Firenze Architettura 2004-Eventi

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architettura FIRENZE

Castelli medievali a Petra e nel vicino oriente tra rilievo e archeologia

Periodico semestrale Anno VIII suppl. n.1 Euro 3 Spedizione in abbonamento postale 70% Firenze

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In copertina: Antiporta del castello di Wu’ayra foto Marco Bini

Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Comune di Firenze

Convegno Internazionale

Castelli medievali a Petra e nel vicino oriente tra rilievo e archeologia Firenze - Palazzo Vecchio - Salone de’ Dugento 6-7 febbraio 2004 Patrocini Comune di Firenze Regione Toscana Università degli Studi di Firenze Facoltà di Architettura forum Unesco/University and Heritage Comitato scientifico Stefano Bertocci, Marco Bini, Pietro Ruschi, Guido Vannini

Periodico semestrale* del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura viale Gramsci, 42 Firenze tel. 055/20007222 fax. 055/20007236 Anno VIII suppl. n. 1 - 1° semestre 2004 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997 Prezzo di un numero Euro 7 numero doppio Euro 10 suppl. Euro 3 Direttore - Marco Bini Coordinamento comitato scientifico e redazione - Maria Grazia Eccheli Comitato scientifico - Maria Teresa Bartoli, Roberto Berardi, Giancarlo Cataldi, Loris Macci, Adolfo Natalini, Paolo Zermani Capo redattore - Fabrizio Rossi Prodi, Redazione - Fabrizio Arrigoni, Valerio Barberis, Fabio Capanni, Francesco Collotti, Fabio Fabbrizzi, Giorgio Verdiani, Andrea Volpe, Claudio Zanirato Info-grafica e Dtp - Massimo Battista Segretaria di redazione e amministrazione - Gioi Gonnella tel. 055/20007222 E-mail: progeditor@prog.arch.unifi.it. Proprietà Università degli Studi di Firenze Progetto Grafico e Realizzazione - Centro di Editoria Dipartimento di Progettazione dell’Architettura Fotolito Saffe, Calenzano (FI) Finito di stampare febbraio 2004 da Arti Grafiche Giorgi & Gambi, viale Corsica, 41r Firenze *consultabile su Internet http://www.unifi.it/unifi/progarch/fa/fa-home.htm


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presentazione

Il rilievo per l’archeologia e i castelli crociati in medioriente Marco Bini

prima sessione

Archeologia ‘leggera’ e rilievo nell’esperienza della missione archeologica dell’Università di Firenze in Terrasanta Guido Vannini

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I castelli di Wu’ayra, Habis e Shawbak: misurare il passato Stefano Bertocci

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La cittadella di Amman: dal rilievo al restauro Antonio Almagro

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Hagia Sofia a Costantinopoli, nuovi studi e ricerche Mario Docci

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Il castello di Shayzar e l’evoluzione dell’architettura militare nella grande Siria musulmana Cristina Tonghini

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Caratteri tipologici delle fortificazioni crociate in territorio israeliano Adrian Boas, Carmit Horev

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Castelli medievali in territorio libanese Lorenzo Bianchini

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Petra ‘medievale’: un caso-studio per lo sviluppo di metodologie archeologiche non invasive Michele Nucciotti

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Il castello di Wu’ayra: letture archeologiche Andrea Vanni Desideri

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Il progetto per la gestione dei dati del rilievo Francesco Tioli, Giorgio Verdiani

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Il contributo di Lawrence allo studio dei castelli mediorientali Paola Puma

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Permanenze e variazioni tra oriente e occidente: alcuni esempi Cecilia Maria Roberta Luschi

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Salvare Wu’ayra: problematiche della conservazione Pietro Ruschi

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Il castello di Harim in Siria: rilievo e diagnostica Nicola Santopuoli

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L’“opus gallicum” nei castelli del vicino oriente Luigi Marino

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Dal rilievo al progetto attraverso le problematiche attuali della conservazione: il caso di un castello normanno Cesare Cundari, Laura Carnevali

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Progettare nel deserto di pietra. Visitor Centre a Wadi Mousa Carlo Mocenni

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Paesaggio, Archeologia, Progetto contemporaneo Giacomo Pirazzoli

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forum UNESCO

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terza sessione

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seconda sessione

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Il rilievo per l’archeologia e i castelli crociati in medioriente Marco Bini

Da alcuni anni il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, unitamente al Dipartimento di Studi Storici e Geografici, sta occupandosi dei temi legati allo studio, alla documentazione, al recupero ed alla valorizzazione dei siti di interesse architettonico e storico-archeologico. Nello specifico si stanno conducendo campagne di rilievi ed indagini su alcuni dei maggiori siti dell’area Mediorientale, interessandosi particolarmente ai luoghi fortificati di epoca crociata dell’area di Petra in Giordania, dove è attiva da diversi anni una nostra missione archeologica. Il rilievo dell’architettura e dell’ambiente urbano, oltre che del territorio in senso lato, si propone come fondamentale strumento di indagine per la registrazione, la lettura e la discretizzazione di tutto un universo di dati e segni prodotti dalla storia e dalla cultura in una particolare area geografica. Operazioni di rilevazione attenta costituiscono la base conoscitiva fondamentale per l’esercizio di attività critiche ed interpretative legate alla formazione ed allo sviluppo di un determinato sito, insediamento o città, oltre che per la previsione dei necessari interventi di conservazione, restauro e valorizzazione del sito stesso. Le esperienze condotte hanno consentito la messa a punto di metodologie operative per indagini finalizzate alla corretta comprensione delle architetture, dei complessi di interesse storicoarcheologico, degli ambienti urbani e dei contesti storici, culturali ed ambientali rilevati, fornendo strumenti essenziali per la lettura critica e la valutazione attenta degli interventi di conservazione e restauro.

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La conservazione di un sito, in particolare di un’area archeologica all’aperto, sottoposta ad un continuo stress dovuto all’apertura al pubblico, non pone solo le problematiche relative agli interventi di restauro conservativo da realizzarsi successivamente allo scavo ed allo studio della stessa, ma, se il fine è quello della musealizzazione e della fruibilità da parte del pubblico, pone notevoli problemi legati da un lato alla valorizzazione per una corretta fruizione e dell’altro alla realizzazione di un congruo programma gestionale per gli inevitabili interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria da effettuarsi nel corso del tempo onde garantire l’ottimale conservazione del sito stesso. La ricerca relativa allo studio degli insediamenti crociati in Transgiordania, condotta dal gruppo di lavoro che fa capo al Dipartimento di Progettazione, in particolare nel settore del rilievo e della rappresentazione dei manufatti architettonici a carattere prevalentemente archeologico, oltre ad affrontare le problematiche a livello generale relative al contributo specifico del nostro settore disciplinare alla ricerca archeologica, è giunta a sperimentare operativamente varie metodologie di analisi e di lettura in un contesto di grande interesse come gli insediamenti crociati nell’area di Petra in Giordania. Tale esperienza è stata condotta dalla nostra equipe all’interno di un gruppo di ricerca interdisciplinare ed è stata svolta parallelamente alle campagne di scavo condotte dal Prof. Guido Vannini del Dipartimento di Studi Storici e Geografici dell’Università di Firenze. Fino dai tempi più remoti il territorio della attuale Giordania ha svolto un

ruolo di rilievo negli scambi culturali e commerciali tra Asia, Africa e Mediterraneo. Nel corso dei secoli la realizzazione di grandiose aree urbanizzate e l’avvicendarsi, all’interno di questo territorio, di differenti popolazioni e culture, hanno reso la zona, sotto il profilo storico ed archeologico, una delle zone di maggior interesse del bacino mediterraneo. Particolare rilievo, all’interno di questo quadro territoriale, assume l’area occupata della città di Petra. Le indagini hanno preso l’avvio dall’area archeologica di Wu’ayra posta all’ingresso della valle di Petra. Sono stati indagati inoltre, in via preliminare altri due siti nel territorio di Petra con interessanti resti di epoca crociata: la fortezza di Al Habis, ubicata sul’acropoli dell’antica area urbana di Petra, costruita probabilmente su preesistenze nabatee e bizantine, e il castello di Shobak posto sull’antico limes arabicus, al margine dell’area fertile petrea con il deserto arabico. Poiché l’architettura è un fenomeno complesso, che non coinvolge soltanto l’arte del costruire, prima di entrare in merito all’operatività specifica che il tema del convegno sottende, credo sia necessario porre l’attenzione su alcuni aspetti di carattere generale che chiariscano a monte il problema del rapporto fra archeologia e rilevazione. Per conservare occorre conoscere e studiare a fondo ciò che ci è stato tramandato e su cui si è chiamati ad intervenire. Questa conoscenza non può che avvenire attraverso lo studio delle fonti, lo studio diretto dei manufatti tramandatici nei secoli, lo scavo archeologico, quando questo sia possibile. Premesso che la conoscenza diretta di


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un manufatto, in particolare quando si tratta di un edificio a carattere archeologico, non può essere surrogata da alcun disegno né da modellazioni virtuali, uno dei problemi che maggiormente preoccupa è la conservazione e la trasmissione dei dati emersi dal rilievo. Il disegno di rilievo fissa immagini che, riviste, richiamano alla memoria luoghi, spazi, tecnologie, materiali, colori, eventi e sensazioni. Nel loro fermare il tempo ad un istante preciso delle trasformazioni urbane ed edilizie, i disegni raccontano del passato delle cose filtrato attraverso la sensibilità, le conoscenze, l’attenzione dell’esecutore che pur volendo documentare con precisione l’evento, non può che trasmetterci una immagine parziale che pur sempre rappresenta un frammento di memoria. Molte informazioni possono trarsi da una attenta analisi del documento cartaceo su cui il rilevatore ha tentato di riprodurre una realtà che solo lui ha visto e toccato con mano. Come gli oggetti costituiscono l’elemento portante e strutturante della memoria, così lo spazio è il luogo ove possono trovare collocazione i riferimenti della memoria stessa. Per entrare in questa dimensione di lettura, dobbiamo vedere l’edificio come il prodotto di un lavoro collettivo, eseguito in base a tecniche che variano nel, tempo e nello spazio. In altre parole spazio ed oggetti possono trovare nel disegno la loro relazione formale, dimensionale, materiale, evocando accadimenti di un tempo passato, ma anche procedure e intendimenti di un tempo futuro, in altro modo difficilmente ‘materializzabili’.

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Soltanto approcci diversificati e complementari relativi alla composizione dei muri, alle tecniche esecutive, ai tipi di copertura, alle soluzioni decorative, offrono un quadro integrale del manufatto nel suo sviluppo storico. Anche il rilievo archeologico, attraverso la sua restituzione grafica, documentando manufatti ed eventi, è quindi indispensabile strumento per evocare forme, funzioni ed accadimenti lontani nel tempo. La redazione della rilevazione e della rappresentazione grafica di un manufatto assume le caratteristiche di una operazione diretta ad indagare gli aspetti morfologici e dimensionali del manufatto stesso, non solo per poterne trarre informazioni che permettano di relazionare fra loro accadimenti più o meno remoti, ma soprattutto per la conoscenza del processo formativo e delle vicende costruttive che si sono nel tempo stratificate. A seconda della finalità dello studio, quindi, il ricercatore deve scegliere strumenti di approfondimento diversi, cosciente della particolare posizione intermedia che il rilievo assume nel rapporto conoscitivo dell’oggetto. La restituzione grafica del rilevato, infatti, seppure non vuole essere espressione di una mera opinione sul monumento indagato, non deve tuttavia essere asettica registrazione del manufatto; il rilievo è pur sempre una lettura ed è proprio questo suo carattere a legittimarlo anche nella attuale compresenza di nuove tecniche meccaniche ed informatiche. Risulta quindi evidente la fondamentale esigenza di intimo raccordo fra il rilievo e la ricerca archeologica per evitare il rischio che il disegno di rilievo

Pagina precedente: 1 La grande facciata scolpita nella roccia del complesso detto il “Tesoro” come appare all’arrivo dal “Siq” 2 Imponente torre del castello di Shawbak riferibile al periodo mamelucco


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costituisca ‘monumento’ a sé, rispetto alle piste percorse dal ricercatore che opera sul monumento stesso. I rilievi e gli studi documentari relativi al cantiere di scavo vanno arricchiti con notazioni relative alle tecnologie edilizie ed ai materiali impiegati così da approfondire la conoscenza del manufatto storico, non solo per un possibile restauro, ma per una completezza della documentazione ai fini della comprensione del susseguirsi degli eventi che hanno interessato ciò che oggi rimane come testimonianza di accadimenti. Appare evidente come sia di fondamentale importanza, per il corretto svolgimento delle operazioni di ricerca, la recente tendenza alla formazione di gruppi di lavoro nei quali collaborano professionalità necessarie per la corretta comprensione dell’oggetto indagato. In questo senso, particolare interesse risulta quindi assumere, nel cantiere di scavo, la figura dell’architetto, in particolare per il contributo specifico relativo alla conoscenza delle trasformazioni dei manufatti edilizi, nonché alla progettazione e alla conduzione di interventi nel campo della tutela e del restauro. L’apprezzamento stilistico e morfologico praticato dalla storia dell’architettura però non è sufficiente a percepire l’enorme quantità di informazioni contenute nel sopravvissuto, che di regola è intensamente trasformato, dove ogni segno di trasformazione è relativo ad un mutamento tecnologico o sociologico, che costituisce documento da recuperare. Ciò che conta, allora, non è solamente la “ricostruzione” dello stato originario del monumento, ma la rilettura di ogni sua trasformazione. La gestione di una mole considerevo-

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le di dati risulta sempre difficile ed è pertanto fondamentale l’applicazione di una prassi operativa che tenga conto, in primo luogo, della certezza dell’informazione, ma anche della sua collocazione spazio temporale nella sequenza continua di processi che interessano il manufatto. La creazione di un ‘sistema informativo’ che raccolga i numerosissimi dati delle rilevazioni permette di avere molte notizie, peraltro aggiornabili in tempo reale, relazionate con i dati storico-archivistici e con quanto altro occorra per una conoscenza appropriata dell’oggetto. Fatte queste brevi considerazioni di carattere generale e metodologico, esemplificare con esperienze concrete, sul campo, quanto è stato fatto o si sta facendo, può risultare estremamente utile. In particolare per verificare esiti di procedure e approcci diversi, legati a tecnologie e procedure che, col trascorrere degli anni, si sono modificate e arricchite di possibilità, formando indicazioni sempre più puntuali per una lettura critica dei manufatti.

3 Veduta della porta o dell’antiporta dalla feritoia della torre a difesa dell’accesso del castello di Wu’ayra


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4 Ciò che rimane della navata centrale della chiesa di Shawbak, vista dal portale principale, in direzione dell’abside oggi completamente scomparso 5 Il grande arco artificiale in pietra si mimetizza nell’affascinante paesaggio roccioso della valle di Petra

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Guido Vannini UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI E GEOGRAFICI

Archeologia ‘leggera’ e rilievo architettonico nell’esperienza della missione archeologica dell’Università di Firenze in Terrasanta Quando la ricerca archeologica si trova ad operare ‘in missione’ geograficamente e culturalmente ‘lontana’, oltre a contributi originali di conoscenze specifiche o proposizione di modelli innovativi nel settore affrontato, si propone magari di contribuire, anche settorialmente, ad avanzamenti della stessa metodologia, come una messa a punto di peculiari tecniche di rilevamento, gestione e diffusione dei dati scientifici e documentari prodotti. Meno frequente ed osservata, vi è un’altra forma di ‘produttività’, quando nuovi filoni di ricerca si distaccano dal ‘tronco’ della missione originaria e danno luogo a nuove missioni operanti nella stessa area e su tematiche connesse. È questo il caso della Missione diretta dalla Cattedra di Archeologia Medievale dell’Università di Firenze Petra ‘medievale’. Archeologia degli insediamenti di epoca crociatoayyubide in Transgiordania che dal 1986 ha potuto produrre nuove letture dei ‘caratteri originari’ dell’insediamento della feudalità crociata in Terrasanta, ma anche la costruzione di un’‘architettura’ metodologica della ricerca con alcuni specifici connotati innovativi soprattutto sul piano dell’archeologia territoriale e dell’archeoinformatica dedicata; ma ha anche potuto dar luogo a vere e proprie nuove missioni tematicamente connotate in modo autonomo e specifico. Se quindi ciascuno di questi casi ha trovato una sua peculiare collocazione (dal perseguire finalità diverse, al mantenimento di forme condivise di obbiettivi scientifici), un caso specifico è quello del gruppo di lavoro di Marco Bini che concerne le modalità di rappresentazione delle emergenze architettoniche, su scala territoriale, con una impostazione che prevede solo successivamente una fase di ‘dialogo’ con le letture archeologico-stratigrafiche. L’interpretazione archeologica, infatti, si presenta complessa; i ‘testi’ analizzati (territorio ed elevati) si sono dimostrati molto produttivi se interrogati con l’archeologia ‘leggera’ (impiego integrato innovativo su base informatica delle procedure proprie dell’‘archeologia del pae-

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saggio’ e ‘del costruito’): la sorprendente identificazione del rinnovato, seppure effimero, ruolo centrale di Petra nell’assetto territoriale della Transgiordania con un vero, articolato sistema classico d’incastellamento feudale dell’intera valle (alHabis, Jabal Atuff, Wu’ayra, al-Kubtah, Shawbak); il ruolo strategico del castello di Wu’ayra (Li Vaux Moises), una chiave di lettura, storica ed archeologica, di tutto il sistema insediativo di Petra, con undici fasi fra età protostorica ed ottomana; l’‘acropoli’ di al-Habis, con almeno due fasi crociate impostate su strutture precedenti di grande interesse anche territoriale. Estensione dal 1999 del programma al Crac de Montréal (Shawbak), baricentro del sistema petrano e dell’intera Transgiordania, fino all’istituzione della Signoria (1142) a Kerak, con serrata successione di fasi fino ad età contemporanea e identificazione di un impianto antico, archeologicamente riconosciuto per la prima volta. Dal 1998 prima ricognizione, basata sull’uso strategico dell’archeologia ‘leggera’, lungo la frontiera crociato-musulmana dell’Oronte in Siria. Sia per la facies crociata di Petra che a Shawbak, infine, si è messo a punto un programma di conservazione delle aree archeologico-monumentali, fra restauro non ricostruttivo in scala territoriale e ‘comunicazione’ a più livelli collegata al nuovo museo di Petra. Un quadro che si presenta maturo per interpretazioni complessive di ordine storico, potenziale frutto di ‘interazione’ fra analisi archeologico-stratigrafica e architettonica. Una collaborazione interdisciplinare che muova dalle rispettive competenze ‘centrali’ e di quelle ‘periferiche’ con i diversi altri settori disciplinari presenti nella missione: in questo caso una lettura strettamente architettonica, ma in grado di confrontarsi con i quanto prodotto da un’analisi archeologica ‘leggera’ - dal territorio agli elevati - che a sua volta sta producendo certo dati, ma anche modelli interpretativi e magari ipotesi di lavoro, ma documentariamente fondate e criticamente costruite.

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1 Valle di Petra. Analisi di un itinerario per la valorizzazione della facies medievale della città portata alla luce dalle indagini archeologiche dell’Università di Firenze 2 Valle di Petra. Vista a volo di uccello del sito e localizzazione degli insediamenti di epoca crociata a controllo della valle 3 Castello di Shawbak. Calcolo delle curve di livello interne all’area del sito attraverso un rilevamento di punti quotati con tecnologia D-GPS RTK, uno dei metodi di rilievo e posizionamento utilizzati e sviluppati nel corso delle campagne di ‘Archeologia leggera’ del progetto archeologico “Petra Medievale ...” 4 Veduta della torre nord della cortina con feritoie del castello di Wu’ayra 5 Strada interna del castello di Shawbak


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Stefano Bertocci UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

I castelli di Wu’Ajra, Habis e Shawbak: misurare il passato Gli insediamenti crociati in Terrasanta, pur essendo stati fondati in periodi diversi dell’occupazione, in base ad esigenze e strategie dipendenti dalle varie fasi del rafforzamento del dominio occidentale, costituivano un coerente sistema di difesa di quella stretta fascia di territorio compresa fra il mare Mediterraneo ed il deserto arabico. Nella zona costiera a nord di Gerusalemme sorsero nel primo quarto del XII secolo numerose fortezze, erette in relazione al consolidamento della prima fase dell’occupazione occidentale, mentre nel secondo quarto dello stesso secolo sorsero numerose fortificazioni a sud del regno crociato per impedire l’espansione degli emirati egiziani. Le fortezze a sud del Mar Morto e del Wadi Araba, protese verso lo Higiaz ed il cammino verso l’Egitto e La Mecca, testimoniano infine la volontà espansionistica dei principi della Transgiordania, che consolidarono l’antico limes arabicus per ottenere frontiere sufficientemente sicure per prevenire il pericolo di concentrazioni nemiche ai confini con il deserto e mantenere divisi territorialmente i due principali centri del potere musulmano, l’emirato di Damasco a nord est ed il califato d’Egitto a sud-ovest. La realizzazione dei complessi fortificati che difendevano la frontiera sudorientale del Regno latino di Gerusalemme venne completata con un grande sforzo costruttivo nel giro di pochissimi anni, registrando un maggiore impegno principalmente fra il 1115 ed il 1116. I punti forti di tutto il sistema furono in un primo tempo i castelli dell’area dell’antica Petra, Wu’Ajra (Li Vaux Moise), Al Habis, Sela e Shobak (Montreal) a circa 20 chilometri dalla antica città, oltre Ajala (Aquaba) e Ile de Graie (Gerizet ci Faroun) sul Mar Rosso; la città fortificata ed il castello di Kerak (Crac de Montreal) vennero edificati successivamente, a partire dal 1142, sul sito dell’antica capitale del regno di Moab, lungo l’antica via dei re.

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Il progetto di ricerca per la conoscenza e le valorizzazione del sistema crociato delle difese realizzate nell’area dell’antico sito di Petra, in Giordania, si basa sull’indagine archeologica condotta dall’Università di Firenze, finalizzata all’individuazione dei ‘caratteri originari’ dell’insediamento occidentale in Terrasanta. In particolare le accurate campagne di rilevamento, condotte dal 1992 al 2000, sia in supporto alle campagne di scavo sia in indagini di superficie finalizzate alla definizione della topografia generale dei siti e delle murature in elevato hanno prodotto rilevanti risultati ed hanno contribuito alla definizione di tipi edilizi ed alla analisi di tecnologie e tipologie delle apparecchiature murarie. In particolare sono stati analizzati gli esempi delle fortezze dell’area di Petra - Al Habis, Wu’Ayra e Shawbak, giungendo alla redazione di piante e sezioni alla scala architettonica con analisi spinte ad un maggiore dettaglio delle emergenze monumentali degli stessi insediamenti.

1 Veduta generale del castello di Shawbak 2 Torre nord del castello di Wu’ayra. Il paramento murario a filaretto è costruito a strapiombo su un profondo “wadi”

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Antonio Almagro ESQUELA DE ESTUDIOS ARABES C.S.I.C. DI GRANADA

La cittadella di Amman: dal rilievo al restauro La cittadella di Amman è un sito storico di notevole valore che ha visto crescere strutture fin dalle epoche più antiche. Per questo gli elementi architettonici attualmente più visibili risalgono, nella maggior parte, al periodo medievale, anche se molti di essi sono caratterizzati da resti anteriori, soprattutto risalenti al periodo romano. Il momento di massimo splendore della cittadella nel medioevo, corrisponde alla prima metà del secolo VIII, quando la dinastia ommayade realizza una vera e propria città palatina, quasi sicuramente sopra quelli che erano i resti di edifici e monumenti dell’epoca bizantina e romana, probabilmente distrutti dall’invasione sassanide del secolo VII. Gli spostamenti di terra realizzati nella parte orientale e occidentale della Cittadella alla fine degli anni novanta del secolo scorso, per mano del Dipartimento di Antichità, hanno lasciato perfettamente visibile il perimetro della città in epoca ommaiade, e hanno sottolineato che questi confini rimasero sicuramente quelli di epoca romana, almeno per quanto riguarda l’estremità nord, anche se la città si estendeva su un’area considerevolmente maggiore, fino ad occupare la zone più basse della collina. La cittadella ommaiade, che senza dubbio convisse, forse come città abitata dall’elite musulmana, con una città bassa, che apparentemente continuò ad avere una importante attività, fu oggetto di profonde modifiche, da una parte grazie alla realizzazione di un chiaro perimetro mediante mura, e dall’altra grazie a una ristrutturazione urbana che anche se solo in parte ereditò disposizioni anteriori. L’estremità nord del Yabal al-Qal’a, una grande struttura romana interpretabile come un témenos, servì come perimetro di difesa a un palazzo o residenza aùlica. Nel resto della cittadina si costruirono importanti mura dotate di torri massicce dalla scarsa protezione esteriore. Queste mura, nonostante gli importanti rinforzi posteriori, sono state fatte risali-

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re con sicurezza all’epoca ommaiade. La cittadella contava tre porte. Quella occidentale situata proprio a sud del témenos romano, è senza dubbio contemporanea alle mura ommaiadi nonostante sul suo lato nord ci sia la torre romana del témenos. Anche la torre del lato sud della porta è di fattura simile alle altre che appartengono alle mura che continuano fino a sud, ed è pertanto sua contemporanea. L’altra porta che inizialmente dava accesso al témenos del tempio di Ercole, serviva probabilmente da comunicazione principale con la città bassa, e da lì partiva una delle principali strade della cittadina. Un altro accesso, che non è assolutamente evidente dal momento che non sono ancora stati terminati gli scavi, si suppone esistesse nell’angolo sud est. Queste tre porte e gli elementi architettonici frapposti costituiscono la base con la quale si organizzò la struttura urbana. Le ultime due porte menzionate sembrano essere preesistenti. Da loro partono strade che si dirigono fino a nord, nella direzione del témenos romano settentrionale e più direttamente al vestibolo dell’alcazar. Dopo il terremoto dell’anno 749 che rase a terra la maggior parte delle strutture esistenti nella cittadella, si produsse un serio degrado dell’insieme. Il palazzo fu rioccupato anche se non più con la stessa funzione. I grandi patii furono stravolti ( o violati) da costruzioni popolari di bassa qualità e da resti provenienti da altre parti. L’edificio d’accesso al palazzo fu radicalmente trasformato: venne chiusa la porta nord, la scala d’accesso alla terrazza fu trasformata in cisterna e si realizzò un accesso sostitutivo proprio di fronte alla porta sud. Tutte queste modifiche convertirono quello che era stato un magnifico edificio d’accesso destinato ai protocolli e agli atti rappresentativi, in una piccola fortezza isolata dal resto del palazzo del quale prima era l’ingesso. Tutto l’insieme è stato oggetto di indagini da parte di una spedizione archeo-

logica spagnola che, dall’anno 1974 nel quale iniziarono i primi lavori di documentazione, ha via via realizzato scavi e restauri. I lavori di documentazione hanno avuto una importanza speciale e si sono realizzati durante tutto il periodo di svolgimento delle attività. L’analisi fatta mette in evidenza come l’evoluzione delle tecniche e degli strumenti (sia con strumentazione fotografica che con altro), in questi ultimi venticinque anni abbia favorito e migliorato le possibilità di applicazione delle distinte tecniche sia nel campo dell’archeologia che nel rilievo, mostrando inoltre la progressiva semplificazione dei metodi e degli strumenti. Traduzione di Eleonora Spaziani

1 Veduta aerea della cittadella di Amman 2 Resti di edifici venuti alla luce a seguito degli scavi in un’immagine del 1998 3 Muraglia orientale ommaiade


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Mario Docci UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA DIPARTIMENTO DI RILIEVO, ANALISI E DISEGNO DELL’AMBIENTE E DELL’ARCHITETTURA

Hagia Sofia a Costantinopoli, nuovi studi e ricerche I grandi progetti si propongono sempre di raggiungere più obiettivi, anche la realizzazione di Hagia Sofia non fa eccezione a questa regola; quando nel febbraio del 532 d. C. l’imperatore Giustiniano decise di dare inizio ai lavori di questo grande monumento, egli fu spinto certamente dalla fede nella nuova religione, ma fu anche sostenuto dalla necessità di rendere esplicito il suo potere politico attraverso una opera che suscitasse grande stupore. Cinque anni più tardi esattamente il 27 Dicembre del 537 quando egli poté inaugurare la sue chiesa insieme al Patriarca gridò: Gloria a Dio, che mi ritenuto meritevole di poter terminare quest’opera. O Salomone così ti ho superato.1 In questa frase si coglie la sue fede ma anche il suo desiderio di essere ricordato per questa sua straordinaria opera. Non vi è dubbio che l’imperatore Giustiniano pose nella realizzazione di questo monumento enormi risorse ed energie personali, che vanno da una oculata scelta del progettista, individuata in Antemio di Tralles matematico e architetto greco, con cui collaborerà come assistente Isidoro di Mileto il Vecchio. Il progetto di Hagia Sofia è basato su un grande quadrato di circa 62 metri di lato, al centro del quale viene collocato un altro quadrato di circa 31 metri di lato, quest’ultimo costituisce la base sulla quale poggia la grande cupola centrale. Il quadrato centrale ha ai suoi angoli quattro grandi pilastri che sorreggono la cupola centrale, il passaggio dalla pianta quadrata alla forma circolare della cupola è risolto con l’inserimento di quattro pennacchi sferici, che raccordano i quattro pilastri angolari con la base circolare della cupola. In questo straordinario spazio architettonico, si fondono molti temi, da quello basilicale a quello centrale, ma vi sono anche presenze tipiche della spazialità architettonica romana, come ad esempio i riferimenti al cosiddetto tempio di Minerva medica negli orti Liciani a Roma ed anche agli edifici termali, con

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particolare riferimento alle Terme di Diocleziano a Roma oltre ad edifici coevi come il San Lorenzo a Milano. Il volume interno di Hagia Sofia è unico nel suo genere, esso determina nel fruitore una sensazione di uno spazio avvolgente con le sue superfici curve che si snodano lungo il suo asse principale e si dilatano in altezza nel vano centrale. Sui fianchi della grande sala ma separata da essa da una serie di colonne, vi sono due navate laterali più piccole, coperte con volte che sorreggono i matronei che avvolgono tutto lo spazio centrale. Va ricordato che la Cupola subì un primo crollo nel 558 d.C. e fu ricostruita interamente nel 563, le notizie storiche ci dicono che in questa occasione fu realizzata una cupola con una diversa curvatura della precedente che era più ribassata di circa sei metri. Poiché da quanto è dato da sapere il piano di imposta non ha subito variazioni, ed oggi la Cupola risulta una forma prossima ad una emisferica, con il centro del raggio posto circa 1,5 ml più basso rispetto al piano di imposta, è probabile che la precedente Cupola, fosse anch’essa emisferica ma con centro di curvatura posto ancora più in basso di quello attuale. Il diverso comportamento tra le due cupole secondo Mario Salvadori, è da valutarsi in una minore spinta pari a circa il 30% della seconda rispetto alla prima, ciò determina un diverso grado di sicurezza.2 La conoscenza dei fenomeni di deformazione presenti oggi nel monumento è indispensabile per comprendere lo regioni che le hanno indotte e quindi per comprendere lo stato del monumento e per poter mettere in atto interventi, volti alla sua messa in sicurezza. Lo stato degli studi fin qui compiuti sul monumento non è dei più esaltanti poiché manca di uno studio sistematico generale. Anche per quanto riguarda la forma attuale delle strutture disponiamo di un buon rilevamento realizzato da R. L. Van Nice nel lontano 1963 con tecniche tradizionali.3 Questo stato di cose ci ha indotto ha ef-

fettuare un parziale rilevamento delle superfici interne mediante laser scanner 3 D, per analizzare in modo puntuale lo geometria delle superfici della cupola e degli arconi in modo da poterla confrontare con le superfici teoriche di progetto. L’intervento si propone di illustrare i rilevamenti effettuati e le letture sullo stato delle deformazioni soprattutto per quanto concerne il vano centrale coperto a Cupola. In conclusione possiamo dire che il rilevamento con il laser scanner delle superfici interne di Hagia Sofia, come evidenziano le analisi da noi eseguite, hanno fornito nuove e più accurate informazioni rispetto a quanto era stato fatto in passato, evidenziando in modo accurato le deformazioni e le anomalie. Questi risultati pur di per se molto significativi, non consentono da soli di avanzare nuove ipotesi sulle cause che hanno determinato le deformazioni strutturali, ma essi già fanno intravedere ciò che potrebbe evidenziare un rilevamento complessivo dell’intera opera, sia delle superfici interne che esterne con le strumentazioni laser. Ci auguriamo pertanto, di poter portare a compimento questo lavoro, in modo da poter mostrare i risultati in modo organico. Tuttavia dai dati da noi fin qui raccolti, consentono di orientare meglio le indagini che si dovranno ancora effettuare per arrivare a alla conoscenza profonda di questo monumento, che consentirà di delineare un intervento di consolidamento e di restauro conservativo tale da assicurare ancora una lunga vita al monumento più significativo del grande Giustiniano.

1 Il riferimento al Tempio di Salomone a Gerusalemme distrutto dai Romani, aveva segnato per secoli tutto il mondo orientale con la sua fama di Tempio dell’Ebraismo. 2 Mario Salvadori, Perché gli edifici stanno in piedi? (Cfr. pag. 294) 3 I rilevamenti e gli studi di R. L. Van Nice seno stati pubblicati: The Structure of St. Sophia, in Architectural Forum, Maggio 1963. Lo stesso autore ha pubblicato un altro saggio su St. Sophia in Instambul. An Architectural Survey, Washington, 1965.


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1 Veduta d’insieme di Hagia Sofia 2 Modelli per curve di livello dell’intradosso della cupola: restituzione fotogrammetrica del 1990 (K. Hida, T. Sato, 1990); sezioni orizzontali del modello 3D da scansione laser

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Cristina Tonghini, Nadia Montevecchi UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI DI VENEZIA DIPARTIMENTO DI STUDI EURASIATICI

Il castello di Shayzar e l’evoluzione dell’architettura militare nella Grande Siria musulmana Il Progetto Shayzar nasce nel 2001 e muove dalla constatazione che la ricerca storica ed archeologica sull’insediamento fortificato nella regione si è soprattutto concentrata sulle fortificazioni controllate dai Crociati, mentre ancora relativamente sconosciute rimangono quelle delle aree musulmane. Inoltre, si è potuto osservare che il complesso rapporto fra Crociati e Musulmani in quelle regioni del Levante in cui si trovarono a coabitare presenta ancora ampi settori che necessitano di più puntuali indagini. In particolare, nell’ambito dell’architettura militare ancora devono essere delineate le specificità dell’ambiente tecnico locale con cui le maestranze occidentali si confrontarono al loro arrivo nel Levante. Con il Progetto Shayzar si sono concentrate le ricerche su un unico sito campione, un castello esclusivamente musulmano, mai conquistato dai Crociati. Il castello di Shayzar, nella Siria centrale, rappresenta il prototipo dell’insediamento fortificato in quella regione fra X e XV secolo, ma con fasi precedenti che potrebbero arrivare fino all’età classica. Nella scelta si sono considerati anche altri aspetti. Ad esempio, esiste un’abbondante documentazione scritta su questo sito, che rende particolarmente stimolante il confronto fra fonte scritta e fonte archeologica; uno dei membri della famiglia signorile che visse nel castello di Shayzar fra XI e XII secolo, i Banu Munqidh, ha lasciato una traccia scritta in forma di cronache che è potuta arrivare sino a noi, offrendoci un affresco straordinario dei rapporti fra Crociati e signori locali nella regione. Inoltre, sono conservate ancora in situ alcune iscrizioni datate che permettono di dare una collocazione cronologica assoluta ad alcune fasi costruttive. Infine, molte delle strutture del castello di Shayzar sono sopravvissute in un eccellente stato di conservazione, tale da consentire indagini sistematiche altamente produttive.

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Il Progetto Shayzar si propone di acquisire una documentazione dettagliata del castello di Shayzar sulla base della quale sia possibile comprendere il fenomeno dell’incastellamento nella regione ed illustrare l’evoluzione dell’architettura militare nel Levante musulmano. In una prima fase, il lavoro sul campo prevede l’acquisizione di una conoscenza dettagliata del sito, e comprende la realizzazione di un accurato rilievo topografico, architettonico e fotografico e l’analisi architettonica ed archeologica delle emergenze conservate fuori terra. Sono anche previste limitate operazioni di scavo stratigrafico. Gli obiettivi di queste operazioni sono quelle di documentare le dinamiche insediative dell’intero sito e lo sviluppo delle tecniche costruttive impiegate. Le ricerche sono anche integrate da indagini sulle fonti scritte ed epigrafiche. La documentazione raccolta costituisce inoltre il necessario punto di partenza per sviluppare un più ampio programma di intervento finalizzato alla salvaguardia e valorizzazione del sito archeologico; a tale fine stanno anche prendendo il via indagini diagnostiche specifiche sui materiali lapidei, sui parametri paleoambientali e indagini di verifica strutturale. Verranno qui presentati in sintesi i risultati conseguiti nell’ambito delle prime campagne di attività di ricerca sul sito di Shayzar. Le indagini si sono concentrate sui due maggiori complessi architettonici del castello: il complesso CA1, che comprende anche strutture signorili residenziali e fortificate; il complesso CA2 che comprende il sistema difensivo del principale accesso al castello. L’analisi stratigrafica ha consentito di ricomporre la sequenza costruttiva dei due complessi e di documentare la tipologia costruttiva impiegata in sequenza cronologica. Sulla base di questi risultati cominciano a delinearsi i caratteri evolutivo dell’architettura militare della regione fra i secoli XI e XIV.

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1 Torrione sud-ovest del castello di Shayzar 2 Veduta panoramica da nord-est 3 Veduta del castello da nord-est 4 Veduta della torre sud-est del castello


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Adrian Boas, Carmit Horev HAIFA UNIVERSITY ISRAELE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Caratteri tipologici delle fortificazioni crociate in territorio israeliano Questa indagine include soltanto un numero limitato di siti Franchi, oggetto di scavi, indagini e studi. Essi illustrano comunque tutti gli aspetti architettonici dell’esperienza delle Crociate, durante i due secoli di dominio dei Franchi in Terra Santa. Architettura Ecclesiastica Motivati dalla necessità di sostituire le numerose chiese distrutte all’inizio dell’XI sec, i Crociati hanno costruito circa 400 chiese, di cui metà approssimativamente ancora esistenti benché, spesse volte, in uno stato di rovina. La Chiesa del Santo Sepolcro è stata completamente ricostruita nel XII sec dai Franchi, i quali scelsero la forma di Chiesa di Pellegrinaggio Romanico facendo a meno della parte occidentale della basilica e realizzando il transetto direttamente sulla Rotonda. La chiesa di S. Anna, parte di un monastero Benedettino è una tipica basilica Franca triabsidale, eccezionale soltanto in quanto include un transetto iscritto, che non è comune nelle chiese Crociate. Un’altra chiesa inusuale è quella sotterranea della Tomba della Vergine: nel periodo delle Crociate, era costituita da due chiese sovrapposte, una chiesa superiore, che è stata distrutta dal Saladino, e una chiesa inferiore ancora oggi esistente ovvero la cripta contenente l’aedicule. Nel villaggio di Abu-Gosh c’è una chiesa ben conservata nel sito erroneamente identificato nel XII sec come Emmaus. Tra molti altri esempi di chiese Crociate sono le basiliche di Gaza, Ramla, Lydda, Nablus, Saphoria, la chiesa di S. Pietro a Cesarea e le due chiese Gotiche a Atlit. Architettura Militare Anche se molti dei più grandi e complessi castelli Crociati sono situati fuori dal Regno di Gerusalemme, all’interno del territorio di Israele ci sono circa 100 castelli, dalle torri secondarie ai castelli veri e propri. Montfort faceva eccezione fra i castelli Crociati in quanto la sua po-

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sizione era stata scelta non per proteggere una frontiera, una strada o una zona popolata, ma piuttosto perché era in un luogo isolato. L’ordine Teutonico ha cercato una posizione isolata e ben difesa per i propri quartier generali amministrativi. Il castello di Atlit include una doppia cinta muraria, un fossato, una chiesa ed un impianto termale. La parte Crociata di Cesarea include muri, torri, tallus e fossato. La città portuale di Arsuf ha fornito la prova evidente della distruzione del castello, compresi strati di cenere e palle di mangonel. Lo scavo al castello di Belvoir ha una struttura notevole, con doppia cinta muraria ed è uno dei soli due castelli di questo tipo costruiti nell’Est Latino. Come altri castelli costruiti dagli ordini militari, la parte interna serviva sia come cassero che come convento fortificato. Betgibelin, un piccolo castello Hospitalliere con una chiesa annessa era originariamente un semplice tipico castello di “cintura”. Esso è stato costruito come componente dell’accerchiamento di Fatimid Ascalon e poi è stato trasformato in un castello concentrico per affrontare la minaccia crescente del Saladino. Il castello Templare, Vadum Jacob, che difendeva un importante guado sul Fiume Giordano, è stato espugnato e distrutto dal Saladino 11 mesi dopo la sua costruzione. Gli scavi hanno portato alla luce la prova evidente di entrambi gli aspetti della storia del castello, sia come luogo di battaglia che come luogo in costruzione. Scavi sono ora in corso nel più grande castello nel Regno di Gerusalemme, il castello Templare di Safed. Complessi Urbani Lo scavo di più larga scala degli anni recenti è quello del complesso degli Hospitallieri realizzato nella città Crociata di Acre, principale porto e città mercantile dell’Est Franco, che è stata recentemente inserita tra i siti protetti dall’UNESCO. Gli edifici del complesso includono quelli amministrativi, magaz-

zini, refettorio, appartamenti privati, chiesa, ospedale e una prigione. Il grande palazzo dell’ordine Templare in Acre fu demolito nel XVIII sec; qui un notevole tunnel sotterraneo è stato portato alla luce, e dava ai Templari accesso dalla porta occidentale della città correndo al di sotto della stessa fino al porto, nella parte orientale. Edilizia Privata Un campo non ancora oggetto di studi adeguato è quello dell’edilizia privata. Comunque un discreto numero di case in contesto sia urbano che rurale sono venuti alla luce ai città come Acre, Cesarea, Yoqne’am ed Arsuf, e fattorie ed edifici rurali sono stati scavati e studiati. I villaggi Franchi realizzati secondo lo schema di quelli costruiti lungo le strade nell’Europa Medioevale come AlQubeibeh e Parva Mahumeria hanno molto in comune con i modelli occidentali e differiscono principalmente per l’uso della pietra nella costruzione e per le relative tecniche.

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1 Veduta del castello di Atlit 2 Veduta aerea del castello di Belvoir


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Lorenzo Bianchini UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Castelli medievali in territorio libanese Ci sono architetture che rappresentano in pieno lo spirito di una terra e quello dei suoi abitanti. Il caso dei castelli crociati in territorio libanese risulta un caso esemplare per i suoi rapporti tra stratificazione storica, uso attuale e complessità architettonica. Queste costruzioni, sorte sia per scopi militari che per il controllo del territorio, non hanno mai finito di svolgere un ruolo di primo piano nelle complesse vicende storiche libanesi. Nelle successioni di potere e sotto le varie dominazioni esse hanno sempre conservato quel connotato strategico che chi le costruì seppe con grande maestria fissare con l’architettura. Anche per questa ragione, il delicato equilibrio che ha permesso ad alcuni di questi castelli di giungere fino a noi, se da una parte non ha cancellato totalmente l’identità di tali manufatti, dall’altra ne ha necessariamente alterato le forme. Queste modificazioni talora sono state generate da necessità impellenti, talaltra sono state il frutto della volontà dei vincitori di imprimere alle costruzioni un’immagine più aderente alla propria cultura ma, senza dubbio, risultano il fattore di innesco di un processo di degrado che attualmente risulta in un notevole stato di avanzamento. Allo stato attuale la maggior parte dei castelli in territorio libanese risulta ancora priva di adeguati studi. Fatta eccezione per alcuni casi particolari le ricerce più approfondite eseguite sono rappresentate dalle opere di Paul Deschamps, T. S. R. Boase, E. G. Rey e di Camille Enlart e la situazione che si presenta oggi al ricercatore non è molto dissimile a quella di questi primi studi. All’epoca della maggior espansione crociata in Terra Santa sul territorio libanese erano sicuramente presenti moltissimi insediamenti crociati: alcuni ricavati su preesistenze, altri fondati ex-novo. Deschamps, nelle sue pubblicazioni, ha anche affrontato la catalogazione dei resti di tali costruzioni attraverso il censimento dei manufatti secondo il loro stato di conser-

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vazione. Se il ricorso a tale parametro può sembrare improprio per tracciare un primo quadro del fenomeno dell’incastellamento del territorio libanese o per affrontare una ricerca tipologica, le ragioni di questa scelta possono essere comprese e se ne possono, oggi, valutare le ragioni, se prendiamo in considerazione che alla data dello studio la maggior parte dei siti era ancora non scavata e la relativa documentazione molto frammentata. Attualmente questa catalogazione, oltre a riportare preziosissime informazioni, può anche rappresentare un elenco di priorità di elementi da conservare e una traccia su cui iniziare a ragionare per effettuare ricerche ulteriori. Visto che le condizioni attuali non consentono per il momento di intraprendere operazioni di scavo intensive ed in ragione dell’acuirsi dei fenomeni di degrado dei siti presenti, emerge la necessità di poter effettuare dei rilievi dell’esistente così da conservare il più possibile una memoria dello stato attuale di queste costruzioni in attesa che i tempi possano essere maturi per l’esecuzione di studi particolari. A tal fine una prima indagine della realtà dei castelli in territorio libanese è stata da noi intrapresa con il fine di preparare il terreno per futuri studi. È stato così realizzato un rilievo fotografico delle principali architetture crociate ed una catalogazione sulla base del censimento eseguito da Deschamps. Tale documentazione, corredata di elaborati grafici delle emergenze e, per i casi principali, anche di campionature di paramenti murari ottenuti con metodi speditivi di rilievo fotogrammetrico, risulta un primo passo per una ricerca più mirata che già da questo primo approccio fa intravedere, allo stato attuale, la possibilità di comprendere il fenomeno dell’incastellamento crociato intraprendendone lo studio attraverso il rilievo e la lettura delle varietà e delle tipologie architettoniche presenti sul territorio del Libano.

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1 Attacco della volta al pilastro poliforme della chiesa del castello di Saida 2 Paramento murario del castello di Tripoli danneggiato da un eveno bellico 3 Castello di Boufort 4 Castello di Mashaila


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Michele Nucciotti UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI E GEOGRAFICI

Petra ‘medievale’: un caso-studio per lo sviluppo di metodologie archeologiche non invasive Lo studio di un territorio dal punto di vista archeologico pone costantemente il ricercatore nella necessità di operare scelte di carattere metodologico in relazione agli obbiettivi generali e particolari dell’indagine da condurre. È quindi necessario elaborare una strategia di ricerca il più possibile coerente con le risorse disponibili e in primo luogo con il tempo dedicato specificamente allo studio. Il lavoro della missione archeologica dell’Università di Firenze in Giordania va quindi collocato in tale contesto, i cui tratti principali sono costituiti dalla distanza tra la sede della ricerca e i siti indagati e dal carattere territoriale dell’area indagata. Per tale ragione lo studio dell’insediamento crociato in Giordania, in un’area chiave per la comprensione del controllo dei territori occidentali durante la prima metà del XII secolo, ha costituito (e ancora costituisce) un caso-studio limite in cui la necessità di produrre una complessa documentazione si scontra con quella di operare sul campo in tempi relativemente brevi. È stato quindi elaborato un programma di interventi basato sull’impiego di aggiornate metodologie archeologiche a carattere prevalentemente non distruttivo, un insieme di pratiche di indagine che va sotto il nome di “Archeologia leggera”. Si tratta di un campo di ricerca molto ampio che spazia dall’archeologia del paesaggio, all’utilizzo di prospezioni geofisiche (i metodi ‘classici’ di tale approccio), fino all’archeologia dell’edilizia storica, allo sviluppo di applicazioni mirate per il rilievo satellitare di precisione (con tecnologia RTK D-GPS), o per la gestione dei dati archeologici su un architettura GIS completamente tridimensionale. Un ampio spettro di procedure, e quindi di prodotti, che ha reso necessaria la realizzazione di un’infrastruttura di gestione coordinata dei vari tipi di dati: il PETRAdata. In tale ambito l’archeologia dell’edilizia storica offre la possibilità di studiare ar-

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cheologicamente i resti delle strutture fuori terra in assenza di operazioni di scavo. Un procedimento di indagine che, attraverso strumenti (di rilievo e restituzione grafica) analoghi a quelli dello studio storico-architettonico, si differenzia da esso per l’approccio squisitamente archeologico e stratigrafico delle letture. L’emergenza strutturale viene infatti considerata, al di là dei caratteri stilistico formali, come il risultato di un processo di stratificazione, con fasi di accumulo (es. sopraelevazioni e ampliamenti) e fasi di sottrazione (crolli, demolizioni volontarie ecc.), in perfetta analogia con i caratteri di un comune accumulo di scavo. Anche le serie tipologiche che consentono comparazioni a carattere locale (sito) o territoriale, nel caso specifico: la tipologia delle murature (ovvero un atlante esaustivo dei tipi di apparecchiatura), la tipologia delle finiture (in cui vengono analizzate le tracce degli strumenti di lavorazione e finitura dei materiali da costruzione), quella degli elementi architettonici e, in elaborazione, la tipologia dei reperti epigrafici; sono tutte ancorate alla stratigrafia piuttosto che dipendenti da caratteri stilistico formali. Le procedure di analisi sono tuttavia per l’archeologo ‘solo’ gli strumenti necessari alla strutturazione di un documento materiale che ha bisogno, al pari di un documento archivistico, di essere interpretato attraverso modelli storiografici. La conduzione di indagini storico-archeologiche va quindi ben al di là del ‘semplice’ riconoscimento della stratificazione di un manufatto e necessita di competenze di carattere esegetico (es. paleografico-diplomatistico, storico artistico ecc.) o di merito (es. la storiografia, la storia istituzionale e sociale del medioevo ecc.) difficilmente possedute da non-archeologici.

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1 Castello di Shawbak, chiesa superiore (CF 10). Stratigrafia degli elevati e macrostratigrafia del cantiere crociato. Modalità di avanzamento dei fronti costruttivi in pianta (A) e sul prospetto sud esterno (B) 2 Castello di Shawbak, planimetria delle fasi costruttive precrociate individuate attraverso la lettura stratigrafica degli elevati nel settore sud del sito (I, II e III cinta muraria crociata) 3 Chiesa superiore di Shawbak: paramento murario del prospetto sud e archi delle navate laterali 4 Chiesa superiore di Shawbak: resti della facciata principale


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Andrea Vanni Desideri UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI E GEOGRAFICI

Il castello di Wu’ayra: letture archeologiche Nell’assetto della Transgiordania crociata, da Ahamant ad Ayla, il complesso di fortificazioni della valle di Petra, di cui è stato possibile dimostrare il ruolo di punto di appoggio strategico, gravita intorno al castello di Li Vaux Moises, isolato sugli aspri rilievi di alWu’ayra e dominante gli accessi all’antica valle. Qui si è condotta una lettura e documentazione sistematica dei dati archeologici di superficie, sono stati avviati saggi stratigrafici e condotte analisi stratigrafiche degli elevati finalizzati alla comprensione del sito, della sua formazione e del suo assetto topografico fino alle scelte urbanistiche, logistiche e residenziali. La più antica consiste in una necropoli d’età protostorica e nabatea organizzata in recinti funerari, composti di vani sepolcrali tagliati nei fianchi dei piccoli wadi settentrionali e dotati di sistemi di chiusura. L’intera area viene poi occupata da un impianto, probabilmente bizantino e forse già a carattere militare, cui è da riferire la prima fase delle murature difensive sul versante est, analogamente a quanto documentato - significativamente - nei castelli di al-Habis e di Shawbak. Le ricerche in corso consentono così di integrare i dati già noti sull’organizzazione difensiva tardoantica della regione cominciando a delineare una più complessa articolazione dell’area in età bizantina. Le indagini hanno permesso di mettere a punto consistenti elementi di conoscenza e di interpretazione sulle strutture fondamentali dell’insediamento nei loro aspetti materiali e nelle loro sequenze cronostratigrafiche (verticali e orizzontali) come, ad esempio, l’apparato di comunicazione interna (percorsi, passaggi, camminamenti di ronda, rampe, postierle, ponti mobili); il sistema idrico di raccolta, conservazione, distribuzione delle acque meteoriche; l’articolazione urbanistica dello stesso cassero; area forte e monumentale, con le diverse modalità di collegamento con l’area difesa circostante.

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Il sistema fortificato si compone di un doppia linea di difesa di cui la più esterna sfrutta le pareti degli wadi circostanti dove sorgevano ben 14 torri quadrangolari a protezione delle aree aperte nord, est e sud. All’interno di questo sistema, il cassero, nucleo centrale dell’impianto, sorge in posizione eccentrica verso est, presso la linea di difesa esterna e significativamente in corrispondenza dell’unico accesso all’intero complesso; questo è articolato lungo una stretta rampa a gradoni, difeso internamente da un sistema di cortine e torri di guardia e protetto all’esterno da un’imponente antiporta isolata sul wadi Wu’ayra, che sfrutta una precedente struttura databile almeno ad età bizantina, ed è dotata di ponti mobili su entrambi i lati. Il complesso della chiesa fortificata, cui si accede sul lato sud, alla sommità di una rampa dove si è rinvenuta l’area cimiteriale crociata, è aggettante sull’angolo di nord-ovest del cassero e protegge l’accesso alla principale cisterna d’acqua dell’intero insediamento. Presso la chiesa due ulteriori accessi, a nord ed ovest, mettono in comunicazione il cassero con l’area più esterna della fortificazione.

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1 Al Wu’ayra. Modello digitale del terreno elaborato con tecnologia D-GPS RTK. L’area del cassero con estrusione in falsi volumi dei corpi di fabbrica identificati e rilevati 2 Al Wu’ayra. Cimitero post-crociato. Ortofotopiano omografico dell’area di scavo individuata grazie alle prospezioni geoelettriche 3 Al Wu’ayra. Ortofotopiano parametrico del castello. Riprese aeree a bassa quota georiferite con tecnologia D-GPS e mosaicate 4 Veduta del castello di Wu’ayra: sulla sinistra la torre nord, a destra in alto i resti della chiesa


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Francesco Tioli, Giorgio Verdiani UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Il progetto per la gestione dei dati del rilievo La mole di dati raccolti ed elaborati nel corso delle campagne di rilevamento effettuate nell’area di Petra ha richiesto lo sviluppo di uno specifico sistema di gestione in grado di garantire una rapida ed efficace accessibilità ai dati stessi; la necessità di disporre di un archivio del rilievo diventa altresì pressante nel momento della programmazione di ogni nuova missione vista l’articolazione della ricerca ed i ridotti tempi di permanenza nei siti oggetto dell’indagine. Il progetto dell’archivio informatico (nello specifico un database) nasce con l’intenzione di rispondere ad una serie di esigenze, individuate dal gruppo di lavoro che studia i castelli crociati in Transgiordania, tra le quali la principale consiste nella semplicità di utilizzo dell’archivio stesso, sia in fase di ricerca che di compilazione. Il problema di produrre un archivio di facile compilazione e di snella e rapida consultabilità ha portato a scegliere una soluzione basata sulla scomposizione dell’archivio con la sua suddivisione in una serie di archivi minori, differenziati a seconda delle caratteristiche del genere di elaborato che doveva essere catalogato; lo strumento realizzato è quindi composto da sei database diversi per tipologia di dati in essi archiviati: uno per le fotografie, uno per le basi testuali, uno per gli eidotipi, uno per le restituzioni grafiche eseguite dai componenti del gruppo di lavoro, uno per le restituzioni grafiche eseguite da terzi. A coordinare e porre in relazione tra loro i vari database è stato realizzato il database degli operatori che contiene i campi identificativi delle competenze, campi che costituiscono la relazione con gli altri archivi. I database sono posti in relazione tra loro secondo una semplice rete di interdipendenze, che permettono di automatizzare parti significative delle operazioni di inserimento dei dati e riducono gli eventuali errori che l’operatore potrebbe indurre accidentalmente. Tutti i database redatti non solo presentano campi testuali e molteplici modalità di visualizzazione del dato archiviato, ma prevedono

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l’inclusione di anteprime grafiche a bassa risoluzione di quanto archiviato, in modo da permettere una più celere e semplice operazione di individuazione e valutazione del materiale ricercato. Al tempo stesso il sistema di database progettato prevede una logica aperta, integrabile con altri strumenti ed ampliabile nella ricchezza dei campi di archiviazione senza compromettere in alcun modo le caratteristiche dei dati già archiviati. Per potenziare la praticità della fruizione e per la creazione di uno strumento particolarmente potente sia per la pianificazione delle nuove campagne di rilievo che per la definizione di ulteriori ricerche su quanto già raccolto e prodotto, il progetto dello strumento di gestione prevede anche la realizzazione di un sistema informativo territoriale (GIS), direttamente collegato al database, che permette la georeferenziazione e la fruizione più “visiva” dei dati; nella struttura realizzata il database ed il GIS dialogano sfruttando componenti comuni della stessa base di dati, prerogativa questa che permette di ottenere l’aggiornamento automatico del GIS (ovvero del database) semplicemente intervenendo sul database (ovvero sul GIS), tutto il meccanismo di interrelazioni è basato su componenti base del sistema operativo, in questa maniera è possibile ipotizzare l’eventuale aggiunta di ulteriori database a questo meccanismo di archiviazione dei dati, database che potrebbero essere anche stati sviluppati con altri software rispetto a quello da noi impiegato. Il sistema realizzato costituisce uno strumento estremamente flessibile, il cui campo di applicazione può riguardare i diversi ambiti operativi del rilievo, e la sua palese utilità induce a prevederne l’utilizzo per le ricerche già concluse od in corso d’opera; la necessità di gestire in maniera semplice ed immediata le informazioni raccolte durante l’esecuzione di ogni ricerca, induce altresì a considerare l’archivio dei dati del rilievo come elemento indispensabile sin dalla fase di programmazione delle operazioni.

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1 Feritoia del castello di Habis 2 Lacerti medievali del castello di Shawbak 3 Resti di una possente torre a Jabel Hatuf 4 Camminamento di ronda lungo i margini del borgo di Wu’ayra


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Paola Puma UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Il contributo di Lawrence allo studio dei castelli mediorientali Il contributo che segue riguarda l’analisi critica di un testo poco diffuso, prodotto da un autore sicuramente più noto per le altre vicende che lo videro protagonista negli anni trenta del novecento che come archeologo. Eppure il contributo dato da Lawrence d’Arabia alla archeologia non fu del tutto secondario, in quanto a modernità della metodologia di indagine e ad originalità degli esiti di suoi studi. Il viaggio che Lawrence intraprende nell’estate del 1909 parte da Beirut e scende a sud fino al lago di Tiberiade per poi risalire a nord fino ad Edessa: - nel primo periodo copre un itinerario comprendente l’interno prima e la costa poi tra Beirut ed il monte Carmel: dal 9 al 31 luglio percorre la tratta nell’interno da Beirut a Galilea e il ritorno costeggiando il mare fino a Tripoli - dal 6 agosto al 6 settembre copre il percorso, sempre seguendo la costa, tra Tripoli e Aleppo passando da Latakia e Antiochia - dal 7 al 22 settembre l’archeologo e copre l’andata ed il ritorno da Aleppo ad Edessa. I riferimenti storico critici che Lawrence ha disponibili all’inizio del suo lavoro comprendono non pochi testi fondamentali: Rey, L’architecture militare des Croisés en Syrie, del 1871; Vilollet le Duc, Military architecture, del 1879; Allcroft, Earthworks of England, del 1908; e soprattutto The art of war in the middle ages, di C. W. C. Oman. Dai primi due testi Lawrence recepisce soprattutto documentazione grafica inerente i castelli orientali o quelli francesi, che solo in parte riuscirà a verificare sul campo durante il suo viaggio; il terzo gli mette a disposizione molto del materiale di base che sarà di appoggio durante il tour, mentre Oman gli fornisce le premesse teoriche e culturali più diffuse e consolidate rispetto all’argomento ai primi del novecento. Gli occidentali furono a lungo imitatori e copisti degli architetti crociati: questo lo slogan che riassume lo stato

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dell’arte all’inizio del novecento circa i rapporti tra architettura militare occidentale ed orientale in epoca crociata. Lo scopo che Lawrence si prefigge è una verifica documentata e non teorica dell’assunto di Oman e affronta la questione, per la prima volta, nei termini scientifici dell’indagine su larghi numeri: l’individuazione delle reciproche influenze tra occidente e medio oriente viene indagata, infatti, attraverso lo studio comparato delle varie architetture militari -quella europea prima delle crociate, quella coeva bizantina, quella crociata in Siria e quella europea post crociata- analizzate in caratteristiche fisiche, formali e funzionali. In secondo luogo Lawrence effettua la propria ricerca documentandola sul campo: la sua critica verso l’uso di esprimere giudizi non documentati e basati su idee preconcette costituisce forse la motivazione primaria ad effettuare le prime campagne di studio in Europa, prima, e la vasta esplorazione mediorientale, poi, che lo portò a visitare circa 40 castelli. Tutti i siti furono visitati, fotografati e molti analizzati graficamente in appunti rapidi ma precisi, perlopiù orientati e quotati seppure sommariamente. Molte delle mappe e delle planimetrie sono reperite da Allcroft, per le fortificazioni inglesi, da Rey e Pirie-Gordon (all’epoca inedito) per le costruzioni arabe, debito esplicitamente dichiarato dall’autore in apertura del volume. Gli architetti crociati furono a lungo imitatori e copisti di quelli occidentali: con questa affermazione conclusiva Lawrence capovolge l’assunto iniziale del suo lavoro e sintetizza un’opinione costruita su dati obiettivi, solidamente documentata e già da un approccio che, sviluppato tecnicamente, cominciava già ad essere patrimonio di tutta la cultura archeologica internazionale.

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1 Lawrence, disegno della porta di accesso al castello di Kala’at Y’ahmur (Tratto da “Crusaders castles”) 2 Lawrence, disegno della torre del castello di Chalusset (Tratto da “Crusaders castles”) 3 Chiesa superiore del castello di Shawbak: veduta dell’accesso alla navata laterale sinistra


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Cecilia Maria Roberta Luschi UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Permanenze e variazioni tra oriente e occidente: alcuni esempi Ampia è la letteratura di merito riguardo la tipologia dei castelli crociati; molti studiosi hanno meticolosamente vagliato le reciproche influenze fra i modelli occidentali e quelli orientali cercando il verso della contaminazione culturale. Il fenomeno delle crociate che investe un periodo di più di duecento anni, ha confuso le tracce; oggi possiamo solo dire che da un certo momento in poi è cambiato qualcosa nel modo di concepire l’organismo edilizio “castello” e numerosi sono i documenti di pietra che lo dimostrano. Difficoltoso è invece individuare il percorso evolutivo e dimostrare le intuizioni, per altro ragionevoli, di coloro che vedono cambiare sotto i loro occhi un mondo. Un piccolo passo in questa direzione può essere comunque fatto, considerando proprio i castelli della Transgiordania in particolare Shawbak e Wu’Ayra, due capisaldi del regno cristiano insediatosi sull’antico limes romano. La sede reale di Montreal-Shawbak, è particolarmente interessante. La datazione della fondazione su cui convergono gli studiosi si aggira intorno al 1116/1118, anche se personalmente sarei propensa ad anticipare la data sino almeno al 1111, relativamente all’intervento cristiano crociato. Sta di fatto che questo castello è il baluardo cristiano sul confine arabo dove non sono da sottovalutare le presenze del Re Baldovino I e degli ordini Monastico cavallereschi che qui soggiornarono. La morfologia non si discosta ad un primo sguardo dai castelli che occupano la sommità dei cacumini e su cui spiccano, in successione di quota, le cinte murarie frammezzate da torri rompitratta estroflesse e da torrioni angolari. Ma è proprio la struttura delle torri che inizia ad essere interessante soprattutto per le dimensioni che il rilievo metrico ha evidenziato tramite la trasformazione del dato numerico nell’unità di misura antica. L’apparecchiatura muraria mostra inoltre conci a “L”, spia di una tecnologia costruttiva che

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ritroviamo in alcuni edifici di conclamata paternità costruttiva, riconducibili alle maestranze degli ordini Monastico Cavallereschi. Altro elemento molto interessante che ritroviamo a Shawbak è senza dubbio il percorso coperto di connessione fra le torri di cui rimane ampia testimonianza sul lato Ovest del castello e che obbedisce ad un sistema di scarico delle forze secondo il principio dei contrafforti producendo una sezione ad arco acuto leggermente rampante che ritroviamo nelle stesse forme in alcune abbazie cistercensi. Questo dato significherebbe una sorta di esportazione di alcuni modelli edilizi sperimentati nell’architettura ecclesiastica e successivamente proposti in quella militare per ragioni di velocità di esecuzione, robustezza e funzionalità. L’implementazione di siti fortificati doveva essere di fatto essenziale e rapida, con protocolli costruttivi ben chiari e sicuri e con poche manovalanze specializzate che potevano informare quelle locali con semplicità. In ultimo la presenza delle due chiese l’una all’interno della prima cinta muraria ancor oggi visibile, la Cappella di San Giovanni, l’altra la Chiesa di Santa Maria. L’una costituita da un’aula monoabsidata con pastofori ed un’interessante presenza di simboli incisi sul paramento murario contenente la porta di accesso principale; l’altra, un vero e proprio gioiello di “gotico arcaico”, una interessantissima successione di pilastri quadrangolari con costoloni che dalla parte delle navate laterali spiccano da una quota di circa due metri. La mensola di raccordo fra il costolone ed il pilastro è particolarmente interessante, potrebbe essere l’archetipo di quelle più eleganti, presenti nelle abbazie cistercensi disseminate per tutta Europa.

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1 Shawbak, chiesa di Santa Maria, mensola di spicco del costolone della navata laterale 2 Shawbak, cappella di San Giovanni, abside a catino, sormontato da un occhio e fiancheggiato da pastofori 3 Shawbak, percorso coperto; anche se parzialmente ricostruito, si possono ancora distinguere le parti originali


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Pietro Ruschi UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE DIPARTIMENTO DI STORIA E TUTELA DEI BENI CULTURALI

Salvare Wu’ayra: problematiche della conservazione Per quasi tutto il Medioevo, le fortificazioni costruite dai crociati nel corso delle loro spedizioni per la conquista della Terra Santa rappresentarono degli exempla di assoluto rilievo per il futuro sviluppo dell’architettura militare d’Occidente. Al riguardo, la Transgiordania offre spunti particolari, in quanto fu la penetrazione più meridionale dell’occupazione crociata. Ciò comportò, a partire dalla prima crociata, sia la costruzione di avamposti legati a esigenze di presidio, tempestivamente realizzati sfruttando le caratteristiche del terreno, di cui resta un esempio il castello di Wu’ayra e l’intero sistema fortificato della valle di Petra, sia di fortificazioni di controllo viario, come la fortezza di AlTafilah, sia di potenti roccaforti, come quella di Shawbak, di fondazione regia, o quella si Kerak, divenuta ben presto sede di una sorta di feudo. Diverso fu anche il destino di questi castelli. Alcuni di essi, perse le loro funzioni strategiche, come Wu’ayra, caddero in abbandono, altri furono conservati e ampliati, come Kerak, occupato dagli arabi fin dal XIII secolo e divenuto poi, sotto la dominazione turca, un popoloso insediamento, o come Shawbak, trasformato e ampliato dai Mamelucchi nel XIV secolo. Tutto ciò ha determinato situazioni profondamente diverse tra loro, ponendo problematiche complesse dal punto di vista del restauro. Tali problematiche nascono dall’esigenza dell’identificazione delle diverse fasi costruttive di tali castelli, ponendosi in stretta connessione con la ricerca archeologica, come, del resto, fin dal 1931, raccomandava la Carta d’Atene. Identificazione abbastanza agevole nei casi d’immediato e totale abbandono (Wu’ayra), ma ben più complessa in presenza di una presenza insediativa continua (Kerak), se non, addirittura, di preesistenze (Shawbak). È evidente come tutto ciò ampli il campo operativo, che si estende dalla conservazione del rudere al restauro architettonico, dal restauro urbano fino a quello territoriale,

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ponendo questioni sostanzialmente diverse sia sotto il profilo critico che sotto quello metodologico. Nell’ambito dell’attività di ricerca svolta nell’area della Transgiordania, una prima fase di lavoro ha riguardato il castello di Wu’ayra, per il cui restauro, dopo una fase di rilevazione diretta e sulla base delle indagini archeologiche, è stato messo a punto un progetto di massima. Tale progetto ha affrontato tre livelli d’intervento. Il primo riguarda la conservazione del testo architettonico che, come detto, si presenta oggi nello stato di rudere. Di conseguenza gli interventi previsti vengono ad assumere il prevalente carattere di consolidamenti murari e fondali, da attuarsi sia con sistemi tradizionali sia con tecniche moderne. Minime le proposte integrative, circoscritte alla riproposizione, con materiale diverso, del portale d’accesso alla cerchia muraria, per il quale si conservano indizi sufficienti a livello di fondazione e d’imposta dell’arco, e alla parziale ricostruzione, tramite anastilosi, del catino absidale della chiesa intramurale. Diffuso, infine, l’intervento di restauro dei paramenti lapidei, particolarmente complesso a causa dell’inconsistenza dei leganti argillosi. Al secondo livello progettuale, relativo ai percorsi interni ed esterni del castello, pertiene il compito assai delicato di offrire, tramite opportuni angoli di visuale e utili supporti informativi, la percezione dell’impianto fortificato originario, l’apprezzamento delle sue funzioni strategiche e del suo rapporto con il territorio circostante e con il sistema fortificato petrense. Il terzo livello, cui sarà dedicato un apposito contributo, concerne invece lo studio per l’edificazione di un visitors centre, situato a margine del complesso fortificato. Esso dovrà svolgere compiti sia ricettivi che didattici, tramite documentate informazioni storiche, modelli e ricostruzioni virtuali del castello di Wu’ayra.

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1 Il sistema di accesso al castello di Wu’ayra 2 Progetto di restauro per la chiesa e la torre ovest del castello di Wu’ayra 3 L’area sacra a fianco della chiesa di Wu’ayra a seguito dei restauri effettuati dalla Direzione delle Antichità Giordane 4 Tombe crociate scavate nella roccia in prossimità dell’accesso alla chiesa di Wu’ayra


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Nicola Santopuoli UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA NUB LAB

Il castello di Harim in Siria: rilievo e diagnostica Il castello di Harim si trova nel nord della Siria, nell’alta vallata dell’Oronte ai confini con la Turchia. La sua posizione strategica sulla sommità di un tell, una collina artificiale dovuta alla sovrapposizione nei millenni di più insediamenti umani, e prospiciente a nord la piana di Amuq, lo ha reso teatro di numerose contese fra crociati e saraceni. Il tell, circondato dall’abitato di Harim con le caratteristiche case colorate con tonalità blu, si trova a circa 20 km dal punto di attraversamento dell’Oronte lungo l’asse Aleppo – Antiochia. Le sue pareti nord, est ed ovest sono rivestite da un monumentale glacis, una massicciata medievale in pietra, ed è in parte isolato dal villaggio circostante da un largo fossato parzialmente scavato nella roccia. I crociati riusciranno a espugnare la fortezza nel 1157 che, poi, verrà ripersa nel 1164, per mano di Nour ed Din (dinastia zengide) A questo periodo risalgono i resti di una cinta muraria con torri in cui sono inseriti numerosi pezzi di recupero bizantini, sempre al di sotto di strutture ayubbidi. È sotto gli Ayubbidi, infatti, che il castello assume le sembianze attuali, grazie alla costruzione della seconda cinta muraria, dell’attuale porta d’ingresso tra due torri e del corridoio, originariamente coperto, che da essa diparte e conduce ad un ridotto fortificato sul versante opposto della collina. Da questo passaggio si diramano cunicoli che portano ad un hammam (bagno) e ad una piccola moschea. Sempre di questo periodo è la ristrutturazione del centro residenziale. Negli anni ottanta il castello fu parzialmente scavato, eliminando la documentazione delle fasi del castello mamelucca (XIV-XV sec.) ed ottomana, epoca in cui il sito subì un progressivo abbandono fino al formarsi di un villaggio, che ne riutilizzava parzialmente le rovine. Nel 1998 è nato il Progetto Harim, frutto di una collaborazione italo-siriana, con il proponimento di indagare, studiare e valorizzare il complesso fortificato. Le parti del castello medievale giunte

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sino a noi non sono in buone condizioni di conservazione. Le campagne di scavo del 1999 e del 2000 hanno interessato la porta principale, il corridoio d’accesso, l’hammam e lo stesso ridotto fortificato di sommità. Lo scopo di questi primi lavori era la ricostruzione dei processi insediativi sul sito fino ai nostri giorni e lo studio degli interventi architettonici del castello, al fine di datarne le varie fasi. L’indagine è stata estesa anche ai materiali, allo stato conservativo delle strutture, al territorio circostante ed ai suoi insediamenti medievali. Fino a questo momento è stata effettuata una campagna di indagini preliminari, caratterizzata da rilievi, osservazioni e saggi che hanno consentito l’individuazione dei materiali e del loro stato conservativo. Tali studi hanno permesso l’individuazione delle zone in cui effettuare gli approfondimenti sulla caratterizzazione dei materiali e delle finiture della struttura muraria e lo studio della situazione statica (in corrispondenza di parti pericolanti). Il complesso fortificato, comprende numerosi ambienti, adibiti a diverse funzioni fra cui quelle militari e quelle residenziali, oltre a una moschea. Le murature originali sono in conci di pietra calcarea legati da malta di calce: blocchi regolari per le strutture portanti, squadrati nel caso della cortina muraria esterna, irregolari per le opere di riempimento. Attualmente la maggior parte del paramento della cinta muraria si trova in uno stato di avanzato degrado superficiale, che interessa la totalità dei fronti, con zone localizzate di dissesto statico. Inoltre, viene segnalato il forte degrado ambientale che presenta il largo fossato, scavato nella roccia, che circonda parzialmente il tell, attualmente utilizzato come discarica a cielo aperto; di conseguenza, esso richiede un adeguato intervento di bonifica e di risanamento.

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1 Saggi di restauro sulle strutture murarie 2 Paramento murario a grossi blocchi con evidenti interventi recenti 3 Resti delle strutture murarie dell’hammam (terme), risalenti all’occupazione saracena 4 Veduta panoramica del castello collocato sulla sommità del Tell 5 Lacerti di paramenti murari parzialmente interessati da crolli

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Luigi Marino UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI RESTAURO E CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI

L’opus gallicum nei castelli del vicino oriente Il murus gallicus è un singolare apparecchio murario descritto da Cesare a proposito dell’assedio di Avaricum nel 52 a.C. La presenza di molti manufatti apparecchiati con barre di legno poste trasversalmente e longitudinalmente allo spessore nelle murature è stata oggetto di osservazioni e analisi dalla metà del XIX secolo (de Caumont a Vertault; Castagné nello scavo dell’oppidum di Murcens, de la Noë e, ancora prima, Rondelet) ma soltanto dopo la seconda guerra mondiale sembra aver ricevuto un’attenzione adeguata (Wheeler, Richardson, Cotton, Dechelette, de Boüard, Wilcox) con l’estensione delle indagini e delle scoperte anche al di fuori della Francia. La costruzione di bastioni in terra e legno, di epoca celtica e gallica, si basa su due modelli principali: il bastione a scarpata massiccia (tipo Fécamp) e il bastione a struttura lignea interna (di questi ultimi sono conosciute diverse varianti). La disposizione di elementi lignei non trova concordi gli studiosi sull’effettivo contributo statico che può fornire alle strutture murarie. Lo sfalsamento degli elementi lignei e la struttura a telai sovrapposti garantiscono, comunque, una buona omogeneizzazione con la massa interna e una sufficiente elasticità di tutto il sistema capace, nella pratica, di distribuire meglio i carichi verticali (peso proprio del muro e delle sovrastrutture), di ammortizzare le sollecitazioni verticali (colpi di ariete) e di contenere eventuali traslazioni di parti a causa di escavazioni al piede (lavori di mina). La funzione degli elementi lignei riguarda il presidio temporaneo in corso di costruzione e il rinforzo permanente per le strutture. L’opus gallicum sarà impiegato, sia pure con modalità relativamente diverse, nel Medioevo per la costruzione di opere fortificate temporanee o stabili in terra e legno ma anche per quella di murature lapidee a secco o legate con malta e sarà esteso, non di rado, anche a edifici civili. Un grande impiego sarà riservato alla costruzione di opere che prevedono

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vasti movimenti di materiali, basati prevalentemente su un riporto di terra (agger) e una palizzata (pastophorium) nelle strutture in terra costipata (come le motte) e in alcune opere nell’epoca di passaggio verso fortificazioni in pietra. L’impiego di elementi lignei nelle murature, però, verrà riproposto con una certa frequenza anche in apparecchi murari totalmente in pietrame legato con malta. Di particolare interesse sarà l’adozione di soluzioni costruttive nelle murature medievali basate sull’impiego di barre lapidee (esempi particolarmente significativi saranno presenti nell’altopiano dell’Houran, tra Giordania e Siria in epoca bizantina nelle cosidette strutture “all stone” dove elementi lapidei di basalto saranno impiegati come collegamento tra i due paramenti dei muri) ma anche in alcune opere fortificate del limes romano-bizantino (qasr al-Hallabat, per esempio e Azraq). Nella costruzione delle opere fortificate di epoca crociata in Terra Santa verranno impiegati fusti di colonne di epoca romano-erodiana, di cui l’area abbondava, apparecchiati su livelli diversi con risultati strutturali di grande efficacia (si pensi a Cesarea, Ascalon e Sidone dove fusti di colonne sono reimpiegati con sistematicità oppure a Kerak o Betlemme dove sporadiche colonne sono state utilizzate come collegamento tra cortine contrapposte dello stesso muro). La stessa soluzione è stata adottata nel castello delle 40 colonne a Paphos (Cipro) e in alcune opere fortificate dopo la riconquista musulmana (Aleppo, Bosra, Palmira, Amman …) con funzioni e comportamenti strutturali fondamentalmente molto simili a quelli dell’opus gallicum. L’attenzione riservata alla soluzione costruttiva è testimoniata dalla cura con cui sono apparecchiate le murature in corrispondenza delle testate delle colonne e, indirettamente dal cronista Maqrizi quando, a proposito della presa di Cesarea da parte di Beibars (1265), osserva come le murature armate abbiano ben resistito ai lavori di demolizione.

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1 Le strutture del porto crociato di Beirut presentano rinforzi con spezzoni di colonne 2 Colonne monolitiche impiegate con funzione di collegamento (a intervalli regolari, sovrapposti e incrociati) tra le due cortine nelle strutture crociate del castello di Cesarea 3 L’impiego di colonne nelle murature della fortificazione di Aleppo


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Cesare Cundari, Laura Carnevali UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA LA SAPIENZA DIPARTIMENTO DI RILIEVO, ANALISI E DISEGNO DELL’AMBIENTE E DELL’ARCHITETTURA

Dal rilievo al progetto attraverso le problematiche attuali della conservazione: il caso di un castello normanno La cittadina di Carinola, nell’Alto Casertano, è caratterizzata da preziose testimonianze architettoniche non ancora sufficientemente indagate. Le maggiori di esse attengono al periodo d’influenza catalana – coincidente, ovviamente, con il dominio aragonese – ma vi sono presenti anche episodi architettonici d’epoca precedente di indubbio interesse per la storia dell’arte. Il ricco patrimonio culturale dell’intero territorio comunale è stato oggetto di una attenta campagna di documentazione rivolta agli edifici di maggiore interesse oltre che di un programma di valorizzazione che, redatto ormai da diversi anni, solo recentemente ha visto concludersi il primo degli interventi previsti, il restauro del palazzo Novelli (già Petrucci) destinato a sede del “Museo della città e del territorio”. Tra gli interventi principali che il programma prevede v’è anche il restauro ed il recupero funzionale del Castello baronale che vede la sua origine in età normanna, e che era caratterizzato da torri angolari, cammini di ronda ed un maschio a pianta quadrangolare; era stato realizzato molto probabilmente utilizzando preesistenti strutture difensive ed oggi si presenta fortemente mutilo ancora per le conseguenze del già lontano secondo conflitto mondiale. Tuttavia, pur con le sue demolizioni, si leggono con tutta evidenza le sue parti caratterizzanti così come sono perfettamente deducibili, dalla tessitura dei paramenti murari, i caratteri costruttivi delle parti distrutte; insomma, si può ritenere che, sulla base di un accorto intervento – così come è avvenuto nel caso del Palazzo Novelli – sia perfettamente recuperabile a nuove funzioni tutta l’antica struttura pur se con alcune integrazioni da realizzare, in ogni caso, evitando accuratamente il rischio di falsificazione. Peraltro la configurazione del Castello può essere anche desunta dall’“Apprezzo” di Carinola redatto nel 1692, in cui viene descritto con un im-

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pianto pseudo-triangolare, con una corte centrale con cisterna, una torre detta la “Castellina” e stanze dislocate su due livelli con una ampia scala lapidea che consentiva di raggiungere il piano superiore. L’antico organismo si sviluppava addossato alla cinta muraria inglobando una delle torri di guardia; si articolava molto probabilmente almeno con un livello interrato (possibile per il forte dislivello superato dalla cinta muraria); ne restano oggi la possente torre quadrangolare, la struttura muraria esterna sulla quale si leggono chiaramente le tracce della sequenza di volte a crociera che coprivano i due livelli; l’impianto murario planimetrico è nascosto in un masso di cemento che, all’inizio della seconda metà del secolo scorso, fu realizzato per proteggerlo in attesa di un intervento di restauro sempre auspicato ma mai realizzato. Nel quadro del programma di valorizzazione è stato predisposto un progetto di restauro – per il quale si attende il necessario finanziamento – per il completo recupero dell’edificio; sarà possibile, così, recuperare dell’antico e ricco patrimonio architettonico una significativa testimonianza di architettura fortificata che si potrà affiancare a quelle già funzionanti di tipo religioso (la Cattedrale) e civile (palazzo Novelli). È utile segnalare, infatti, l’interesse che un programma di valorizzazione contempli il recupero di beni anche di differente carattere e quindi suscettibili, nella rifunzionalizzazione, di destinazione d’uso complementari; questo è un aspetto di particolare importanza in una epoca in cui le risorse economiche non sono certo inesauribili.

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1 L’immagine mostra il sistema costruttivo delle volte che caratterizza l’antico edificio 2 Veduta laterale con la torre quadrangolare e il corpo antistante 3 Veduta della corte interna prima delle distruzioni belliche 4 Veduta della parte principale del Castello


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Carlo Mocenni UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Progettare nel deserto di pietra: Visitors Centre a Wadi Mousa Le ricerche archeologiche, lo studio e il rilievo delle testimonianze architettoniche, le prime ipotesi di restauro, hanno consentito di predisporre un progetto, che si colloca a conclusione, ma in stretta connessione con le ricerche finora svolte, si sviluppa su due piani: uno, di carattere territoriale, riguarda il recupero e la valorizzazione degli antichi percorsi interni al sistema fortificato petrense, e, in particolare, al castello di Wu’ayra che, di quel sistema, costituiva la principale roccaforte; l’altro, di carattere architettonico, concerne la realizzazione di un Visitors Centre. Il primo piano, come accennato, mira a rivitalizzare gli antichi percorsi, rendendo i castelli della valle più agevolmente accessibili (al-Habis, Jabal Atuff, Jabal al Kubtha), collegandoli fra loro e, risalendo i canaloni rocciosi naturali, con il soprastante castello di Wu’ayra, per il quale sono stati individuati tre percorsi interni con relativi punti di sosta e osservazione. Al riguardo, il progetto si è sviluppato sia a livello di fattibilità, con l’individuazione degli itinerari, da percorrere in parte a cavallo, in parte a piedi, sia a livello di progettazione di strutture leggere, per consentire la percorrenza e il superamento di terreni disagevoli o delle aree archeologiche, senza interferire con esse. A tal fine si è provveduto a ideare una passerella metallica a moduli componibili con appoggi a terra telescopici registrabili, in grado di consentire l’adattamento ai notevoli dislivelli presenti nel percorso. Al secondo piano, relativo alla realizzazione del Visitors Centre, sono affidati compiti specifici non solo per quanto riguarda l’accoglienza e il ristoro dei visitatori impegnati negli itinerari a diversa scala (il castello di Wu’ayra, il sistema fortificato di Petra, l’antica via dei Re), ma anche la creazione di uno spazio museale fornito di supporti didattici, sia documentari che informatici (reti internet e intranet per l’uso di palmari), utili alla comprensione della storia e delle testimonianze archeologiche e ar-

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chitettoniche dell’area. Il progetto del Visitors Centre ha avuto come principali parametri l’ubicazione tenuto conto della viabilità e il vicino castello di Wu’ayra, la forma esteriore in rapporto con le singolari valenze ambientali e architettoniche del sito, le esigenze di carattere distributivo, funzionale e impiantistico in funzione della realtà locale. Realizzato in parte scavando un anfiteatro roccioso naturale sito fra il castello e la strada, il nuovo edificio, sfruttando l’inclinazione del terreno, non supererà la quota di quest’ultima e rimarrà quasi invisibile dal castello. Esso si comporrà sostanzialmente di due fulcri, posti a diversi livelli: una “piazza”, accessibile dalla via e destinata a un piccolo mercato etnico e una “corte” interna, dove sono ubicati servizi igienici, bar, ristorante, shops, biglietteria, e, infine, di un piano intermedio, ove si trovano il museo, l’auditorium, con annesse salette multimediali, gli uffici. All’interno, la struttura offre ampi spazi fra loro collegati e permeabili, grazie alla presenza di strutture portanti puntiformi (pilastri a forma di albero) e alla luce diffusa e filtrata, così da offrire al visitatore la percezione immediata delle sue svariate funzioni. All’esterno il disegno elementare, una sorta di parallelepipedo regolare, pressoché privo di aperture laterali e rivestito con ricorsi di pietra locale, svela la sua immediata identità e il suo ruolo, senza cedere a imitazioni, analogie o interferenze con il contesto, anche grazie alla sua ubicazione. Solo sul prospetto ovest, verso la valle di Petra, l’architettura è caratterizzata da una grande griglia modulare costituita da lamine metalliche componibili, disposte a formare un disegno geometrico a maglia larga, di gusto orientaleggiante, con funzioni di frangisole. La grande terrazza sommitale consente, infine, la vista panoramica dei luoghi e dell’antistante castello crociato di Wu’ayra.

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1 Planimetria del castello di Wu’ayra con individuazione dei percorsi di accesso e di servizio al Visitor Centre 2-3 Prospetto e sezioni del Visitor Centre 4 I resti del castello di Wu’ayra inseriti nel paesaggio 5 Piazzale antistante il castello di Wu’ayra


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Giacomo Pirazzoli UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Paesaggio, Archeologia, Progetto contemporaneo Il lavoro che qui presentiamo è stato sviluppato nell’ambito del programma CNR-Agenzia 2000 Identità mediterranea: unità e fratture fra antico e moderno con il titolo: Il caso dell’insediamento agricolo romano dell’Acquarella in lucchesia: museificazione o integrazione nel territorio? La ricerca muove da una occasione reale, neanche troppo rara in Italia, il rinvenimento di resti archeologici – parte di una fattoria romana – emersi a seguito di un intervento di edificazione privata, la classica casetta di lottizzazione. La particolarità del lavoro – che ha incontrato la disponibilità del Comune di Camaiore e della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana – è forse nell’aver assunto in estrema ipotesi come dati progettuali sia i resti archeologici che i resti – di nessun pregio – dell’edificio che era in corso di realizzazione. Una situazione di paradossale compresenza è quella che viene esplorata con gli strumenti del progetto contemporaneo, cercando di individuarne e forzarne i limiti ed i contorni; così la pubblicazione che ne abbiamo cavato – una sorta di album, più che un libro – porta l’altisonante titolo “Paesaggio, archeologia, progetto contemporaneo”, con un più calibrato sottotitolo, specificato all’interno: “Un sistema museale attorno al sito dell’Acquarella”. Tutto il lavoro è costruito come un percorso, in omaggio a quella idea di sistema che ormai da un decennio stiamo praticando in diverse occasioni professionali, di ricerca e didattiche. Dal mare, attraverso i canali, ripercorrendo la vicenda storica della regimazione delle acque e della bonifica, una vera e propria narrazione del paesaggio è quella che cerchiamo di mettere in opera risalendo verso monte: con un sistema di traguardi ottici e capisaldi che rimandano ai luoghi notevoli del territorio, induttivamente proposti e pensati quasi come opere d’arte mutuati dalla lingua e dal percorso di alcuni importanti artisti contemporanei, viene ri-co-

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struita una trama possibile. Un’idea di presente continuo soprintende in qualche modo a questo ragionamento Con questa premessa, i manufatti dell’Acquarella – sia quello archeologico che quello attuale – non vengono dunque più letti come punti isolati da musealizzare separatamente e indipendentemente dal contesto, quanto piuttosto come occasioni per la valorizzazione nell’ambito di un più vasto e complesso itinerario. In questa logica il frammento di manufatto contemporaneo incompiuto “evidentemente brutto”, viene conservato e trasformato fino a diventare uno strumento per l’osservazione dello scavo archeologico “evidentemente bello”. Quei quattro lacerti di muro di calcestruzzo, fatti senza cura né misura, divengono quasi un object trouvèe, ricompresi all’interno del sistema a scala territoriale, accettati quale testimonianza di un presente un po’ così. Non per mancato esercizio di scelta o per indifferente conservazione: non tutto deve essere conservato, è chiaro; tuttavia, per converso, nemmeno tutto deve essere demolito. Piuttosto, molte cose possono essere trasformate con gli strumenti del progetto: così quel che resta di una casa improbabile diviene parte di un percorso; e non esiste più in quanto frammento in sé, ma entra a far parte di un ordine diverso, e diverso, altro, diviene il suo significato rispetto alle presenze archeologiche. Chiaramente il lavoro, pur intendendo offrire una visione operativa, non ha carattere di progetto esecutivo – anzi rinuncia in modo programmatico alla definizione costruttiva dei singoli elementi, preferendo, come nello specifico delle coperture per lo scavo, riferirsi ad un caso di musealizzazione di un sito pseudo-archeologico affrontato e realizzato al Forte di Pozzacchio, in Trentino, dove il percorso di avvicinamento al manufatto è stato rafforzato da alcuni interventi di messa in evidenza di rovine pertinenti.

L’intera ricerca è stata in effetti interpretata anche quale occasione per rimettere in gioco, spesso utilizzandoli come indicazioni e riferimenti, progetti e realizzazioni della comunità scientifica che comprende, oltre l’Autore, Paolo Zermani, Maria Grazia Eccheli, Fabrizio Rossi Prodi, Francesco Collotti e Fabio Capanni, impegnati da oltre un decennio ormai in alcune riflessioni operative attorno a termini quali identità, carattere, migrazione e contaminazione, memoria, adeguatezza etc.

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1 Progetto di sistemazione dei ruderi alla fattoria romana dell’Acquarella, Camaiore (LU) 2 Canalizzazioni di bonifica nella zona di Camaiore (foto Andrea Volpe) 3 Francesco Collotti, Giacomo Pirazzoli, Valentina Fantin, Messa in evidenza delle rovine della Fortezza k.u.k. di Pozzacchio, Trentino 1998-2001 Tutte le immagine sono tratte da: Giacomo Pirazzoli, Paesaggio, archeologia, progetto contemporaneo, a cura di Lisa Ariani e Caterina Bini, Edizioni All’Insegna del Giglio, Firenze 2003


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1 Veduta aerea del Monastero di S. Teodosio nel deserto di Giuda

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forum

UNESCO

La sede del forum UNESCO dell’Università degli Studi di Firenze Presso la sede di S. Verdiana, piazza Ghiberti 27, 50121, FIRENZE Da alcuni anni il Dipartimento di Progettazione dell’Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, unitamente ad altri dipartimenti della stessa università, sta occupandosi dei temi legati al recupero ed alla valorizzazione dei beni culturali ed in particolare dei beni architettonici e dei siti di interesse archeologico Il rilievo dell’architettura e dell’ambiente urbano, oltre che del territorio in senso lato, si propongono come formidabili strumenti di indagine per la conoscenza, la registrazione, la lettura e la discretizzazione di tutto un universo di dati e segni prodotti dalla storia e dalla cultura in una determinata area geografica. Operazioni di rilevazione attenta costituiscono altresì la base conoscitiva fondamentale per l’esercizio di attività critiche ed interpretative legate alla formazione ed allo sviluppo di un determinato sito, insediamento, città o territorio, oltre che per la previsione dei necessari interventi di conservazione, restauro e volorizzazione del sito steso. Le esperienze condotte, in ambito scientifico, hanno consentito la messa a punto di metodologie operative per indagini finalizzate alla corretta comprensione delle architetture, dei complessi di interesse storico ed archeologico, degli ambienti urbani, del territorio e dei contesti storici, culturali ed ambientali rilevati, fornendo strumenti essenziali per la lettura critica e la valutazione attenta degli interventi di conservazione e restauro. La Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze aderisce al programma dell’UNESCO che la vede da oggi sede del Forum. Il Forum UNESCO è un progetto di salvaguardia e tutela del Patrimonio Mondiale individuato dagli elenchi UNESCO. Il programma prevede nelle oltre cento attività, la conoscenza del patrimonio locale e promuove studi, approfondimenti metodologici ed interventi per la sua preservazione attuando un catalogo specifico dei beni in salvaguardia. Con la collaborazione delle sedi universitarie di tutto il mondo il Forum UNESCO si prefigge l’obbiettivo di sensibilizzare gli studenti alla conservazione del Patrimonio Culturale dell’Umanità. Tramite Workshop universitari, meeting tematici come già è stato fatto in questi ultimi quattro anni, si vogliono affrontare le tematiche per sviluppare le professionalità adatte al recupero ed alla salvaguardia dell’eredità storico artistica dei diversi paesi del mondo.

Il Forum UNESCO, vuole connettere due grandi realtà della cultura come il Patrimonio e le Università del mondo, tramite una rete interfacciata in un network specifico, dove si possano scambiare informazioni, cercare e trovare risorse competenti, promuovere ed agevolare la diffusione delle ricerche in un ambito di cooperazione internazionale che ha per oggetto solo ed esclusivamente la salvaguardia della cultura. Il futuro sono i giovani, e questi, condotti dai propri professori, avranno la responsabilità sempre più grave di sostenere l’eredità del passato con la sensibilità, l’attenzione ed il rispetto che oggi abbiamo il dovere di insegnargli. Scopo della sede è la promozione delle attività didattiche istituzionali della Facoltà di Architettura e dell’intera Università di Firenze, e lo sviluppo di corsi, stages formativi, workshop specifici, attività di ricerca, manifestazioni espositive e pubblicazioni scientifiche legate ai temi della conoscenza, della conservazione e della valorizzazione del patrimonio culturale. Siti archeologici come Petra, oggetto degli studi presentati in questo volume, fanno parte degli specifici interessi della nuova sede fiorentina del Forum, oltre ai temi specifici della documentazione e della conservazione dei centri storici e dei monumenti tutelati dall’UNESCO. Riferimenti http://www.forumunesco.upv.es

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE - DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE DELL’ARCHITETTURA

Direttore - Marco Bini - Sezione Architettura e Città - Gian Carlo Leoncilli Massi, Loris Macci, Piero Paoli, Ulisse Tramonti, Alberto Baratelli, Antonella Cortesi, Andrea Del Bono, Paolo Galli, Bruno Gemignani, Marco Jodice, Maria Gabriella Pinagli, Mario Preti, Antonio Capestro, Enzo Crestini, Renzo Marzocchi, Enrico Novelli, Valeria Orgera, Andrea Ricci - Sezione Architettura e Contesto - Adolfo Natalini, Giancarlo Cataldi, Pierfilippo Checchi, Stefano Chieffi, Benedetto Di Cristina, Gian Luigi Maffei, Guido Spezza, Virginia Stefanelli, Paolo Vaccaro, Fabrizio Arrigoni, Carlo Canepari, Gianni Cavallina, Piero Degl’Innocenti, Grazia Gobbi Sica, Carlo Mocenni, Paolo Puccetti - Sezione Architettura e Disegno Maria Teresa Bartoli, Marco Bini, Roberto Corazzi, Emma Mandelli, Stefano Bertocci, Marco Cardini, Marco Jaff, Barbara Aterini, Alessandro Bellini, Gilberto Campani, Giovanni Pratesi, Enrico Puliti, Paola Puma, Marcello Scalzo, Marco Vannucchi - Sezione Architettura e Innovazione Roberto Berardi, Alberto Breschi, Antonio D’Auria, Giulio Mezzetti, Marino Moretti, Mauro Mugnai, Laura Andreini, Lorenzino Cremonini, Flaviano Maria Lorusso, Vittorio Pannocchia, Marco Tamino - Sezione I luoghi dell’Architettura - Maria Grazia Eccheli, Fabrizio Rossi Prodi, Paolo Zermani, Fabio Capanni, Francesco Collotti, Giacomo Pirazzoli, Elisabetta Agostini - Laboratorio di rilievo - Mauro Giannini - Laboratorio fotografico Edmondo Lisi - Centro di editoria - Massimo Battista - Centro di documentazione - Laura Maria Velatta - Centro web - Roberto Corona Assistente Tecnico - Franco Bovo - Segretario Amministrativo - Manola Lucchesi - Amministrazione contabile - Carletta Scano, Debora Cambi - Segreteria - Gioi Gonnella - Segreteria studenti - Grazia Poli




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