in questo caso, è richiesta una certa trasparenza da parte delle aziende: questa è perseguibile tramite ispezioni condotte dai marchi

stessi, finalizzate a verificare le condizioni di lavoro nei loro centri produttivi, e fornendo ai consumatori tutte le informazioni riguardanti il prodotto finito attraverso la comunicazione online e apposite etichette. La tracciabilità Parlando di sostenibilità di un prodotto no ci si riferisce soltanto alla materia prima e alla corretta gestione del ciclo di lavorazione e produzione; un altro fattore fondamentale è la tracciabilità, intesa come insieme d’informazioni a garanzia della provenienza del capo d’abbigliamento. La tracciabilità serve a fornire al consumatore un insieme d’informazioni che si riferiscono al prodotto quali la sua provenienza, le materie prime impiegate per la sua realizzazione, l’identificazione degli attori coinvolti, l’osservazione delle regole ambientali e lavorative da parte delle aziende produttrici. Solitamente si esprime attraverso apposite etichette che permettono al consumatore di riconoscere il valore del bene che vogliono acquistare e il suo legame con il territorio in cui è stato prodotto. Essa si ottiene registrando tutte le informazioni relative alle attività svolte sulla singola unità in ogni sua manipolazione, e consentendo a tali informazioni

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di fluire lungo la filiera. La tracciabilità non rappresenta un elemento positivo solo dal punto di vita del consumatore: essa può apportare notevoli benefici vantaggi anche dal punto di vista gestionale e logistico. Le certificazioni Come già detto, il mercato di oggi è caratterizzato da una crescente attenzione nei confronti della sostenibilità, ambientale e sociale dei prodotti e dei processi produttivi, per i quali anche i clienti/consumatori hanno maturato via via una maggiore consapevolezza. L’obiettivo per le imprese italiane è quindi quello di puntare ad una moda sostenibile attraverso l’adozione di modelli di gestione responsabile lungo tutta la catena del valore, ed essere in grado di comunicare con successo i propri sforzi ed impegni ai consumatori. Le numerose certificazioni utilizzate nel settore tessile sono deputate a promuovere la qualità di prodotti tessili e di capi di abbigliamento ottenuti nella salvaguardia dell’ambiente e della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e degli utilizzatori finali; servono inoltre a diffondere informazioni trasparenti sulle caratteristiche dei prodotti tessili ecologici e a favorire presso operatori del settore e consumatori la scelta di prodotti che siano rispettosi dell’uomo e dell’ambiente.

La filiera tessile Il settore tessile si configura come l’attività manifatturiera dedita alla produzione e alla lavorazione delle fibre tessili: tale settore rappresenta il maggior produttore degli input dell’industria dell’abbigliamento, dei prodotti tessili e tecnici per comparti che si estendono da quello della moda a quello dell’arredamento. Il settore del tessile è una realtà particolarmente articolata, all’interno della quale coesistono diversi comparti differenti tra loro. Esiste infatti un’elevata eterogeneità e frammentazione del settore, motivo per il quale sono poche le imprese che si occupano di tutto il processo produttivo, dalla selezione delle fibre alla loro commercializzazione: infatti, sono molto comuni in questo settore piccole realtà che tendono ad occuparsi di una singola fase dell'intero processo produttivo. Con il termine 'filiera' s’indica, infatti, l’insieme delle imprese che, attraverso il loro lavoro, partecipano alla creazione del valore aggiunto di un prodotto finale. Nella sua accezione più ampia, il termine comprende tutte gli operatori e tutte le strutture che intervengono nella produzione, dalla trasformazione delle materie prime a monte del processo produttivo fino alla sua collocazione sul mercato, inglobando anche quelle imprese che orbitano intorno alla filie-

ra attraverso la loro attività di fornitura di beni intermedi o servizi essenziali alla trasformazione e alla vendita del prodotto. Le fasi della filiera tessile Il primo anello nella produzione di tessuto è costituito dai produttori di fibre. La fibra è la componente più piccola del tessuto, ma è anche quella che gli conferisce colore, peso, solidità. Le fibre tessili utilizzate per il confezionamento degli indumenti possono essere naturali oppure ottenute attraverso particolari lavorazioni chimiche di prodotti naturali o sintetizzati da altre sostanze. Il settore delle fibre è, all’interno della filiera tecnica, l’ambito in cui si realizzano le più importanti innovazioni in termini di ricerca di nuove funzionalità e nuovi materiali. Il passaggio successivo è chiamato filatura, la quale comprende l’insieme delle operazioni che servono a trasformare le fibre tessili in un filato e cioè in un filo molto lungo, continuo, uniforme e resistente che viene raccolto su un rocchetto attraverso una serie di trattamenti meccanici. Solitamente vengono sottoposte alla filatura le fibre che sono troppo corte per essere tessute direttamente, come il cotone, la lana, la canapa, il lino, mentre la seta, le fibre artificiali e quelle sintetiche sono già sotto forma di filo continuo. Il tessuto, infine, è il

prodotto ottenuto mediante la tessitura, ossia l’intreccio attraverso l’impiego di telai di una serie di fili disposti nel senso della lunghezza del tessuto (ordito), con una seconda serie di fili (trama) perpendicolari ai primi. Il sistema con cui i fili di ordito e di trama s’intrecciano a costituire il tessuto è detto armatura. Il processo di tessitura è composto di numerosi fasi, quali: la roccatura, l’orditura, l’imbozzimatura, l’incorsatura ed infine la tessitura. Il tessuto, arrivato a questo punto, viene detto ‘greggio’. Prima di essere posti in vendita, i tessuti vengono sottoposti a una serie di operazioni di tipo meccanico o chimico, ovvero di finissaggio, che hanno lo scopo di migliorarne l’aspetto e aumentarne la resistenza. Il fine vita dei prodotti tessili Pensare a una soluzione per il fine vita dei materiali è essenziale per minimizzare l’impatto dei prodotti. Inoltre, ri-contestualizzazione e intervento creativo danno generalmente luogo a interventi di upcycling in cui il valore del prodotto riusato può essere maggiore di quello del prodotto nel suo uso originale. La moda rappresenta la prima linea nella tendenza alla diffusione dell’upcycling dei prodotti post-consumo, come pratica di riuso nel mondo dell’artigianato di alta qualità e in quello artistico. Le opzioni per la ge-


Rifò, brand pratese che produce capi e accessori di alta qualità utilizzando fibre tessili 100% rigenerate.

stione del fine vita dei prodotti possono essere sintetizzate nelle quattro alternative riportate di seguito. • Riuso. Consiste nel riutilizzo di un prodotto in una nuova modalità d’impiego, senza sottoporlo a rielaborazioni sostanziali che lo riportino alla forma di materia prima. Tipicamente i materiali passano attraverso un processo di selezione e lavaggio e vengono riutilizzati nella medesima forma, oppure ricontestualizzati in diverse funzioni d’uso o ancora valorizzati con interventi che ne modificano creativamente l’aspetto e la forma. • Riciclo. È il processo di trasformazione dei materiali a fine vita per recuperarli e reinserirli nel ciclo produttivo. Il riciclo può essere di vario genere; nel caso del post-consumo, i capi riciclati sono quelli dismessi o riconsegnati nei negozi grazie ad iniziative di take-back. Oggi una parte importante dei materiali riciclati post-consumo reimpiegati nella filiera tessile non proviene dal settore stesso ma da altre categorie di consumo. Un’altra componente del riciclo è di origine post-industriale, o pre-consumo, originata invece da scarti ed eccedenze di produzione ai diversi stadi della filiera produttiva, filati tessuti, ritagli di tessuti della confezione di abbigliamento. In Ita-

lia l’industria del riciclo tessile vanta una storia secolare: la pratica del riciclo della lana è da centinaia di anni svolta nel distretto di Prato, dove ha dato vita ad un sistema di raccolta, selezione e riciclo chimico o meccanico. La pratica del riciclo in Italia è cresciuta d’importanza durante la Prima e Seconda guerra mondiale, quando la mancanza di materie d’importazione l’hanno resa una pratica indispensabile. • Termovalorizzazione. Questa soluzione consente il recupero di una parte dell’energia incorporata nei prodotti da smaltire. Il rapporto tra l’energia incorporata e quella recuperata resta tuttavia molto sfavorevole, specie per quei prodotti complessi come tessuti o capi di abbi-

gliamento per la cui produzione e vendita è già stata utilizzata, direttamente o indirettamente, una grande quantità di energia. • Conferimento in discarica. In generale è la soluzione meno auspicabile, ma ciò vale soprattutto per i prodotti realizzati con materiali non biodegradabili. La maggior parte delle fibre utilizzate nella moda (circa 2/3 del totale) hanno decadimenti lunghissimi, tali da farle considerare praticamene non biodegradabili. Non è una soluzione definitiva nemmeno l’evoluzione verso fonti bio-based, giacché solo alcune di queste nuove fibre sono effettivamente biodegradabili e sono spesso utilizzate in mischia con fibre man-made tradizionali. Sono inve-

ce di più facile biodegradabilità le fibre naturali.

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Il Lanificio Cangioli 1859

pagina precedente Lanificio Cangioli 1859, fotografia realizzata all’interno dell’azienda.

Il Lanificio Cangioli è una storica azienda di Prato, e rappresenta il campo di applicazione per il progetto di questa tesi. Dopo aver svolto un tirocinio all’interno di questa realtà aziendale è nata l’idea di proseguire e sviluppare il lavoro eseguito in un più ampio progetto, con riguardo sia al prodotto sia alla comunicazione riguardante il tema della sostenibilità. Il contesto Nata come piccola bottega artigiana di cui si ha traccia fin dal 1835, l’azienda è diventata un gruppo internazionale all’avanguardia per qualità e innovazione nel settore tessile. Il Lanificio Cangioli 1859 sviluppa e commercializza le collezioni Lanificio Cangioli, Even More, Vallombrosa e Sushi-Shirt. Pentarif è il reparto di tintoria e rifinizione, Manifattura Tessile Malaparte è la divisione dedicata alla tessitura. Per avere un quadro più chiaro del mondo nel quale opera l’azienda, riteniamo utile un approfondimento sul contesto nel quale essa lavora. Vedremo pertanto la realtà dei distretti tessili italiani e nello specifico quello di Prato, il ruolo dell’azienda sul territorio, e vari altri aspetti utili a capire a 360 gradi il lavoro portato avanti in questa tesi.

Il distretto di Prato Le imprese tessili in Toscana si concentrano nella provincia di Prato, dove si trova lo storico distretto. Il distretto di Prato prese l’avvio tra Ottocento e Novecento. Dopo un’accelerazione industriale nel secondo dopoguerra, si è affermata negli anni Settanta come un’area territoriale che è stata capace di mettere a frutto competenze produttive artigianali sedimentate nei secoli all’interno di un particolare ambiente sociale e culturale. Negli anni si è andato affermando come uno dei più importanti distretti tessile-moda europeo, rappresentante del modello archetipico di distretto industriale nella sua forma organizzativa di produzione. Le tipologie d’impresa sono varie, ma si possono individuare principalmente due orientamenti d’impresa: troviamo, infatti imprese leader capaci di gestire i rapporti con i clienti finali e impegnate nella coordinazione di funzioni immateriali di progettazione e controllo qualità al loro interno; ci sono poi molte imprese conto terzi, che lavorano quindi con contratti di subfornitura per un certo numero di clienti, anche localizzate in aree geografiche differenti. Sicuramente uno degli elementi che caratterizza l’attuale approccio ai paradigmi dell’economia circolare è la versatilità, ovvero la capacità di poter lavorare tutti i tipi di fibra,

da quelle sintetiche a quelle naturali, dalle più pesanti a quelle leggere. Prato e la sostenibilità L’approccio circolare alla gestione di risorse è da sempre un elemento che ha caratterizzato il distretto della moda di Prato: il concetto di sostenibilità ambientale è legato in maniera indissolubile alla modalità operativa del distretto tessile di Prato fin dalle sue origini. Si è così sviluppata una filiera tessile altamente specializzata nel recupero delle fibre che ha rivestito un ruolo chiave nello sviluppo industriale di questo territorio. Ne è un esempio il cardato rigenerato, prodotto tipico pratese, è per definizione un materiale sostenibile poiché attraverso la particolare tecnica produttiva è possibile recuperare le fibre di lana che altrimenti sarebbero inviate in discarica. La sua produzione risponde pienamente ai principi dell’economia circolare di cui oggi parliamo: le fibre sono, infatti, già state trattate e non necessitano di molti ulteriori trattamenti (come lavaggio, preparazione alla tintura, tintura) permettendo un notevole risparmio di acqua, energia, prodotti chimici. Inoltre il materiale può essere riutilizzato più volte, senza aumentare la produzione di rifiuti tessili. Un altro fattore che distingue l’approccio virtuoso

di Prato è stato il suo ruolo all’interno della diffusione dell’iniziativa Detox di Greenpeace. Le aziende sono sempre più sensibili ai temi della sostenibilità ambientale. Da una parte ci sono delle piccole aziende che hanno fatto della sostenibilità ambientale un loro cavallo di battaglia puntando a posizionarsi su un mercato di nicchia. Dall’altra ci sono i grandi brands che cercano prezzi accessibili per prodotti sostenibili assicurando commesse importanti e permettendo, grazie agli ordini su larga scala, di ridurre i costi. I temi legati alla sostenibilità delle lavorazioni tessili sono sempre stati al centro delle riflessioni degli imprenditori: infatti, Prato è stata tra i primi distretti ad organizzare una depurazione centralizzata che ha garantito la purificazione delle acque reflue della popolazione e di oltre 300 aziende del territorio. Negli anni 80 la città di Prato si è dotata del più grande acquedotto industriale per la distribuzione di acqua depurata (oltre 60 km di rete che distribuisce alle aziende una grande quantità di acqua riciclata). L’acquedotto industriale pratese è una struttura che, in dimensioni così estese, non ha uguali in Italia e pochi nel mondo e rappresenta una modalità moderna ed evoluta per preservare le risorse idriche na-

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turali. I mesi trascorsi all’interno dell’azienda ci hanno dato la possibilità di comprendere tanti aspetti del mondo del tessile e delle modalità di lavoro di un’azienda fornitrice di tessuti come il Lanificio Cangioli. Procederemo adesso con un focus sull’azienda, così da comprenderne meglio i meccanismi e gli equilibri, e le motivazioni che ci hanno spinto ad intraprendere questo progetto in collaborazione con il team Cangioli.

da di cinque generazioni della stessa famiglia e che, per questa ragione, ha sempre avuto uno stretto rapporto con il territorio e le sue tradizioni. Si tratta di un gruppo di produzione composto, ad oggi, da tre imprese: il Lanificio Cangioli che si occupa della parte commerciale e di sviluppo prodotto, la Manifattura Tessile Malaparte che è la divisione dedicata alla tessitura, ed infine Pentarif che svolge le fasi di tintoria e rifinizione.

L'azienda Il Lanificio Cangioli 1859, con i suoi 160 anni di vita, è una storica azienda pratese. Nata nel 1859, è l’impresa più antica (oltre che una tra le più rilevanti) del distretto tessile di Prato e una delle più longeve di Italia. È una realtà che ha vissuto il susseguirsi alla sua gui-

“Lavoriamo bene là dove c’è richiesta d’innovazione e quindi in tutti quei paesi che hanno un settore moda particolarmente attento al prodotto, dove invece la qualità è secondaria rispetto al prezzo, non riusciamo a lavorare. In Europa, con tutti i brands del lusso e con alcuni del fast fashion riusciamo a

proporre sempre collezioni molto innovative. Noi realizziamo due collezioni l’anno creando più di 500 proposte per collezione. In più abbiamo il 40% dei righi d’ordine che sono personalizzazioni del prodotto originale, quindi il tasso di evoluzione della proposta è vertiginoso”. (V. Cangioli) L’azienda, oltre a fornire tessuti di ottima qualità ad una grande quantità di aziende, che spaziano dal Fast Fashion all’alta moda, è anche un’impresa estremamente sensibile alle variazioni della domanda del mercato. Oggi Cangioli si propone come un’azienda trendsetter attenta all’analisi, elaborazione e comunicazione di tutte le nuove tendenze del campo moda. La capacità di coniugare tecnologia, sostenibi-

lità, innovazione e riduzione dei tempi di produzione rappresenta la sfida quotidiana che il Lanificio Cangioli porta avanti da diversi anni, e che si impegna a comunicare ai propri clienti. Storia ed evoluzione Le radici di questa storica azienda risalgono al 1835, quando nasce come una piccola realtà artigianale. Dopo circa vent’anni di apprezzato operato sul territorio, nel 1859 la piccola bottega compie il suo primo grande salto di qualità e avvia una vera e propria attività di produzione di tessuti. Per tutti gli anni ’60 dell’Ottocento sono scialli, stoffe, flanelle, coperte a rappresentare il fiore all’occhiello della creatività Cangioli. Nei primi anni del ‘900, dopo aver perfezionato i processi produttivi e l’organizzazione aziendale, il


Lanificio Cangioli 1859, fotografie realizzate all’interno dell’azienda.

Lanificio Cangioli amplia la propria rete commerciale e si apre alle esportazioni, soprattutto in Inghilterra e Germania. Nel 1930 Vincenzo Cangioli, rappresentante della terza generazione dell’azienda, apre un nuovo stabilimento in via del Bisenzio a San Martino, e vi trasferisce i reparti di filatura e tessitura. L’obiettivo è espandere la produzione puntando su una linea di coperte di fascia alta. Successivamente la quarta generazione, rappresentata da Carlo, Gherardo e Sergio, completa lo stabilimento di Prato, trasferendovi anche le rimanenti lavorazioni di tintoria e finissaggio. Alla fine degli anni ’40 il Lanificio Cangioli può contare su un impianto industriale di 20.000 mq. Nei primi anni ’90 Vincenzo e Sabina Cangioli, la quinta generazione attualmente a capo dell’impresa, prendono le redini dell’azienda: i due fratelli sviluppano una nuova strategia produttiva fortemente improntata su innovazione, flessibilità e alti standard qualitativi. Il Lanificio Cangioli rappresenta una realtà importante del settore ed oggi partecipa a numerose fiere del settore tessile, tra le quali ricordiamo Milano Unica, Première Vision Paris, Blossom, Munich Fabric Start, View München, View Premium Selection.

Prodotti e processi Il Gruppo Cangioli ha una struttura verticalizzata capace di svolgere, all’interno del suo complesso, numerose fasi della filiera: si va dalla ricerca ed elaborazione delle tendenze fino alla produzione del prodotto finito. Attraverso un lavoro di analisi delle sfilate, dei trend, e grazie a consulenti specializzati, gli uffici elaborano tutti gli input del mercato e li trasformano in concept di prodotto. La strategia aziendale non è stata quella di adottare la strada del ‘converter’, vale a dire quell’impresa che opera acquistando greggi dall’estero per poi effettuare solo il finissaggio, ma al contrario Cangioli ha scelto un business che prevede lo sviluppo del prodotto partendo dalla materia prima fino ad arrivare al manufatto finito. Questa strategia permette all’impresa un altissimo grado di differenziazione dei prodotti, non solo nel loro aspetto estetico finale ma anche per composizioni e strutture. All’interno del Gruppo Cangioli i filati vengono sviluppati su specifiche proprie o acquistati greggi dai maggiori produttori europei per poi essere personalizzati con varie lavorazioni. I filati possono venire tessuti sia presso la propria tessitura Manifattura Tessile Malaparte, locata all’interno dello stesso complesso industriale che ospita il Lanificio, sia presso altre tessitu-

re esterne. I tessuti greggi vengono poi rifiniti a loro volta sia presso la propria rifinizione Pentarif, situata anch’essa nel complesso, sia in altre rifinizioni esterne in grado di fornire lavorazioni altamente innovative, così da poter soddisfare il più possibile le richieste dei clienti. L’azienda possiede poi dei sistemi di controllo e monitoraggio: tutto il processo produttivo viene attentamente controllato in tempo reale da un avanzato sistema informativo capace di supportare la struttura nella funzione logistica e di permettere in

conseguenza tempi di consegna estremamente veloci. Ogni articolo messo in lavorazione dalla struttura viene monitorato anche sotto l’aspetto qualitativo attraverso controlli sia di processo sia di prodotto. Proprio a tal fine è stato, infatti, creato un sofisticato laboratorio atto ad effettuare tutte le prove tecniche necessarie a fornire alla struttura ed ai propri clienti un completo set di dati di performance di ogni articolo prodotto.

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La sostenibilità di Cangioli Da molti anni il Lanificio Cangioli affronta il tema della sostenibilità con grande serietà ed impegno, rispettandolo e traducendolo in diverse soluzioni concrete. “Quello della sostenibilità è un valore molto caro al settore del tessile-abbigliamento. Tutti i grandi brands stanno facendo attenzione ad avere una filiera sostenibile, soprattutto perché i processi tessili utilizzano molti prodotti chimici. Su questo aspetto noi abbiamo preso un impegno molto forte adottando dei protocolli di gestione di prodotti chimici per garantire ai nostri clienti una produzione quanto più sostenibile possibile. Oltre alla grande attenzione alla gestione dei prodotti chimici siamo molto impegnati anche dal punto di vista del risparmio energetico cercando di abbassare la carbon footprint. Questo è un processo che abbiamo intrapreso da poco grazie all’acquisizione di un pannello fotovoltaico e tutta l’energia elettrica che noi utilizziamo viene da fonti rinnovabile”. (V. Cangioli) Le certificazioni L’approccio sostenibile che l’azienda porta avanti riguarda diversi ambiti. L’azienda si pone come primo obietti-


pagina precedente Lanificio Cangioli 1859, fotografia realizzata all’interno dell’azienda.

vo quello di lavorare in modo sostenibile. Rispettare le persone e l’ambiente è un impegno costante, e per farlo il Lanificio Cangioli punta a creare una filiera veramente sostenibile. L’impresa possiede notevoli impianti industriali, necessari a svolgere questo tipo di lavoro. L’approccio è quello di scegliere ogni volta, passo dopo passo, di essere sostenibili, poiché usare le energie rinnovabili è solo questione di volontà. Il Lanificio Cangioli adotta questo metodo in tutte le sue strutture: uffici, rifinizione, orditura e tessitura sono ora alimentati al 100% con energia pulita di cui il 30% autoprodotta. La gestione delle sostanze chimiche e il monitoraggio e l'implementazione continua degli standard qualitativi sono principi che l’azienda impiega anche per quanto riguarda la gestione delle sostanze chimiche, che comportano una responsabilità importante in questo settore, che ne fa sicuramente un largo impiego. I tessuti Cangioli ed il loro modo di produrli sono in costante evoluzione, grazie alle rigorose metodologie di gestione, test e analisi che da sempre l’impresa adotta. Un altro ambito sensibile per le aziende tessili è sicuramente il consumo d’acqua. Il Lanificio Cangioli si assume la responsabilità di ogni singola goccia d’acqua che usa, per questo motivo continua ad impegnarsi per cercare nuovi modi per au-

mentare il risparmio idrico. Nella rifinizione e tintoria l’azienda ha installato sofisticati sensori e dispositivi di controllo, riuscendo a risparmiare circa trenta milioni di litri d’acqua l’anno. L’azienda si è anche impegnata per ottenere varie certificazioni internazionali che attestano il loro impegno per l’ambiente: • BCI (Better Cotton Initiative). Il Lanificio Cangioli ha aderito all’iniziativa BCI, il più vasto programma al mondo per la sostenibilità della produzione del cotone, volto a ridurre lo stress ambientale e favorire il benessere delle comunità agricole. • 4 sustainability. Il Protocollo internazionale per la gestione delle materie prime e la riduzione delle sostanze chimiche nei processi produttivi. 4 sustainability è un network strutturato per accompagnare le aziende in un percorso dedicato alla sostenibilità: comprende varie attività, dal chemical management alle attività di monitoraggio e reporting. 4 sustainability si concretizza in un protocollo di azioni coerenti con le esigenze proprie dell’impresa ed efficaci in termini di risultati. Un piano operativo che vale anche da garanzia della veridicità e della trasparenza del cammino intrapreso. • ZDHC (Zero Discharge of Hazardous Chemicals). Il Lanificio Cangio-

li ha aderito al programma ZDHC, in cui diversi brands e rivenditori si sono impegnati a collaborare coinvolgendo l’intera catena di fornitura, per migliorare i processi, avendo come obiettivo l’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose dal settore tessile. Fino ad oggi, in questo progetto, non erano mai stati coinvolti i produttori di tessuti, ma solo i brands finali, per questo Cangioli è orgoglioso di essere tra le prime cinque aziende, tutte italiane, ad essere state scelte per migliorare e approfondire il percorso volto a migliorare gli impatti ed essere sempre più sostenibili. • GOTS (Global Organic Textile Standard). Con ciò si fa riferimento ad una norma internazionale usata per la certificazione delle fibre naturali e che comprende criteri di natura ecologica e sociale. Consiste in un sistema di certificazione indipendente dell´intera filiera di produzione tessile. Le aziende con certificazione GOTS sono controllate annualmente, oltre ad essere sottoposte a verifiche spontanee. E questo è il motivo per il quale GOTS risponde ai criteri più severi quando si tratta di fibre naturali. • GRS (Global Recycle Standard). GRS certifica prodotti ottenuti da materiali da riciclo e attività manifattu-

riere. Il GRS prevede il rilascio di una dichiarazione ambientale verificata da parte terza che comprova la presenza di materiali da riciclo all’interno dei prodotti (sia intermedi che finiti) ed il rispetto di criteri ambientali e sociali in tutte le fasi della filiera produttiva. Possono essere certificati GRS tutti i prodotti che siano composti per almeno il 20% da materiali da riciclo pre-consumo e post-consumo. • Il progetto di Internazionalizzazione View of Italian Fabrics on Chinese Market: realizzato da una rete d’imprese coordinata dal Consorzio Pratotrade, il progetto prevede come punto centrale la partecipazione alla Fiera internazionale più importante del settore, Première Vision Paris. • Il progetto di Internazionalizzazione Rete di tessuti per l’internazionalizzazione: realizzato da una rete di imprese coordinata dal Consorzio Pratotrade, il progetto prevede come punto centrale la partecipazione alle Fiere internazionali più importanti del settore come Milano Unica e Première Vision Paris.

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INTERVISTA A VINCENZO CANGIOLI, PRESIDENTE AZIENDALE Il 22 Ottobre 2019 abbiamo incontrato Vincenzo Cangioli, presidente dell’omonima azienda, che ha gentilmente accettato di rispondere a qualche domanda. Le domande sono state varie, principalmente virate sul distretto di Prato, sull’azienda, sulla sostenibilità e in che modo essa viene declinata all’interno del Lanificio Cangioli.

«Orientare un’intera azienda verso un percorso di sostenibilità è una scelta virtuosa, ma ovviamente tutto questo ha dei costi in termini anche economici. Sapresti descrivere quali sono le principali criticità di questa filosofia?» «Il primo aspetto è il costo della certificazione, il mero valore monetario che essa possiede, che ovviamente varia da certificazione a certificazione. Queste possono andare dai 5-7 mila euro alle 20-30 mila euro secondo il tipo di certificazione. Ci sono poi degli aspetti indiretti: infatti, non si tratta semplicemente di scartoffie da riempire, firmare e inviare all’ente certificatore, si tratta piuttosto di un vero e proprio percorso. Noi abbiamo appena ottenuto le certificazioni GOTS e GRS e questo implica che in azienda, se vogliamo produrre dei prodotti che apportano tali certificati, ci sono dei protocolli che devono essere seguiti. Tutto questo perché in questo modo il prodotto GOTS rappresenta un prodotto che è stato trattato con determinate regole, dalla materia prima, alla filatura, tessitura, tintoria, rifinizione, ecc. Oltre a ciò, c’è bisogno di un controllo certosino dei fornitori. In sintesi, il processo di certificazione, se si vuol fare come si deve, coinvolge molti attori, richiede molto tempo e ha un costo in termini economici».

«In termini concreti, come viene applicato ed implementato il concetto di sostenibilità all’interno dell’azienda?» «Noi riteniamo che la sostenibilità abbia vari aspetti, uno di questi è ovviamente quello di abbassare l’impatto ambientale in senso lato e di rendere sostenibile i nostri processi anche dal lato umano e sociale. Puntiamo molto sull’aspetto sociale, in particolare sulla conservazione del know how: nel lavoro che svolgiamo in fabbrica, inteso non solo come il reparto di produzione ma anche sul lato uffici, abbiamo dei know how che vanno protetti, altrimenti rischiamo di perdere la capacità di creare che è derivata dalla sapienza tecnica acquisita con l’esperienza. La stessa cosa succede in rifinizione, perché certi macchinari richiedono delle conoscenze e capacità molto specifiche, ed avere un operaio bravo in determinate postazioni permette di fare prodotti anche molto difficili. Gli obiettivi fondamentali sono quindi quelli di sostenere il know how e minimizzare l’impatto (quantità di risorse energetiche impiegate). Quando si dice, per esempio, che le macchine elettriche sono a impatto zero, siamo sicuri di quello che diciamo? L’energia che utilizziamo per ricaricarle è fatta da petrolio e carbone o da energia rinnovabile? Ne abbiamo la sicurezza? In Italia la

quantità di energia rinnovabile disponibile è ancora molto bassa rispetto a quella di altri paesi. Noi ovviamente facciamo il possibile come azienda e ci impegniamo. L’energia elettrica l’andiamo a comprare, nonostante ci costi marginalmente di più, da fornitori che ci assicurano che l’hanno creata senza emettere CO2. Per quanto riguarda l’energia termica per adesso non ci sono grandi soluzioni perché per produrre vapore in volumi massivi come quelli utilizzati nel settore tessile è necessaria una fonte, che in questo caso è il gas metano (che è quello con impatto più basso); in questo caso però non ci concentriamo sulla quantità di gas utilizzato, quanto sul livello di efficienza con il quale lo utilizziamo, quindi su quanto sfruttiamo una certa quantità di gas, cercando di non sprecare nulla. Ultimo obiettivo è quello di cercare di ridurre la quantità di acqua utilizzata nei nostri processi. Il settore tessile, è risaputo, utilizza una quantità d’acqua enorme; cercare quindi di minimizzare questo impiego è fondamentale e questo viene fatto tramite piccole innovazioni, sia di carattere tecnico sia dal punto di vista dei prodotti chimici, di usare cioè sostanze di ottima qualità, efficienti e che permettono di usare meno acqua. Infine, il cercare di utilizzare dei prodotti chimici che hanno un impatto ambientale più basso possibi-

le e seguire tutto quello che riguarda la filosofia ZDHC, assicurandosi che, nel caso ci siano delle alternative, andiamo a scegliere quelle che impattano il meno possibile». «Qual è il vostro obiettivo prossimo in termini di sostenibilità? » «Innanzi tutto dobbiamo assolutamente comunicare il nostro impegno in modo efficace, raccontando che noi come azienda stiamo attenti ad avere un basso impatto ambientale. Questo lo dico anche perché c’è effettivamente un movimento all’interno del nostro settore di aziende che sostengono che oggi non si possa più parlare di sostenibilità in maniera astratta ma che si debba andare a vederla in maniera olistica. Faccio un esempio: se noi diciamo ‘guardate che sono sostenibile perché ho comprato una lana che proviene da pecore che sono trattate bene e con rispetto’ e poi quella lana la vado a produrre in un’azienda che l’energia elettrica la compra da centrali a carbone, spreca molta acqua, usa coloranti di bassissima qualità, ecc è chiaro che tutto questo discorso non ha più senso. Inoltre occorre impostarsi in modo molto versatile perché il mercato è in continuo movimento, e con esso anche le richieste dei clienti: per esempio due anni fa si parlava solo di prodotti chimici mentre adesso il chimico è un


aspetto che è dato quasi per dimenticato perché ci siamo quasi tutti adattati ai nuovi standard». «Molti credono realmente ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale, per altri invece la sostenibilità rappresenta solo l’ennesimo trend che si sta prolungando di stagione in stagione ma che è anche destinato a passare. Tu cosa ne pensi?» «In generale penso che il mondo si sia veramente reso conto che stiamo effettivamente consumando e sprecando troppo. Uno dei principali motivi per cui siamo in questa situazione è il fast fashion, che all’inizio era visto come un’ innovazione senza precedenti ma che si è anche col tempo rivelato nient’altro che un mostro che noi stessi abbiamo creato. Il suo successo è dato dal fatto che riversava sul consumatore un’immediata soddisfazione di poter comprare qualcosa ad un prezzo irrisorio, senza però che ce ne fosse effettivamente bisogno e offrendo un rapporto qualità-prezzo pessimo. Abbiamo quindi un consumatore letteralmente pieno di roba ma privo di values. Con il passare del tempo, infatti, il valore materiale del prodotto, già basso, è sempre di più scivolato in secondo luogo: il consumatore adesso cerca valori esperienziali, si cercano esperienze non più oggetti. A mio parere ci do-

vrà essere un riallineamento da questo punto di vista, e i brands dovranno capire che hanno bisogno di tornare a dare al consumatore un prodotto di qualità che dia soddisfazione al consumatore, in modo da andare verso un acquisto più raro ma più consapevole. Questo innesca poi tutta una serie di valutazioni per gestire il discorso del riciclo di prodotto, perché non è detto che la strada più efficace, in termini ambientali, sia forzatamente quella di dare una seconda vita ai prodotti. Quando noi vendiamo, per esempio, un prodotto sostenibile ad un cliente, esso è sì sostenibile, ma deve anche essere consegnato con i tempi e i costi che il mercato può sostenere. Qui ritorno al discorso che facevamo poco fa del lavoro di ricerca che svolgono Sabina e Camilla, che trovano un ‘indirizzo’ che deve essere poi incanalato in una serie di vincoli che ci portano a realizzare una collezione ad un prezzo giusto con le consegne nei tempi prestabiliti. Quindi, di fatto, sarà il mercato stesso che troverà un suo equilibrio, e deciderà quello che rimane: come per esempio, a mio avviso, il poliestere riciclato, ed altre cose che invece andranno a scomparire, ad esempio i prodotti creati dagli scarti alimentari, che a mio parere non riusciranno a sostenere i ritmi del mercato; ci sono, infatti, delle leggi di mercato che dicono che se non

hai una certa massa critica non rappresenti un player, non stai in gioco». «Quali sono i requirements per dichiarare “organico” un prodotto e come si abbassa l’impatto ambientale utilizzando un prodotto di questo genere piuttosto che un prodotto tradizionale? Quali sono i problemi del portare una percentuale elevata di produzione a questi standard?» «Si tratta di un percorso lungo e complesso, oltre che rischioso. Quello del cotone per esempio è un dilemma enorme. Per portare, infatti, la produzione da un cotone tradizionale ad un cotone organico ci vogliono circa 2-3 anni di transizione: questo perché per la produzione del cotone tradizionale servono grandi quantità di fertilizzanti e pesticidi, che permettono di avere un volume di raccolto molto maggiore e con meno danni, poiché tali agenti chimici “proteggono” le piante dagli insetti e dai parassiti. Nel momento però in cui un farmer decide di virare su una produzione biologica deve obbligatoriamente interrompere questi trattamenti e per 3 anni avrà un raccolto sempre minore, sia in quantità che in qualità, ai soliti prezzi di mercato. Una volta raggiunta la certificazione è in grado di vendere a prezzi molto più alti, ma per arrivare a questo punto servono 3 anni di sofferenze e sfor-

zi. Molti infatti decidono di non cambiare rotta e rimanere sulla coltivazione del cotone tradizionale, proprio perché temono di perdere troppo durante questi 3 anni di transizione, se non addirittura di fallire. Questo del cotone è solo un esempio. Potremmo anche parlare di poliestere riciclato, la cui questione ultimamente si suddivide tra poliestere riciclato pre o post-consumer: post-consumer sarebbe a dire che il poliestere viene creato tramite il riciclo delle nostre bottiglie di plastica, ad esempio; pre-consumer, invece, è quando vengono create bottiglie (o plastica in generale) apposta per soddisfare la domanda sempre crescente del poliestere riciclato. E questa è pura follia. Tutto questo fa molto riflettere sulla riuscita di questi nuovi prodotti, ad esempio creati da sottoprodotti o scarti alimentari, perché se da una parte tutto questo è molto bello dal punto di vista del progresso scientifico e dell’innovazione, dall’altra il mercato ha bisogno di volumi massivi di materiali».


INTERVISTA A DANIELE SACCARDI, RESPONSABILE CHEMICAL MANAGEMENT L’11 Novembre 2019 abbiamo incontrato Daniele Acciai, responsabile chemical management del lanificio Cangioli, che ha gentilmente risposto ad alcune domande riguardo all’approccio che l’azienda ha adottato per quanto riguarda la tematica della sostenibilità applicata all’ambito del chimico. Un’azienda tessile come il Lanificio Cangioli, per sua natura, fa largo impiego di queste sostanze ed è pertanto fondamentale l’attenzione alla corretta gestione ed amministrazione di questi prodotti. Grazie al colloquio con Daniele abbiamo potuto approfondire numerosi aspetti e comprendere meglio il modo in cui Cangioli s’impegna in maniera sostenibile in questo ambito.

«Per cominciare facciamo un quadro generale sulla questione dell’utilizzo delle sostanze chimiche attuale. Con l’introduzione del protocollo ZDHC e prima ancora dell’iniziativa Detox my fashion è mutato notevolmente l’approccio all’utilizzo di tali sostanze: cosa è cambiato nello specifico?» «La nostra azienda aderisce all’iniziativa di ZDHC che, come sapete, è un’organizzazione no-profit fondata da trenta brands della moda al fine di rimuovere le sostanze chimiche dai prodotti tessili, per fare in modo di tenere sotto controllo il rischio chimico: quest’ultimo riguarda tutta una serie di sostanze dannose che vengono utilizzate nel tessile, le quali erano già state precedentemente identificate da Greenpeace con la sua campagna Detox my fashion. Anche l’Unione Industriale di Prato accolse immediatamente l’iniziativa Detox cercando di eliminare le sostanze nocive, ma per esempio Vincenzo Cangioli, che ha sempre avuto lungimiranza, si rese conto subito che non era possibile fare quest’operazione così velocemente. Per fare un esempio: i metalli pesanti (come il Cromo ed il Rame) erano uno dei gruppi di sostanze chimiche che Greenpeace voleva eliminare. La cosa era abbastanza impossibile dato che molti coloranti li possiedono necessariamente al loro interno, come

ad esempio le sostanze per tingere la lana. Il punto è che fino a quando non esce sul mercato una classe di coloranti che non contenga metalli pesanti, è inutile ragionare della loro eliminazione: o andiamo tutti a giro con il cappotto bianco, beige, panna, oppure si utilizzano i metalli pesanti. Ci sono degli effettivi limiti tecnici. Oggi possiamo dire di essere a un buon punto sull’eliminazione delle sostanze tossiche: infatti, molti dei gruppi che erano identificati come prioritari sono già stati in parte rimossi dal mercato ed alcuni di essi già adesso non si trovano più in circolazione. Un esempio sono gli impermeabilizzanti: tra questi c’erano dei prodotti chimici impiegati che contenevano Fluoro e che, come prestazioni, erano il top sul mercato data la loro durevolezza e resistenza al lavaggio. Il fatto però è che essendo così resistenti questi prodotti rimanevano sul cappotto anche dopo il suo utilizzo e quindi anche al momento dello smaltimento, rendendo questi capi un rifiuto tossico. Così questi prodotti sono stati sostituiti da altre sostanze chimiche non inquinanti ma aventi tuttavia performance inferiori». «Quali sono le modalità con le quali Prato fa fronte allo smaltimento del chimico presente nelle acque industriali?»

«Per tutte le industrie tessili è necessario un metodo di depurazione delle acque di scarico, poiché queste contengono necessariamente delle sostanze da smaltire. Qui a Prato esiste il depuratore Baciacavallo, un ottimo impianto che svolge un grande lavoro. Siccome Prato è caratterizzata da un tessuto industriale formato da imprese di piccole dimensioni, la nostra per esempio è una delle più grandi, non si trovano aziende abbastanza grandi da avere impianti di depurazione al proprio interno. Quindi l’acquedotto del Baciacavallo è l’impianto che si occupa della depurazione delle acque di tutto il distretto: esso riceve gli scarichi di tutte le imprese della zona. Il Baciacavallo ha anche un altro depuratore nella zona della vallata di Prato, così da poter depurare anche le acque di alcune tintorie e industrie presenti in quella zona, un po’ più decentrata. Generalmente funziona così: viene svolto un primo filtraggio qui in azienda per togliere la parte solida prima di scaricarla. Quando le acque arrivano all'impianto di depurazione di Baciacavallo vengono rimossi i residui solidi rimasti e le schiume ed infine l’acqua che ne risulta va incontro ad un processo chimico finalizzato all’abbattimento degli agenti inquinanti. Si arriva così ad un’acqua pulita che viene rimandata in circolo nelle aziende come acqua

ad utilizzo industriale». «Cangioli è una realtà che svolge diverse fasi della filiera, partendo dalla filatura, passando per tessitura, tintura e rifinizione. Come viene gestito il controllo delle sostanze chimiche lungo tutte queste fasi?» «Il Gruppo Cangioli è impegnato ormai da anni nello sviluppo sostenibile: per quanto riguarda il chimico abbiamo messo in piedi un vero e proprio protocollo di chemical management. I controlli che noi effettuiamo sulle nostre lavorazioni e sui nostri prodotti sono molto serrati, e possono essere descritti principalmente nelle seguenti attività: • Monitoraggio dei fornitori: eseguiamo un’analisi di base di tutto ciò che entra nel Lanificio. Tutti i fornitori, da quelli che ci inviano il fiocco di lana a quelli che ci forniscono il filato, sono sottoposti a controlli sui prodotti, al fine di valutare quale sia il rischio chimico sulla materia in ingresso. • Monitoraggio della materia prima: quando la materia prima arriva in azienda, noi facciamo una serie di test per accertarci che questa sia conforme a ciò che il fornitore ci dice. • Monitoraggio delle lavorazioni utilizzate: tutte le fasi che svolgiamo sono allineate con gli standard che


noi vogliamo garantire ai clienti. Cangioli è un caso particolare perché possiede tintoria e rifinizione al suo interno, quindi è abbastanza semplice controllare tutte le lavorazioni; ma ci sono alcuni casi in cui ci rivolgiamo a fornitori esterni che andiamo a controllare direttamente . • Tracciabilità delle lavorazioni: la tracciabilità è un requisito fondamentale, sia per quanto riguarda le richieste dei clienti, sia per il lavoro che noi svolgiamo. È necessario, infatti, poter risalire alla fasi di lavorazione del prodotto nell’eventualità che si presentino problemi sull’articolo e per poterli risolvere. Per l’aspetto giuridico fa fede il regolamento europeo REACH, che tuttavia non è specifico per il settore tessile, quindi prevede parametri molto relativi. Noi ci rimettiamo molto alle richieste specifiche dei brands: quello che ci richiede il mercato è qualcosa che va oltre la normativa, si tratta di una sorta di sottoscrizione privata tra il brand ed il fornitore». «Come viene gestita la questione delle sostanze chimiche per quanto riguarda le materie prime riciclate?» «È proprio questo il nodo fondamentale della questione: il riciclato è un mondo a sé. Quando, per esempio, si vanno a riciclare dei cappotti separati e strac-

ciati da tasselli di materiale di venti anni fa, magari non si capisce neanche che tipo di tessuto sia. Se abbiamo una materia prima che proviene, per esempio, da uniformi militari, in questo caso nel materiale c’è davvero di tutto di più. Quindi è importante scegliere cosa riciclare. Questo è un po’ un controsenso per quanto riguarda la sostenibilità. Di riciclato non ne facciamo tanto, ad essere onesti, però ci siamo certificati perché almeno quel poco che facciamo lo facciamo bene. Ci sono altre aziende che lavorano molto con il riciclato ma che non sono certificate e non lavorano con materie prime riciclate; in questo caso credo che venga riciclato qualsiasi tipo di materiale, con qualsiasi tipo di sostanza al suo interno. È comunque un lavoro positivo, però, perché riutilizzando un certo materiale questo, invece di essere smaltito in inceneritore e inquinare, viene trasformato in qualcos’altro. Anche perchè, logicamente, se hai una materia prima inquinata 100, tramite le rilavorazioni e le operazioni di carbonizzo, ossia un trattamento con acido solforico, è possibile rimuovere tutte le parti vegetali e le impurità; in più, spesso la parte riciclata viene addizionata ad una parte nuova, di conseguenza la materia prima che era inquinata 100, alla fine dei giochi, risulterà nel prodotto finito inquinata 50. E quel prodotto finito in-

quinato 50, una volta fatto di nuovo rifiuto, ritrattato e riciclato e unito ad altre parti a sua volta, risulterà inquinato 15. Quindi a parer mio, il riciclo è sempre positivo, perché a lungo andare, tramite trattamenti e diluizioni con altre parti, la componente chimica andrà via via a scomparire e così facendo diminuiranno gli indumenti da smaltire in inceneritore». «Tutto questo sistema sembra molto scrupoloso. Quali aziende sono particolarmente attente a tutto ciò?» «Il Gruppo Inditex da questo punto di vista è stato un po’ il primo ad aprire le danze. Zara ad esempio si è impegnata anche a livello economico, investendo circa 50.000 $ in test per stilare una lista di prodotti chimici che per i suoi standard andavano bene in base alle sue esigenze. Questo di solito avviene richiedendo campioni dai fornitori, ma non per Inditex. Loro vengono di persona a controllare a tua rifinizione, e prelevano loro stessi campioni di prodotti aperti in via d’utilizzo. Il sito di H&M per esempio ha implementato tantissimo la parte della sostenibilità, apportando informazioni dettagliate per ogni singolo prodotto, in particolare sulla provenienza del materiale utilizzato per produrlo e il relativo fornitore. Anche noi ovviamente ci adoperiamo per questa causa. Ogni anno

facciamo un report che rappresenta un’autovalutazione del chemical management system e della nostra filiera in base a questi parametri. È possibile da qui vedere la percentuale dei fornitori che sono stati monitorati, quali testi sono stati svolti, ecc. La trasparenza è un aspetto fondamentale della sostenibilità, se s’intende prenderla seriamente e con impegno».



pagina precedente Stand fieristico realizzato per Milano Unica e Première Vision 2019. Alcune delle brochure realizzate per comunicare la sostenibilità aziendale.

Da Agosto a Dicembre 2018 abbiamo effettuato un tirocinio presso il Lanificio Cangioli 1859. Durante i mesi trascorsi in modo intensivo all’interno dell’impresa abbiamo avuto modo di avvicinarci all’ampio mondo del tessile. Questa esperienza ci ha permesso di entrare in sintonia con la realtà aziendale e di comprendere il loro approccio al lavoro, partecipando attivamente allo sviluppo di alcuni progetti dell’azienda. Il progetto sostenibilità Già da tempo si parlava di sostenibilità all’interno dell’azienda, a fino a quel momento questa tematica non era stata comunicata a dovere. Il progetto di comunicazione sulla sostenibilità svolto da noi nasce quindi dall’esigenza dell’impresa di comunicare in modo efficace gli sforzi e l’impegno portati avanti in questa direzione. Abbiamo quindi lavorato ad un progetto di comunicazione e grafica per promuovere l’impegno etico e sostenibile del Lanificio Cangioli. Le brochure Durante il nostro tirocinio il Lanificio Cangioli ci ha affidato un progetto sulla sostenibilità: l’obiettivo era quello di creare una comunicazione efficace, in ‘stile Cangioli’, che potesse dar voce agli sforzi che l’azienda compie in am-

bito etico ed ambientale. Dopo aver effettuato numerose riunioni con il team per definire l’estetica del progetto in questione, abbiamo iniziato a lavorare sulla grafica vera e propria: colori, font, loghi e forme, cercando di creare ed ottenere un linguaggio fresco e giovane, come tutta l’estetica che contraddistingue la comunicazione aziendale. Il risultato è stato la creazione di varie brochure ed infografiche destinate ai clienti: questo materiale è stato reso fruibile sia in forma digitale sia cartacea. Lo stand fieristico Il secondo step del progetto è stato ideare lo stand fieristico 2019: il linguaggio visivo dello stand è andato a legarsi con quello del progetto sulla sostenibilità, poiché quest’ultima rappresentava uno dei trend preponderanti del momento. Abbiamo quindi proceduto con la ricerca dei materiali e dei colori desiderati, definendo ogni singolo particolare dell’allestimento, attraverso disegni, modelli tridimensionali e anche modelli fisici di alcune parti dello stand. Abbiamo inoltre sviluppato l’idea per l’invito alla fiera, che l’azienda provvede ad inviare ai suoi principali clienti, e al gadget da donare ai visitatori dello stand.

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@SantiagoPerez

@SofieDhoore

reirraCnailuJ@

@NinaRicci

@EdithDekyndt

9102 rebotco 21-9 04C

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Biosphere

pagina precedente Moodboard progettuale.

La finalità del percorso effettuato in collaborazione con Lanificio Cangioli 1859 è stata quella di sviluppare un progetto organico sul tema della sostenibilità: l’azienda, da tempo ormai impegnata ed attiva per promuovere questa tematica, ha deciso quest’anno di investire ancora di più su tale aspetto così importante. Il contesto L’obiettivo è stato quello di dare vita ad un progetto articolato e coerente che potesse comunicare al mondo esterno l’idea di sostenibilità di Cangioli. Dalla definizione del nome del progetto, all’ideazione delle grafiche, alla creazione di materiale informativo, fino alla traduzione di tale messaggio all’interno della nuova linea di tessuti sostenibile: tutto è stato svolto nell’ottica di sviluppare un linguaggio legato alla sostenibilità, che fosse fedele all’identità aziendale ma anche appetibile. Il progetto è nato da una serie d’ispirazioni ed idee che sono confluite in un unico concetto, a conferma del fatto che il mondo, la società, la politica e i vari aspetti del sociale sono estremamente interconnesse con la moda che, di fatto, costituisce uno dei canali attraverso i quali si esprimono certe tematiche. Nelle prossime pagine vedremo il percorso che abbiamo seguito per l’ideazione e la creazione del progetto.

Approccio al progetto Il progetto in questione ha come macro-tema il concetto di sostenibilità, che rappresenta sicuramente una delle tematiche più rilevanti nel panorama odierno. Cangioli ha voluto rielaborare tale concetto attraverso un linguaggio molto personale, che rispecchiasse l’identità aziendale e che si discostasse dalla moltitudine di messaggi a tema ambientale che ormai hanno invaso il mercato da anni e che, per la loro omogeneità, risultano scontati, poco interessanti e ormai visti troppe volte. Cangioli è solito proporre progetti estremamente innovativi, al passo con i tempi ed accattivanti: per raggiungere tale obiettivo da anni l’azienda utilizza varie metodologie a sostegno dell’attività di ricerca tendenze. Per un’impresa come Cangioli è fondamentale essere sempre aperta e ricettiva agli stimoli, sia che essi provengano dal mercato interno in cui si opera, sia che vengano dalla società esterna. Nel caso specifico di questo progetto sulla sostenibilità, il punto di partenza è stato senz’altro la mostra Antropocene: l’epoca umana presente proprio in questi mesi a Bologna. Dopo aver visionato la mostra in questione, sono nate numerose riflessioni ed idee che hanno posto le basi per il concept di questo progetto. Inoltre uno degli strumenti più preziosi utilizzati dalle

aziende del settore tessile sono sicuramente i libri tendenze, che forniscono importanti linee guida su macro trend, colori, suggestioni. Uno dei più avanguardistici libri tendenze utilizzato in questo specifico progetto è il Chiron, come vedremo qui di seguito.

Antropocene: l'epoca umana “Il mondo che conosciamo raccoglie in sé la promessa del paradiso e la minaccia dell’inferno. Se non ci curiamo del nostro ambiente e dei nostri bisogni, i processi in atto porteranno il nostro intero pianeta alla distruzione. Sarà una distruzione lenta causata dalla rimozione dello strato forestale, l’erosione del terreno, l’abbassamento del livello freatico, lo sfruttamento eccessivo della terra. Il problema della nostra generazione sta nel trovare abbastanza amore e sentimenti affini verso la terra e i suoi abitanti, per riuscire a rendere ogni angolo di questo pianeta una casa permanente”. (Burtynky, Baichwal, De Pencier) ‘Antropocene’ è un termine divulgato dal premio Nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen, per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita,

è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana. Tale epoca, nella quale siamo attualmente immersi, è caratterizzata da un progressivo impatto dell’uomo sugli ecosistemi della Terra, sino ad arrivare a sostanziali alterazioni degli equilibri naturali, come ad esempio la scomparsa delle foreste tropicali, la riduzione della biodiversità, l’immissione in atmosfera d’ingenti quantità di gas serra, e tanti altri fattori. Con l’obiettivo di narrare ed illustrare tali sconvolgimenti operati dall’uomo è nata un’importante mostra itinerante chiamata Antropocene: l’epoca umana, che è stata presentata all’Art Gallery di Ontario e alla National Gallery of Canada, per approdare infine al MAST di Bologna. La mostra nasce dall’iniziativa di collaborazione tra il fotografo Edward Burtynsky, i registi Nicholas de Pencier, Jennifer Baichwal e il gruppo internazionale di scienziati dell’Anthropocene Working Group. La tesi dell’Antropocene Working Group è che gli umani siano diventati la singola forza più determinante nelle trasformazioni che coinvolgono il pianeta attraverso i processi invasivi di terraformazione, urbanizzazione, industrializzazione e agricoltura, proliferazione di dighe e dirottamento di corsi d’acqua,

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acidificazione degli oceani, presenza pervasiva di plastica, cemento e altri tecno fossili. Queste azioni, sostengono i ricercatori del progetto, hanno una portata così ampia che fanno già parte del tempo geologico. I tre artisti hanno intrapreso un viaggio in diverse parti del mondo per documentare le prove più evidenti, spettacolari e allo stesso tempo inquietanti, dell’influenza umana sul nostro pianeta. Saltando da un continente all’altro il minimo comune denominatore è uno scarso rispetto delle risorse naturali, l’impiego di macchinari sempre più sofisticati per scavare nel terreno e l’alterazione permanente di flora e fauna dei luoghi. Si arriva al paradosso che la città siberiana di Norilsk, dove sono presenti industrie metallurgiche per l’estrazione e la lavorazione del nichel, è

tra le zone più inquinate al mondo. Il problema dello sfruttamento intensivo delle risorse terrestri si ripresenta a Massa Carrara, nelle cave per l’estrazione del famoso marmo, nel deserto di Atacama (Cile) per i giacimenti di litio, nelle miniere di potassio nei Monti Urali, nel territorio tedesco di Immerath dove le scavatrici più grandi al mondo creano laghi artificiali dopo aver raso al suolo abitazioni e chiese. Altro gravoso problema sono i tecno-fossili, ossia i rifiuti creati dall’uomo difficilmente smaltibili in tempi brevi: plastica, cemento, alluminio. Impressionanti le immagini della grande discarica a cielo aperto a Dandora vicino a Nairobi in Kenya, dove uomini e uccelli rovistano tra montagne di rifiuti. Trafori, trivellazioni, escavazioni, deforestazioni: se si pensa che le foreste della

terra ospitano l’80% della biodiversità del pianeta e assorbono il 30% delle emissioni di carbonio, risulta evidente la gravità del danno indotto. Meno ossigeno, più anidride carbonica, innalzamento delle temperature, del livello del mare e conseguente acidificazione delle acque. Una reazione a catena che ha l’effetto più eclatante nello sbiancamento della barriera corallina in Indonesia e in Australia. Cosa possiamo fare per il nostro pianeta malato? Antropocene è un documentario antiretorico, che attraverso la bellezza delle immagini conduce lo spettatore ad una presa di posizione morale, senza bisogno di troppe parole o di messaggi ricattatori. L’evidenza produce un inoppugnabile dato di fatto: stiamo assassinando la Terra e modificando la flora e la fauna in maniera irreparabi-

le. Questo lavoro artistico non ha solo il pregio di informare in modo innovativo il pubblico su una questione urgente ma non nuova, ma anche quello di illustrare bene il rapporto d’interdipendenza tra uomo e natura. La modernità ha spesso contrapposto cultura e natura facendo della prima la capacità dell’uomo di emanciparsi dalla seconda. Antropocene fa invece notare, anche in maniera drammatica, il legame indissolubile che l’uomo ha con la Terra che abita. In fondo sembra essere proprio questo il messaggio della mostra: che il destino della Terra e dell’uomo, nei prossimi anni, dipenderanno dalla capacità di quest’ultimo di produrre una cultura sana e sostenibile. Nelle pagine seguenti alcune delle opere più emblematiche della mostra.


pagina precedente Copertina del libro che riporta le fotografie del progetto Antropocene. Alcune delle fotografie più famose con le relative descrizioni.

La discarica di Dandora Nel suo genere, la discarica di Dandora è fra le più grandi al mondo. Ufficialmente nota come la Discarica Municipale di Nairobi, l’area riceve rifiuti industriali, agricoli, commerciali e ospedalieri in quantità pari a circa duemila tonnellate giornaliere. Anche se è stata pressoché dismessa del 2012, si stima che non meno di seimila persone entrino ogni giorno nel sito non recintato, andando in cerca di metallo, gomma, vetro, plastiche e componenti elettroniche da rivendere sul mercato o alle aziende che operano nel settore del riciclo. Uno studio condotto nel 2007 dallo United Nations Evironment Programme su campioni di terreno raccolti nei pressi della discarica ha rilevato l’esistenza di livelli di piombo potenzialmente letali. Quasi la metà del 328 bambini locali sottoposti a esami soffriva di problemi respiratori. Nel 1950 le plastiche prodotte su scala globale ammontavano a meno di due milioni di tonnellate l’anno.

Le miniere di Litio Atacama, una piana cilena dal panorama surreale, è il deserto più arido del pianeta. Proprio nel mezzo di questo paesaggio desolato e si trova una delle maggiori riserve conosciute di litio, contenente circa il 27% delle riserve accertate mondiali. L’estrazione dei sali di litio avviene pompando la soluzione salina dal bacino sottostante il Salar; questa viene poi lasciata evaporare in una serie di vasche artificiali. Man mano che il liquido evapora le vasche assumono colorazione varie, fino al punto in cui la concentrazione di litio non è ritenuta sufficientemente alta da poter procedere al suo invio in raffineria. L’arrivo sul mercato del produttore di auto elettriche ha destato preoccupazione circa la possibilità che non vi sia litio in quantità sufficiente per soddisfarne la domanda. È effettivamente possibile che nel breve periodo si vengano ad avere ripercussioni negative sul prezzo, ma resta il fatto che il litio può aiutare a ridurre sensibilmente la nostra impronta ecologica.

La miniera di Hambach La miniera di Hambach è la più grande operazione estrattiva a cielo aperto della Germania. Qui, per raggiungere il carbone da estrarre, è necessario asportare montagne di materiale sterile che viene accumulato sul terreno fino a formare enormi colline artificiali. Il tipo di macchina utilizzato per rimuovere lo strato sabbioso superficiale sovrastante ha una capacità di escavazione giornaliera pari a 240 mila metri cubi di terra. Da quando Hambach è stata aperta nel 1978 ben quattro villaggi sono stati trasferiti e altri due sono in procinto di essere rilocalizzati. Il progressivo ingrandimento della miniera è anche alla base della quasi totale rimozione della vecchia foresta di Hambach. A nulla è servita la resistenza opposta da coloro che protestavano contro tutto ciò, occupando il sito per diversi anni. La Germania, nel 2017, rimaneva il paese europeo con le più alte emissioni di anidride carbonica.

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Le miniere di potassio di Berezniki A 350 metri di profondità, sotto la superficie di Berezniki, in Russia, le talpe meccaniche sono all’opera per scavare gallerie. Qui i sali minerali risultano visibili grazie all’attività di estrazione del potassio, un fertilizzante indispensabile. Le talpe lasciano sulla roccia morbida impronte che per certi aspetti assomigliano ai fossili. Con una lunghezza stimata di circa tremila chilometri, la maggior parte di queste gallerie sono solide e stabili; il che significa che resteranno a testimonianza indelebile della nostra presenza sulla terra e della ‘bioturbazione umana’, espressione con la quale s’indica la creazione di giganteschi tunnel sotterranei da parte dell’uomo. Nella citta di Berezniki e nei dintorni ci sono cinque miniere attive e si stima che nel complesso sia stata creata una rete sotterranea di 10mila chilometri di gallerie. Ciò ha causato l’apertura nel suolo cittadino di voragini che hanno ingoiato strade ed edifici e portato alla chiusura della locale stazione ferroviaria.

Le cave di marmo di Carrara La produzione di marmo in Italia è uno dei settori più importanti dell’economia nazionale e fornisce il 18% dell’output mondiale. L’estrazione del marmo dalle cave di Carrara avveniva già in epoca Romana. Nel XVIII secolo l’attività estrattiva aumentò in modo esponenziale, fino ad arrivare all’introduzione, negli anni sessanta del secolo scorso, di camion e scavatrici meccaniche che aumentarono la capacità di trasporto. A chi recentemente chiedeva quanto marmo pensava fosse rimasto nella montagna, il proprietario di una cava ha risposto: “sono sessantatré anni che scavo qui ed è come se avessi tolto un pelo a un maiale”. Per quanto queste montagne siano state sfruttate in maniera ininterrotta da oltre tremila anni ancora adesso la loro capacità di fornire marmo sembra inesauribile. Operando su così vasta scala, le cave hanno però creato sul territorio un’architettura in negativo, le cui tracce indelebili risultano visibili persino dallo spazio.

Il rogo di avorio Il 30 Aprile del 2016, all’interno del Nairobi National Park in Kenya, si è tenuto il più grande rogo d’avorio della storia. Dopo aver accumulato per decenni le zanne di elefante e i corni di rinoceronti confiscati ai bracconieri, il governo keniota ha ritenuto che bruciarli tutti in uno spettacolare evento pubblico potesse costituire un messaggio inequivocabile rivolto a tutto il mondo sul fatto che l’avorio non può avere un mercato. Si pensa che l’Africa ospitasse fino a venti milioni di elefanti prima della colonizzazione europea. Oggi ne rimangono circa 352.000 sul continente. “Nessuno trarrà mai alcun beneficio dalla morte di questi animali. Che brucino queste zanne. Le voglio vedere tutte in cenere. Che questi animali riposino in pace. Nessuno godrà di qualcosa che sia stato fatto con l’avorio di queste zanne: ora sono cenere e ne sono felice”. Questo è ciò che ha affermato la Dr.ssa Winnie Kiiru, consigliere tecnico regionale di Stop Ivory, l’organizzazione che ha registrato ogni zanna prima che fosse bruciata.


pagina precedente Alcune delle fotografie più famose con le relative descrizioni. Uno degli immensi interventi di deforestazione visto dall'alto.

“È il progetto più grande delle nostre vite. Dall’inizio sapevamo quanto fosse ambizioso. Ma era il minimo in proporzione al tema cui vogliamo rendere giustizia. Ha richiesto cinque anni, tra ricerca delle location, il lavoro degli scienziati. La filosofia di questo progetto è che non ci siano troppe informazioni via testo, interviste, grafici, Antropocene deve essere piuttosto una testimonianza dei posti che racconta, per cui le immagini sono fondamentali. Raccontare storie in questo modo è difficile. Una bella responsabilità e una sfida; perché la narrativa passi attraverso le immagini, occorre renderle più potenti possibile. Sin dall’inizio abbiamo cercato posti che avessero un grande impatto visivo, risonanza, e ricchezza visiva, così che il pubblico ne fosse attratto." (De Pencier) Abbiamo interferito con il clima globale trasformandolo, abbiamo acidificato le nostre acque, dato inizio all’estinzione di massa della biodiversità, modificato gli ecosistemi che ci permettono di vivere, inquinato vaste aree di mare e terra. Stiamo iniziando a capire la complessità e l’interdipendenza di questi sistemi solo ora, proprio mentre stiamo irrevocabilmente cambiando. L’abuso e il cambiamento permanente di questi paesaggi e delle loro risorse

non rappresentano solo un pericolo ma un potenziale e fondamentale cambiamento della nostra esistenza. L’attività umana manipola il territorio al punto tale da sconvolgere completamente gli equilibri che fin ora hanno guidato la crescita del nostro pianeta. Siamo arrivati ad un punto di non ritorno e questa mostra ci permette di capire la portata della nostra impronta sul mondo e di come, per la prima volta nella storia della Terra, essa abbia completamente prevaricato la natura stessa. Dobbiamo riflettere sul fatto che abbiamo

completamente modificato e snaturato il pianeta in cui viviamo per delle motivazioni prettamente economiche: questa devastazione deriva dalla volontà di creare un surplus di risorse solo ed esclusivamente perché esse portano profitto. Il progetto portato avanti per l’azienda Cangioli affonda le sue radici nel messaggio di questa mostra. Stiamo vivendo un momento storico in cui deve necessariamente esserci una ridefinizione dell’approccio alla sostenibilità: non si parla più di un messaggio informativo, di divulgazione, ma

dobbiamo ricercare piuttosto un coinvolgimento attivo vero e proprio. Il filo conduttore di questo progetto è l’idea che i paesaggi che abitiamo e quelli che ci sostengono, anche se a volte geograficamente distanti gli uni dagli altri, non sono separati fra loro. È il momento di comprendere le connessioni presenti sul nostro pianeta: distruggendo la Terra stiamo distruggendo anche la nostra specie.

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Alcune immagini contenute nel trendbook Chiron 2021.

Chiron 2021 I libri di tendenza sono uno strumento utile alla previsione ed anticipazione delle tendenze future, con riferimento ad aspetti espressivi specifici quali orientamenti cromatici, textures, materiali, ma anche di interpretazione estetica di certe tematiche. Attraverso questi manuali vengono rielaborati input sociologici, inclinazioni di consumo, orientamenti del gusto collettivo, stili di vita, che contribuiscono, di fatto, all’elaborazione progettuale, agendo sul piano di una contestualizzazione del progetto e non di una sua risoluzione specifica. I trendbook rappresentano quindi una modalità di elaborazione delle tendenze attraverso un insieme di suggestioni ed informazioni che possono fornire un utile complemento all’attività creativa. L’idea di fondo che abbiamo estrapolato dalla consultazione del trendbook Chiron 2021 è la presa di coscienza del definitivo cambiamento del mondo in cui viviamo. La riflessione che è stata fatta riguarda il nuovo pubblico al quale ogni azienda oggi si deve rivolgere: le nuove generazioni hanno conosciuto un mondo completamente diverso da quello in cui hanno vissuto le vecchie generazioni, prima di tutto da un punto di vista ambientale. La natura in cui sono cresciuti si presenta come secca, bruciata, arsa, sintomo dei

cambiamenti climatici che hanno caratterizzato il mondo negli ultimi decenni. Pertanto i colori ai quali i giovani di oggi sono abituati sono proprio questi, motivo per il quale l’intera cartella colori del progetto è stata pensata su questa riflessione. Il nome L’idea di utilizzare il termine ‘biosfera’ nasce dalla riflessione nata dopo aver visitato la mostra Antropocene, analizzata nel paragrafo precedente: infatti, la mostra tratta dell’impatto della cosiddetta tecno sfera sulla vita del pianeta. Ecco che la vita sul pianeta, ossia tutto ciò che la biosfera include, diventa la protagonista del nostro messaggio: tutelare e preservare la vita, con tutte le sue diversità e sfumature. Si è voluto dare al progetto un nome ‘scientifico’ per sottolineare come, oggigiorno, sia necessario veicolare un messaggio serio sulla sostenibilità: nell’attività di promozione di questa tematica non è più sufficiente la sensibilizzazione del pubblico. Esso necessita di essere attivato attraverso il suo coinvolgimento serio. Il messaggio Come già accennato la parola ‘biosfera’ rimanda all’idea di vita e di connessione con il nostro pianeta: è così che Cangioli vuole invitare il singolo indivi-




Alcune immagini contenute nel trendbook Chiron 2021.

duo a riflettere sulla vita, sia la nostra che quella del pianeta. All’interno della mostra Antropocene vengono affrontati e spiegati proprio questi temi. Con la parola ‘tecnosfera’ s’indica un nuovo ‘sistema’ della terra collegato alla biosfera, alla litosfera, all’idrosfera e all’atmosfera, dotato però di caratteristiche e dinamiche proprie. La tecnosfera comprende gli esseri umani con le loro strutture sociali, ma anche tutti gli artefatti tecnologici e i relativi prodotti di scarto. Un aspetto peculiare di questo nuovo sistema planetario è l’enorme massa di componenti fisiche che lo costituiscono. Una recente stima indicativa fissa intorno ai trentamila miliardi di tonnellate l’entità di tale massa. Essa è costituita per circa un terzo dalle aree urbane. La gran parte di questa riconfigurazione planetaria si è avuta nell’Antropocene, a seguito di un amento spettacolare della produzione energetica (alcune fonti stimano che dalla metà del XX secolo gli esseri umani abbiano consumato energia in quantità pari o superiore a tutto il precedente Olocene). Le stime sono estremamente critiche. L’aumento del ritmo delle deforestazioni finalizzate a creare terreno agricolo e il rimodellamento del paesaggio conseguente alle attività estrattive di risorse minerarie o alla costruzione di infrastrutture di trasporto hanno contribu-

ito ad innalzare i tassi di erosione del suolo e dei sedimenti più superficiali. Negli ultimi cinquecento anni si è registrato un forte aumento del numero di specie estinte e si sono verificate trasformazioni di interi ecosistemi, come l’aumento negli ultimi quarant’anni del numero di eventi di sbiancamento dei coralli, conseguenza questa dell’incremento della temperatura della superficie dei mari. L’accelerazione della crescita della massa e della diversificazione della tecno sfera fisica avviene a spese della biosfera. La rimozione e l’estinzione di organismi facenti parte della ‘biosfera naturale’ generano a loro volta segnali complessi che possono essere rinvenuti negli strati contemporanei del nostro pianeta. Quello che Cangioli vuole trasmettere attraverso il progetto Biosphere è ovviamente un messaggio di aiuto, di urgenza e sopratutto di richiesta di rispetto e di amore verso il pianeta che abitiamo e le specie con cui conviviamo. È necessario, per ogni essere umano, arrivare alla consapevolezza che ogni azione del singolo si riflette sul mondo in cui viviamo: siamo connessi l'un l'altro, con l’ambiente, con le diverse specie più di quanto ci possa sembrare ed è fondamentale iniziare ad agire in quest’ottica.


Sintesi progettuale Dopo aver recepito vari stimoli dalla mostra di Antropocene e dal trendbook Chiron 2021, questi sono stati sintetizzati e tradotti in una direzione progettuale ben precisa. Tali ispirazioni sono state rielaborate in un linguaggio organico, che ha definito il punto di partenza e le linee guida dell’intero progetto. Il lavoro svolto si è articolato in vari aspetti: prima di tutto abbiamo definito l’identità progettuale, sia dal punto di vista estetico che operativo. Il rimando alla natura è forte, partendo dal nome Biosphere: tuttavia la volontà progettuale è stata quella di elaborare un linguaggio grafico fresco, giovane e pulito, allo scopo di discostarsi dall’ormai vecchio e scontato modo attuale di comunicare la sostenibilità. Il nuovo pubblico giovane cui è desti-

nato il progetto, infatti, cerca qualcosa di giovane, che invogli ad essere letto e fruito: per tale ragione il carattere del progetto tende sempre a mantenersi facile da leggere e piacevole da vedere. Concept L’idea di fondo che ha guidato l’intero progetto è stata quella di comunicare la sostenibilità attraverso un linguaggio pulito e fresco. La volontà era evitare di riprodurre la solita modalità con la quale viene attualmente veicolato il messaggio green: è stato, infatti, effettuato uno studio sulla comunicazione, in ambito sostenibilità, dei principali competitors del settore, rilevando una ridondanza ed omogeneità di base nello stile del linguaggio, che lo rende senza dubbio vecchio e fuori moda. Mantenendo sempre come obietti-

vo la volontà di discostarsi dalla massa, abbiamo individuato dei parametri di riferimento per lo sviluppo del progetto, fino alla definizione di un moodboard ed una cartella colori che potessero guidarci nella definizione di ogni aspetto del progetto. Tutte le componenti del lavoro sono state ripensate in un’ottica green, con lo scopo di creare una coerenza riconoscibile tra questi elementi, così da legarli tutti attraverso un unico filo conduttore: la sostenibilità ‘in stile Cangioli’. Gli input progettuali sono serviti a creare delle linee guida per la definizione dei singoli aspetti del progetto. Biosphere è un progetto che racchiude diversi aspetti: da quelli prettamente visivi e grafici, passando per quelli relativi al prodotto materiale, fino a quelli più concettuali e legati al messaggio da inviare. La

parte interessante del lavoro è stata quella di dar vita a diversi output progettuali tutti interconnessi tra di loro e chiaramente riconoscibili e riconducibili ad un unico concept. Applicazioni Biosphere è un progetto articolato in diverse componenti: il progetto si è infatti sviluppato andando a toccare più aspetti relativi al lavoro portato aventi da Cangioli, che risultano comunque ben coerenti tra loro, sia concettualmente che visivamente. Per quanto riguarda la parte grafica, abbiamo definito e sviluppato un linguaggio ben definito, che si è declinato in vario materiale informativo aziendale, nella presentazione dei prodotti sostenibili e nella parte grafica relativa allo stand fieristico annuale. Abbiamo poi curato


pagina precedente Cartella colori progettuale. Sustainability dictionary, la brochure creata per comunicare i valori di sostenibilità di Cangioli con un linguaggio visuale ed emozionale.

l’aspetto relativo al prodotto, anch’esso sostenibile, al fine di dare un’identità grafica e riconoscibile alla linea green Biosphere. Infine abbiamo elaborato un messaggio aziendale forte ed accattivante da veicolare attraverso lo stand fieristico, che ha previsto sia un lavoro grafico, che di prodotto, che di allestimento, ma anche di rapporto con il cliente. Vedremo adesso nello specifico i singoli output del progetto Biosphere. La grafica Cangioli ha manifestato l’esigenza di creare una brochure informativa sul tema sostenibilità. Questa necessità nasce dal fatto che durante gli incontri con i clienti alcuni di essi possono chiedere informazioni più dettagliate circa l’impegno ambientale che l’azienda Cangioli afferma di portare avanti. In un mercato ancora così acerbo e confusionario come quello dei tessuti sostenibili, dove le certificazioni sono moltissime e di non facile comprensione, dove i casi di greenwashing sono numerosi e le richieste dei clienti variano continuamente, è fondamentale che un’impresa fornitrice di tessuti come Cangioli sia in grado di fornire risposte chiare e prove concrete del proprio impegno. L'output realizzato è una brochure dal carattere informativo ma che mantiene il linguaggio giovane

e pulito che caratterizza lo stile di Cangioli, capace sempre di rendere accattivante e stimolante tutto ciò che lo rappresenta. La comunicazione in questo caso avviene più per immagini che attraverso testi scritti, il che la rende immediata ed accattivante. La brochure aziendale La brochure da noi creata, Sustainability Dictionary, è un elaborato informale e creativo, destinato ad un pubblico che cerca l’immagine e la suggestione piuttosto che lunghi elenchi di dati. Questa servirà all’azienda per interfacciarsi con designers, giovani, dinamici che, invece che tramite la lettura, desiderano piuttosto capire il messaggio immediatamente attraverso immagini emozionali e grafiche accattivanti. I colori scelti sono quelli contenuti nella cartella colori mostrata in precedenza mentre le immagini, ricercate ed interessanti, rispecchiano l’identità dello stile Cangioli. Da notare che, volutamente, questo elaborato non è graficamente coerente con tutti gli altri del progetto Biosphere: infatti, questa brochure non è pensata per essere cambiata di anno in anno, ma per essere un elemento continuativo da aggiornare solo in termini di contenuti in caso di eventuali sviluppi.

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pagina precedente Sustainability dictionary. Collection identity creata per i nuovi tessuti ecosostenibili del Lanificio Cangioli.

I prodotti Il progetto Biosphere si è poi concretizzato nella realizzazione di una nuova linea di tessuti, manifestazione materiale di tutto il lavoro di ricerca, elaborazione e comunicazione. Era da tempo, infatti, un desiderio del Lanificio Cangioli quello di realizzare una nuova linea ecosostenibile che dimostrasse il loro impegno in tal senso e ripagasse tutti gli sforzi investiti per intraprendere questo percorso tanto virtuoso quanto arduo. Durante l’elaborazione di questo progetto abbiamo avuto l’opportunità di seguire da vicino lo sviluppo di questi nuovi prodotti, e di capirne la complessità sia in termini di progettazione che di realizzazione. Si tratta di circa quaranta tessuti con composizione e armatura varie, caratterizzati dalla presenza di fibre dalle proprietà ecosostenibili, le quali permettono ai nuovi prodotti di possedere alcune tra le principali certificazioni presenti nel settore tessile in materia di sostenibilità. Tutti i tessuti sono stati poi raccolti in un catalogo che riporta, per ognuno di essi, il nome o codice dell’articolo, le specifiche tecniche, le caratteristiche estetiche e le composizioni. Di seguito verranno analizzati più nel dettaglio i materiali che sono stati utilizzati in percentuale maggiore per realizzare la nuova linea Biosphere.

• La viscosa ECOVERO. La viscosa è un filato in cellulosa che imita la morbidezza delle pregiate fibre usate storicampente presentando una lucentezza serica, per cui veniva un tempo anche chiamata “seta artificiale”. Le fibre di viscosa ECOVERO provengono da fonti di legno rinnovabile certificate e utilizzano un processo di produzione eco-responsabile per soddisfare elevati standard ambientali, contribuiscono a un ambiente più pulito e responsabile. Il legno utilizzato per produrle è soste-

nibile e certificato FCS e PEFC, e proviene da impianti di produzione certificati a ciclo chiuso, con trasparenza nella catena di fornitura. Queste fibre sono inoltre certificate con il marchio ECOLABEL di qualità ecologica dell’UE, garantendo la soddisfazione di elevati standard ambientali per tutto il loro ciclo di vita: dall’estrazione delle materie prime alla loro produzione, distribuzione e smaltimento. In totale, questo materiale permette di ridurre fino al 50% le emissioni di gas serra e

la sua produzione determina un impatto idrico molto inferiore rispetto ad una viscosa generica. • Il poliestere GRS. I poliesteri sono una classe di polimeri ottenuti per polimerizzazione a stadi via condensazione che contengono il gruppo funzionale degli esteri lungo la catena carboniosa principale. Si tratta di un tessuto sintetico estremamente utilizzato in molti settori

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poiché possiede molte caratteristiche utili quali elasticità, buona resistenza meccanica, idrorepellenza, anti-macchia e anti-umido. Il poliestere certificato GRS attesta che il materiale in questione è riciclato, e che quindi, nonostante le sue origini sintetiche, può essere considerato una delle fibre tessili più sostenibili in assoluto per le sue potenziali caratteristiche del tipo ‘cradle-to-cradle’; questo significa che, se sono state riciclate alcune bottiglie in PET per realizzare alcuni capi di abbigliamento, questi ultimi possono, a loro volta, essere di nuovo riciclati per realizzare altre bottiglie di plastica e così via, favorendo così un incentivo all’economia circolare. • Il cotone GOTS. Il cotone, come già detto in precedenza, è una fibra molto utilizzata nell’industria tessile ma che presenta vari limiti, soprattutto in termini ambientali durante la fase di coltivazione. Il Global Organic Textile Standard (GOTS), riferendosi ad una norma internazionale usata per la certificazione delle fibre naturali e che comprende criteri di natura ecologica e sociale, consiste in un sistema di certificazione indipendente dell´intera filiera di produzione tessile, e attesta che il materiale è stato prodotto senza metalli pesanti tossici, formaldeide,


pagina precedente Collection identity. Catalogo tessuti Biosphere, contenente la collezione ecosostenibile e le specifiche tecniche e di lavaggio di ciascun prodotto.

solventi aromatici, nano particelle funzionali, OMG e altri enzimi, senza utilizzare sbiancanti a base di cloro, senza coloranti azoici. Inoltre, la certificazione garantisce alcuni standard che riguardano anche la fase post-coltivazione, relativi quindi alla lavorazione del cotone per realizzare il tessuto stesso: i materiali naturali devono essere separati dai prodotti di fibre convenzionali durante tutto il processo produttivo, tutti gli operatori devono rispettare una politica di protezione ambientale con precisi obiettivi e procedure volte a ridurre al minimo i consumi e gli scarichi, le acque reflue di tutte le unità di lavorazione a umido devono essere trattate attraverso un impianto funzionale per il trattamento delle acque, e molti altri.

• Il lino GOTS. Il lino è un tessuto di origini antichissime, composto per il 70% da cellulosa. È un materiale estrema-mente virtuoso: è resistente, assorbe l’umidità, ha proprietà isolanti e termoregolatrici, il che lo rendono una fibra estremamente versatile, utilizzabile in tutte le stagioni. Come il cotone, anche il lino, nella sua coltivazione, possiede diverse pecche date soprattutto dall’utilizzo di pesticidi e sbiancanti. Anche in questo caso, però, la certificazione GOTS garantisce standard qualitativi altissimi, sicurezza in termini di lavorazione e giustizia sociale. • Il Tencel. Fibra di origine botanica, il

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Tencel viene estratto dalla cellulosa proveniente dalle foreste di eucalipto del Sud Africa, la cui coltivazione viene gestita in maniera sostenibile. Inoltre le sue fibre vengono create attraverso un processo industriale particolarmente rispettoso dell’ambiente, che prevede il completo riutilizzo dei solventi impiegati. Il Tencel è anche in grado di assorbire in modo del tutto naturale l’umidità in eccesso e di trasportarla all’esterno del capo, garantendo comfort e freschezza e riducendo la proliferazione di batteri senza l’aggiunta di additivi chimici. Lo stand 2020 Le fiere del settore, specialmente quelle internazionali, sono momenti importanti per le imprese: durante questi eventi le aziende hanno la possibilità di mostrare la propria realtà, il proprio lavoro ed i propri prodotti ad un pubblico molto ampio. Tali iniziative sono fondamentali per costruire un’identità dell’azienda ben chiara e comunicarla in modo efficace ai clienti,

curando il rapporto con quelli attuali e cercando di sorprendere e stupire quelli potenziali. Cangioli accetta la sfida, proponendo ogni anno tematiche nuove e ripensandosi continuamente, pur sempre mantenendo l’imprescindibile qualità dei propri prodotti. Da alcuni anni a questa parte Cangioli ha deciso di approcciare tali eventi in una maniera ben precisa, con determinati obiettivi strategici. La riflessione è stata la seguente: fiere come Première Vision e Milano Unica, sono iniziative che raccolgono un numero elevato di partecipazioni da parte delle imprese, alle quali viene offerto uno spazio all’interno della mostra che risulta omologato per tutti. Il risultato è che il cliente potenziale che partecipa alla fiera si ritrova davanti a una moltitudine elevatissima di stand tutti uguali, ognuno con la sua collezione. L’obiettivo deve essere quello di spiccare tra la massa, facendosi ricordare. Cangioli sa bene che per emergere in una tale folla c’è bisogno di distinguersi: per questo ogni anno l’azienda dedica grossi investimenti e moltissime energie alla creazione

dell’allestimento fieristico. Per ogni edizione Cangioli formula un nuovo tema, che solitamente si concretizza in un’idea visiva d’impatto, molto forte e riconoscibile, che possa attrarre l’interesse dei clienti e confermare le aspettative che vengono riposte nell’impresa, la quale è conosciuta per la sua capacità comunicativa sempre divertente, inaspettata e giovanile. L’intero progetto fieristico viene curato nei minimi dettagli, senza trascurare nulla e facendo in modo di avere una grande coerenza tra l’allestimento, l’invito alla fiera (che viene inviato ai clienti principali dell’azienda prima dell’inizio della fiera), al gadget che viene rilasciato a coloro che entrano nello stand Cangioli. Quest’anno il tema non poteva che partire dal messaggio di sostenibilità. Cangioli ha fatto un grosso lavoro su questa tematica ed ha voluto formulare un linguaggio che potesse esprimere la sua idea di sostenibilità, il suo impegno nel sostenerla, e la volontà di coinvolgere il prossimo in questa importante sfida.

Il tema L’idea per l'allestimento dello stand di Première Vision 2020 è nata dopo aver visto casualmente un video chiamato The World Piece. Si tratta di un grande progetto finalizzato alla creazione di una campagna portatrice di un importante messaggio: il mondo non potrà andare in pezzi se noi avremo il coraggio di stare uniti. Tutto parte dalla famosa agenzia di viaggi Momondo che nel suo annuale report global sul viaggio ha riscontrato dati preoccupanti: il 49% delle persone intervistate ritiene che il mondo stia diventando più intollerante e che le persone accettino meno le altre culture rispetto a cinque anni fa. C’è una vera e propria percezione del mondo come un luogo diviso e frammentato. Come se ci fosse un ‘noi’ ed un ‘loro’, riducendo il nostro senso di appartenenza a realtà sempre più piccole. Tuttavia, la grande maggioranza della popolazione mondiale crede che esistano molti più elementi che uniscono le persone di quanti le dividano e che ognuno possa contribuire, nel suo piccolo, a rendere il mondo più


pagina precedente The World Piece, il tatuaggio continuo sulle schiene dei partecipanti. Fotografia dell’emozionante campagna diretta da Joshua Neale, ispirazione per la realizzazione dello stand aziendale.

unito. La volontà era creare un messaggio forte per far si che questa tendenza s’inverta. È stata quindi lanciata una sfida: offrire il proprio corpo come una tela per creare un enorme ‘tatuaggio globale’ che connettesse tutte le persone. Dopo avere ricevuto più di 6.000 candidati per la partecipazione a questo grandioso progetto, sono stati selezionati sessantuno partecipanti, in base alle loro storie, alle motivazioni che li spingevano a voler partecipare a questo progetto ed in modo di raccogliere persone da più parti del mondo possibile. Ciascuno dei partecipanti ha ricevuto un tatuaggio unico, disegnato dal tatuatore di fama mondiale Mo Ganji, e tutti si sono poi riuniti per condividere le proprie esperienze di vita, ritrovandosi fianco a fianco per creare The World Piece: un’opera d’arte unica mai realizzata prima. I tatuaggi sono stati fatti nei loro paesi d’origine e con dettagli specifici per abbinare sia l’altezza che la dimensione dell’ago, i tatuaggi si collegano perfettamente attraverso la schiena, creando un legame ininterrotto e permanente tra tutti. Il famoso tatuatore Mo Ganji incorpora la sua filosofia di vita ‘less is more’ nei suoi tatuaggi, dando a una singola linea nera ininterrotta il potere di evocare figure della natura e dell’uomo. Il messaggio che queste persone in The World Piece hanno inviato al mondo è



Stand fieristico realizzato per Milano Unica e Première Vision 2019.

importante: se osiamo connetterci, il mondo non può crollare. È così semplice e potente. Questa iniziativa dimostra fino a che punto le persone sono disposte a spingersi per creare legami a livello umano. Il progetto consiste in un tatuaggio creato con un’unica linea continua che collega diverse persone di tutto il mondo, rendendo concreta la visione di un mondo che può cambiare solo se si ha il coraggio di creare legami. Cangioli ha deciso di prendere ispirazione da questa campagna perché pensa che oggigiorno il messaggio della solidarietà non possa più passare attraverso una semplice sensibilizzazione sull’argomento, ma che ognuno di noi debba veramente prendere profondamente coscienza del cambio di rotta che deve effettuare. C’è bisogno di un sentire comune che reindirizzi le singole azioni degli individui: è necessario sentirsi uniti, come persone, come popolo e come mondo, che deve agire in modo interconnesso per poter continuare a vivere nel giusto rispetto del pianeta e delle nostre stesse vite. L'allestimento L’allestimento dello stand annuale di Première Vision impone alcuni vincoli: l’azienda ha a disposizione uno spazio di tot. metri quadrati organizzati in piccole salette, all’interno delle quali si trovano le collezioni di tessuti e si svol-

gono gli incontri con i clienti. Il lavoro di allestimento si concentra, infatti, sulla scelta dei colori volti a creare il mood voluto all’interno dello stand, e sulla realizzazione di grafiche da applicare ai pannelli presenti all’interno dell’ambiente. Inoltre ci sono ulteriori elementi come il bancone all’ingresso, dove vengono accolti i clienti, e gli arredi come sgabelli, divanetti, ecc. I colori selezionati sono tonalità pastello, nello specifico tre tonalità di rosa, beige e verde. Tutto l’allestimento ha rispettato la cartella colori selezionata per il

progetto, che è stata declinata all’interno dei diversi elementi che compongono lo stand. Abbiamo realizzato numerose grafiche per personalizzare i pannelli: le grafiche consistono in disegni a linea continua ispirati al tema scelto descritto precedentemente. Questi disegni sono stati ispirati dalle tematiche più urgenti della nostra società quando si parla di sostenibilità: animali in via di estinzione, il dramma delle foreste amazzoniche distrutte dagli incendi, la preservazione di comunità che vivono in questi luoghi, la

necessità di difendere le diversità tra uomini senza che queste creino barriere, i disastri ambientali che abbiamo creato sul territorio del nostro pianeta. Le brochure Per lo stand abbiamo realizzato due brochure da distribuire in loco. La prima rappresenta qualcosa che Cangioli ogni anno realizza: si tratta di un A4 apribile che spiega brevemente e in maniera prevalentemente visuale i va-

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lori principali dell’azienda e i risultati concreti in termini di sostenibilità ambientale e sociale che essa ha raggiunto. Tramite questo materiale, anche in mezzo al caos della fiera, i visitatori possono velocemente arrivare al significato di ciascun punto trattato, che è stato rappresentato con un'illustrazione riprendente il tema della 'linea continua', coerente con l'ambiente fieristico circostante. La seconda brochure, piegata in quattro, descrive prettamente i temi scelti per le grafiche dello stand, permettendo al visitatore di comprendere meglio il messaggio forte che si vuole comunicare. Anche questi elaborati rispettano la veste grafica minimal, pulita e sofisticata scelta per l’intero progetto, insieme ai colori pastello che caratterizzano lo stand.

Il gadget In ogni edizione fieristica Cangioli elabora un gadget da lasciare ai visitatori del proprio stand. Quest’anno l’azienda ha deciso di donare ai visitatori un gadget utile e al passo con i tempi: un contenitore portapranzo in materiale ecosostenibile. La plastica è infatti uno dei temi più scottanti quando si parla d’inquinamento ed ecosostenibilità. L’idea dell’azienda è stata quindi quella di incoraggiare a dismettere le soluzioni usa e getta ma di optare per l’oggetto riutilizzabile in tutti gli ambiti della vita, compreso il pranzo che si consuma fuori casa. Il contenitore portapranzo è realizzato in fibra di bamboo. La fibra di bamboo rappresenta un materiale molto sostenibile dal punto di vista ambientale: la sua coltivazione ha un impatto vera-


pagina precedente Brochure pieghevole realizzata per comunicare la sostenibilità aziendale. Brochure pieghevole realizzata per spiegare le tematiche scelte per il tema dello stand fieristico. Gadget distribuito ai visitatori: un porta pranzo in fibra di bambo.

mente molto basso sull’ambiente poiché la pianta raggiunge la maturità in circa quattro anni e può vivere anche un centinaio di anni. Gli arbusti sono in grado di crescere in pochi centimetri di terra ed in condizioni atmosferiche estreme, avendo un limitatissimo bisogno d’irrigazione. Le proprietà antibatteriche delle piante permettono di non utilizzare fertilizzanti e pesticidi ma anzi, le coltivazioni di bamboo migliorano la qualità del terreno in cui sono poste. Inoltre queste piante consumano quattro volte più CO2 degli albe-

ri e producono il 35% di ossigeno in più. Abbiamo infine riportato tutte queste informazioni in un cartellino esplicativo da abbinare a ciascun gadget.

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pagina precedente Cartellino esplicativo annesso a ciascun gadget.

Conclusioni

Questo lavoro di tesi si è rivelato stimolante sotto molteplici aspetti: si è trattato di un percorso estremamente proficuo dal punto di vista didattico, durante il quale abbiamo appreso molto sia per quanto riguarda gli aspetti teorici sia per quelli più pratici. Effettuare una ricerca approfondita sul tema della sostenibilità ci ha permesso di prendere consapevolezza di tutti gli aspetti che si celano dietro a tale questione. Nonostante questo argomento venga spesso affrontato con superficialità, esistono alcuni fattori spesso trascurati, che di fatto rendono difficoltoso, per le imprese, mettere in pratica un impegno serio a riguardo: crediamo che prendere coscienza dei limiti esistenti sia fondamentale per comprendere le scelte che molte aziende e brand sono portati a compiere. È stato altrettanto interessante capire come la questione green si declini all’interno del comparto tessile e quali siano le difficoltà che Cangioli, come tante altre aziende, incontra lungo il cammino verso un impegno etico ed ambientale. Da punto di vista pratico e tecnico abbiamo potuto osservare i vari processi che si svolgono all’interno di un’impresa tessile, potendo apprendere nozioni riguardo alla creazione dei prodotti e delle questioni ad essi connesse come la gestione ed utilizzo delle sostanze chimiche e del consumo energetico ed idrico. Inoltre le attività svolte a stretto contatto con l’ufficio stile ed il team di Cangioli ci hanno aperto gli occhi su come la creatività possa fluire attraverso il lavoro di squadra e di come, lavorando insieme, si possa creare qualcosa di molto più organico e completo. L’attività preponderante è stata senza dubbio il lavoro sull’identità progettuale e sulla grafica. Questa attività si è estesa a vari ambiti: abbiamo creato le grafiche, il layout, l’impaginazione ed i contenuti di una brochure aziendale sul tema sostenibilità; questo ha richiesto un lungo lavoro di scelta delle immagini, abbinamento di colori e articolazione dei contenuti. Abbiamo poi avuto la possibilità di seguire lo sviluppo della nuova linea di tessuti sostenibili “Biosphere”, la quale ha poi dato il nome al nostro intero progetto. È stato altrettanto stimolante poter curare la veste grafica della suddetta collezione, elaborando per i singoli tipi di tessuti una testatina, completa di logo e gruccia, da poter utilizzare in sede di fiera al fine di permettere di distinguere visivamente la linea sostenibile da quella classica proposta da Cangioli. Un’altra fase del lavoro è stata l’elaborazione del progetto per lo stand aziendale che l’impresa propone durante le fiere di Premiere Vision e Milano Unica 2020. La definizione dei singoli aspetti legati al progetto dello stand fieristico ha rappresentato un iter complesso: abbiamo elaborato numerose grafiche da applicare come stampe per i pannelli presenti nello stand, raccontando, in ognuno di essi, tematiche relative alla sostenibilità; abbiamo trasferito il messaggio all’interno di varie brochure, delle quali abbiamo curato l’impostazione e la grafica. Infine ci siamo occupati anche del rapporto con il cliente, elaborando l’invito alla partecipazione ed il gadget da distribuire in fiera, curando ognuno di questi aspetti nei minimi dettagli. Il risultato è stato un lavoro coinvolgente e stimolante che si è concluso con soddisfazione sia da parte nostra che dell’azienda: il progetto di comunicazione organica ha accontentato le richieste e le aspettative.

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Postfazione

Riflettendo sul contemporaneo, su quanto possa essere tangibile o intangibile, una considerazione si rende necessaria relativamente al sostenibile o all’insostenibile, in un comparto produttivo, fatto sì di colori e sensazioni tattili, ma che racchiude in sé un retroscena di tutt’altra estetica. L’indagine compiuta in questo documento ne racchiude una testimonianza densa di prospettici valori. Quanto traspare tra queste righe è la minuziosa descrizione di un mondo sofferente che ha subito un torto pressoché irreparabile da parte dell’uomo. La tesi racchiude in sé soluzioni narrative che sottendono ad un futuro necessario. Renato Stasi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

La moda è considerata uno tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico. Oggi molti brand scelgono di rendere i loro processi produttivi sostenibili in quanto l’industria tessile costituisce un settore altamente inquinante. In questa prospettiva, le grandi aziende della moda investono in buone pratiche etiche e sociali per un futuro sostenibile, e le tematiche della sostenibilità diventano parte integrante delle strategie aziendali a cominciare da alcuni brand del lusso fino alle catene del fast fashion. Questa tesi riguarda più specificatamente la concezione di una strategia di comunicazione e di promozione della sostenibilità perseguita dall’azienda Cangioli. Il risultato raggiunto è costituito da una complessa proposta di un nuovo modo di comunicare la sostenibilità nel mondo del settore tessile. Francesca Filippi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Bibliografia

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Indice

Presentazione Elisabetta Benelli

5

Introduzione

7

La moda green

13

Il settore tessile

19

Il Lanificio Cangioli 1859

23

Biosphere

35

Conclusione

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Postfazione Renato Stasi Francesca Filippi

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Bibliografia

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Sitografia e altre fonti

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze 2021



La tesi in oggetto si presenta come la naturale prosecuzione del lavoro portato avanti durante il tirocinio svolto all’interno del Lanificio Cangioli 1859. L’obiettivo generale è stato sviluppare un piano di comunicazione organico che, attraverso un approccio olistico, potesse ripensare le attività aziendali in un’ottica green, legandole tra di loro come parte di un progetto più ampio: la sostenibilità per Cangioli. Abbiamo approfondito il macro-tema della sostenibilità applicata al settore moda, partendo dalle cause sociali che hanno sollevato questo problema e dai danni prodotti dal comparto fashion sull’ambiente; in seguito è stata svolta una ricerca sulla moda green ed i suoi sviluppi, sino ad arrivare al tessile, campo d’applicazione del nostro progetto. Successivamente il focus si è spostato sul Lanificio Cangioli: uno studio approfondito dell’impresa, del contesto in cui opera, della sua evoluzione e del suo impegno sostenibile ci hanno permesso di inquadrare al meglio i contenuti del progetto. Il lavoro si è rivelato assai articolato ed il materiale prodotto è stato di vario genere: infatti, la sfida più grande è stata quella di dare un’organicità ed una coerenza a tutti gli out-put. L’iter utilizzato in questo percorso ci ha permesso di creare un progetto strategico di comunicazione aziendale capace di definire un’identità visiva ben precisa. Tale identità, in linea con quella aziendale, si è declinata in tutti i vari aspetti che costituiscono il lavoro portato avanti dall’azienda Lanificio Cangioli 1859, realizzandosi in un progetto a tutto tondo. Elena Mancini (Pontedera, 1994) ed Elisabetta Zaccariello (Firenze, 1995) provengono entrambe da un’educazione scientifica. Dopo aver conseguito, nel 2017, il titolo di laurea triennale in Disegno Industriale presso la Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, decidono di proseguire gli studi con il corso magistrale in Fashion System Design, conseguendo la laurea con la tesi presentata in questa pubblicazione.

ISBN 978-88-3338-130-5


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