Apua Mater | Cresci

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edoardo cresci

Apua Mater

Un progetto per il Parco delle Alpi Apuane



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Il progetto interpreta in modo esemplare mediante l'architettura i caratteri, il processo e l'anima del luogo. Il risultato è una profonda riflessione colta e poetica allo stesso tempo”. Commissione: Proff. M. Carrà, M. Coppola, A. D'Ambrsi, R. Masini, F. Mugnai, U. Tramonti, A. Volpe, P. Zermani, S. Zocco

in copertina Modello territoriale della Val d’Arni, scala 1:5000.

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2018 ISBN 9788833380087

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


edoardo cresci

Apua Mater Un progetto per il Parco delle Alpi Apuane



Marmi

Nel 1984 Josif Brodskij titola Marmi un suo splendido racconto ambientato in un tempo futuro. All’interno di una prigione tecnologica e astratta, una navicella posta un chilometro sopra la quota di Roma, il romano Publio e il barbaro Tullio discutono di classicità e modernità. Con loro, insieme a un ascensore per i collegamenti con la terra, stanno soltanto i busti marmorei dei poeti latini, che alla fine verrano gettati nel vuoto. Nella danza della vita occidentale tra le espressioni di ‘moderno’ e ‘classico’ il materiale marmoreo assume significato sostanziale a favore del principio di permanenza e di durata. ‘Impresso nel marmo’ è espressione di eternizzazione e monito perpetuo. Non a caso è di fronte a una iscrizione latina scolpita nel marmo che, secondo lo stesso medievale Paolo Diacono, il barbaro Droctulft, sceso in Italia del Nord per saccheggiare e distruggere Ravenna, ne è accecato e decide di arruolarsi a difesa della città. Attraverso il significato traslato di una cava marmorea a cui non è stato dato il privilegio, rispetto alle altre cave della regione apuana, di partecipare alla costruzione fisica della città novecentesca, Edoardo Cresci insiste, nella sua tesi in Progettazione Architettonica, nel consegnare al marmo un ruolo capace di collegare tempi diversi. Non una iscrizione marmorea ora, ma un colossale detrito artificiale delle perdute lavorazioni, il suo accecante valore di testimonianza materiale e di immenso sacrificio, offrono il significato e le misure per la trasmissione e la continuità del lavoro architettonico. Così da una cava spenta e dalla sua testimonianza, di grandezza naturale e di minuta devozione, crescono le misure per un progetto contemporaneo fissato nella traccia del tempo. I marmi non sono quelli di una perduta classicità, ma quelli di una consolidata e atavica estroversione, tramandata dalla violenza dello scavo e del suo tradursi, ad un tempo, in manufatto o polvere. Paolo Zermani Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Di marmo, di silenzio

Nel cuore di un paesaggio dove alte creste si alternano a profondi burroni che “si succedono gli uni appresso agli altri in direzione quasi uniforme, in guisa che visti dall’alto offrono l’immagine di un mare in tempesta istantaneamente pietrificato” secondo la descrizione che ci regala il Repetti, Edoardo Cresci immagina un grande blocco marmoreo, sorta di scarto di cava, la cui imponente massa nasconde un vuoto drammaticamente illuminato. Visione analogica della natura di questi monti che celano cavità carsiche, grotte, antri. Monti feriti dalla sottrazione di escavazioni talvolta trasfigurate in antiche figure di anfiteatro come nel vicino bacino Henraux, ‘archeologica’ testimonianza di un’attività oramai terminata. Simile a un’umile casa di cavatori elevata a monumento dal fuori scala, la grande architettura trilitica proietta la sua ombra di gnomone da meridiana sugli altri edifici sparsi nella valle denominata Tre Fiumi finendo per segnare un tempo più vasto del nostro. Un tempo orizzontale che unisce senza soluzione di continuità le testimonianze dei remoti Liguri Apuani e dei Romani che li cacciarono da questi luoghi per cavare marmi con i quali ornare Roma e le sue colonie, alle memorie letterarie delle ‘Panie’ descritte da Dante e Ariosto o ai fondali di dannunziani meriggi. La grande casa nella sua laconica condizione di nuovo centro del Parco delle Alpi Apuane pare contenere tutto questo, riverberando al medesimo tempo l’ultimo silenzio di questi luoghi. Quel silenzio che sempre incombe, grave, dopo l’esplosione di mine che aprono nuove brecce, dopo lo sfrigolio del filo elicoidale che termina di tagliare la vena marmifera, dopo il passaggio dei camion carichi di blocchi che svaniscono nella bianca polvere di strade incise con geometrica precisione nei fianchi scoscesi di queste montagne. Silenzio che si trasforma in architettura, muta perché indicibile. Questo ci pare di ascoltare nelle pagine che seguono. Andrea Innocenzo Volpe Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Apua Mater


Particolare della Carta Topografica e Geometrica della Toscana, Giovanni Inghirami, 1831


Tre Fiumi, l'occasione della Val d'Arni

Il Piano per il Parco delle Alpi Apuane 2014 individua la località Tre Fiumi (Stazzema, LU) come Area di Promozione Economica e Sociale destinata allo sviluppo delle attività dei residenti e dei visitatori prevedendo la realizzazione di un Progetto Locale Integrato volto a definire un insieme organico di interventi di valorizzazione territoriale. Nello specifico suggerisce la riconversione e la riqualifica dell’Area con il recupero dei sedimi e delle strutture dismesse dalle attività estrattive. Questa pubblicazione raccoglie una tesi di laurea in Progettazione architettonica che ha scelto di seguire queste previsioni di Piano e ha cercato di dare per l’intera area di Tre Fiumi -’cuore’ delle Alpi Apuane- una visione di un possibile e mnèmone futuro.

Apua Mater è il titolo di una raccolta di sonetti del poeta ligure Ceccardo Roccatagliata Cecconi. Sotto il medesimo titolo e sotto l’influenza di comuni -almeno in parte- moti d’animo, questo progetto ha trovato la sua forma e le sue misure inseguendo le tracce via via riscoperte da una sentita ricerca sulla storia e sul carattere di questa valle. Dopo una serie di immagini storiche, ritenute una prima ed efficace introduzione ai luoghi interessati da questo lavoro, sono qui pubblicati un estratto della relazione di tesi e una selezione di alcune tavole di progetto, insieme alle foto dei tre modelli realizzati in occasione della discussione della tesi di laurea, avvenuta a Firenze nel luglio 2016.

Centootto anni prima, nel 1908, veniva stampato a Parigi un prezioso volume con tiratura limitata, era l’album fotografico “Seravezza. Du Forte dei Marmi à l’Altissimo et au Val d’Arni”, al suo interno una serie di fotografie in bianco nero documentavano un viaggio a ritroso, il viaggio dei grandi blocchi di ‘pietra splendente’ del Monte Altissimo e della Val d’Arni. Questi marmi, una volta ‘rubati’ alla montagna, venivano raccolti in piazzali di cava come quello di Tre Fiumi e successivamente trasportati verso il mare, a Forte dei Marmi. Dal mare della Versilia al centro delle Alpi Apuane dunque, le immagini che seguono raccontano questi paesaggi e ci accompagnano verso l’area di progetto.

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Panorama delle Alpi Apuane da Forte dei Marmi, da Sancholle Henraux J. B. 1908, Seravezza. Da Forte dei Marmi all’Altissimo e alla Val d’Arni, ristampa Edizioni Monte Altissimo, 2000.


Querceta, deposito Henraux, brecce, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Seravezza, Casa Henraux alla Fucina, Trasporto di un blocco di statuario, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Seravezza, strada Henraux di Mortigliani, l'Altissimo, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Strada provinciale d'Arni e strada Henraux del Cipollaio, entrata sud della Galleria del Cipollaio, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Val d’Arni, il "Crocicchio", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Altissimo, Fondone, cava "Porracci", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Strada Henraux nella Val d'Arni, taglio col filo nella cava "Fantastico", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Altissimo, lizzatura, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Arni, cava del "Carpinaccio", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Altissimo, Fondone, cava "Granolesa", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Arni, cava "Colle di Capo", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Arni, cava di "Tre Fiumi", da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.


Val d'Arni, Tre Fiumi, da Sancholle Henraux J. B. 1908, op. cit.

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Lorenzo Viani, Lavoratori del marmo in Versilia, 1933-1936


Un progetto per il Parco delle Alpi Apuane

Forse era la Versilia che gli tornava nel sangue, l’Alta Versilia, quella dura, quella che a sera non ti lascia forza nelle braccia, che ti fa soffrire per una giornata di pioggia perché non puoi lavorare, che ti fa imprecare quando la cattiva stagione, la neve, arriva troppo presto. (Sirio Gianniniì, La valle bianca)

Nòstos: ritorno al paese. Àlgos: dolore. 'Nostalgia' nel suo significato autentico di malattia dalla quale solo a casa si può guarire. Nel romanzo La valle bianca di Sirio Giannini, Stefano, il protagonista, non ha più voglia di niente, arreso torna al suo paese sulle Alpi Apuane con l’unico desiderio di trovare un po’ di pace, di fermarsi. Non troverà la consolazione e il riposo sperato ma la voglia di rinascere, “una vitalità che mai più di allora vi aveva avuto”. Proprio qui, in Val d’Arni, Stefano riaprirà la cava di suo padre. Per prendere pezzi di queste montagne era necessario lasciare pezzi di sé, poi non si era più completi lontani da qua, non più 'noi' lontani da casa. In un articolo sul Corriere della Sera del 18 novembre 1934 Curzio Malaparte si

interrogava sulla Versilia prima dell’Alcyone chiedendosi se non fosse stato D’Annunzio stesso ad inventarla. Forse è così, forse le spiagge erano soltanto sabbia e le pinete soltanto alberi, difficile è pensare lo stesso di queste montagne, da sempre abitate dagli uomini e dalle loro divinità, da sempre lì, ferme, a muovere l’animo di chi le guarda. Le Alpi Apuane fino al 1800 erano chiamate Panie: oronimo arcaico legato alla morfologia di questi monti così come ad un culto che per molto tempo ha fatto di queste cime una vasta area sacra1. La base preromana penna/pe(i)na/ pa(i)na sta per monte di pietra/picco montano e Penn/Poeninus era il dio venerato dalle popolazioni montane2, è dunque possibile che in zona apuana questa base fosse utilizzata sia per indicare cime rocciose che alture dove si svolgevano cerimonie religiose3.

Non a caso Lorenzo Viani chiamò "cattedrale di pietrame celeste"4 l’edificio geologico del Monte Altissimo, facciata sul mare della Val d'Arni. Qui papa Leone X decise di far cavare i marmi per la facciata della chiesa fiorentina di San Lorenzo, affidando a Michelangelo Buonarroti oltre che al progetto architettonico anche l’incarico di estrarre i marmi necessari5. I lavori iniziarono nel 1518 con la costruzione di una strada che avrebe dovuto raggiungere i bacini dell’Altissimo dai quali Michelangelo aveva ottenuto il permesso a vita di «cavar et far cavare di detti luoghi tutti quelli marmi […] che lui vorrà»6. Purtroppo già nel 1520, dopo tre anni trascorsi non senza difficoltà7, Michelangelo fu sollevato dall’incarico con un breve di Leone X.

In Viani L. 1919, Ritorno alla patria, Alpes. “[…] per el Comune di Pietrasanta e Seravezza e la Cappella e maxime e’ monti chiamati l’Altissimo […] (Arch. Buon.; in Milanesi Lett. e contr., 679-80)” Delibera dei Provveditori dell’arte della Lana del 22 aprile 1518 in Giannini F. 1996, Michelangelo all’Altissimo: 1515-1518, Il Dialogo. 6 Ibidem. 7 “..e non m’ànno ancora scavata una scaglia di marmo che buona sia … Io ho tolto a resuscitar morti a voler domesticar questi monti … Oh, maledetto mille volte el dì e l’ora che io mi part’ da Carrara …” (Museo Britannico; in Milanesi Lett., 13738) in Giannini F., op. cit.. 4 5

1 Marcuccetti L. 2004, Sopravvivenze preromane in Versilia e nell’area Apuo Friniate. Relitti toponomastici sulle Alpi Apuane: i nomi delle montagne, in Studi Versiliesi XIV, Istituto Storico Lucchese. 2 “Sed ab eo, quem in summo sacratum vertice Poeninum montani appellant”. Tito Livio, Ab Urbe còndita XXI, 38, 9. Tito Livio collega il nome del dio romano delle montagne Appenninus con Penn/Poeninus, dio onorato da popolazioni montane locali. 3 Come è documentato dalla grande quantità di incisioni rupestri. Si veda: Guidi O. 1992, Incisioni rupestri in Garfagnana, Pacini Fazzi.

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Fotogrammi dal documentario I cavatori, Francesco Tarabella, ITA, 1958.


L’anno successivo si fermano definitivamente i lavori. Le cave dell’Altissimo furono comunque raggiunte nel 1567 per volere di Cosimo I de’ Medici e la Fiorenza del Giambologna fu «la prima figoura di marmi bianco ocire fuora di quel monto del Haltissimo»8. Dopo la caduta dei Medici queste cave conobbero un lungo periodo di abbandono che durò fino al 1820 quando Marco Borrini, imprenditore locale, acquistò dalla Comunità di Seravezza 275 staia di terreno sul Monte Altissimo9 impegnandosi a riattivare le escavazioni in associazione con l'incaricato della monarchia restaurata all’acquisto dei marmi di Carrara: l’ex ufficiale napoleonico Jean Baptiste Henreaux. Nel 1884 furono i discendenti di Jean Baptiste Henreaux Henreaux ad acquistare un terzo della Società d’Arni 8 “[…] Et grando espaso a vedero balavo omnia, vece et dona, per la gran satisfasion que àno avouto a vedero la prima figoura di marmi bianco ocire fuora di quel monto del Haltissimo et ano fatto tanta el gran cridara palle palle, qui per me crede che saverano sentito sino Carrare.” Giovanni Bologna al Principice Francesco. Da Seravezza 24 Maggio 1568 (Arch. c. Carteggio c. filza 211) in Gaye J. W., Von Reumont A. 1840, Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV, XVI, Volume III, Molini. 9 Paolicchi C., Della Ducata M. 2007, Henreaux dal 1821: progetto e materiali per un museo d’impresa, Bandecchi & Vivaldi.

per la Escavazione, Lavorazione e Vendita dei Marmi diventando proprietari di gran parte del bacino della Valle che grazie alla nuova strada d’Arni10 era per la prima volta collegata direttamente con la Versilia. Il destino del paese cambiò: molte nuove cave furono aperte, si pensava che Arni diventasse a breve una nuova Carrara11. Gli equilibri del paese mutarono completamente, da comunità di pastori Arni si trasformò definitivamente in paese di cavatori 12. In circa un decennio da 359 abitanti si potevano contare più di mille anime13. La nuova economia dell’industria marmifera sostituì in poco tempo la strut-

10 Nel 1874 la Società d’Arni firma una convenzione con la provincia di Lucca per l’incarico della costruzione della nuova strada. Nell’agosto del 1878 cade l’ultimo diaframma di roccia all’interno della galleria del Cipollaio 11 “[…] le migliori condizioni per lo sviluppo di un’industria colossale, fatta la strada, Arni diventerà una nuova Carrara”, dal resoconto di un viaggio Antonio Stoppani nella Val d’Arni nel 1872, in Gierut L. et al. 2000, La valle di marmo, Petrartedizioni. 12 Fino ad allora in questi paesi di montagna era esistita un'edilizia assai modesta: abitazioni in pietra spesso non intonacata si componevano di un numero limitatissimo di vani: cucina, dispensa, camera. Vedi Biasutti R. 1928, La casa rurale nella Toscana, Forni. 13 Gierut L. et al., op. cit.

tura sociale statica tipica di queste comunità rurali dell’area Apuana: i sistemi chiusi disciplinati dai cicli stagionali delle semine e della pastorizia secondo consuetudini secolari vennero spazzati via. Fino ad allora buona parte della popolazione possedeva particelle di terreno a quote elevate, negli alpeggi, qui stagionalmente si portavano gli animali e si viveva in piccole abitazioni in pietra chiamate capanne.14 Fino ad allora immobile nel tempo, su questi pendii si era affaticata un’umanità povera e silenziosa che aveva affrontato le tante difficoltà e le annate più dure forte d’una fede testimoniata dalle molte immagini votive presenti nel territorio. Le maestà, o maestaine15, sono bassorilievi marmorei di Santi e Madonne che rappresentano un fenomeno caratteristico di tutta l’area apuo-lunese. Segni di una religiosità popolare ben Solitamente, per sfruttare la forte pendenza del terreno, erano composte da due vani rettangolari sovrapposti e indipendenti con copertura a doppia falda. 15 Nel “[...] IV secolo, dove maiestas compare come appellativo rivolto alla divinità e ai santi, riferito ad una processione di reliquiari portati trionfalmente attraverso la città di Ruen.” da Caterina R. 1992, Preghiere di pietra. Le maestà della Lunigiana tra il XV e il XIX secolo, Ponte alle Grazie. 14

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Una delle molte marginette delle Alpi Apuane


radicata nel territorio16, si diffusero probabilmente a partire dal XV sec.17 trovando posto in tabernacoli, nicchie sopra le porte di accesso dei borghi e delle case, su pilastri innalzati presso guadi, abbeveratoi, o a protezione di luoghi che i racconti animavano di antiche paure, ma soprattutto lungo i sentieri, riposte in piccole cappelle di pietra che scandivano il percorso dei viandanti. La costruzione di un numero così elevato di tali piccole architetture, chiamate marginette, era motivata sia dal sentimento religioso che da un’utilità pratica essendo queste anche ripari dalle frequenti intemperie e punti di riposo lungo i faticosi tragitti delle genti del posto. Vicino al paese tre muri di pietra disposti ad U reggono un tetto ligneo a capanna ricoperto con piastre di lavagna, mentre in altura questi tabernacoli sono costruiti completamente in pietra, voltati o coperti con grandi lastre monolitiche. Là dove pendenza è forte “Ognuno voleva avere sulla porta dell’abitazione una piccola immagine a tutela della casa e della vita, scolpita in quel marmo che rappresentava il suo lavoro e la sua ricchezza […]”, in Bizzarri A. Giampaoli G. 1939, Guida di Carrara, storico, artistica, industriale, commerciale e turistica, Banca Giampaoli. 17 Ibidem. 16

soltanto due setti escono dalla montagna lasciando la parete rocciosa a chiudere il piccolo spazio sacro. Il contatto con la nuda roccia è un carattere costante della storia dell’uomo su queste montagne: dalle caverne abitate fin dalla preistoria18 alla moltitudine di architetture che sfruttano le pareti naturali, come i santuari d’abri19 o il noto eremo di Calomini20. Nei pressi di Campagrina, scolpita nel marmo quasi sul greto della Turrite Secca, è la maestà di San Michele Arcangelo a segnare uno dei punti più importanti per la storia di questa valle. Qui, dove il guado del torrente risulta più facile, troviamo l’antica chiesa a navata unica di Santa Maria Maddalena con il suo campanile co18 Grotta all’Onda, non lontana, è una cavità preistorica di circa 40 per 60 metri, I primi abitanti della caverna sono stati i neandertaliani. 19 Un esempio poco lonatno si trova sul Monte Roccandagia, dove l’Eremo di San Viano è incastonato nella roccia a circa 1090 s.l.m.. Tutta la popolazione di Vagli è fortemente devota a Beato Viano divenuto prima protettore dei pastori e successivamente dei cavatori. 20 Il santuario venne edificato intorno all’anno Mille scavando nella roccia a ridosso di uno strapiombo. La roccia viva è tuttora visibile nel presbiterio e nella sacrestia. Gli eremiti di Calomini ne hanno avuto cura per cinque secoli, fino al 1868, ora la custodia è affidata ai padri cappuccini di Lucca.

struito direttamente sulla roccia 21. Il popolo di Basati non scelse certo casualmente per la sua chiesa questo luogo strategico, punto di contatto di due mondi: la Garfagnana estense e la Versilia fiorentina. Per secoli questa valle è stata infatti un'area di confine tra diverse comunità che ben rappresentavano modelli di unità demo-territoriali apuane22, ovvero popolazioni che durante i mesi freddi vivevano in villaggi semi-stanziali tra i 400 e i 700 metri s.l.m mentre d’estate si spostavano con i pascoli in quota, negli alpeggi: terre ricche di acqua ed erbe, divise tra più comunità secondo antiche consuetudini. Anche a causa di queste particolari usanze già dal XIII secolo abbiamo testimonianze di liti di confine dovute al venir sempre meno della forza delle istituzioni comunitaristiche liguro-apuane e dall’affermarsi degli stati regionali che necessitavano confini chiari per il controllo sul traffico delle merci. 21 Il campanile si trova ad una decina di metri di distanza e risale, secondo tradizione, al XVI secolo. Vedi Gierut L. et al., op. cit.. 22 Le comunità che che da secoli condividono e lottano per queste terre di confine sono: La Capella, Vagli, Antona-Resceto e Terrinca.

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Tombe a cassetta liguro-apuane, Museo Archeologico Versiliese “Bruno Antonucci�, Pietrasanta


Fin da tempi remoti pastori quasi per niente romanizzati si spartirono la valle e proprio con le loro abitazioni stagionali nacque probabilmente il primo nucleo del paese23. Ad ogni modo le prime notizie di un insediamento stabile risalgono soltanto al XVII secolo quando alcune famiglie di pastori vaglini si trasferirono in Arni24, trasformandola da alpeggio abitato stagionalmente a piccolo paese di montagna. Due secoli dopo, nei primi anni dell’Ottocento, si contavano circa centocinquanta abitanti25. Le prime tracce della presenza dell’uomo sono però molto più antiche: in località La Rocchetta ad esempio, a pochi passi dalla chiesa di Santa Maria Maddalena in Campagrina, sono documentati ritrovamenti risalenti all’età del bronzo e su due massi di marmo vicini alla maestaina di San Michele si possono osservare diverse incisioni rupestri, probabili testimonianLe prime notizie di Arni come gruppo di capanne risalgono al Milletrecento. Da Verdigi M. 1979, Arni, cenni storici, s.n. 24 Verdigi M. 1994, Vagli, terre di frontiera, Pacini Fazzi. 25 Gierut L. et. al., op.cit. 23

ze di epoche e culti ancora più antichi26. Quasi certamente si può affermare che l’usanza degli alpeggi è figlia della tradizione dei compascua liguro-apuani e della costituzione sociale a base comunistica di queste tribù che organizzavano i propri insediamenti attorno ai così detti conciliaboli: praterie d’altura condivise che potevano essere anche aree sacre o comunque luoghi di raduno per le diverse comunità. Di queste popolazioni di probabile origine celtica che occupavano il territorio apuano già molto prima dell’arrivo dei romani ci sono pervenute poche informazioni, provenienti principalmente dai ritrovamenti archeologici e dalla storiografia classica. Diodoro Siculo scrive: “Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenute nel lavoro. […] Vivendo di conseguenza sulle montagne coperte di neve ed essendo soliti affrontare dislivelli incredibili sono forti e muscolosi nei corpi […] Trascorrono la notte nei

campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali”27. Tito Livio, colpito dalla tempra e dalla tenacia dei guerrieri apuani, ci racconta di come “non mancavano mai né occasioni né motivi per combattere perché a causa della povertà dei loro territori compivano incursioni nelle campagne vicine”28. Per quanto riguarda I ritrovamenti archeologici, questi consistono fondamentalmente nelle statue-stele e nelle tombe a cassetta. Le statue-stele sono sculture a carattere antropomorfo eseguite su monoliti di pietra e rappresentano un’importante testimonianza di quella di cultura delle pietre sviluppatasi nell’Eneolitico in tutta Europa. I ritrovamenti di queste figure, prevalentemente maschili ed armate, sono concentrati nella Lunigiana e hanno una datazione che copre un periodo molto esteso che

Diodoro Siculo, Biblioteca IV, 20,1,2. Tito Livio, A Urbe condita libri XXXIX,1. Sempre Tito Livio ci informa che l’animo bellicoso di queste tribù, che conobbero anche importanti vittorie contro l’esercito romano, fu sedato solo nel 180 a.C. con la deportazione di circa 40.000 individui nel Sannio. 27

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Guidi O. et al. 1985, Il Mesolitico della Garfagnana: l’uomo nell’alta valle del Serchio nel finiglaciale e nel primo postglaciale, le nuove scoperte, Gasperetti.

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Estratto Carta Tecnica Regionale Toscana originale 1:5000, 1974


va dal III millennio a.C. al III secolo a.C.29 Le tombe a cassetta costituiscono l'altra e più diffusa tipologia di ritrovamenti archeologici. I liguri apuani praticavano infatti il rito dell’incinerazione e i loro campi di urne erano formati da raggruppamenti di queste tombe a cassetta, vere e proprie scatole litiche costruite con sei lastre di pietra: quattro affondate nella terra a costituire le pareti, una sdraiata sul fondo ed un'ultima appoggiata sulle quattro. Un’importante necropoli apuana è stata scoperta a Levigliani30, alle porte della Valle di Arni, sulla strada che dalla Versilia arriva in Garfagnana. Proprio di qui, nel 1872, passò il geologo Antonio Stoppani che mentre si recava ad Arni ben descrisse il carattere della Valle vista dall’alto del Cipollaio:

Una prova di come ancora nel XVIII secolo esistessero culti o credenze legate a questi monoliti potrebbe essere un’epigrafe in marmo di età longobarda, adesso nella chiesa di San Giorgio a Filatteri, che si riferisce probabilemnte alle statue-stele quando ricorda un certo Leodegar per avere spezzato “gli idoli pagani”. 30 Bartelletti A. 2002, La scoperta delle necropoli liguri apuane di Levigliani di Stazzema e Minazzana di Seravezza, in Acta Apuana I, Parco Apuane. 29

Bisogna veramente che io paragoni la valle d’Arni […] ad un vasto cratère dall'orlo dentato? Le maggiori cime, che si slanciano dalla muraglia irregolare del circo, cingendo quasi d'un diadèma la valle […]. I fianchi di quelle montagne sono incisi da un gruppo di valli, percorse da altrettanti torrènti, che discéndono come raggi dalla periferia al cèntro d'un imbuto, ossia al fondo del bacino. Tutti quei torrènti, finché córrono isolati pel rispettivo pendio, benché pòveri d'acque, rumoreggiano e spumano. Ma còsa singolare? Sul fondo ove tutti si accostano in luògo di unirsi a dar vita a più vasto torrènte, si pèrdono prima d' incontrarsi. In luògo d'un torrènte non abbiamo che un lètto asciutto, tutto sparso di massi di càndido marmo. (Antonio Stoppani, Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali) Per chi arriva dalla Versilia la porta della Val d'Arni è una pupilla nera di una montagna che guarda verso il mare, poi 1135 metri di buio, la nuda roccia parete di una galleria che scende in linea retta. Una soglia fisica che costringe ad una momentanea cecità, all’oscurità di un percorso che diventa pre-

paratorio. Sogno o son desto? La domanda sorge spontanea dopo il passaggio dall’"amèna valle" al "borro irto di rupi"31 che ci appare alla fine della galleria: “[…] Nulla di più ermo, di più desolato, di più àrido. Immaginatevi quasi una corrente di massi in atto di rotolare l’uno sull’altro.”32 Nel suo viaggio ad Arni lo Stoppani arrivò probabilmente fino alla località di Tre Fiumi che allora più di oggi si doveva presentare come uno slargo abbagliante, una rara area pianeggiante 750 metri sul livello del mare, il fondo di una coppa di rocce bianche che si apriva alla luce ed invitava alla sosta. Dell’intero bacino marmifero della Valle Tre Fiumi è sempre stato il fulcro, dal 1878 qui si raccoglievano i blocchi di marmo che partivano per la Versilia33 e sempre qui terminava la tratta della Tranvia Alta Versilia per servizio passeggeri e merci che dal 1926 al 1951 collegò Arni con Forte dei Marmi34. 31 Stoppani A., 1915, Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, Cogliati. 32 Ibidem. 33 I blocchi venivano trasportati a valle a bordo della così detta ciabattona: una particolare macchina a vapore che procedeva con molta lentezza su ruote metalliche. Vedi Federigi F. 1981, Meraviglie versiliesi dell’Ottocento, Versilia oggi. 34 Betti Carboncini A. 1984, I treni del marmo. Ferrovie e tramvie della Versilia e delle Alpi Apuane, ETR.

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Il piazzale di Tre Fiumi, 2016


Di fronte ai boschi di faggi del Monte Freddone e alla più antica e annerita marmoraia della Voltaccia, davanti a quello che oggi è un largo piazzale vuoto ed abbandonato, negli anni cinquanta è stato aperto un passaggio nella roccia con dinamite e filo elicoidale. Una grande fessura nella parete rocciosa si erge sulla strada ed è ingresso monumentale alla cava dismessa Le Tagliate. Aperta al cielo come un anfiteatro scavato nella montagna35, la cava è un suggestivo punto di sosta per turisti e persone di passaggio sulla via provinciale SP13 per Castelnuovo di Garfagnana. Affacciate sul grande piazzale di Tre Fiumi oggi rimangono solo rovine: lo scheletro arrugginito di quella che era la segheria, due modesti corpi di fabbrica in pietra, un deposito di proprietà della società Henraux S.p.A., un edificio di due piani anch’esso abbandonato denominato Ex-Locanda La Romana e un ultima costruzione, un tempo La cava, dismessa da più di 20 anni, è ormai un'affascinate rovina di marmo. “Forse le diffuse fratture e le scoppiature per forzatura scorgibili ad occhio e confermate dalle analisi [...] od i diffusi fenomeni di «macchia avvolta» che non garantiscono l’auspicata unitarietà del blocco hanno dissuaso l’impresa a proseguire oltre”, da Arrigoni F., op. cit.

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di servizio al lavoro di cava, che è stata recentemente ristrutturata dal Parco delle Alpi Apuane e adibita a museo di archeologia industriale. Tranne quest’ultimo, tutti gli edifici si trovano in un preoccupante stato di degrado ed abbandono. Il Piano per il Parco delle Alpi Apuane 2014 include la località Tre Fiumi nelle Aree di Promozione Economica e Sociale destinate allo sviluppo delle attività dei residenti e dei visitatori e prevede la realizzazione di un Progetto Locale Integrato volto a definire un insieme organico di interventi di valorizzazione territoriale. Nelle Norme Tecniche di Attuazione (Art. 6, punto 2, c2) il Piano suggerisce la riconversione e la riqualifica dell’area, il recupero dei sedimi di cava e delle strutture dismesse. Le linee guida individuate dagli strumenti urbanistici prevedono, anche con nuova edificazione, la progettazione di spazi per la sosta e per l’organizzazione di eventi o manifestazioni temporanee ed il recupero con destinazione didattico-turistica dei corpi di fabbrica dismessi attraverso la creazione di spazi per la lavorazione arti-

stica del marmo, una foresteria ed un centro informazioni, oltre che ad un museo di archeologia industriale. L’interesse per questa località non è recente, già tutti gli strumenti di pianificazione territoriale precedenti hanno individuato questa area come la protagonista di un possibile intervento di rilancio turistico delle Alpi Apuane. Tre Fiumi si trova infatti in una posizione strategica e baricentrica rispetto all’intero Parco: un'isola nel cuore di queste montagne che è anche crocevia dei principali assi di comunicazione del territorio. Punto d’incontro tra Versilia, Massa e Garfagnana, da almeno venti anni Tre Fiumi si trova in stato di degrado ed abbandono e manifesta con forza le sue grandi potenzialità in un paesaggio estremamente suggestivo e caratteristico. Si presenta oggi come l'unica area adatta ad ospitare un progetto di rilancio di grande respiro che possa considerare molte delle reti e degli enti coinvolti nella fruizione delle Alpi Apuane. Un grande punto di forza di quest’area è infatti la sua collocazione centrale anche rispetto alla rete dei rifugi e dei

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Le cave di marmo d’Arni, 1893, foto di Giorgio Roster, Archivio Fotofrafie Roster I, Firenze, Museo Galileo


sentieri CAI36 che attraversano queste montagne, così come rispetto ad una serie di punti ad alto interesse naturalistico e storico che potrebbero conoscere nuova vita grazie a ponderati e sistemici interventi di recupero. Partendo da Tre Fiumi e passando per il borgo abbandonato di Campanice37 è possibile raggiungere in poco tempo l’alpeggio del Puntato38, gli abissi del complesso carsico del monte Corchia39 e vedere il dolmen del Monte Freddone che alcuni studiosi fanno risalire al III millenio a.C..40 Da Campanice è possibile inoltre raggiungere Betigna e le cime dell’Altissimo, alle quali si può arrivare anche da Campagrina partendo dalla chiesa di Santa Maria Maddalena collegata da antichi sentieri all’abitato

Il Club Alpino Italiano grazie al contributo dei soci cura i sentieri del Parco. La doppia linea bianco-rossa è il filo d’Arianna degli escursionisti. 37 L’Alpe di Campanice è abbandonata e le antiche abitazioni sono cadenti, l’antico oratorio è stato invece restaurato e portato a nuova vita nel 1997. 38 Nell’alpeggio del Puntato, abitato fino agli anni quaranta da una comunità di pastori, oggi si può alloggiare in alcune delle vecchie case. 39 Il complesso carsico del monte Corchia, è il più esteso complesso carsico d’Italia, con circa 64 km di gallerie conosciute. Geosito di interesse internazionale, fu scoperto nel 1840. 40 Calzolari E. 2011, Il dolmen del Freddone, atti del XI Convegno Annuale della Società Italiana di Archeoastronomia. 36

di Basati e molto vicina anche al Parco dell’Arte Rupestre Preistorica. Dal Rifugio Puliti di Arni, oltre all’Altissimo e all’Orto Botanico Pellegrini, si può arrivare alla valle di Arnetola e poi fino a Campocatino e Vagli di Sopra. Anche Vagli di Sotto è raggiungibile da Arni, prendendo il sentiero CAI 144 che passando per il bosco di Fatonero sale sulla cima del Monte Sumbra per poi scendere fino a Vaiano. Sempre da Tre Fiumi, seguendo a piedi il percorso della Turrite Secca come un tempo facevano gli arnini per arrivare ad Isola Santa e a Castelnuovo, è possibile fermarsi ad ammirare le Marmitte dei Giganti: grandi cavità a forma di paiolo scavate nella roccia in epoca glaciale dall’azione delle acque e dei detriti. La visita del bacino marmifero sarebbe ad ogni modo l’attrazione principale, oltre a Le Tagliate infatti, molte delle suggestive cave che si annidano nella valle sono comodamente raggiungibili con l’utilizzo di mezzi fuoristrada41. La partenza dei mezzi di trasporto po-

41 Visite turistiche alle cave con l’utilizzo di mezzi di trasporto fuoristrada potrebbero essere organizzate sul modello di quelle che si svolgono presso le cave Fantiscritti a Carrara.

trebbe avvenire alle pendici della marmoraia della Voltaccia, nella zona più a nord dell’area, dove con una risistemazione dei detriti si potrebbero collocare discretamente i parcheggi necessari, una fermata delle linee di trasporto pubblico ed una per eventuali navette che nella stagione estiva potrebbero effettuare circuiti turistici42. La cava Le Tagliate, che con la dovuta messa in sicurezza potrebbe ospitare concerti e rappresentazione teatrali, con la sua porta monumentale segnerebbe anche l’ingresso al nuovo Centro del Parco delle Alpi Apuane, dopodichè, sulla sinistra il deposito abbandonato della Società Henraux potrebbe ospitare un atelier di scultura per artisti e corsi didattici che avrebbero la possibilità di sfruttare l’abbondante materiale di recupero. Più avanti l’edificio Ex-Locanda La Romana potrebbe di nuovo funzionare da punto ristoro per i visitatori, al piano superiore tre camerate da otto letti e due stanze matrimoniali darebbero la possibilità di organizzare veri e propri soggior42 Una proposta di questo tipo è stata avanzata in Secchiari L. 2007, Il Parco delle Alpi Apuane. Una proposta per la fruizione, ETS.

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La nuova Casa del Parco, modello in marmo fotografato presso la cava “Le Tagliate�, Tre Fiumi


ni formativo-ricreativi legati alla cultura del marmo e alla natura delle Alpi Apuane. L’obbiettivo è la rinascita di questa località come nuovo Centro del Parco delle Alpi Apuane, come impulso per l’attivazione di una serie di progetti di recupero e di fruizione di molte aree in degrado ma con un grande potenziale troppo spesso trascurato. Un intervento che cerca di rispettare il carattere del luogo e degli edifici preesistenti conservandone le misure e i materiali, pochi e mirati interventi che tengono conto della difficile situazione economica attuale. L’unica nuova costruzione è pensata sul piazzale di cava: un centro visitatori, un grande spazio coperto che possa ospitare anche conferenze o mostre temporanee e sia edificio rappresentativo del Parco delle Alpi Apuane. Una nuova costruzione che in realtà è una ri-costruzione: un ri-mettere-assieme cose, davanti a rovine delle quali stiamo perdendo i significati un’operazione archeologica di riconoscimento. La nuova Casa del Parco delle Alpi Apuane è prima di tutto la ricostruzio-

ne di case già esistite, di un’immagine sbiadita nella memoria di questa Valle, è un atto di fede di chi crede non sia ancora tutto perduto. Marmo su marmo, così si costruiva, e così si è formato questo ravaneto43: alveo di un torrente che non conosce acqua ma solo pietra, scarti di cava rotolati giù, ammassati fino a creare un nuovo letto candido e lucente. Tutto bianco, tutto di marmo: il suolo sotto i piedi, le pareti di roccia, le costruzioni dell’uomo. Nella valle quasi ogni cava aveva una casa, una capanna spesso di un unico ambiente, abitazione della famiglia di colui che la custodiva o tetto comune per i cavatori sotto il quale dopo le dure fatiche si condividevano pranzi frugali: pane, lardo, vino. “Il ravaneto dalla radice mediterranea prelatina *rava «massa di detriti» – è l’accumulo dei resti di lavorazione, di scaglie che sovente fiancheggia i siti di estrazione: bianchi e splendenti se regolarmente implementati, abbuiati e quasi irriconoscibili se il tempo permette loro l’ossidazione dei litoidi e di ospitare arbusti […]. «Sotto il piazzale poi delle cave scende rovinosamente il cumulo dei detriti di marmo che l’escavazione continuamente aumenta. Scende colmando insenature, sfaldandosi per i versanti dei balzi, ammucchiandosi in fondo alla vallata […]» Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Dai paesi dell’anarchia (1894), a cura di P. Puccini, Maria Pacini Fazzi, Lucca 2001.” da Arrigoni F., op. cit.

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È una stupenda montagna; d’una luce bianca, assoluta. Il marmo ha una forza d’irradiazione, uno splendore fermo, maggiori di quelli del ghiaccio. Risaltano su quel bianco, le bocche di leone, le margherite gialle. Assisto al lavoro dei lizzatori, che fanno scivolare a valle sulle piste blocchi squadrati; lavoro faticoso e pericoloso, per il rischio di essere travolti; rischio e solitudine hanno generato negli anni un sentimento insieme fatalistico e liberatorio. Le squadre di lizzatori al lavoro, in lotta col blocco che scende, parlano per lo più cantando; apprezzamenti e incitamenti sono portati in cantilene, o meglio in una specie di canto di chiesa; che riecheggia tra le montagne […]. E c’è anche in queste cave, un senso di gioia. La luce bianca delle cave porta, in chi vi passa, un’accensione dei pensieri, quasi un’esaltazione, la casa dove ho sostato era piena di quel riflesso… (Guido Piovene, Viaggio in Italia)

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La nuova Casa del Parco, modello in marmo fotografato presso la cava “Le Tagliate�, Tre Fiumi


Una foto di Tre Fiumi scattata nel 1893 mostra con chiarezza questo paesaggio: tutto è roccia, una montagna è un corpo ferito, due capanne di pietra nascono dal suo sangue bianco. Allo stesso modo di quelle case, oggi tra i blocchi di questo ravaneto ne emerge uno più grande, un pezzo di montagna rotolato a valle. Allo stesso modo delle cassette di pietra apuane due lastre inclinate escono dalla terra, su queste poggia una terza: un trilite si erge sull’antica via per Isola Santa e ripete il rito di quelle marginette che come un mantello stellato ricoprono queste montagne. L’architettura si riappropria di memorie che stiamo perdendo, di un’identità che svanisce. Un’architettura naturata, passaggio dalla scala della cava alla scala dell’uomo, un’architettura che appartiene fi-

sicamente alla montagna dalla quale nasce, costruita con essa: la massa dei due setti, bianchi di quella polvere di marmo che entra nella pasta del calcestruzzo, è data dalla presenza di grandi inerti di cava nell’opus caementicium interno. Al centro di questo cratere alpino, tra la terra e il cielo, nasce da macerie di marmo una montagna tra le montagne, su un letto di pietra bianca la sua ombra segna il tempo che scorre. Con la forza che solo ciò che è arcaico possiede, un figlio guarda il ventre di sua madre, sua misura; un occhio fissa un istante della storia di questi monti catturando la loro luce e conducendola nella terra. Là, nel punto di maggiore intensità, un attimo prima del buio una lama di luce rivela l’architettura e ci ricorda che non finisce tutto lì.

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Disegni e modelli

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Planmetria, 90x90 cm, scala 1:5000


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Planivolumetrico, 90x90 cm, scala 1:500


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Pianta dei piani terra, 90x90 cm, scala 1:300


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Sezione, 90x90cm, scala 1:300


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Modello in legno, scala 1:5000


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Modello in cartonlegno, scala 1:500


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Modello in marmo, scala 1:50


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Roccatagliata Ceccardi C. 1905, Apua Mater, Tipografia Alberto Marchi

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Indice

Marmi Paolo Zermani

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Di marmo, di silenzio Andrea Innocenzo Volpe

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Apua Mater

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Tre Fiumi, l'occasione della Val d'Arni

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Un progetto per il Parco delle Alpi Apuane

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Disegni e modelli

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Bibliografia

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Gennaio 2018



Il Piano per il Parco delle Alpi Apuane 2014 individua la località Tre Fiumi (Stazzema, LU) come Area di Promozione Economica e Sociale destinata allo sviluppo delle attività dei residenti e dei visitatori prevedendo la realizzazione di un Progetto Locale Integrato volto a definire un insieme organico di interventi di valorizzazione territoriale. Nello specifico suggerisce la riconversione e la riqualifica dell’Area con il recupero dei sedimi e delle strutture dismesse dalle attività estrattive. Questa pubblicazione raccoglie una tesi di laurea in Progettazione architettonica che ha scelto di seguire queste previsioni di Piano e ha cercato di dare per l’intera area di Tre Fiumi — ’cuore’ delle Alpi Apuane — una visione di un possibile e mnèmone futuro. Edoardo Cresci. Viareggio, 1990, architetto. Studia a Firenze e Berlino laureandosi nel 2016 con la tesi presentata in questa pubblicazione, relatore Paolo Zermani. Dallo stesso anno è dottorando in Progettazione Architettonica e Urbana e cultore della materia nel Laboratorio di Progettazione III (prof. Andrea Innocenzo Volpe) e nel Laboratorio di Progettazione V (prof. Paolo Zermani) della Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze.

ISBN 978-88-3338-008-7

9 788833 380087


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