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ISSN 1826-0772
v San Donato in Poggio - Pontorme Rilievi
Periodico semestrale Anno XIV suppl. n.1 Euro 3 Spedizione in abbonamento postale 70% Firenze
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firenze architettura
eventi 2010
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San Donato in Poggio e Pontorme - Rilievi
architettura firenze
in copertina: San Donato in Poggio, via del Giglio Pontorme, via di Pontorme
Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto Comune di Tavarnelle Val di Pesa
San Donato in Poggio e Pontorme - Rilievi
Patrocini:
Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto
Comune di Tavarnelle val di Pesa
A cura di: Coordinamento e allestimento: Collaborazione:
Marco Jaff Michela Bigagli - Lorenzo Matteoli Costanza Barbadori - Cristian Maroli - Diletta Gabrielli Donata Mingoni - Federica Costanzo - Federica Paoloni Carlotta Barabesi
Periodico semestrale* del Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto viale Gramsci, 42 Firenze tel. 055/2055367 fax. 055/2055399 Anno XIV suppl. n. 1 - 2010 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997 ISSN 1826-0772 ISSN 2035-4444 on line Direttore - Maria Grazia Eccheli Direttore responsabile - Ulisse Tramonti Comitato scientifico - Maria Teresa Bartoli, Giancarlo Cataldi, Loris Macci, Adolfo Natalini, Ulisse Tramonti, Paolo Zermani Capo redattore - Fabrizio Rossi Prodi Redazione - Fabrizio Arrigoni, Valerio Barberis, Fabio Capanni, Francesco Collotti, Fabio Fabbrizzi, Francesca Mugnai, Alessandro Merlo, Andrea Volpe, Claudio Zanirato Info-grafica e Dtp - Massimo Battista Segretaria di redazione e amministrazione - Grazia Poli e-mail: firenzearchitettura@arch-dsp.unifi.it ProprietĂ UniversitĂ degli Studi di Firenze Progetto Grafico e Realizzazione - Massimo Battista - Centro di Editoria del Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto Fotolito Saffe, Calenzano (FI) Finito di stampare ottobre 2010 *consultabile su Internet http://www.progarch.unifi.it/CMpro-v-p-34.html
architettura firenze
Dal rilievo alla conoscenza Studi sul patrimonio edilizio nei centri storici di San Donato in Poggio e Pontorme Marco Jaff San Donato in Poggio Tavole
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San Donato in Poggio Lorenzo Matteoli - Pietro Bucciarelli
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Pontorme Michela Bigagli - Carla Santoni
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contributi
Rilievo come progetto Ulisse Tramonti
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presentazione
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San Donato in Poggio, via del Giglio
Rilievo come progetto Ulisse Tramonti
Spesso consideriamo monumento solo ciò che appartiene all’eccezionalità, ovvero ciò che possiede grande valore artistico e storico, dimentichi in realtà di come monumento possa essere di fatto tutto ciò che veicola memoria. Monére, ricordare in latino, riporta invece ad una radice di consequenzialità, che nella fattispecie dell’architettura, lega presente e passato in un divenire che è sostanza di ogni processo di progetto. Quindi il monumento non è la monade solitaria di un’espressione passata, ma al contrario, tutto ciò che riesce a trasportare l’idea della continuità, tutto ciò che rende vivo il passato e tutto ciò che rende legittimo il presente. Il nostro Paese è vivo di situazioni decretabili come monumenti. Oltre le chiese, i musei, i palazzi, universalmente riconosciuti come tali, anche la città tutta può essere monumento, cioè occasione di rammemorazione nell’accelerazione senza categorie alla quale è soggetta la nostra odierna condizione. Quindi non solo le città note, e non solo brani di esse particolarmente significativi, ma anche un esteso patrimonio di esempi minori disseminati su tutto il territorio nazionale, sono monumento, e come tale vanno considerati. Il nostro compito di architetti in questa visione delle cose, non solo è preservare il passato, ma anche innescare le scintille di questa continuità, attraverso un percorso di contemporanea interpretazione. Un percorso che guarda al presente e al futuro senza dimenticare il passato, in concomitanza con un’attiva interazione nella complessità di questi due termini, istituendone una fattiva dialettica. I rilievi presentati da Marco Jaff e dai suoi collaboratori, sono quindi funzionali ad una riflessione che contiene al proprio interno questa visione del monumento; i centri storici minori analizzati, di San Donato in Poggio e di Pontorme sono in definitiva delle preesistenze ambientali degne di essere tramandate non solo per la loro memoria ma anche per la loro carica di progettualità. Essi possono essere considerati come paradigmi di una serie di modalità che la città ha smarrito per sempre, come cioè bacini di riferimento per una idea contemporanea sul valore dello spazio urbano. Anche se minori, questi centri mostrano nelle loro misure e nelle loro pro-
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porzioni, la rappresentazione di una unitarietà che nel tempo l’architettura ha smarrito. I rapporti tra edifici, il connettivo urbano, i luoghi collettivi, gli ambiti della scena urbana, testimoniano la natura di una città che non nasce per parti, ma al contrario sulla leva della consuetudine di un carattere comune. Un carattere che il progetto contemporaneo potrebbe senza difficoltà interpretare: stiamo assistendo per esempio in Toscana ad un falsato senso del passato, travasato in edifici che non hanno nulla dei principi ai quali si ispirano. Di essi conservano solo una tipicità che pare essere oramai l’unica categoria alla quale riferirsi. Quindi il valore di una operazione come quella presentata in queste pagine, può essere allora quello, oltre della testimonianza, anche quello della possibilità, ovvero disvelare nei più reconditi meccanismi, l’identità di un luogo. Una identità che non è solamente aura, suggestione o letteratura, ma viva configurazione di una forma. A ben vedere, dalle rappresentazioni di queste architetture trapela non solo la loro immanenza fisica, presa come dato indiscutibile, certo ed innegabile, a cui spesso si attribuisce il solo valore, ma si evince anche uno spunto diverso, ovvero quello di riuscire a vedere oltre la sostanza delle cose. Vedere cioè, il valore semplice ma raro che sono capaci di veicolare. Un valore che insieme alla memoria potremmo chiamare di futuro. Quindi i nostri centri minori, così preziosamente descritti in questa ricerca, possono divenire il vero controcanto figurativo nella costruzione di una odierna immagine di città. Una città che ovviamente non rinuncia ad essere frutto del presente, ma che si basa sui consolidati principi del passato. Un passato non da mummificare, ma da rendere vivo e disponibile, quale serbatoio di principi formali da interpretare, necessari per poi declinare nel tempo l’idea del monumento. La disciplinarietà scientifica necessaria per condurre con accuratezza una qualunque opera di rilievo d’architettura, non sopisce la dimensione propositiva che un rilievo può avere, ricordandoci che rilevare, anche se le moderne tecniche in fondo ne hanno stemperato un po’ la natura, è mettere nella descrizione della forma, un germe di progetto.
Pontorme, piazza San Michele
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San Donato in Poggio, via del Giglio - via dei Baluardi
Dal rilievo alla conoscenza Studi sul patrimonio edilizio nei centri storici di San Donato in Poggio e Pontorme Marco Jaff
La storia recente delle due piccole città murate di San Donato in Poggio e di Pontorme può essere presa ad esempio dell’evoluzione di tanta parte del patrimonio edilizio storico minore della Toscana e non solo di essa. Un tempo, peraltro non molto lontano, erano proprio le mura della città, anche di quelle più piccole, soprattutto di quelle più piccole, che segnavano con chiarezza il confine tra il “rurale” e l’“urbano”. Due universi separati e complementari che, insieme ad altri pochi segni naturali, come le coste del mare, le rive delle acque dolci, il limite delle nevi perenni e delle foreste, componevano l’intero paesaggio: uno scenario appena inciso da un reticolo di strade, via via più fitto e leggero, che collegava le città, i paesi e le varie attività agricole. Così per secoli. Poi, improvvisamente (in queste zone verso la fine dell’Ottocento), un crescente rimescolamento di carte: in alcune zone, soprattutto di pianura, cominciarono a svilupparsi le industrie, attirando una concentrazione di popolazione e risorse economiche, in altre, soprattutto di collina, iniziò un progressivo impoverimento. Sino a che, intorno agli anni cinquanta del Novecento, le terre del Chianti subirono un vero e proprio spopolamento, mentre nella piana dell’Arno assistemmo alla nascita di una nuova, diffusa, compagine urbana, in ampliamento e a saldatura di quelle esistenti. Altrettanto bruscamente, poco prima della fine del secolo appena trascorso, questi sommovimenti persero la loro virulenza e si acquietarono. E, paradossalmente, tanto più erano stati consistenti gli abbandoni da un lato e le nuove urbanizzazioni dall’altro, quanto più le piccole città murate, pur avendo perduto il ruolo originario, conservarono la loro forma fisica pressoché integra. Un fenomeno che avvenne in maniera maggiore, ovviamente, nel caso dello spopolamento: tanto è vero che gli edifici di San Donato, ad esempio, sono rimasti praticamente intatti; ma che si verificò in
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modo significativo anche nel caso in cui queste città si siano trovate al centro di nuove conurbazioni: a Pontorme, infatti, non si fa troppa fatica a riconoscere ancora oggi la trama delle strade disegnata, alla metà del Cinquecento, nelle carte dei Capitani di Parte. Siamo quindi arrivati, con una sintesi davvero estrema, ai giorni nostri: un periodo in cui l’attenzione alle valenze storiche degli insediamenti è decisamente aumentata, le conoscenze si sono approfondite e la strumentazione di tutela si è fatta puntuale. Ma, crisi economica a parte che presumiamo transitoria, il nostro è anche un periodo in cui si sono diffusi nuovi intenti e aspettative di trasformazione, forse ancora più pericolosi di quelli passati, perché, se mi si passa la metafora, invece di mutare il corpo degli edifici, abbastanza protetto dalle norme dei piani urbanistici, tendono a corromperne l’anima: ovvero a snaturare completamente la funzione per la quale quegli edifici erano stati concepiti, e a stravolgere il contesto che li ha visti immutati per secoli. E qui si apre un tema assai delicato: l’architettura, si sa, è un’arte fungibile. Diversamente dalla pittura o dalla poesia, l’architettura la usiamo. L’architettura vive, ha senso solo perché la usiamo. Ma gli usi mutano nel tempo. Se poi consideriamo che le città vivono più a lungo degli edifici, gli edifici vivono più a lungo degli uomini che li usano e gli usi degli uomini cambiano durante la loro vita, ne deriva che gli edifici e quindi le città cambiano continuamente: anche se per assurdo, materialmente, potessero rimanere sempre uguali a se stesse, per il semplice fatto che gli uomini non possono fare a meno di servirsene in modo continuamente diverso, le città, nel tempo, acquistano comunque nuovi significati, comunque vengono vissute in nuove forme. Ed allora, se questa mutazione è inevitabile, qual’è il problema? Il problema consiste nel fatto che non tutte le trasformazioni d’uso sono compatibili con la tutela e la conservazione dei beni che riteniamo indispensabili per poter tramandare ai nostri successori quello
San Donato in Poggio, via del Giglio
che abbiamo ricevuto in eredità dal passato e che, in fin dei conti, dovremo lasciare a testimonianza di una parte importante di ciò che anche noi stessi siamo stati. E poi c’è un’altra questione che in questo caso è decisiva: i mutamenti di destinazione d’uso hanno impatti completamente diversi se avvengono nella città antica o se avvengono nella città contemporanea, se avvengono in piccoli contesti o all’interno di una megalopoli. Le parti antiche delle città, infatti, e soprattutto dei centri minori, hanno conformazioni e tessuti assai più delicati e del tutto diversi dalle parti moderne. E si basano su statuti quasi antitetici: la città antica è densa, polifunzionale, fortemente stratificata, estremamente mutevole e caratterizzata; la città contemporanea è dilatata, mono funzionale, costruita per zone omogenee, monotona. Per cui un cambiamento che può essere assorbito con facilità nelle maglie larghe della città moderna può avere effetti devastanti in un tessuto antico, soprattutto se di piccole dimensioni. Ma gli operatori privati raramente riescono a distinguere tra questi due casi e utilizzano gli immobili e i manufatti secondo le richieste del mercato e le necessità immediate, sovrapponendo le funzioni più richieste in un dato momento a tutti i beni a disposizione, siano essi nel centro antico o in periferia o, più precisamente, senza porsi alcun problema di congruenza storico-tipologica tra funzione e forma. Gli operatori pubblici, dal canto loro, raramente riescono ad arginare le tendenze naturali di un mercato che, come sappiamo, puntando alla massima utilizzazione dei beni immobili, pone in secondo piano i temi della conservazione e della tutela. Per cui nei centri storici, soprattutto in quelli delle città grandi dove le tensioni sono elevate e quindi è più facile registrare le contraddizioni tra forma e funzione, troviamo piazze ridotte a parcheggi, strade residenziali trasformate in vie di scorrimento veloce, monumenti utilizzati come spartitraffico, selciati di strade pedonali coperti di ban-
chetti di cartone carichi di merci contraffatte, spazi civici invasi da sciami di agnostici pellegrini che intralciano il normale svolgimento della quotidiana vita civile. E lo stesso accade per gli edifici: palazzi nobiliari suddivisi in mini appartamenti o trasformati in alberghi impropri, fondi di botteghe adattati a residenze per studenti, cantine affittate come alloggi per extracomunitari, antiche botteghe e artigiani cacciati dalle griffe internazionali, cambiavalute e venditori di pizza al taglio ovunque, ed interi quartieri lasciati al turismo di bassa qualificazione, nocivo per tutti compresi i turisti stessi, e che giova solo ai pochissimi operatori di questo settore ed agli altrettanto pochi importatori e venditori di mercanzie folcloristiche prodotte altrove. Ed anche nelle piccole città, anche se di regola con minore virulenza, questa mutazione è in atto: limitata, però, alle ristrutturazioni a fini abitativi anche non permanenti o più di rado a fini terziari, ma limitatamente ai piani terreni. Insomma, nei centri antichi delle città, grandi o piccole che siano, si sta da tempo manifestando una tendenza patologica alla mutazione genetica dello spazio, degli edifici e dei manufatti. Un fenomeno che a mio giudizio, deriva principalmente da due fattori: il primo e di gran lunga il più importante, come ho accennato, è conseguente alle mutevoli esigenze di una dinamica economia che potremmo definire “a breve termine”, il secondo consiste nella non sufficiente efficacia delle norme di tutela che, almeno in Toscana, esistono e sono operanti. Riguardo al primo aspetto, più che approntare i Piani delle funzioni, spesso pura teoria priva di reale valore, solo la messa in atto di azioni politiche concrete che privilegino la valorizzazione del patrimonio storico e la promozione delle attività residenziali e produttive, soprattutto di quelle ad alto contenuto culturale, e la contemporanea disincentivazione delle attività meramente parassitarie e del turismo non qualificato, potrà invertire la tendenza in atto. Politiche da unire
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Pontorme, via di Pontorme
costantemente agli interventi puntuali, esemplari: tanto per intendersi con degli esempi vicini, come quelli realizzati a Firenze con la riconversione delle Murate o del Conventino. O, guardando ai casi oggi in esame, come il restauro a Pontorme della casa natale del Pontormo, o il restauro del Palazzo Malaspina a San Donato, i cui lavori sono da poco iniziati. A volte, anche interventi di non eccezionale qualità esecutiva come quelli, per tornare di nuovo a Firenze, operati a Santa Teresa o a Santa Verdiana, che erano ex conventi trasformati da carceri a sedi universitarie, producono effetti virtuosi su tutto l’intorno, proprio in virtù dell’appropriatezza del cambio di destinazione. Casi che dimostrano quanto sia importante per la città non solo la tutela degli aspetti estetico formali, ma anche e soprattutto quanto sia fondamentale la compatibilità delle funzioni che vi si promuovono. Ed oggi, da questo punto di vista, tutto è più facile: l’era telematica ha reso l’intero territorio equipotenziale. In pratica, nella maggior parte dei casi, ovunque si può lavorare e risiedere purché efficacemente collegati alla “rete”: dai piccoli nuclei alle case isolate, dai grandi centri alle campagne. Quindi perché non anche nei centri di San Donato e di Pontorme? Ma su questo argomento specifico saranno più puntuali gli altri interventi che seguiranno. La scarsa efficacia delle norme di tutela, invece, a mio avviso, deriva dalla resistenza che la generalità dei cittadini oppone all’osservanza non solo della lettera della normativa, ma anche della sua ratio. E questo non solo per lo scarso senso civico e di legalità che affligge il nostro paese (non bisogna dimenticare che la nostra è la patria dei condoni continui), ma soprattutto per la comprensibile ricerca dell’utile immediato da parte degli operatori, unita alla insufficiente consapevolezza che gli interventi impropri sul patrimonio edilizio portano, nel lungo periodo, alla diminuzione del valore dei beni utilizzati, sino a svilirli del tutto.
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In altre parole, quando i centri antichi delle città saranno divenuti totalmente invivibili e trasformati in mera merce per il turismo non qualificato, quella che era la punta massima della ricchezza immobiliare delle città, vedrà decurtato drasticamente il proprio valore: la responsabilità di questa perdita di ricchezza ricadrà su tutti coloro che avranno contribuito a degradarli. Conseguentemente, forse, più che insistere solo sui motivi culturali delle cautele da osservare nelle trasformazioni d’uso degli immobili conviene porne in evidenza gli aspetti economici di lungo periodo, tentando così anche per questa via di mantenere intatto il patrimonio storico. Le norme di tutela, quindi, devono essere condivise tra tutti i cittadini: esattamente come avviene per il codice della strada: si deve diffondere la consapevolezza che le norme non valgono solo per gli altri, ma che è un proprio interesse rispettarle in prima persona. Quest’ultimo ragionamento ci porta al cuore della giornata di studio di oggi ed alle ragioni della mostra che abbiamo allestito: È mia convinzione, infatti, che sia solo la conoscenza del complesso dei valori delle nostre città che porta alla consapevolezza della necessità della loro tutela. E in architettura “conoscere” significa sostanzialmente rilevare. È proprio attraverso gli elaborati di rilievo che si indagano le ragioni della forma dei vari corpi di fabbrica, che si comprende il perché gli edifici siano costruiti in un dato modo; ed è con il rilievo che si scopre quale origine e quale evoluzione abbiano avuto, ma soprattutto quale ulteriore destino sia compatibile con la tutela dei valori che essi rappresentano. Rilevare, dunque, è un’operazione complessa, lunga, articolata e multidisciplinare. In queste sale mostriamo un esempio di questo faticoso lavoro, esponendo una piccola parte degli elaborati grafici che sono stati redatti per lo studio di Pontorme e di San Donato, da alcuni dei miei studenti del Corso triennale della Facoltà di Architettura di Firenze.
Pontorme, via di Pontorme
Ne mostriamo, forse, l’aspetto più immediato e comprensibile: piante, prospetti e sezioni di parti significative di queste città, riprodotte in una scala di grande dettaglio. Si legge così in modo evidente la tipologia degli edifici, la loro legge di aggregazione e di fusione, la qualità degli spazi che generano. Non mi voglio dilungare sulla loro descrizione: i disegni debbono avere la forza e la capacità di parlare da soli, senza troppi commenti. E poi, altre sono le sedi per le analisi filologiche, non questa. Vorrei, però, proporre un’unica conclusiva riflessione di carattere tecnico, che può aiutare la comprensione di quegli elaborati. Anche nel nostro lavoro, l’informatica ha prodotto una rivoluzione epocale: un’attività antica come la rilevazione, che affonda le sue radici all’inizio del Rinascimento e che si è tramandata praticamente identica dalla fine del settecento sino a pochi anni fa, è stata profondamente modificata sia nella parte del prelievo delle misure, che oggi fanno largo uso delle tecniche fotogrammetriche, di fotoraddrizzamento e di laser scanner, sia nella sua parte di restituzione grafica, oggi ormai completamente informatizzata. Con molte conseguenze pratiche: spariti i disegni a lapis, l’inchiostro di china, la carta lucida, le eliocopie, i tecnigrafi, ma soprattutto sparito il disegno originale, o meglio l’originale del disegno. Da qui in avanti dovremo fare a meno di acquerelli come quelli, stupendi, del Violet Le Duc de “Le voyage d’Italie”, o alla maniera degli altri Maestri del Prix de Rome, o dei disegni a pastello come li faceva Carlo Scarpa o degli inchiostri sul tipo di quelli di Leonardo Savioli o di Giovanni Michelucci. Oggi l’originale di un disegno d’architettura, come lo si intendeva un tempo, sta nascosto dentro ad un file di un computer e si materializza ad ogni copia che esce dal plotter: un po’ come succede per la fotografia o per il cinema, ma se ci pensiamo bene anche come accade in letteratura, dove il manoscritto originale ha una qualche
importanza filologica, ma la sua mancanza nulla toglie ai valori estetici dell’opera. Il disegno d’architettura, quindi, va sempre più assomigliando alla musica, dove ogni esecuzione di uno spartito è tutte le volte un nuovo originale. In questo senso anche i disegni esposti non possono essere considerati delle mere riproduzioni, ma vanno letti come delle interpretazioni originali dei valori formali delle architetture dei borghi di San Donato e di Pontorme, un atto d’amore nei loro confronti, un contributo alla loro conoscenza.
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San Donato in Poggio Tavarnelle
Istituto Geografico Militare
Carta Capitani di Parte Guelfa XVI Sec.
Fotopiano
Cartografia catastale
Studenti Morena Corrado, Silvia D’Ardes, Federica Puricella, Sara Santi, Vasiliki Sakki, Margherita Mangani, Gioia Mencarelli, Simone Azara, Marco Becucci, Stefano Galgani, Simone Giani, Luca Morandi, Benedetta Malavolti, Paolo Montafalchi, Laura Bacchi, Maurizio Sommarchi, Antonella Toti, Silvia FrenguellottiÏ, Diletta Gabrielli, Beatrice Agostini, Michele Argiolas, Ottavio Serreri, Elisabetta Cresci, Annamaria Alessandro, Cristina Caterino, Helena Krahner, Milica Maras, Roberto Taddei, Leonardo Settesoldi, Matteo Agresti, Federico Gianni Walter, Salemme Maggie Ciantra, Francesca Coli, Elena della Porta, Francesco Donati, Paolo Migliori
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San Donato in Poggio, via del Giglio, Prospetto Nord
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San Donato in Poggio, via dei Baluardi, Prospetto Sud-Ovest
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San Donato in Poggio, via dei Baluardi, Prospetto Nord-Est
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San Donato in Poggio, via del Giglio, Prospetto Sud
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Pontorme Empoli
Catasto Leopoldino
Cartografia catastale
Fotopiano
Carta Tecnica Regionale
Studenti Marco Annunziata, Matteo Arcangeli, Martina Baldelli, Matteo Battistini, Paola Anna Bellocco, Silvia Benifei, Bruno Mariateresa, Nicola Cantini, Katia Carlucci, Daniele Coppini, Giada De Cicco, Elena Del Fante, Luca Erbaggio, Annalisa Faggiani, Daniela Farfallini, Samantha Gallinaro, Stefania Gori, Luisa Guarguagli, Maria Caterina, Gulli Romina Innella, Masa Kulenovi, Christian La Grecia, Valentina Lari, Matteo Lazzeri, Diana Lombardi, Cristiano Lunari, Giulia Macchia, Cristian Maroli, Matteo Mazzotti, Alessandra Morelli, C. Nannucci, Francesca Paganelli, Carlo Pagliai, Sereni Pamela, Francesca Panighini, Matteo Papi, Sara Pistoia, Debora Pomo, Lorenzo Ruggieri, Massimo Santi, Lorenzo Sensini, Domenico Succurro, Misako Tsujji, Gabriele Turchi, Elena Valenti, Michela Vinaldi, Giancarlo Zampirollo, Laura Zanieri
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Pontorme, piazza San Michele, Prospetto Est
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Pontorme, via di Pontorme, Prospetto Sud
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Pontorme, via di Pontorme, Prospetto Nord
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San Donato in Poggio
San Donato in Poggio, Palazzo Malaspina
Lorenzo Matteoli - Pietro Bucciarelli*
San Donato in Poggio ha probabilmente origine da un semplice villaggio posto in località “Pocie” sulla antica via di comunicazione tra Firenze e Siena. Al 989 è documentata l’istituzione della Pieve di San Donato che dovette influire molto sulla crescita del preesistente abitato, infatti nel 1033 si accenna già all’esistenza di un insediamento castrense: il trovarsi su una strada che sino al Duecento inoltrato costituì la principale arteria lungo la quale si incanalava il traffico che da Firenze si dirigeva verso Siena fu alla base delle sue fortune. Nel 1266 viene ricordato come sede di “Vicaria” o “Vicariato” e in seguito, quando nei primi anni del Trecento nasceranno le “Leghe”, verrà istituita la “Lega di San Donato in Pocis” della quale facevano parte ben sedici popoli. La decadenza e la perdita di questo ruolo preminente si manifestò nel Trecento a seguito delle variazioni intervenute nella viabilità e allo spostamento degli interessi fiorentini sulla Via Francigena. Lo sviluppo del castello si arrestò, e tutt’oggi appare come cristallizzato nella forma urbana che dovette caratterizzarlo nel secolo XIII. Il nucleo antico è infatti ancora interamente compreso entro un circuito murario che, nonostante i rifacimenti e le integrazioni, conserva l’andamento delle mura duecentesche e, all’interno, il tessuto residenziale per gran parte possiede ancora una ben leggibile impronta medioevale. Lungo l’asse longitudinale che divide in due l’abitato, dalla Porta Fiorentina alla Porta Senese, preceduti da un alta casa-torre si susseguono numerosi edifici duecenteschi caratterizzati dai portali leggermente sestiacuti. Più modeste, anche se spesso anch’esse riferibili al XIII secolo, le costruzioni che si affacciano sulle due strade che seguono internamente il perimetro murario. Molto rari gli inserimenti successivi e contenute le trasformazioni: gli episodi di maggior rilievo al riguardo sono rappresentati dal tardo rinascimentale Palazzo Malaspina e dalla quattrocentesca chiesa dedicata alla Madonna della Neve. Infine appena fuori dalle mura, nettamente distinta dall’abitato, si segnala la già ricordata Pie-
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ve: uno dei più compiuti edifici romanici della campagna fiorentina che si distingue per la nitida geometria dei semplici volumi che lo compongono messi ancor più in risalto dal regolarissimo rivestimento e dall’assenza di qualsiasi motivo ornamentale. L.M. - Il tema dei centri storici minori, oggi, è particolarmente delicato e necessita, prima di pensare ad interventi generalizzati di riuso e di recupero, di una attenta e sensibile azione amministrativa. Per quanto riguarda il centro storico di San Donato in Poggio, qual è stato il vostro approccio a questa problematica? P.B. - Credo che, al di fuori dei concreti interventi di recupero e di riuso, la sensibilità e l’attenzione possono manifestarsi solo con azioni di approfondimento delle conoscenze. Sotto questo aspetto vorrei ricordare, oltre alla collaborazione con il corso del prof. Marco Jaff i cui risultati saranno illustrati nella mostra e nel convegno, il rilievo di Palazzo Malaspina eseguito dall’architetto Luigi Ulivieri e presentato in un incontro pubblico con la popolazione nonché la nuova e più completa schedatura degli edifici del centro storico eseguita nell’ambito della formazione del quadro conoscitivo del Regolamento Urbanistico. L.M. - Ritenete che sia possibile sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica sul valore urbanistico ed ambientale di questo centro storico attraverso forme di rappresentazione come quelle che verranno proposte in questa mostra? P.B. - Sicuramente il valore di iniziative come questa risiede anche nel coinvolgimento dei cittadini, non solo nel momento in cui si mostrano i risultati di un lavoro ma nella fase stessa in cui il lavoro si svolge. È anche evidente che forme di rappresentazione come quella di cui parliamo possono svolgere un ruolo importantissimo a condizione che siano inquadrate proficuamente nella concreta azione amministrativa. Lo scopo è ovviamente quello di utilizzare i
San Donato in Poggio, Palazzo Malaspina
materiali prodotti per l’approfondimento dei nostri quadri conoscitivi e per adottare in maniera più consapevole le scelte di governo del territorio. L.M. - L’operazione di conoscenza dell’urbano attraverso il rilievo è un fondamentale punto di partenza per pianificare in modo corretto ed efficace i futuri interventi di riqualificazione all’interno del centro storico. Quali sono i temi e le problematiche prioritarie che ritiene debbano essere affrontate a San Donato? P.B. - Il contributo più efficace sarebbe sicuramente fornito da una analisi attenta che mettesse in evidenza, edificio per edificio, quali sono gli elementi formali, tipologici e strutturali da tutelare. La individuazione di tali elementi diventerebbe obbligatoriamente il punto di riferimento di qualsiasi progetto di recupero e consentirebbe al comune di agire con equilibrio, vincolando quello che deve essere vincolato e lasciando gradi di libertà dove questo è possibile. Senza una base conoscitiva di questo tipo si rischia sempre l’errore, non solo nella individuazione dei caratteri fisici degli interventi ma anche nella definizione delle destinazioni d’uso da consentire e di quelle da vietare. L.M. - I centri storici minori costituiscono oggi luoghi della memoria e svolgono a livello sociale una funzione identitaria sempre più forte e questo comporta la necessità per gli amministratori locali, le associazioni e gli esperti di interessarsi dei processi di trasformazione in atto. Come si è trasformato e adattato alle moderne necessità e alle nuove destinazioni d’uso il centro storico di San Donato? P.B. - Personalmente sono assolutamente contrario a qualsiasi ossessione identitaria, e tanto più alle micro patrie. È bene che il centro storico si integri nella realtà più complessa che lo circonda: i servizi, gli impianti sportivi, i luoghi di ritrovo degli abitanti si collocano ormai al di fuori del circuito murario e, forse, la maggior parte della vita degli abitanti si svolge ogni giorno a chilometri di distanza. Dentro rimane la residenza, in un contesto sicuramente piacevole, oltre ad alcuni ri-
storanti. Credo che sia una miscela accettabile e che si possa parlare ancora di un adeguato adattamento “alle moderne necessità”. Bisogna stare molto attenti, in questa fase, a indirizzare gli immobili verso destinazioni d’uso compatibili con la vita dei residenti e, soprattutto, bisogna guardarsi da chi parla di “valorizzare il centro storico”, perché se va bene allude al recupero degli edifici più importanti o alla acquisizione all’interno di essi di funzioni culturali e su questo siamo d’accordo. Se va male è come trovarsi nei pressi di Disneyland. E con questo scherzo hanno rovinato le città più belle del mondo. L.M. - Credo che nello specifico caso di San Donato non si debba limitare la riflessione esclusivamente al suo nucleo urbano ma all’intero patrimonio territoriale che comprende al suo interno notevoli insediamenti rurali ed importanti risorse ambientali e paesaggistiche. Qual è stata la vostra politica e pianificazione a livello territoriale? P.B. - Le politiche comunali si concretizzano, ovviamente, con l’adozione degli atti di pianificazione e di governo del territorio. In questo senso il territorio di San Donato si inquadra nel contesto generale del Chianti per il quale è stata redatta una carta per l’uso sostenibile del suolo. Si tratta di un lavoro di grande valore a cui hanno partecipato tutti i comuni del chianti senese e fiorentino e che ha visto impegnato un gruppo di studiosi dell’Università di Firenze coordinati dal prof. Paolo Baldeschi e dal prof. Camillo Zanchi. Tale “carta” ha costituito la base per la definizione delle scelte di regolamento urbanistico che, come si può immaginare, sono ispirate a criteri di conservazione e di salvaguardia che non ingessino il territorio ma ne consentano una dinamica evoluzione. L.M. - I piccoli comuni si stanno affermando sempre più spesso negli ultimi anni come luoghi ideali per lo sviluppo di energie pulite. Ci sono per San Donato delle proposte o dei progetti in corso che vanno verso questa direzione? P.B. - Questo è, in parte, un bel problema. La installazione di pannelli
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San Donato in Poggio, via del Giglio
solari, sia termici che fotovoltaici non sembra molto compatibile con i caratteri del centro storico e incontra spesso la contrarietà della Commissione Edilizia. Per il fotovoltaico si è ovviato consentendo di sostituire la installazione diretta con la partecipazione in quota parte agli impianti solari realizzati o promossi dal Comune. L.M. - Individuare gli edifici di valore storico-ambientale, che rappresentano un patrimonio collettivo di valori civili e culturali e favorire il loro recupero nel rispetto dei propri caratteri tipologici, è una delle priorità di tutti i centri storici italiani. Quali sono gli eventuali interventi di recupero realizzati o programmati (es. Palazzo Malaspina) sul patrimonio edilizio del centro storico di San Donato? Vi sono finanziamenti che sostengano progetti di riuso e recupero dei fabbricati? P.B. - Per Palazzo Malaspina, la struttura di maggior rilievo di tutto il nucleo, siamo in attesa dell’inizio dei lavori relativi al bel progetto di restauro, redatto dall’architetto Luigi Ulivieri, ove si prevede una utilizzazione a scopi culturali dell’immobile. L.M. - Cosa pensa si possa fare in futuro per attrarre nuovamente abitanti e incentivare le attività artigianali all’interno del centro storico? Sono necessari particolari interventi infrastrutturali locali o territoriali per valorizzare la polarità di San Donato? P.B. Per quello che ne sappiamo, gli edifici del centro storico sono in buona parte occupati. Per gli artigiani non saprei. Credo che un artigiano vero, con le sue necessità di trasportare materiali, di fare un po’ di rumore o di polvere, non sia proprio compatibile con il carattere residenziale della zona. L’idea di creare una integrazione lavoro/ residenza dentro un piccolo centro come San Donato mi sembra davvero improponibile. L.M. - Quale futuro per il centro storico di San Donato?
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San Donato in Poggio, via del Giglio
P.B. - Credo che dal punto di vista delle funzioni San Donato abbia raggiunto un punto di equilibrio, una giusta miscela fra residenza ed attività economiche. Un incremento del turismo “mordi e fuggi” andrebbe solo a discapito della funzione residenziale. Il futuro sta, quindi, in un approfondimento delle conoscenze sui caratteri della struttura edilizia ed urbanistica e, di conseguenza, nella definizione di interventi, sia pubblici che privati, adeguati a tali approfondimenti.
* Pietro Bucciarelli già responsabile dell’Ufficio dell’Assetto del Territorio del Comune di Tavarnelle.
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Pontorme Pontorme, Canonica della Chiesa di San Michele
Michela Bigagli - Carla Santoni*
Il piccolo borgo di Pontorme è adesso una frazione di Empoli, inglobata all’interno della periferia della città. Apparentemente nascosto, questo “castello” mantiene ancora segni tangibili di un passato importante, come l’antica cerchia muraria trecentesca tutta inglobata negli edifici esistenti, la chiesa di San Michele con una splendida opera del Pontormo, suo illustre cittadino, e la più recente cinta delle “mura ortive” che, ancora intatta, circonda buona parte dell’intero nucleo. La prima menzione del borgo si trova nell’atto di donazione in cui l’abate Guberto, nel 780, lascia al monastero di S. Savino, nei pressi di Pisa, tra gli altri beni anche la “corte di Pontorme” con le sue pertinenze. Ma le origini, probabilmente, sono ancor più lontane e sono legate alla strada consolare che, superando il torrente Orme poco prima che questo confluisca nell’Arno, attraversava l’Etruria, collegando Firenze e Fiesole al porto di Pisa. Nel 1333 subì una devastante alluvione che fece rovinare la cinta muraria. La ricostruzione fu piuttosto rapida e già nel 1336 il comune di Firenze ne deliberò il ripristino insieme a quella di Empoli. Poi una rapida crescita, testimoniata dal fatto che già agli inizi del 1400, troviamo documenti in cui si parla di un “castello vecchio” e di un “castello nuovo”. Pontorme conservò capacità amministrativa indipendente sino al 1774, quando il Granduca Pietro Leopoldo, con il regolamento delle comunità della Toscana, ne ordinò l’annessione alla città di Empoli, provocando la perdita di una sua identità storica autonoma. M.B. - Negli ultimi anni si nota una riscoperta del borgo e, a differenza del recente passato, sono stati attuati diversi interventi di riqualificazione sul patrimonio edilizio. Quali sono, secondo lei, i motivi di questa attività e quale è l’approccio che l’Amministrazione di Empoli ha nei confronti di un tale rinnovamento? C.S. - Tutto il territorio comunale di Empoli è stato interessato, negli ultimi decenni, da uno sviluppo urbanistico sostenuto accompagnato da vivace attività edilizia che ne ha letteralmente cambiato l’assetto complessivo.
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Basterebbe pensare che nel 1951 gli abitanti del comune erano meno di 30.000 e che negli anni ’70 erano saliti a 45.000. Poi la popolazione si è assestata, ma ciò non ostante sono stati costruiti sino agli anni ’90 cospicue quantità di cubature residenziali terziarie e produttive. Una attività attualmente pressoché ridotta a zero e per lo più limitata alle ristrutturazioni dell’esistente e ad alcune opere pubbliche o di interesse pubblico. In questo quadro Pontorme, una frazione che oggi conta poche centinaia di abitanti non fa eccezione, con la differenza che trovandosi nella immediata periferia di Empoli ha avuto uno sviluppo di tipo più residenziale e produttivo piuttosto che terziario, con una caratterizzazione marcatamente popolare, rivolta anche alle fasce della prima immigrazione stabile. Il centro storico della frazione, quasi tutto vincolato a restauro e ristrutturazione, prima ha subito un mutamento di popolazione residente e poche trasformazioni fisiche, poi la qualità originariamente assai bassa del livello di confort delle abitazioni si è innalzato, e ciò è avvenuto man mano che la nuova popolazione si è consolidata e fusa con quella preesistente. L’Amministrazione ha favorito questo mutamento, ritenendolo un fenomeno positivo, ha semplificato al massimo possibile le operazioni private di restauro ed ha operato essa stessa importanti interventi di restauro. M.B. - Pontorme è anche la città natale di Jacopo Carrucci detto appunto il Pontormo. La casa dell’artista, identificata da Ugo Procacci nel 1956, è un edificio su tre piani, di epoca medievale, acquistato dal Comune di Empoli nel 1995 a conclusione delle celebrazioni del quinto centenario della nascita del pittore. Dopo l’intervento, questa “casa d’artista e luogo della memoria”, è sede della Sezione Didattica dei Beni Culturali della città e del Centro di Studi sull’Arte del Cinquecento nella Provincia Toscana. Il restauro e l’apertura di questo nuovo spazio al pubblico, ha innescato un nuovo senso di appartenenza e d’identità negli abitanti del borgo? C.S. - Nella politica culturale dell’Amministrazione, la casa del Pontormo svolge un ruolo particolarmente importante. Oltre al notevole sforzo finanziario affrontato a suo tempo per i lunghi e meticolosi restauri, che
Pontorme, Canonica della Chiesa di San Michele
sta ad indicare quanto per noi fosse importante quella Istituzione sin dalla sua costituzione, anche oggi si punta su quella struttura soprattutto per la diffusione della cultura artistica e per la promozione delle attività espressive tra le giovanissime generazioni. Vi si tengono corsi specifici e si organizzano eventi e mostre d’ arte generalmente rivolte al ’500, ma che possono spaziare sino al periodo contemporaneo. È evidente che queste attività contribuiscono a caratterizzare e a riqualificare una parte specifica del tessuto urbano e di Pontorme in generale, ma probabilmente, senza nulla togliere all’importanza di quel magnifico manierista che era il Pontormo, mi parrebbe eccessivo ritenere che l’intero borgo si identifichi con la sua eredità culturale: per capirci con un esempio geograficamente assai vicino a noi, mi pare che siamo lontanissimi dal caso di Vinci, dove il complesso del centro storico è permeato dalla presenza di Leonardo e dove grandi masse di visitatori accorrono quasi esclusivamente per visitare i suoi luoghi e “respirare” la sua stessa aria. M.B. - Il borgo è stato soggetto nei secoli a diversi eventi che hanno dato luogo ad una stratificazione di manufatti architettonici, che con il tempo si sono intimamente collegati creando un’unica identità. Si nota, tuttavia, come negli anni seguenti alla seconda guerra mondiale, gli interventi sul patrimonio edilizio hanno avuto la caratteristica di negare l’ origine delle “case del borgo” per farle somigliare alle abitazioni che venivano costruite appena fuori le mura. Questo è avvenuto utilizzando materiali non tradizionali o modificando spazialmente gli edifici. In alcuni casi, questo processo è sembrato inevitabile, essendo mutate le necessita dei nuovi abitanti. Adesso, gli edifici che prima erano i più emarginati sono quelli maggiormente ricercati perché mantengono quegli elementi caratteristici che, anche nel nostro immaginario, le abitazioni di un borgo, devono avere. Come pensate di “controllare” che su queste ultime case “sopravvissute” non avvenga ciò che è successo in passato e quale pensate sia la soluzione migliore per quei manufatti che sono stati interessati da restauri non appropriati?
C.S. - Quello degli interventi impropri sui manufatti di valore storico è attualmente uno dei problemi più importanti e difficili da affrontare nei centri storici. È del tutto evidente che se vogliamo che le città antiche sopravvivano a loro stesse, dobbiamo non solo consentire che vengano usate, ma addirittura dobbiamo fare tutto il possibile perché ciò avvenga. D’altra parte gli standard abitativi di oggi non sono paragonabili a quelli del passato: da qui l’esigenza di intervenire anche profondamente sul tessuto edilizio esistente ed in particolare sui singoli manufatti, come per altro è avvenuto in continuazione per secoli. Ma mentre sino a pochi decenni fa le tecniche di intervento si ripetevano uguali nel tempo, e le maestranze possedevano lo stesso bagaglio di conoscenze e di consuetudini artigianali, e quello che variava, pur non essendo poca cosa, poteva essere solo lo “stile” architettonico, oggi oltre ad esprimerci in “forme” e tecnologie totalmente diverse, quella che è irrimediabilmente perduta è la continuità operativa tra i vari interventi edilizi. Per cui ogni operazione che non sia di restauro conservativo provoca un trauma irreversibile negli edifici, in quanto ne interrompe bruscamente quella continuità che in passato si era naturalmente realizzata anche in presenza di modificazioni radicali dei manufatti. È sufficiente, ad esempio, ampliare, anche di poco, le finestre di un piccola semplice casa medievale, magari riquadrandole in travertino ed inserirvi rotolanti di plastica, intonacarne la facciata e rifinirla al quarzo, completando il tutto con la sostituzione degli sporti ed il portone del piano terra con delle vetrine e serramenti in alluminio anodizzato, che un dignitoso edificio del ’300, che conservava a pieno tutte le sue caratteristiche storiche, è irrimediabilmente sconciato senza possibilità di ritorno. Eppure, in questo caso, si sarebbe trattato di un intervento di manutenzione straordinaria o poco più. Sino agli anni settanta del secolo scorso, purtroppo, non si poneva molta attenzione, soprattutto nei centri storici minori, a queste problematiche. Poi la sensibilità, anche delle Amministrazioni, è cresciuta, ma la gran parte dei guasti era compiuta, anche perché chi questi guasti commetteva o li lasciava commettere, lo faceva senza
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Pontorme, via di Pontorme
rendersene conto, nella convinzione che la “modernità” fosse l’unico scenario praticabile. Oggi le normative e la classificazione degli edifici è molto più attenta, per cui questi pericoli sono meno presenti. Tuttavia la cultura del restauro e della manutenzione non sono ancora sufficientemente diffusi nella totalità degli operatori, ed è solo la loro consapevolezza che può salvarci dagli errori in cui siamo incorsi nel recente passato. In questo senso la DIA e, a maggior ragione, “l’attività edilizia libera” non aiutano. M.B. - Le mura, anche e soprattutto quelle di recente formazione costruite a protezione degli orti, caratterizzano fortemente questo paese. Osservando la pianta si nota come permangano nitide nel segnare il perimetro urbano. Ancora oggi si avverte il “limite” che esse individuano nel costruito: dentro le mura “ortive”, è “Pontorme”, fuori dalle mura, è espansione della città (di Empoli). Ed ancora oggi, in un certo senso, quelle mura hanno mantenuto la loro funzione di protezione: hanno attenuato la rapida e aggressiva edificazione che, dalla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri, molti altri agglomerati non murati hanno subito. Sorprende notare come la loro forma sia ancora così funzionale, come siano in grado di guidare l’evoluzione dell’intera compagine urbana. Più sottile, invece, la trama delle mura antiche: in alcuni punti la loro traccia si perde inglobata all’interno degli edifici che vi si sono addossati ed è leggibile esclusivamente attraverso il rilievo diretto. Soltanto il disegno ne ricuce i pezzi e fa tornare alla luce ciò che apparentemente sembrava ormai smarrito. In che misura pensa che questo tipo di analisi possa ancora essere utile? Ed inoltre, secondo lei, vi sono parti del borgo che meriterebbero indagini particolari? C.S. - È vero, in questo caso, come del resto in tutti i centri murati, grandi o piccoli che siano, il disegno delle mura, qualsiasi fosse la loro origine (motivazioni di ordine difensivo o di semplice identificazione della proprietà) costituisce uno dei principali elementi ordinatori dello spazio. Un ordine che spesso è chiaramente esplicito, ma che a volte non appare a prima vista proprio perché le successive sovrapposizioni
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Pontorme, via di Pontorme
dell’edificato tendono a celarlo. In questi casi solo una attenta ricostruzione filologica può ricostruire l’originaria logica della trama edilizia. Nel caso di Pontorme sono le parti intorno alla Chiesa di San Michele quelle più interessanti perché è proprio lì che si sono succedute le maggiori sovrapposizioni degli interventi. M.B. - Uno dei modi per migliorare la qualità dell’ambiente urbano passa attraverso la procedura dei concorsi banditi per la riqualificazione di corsi e piazze. Pensa che anche Pontorme possa essere interessato da un tali progetti? C.S. - Anche per la piazza di Pontorme negli anni ’90 fu bandito un concorso d’architettura, ma per vari motivi, non ebbe esito. Ritengo, tuttavia, che generalmente non sono i progetti che mancano, quanto la capacità concreta di intervenire nelle compagini storiche con finanziamenti adeguati sia pubblici che privati. M.B. - A questo proposito quali pensa siano le priorità per sostenere il rinnovato interesse verso Pontorme? C.S. - La via maestra non può essere che quella tracciata dal nostro Piano Strutturale che tende appunto alla valorizzazione di tutte le nostre compagini storiche. Per Pontorme in particolare sarebbe importante portare a compimento alcune infrastrutture come il parco dell’Arno, e un adeguato sistema di viabilità e parcheggi che possa portare alla completa pedonalizzazione del Borgo. Sarebbe importante anche risolvere in modo congruente alcuni edifici incompatibili col contesto che si configurano come delle vere e proprie superfetazioni urbanistiche. Ma la priorità assoluta è quella di reperire la disponibilità finanziaria per la “manutenzione straordinaria” del borgo: dalle pavimentazioni all’illuminazione pubblica, ai giardini, una serie di piccoli interventi che innescherebbero una specie di circolo virtuoso che porterebbe anche i privati ad intervenire con opere di restauro. * Carla Santoni è Dirigente del Settore della Pianificazione Territoriale del Comune di Empoli
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Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto Direttore - Ulisse Tramonti - Sezione Architettura e Città - Ulisse Tramonti, Alberto Baratelli, Antonella Cortesi, Maria Gabriella Pinagli, Mario Preti, Antonio Capestro, Enzo Crestini, Fabio Fabbrizzi, Renzo Marzocchi, Giovanni Pratesi, Andrea Ricci, Claudio Zanirato - Sezione Architettura e Contesto - Adolfo Natalini, Giancarlo Cataldi, Pierfilippo Checchi, Benedetto Di Cristina, Gian Luigi Maffei, Fabrizio Arrigoni, Paolo Puccetti - Sezione Architettura e Disegno - Maria Teresa Bartoli, Marco Bini, Roberto Corazzi, Emma Mandelli, Stefano Bertocci, Marco Cardini, Marco Jaff, Giovanni Anzani, Barbara Aterini, Carmela Crescenzi, Cecilia Luschi, Alessandro Merlo, Paola Puma, Marcello Scalzo, Giorgio Verdiani - Sezione Architettura e Innovazione - Alberto Breschi, Antonio D’Auria, Flaviano Maria Lorusso, Marino Moretti, Laura Andreini, Vittorio Pannocchia, Marco Tamino - Sezione I luoghi dell’Architettura - Maria Grazia Eccheli, Fabrizio Rossi Prodi, Paolo Zermani, Fabio Capanni, Francesco Collotti, Alberto Manfredini, Giacomo Pirazzoli, Elisabetta Agostini, Mauro Alpini, Riccardo Butini, Andrea Volpe - Sezione Storia dell’Architettura e della Città - Amedeo Belluzzi, Ezio Godoli, Gabriele Morolli, Ciro Luigi Anzivino, Gianluca Belli, Mario Carlo Alberto Bevilacqua, Rosario De Simone, Riccardo Pacciani, Alessadro Rinaldi, Corinna Vasic Vatovec, Ferruccio Canali - Laboratorio fotografico - Edmondo Lisi - Centro di editoria - Massimo Battista - Centro di documentazione - Laura Velatta - Segretaria amministrativa - Gioi Gonnella - Amministrazione contabile - Laura Cammilli, Cabiria Fossati, Lucia Sinceri - Segreteria - Grazia Poli
in copertina: San Donato in Poggio, via del Giglio Pontorme, via di Pontorme
Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto Comune di Tavarnelle Val di Pesa
San Donato in Poggio e Pontorme - Rilievi
Patrocini:
Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto
Comune di Tavarnelle val di Pesa
A cura di: Coordinamento e allestimento: Collaborazione:
Marco Jaff Michela Bigagli - Lorenzo Matteoli Costanza Barbadori - Cristian Maroli - Diletta Gabrielli Donata Mingoni - Federica Costanzo - Federica Paoloni Carlotta Barabesi
Periodico semestrale* del Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto viale Gramsci, 42 Firenze tel. 055/2055367 fax. 055/2055399 Anno XIV suppl. n. 1 - 2010 Autorizzazione del Tribunale di Firenze n. 4725 del 25.09.1997 ISSN 1826-0772 ISSN 2035-4444 on line Direttore - Maria Grazia Eccheli Direttore responsabile - Ulisse Tramonti Comitato scientifico - Maria Teresa Bartoli, Giancarlo Cataldi, Loris Macci, Adolfo Natalini, Ulisse Tramonti, Paolo Zermani Capo redattore - Fabrizio Rossi Prodi Redazione - Fabrizio Arrigoni, Valerio Barberis, Fabio Capanni, Francesco Collotti, Fabio Fabbrizzi, Francesca Mugnai, Alessandro Merlo, Andrea Volpe, Claudio Zanirato Info-grafica e Dtp - Massimo Battista Segretaria di redazione e amministrazione - Grazia Poli e-mail: firenzearchitettura@arch-dsp.unifi.it ProprietĂ UniversitĂ degli Studi di Firenze Progetto Grafico e Realizzazione - Massimo Battista - Centro di Editoria del Dipartimento di Architettura - Disegno Storia Progetto Fotolito Saffe, Calenzano (FI) Finito di stampare ottobre 2010 *consultabile su Internet http://www.progarch.unifi.it/CMpro-v-p-34.html
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ISSN 1826-0772
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Periodico semestrale Anno XIV suppl. n.1 Euro 3 Spedizione in abbonamento postale 70% Firenze
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