Prato, città laboratorio | Di Domenico

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marco nicola di domenico

Prato, cittĂ laboratorio Una strategia per il Macrolotto 0



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione.

Ringrazio il relatore Giulio Giovannoni per la guida preziosa che ha reso possibile il percorso di stesura della Tesi; Valerio Barberis, Assessore all’Urbanistica del Comune di Prato, correlatore, per i preziosi input; Cosimo Balestri e Emanuele Barili, compagni di studi e correlatori d’eccezione; Francesca Lupo, compagna di laboratorio e discussioni filosofiche, nonché correttrice di bozze.

in copertina Mappa della città di Prato. In Evidenza il Macrolotto 0 e Chinatown.

progetto grafico Laboratorio Comunicazione e Immagine Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Sara Caramaschi

© 2018 DIDAPRESS Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 14 Firenze 50121 ISBN 9788833380209

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni X-Per


marco nicola di domenico

Prato, cittĂ laboratorio Una strategia per il Macrolotto 0



Il Macrolotto 0 come distretto creativo

pagina precedente Chiesa protestante cinese in via Goffredo Mameli, Chinatown (foto dell’autore).

La tesi di Marco di Domenico affronta il tema della progettazione di un quartiere assai complesso e delicato, il cosiddetto Macrolotto 0 di Prato. Questo è un quartiere unico nel suo genere per quattro principali caratteristiche: l’inusuale commistione di attività produttive e residenziali, l’elevatissimo rapporto di copertura, l’estrema vicinanza al centro storico di Prato, la presenza di una delle più grandi comunità cinesi esistenti in Italia. Il Macrolotto 0, così come il cosiddetto Macrolotto 1, è anche caratterizzato da una rendita fondiaria particolarmente alta, dovuta agli affitti che i cinesi che operano nel cosiddetto ‘pronto moda’ pagano ogni mese a proprietari italiani, per lo più ex imprenditori del tessile. Nei due macrolotti la rendita urbana è la più alta di Prato. Nella letteratura anglosassone di economia urbana il punto di una città dove la rendita fondiaria è massima, cioè dove gli immobili costano di più, è indicato come hundred percent location, traducibile letteralmente come ‘località cento per cento’. Infatti il valore di qualsiasi area urbana può essere espresso come percentuale di questo valore massimo. La hundred percent location è anche un luogo di intensa vita sociale: dove è alta la rendita, infatti, sono in genere alte anche la densità fondiaria e demografica e l’intensità d’uso. Pur non avendo il valore di una legge universale, questa correlazione tra rendita e socialità coglie un aspetto fondamentale del funzionamento sociale ed economico delle città. Del resto essa è in linea con la teoria dell’offerta di rendita di Alonso (1964), secondo cui la rendita e la densità raggiungono l’apice nel baricentro urbano e diminuiscono progressivamente allontanandosi verso la periferia. Sebbene dopo Alonso la città sia esplosa e le centralità si siano moltiplicate, le leggi economiche che ne regolano il funzionamento restano sostanzialmente invariate. Alla luce di questa banale considerazione è interessante confrontare i valori immobiliari del Marcolotto 1 con quelli del centro storico di Prato. I capannoni commerciali e produttivi del Marcolotto 1 sono affittati mediamente a 15 €/mq al mese1. Per contro, le abitazioni del centro storico di Prato si aggirano attorno ai 7-8 €/mq2. Nonostante la loro struttura prefabbricata, i loro tetti talvolta in amianto, il loro basso costo di costruzione, le loro caratteristiche certamente non di lusso, i capannoni costano il doppio delle case in centro: con cento metri di capannone si ‘comprano’ duecento metri di case. Nel Macrolotto 0 la rendita è solo leggermente più bassa, essendo gli edifici più fatiscenti. Quindi i due macrolotti sono di fatto la hundred percent location di Prato. Questo semplice dato relativo al mercato immobiliare è la chiave di volta per comprendere Prato e il suo ruolo nel mondo, le sue divisioni e conflitti, la sua deindustrializzazione (italiana) e reindustralizzazione (cinese), la sue nuove gerarchie urbane e sociali. Prato nel mondo: li Macrolotto 0 e il Macro come nodo globale La stupefacente rendita fondiaria dei capannoni nei macrolotti pratesi deve spiegarsi con un salto di scala, ossia con l’appartenenza di una parte del sistema produttivo pratese a un ordine gerarchico di livello superiore. Se a livello locale Prato è uno dei principali nodi del sistema policentrico della Toscana centrale, a livello globale essa è uno dei principali centri mondiali della produzione del fast fashion3, il cosiddetto ‘pronto moda’. In particolare i Macrolotti sono la principale vetrina e il cuore produttivo di quella che da oltre dieci anni è la capitale europea del pronto moda4. Come noto, la reindustrializzazione ad opera degli imprenditori cinesi è andata di pari passo alla deindustrializzazione ad opera di molti imprenditori italiani. Tra il 2001 e il 2012 l’export tessile si è dimezzato, una riduzione che è stata definita dall’Irpet coDati derivanti da un colloquio informale con il Presidente del Consorzio del Macrolotto 1 in occasione del sopralluogo effettuato il 2 ottobre 2017 con gli studenti del workshop La città intermedia. Verso una nuova urbanità Dati medi ricavati da una rapida ricerca su portali immobliari online condotta dall’autore nel novembre 2017. Il dato esprime unicamente un ordine di grandezza plausibile e molto approssimativo dei valori immobiliari del centro storico di Prato. 3 Si riporta la seguente definizione di fast fashion (pronto moda) fornita da Tsan-Ming Choi (2014, p. 3): «Fast fashion is an industrial trend that is pertinent in practice. It refers to the concept of shortening lead time (production, distribution etc) and offering new products to the market as fast as possible. Nowadays, this phenomenon is commonly adopted in fashion apparel (by brands such as Zara, Topshop, H&Metc) and also “fashionable” consumer electronics (e.g. iphone). From an analytical modelling perspective, the key components of fast fashion systems include: (i) Quick response policy which is employed to reduce the system response time (i.e. lead time) so that volatile demand and supply can better match. (ii) Product assortment which changes frequently. (iii) Product lifecycle which is very short. (iv) Product’s design which fits the fashion trend and market needs». 4 Si legge in Ceccagno (2012, p. 46): «By the mid-2000s, the new productive organization had transformed Prato into the largest fast fashion garment centre in Europe, able to keep up with the frantic changes in the fashion industry and therefore to withstand competition with garments from China. Thus, the new garment center was able to attract buyers from Europe and beyond». 1

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me tale “da far pensare ad un vero e proprio tracollo dell’intera economia dell’area” (Irpet 2013, p. 13). Contemporaneamente il numero di imprese italiane è diminuito da 5800 a 3000 unità, mentre la manodopera occupata si è ridotta della metà (Pieraccini 2012). Il declino è stato parzialmente ‘compensato’, se così si può dire, dalla rapida crescita dell’imprenditoria cinese che nella Provincia è passata dalle 1739 unità del 2002 alle 5676 unità del 2016 (Camera di Commercio di Prato 2017). Prato come global city: polarizzazione sociale e progetto politico Nella sua celebre opera The Global City: New York, London and Tokyo, Saskia Sassen illustra la geografia sociale di quelle che al 1991, anno di pubblicazione del libro, erano le più importanti città globali del pianeta. Queste sono descritte come divise e polarizzate: da una parte le élite urbane privilegiate e benestanti connesse al treno della globalizzazione, dall’altra le classi di servizio destinate a campare con poco. Il libro della Sassen ha aperto un ampio dibattito sulla polarizzazione sociale, economica e geografica nelle città globali5. Le successive ricerche hanno parzialmente confermato la tesi dell’autrice secondo cui nelle città globali la tendenza alla polarizzazione è più accentuata che altrove. Del resto l’aumento della disuguaglianza è uno dei tratti fondamentali dell’economia contemporanea (Piketty 2013). Prato è indubbiamente anche una città globale. Esiste dunque a Prato un problema di polarizzazione sociale connesso alle dinamiche economiche degli ultimi decenni? In mancanza di studi aggiornati che permettano di quantificare il fenomeno e spiegarne l’evoluzione nel tempo si può ricorrere alle fonti letterarie per cogliere, se non altro, la percezione sociale del problema. Del resto la letteratura è impiegata da tempo nell’ambito degli studi urbani come strumento di conoscenza territoriale e di interpretazione di determinate realtà sociali6. È significativo a questo riguardo il libro Storia della mia gente di Edoardo Nesi. In esso emerge con forza la preoccupazione circa la crescente divisione tra la minoranza cinese in rapida ascesa economica e la maggioranza pratese rimasta al palo della globalizzazione. In uno dei passi più vivi e certamente più criticati del libro, Nesi descrive un sogno in cui Fabio, un cinquantenne rimasto senza lavoro, vive il confronto umiliante tra la sua nuova condizione di povertà e il benessere materiale acquisito da Zhu, un giovane benestante figlio di imprenditori cinesi. Un banale episodio tra i due a un distributore di benzina fa esplodere un’ondata di violenza che finisce per coinvolgere l’intera città. Questa violenza, nel racconto di Nesi, è come il frutto di una rabbia e disperazione collettiva pronta a scoppiare in qualsiasi momento. Essa deriva dal forte attrito sociale generato dalle due opposte traiettorie di ascesa e di declino. Viene spontaneo chiedersi se la rabbia descritta da Nesi derivi dalla sua storia imprenditoriale, essendo questi uno dei tanti imprenditori tessili ad aver dovuto chiudere. Tuttavia, con le cautele i distinguo del caso, non è difficile riconoscere come il sentimento descritto dall’autore sia ancora piuttosto diffuso. La questione, tuttavia, è ben più complessa. La divisione/polarizzazione economica e sociale non riguarda soltanto la comunità cinese e la popolazione indigena. La stessa componente italiana della società pratese è attraversata da una divisione che il libro di Nesi non permette di cogliere. Soltanto una parte dei pratesi ha potuto e può beneficiare della presenza dell’imprenditoria cinese. I vantaggi li ha avuti soprattutto chi ha potuto riscuotere le altissime rendite immobiliari che gli imprenditori del pronto moda hanno pagato e pagano tuttora. Mentre in altre parti d’Italia si è demolito il tetto dei capannoni per evitare l’imposta sugli immobili, i proprietari dei macrolotti riscuotono cifre esorbitanti. Dunque i macrolotti, in quanto nodo di una rete globale, sono anche il principale simbolo di questa polarizzazione sociale: cioè della divisione tra chi la globalizzazione l’ha agganciata, benché da una posizione di rendita, e quella di chi ne è rimasto al palo. Occorre dunque un progetto politico e urbanistico che permetta di superare questa divisione e di distribuire maggiormente i benefici economici del pronto moda pratese. La pianificazione urbanistica può giocare un ruolo importante in questa direzione. Il Macrolotto 0 come distretto creativo Il progetto di Marco di Domenico è un progetto di integrazione funzionale e sociale del Macrolotto 0 nella realtà urbana e metropolitana. Attualmente questo quartiere ha un carattere fortemente introverso ed è caratterizzato da una doppia ‘chiusura’, spaziale e sociale. La chiusura spaziale è dovuta alla conformazione fisica dello spazio. Questo consta di un sistema di corti interne, non visibili dalla strada, sulle quali si affacciano le diverse unità produttive. La ‘chiusura’ sociale è dovuta invece al carattere introverso della comunità cinese, che come noto fa fatica ad integrarsi con la comunità locale. A livello metropolitano il Macrolotto 0 è inquadrato nell’ambito del sistema della moda e delle attività creative. Il progetto prevede la trasformazione di questo quartiere in un distretto creativo di livello metropolitano. La sua apertura alla realtà loUna definizione di polarizzazione sociale è data da Crankshaw (2016, p. 1613): «Polarization means that there has been more employment growth in both highly skilled, high-income jobs and in low-skilled, low-income jobs, and less employment growth in semi-skilled, middle-income jobs». Un lavoro pionieristico in questo senso il libro di Pocock (1981).

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cale si traduce in un progetto spaziale di diradamento e di recupero e apertura alla collettività dei sistemi di corti e di una parte degli spazi architettonici dei capannoni, spesso di notevole qualità. Inoltre, l’integrazione del Macrolotto 0 nel sistema locale e metropolitano delle attività creative comporta anche un progetto funzionale e infrastrutturale. A livello funzionale si prevede la creazione di una struttura polifunzionale di servizio, che è anche pensata come un segno verticale, un landmark giustificato dal nuovo ruolo di questo distretto. Inoltre si amplia l’offerta di spazi per il co-working, la residenza temporanea, le case per artisti, gli atelier, gli incubatori per imprese, e simili. A livello infrastrutturale si studiano le condizioni di fattibilità di questa proposta progettuale in termini di accessibilità e dotazione di parcheggi. Concludendo ritengo il progetto di Marco di Domenico una risposta convincente alle sfide sociali, spaziali e politiche poste dal Macrolotto 0 di Prato e un contributo molto significativo al dibattito urbanistico per la città di Prato e più in generale per l’area metropolitana fiorentina e pratese.

Riferimenti Alonso W. 1964, Location and Land Use. Toward a General Theory of Land Rent, Harvard University Press, Cambridge (MA). Camera di Commercio di Prato 2017, L’imprenditoria straniera in Provincia di Prato, Prato, non pubblicato. Scaricabile su < http://www. po.camcom.it/doc/public/2017/STR_2016.pdf> (11/17). Ceccagno A. 2012, The Hidden Crisis: The Prato Industrial District and the Once Thriving Chinese Garment Industry, «Revue européenne des migrations internationals», vol. 28, no. 4, pp. 43-65. Crankshaw O. 2016, Social polarization in global cities: measuring changes in earnings and occupational inequality, «Regional Studies», vol. 51, no. 11, pp. 1612-1621. Irpet 2013, Prato: il ruolo economico della comunità cinese, Irpet, Firenze. Piketty T. 2013, Il capitale nel XX secolo, Bompiani, Milano. Doughlas P. a cura di, 1981, Geography and Literature: Essays on the Experience of Place, London, Routledge. Pieraccini S. 2012, Il tessile di Prato e il dilemma dell’integrazione con i cinesi, «Il Sole 24 Ore online», <http://www.ilsole24ore.com/art/ impresa-e-territori/2012-08-10/tessile-prato-dilemma-integrazione-064440.shtml?uuid=Ab3XuDMG> (11/17). Sassen S. 1991, The Global City: New York, London and Tokyo, Princeton University Press, Princeton (NJ). Tsan-Ming Choi, “Fast fashion systems – An introduction”, in Tsan-Ming Choi, a cura di, Fast Fashion Systems: Theories and Applications. London: CRC Press, 2014.

Giulio Giovannoni Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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pagina precedente Foto aerea del Fabbricone, negli anni ‘30. Archivio fotografico Ranfagni

I pionieri Prato, fino ai primi anni del 1800, era uno dei tanti centri urbani toscani di origine medioevale, popolato da meno di 40.000 cittadini. La presenza di molte gualchiere non faceva eccezione rispetto ai territori confinanti. La peculiarità pratese, prima della rivoluzione industriale, la si poteva riscontrare, però, in due fattori rilevanti. Il primo era l’abbondanza di energia idraulica, fornita da una rete di gore allacciata ad unico punto di adduzione sul Bisenzio. Il secondo: la forte diffusione della proprietà privata (Ciolini 2004). L’intensità dell’impiego di energia idraulica da parte di tanti soggetti privati spinse alla creazione di uno “Statuto dell’Arte dei padroni dei mulini sulla riva destra del fiume Bisenzio” (Ciolini 2004). In sostanza un consorzio di gestione dell’energia idraulica. Così un’infrastruttura ramificata e diffusa fece fiorire una realtà imprenditoriale diffusa, capace di autogestirsi. Le classi sociali che dipendevano da questo sistema svilupparono una consapevolezza del proprio ruolo economico e un’identità territoriale distinta rispetto a Pistoia e Firenze. Prato cominciò a spiccare davvero nel contesto toscano, però, solo dalla metà del 1800, quando fu investita dalla seconda rivoluzione industriale. Giovan Battista Mazzoni, dopo aver studiato e lavorato nell’industria tessi-

La rivoluzione industriale a Prato

le a Parigi dal 1815 al 1820 (grazie a un sussidio del Granducato di Toscana) riprodusse a Prato alcuni dei nuovi macchinari francesi e inglesi. Nell sua officina, creata in un ex convento, Mazzoni creò il primo telaio Jacquard di Prato (Lungonelli 1988). Si trattava di una delle grandi innovazioni della rivoluzione industriale: un telaio che riproduceva disegni anche molto complessi utilizzando come istruzioni delle tessere perforate. Il telaio Jacquard è, di fatto, l’antecedente storico del computer e di tutte le macchine a controllo numerico. Nel laboratorio di Sant’Anna vennero realizzate anche una fonderia in ferro, una filanda di canapa e i primi esperimenti di illuminazione a gas della città (Lungonelli 1988). A guidare Mazzoni era la passione per l’innovazione tecnologica e per il progresso che la tecnologia incarnava. Le officine di Sant’Anna furono un laboratorio di creatività tecnologica dove si respirava l’entusiasmo per l’innovazione che pervadeva l’Europa in quell’epoca. Nello stesso contesto storico si crearono, in Toscana, condizioni favorevoli per importanti investimenti di capitali. Nel 1851 venne completata la ferrovia tra Prato e Firenze. La costruzione della strada per Bologna, attraverso la Val di Bisenzio, terminò negli anni ‘90 (Giuntini 1988). Dal 1861, con l’unificazione del Paese, si semplificò la gestione

delle infrastrutture nazionali e nel 1887 vennero emanate leggi di carattere protezionistico (Lungonelli 1988). Nel 1860, Rodolfo Mazzoni, figlio di Giovanni Battista, impiantò un opificio per la costruzione di macchine per la sfilacciatura a secco delle lane, dando impulso all’industria della rigenerazione della lana dagli stracci (Lungonelli 1988). Così, la presenza di artigiani e operai specializzati e di condizioni favorevoli agli investimenti incoraggiò altre iniziative private. I Forti, famiglia di merciai, costruirono una grande fabbrica vicino a via Pistoiese, nel 1882. Nel 1888 arrivarono a Prato le famiglie austriache Kossler e Mayer dando vita al Fabbricone in via Bologna. L’attivazione di questo stabilimento costituì un punto di svolta nella storia della città, anche da un punto di vista socio-culturale. Fin dall’inizio il Fabbricone impiegò 900 dipendenti, per lo più donne, e in pochi decenni arrivò fino a 2.000 addetti (Lungonelli 1988). Alla fine del secolo altre famiglie seguirono la strada tracciata dai pionieri: Calamai, Campolmi, Querci, Lucchesi, Targetti etc. Ma fu solo dopo la seconda guerra mondiale che l’industria pratese fece il grande balzo in avanti. La crescita del distretto laniero Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, Prato, come tante al-

tre città italiane, ha dovuto impegnarsi nella ricostruzione fisica e politica. Nel 1944 la città fu colpita da 4 bombardamenti alleati, soprattutto a ridosso del centro storico e della Stazione Centrale. Particolarmente colpite furono anche le industrie tessili (Tinacci Mosello 1988). Ben presto però la città si rimise in piedi e cominciò ad espandersi, ad un ritmo e con modalità che per lungo tempo rimasero non comprese se non totalmente ignorate dalle istituzioni e dagli urbanisti. L’apertura dei mercati, in particolare quello americano, favorì la crescita dei distretti industriali del manifatturiero al centro-nord. Prato era tra le realtà più dinamiche. In pochi anni si ebbe un aumento dei telai e degli addetti al settore tessile senza precedenti, al punto da fare di quest’area una delle più industrializzate d’Italia (Ritratti di città 1967). La grande industria a ciclo unico però era in crisi e si assistette ad una frammentazione estrema del sistema produttivo, con un riemergere della dimensione autonoma e artigianale del lavoro. Molti operai si misero in proprio e molti contadini nei dintorni della città comprarono un telaio e cominciarono a lavorare come contoterzisti nel loro “stanzone” (Becattini 2000). In questa fase lo sviluppo della 9 città (anni ‘50 e ‘60) fu caratte-


rizzato dalla commistione tra residenze e fabbriche e dalla tendenza ad una crescita centripeta, molto compatta a ridosso del centro storico. Questa è l’epoca che vide nascere il Macrolotto Zero. Negli anni ‘70 e ‘80 invece si sentì il bisogno di regolamentare lo sviluppo urbano: la convivenza tra produzione e residenza cominciava ad essere percepita come un problema (Secchi 1996). Naque il primo vero Macrolotto1, e poi altre aree industriali, in una fascia distanziata dalla città: Bagnolo, Oste, Iolo, Calenzano e il Macrolotto Due. Queste grandi aree industriali privilegiarono la vicinanza alle infrastrutture come la A1 e la A11, dato che la vecchia rete stradale non poteva più sostenere la nuova mole del traffico merci. Quest’ultima è stata una fase di crescita centrifuga rispetto al nucleo storico di Prato, e policentrica, che avrebbe dovuto produrre uno svuotamento e riconversione di parte delle fabbriche del 1 L'idea della delocalizzazione delle imprese era già presente nel PRG Marconi (1963) Il PRG Sozzi Somigli, approvato nel 1985, definì gli attuali Macrolotto 1 e 2.

Macrolotto 0 in terziario e residenziale. La sostituzione edilizia non ha sconvolto però il carattere della città e soprattutto non del Macrolotto Zero, che conserva il suo particolare tessuto misto. L’insediamento della comunità cinese, poi, ha riaffermato, anche se con molte contraddizioni, il carattere produttivo dell’area, accrescendone le complessità con l’insediamento di una chinatown.


pagina precedente Foto aerea del Macrolotto 0, anni ‘60. Archivio fotografico Ranfagni. Immagini satellitari del Macrolotto 1. Google Inc. 2016. Foto scattata durante i bombardamenti americani del 1944 su Prato. Fonte: Fold3.com,

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in questa pagina In alto, le genesi della città e del distretto. Sotto, le principali tipologie di insediamento.

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La città tra caos e razionalismo minimale

pagina precedente La crescita della “città cristallina”. Periodizzazioni del costruito. Scala 1:25.500 Tratteggiata in verde l’area oggetti di analisi nelle prossime pagine.

Gli elementi ordinatori della crescita urbana La metafora abitualmente usata per definire la crescita di Prato è quella della “macchia d’olio” (Secchi 1996)1. Per essere più corretti bisognerebbe sostituire a questa immagine metaforica quella della crescita di un cristallo. La metafora della macchia d’olio suggerisce l’idea di un’espansione equipotenziale ed arbitraria, senza direttrici spaziali, storiche o economiche. Come non fosse governata da ragioni umane. Questa rappresentazione allontana dalla comprensione dei fenomeni urbani e lo spazio osservato perde qualità. Analizzare attentamente la crescita di Prato, soprattutto dalla seconda guerra mondiale a oggi, invece, rivela gli elementi spaziali ed economici che hanno delineato la struttura della città. Individuare questi elementi aiuta a superare alcuni pregiudizi sulla natura stessa del tessuto urbano e di quartieri come il Macrolotto Zero. Gli elementi storici (pre-ottocenteschi) su cui Prato è cresciuta sono tre: alla base di tutto la maglia della centuriazione, inclinata in senso orario di 29° rispetto agli assi cardinali. Poi le quattro strade che si dipartono dal centro storico, Via Bologna verso nord, Via Fra’ Bartolomeo verso est, Via Roma verL’espressione “a macchia d’olio” è la più usata nei giudizi comuni riguardo la città, ma è stata usata nel tempo anche dagli urbanisti. Secchi fa riferimento a questa metafora (p. 28 in “Un progetto per prato”) senza però sposarla personalmente.

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so sud e Via Pistoiese verso ovest. Ad intersecare il sistema stradale, la rete delle gore che scendono da Santa Lucia verso sud-ovest, orientate secondo la pendenza del terreno (corrispondente a quella della centuriazione). I primi borghi fuori dal centro medioevale sorsero lungo le quattro strade principali, allargandosi poi nella campagna ai due lati. Lungo questi assi si installarono le industrie maggiori e i borghi operai alla fine dell’800. Fino alla seconda guerra mondiale, tuttavia, il centro medioevale rimase il fulcro della vita, anche industriale, della città. Qui si intessevano le relazioni tra industria e artigianato. Nel 1936 gli artigiani presenti in centro erano 1.300, metà tessitori (Tinacci Mosello 1988). Dopo la guerra l’industria non poté più essere contenuta entro le mura e la città cominciò ad occupare la campagna, espandendosi con la diffusione di piccole unità produttive miste a residenze. Dal 1945 al 1951 la crescita topografica di Prato fu di un’intensità eccezionale: vennero richiesti e concessi in questo periodo 162 permessi di apertura di strade private di lottizzazione, 1427 permessi di costruzione di abitazioni e 731 di costruzioni industriali (Tinacci Mosello 1998). Così le stradine perpendicolari alle quattro vie principali si allungarono e i nuclei fuori le mura crebbero.

Negli anni successivi (‘54-‘65) si consolidarono i nuovi quartieri così cresciuti, andando a saturare buona parte delle aree comprese tra i 4 assi di espansione intorno al centro storico (con l’eccezione della zona a sud di Porta Pisoiese e ad ovest dei Macelli, occupata dal Cimitero). Le aree più esterne comprese tra le 4 porzioni di campagna saranno invece saturate dopo il ‘65 fino alla fine degli anni ‘70, soprattutto con quartieri residenziali. Dal ‘78 in poi si è costruito per lo più lontano dal centro storico, saturando le frazioni più periferiche o creano i nuovi lotti industriali. Il processo di espansione, così delineato, offre un’interessante analogia con la formazione di un cristallo. Questa, pur essendo solo una metafora, aiuta a fissare il concetto di una razionalità di fondo di cui la struttura cittadina è intrisa. Partendo da questo paradigma si è indagata la struttura del quartiere ad ovest del centro. Mettendo insieme elementi fisici e storico-culturali si è cercato di riconoscere la matrice che sta alla base della forma attuale della città, delle sue qualità storiche e di quelle futuribili. I principi insediativi del Macrolotto 0 Per individuare e definire il Macrolotto 0 è necessario prendere in esame una

porzione di città che includa insediamenti disomogenei tra loro: per questo è stata scelta l’area racchiusa tra la ferrovia, il centro storico, la tangenziale, e via Galcianese. Questa porzione di città è definita da confini fisici creati in epoche diverse, che rappresentano un elemento di separazione netto. L’area così tagliata contiene in sé diversi tipi di insediamento. Analizzando le fasi storiche di edificazione se ne distinguono tre, ai quali corrispondono altrettante fasi della storia socio-economica della città. La prima è quella della “razionalità minimale” (Secchi 1996): i nuclei rurali di origine medioevale (poderi, mulini, il borgo fuori porta Pistoiese, quello di San Paolo e Borgonuovo) e le prime fabbriche fuori dalle mura, affiancate da residenze allineate lungo le strada. Fino al 1954 prosegue la medesima modalità di occupazione del suolo, con un notevole aumento della superficie occupata dai capannoni. A questo punto il Macrolotto 0 è già praticamente formato. Questo è il tessuto urbano più tipicamente pratese. In questa parte di città si esprime al massimo la complessità della mixité (Secchi 1996), ovvero la commistione serrata di luoghi di lavoro e residenza. Le ragioni di questo particolare tessuto urbano risiedono nel13 la natura dell’impresa pratese,


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piccola o piccolissima, spesso di tipo familiare (Tinacci Mosello 1988). La vicinanza della casa al luogo di lavoro, oltre ad essere dovuta a semplici ragioni di economia di tempo e spazio, è stata fatta risalire da alcuni studiosi al tradizionale modello di insediamento dei mezzadri toscani2. Fino al ‘54, infatti, l’immigrazione che investì la città proveniva principalmente dalle campagne toscane. Secondo questa ipotesi la mixité può essere considerata frutto di un’inerzia storica, la permanenza di un modello di città arcaico, rispetto ai modelli urbanistici modernisti, ma che nella realtà semi artigianale dell’industria diffusa pratese offriva ancora prestazioni adeguate. Analizzeremo in seguito le qualità spaziali che possono L'ipotesi è di Bardazzi S., ripresa da Tinacci Mosello M. ne "L'organizzazione del territorio" p. 149 2

rendere ancora oggi questo un tessuto dalle caratteristiche prestazionali utili al riuso (vedi 3.La città fabbrica). Nella mixité, oggi, va anche aggiunta la funzione commerciale. L’analisi dell’uso degli edifici, infatti, rivela la presenza di una fascia particolarmente ricca di attività commerciali compresa tra Via Pistoiese e Via Filzi. L’insediamento tipico degli anni ‘70 e ‘80 è quello prevalente a nord di San Paolo, il quartiere residenziale fatto di palazzine diradate e distaccate dalla strada. Questi sono quartieri mono-funzionali cresciuti soprattutto sull’onda dell’immigrazione interna proveniente dal meridione. Su via Galcianese si costituisce nella stessa epoca una nuova fascia di industrie. Le edificazioni più recenti (1990-2010) non hanno creato nuovi insediamenti,

ma singoli interventi sparsi, per lo più pubblici o di sostituzione edilizia, specie vicino al centro storico. Una delle caratteristiche che distinguono nettamente i diversi tessuti urbani delineati è il rapporto tra i pieni e i vuoti. Se il Macrolotto 0 e la mixité si riconoscono dalla presenza di un denso quartiere industriale frammisto a residenza, gli altri insediamenti si differenziano per una maggiore rarefazione. Invertendo il punto di vista e osservando il negativo del costruito, anche i vuoti parlano di caratteri diversi della città e usi diversi dello spazio. La ‘città residenziale’ di San Paolo è caratterizzata dalla presenza di verde privato, di pertinenza dei condomini. Tra i palazzi ci sono anche piccole aree verdi pubbliche, spesso vicino alle scuole.

Se i quartieri storici e il Macrolotto 0 sono legati alla “razionalità minimale” contadina e poi piccolo-industriale, la matrice dei quartieri residenziali è quella della “razionalità burocratica”3, attenta agli standard e al rispetto di valori quantitativi (i metri quadrati di verde per abitante, ad esempio). Nella “città fabbrica” è invece evidente la scarsità di spazi non costruiti. I pochi presenti sono praticamente tutti asfaltati. Si tratta di corti, piazzole e strade senza sfondo di servizio alle fabbriche. L’esistenza di spazi aperti qui è puramente funzionale. Il principio utilitaristico ed economico riduce al minimo la dispersione spaziale. Secchi, nel descrivere le tre tipologie di insediamento pratesi attribuiva ad ognuna un principio diverso di razionalità. p. 29 in “Un progetto per prato. Il nuovo Piano Regolatore”

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in queste pagine Analisi del costruito e dei vuoti. 0

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Datazione del costruito gore 1948 1954 1965

San Paolo

1986 2015 demolizioni VIA GALCIANESE

Uso degli edifici LAVORO supermercati banche industria servizi pubblici RESIDENZA condominio condominio con negozi schiera schiera con negozi casa singola

edifici abbandonati strade

15


https://www.youtube.com/watch?v=nxtIRArhVD4

Proprio la scarsità della superficie libera però sta ad indicare l’importanza di queste aree e la loro centralità per garantire determinati livelli prestazionali di questo quartiere (vedi 3.1). Nella zona commerciale di via Filzi-Via Pistoiese gli spazi aperti sono per lo più rappresentati dai parcheggi. Queste aree, asfaltate, sono più vaste delle piccole corti immerse tra i capannoni, e sono infatti state ottenute solo grazie ad abbattimenti. In un tessuto così denso e complesso i parcheggi sono spesso fondamentali per orientarsi e svolgono una funzione suppletiva di spazio pubblico (vedi 2.2) A sud di tutte queste aree, prima della fascia industriale di via Galcianese, si trova una striscia agricola residua che arriva quasi a lambire il centro storico.

Lungo questa “penetrante verde”4 esistono alcuni parchi pubblici e attrezzature collettive. Estrapolando dalle analisi precedenti gli edifici ad uso commerciale, i servizi, i parchi pubblici e i parcheggi, otteniamo uno “strato” che costituisce di fatto l’ambito della vita collettiva (Viganò 1999)5. Con la differenza che la fascia commerciale Filzi-Pistoiese appare più continua e consolidata, mentre la rete dei parchi e dei servizi pubblici (per lo più scuole) è tenuta insieme soltanto da una pista ciclabile.

4 Espressione con cui Secchi inquadra questa area in un subsistema. (tav. 2, Sistemi e Subsistemi, Piano Strutturale, 1998) 5 Nell'approccio elementarista di P. Viganò parchi, negozi, servizi e parcheggi sono elementi che possono essere letti come facente parte di uno stesso strato urbano.

Il Macrolotto 0 in una strategia urbana Facendo una sintesi di quanto visto è possibile leggere questa porzione di città come una costruzione di tre subsistemi. Questa suddivisione era già emersa delle analisi fatte dal gruppo di studio di Bernardo Secchi per il PGR del 1996. La città intera veniva divisa in cinque principali sistemi: un sistema dei luoghi centrali, un sistema della residenza, un sistema della produzione, un sistema ambientale e un sistema della mobilità6. Quattro di questi sistemi agiscono nel quadrante analizzato. La declinazione del sistema della residenza (subsistema) attribuito all’area di San Paolo è quello degli “interventi residenziali unitari”. "Un progetto per Prato: il nuovo Piano Regolatore", p. 139 6

Il subsistema ambientale, a sud, è rappresentato dalla “penetrante verde”, destinata già nel PRG Secchi a rimanere area agricola urbana con la diffusione di orti urbani e parchi7. La strip commerciale a nord veniva inserita nel sistema dei “luoghi centrali”, come subsistema “centralità alla scala urbana”. In soli venti anni questa è diventata la Chinatown, e rappresenta, tra i subsistemi, un caso del tutto particolare che oggi merita di essere distinto da tutto il resto. Il nucleo centrale del Macrolotto 0 è il subsistema della mixité nel sistema produttivo. Queste ultime tre realtà, adiacenti le une alle altre, sono radicalmente di"Un progetto per Prato: il nuovo Piano Regolatore", p. 257, (Piano Strutturale, Art.106 - Progetto norma, 2.5 Parco di San Paolo). Vedi anche la Tav. 2 del Piano Strutturale 1998 "Sistemi e subsistemi".

7


in queste pagine Analisi del costruito e dei vuoti. 0

100

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300

400

500

Uso del non costruito campi agricoli e orti incolto verde privato asfalto privato strade parcheggi verde pubblico

Layer dell'ambito pubblico condominio con negozi schiera con negozi super\mini market banche\uffici residenze\fabbriche edifici pubblici parchi pubblici verde sportivo strade pista ciclabile

17


SISTEMA AMBIENTALE Penetrante verde Parco urbano

1

Agricoltura urbana Incolto

A

Pista ciclabile

B

Servizi 1 Stazione Borgonuovo 2 Itis Marconi 3 FIL 4 Liceo Magistrale 5 Piscina comunale 6 Scuola Media

C

MIXITE' - ML0 Case Capannoni

3

Area di progetto 6

STRIP - CHINATOWN

2 4

5

Attività commericali PIU A Coworking B Lab. mestieri e mercato C Parco urbano 0

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stinte. Rappresentano tre tipi di città diverse tra loro. Eppure l’esistenza della Chinatown non sarebbe possibile senza la realtà del Macrolotto 0 nella quale il manifatturiero cinese ha trovato gli spazi funzionali al proprio modello lavorativo e familiare. Queste due “città” quindi costituiscono in realtà un sistema di forte simbiosi8. Anche se l’analisi delle due aree sarà condotta separatamente bisogna perciò tenere conto di questa relazione. E’ impossibile ristrutturare il Macrolotto 0 senza rapportarsi con la Chinatown. Sarebbe del resto miope non vedere nella strip commerciale cinese una Nel Piano Strutturale del 1998 (quando ancora non esisteva la Chinatown) Secchi, include i due subsistemi in un unico schema direttore (vedi "Un progetto per Prato: il nuovo Piano Regolatore", p. 257, Art.107 - Schema direttore S.D. 3: Via Filzi, Via Pistoiese e il Macrolotto 0).

8

possibile porta di accesso per la “città-fabbrica” capace di fornire servizi e ambiti di relazione e di interscambio sociale e culturale. La fascia verde a sud invece è tuttora una realtà meno consolidata. Appare oggi per lo più come un’area agricola di risulta. Esisono però parchi attrezzati,aree sportive, un polo scolastico ad est, oltre ad un orto urbano comunale immediatamente a sud di Via Zipoli. Ad oggi il rapporto della città con questa area è più problematico. Essa costituisce un elemento di frattura più che una fascia di verde attrezzato. La ristrutturazione del Macrolotto 0 dovrà quindi tenere conto anche del rapporto con questo subsistema. Oltre ad offrire una zona di cuscinetto tra due aree ad alta intensità industriale, e a collegare i complessi scolastici,

quest’area potrà consolidarsi come zona agricola urbana. Questa è anche la prospettiva adottata dal progetto del Comune di Prato che si è aggiudicato i finanziamenti del bando PIU della regione Toscana (Pattume 2015). Il PIU interviene anche tra la strip commerciale e il Macrolotto 0. Viene prevista la ristrutturazione di edifici industriali per un uso collettivo e la creazione di un nuovo parco urbano. Interventi che, disposti su una direttrice nord-sud, legano insieme tutti e tre i subsistemi. L’importanza strategica delle interazioni tra i tre subsistemi appare ancora più evidente se si torna alla scala urbana. Il sistema Flizi-Pistoiese si collega a ovest con la ferrovia, e quindi a tutta la piana metropolitana. A est attraverso porta Pistoiese si ac-

cede immediatamente al centro storico, non molto lontano da Piazza del Duomo. La viabilità a sud invece, tra Macrolotto 0 e la fascia agricola, accede al centro storico attraverso porta Leone. Nel percorso si incontra il polo scolastico, il nuovo Parco Centrale (che sarà realizzato dal 2018) e infine la Biblioteca Lazzerini. In questa rete tra i vari sistemi, il Macrolotto 0 ha una posizione privilegiata. E’ l’elemento centrale tra una zona consolidata come centralità urbana e una fascia verde. Entrambe la fasce sono immediatamente connesse al centro storico e ai suoi servizi. La zona nord è collegata a Firenze e Pistoia. A livello urbano, quindi, l’intervento di progetto sarà volto a rafforzare la relazione del Macrolotto 0 con le aree


in queste pagine Rappresentazione schematica dei subsistemi e del rapporto con il centro storico. Serraglio

A sinistra: i tre subsistemi della centralità urbana, della mixité e ambientale. A destra: il Ml0 e il centro storico. In basso: tre scorci, rispettivamente, da sinistra a destra, di Chinatown, città-frabbrica e orti urbani.

Centrale Borgonuovo

3 1

Stazione ferroviaria

PIU

4

Chinatown

2

Mixité

Parco Centrale

Agricoltura urbana Attrezzature pubbliche Centro storico 1 Porta Pistoiese 2 Porta Leone 3 Piazza del Duomo 4 Piazza del Comune Via Zipoli PIU Area di Progetto

laterali. Per fare questo si è scelto di agire nella zona più centrale della città-fabbrica, sui due isolati a cavallo di via Zipoli. Questa è l’unica delle traverse di Via Pistoiese ad avere origini medioevali (vedi 1.2), ed accede direttamente ad un parco urbano a sud. Si trova nel cuore della città fabbrica, ovvero i quattro isolati più densi a sud del sistema Filzi-Pistoiese. Oltre a ciò lavorare su quest’area trasversale ai subsistemi segue la direttrice dei progetti del PIU, affiancandosi ad esso e costituendo un ipotesi di ampliamento del sistema di servizi previsti.

P


N 20 min 1.6 km

Via Zipoli

5 min 400 m

Piazza dell'Immaginario

ESERCIZI CINESI Ristoranti\bar\pasticcerie discount\supermart altro ESERCIZI ITALIANI Pizzerie\bar\pasticcerie altro


Chinatown

pagina precedente Illustrazione schematica della densità di attività commerciali cinesi tra via Pistoiese e via Filzi.

Una realtà in movimento La zona di via Pistoiese, a ovest del centro storico, è ormai nota come una delle Chinatown più grandi d’Italia. Di fatto è parte del Macrolotto 0, ed è caratterizzata dagli stessi fenomeni della mixité. Tuttavia, essendo un’area con una forte centralità già negli anni ‘80-’90, mutata poi dalla presenza cinese, merita uno studio specifico. A prescindere dalle considerazioni socio-politiche riguardo il successo economico della comunità cinese (Pieraccini 2008 e 2012, Irpet 2013 e 2015), è utile osservare come l’emergere della chinatown abbia cambiato il volto della città, determinando anche spinte positive a cui agganciarsi per una ristrutturazione urbana utile a tutti1. Chinatown, infatti, sta diventando sempre di più un luogo di possibile comunicazione e scambio tra due comunità molto lontane e divise. Uno dei fattori di questo cambiamento è la crescita del settore commerciale cinese, anche in seguito alla crisi del 2008. Mentre nel centro storico (per lo più popolato da esercizi gestiti da italiani) aumentavano i fondi sfitti, lungo via Pistoiese nascevano nuovi fondi commerciali. 1 Non si può ignorare il fatto che una parte importante della cittadinanza percepisca la Chinatown come una presenza estranea nella città, la cui immagine rimanda solo all'illegalità e al lavoro nero. Nella stampa locale è ben visibile la contrapposizione tra due diverse letture di questa realtà. (Vedi ad esempio Orsini, C 2015 e Tempestini, L 2016)

La principale ragione è che la crisi del 2008 ha colpito anche il manifatturiero cinese. Oltre a ciò c’è il desiderio, specie delle nuove generazioni, di aderire ad uno stile di vita diverso da quello dei genitori. Uno stile di vita che fino a 20 anni fa si sarebbe definito “occidentale”, ma che oggi è un mix di culture visive, stilistiche e culinarie decisamente eterogenee e contaminate su scala globale. Per i cinesi il passaggio dal lavoro in fabbrica a quello della piccola attività commerciale non costituisce un avanzamento dello status economico-sociale in senso stretto. Le maggiori prospettive di guadagno nel lungo termine vengono associate al pronto moda (Pedone 2013). La differenza sta nella libertà personale offerta dalle diverse dimensioni lavorative. Il lavoro in fabbrica può portare prestigio e ricchezza, se si riesce a diventare laboan (padrone). Ma il prezzo da pagare sono orari di lavoro sfiancanti e una vita di reclusione che per i più risulta senza fine. Molti cittadini cinesi prefescono il piccolo commercio perché gli orari di lavoro sono più umani e si conquista più tempo libero (Pedone 2013). Allo stesso tempo molti pratesi, soprattutto giovani, vedono sempre più nel quartiere commerciale cinese uno spazio liberatorio, piuttosto che alienante. Un pezzo di metropoli cosmo-

polita, in un contesto di provincia spesso percepito come opprimente e monotono. Gli studenti universitari e gli appartenenti a quella che potrebbe essere diventare una “classe creativa” (Florida 2005)2 locale sono attratti dallo scenario urbano che la presenza cinese, sulla sfondo della città industriale, è venuto a creare. La presenza di una minoranza culturale forte crea condizioni per cui molte altre minoranze (culturali e generazionali) possono trovarsi a proprio agio, e sentirsi più libere di esprimersi3. Questa immagine della Chinatown come luogo vario e cosmopolita può affermarsi oltre i confini di Prato e rendere questo quartiere un crocevia di rilievo metropolitano e regionale. Nella strategia del progetto, quindi, si può considerare Chinatown come un elemento su cui innestare, da un lato, una parte del processo di emersione della comunità cinese (fuori da sfruttamento e illegalità), dall’altro, un fattore di attrazione per i soggetti che potrebbero entrare nel processo di riuso della città fabbrica. 2 In “Cities and the creative class” (Routledge, 2005) Florida fa notare come la popolazione attiva in ambiti che richiedono titoli di studio avanzato e creatività sia attratta dalle città che offrono una grande varietà di esperienze, un senso di apertura e tolleranza, e la capacità di “validare la propria identità di persone creative”. (p 35) 3 Gary W. McDonogh nella conferenza "Immaginare Chinatown" tenutasi a Prato nel 2015 sostiene che la presenza delle comunità cinesi negli Stati Uniti abbia rafforzato il senso di appartenenza nei luoghi anche per le altre comunità.

Lungo via Pistoiese, oggi, la densità delle attività commerciali cinesi è pari solo a quella che solitamente si ritrova nella vie principali dei centri storici europei. Fino al 2008 la strip terminava già all’incrocio con via Becagli. Oggi, invece, è proprio in questa zona, dall’isolato dove si trova la cosiddetta Piazza dell’Immaginario, che la densità dei negozi è massima. Il vecchio tessuto urbano, il borgo creato a cavallo dei due secoli scorsi e la mixité del boom industriale, viene così occupato da una nuova popolazione. Un mondo di insegne, di simboli e modi di vivere la strada nuovi. Molti dei capannoni industriali in prossimità di via Filzi e via Pistoiese diventano discount, supermercati e ristoranti. Le casette a schiera a due piani rimangono a uso residenziale ai piani nobili, mentre sulla strada vengono create nuove vetrine, e le facciate sono sempre più coperte di insegne colorate e scritte in cinese. Più lontano dal centro storico, dove la strada si allarga e al posto delle vecchie case contadine compaiono modesti villini suburbani, tra gli edifici e il marciapiede sono presenti piccoli giardini privati. Con l’apertura dei negozi i muretti antistanti vengono eliminati e i marciapiedi conquistano spazio. Quello che succede nella comu21 nità cinese, in termini di trasfor-


2008

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mazioni economiche e culturali, si manifesta così sullo spazio fisico della città e sul paesaggio urbano. Bressan e Tosi Cambini hanno identificato il Macrolotto 0 come una “zona di transizione”4. Lo fu prima per gli immigrati dalla campagna mezzadrile, che soprattutto in questo quartiere poterono installare le loro piccole attività imprenditoriali. Per molti lavoratori questo è stato il luogo di sacrifici e lavoro, ma anche una porta di accesso ad uno status sociale ed economico migliore. La comunità cinese, con le dovute differenze, ripete un processo per certi aspetti analogo, e il carattere di “provvisorietà” delle sistemazioni e la mobilità sociale sono semmai ancora più accentuate. Questo quartiere (includendo tutto il Macrolotto 0 in questo di4 2011, ‘Eterogeneità culturale e spazi pubblici in un distretto industriale: il Macrolotto 0 di Prato come zona di transizione’. Questa definizione risale agli studi degli anni ‘20 di Burgess, secondo il quale a città si può dividere in fasce differenziate dal ruolo antropologico e sociale che i quartieri assumono. Burgess definì “zone di transizione” le aree immediatamente esterne al centro città, fatta di capannoni e immobili a basso costo. Fasce più povere della popolazione si aggregano in queste aree in cerca di maggior benessere, per poi spostarsi verso altre aree una volta raggiunto un diverso status sociale.

scorso) potrebbe essere “zona di transizione” anche per le generazioni “post 2008”, che hanno bisogno di spazi e contesti aperti dove poter dare inizio ad nuovo un ciclo economico secondo nuovi paradigmi. Centralità e marginalità Per avere un’immagine della vita e dei movimenti attraverso il quartiere è stata fatta una piccola indagine in loco tra gennaio e marzo 2016, ispirata all’approccio e gli studi di Jan Gehl5. E’ stato registrato il livello di affollamento pedonale delle strade osservando quanti passanti attraversavano determinati tratti nell’arco di 5 minuti. Appare subito evidente quanto sia centrale la zona di via Pistoiese in corrispondenza di Piazza dell’Immaginario. Tanto da risultare sovraffollata, specie in relazione alla sezione stradale e alla dimensione dei marciapiedi. Da qui l’affollamento si disperde poi lentamente. Vengono privilegiati comunque gli spostamenti est-ovest 5 Jan Gehl, Birgitte Svarre, How to study public life, 2013

lungo via Pistoiese e via Filzi. Nelle strade traverse sembrano passare solo i residenti e qualche lavoratore. Sopratutto le tre vie del Macrolotto 0 perpendicolari a via Pistoiese (Via Rossini, Via Zipoli e Via Castagnoli) sono semi-deserte. Si tratta di strade-corridoio lunghe circa 450 metri senza connessioni laterali. In fondo a Via Rossini e Via Zipoli la presenza di un parco con la pista ciclabile, il fontanello di Publiacqua e il polo scolastico poco distante, riportano una relativa animazione sulla strada. E’ evidente quindi che gli isolati industriali costituiscono una barriera al passaggio est-ovest e allontanano la centralità di Chinatown dalla fascia verde a sud, limitandone la fruizione e rendendo le vie con disposizione nordsud degli elementi di frattura piuttosto che di collegamento tra sistemi diversi. Ciò che rende le vie di Chinatown così affollate, invece, è la varietà delle attività commerciali sorte negli ultimi anni e l’uso che la comunità cinese fa dei negozi di prossimità.

Le attività tipicamente rivolte a soli clienti cinesi sono i money tranfers e le agenzie di viaggio, attività legate al rapporto con la madrepatria. Molto numerosi sono i negozi di vestiti, le gioiellerie e i parrucchieri. Le attività dove la clientela è potenzialmente anche italiana sono i minimarket e soprattutto i ristoranti. Nelle piante qui riprodotte i negozi sono stati rappresentati in base a dei rilievi a vista sommari ma rappresentativi. Sul modello della Nuova Topografia di Roma di Giovanni Battista Nolli (1748) i negozi sono considerati come dei vuoti nel tessuto denso e compatto delle aree costruite o confinate. Perciò tutta la superficie accessibile ad un visitatore è rappresentata in bianco. Quelle che nella mappa del Nolli erano chiese, basiliche, corti, piazze e strade, qui sono negozietti, supermercati, parcheggi e di nuovo strade6. La rappresentazione del Nolli fu già ripresa da Venturi per rappresentare la Strip di Las Vegas (Learning form Las Vegas. The forgotten symbolism of the architectural form. Parte Prima, Mappe di Las Vegas.). Su Prato un esperimento simile fu svolto anche durante i lavori del PGR Secchi. L’oggetto del rilievo fu il centro storico della città. Insieme alle chiese e ai chiostri medievali furono rilevati tutti i piani terra

6


pagina precedente Il confronto tra quattro zone della Chinatown tra il 2008 e il 2015. Foto: Google StreetView Google Inc. 2015. In alto, tre ingressi di attività commerciali. Un supermercato, un money transfer e un nuovo locale alla moda. (Foto dell’autore). Sotto, a destra, grafico della distribuzione di attività economiche registrate alla Camera di Commercio. A sinistra, immagini di via Pistoiese. (Foto dell’autore).

COMPOSIZIONE SETTORIALE Di IMPRESE GRESTITE DA CITTADINI CINESI 100%

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ristorazione commercio

2002 manifattura

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altro

7% 2007

2015 Elaborazione su dati Camera di Commercio di Prato

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Foto: Piazza dell’Immaginario 2, realizzata dall’Associazione [Chì-na] insieme a Dryphoto Arte Contemporanea.(foto dell’autore).

Nella rappresentazione della Chinatown appare evidente l’altissima concentrazione di esercizi lungo un tratto di via Pistoiese di circa 500 metri. Questo tratto di strada, per quanto poco spazioso, è costantemente trafficato e vissuto. Costituisce il centro della vita pubblica della comunità cinese. Successivamente, muovendosi verso ovest, dopo il parcheggio del supermercato Pam, i negozi si diradano. Questa è un tratto dove però sono sorte molte nuove attività negli ultimi anni. Uno snodo di questo “centro commerciale naturale” è il passaggio pedonale di Piazza dell’Immaginario 1, che di fatto collega due piccoli parcheggi. In questo contesto anche luoghi simili diventano di fatto delle piazze, costantemente popolate e vissute. Oltre alla crescita delle attività cinesi negli ultimi anni la forte centralità di quest’area ha sollecitato anche progetti e eventi di iniziativa italiana. Gli interventi più visibili e legati in particolare alla natura dello spazio e del paesaggio urbano sono stati quelli di degli immobili, evidenziando le attività commerciali.

Dryphoto Arte Contemporanea. Il primo ha riguardato proprio l’isolato del passaggio tra via Pistoiese e via Filzi, ribattezzato Piazza dell’Immaginario. In concreto si è intervenuti ridipingendo i muri laterali delle due piazzette\ parcheggio ai lati del passaggio, collocandovi delle opere (con il contributo del Centro Pecci) e si sono sistemate delle panchine nel passaggio pedonale. Dopo due anni (l’intervento è del 2014) le sedute sono diventate il luogo di sosta di chi lavora e passeggia tra i negozi, tanto che spesso si trovano anche poltrone e sedie aggiunte dagli abitanti. Nell’estate del 2015 l’esperienza è stata replicata in un altro spazio attiguo al supermercato Pam. Un piccolo parcheggio è stato trasformato in una piazzetta. Alcuni muri sono stati usati per esporre fotografie di artisti internazionali. Pochi gesti hanno fatto sì che quest’area fosse da tutti percepita come pubblica e disponibile, quindi utilizzabile anche in modi non previsti e spontanei.

Nel febbraio del 2016, per la prima volta il capodanno cinese, oltre alla sfilata del dragone, è stato festeggiato con tre giorni di eventi intorno a Piazza dell’Immaginario 1, con la pedonalizzazione di una parte di via Pistoiese. Su questa stessa area agisce anche l’intervento pubblico del concorso PIU (vedi 1.3).


1

2

Carta del Nolli di Chiantown. Sotto: mappa del Macrolotto 0 con Chinatown e il numero di passanti ogni 5 minuti.

Passanti in 5 minuti 30-50 10-30 5-10 0-5

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La città fabbrica

pagina precedente Foto satellitare del Macrolotto Zero. L’area di analisi e di progetto è perimetrata in rosso. Via Zipoli al centro. Delimitata in rosso l’area oggetto d’analisi nelle pagine successive. Immagine Google Inc. 2016.

Tetris di capannoni Del contesto storico in cui è nato il Macrolotto 0 e del tipo di sub-sistema che esso rappresenta nella città abbiamo già parlato. Così come abbiamo messo in evidenza il legame che oggi quest’area ha con la Chinatown. Qui analizzeremo nel dettaglio la natura degli spazi e il modo in cui gli elementi particellari si compongono insieme per formare organismi distributivi, gli isolati e quindi il quartiere-fabbrica. I presupposti valoriali di questa analisi sono analoghi a quelli che valgono per la città intera: il riconoscimento dell’intelligenza utilitaristica dei soggetti che hanno costruito il quartiere; il rispetto per la “razionalità minimale” e l’economicità delle scelte nell’uso dello spazio fatte nei decenni passati. Su questo tipo di tessuto sono già state condotte in passato analisi tipologiche e morfologiche. Una è quella improntata all’idea di “città elementare” di Paola Viganò. La città in questo approccio viene concepita come insieme di “elementi” base (strade private, capannoni, case, corti) che costituiscono il materiale urbano di cui la città è fatta1. Nell’analisi per il Piano Regolatore Secchi si presero in considerazione gli isolati, nella loro composizione mista Da pag 31-33 in Viganò, P 1996 'Un seminario di fotografia: PratoPrimer'. "Una strategia elementarista: per materiali urbani intendiamo gli elementi costitutivi della città di Prato [...] le case, le strade, le fabbriche, le aree a standard, i circoli".

1

di capannoni e case, pieni e vuoti. Con una analisi quantitativa molto complessa di questi agglomerati venivano individuati alcuni isolati tipo2. L’analisi qui proposta si pone, concettualmente e metodologicamente, vicino all’approccio elementarista di Paola Viganò. Gli elementi singoli che costituiscono questa città sono stati separati tra loro, classificati per tipo e sono poi stati valutati nella loro capacità di interagire e di comporre degli organismi “cellulari”dotati di una funzionalità. Gli isolati sono stati considerati come il prodotto storico della somma di questi organismi cellulari, incastrati insieme come in un tetris. Le “cellule” che sono state individuate sono agglomerati di corti, capannoni, case e strade private. Sono micro-ecosistemi capaci di funzionare autonomamente. Dotati di accesso alla strada e percorsi interni che permettono di raggiungere ogni superficie, coperta o aperta. Nella forma e nelle qualità prestazionali di queste cellule si ritrovano le ragioni economiche, sociali e antropologiche più profonde della città-fabbrica. Questi spazi sono la manifestazione fisica della struttura sociale del secondo dopoguerra, e poi il guscio vuoto in cui una comunità umana proveniente dalla Cina ha ritrovato spazi congeniali 2 Pag. 46-47 in Un progetto per Prato: il nuovo Piano regolatore. Alinea, Firenze

alla propria vita familiare e lavorativa. La qualità più peculiare del Macrolotto Zero, quindi, non si trova tanto nelle caratteristiche architettoniche degli edifici, quanto nella struttura distributiva che sta tra di essi. Ed è in questa struttura (insieme alla versatilità funzionale del capannone) che risiede il potenziale di rigenerazione più grande del quartiere. La suddivisione delle particelle catastali fornisce una prima immagine della complessità interna di quest’area. La frammentazione è notevole, ma non costante ed omogenea. Ad aree molto frammentate si intervallano complessi di edifici più ampi. Nelle conformazioni più complesse l’elemento su cui si articola la distribuzione è il “non costruito”, un vuoto che a volte assume il carattere di una vera e propria corte, a volte di un piccolo passaggio, altre di un grande spazio aperto. Sono quindi i vuoti il vero nucleo delle singole cellule che compongono gli isolati: così si è proceduto, esaminando ogni complesso\cellula, a classificare i vuoti e poi la logica distributiva attorno ad essi. A partire da questi elementi, volendo, si può ricostruire a ritroso la composizione a tetris degli isolati e del quartiere, all’interno della “città cristallina”. La strade private, le corti, i piazzali di scarico sono effettivamente elementi costitutivi del tessuto urbano pratese.

Il vuoto più semplice e con meno implicazioni distributive è il giardinetto o la piccola corte privata, tipico dei terra-tetto a schiera toscani. Negli isolati qui analizzati lo si trova per lo più a ridosso di via Pistoiese. Il tipo più frequente è la corte, che si distingue fondamentalmente in tre tipi: la corte aperta senza barriere d’accesso; la corte aperta con barriere (muretti e cancelli); la corte chiusa, con accesso a più capannoni. In tutti i casi si tratta di piazzali asfaltati di servizio alle attività lavorative (spostamento merce, mezzi, autovetture). Soprattutto nel caso delle corti aperte il passaggio è ampio, ma spesso filtrato da un edificio residenziale affacciato alla strada, che costituisce in qualche modo un elemento di presidio e quindi di limitazione alla vista e all’accesso dell’area privata. Nel caso delle corti chiuse invece le residenze si attestano sul fronte del complesso di capannoni. L’accesso alla corte è dato da un androne, e l’edificio residenziale è su più piani. Ad intervallare i diversi complessi a corte, infine, si inseriscono molti capannoni semplici con accesso diretto alla strada. Considerando il modo in cui questi vuoti creano dei sistemi distributivi, sono state classificate sei “cellule” tipo: l’organismo più sem27 plice, il capannone disposto per-


corte aperta corte aperta con cancello corte privata strada interna piazzali e depositi corte chiusa

Via Pistoie

se

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1 3

7

8

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6 11

pendicolarmente alla strada; la corte aperta con ingresso ristretto da un edificio residenziale; la corte-corridoio che porta a capannoni nascosti dentro l’isolato; il complesso a corte chiusa con edificio multipiano in testata; il complesso con corte chiusa fatto solo di capannoni, in genere tutti di una singola azienda; disposizione dei capannoni a pettine con residenze multipiano in testata, senza corte. I due isolati nel loro insieme presentano delle regolarità, dettate da due fattori di fondo: la frammentazione della proprietà e la necessità di avere accesso alla strada in un’area densamente costruita. Il primo fattore può essere gestito grazie alla versatilità del tipo edilizio del capannone, che può essere dimensionato e disposto in modo da saturare lo

spazio a piacimento. Il sistema di incastri deve però lasciare spazi liberi per lo spostamento di mezzi e merci e deve sempre consentire un accesso carrabile dalla strada. Così si nota, in linea di massima, che le corti sono più ampie verso l’interno degli isolati, mentre presentano sulla strada lo spazio minimo di accesso, di modo da assicurare presidio e sicurezza agli spazi aperti. Sezionando gli isolati parallelamente a via Zipoli, ad una distanza da essa di circa 20 metri, infatti, si nota che gli spazi vuoti prevalgono sui pieni. Mentre sul fronte stradale si ha l’impressione di una chiusura quasi totale, in questa fascia si incontrano molti tipi diversi di “vuoti” che si intersecano. Facendo diverse sezioni perpendicolari, invece, si nota come gli isolati, a pri-

ma vista così compatti, siano penetrati dagli spazi vuoti spesso in tutta la larghezza. Spesso sono singoli capannoni a separare una corte o un corridoio. La potenziale porosità del tessuto urbano, quindi, non è percepibile dalla strada. La ricchezza dei luoghi interni agli isolati della città fabbrica rimane nascosta al passante. Questa articolazione di spazi vuoti può essere sfruttata per creare passaggi trasversali e piazzette, liberando un potenziale oggi latente (vedi 3.3). All’interno di questo tessuto articolato, ma tutto sommato regolare, ci sono delle anomalie vistose. Per lo più si tratta di grandi piazzali o terreni abbandonati, aree di risulta in genere aperte sulla strada e sottoutilizzate. L’ampiezza e la mancanza di presidio di questi spazi, probabilmen-

te, è una delle ragioni del loro sottoutilizzo. L’eccezione più particolare è quella dell’area a forma di T che da via Castagnoli si inserisce fino al baricentro dell’isolato ad est. Qui dal 2014 degli abitanti cinesi coltivano un grande orto, mentre il resto dell’area è usato dalla fabbriche circostanti come parcheggio e deposito. Qui affaccia anche l’unica residenza che non sia allineata lungo la strada pubblica. Quest’area è attualmente ripartita in quattro diverse particelle catastali. Da un punto di vista morfologico, però, è di fatto un grande corte regolare, accessibile sia da Via Zipoli che da Via Castagnoli. Su Via Castagnoli l’accesso sarebbe possibile attraverso una striscia di terra (attualmente incolta e chiusa all’ac-


Tipoligie di impianto

Corte aperta con residenze a presidio

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oli

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li Zipo Via

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Corte chiusa con residenze a presidio

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Corte chiusa centrale

Corte chiusa con residenze a presidio

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cesso) affiancata da un complesso industriale a corte abbandonato. Il processo di analisi condotto fin qui potrebbe essere applicato alle altre aree della città caratterizzate dallo stesso tessuto. Ovunque la città è scandita da un grande numero di slarghi e di piazze interne. La città-fabbrica, apparentemente grigia e trascurata, è ricca di “luoghi potenzialmente tranquilli, silenziosi, di spazi misurati e flessibili”3 (Secchi 1996). La città introversa Quanto appena detto riguardo gli spazi interni agli isolati del ML0 ha un risvolto della medaglia. Rende questa zona adatta anche ad attività economiche irregolari, al lavoro nero, all’abusivismo edilizio. Comportamenti che si possono avvalere in modo particolare della chiusura spaziale e della capacità di presidio dei luoghi. Situazioni di auto-sfruttamento e irregolarità lavorativa, del resto, sono nella matrice socio-economica della citUn progetto per Prato: il nuovo Piano regolatore. Alinea, Firenze, p. 49.

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tà-fabbrica (Maurus 1980)4. Oggi non si può non fare riferimento alla situazione delle confezioni cinesi molto presenti in quest’area e alle situazioni di abusivismo, anche edilizio, presenti. Le problematiche relative alla città-fabbrica sono nate insieme alle sue qualità. Come già accennato (vedi 1.2) la nascita della mixité viene associata storicamente all’afflusso di mezzadri che nel dopoguerra si sono trasformati in operai, artigiani e imprenditori. L’organizzazione spazio-temporale della famiglia contadina, unita ad una etica del lavoro totalmente assorbente, nella nuova dimensione del lavoro meccanizzato e votato alla mercificazione sul mercato mondiale, ha prodotto questo modello di città. Hong Kong a l’italienne, articolo apparso su “Le Monde” il 1 settembre 1980, molto prima dell’arrivo di cinesi in città. “Sporca, grigia, deturpata dai laboratori selvaggi, solcata dai camion. E poi un dettaglio: 10 000 incidenti sul lavoro nel 1978, di cui 500 con conseguenze definitive. Alcuni operai guadagnano un milione di lire al mese, ma ci lasciano troppo spesso chi un polmone, bruciato dai vapori degli acidi, chi un dito, preso nelle lame, chi le orecchie - l’80% degli operai tessili arriva alla pensione sordo. Auto-sfruttamento sembra essere una parola inventata a Prato”.

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In questo contesto “all’ambiente non vengono riconosciuti valori estetici ed etici autonomi, al di là di un valore strumentale per l’ottima organizzazione del lavoro, concepito come fine primario” (Tinacci Mosello 1988). Da qui la crescita di una città che spesso è stata letta come “non progettata”. In realtà si tratta di una città “progettata dal basso, episodicamente, ma nella quale gli abitanti si muovono con rapidità e sicurezza per far fronte ai mille scambi e traffici che richiede un sistema locale diffuso” e dove la “competenza territoriale” costituisce una capacità non secondaria del produttore pratese (Absalom e altri 1998). Questo è uno dei fattori che, anche in epoca recente, ha reso possibile la crescita di fenomeni di abusivismo e illegalità. La mancanza di questa “competenza” è ciò che respinge ancora oggi il visitatore che non conosce bene ogni strada e incrocio. Sia dal punto di vista fisico che simbolico quindi la città-fabbrica è difficilmente permeabile da chi non vi abita e lavora.

In Chinatown la transizione di una parte della comunità cinese verso il commercio al dettaglio ha creato un sistema di simboli molto appariscente che a sua volta è ad uso e consumo della comunità cinese, mentre respinge ulteriormente gli “estranei”. Gli interventi come quelli di Piazza dell’Immaginario e la nascita di iniziative che cercano di coinvolgere entrambe le comunità puntano a creare un fenomeno opposto di identificazione simbolica e orientamento spaziale. Gli interventi nel cuore della città-fabbrica dovranno tenere conto di questo ordine di problemi. Nell’ottica di aprire l’uso di determinati spazi anche a cittadini, makers, lavoratori e professionisti toscani e Italiani, si dovrà tenere conto della necessità di rendere i luoghi identificabili e gli spostamenti nel tessuto urbano meno difficili e spaesanti. Oltre a ciò, va preso in considerazione il ruolo che hanno oggi determinati spazi nel rendere possibili modi di produrre e di alloggiare illegali, da parte di cittadini cinesi.


pagina precedente Via Zipoli appare in molti tratti come una strada-corridoio delimitata dai capannoni. (foto dell’autore). Pianta e sezioni degli isolati con i “vuoti” evidenziati per tipologia (scala 1:1.2000).

Sezione XX' Fronte ovest Fronte est Sezione YY'

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La presenza cinese in Toscana ha avuto origine nel 1987. Dopo un primo insediamento nella zona di Campi Bisenzio e Osmannoro (legato alla lavorazione della pelle) le prime famiglie cinesi cercarono alloggio a Prato e lavoro nel mondo della maglieria. Da subito gli immigrati cinesi ebbero la tendenza ad insediarsi nelle zona della città a più alta densità industriale e quindi nel tessuto della mixité. Dopo una fase di inserimento nel mondo lavorativo esistente, alcuni cinesi cominciarono a mettersi in proprio (fin dagli anni ‘90) creando nel tempo un nuovo settore: il pronto moda. Dopo solo alcuni anni dall’arrivo dei primi cinesi, i residenti nel comune di Prato nati in Cina, nel 1994 erano già quasi 2.000 e le imprese cinesi iscritte alla Camera di Commercio quasi 300 (Irpet 2013).

La natura del ruolo dei cinesi nell’economia pratese e nella sua crisi continua ad avere interpretazioni anche molto contrastanti e a suscitare dibattiti e tensioni. La visione più fortemente introiettata nell’immaginario pratese è quella che vede nella presenza cinese “l’esempio più eclatante e più sconcertante di assedio al manifatturiero italiano con armi sleali” (Pieraccini 2008). Ma una lettura diversa è stata data da più voci autorevoli. Infatti secondo il Centro Ricerche e Servizi per l’immigrazione (attivo dal 1998) la diffusione del lavoro nero e di altre forme di illegalità nelle imprese cinesi (evasione fiscale, contributiva e uso abitativo di locali produttivi), non sarebbero imputabili solo al modello socio-economico e alla identità culturale degli immigrati,

ma anche alle condizioni del mercato locale (Irpet 2013). È questo mercato, “caratterizzato da aspre forme di concorrenza, che contribuisce in maniera determinante a creare condizioni nelle quali un sufficiente margine di profitto è possibile solo con l’irregolarità dei rapporti di lavoro interni alle ditte (cinesi) e nelle relazioni con i committenti (italiani)” (Rastrelli, citato in Irpet 2013). La concomitanza del declino del tessile e la crescita del così detto distretto parallelo possono essere in ogni caso considerati due processi non direttamente legati da rapporto di causa\effetto. Il distretto è entrato in crisi ben prima dell’arrivo della comunità cinese (Bonafede 1987). E seppure siano legati tra loro, bisogna tenere presente che il settore privilegiato dell’imprenditoria cinese non si sovrappone direttamente a quello italiano (Irpet 2013, Becucci 2014). Si sovrappongono invece i luoghi prescelti dalla comunità cinese dagli anni ‘90 in poi: gli spazi lasciati liberi dagli artigiani tessili che avevano cessato l’attività durante la crisi della seconda metà degli anni ottanta (Irpet 2013). E’ un dato di fatto che abusivismo e lavoro nero siano ampiamente presenti in città e che il ML0 sia il luogo fisico dove questi fenomeni si manifestano in modo più intenso (insieme al Macrolotto 1). In particolare qui interessa prendere in considerazione gli abusi relativi all’uso dello spazio: la comunità cinese ha sfruttato i capannoni in modo più intenso che mai, portando all’estremo la commistione di funzioni in uno stesso luogo. I controlli delle forze dell’ordine portano continuamente alla luce alloggi abusivi ricavati all’interno degli stessi capannoni, fatti di cubicoli separati da pareti di cartongesso (Montanari 2014). Vicino agli stessi macchinari da lavoro si svolge ogni aspetto della vita degli operai. Come si diceva all’inizio proprio alcuni

aspetti di questo quartiere favoriscono la presenza di realtà nascoste, difficilmente individuabili. Molti capannoni non affacciano sulla strada, e le corti interne agli isolati permettono lo svolgersi di una vita di comunità che rende possibili certi ritmi di lavoro. Nelle corti, spesso, si trovano piccole casette in legno prefabbricate, utilizzate come cucinotti per servire pasti nelle fabbriche, o come luogo per lavare i panni. Gli stessi luoghi diventano anche lo scenario del gioco dei bambini e della vita familiare in aspetti diversi da quello lavorativo. Non si può non riconoscere, in questo modo di vivere e lavorare, alcune analogie con la Prato di pochi decenni prima. Guardando all’uso intensivo dello spazio messo in atto, si potrebbe porre rimedio ad alcune situazioni inaccettabili, riconoscendo però nella ripartizione la possibilità di un uso nuovo e funzionale dei capannoni e nell’uso delle corti e dei percorsi interni il rinnovarsi di qualcosa che costituisce la qualità originale di questo quartiere fin dalle sue origini. Se per certi aspetti questi isolati favoriscono la segregazione del lavoro è anche vero che consentono una condivisione in spazi protetti e risultano quindi ideali per realtà che abbiano bisogno di spazi comuni, di condivisione e comunicazione in ambito lavorativo. Diradamento Il riconoscimento delle qualità del quartiere, nonostante le carenze storiche e l’illegalità diffusa, ha come conseguenza un atteggiamento progettuale che rifiuta l’idea della “riqualificazione” su vasta scala, calata dall’alto e operata attraverso sventramenti e sostituzioni edilizie generalizzate. Negli ultimi venti anni a Prato, anche ai margini del Macrolotto Zero, si sono praticate demolizioni e ricostruzioni di interi isolati, con l’eliminazione di grandi fabbriche e case a schiera so-


pagina precedente Lavoratrice trasporta tessuti nei pressi di via Zarini. Foto da Prato, storia di una città . Blitz delle forze dell’ordine in un capannone adibito a dormitorio in via Zipoli. Fotografia di Gianni Attalmi, La Nazione 13 maggio 2010.

DensitĂ di residenti cinesi per ettaro a cavallo del 2000

Dati Comune di Prato 2006

assenti media alta

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2006

2000

anieri non dimoranti Indice di abitazioni in affitto itualmente Le anomalie della presenza cinese

Stranieri non dimoranti abitualmente 0-6 7-18 19-45 >45

Dati Istat 2013

Indice di abitazioni in affitto

molto inferiore alla media inferiore alla media superiore alla media

Dati Istat 2013

molto superiore alla media estremamente superiore alla media

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Imprese cinesi Imprese italiane 1 Manifattura Fil.Pa 1974 2 MG Filati 3 Lanificio Gardena 4 Orditura Claudia

Omicidio all'interno dello stabilimento Ex-Gori (22 luglio 2011) Sequestro di capannoni, alloggi abusivi e 200 macchinari (6 aprile 2017)

Scippo a danni di una cinese (16 luglio 2014)

1

Alloggi abusivi scoperti in un controllo interforze (autunno 2015)

Maxi controllo del gruppo interforze su 8 aziende. Tensione tra forze dell'ordine e assembramento di cinesi (11 maggio 2010)

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Trovata bisca clandestina e affittacare abusivo (26 ottobre 2011)

stituite da palazzine multi-piano. Il risultato è la perdita di identità di alcuni luoghi e la creazione di spazi urbani ancora più poveri e anonimi, che non favoriscono l’orientamento. Anche laddove la costruzione in altezza ha liberato superfici al piano terra il risultato è ambiguo. La sostituzione edilizia ha prodotto una riduzione del rapporto di copertura (scendendo in media fino al 30% del lotto) e un notevole aumento dello spazio pubblico (fino al 50%). Ha anche aumentato però la densità edilizia (da edifici a due piani si è passati a blocchi di 5-7 piani) e lo spazio dedicato al parcheggio (fino al 20%) (Secchi 1996). Il risultato è quello di un tessuto urbano frammentato. Una città dove “ci si orienta con difficoltà, difficile da percorrere, di scale e misure continua-

mente mutevoli: una città interrotta e poco amata” (Secchi 1996)5. Questo processo, complice anche la crisi del settore immobiliare, è ad una fase di arresto, mentre si fa strada una nuova attenzione verso i manufatti industriali e cresce la consapevolezza di Prato come città dall’immagine industriale. Sia progetti istituzionali di recupero (come quello della ex-Campolmi, in centro storico, trasformata in Museo del Tessuto e Biblioteca Lazzerini) che iniziative private di riuso (Corte 17 in via Genova, Chì-na in via Pistoiese e Lottozero in via Arno) alimentano questa immagine e incoraggiano a pensare un futuro diverso per i capannoni e le corti industriali della città. Un progetto per Prato. Il nuovo Piano Regolatore, Alinea, Firenze, 1996. Pag. 37

I tempi per una rivalutazione della mixité e del suo riuso sono, quindi, maturi sia da un punto di vista socio-economico che culturale. Come indicava Secchi già negli anni ‘90, per la ristrutturazione della città-fabbrica e della mixité è necessario un approccio “selettivo” che sappia discriminare in dettaglio diverse situazioni e attività6. Nello specifico del Macrolotto Zero, in alternativa alla sostituzione edilizia totale, ci si propone di assumere un atteggiamento per certi versi analogo a quello teorizzato da Gustavo Giovannoni a cavallo dei due secoli scorsi. Studioso di restauro architettonico e urbano, Giovannoni si opponeva alla pratica degli sventramenti tipici dei grandi progetti di riqualificazione mes-

5

6

Ibidem

si in atto nell’Italia post-unitaria7. Opponeva a questa pratica generalizzata il metodo del diradamento, ovvero la demolizione di piccoli tratti separati del tessuto urbano, per aprire nuove visuali e portare aria e luce dove mancassero. All’epoca di Giovannoni, in effetti, la preoccupazione principale era la scarsa salubrità di alcuni quartieri storici, specialmente popolari. Per analogia, oggi, queste preoccupazioni corrispondono a quelle per la mancanza di verde, di spazi pubblici (o con funzione pubblica), di servizi collettivi e di aree sicure per il passaggio di pedoni insieme alla necessità di assicurare il traffico veicolare. Oltre a ciò è necessario conservare un 7 G. Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, in “Nuova Antologia”, 249, 1913, Il diradamento edilizio dei vecchi centri Il quartiere della “Rinascenza” in Roma, 250, 1913.


tessuto ricco di qualità, rendendolo comprensibile e vivibile da una pluralità di soggetti (vedi 3.2). Tali questioni inducono a prendere in considerazione la necessità di creare nuovi passaggi che aprano gli isolati compatti alla strada e ad alcune funzioni pubbliche, senza però stravolgerne la forma e il carattere. Senza distruggere l’ecosistema di corti e passaggi, ma operando chirurgicamente su di esso. Innestando nuovi elementi che possano entrare in simbiosi con ciò che già esiste. Così, prendendo via Zipoli come baricentro dell’azione di progetto, si sono individuate due aree, a metà degli isolati, su cui è possibile creare un attraversamento pedonale trasversale, innestando nuove funzioni lungo il percorso.

Con queste funzioni si dovranno incoraggiare fenomeni di emersione già esistenti nella comunità cinese, con la diversificazione delle attività, e rendere più facile e invitante l’attraversamento di questa parte del quartiere. Da un punto di vista fisico, per certi aspetti, possiamo considerare un esempio di un meccanismo simile di diradamento quello che, seppur in assenza di una strategia coerente, è avvenuto in quella che oggi è denominata Piazza dell’Immaginario 1. Un isolato completamente occupato da una fabbrica è stato reso più complesso con la creazione di un passaggio, due parcheggi e una molteplicità di funzioni (vedi Immagine 2). Anche il passaggio previsto dal progetto PIU del Comune ricalca un modello analogo, introducendo funzioni

che aprano all’uso di questa parte della città non soltanto i residenti cinesi, ma ad una popolazione più vasta e disomogenea. Accanto a Piazza dell’Immaginario è prevista la creazione di uno spazio di co-working e una media-library, attraversate da uno spazio di passaggio pubblico da via Zipoli a via Pistoiese, attrezzato anche per la vita all’aperto (Assessorato all’Urbanistica 2016).

In alto a sinistra: foto di una controllo della Polizia Municipale in una delle corti di via Castagnoli. (4 aprile 2017, Notizie di Prato). Alcuni luoghi favoriscono uno spaesamento spaziale (in alto a destra: androne di accesso ad alcune attività commerciali in via Pistoiese; sotto: accessi semi-nascosti ad attività produttive in via Castagnoli e via San Paolo). (foto dell’autore)

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STATO ATTUALE Costruito Vuoti non accessibili Vuoti accessibili

1954

1978


STATO DI PROGETTO

in queste pagine Confronto tra la permeabilità degli spazi oggi e quella prevista con l’intervento del PIU e del progetto. La trasformazione della cosiddetta Piazza dell’Immaginario dagli anni ‘70 a oggi.

Passaggio PIU Passaggio di progetto

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Prato, città laboratorio

pagina precedente Il capannone dell’associazione [Chì-na] in via Pistoiese. (Foto: Dario Garofalo per la pagina Facebook di [Chì-na]).

Perché Prato? La città di Prato ha vissuto negli ultimi 20 anni un oggettivo declino economico, che recentemente è diventato anche sociale. La crisi del tessile non ha ancora trovato una soluzione e la città è ancora immersa in problemi di portata storica, locali e globali, di difficile soluzione. L’impatto della globalizzazione ha colpito una realtà votata all’esportazione come quella pratese molto pesantemente. La presenza di 119 etnie diverse in città, con quella preponderante cinese, creano tensioni quotidiane, e l’insediamento nell’area metropolitana di sistemi criminali attivi nel traffico di merci illegali e stupefacenti fanno di Prato un nodo di diversi problemi irrisolti. Allo stesso tempo però, la storia urbana ed economica di Prato hanno lasciato strumenti utili per pensare ad un nuovo corso: la cultura pratese dell’iniziativa personale e del lavoro, arricchitasi in più di un secolo di esperienze di successo, di fallimenti, crisi e riprese; l’abbondanza di luoghi riutilizzabili, capannoni abbandonati e gioielli di archeologia industriale; la vicinanza con Firenze, sede di istituti culturali internazionali; una rete infrastrutturale e logistica che permette collegamenti con il resto d’Europa; l’identità di un luogo votato al contemporaneo. Anche la complessità e le contraddi-

zioni di una realtà multiculturale possono risultare una fucina di soluzioni innovative. Il distretto pratese (distretto manifatturiero italiano per eccellenza1) ha avuto la sua fortuna nella seconda fase della crescita industriale post-bellica. Gli economisti sono soliti distinguere due fasi dello sviluppo post bellico. La prima sospinta dalla produzione di beni durevoli standardizzati (automobile, motorino, elettrodomestici). La seconda legata alla diffusione di beni per la persona a domanda “differenziata e variabile” (mobili e abbigliamento) (Becattini 1988 e 2000). Questa seconda fase ha permesso a territori non omogeneizzati dall’industrializzazione canonica, di rimettersi in gioco grazie a valori, cultura ed esperienze preziose per la produzione di beni destinati alla persona. Fondamentale è stata la permanenza, apparentemente anacronistica, di una cultura artigianale insieme a un’infrastruttura produttiva articolata in più fasi: la produzione di fabbrica, i laboratori artigianali, l’auto-produzione familiare, e le lavorazioni rese possibili dai ritagli di tempo. Insieme a tutto ciò, la rete distributiva locale e nazionale dei piccoli negozi, il sistema del credito locale e le infrastrutture viarie e ferroviarie, hanno 1 La riscoperta in Italia del concetto marshalliano di "distretto industriale" è dovuta in larga parte agli studi di Giacomo Becattini sul distretto pratese (vedi Becattini 2000).

creato un ambiente capace di proteggere la produzione dei distretti, come quello pratese, per tre decenni. Se si guarda oggi alla trasformazione dell’organizzazione del lavoro portata dall’economia della conoscenza e dalle ICT e dall’emergere di una nuova etica del lavoro, nella così detta “common based peer to peer production” (Kostakis 2013), troviamo alcune analogie interessanti: la presenza di un sistema “di fabbrica” internazionale che fornisce materiali (hardware, componentistica standardizzata, materie prime); produzioni sviluppate in piccole attività locali, generalmente ad alta specializzazione, come il nuovo artigianato digitale (makers) e l’informatica; la diffusione di laboratori e studi condivisi (coworking, fablab, makerspace) dove anche i ritagli di tempo tornano ad essere occasione di auto-formazione e produzione; il tutto spesso supportato da crowd-funding e reti di condivisione (sharing) dei rischi dell’iniziativa personale. Inoltre Internet ha creato reti di distribuzione alternative dove produttori e progettisti locali trovano canali protetti in un mondo globalizzato e competitivo. In questa fase economica, alcuni elementi superstiti del tessuto urbano e culturale pratese, possono diventare un vantaggio strategico importante.

Il valore della mixité oggi La commistione tra spazi di vita, di lavoro e di svago torna oggi ad essere inaspettatamente attuale e interessante per chi progetta l’innovazione urbana. La mixité pratese, come si è visto, è in parte frutto di un’inerzia storica, facilmente interpretabile come sintomo di arretratezza. Analogo giudizio, per molto tempo, ha riguardato la stessa realtà imprenditoriale del distretto laniero. Si è pensato a lungo che, laddove si affermava nel mondo il modello della grande industria, capace di assorbire le instabilità del mercato, la piccolissima impresa non avrebbe avuto futuro2 (Becattini 2013). A dispetto delle previsioni, almeno entro un certo contesto storico, l’organizzazione del lavoro tipica del distretto è risultata molto più resistente ed efficiente delle previsioni. Analogamente, la città che è venuta costruendosi sulla spinta di quel modello industriale, seppur anacronistica rispetto ai canoni del funzionalismo moderno, ha per certi aspetti anticipato temi e problematiche future, resistenti al tempo. Dalla crisi della città industriale stanno emergendo nuovi modelli urbani che vengono raggruppati genericamente 2 In base al principio di asimmetria formulato nel 1945 da Joseph Steindl. Secondo tale principio tutto ciò che può fare una piccola impresa lo potrebbe dare anche una grande, ma non viceversa. (citato da Becattini in Il bruco e la farfalla, 2013)

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sotto l’etichetta di Smart City. La definizione di Smart City è spesso vaga e contraddittoria ed utilizzata spesso anche a scopi propagandistici. Bisogna quindi ricordare quali ne sono gli aspetti davvero innovativi in senso urbanistico. Il paradigma della Smart City delinea in sostanza un modello di città del lavoro diffuso, dove la produzione di valore può avvenire potenzialmente ovunque. Una città la cui ricchezza sta nella capacità di produrre servizi, innovazione (manageriale, tecnologica e culturale) e non più soltanto prodotti fisici. E’ una città dove si progetta e si sperimenta. Laddove si producono oggetti materiali lo si fa con tecnologie e processi “leggeri”, a basso impatto ambientale e articolati in piccole produzioni settoriali. In questo modello di città produttiva la mixité e la densità sono fattori positivi, da progettare a tutte le scale, dall’edificio alla città intera. Questo offre la possibilità di riformulare il rapporto tra casa, lavoro e svago tipico della città funzionalista. Da un lato i tipi di produzione che si praticano nella Smart City (artigianato digitale, informatica, telelavoro, servizi e commercio) sono perfettamente compatibili con l’abitare. D’altro canto la densità urbana e la riduzione degli spostamenti, soprattutto con mez-

zo privato, sono fattori di sostenibilità e ottimizzazione dei costi che tornano a farsi rilevanti. I settori produttivi ad alto tasso di creatività risentono positivamente della commistione di luoghi di lavoro e di svago, che tendono a sovrapporsi sempre più in una reciproca osmosi. Un ambiente che incoraggia le relazioni e lo scambio di informazioni risulta attraente e performante per i lavoratori di questa economia. La natura stessa delle tecnologie per l’informatica e la comunicazione rendono possibile una diffusione dei luoghi di lavoro e una loro riorganizzazione per ambiti di interesse e modi di produzione (uso di laptop, necessità di avere accesso a internet ultra-veloce, uso di macchine a controllo numerico). Le possibili soluzioni urbanistiche e architettoniche a questi nuovi bisogni ritrovano nella mixité un approdo naturale. Se si guarda alla progettazione delle Smart City nel panorama contemporaneo possiamo individuare due grandi categorie di policy e relativo approccio progettuale: la prima è la ristrutturazione massiccia di interi complessi urbani, con la creazione di tipi edilizi ex novo. Qui si ricerca la mixité nella giustapposizione di funzioni diverse, connesse attraverso spazi pubblici di alta qualità. La seconda è una modalità di interven-

to puntuale, su tessuti urbani esistenti, orientata ad una progettazione sperimentale e progressiva che coinvolga una pluralità di soggetti e mondi produttivi. Nel primo insieme rientrano casi come quello di Hafen City, ad Amburgo, il progetto 5M a San Francisco3, CA e quello di Industry City a Brooklyn, NY. Aree cittadine vengono trasformate radicalmente da grandi porgetti immobiliari con la creazione di residenze, laboratori privati o condivisi, uffici e aree di socializzazione. Il tutto corredato da spazi pubblici curati e studiati per creare familiarità, vivacizzati da attività commerciali e caffè alla moda ai piani terreni degli edifici. Hafen City è un progetto di iniziativa pubblica. La scelta di ristrutturare questa vasta area del porto di Amburgo risale alla fine degli anni ‘90. Il Senato della città ha provveduto con ingenti finanziamenti pubblici a spostare le attività portuali e ad indire un concorso internazionale di idee per la redazione del Masterplan (1999). Oggi Hafen City è il più grande cantiere urbano in Europa, ed è in parte già funzionante (la fine dei lavori è prevista per il 2025). All’interno del masterplan una moltitudine di isolati a funzione mista circondano i pochi grandi edifici pubbliEsempio citato da Enrico Moretti in The new geography of jobs, 2013, p 143

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ci, landmark culturali della nuova città. Alcuni sono ricavati in edifici ottocenteschi riconvertiti (International Maritime Museum), altri contribuiscono all’immagine contemporanea della città, come la Elbphilharmonie Concert Hall di Herzog&De Meuron (2003). Ciò che i promotori hanno tenuto a produrre nella realizzazione del progetto è un mix di funzioni a “grana fine” (“fine-grained”), ovvero riprodurre nelle nuove costruzioni l’ibridazione tra funzioni abitative, lavorative e commerciali, tipiche di un centro cittadino vitale, dove le piccole attività prevalgono sui pochi grandi contenitori. Gli spazi di interazione tra le funzioni sono per lo più pubblici (25% della superficie totale), ma anche semi-pubblici (privati accessibili al pubblico, 13% del totale). Il 7% della superficie è spazio aperto di esclusivo uso privato. Altra caratteristica ricercata è l’equilibrio tra spazi aperti solo ai pedoni (45% della superficie) e spazi carrabili (23%). Il progetto 5M di San Francisco riguarda invece un complesso di edifici nei pressi della downtown. L’iniziativa è un questo caso è totalmente privata. Il fulcro del progetto è un edificio storico di SF, il Chronicle Building, per il quale il masterplan prevede la conservazione e il riuso con l’installazione di laboratori e coworking. Anche in questo caso la coesistenza ravvicinata di luoghi di la-


pagina precedente Hafen City dall’alto (dal sito KCAP.eu). Una strada pedonale del quartiere. Uso dei piani terra negli isolati del 5M. Render del principale spazio pubblico all’aperto. (foto: 5mproject.com)

voro, residenza e commercio è una costante. L’intervento in tutto occupa tre isolati, due dei quali saranno occupati da due grattacieli con residenze e uffici. Il 40% delle residenze saranno di tipo economico, per venire in contro alle esigenze dei residenti dell’area e limitare gli effetti di gentrification. Nelle strade che connettono i diversi edifici del complesso è prevista la pedonalizzazione e l’apertura di negozi. caffè, gallerie d’arte e luoghi aperti al pubblico, compresi i coworking del Chronicle Building. La rete di percorsi alla base degli edifici crea un sistema di ibridazione tra le varie funzioni e tra gli ambiti pubblici e privati. Altro intervento privato è quello della riqualificazione di una parte di Industry City, nella zona portuale di Brooklyn. Questa area è stata fino alla sua dismissione il più grande complesso portuale degli Stati Uniti. Alcuni grandi edifici industriali sono stati riqualificati e riutilizzati come laboratori condivisi, spazi per aziende start up, negozi e gallerie. Anche qui lo spazio pubblico tra i negozi dei piani terra è curato è accogliente. Questo intervento, a differenza dei precedenti, è guidato dal solo interesse per la rendita immobiliare e si inserisce in un processo di gentrificazione dell’area, di cui fa le spese soprattutto la comunità afroamericana. La seconda tipologia di approccio è per sua natura più difficilmente descrivibile con esempi tipici. Le modalità di intervento che non sono guidate da grandi capitali pubblici o privati sono più flessibili e varie, ma anche meno facili da classificare. La gestione di processi complessi e plurali è più difficile da sistematizzare.

La modalità di policy che qui si suggerisce per l’implementazione del progetto per il Macrolotto0 è quella dei così detti Living Labs. L’idea è stata sviluppata recentemente presso il MIT di Boston a partire da esperimenti condotti in Scandinavia negli anni ‘60 in ambito sindacale, e viene da anni promossa dalla Commissione Europea. Si tratta sostanzialmente di progetti di trasformazione urbana basati su modelli co-creativi, dove le nuove opportunità offerte dalle ICT vengono sperimentate da cittadini e lavoratori, alla ricerca di nuovi possibili modi di vivere, abitare, spostarsi e lavorare. Le esperienze di Living Labs sono dei processi partecipativi in cui si sperimenta, cooperando, l’impatto delle nuove tecnologie sul lavoro e sulla città. Un Living Lab è quindi è anche sistema di relazioni e progettualità costruita tra soggetti pubblici e privati, nel quale i soggetti partecipanti sono sia osservati che osservanti. Come abbiamo visto una delle funzioni presenti anche negli interventi già visti è quella del coworking. In realtà, alla scala architettonica, il coworking non costituisce di per sé una funzione, ma un mix di funzioni. Il primo coworking in assoluto fu aperto da un informatico nel 2005 all’interno di un collettivo femminista di San Francisco. L’idea alla base del coworking era ed è quella di superare la dimensione individuale del lavoro creando spazi di relazione, cooperazione e welfare dal basso, dove le idee e le informazioni circolino liberamente tra le persone coinvolte in attività creative. In spazi capaci anche di permettere lo svago e la socialità informale.

Oltre ai coworking alcuni Living Labs (ad esempio in Olanda) hanno implementato con successo l’idea degli Smart Work Center. Il primo progetto è nato ad Almere, cittadina di 186.000 abitanti. Lo SWC è un ufficio distaccato per dipendenti di aziende che si trovano ad Amsterdam (30 km di distanza)4 dotato delle migliori tecnologie per la comunicazione, che permette il telelavoro in un ambiente condiviso anche da dipendenti di diverse aziende. Attraverso il sostegno a queste forme di lavoro le amministrazioni locali olandesi cercano di ridurre la distanza casa-lavoro, le emissioni inquinanti e i costi per dipendenti e imprese. Tornando al Macrolotto 0 di Prato, è evidente come la presenza di spaPrato ha circa 200.000 abitanti e si trova a circa 20km da Firenze. 4

zi residenziali e di lavoro sia un punto di partenza vantaggioso per poter innestare attività e interazioni “smart”. Queste iniziative devono però calarsi in un realtà sociale e urbana peculiare e complessa, che non trova soluzioni facilmente trasferibili in nessun altra iniziativa europea a internazionale. Per questo un approccio sperimentale e progressivo, che eviti rischiose ristrutturazioni urbana di vasta scala, è preferibile. L’innesto di nuove funzioni nel Macrolotto 0, capaci di sfruttare la realtà urbana e il contesto metropolitano, può essere il punto di partenza per un Living Lab pratese.

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La metropoli smart: un distretto avanzato Prato con i suoi 200.000 abitanti si inserisce in un’area metropolitana che comprende il capoluogo toscano e conta quasi un milione di cittadini. Quali sono le infrastrutture materiali e culturali di cui oggi si dispone nella Piana Metropolitana? Prato è legata a Firenze da una rete infrastrutturale che serve ogni giorno più di mezzo milione di persone. In particolare la ferrovia collega direttamente i due centri e lo stesso ML0 (grazie Immagini di Industry City a NY. Spazi di socializzazione all’aperto. A destra, un laboratorio per artigiani e makers. (dal sito Industrycity.com). pagina successiva FabLab a Firenze, all’interno dell’Impact Hub. il co-working fiorentino Multiverso.



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alla stazione di Borgonuovo, che ha collegamenti con Firenze con scadenza di 15’). La mobilità interna alla piana metropolitana per ragioni di lavoro è una tradizione. Fin dall’avvio dell’industrializzazione, a fine ‘800, molti erano i contadini e gli artigiani che diventando operai continuarono a vivere fuori Prato recandosi in città solo per lavoro. Generalmente questi spostamenti avvenivano entro un’isocrona di circa un’ora rispetto al centro pratese (Tinacci Mosello 1988). Oggi i tempi di percorrenza nella piana da e per Prato sono di poco inferiori, ma è di molto aumentato il flusso di pendolari e city users, sia su Prato che su Firenze. Nonostante ciò Prato ha sempre sofferto di una carenza, rispetto a Firenze, sul piano culturale e direzionale. Come fu schematizzato nell’analisi del piano Sozzi-Somigli (vedi schema in alto)5, la realtà pratese è sempre parsa “stretta” tra Firenze e Pistoia sul piano dell’identità culturale. Il distretto produttivo si poneva, anche nell’immaLo schema qui riportato, risalente al 1976, fu ripreso da Secchi in Primi indirizzi per il Piano Regolatore nel 1994.

5

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ECONOMIA IMMATERIALE

2

ginario collettivo, come una realtà distinta, dove il fattore della conoscenza, della cultura e dell’innovazione non erano percepiti come elementi portanti dell’etica del lavoro (Bocca 1987). Oltre ad avere un basso livello di istruzione, rispetto alla media di altre città industriali italiane (Bocca 1987, Comune di Prato 2011b), Prato ha avuto una sede universitaria (distaccamento dell’Università di Firenze) solo dal 1990, che ha cominciato ad operare effettivamente dal 1992. Se Prato è stata storicamente il centro della produzione tessile, Firenze è la vetrina e sede di grandi aziende del settore moda e luxury. La zona dell’Osmannoro e quella di Scandicci sono sede di firme sia locali che internazionali. Il centro storico invece (patrimonio UNESCO) è lo scenario per eventi e manifestazioni, come Pitti Uomo. Sopratutto se si guarda agli eventi di rilievo nazionale e internazionale è evidente che Firenze domina la scena. La presenza di un sistema ferroviario metropolitano, però, e la vicinanza allo stesso delle location più importanti

(Stazione Leopolda e Fortezza da Basso), suggeriscono l’ipotesi di collocare eventi o parte di essi anche a Prato. Il Macrolotto Zero, in questo senso, offre uno scenario urbano interessante, come visto nei capitoli precedenti. Oggi l’immagine dello schema Sozzi-Somigli del 1976 può diventare obsoleta. In quest’ottica la strategia di riuso del Macrolotto 0 dovrebbe porsi come snodo di una rete di luoghi di innovazione e ricerca, all’interno dell’area metropolitana. Così si sono individuati alcuni settori e attività chiave già presenti sul territorio, e alcuni che potrebbero essere creati nel Macrolotto 0. Questa strategia poggia, in senso più globale, su una visione ottimistica delle tendenze future di alcuni settori innovativi dell’economia globale e italiana. La possibilità di sviluppo di determinati modelli di lavoro poggia sulla fiducia su di un cambiamento di paradigma tecnologico ed economico che seguirà alla fase di crisi attuale (Perez 2002, Kostakis 2013). A Firenze sono già presenti due incu-

batori: l’incubatore universitario, al Polo Scientifico di Sesto (affiancato dalla sede del CNR) e l’incubatore Firenze, del Comune, che opera anche attraverso il Parco Urbano dell’Innovazione delle Murate. Qui hanno sede diverse aziende della new economy (comunicazione e informatica) (Giannini 2012).Altre realtà rilevanti a Firenze sono quelle di aziende come Dada e NanaBianca, pioniere dell’economia relativa ai servizi su internet, o start up come Buru-buru, attiva nell’e-commerce per il design. Realtà simili, seppure diverse tra loro, possono costituire un sistema sul quale nuove imprese e progettisti possono contare per fare rete o trovare supporto utili alla propria crescita. Le reti di conoscenze tra imprese e start up, le occasioni di incontro costituite da fiere e workshop, il sistema della promozione e co-finanziamento on-line e dell’e-commerce rivolto a piccoli produttori e makers, costituiscono nuovi strumenti di affermazione e competizione in un mondo dominato dalla grande distribuzione e da processi concorrenziali accelerati, analoga-


pagina precedente Schema Sozzi-Somigli del 1976. Integrazione tra cultura e industria. Il nuovo Museo Pecci di Nio. Museo del Tessuto nella ex fabbrica Campolmi.

mente al ruolo che ebbero il credito locale e la rete della piccola distribuzione nel dopoguerra. Ciò che emerge dalla mappa nelle due pagine successive è la presenza tra Prato e Firenze rispetto di luoghi dedicati all’innovazione, come agli eventi e alla promozione culturale. Per questo, inserendosi nel contesto dell’area vasta, la così detta Piana Metropolitana, il progetto dovrà imperniarsi su tre punti fondamentali: - la creazione di spazi di incubazione e accelerazione per nuove imprese, makers e studenti che vogliano autoformarsi e orientarsi nei nuovi settori economici - partizionare alcuni capannoni rinnovando la mixité residenza\lavoro, per attrarre la popolazione più giovane impoverita dalla crisi, ma capace di inserirsi velocemente nei nuovi paradigmi. Dotare questi spazi di coworking, cocrafting e postazioni per il telelavoro. - articolare un sistema di spazi pubblici nel cuore del ML0 per eventi e mostre. Cultura contemporanea e informale a Prato Nonostante Prato abbia storicamente sofferto della sua relativa provincialità rispetto a Firenze, almeno per quanto riguarda la cultura e la dimensione degli eventi, non sono mancate iniziative di alto livello che abbiano affermato il carattere contemporaneo e creativo della città. Negli anni ‘70 ebbe grande rilievo e risonanza nazionale la presenza di Luca Ronconi alla direzione del Teatro Metastasio e del Fabbricone (nato all’interno di un’ala dell’ex Kossler&Mayer). Ronconi fu a capo del Teatro dal 1974

al 1979 (Tenenti 1988). Sotto la sua direzione il teatro fu aperto alla cittadinanza (ad esempio con prove a cui erano invitati studenti e operai). Soprattutto al Fabbricone, si portò avanti un’importante opera di ricerca artistica verso il teatro contemporaneo. Nel 1988 l’apertura del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci ha dotato la città di una struttura unica in Italia per l’epoca. Il Centro Pecci fu infatti il primo ad essere dedicato esclusivamente al contemporaneo e nei decenni ha contribuito molto a cambiare l’immagine della città. Queste prime iniziative culturali di rilievo nazionale testimoniano il desiderio della borghesia imprenditoriale pratese e della città tutta di emergere dall’immagine “grigia e trascurata” della città industriale di provincia. Investendo la ricchezza accumulata anche in attività non puramente produttive, soprattutto tra gli anni ‘70 e ‘90 sia le istituzioni pubbliche che private (come la CariPrato) hanno tentato di dotare la città di un capitale culturale solido. A questa prima fase di crescita culturale finanziata dall’alto, sostenuta dall’onda della grande ricchezza prodotta dal tessile, è seguita però una fase di stallo. L’esaurirsi della spinta alla crescita industriale, il crack della CariPrato (1984) e il dissesto finanziario del Centro Pecci hanno contribuito ad una disgregazione di queste iniziative. Allo stesso tempo sono però emerse iniziative private portate avanti dalle nuove generazioni di pratesi. Spesso si è trattato di attività legate all’intrattenimento e alle culture informali, capaci comunque di far conoscere Prato in To-

scana per aspetti non legati esclusivamente alla sua produzione materiale. Negli anni ‘90 il Cencio’s club è diventato un punto di riferimento per eventi musicali di rilevanza anche nazionale, capace di richiamare giovani da tutta la Toscana. In anni più recenti il Capanno Black Out ha svolto un ruolo analogo rispetto alla Piana Metropolitana. Accanto al Capanno BlackOut (che come il Cencio’s prima, fa parte del mondo ACSI) si trova lo spazio StudioCorte17, un atelier di giovani artisti attivo dal 2005, e l’Interno 8, casa di un’associazione di cultura e arte contemporanea attiva dagli anni 2000. Da pochi mesi nella stessa corte industriale hanno trovato sede Sedici, associazione rivolta all’arte fotografica, e Materia, altro spazio associativo ri-

volto alla musica, le arti figurative e il design. Un altro capannone recuperato, nel cuore di Chinatown, ospita dal luglio 2015 l’associazione Chì-na, I promotori di Chì-na, oltre ad aver ospitato mostre di architettura sul Macrolotto Zero stesso, hanno collaborato con l’associazione Dryphoto ArteContemporanea alla realizzazione di Piazza dell’Immaginario 2. Dal 2016, a poco passi da Chinatown, è nato LottoZero. Un laboratorio condiviso dedicato al design del tessuto, che ospita però anche mostre di arte contemporanea e performance artistiche. La missione dichiarata è quella di portare a Prato giovani designer del settore tessile e moda., offrendo spazi di lavoro e di relazione. 45 Tutte queste realtà trovano spa-


Bologna Milano

ISTITUZIONI CULTURALI 1 Museo Pecci 2 Teatro Metastasio 3 Museo del Tessuto 4 Teatro Fabbricone 5 Galleria Strozzina 6 Museo Richard-Ginori 7 Teatro dell'Opera 8 Museo Marino Marini

Bologna N

FORMAZIONE - MODA

4

1 Polimoda 2 ISIA 3 Accademia Italiana 4 Alta scuola di pelletteria LOCATION-EVENTI 1 Gucci Museum 2 Maison Coveri 3 Palazzo Pitti 4 Museo Ferragamo 5 Ex Manifattura Tabacchi 6 Stazione Leopolda 7 Fortezza da basso

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PRONTO MODA

MODA - LUXURY 1 Gucci 2 Dior 3 Braccialini 4 Prada 5 Coveri 6 Guess 7 Ferragamo 8 Cavalli 9 Pitti Immagine srl

Nuclei storici B Sistema del verde Parchi agricoli e Cascine Piste ciclabili principali Piste in progetto

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Bologna Milano

1 Le Murate - Parco dell'Innovazione 2 Incubatore Firenze 3 Incubatore Universitario 4 Impact Hub - Fab Lab 5 Lofoio 7 LottoZero UNIVERSITÀ

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1 Buru-Buru 2 Commit 3 Kentstrapper 4 MakeTank 5 Plug and Wear 6 Lama 7 Dada 8 NanaBianca 9 Multiverso 10 Develer srl

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Prato Est

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40m - ogni 15m Firenze SMN Milano C.le TAV

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1 PIN 2 Design Campus 3 Polo Scientifico - CNR 4 Dipartimento di Informatica e Statistica 5 Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione 6 Facoltà di Filosofia 7 Polo di Novoli 8 Facoltà di Agraria 9 Palazzo San Clemente 10 Facoltà di Lettere 11 Scuola di Architettura

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Firenze 2h 10m

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TU35 PRATO Tempo Reale | Moallaseconda,2015 (foto Claudia Gori). Una delle opere supersiti di Blu del 2011 (foto dell’autore) pagina successiva Officina Giovani. (Foto di Ilaria Costanzo per Pratosfera). La corte di Via Genova 17. (Foto dalla pagina Facebook di C17).

zio in ex capannoni industriali, spesso in quartieri dove la produzione è ancora in parte attiva, e dove il paesaggio delle ciminiere, dei silos, di coperture metalliche o di capanni ancora abbandonati, costituisce di fatto un elemento che qualifica esteticamente il luogo in termini positivi, piuttosto che degradarlo. Non è un caso che StudioCorte17 sia anche promotore di una mappatura e catalogazione degli spazi industriali abbandonati in tutta la Provincia di

Prato6. La presenza di questi luoghi rappresenta per associazioni e artisti una ricchezza ancora sottoutilizzata, per ragioni per lo più economiche. In questo contesto le iniziative pubbliche sono sempre più rivolte a sostenere le reti tra le associazioni e al patrocinio di eventi, piuttosto che sostituirle con iniziative istituzionali che non avrebbero la stessa flessibilità e radicamento sociale. Alimentando l’humus culturale in cui le realtà di iniziativa pri6

industrialheritagemap.sc17.it

vata maturano, si cerca di alimentare un circolo virtuoso. In questo contesto rientra l’iniziativa del PIU che inserirà nel cuore di Chinatown un co-working pubblico e una media library. Anche iniziative più tradizionali del recente passato hanno dato a questa generazione di creativi luoghi di aggregazione e di relazione utili. Dagli anni ‘90 l’area degli ex macelli, per iniziativa pubblica, è diventato un luogo per la cultura giovanile (Officina Giovani) dove sono state aperte sale prove e sale concerti per le band del territorio e per eventi di ogni tipo. Negli anni 2009-10 rassegne come FreeShout, dedicata all’arte contemporanea e ai giovani talenti, hanno portato in città artisti nazionali e internazionali. Blu, street artist di fama internazionale, creò in città due graffiti diventati simbolo di un’identità diversa e possibile della città, meno provinciale e più legata ad un’estetica prettamente urbana e cosmopolita. Più recentemente iniziative come quelle di TAI (Tuscan Art Industry), concepito in StudioCort17, hanno unito la ricerca nel contemporaneo, soprattutto tra i giovani artisti, e il riuso temporaneo di fabbriche abbandonate (la Lucchesi nel 2015 e la Calamai di San Paolo nel 2016). La riscoperta dell’archeologia industriale pratese e del suo valore sociale e culturale deve molto, oltre che al recupero degli ex macelli, alla creazione del museo del Tessuto e della Biblioteca Lazzerini all’interno della ex Fabbrica Campolmi. Il forte rilancio dell’immagine di Prato come città contemporanea passa inve-

ce di nuovo dal Museo Pecci. Rinnovato e ampliato dal progetto di Maurice Nio ha ricominciato l’attività espositiva nell’ottobre del 2016. Come si vede il fermento culturale nella città e il tentativo di attrarre talenti, nonostante alcune discontinuità, non è venuto meno. Le iniziative pubbliche oggi si affiancano sempre di più a quelle private e ad un realtà associativa molto dinamica portata avanti dalle nuove generazioni. La rete di relazioni artistiche e associative, la serie di piccoli eventi, mostre d’arte, spesso promotrici di artisti locali e poco noti, i concerti rock e punk di band territoriali e non solo (evento eccezionale dell’aprile 2016 è stato il concerto della punk band cinese dei Demerit, nel circolo Curiel, in Chinatown) costituisce un humus che si nutre positivamente della realtà post-industriale della città. Allo stesso tempo questo creative milieux tende a rafforzare l’immagine diversificata e attrattiva di una città laboratorio, dove è possibile sperimentare e innovare in diversi campi, oltre che svagarsi. Il mezzo attraverso il quale l’immagine post-industriale e cosmopolita della città viene veicolata è, oggi, soprattutto il Web. La Rete, oltre ad offrire strumenti di comunicazione potenti a costi bassissimi, permette a minoranze culturali di trovare un ambiente favorevole di relazione e sinergia. L’uso della mappe interattive e degli album digitali (facebook e instagram) permettono di ricostituire la geografia della città in un processo che permette di rinnovare in forme nuove una “competenza territoriale” collettiva


sulla base interessi specifici, ambiti e reti di relazione. Si assiste così ad una sorta di geografia digitale partecipata, e ad una rimodellazione dell’identità estetica della città, dove un esercito di smartphone e reflex digitali celebra aspetti del paesaggio urbano e della vita cittadina7 che diventano parte di una identità autentica e sentita. urbana e cosmopolita di un’identità autentica e sentita. Un Hub creativo nel Macrolotto Zero Nel contesto descritto, un luogo che aggreghi funzioni e servizi utili all’economia creativa potrebbe trovare nei capannoni di via Zipoli spazi ideali per diversi motivi. 7 A titolo di esempio si veda l'attività della fotografa Agnese Morganti (nome d'arte Cantuccina) https:// www.instagram.com/cantuccinatown/, http://aggiemorganti.com/macrolotto-20

Si troverebbe vicino alla Stazione di Borgonuovo (treni ogni 15 minuti da e per Firenze Santa Maria Novella), a due passi da Chinatown e a pochi minuti da molte associazioni, gallerie, musei e teatri. Il centro storico pratese dista circa un quarto d’ora a piedi. L’idea di localizzare tante funzioni in spazi ravvicinati e potenzialmente comunicanti tra di loro ha senso anche nell’ottica di cercare sinergie e interazioni possibili tra funzioni diverse ma complementari. Come fa notare Charles Landry (2008) “perfino in un mondo cibernetico la localizzazione ha una rinnovata importanza, che poggia sopratutto su interdipendenze non mercantili costruite a livello locale, che conducono ad una combinazione di apprendimento ge-


Spazio Materia (foto Facebook). Lotto Zero a Prato. Foto di Studiomut (mutboard. com). Corte di Dryphoto Arte Contemporanea in via delle Segherie (foto Marco Badiani).

stionale, tecnologico e personale che si sviluppa concentrando certe attività in un solo luogo. La globalizzazione e la localizzazione non si escludono a vicenda” Oltre ad ospitare determinati soggetti, questi luoghi devono permettere ad essi di comunicare il loro lavoro. Perciò tutti gli spazi devono essere protetti, ma allo stesso tempo percorribili e leggibili anche da visitatori esterni. L’azione del progetto, articolandosi in interventi discreti e puntuali, persegue un approccio sperimentale, compatibile con la policy dei Living Lab visti precedentemente. La natura delle attività economiche che si potrebbero svolgere nel quartiere non sono predeterminate, e la varietà e identità dei soggetti che lo potrebbero abitare e utilizzare è volutamente vaga. Gli spazi sono qui pensati per usi possibilmente variabili nel tempo e capaci di funzionare per una varietà di soggetti. Le funzioni previste sono degli elementi di innesto capaci di sfruttare qualità spaziali e funzionali già presenti nei luoghi di intervento. Si sono così individuati questi innesti come elementi di azione del progetto: in una prima fase si prevede il riutilizzo di un insieme di 3 capannoni e un edificio di testa su via Castagnoli, a fianco del corridoio incolto che porta agli orti interni dell’isolato est. Qui si installerebbe un incubatore di impresa e un grande laboratorio condiviso, utilizzabile dalle imprese dell’incubatore e da makers, artigiani, professionisti e dilettanti. Al piano superiore dell’edificio di testa si prevede la creazione di sei appartamenti, a presidio permanente delle aree di lavoro.

In questa fase alcuni capannoni trasversali tra via Zipoli e via Rossini (isolato ovest) verranno trasformati in tanti micro appartamenti con laboratorio privato. Residenze economiche dotate di spazio per attività artigianali o artistiche. La ripartizione di singoli capannoni lunghi e stretti permetterebbe di abbattere i costi di affitto degli spazi per i singoli e di creare un passaggio pedonale attraverso l’isolato ovest. In una seconda fase è prevista la demolizione di un capannone di scarso interesse tipologico che si affaccia con una corte aperta su via Zipoli, a metà strada tra le casette-laboratorio e l’incubatore. Qui verrà poi realizzato l’intervento più visibile architettonicamente: un auditorium e sala eventi, sovrastato da una torre alta 30 metri con un piccolo media center e un ostello. Questo elemento del progetto sarà un landmark e il perno di un sistema di spazi utilizzabile per eventi di diverse dimensioni. Al servizio del quartiere qui si installerebbero postazioni di telelavoro e un Media Lab, capaci di funzionare come redazioni temporanee in occasione di eventi. Come si vede, in tutte le componenti del progetto è presente la commistione di ambienti di vita e di lavoro. I sei appartamenti al piano superiore del complesso di via Castagnoli potrebbero essere occupati da chi lavora nelle imprese dell’incubatore. Nel passaggio pedonale tra via Zipoli e via Rossini l’ibridazione tra residenza e luogo di lavoro è più radicale, e si rifà più direttamente alla commistione tipica del Macrolotto 0. Con una differenza fondamentale: storicamente lo spazio “ibridante”, di transizione tra le


ASSOCIAZIONI E SPAZI SOCIALI

ISTITUZIONI CULTURALI

1 Studio Corte 17 2 Artforms 3 Materia 4 Sedici 5 Recuperiamoci! 6 MOO 7 AUT 8 Fonderia CultArt 9 Lato 10 [Chì-na]

1 Teatro Metastasio 2 Biblioteca Lazzerini 3 PIN - LogisLab 4 Teatro Fabbricone 5 Museo di Palazzo Pretorio 6 Officina Giovani 7 Museo di Scienze Planetarie 8 Museo Pecci

ELEMENTI DEL PROGETTO ARTE LABORATORIO 11 LottoZero 12 Compost MUSICA 13 Kinkaleri SOCIALITÀ 14 Radio ItaliaCina DANZA 15 The Loom MELTING POT ARTECOWORKING 16 Studio MDT 17 Dryphoto LABORATORI CONDIVISI 18 ArtLab 19 Coworking PIU COWORKING 20 Laboratori PIU LABORATORI CONDIVISI

ARTE ARTE ARTE FOTOGRAFIA SOCIALITÀ ARTE SOCIALITÀ CULTURA EVENTI ARTEARTE EVENTI CONFERENZE

1 Laboratori condivisi - CoCrafting 2 Incubatore di impresa 3 Ostello 4 Residenze con laboratori 5 Media Center\SWC

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LUOGHI DI AGGREGAZIONE 1 Circolo Curiel 2 Ravioli Liu 3 Street Basket Serraglio 4 Bastione delle Forche 5 Capanno BlackOut 6 FAB 7 Giardini di Sant'Orsola

PROSSIMITA'

MOBILITA' Ferrovia

15 minuti

8 minuti

30 minuti

15 minuti

Autostrada Arterie stradali Piste ciclabili Piste ciclabili di progetto Linee bus

Parcheggi

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INCUBATORE - Front office - Spazio per le imprese - Salette riunioni - Residenze in affitto

CREATIVE HUB

OPEN SPACE LABORATORI - Ripostigli\spogliatoi - Makerspace - Co-crafting

funzioni, erano le corti private, nascoste alla strada, e quindi in sé segregate, rispetto alla sfera sociale. Nel progetto qui illustrato la situazione è ribaltata: lo spazio ibridante è quello pubblico, o meglio semi-pubblico (in quanto il passaggio potrebbe essere chiuso in alcune ore del giorno, e non costituisce una vera e propria strada urbana). Questo comporta una zona di mediazione tra la dimensione privata, quella lavorativa e quella “sociale” intermedia. Oltre a costituire un elemento di apertura fisica di un isolato eccessivamente saturo, quindi, questo elemento arricchisce la mixité un nuovo grado di complessità, rendendolo più idoneo a usi lavorativi che della visibilità trarrebbero beneficio, e non impedimento. Stessa cosa vale per le case\atelier per artisti. Qui il passaggio a “corridoio”, già esistente, permette di avere un accesso privato da nord alle residenze, mentre gli atelier\vetrina affacciano sulla corte collocata nel cuore dell’isolato, a fianco all’auditorium\torre. Questo spazio, dove ora c’è una corte poco visibile dalla strada, diventerebbe il cuore sociale tra il complesso degli incubatori\laboratori, quello delle case d’artista e quello del Media Lab. Per queste ragioni potrebbe essere anche il cuore pulsante di eventi, mostre e fiere.

180mq 700 mq 100mq 380mq

MEDIA LAB SWC

MEDIA CENTER - web radio\blog - auditorium

370mq 400 posti

SPAZI LOGISTICI - allestimenti - parcheggi

1600 mq 140 posti

500mq

180mq 200 mq 500mq

La dimensione residenziale della foresteria è concepita per brevi e brevissimi periodi di permanenza (3 giorni - 1 settimana). Qui lo spazio di interazione tra residenza e lavoro è interno alla stessa torre, tra ostello e Media Lab. Essendo la torre un appoggio per visitatori temporanei il vero spazio di interazione per questi soggetti sarebbe infatti il quartiere stesso. Eventi e uso temporaneo degli spazi Uno degli scopi del progetto sopra descritto è quello di portare in questi luoghi una piccola popolazione che possa scambiarsi informazioni ed esperienze e che possa comunicare con l’esterno. Le piccole imprese, gli artigiani e i progettisti che abitano questi spazi dovrebbero essere il presidio fisso di un quartiere frequentato anche da altri addetti ai lavori, visitatori o semplici cittadini. Il quartiere vivrebbe così anche in osmosi con altre realtà. Gli eventi potrebbero, in questo contesto, fornire una vetrina preziosa per chi lavora in via Zipoli e dintorni, e, dall’altro, uno strumento di tutto il quartiere e la città per elaborare una certa immagine di sé. Gli spazi previsti dal progetto, oltre a quelli del PIU, e quelli già esistenti oggi nel quartiere, diventerebbero all’evenienza scena per iniziative di tipo di-

RESIDENZE - casa+laboratorio - casa+atelier

50mq+60mq 80mq+100mq

OSTELLO

60 posti letto

CASA+LAB

verso, in base alla funzionalità dei luoghi (vedi schema nella pagina successiva). Ma le stesse strade (Via Zipoli e Via Pistoiese) potrebbero, con la chiusura al traffico temporanea, diventare spazi espositivi all’aperto. In questo modo ci si potrebbe avvalere delle corti interne alla fabbriche come se fossero estroflessioni di uno spazio continuo. Gli isolati oggi chiusi e sconosciuti spesso agli stessi pratesi avrebbero una nuova vita. Lo scenario della città-fabbrica sarebbe ideale per ospitare, ad esempio, mostre mercato relative all’ambito dell’artigianato o del design. Alcuni eventi di prestigio, come quelli di Pitti Immagine, potrebbero avvalersi di spazi a costo minore dove accogliere soggetti più giovani e marginali. Coinvolgendo a pieno anche il cuore di Chinatown, degli eventi del genere costringerebbero popolazioni diverse e mescolarsi ed a convivere. I soggetti più propensi all’integrazione della comunità cinese avrebbero più occasioni di interagire con il resto della cittadinanza. Un esempio di uso temporaneo di spazi sia interni che esterni per eventi è quello della zona di via Tortona a Milano, dove ogni anno, in occasione del Fuori Salone, si tengono circa 200 eventi. La strada stessa diventa il fulcro di tutto

un sistema di spazi diversi tra loro dove si concentrano in pochi giorni molte attività. All’interno dell’ex Ansaldo, ad esempio, il progetto BASE, attivo tutto l’anno anche come coworking, diventa sede di eventi e ospita redazioni temporanee di riviste che si spostano a Milano durante quel periodo. L’impresa culturale che ha creato BASE è esterni. Attiva dal 1995 a Milano, è anche l’organizzatrice del Milano Film Festival (Inti e altri 2014). Durante questo evento e quello del Fuori Salone, esterni organizza da 10 anni anche l’ospitalità temporanea low cost per registi, designer e visitatori in generale. Per 10-15 giorni dei capannoni abbandonati vengono trasformati attraverso l’allestimento di posti letto. WC, cucine, aree relax, librerie, piccole sale proiezioni. L’idea di fondo non è soltanto quella di dare ospitalità a basso costo, ma di far incontrare le persone, fornendo un ambiente in cui si possano esporre le proprie creazioni e dare inizio a collaborazioni. Nel masterplan di questo progetto ogni spazio può cambiare funzione in occasione di eventi. In tutti gli interventi previsti sono state collocate della aree residenziali. Alcune, come quelle dei mini-appartamenti con bottega e delle residenze ar-


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Progetto

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SMART CITY MAKERS

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VISITATORI

AZIENDE

STUDENTI

ASSOCIAZIONI

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LA TORRE

IL CENTRO CREATIVO 700 mq 500mq 700mq

Laboratorio condiviso Open space Incubatore

300 mq 100mq x3 100mq

Front Office Spazi imprese Sala riunioni

50 posti letto 190 mq

Ostello Media Lab

RESIDENZE CON BOTTEGA

RESIDENZE PER ARTISTI

45 mq x2 100mq 460mq

Sale registrazione Sala redazioni\blog Terrazza

88 mq x3 200 mq x3

Residenze Atelier

Residenze Laboratori

40 mq x11 60 mq x11

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Auditorium

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Appartamenti

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Parcheggio a raso 60 posti auto

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Parcheggio a due piani 80 posti auto Carico e scarico allestimenti per eventi Spazio coperto 1600 mq Piazzale esterno 2000mq

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Via Pistoi

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Planimetria generale e progetto del suolo. Scala 1:2000 Foto inserimento della torre centrale del progetto. In un paesaggio privo di elementi di riferimento il nuovo edificio assume una funzione di orientamento alla scala urbana.

Alloggi Laboratori

Uffici

Open space

Spogliatoio Toilet

Incubatore Uffici

Toilet

1° piano

Toilet

Sala registrazione

3° piano

2° piano

tistiche, sono pensati per lunghe permanenze. Le case per artista con atelier, sul modello di Villa Romana a Firenze (che ospita artisti per periodi di 8-12 mesi) sono capaci di ospitare un’intera famiglia. I mini-appartamenti sono pensati per un massimo di due persone. Questi soggetti sarebbero la “popolazione locale” dell’area. Vicino all’incubatore e al laboratorio condiviso sono previsti sei appartamenti. Questi potrebbero essere la residenza per periodi più brevi di chi porta avanti progetti e collaborazioni all’interno dell’Hub (l’insieme di laboratorio condiviso e incubatore). L’ostello della torre è pensato invece come foresteria proprio per accogliere persone durante gli eventi temporanei, e sono pensati quindi per una permanenza settimanale. Il Media Lab\Smart Work Center durante gli eventi potrebbe diventare il luogo di redazioni temporanee in telelavoro, nonché casa provvisoria per blogger, fotografi e videomaker, la cui presenza sostiene la pubblicità degli

1° piano

eventi stessi. Qui sarebbe facilitato il lavoro in corrispondenza telematica (come in un SWC). La grande corte che si troverebbe tra l’auditorium e gli atelier degli artisti sarebbe ideale per esposizioni all’aperto. Le strade e le corti tra le fabbriche, liberate per qualche giorno dalle merci e i mezzi che solitamente li affollano, sarebbero ideali per stand espositivi commerciali. Oltre all’auditorium e l’open space dell’Hub, la Media Library prevista dal PIU e lo spazio [Chì-na] potrebbero ospitare, a seconda del tipo di eventi, sfilate, proiezioni, dibattiti e workshop. La città stessa è poi in grado di offrire varietà nei servizi della ristorazione, sia in Chinatown che nel centro storico, oltre al mercato previsto nel PIU. dedicato alle eccellenze locali.

N

4°-8° piano


Via Pistoiese pedonalizzata durante la Festa delle Luci 2016, in occasione del capodanno cinese. (Foto: Mirko Lisella per Pratosfera). Cinema all’aperto in Piazza dell’Immaginario 2, organizzato da [Chì-na] col patrocinio del Comune di Prato. (Foto dalla pagina Facebook). pagina successiva Schemi dei possibile usi di Via Zipoli e Via Pistoiese pedonalizzate e delle corti come spazi per eventi all’aperto insieme agli edifici del PIU e di progetto.


Blogging

Mostre

Residenti fissi

Shopping

Sfilate

Conferenze

Proiezioni

Artista residente Maker residente

Cibo cinese

Cibo italiano

Workshop

Stand espositivi

Maker ospite Espositore Visitatori

EVENTO

SITUAZIONE ORDINARIA

locals

locals

non locals

non locals

Appartamenti casa+atelier casa+lab ostello spazi espositivi Strutture ricettive

42 mq 42 mq

42 mq

57



Bibliografia e riferimenti

Pagina precedente Capannone abbandonato dell’ex rifinizione Vannucchi, colpito da un incendio doloso. (Foto dell’autore).

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61



Indice

Pagina precedente Corte Genova durante una performance artistica (foto dalla pagina facebook di LottoZero)

Presentazione Giulio Giovannoni

5

La rivoluzione industriale a Prato

9

La cittĂ tra caos e razionalismo minimale

13

Chinatown

21

La cittĂ fabbrica

27

Prato come laboratorio

39

Bibliografia

59


Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura UniversitĂ degli Studi di Firenze Marzo 2018



Prato ha generato nel secondo dopoguerra uno dei distretti industriali più rappresentativi della piccola industria manifatturiera italiana, uno dei più grandi poli tessili al mondo. Il Macrolotto Zero, nato in un contesto storico di crescita, è fatto di luoghi inventati e costruiti spontaneamente dai pratesi quando vita e lavoro erano una cosa sola. Questo è un quartiere unico nel suo genere per quattro principali caratteristiche: l’inusuale commistione di attività produttive e residenziali, l’elevatissimo rapporto di copertura, l’estrema vicinanza al centro storico di Prato, la presenza di una delle più grandi comunità cinesi esistenti in Italia. Attualmente il Macrolotto Zero, però, ha un carattere fortemente introverso ed è caratterizzato da una doppia ‘chiusura’, spaziale e sociale. La chiusura spaziale è dovuta alla conformazione fisica dello spazio. Questo consta di un sistema di corti interne, non visibili dalla strada, sulle quali si affacciano le diverse unità produttive. La ‘chiusura’ sociale è dovuta invece al carattere introverso della comunità cinese, che come noto fa fatica ad integrarsi con la comunità locale. A livello metropolitano il Macrolotto 0 è inquadrato nell’ambito del sistema della moda e delle attività creative. ll progetto prevede la trasformazione di questo quartiere in un distretto creativo di livello metropolitano. La sua apertura alla realtà locale si traduce in un progetto spaziale di diradamento e di recupero e apertura alla collettività dei sistemi di corti e di una parte degli spazi architettonici dei capannoni, spesso di notevole qualità. Inoltre, l’integrazione del Macrolotto 0 nel sistema locale e metropolitano delle attività creative comporta anche un progetto funzionale e infrastrutturale. A livello funzionale si prevede la creazione di una struttura polifunzionale di servizio, che è anche pensata come un segno verticale, un landmark giustificato dal nuovo ruolo di questo distretto. Inoltre si amplia l’offerta di spazi per il co-working, la residenza temporanea, le case per artisti, gli atelier, gli incubatori per imprese, e simili..

Marco Nicola Di Domenico è nato a Prato nel 1986. Si è formato alla Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, dove si è laureato nel 2016 con relatore il Professore Giulio Giovannoni. Dal 2017 è Segreatario dell’associazione Lofoio, che a Firenze gestisce un laboratorio condiviso.

ISBN 978-88-3338-020-9

ISBN 978-88-3338-020-9

9 788833 380209


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