Dal flusso al progetto | Bartali, Galletti, Tanganelli

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lorenzo bartali giulio galletti alessio tanganelli

Dal flusso al progetto Analisi e gestione dei flussi per un rapporto cittĂ -campagna


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture (DIDA). Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


lorenzo bartali giulio galletti alessio tanganelli

Dal flusso al progetto Analisi e gestione dei flussi per un rapporto cittĂ -campagna


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

progetto grafico Laboratorio Comunicazione Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Gaia Lavoratti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2018 ISBN 978-88-3338-022-3

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni X-Per


indice

Introduzione Iacopo Bernetti Impronta ecologica: analisi e gestione dei flussi, verso l’ecosistema territoriale Lorenzo Bartali Il “Piano del Cibo” come strumento di pianificazione bioregionale per il nodo dell’Area Pisana Giulio Galletti

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Ecovillaggio: centri di energia della wholeness bioregionale Alessio Tanganelli

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Una piccola conclusione Claudio Saragosa

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dobbiamo imparare a riconoscere e a intercettare le energie che esistono attorno a noi. e immaginare la natura come un alleato, un complice.

introduzione • iacopo bernetti

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JoĂŁo Ferreira Nunes



introduzione Iacopo Bernetti

Università degli Studi di Firenze iacopo.bernetti@unifi.it

Torrente Furba, Seano (PO) estratto mostra fotografica Terra, Uomo e Risorse: Il Montalbano (2017) di Alessio Serafino Tanganelli

Può esistere una pianificazione rururbanistica dell’ecosistema territoriale? I tre casi di studio presentati possono essere interpretati come un tentativo di ricomposizione di due discipline che hanno storia e metodi molto diversi: la pianificazione urbanistica e la pianificazione rurale. È infatti proprio all’interno di questi tre casi studio che le due discipline troveranno un background teorico sostanzialmente comune, specialmente in merito ai principi ed ai metodi relativi al concetto di sostenibilità. La sostenibilità rappresenta però più un prerequisito che un principio guida. Dal punto di vista del processo generale, la pianificazione come progetto urbanistico e quella orientata allo sviluppo rurale multifunzionale sembrano apparentemente molto distanti. La pianificazione rurale in senso stretto è una disciplina piuttosto recente. Precedentemente si parlava di pianificazione agraria, vista come uno strumento di applicazione della politica agraria e quindi a essa subordinata. Gli approcci utilizzati quindi dalla metà degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’90 sono stati incentrati sull apparato teorico-metodologico dell’economia di mercato. Solo dalla metà degli anni ’90, con l’affermarsi dei principi di sviluppo locale e di multifunzionalità dell’agricoltura, nasce la vera e propria pianificazione rurale, e i metodi tendono a considerare con importanza crescente i concetti di territorio, di ecositema agrario, di sostenibilità sociale e rurale. Sotto questa spinta ha origine un nuovo approccio alla pianificazione rurale basato sull’applicazione dei principi dell’ecologia, soprattutto quella agraria e del paesaggio, e della teoria del benessere, riconoscendo il ruolo fondamentale dell’agricoltura nel migliorare la qualità complessiva di vita della popolazione, che entra direttamente o indirettamente in contatto con il territorio rurale. Proprio l’aspetto territoriale sembra avere un ruolo progressivamente crescente per una appropriata applicazione dei principi della sostenibilità e del benessere. Fino alla metà degli anni ’90 la politica agricola aveva un legame con il territorio estremamente labile per quanto riguarda la definizione di strategie e, quindi, di strumenti applicativi che considerassero le caratteristiche ambientali, geografiche e sociali dello spazio rurale. Con il passaggio alla


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aree protette bacino idrografico considerato nel suo insieme terre degradate rimodellate per difesa del suolo, dell’agricoltura, del pascolo aree costiere e marine gestite per la difesa della biodiversità, per la pesca e per il turismo marino terre selvagge gestite entro la loro naturale ‘capacità di carico’ terre agricole gestite per mantenere la produttività a lungo termine servizi di sviluppo, banche del gemoplasma, stazioni di ricerca città contenenti zoo, acquari, giardini botanici anche a fini educativi

Elementi della bioregione secondo Luciano Iacoponi

pianificazione rurale le ‘misure’ di applicazione delle linee strategiche si fanno progressivamente sempre più territorializzate, arrivando con il concetto (sperimentale) di parco agricolo e con gli strumenti applicativi dei Progetti Integrati di Filiera e di Progetto Integrato di Territorio ad approssimarsi al livello di scala di un progetto di territorio. Si tratta in realtà più propriamente di linee guida progettuali per la realizzazione di misure di sviluppo rurale sostenibile da applicarsi in un ambito territoriale, ma tale “salto di scala” pone la necessità di un nuovo approccio metodologico. Per perseguire questo scopo i tre casi di studio che compongono questo testo cercano di integrare l’approccio urbanistico e quello rurale utilizzando due strumenti metodologici complementari: il concetto prettamente ecologico di bioregione territoriale e i principi proposti da Christopher Alexander teorizzati soprattutto nel suo lavoro Nature of Order. La bioregione territoriale è stata originariamente definita da un economista agrario, Luciano Iacoponi, come


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modello di gestione sostenibile del territorio da parte delle comunità locali. Il territorio della bioregione non è limitato da confini politico-amministrativi ma oggettivi (ecologici) e soggettivi (sociali) di modo che essa sia grande abbastanza per consentire l’integrità degli ecosistemi e piccola abbastanza perché i residenti la considerino casa propria. (Luciano Iacoponi, 1999)

Secondo Iacoponi il territorio della bioregione è un mosaico di suoli e di acque che creano degli habitat dove possono convivere molte specie e dove l’uomo può svolgere molteplici attività socio economiche; tale territorio è quindi dato da: • bacini idrografici (da gestire dalla sorgente alla foce); • aree costiere e aree naturali ad elevata rarità ecologica (da sottoporre a tutela); • boschi (da pianificare per la produzione legnosa e i servizi ecosistemici); • terreni degradati o inquinati (da risanare); • terre incolte (da rivalorizzare o da guidare verso l’evoluzione naturale); • terreni coltivati (da valorizzare e da conservare nel lungo termine); • piccole città, villaggi e insediamenti rurali sparsi; • istituzioni comunity-based che debbono sostenere la difesa della biodiversità. Nell’accezione ‘pragmatica’ al bioregionalismo seguita da Iacoponi, le bioregioni possono essere così classificate: • Bioregioni conservative: - ecoregioni: ecosistemi fondamentali per gli equilibri ecologici planetari, abitati da comunità dotate di cultura per conservare le risorse naturali; - parchi naturali: ecosistemi importanti per gli equilibri ecologici locali, con attività sociali ed economiche sottoposte a rigida tutela; - riserve della biosfera: ecosistemi importanti per gli equilibri ecologici locali gestiti dalle comunità locali in base al programma MAB-Unesco. • Bioregioni evolutive: - sistemi territoriali rurali: sistemi sociali a bassa densità abitativa dove è presente l’agricoltura con attività e culture atte a conservare le risorse naturali (distretti rurali); - sistemi territoriali periurbani: sistemi sociali ad alta densità abitativa dove le attività industriali e terziarie sono circondate da agro-ecositemi residuali; - sistemi territoriali metropolitani: sistemi sociali ad altissima densità abitativa dove le attività del terziario avanzato e quelle residenziali sovrastano tutti gli agro-ecosistemi ed ecosistemi naturali per territori molto ampi. I tre casi di studio che varranno presentati possono essere quindi ricondotti all’interno della classificazione di cui sopra, ovvero: nell’ambito dei sistemi territoriali rurali, per quanto riguarda il lavoro sull’impronta ecologica di San Gimignano e l’ecovillaggio del Poggio di

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Santa Cecilia; nei sistemi territoriali periurbani, in riferimento al piano del cibo dell’Area Pisana. Il Piano del Cibo e l’Ecovillaggio rappresentano anche un tentativo di integrazione del concetto di bioregionalismo con le intuizioni, sull’ oggettivizzazione della qualità1 dello spazio di Alexander. Infatti il concetto di living center2 apparentemente è molto vicino nelle sue caratteristiche alle entità spaziali usate da Iacoponi nella definizione di bioregione (bacini, ecosistemi e comunità rurali,ecc. negli esempi sopra citati) sicuramente nelle proprietà di scalarità, ricorsività e riflessività. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che Alexander dichiara di ispirarsi alla natura per definirne il ruolo all’interno della sua teoria. È da valutare attentamente se tale similitudine sia solo superficiale (sono falsi parenti?). Una differenza sicuramente sostanziale, di fatto a vantaggio della teoria di Alexander, è che quest’ultima ha necessità di un solo concetto laddove nella pianificazione rurale, così come nell’approccio bioregionalista, se ne devono usare una pluralità. È però da dimostrare che un solo concetto sia sufficiente a soddisfare tutte le esigenze analitiche coinvolte (sicurezza sociale, qualità alimentare, qualità dell’agroecosistema, ecc.). I tre autori hanno tentato però di completare le proprietà essenzialmente estetico-geometriche dei living center ricostruendone i funzionamenti e i flussi ecologici. Il metodo impiegato nel caso del Piano del cibo è sostanzialmente riconducibile a quello dello “sviluppo dal basso autocentrato” delle comunità locali. Con il concetto di sviluppo dal basso s’intende la promozione del processo di sviluppo da parte di una comunità intesa come insieme di soggetti economici, politici e culturali. Tale principio è formalizzato da Friedman e Weaver (1979) attraverso il concetto dell’unità d’integrazione territoriale, definita come la sovrapposizione e, quindi, la collaborazione tra componenti sociali, economiche e politiche. Ognuna di queste unità di integrazione territoriale esprimerebbe, secondo gli autori, una propria domanda di autonomia nell’intraprendere liberi processi di sviluppo. Lo sviluppo autocentrato è, invece, un processo di sviluppo fondato sulla valorizzazione delle risorse interne attraverso una specializzazione del processo produttivo volta a realizzare prodotti con una specifica identità territoriale. Il quadro teorico di tali approcci non è tuttora completamente sistematizzato, ma si basa su un insieme eterogeneo di principi ispiratori che, comunque, hanno un punto accertato (Conti, 1996) nel fatto che ogni comunità localizzata territorialmente possiede 1 Alexander riconduce infatti la qualità degli spazi alla presenza di specifiche proprietà che lui descrive nel libro The Nature of Order. 2 Un living center è uno spazio ricco di qualità poiché al cui interno sono presenti specifiche proprietà da lui descritte nel libro The Nature of Order.


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una dotazione di risorse di tipo ecologico, storico e culturale che rappresentano un vero e proprio ‘potenziale endogeno’, che trova la massima possibilità di valorizzazione in processi di sviluppo integrati. Definire con precisione l’entità del potenziale endogeno di un territorio montano è un compito arduo; esso corrisponde all’idea che si fanno di un territorio coloro che cercano un margine operativo, una leva per promuovere il processo di sviluppo. I processi di sviluppo dal basso e autocentrati si basano sulla valorizzazione delle potenzialità endogene attraverso percorsi capaci di mantenere o di acquisire una vera e propria ‘competitività territoriale’, in grado di affrontare la concorrenza sul mercato promuovendo la qualità ambientale come elemento distintivo del territorio e la collaborazione e concertazione fra le componenti sociali, economiche e politiche. Su una scala più dettagliata sia il caso di studio del Piano del cibo sia quello dell’Ecovillaggio del Poggio Santa Cecilia hanno cercato di integrare i caratteri socioeconomici ed ecologici con la qualità dello spazio attraverso la definizione a livello territoriale un linguaggio dei pattern basato sugli elementi di base dell’agro-ecosistema. I pattern si generano nella relazione (morfogenesi secondo Saragosa, 2012) fra uomo e spazio geografico sulla base di informazioni che, in parte, sono orientate a risolvere problemi comuni del vivere umano (archetipi), in parte, derivano dalla coltura del luogo e del tempo. La combinazione e successione e la varietà dei pattern nello spazio costituisce il linguaggio dei pattern (pattern language). I pattern possono essere individuati tramite l’analisi delle “soluzioni totali o parziali che sono state date nel tempo” (massa territoriale, sedimenti cognitivi secondo Saragosa, 2012) “a problemi riscontrati in precedenza sotto forma di schemi codificati prestabiliti” (Saragosa, 2012). Resta tuttavia aperto il problema di come creare operativamente nuovi pattern, diversi da quelli archetipi ricavati dall’osservazione delle culture del passato. Alexander scrive che è possibile determinare il futuro dal presente: in particolare, afferma che a partire dall’osservazione della cultura — come è oggi — si può decidere in quale direzione la cultura stessa dovrebbe evolvere; è cioè possibile ricavare nuovi pattern, idonei a creare la struttura del contesto presente e futuro, a partire dalla wholeness della cultura esistente. A questi pattern, creati ex novo, se ne potranno aggiungere altri più consolidati, ricavati dalle tradizioni antiche che sono ancora vive nella cultura attuale, dopo averli eventualmente contestualizzati. Nei due casi di studio si tenta una definizione del linguaggio dei pattern attraverso l’individuazione delle funzioni ecologiche degli ecosistemi territoriali. Come osservato precedentemente i pattern hanno natura prettamente progettuale, quindi non si hanno riscontri esattamente paragonabili nel processo di pianificazione rurale. Alcuni spunti interessanti si possono però desumere dai recenti lavori degli ecologi agrari.

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Rapporto fra servizi dell’agroecosistema e del benessere sociale

Secondo i principi dell’agroecologia (Caporali, 1991), la realtà agraria può essere interpretata e descritta attraverso un modello di rappresentazione (agro-ecosistema) che utilizza il modello base di ecosistema La definizione risultante è che un agro-ecosistema è un ecosistema utilizzato a scopo agrario. Tra i componenti biotici, i produttori (le colture) ed i consumatori (gli animali in allevamento) sono introdotti dall’agricoltore, mentre i decompositori sono propri dell’ecosistema nativo. Colture ed animali in allevamento sono componenti biotiche selezionate attraverso il miglioramento genetico e costituiscono elementi di biodiversità che derivano dalla coevoluzione di natura e cultura. I mezzi tecnici (macchine, fertilizzanti, irrigazione, ecc.) e le risorse umane (lavoro, capitale, ecc.) impiegati in agricoltura rappresentano gli ulteriori elementi di realizzazione e gestione dell’agroecosistema. L’agricoltura risulta quindi costituita da un complesso sistema di organizzazione di risorse naturali e antropiche e la sostenibilità dell’agroecosistema dipende da fattori di tipo bio-fisico e socio-economico. Indubbiamente la funzione di produttività è espressione dei processi naturali che integrano in maniera duratura la catena di pascolo con quella di detrito, in modo tale che anabolismo e catabolismo dell’agroecosistema si complementino in un metabolismo duraturo. Sulla base di questo principio ecologico, i fattori socio-economici dovrebbero favorire il mantenimento della funzione di produttività, ai fini della sostenibilità dell’agroecosistema, realizzando una organizzazione che privilegia i processi naturali di trasformazione dell’energia solare, di riciclo della materia e di valorizzazione della biodiversità. Nel suo insieme, questa strategia di organizzazione può essere definita strategia di ecosviluppo. (Caporali et al., 2008)

La biodiversità rappresenta quindi la base operativa del funzionamento degli ecosistemi e quindi ne garantisce i servizi. I servizi degli ecosistemi consistono in: • servizi di supporto alla vita, come il ciclo dei nutrienti, la formazione del suolo e la fotosintesi; • servizi di approvvigionamento di risorse naturali, quali aria, acqua e biomassa; • servizi di regolazione, come il clima e la qualità dell’aria e dell’acqua; • servizi culturali, come la ricreazione, il godimento estetico e spirituale.


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La gestione sostenibile degli agroecosistemi pone tra i suoi obiettivi principali il mantenimento della biodiversità tramite la realizzazione e gestione di ambienti eterogenei sia dentro che fuori i campi coltivati. Tale architettura fa leva sugli aspetti strutturali dell’agroecosistema (campi, colture, specie animali allevate, infrastrutture vegetazionali, ecc.) che producono interazioni funzionali sinergiche. La sinergia tra i componenti è indispensabile ai fini di una maggiore autonomia dell’agroecosistema e, di conseguenza, ai fini di una minor dipendenza da input energetici ausiliari. (Caporali et al., 2003)

La sfida di realizzare una pianificazione rururbanistica dell’ecosistema territoriale consiste quindi nel conciliare istanze di pianificazione dal basso, proprie dello sviluppo rurale, con i presupposti di sostenibilità introdotte dall’approccio bioregionalista e con le intuizioni di qualità dello spazio territoriale di Cristopher Alexander. Sono perciò necessari scenari integrati e flessibili in cui la progettazione proceda per abachi esemplari, che possano comunque far riferimento a regole territoriali non solo proposte dal pianificatore, ma anche condivise dalle comunità locali e da tutti i portatori di interesse. In questo senso lo scenario del ‘Parco Agricolo’, che sta alla base del caso di studio dell’area pisana, può costituire un luogo di confronto in cui attuare tali sperimentazioni progettuali. Lo strumento concettuale del parco agricolo nasce nell’ambito del dibattito internazionale dall’esigenza di governare le problematiche che derivano da questa nuova e non governata domanda di spazi rurali e che possono riassumersi nella necessità di salvaguardare l’identità storica paesaggistica e produttiva dei paesaggi agrari di pianura ricercando nel rapporto con la città un elemento di valorizzazione del ruolo multifunzionale dell’agricoltura. Lo scenario del parco agricolo, inteso come progetto comune a diversi strumenti di pianificazione territoriale condivisi a livello locale, sembra rispondere alle linee programmatiche proposte dalla UE. Esaminando le definizioni a livello internazionale, il parco agricolo nella sua accezione più territoriale e di area vasta potrebbe rientrare nella categoria del “Paesaggio protetto” (categoria V IUCN3): “paesaggi (di particolare bellezza), risultato dell’interazione tra uomo e ambiente, in cui è possibile praticare attività tradizionali connesse con l’agricoltura, la pesca e che offrono opportunità di ricreazione per la popolazione”. Coerenti con tale classificazione sono senz’altro gli obiettivi generali che il parco agricolo è chiamato a soddisfare: mantenere le forme d’uso del territorio; sostenere i modi di vita e le attività economiche in armonia con l’ambiente e inoltre preservare il tessuto sociale e culturale; mantenere la diversità del paesaggio; offrire opportunità di ricreazione e turismo; incoraggiare le attività scientifi3 L’International Union for the Conservation of Nature ha predisposto una classificazione internazionale delle aree protette comprendente le categorie Ia, Ib, II, III, IV, V, VI. La categoria V è relativa a: Area protetta finalizzata alla protezione e fruizione di aree, marine o terrestri, nelle quali le interazioni tra popolazioni e natura hanno dato vita, nel tempo, a elementi di particolare valore estetico, ecologico e/o culturale.

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Il parco agricolo e le caratteristiche economiche e sociali dell’agricoltura periurbana

che ed educative; portare benefici alle popolazioni locali. Manca alla definizione IUCN uno specifico richiamo agli obiettivi relativi al (difficile) rapporto tra dimensione rurale e urbana. A livello applicativo, esaminando le aree che a livello internazionale sono classificate come paesaggi protetti, risulta evidente come la categoria sia stata prevalentemente applicata a paesaggi naturali, mentre solo in misura molto limitata ad aree prevalentemente agricole. Maggiormente focalizzata sull’ambito periurbano appare la classificazione operata da Fedenatur4 che distingue i seguenti ambiti di riferimento dei parchi agricoli: 4 Fedenatur è l’associazione europea per i parchi periurbani, naturali, fluviali e agricoli, situati in aree urbane e periurbane.


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• spazi aperti periurbani (peri-urban free spaces): aree non urbanizzate, localizzate in zone limitrofe agli spazi urbani, caratterizzate da agricoltura e/o vegetazione naturale, anche degradata, ma recuperabile. Tali usi del suolo possono essere frammisti ad aree edificate; • spazi naturali periurbani (peri-urban natural spaces): aree non urbanizzate, localizzate in zone limitrofe agli spazi urbani, prevalentemente caratterizzate da vegetazione o altri ambienti naturali (rocce, acqua), a volte in combinazione col suolo agricolo. Le aree urbanizzate, se esistono, occupano una piccola parte del territorio. Sulla base di tali definizioni i parchi naturali periurbani (peri-urban natural parks) vengono definiti come aree escluse dall’urbanizzazione e finalizzate alla conservazione dei caratteri agricoli tradizionali del paesaggio e alla valorizzazione delle produzioni di qualità (parchi agricoli a gestione condivisa), alla ricreazione della popolazione urbana, all’educazione ambientale (parchi urbani agricoli e tematici) e alla conservazione della biodiversità (riserve naturali perturbane). L’esperienza del SAGE (Sustainable AGricultural Education) dell’Università di Berkeley è finalizzata proprio alla concezione di parco agricolo come una azione di pianificazione dal basso che coinvolge: • gli agricoltori nelle aree perturbane, sia professionali sia part-time e hobbisti, con una particolare attenzione alla piccola scala dell’attività agricola; • gli attori locali non appartengono solo al settore agroalimentare, ma anche a quello della grande distribuzione, dell’educazione e della ristorazione. Nel concetto di parco agricolo vengono individuati interventi concertati fra queste componenti per: • la valorizzazione delle filiere agroalimentari preferibilmente basate su produzioni biologiche e produzioni di qualità da destinare alla scala locale attraverso la realizzazione di filiere corte, la commercializzazione diretta, i mercati collettivi, i contratti locali con la ristorazione, con le comunità e favorendo l’integrazione con altre attività (servizi ricreativi, ippoterapia, ecc.); • la realizzazione di aziende didattiche, sperimentali e di formazione professionale; • la progettazione di strutture fruitive (il cosiddetto park program) basate su percorsi, parchi tematici, parchi dimostrativi, orti botanici agricoli, giardini officinali, collezioni varietali, orti familiari didattici ed hobbistici. In definitiva, lo strumento del parco agricolo si qualifica come progetto comune a diversi strumenti di pianificazione territoriale condivisi a livello locale. In questa prospettiva sia i piani aziendali sia i piani di sviluppo rurale possono essere organizzati in modo che gli agricoltori, oltre a produrre beni di mercato (alimentari, energetici), producano contempora-

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neamente un ripristino e una conservazione della qualità dello spazio agricolo periurbano attraverso: • la valorizzazione e ricostituzione del patrimonio ambientale e culturale; • la coordinazione e la messa a sistema di progetti di connessione ecologica; • il rafforzamento del rapporto privilegiato tra agricoltura e paesaggio tramite la salvaguardia e l’arricchimento delle configurazioni spaziali che producono trasformazioni capaci di preservare e ricostruire la qualità dello spazio territoriale; • la tutela e la valorizzazione del patrimonio agricolo, riconoscendone il valore per evitare saldature dell’urbanizzato che distruggano la qualità dello spazio rurale; • la creazione di reti aperte a una presenza turistica nella quale sia previsto lo sviluppo di servizi da parte delle imprese agricole (Reti di Offerta Turistica Integrata); • la sottoscrizione di accordi tra pubblica amministrazione e aziende agricole volte a evitare espansioni progressive e incontrollate del tessuto extraurbano ai danni del territorio rurale con conseguenti cesure degli eco mosaici. Questa evoluzione può essere favorita sia dalle nuove politiche europee in materia di disaccoppiamento (finanziamenti mirati alle produzioni di qualità), sia dalle nuove funzioni attribuite all’agricoltura nei piani di sviluppo rurale (qualità ambientale, tutela del paesaggio, salvaguardia idrogeologica, mantenimento della biodiversità, valorizzazione delle risorse naturali locali, qualità e sicurezza alimentare, mantenimento delle tradizioni e dei tessuti socioeconomici locali). In questa ottica il parco agricolo si qualifica come uno strumento attraverso il quale uno scenario del tipo di quello descritto può realizzarsi facendo operativamente interagire gli spazi aperti e quelli urbani, attraverso politiche, azioni e progetti di valorizzazione multifunzionale dell’agricoltura e della produzione di ‘beni pubblici’ che essa svolge. Le aree agricole periurbane presentano caratteristiche peculiari, fondamentalmente derivanti da elementi di forte contrasto, soprattutto se esaminate nell’ottica delle opportunità di sviluppo rurale. Tale situazione deriva dalle determinanti che ne determinano gli assetti sia dal punto di vista territoriale, che sociale ed economico. Dal punto di vista territoriale nelle aree periurbane si ha la delocalizzazione non solo delle attività industriali, ma anche dei moderni centri di commercializzazione dei prodotti e di forme di residenza diverse per i vari strati sociali della popolazione (redditi medio-alti per il “popolo delle villette”, ma anche compresenza di immigrazione). La diversificazione economica ha effetti rilevanti dal punto di vista del sistema di sviluppo locale, da un lato, con la crescita dei consumi e delle opportunità di reddito, ma, dall’altro, con forti squilibri negli equilibri di mercato, con l’insorgere di fenomeni quali modifiche nei valori fondiari, l’instau-


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rarsi di rendite o di diseconomie di posizione e forti squilibri nel mercato locale del lavoro. Il sistema locale della campagna urbanizzata e industrializzata che deriva dallo sprawl disordinato dello sviluppo residenziale e delle attività produttive secondarie e terziarie presenta, dal punto di vista della potenzialità di sviluppo rurale, una realtà contraddittoria. Infatti, il sistema di sviluppo rurale di pianura tende a perdere quegli elementi di competitività locale, tipici del distretto rurale, a causa della disintegrazione di un tessuto rurale, prima compatto, testimoniato fisicamente dalla frammentazione e polverizzazione della proprietà fondiaria e socialmente dalla rarefazione e delle relazioni e delle tradizioni del contesto rurale. Al tempo stesso la presenza di una crescente (seppur caotica) dinamicità economica e sociale può portare a nuove opportunità (Heimlich e Anderson, 2001, Pascucci, 2007). Innanzitutto con la presenza di una mercati più ampi e diversificati può rappresentare una opportunità per l’impresa agricola e per il settore rurale nel suo complesso, attraverso la commercializzazione diretta, la riduzione dei costi di transizione, anche usufruendo di maggiori collegamenti con le reti infrastrutturali e i servizi logistici, con in generale migliori opportunità di coordinamento delle filiere agricole e agroalimentari. Esiste poi la possibilità di sviluppare una gamma piuttosto ampia di servizi che l’impresa agricola periurbana può offrire alla città con la quale confina, quali la ristorazione anche nell’ambito di mense e comunità, l’attività didattica formativa e sperimentale nell’ambito alimentare e rurale e la riscoperta di prodotti locali di nicchia. Dal punto di vista sociale la localizzazione in aree ad alta opportunità di lavoro può portare allo sviluppo di forme di agricoltura più flessibili e diversificate, tramite la pluriattività e l’innovazione di prodotto, favorita anche da un più facile accesso al credito garantita dalla crescita dei valori fondiari. Tali opportunità possono trovare compimento attraverso quel patto fra “agricoltori periurbani” e cittadini in cui attraverso un rapporto di reciproca conoscenza ed interazione si possono ricostruire quelle relazioni di rete e di innovazione che caratterizzano un nuovo tipo di distretto rurale-urbano caratterizzato dallo sviluppo di strategie coordinate fra imprenditori agricoli, attori delle politiche territoriali e rurali, ma anche operatori del tessuto sociale della città. Per rispondere ai mutamenti dell’ambiente, il sistema rurale della campagna urbanizzata e industrializzata non può però che essere ‘costretto’ a mutare la propria struttura interna. Secondo le recenti teorie dello sviluppo locale la strategia più promettente per poter ricostruire quel complesso integrato di morfologia territoriale, di cultura (valori e conoscenze), di istituzioni prodotte dalla storia e quindi i relativi effetti, diretti ed immediati, sulla produttività dei processi economici è basata sulla riprogettazione innovativa del sistema città-campagna e sulla ricostruzione delle interazioni che caratterizzano l’atmosfera tipica del sistema rurale.

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Ambedue questi caratteri trovano una sintesi nel concetto di milieu innovateur proposto dagli economisti regionali (Aydalot, 1986; Camagni, 1994). Il concetto di milieu innovateur può essere considerato come la controparte dinamica di alcuni concetti simili sviluppati a partire dalla fine degli anni ’70 all’interno dell’approccio locale, o dal basso […]. Ciò che è differente e innovativo nell’approccio [del milieu innovateur] è l’attenzione rivolta ai processi innovativi, anziché ai soli fattori di efficienza locale: processi di imitazione e di “creazione tecnologica”, capacità di reazione rapida, capacità di riallocazione di risorse da settori e prodotti in declino a settori e prodotti nuovi che utilizzano lo stesso know-how di base, capacità di rigenerazione e ristrutturazione del tessuto produttivo locale allorché esso è colpito da una crisi o da una forte turbolenza esterna. (Camagni, 1994, p. 28)

In pratica, il milieu innovateur rappresenta la sintesi concettuale di tutti quegli elementi che sono tradizionalmente considerati come le fonti genetiche dello sviluppo e del cambiamento economico, enfatizzati e resi più efficaci dalla prossimità spaziale e da quelle omogeneità economiche e culturali che permettono di definire il milieu stesso. (Camagni, 1994, p. 29) pagina a fronte Identificazione ex-ante dei milieux innovateurs. Percorsi evolutivi verso un milieu innovateur rururbano

Secondo Camagni il milieux innovateur può essere definito dalla combinazione di due dimensioni (Camagni, 1994, p. 48): 1. la dimensione delle ‘sinergie locali’, che indicano le potenzialità in termini di capacità innovativa locale, attraverso processi di imitazione, interazione tra attori locali, partnership pubblico-privato su progetti infrastrutturali e di servizio, interazione tra centri di ricerca e adottatori potenziali, cooperazione cliente-fornitore, esistenza di «progetti comuni e joint-ventures tra imprese locali; 2. la dimensione della ‘innovatività locale’, che dovrebbe riuscire a comprendere tutti i fenomeni innovativi alla base del processo di sviluppo economico. Incrociando questi due indicatori secondo una classificazione dicotomica (esistenza/ non esistenza), possono essere previste quattro diverse situazioni: • presenza di milieu innovateur propriamente detto, caratterizzato da alte sinergie e alta innovatività; • presenza di innovazione senza sinergie locali, generalmente riconducibile a situazioni di sviluppo ‘esogeno’; • assenza sia di sinergie sia di innovatività, che rappresenta una situazione di ‘non sviluppo’; • presenza di elevate sinergie locali, ma assenza di innovatività, che potrebbe essere definita come una situazione di milieu ‘potenzialmente’ innovativo. Dal punto di vista del disegno delle politiche di intervento è possibile individuare due di-


introduzione • iacopo bernetti

verse strategie finalizzate al passaggio da una situazione di non sviluppo (‘stagnazione’), tipica della campagna urbanizzata e industrializzata, a una di sviluppo, il milieu innovateur del parco agricolo: la prima passa attraverso un intervento innovativo esterno, progettuale, che successivamente procede verso una integrazione col tessuto produttivo e sociale locale [la curva superiore nella figura in alto a destra], mentre la seconda si fonda sullo sviluppo concertato di sinergie locali che determinano uno sviluppo quantitativo via via condotto a raggiungere superiori livelli di innovatività e produttività (Camagni, 1994, p. 49).

Il parco agricolo costituisce quindi uno scenario progettuale in grado di configurare un milieu innovateur che concilia le aspettative di sviluppo rurale con quelle della sostenibilità sociale/ambientale e con la costruzione di processi di trasformazione dello spazio agricolo che ne preservino la qualità e la complessità. Infatti, seguendo De Rosa (2006), in un milieu innovatore rururbano la capacità di avviare percorsi innovativi di valorizzazione del patrimonio territoriale e rurale (compreso quello alimentare) e della qualità dello spazio rurale dipende da due elementi: 1. logica di integrazione: la capacità degli attori locali di interagire reciprocamente nella costruzione della risorsa territoriale; 2. logica di apprendimento/similitudine: la condivisione del paesaggio quale risorsa da valorizzare e, al tempo stesso, l’abilità di riprodurre competenze, processi e risorse territorializzate. Gli elementi caratterizzanti di ciascuna (logica) sono:

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

Azioni progettuali territoriali. Dimensioni della pianificazione rururbana

• logica di interazione: - regimi istituzionali; - interdipendenza funzionali; - consuetudini di cooperazione reciproca. • logica di apprendimento/similitudine: - identificazione, recupero ed eventualmente riproduzione di competenze specifiche e di savoir-faire; - recupero delle tradizioni produttive territoriali; - nuove regole di regolazione del sistema; - capacità di adattare le tecniche di produzione; - cambiamenti nelle relazioni con il mercato; - convergenza istituzionale; - grado di coinvolgimento nei processi di costruzione del paesaggio rurale; - interesse/disinteresse verso le dinamiche del paesaggio. Infine, dal punto di vista progettuale la realizzazione del milieu innovatore rururbano non può essere quindi un progetto calato dall’alto, ma devono essere integrate azioni progettuali di infrastrutturazione comune, azioni dimostrative e azioni di concertazione e accordo fra le parti (vedi figura in alto) e quindi — seguendo l’approccio del SAGE, (ma anche alcune intuizioni che costituiscono il Piano del cibo illustrato nel capitolo 2) al ‘piano del parco agricolo’, contenente progetti di rete infrastrutturale e di percorso, abachi di buone regole di configurazione spaziale e di sostenibilità ambientale — gli dovrà essere affiancato un ‘piano rururbano’, costituito da accordi di relazione e concertazione fra le parti e le componenti sociali coinvolte.


impronta ecologica: analisi e gestione dei flussi, verso l’ecosistema territoriale Lorenzo Bartali

Università degli Studi di Firenze geolorenzo@hotmail.it

Questione di metabolismo La città nasce laddove una molteplicità di fattori rende possibile un fruttuoso incontro tra società umana e ambiente; cresce e si evolve, assume forme e ruoli diversi in funzione del codice genetico che gli è stato trasferito dai suoi ‘genitori’ e, come ogni essere vivente, per poter crescere e prosperare ha bisogno di nutrirsi. Negli ultimi decenni molte città si sono comportate con ingordigia; hanno consumato e si sono accresciute enormemente, perdendo in molti casi ogni legame con l’ambiente che le circonda. Il mito della crescita, la globalizzazione e il sistema energetico basato sul petrolio ci hanno condotto attraverso un periodo di benessere economico contraddistinto dal sorgere e dall’aggravarsi di numerosi problemi ambientali che ancora oggi stiamo cercando di combattere. Il modello di sviluppo basato sulla crescita è ormai obsoleto da oltre 40 anni; dal momento in cui alcuni studiosi del M.I.T. hanno dimostrato che non è possibile una crescita illimitata in un mondo che per sua natura è limitato. Per sopravvivere è necessario trovare un equilibrio per cui sia possibile vivere ed evolvere senza compromettere il futuro della specie: in sostanza, il concetto di sostenibilità. Il problema diventa dunque come poter rendere sostenibili le nostre città. Secondo alcuni studiosi è possibile definire la città come frutto delle relazioni tra la società umana e lo specifico ambiente di riferimento: in questo caso la chiave per rendere la città stessa più o meno sostenibile dovrebbe essere insita nella relazione che la origina, ovvero in una nuova relazione co-evolutiva fra abitanti-produttori e territorio, in grado, attraverso la sua cura, di determinare equilibri durevoli fra insediamento umano e ambiente, riconnettendo nuovi usi, nuovi saperi, nuove tecnologie alla sapienza ambientale storica. (Magnaghi, 2010)

Sempre nel contesto indicato da Magnaghi, Claudio Saragosa propone l’ecosistema territoriale come una delle possibili relazioni co-evolutive tra abitanti e ambiente, in cui l’insieme di relazioni fra un sistema ambientale ed una società umana, che, organizzata anche con strutture urbane evolute, trova in quel sistema ambientale la gran parte delle risorse fondamentali per la vita, sviluppandosi culturalmente e producendo un sistema di relazioni, simboli,


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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

conoscenze. […] L’ecosistema territoriale comprende, insomma, quello spazio (definito, delimitato, concluso) con il quale l’ecosistema urbano può svolgere tutte le proprie funzioni vitali. (Saragosa, 2011)

Vista la centralità delle relazioni uomo-ambiente e quindi del metabolismo della città, appare essenziale il loro studio, poiché risulta l’unico modo in cui poter diagnosticare i malfunzionamenti di quel grande organismo che chiamiamo città. Studiare il metabolismo e riequilibrarlo Il metabolismo di una città è un groviglio intricatissimo di relazioni di molteplici tipi composto da flussi di materia, energia e informazione che transitano in entrata e in uscita. Ci sono acqua, cibo, energia, gas di scarico e molto altro; tutto scorre in modo diverso da luogo a luogo. Analizzare questi flussi è come fare una TAC a un paziente, un modo interessante per poterlo fare è utilizzando il concetto di impronta ecologica e di biocapacità. L’impronta ecologica ci dice di quanta superficie è necessaria per generare e assorbire i flussi in entrata e in uscita dalla città, in sostanza di quanto spazio abbiamo bisogno per vivere. A ogni flusso è associata la stessa unità di misura, ovvero la superficie: questo rende possibile misurarlo e confrontarlo con altri flussi di diversa natura. La biocapacità è complementare all’impronta ecologica e serve per quantificare la produttività dei diversi tipi di terreno, ovvero in che misura può generare o assorbire flussi. Sostanzialmente ci indica quante risorse abbiamo a disposizione in una certa area. L’analisi integrata di questi due elementi consente di relazionare il funzionamento della città con la domanda di capitale naturale da cui dipende. Questo tipo di confronto risulta interessante e forse anche necessario, poiché in molti casi, vista la grande concentrazione di popolazione, i crescenti consumi di energia e la dipendenza dal commercio, è molto probabile che la localizzazione ecologica degli insediamenti umani non coincida più con la loro localizzazione geografica. (Saragosa, 2005)

Il metodo applicato: il caso di San Gimignano Questo metodo di pianificazione basato sull’impronta ecologica è stato sperimentato nel Comune di San Gimignano, non con la pretesa che fosse la migliore area di studio, ma perché per dimostrare l’efficacia di tale metodo era preferibile un’area con una equilibrata dotazione di superfici coltivate, boschi ed edificato, e San Gimignano si prestava bene al caso. Lo studio è iniziato con l’analisi della città e del suo funzionamento in due date (1823 e 2010) permettendo di individuare, quantificare e, successivamente, rappresentare i flussi che hanno alimentato la città nel tempo. In un secondo momento sono state


impronta ecologica • lorenzo bartali

confrontate le analisi alle diverse date per capire in che modo si sono evolute le relazioni abitanti-ambiente nel tempo. Una volta compresa la dinamica di queste relazioni è stato possibile prefigurare un nuovo equilibrio definendo, con l’aiuto della rappresentazione e dell’impronta ecologica, gli obiettivi da perseguire e le azioni da mettere in campo per raggiungerli. È stato anche possibile associare a ciascuna azione una stima numerica dei possibili effetti, sia sulla riduzione dell’impronta ecologica sia sul suo ricollocamento nello spazio. Impronta e biocapacità al 1823 Prima di descrivere il calcolo effettuato in merito all’impronta ecologica riferita al 1823 sono necessarie alcune precisazioni a proposito la scelta dell’unità di misura. Nell’Ottocento, i combustibili fossili non avevano ancora preso campo e il materiale utilizzato come combustibile era per lo più il legname. Gran parte della CO² prodotta dalla combustione era probabilmente riassorbita dagli stessi boschi utilizzati per raccogliere il legname facendo sì che l’intero ciclo fosse sostanzialmente chiuso. Se ipotizziamo che la CO² non influisse significativamente a livello globale, possiamo considerare semplicemente la capacità bioproduttiva locale e usare l’ettaro ‘locale’ come unità di misura. Il primo passo è stato studiare l’organizzazione della società nel 1823, cercando di capire come si viveva, cosa veniva prodotto o consumato, da dove potevano provenire i prodotti e tutte le informazioni utili che permettessero di individuare e quantificare i flussi in entrata e in uscita dalla città. Successivamente è stato necessario stimare la produttività dei terreni all’interno dell’area di studio in modo da convertire i diversi flussi in superficie ed andando quindi a relazionarli tra loro e con la base ambientale. Una volta reperiti, i dati necessari sono stati inseriti all’interno della tabella di calcolo, predisposta da Mathis Wackernagel, per calcolare l’impronta ecologica. La tabella è organizzata come segue: nelle righe sono riportate le categorie di consumo1, che, a loro volta, sono divise nelle varie voci di consumo2; nelle colonne, invece, sono riportate le quantità consumate, i fattori di conversione da quantità a superficie e le varie categorie di terreni3. A ogni voce di consumo è stata associata una quantità consumata e la superficie necessaria per produrla4. Questo procedimento è stato applicato a ogni voce di consumo trasformando i flussi in entrata e in uscita nella superficie necessaria a produrli e assorbirli in modo costante nel tempo. Nel caso di un sangimignanese del 1823 la somma di tutte le superfici ottenute ha dato come Cibo, casa, trasporti, beni, servizi e rifiuti. Per la categoria cibo: verdure, cereali, carne, vino, olio, ecc. Terreni per energia, coltivi, pascoli, bosco, terreni edificati, terreni per la pesca. 4 Per esempio 1 kg di pane corrisponde a circa 6 mq di seminativo. 1 2 3

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

categorie di terreno categorie di consumo energia

coltivi

pascolo

seminativo vigneti oliveti

in prato e in bosco

foresta

terreni edificati

pesca

totale

Cibo

2,37%

39,14%

18,31%

3,43%

29,03%

0,00%

0,00%

0,00%

92,28%

Casa

0,00%

0,00%

0,00%

4,90%

0,11%

0,00%

5,01%

Trasporti

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

Beni

0,10%

0,00%

2,60%

0,00%

0,01%

0,00%

2,71%

Servizi

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

Rifiuti

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

0,00%

TOTALE

2,47%

39,14%

18,31%

3,43%

31,63%

4,90%

0,12%

0,00%

100,00%

Distribuzione dell’impronta ecologica in categorie di consumo e di terreno riferite al 1823

pagina a fronte Bilancio tra impronta ecologica e biocapacità al 1823

risultato un’impronta ecologica di 1,08 ettari pro-capite, un numero che ha potuto trovare riscontro nel detto “1 ettaro, 1 uomo, 1 bovino” (Bevilacqua, 1990) utilizzato con il sistema della mezzadria per definire sia la dimensione del podere sia quella della manodopera necessaria. Una volta calcolata l’impronta ecologica si conosce la domanda di capitale naturale, ovvero quanto terreno serve alla città di San Gimignano e ai suoi abitanti per svolgere le proprie funzioni vitali. Calcolata la domanda, è stato necessario conoscere l’offerta, in modo da relazionare le necessità della città con le disponibilità dell’area di studio: per fare questo è stata determinata la biocapacità. Questo calcolo è stato effettuato sulla base del probabile uso del suolo al 1823, ricostruito attraverso la cartografia catastale leopoldina e le rispettive tavole indicative. A ogni particella è stato assegnato l’uso del suolo riportato sulle tavole indicative e, in un secondo momento, una categoria di terreno tra quelle comprese nella tabella di calcolo dell’impronta ecologica. La biocapacità dell’area di studio, come l’impronta ecologica, è stata calcolata basandosi sulla produttività dei terreni locali al 1823; per il Comune di San Gimignano è risultata una biocapacità di circa 2,53 ettari pro-capite. Una volta ricavate sia l’impronta ecologica sia la biocapacità è stata confrontata la domanda di flussi della città con la capacità dell’area di studio di generarli, in modo da comprendere meglio il funzionamento dell’insediamento e delle relazioni che intercorrevano tra abitanti e ambiente. Il confronto ha permesso di effettuare sia un bilancio ecologico complessivo di tutta l’area di studio sia uno singolo per ogni categoria di terreno. Dalla tabella emerge un bilancio complessivamente in attivo che lascia pensare a un


impronta ecologica • lorenzo bartali

categorie di terreno

Biocapacità Impronta Ecologica BILANCIO

coltivi energia

pascolo

seminativo vigneti oliveti

in prato

in bosco

foresta

terreni pesca edificati

totale

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

3734,37

2304,65

3426,49

1879,64

2118,10

471,41

1086,58

221,80

147,46

15390,51

0,00

2567,71

508,05

225,10

2074,71

321,29

7,77

0,00

6560,26

3.734,37

-263,06

514,80

765,29

214,03

147,46

8.830,25

2.918,44 1.654,54

insediamento sostenibile. Inoltre, visti i bilanci parziali in attivo quasi per ogni tipologia di terreno, è possibile ipotizzare che la maggior parte delle risorse necessarie alla popolazione potesse provenire dall’area di studio. Volendo analizzare i risultati ottenuti in tabella è possibile notare che la categoria di terreno energia è quella più in attivo di tutte: questo poiché sotto quella voce si elencano le superfici in grado di assorbire la CO² e, considerando che nel 1823 l’area di studio aveva una capacità di assorbimento molto superiore alla capacità della popolazione di immetterne in atmosfera, non c’è da stupirsi che il bilancio sia positivo. I seminativi sono invece risultati l’unica categoria di terreno leggermente in passivo, lasciando pensare che la maggior parte della produzione fosse destinata all’autoconsumo della comunità e che per le ulteriori necessità si ricorresse al mercato. Si è inoltre registrato un grande surplus per quanto riguarda sia i vigneti sia gli oliveti; questo fatto è collegato alla ottima qualità dei vini e dell’olio che già all’epoca venivano prodotti per essere venduti anche oltre i confini comunali. Per quanto riguarda il bosco, la legna e il carbone che vi venivano prodotti erano ampiamente sufficienti per soddisfare i bisogni del tempo, così le eccedenze potevano essere vendute o utilizzate per altri impieghi non previsti nel calcolo dell’impronta ecologica. Oltre a quanto già visto sono state studiate le modalità di approvvigionamento dell’acqua e stimati i possibili consumi. Da quanto analizzato risulta una distribuzione piuttosto disomogenea di questa risorsa che ha avuto come conseguenza metodi di raccolta e di utilizzo strettamente dipendenti dalla localizzazione spaziale. Per quanto riguarda i consumi idrici è possibile averne un’idea facendo riferimento a San Gimignano5, nella quale è stato stimato un consumo di circa 25 litri*ab/giorno6. Dalle analisi condotte è stata infine rilevata la presenza di una relazione mutualistica molto 5 Il centro storico è stato scelto perché basava la raccolta dell’acqua su cisterne di cui si conosce la grandezza e perchè si presume che i maggiori consumi siano stati di tipo civile. 6 La stima riguarda i consumi civili da cui sono esclusi il lavaggio dei panni e l’irrigazione degli orti che, molto probabilmente, avvenivano attraverso vasche o simili.

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

•

Probabile uso del suolo al 1823. Ricostruito attraverso la cartografia catastale leopoldina e le tavole indicative relative alla comunitĂ di San Gimignano

pagina a fronte Sezioni territoriali al 1823 con rappresentazione dei flussi di materia, energia, informazione


impronta ecologica • lorenzo bartali

forte tra abitanti e territorio nella quale le risorse necessarie ai primi erano scambiate con la cura del secondo. L’analisi si conclude con il tentativo di rappresentare graficamente il funzionamento dell’insediamento attraverso i flussi che lo attraversano. Questo avrà molteplici vantaggi, primo tra tutti quello di renderlo esplicito e più comprensibile, inoltre la rappresentazione potrà aiutare sia nel confronto tra le diverse analisi fatte sia al momento di dover progettare nuovi equilibri. Impronta e biocapacità al 2010 Anche nel caso del calcolo dell’impronta ecologica al 2010 sono necessarie alcune precisazioni in merito alla scelta dell’unità di misura: con l’avvento dei combustibili fossili si aggiungono diverse voci al bilancio della CO² visto in precedenza. La combustione di petrolio e derivati incide profondamente a livello globale comportando il passaggio da un ciclo sostanzialmente in pareggio a uno in attivo: le conseguenze di tutto ciò sono l’accumulo di CO² in atmosfera e il relativo aumento della temperatura media mondiale. L’accumulo di CO² grava a livello globale facendo sì che gran parte dell’impronta ecologica perda la sua misura locale diffondendosi nel globo. Un’impronta ecologica diffusa e non localizzata è difficile da relazionare con dei contesti specifici, poiché lo stesso ettaro di grano potrebbe produrre quantità diverse da un luogo all’altro, pertanto si utilizza la capacità bioproduttiva media globale e l’ettaro globale come unità di misura. Ancora una volta, il primo passo è stato studiare la società per riuscire a stimare i consumi annui degli abitanti e quanti-

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

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categorie di terreno categorie di consumo

coltivi

energia

pascolo terreni in prato foresta edificati seminativo vigneti oliveti e in bosco

Cibo

10,67%

14,12%

Casa

22,65%

0,00%

Trasporti

13,69%

0,00%

0,00%

0,00%

Beni

2,92%

0,86%

0,05%

0,79%

Servizi

6,05%

0,00%

0,00%

0,00%

2,28%

Rifiuti

12,60%

0,00%

TOTALE

68,58%

16,42%

Distribuzione dell’impronta ecologica in categorie di consumo e di terreno riferita al 2010.

pagina a fronte Bilancio tra impronta ecologica e biocapacità riferita al 2010

0,70%

0,74%

0,70%

0,74%

pesca

totale

3,09%

0,00%

0,00%

0,00%

29,32%

0,00%

0,00%

0,31%

0,00%

22,96%

1,28%

0,00%

14,97%

0,57%

0,00%

5,19%

0,00%

8,33%

0,00%

4,18%

2,46%

0,00%

19,24%

3,14%

4,97%

6,89%

0,00%

100,00%

ficare i flussi in entrata e in uscita; per fare questo sono stati utilizzati, oltre ai dati statistici ufficiali, anche alcuni questionari. Una particolarità che è stata affrontata nell’analisi al 2010 riguarda l’incidenza dei turisti sui flussi e sul funzionamento della città: infatti in certi periodi dell’anno, e in particolare ad agosto, questi raggiungono numeri decisamente elevati, tanto da far pensare di includerli nei calcoli. Una volta reperiti i dati necessari e quantificati i flussi in entrata e in uscita è stata calcolata l’impronta ecologica che per il 2010 è risultata essere di 3,53 ettari globali pro-capite. Interessante è anche la distribuzione dell’impronta ecologica all’interno delle varie categorie di terreni, soprattutto perché circa il 68% grava sulla categoria di terreno energia ovvero su quei terreni che sarebbero necessari ad assorbire la CO². Anche in questo caso, come per l’analisi al 1823, è stata calcolata la biocapacità al fine di relazionare la domanda di capitale naturale con l’offerta dell’area di studio; tale calcolo si è basato questa volta sull’uso del suolo della regione Toscana al 2010, piuttosto che su una ricostruzione del catasto come invece fatto all’800. Alla superficie complessiva di ogni uso del suolo è stata assegnata una categoria di terreno tra quelle comprese nel calcolo dell’impronta ecologica. Successivamente, ciascuna categoria è stata moltiplicata per un fattore di conversione che ha permesso di ottenere la biocapacità di quella singola categoria ed in seguito, sommando i valori inerenti alle varie categorie, la biocapacità totale dell’area di studio. Il calcolo della biocapacità è stato effettuato sia tenendo conto del flusso turistico che non tenendone conto ed i risultati che ne sono derivati sono stati rispettivamente una biocapacità di 2,81 e di 3,40 ettari globali pro-capite. Una volta ricavate sia l’impronta ecologica che la biocapacità, è stata confrontata la domanda di flussi della città con la


impronta ecologica • lorenzo bartali

categorie di terreno

coltivi energia

pascolo

seminativo vigneti oliveti

in prato

in bosco

foresta

terreni pesca edificati

totale

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Ha

Biocapacità

8696,78

8795,54

6955,78

2623,75

45,40

0,00

350,46

2123,71

16,96

29608,39

Biocapacità (-12%)

7653,17

7740,08

6121,09

2308,90

39,95

0,00

308,40

1868,87

14,93

26055,38

Impr. Eco. Residenti

18562,87

4055,56

95,18

199,78

849,45

0,00

1344,95

1865,69

0,00

27069,06

Impr. Eco. Turisti

3882,61

930,38

39,92

41,81

177,76

0,00

281,44

383,29

0,00

5655,47

BILANCIO

-14.792,31

2.754,14

5.985,99

2.067,31

-987,26

0,00

-1.317,99

-380,11

14,93

-6.669,15

capacità dell’area di studio di generarli, in modo da comprendere meglio il funzionamento dell’insediamento e delle relazioni tra abitanti ed ambiente. Il confronto ha permesso di effettuare sia un bilancio ecologico complessivo di tutta l’area di studio sia uno singolo per ogni categoria di terreno. Dalla tabella emerge inoltre un bilancio complessivamente in passivo che lascia pensare ad un insediamento non troppo sostenibile. Inoltre, visti i bilanci parziali in passivo per buona parte delle tipologie di terreno, è possibile ipotizzare che la maggior parte delle risorse necessarie alla popolazione non provenga dall’area di studio (vedi tabella in alto) ma sia invece importata. Analizzando i risultati ottenuti in tabella è possibile notare che, contrariamente a quanto avveniva nel 1823, la categoria di terreno-energia è quella più in negativo di tutte: con l’avvento dei combustibili fossili, infatti, la capacità della popolazione di immettere CO² in atmosfera è diventata superiore a quella dell’area di studio di assorbirla. Questo dato più di altri può rendere l’idea di come l’uomo abbia alterato il ciclo della CO². Le uniche categorie in attivo sono risultati i coltivi e nello specifico i vigneti: se ne può dedurre una sovrapproduzione di vino rispetto ai consumi interni dovuta al fatto che la maggior parte delle aziende agricole locali produce vino per venderlo sia in Italia che all’estero. La categoria pascoli risulta invece in negativo, il che significa che probabilmente gli allevamenti presenti sul territorio non sono sufficienti a soddisfare le esigenze della popolazione con la conseguenza di dover importare carne e latte da fuori. Alcune altre problematiche emerse anche per quanto riguarda i rifiuti, evidenziate da grandi superfici necessarie al ciclo di smaltimento. Tali superfici sono legate alla quantità di riciclaggio e di raccolta differenziata, tendendo a diminuire laddove il riciclaggio è maggiore e la quantità di indifferenziato minore.

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

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Uso del suolo riferito al 2010. Ricostruito partendo dall’U.C.S. della Regione Toscana relativo al Comune di San Gimignano e successivamente rielaborato tramite fotointerpretazione

pagina a fronte Sezioni territoriali riferita al 2010 con rappresentazione dei flussi di materia, energia, informazione


impronta ecologica • lorenzo bartali

Un’ulteriore analisi dell’impronta ecologica e della biocapacità è stata fatta mettendo in relazione il bilancio del 2010 con il flusso turistico: il risultato è interessante perché nei mesi con pochi turisti il deficit è molto lieve mentre nei mesi con maggior numero di turisti si aggrava. Oltre a quanto già analizzato, è stato fatto un ulteriore approfondimento sul tema dell’acqua, dal quale emerge un grande cambiamento delle modalità con cui viene distribuita: si passa infatti da sistemi diversificati in funzione del luogo, a un sistema centralizzato, come quello dell’acquedotto, che permette ai sangimignanesi di usufruire dell’acqua con le stesse modalità su tutto il territorio. Non ci si affida più solo al territorio comunale perché non è più sufficiente, ma si importa più o meno il 60% dell’acqua dai comuni limitrofi, peraltro con perdite ragguardevoli che raggiungono il 21,23%. Ma quanto consumano i sangimignanesi del 2010 e che influenza ha il turismo sull’acqua? Attraverso le analisi fatte è stato stimato il consumo medio per scopi civili di ogni abitante risulta ammontare a circa 100 litri*ab/giorno; per quanto riguarda invece l’incidenza del turismo sui consumi idrici è emerso che buona parte del picco estivo nella richiesta d’acqua è dovuto alla concentrazione dei turisti nello stesso periodo. Tale situazione deriva dalle determinanti che ne determinano gli assetti sia dal punto di vista territoriale, che sociale ed economico. Dal punto di vista territoriale nelle aree periurbane si ha la delocalizzazione non solo delle attività industriali, ma anche dei moderni centri di commercializzazione dei prodotti e di forme di residenza diverse per i vari strati sociali della popolazione (redditi medio-alti per il “popolo delle villette”, ma anche compresenza di immigrazione). L’analisi si è conclusa con il tentativo di rappresentare graficamente il funzionamento della città al 2010, allo scopo di renderlo facilmente comprensibile a tutti, rendendo più agevole sia il confronto tra le diverse analisi fatte, sia la progettazione di nuovi equilibri.

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

pagina a fronte Carta delle persistenze dei soprassuoli. Le aree colorate rappresentano gli usi del suolo che dal 1823 al 2010 sono rimasti i medesimi

Confronto tra passato e presente Dopo le analisi, sono stati confrontati i risultati riferiti al 1823 con quelli relativi al 2010, in modo da comprendere la dinamica delle relazioni abitanti-ambiente. Dal confronto emerge una grande dinamicità dei soprassuoli che in buona parte sono mutati trasferendosi altrove sul territorio, aumentando e diminuendo estensione secondo l’evolversi della società. Il bosco ha mantenuto in gran parte la sua localizzazione originaria apparendo come la struttura più persistente. Anche vigneti e oliveti, in particolare quelli a corona del centro storico, hanno comunque mantenuto la loro presenza nonostante il passaggio da colture promiscue a monocolture. Il soprassuolo più mutevole è risultato essere il seminativo che, nel passaggio dal 1823 al 2010, ha cambiato in gran parte la sua localizzazione spaziale. Per quanto riguarda i pascoli, invece, non se ne ha quasi più traccia, perché quelli nelle vicinanze dei boschi si sono evoluti in boschi e quelli in prossimità dell’edificato sono stati trasformati in seminativi. Un ulteriore confronto è stato fatto tra la biocapacità al 1823 e quella al 2010. Il risultato ottenuto calcolando entrambe allo stesso modo è piuttosto interessante, infatti nel 2010 la biocapacità è risultata essere maggiore rispetto al 1823, un dato che sembra dare merito ai sangimignanesi, i quali, non solo non hanno impoverito la terra, ma l’hanno resa ancora più bioproduttiva. In realtà, dal punto di vista del bilancio tra impronta ecologica e biocapacità non c’è stato un simile miglioramento, perché nonostante la biocapacità sia aumentata, l’impronta ecologica è aumentata ancora di più. Occorre inoltre fare attenzione all’aumento di biocapacità che si è avuto tra il 1823 ed il 2010, perché risulta dovuto quasi interamente alla scomparsa delle colture promiscue e dei pascoli ai quali è attribuita una biocapacità minore di quella di boschi e coltivi. Con la scomparsa dei pascoli una parte dell’impronta ecologica si è spostata altrove e non può più essere ricollocata sul territorio sangimignanese a meno che non si modifichi l’uso dei suoli: pertanto, nonostante la sostituzione di un terreno meno produttivo con uno più produttivo possa sembrare un’operazione logica, in realtà non lo è necessariamente. Sorge quindi la domanda: quanto è possibile aumentare la biocapacità prima che questo voglia dire rinunciare a molto altro? Trovare un equilibrio tra biocapacità, impronta ecologica e legame con il territorio locale appare la migliore soluzione.


impronta ecologica • lorenzo bartali

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Sezioni territoriali, ipotesi di nuovo equilibrio dei flussi di materia, energia, informazione

pagina a fronte Corrispondenza delle azioni agli obiettivi

Verso nuovi equilibri dinamici Come emerge dalle analisi, nel 1823 il legame tra gli abitanti e il loro territorio era molto stretto, tant’è che la gran parte dei prodotti consumati dalla popolazione era di origine locale. Nel 2010, la qualità della vita aumenta sensibilmente rispetto all’Ottocento, anche se, per contro, diventa molto più difficile percepire dei limiti quantitativi ai consumi e alla produzione: la popolazione consuma in buona parte prodotti che non sono più frutto del locale, ma della produzione globale. Le principali problematiche che emergono dalle analisi riguardano, da un lato, l’aumento dell’impronta ecologica che, accompagnato dalla crescita demografica, ha reso insostenibile il sistema città; dall’altro lato, la de-localizzazione dell’impronta ecologica che ha indebolito il legame tra gli abitanti e il loro ambiente. Sono inoltre emersi altri problemi come: l’influenza del turismo sull’impronta ecologica e sui consumi d’acqua; la perdita di colture promiscue e di pascoli, con conseguente difficoltà nel ricollocare l’impronta ecologica; le perdite dell’acquedotto; il rischio idrogeologico, dovuto sia alla poca manutenzione sia alle sistemazioni agrarie non compatibili con il terreno. Dalle analisi fatte è stato possibile cogliere anche alcune potenzialità come la grande biocapacità dell’area di studio, l’importanza strategica di un flusso turistico come quello che attraversa San Gimignano e la preesistenza di un forte legame tra abitanti e ambiente, che aspetta solo di essere riscoperto. Prendendo spunto sia dalle criticità sia dalle potenzialità emerse, sarà possibile ipotizzare un nuovo equilibrio tra i sangimignanesi e


tutela del rischio idrogeologico

1

uso più razionale e recupero dellarisorsa acqua

Accorciamento delle filiere produttive Messa a punto di strumenti finanziari per accompagnare lo sviluppo di microfiliere e loro promozione Attività legate all’utilizzo dei prodotti locali (in particolare la ristorazione) Il tutto accompagnato da “nuove” pratiche di agricoltura naturale o di permacoltura

turismo sostenibile (ridurre l’impatto del turismo senza ridurne il flusso)

azioni

riduzione dell’impronta ecologica

obbiettivi

ristabilire le relazioni tra città e territorio locale; chiudere i cicli

impronta ecologica • lorenzo bartali

1

2

3

4

5

x

x

x

Incrementare la raccolta differenziata

2

x

Sensibilizzazione verso una mobilità diversa

3

x

Miglioramento delle caratteristiche energetiche degli edifici

4

x

Utilizzo di biomasse per la produzione di energia rinnovabile

5

x

x

Tutela della biodiversità attraverso la realizzazione di siepi, corridoi ecologici e coltivazioni promiscue

6

x

Cooperazione con altri territori limitrofi per integrare sistemi di valorizzazione delle risorse naturali con costruzione di reti polivalenti, reti ecologiche e percorsi turistici

7

x

x

Sfruttare la frazione organica dei rifiuti per la produzione di compost da riutilizzare a livello locale come fertilizzante

8

x

x

Diversificare le produzioni alimentari e caratterizzarle rispetto al territorio; incentivare l’allevamento che a oggi risulta quasi scomparso

9

x

Ridurre in modo signifcativo le perdite della rete acquedotto o eliminarle

A1

x

x

Incentivare sistemazioni agrarie compatibili con le caratteristiche dei terreni

A2

x

Incentivare una migliore gestione delle acque di deflusso sui terreni agricoli e in particolare sistemi per il recupero, la conservazione e il riutilizzo a fini irrigui dell’acqua (possibilmente sfruttando la forza di gravità)

A3

x

x

Educazione nelle scuole (cambiare il modo di pensare riportando l’attenzione sul legame con il territorio e sulla consapevolezza dei consumi di cibo e acqua)

U1

x

x

x

x

x

Monitoraggio dell’impronta, della biocapacità e dei fattori ambientali per valutare la sostenibilità e l’efficacia delle azioni fatte

U2

x

x

x

x

x

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

il loro ambiente di riferimento che, partendo dal riordino dei flussi energetici, possa permettere di ridurre e ricollocare l’impronta ecologica all’interno dell’area in esame. Per riuscire a definire il nuovo equilibrio sono state utilizzate le rappresentazioni dei flussi fatte in precedenza; queste hanno reso più facile riflettere e modellare i flussi. Con la rappresentazione dei flussi rigenerati (vedi figura a pagina 36) è stato possibile definire gli obiettivi da perseguire, mentre con l’aiuto dell’impronta ecologica è stato possibile sia quantificare gli obiettivi sia individuare le azioni da mettere in campo per poterli raggiungere. Infatti, sfruttando la tabella di calcolo dell’impronta ecologica sono stati modificati più volte i dati in input, osservando di volta in volta come si modificavano quelli in output, selezionando gli obiettivi e le azioni da compiere sulla base dei possibili effetti sull’impronta ecologica e sul legame tra abitanti e territorio (vedi tabella pagina a fronte). Sfruttando la capacità, sia pur da raffinare, di stimare numericamente gli obiettivi e gli effetti delle azioni, si renderebbero infinitamente più agevoli sia i processi di valutazione e di monitoraggio, sia il raggiungimento degli obiettivi che a questo punto sarebbero misurabili. pagina a fronte Individuazione dei probabili effetti delle azioni sull’impronta ecologica e sulle relazioni tra abitanti e territorio

Risultati del caso di studio Nel caso specifico di San Gimignano il deficit ecologico presente al 2010 potrebbe essere ampiamente colmato, se venissero messe in campo le azioni proposte. Si stima che l’impronta ecologica potrebbe passare da 3,53 a circa 1,8 ettari globali pro-capite, ossia più o meno la biocapacità che il pianeta riserva a ognuno di noi. Inoltre, potrebbe essere ripristinata la relazione abitanti-territorio facendo in modo che i primi traggano dal secondo la maggior parte delle risorse di cui hanno bisogno. Alla fine avanzerebbe ancora abbastanza biocapacità da poter ‘prestare’ o commerciare con altri: se tutti riuscissero ad avere davvero un impronta di 1,8 ettari globali pro-capite, il territorio di San Gimignano potrebbe ‘prestare’ la propria biocapacità ad altre 5000 persone. L’aspetto più limitante per San Gimignano è sicuramente l’acqua, che sul territorio comunale sembra scarseggiare, ciononostante con le azioni proposte si potrebbe ridurre la dipendenza da altri territori e la pressione sulle riserve di acqua. Si rimanda comunque la risoluzione di questa e di altre problematiche a uno studio da effettuarsi su un’area più idonea al metodo che si propone.


impronta ecologica • lorenzo bartali

azioni

0

Attuale

1

Accorciamento delle filiere produttive Messa a punto di strumenti finanziari per accompagnare lo sviluppo di microfiliere e loro promozione Attività legate all’utilizzo dei prodotti locali (in particolare la ristorazione) Il tutto accompagnato da pratiche di agricoltura naturale (per es. permacoltura)

2

3

4

effetti sull’impronta

descrizione

Terreni urbanizzati, in gran parte strade e abitazioni

altri effetti

3,53

5,54%

-12,00%

diminuisce da 3,53 a 3,08

Si recupera il collegamento con un ulteriore 48,41% 48,41% (seminativi, oliveti, vigneti) raggiungendo il 53,95%

Eccedenza di biocapacità per quanto riguarda i coltivi, con conseguente possibilità di esportare biocapacità o di trasformare l’uso dei terreni e ottenere biocapacità di altro tipo

Incrementare la raccolta differenziata

-12,18%

diminuisce da 3,08 a 2,65

_

Consente di raccogliere l’intera quantità di organico

Sensibilizzazione verso una mobilità diversa

-8,78%

diminuisce da 2,65 a 2,34

_

Consente di ridurre il traffico di veicoli non solo a San Gimignano ma anche nei Comuni limitrofi

_

Propedeutico all’obiettivo 4b, infatti, con un minore consumo energetico degli edifici dovrebbe essere possibile reperire anche sul posto l’energia necessaria, mentre attualmente se ne potrebbe coprire solo una minima parte

positivo

6,00%

Riappropriazione di un ulteriore 6% (bosco ceduo, cespuglieti, vegetazione in evoluzione); quindi si andrebbe al 59,95% (Si presenta il problema di dover scegliere in che misura sia possibile utilizzare le biomasse compatibilmente con altri valori ambientali, paesaggistici, sociali)

Se tutti gli edifici fossero in classe energetica B, la biomassa prodotta con scarti potature, ceduo, cespuglieti, vegetazione in evoluzione sarebbero sufficienti a soddisfare i bisogni di energia termica della popolazione e la parte di impronta dovuta ai combustibili fossili si ridurrebbe drasticamente

_

Riappropriazione di un ulteriore 12% (da individuare tra bosco ad 12,00% alto fusto, vegetazione riparia e acqua, intesa come fossi e fiume) raggiungendo il 71,95%

Miglioramento delle caratteristiche energetiche degli edifici

5

Utilizzo di biomasse per la produzione di energia rinnovabile

6

Tutela della biodiversità attraverso la realizzazione di siepi, corridoi ecologici e coltivazioni promiscue

effetti sulla riappropriazione delle relazioni con il territorio

39

-15,30%

diminuisce da 2,34 a 1,80

_

Valore paesaggistico; ripristino di diversità colturale ormai quasi scomparsa


azioni

7

Cooperazione con altri territori limitrofi per integrare sistemi di valorizzazione delle risorse naturali con la costruzione di reti polivalenti, reti ecologiche e percorsi turistici

8

Sfruttare la frazione organica dei rifiuti per la produzione di compost da riutilizzare a livello locale come fertilizzante

9

A0

effetti sull’impronta

descrizione

Nessuno

effetti sulla riappropriazione delle relazioni con il territorio

altri effetti

Riappropriazione del restante territorio, che potrebbe essere utilizzato non solo come fonte di 28,05% reddito e attrazione, ma anche per lo svago e il tempo libero sia della comunità locale che di quelle limitrofe. 100%

Il territorio sangimignanese diverrebbe quindi un esportatore di biocapacità, che in una pianificazione di più vasta scala potrebbe giocare un ruolo fondamentale per aree densamente popolate e con una bassa biocapacità.

Positivo

Contribuisce alla chiusura dei cicli, facendo sì che l’ambiente di uscita e quello di entrata coincidano (per quanto riguarda i rifiuti organici) Permetterebbe di ricollocare sul territorio una parte dell’impronta dovuta ai consumi di carne e latticini

Positivo

Diversificare le produzioni alimentari e caratterizzarle rispetto al territorio; incentivare l’allevamento che a oggi risulta quasi scomparso

Probabilmente positivo

Necessità di cambiamenti nell’uso del suolo

Stato attuale dell’acqua

_

Il 40% circa dell’acqua proviene dal territorio comunale, mentre il 60% da fuori

_

Si dovrebbe tenere testa senza problemi ai picchi estivi di richiesta dell’acqua

A1

Ridurre in modo signifcativo le perdite della rete idrica o eliminarle

_

riducendo o eliminando le perdite si ridurrebbero i consumi di acqua del 21,3%; così facendo si potrebbero ridistribuire gli apporti di acqua: 50% dal territorio locale e 50% da fuori

A2

Incentivare sistemazioni agrarie compatibili con le caratteristiche dei terreni

_

_

Evita o limita i danni dovuti all’erosione dei suoli

A4

Incentivare una migliore gestione delle acque di deflusso sui terreni agricoli e in particolare sistemi per il recupero, la conservazione e il riutilizzo a fini irrigui dell’acqua (possibilmente sfruttando la forza di gravità)

Positivo (utilizzando meno acqua si dovrebbe ridurre l’acqua prelevata oltre il confine comunale)

Si riesce a sfruttare meglio il ciclo dell’acqua, inoltre le soluzioni adottate potrebbero e dovrebbero avere anche valore paesaggistico

U1

Educazione nelle scuole (cambiare il modo di pensare riportando l’attenzione sul legame con il territorio e sulla consapevolezza dei consumi di cibo e acqua)

Positivo

Fondamentale per cambiare il mondo è cambiare le persone

U2

Monitoraggio dell’impronta, della biocapacità e dei fattori ambientali per valutare la sostenibilità e l’efficacia delle azioni fatte

_

Fondamentale per capire la dinamicità, l’evoluzione dell’impronta e della biocapacità e per conoscere i risultati delle azioni fatte, ed eventualmente ipotizzare ulteriori azioni o strategie


impronta ecologica • lorenzo bartali

Il metodo L’intero lavoro è partito dalla raccolta dei dati necessari a individuare i flussi in entrata e in uscita dalla città, questi sono stati poi utilizzati per il calcolo dell’impronta ecologica e della biocapacità, riuscendo così a relazionare città e ambiente di riferimento, decifrando il funzionamento della città e verificando la presenza di relazioni più o meno forti. Successivamente le informazioni sono state condensate e fissate su delle sezioni ambientali al fine di rendere esplicito il funzionamento dell’insediamento. Dopo che i passaggi precedentemente citati sono stati riferiti a due date è iniziato il confronto, l’obiettivo è stato quello di comprendere in che modo si sono evolute le relazioni tra gli abitanti ed il loro ambiente di riferimento. Le analisi si sono concluse cercando di far emergere da quanto elaborato sia le criticità sia le potenzialità dell’area di studio. Nel passaggio alla fase più progettuale, ha assunto nuovamente forza la rappresentazione, infatti le sezioni ambientali redatte precedentemente sono servite come spunto per la realizzazione di una nuova sezione ambientale nella quale è emersa l’idea di un nuovo equilibrio dei flussi e quindi di un nuovo funzionamento. Dalla rappresentazione dei flussi rigenerati è stato fatto il passaggio inverso all’analisi, cercando di definire gli obiettivi e, con il supporto dell’impronta ecologica, anche le azioni da mettere in campo per perseguirli. Successivamente è stato possibile fornire anche una stima degli effetti che le azioni proposte avrebbero sia sull’impronta ecologica sia sul ripristino delle relazioni abitanti-ambiente. Il tutto si conclude con una rappresentazione che cerca di riassumere quanto fatto mostrando le azioni proposte e le loro conseguenze. In questo metodo di analisi e di pianificazione l’impronta ecologica si è rivelata molto utile in quasi tutte le fasi, permettendo di analizzare i rapporti tra uomo e ambiente, facendo emergere i problemi e prefigurando scenari possibili in funzione di determinate azioni e dei loro possibili effetti. Si può infine notare come il ricollocamento dell’impronta ecologica nell’intorno dell’insediamento abbia contribuito, in modo importante, sia al ripristino delle relazioni uomo-ambiente sia alla possibilità di rendere nuovamente sostenibile l’insediamento. Da un certo punto di vista, ricollegare l’impronta ecologica con l’insediamento potrebbe anche essere visto come il dispiegamento di una regola, che, assieme ad altre, contribuisce a generare un insediamento sostenibile.

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Rappresentazione cartografica delle azioni e delle conseguenze che ci si attende per quanto riguarda il ripristino delle relazioni abitante-territorio e sulla riduzione dell’impronta ecologica. Dal centro del territorio comunale ci si sposta verso l’esterno mano a mano che si compiono le azioni elencate in precedenza.


il “piano del cibo” come strumento di pianificazione bioregionale per il nodo dell’area pisana Giulio Galletti

Università degli Studi di Firenze giulio-galletti@virgilio.it

Nelle pagine che seguono ci si è posti l’obiettivo di affrontare il tema della pianificazione del territorio rurale e di illustrare una metodologia operativa volta a ricreare quelle condizione in grado di ricollegare questo territorio alla città e ai propri abitanti e fruitori. Partendo quindi da un’analisi del territorio incentrata sullo studio delle componenti fisiche e antropiche si vanno ad individuare le componenti del Patrimonio territoriale (così come identificate dall’art.3 della L.R 65/20141) di tipo materiale e cognitivo che, dispiegate e reinterpretate, sono in grado di delineare uno scenario progettuale volto a ricreare quelle relazioni intrinseche che gestiscono lo scambio di flussi tra sistema ambientale e antropico, portando ad un modello di sviluppo incentrato sull’auto sostenibilità locale. Prerogativa e obiettivi di lavoro Al fine di contrastare un modello e concezione nel quale l’uomo si è allontanato dal rapporto con il territorio e di conseguenza dal ciclo naturale delle risorse e delle relazioni, la pianificazione si trova di fronte tre problematiche a cui deve dare risposta: 1. le funzioni e le prestazioni socio-economiche; 2. gli equilibri ambientali e la durevolezza/autoriproducibilità dell’insediamento; 3. la qualità estetica del paesaggio urbano e rurale. Il lavoro che segue vuole provare a dar risposta a questi tre aspetti fondamentali considerando il secondo punto come la base di partenza. Per far questo vanno presi in considerazione alcuni aspetti: • le risorse ambientali e paesistiche trattate in funzione della loro autoriproducibilità locale, per ridurre l’impronta ecologica attraverso la tendenziale chiusura locale del metabolismo urbano (cicli dei rifiuti, del cibo, dell’acqua e dell’energia); 1 La Regione promuove e garantisce la riproduzione del patrimonio territoriale in quanto bene comune costitutivo dell’identità collettiva regionale con le modalità di cui all’articolo 5. Per patrimonio territoriale si intende l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future. Il riconoscimento di tale valore richiede la garanzia di esistenza del patrimonio territoriale quale risorsa per la produzione di ricchezza per la comunità.


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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

• le relazioni di reciprocità fra i sistemi urbani e gli spazi aperti agroforestali, per realizzare nuovi equilibri ecosistemici, energetici, alimentari e funzionali. L’analisi e il progetto svolto si sono incentrati su di una ristretta parte del territorio dell’Area Pisana, il Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli (MSRM). Il Parco si trova fortemente relazionato a livello fisico con la città, tanto che i confini del territorio urbanizzato si intrecciano con i confini amministrativi dell’area protetta. Questa vicinanza non serve però a garantire una relazione virtuosa, forte e consapevole tra le due realtà che vengono invece percepite come separate ed indipendenti l’una dall’altra. Questo caratterizza anche la maggior parte del territorio rurale e di margine alla città, che è passato dal costituirne la principale fonte di vita legata alla produzione di cibo, acqua ed energia, ad essere considerato sempre di più come elemento marginale e spesso degradato della città stessa. Parallelamente a questa situazione si stanno affermando sempre più nuove esigenza volte a conoscere e scoprire il territorio, le produzioni locali e a capirne funzionamenti e problematiche. A tal fine risulta quindi fondamentale intraprendere nuove azioni che vadano ad accogliere e soprattutto a sostenere ed incentivare questo importante cambiamento, fondamento del Piano del Cibo redatto dalla Provincia di Pisa. Un aiuto in questa direzione può essere giocato dalla figura di un parco, il quale deve cambiare il suo ruolo e uscire dall’assetto vincolistico e prettamente cautelativo, accogliendo nuove prospettive di sviluppo. Prospettive che possono trovar risposta nel comparto agricolo, dove per comparto agricolo non intendiamo solo, per quanto importantissimi, gli aspetti produttivi in senso stretto, ma anche quegli altri profili con i quali oggi l’agricoltura si incrocia ancora con troppe difficoltà, ossia la ruralità, la tutela della biodiversità, la naturalità, il paesaggio, l’uso e il consumo di acqua, il ricorso ad energie alternative ed altro ancora (Borin, Salvato, Silvestri, 2007)

É questo uno dei temi centrali per riuscire ad avvicinare lo spazio aperto ad una realtà strutturalmente e socialmente più solida come l’Area protetta e parallelamente alla città e ai suoi abitanti. Partendo da questi presupposti, il lavoro sfrutterà il valore multifunzionale che il comparto agricolo possiede andando a poggiare le sue fondamenta sullo studio degli elementi patrimoniali fondativi del territorio in esame, concentrandosi sull’analisi di tre “realtà agricole” situate all’interno del Parco Regionale MSRM, con l’intento di riconnettere questa realtà alla città di Pisa e al territorio limitrofo attraverso due diverse tipologie di approcci:


il “piano del cibo” • giulio galletti

Riconnessione Ecologica/Territoriale: • chiusura dei cicli (ciclo dell’acqua, ciclo alimentare, ciclo energetico); • connettività ecologica; • paesaggio. Riconnessione sociale: • sapienza ambientale; • sapienza alimentare. La traduzione di questi obiettivi in uno scenario di pianificazione territoriale si concretizza nel progetto di un Parco agricolo inteso come strumento tramite il quale sviluppare appieno nuove regole fondative per il progetto territoriale e urbano derivante dal riconoscimento del valore e della funzione strutturale e identitaria del territorio agroforestale (Magnaghi, Fanfani, 2010);

tutto questo assumendo l’agricoltura come generatrice non solo di commodites alimentari ma anche di ‘beni pubblici’ e relazionali e di nuovo valore territoriale per lo sviluppo locale (Magnaghi, Fanfani, 2010).

Piano del cibo Il cibo ha acquistato una nuova centralità, culturale e politica, legata alla capacità di soddisfare nuovi e vecchi bisogni, materiali ed immateriali, delle popolazioni residenti. Le modalità con cui il cibo viene prodotto, trasformato, distribuito e consumato condizionano il benessere, la salute, la qualità dell’ambiente, la giustizia sociale, e l’attuale sistema di regole, attori e tecnologie che riguardano il cibo non sono affatto in grado di garantirne un livello soddisfacente (Provincia di Pisa, 2010)

In risposta a questa serie di aspetti e criticità si stanno diffondendo a livello internazionale “Pianificazioni del cibo” e altri strumenti analoghi che rappresentano la base per quella che viene definita una “democrazia alimentare”; una forma di governo che garantisca a tutti i cittadini l’educazione, l’informazione e la partecipazione alle scelte che riguardano il cibo. Su tali principi la Provincia di Pisa, in collaborazione con il Laboratorio di studi rurali ‘Sismondi, ha intrapreso la redazione di un Piano del cibo che si compone di tre strumenti: 1. il Piano del cibo, che rappresenta il dettaglio operativo con il quale si dà scansione, anche temporale, agli interventi che consentono di dare contenuto operativo alla strategia per il cibo; 2. la Carta del cibo, che racchiude i principi condivisi sui quali procedere verso la costruzione di nuove visioni e obiettivi di lavoro da parte di una pluralità di attori locali riguardo il cibo e le tematiche a esso collegate in un’ottica di democrazia alimentare; 3. la Strategia per il cibo, essa racchiude percorsi, azioni e modalità organizzative, attraverso cui dare concreta e progressiva affermazione dei principi contenuti nella carta.

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dal flusso al progetto • lorenzo bartali, giulio galletti, alessio tanganelli

L’aspetto multidimensionale che il cibo possiede fa sì che gli ambiti di una politica alimentare locale si basino su diversi temi fondamentali come: • prevenzione ed educazione alimentare; • acquisti pubblici; • riduzione degli sprechi; • pianificazione territoriale; • forme di commercializzazione; Spetta alla pubblica amministrazione il compito di regolare il metabolismo della città, individuando e integrando quelle politiche tese a garantire l’efficienza dell’uso delle risorse per il benessere dei cittadini e la tutela dell’ambiente, limitando il più possibile le esternalità negative dello sviluppo. Il Piano del cibo, che fino a ora, esclusi i lunghi e delicati lavori di redazione dei documenti e quindi l’individuazione degli obiettivi e delle strategie del Piano, si è limitato a poche azioni su piccoli casi isolati e ad aspetti prettamente divulgativi e organizzativi/teorici, potrebbe, se affiancato da una solida pianificazione territoriale, risultare un elemento chiave sul territorio in grado di legare assieme molti temi e aspetti della pianificazione, nonché ridar vita al legame ormai perso tra l’ambiente e i suoi abitanti. Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli Concentrando l’attenzione sul territorio del Parco MSRM risulta qui utile darne una breve descrizione accennando agli aspetti principali che lo caratterizzano. L’istituzione del Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli avviene nel 1979 con la legge regionale n. 61 del 13 dicembre che nell’art. 1 decreta: “Scopo del parco è la tutela delle caratteristiche naturali, ambientali e storiche del litorale Pisano e Lucchese, in funzione dell’uso sociale di tali valori, nonché la promozione della ricerca scientifica e della didattica naturalistica”. Il Parco, situato interamente su un territorio pianeggiante di formazione molto recente che si estende per 23.114 ha lungo il litorale nord occidentale della Toscana, occupando l’intera fascia costiera che va da Viareggio, a nord, fino allo scolmatore dell’Arno, a sud, per un totale di 30 km, presenta il tipico paesaggio delle pianure alluvionali litoranee, nelle quali è possibile individuare alcune fasce di territorio morfologicamente e paesaggisticamente ben delineate: • la costa; • un’importante fascia boscata, originariamente denominata Selva palatina, che è retrostante la duna e si estende per diversi chilometri verso l’interno;


il “piano del cibo” • giulio galletti

• le aree originariamente occupate dalle vaste paludi interne, successivamente bonificate, di cui il Lago di Massaciuccoli si identifica come l’unica area non bonificata dell’enorme acquitrino costiero. Dalla spiaggia al Lago, dalle paludi alle sconfinate lande boscate, così, sussistono numerosissimi ambienti vegetali dalle caratteristiche molto eterogenee e talvolta addirittura contrastanti fra loro, che danno vita a un insieme di situazioni paesaggistiche estremamente suggestive e di assoluto valore, quando non anche di unicità, dal punto di vista botanico (Le guide d’Italia, 2000)

Dal punto di vista strutturale il territorio del Parco è distinto in tenute, fattorie e/o comparti2, seguendo, di fatto, le modalità organizzative storiche che lo hanno caratterizzato. Si distinguono così le seguenti zone: • tenuta di Tombolo; • tenuta di Coltano e Castagnolo; • tenuta di San Rossore; • tenuta di Migliarino; • lago e palude settentrionale di Massaciuccoli; • palude meridionale di Massaciuccoli; • villa Borbone e Macchia Lucchese. Per le sue intrinseche e varie caratteristiche storico-naturali, il Parco ospita sul suo territorio molte attività produttive, che vanno a toccare aspetti e ambiti molto diversi tra loro, andando dall’agricoltura alla cantieristica, dalla pratica sportiva alle industrie di Migliarino, dalle aziende artigianali nella tenuta di Tombolo ai numerosi stabilimenti balneari di Viareggio, Torre del Lago e del Litorale Pisano. L’agricoltura occupa all’interno di questa visione uno dei principali settori produttivi. Secondo i dati riportati dal Piano Territoriale di Coordinamento entro i confini protetti si hanno 9.356 ha di Zone agricole che, occupando circa il 40% dell’intero territorio, ospitano 200 aziende (la maggior parte corrispondente a imprese individuali a conduzione familiare, con una netta prevalenza di aziende medie e piccole). La centralità di questa attività è riconosciuta anche all’interno del Piano del Parco, dove all’articolo 8 il Piano Territoriale assegna all’agricoltura il ruolo di attività economica principale, fondamentale per il presidio paesaggistico ed ambientale. Associato al settore primario dato dall’agricoltura, sul territorio esiste uno sviluppato comparto zootecnico che fa capo a numerose aziende. Incentrato sull’allevamento bovino, ovino ed equino il territorio del Parco è ricco di numerose esperienze e realtà in questo settore.

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Come prevede la normativa tecnica di attuazione all’Art. 2 “Delimitazione dell’area del Parco” (comma 3).

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Queste due attività portano il parco ad avere una vasta gamma di prodotti tipici, per alcuni dei quali è stato istituito un apposito marchio. Si pensi per esempio alla pasta biologica del Parco, al pinolo biologico del Parco, al miele biologico di spiaggia, alla carne di Mucco Pisano, al latte fresco di alta qualità, al pecorino del Parco, ai Funghi del Parco, alla zucchina Mora Pisana, alla piattella Pisana e all’Amaro di Coltano. Il quadro conoscitivo Il cibo proviene dal lavoro che l’uomo fa sul territorio, territorio dinamico e in continuo mutamento che si compone di elementi e relazioni, quindi di flussi che lo attraversano continuamente, dando origine alla vita di questo complesso sistema. Sono proprio questi elementi e relazioni che hanno bisogno di essere compresi e studiati per proporre una corretta gestione e pianificazione che dia luogo a un disegno unitario e condiviso dell’ambiente. L’insieme di questi elementi va quindi a comporre il quadro conoscitivo, quel ‘bagaglio’ su cui si poggia l’individuazione del patrimonio territoriale e quindi gli indirizzi e gli scenari progettuali. Il quadro conoscitivo qui studiato si compone di un’analisi ambientale e territoriale3, dello studio di alcune Aziende agricole del luogo e di un confronto tra l’uso del suolo e le relative dinamiche relazionali tra la città e il territorio circostante al 1823 e al 2010. pagina a fronte Articolazione territoriale delle aziende prese in esame

Le centralità del territorio rurale e la relativa organizzazione rurale — Le Aziende Agricole Volendo ricollegare la città di Pisa al suo ambiente e quindi al territorio del Parco MSRM promuovendo una corretta pianificazione territoriale volta a sorreggere il Piano del Cibo, sono state studiate tre realtà agricole/territoriali ricadenti all’interno dei confini dell’Area Protetta, più precisamente all’interno della Tenuta di San Rossore, di Tombolo e di Coltano, le tre Tenute che vanno a comporre la corona agricola periurbana ovest-sudovest della città. L’indagine svolta si rivela utile a delineare all’interno del quadro conoscitivo un ventaglio di informazioni, intenti, criticità e potenzialità, similitudini e differenze che il comparto agricolo, economico e ricettivo dell’area presenta. Questi aspetti sono stati studiati attraverso un’analisi dettagliata sulle aziende che evidenziasse la relativa organizzazione,

3 Lo studio di questa componente del quadro conoscitivo non è riportato all’interno del testo. Il materiale analizzato si basa su elaborazioni e ricerche effettuate presso il Comune di Pisa, nell’ufficio del Piano Strutturale dell’Area Pisana.


il “piano del cibo” • giulio galletti

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la produzione e le rispettive attività che le varie aziende svolgono rivolte alla collettività. A conclusione di questa analisi è stata creata una matrice che riporta le azioni svolte da ogni azienda nell’ottica da noi posta di ri-connessione ecologica/territoriale e sociale, questo al fine di avere una lettura più semplice e immediata delle potenzialità e delle criticità che le singole aziende riportano. Le aziende agricole studiate per Tenuta sono le seguenti: • Tenuta di San Rossore: Azienda Agricola Biologica della Tenuta di San Rossore; • Tenuta di Tombolo: CIRAA — Centro Interdipartimentale di Ricerche Agro Ambientali “E. Avanzi” dell’università di Pisa; • Tenuta di Coltano: - Soc. Cooperativa Agricola Terre di Coltano; - Azienda Agricola Salvadori. A titolo esemplificativo riportiamo la sintesi dell’analisi condotta su una delle quattro aziende, quella che risulta avere sul territorio un ruolo rilevante per la sua posizione, natura e complessità del tipo di produzione.

pagina a fronte Matrice riassuntiva delle azioni aziendali

Centro Interdipartimentale di ricerca Agro-Ambientale “E. Avanzi” All’interno del centro Universitario CIRAA vengono svolte attività che riguardano: produzioni vegetali; attività zootecnica; gestione del patrimonio forestale; agricoltura eco-compatibile; agricoltura biologica; meccanizzazione; gestione eco-compatibile della vegetazione infestante; colture a destinazione non alimentare; filiere delle biomasse per uso energetico; analisi fisico-chimiche dei suoli. Un ruolo fondamentale a livello istituzionale ed economico è svolto dal settore agro-zootecnico che conta 200 capi suddivisi in 100 capi di Frisone per la produzione del latte (produzione giornaliera di 1000l, con un totale di 70 quintali/anno per un periodo di mungitura di circa 290 giorni) e 100 capi di Mucco Pisano destinati alla produzione di carne (viene venduto un vitello di circa 600/700 kg al mese a 2 euro/kg). Il CIRAA svolge anche moltissime attività di istruzione, divulgazione e dal 2008 ha avviato il progetto Orti E.T.I.C.I. Orticoltura Economica, Tecnica ed Inclusione soCiale Innovativa. L’agricoltura sociale è quella attività che impegna le risorse dell’agricoltura e della zootecnia per promuovere azioni terapeutiche, di riabilitazione, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di educazione.


riconnessione ecologica/ambientale

chiusura dei cicli

azienda ciraa

ciclo alimentare

ciclo dell’acqua

ciclo energetico

connessioni ecologiche

paesaggio

protezione ambienti critici

produzione di carne con metodi biologici

limitati prelievi in base alle condizioni del territorio

riutilizzo di materiali impiego di siepi protezione specie tutela ambienti di scarto (sterco, con studi sulle vegetali e animali boscati e palustri sostanze vegetali) specie vegetali e le specie animali che le attraversano

produzione di latte con vendita diretta

sperimentazione e forte rapporto tra impiego di energie territorio aperto e rinnovabili (biomasse boscato e biocarburanti)

diversificazione e frammentazione delle trame agrarie

ridotto prelievo di acqua per limitare l’espandersi del cuneo salino

produzione di ortaggi con vendita diretta

recupero di casolari e poderi

analisi costante dei terreni

riconnessione sociale

sapienza ambientale/sapienza alimentare

azienda ciraa

università / istruzione

turismo consapevole

informazione / manifestazioni

p.a./enti pubblici

mense / ristorazione

mercati locali

azienda universitaria

nessuna azione

manifestazioni (giornata dell’albero, ecc.)

lavoro con l’università

nessuna azione

vendita diretta dei propri prodotti come il latte e gli ortaggi

tirocini universitari

pubblicazioni

azioni nel settore sociale

azioni di ricerca con università e scuole

collaborazione con aziende limitrofe

collaborazione con l’ente Parco MSRM

Le attività del CIRAA si configurano come attività a tutto tondo. La natura universitaria dell’Azienda, incentrata sulla sperimentazione e messa in pratica degli studi multidisciplinari, dà come risultato una serie di azioni/informazioni che svolgono un ruolo guida all’interno di una progettazione e gestione del comparto agricolo. Si guardi, in merito, la produzione biologica, la vendita di latte e di carne, senza dimenticare gli studi e l’utilizzo di energie alternative come biomasse e bio-diesel e i vari studi sulle componenti floro-faunistiche del territorio. L’azienda non riesce però a gestire in modo vantaggioso tutto il patrimonio territoriale a sua disposizione, si hanno così molte superfici non gestite ed un immenso patrimonio immobiliare che, per questioni economiche, viene abbandonato o messo in vendita.


origine della carne razza

capi totali

pisana bestiame da carne bestima da latte

capi macellati/ anno

% capi macellati

peso animale

resa%

totale carne

228

53,77%

516

64,00%

75295

424

chianina

226

73

32,30%

550

60,00%

24090

limousine

2100

2062

98,19%

425

64,00%

560864

frisona

907

87

9,59%

450

60,00%

23490

limousine

frisona

razza pisana bestiame da carne

ciraa

bestima da latte

produzione

azienda agricola san rossore

bestiame da carne

produzione

100 17758

Calcolo della produzione di carne bovina riferita all’azienda regionale del Parco MSRM e all’azienda universitaria CIRAA

pagina a fronte Domanda di carne bovina all’interno delle mense scolastiche e universitarie della città di Pisa

100

2590

102

167

132

18113

17801

35254

Totale carne prodotta dalle due aziende (Kg/anno)

chianina

tot kg/anno

20348 71169 91517

Quantificare la produzione Nell’ottica di voler promuovere e pianificare una tendenziale chiusura del ciclo alimentare risulta qui fondamentale quantificare le produzioni analizzate e rapportarle alla popolazione. Partendo dai dati e dalla metodologia applicata da uno studio effettuato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, “Assessing food production capacity of farms in periurban areas” (Bonari, Marraccini, 2014) e riadattando l’indagine al proprio caso di studio e alla quantità di informazioni a disposizione è stato possibile ottenere una stima approssimata della produzione per le due aziende di allevamento bovino (CIRAA e Azienda biologica della Tenuta di San Rossore). Considerando il consumo potenziale regionale media di carne bovina (Cr = (Cn*Vr)/ Vn) di 25,63 kg/anno a persona e la produzione aziendale di 91.517 Kg/anno si ha che le due aziende riescono a soddisfare il fabbisogno di circa 3.574 persone, ovvero il 4% della popolazione residente nel comune di Pisa, che conta 88.627 persone4. Come già detto questo risultato ovviamente irrisorio è prettamente simbolico, riferendosi esclusivamente all’analisi di 2 sole Aziende presenti sul territorio. Per ottenere un dato più significativo sulla possibile chiusura del ciclo alimentare rispetto alla produzione dei nostri casi studio, e in accordo con alcuni intenti posti dal Piano del cibo, abbiamo relazionato il dato relativo alla produzione annua di carne al rispettivo consumo all’interno delle mense scolastiche e universitarie della città di Pisa. 4

Dati demografici Istat, 2011.


n. pasti all’anno*

n. pasti a n. pasti a base di base di carne carne settimanali periodo refezione (lunedì-venerdì)** (settembre-giugno)

quantità quantità erogata di carne di carne periodo a porzione di refezione(kg) (grammi)***

scuola 3-6 anni dell’infanzia

214841

2

85936,4

50

4296,82

scuola primaria

6-11 anni

249582

99832,8

60

5989968

scuola secondaria inferiore

11-15 anni

6936

2774,4

80

221952

471359

188543,6

10508,74

scuola comunale / statale

totale

fascia di età

* Dati servizio di refezione scolastica Comune di Pisa ** Giunta Regionale, Deliberazione 28 dicembre 2010, n. 1127 “ Linee di indirizzo regionali per la ristorazione scolastica” *** Giunta Regionale, Deliberazione 28 dicembre 2010, n. 1127 “ Linee di indirizzo regionali per la ristorazione scolastica” dsu pisa

n. pasti all’anno n. pasti a base di * carne settimanali

quantità di carne a porzione (grammi)

quantità erogata di carne (kg)

totale

1526133

100

65405,7

3

* DSU Toscana, Allegato D-D Relazione sulla gestione aziendale anno 2013

La domanda teorica di carne bovina che ne deriva è di circa 75.914 Kg, dato inferiore ai 91.517 Kg di produzione stimata per le due aziende e quindi una domanda inferiore rispetto ‘all’offerta presente’. L’impiego di una produzione biologica locale all’interno delle mense scolastiche risulterebbe un passaggio fondamentale nell’ottica di promuovere una democrazia alimentare e una chiusura del ciclo alimentare. La dinamica del rapporto Città-Territorio Mettendo a confronto l’uso del suolo attuale con una ricostruzione del Catasto Leopoldino 12 (uso del suolo al 1832) si può vedere l’enorme trasformazione che il territorio agro-forestale dell’area di Pisa, e la città stessa, ha subito nel tempo e, di conseguenza, le trasformazioni che hanno subito le intrinseche relazioni tra città e territorio. Da questo confronto si può riscontrare l’effetto di tre macroazioni principali: • espansione dell’urbanizzato; • semplificazione e riorganizzazione della trama agricola; • opere di bonifica e quindi appoderamento di nuovi terreni rurali. Queste azioni associate a politiche territoriali ed economiche di impronta globale, e incentrate sulla mera produzione e mercificazione, hanno fatto sì che si perdessero tutte quelle relazioni e interdipendenze che legavano in modo dinamico e ciclico la città al suo ambiente e quindi la collettività al proprio luogo, alle proprie risorse. Queste trasformazioni hanno quindi portato a una netta separazione tra città e territorio agroforestale, quest’ultimo ora caratterizzato da grandi distese monocolturali, pascoli e aree


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boscate spesso abbandonare. ‘Risorse’, queste, che difficilmente entrano a far parte di un ciclo locale, ma che vengono immesse nel grande circuito della distribuzione globale e allontanate dal proprio territorio di provenienza.

pagina a fronte Confronto tra l’uso del suolo riferito al 1830 e quello al 2010, e rispettivo funzionamento produttivo territoriale con evidenziazione dei flussi di materia, energia, informazione

Il patrimonio territoriale Effettuando sul territorio, inteso come il risultato di un’interazione coevolutiva continua fra insediamento umano e ambiente, un’analisi multicriteriale che va a indagare l’evoluzione storica, gli aspetti ambientali, socio-culturali, produttivi, paesaggistici e, quindi, relazionali/funzionali, si è in grado di definire quei sedimi, regole o elementi costruttivi di tipo ‘materiale e cognitivo’ (Magnaghi, 2001) che delineano gli aspetti patrimoniali del territorio e lo identificano come un “sistema vivente ad alta complessità” (Saragosa, 2005). Grazie a questi elementi patrimoniali è quindi possibile individuare quelle regole conformative di lunga durata utili a delineare un corretto progetto territoriale: le invarianti strutturali. Questo studio sull’area in esame ha dato luogo all’individuazione di quelli che sono gli elementi fondativi e strutturanti presenti sul territorio attuale. Dalla carta del patrimonio si evince quindi la struttura materiale portante che sostiene la vita e le trasformazioni che si compiono sul luogo. Questi sedimi si possono distinguere in diversi sistemi: • sistema degli elementi “naturali”: il bosco, le acque, gli aspetti vegetazionali, il sistema costiero/dunale; • sistema del territorio rurale: la parcellizzazione, la tessitura, l’uso del suolo prevalente, il sistema idrico, il sistema infrastrutturale e il sistema insediativo-rurale; • sistema urbano: il sistema insediativo storico/principale, la viabilità storica, le principali direttrici di espansione e le centralità insediative. Ad accompagnare questi sedimi materiali sono i sedimi cognitivi i quali si identificano in una serie di regole, le quali nel loro insieme identificano una serie di configurazioni spaziali identitarie di ogni realtà territoriale, di ogni luogo. Queste configurazioni spaziali o pattern, come vengono definite da Christopher Alexander, maturano e si concretizzano nel continuo rapporto che intercorre tra l’uomo e il sistema ambientale di riferimento. Sono configurazioni frutto del bisogno dell’uomo di rapportarsi e modificare l’ambiente fisico-biologico in cui vive, mantenendo un dialogo costante e sinergico con esso in modo da capirne i principi funzionali e generativi. La codifica quindi di questi patterns porta alla formazione di un vero e proprio linguaggio che se interpretato e adattato alle varie esigenze e condizioni attuali è in grado di rigenerare un “oggetto vivente ad alta complessità” (Magnaghi, 2010).




il “piano del cibo” • giulio galletti

Organizzazione territoriale Configurazione 1: Spazi interclusi all’edificato compatto dedicati ad orti Gli spazi interclusi nell’edificato gestiti a orti permettono un rapporto diretto con il cibo che si può in questo modo trovare ‘sotto casa’ e di poter dar vita a una piccola chiusura locale del cibo per il fabbisogno familiare o di un agglomerato di case. Configurazione 2: Pertinenze abitative dell’edificato di margine gestite a orti La possibilità di gestire la pertinenza dell’edificato di margine a orti permette un rapporto diretto col cibo, di dare vita a una piccola chiusura locale del ciclo alimentare e di creare un margine non netto, ma permeabile tra l’edificato e il territorio rurale.

Configurazione 3: Corona agricola urbana con diversificazione delle colture La presenza di una diversificazione delle culture all’interno della corona agricola urbana permette di poter disporre di una buona varietà di prodotti e quindi di avere una grande varietà alimentare, un’elevata biodiversità e un’alta qualità ambientale e paesaggistica.

Configurazione 4: Dopo la corona agricola urbana grandi seminativi, prati e pascoli Una suddivisione spaziale della tipologia dei coltivi, dei prati e dei pascoli permette di dislocare sul territorio le risorse alimentari in funzione delle esigenze nutritive della popolazione, della stagionalità dei prodotti e della forza lavoro impiegata per il loro trattamento.

Configurazione 5: Prati e pascoli vicini a zone umide/paludose e boscate La loro dislocazione vicino alle zone umide permette di creare microclimi favorevoli agli allevamenti, di poter gestire in modo semplice molte delle risorse nutritive per il sostentamento del bestiame (si pensi, per esempio, all’acqua) e di ‘separare’ la parte urbana dal possibile inquinamento fisico e acustico che gli allevamenti generano. pagina a fronte Patrimonio territoriale.

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Organizzazione insediativa / infrastrutturale Configurazione 6: Edificato di margine lungo strade principali La dislocazione dell’edificato lungo le strade principali fa sìche si limitino le espansioni incontrollate o a macchia d’olio sul territorio, inoltre permette una maggiore semplicità nella gestione dei servizi pubblici (raccolta dei rifiuti, allaccio all’acqua, al metano, servizi scolastici, ecc.). Configurazione 7: Presenza di centralità (piccoli agglomerati di case, grandi fattorie, ecc.) all’interno del territorio rurale Questo tipo di organizzazione, se disciplinato, permette di ottenere un territorio rurale ben organizzato, suddiviso e gestito, capace di limitare la costruzione di case sparse che esulano da un’organizzazione e da un piano volto a favorire certi criteri di gestione del territorio e della risorsa suolo. Configurazione 8: Centralità rurali principali disposte a raggiera attorno alla città La dislocazione delle grandi strutture rurali disposte a raggiera attorno alla città permette di poter strutturare l’organizzazione fisica e funzionale del territorio rurale in modo da suddividere i possibili centri di raccolta, di smistamento e di accesso allo stesso da parte dei lavoratori e della popolazione. Configurazione 9: Gerarchia della viabilità Una gerarchia della viabilità permette di equilibrare il traffico veicolare e garantisce percorsi adeguati per una mobilità lenta, veloce e er quei movimenti veicolari legati alle attività agricole. Configurazione 10: Assetto infrastrutturale e urbanistico rurale basato sulle centralità rurali principali Con questo tipo di organizzazione si è in grado di delineare e mantenere un disegno complessivo del territorio agro-forestale che rispecchi i principi sopra descritti, che si identifichi come un forte elemento di riconoscibilità, inoltre di garantire una corretta gestione del territorio stesso volta ad una autosostenibilità locale. pagina a fronte Struttura territorio rurale Configurazione 11: Tessitura rivolta verso fiumi/canalizzazioni e zone umide/palustri Per garantire un corretto deflusso delle acque superficiali e una corretta irrigazione dei coltivi si deve disporre la tessitura dei terreni agricoli verso fiumi o canalizzazioni in modo da evitare anche possibili ristagni d’acqua. Configurazione 12: Tessitura stretta e lunga sulle aree non di bonifica Sui territori non bonificati si deve preservare e garantire una fitta trama di tessiture, che si presenti stretta e lunga, per garantire un alto deflusso delle acque superficiali, abbassando così il rischio di ristagno. Configurazione 13: Tessitura ampia e regolare sulle aree di bonifica Nelle aree bonificate del territorio si deve strutturare la trama agraria in modo ampio e regolare in modo da adeguarsi all’impianto di canalizzazione realizzato per la bonifica. Questo tipo di organizzazione sul territorio si va a collocare nelle aree più lontane della città andando ad assecondare l’organizzazione spaziale degli alimenti e della forza lavoro sopra descritta. Configurazione 14: Utilizzo di siepi e boschetti come divisori L’utilizzo di siepi e boschetti come divisori all’interno del territorio agro-forestale garantisce un alto valore ecologico svolgendo un ruolo fondamentale all’interno della rete ecologica per il movimento di specie vegetali e animali, svolge azioni migliorative per le colture e per la regimazione delle acque, e garantisce un alto valore paesaggistico.


il “piano del cibo” • giulio galletti

La ricerca degli elementi di questo linguaggio si è incentrato sul territorio rurale preso in esame, e ha portato all’individuazione di una serie di regole che è possibile suddividere in tre ambiti: 1. Organizzazione territoriale - Configurazione 1: Spazi interclusi all’edificato compatto dedicati a orti; - Configurazione 2: Pertinenze abitative dell’edificato di margine gestite a orti; - Configurazione 3: Corona agricola urbana con diversificazione delle colture; - Configurazione 4: Dopo la corona agricola urbana grandi seminativi, prati e pascoli; - Configurazione 5: Prati e pascoli vicini a zone umide/paludose e boscate. 2. Organizzazione insediativa / infrastrutturale - Configurazione 6: Edificato di margine lungo strade principali; - Configurazione 7: Presenza di centralità (piccoli agglomerati di case, grandi fattorie, ecc.) all’interno del territorio rurale; - Configurazione 8: Centralità rurali principali disposte a raggiera attorno alla città; - Configurazione 9: Gerarchia della viabilità; - Configurazione 10: Assetto infrastrutturale e urbanistico rurale basato sulle centralità rurali principali. 3. Struttura territorio rurale - Configurazione 11: Tessitura rivolta verso fiumi/canalizzazioni e zone umide/palustri; - Configurazione 12: Tessitura stretta e lunga sulle aree non di bonifica; - Configurazione 13: Tessitura ampia e regolare sulle aree di bonifica; - Configurazione 14: Utilizzo di siepi e boschetti come divisori.

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Uno scenario progettuale per il territorio dell’Area Pisana Volendo dar luogo a un nuovo disegno per l’area pisana in grado di ricreare un forte legame di interdipendenza tra la città e il suo ambiente di riferimento, che si proietti in una tendenziale chiusura del ciclo alimentare, si deve far affermare uno sviluppo che identifichi il territorio come “un complesso sistema identitario che determini un rapporto biunivoco, dinamico e autoriproduttivo con il sistema produttivo locale” (Magnaghi, 2014). Ad assistere questo sviluppo, un ruolo fondamentale viene giocato dagli spazi aperti e quindi dai territori agro-forestali che si configurano come elementi strategici per la qualità dell’ecosistema urbano, del paesaggio rurale e della produzione di beni pubblici, e come palinsesto di filiere corte, servizi ricreativi e turistici, servizi didattici e sociali ed economie di prossimità (Ibid.). L’aggettivo ‘pubblico’ che viene quindi dato al territorio rurale si concretizza grazie a diverse attività che questo deve recuperare e ricreare, cioè: • attività legate alla categoria dei servizi eco-sistemici; • attività agricole multifunzionali che producono beni e servizi pubblici; • attività che producono spazio pubblico attraverso il confronto di soggetti diversi. Per attuare tali aspetti il progetto che si propone vuole ridare vita ai caratteri principali di questo “nuovo” spazio pubblico, che dovrà essere: centrale, continuo, reticolare, identitario, ecologico, paesaggistico, multifunzionale e multiscalare. L’affermazione di queste caratteristiche prende corpo dalla rilettura e dalla reinterpretazione degli elementi patrimoniali e quindi da quelle configurazioni che abbiamo identificato come le invarianti strutturali del nostro luogo. Dalle configurazioni spaziali agli indirizzi progettuali Questo atto di rilettura e reinterpretazione delle configurazioni spaziali ha portato a delineare per il territorio in esame cinque aree, a cui sono associati degli indirizzi progettuali che traducono l’aggregazione e il dispiegamento dei pattern precedentemente individuati. • Aree intercluse e di margine della città • Edificato lungo strada e relativa corona agricola • Territorio rurale vicino ad aree boscate • Territorio rurale in aree non bonificate • Territorio rurale in aree di bonifica


il “piano del cibo” • giulio galletti Aree intercluse e di margine della città Dispiegando le configurazioni 1, 2 e 9 si riesce a delineare una configurazione spaziale per la “Aree intercluse e di margine della città” che schematicamente mette assieme gli usi del suolo degli spazi interclusi e di margine da destinare ad orti, ad una gerarchia della viabilità in grado di delineare una corretta suddivisione dei percorsi e dei ruoli dei vari spazi. Edificato lungo strada e relativa corona agricola Analizzando le situazioni dell’edificato di margine e del relativo territorio agricolo circostante, la reinterpretazione delle configurazioni 2, 3, 6, 9, 11, 12 e 14, permette di ridisegnare l’assetto urbanistico e del relativo territorio rurale andando a delineare le possibili suddivisioni, unioni e destinazioni del suolo e di conseguenza le relazioni reciproche tra le parti, che si possono instaurare tra le parti.

Territorio rurale vicino ad aree boscate Il territorio rurale vicino alle aree boscate necessita di pratiche di utilizzo e gestione in grado di saper leggere le varie necessità di queste aree e di creare rapporti dinamici e interdipendenti tra i due usi del suolo. Perché questo avvenga si devono avviare politiche, indirizzi e azioni in gradi di mettere assieme le configurazioni 5, 7, 8, 9, 10, 11, 14.

Territorio rurale in aree non bonificate La gestione e l’utilizzo dei “Territori rurali in aree non bonificate” necessità, per riuscire a mantenere e garantire un corretto funzionamento di quest’ultimo, il dispiegamento delle configurazioni 5, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 14. Il risultato dell’aggregazione di queste regole permette di delineare un territorio in grado di rispondere alle esigenze della produzione di cibo e di corretta regimazione delle acque.

Territorio rurale in aree di bonifica Per garantire un corretto utilizzo del “Territorio rurale in aree di bonifica” si devono perseguire azioni in grado di leggere e interpretare queste aree, e le rispettive pratiche agricole che esso necessita, come la dimensione e l’orientamento dei campi, o l’organizzazione insediativa e infrastrutturale. Per far questo si devono compiere azioni in grado di unire e dispiegare le configurazioni 5, 7, 8, 9, 10, 11, 13, 14.

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Centralità insediative principali | Le loro specifiche peculiarità svolgono un forte ruolo attrattore e divulgativo di “domanda-offerta”, di economia, di turismo, di cittadinanza, di lavoro e flussi di materia ed energia. Le funzioni, le politiche e le attività che qui si svolgono e si intraprendono sono quindi alla base dei legami che queste centralità instaurano e possono instaurare con il territorio agroforestale circostante, riuscendo ad orientare la rispettiva organizzazione strutturale e produttiva. Edificato lungo strade principali | La loro struttura e conformazione nelle zone di margine alla città permette una forte integrazione e compenetrazione tra la città e il territorio agroforestale. Attorno a questo edificato si vanno a collocare quegli elementi e relazioni in grado di legare assieme le due realtà, riconducendole ad un unico grande sistema. Orti urbani e periurbani | La creazione di una ‘fascia’ di margine all’edificato gestita ad orti, e resa usufruibile dalla collettività tramite percorsi e attrezzature, si configura come il primo elemento di riconnessione tra la città e la campagna. Questa zona, oltre a ridisegnare il margine urbano, molto spesso privo di significato e degradato, si configura come un vero ‘spazio pubblico’ dove è possibile percepire ed usufruire della trasformazione ‘diretta’ dell’energia (acqua, sole) in cibo. Centralità del territorio rurale | Corrispondono ai vecchi centri ordinatori del sistema rurale che vanno a riacquistare un ruolo chiave nel nuovo scenario, configurandosi come i centri “direttori” della filiera Produzione-Trasformazione-Vendita (andranno a svolgere attività di informazione, istruzione, assistenza, coordinamento e coesione). Il tutto creando quelle relazioni e condizioni in grado di mantenere una costante domanda-offerta locale. Organizzazione insediativa rurale | La gerarchia e la diversificazione dei tracciati viari, associati al sistema insediativo rurale, organizzano e conformano il territorio agricolo ed il rispettivo funzionamento. Il recupero di queste strutture molto spesso in abbandono in fase di abbandono (ad esempio grandi casolari) risulta fondamentale per il mantenimento di questo sistema e per dar vita a nuove attività ed economie locali, associate alle già presenti aziende agricole. Sistema della viabilità | Al fine di poter ricreare relazioni e riconnessioni tra la città e il territorio rurale, un fattore chiave è dato dal sistema infrastrutturale viario che deve essere ben gerarchizzato e diversificato (strade principali e secondarie asfaltate, percorsi ciclabili e pedonali, percorsi ippici e navigabili). Questo permette di poter usufruire liberamente di tutto il territorio e dei rispettivi punti attrattori e di interesse come parchi, ‘monumenti’, aziende agricole, ambienti ‘naturali’. Corona agricola periurbana | Collocata vicino alla città, una corona agricola periurbana, dove si concentri un'alta diversificazione delle colture, permette di poter avviare attività di commercio locale in grado di rispondere alla diversificata domanda alimentare, alla richiesta di prodotti a Km 0 e quindi al principio di sovranità alimentare dettato dal contatto diretto con la terra e con gli agricoltori. Organizzazione della trama agraria | Di notevole importanza per il corretto assetto e funzionamento del territorio rurale è l’organizzazione della trama agraria che si deve adattare al funzionamento ambientale. Si deve quindi gestire l’ampiezza e l’orientamento degli appezzamenti che devono essere: • stretti e lunghi nei terreni non bonificati e più ampi su terreni bonificati; • rivolti o paralleli al sistema di canali, alle canalizzazioni ed ai rispettivi impianti di regimazione delle acque.

pagina a fronte Scenario progettuale

Scenario progettuale Basandosi sui pattern progettuali individuati, e configurandosi come uno dei tanti scenari possibili che questo atto di rilettura e reinterpretazione degli elementi patrimoniali può delineare, il disegno progettuale si pone l’obiettivo di ridare al territorio agro-forestale le sue caratteristiche per dar vita ad una ri-connessione ecologica/ambientale e sociale in grado di favorire e promuovere i principi basilari su cui si poggia il piano del cibo. Perché questo avvenga si punta a combinare due aspetti:



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1. organizzazione fisica del territorio: si vanno a ristabilire sul territorio quelle gerarchie, funzioni e posizioni del territorio rurale e del relativo sistema insediativo; 2. organizzazione relazionale/funzionale del territorio e delle attività su di esso svolte: sulla base dell’organizzazione fisica si riescono a creare nuove relazioni materiali e immateriali di tipo ambientale, economico e sociale, in grado di rimettere a sistema ogni singola parte di questo luogo. La realizzazione di queste due organizzazioni trova compimento nelle seguenti componenti che compongono lo scenario finale: • centralità insediative principali; • edificato lungo strade principali; • orti urbani e periurbani; • centralità del territorio rurale; • organizzazione insediativa rurale; • sistema della viabilità; • corona agricola periurbana; • organizzazione della trama agraria. All’interno di una realtà di tipo ‘conflittuale e individualista’, dettata dalle leggi del mercato globale, che vede i vari attori di questo territorio agire in modo completamente indistinto per ogni aspetto dell’iter di produzione-trasformazione-vendita e gestione, la creazione di strutture centrali in grado di aiutare nella gestione dei processi, di incentivare nuove ‘buone pratiche’ e di attivare nuovi flussi, per dar vita a una vera e costante domanda locale, si presenta come il tassello vincente per ricreare nuove economie e relazioni volte a sostenere il piano del cibo e la multifunzionalità dei suoi aspetti. Va fortemente sottolineato e chiarito che l’organizzazione ‘in centralità’ che si propone non deve in nessun modo portare all’unione fisica delle varie aziende e delle realtà agricole, ma anzi deva far sì che si mantenga e si strutturi una forte divisione. Se la piccola dimensione costituisce in natura il misterioso principio della salute, e la grande dimensione quello della malattia, la ‘divisione’ […] di necessità costituisce la regola della cura […] La divisione (o la moltiplicazione, che provoca un medesimo effetto riduttivo rispetto alla dimensione di ogni cosa) rappresenta non solo la regola della cura ma anche del progresso. (Kohr, 1960)

Il compito che le centralità devono prefiggersi è invece quello di incentivare e garantire processi volti alla creazione di relazioni identificabili con la ‘simbiosi’, l’interazione o la mutua dipendenza delle singole realtà, in quanto strumenti della sopravvivenza.


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Università degli Studi di Firenze tanganelli.a@gmail.com

Ci stiamo rendendo conto di non essere dei bravi custodi del nostro territorio infatti, quell’alchimia di saperi materiali e cognitivi indispensabili al riconoscimento dell’identità locale si sta dissolvendo poco a poco. Questa condizione investe sia le aree urbane che la campagna intaccando il rapporto profondo tra l’insediamento umano ed il proprio intorno; la città con il suo domesticheto. Un tempo prima di alzare i muri si costruiva il camino. E dopo, attorno al camino, cresceva la casa. I sassi si raccoglievano uno sull’altro come pulcini intorno alla chioccia. (Corona, 2010)

Proprio da questo rapporto diretto tra uomo e materia (flussi di materia ed energia) si innesca un processo di co-evoluzione: un processo che ha come prodotto finale strutture in grado di durare nel tempo proprio perché generate dall’equilibrio tra l’uomo e il proprio contesto ambientale. L’esistenza umana è per così dire qualificata dall’unità indissolubile di vita e di luogo. (Norberg-Shultz, 2011).

La natura possiede dei processi e dei cicli ben precisi con i quali garantisce la prosecuzione ed evoluzione delle specie viventi: leggi e meccanismi che l’uomo, nella sua ultima fase di sviluppo economico, ha dimenticato e, spesso, prevaricato, stravolgendo gli assetti stessi della natura, e quindi determinando problematiche sia locali che globali. La ricerca svolta si è data l’obiettivo di ripensare, attraverso una gestione del territorio complessa e sostenibile, il modo in cui l’insediamento umano si potrà nuovamente rapportare con la base ambientale di riferimento. Questo per ricreare processi mutualistici tra uomo e natura. La ricerca si è basata quindi su due temi principali: 1. ristabilire relazioni profonde tra uomo e ambiente nelle parti di territorio aperto soggette all’abbandono in seguito al processo di centralizzazione delle attività antropiche; 2. rivisitare il concetto di abitare codificando sistemi che permettano una gestione consapevole dei flussi di materia ed energia.


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Bioregione come nuovo approccio alla pianificazione territoriale Per conseguire gli obiettivi prefissati, sono state analizzate alcune esperienze riconducibili al concetto che definiamo come bioregione. Un esempio di bioregione sono gli ecovillaggi, un fenomeno nato negli anni ’60 che si proponeva come prima sperimentazione delle teorie bioregionaliste. La presa di coscienza che i nostri modi di abitare il pianeta lo stanno di fatto distruggendo ha portato alcune persone a riappropriarsi del concetto più profondo di esistenza, avviando un rapporto che potremmo definire più intimistico tra uomo e madre terra. pagina a fronte Valley Section di Patrick Geddes (http://cityinenvironment.blogspot.it/2013/02/ the-valleysection.html) Schema del metodo di analisi utilizzato

L’ecovillaggio presenta tutti gli aspetti di una comunità intenzionale, del villaggio e della coabitazione, […] e gli obiettivi di carattere olistico ed ecologico alla base del proprio progetto costitutivo anche se non ancora completamente realizzati. (Capriolo, Narici, 1999)

Gli ecovillaggi, ripartendo dal concetto di comunità, materializzano di fatto i principi del buon abitare, applicando diverse soluzioni pratiche (reti relazionali, chiusura dei cicli, permacultura, bioarchitettura, co-housing, ecc.). Per loro natura, non hanno però uno spessore tale da poter definire in dettaglio politiche territoriali: tale possibilità si ritrova nella teoria del modello della bioregione urbana, pertanto l’analisi condotta si è basata proprio su tali principi1 cercando di definire un metodo da applicare alla pianificazione territoriale. La bioregione urbana è il riferimento concettuale appropriato per un progetto di territorio che intenda trattare in modo integrato le componenti economiche (riferite al sistema locale territoriale), politiche (autogoverno dei luoghi di vita e di produzione), ambientali (ecosistema territoriale) e dell’abitare (luoghi funzionali e di vita di un insieme di città, borghi e villaggi) di un sistema socio-territoriale che persegue un equilibrio co-evolutivo fra insediamento umano e ambiente, ristabilendo in forme nuove le relazioni di lunga durata fra città e campagna, verso l’equità territoriali. (Magnaghi, 2014)

Questo metodo ha lo scopo di delineare il patrimonio territoriale come sintesi dell’identità locale interpretando il processo co-evolutivo dal quale ricavare le regole generative proprie del contesto di studio. Il modello della bioregione urbana riconosce la componente ambientale come base per le attività antropiche: le strutture ambientali, ossia una parte di territorio strutturalmente completo come “ambiente geografico primario in cui realizzare l’equilibrio delle risorse essenziali della riproduzione della vita” (Magnaghi, 2014), sono la fondazione materiale dell’insediamento. Per comprendere il funzionamento della base ambientale, il primo passo è stato quello

1 Si intendono le regole declinate da Alberto Magnaghi nel suo libro “La regola e il progetto, un approccio bioregionalista alla pianificazione territoriale”.


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di analizzare i flussi che la attraversano; per poterlo fare sono stati individuati i sistemi ambientali che la compongono. L’insieme di campagna abitata, città di villaggi e reti di città sono un’altra tra le componenti fondamentali, poiché compositive dell’elemento morfotipologico generativo dell’insediamento. (Magnaghi, 2014) Il rafforzamento del sistema policentrico avviene attraverso il rafforzamento identitario, funzionale e morfologico (differenziazione) dei singoli centri e delle loro relazioni […] Il sistema dei centri e le sue regole di equilibrio dinamico divengono il principio ordinatore della qualità vitale della bioregione nelle sue relazioni appropriate con l’ambiente. (Magnaghi, 2014)

La componente antropica è quindi fondamentale perché è l’altra componente attiva che, attraverso regole generative, è in grado di tenere un rapporto di equilibrio con la base ambientale. Tali regole sono state identificate nei morfotipi urbani e rurali, considerandoli elementi patrimoniali inalienabili dal loro territorio di riferimento. Il territorio analizzato è quello del Comune di Rapolano Terme: la scelta è stata dettata principalmente dal fatto che in questo territorio è presente il borgo di Poggio Santa Cecilia, una realtà attualmente abbandonata, ma un tempo fulcro delle attività agricole della Piana del Sentino. Il processo coevolutivo come analisi territoriale Obiettivo di questa lettura critica è di ottenere degli esempi di processo coevolutivo dai quali estrarre le regole generative, intese come codice genetico del luogo. Il sistema insediativo si sviluppa in accoppiamento strutturale con tale ambiente producendo un sistema complesso di regole di utilizzazione della natura originaria. Il sistema genera quindi un processo complesso di apprendimento delle modalità di adattamento e uso dell’ambiente limitrofo che col tempo evolve con il sistema stesso. (Saragosa, 2010)

Quando parliamo di processi coevolutivi che plasmano il territorio e producono forme di organizzazione complesse e qualitativamente rilevanti intendiamo anche riconoscere l’organi-

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Sezione del sistema ambientale dei calanchi

pagina a fronte Sezione del sistema ambientale della dorsale appenninica

cità di ogni territorio. Questo, a sua volta, è composto da molti elementi in profonda relazione tra loro. Concepiamo il territorio come qualcosa di vivo, espressione di regole che si sono prodotte e dispiegate nel tempo generando un organismo unico e dotato di una sua profonda identità. Lo scenario si propone di ricreare queste relazioni complesse tra gli elementi, l’uomo e la base ambientale e di far di nuovo agire i saperi acquisiti nel lungo periodo. In questo senso è utile introdurre il concetto di wholeness, utilizzato da Christopher Alexander nei suoi studi che tentano di oggettivare il concetto di bellezza. Per wholeness si intende quel sistema di relazioni che legano gli elementi tra loro e generano un organismo complesso e unico. Ogni territorio, così come ogni sistema vivente, è generato da un insieme di regole che organizzano lo spazio e le forme dello spazio stesso rendendolo vivo ed espressivo dell’identità locale. Quando riconosciamo una certa qualità in ciò che ci circonda, che sia una realtà urbana, un paesaggio od un contesto agricolo, significa che le forme analizzate sono determinate da una concatenazione di regole spaziali proprie del contesto. Sempre adottando i termini coniati da Christopher Alexander, definiamo i centri vitali le entità che fungono da perno dell’organizzazione dello spazio stesso. Utilizzare i concetti di wholeness e di centers significa andare alla ricerca di regole da impiegare successivamente per la costru-


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zione di uno scenario strategico, in cui gli elementi (saperi cognitivi e materiali) del territorio sono messi a sistema tra loro per creare relazioni profonde con l’ambiente, dando vita, di fatto, a un progetto organico di territorio. Scoprire quali sono le regole che hanno organizzato le parti di territorio che ancora oggi riconosciamo come identitarie e di qualità (patrimonio) significa quindi avere uno strumento per rigenerare le parti che invece non ne hanno (criticità). Nel nostro lavoro abbiamo definito le regole che generano le strutture identitarie del territorio come morfotipi: per l’analisi condotta il morfotipo è la configurazione spaziale che si genera in un determinato luogo per opera di precise regole che ci permettono di utilizzare le risorse del territorio nel modo più efficiente. Esempi di sistemi ambientali L’analisi dei sistemi ambientali, come detto in precedenza, svolge un ruolo fondamentale nel percorso di costruzione del quadro conoscitivo, permettendoci di comprendere la struttura e il funzionamento della base ambientale di riferimento. I sistemi ambientali sono definiti individuando le parti di territorio omogenee per caratteri ambientali. Per meglio comprendere il funzionamento dei vari sistemi ambientali sono state realizzate sezioni e spaccati che rappresentano le componenti della base ambientale (vegetazione, pedologia, geologia) e alcuni dei flussi che si muovono all’interno del suolo (ciclo dell’acqua).

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Sezione del sistema ambientale pedecollinare della Valle del Sentino

pagina a fronte Sezione del sistema ambientale della Piana del Sentino

Per illustrare il ciclo dell’acqua sono stati utilizzati gli indicatori di evapotraspirazione e infiltrazione2, utili a rendere un’idea dei flussi presenti nel sistema ambientale e di come essi interagiscono con la base ambientale. Il sistema dei calanchi appartiene al macrosistema delle crete che ha una formazione geologica di argille azzurre e ha generato suoli prevalentemente argillosi, interrotti da livelli di sabbie. Proprio la parte di suolo interessata dalle sabbie, entrando in contatto con i flussi di acqua, è soggetta a erosione e genera il fenomeno calanchivo. Storicamente le zone calanchive non sono mai state sfruttate dall’uomo, a differenza delle aree limitrofe con suoli argillosi che sono state considerate come risorsa per le attività umane. Solo recentemente queste aree hanno acquisito un valore patrimoniale e identitario del territorio senese. Una situazione simile la troviamo per il sistema della dorsale appenninica delle leccete e delle cerrete, dove il macigno di appartenenza ha generato vallecole strette e tortuose con suoli franco sabbiosi, con eccessivo drenaggio e rilevanti pendenze. Queste condizioni portano ad una forte erosione superficiale indirizzando le scelte dell’uomo a verso il mantenimento della copertura forestale proprio per contrastare i fenomeni erosivi e le conseguenze dannose degli stessi. 2 Si consiglia di consultare Brugioni-Consumi-Mazzanti-Menduni-Montini, Determinazione dell’infiltrazione efficace alla scala di bacino finalizzata alla individuazione delle aree a diversa disponibilità di risorse idriche sotterranee, 2012.


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Ci sono poi sistemi ambientali in cui l’azione dell’uomo è stata più potente e in cui le forme originarie dell’ambiente sono state profondamente modificate. È questo il caso del sistema pedecollinare della Valle del Sentino. Questa presenta una parte meno acclive dove è stato possibile l’impianto della vite ed una parte più acclive che è stata completamente rimodellata con terrazzamenti al fine di essere trasformata in risorsa dall’impianto dell’oliveta. Altra parte di territorio altrettanto complessa è la Piana del Sentino. Questo sistema ambientale è soggetto alla formazione di depositi alluvionali e senza l’intervento antropico si sarebbe impaludato. Grazie alle opere di bonifica che hanno veicolato le acque in sistemi di fossi e scoline, la valle è stata resa coltivabile e, proprio il complesso sistema di drenaggio, ha mutato profondamente le caratteristiche naturali del sistema, creandone uno con nuovi e propri equilibri. I morfotipi rurali Dall’analisi dei sistemi ambientali sono emerse due strutture antropiche (morfotipi) ricorrenti sul territorio: il terrazzamento e il sistema di drenaggio. Entrambe frutto di quel processo co-evolutivo di cui abbiamo parlato in precedenza. Il passo che è stato fatto successivamente all’individuazione di questi due morfotipi è stato analizzare le due strutture nelle loro forme e caratteristiche per capire quali sono le regole che le hanno generate. In condizioni morfologiche impervie, che limitavano le possibilità di uso e gestione del territorio, l’uomo ha avuto la necessità di rimodellare la natura e plasmare quindi la materia secondo le proprie necessità.

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Sezione tipo di un terrazzamento (immagine estratta da http:// www.pangeaproject.org/ agricoltura/ e successivamente rielaborata)

pagina a fronte in alto a sinistra Ideogramma della gestione delle acque nella Valle del Sentino

Il suolo, risorsa non rinnovabile o rinnovabile in tempi molto lunghi, assume, in questo contesto, un ruolo fondamentale e deve pertanto essere protetto contro i fenomeni degradativi. I processi erosivi sono una delle principali cause di degradazione della fertilità poiché l’azione delle piogge e il ruscellamento incontrollato delle acque asportano lo strato più superficiale del terreno, quello più ricco di nutrienti e di sostanza organica. (Zanchi, 2005)

a destra Ideogramma del morfotipo rurale di collina

Nel caso del terrazzamento, ad esempio, l’uomo ha organizzato la materia terra e la materia pietra in due strutture differenti che definiscono il terrazzamento stesso e lo rendono capace di sostenere il versante, di gestire il deflusso delle acque, di catturare l’energia solare utile per la vita dell’olivo e di trattenere maggiormente i nutrienti nel suolo. La potenza del dispiegamento nel tempo di una regola, quale quella del terrazzamento, sta nel fatto che la trasformazione del territorio che si genera produce effetti molto profondi: si adoperano le risorse locali (la terra, la pietra), si mettono a sistema le risorse ambientali gestendo i flussi e producendo nuova materia (i prodotti agricoli legati alla coltivazione). Tutte queste azioni portano inoltre un duplice beneficio; infatti, se da una parte le forme generate dal dispiegamento della regola creano paesaggio, dall’altra, creano un valore economico legato al sostentamento di chi il territorio lo abita. Infine, la regola, interagendo, come abbiamo detto, con i cicli naturali, risponde anche alle emergenze ambientali che possono minacciare la vita e l’attività umana (per esempio frane o fenomeni di dilavamento). Nel caso della regimazione delle acque, l’uomo ha organizzato un sistema di più strutture che prevede la realizzazione di scoline tra un campo e l’altro per raccogliere le acque di deflusso e indirizzarle nel fosso di raccolta e da lì fino al corso d’acqua primario.

in basso Ideogramma del morfotipo rurale di piana


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Questi esempi di accoppiamenti strutturali si sono potuti realizzare solo in seguito alla decisione dell’uomo di stabilirsi in un determinato luogo, dando quindi il via a un nuovo processo coevolutivo con la natura circostante. Tutto questo per il fatto che un determinato luogo possedeva condizioni tali da permettergli di costruire quella che potremmo definire la sua terza pelle: la casa. Affrontando il tema della casa e, quindi, dell’abitare, si sono individuati due diversi approcci, che dipendono da due diverse condizioni morfologiche. Identifichiamo questi due approcci con il nome di morfotipo rurale di collina e morfotipo rurale di piana. Il morfotipo collinare si caratterizza per una viabilità primaria, che corre lungo il crinale, e una viabilità secondaria, che si sviluppa lungo le dorsali e contestualmente alla quale si generano borghi, ville, fattorie e poderi. Queste ultime strutture sono state il sistema relazionale che ha caratterizzato profondamente tutto il processo coevolutivo. Il morfotipo rurale di piana, che ritroviamo appunto nelle aree pianeggianti, è caratterizzato da una viabilità principale, che corre per l’intero sistema della piana, e una viabilità secondaria, che mette in collegamento borghi poderi. Questi sorgono quasi sempre nei punti più alti (per esempio colline basse sulla piana o pianori nei versanti collinari) proprio per l’originaria necessità di sfuggire alle zone più facilmente minacciate da impaludamenti. I morfotipi urbani Così come dall’analisi dei sistemi ambientali sono scaturite strutture ricorrenti, che abbiamo denominato morfotipi rurali, allo stesso modo, dallo studio dei centri urbani sono emerse

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Transetto sud-nord

Transetto ovest-est

Transetti di Poggio Santa Cecilia

pagina a fronte Abaco delle regole morfotipologiche

strutture che definiamo morfotipi urbani. Il loro studio si caratterizza per la ricerca delle regole che hanno generato il tessuto urbano stesso. Nel caso in oggetto, l’insediamento analizzato è stato Poggio Santa Cecilia. L’insediamento è nato come borgo fortificato in epoca medioevale, intorno al 1198, sulla cima di un poggio (colle): proprio la posizione strategica gli permise di svolgere un ruolo fondamentale già nelle guerre tra Siena e Firenze. Il poggio divenne poi proprietà unica dei nobili Buoninsegni intorno al 1559, i quali avviarono un processo di trasformazione del borgo: da castello fortificato per scopi militari a vero e proprio borgo rurale che, alla fine del ’700, con la proprietà dei conti Tadini-Buoninsegni, ospitava circa 200 persone e contava ben 22 poderi, divenendo una delle più importanti realtà economico-produttive della zona. Fino agli anni ’50 del secolo scorso Poggio Santa Cecilia era di fatto la centralità di tutto il sistema policentrico di poderi e fattorie in cui si strutturava l’intera organizzazione della piana. La fase di declino del borgo cominciò tra gli anni ’50 e ’60, allorché l’attività principale del territorio divenne quella estrattiva nelle cave di travertino: questo fatto provocò l’abbandono delle campagne e il trasferimento degli abitanti verso i centri di Serre e Rapolano. Gradualmente quindi l’insediamento di Poggio Santa Cecilia ed i poderi circostanti si spopolarono così come le campagne, lasciando disabitato ed inutilizzato il patrimonio edilizio esistente.


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ABACO DELLE REGOLE MORFOTIPOLOGICHE Ideogramma di aggregazione delle regole morfotipologiche Questo schema rappresenta come si relazionano tra di loro alcune delle regole individuate. L’asse territoriale ha l’utilità di collegare il borgo al resto del territorio. Da esso si determinano gli assi urbani che fungono da direttirci strutturanti dell’insediamento. Su di essi si generano delle superfici di aggregazione sociale, come le piazze. Le strade urbane possono originarsi dall’asse urbano e ricollegarsi a esso con dei passaggi coperti. L’elemento che identifica tali spazi è l’edificato che si sviluppa frontestrada. STRADE Asse territoriale Elemento di collegamento borgoterritorio; Strada bianca; Larghezza dai 4 ai 6m; Cipressi ambo i lati; Interseca asse urbano.

Asse urbano Elemento di strutturazione dell’impianto; Elemento sul quale si affacciano piazze; Attività commerciali al piano terra; Interseca strade urbane; Proporzione tra larghezza sede stradale e altezza edifici di 1:1,5-1:2; Pavimentazione in pietra e travertino con sgrondi laterali. Strada urbana Elemento dove si affacciano prevalentemente residenze o ambienti funzionali alla residenza; Proporzione tra larghezza sede stradale e altezza edifici di 1:1,6-1:2,3 Pavimentazione in pietra con probabili sgrondi laterali.

Passaggio coperto Collega due strutture separate; Elemento di giunzione tra asse urbano e strada urbana; Altezza di ca. 5/6m; Elemento per esaltare edifici specialistici.


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IMPIANTO E PERCEZIONE Organizzazione dell’edificato e percezione dello spazio Sviluppo nord-sud; Impianto lungostrada con cortina muraria continua; Soluzione urbanistica che asseconda la morfologia; Tipologia residenziale a schiera ma su corpo unico; L’articolazione dell’impianto e degli elementi urbani (passaggi coperti) generano punti di fuga per esaltre strutture specialistiche.

EDIFICI Altezze omogenee in base all’andamento morfologico; Larghezza di ca. 10/11m; Prevalenza di tipologia a schiera su blocco unico; Sviluppo massimo su due livelli fuoriterra; Piano terra con attività commerciali o deposito/cantina; Piano primo residenza; Gronda a travetti; Muri a facciavista di cotto e pietra, intonacatura per edifici specialistici; Rifiniture e angolari in travertino; Indice fondiario di ca. 7-8 mc/mq.


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Lo stato attuale di Poggio Santa Cecilia mostra lo sviluppo del borgo sulla sommità del colle con andamento nord – sud, circondato da una corona di bosco; i transetti di aggregazione mostrano invece il risultato della composizione delle strutture all’interno del borgo. Le regole morfotipologiche che generano le forme che caratterizzano il borgo, denominate anche pattern, sono state individuate e analizzate per poi codificare una sorta di codice genetico dell’insediamento che ci permetterà “di creare un’infinita varietà di nuove e uniche costruzioni” (Saragosa, 2012). Patrimonio e criticità La carta del patrimonio riassume elementi, strutture, relazioni, sedimenti cognitivi e materiali che sono frutto del lento processo di coevoluzione uomo-natura. Nella carta sono state individuate anche quelle che possiamo definire strutture dormienti o fossili, ovvero elementi patrimoniali che ad oggi non sono utilizzati, ma che saranno interessanti per essere di nuovo trasformati in risorse e messi in rete con gli altri elementi. Gli stessi elementi sono stati divisi in sedimenti materiali, ossia gli elementi fisici che si trovano sul luogo, e sedimenti cognitivi, ovvero le conoscenze ed i saperi locali acquisiti nel lungo periodo. La carta ha permesso di riconoscere quindi tutti quegli elementi che nel tempo si sono sedimentati sul territorio e sono diventati unici ed identitari del luogo stesso. Similmente alla carta del patrimonio, la carta delle criticità è funzionale alla redazione dello scenario progettuale. L’individuazione delle criticità dell’area di studio materializza e localizza gli elementi che si caratterizzano come rottura dell’equilibrio uomo-natura. Nel caso in questione alcune criticità individuate sono state le aree sottoposte a inquinamento acustico, le frane rilevate, i tessuti urbani con scarsa densità di regole morfotipologiche e i tessuti urbani soggetti ad abbandono. Le relazioni tra sistemi ambientali e attività antropica La rappresentazione delle relazioni tra sistemi ambientali e attività antropica mette a confronto in maniera qualitativa gli elementi di differenza tra ciò che è stato prodotto sul territorio nel periodo coevolutivo (territorializzazione) e quanto accaduto nel periodo non coevolutivo (de-territorializzazione), evidenziando quindi le dinamiche avvenute nel tempo. È stato dunque rappresentato il territorio di studio in due diverse situazioni: nella prima sono messi in evidenza gli elementi che si sono prodotti in condizioni di equilibrio con il sistema ambientale, nella seconda è mostrato lo stato attuale, dove vengono riportate quelle che sono lecriticità oggi riscontrabili. Tra le criticità evidenziate riconosciamo una crescita urbana disorganica che ha determi-

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SEDIMENTI MATERIALI

SEDIMENTI COGNITIVI

Ambientali Boschi a prevalenza di Cerrete (cerreta/roverella/pino marittimo)

• L’uso a ceduo dei boschi

Boschi a prevalenza di roverella Boschi a prevalenza di Leccio (leccio/corbezzolo/erica arborea) Boschi misti di Leccio (leccio/corbezzolo/erica arborea) Boschi a prevalenza di pino marittimo (pino marittimo/roverella/cerro) Vegetazione ripariale Area calanchiva Terme Agricoli Oliveto specializzato Frutteto specializzato Prato incolto Seminativo

• Produzioni locali • Le sistemazioni di versante • I sistemi poderali • Le regimazioni idrauliche • Sistema viario agro/forestale • I sistemi di protezione del suolo

Vigneto specializzato Reticolo idrografico e sistemi idraulici Terrazzamenti Strade bianche/sentieristica Urbano Tessuto urbano identitario

• Le regole generative degli insediamenti

Edificato sparso identitario Viabilità strutturante

pagina a fronte Carta del patrimonio

nato non solo una perdita di permeabilità dei suoli (che sono stati sottratti all’agricoltura o a strutture naturali, determinando anche la perdita del valore paesaggistico delle aree), ma anche parti di città di scarsissima qualità architettonica. Un’altra criticità è rappresentata dalle aree industriali: se queste sono state per un certo periodo il fulcro economico dell’area, l’estrazione esasperata del travertino ha causato però la sua depauperazione e un elevato impatto paesaggistico, mostrando un’incapacità nella preservazione delle risorse locali. Lo stesso raccordo stradale Siena-Bettolle, utile è vero per lo sviluppo delle attività industriali, ha agito profondamente sul territorio di Rapo-


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Carta delle criticità

pagina a fronte a sinistra Graficizzazione delle relazioni tra sistema ambientale e attività antropica a destra Ideogramma del passaggio da sistemi policentrici a sistemi monocentrici

Legenda Inquinamento acustico (liv. 4) Inquinamento acustico (liv. 5) Frane Tessuti urbani abbandonati Tessuti urbani con scarse regole morfotipologiche


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lano, divenendo un elemento di frattura dei flussi ecologici, oltre che una fonte di inquinamento acustico e da polveri sottili. L’attività agricola si è nel tempo modificata, diventando sempre più specializzata, con relativa perdita di biodiversità e di varietà produttive e minore utilizzo della risorsa forestale. La stessa gestione dell’attività agricola è andata mutando nel tempo, passando da un sistema policentrico ad uno monocentrico, l’attività agricola specializzata e caratterizzata da monocoltura, oltre a semplificare il paesaggio, ha fatto perdere la rete di relazioni che storicamente faceva da collante al territorio.

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Specifiche della strategia

RIATTIVAZIONE DEL SISTEMA INSEDIATIVO POLICENTRICO Schema strategico

Legenda Sistema poderale

Regole generative utilizzate Morfotipo territoriale di collina

Nodo della rete Connessione con altri nodi Centralità

Morfotipo territoriale di piana

Connessione con altre centralità Morfotipi urbani Area di recupero

Finalità • Recuperare il patrimonio edilizio; • Riordino funzionale di Poggio Santa Cecilia dandogli il ruolo di centralità locale; • Ridistribuire sul territorio le attività produttive della valle diminuendo il peso urbanistico del podere Santa Cecilia.

REALIZZAZIONE DI UNA FILIERA AGROALIMENTARE Schema strategico

Legenda Oliveto Frutteto Seminativo Vigneto

Regole generative utilizzate Prodotti locali Siepature Sistemazioni di versante Sistema idraulico di bonifica

Finalità

Regole generative utilizzate Uso della risorsa forestale Sistema viario agroforestale

Finalità

Interazione con la risorsa Sistema idraulico Terrazzamenti Siepature

• Impiegare attività produttive che mettano in valore le potenzialità del patrimonio territoriale; • Aumentare la biodiversità delle produzioni; • Conversione in una produzione ecologica (es. biologico, biodinamico…); • Promuovere sul territorio la cultura di un’alimentazione sana, varia e di filiera corta; • Rispettare un equilibrio idro-geomorfologico tramite una costante manutenzione dei sistemi insediativi.

REALIZZAZIONE DI UNA FILIERA ENERGETICA Schema strategico

Legenda Risorsa forestale Strade bianche/ sentieristica

pagina a fronte Carta dello scenario strategico

• Efficientamento energetico degli edifici verso un modello di abitare meno impattante; • L’utilizzo della risorsa forestale, per un modello di abitare basato sulla chiusura dei cicli; • Rispettare un equilibrio idro-geomorfologico tramite la manutenzione del sistema forestale.



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Ipotesi di inserimento del nuovo edificio e le regole morfotipologiche utilizzate Regole morfotipologiche utilizzate Strada urbana Proporzione tra larghezza sede stradale e altezza edifici di 1:1,6 1:2,3 Edifici Larghezza di ca. 10/11 m Sviluppo massimo su due livelli fuoriterra Indice fondiario di ca. 7-8 mc/mq Organizzazione edificato e percezione dello spazio Sviluppo nordsud Impianto lungostrada con cortina muraria continua

pagina a fronte Esemplificazione del processo di dispiegamento del tipo

Lo scenario strategico Dal confronto e dalla rielaborazione di quanto emerso nelle carte di patrimonio e criticità abbiamo potuto definire il nostro scenario strategico, che ha come obiettivi guida riabitare il territorio e ridefinire il concetto di abitare stesso. Nello specifico, le azioni individuate nello scenario sono state le seguenti: • riattivare il sistema insediativo policentrico; • realizzare una filiera agroalimentare locale; • realizzare di una filiera energetica locale. La ricreazione di un sistema insediativo policentrico è volto a raggiungere l’obiettivo di creare un’infrastruttura di base per lo scambio di materia e informazione. In questo caso si tenterà di riorganizzare la costellazione di poderi presenti nell’area di studio riallacciandole alla centralità di Poggio Santa Cecilia. L’azione è volta sia al recupero del patrimonio edilizio minore, sia a rafforzare il ruolo di Poggio Santa Cecilia di centralità nel sistema ma anche a ridistribuire in maniera omogenea le attività sul territorio e innescando nuovo fermento. Ipotizzando un riordino funzionale del borgo centrale, si è sperimentato un processo di dispiegamento del tipo urbano con l’inserimento di una nuova struttura. Applicando le regole studiate in precedenza nella nuova struttura, si vede come essa entra subito in relazione con i fabbricati esistenti e nel suo agire diviene essa stessa generatrice di nuovo spazio urbano. La realizzazione della filiera agroalimentare ha l’obiettivo di produrre materia utile allo


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processo di dispiegamento del tipo


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scambio con altri reti insediative, in questo modo il territorio aperto assume il ruolo di generatore di servizi ecosistemici utili a ridurre le distanze tra la città e la campagna. Come supporto è necessaria l’applicazione di nuovi pattern, (frutteti, terrazzamenti, siepature) che complessificano la trama paesaggistica e che nel suo dispiegamento del tipo, ci aiutano a generare spazi di maggiore qualità. Possiamo considerare come vita la presenza dell’uomo che lavora l’olivo, lo stesso olivo che intrappola i raggi solari per crescere, oppure la vita nel pane dell’olivo, inoltre possiamo considerare come vita anche la capacità del terrazzamento di gestire il flusso delle acque, per fare in modo di alimentare il ciclo dell’acqua che garantisce la vita sulla terra. Anche nella realizzazione delle filiere energetiche si andrà a ricercare una soluzione capace di individuare una maggiore affinità e interazione con la risorsa utile, cercando di aprire con essa un nuovo dialogo che garantisca la stabilità sia ecologica sia idrogeomorfologica. Dopo aver calcolato la domanda energetica e identificato i tipi forestali3, dai quali è possibile conoscere la risorsa forestale presente, è stato utile quantificare la producibilità: indicatore contenente la ripresa sostenibile in misura del tipo di gestione del bosco, ovvero il tipo di interazione che attuiamo nei confronti della risorsa forestale. In questo modo si è individuata la risorsa forestale capace di soddisfare la domanda energetica e in grado di dare stabilità al sistema ambientale. Anche in questo caso non si è fatto altro che entrare all’interno dei cicli vitali della pianta trasformando quella che apparentemente è solo materia in risorsa utile per la vita dell’uomo.

3 Per l’individuazione dei tipi forestali abbiamo fatto riferimento al testo di Gian Paolo Mondino e Giovanni Bernetti, I tipi forestali, Edizioni Regione Toscana, Firenze, 1998.


una piccola conclusione Claudi Saragosa

Università degli Studi di Firenze claudio.saragosa@unifii.it

Il materiale proposto in questo testo, elaborato da tre giovani ricercatori, va nella direzione di consolidare una tradizione urbanistica importante che sottolinea la necessità di legare l’insediamento umano (nelle varie articolazioni, dal villaggio alla città) al proprio ambiente di riferimento (intorno agricolo, impronta ecologica, ecc.). Alcune idee su come governare i flussi dell’ambiente per costruire gli insediamenti umani nel tempo si sono andate via via consolidando e appartengono alla storia stessa dell’urbanistica moderna. L’idea che la città e la parte della superficie terrestre su cui sorge debbano maturare una potente relazione simbiotica era già ben chiara (senza perdersi nell’urbanistica premoderna, prima cioè della rivoluzione industriale del XVIII e XIX secolo) all’inizio dell’800. Infatti, già da allora c’era chi, come Johannes Heinrich von Thünen (1780-1850), rifletteva sull’insediamento umano e il proprio intorno agricolo facendo emergere regole nella disposizione delle coltivazioni attorno alla città, queste regole erano legate alla distanza che separava la coltura dal mercato in cui il prodotto della coltivazione veniva poi venduto. Thünen fa osservare come si vadano “naturalmente” a costituirsi una serie di anelli concentrici attorno al nucleo urbano sede del mercato. Il teorico definisce che si debba prendere in considerazione una pianura uniforme ed isolata dal contesto esterno, con al centro una città (il mercato); attorno alla città uno spazio isotropico ovvero: terreni con lo stesso clima e lo stesso suolo, nessun fiume né montagne e nessuna via di trasporto. Infatti, secondo Thünen, il trasporto, quando si strutturerà, sarà effettuato in linea retta e con costo del mezzo di trasporto uniforme. Coloro che inizieranno la coltivazione di questa area omogenea lo faranno perseguendo la massimizzazione del profitto dalla produzione agricola del proprio fondo e in concorrenza perfetta fra loro; se tutte queste premesse saranno realizzate allora, per il gioco della rendita, si otterrà un paesaggio economico ben definito dove, secondo Gian Paolo Torricelli, nelle sue lezioni di Storia, teorie e modelli della geografia economica (2002/03), questo paesaggio sarà costituito da una serie di aree circolari concentriche:


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Il modello a cerchi concentrici di Johannes von Thünen Il procedimento di Lösch per ricavare l’area di mercato e il cono della domanda dalla curva di domanda di un prodotto in funzione della distanza (tratta da Carter, H. 1980)

pagina a fronte Il sistema dei luoghi centrali secondo Christaller (tratta da Carter, H. 1980)

1. Nelle immediate vicinanze della città, nel primo cerchio, detto di “colture libere” poiché l’affitto del suolo è più elevato, la coltura non è sottomessa a un piano stabilito di rotazione. Si producono ortaggi e latte. Perché? Poiché all’epoca il trasporto e la conservazione del latte è una questione delicata e relativamente cara rispetto ai mezzi di allora. La prossimità con la città permette l’acquisto di concime (non c’è “jachère”). Questo vantaggio diminuisce però con la distanza; 2. Comincia allora il cerchio della silvicoltura, in ragione della resa superiore del legno, anche se, uno sfruttamento forestale è difficile da cambiare in poco tempo, in funzione ad esempio, di una variazione della domanda. Oltre questo cerchio, comincia lo sfruttamento cerealicolo. I tre cerchi seguenti (3,4,5) cerealicoli, si distinguono tuttavia per un diverso sfruttamento e impianto colturale: 3. Colture alterne; 4. Avvicendamento pastorale (con pascolo); 5. Avvicendamento triennale. Oltre questo cerchio anche la rendita della segale diventa negativa, la coltura dei cereali cessa; 6. Troviamo qui un pascolo estensivo, per animali poco esigenti (ad esempio pecore), di cui si sfrutterà la lana, ad esempio, facile da trasportare anche su lunghe distanze, oltre questo cerchio, si trovano terreni incolti poiché non più interessanti per una qualsiasi rendita fondiaria in funzione del mercato centrale. (Torricelli, 2003)

Credo che il modello dei luoghi centrali studiato da Walter Christaller (1893-1969) nella prima metà del XX secolo, sebbene approfondisca un tema del tutto diverso (anche se collegato), ossia la disposizione delle città secondo il rango dei servizi che offrono, faccia ben emergere come fra una città e l’altra, anche di rango diverso, rimanga un territorio che agisce soprattutto come produttore di derrate alimentari e servizi ecologici: la rete degli insediamenti è immersa in quest’area, rappresentata in bianco (e non approfondita), che garantisce l’approvvigionamento di materie e di energie e l’assorbimento dei residui dell’urbano. Già fra coloro che per primi si occupano di ripensare alla città descrivendo nuovi modelli urbani, ci si pone il problema di pensare all’insediamento umano in relazione al proprio intorno rurale produttivo. Robert Owen (1771-1858) pensa alle New Harmony come centri abitati circondati da intorni capaci di soddisfare i bisogni alimentari dei propri abitanti (1.200 persone, circondate da terreni per 1.000/1.500 acri). Giunti alla dimen-


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sione massima di ogni insediamento, lo stesso non crescerà ulteriormente, ma si duplicherà a una certa distanza garantendo la terra necessaria a sviluppare una serie di fattorie capaci di garantire la gran parte delle derrate alimentari. Lo stesso accadrà per i Falansteri di Charles Fourier (1772-1837). Per l’autore, infatti, nel periodo che lui definisce dell’armonia gli uomini abbandoneranno le città e si riuniranno in phalanges di 1.620 abitanti, e alloggeranno in appositi edifici chiamati phalanstères; il processo viene descritto in un testo significativamente intitolato Traité de l’association domestique-agricole (1822). Queste nuove piccole città, le Falangi, dovranno sorgere in un terreno di una lega quadra1, luogo nel quale dovrà scorrere un bel corso d’acqua, caratterizzato da colline, adatto a colture di vario tipo, in prossimità di una foresta. Il Falansterio, il grande edificio comunitario, è un complesso organismo al cui interno si alternano vari spazi in modo da far scaturire la vita comunitaria, ma soprattutto è un complesso organismo produttivo autonomo, il cui si integrano le attività urbane con quelle agricole. 1

Unità di misura della distanza a lungo diffusa in Europa e risalente alla Roma antica.

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Rappresentazione di New Harmony di Robert Owen Il Falasterio di Charles Fourier.

pagina a fronte La Città Lineare di Arturo Soria y Mata

Arturo Soria y Mata (1844-1920), l’ideatore della città lineare, sebbene abbia interesse a distruggere la città compatta tradizionale, proponendo un nastro continuo che innerva i terreni rurali, pensa a questo nuovo modello urbano in profonda simbiosi con le terre con cui entra in contatto. Affrontando innanzitutto il problema della disponibilità di acqua, poi cercando un corretto smaltimento dei rifiuti solidi (che possono essere riutilizzati negli orti e nei giardini) e liquidi, studiando le possibilità di smaltimento e per questo sposando il sistema a doppia canalizzazione che è formata da un condotto per le acque sudicie, di irrigazione o piovane, e da una tubazione in ferro, separata dalle altre, per le materie fecali. Questa ultima sbocca a grande distanza dall’abitato, in un apposito stabilimento che trasforma le sostanze di rifiuto in concime. (Soria y Mata, 1968, p. 168)


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La scelta tipologia di edifici singoli immersi in un lotto viene giustificata da ragioni relative alla circolazione dell’aria (che quindi aiuterà a mantenere più salubre la città), ma soprattutto è legata all’attivazione una sorta di nuova agricoltura urbana e periurbana. Dice infatti Soria y Mata che il lotto minimo della città lineare non potrà essere inferiore a 20 x 20 metri cioè di 400 metri quadrati 80 dei quali per la casa o alloggio e 320 per l’allevamento di animali da cortile, orto, giardino o frutteto. Il terreno deve essere cintato da appositi arbusti difensivi che abbiano un valore agricolo o industriale. (Soria y Mata, 1968, p. 291)

Le città lineari, distendendosi nel territorio aperto e collegando le città puntuali preesistenti, formeranno degli appezzamenti di terreno triangolare. Queste triangolazioni sono per Soria y Mata quanto di più necessario alla città, e ricorda come la città lineare — al contrario della città puntuale, che produce una depauperazione delle campagne, attirando tutta la popolazione verso l’urbano — diriga il movimento migratorio nella direzione opposta, così da permettere l’esodo dalle città verso la campagna abbandonata. Se Soria y Mata pensa a una città lineare che innerva i territori rurali, ma che comunque costruisce profondi rapporti simbiotici con la campagna, la città giardino di Ebenezer Howard (1850-1928) riprende l’idea della città accentrata che nasce attorno a un punto, in questo caso un parco: il Central Park. La città sarà costruita al centro di un appezzamento di terreno di 6.000 acri, di cui 1.000 (un sesto dell’area totale) saranno coperti dagli elementi più urbani.

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pagina a fronte La Garden City di Ebenezer Howard

La forma potrebbe essere circolare, con un raggio di 1.240 iarde, e dal centro potrebbero partire sei magnifici corsi (larghi 120 piedi) che, attraversando radialmente la città, la dividono in sei settori uguali. Al centro rimane uno spazio circolare di circa 5 acri e mezzo nel quale sarà sistemato un piacevole e ben irrigato giardino attorno al quale sorgeranno gli edifici pubblici più importanti. La restante parte del nucleo viene riservata al parco centrale (che comprende campi da gioco accessibili a tutta la popolazione), attorno al quale si sviluppa una larga galleria di vetro (interrotta solo dai corsi radiali), chiamata il Palazzo di Cristallo. Da questo grandioso edificio andando verso la periferia si attraversano i viali (i viali sono le strade anulari) che, alberati come tutte le altre vie, ospitano case ben costruite, ciascuna con un proprio ampio terreno di pertinenza, disposte ad anelli concentrici, a meno che queste costruzioni non prospettino sui corsi radiali. Nella città si contano 5.500 lotti con una superficie media di 20 x 130 piedi. Gli edifici hanno una grande varietà tipologica e architettonica. Tra i viali, quello che spicca sugli altri viene denominato il Grande Viale. Ha infatti una larghezza eccezionale (420 piedi) e svolge la funzione di creare una cintura verde (lunga più di cinque chilometri) e di dividere la città in due fasce anulari. In realtà, il Grande Viale assolve sia al compito di dotare la città in un ulteriore parco verde (di 115 acri), lontano al massimo 240 iarde dalla casa più lontana, sia al compito di fornire alla città ulteriori servizi pubblici. All’interno del viale infatti sono ricavate sei aree di 4 acri ciascuna occupate da scuole pubbliche e da chiese. Per distinguere il viale dalle altre parti della città e per garantire un maggiore sviluppo del fronte edilizio le case sono disposte a crescent. Sull’anello esterno si trovano le fabbriche, i depositi di merci, i caseifici, i mercati, i depositi di carbone e di legname, ecc., tutti vicini alla ferrovia che circoscrive la città, collegata mediante raccordi laterali alla linea principale che transita per la regione. Attorno alla città si estende la corona verde (greenbelt) con lo scopo di delimitare la città, localizzare edifici particolari (per malati e bambini) e dar sfogo al compito fondamentale della città rurale costituendo un grande parco agricolo per l’alimentazione. Ma la greenbelt è soprattutto il limite della città la quale, giunta alla sua dimensione massima di popolazione, non potrà crescere ulteriormente a macchia d’olio, ma dovrà sdoppiarsi e localizzarsi oltre la corona verde in un altro sito. La greenbelt non è la quinta prospettica verde e boscosa dove i cittadini vanno a passare i momenti dello svago dopo i lavori nelle attività industriali e direzionali, ma è il luogo produttivo per nutrire gli abitanti della nuova città. La dimensione della cinta agricola è proporzionata al resto del modello urbano. Se potessimo parlare di impronta ecologica, accostando due mondi temporali e concet-


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tuali assolutamente non confrontabili, potremmo dire che Howard con la greenbelt ha cercato di individuare quella fascia di terreni produttivi necessari a far funzionare, almeno per quel che riguarda l’alimentazione, la propria creatura urbana. E l’autore lo dice chiaramente: c’è la popolazione urbana da nutrire. Ora ogni agricoltore ha un mercato a portata di mano. […] I cittadini naturalmente sono perfettamente liberi di fare le loro provviste alimentari in qualunque altra parte del mondo e senza dubbio per molti prodotti essi dovranno ancora rivolgersi all’estero. Non si può infatti pensare che i coltivatori locali possano produrre caffè, spezie, frutta tropicale e zucchero, e probabilmente il loro sforzo per competere con l’America e la Russia nella fornitura di grano e farina alla città sarà duro come sempre. Ma certamente la lotta non sarà altrettanto priva di speranze. Un raggio, un filo di speranza potrà allietare il cuore del produttore locale perché, mentre gli Americani devono pagare i trasporti ferroviari fino al mare, i noli marittimi attraverso l’Atlantico e altri oneri ferroviari per raggiungere il consumatore, l’agricoltore di Città-Giardino ha un mercato immediatamente vicino. (Howard, 1962, p. 22)

Tutto ciò in particolare funzionerà per gli ortaggi, la frutta, i fiori: la vicinanza alla città romperà quella fastidiosa cerchia di speculatori, intermediari, affaristi che rende troppo basso il ricavato del coltivatore e troppo alto il prezzo dei prodotti sul mercato urbano. Se la cintura agricola intorno alla città funziona per gli input alimentari, funziona anche per gli scarti: “i rifiuti della città vengono utilizzati nelle zone agricole concesse a coltivatori diversi, in varie forme: grandi fattorie, piccoli poderi, orti, pascoli, ecc.” (Howard, 1962, p. 15).

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Communitas 2, la città dell’eliminazione della differenza tra produzione e consumo di Paul e Percival Goodman, schemi della città

pagina a fronte I pattern di Christopher Alexander: dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra: “Indipendent regions”, “The distribution of towns”, “City country fingers”, “Agricultural valleys”, “Lace of country streets”, “Country towns”, “The countryside”


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Questo sistema localizzato di produzione farà scattare anche un processo di selezione dei sistemi migliori di conduzione agricola: così, possiamo facilmente immaginare che si dimostrerà più vantaggioso coltivare il frumento in campi molto vasti che richiedono un’azione unitaria da parte di un coltivatore con molti mezzi, o di un ente cooperativo; e che invece la coltivazione degli ortaggi, della frutta, dei fiori che richiede una cura più attenta e più personale, maggiori doti artistiche e creative, darà migliori risultati, se affidata a singoli o a piccoli gruppi di persone che siano convinte dell’efficienza e dei vantaggi di certi sistemi di concimazione, o di coltura o di ambientazione all’aperto o in serre. (Howard, 1962, p. 15)

Credo che dopo Howard, i cui temi influenzeranno potentemente anche Lewis Mumford (1895-1990) e il suo regionalismo, questo interesse per la riconnessione fra città e campagna pian piano sfumi. Certo, ancora alcuni temi persistono (alcune Siedlung tedesche concedono spazio alle coltivazioni ortive, la greenbelt di Londra pensata da Patrick Abercrombie [1879-1957] ha ancora qualche connotato di territorio rurale produttivo, la Broadacre City, la città di Frank Lloyd Wright (1867-1959), è immersa nella pianura coltivata america, ecc.), ma quando si va affermando potentemente il tema della Groszstadt o della Ville Radieuse l’attenzione alla simbiosi città-campagna appare molto sullo sfondo. Nello sfondo di una ricerca teorica del primo secondo guerra appaiono ancora interessanti le notazioni di Percival Goodman (1904-1989) e Paul Goodman (1911-1972). Nella loro ipotesi teorica per la città definita Communitas 2, i due studiosi prendono in considerazio-

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I modelli di Kevin Lynch a sinistra “Green Belt”, a destra i cunei verdi

pagina a fronte Lo schema di Herbert Girardet dove viene identificato l’ambiente di riferimento di un piccolo insediamento umano (tratta da Girardet, H. 1992)

ne un insediamento (di circa 200.000 abitanti) di forma esagonale inserito in una regione che mette a disposizione un intorno agricolo quale base dell’auto-sussistenza dell’insediamento urbano stesso. Questo intorno rurale deve giocare oltre che un ruolo produttivo, anche un ruolo educativo: qui i bambini devono trovare lo spazio per crescere e per apprendere. L’area agricola in cui Communitas 2 è immersa deve, infatti, garantire alla città la stessa qualità di valori: i valori attribuiti all’agricoltura come modo di vita sono una relativa autosufficienza, lo sfuggire al rapporto finanziario, il controllo diretto dei bisogni, l’attaccamento pratico a famiglia, casa, luogo, e condizioni naturali, come li hanno celebrati Borsodi e altri autori. (Goodman, 1970, p. 119)

La strada sarà quella di mettere insieme città e campagna all’interno di una pianificazione regionale integrata: l’unità di una regione per la pianificazione integrata si reperisce o nelle risorse del terreno, del clima, delle materie prime e dell’energia utilizzabile per lo sviluppo tecnologico, o nelle concentrazioni di popolazione e di abilità professionali. (Goodman, 1970, 119)

Qualche anno dopo le proposte dei Goodman, sempre in America, si presentano gli studi di Christopher Alexander [Alexander, 1977] sul pattern language e di Kevin Lynch [Lynch, 1990] sulla buona forma urbana. Negli studi di Alexander si ritrovano una serie di pattern che ci invitano a riflettere sui rapporti fra città e intorno. Fra questi si può ricordare il pattern Indipendent regions (Regioni Indipendenti) che così recita: dovunque possibile, lavorare verso l’evoluzione di regioni indipendenti nel mondo; ciascuno con una popolazione tra 2 e 10 milioni; ciascuno con i propri confini naturali e geografici; ciascuno con la propria economia; ciascuno autonomo ed autogovernato; ciascuno con un posto in un governo mondiale; senza il potere di intervento di grandi stati o paesi. (Alexander, 1977, p. 14)


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O, meglio ancora, il pattern The distribution of towns (La distribuzione delle città) che afferma di incoraggiare processi di nascita e di morte per le città all’interno della regione, che gradualmente abbiano i seguenti effetti: 1. La popolazione è distribuita uniformemente in funzione della dimensione — per esempio, una città con 1.000.000 di persone, 10 città con 100.000 persone cadauna, 100 città con 10.000 persone cadauna e 1.000 città con 100 persone ciascuna. 2. Queste città sono distribuite nello spazio in modo tale che, all’interno di ciascuna categoria dimensionale, le città sono omogeneamente distribuite su tutta la regione. Questo processo può essere implementato da politiche regionali di zoning, concessioni di terra e incentivi che incoraggino le industrie a localizzarsi secondo i dettami della distribuzione. (Alexander, 1977, pp. 19-20)

O, infine, il pattern City country fingers (Cunei verdi in città), in cui si propone di “mantenere cunei alterni di terreno coltivato e suolo urbano, anche nel centro della metropoli. I cunei urbani non potranno mai essere più ampi di 1,6 chilometri, mentre i cunei di terreno coltivato non saranno mai meno ampi di 1,6 chilometri” (Alexander, 1977, p. 25). La relazione della città con il suo intorno è auspicata e costruita anche mediante cunei che dalle valli agricole (pattern Agricultural valleys) entrano sin nel cuore della città bordata da strade di confine (pattern Lace of country streets), che la mettono in contatto con il mondo rurale immediatamente esterno all’urbano. Del resto Alexander individua la preservazione delle piccole città di campagna (pattern Country towns), che vuole che continuino a essere immerse nella campagna (pattern The countryside). Il disegno che l’autore presuppone è quello di aree regionali organizzate da città di rango diverso, molte delle quali con popolazione fra i 500 e i 10.000 abitanti tutte profondamente legate al proprio sistema rurale. Anche Kevin Lynch, fra i suoi modelli urbani, inserisce alcune ipotesi di ricostruzione di una stretta connessione fra la città e il suo intorno rurale. Per esempio anche in Lynch ritroviamo l’idea di connettere città e regione mediante sia cinture verdi sia cunei verdi. La “Green Belt”, dice lo studioso, è un modello legato “al concetto di dimensione ottimale della città” (Lynch, 1990, p. 451) ed è all’opposto del concetto di cunei verdi che invece descrive il modo in cui

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Come reimpostare un ciclo dell’acqua di un insediamento umano secondo Sybrand Tjallingii. Da sinistra verso destra: problematiche esistenti; strategie generali; scenario di riconnessione insediamento intorno regionale

lo spazio aperto penetra nel cuore dell’insediamento e irraggia all’esterno verso la periferia. Così tutte le zone edificate si trovano ad avere degli spazi aperti nelle vicinanze, anche se di dimensioni via via più ridotte verso il centro, dove i raggi convergono. Gli spazi aperti sono collegati fra loro e con i dintorni rurali della città, per quanto lontani siano. (Lynch, 1990, pp. 451-452)

È con Herbert Girardet (1943) che si ha una ripresa netta dei concetti già espressi da von Thünen agli inizi del XIX secolo. L’autore pensa alla necessità di riprogettare nuovamente gli hinterland delle città. Nel suo schema di base si identifica l’ambiente di riferimento di un piccolo insediamento umano. Secondo Girardet le città hanno bisogno di assicurare la continuità degli ecosistemi locali preesistenti: luoghi di grande diversità naturale come montagne boscate, colline, prati, insenature e laghi. La salute e l’integrità di questi ecosistemi infatti assicura la continuità della vita locale, con inclusione della popolazione umana. Vicino all’insediamento si trova un anello di orti, all’esterno del quale si hanno dei frutteti e dei pascoli che producono frutta e pollame. Al di fuori troviamo le foreste per il legname da ardere e da costruzione, mentre più lontano troviamo i campi per coltivare grano e verdure [Girardet, 1992]. Nella stessa ottica, ma con maggiore completezza, il tema viene ripreso dagli olandesi che lavorano con Sybrand Tjallingii (1941) [Tjallingii, 1995]. Con questo studioso viene riletto l’insediamento umano e le sue possibili relazioni (come flussi di materia-energia) ai vari livelli della regione circostante, prima come analisi e, successivamente, come processo progettuale. Nella figura in alto si definisce come reimpostare un ciclo dell’acqua


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di un insediamento umano, in un’esperienza olandese. L’analisi svolta parte dall’individuazione delle problematiche ambientali esistenti; individua una strategia generale di interventi; definisce un modello guida per il lungo periodo per riequilibrare il sistema insediativo rispetto al sistema ambientale. È interessante notare come vengano studiate le modalità di riequilibrio dell’insediamento partendo dall’edificio per giungere al livello regionale e nazionale. Molta attenzione è spesa per richiudere localmente il sistema dei flussi di materia-energia. Lo stesso tipo di approccio è stato sviluppato per i rifiuti e i trasporti. Questa nuova attenzione alle relazioni fra città e ambiente di riferimento, approfondito nel mio testo sull’insediamento umano e la sua ecologia [Saragosa, 2005], trova negli anni ’90 del XX secolo la sua più approfondita trattazione nel percorso scientifico e applicativo dell’impronta ecologica già preconizzata da Eugene Odum (1913-2002) [Odum, 1988] ed esplicitata nei lavori di William Rees (1943) e Mathis Wackernagel (1962) [Rees, 1996]. L’idea viene poi raccolta, all’inizio del XXI secolo, dalla scuola territorialista italiana e, in particolare, dal suo fondatore Alberto Magnaghi (1941), che la incardina nel suo concetto di bioregione urbana. Si deve, infatti, a Magnaghi (vedi la ricostruzione in Saragosa, 2011) l’aver raffinato il concetto sino a sintetizzarlo nel modo seguente: per bioregione urbana si intende un insieme di sistemi territoriali locali fortemente antropizzati connotanti una regione urbana, caratterizzati al loro interno dalla presenza di una pluralità di centri urbani e rurali, organizzati in sistemi reticolari e non gerarchici di città; sistemi interrelati fra loro da relazioni ambientali volte alla chiusura tendenziale dei cicli (delle acque, dei rifiuti, dell’alimentazione, dell’energia) caratterizzanti gli equilibri ecosistemici di un bacino idrografico, un sistema vallivo, un nodo orografico, un sistema collinare, un sistema costiero e il suo entroterra, ecc. (Magnaghi, 2010)

Magnaghi ci spinge quindi a riaffrontare l’urbanizzazione contemporanea come ‘regione urbana’ nella sua valenza ‘bioregionale’. Ciò aiuta l’immaginazione progettuale a ridefinire la questione della crescita come questione di esplorazione e misura delle relazioni interne alla regione fra insediamento umano e ambiente, per attivare principi di bioeconomia e di economia sistemica e solidale, orientando i principi insediativi verso l’autoriproducibilità dell’ecosistema territoriale. In questa accezione la bioregione è soprattutto uno strumento concettuale per affrontare il degrado presente nelle nostre urbanizzazioni diffuse post-urbane determinato da uno squilibrio abnorme nel rapporto fra spazi costruiti e spazi aperti, affidando alla riprogettazione degli spazi aperti (agroforestali, fluviali, naturalistici) un ruolo centrale nel progetto di territorio finalizzato all’autosostenibilità. (Magnaghi, 2010)

La bioregione urbana, quindi, è orientata alla ricomposizione dei cicli ambientali su base locale e alla riconnessione a rete del sistema insediativo esistente in un sistema di nodi sinergicamente legati fra loro. Anche la metropoli può essere riletta come un sistema di villaggi or-

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ganicamente legati. Sempre Magnaghi, infatti, propone di superare l’entropica metropoli centroperiferica suggerendo una dissoluzione della grande concentrazione in quella che definisce la bioregione urbana policentrica: La ‘bioregione urbana’ è costituita da una molteplicità di sistemi territoriali locali a loro volta organizzati in grappoli di città piccole e medie, ognuna in equilibrio ecologico, produttivo e sociale con il proprio territorio. Essa può risultare ‘grande e potente’ come una metropoli: anzi è più potente del sistema metropolitano centro-periferico perché produce più ricchezza attraverso la valorizzazione e la messa in rete di ogni suo nodo ‘periferico’: evita peraltro congestioni, inquinamenti, diseconomie esterne riducendo i costi energetici e i costi da emergenze ambientali, diminuendo la mobilità inutile alla fonte, costruendo equilibri ecologici locali, che a loro volta ridimensionano l’impronta ecologica ovvero l’insostenibilità dovuta al prelievo di risorse da regioni lontane e impoverite. (Magnaghi, 2010, p. 187)

In questa breve ricostruzione di un’idea di città simbioticamente collegata al proprio intorno ambientale, emerge una metafora e cioè che la città possa ricordare un robusto albero ben radicato in quel suolo che contribuisce a formare. Ho ricostruito questa metafora nel libro La città tra passato e futuro (Saragosa, 2011) di cui riprendo alcuni passi. Diceva Gustavo Giovannoni (1873-1947): L’abitato dei vecchi quartieri può, in altre parole, assomigliarsi agli alberi di un bosco. Germogliati talvolta con libera disposizione naturale e talvolta piantati secondo filari o disposti radi in larghi spazi, ovvero sottili e fitti a racchiudere la verde ombra, essi muoiono per decrepitezza o sono tagliati dall’ascia, ma i nuovi virgulti nascono dalle stesse ceppaie, riproducono gli stessi raggruppamenti dei loro progenitori. Così le case: si rinnovano, si trasformano, si ricostruiscono, ma il loro andamento raramente varia dal primo schema edilizio, che sopravvive come trama dello sviluppo successivo e ci rivela lo stile originario, sia di nascita spontanea, sia di piantagione. (Giovannoni, 1995, p. 15)

Riprendeva poi Lewis Mumford: Di fatto le città sono come gli alberi: una volta formate bisogna distruggerle sino alle radici perché cessino di vivere; altrimenti, anche se si tagliano i rami principali, intorno alla base si formeranno nuovi germogli, come avvenne per esempio a Gerusalemme, completamente distrutta nel 70 d.C. Quella che Lavedan chiama la “legge di persistenza della pianta” può essere più genericamente definita la “persistenza dell’archetipo urbano individuale”. (Mumford, 1977, p. 317)

Le citazioni potrebbero continuare, ma per il momento possono bastare. Mi soffermerei sul fatto che nelle metafore appena citate la città viene descritta come un albero soprattutto per la propria capacità di resistere anche nelle più potenti trasformazioni: si può distruggere l’albero, ma dai suoi polloni riemergerà la pianta con tutta la propria vitalità. Credo che questa immagine descriva bene la legge della persistenza della pianta della città, ma non esplichi ancora, come si deve, la potenza che l’immagine della città come


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albero può avere. Sono sempre stato affascinato dalle parole di Carlo Cattaneo (1801-1869), quando descrive le relazioni fra la città e il proprio territorio. Dice Cattaneo: In Italia il recinto murato fu in antico sede comune delle famiglie che possedevano il più vicino territorio. La città formò col suo territorio un corpo inseparabile. Per immemorial tradizione, il popolo delle campagne, benché oggi pervenuto a larga parte della possidenza, prende tuttora il nome della sua città, sino al confine d’altro popolo che prende nome d’altra città. […] La adesione del contado alla città, ove dimorano i più autorevoli, i più opulenti, i più industri, costituisce una persona politica, uno stato elementare, permanente e indissolubile. Esso può venir dominato da estranee attrazioni, compresso dalla forza di altro simile stato, aggregato ora ad una ora ad altra signoria, denudato di ogni facoltà legislativa o amministrativa. Ma quando quell’attrazione o compressione per qualsiasi vicenda vien meno, la nativa elasticità risorge, e il tessuto municipale ripiglia l’antica vitalità. Talora il territorio rigenera la città distrutta. (Cattaneo, 1931, pp. 52-54)

Come osserva Aldo Rossi (1931-1997), quando si occupa di Carlo Cattaneo (della sua concezione della città come principio ideale della storia, del vincolo tra la campagna e la città e di altre questioni del suo pensiero relative ai fatti urbani), Cattaneo non farà mai distinzione tra città e campagna in quanto tutto l’insieme dei luoghi abitati è opera dell’uomo. “Ogni regione si distingue dalle selvagge in questo, ch’ella è un immenso deposito di fatiche. […] Quella terra adunque per nove decimi non è opera della natura; è opera delle nostre mani; è una patria artificiale”. La città e la regione, la terra agricola e i boschi diventano la cosa umana perché sono un immenso deposito di fatiche, sono opera delle nostre mani; ma in quanto patria artificiale e cosa costruita esse sono anche testimonianza di valori, sono permanenza e memoria. (Rossi, 1983, p. 28)

La Città e la Terra, secondo Cattaneo, sono uniti da vincoli inscindibili, da legami funzionali e da valori testimoniali. In questa immagine, quindi, sembra che la città come albero metta radici in un fertile ambiente a lei circostante. Se questa metafora ha una propria capacità evocatova (cioè se ci aiuta a capire fenomeni tra loro molto diversi — albero e città sono oggetti evidentemente diversi), allora vorrei continuare e spingermi a utilizzare altre immagini e osservare, per esempio, come un albero reagisca con il terreno in cui ha posto radici. Il processo è quello che forma il suolo: la pellicola fertile della Terra. I processi pedogenetici sono legati alla compresenza di molti fattori in stretta correlazione fra loro. Dice Valerio Giacomini (1914-1981): Il suolo è un organismo vivo nel quale le parti non possono essere soltanto giustapposte e sommate. […] L’importante è renderci conto che possiede una struttura e una funzionalità estremamente complesse, ed è luogo di un’incessante circolazione di flussi di energia, che come in qualsiasi ecosistema sono tributari delle radiazioni solari, e danno luogo a complesse conversioni e autoregolazioni. […] Il tutto si compone in un ciclo di costruzione-consumazione-restituzione che si chiude garantendo la funzionalità continuata del sistema-suolo; funzionalità che diventa fertilità, produttività a vantaggio delle piante, degli animali, degli uomini. (Giacomini, 1984, p. 1)

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Gli alberi mettono radici in questo complesso vitale attingendo le risorse per la propria esistenza e, nello stesso tempo, producendo quelle variazioni di contorno che attivano i mille fattori che producono suolo: un processo di autofertilizzazione. E se la città fosse come un albero? Io mi aspetterei di individuare attorno alla città (in quella parte di Terra strettamente collegata con l’insediamento urbano) un immenso deposito di fatiche che hanno costruito, in una sorta di processo pedogenetico (in relazione a mille fattori ambientali e in simbiosi con mille soggetti viventi), uno strato complesso di agenti che, autorigenerandosi, alimentano la città stessa per mezzo di proprie radici. Se la metafora funzionasse mi aspetterei che questo spazio fuori dalle mura urbane acquistasse, in stretta connessione con la città, sempre maggiore complessità intrecciando miriadi di fattori. In altre ricerche, ho sviluppato due percorsi di analisi: il primo riguarda l’insediamento umano come ecosistema territoriale, il secondo riguarda lo studio dell’impronta ecologica storica [Saragosa, 2005]. Con l’ecosistema territoriale si mette in relazione l’insediamento umano con il mondo territoriale che tende a costruire. Questo modello concettuale mette in evidenza come la città tenda proprio a mettere radici in un luogo della Terra che la ospita. L’ecosistema territoriale parte da concetti astratti ma immediatamente dopo si imbatte nella concretezza della sua base ambientale: le caratteristiche materiali di quell’ambiente su cui si fonda l’insediamento umano. Ogni insediamento umano può evolversi positivamente solo interpretando i caratteri ambientali originari. Nella storia si sono prodotte ecologie complesse di carattere territoriale (ecosistemi territoriali) in cui il connubio uomo-ambiente ha acquistato uno spessore straordinario. In cui, cioè, l’accoppiamento strutturale fra insediamento e ambiente ha prodotto una coevoluzione speciale, profonda, penetrante: ogni insediamento, proprio confrontandosi con una parte specifica della pellicola vitale della Terra, ha generato un proprio mondo singolare. L’insediamento, quindi, per trovare le proprie risorse materiali, energetiche, informazionali, ha tessuto squisite e complesse relazioni ecologiche: ha prodotto le proprie impronte ecologiche territoriali, costruito il proprio spazio ambientale. Sul piano storico, prima che il contemporaneo sciogliesse questi legami, si può ben riscontrare, con l’analisi dell’impronta ecologica storica, le forti relazioni fisiologiche tra città e ambiente di riferimento. Si può infatti verificare come l’ambiente di entrata di un ecosistema territoriale (composto da un insediamento e la propria base ambientale) e il suo ambiente di uscita in gran parte coincidano; come esista, insomma, una relazione profonda che porta a far combaciare gli ambienti di entrata (energia, alimentazione, beni di uso quotidiano) con gli ambienti di uscita (riutilizzo dei beni, scarti, rifiuti). Gli insediamenti storici


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sono caratterizzati soprattutto come sistemi semi-chiusi in cui la maggior parte delle proprie risorse e dei propri scarti sono ri-metabolizzabili in spazi fisici e lassi temporali individuabili nel domesticheto. L’impronta storica, inoltre, è costruita dalle relazioni che la comunità tesse con il proprio ambiente circostante, relazioni che per perdurare hanno bisogno di essere autorigenerative. Questo è quello che possiamo definire funzionamento ciclico (o durevole, o sostenibile); un sistema costituito da una complessa rete di filiere corte, risultato della pluralità di relazioni che insistono sul territorio stesso. La complessità relazionale delle filiere corte si riflette nella complessa trama territoriale agraria storica. Dalla storia riceviamo, quindi, mondi locali complessi che, ancora una volta, vanno interpretati, e della cui autorigenerazione vanno individuate le leggi virtuose (le leggi strutturali e funzionali del loro manifestarsi). Ogni organismo vivente, come abbiamo visto in altri momenti, risponde alle influenze ambientali con cambiamenti strutturali e tali cambiamenti faranno variare il comportamento dell’organismo nel futuro. La cultura locale che si sviluppa a ogni esperienza di fondazione di un insediamento produce atti cognitivi. Tale processo cognitivo prodotto dalla continua interazione prodotta dall’accoppiamento strutturale non è solo una rappresentazione di un mondo che esiste indipendentemente, ma è piuttosto una continua generazione di un mondo tramite il processo della vita. In questo senso ogni ecosistema territoriale è una creatura con una propria fisionomia, una propria fisiologia, un proprio processo di apprendimento, insomma una propria identità specifica [Saragosa, 2005]. Perché costruire una metafora e paragonare la città a un albero? Semplicemente perché la intricata autopoiesi che ha prodotto la città nella storia si sta oggi drammaticamente corrodendo. Attualmente, l’insediamento umano si configura come un sistema disgiunto da quell’equilibrio che ricaverebbe dall’interazione col suo ambiente di riferimento. È un sistema aperto che per mantenersi ha bisogno di flussi continui di energia e materia che non ricava dal proprio intorno, ma da contesti esterni all’ecosistema territoriale (alla bioregione) a cui apparterrebbe. Questa disgiunzione geografica comporta, conseguentemente, l’utilizzo di risorse astratte prive di relazione con il locale: l’utilizzazione di questi flussi produce un disaccoppiamento crescente tra società insediata e ambiente di base (con la conseguente dissoluzione del territorio). Posso definire il funzionamento di questo sistema lineare: tutti i suoi componenti sono riproducibili in qualsiasi momento (con produzione di grandi quantità di entropia) e, soprattutto, l’ambiente di entrata e quello di uscita corrispondono ad aree disperse nel pianeta [Pearce, 2009], talvolta molto lontane dall’insediamento con nessuna relazione con il territorio locale. Tutto il sistema funziona secondo uno schema fatto di filiere lunghissime che producono

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un’estrema semplificazione della struttura territoriale locale la cui conseguenza è il dissolvimento delle relazioni territorializzanti e l’evaporazione dei luoghi complessi che la storia ci ha consegnato. Proprio in questo ultimo lasso di tempo in cui sembra incontrovertibile una tendenza all’omologazione dei luoghi nella globalizzazione dei non-luoghi (anche quelli delle archistar?), emerge con forza la necessità di contrastare la tendenza alla banalizzazione e all’appiattimento verso modelli territoriali e culturali omologati, per lo più insostenibili. La progettazione ecologica dell’insediamento, che non può basarsi solo della necessità di una nuova sostenibilità ambientale (una più intelligente chiusura dei cicli con esperienze più durevoli), pone anche il problema di tornare ad arricchire il mondo di informazione rara, di biodiversità, di diversità delle culture, di valorizzazione dei luoghi differenti e unici della Terra. Ogni esperienza di riorganizzazione dell’insediamento diviene di nuovo un’esperienza unica: un’autopoiesi irripetibile. Solo dal confronto fra le diversità può scaturire una nuova globalizzazione in cui ciò che si scambia non è l’informazione banale uguale in ogni dove, ma una serie complessa di esperienze mai uguali l’una all’altra: inesauribili modi di accoppiarsi strutturalmente con una porzione di Terra, unica e irripetibile. Forse già qui sta una radice del fare nuove città: dopo la bio-architettura, deve nascere e prendere consistenza la bio-urbanistica: la rifondazione di Biopoli [Welter, 2002]. Senza entrare nel merito di quelle configurazioni spaziali che dovrebbero garantire la gestione dei flussi nella definizione di forme di qualità dal punto di vista percettivo, i lavori dei tre giovani ricercatori presentati in questo scritto va sia nella direzione della costruzione di nuovi equilibri fra insediamento e ambiente di riferimento, sia nella lettura di quei pattern di dettaglio che, in un territorio quale quello toscano, permettono di costruire non solo equilibri ecologici, ma anche nuove configurazioni spaziali capaci di dialogare con le caratteristiche identitarie del territorio. Dalla semplice lettura ecologica si va verso una ricostruzione di quel linguaggio di configurazioni spaziali che ri-dispiegandosi nella Terra locale dovrebbe garantire la qualità dei flussi e la conversazione, seppur nella necessaria evoluzione, dell’identità delle forme che garantisce la riconoscibilità del luogo e quindi la sua essenza. Sono evidentemente delle prime sperimentazioni, non sono ancora una trattazione completamente esaustiva del tema, ma il percorso di ricerca sembra ben tracciato e foriero di nuove proficue scoperte.


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Bibliografia

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimendo di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Marzo 2018



Vista la crescente necessità di sostenibilità, sia ambientale che sociale, l’importanza del territorio, inteso come tutt’uno tra città e campagna, sta assumendo sempre più importanza. Questo passo comporta il doversi allontanare dai modelli tradizionali andando ad individuare un nuovo approccio metodologico. La sfida che si tenta di affrontare in questo libro va in tale direzione: realizzare una pianificazione rur-urbanistica dell’ecosistema territoriale dove, lo sviluppo rurale possa intersecarsi sia con i presupposti di sostenibilità introdotti dall’approccio bioregionalista sia con le intuizioni di qualità dello spazio di Cristopher Alexander. I tre capitoli che fanno parte del testo cercano di affrontare questa tematica per gradi. Si parte dalla piccola scala (con l’impronta ecologica) e pian piano si aumenta il grado di dettaglio passando dal piano del cibo ed arrivando fino alla progettazione di un piccolo intorno territoriale (ecovillaggio).

Lorenzo Bartali (Poggibonsi, 10/09/1987), Dottore magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio. Borsista all’interno del DIDALAB Piani e Progetti per la Città e il Territorio dove collabora in attività inerenti i principali interessi di ricerca, come la pianificazione del territorio rurale, la sostenibilità ambientale, la progettazione urbana e l’approfondimento di temi inerenti le relazioni tra pattern ed effetti sull’ambiente. Giulio Galletti (Pisa,03/04/1989), Dottore magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio. Collabora con amministrazioni e studi professionali alla redazione di strumenti urbanistici e progetti di natura territoriale. È membro del gruppo di ricerca DIDALAB Piani e Progetti per la Città e il Territorio dove svolge attività inerenti la sostenibilità ambientale, la progettazione urbana e territoriale. Alessio Tanganelli (San Miniato, 26/03/1992), Dottore magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio. Membro del gruppo di ricerca DIDALAB Piani e Progetti per la Città e il Territorio attorno ai principali interessi di ricerca quali la pianificazione e progettazione del territorio aperto e la rigenerazione urbana. Da due anni è collaboratore informale alla didattica all’interno del Corso di analisi urbana e territoriale del CDL in Pianificazione della Città, del Territorio e del Paesaggio.

ISBN 978-88-3338-022-3

ISBN 978-88-3338-022-3

9 788833 380223

€ 15,00


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