andrea califano
Sic itur ad castrum veterum Rigenerazione del muro a valle di Castelvetere in Val Fortore
tesi | architettura design territorio
Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Il lavoro di tesi esprime una particolare sensibilità d'approccio nell'affrontare la scala d'intervento in un contesto (quello dei nostri antichi borghi) delicatissimo e particolarmente attuale. La tesi propone uno scenario in cui l'architettura implementa ed asseconda un'auspicabile rinascita economica − legata alle eccellenze agroalimanti − del nostro meridione.” Commissione: Proff. S. Caccia Gherardini, F. V. Collotti, M. Coppola, A. Capestro, A. Volpe, G. Anzani, M. Fagone, F. Privitera
Ringraziamenti Si desidera ringraziare il Professor Francesco Valerio Collotti, relatore di questo lavoro, e l’Università degli Studi di Firenze che ne ha permesso l’edizione. Un ulteriore ringraziamento va al Comune di Castelvetere in Val Fortore, all’archivio di stato di Benevento ed al Nuovo Catasto Edilizio Urbano per la disponibilità e il prezioso aiuto fornito.
in copertina I Viandanti, Nunzio Bibbò
progetto grafico
didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2019 ISBN 978-88-3338-075-9
Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset
andrea califano
Sic itur ad castrum veterum Rigenerazione del muro a valle di Castelvetere in Val Fortore
Pendola antica e terrazze nuove Guardare le cose da un differente punto di vista consente di giungere a inaspettate soluzioni. È noto il problema di logica posto da Einstein circa la possibilità di descrivere quattro triangoli isosceli avendo a disposizione solo sei bastoncini uguali. La soluzione è possibile solo pensando a un’altra dimensione. Questo è stato il coraggioso esercizio di Andrea Califano per Val Fortore. Ritrovando, e a tratti, riscoprendo proprio di nuovo la terra dalla quale potrebbero venire i suoi nonni è riuscito a vedere possibilità e occasioni di riforma laddove per decenni le cose erano rimaste inesorabilmente uguali. Il racconto inizia lento, al confine tra Campania, Puglia e Molise, tra le valli del Tammaro e del Fortore, tra storie di transumanza e tratturi che vanno al piano e si fanno fiumi silenziosi che tagliano i pendii. Non sono rimasti impigliati nei versi di D’Annunzio. Esistono ancora e si ripetono di stagione in stagione, un tempo più lento, antico. Luoghi poco ammaestrati dice Andrea Califano, forse anche poco addomesticati, e va bene così. La storiografia romana non ama parlare di quei popoli che resistettero, e qui i Sanniti potrebbero raccontare la loro vicenda partigiana che li accomuna a quanti lasciarono le belle città per non concedersi agli occupanti. Queste le origini e i luoghi. I piccoli borghi furono vedette guardinghe verso il piano. E Castelvetere in Val Fortore porta nel nome il suo incastellamento antico. Sarà forse perché proprio così guardingo il Val Fortore risuona al maschile? Le stesse donne contadine del resto nelle vecchie fotografie e nei ritratti a sanguigna sono a capo coperto e braccia conserte, dicendo di una qualche mediterranea diffidenza o rassegnazione. Il paese in bianco e nero lungo la strada di colmo si distende in sequenza di case che non si sanno più fare. Un cubo perfetto apre la fila, le grandi finestre bordate di pietra chiara, il tetto a piramide un po’ schiacciato, un balcone lungo con le portefinestre sorretto da arconi che sono contrafforti del basamento del palazzo. La quinta di case che fa la strada segue a gradoni distesi la topografia del luogo. Anche qui si guarda per imparare, ma non tutti sono disponibili a mettersi in ascolto. Un palazzo antico più monumentale degli altri tiene l’acropoli che culmina con un torracchione merlato. Fuori luogo di bianco vestita — eppure massiccia e ben seduta su una piega della strada — quella scuola con tante finestre che per i più fortunati fu forse l’unica occasione. Due maestri e una bidella. Proprio dall’erosione di questo edificio parte il progetto che cerca di imparare dall’esistente e di portarlo avanti, insistendo sulla bellezza di case iterate che scendono verso valle, ripensando una capricciosa strada in curva tracciata da ingegneri poco interessati a come per secoli la gente qui abbia imparato ad abitare e a prendere la terra. I disegni quasi monocromatici e un po’ polverosi, fatti di prospetti attenti a non essere alieni ma radicati, fatti di terrazze e di filari come solo i contadini san fare, arrivano all’azzurro del cielo. É da qui una speranza riparte. Oggi per tutti gli allora di questa valle, terra che torna alla memoria dopo essere stata dimenticata?
Francesco Valerio Collotti Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
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Idee di un vecchio futuro
pagine precedenti Fotoelaborazione modello, 2016 La contadina, Nunzio Bibbò, 1987
“Guardare l’orologio della vecchia casa di mia nonna, o la credenza che un secolo fa era usata per stipare il grano e oggi conserva i miei cd, mi ha portato a scavare nel passato, a ricercare le mie radici, a mettermi nei panni della credenza per sentire il sapore del grano, o a cercare di immaginare che rumore avesse il ticchettio dell’orologio a casa della nonna”.
Castelvetere in Val Fortore è uno di
giallo una bidella, due professori e tre
Castelvetere non è il luogo della mia
quei paesi di cui i più ignorano l’esi-
classi racchiudono un ciclo di studi che
infanzia, non ci sono nato, non ci so-
stenza, al confine tra Campania, Puglia
va dall’asilo alla quinta elementare.
no cresciuto e non è nemmeno il luo-
e Molise, quasi una terra franca di cui
Niente è stupefacente, è un paese co-
go di nascita dei miei genitori; è uno di
nessuno particolarmente si cura.
me tanti altri; un centro storico abban-
quei luoghi sospesi nel tempo, dal qua-
I lavori per la ‘Fortorina’, così chiamano
donato, fatto di pietra, qualche nuova
le potrebbe venire mio o tuo nonno; un
la superstrada che dovrebbe connet-
casa e qualche bottega; eppure quel
paese dove l’essenzialità è l’unica ric-
tere Benevento con la Valle del Forto-
ritmo lento ti assorbe come solo questi
chezza.
re, tardano; così per raggiungerlo devi
posti sono in grado di fare.
avventurarti lungo tortuose strade di
Credo che in questa pietra di una vol-
Questo lavoro è stato un’occasione per
campagna, perderti cercando le segna-
ta e non in quella che oggigiorno incol-
interrogarmi su situazioni che non ho
letiche rovinate dal sole e dal vento che
lano sui muri, risieda la nostra cultura,
vissuto, momenti che ho conosciuto
regnano incontrastati in questi luoghi.
il nostro legame con la terra e il nostro
sui libri di storia o grazie ai racconti di
Così il disagio trasforma il ‘tragitto’ in
futuro.
chi c’era; l’intento è un’ analisi dell’‘e-
un ‘viaggio’ attraverso le Valli del Tam-
La ricerca di un tempo da restituire a
voluzione’ che il nostro paese ha fat-
maro e del Fortore. La diga di Campo-
noi e alle nostre città deve essere una
to negli ultimi anni e dei possibili futuri
lattaro, Colle Sannita, Circello, le pic-
prerogativa della nostra vita, e per far-
da inseguire.
cole masserie, i campi di ulivi, vigne-
lo abbiamo bisogno di stare “in questi
ti e granoturco, mostrano un territorio
paesi che non credono alla pagliacciata
dal ‘sapore’ antico; sensazioni che dif-
del progresso, paesi di cani randagi, di
ficilmente si avvertono percorrendo le
vecchi seduti sulle scale, di case di pie-
strade delle nostre città. È qui che inizi a chiederti cosa ci spin-
tra incollate in lunghe file che si attorcigliano” (F. Arminio, 2016), di viverli, di
ge a perdere senza riflettere il nostro
prendercene cura.
tempo in città, fermi al semaforo, in coda, o su e giù per una lunga strada
Uno dei caratteri distintivi dell’Italia è
dritta dove non si sente il rumore vuo-
l’identità dei singoli luoghi che la com-
to della natura.
pongono, il colore delle pietre, dei mattoni, i vicoli, gli archi, l’ombra delle ca-
Giungi a destinazione in un paese fatto
se, i loggiati delle chiese, i campanili
di vecchi, dove in un abnorme edificio
che rendono ogni luogo casa e paese.
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La transumanza e i tratturi
pagina precedente Profili di transumanza, Expo Molise, 2015
Settembre. Andiamo è tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare, vanno verso l’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri ché sapor d’acqua natia rimanga nei cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. […] Ora lungh’esso il litoral cammina la greggia. Senza mutamento è l’aria. (I Pastori, Gabriele D’Annunzio)
Storie di pastori nomadi Nella notte dei tempi l’uomo seguiva il suo istinto, i bisogni legati alla sopravvivenza, fondeva le sue abitudini con le stagioni, la natura e gli animali; è in quel tempo che ha origine la transumanza. Dal francese transhumer deriva il termine transumare, attraversare il suolo, definito come la pratica che ha accomunato, per millenni, genti d’Europa che con l’alternarsi delle stagioni si spostavano con i greggi per garantir loro pascoli e temperature ottimali. Quest’usanza, protrattasi nel tempo, ha creato un tessuto fisico composto di villaggi, stazioni di sosta, altari ed elementi votivi; ma soprattutto, un tessuto immateriale, fatto di usanze, fusioni di culture, sistemi economici e conoscenze alla base della civiltà moderna; molto prima dell’avvento dei romani e del mondo a noi ben conosciuto. Assecondando quindi la migrazione spontanea degli animali che seguivano i pascoli più verdi, la transumanza divenne un sistema via via più complesso che in questa parte del sud Italia venne organizzato dai Sanniti. Pastori–guerrieri, bellicosi ed esperti in armi, sicuramente fin dal V secolo a.C. controllavano con le loro cicliche discese le pacifiche città dell’Apulia, occupandone le fertili pianure.
Odiati e temuti dai Romani, sconfitti alle Forche Caudine nel 321 a.C., i Sanniti, migranti e tribali, si riunivano periodicamente in luoghi di culto monumentali. Furono proprio i Sanniti a stabilire e consolidare un primo sistema organico che prevedeva centri abitati, fortificazioni e luoghi sacri, tutti uniti dai percorsi che permettevano queste migrazioni stagionali: i tratturi. Il nome tratturo comparve per la prima volta durante gli ultimi secoli dell’impero romano come assimilazione fonetica del termine latino tractoria, vocabolo che nei Codici di Teodosio (401460) e di Giustiniano (482-565), designava il privilegio del libero utilizzo del suolo di proprietà dello Stato, esteso successivamente anche ai pastori della transumanza. I percorsi che collegavano i monti dell’Irpinia, del Sannio, dell’Abruzzo, del Molise e raggiungevano le terre di Puglia, erano organizzati in un sistema di strade principali e secondarie composto da tratturi, tratturelli e bracci; dalle dimensioni comprese tra i 10 e i 111 m e con uno sviluppo totale di circa 3.500 km. La vittoria dei Romani sui Sanniti (82 a.C.) distrusse i villaggi, ma non mutò l’economia e la vocazione pastorale dei luoghi, che venne portata avanti e im-
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Mappa della Capitanta, Willem Bleau, 1630 pagina successiva Ricordi di transumanza
plementata dagli stessi Romani. Questi istituirono un vero e proprio sistema di regolamentazione per i calles publicae o tractoria; numerose sono le attestazioni scritte che descrivono la transumanza: Io ciò so bene, perché le mie greggi passavano l'inverno nelle Puglie e l’estate sui monti di Rieti, giacché tra questi due luoghi vi sono pubblici sentieri (calles publicae) che congiungono le distanti pasture, come l’arconcello riunisce le due cesta da soma. (Varrone M. T.) Questa tradizione era così radicata nel territorio che resistette non solo ai Romani ma anche alle invasioni dei barbari, al dominio bizantino e alle scorrerie saracene che si susseguirono in questi territori. Successivamente, sotto il governo degli Aragonesi, il sistema raggiunse la sua massima espansione: venne riorganizzata e ampliata la relativa legislazione rurale e venne istituita l’Amministrazione della Dogana della Mena delle Pecore di Puglia. Nel periodo compreso tra il 1447 e il 1604, nella sede della Dogana di Foggia, nodo terminale dei più importanti tratturi, vennero controllate e registrate quasi 6.000.000 di pecore l’anno.
Tutto questo assunse un’importanza tale per il Meridione, da trasformare questa ‘azienda’ nella maggiore forma di introito del regno di Napoli, che riceveva da questa attività solo di fisco 400 mila ducali veneziani all’anno. A partire da questo momento il fenomeno della transumanza subirà una forte diminuzione, dovuta ad un susseguirsi di fattori che influenzeranno e determineranno l'abbandono della pratica. Epidemie, usurpazione dei terreni da parte dei feudatari, espansione dei centri urbani, avvento dei trasporti su rotaia e mancanza di tutela a livello legislativo, porteranno così alla cancellazione e alla perdita dei tratturi in molte delle zone originarie.
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Montesecco
Castel di Sangro
Castelvetere
Lucera
Foggia
Candela
I tratturi oggi: alla ricerca di una cultura
pagina precedente Carta della rete tratturale nel meridione, 2016
Concedetevi una vacanza intorno a un filo d’erba, concedetevi al silenzio e alla luce, alla muta lussuria di una rosa. A dispetto degli scellerati decenni passati, dove l’Italia sembrava aver voltato le spalle alle corriere dell’arcaico, al Dio dei tratturi e dell’uvaspina, la campagna c’è ancora. (La casa del guardare, Franco Arminio)
Cosa ha lasciato una tradizione protrattasi per millenni sulla civiltà di oggi? Le genti di questi luoghi, che per secoli hanno improntato i rapporti e le abitudini sul viaggio di chi parte e l'attesa di chi resta, sulla terra e sulle greggi, non hanno vissuto semplicemente un transito di pastori, ma un vero e proprio fenomeno culturale. Il fatto stesso che l’usanza sia sopravvissuta nella storia a culture completamente diverse, adattandosi ed evolvendosi, testimonia quanto sia stata in grado di creare un substrato culturale radicato nel territorio. I Sanniti, i Romani, i Longobardi, i Bizantini, i Saraceni, che hanno attraversato queste terre, alterandone i tratti con le proprie architetture, divinità, usi e costumi non scalfirono o forse entrarono in sintonia con la cultura della transumanza, che continuava a conservarsi sempre, in armonia col territorio.
La linea verde che unisce i luoghi dell’entroterra può tornare ad essere la via di quegli scambi culturali che avevano reso unico il sistema dei tratturi. In accordo con quanto sviluppato dai piani territoriali e paesaggistici che le regioni Puglia, Campania, Abruzzo e Molise hanno redatto, la riscoperta e il riassestamento di tali percorsi può realizzarsi creando contemporaneamente spazi dedicati ai nuovi pastori e spazi dedicati al turismo. Queste terre presentano un numero di manufatti artistici e architettonici estremamente vasto, generato dall’unione tra transumanza e culture dei popoli conquistatori: intere città sannite, come Saepinum, piccoli borghi di epoca romana e longobarda, chiese, are, templi, elementi votivi, stazzi, stazioni di conta e vere e proprie opere d’arte create da questi viandanti, che passavano la loro vita a transumare, o forse, a trasumanare.
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Sezione del tratturo PescasseroliCandela nei dintorni di Sepino, Archivio Storico di Foggia 1770 circa
Sezione del tratturo PescasseroliCandela nell’agro di Bojano, Archivio Storico di Foggia 1770 circa
La Valle del Fortore
pagina precedente Paesaggio beneventano, 2016
Anche tu sei collina e sentiero di sassi e gioco nei canneti, e conosci la vigna che di notte tace. Tu non dici parole. C’è una terra che tace e non è terra tua. C’è un silenzio che dura sulle piante e sui colli. Ci son acque e campagne. Sei un chiuso silenzio che non cede, sei labbra e occhi bui. Sei la vigna. È una terra che attende e non dice parola. (La terra e la morte, Cesare Pavese)
Il territorio La Valle del Fortore è ubicata nell’estrema parte nord-orientale della provincia di Benevento, al confine con le province di Campobasso e Foggia, in un contesto prevalentemente montuoso. Un territorio poco ammaestrato da mani umane, tipico dell’entroterra delle regioni del sud, sconosciuto, abbandonato, che presenta scorci e panorami in cui la natura è l’indiscussa regina. Strette e lunghe valli, solchi formati dai ruscelli stagionali e dai fiumi che qui nascono per poi lasciare questi luoghi, centri abitati radi e arroccati sulla roccia; ecco i tratti distintivi di questa terra. Di nascita prevalentemente Sannita e Romana i piccoli borghi, poi sviluppatisi in epoca medioevale, nascevano in altura per controllare il territorio circostante, distanti quindi gli uni dagli altri ma caratterizzati da una struttura organica e comune. Qualche masseria o gruppo di case
nasce poi nelle valli, sulle poche strade di collegamento tra l'uno e l'altro borgo. Oggi, l’alternanza tra questi piccoli centri posti al confine tra terra e cielo e i grandi spazi che la natura crea sono i segni che caratterizzano questo territorio e che lo mantengono vivo e integro al di là del tempo. L'uomo è gradito ospite in questo paesaggio perché rispetta la terra: la cura. Non è terra tua, è una terra che tace, e una delle maggiori qualità di questo territorio nasce dalla capacità dei suoi abitanti di saper ascoltare il silenzio: nel silenzio che odi c'è la terra che parla. L'uomo vive qui, come fosse la vigna: una parte del tutto.
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pagine successive Tra terra e cielo, Castelvetere in Val Fortore, 2016 Veduta da Campolattaro, 2016
Possibilità e potenza del territorio In un momento storico in cui la parola ‘evoluzione’ è stata sinonimo di annullamento, di occultamento delle tracce, di completo distacco tra presente e passato, forse, essere stati emarginati dal progresso potrebbe rivelarsi un elemento favorevole piuttosto che sfavorevole. Siamo stati attori e spettatori del pensiero moderno, della politica usa e getta, che ha lasciato segni indelebili nelle nostre città e nel nostro pianeta, ferite che oggi stiamo cercando di risanare; non senza fatica. Le nostre città e le nostre periferie sono piene di non spazi, di luoghi di disgregazione piuttosto che di aggregazione, di distese di cemento piuttosto che di parchi verdi; mancano dell’equilibrio che rendeva la città la migliore invenzione dell’uomo per contrastare le asperità della natura. Tutto questo non ha avuto il tempo di accadere nei luoghi tagliati fuori dal
progresso dell’ultimo secolo: dai borghi e dai paesi ritenuti troppo distanti dal vorticoso traffico delle merci e dell’evoluzione; producendo di fatto un duplice risultato: il loro abbandono e la loro ‘conservazione’. Oggi l’Italia risulta quindi divisa, al nord come al sud, in centri che tentano di inseguire il mito della modernità da una parte e vaste aree ‘emarginate’ dall’altra; sempre più abbandonate a se stesse e considerate inadeguate per i nuovi standard di vita moderna. Il Valfortore è uno di questi luoghi. Una crescente consapevolezza sui danni che il distacco dalla natura ha prodotto sul benessere dell’uomo, ci spinge a ristabilire il rapporto uomo-natura. Cibi biologici, tentativi di reintegro del verde negli spazi cittadini, creazione di laboratori agricoli all’interno dei nostri parchi, delle nostre case e dei vuoti urbani, testimoniano un
rinnovato interesse nei confronti di questo tema. Ci sono persone e luoghi dove questo rapporto, inscindibile per natura, non si è mai interrotto, e dove quindi un’adeguata programmazione potrebbe portare ad un nuovo futuro che, non cancelli, ma prosegua il percorso naturale fin qui ‘ciecamente’ ostacolato. Come stabilito anche dal recente Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) della provincia di Benevento, la valorizzazione di questi territori, il controllo e l’incentivazione della filiera corta, la certificazione dei numerosi prodotti tipici, sono obiettivi primari da porsi per la riqualificazione e il rilancio del territorio. La concretizzazione di tali strategie si tradurrebbe sicuramente nell’aumento dei servizi e potrebbe portare ad un’inversione di tendenza e ad un ripopolamento di queste realtà. Il processo di caratterizzazione e di recupero delle diversità territoriali va quindi sostenuto e incentivato, in quanto costituisce
esso stesso l’elemento fondamentale per la valorizzazione del territorio. Alla base del successo di tale idea risiede la fiducia, che i residenti devono riporre nuovamente nelle loro terre, prendendo coscienza delle potenzialità che il territorio offre. Occorre quindi orientarsi in egual maniera verso una formazione, una produzione e una commercializzazione, che parta da una filiera corta, e crei sufficiente coscienza per approdare su un mercato delocalizzato.
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Castelvetere in Val Fortore
pagina precedente Paese e Paesaggio da a Morgia Veduta, 2016
Siede sul fianco d’argilloso monte Da frane minacciato e da torrenti: S. Pietro è all’Est ed all’Ovest il Ponte, La Frana a Nord e a Sud valli ridenti. S’erge nel centro l’annerito fronte Di medioevale torre fra cadenti Antichi avanzi del castel del conte — Terrore un dì, di sottoposte genti. — D’olive e vino e cereali abbonda E di legumi e frutta il suol ferace, Cui l’acqua Del Fortore il piede inonda. Nell’odio e nell’amor forte e tenace Si mostra il popolo, ch’è pur cortese… Libeccio è il mal di questo bel paese. (Castelvetere in Val Fortore, Petrilli)
Cenni storici Il toponimo Castelvetere trae origine dal latino castrum vetus, letteralmente castello antico. La prima attestazione di questo centro fortificato risale al 1094, quando fu donato dai conti di Boiano all’abbazia beneventana di Santa Sofia. Ma la sua origine deve essere assai più antica. Castelvetere fu sicuramente popolata dai Romani che vi fondarono una piccola colonia, come nei paesi limitrofi. Recenti ritrovamenti hanno portato alla luce importanti resti di una città sannita e romana in fase di studio e risalente al V - III sec a. C. Come attestato da Tito Livio in Ab Urbe Condita, i Liguri Apuani, popolazione che si oppose alla conquista da parte di Roma, venne trasferita nell’ager Taurasinorum in Samnitibus realizzando i municipi dei Ligures Corneliani e dei Ligures Baebiani in un territorio che era sotto il controllo romano forse già dal 298 a.C. In particolare i Ligures Corneliani si sarebbero trovati proprio nella zona compresa tra l’odierno San Bartolomeo in Galdo e Castelvetere in Val Fortore. La successiva attestazione scritta riguardante Castelvetere è una bolla del papa Pasquale II risalente all’anno 1102, dove oltre al possesso del paese a S. Sofia, viene richiamata la chiesa di San Nicola vescovo. Da tale documen-
to si può dedurre un intervento di epoca normanna, che portò alla riorganizzazione del centro abitato ed alla successiva costruzione della chiesa e del castello. Dopo la donazione devoluta dai Conti Boiano, Castelvetere passò alla Contea di Civitate, più precisamente al conte Filippo, poi con gli angioini divenne feudo di Simone di Molise, ma poiché il paese si schierò dalla parte dei d’Angiò fu distrutto completamente dalle milizie di Alfonso d’Aragona. Il feudo passò alla famiglia Carafa per poi essere successivamente acquistato da Nicola Moscatelli all’incirca nel 1689, a cui fu concesso il titolo di marchese di Castelvetere nel 1693. Castelvetere ha fatto parte della Capitanata fino al 1811, quando passò alla provincia di Campobasso. Nel 1816 rientrò nella giurisdizione di Baselice e dal 1861 venne assegnato a Benevento.
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Fasi storiche di Castelvetere 2016 Foto storiche Castelvetere, primi del 1900 anni 1960
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Sopra i tetti e oltre, Castelvetere in Val Fortore, 2016 pagina successiva Tra i vicoli, 2016
Morfologia urbana La morfologia del territorio di Castelvetere in Val Fortore è di tipo altocollinare, il territorio è solcato da numerosi fossi a carattere invernale con acque confluenti nei due fiumi Fortore e Cervaro. La natura del suolo è prevalentemente argillosa, interrotta da banchi tufacei e calcarei specie in rispondenza delle maggiori altezze. La posizione del centro abitato posto sullo spartiacque di un articolato sperone naturale è tale da non aver consentito un facile ampliamento del centro abitato ed ha determinato nel tempo un tipo di crescita non compatto del nucleo originario. Il nucleo centrale ha chiara origine medievale e conserva ancora i suoi caratteri di fortezza con le cortine rigidamente chiuse, sopravvissute ai terremoti che si sono succeduti nel corso degli anni. Il nucleo più antico dell’intero abitato sorse inizialmente su di una rupe scoscesa, dominata al vertice dal castello
medievale, e circondata tutt’attorno da una cerchia muraria oggi pressoché scomparsa. Intorno alla metà del Seicento il paese, racchiuso nell’antico borgo medievale, era già suddiviso in due zone: quella bassa denominata ‘Valle’, e quella alta, denominata ‘Castello’. L’antico borgo che si raccoglie ai piedi della torre del castello appare chiuso a ventaglio e di difficile percorribilità, caratterizzato da ripidi collegamenti viari a rampe gradonate, a volte ricavate con intaglio nella roccia viva. L’attuale topografia del paese si è formata in tre fasi principali corrispondenti ad altrettante zone, la prima delle quali è la risultante di più stratificazioni. Schematicamente il primo nucleo può essere racchiuso in un’ellisse che abbia il diametro minore orientato da nord e sud, e dove in passato si trovava la torre. La viabilità principale inoltre seziona il centro urbano in tre zone principali: la
più piccola era costituita da basse costruzioni addossate alla vecchia torre, utilizzate come deposito munizioni. La seconda e l’ultima zona erano occupate invece dalle residenze vere e proprie. Tra queste due zone si trova il vecchio corso, sul quale si affacciano le abitazioni riservate al ceto più abbiente. La terza zona infine si sviluppava lungo la fascia che intercorreva tra il corso e le vecchie mura. Queste ultime, rimaste in piedi fino al 1750, s’interrompevano a nord, dove il dirupo naturale faceva esso stesso da riparo. A sud di questo primordiale nucleo, si aggiunse alla fine del ‘600 una prima espansione, costituita da una lingua di abitazioni, che attraverso stretti vicoli si apre a ventaglio sulla campagna circostante. L’espansione più recente risale a cavallo tra il ‘700 e l’800 ed è costituita da una serie numerosa di abitazioni poste lungo la principale via di accesso al paese.
Un’attenta analisi del tessuto urbano di Castelvetere rivela la complessità del sistema stradale: i continui dentellamenti degli edifici e la presenza dei vicoli ciechi a carattere residenziale, oltre ad alcuni esempi di Jafii (collegamenti posti in parallelo alla facciata dell’edificio la cui struttura portante è spesso una volta che consente il passaggio sotto la scala), denunciano l’influenza di forme di origine saracena. Carattere degli insediamenti Le abitazioni che caratterizzano il centro urbano si distinguono per la giacitura, l’epoca in cui sono state costruite e il ceto committente. All’interno del centro storico, caratterizzato da stretti vicoli, troviamo case di stampo medioevale di altezza media tra i due e i tre piani, classificabili principalmente in due tipologie. Nella prima tipologia il piano terreno è alquanto rialzato rispetto alla strada poiché le case hanno generalmente ambienti seminterrati adibiti a canti-
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Tipi di edilizia rurale del paesaggio del Val Fortore, 2016 pagina successiva I maggiori palazzi di Castelvetere in Val Fortore, 2016
ne, legnaie, depositi per cereali e stalle. L’ingresso ai ‘sottani’ è solitamente nella parte posteriore degli edifici, mentre alcuni gradini esterni servono per accedere al piano terreno rialzato dove si trova la cucina e la zona pranzo; a seconda poi dell’altezza dell’abitazione si trova inoltre, la scala per accedere al piano superiore o la camera da letto. Queste tipologie di abitazioni sono costruite in pendio per sfruttare l’andamento del terreno, di conseguenza si trovano nelle vie traverse al corso, che collegano la parte bassa del centro storico con la zona di Castello. Una variante di questa tipologia non presenta le scale esterne per accedere al piano giorno dell’abitazione ma dimensioni più ampie, solitamente tre piani e la zona di deposito si sposta al piano terra invece che nel piano seminterrato. Come particolari caratteristici esterni si notano le porte ad arco con eleganti stipiti in pietra e frequenti loggette,
o balconcini in ferro battuto al primo piano. È diffuso l’uso della mezza porta davanti a quella normale per poter dar luce ed aria all’ambiente, senza che entrino gli animali. I pavimenti sono in genere a selciato di pietra al piano terreno, in mattoni al piano superiore, e i soffitti sono a travi di legno. Fanno eccezione a queste tipologie i palazzi delle famiglie abbienti, che a Castelvetere sono presenti principalmente lungo la via del corso. Questa tipologia d’abitazione si sviluppa ancora all’interno delle mura e presenta come tratto comune, al di là dei caratteri architettonici dipendenti dal periodo in cui ognuno di essi è stato costruito, l’andamento non unitario tipico di abitazioni costruite in maniera discontinua per successivi ampliamenti. Tale fenomeno potrebbe dipendere dal fatto che queste famiglie siano riuscite col passare del tempo ad elevare la propria posizione sociale e quindi a co-
struire via via abitazioni più grandi e lussuose. Questa caratteristica ben si evince nei palazzi Gigli e De Vita, dove, ad esempio ad un’uniformità della facciata non corrisponde un’unità delle coperture. Un caso unico risulta essere il palazzo della famiglia Moscatelli, marchesi di Castelvetere dal 1683, che venne ricavato dall’abbattimento della vecchia cerchia muraria, in posizione privilegiata sulla nuova piazza, a cavallo tra vecchio e nuovo corso. Le abitazioni più recenti che caratterizzarono la nuova espansione dal ‘700 in poi, lungo la principale via di accesso al paese, presentano un’altezza e una distribuzione degli ambienti simile a quelle del centro storico, perdendo nella gran parte dei casi i ‘sottani’, in favore di un deposito situato al piano terreno che comunque rimane rialzato di pochi gradini rispetto al livello stradale. Gli insediamenti che caratterizzano le campagne invece si possono suddivi-
dere in masserie, case unitarie ad un solo piano, case di tipo di pendio e vari elementi isolati adibiti a rimesse e ricoveri. Le masserie richiamano alla mente dimore di molte regioni dell’Italia centrale e del Mezzogiorno, pur non avendo generalmente una corte centrale di raccolta. In connessione con proprietà alquanto ampie, mostrano la complessità delle funzioni agricole in un frequente addossarsi di costruzioni minori al corpo principale, oppure il suddividersi di tali funzioni in elementi staccati attorno a uno spiazzo che funge da aia. Si contraddistinguono due tipi di masserie, le più recenti e le costruzioni antiche; queste ultime ormai allo stato residuale sono difficilmente distinguibili a causa dei vari corpi di fabbrica recenti ad esse addossati. Le masserie di costruzione recente hanno come caratteristica generale una razionale distribuzione degli ambienti; all’esterno sono riconoscibili per
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Schemi tipo di una Masseria del paesaggio beneventano, schizzi di schemi aggregativi di masserie, 2016,
i muri in laterizio ben intonacati o in pietra-tufo, per il tetto a due o a quattro pioventi e per l’insieme dei rustici giustapposti all’abitazione o da essa distaccati. La distribuzione organica degli ambienti è visibile anche esternamente nella serie di finestre disposte con regolarità sulla facciata e sugli altri lati della casa. L’ingresso, posto al piano terreno, porta direttamente alla cucina, molto ampia, oppure ad un corridoio di disimpegno, in fondo al quale è situata la scala interna, che conduce al piano superiore. Gli altri ambienti solitamente presenti al piano terreno sono quelli di servizio come la dispensa, la cantina e talvolta anche altri vani adibiti a ripostiglio. Normalmente l’abitazione è a due piani. I rustici, qualsiasi sia la posizione rispetto all’abitazione, sono composti da vari elementi; il più grande ed importante è sicuramente la stalla per i bovini, a pianta allungata, con ampia
porta di ingresso e finestrelle rettangolari orizzontali che portano luce ed aereazione all’ambiente. Molto diffusa è la presenza di un’ampia tettoia che funge da ripostiglio per i carri e gli attrezzi da lavoro, e che spesso può anche essere suddivisa in due piani mediante un tavolato in legno in modo tale da essere adibita, nella parte superiore, a legnaia e a fienile. Attorno agli edifici si elevano i grandi pagliai a base rettangolare e quelli cilindro-conici, che danno una nota caratteristica al paesaggio. L’elemento architettonico che dà una precisa individualità alle masserie e alle case della provincia beneventana è la colombaia, che può manifestarsi in forme assai diversificate; dalla vera e propria torre, alle serie regolari di buchette che adornano le facciate in corrispondenza del sottotetto. Il motivo più diffuso di questo elemento architettonico è quello delle lunghe serie di piccole buche rettangolari che si aprono sui muri esterni della torre e
di una o più aperture circolari alquanto più ampie. Questo motivo si trova espresso senza un preciso canone tradizionale: le file di buchette possono essere più o meno numerose e possono aprirsi su un solo lato della torre, come su più lati. La presenza di queste curiose costruzioni è dovuta probabilmente ad una antica usanza locale di portare in dono colombe e piccioni ai grandi proprietari terrieri per rendergli omaggio e chiedergli favori. Il loro attuale permanere senza un reale motivo pratico e ancor più il loro ricorrente inserimento in edifici di recente costruzione indica quanto radicata debba essere tale tradizione, che di certo è supportata da una valutazione estetica non trascurabile. La presenza di queste bucature nelle abitazioni moderne o addirittura la costruzione di una torretta vera e propria viene utilizzato come elemento per dare eleganza all’edificio, un tocco di nobiltà antica.
Le vecchie masserie si distinguono dalle costruzioni più recenti grazie ad una pianta molto meno regolare e ad un corpo centrale di pianta generalmente quadrata, molto elevato, sormontato dalla torre colombaia e coperto con tetto a quattro pioventi uguali. Il posizionamento delle scale, la distribuzione degli ambienti e la varietà dei rustici presenti nel vecchio tipo di masseria sono analoghi a quelli descritti nelle dimore recenti: cucina e rimesse al piano terreno e camere da letto al piano superiore. Il materiale da costruzione più frequentemente usato è il tufo o la pietra locale, talvolta anche intonacato, mentre spesso le porte e le finestre sono ornate da stipiti di pietra. Quando l’edificio non presenta la torre colombaia, il motivo delle piccole buche rettangolari si trova su uno dei lati della casa, mentre sul tetto si aprono uno o due abbaini che danno maggiore aereazione al solaio.
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in questa pagina e nella successiva Foto di una Masseria di Castelvetere in Val Fortore, 2015 L'architettura rurale del paesaggio beneventano, schemi aggregativi e schizzi, di casa rurale ad un solo piano 2016
La dimora ad un solo piano riguarda invece famiglie di agricoltori meno abbienti, si discosta quindi dalla masseria principalmente per le dimensioni notevolmente ridotte, è costituisce un’altra tipologia di insediamento distinguibile sul territorio. In queste abitazioni gli ambienti sono molto ridotti e gli annessi diminuiscono; le stalle ospitano al massimo una coppia di vitelli per il lavoro nei campi. Gran parte dell’economia di queste famiglie è basata sulla cultura del frumento, di conseguenza, sulle piccole case dominano gli alti pagliai e pochi alberi, olivi e querce, che servono a ripararle in parte dai calori estivi. La distanza dai centri abitati e spesso anche dalla strada rotabile fa sì che ogni casa abbia il forno per il pane addossato esternamente. L’abitazione possiede solitamente quattro vani: cucina, due camere e un magazzino.
Sul territorio collinare sono presenti anche, in numero rilevante, case con colombaia di un tipo di pendio; queste dimore sono quanto mai semplici sia come struttura, sia come distribuzione degli ambienti. Caratterizzate da scale esterne e abitazione sovrapposta al rustico, nel piano seminterrato queste abitazioni presentano la stalla, che talvolta può essere adibita anche a rimessa e risulta quindi integrata nell’abitazione e non adiacente ad essa; al piano terra troviamo la cucina soggiorno e una camera; sopra a queste si trova la colombaia, coperta dal tetto a quattro pioventi uguali.
La pianta di questo tipo di casa è quadrata, i muri esterni sono in pietra spesso non intonacata, le porte e le finestre sono con stipiti in pietra; compare su uno dei lati della colombaia il caratteristico ampio foro circolare e il tetto è sormontato dal consueto abbaino. Oltre a queste abitazioni di varia fattura e dimensioni troviamo nel territorio agricolo della provincia beneventana e in special modo nel Val Fortore, una serie di elementi isolati, adibiti a ricoveri per attrezzi, depositi, rimesse e punti di appoggio per amministrare i campi che si trovavano lontani dalle residenze.
Sparse in mezzo ai campi le numerose torrette, ovvero colombaie isolate, rientrano in questa tipologia e vengono utilizzate come rustichetti, con al piano terreno una piccola stalla o rimessa e sopra il fienile. Quasi sempre si possono notare vicino ad esse pagliai cilindro-conici e una piccola aia sterrata.
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Planimetria di Castelvetere in Val Fortore indicante i tipi analizzati
ze - Facoltà di Architettura - SIC ITUR AD CASTRUM VETERUM - Relatore: Francesco Collotti - Laureando: Andrea Califano - TAV
ze - Facoltà di Architettura - SIC ITUR AD CASTRUM VETERUM - Relatore: Francesco Collotti - Laureando: Andrea Califano - TAV
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analisi edificato - 1:20
Analisi dei principali tipi di Castelvetere in Val Fortore
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Grafico dell'andamento demografico della popolazione nel Comune di Castelvetere in Val Fortore
Andamento demografico Castelvetere risulta essere ad oggi il paese con il tasso di spopolamento più alto della provincia di Benevento e uno dei paesi più a rischio di tutta la regione Campania. Il numero di giovani presenti nel paese diminuisce continuamente, costretti ad emigrare per studiare, lavorare e vivere. Eppure non è sempre stato così. La principale causa di abbandono è dovuta a fenomeni di tipo migratorio
avvenuti in special modo dal secondo dopoguerra e legati a ragioni di disagio economico e lavorativo. I racconti di chi c'era parlano delle prime migrazioni verso il nuovo continente, inseguendo l'American Dream alla ricerca di una vita migliore. Tuttavia lo studio dell'andamento demografico di quel periodo non mostra crolli demografici significativi e l'andamento tutto sommato rimane costante. La fine della seconda guerra mondiale porta invece rapidamente Castelvetere ad essere
considerato solo uno dei tanti paesi ritenuto inutile, uno dei tanti paesi da cui scappare. Nel ventennio 1950-1970 si assiste difatti ad un dimezzamento della popolazione e si avvia la fase di decremento demografico che giunge fino ai giorni recenti Gli ultimi vent’anni rappresentano poi il secondo periodo di grande esodo da questo territorio. Il risultato è un paese che in sessant’anni è passato da più di 4000 abitanti a poco più di 1000 e ri-
sulta essere il comune con il più basso tasso giovanile di tutta la provincia di Benevento. Questi dati sono stati fattori fondamentali che, nel panorama beneventano, mi ha indotto a scegliere Castelvetere come caso studio del territorio.
I volti di Castelvetere, Rielaborazione fotografica 2016
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Il progetto
pagina precedente Paese e Paesaggio da a Morgia Fotoelaborazione, 2016
Nel viaggio che porta a Castelvetere il paese rappresenta un traguardo, un’immagine dapprima dissolta tra i colori delle valli e del cielo, che vien pian piano a definirsi tra le curve che celano e rivelano il paese. Accompagnati dal dolce tornare della strada, si giunge a quella che i castelvetresi chiamano a Morgia, lo sperone di roccia calcarea che si distende creando una terrazza naturale dalla quale osservare Castelvetere. Il belvedere mostra il paziente lavoro di genti che hanno vissuto in simbiosi con la loro terra, o come direbbe Loos (1972): le case, le corti, e le cappelle, sembra che stiano li come se non fossero state create dalla mano dell’uomo. Cose fossero uscite dall’officina di Dio, come i monti e gli alberi, le nuvole e il cielo azzurro. E tutto respira bellezza e pace… Il paesaggio e l'intervento dell’uomo procedono all’unisono, le piccole case accompagnano il terreno nelle sue salite e discese senza mai discostar-
sene; tuttavia la ‘pace’ è interrotta da una serie di interventi che nel secolo scorso hanno profondamente modificato il paese. La Strada Provinciale 90, costruita per creare un collegamento più agevole con gli altri paesi della provincia beneventana, ha determinato una frattura tra paese e paesaggio. Il grosso muro di cemento che sorregge la strada è quello “stridore inutile” (Loos A.,1972) che ha stabilito la linea di demarcazione tra naturale e umano che per secoli si era voluto non tracciare. Il paesaggio è stato alterato, escludendo, in nome del progresso, tutte le abitazioni a valle del muro. L’edificio giallo, l'altro elemento che osservando il paese cattura lo sguardo: una scuola che desiderava mostrare la grandezza, la tecnica, la modernità dirompente, l'illusoria capacità dell'uomo di dominare la natura. Nel suo posizionarsi al centro del paese l’edificio si presenta come un fuori scala che ha cancellato la relazione esistente tra la piazza e la vallata. Lo sguardo ha guidato il progetto e così, queste due fratture sono dive-
nute il punto di partenza del lavoro ed hanno individuato, quasi naturalmente, l’area di intervento. Il progetto ha cercato quindi di lavorare-ricucendo, ri-stabilendo relazioni negate, per riportare, idealmente, la vista del paese da a Morgia a quella dell’ “officina di Dio”. Nel rapporto tra la scuola, la SP 90 e il paese si è scelto di conservare i segni del progresso, non negandoli, ma considerandoli tracce della storia di Castelvetere, punti di partenza per il suo futuro: il progetto ha cercato l'integrazione tra antico e moderno come parti diverse di un racconto che dovevano tornare ad ascoltarsi. L'altra ragione che ha dato vita al progetto è stata il ripopolamento del paese. Rispetto a una serie di interventi analoghi effettuati nei comuni d’Italia, si è scelto di non intervenire direttamente nel centro abitato ma di creare
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bar, edicola
cucina mensa bar spogliatoi direzione
controllo, carico e scarico ufficio accettazione lavorazione e salatura ufficio al pubblico celle frigo enoteca e vendita diretta
degustazione e punto vendita stagionatura lavorazione e confezionamento vinificazione celle frigo
pagina precedente Esploso del centro produttivo 2016 pagine successive Pianta del centro produttivo 2016 Prospetto dell'intervento 2016 Sezione dell’intervento 2016
il motore trainante della nuova economia, capace di veicolare la riqualificazione del centro storico. All'interno di un piano di azioni programmatiche per la ripresa e il ripopolamento del paese, il progetto è stato considerato quindi il primo di una serie di interventi per riattivare l'economia locale, creando spazi per il lavoro e la formazione: spazi per ri-portare abitanti a Castelvetere, spazi per ri-abitare Due macro-interventi compongono quindi il progetto: il nuovo centro produttivo a valle della SP 90 e i lavori di recupero e rifunzionalizzazione dell'edificio scolastico. Il centro produttivo Adagiato sul muro della variante esterna, il nuovo intervento tenta di proseguire il naturale andamento del paese e inglobare la strada stessa, in modo da ricostituire l’unicum di cui la SP 90 non si era curata. Il nuovo intervento quindi si pone a un livello compreso tra la quota della SP90 e la vallata e si suddivide princi-
palmente in tre parti: il parcheggio, il centro di lavorazione e i campi di coltivazione. Il parcheggio su due livelli, costruito nello spazio generato dal viadotto della SP90, ha il duplice intento di creare posti auto per i nuovi residenti, dipendenti e studenti e, soprattutto, di colmare il vuoto creato dalla sopraelevata, inglobando i piloni che sorreggono la strada. Il parcheggio risulta costruito quindi al di sotto del livello della strada provinciale e la sua copertura ridefinisce il fronte stradale creando una nuova passeggiata panoramica, un belvedere e delle nuove fermate della corriera che, se pur presenti, non avevano spazi adeguati. Dal punto di vista architettonico la facciata è stata pensata in tufo e trattata con quelle piccole aperture tipiche delle masserie locali: le colombaie. Il centro di lavorazione rappresenta invece uno dei due estremi del nuovo collegamento che, nascendo all’interno dell’edificio scolastico, ristabilisce il rapporto tra la vallata e via Cesa da una
parte e piazza Dante e il corso dall’altra. Dalla loro riconnessione nascono spazi pubblici e semi pubblici a più livelli, dal tetto dell’edificio giallo, fino al livello del borgo lineare tagliato fuori dalla provinciale. La serie di affacci, gradonate, panchine, gli spazi coperti e il piccolo bar concepiti alla quota della provinciale cercano così di ridare un’identità a questa strada, creando uno spazio di sosta e di dialogo con il contesto. Un nuovo tratto urbano, non più extraurbano-estraneo. Il centro di lavorazione è stato invece concepito in due nuclei: uno dedicato alla lavorazione delle carni e l’altro alla produzione di vino, entrambi eccellenze del luogo. I due nuclei vicini generano, nel loro guardarsi senza toccarsi, un nuovo slargo e un percorso che rappresentano rispettivamente la prosecuzione di corso Umberto e di piazza Dante ristabilendo, ancora una volta, il collegamento interrotto dalla provinciale. Il nucleo di lavorazione delle carni costituisce l’intervento ex novo del centro di produzione e cerca di inserirsi
completamente nel contesto, diventando parte di Castelvetere. In questo senso l’orientamento parallelo all’andamento del centro storico, produce un triplice effetto: fa avanzare il paese verso la valle, riconnette il borgo lineare al centro storico e ingloba il muro di cemento della SP 90. La cantina invece, più ridotta nelle dimensioni, recupera due delle abitazioni esistenti nel borgo lineare di via Cesa: al loro interno sono presenti un punto vendita e la parte amministrativa del centro produttivo. I due nuclei sono infine tenuti insieme da un basamento in pietra, luogo degli ambienti di stagionatura e conservazione per l’azienda e spazio di lavorazione per la cantina. Tale basamento rappresenta il preludio all’ultimo elemento del centro produttivo: il sistema dei campi.
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Università degli studi di Firenze - Facoltà di Architettura - SIC ITUR AD CASTRUM VETERUM - Relatore: F
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Francesco Collotti - Laureando: Andrea Califano - TAV
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In questa pagina Sezione del collegamento verticale 2016 Pagine successive Il progetto visto dal centro di produzione Fotoelaborazione 2016 Sezione degli edifici di progetto 2016
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aula didattica aula docenza aula studio
patio esterno laboratorio cucina amministrazione refettorio spazio piazza
aula didattica archivio ammezzato pubblico
laboratorio analisi laboratorio ricerca laboratorio sviluppo aula eventi spogliatoio
pagine precedenti Vedute dai campi Fotoelaborazione 2016 Esploso dell'edificio scolastico 2016 pagine successive Sezioni di progetto 2016
Dallo studio delle pendenze esistenti sono nati i muri a secco, creati alla maniera dei contadini per addolcire il terreno: i percorsi e gli spazi di coltivazione generati diventano punto d’incontro per l’azienda, gli studenti e i privati. Questi ‘terreni misti’ sono infatti concepiti come luogo di sperimentazione e apprendimento per gli studenti della scuola, di produzione per l’azienda e di tipo ludico-terapeutico per i residenti. L’agricoltura e la terra rappresentano così un terreno di scambio tra i vari soggetti che vivono il territorio, un luogo in cui tramandare la conoscenza, crearne di nuova, far vivere il paese e la sua anima.
L’edificio scolastico Per quanto riguarda invece l’edificio scolastico si è immaginato di riconvertirlo in un centro di ricerca, formazione e studio del territorio, delle sue tecniche agricole e delle sue potenzialità. Un’occasione di formazione quindi, sia per i giovani che per le genti di questi luoghi, non connessa unicamente al paese ma a tutto quel sostrato culturale generato dai tratturi e intenta a creare quella coscienza comune che sta alla base della ripresa di ogni luogo. L’edificio è stato reso completamente permeabile, una serie di aperture creano spazi misti per studenti e residenti che cercano di favorire l’interazione e l’integrazione, stabilendo spazi nuovi per ri-abitare ‘la scuola’. La barriera del
moderno diventa così uno spazio restituito alla comunità, una prosecuzione di Piazza Dante dove all’ombra di un pergolato ci si può incontrare, mangiare e parlare. Alla quota di Piazza Dante parte dell’edificio scolastico è stato poi aperto, ristabilendo il rapporto che Corso Umberto aveva con la vallata e che la modernità aveva negato: una finestra sul paesaggio. Il limite tra interno ed esterno si assottiglia nel tentativo di ri-stabilire il rapporto tra individuo, spazio ed edificio. Una nuova scala pubblica ricavata in un volume secondario dell’edificio scolastico costituisce il rinnovato trait d’union tra la città, la vallata e il nuovo intervento.
Ecco che allora si può tornare a guardare la valle, ecco che nuovamente si può raggiungere la terra: ecco che Castelvetere riesce di nuovo a vedere a Morgia.
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Francesco Collotti - Laureando: Andrea Califano - TAV
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Vista assonometrica del paese e del nuovo intervento 2016
Oltre il progetto
Il tuo respiro misuralo a millenni. vai con la foglia che spuntò per prima sulla terra. vai con gli uccelli che videro un cielo che non è questo. soffia sull’ultimo granello del mondo. il tuo paese è questa immensità. (Stato e luogo, F. Arminio, 2012)
Con questo progetto non pretendo di aver trovato la soluzione, o quantomeno non l’unica; conscio del fatto che ognuno ha una propria visione, sempre soggettiva. Spero tuttavia di avervi condotto lungo il fiume silente (D'Annunzio, 2013) che pervade questi luoghi, di avervi trasmesso l'impressione dell’odore del grano e del ticchettio dell’orologio di mia nonna.
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Bibliografia
pagina precedente taccuini di storia 2016
Aloj E., Bove F. 2010, Il paesaggio del tratturo beneventano. Storia, ambiente, sviluppo, RCE Edizioni, Napoli. Arminio F.,2011, Terracarne, Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia, Mondadori, Milano Bibbò N. 2004, Terrecotte e catrami, Edizioni Promoart, Roma. Bruzzone M., Serpagli L. 2012, Le radici anonime dell’abitare moderno: il contesto italiano ed europeo (1936-1980),Franco Angeli, Milano. Colamonico C. 1970, La casa rurale nella Puglia, ricerche sulle dimore rurali in Italia, Olschki, Città di Castello, vol. 28. Collotti F. 2002, Appunti per una teoria dell’architettura, Quart Edizioni, Lucerna. Fondi M., Franciosa L. et al. 1964, La casa rurale nella Campania, ricerche sulle dimore rurali in Italia, Olschki, Città di Castello, vol. 23. Francescato D., Tomai M. 2005, Psicologia di comunità e mondi del lavoro. Sanità, pubblica amministrazione, aziende e privato sociale, Carocci Editore, Roma.
La Rocca L., Resciglio C. 2010, Carta archeologica. Dal percorso beneventano del regio tratturo e del comune di Morcone, Lavieri, S. Angelo in Formis. Loos A. 1972, Parole nel vuoto, Adelphi Edizioni, Milano. Moscariello, 2014. Enciclopedia, La Campania paese per paese, Vol II, Bonechi, 1998. Moschini F., Grassi G. 1984, progetti 19601980, Centro Di, Firenze. Riva U. 1988, Album di disegni, Electa, Milano. Sarno E.,2014, La cartografia storica tratturale per lo studio dei paesaggi della transumanza. Un caso di studio, EUT, Trieste Varallo R., Saggese P. (a cura di) 2016, La mia lunga strada verde. Ricordi della transumanza, Digital Graphic, Montella. Zermani P. 2002, Identità dell’architettura, Officina, Roma, vol. 1.
Ricerca archivistica Archivio di stato di Benevento, Via G. Vita 3 Ufficio del territorio di Benevento, Via M. Foschini 28
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Grassi G. 1988, Architettura lingua morta, Electa Periodici, Milano.
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Indice
Passato e futuro, vista del paesaggio Fotoelaborazione, 2016
Pendola antica e terrazze nuove
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Francesco Valerio Collotti
Idee di un vecchio futuro
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La transumanza e i tratturi
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I tratturi oggi: alla ricerca di una cultura
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La Valle del Fortore
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Castelvetere in Val Fortore
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Il progetto
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Oltre il progetto
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Bibliografia
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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Agosto 2019
Castelvetere in Val Fortore è un piccolo borgo al confine tra Campania e Puglia di cui nessuno particolarmente si cura. Le case in gran parte abbandonate raccontano le storie di artigiani, agricoltori e pastori che oggi non ci sono più; le porte chiuse, i vetri rotti e i tetti crollati sono quello che resta. La tesi in progettazione, oggetto di questa pubblicazione, racconta di Castelvetere e del Val Fortore, è un viaggio nei verdi fiumi silenti dei tratturi che percorrono questi luoghi, un progetto di valorizzazione del paese con più basso numero di giovani della provincia di Benevento. Al di là del castrum, tra paese e paesaggio nasce il progetto: seme nuovo, sguardo rivolto al futuro di Castelvetere. Andrea Califano, Benevento 1990. Architetto, studia tra Firenze e Strasburgo e si laurea con la presente tesi nel 2016, relatore Francesco Valerio Collotti. Lavora a Firenze e dal 2017 è studente della Scuola di Specializzazione In Beni Architettonici e del Paesaggio (SSIBAP) allo IUAV di Venezia.
ISBN 978-88-3338-075-9
ISBN 978-88-3338-075-9
9 788833 380759